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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di AGOSTO 2009

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aggiornamento al 31.08.2009

aggiornamento al 24.08.2009

aggiornamento al 17.08.2009

aggiornamento al 10.08.2009

aggiornamento al 03.08.2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 31.08.2009

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NOVITA' SUL SITO

E' stato inserito il nuovo bottone MODULISTICA ove sono stati pubblicati alcuni fac-simile di moduli relativamente all'edilizia privata valevoli per la Regione Lombardia.
La modulistica pubblicata è in formato .doc cosicché ognuno la possa personalizzare.
I moduli pubblicati vogliono solo essere un aiuto agli "addetti ai lavori" demandando loro la responsabilità dei contenuti qualora utilizzati.
Nelle prossime settimane saranno pubblicati ulteriori moduli e l'archivio sarà costantemente aggiornato.

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 34 del 25.08.2009, "Adozione del Piano Territoriale Regionale (art. 21 l.r. 11.03.2005, n. 12 «Legge per il Governo del Territorio»)" (deliberazione C.R. 30.07.2009 n. 874 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del 24.08.2009, "Differimento del termine per l'entrata in vigore della procedura di calcolo per la certificazione energetica degli edifici, approvata con d.d.g. 5796 dell'11.06.2009" (decreto D.G. 12.08.2009 n. 8420 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del 24.08.2009, "Determinazioni relative alla qualificazione degli insediamenti attraverso la realizzazione di spazi verdi (ex art. 3, comma 6, l.r. 13/2009)" (deliberazione G.R. 07.08.2009 n. 10134 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del 24.08.2009, "Determinazioni in merito all'ammissibilità nelle discariche dei rifiuti non pericolosi e pericolosi fino alla adozione delle modifiche del D.M. Ambiente e Tutela del territorio 03.08.2005" (deliberazione G.R. 07.08.2009 n. 10099 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del 24.08.2009, "Determinazioni in merito alle procedure per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio di impianti mobili per le attività di trattamento dei rifiuti" (deliberazione G.R. 07.08.2009 n. 10098 - link a www.infopoint.it).

NEWS

URBANISTICA: Lombardia, Il Piano Territoriale Regionale (PTR) adottato dal Consiglio: breve presentazione dei contenuti (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

ENTI LOCALI: L'assessore ordina i lavori. E se li paga.
Per i lavori ordinati direttamente dall'assessore, senza preventivo impegno di spesa, paga direttamente l'assessore e non il comune. Non è, infatti, ammissibile l'azione di arricchimento senza causa, nei confronti delle amministrazioni locali, per effetto della normativa speciale che disciplina il procedimento di spesa.
La Corte di cassazione, Sezione I civile, con la sentenza 29.07.2009 n. 17550 (in www.lexitalia.it) chiarisce pregevolmente la normativa particolare posta a regolare le obbligazioni degli enti locali, respingendo per inammissibilità il ricorso presentato da un appaltatore avverso la sentenza di appello, che aveva ritenuto infondata la doglianza nel giudizio di merito, basata sull'azione di indebito arricchimento.
In particolare, l'impresa aveva chiesto alla Cassazione di considerare erronea la sentenza del giudice di merito, in quanto non aveva preso in considerazione il riconoscimento dell'utilità della prestazione ordinata dall'assessore per il comune e la sua rispondenza all'interesse pubblico. Il riconoscimento dell'utilità della prestazione ricevuta, anche se non regolarmente ordinata, da parte del comune debitori, ai sensi dell'articolo 2041 del codice civile potrebbe, in apparenza, fondare la pretesa degli appaltatori di agire in giudizio contro l'ente locale, per pretendere l'indennizzo scaturente dall'arricchimento derivante dall'esecuzione della loro prestazione.
Crea, però, ostacolo a questa ricostruzione basata esclusivamente sul codice civile lo specifico ordinamento degli enti locali e, in particolare, l'articolo 191, comma 3, del dlgs 267/2000, ai sensi del quale, qualora l'ordine di esecuzione di appalti sia stato emesso senza l'adozione dell'impegno di spesa preventivo, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile come debito fuori bilancio direttamente tra il privato fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura.
La presenza di questa disposizione speciale fa sì, osserva la Cassazione, che il rapporto obbligatorio, ai fini del pagamento del corrispettivo insorga tra appaltatore e, in via esclusiva, amministratore o funzionario che abbia consentito la prestazione. Ciò, allora, determina l'impossibilità di esperire nei confronti del comune l'azione di arricchimento senza causa, perché la norma speciale elimina in radice il necessario requisito della sussidiarietà dell'azione di indebito arricchimento, consistente nella possibilità di farvi ricorso solo qualora manchino altri mezzi di tutela diretta. Ai sensi dell'articolo 2042 del codice civile, infatti, «l'azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un'altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito».
L'articolo 191, del dlgs 267/2000 consente agli appaltatori di rivalersi nei confronti delle persone fisiche degli amministratori o funzionari che abbiano dato causa a ordinazioni di prestazioni in violazione delle regole sull'impegno preventivo della spesa: ciò significa, da un lato, che la norma esime del tutto da responsabilità l'ente locale per le attività di illegittima gestione delle obbligazioni contrattuali poste in essere da amministratori e funzionari; dall'altro, l'appaltatore può agire in via diretta contro questi ultimi, per ottenere il pagamento dei corrispettivi (articolo 28.08.2009 tratto da ItaliaOggi, pag. 11).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA: Lombardia, Corso di specializzazione sull'applicazione della L.R. n. 12/2005: 1^ lezione - parte B (beni paesistici) (Geometra Orobico n. 3/2009).

URBANISTICA: Lombardia, Corso di specializzazione sull'applicazione della L.R. n. 12/2005: 1^ lezione - parte A (valutazione ambientale dei piani) (Geometra Orobico n. 1/2009).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, NEL TRASPORTO DEI RIFIUTI OCCORRE (ORA) LA SCHEDA DI TRASPORTO (DI CUI AL D.M. 30/06/2009, N. 554), O BASTA IL SOLO FORMULARIO? PRIMISSIME CONSIDERAZIONI (link a www.lexambiente.it).

INCARICHI PROGETTUALI: M. Lavatelli, Progetti e tutela dell'autore (link a www.lavatellilatorraca.it).

dossier BOX

EDILIZIA PRIVATA: Legge "Tognoli".
In tema di reati edilizi, la costruzione di autorimesse o parcheggi destinati a pertinenza di fabbricati esistenti è soggetta ad autorizzazione gratuita ai sensi della legge n. 122 del 1989 e non all'ordinario regime concessorio, a condizione che nella relativa domanda sia preventivamente indicato il fabbricato servito, in quanto ciò consente l'immediata identificazione del vincolo permanente di asservimento (in motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha precisato che il rapporto di pertinenzialità è riconoscibile nel caso in cui i "boxes" si trovano in un ragionevole raggio di accessibilità pedonale) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.04.2009 n. 14940 - link a www.lexambiente.it).

dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE

EDILIZIA PRIVATA: La regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico-discrezionale dell’Amministrazione deve precedere, e non seguire, il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Alla luce del consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questo TAR (per tutte e solo per citare le più recenti CGA, sez. giur., 14.01.2009, n. 7 e 02.03.2007, n. 64; TAR Sicilia Palermo, I, 16.01.2007, n. 726, 21.08.2006, n. 1832, 02.01.2004, n. 1, 03.04.2002, n. 879), la regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico-discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di integrazione successive al rilascio della concessione edilizia, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica, nella considerazione, fra l’altro, della necessità di garantire la correttezza del rapporto intercorrente tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, soprattutto allorquando la tempestiva conoscenza degli oneri discrezionalmente imposti possa indirizzare in un senso, piuttosto che in un altro, le scelte dell’operatore economico.
Nelle numerose sentenze, con le quali questa Sezione si è pronunciata sulla delineata questione (tra le tante, nn. 405/1993, 588/1995, 1358/1996, 2117/1997, 865/2002 e 1/2004), si è, in particolare, osservato che il termine del 31 dicembre di ogni anno, prescritto dall’art. 34 della l.r. n. 37/1985, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, per l’aggiornamento da parte dei Comuni degli oneri di urbanizzazione, non è perentorio, cosicché risultano legittime le quantificazioni disposte con atto successivo.
Tale aggiornamento può, però, avere effetto sulle concessioni edilizie già rilasciate, soltanto qualora nelle stesse fosse stata espressamente inserita la clausola della salvezza dell’eventuale conguaglio.
In assenza di tale previsione, una eventuale riquantificazione degli oneri di urbanizzazione può, pertanto, ammettersi, solo nel caso di correzione di errori riconoscibili, sulla base di parametri certi e predefiniti.

Nella specie, il Comune resistente dopo avere adeguato “ora per allora” gli oneri di urbanizzazione, ha illegittimamente preteso il pagamento di una integrazione delle somme già quantificate e versate dalla ricorrente per una concessione edilizia rilasciata in precedenza senza la previsione, seppur ipotetica, di successivi conguagli.
Sulla base dei principi esposti, mentre non risultano illegittimi in sé le deliberazioni comunali di adeguamento retroattivo degli oneri concessori, in quanto intervenute sotto la vigenza dell’originaria versione dell’art. 34 della l.r. n. 35/1985, è illegittimo l’impugnato provvedimento di richiesta del pagamento di un conguaglio degli oneri concessori già quantificati e versati
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 11.08.2009 n. 1406 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier DEFINIZIONE INTERVENTI EDILIZI

EDILIZIA PRIVATA: L’apposizione di una pavimentazione in cotto su di uno spazio esterno, già cementato, non è tale da dar luogo a quell’inserimento di elementi innovativi idoneo a connotare l’intervento come ristrutturazione edilizia e, pertanto, l’apposizione di una pavimentazione in cotto su di uno spazio esterno, già cementato, non è tale da dar luogo a quell’inserimento di elementi innovativi idoneo a connotare l’intervento come ristrutturazione edilizia.
La sola piastrellatura di uno spazio esterno, già cementato, ben può essere classificata quale opera di manutenzione straordinaria, con conseguente sufficienza della d.i.a. e inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 27, comma 2, D.P.R. 380/2001, a nulla rilevando la diversità di materiali (cfr. Cass. pen. 29.02.1988, in Riv. Pen. 1989, 818 secondo cui “la sostituzione del vecchio solaio in strutture lignee di un fatiscente edificio rustico con altro solaio in cemento armato, che non abbia alterato i volumi né le superfici dell’unità immobiliare, deve essere considerata di manutenzione straordinaria ... e pertanto non è necessaria per essa la concessione edilizia”).
Il discrimine tra gli interventi manutentivi o di restauro, per i quali è sufficiente la d.i.a e quelli di ristrutturazione, asserviti a permesso di costruire, è individuabile nella circostanza che i primi sono diretti a conservare l'edificio nel rispetto della sua tipologia, forma e struttura, senza alcun inserimento di elementi innovativi pur se sostitutivi di quelli precedenti mentre i secondi sono diretti ad alterare, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica dell'immobile e comportano altresì l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi (TAR Campania Napoli, sez. IV, 18.09.2003, n. 11499; TAR Campania Napoli, sez. IV, n. 16667/2005), per cui l’apposizione di una pavimentazione in cotto su di uno spazio esterno, già cementato, non è tale da dar luogo a quell’inserimento di elementi innovativi idoneo a connotare l’intervento come ristrutturazione edilizia (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.08.2009 n. 4805 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier D.I.A.

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. e poteri della P.A.
Ai sensi dell’art. 23, c. 6, d.P.R. n. 380/2001, per 30 giorni a decorrere dal ricevimento della dichiarazione di avvio dell’attività, l’amministrazione ha il potere di inibire l’intervento edilizio. Allo scadere del 30° giorno si consolida la fattispecie che abilita il privato a costruire e l’amministrazione decade dal potere di inibire la prosecuzione dell’attività.
Il decorso del termine di 30 giorni, ed il conseguente consolidamento del titolo, non comportano tuttavia che l'attività edilizia del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e dunque possa andare esente dalle sanzioni previste dall’ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi
Venuto meno il potere inibitorio, residuano, difatti, il generale potere repressivo degli abusi previsto dall’art. 27, d.p.r. n. 380/2001 ed un potere di autotutela previsto dall’art. 19, comma 3, legge n. 241/1990 secondo cui "è fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies" (sia pure sui generis, poiché, a differenza della consueta autotutela decisoria non implica un’attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.06.2009 n. 4066 - link a www.lexambiente.it).

dossier ESPROPRIAZIONE

ESPROPRIAZIONEProvvedimento comunale di occupazione d'urgenza emanato prima dell'approvazione del progetto di variante regionale al PRG. Inefficacia fino all'approvazione regionale.
La decisione della Giunta comunale di procedere all'occupazione di immobili di proprietà privata prima dell'approvazione regionale del progetto di variante al PRG comunale (consistente nel mutamento della destinazione urbanistica di un'area da verde pubblico a terziario commerciale per consentire la realizzazione di un mercato) implica che la materiale apprensione degli immobili è condizionata all'esecutività della variante regionale, cosicché solo con la stessa è possibile dare attuazione al procedimento ablatorio.
Ne consegue che gli effetti della delibera comunale sono temporaneamente sospesi in attesa che sia adottata e divenga esecutiva l'approvazione conclusiva della Regione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.03.2009 n. 1895).

ESPROPRIAZIONE1. Comunicazione di avvio del procedimento espropriativo - Necessità anche in caso di dichiarazione di pubblica utilità implicita;
2. Comunicazione di avvio del procedimento - Comunicazione ex art. 8 l. 241/1990 - Consentita solo ove vi sia un ingente numero di proprietari espropriandi.

1. Nella espropriazione per pubblica utilità sussiste l'obbligo di previa comunicazione di avvio del procedimento funzionale all'approvazione del progetto di opera pubblica, ai sensi dell'art. 7 della l. 241/1990. Tale obbligo sussiste anche in caso di dichiarazione di pubblica utilità implicita a norma dell'art. 1 della legge 03.01.1979 n. 1 in quanto l'avviso di avvio del procedimento ha valenza generale, essendo finalizzata a creare un contraddittorio all'interno del procedimento amministrativo (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 4018/2004).
2. In materia di espropriazioni per pubblica utilità, il ricorso alle forme alternative di comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 8 comma 3 della l. 241/1990 (cd. altre forme di pubblicità idonee) è consentito solo qualora il numero dei proprietari espropriandi sia di tale entità da rendere particolarmente gravosa e quindi certamente pregiudizievole per l'interesse pubblico alla sollecita conclusione della procedura la comunicazione personale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.03.2009 n. 1727).

dossier OPERE PRECARIE

EDILIZIA PRIVATA: Un  pergolato costituito da struttura in legno non infissa né al pavimento, né alla parete, né chiusa su alcun lato, nemmeno sulla copertura, è da classificare quale struttura precaria.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che non sia necessaria alcuna concessione edilizia allorché l’opera consista in una struttura precaria, facilmente rimovibile, non costituente trasformazione urbanistica del territorio, come avviene nell’ipotesi di pergolato costituito da struttura in legno non infissa né al pavimento, né alla parete, né chiusa su alcun lato, nemmeno sulla copertura.
Deve, pertanto, ritenersi che tale intelaiatura può qualificarsi come mero arredo di uno spazio esterno, che non comporta realizzazione di superfici utili o volume (Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 07.11.2005 n. 6193; in senso analogo Tar Lazio-Roma, Sez. II - sentenza 28.03.2007 n. 2716).
Con riferimento all’ipotesi di specie si deve rilevare che, come risulta dagli atti, il Comune ha sanzionato la realizzazione di una <<struttura in legno dalle dimensioni di mt. 6,00x3,20x3,20>>. Tale struttura è stata qualificata quale gazebo nel verbale redatto dagli agenti dell’U.O.S.A.E.
In realtà, come è dato evincere dalla perizia giurata di parte e dalle foto allegate, non oggetto di contestazione da parte del Comune, tale struttura è priva di copertura ed è destinata al sostegno di pianti rampicanti. La stessa risulta agganciata alla parete con delle staffe che hanno la funzione di evitarne l’oscillazione e non di rendere la struttura solidale all’edificio: quindi ai sensi dell’art. 2 del Regolamento del Comune Edilizio di Napoli, deve essere qualificata quale grillage e non quale gazebo.
Per la sua tipologia e per l’uso di materiali dal non rilevante impatto visivo, come emerge anche dalle foto depositate, può ritenersi, come sostenuto dal ricorrente, un arredo dello spazio esterno con la conseguenza che la stessa può farsi rientrare, fra le opere di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’articolo 6 del Regolamento Edilizio del Comune di Napoli (cfr. in senso analogo Tar Campania-Napoli Sez. IV - sentenza 02.12.2008, n. 20791) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.08.2009 n. 4804 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier RIFIUTI E BONIFICHE

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Abbandono.
L'obbligo di adottare le misure idonee alla eliminazione del rifiuto incombe solamente a carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 18.06.2009 n. 1063 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Bonifiche e curatela fallimentare.
Il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta, necessariamente, il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti e che la curatela fallimentare non subentri negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito a meno che non vi sia una prosecuzione nell’attività.
Ne consegue che non può accettarsi che la legittimazione passiva sia del curatore (poiché ciò, inoltre, determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga” scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l’inquinamento).
Il coinvolgimento del curatore resterà indispensabile nella fase esecutiva, ma il suo mancato coinvolgimento quale destinatario formale dell’azione amministrativa non inficia la legittimità del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.06.2009 n. 3885 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Trasporto e confisca del mezzo.
In tema di gestione dei rifiuti, va disposta la confisca obbligatoria, prevista dall'art. 53, comma secondo, D.Lgs. 05.02.1997, del mezzo impiegato per il trasporto non autorizzato di rifiuti, pur quando sia in proprietà di un terzo legato da un rapporto contrattuale al soggetto responsabile dell'illecito (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.05.2009 n. 20935 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Attività di raccolta e trasporto rifiuti in forma ambulante.
L'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, effettuata in forma ambulante, non integra il reato di gestione non autorizzata dei rifiuti, a condizione, da un lato, che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l'esercizio di attività commerciale in forma ambulante e, dall'altro, che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.05.2009 n. 20249 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Deposito incontrollato ed eterogeneità dei materiali depositati.
Il reato di deposito incontrollato di rifiuti si configura ogniqualvolta si accerti un'attività di stoccaggio e smaltimento di materiali, costituiti anche in parte da rifiuti, abusivamente ammassati su una determinata area rientrante nella disponibilità del reo (la Corte, nell'enunciare tale principio, ha precisato che non v'è alcun obbligo per il giudice di pronunciare assoluzione parziale nel caso in cui parte dei materiali depositati in maniera incontrollata siano esclusi dal novero dei rifiuti) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.03.2009 n. 11802 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti. Reato di deposito incontrollato.
In tema di rifiuti, il reato di deposito incontrollato è integrato anche dalla violazione della normativa regolamentare sulla "messa in riserva" (D.M. 05.02.1998, modificato dal D.M. 05.04.2006, n. 186), attesa l'esigenza di conservare separatamente i rifiuti dalle materie prime e dal prodotto finito (fattispecie di deposito incontrollato di rifiuti plastici, in parte ammassati all'interno di locali ed in parte esposti agli agenti atmosferici, stoccati unitamente a materiale semilavorato ed a prodotti finiti della lavorazione) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.03.2009 n. 9851 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Omessa bonifica dei siti inquinati.
In tema di gestione dei rifiuti, ai fini della configurabilità del reato di omessa bonifica dei siti inquinati (art. 257, D.Lgs. 03.04.2006, n. 152) è necessario il superamento della concentrazione soglia di rischio (CSR) nonché l'adozione del progetto di bonifica previsto dall'art. 242 del citato decreto (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.03.2009 n. 9492 - link a www.lexambiente.it).

dossier SCOMPUTO OO.UU.

EDILIZIA PRIVATA: Lo scomputo, totale o parziale, della quota di contributo dovuta in caso di realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione deve essere effettuata senza distinzione tra opere di urbanizzazione primaria e secondaria, attesa la mancata distinzione in seno all’artt. 11 legge 10/1977.
In punto di diritto, come già precisato da questo Tribunale con la sentenza resa tra le parti n. 1367/2008 nel giudizio avverso il silenzio inadempimento dell’Amministrazione, lo scomputo, totale o parziale, della quota di contributo dovuta in caso di realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione deve essere effettuata senza distinzione tra opere di urbanizzazione primaria e secondaria, attesa la mancata distinzione in seno all’artt. 11 legge 10/1977 (Tar Toscana, III, 11.03.2004 n. 679; TAR Toscana, sez. III, 11.08.2004, n. 3181; TAR Lombardia Milano, sez. III, 04.06.2002 , n. 2275)
Ne consegue che il Comune di Caltanisetta, in forza dell’esplicito riconoscimento delle opere scomputabili operate in sede di convenzione di lottizzazione (Consiglio Stato, sez. V, 01.06.1998, n. 701) per un ammontare di £ 209.193.640, è tenuto a conteggiare tali somme in compensazione con quelle dovute dalla ricorrente a titolo di oneri di urbanizzazione tanto primaria quanto secondaria (TAR Sardegna, sez. II, 17.06.2008, n. 1212), con versamento dell’eventuale eccedenza in favore della Edilfac s.r.l. (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 11.08.2009 n. 1405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: Le zone agricole, quando risultano meritevoli di una particolare tutela sotto il profilo ambientale, possono essere denominate diversamente, come ad esempio «parco rurale» perché non è indispensabile attenersi alle denominazioni contenute nel D.M. 02.04.1968 che ha determinato le zone territoriali da utilizzare negli gli strumenti urbanistici del Comune.
Ben può l’autorità urbanistica specificamente determinare la destinazione delle zone da pianificare, senza strettamente attenersi alle denominazioni contenute nel decreto ministeriale del 02.04.1968 (cfr. Sez. IV, 19.02.2007, n. 860).
Sotto tale profilo, anche le zone agricole, quando risultano meritevoli di una particolare tutela sotto il profilo ambientale, possono essere denominate diversamente (nella specie, come ‘parco rurale’).
Infatti, l’autorità urbanistica può tenere conto delle caratteristiche dei luoghi e prevedere un particolare regime giuridico che contemperi le esigenze di tutela (anche degli edifici rurali preesistenti) con quelle della produzione agricola.
Nella specie, lo studio agronomico -posto a base della contestata delibera consiliare– ha tenuto conto della situazione orografica, idrogeologica, dell’andamento delle colture e dell’agro-sistema complessivo, riguardanti le aree da inserire nella zona destinata a ‘parco rurale’ e, per meglio descrivere tali aree, ha individuato le ‘unità di paesaggio’.
In tal modo, lo studio ha preso in considerazione l’area compresa tra il Fiume Chiese e la zona a sul del basso lago di Garda, al fine di integrare quelle già destinate a ‘zona parco rurale’ nel vigente piano regolatore, e della quale ha rilevato le caratteristiche agricole e le esigenze di salvaguardia ambientale.
Tale determinazione, in quanto suffragata da una articolata istruttoria e da elementi oggettivi, non risulta dunque manifestamente irragionevole (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.07.2009 n. 4308 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Realizzazione di un parcheggio nei pressi di un edificio di culto.
Il parere negativo sulla realizzazione di un parcheggio nei pressi di un edificio di culto non è atto che possa interferire con l’esercizio del culto e che, in quanto tale, necessita quella forma di “concertazione” prevista dalla norma, la cui evidente ratio è quella di contemperare gli interessi religiosi di cui l’autorità ecclesiastica si fa portatrice con quelli culturali la cui tutela è rimessa alle autorità civili.
In nessun modo la mancata realizzazione del parcheggio può impedire o limitare l’accesso dei fedeli alle funzioni religiose e, in generale, essere d’impedimento o di ostacolo al culto (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 01.07.2009 n. 3623 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Destinazione agricola.
La destinazione di un'area a zona agricola non dipende necessariamente dalla relativa vocazione ma può essere sorretta dalla scelta discrezionale, e motivata sul piano generale, di orientare gli insediamenti urbani e produttivi in date direzioni ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale tra zone edificate e non, al fine di impedire addensamenti edilizi che possano risultare pregiudizievoli per le condizioni di vivibilità delle popolazioni insediate (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Certificazione energetica
Non vi è nessuna norma che abilita espressamente i Chimici alla progettazione di impianti d’utenza asserviti agli edifici, così come definiti, questi ultimi, dal D.M. 22.01.2008, n. 37, ovvero: impianti elettrici, di riscaldamento e climatizzazione, radiotelevisivi ed elettronici, idrici e sanitari, gas, sollevamento di persone o cose, posti al servizio degli edifici. Cioè di quegli impianti essenziali ai fini della certificazione energetica.
Per i Chimici non è, pertanto, possibile stabilire la necessaria corrispondenza biunivoca tra abilitazione alla progettazione dei suddetti impianti e abilitazione alla certificazione energetica, cosicché non si rivela illegittima la loro esclusione regionale dal novero dei soggetti certificatori (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 16.06.2009 n. 956 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Istanza di sanatoria e silenzio.
Il silenzio serbato dal Comune sulla domanda di sanatoria ex art. 13, l. 28.02.1985 n. 47, modificato dall'art. 36, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, è qualificabile come silenzio provvedimentale, con contenuto di rigetto, e non come silenzio-inadempimento all'obbligo di provvedere, impugnabile ex art. 2, l. 21.07.2000 n. 205 (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 11.06.2009 n. 3236 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lotti interclusi.
Solo nel caso di lotto intercluso o negli analoghi casi in cui la zona risulti totalmente urbanizzata l’ente locale non può negare il rilascio di una concessione edilizia basandosi sul solo argomento formale della mancanza della strumentazione urbanistica di dettaglio.
Peraltro, sebbene nei casi suddetti non sia necessario lo strumento urbanistico attuativo, non è comunque sufficiente un qualsiasi stadio d’urbanizzazione di fatto, per eludere il principio fondamentale della pianificazione e per eventualmente aumentare i guasti urbanistici già verificatisi, essendo invece doverosa la pianificazione dell’urbanizzazione fino a quando essa conservi una qualche utile funzione anche in aree già compromesse o urbanizzate (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 11.06.2009 n. 3218 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Poteri dell'Ente Parco.
L’Ente parco, in sede di esercizio dei potere autorizzativo che l’ordinamento gli conferisce, assume a parametro di riferimento la tavola di valori ambientali che rende il giudizio di compatibilità di natura estetico-paesaggistico, pertanto sostanzialmente assimilabile a quello di pertinenza dell’Autorità competente in materia ambientale (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 10.06.2009 n. 3188 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Partecipazione al procedimento.
L'art. 26 del decreto Legislativo 24.03.2006, n. 157, che ha sostituito l’art. 159 del decreto Legislativo 22.01.2004, n. 42, ha espressamente confermato la necessità di rendere edotti gli interessati dell’attivazione del iter procedimentale di controllo, prescritto in materia paesaggistica, prevedendo che “l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione dà immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall’interessato nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti. La comunicazione è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio del procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 07.08.1990, n. 241”.
La riforma normativa, testé riprodotta nel suo esatto tenore testuale, assume portata innovativa rispetto alla disciplina anteatta soltanto per il fatto che impone nei riguardi dell’Ente subdelegato il compito di effettuare detto adempimento informativo, in tal modo confermando la necessità di consentire la partecipazione al procedimento instaurato innanzi all’Autorità statale. Quest’ultima, per giunta, deve essere messa in condizioni di verificare che detto onere sia stato regolarmente espletato, atteso che la norma aggiunge che “nella comunicazione alla soprintendenza il Comune attesta di avere eseguito il contestuale invio agli interessati”.
Ad ogni modo, la pretermissione del contraddittorio in sede di procedimento di secondo grado, che conduce all’esercizio del potere tutorio spettante all’Autorità statale sulle autorizzazioni paesaggistiche già rilasciate, non può non inficiare la legittimità del provvedimento emesso, a prescindere dall’Autorità sulla quale specificamente incombe il compito di notiziare tempestivamente l’interessato; né può ipotizzarsi la superfluità del momento dialogico, secondo il principio della dequotazione dei vizi formali sancito dall’art. 21-octies della l. n. 241/1990, e ciò non solo -in astratto- per il carattere discrezionale delle valutazioni di pertinenza dell’organo di controllo in materia paesaggistica, ma anche alla luce delle specifiche ragioni poste a base del provvedimento oggetto di gravame a fronte degli articolati rilievi prodotti in sede di ricorso da parte attorea, tali da indurre a ritenere, in sede prognostica, che, se fossero stati previamente offerti all’attenzione della Soprintendenza, avrebbero potuto condurre a determinazioni di segno contrario (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 10.06.2009 n. 3183 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permanenza dell'illecito edilizio.
L’illecito edilizio ha carattere permanente. Ne consegue che l’illecito permane nel caso di trasferimento dell’immobile (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 10.06.2009 n. 1723 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono in zona vincolata.
E' onere di chi chiede il condono in area vincolata di provare la compatibilità col vincolo e non dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo di provare la non compatibilità dell’abuso. Altrimenti l’anomalia non sarebbe costruire senza autorizzazione in area vincolata ma reprimere gli abusi ivi realizzati (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 10.06.2009 n. 1718 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Valutazione di incidenza.
Il tenore delle disposizioni relative alla disciplina normativa che regola il procedimento di valutazione d’incidenza ambientale, costituita dall’art. 5 del d.p.r. 08.09.1997, n. 357, è univoco nell’ammettere la possibilità che il procedimento di valutazione dell’incidenza si concluda in senso negativo per il proponente, con un’unica eccezione nel caso che “il piano o l'intervento debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale ed economica”: solo in quest’ultima evenienza, che certamente non si ravvisa nel caso in esame, il legislatore prevede che il procedimento debba comunque terminare con l’autorizzazione dell’intervento proposto (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 09.06.2009 n. 921 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono (opere non ultimate a seguito di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali).
In tema di condono edilizio, la disposizione ai sensi della quale possono ottenere la sanatoria anche le opere non ultimate, nei modi e tempi prescritti, per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali, deve essere intesa quale norma di favore relativa anche ai provvedimenti del giudice penale (fattispecie di opera non ultimata per effetto di intervenuto sequestro) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.05.2009 n. 20135 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Acque. Scarico da impianto di depurazione e superamento dei limiti.
Si applicano, alla condotta di superamento dei valori-limite di legge nell'effettuazione di scarico proveniente da impianto di depurazione, le sanzioni di cui all'art. 137, comma quinto, del D.Lgs. n. 152 del 2006 (fattispecie di avvenuto superamento dei valori-limite dell'azoto ammoniacale) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.05.2009 n. 19875 - link a www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGOLavoro straordinario oltre il monte ore annuale. Mancanza della preventiva autorizzazione. Non sussiste il diritto al compenso.
Deve negarsi il compenso per lavoro straordinario (nella fattispecie trattasi di domanda avanzata da militari della Guardia di Finanza) espletato oltre il monte ore annuale, ma non preventivamente autorizzato dall'organo competente, sulla scorta del consolidato orientamento del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1430/2009 - in riforma di Tar Lombardia, sez. I, n. 2047/2006, n. 602/2007, n. 3551/2008), non essendo stata provata l'adozione dell'autorizzazione, alla quale non equivalgono gli ordini di servizio in base ai quali le prestazioni straordinarie sono state richieste, né è intervenuta alcuna, pur eccezionale, autorizzazione a sanatoria, onde gli odierni opposti hanno diritto soltanto al riposo compensativo, ancorché non abbiano presentato a suo tempo domanda al riguardo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 23.04.2009 n. 3529 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIAffidamento del servizio di pulizia, sanificazione, raccolta e trasporto di rifiuti di presidi ospedalieri. Requisiti di partecipazione. Moralità professionale. Dimostrazione della sussistenza. Grava sul singolo partecipante alla gara. Esclusione. Legittima.
E' onere del partecipante alla gara dimostrare alla stazione appaltante il possesso dei requisiti prescritti dalla legge, tra i quali rientra anche l'assenza di condanne in capo ai soggetti indicati nell'art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, ovvero la dimostrazione di aver adottato atti o misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata.
E' pertanto legittima l'esclusione di un'impresa concorrente in caso di mancata dimostrazione dell'idoneità delle misure di dissociazione adottate (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.04.2009 n. 3503 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Contratti della p.a. Requisiti di partecipazione. Moralità professionale. Reati pregressi. Contro uno Stato membro della Comunità Europea. Rilevanza. Esclusione. Legittima.
2. Contratti della p.a. - Gara - Esclusione - Previa comunicazione di avvio del procedimento - Necessità - Esclusa.
3. Contratti della p.a. - Appalto di opere pubbliche - Procedura di affidamento - Esclusione - Comunicazione dell'avvio del procedimento - Insussistenza dell'obbligo.

1. L'espressione «reati contro lo Stato» contenuta nell'inciso normativo di cui all'art. 38, comma 1, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, al fine di individuare i reati ostativi alla partecipazione alle gare di pubblici appalti deve essere interpretata come «reati contro uno Stato membro della Comunità europea», poiché le stazioni appaltanti, per valutare la moralità professionale dell'operatore interessato all'aggiudicazione, devono prendere in considerazione i reati compiuti dal medesimo all'interno di qualsiasi Stato dell'Unione europea.
2. L'esclusione dalla gara di un concorrente non costituisce autonomo procedimento, distinto da quello concorsuale nel quale si inserisce come fase interna della procedura di gara, per cui non necessita di previa comunicazione di avvio del procedimento.
3. Nel caso in cui, nell'ambito di una procedura per l'affidamento di un appalto pubblico, la commissione di gara abbia prima ammesso talune imprese e successivamente le abbia escluse dalla gara, la stazione appaltante non è tenuta alla comunicazione dell'avvio del procedimento, ove l'esclusione intervenga prima dell'aggiudicazione definitiva, atteso che il procedimento di scelta del contraente privato, sebbene articolato in varie fasi, presenta carattere unitario e si conclude soltanto a seguito dell'aggiudicazione definitiva (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.04.2009 n. 3500 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIAffidamento del servizio di trascrizione. Contratti esclusi. Procedura di cottimo fiduciario in economia. Apertura delle buste contenenti le offerte di gara. Seduta pubblica. Necessità.
Con riferimento alle procedure di cottimo fiduciario in economia aventi per oggetto lavori, servizi e forniture -di importo prossimo alla soglia comunitaria- ed esclusi dall'applicazione del Codice dei Contratti, ai sensi dell'art. 27, D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, deve ritenersi comunque sussistente l'obbligo per l'Amministrazione di procedere all'apertura delle buste contenenti le offerte di gara mediante seduta pubblica, nel rispetto dei princìpi di trasparenza e di proporzionalità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.04.2009 n. 3498 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIContratti della p.a. Appalto. Legge sul procedimento amministrativo. Esclusione dal procedimento. Applicabilità dell'art. 7, L. 07.08.1990, n. 241. Solo per nuovi procedimenti correlati.
Nelle procedure d'appalto il "procedimento amministrativo" consiste nella stessa procedura di scelta del contraente, disciplinata dalla normativa settoriale e dalla lex specialis, ed in cui le esigenze partecipative sono particolarmente tutelate mediante un sistema specifico, che garantisce l'incidenza ed il diretto coinvolgimento degli interessati nel sistema di scelta del contraente (TAR Valle d'Aosta, 07.01.2003 n. 1).
Solo l'apertura di nuovi procedimenti ad esso correlati comporta l'applicazione delle norme di cui alla L. 07.08.1990, n. 241 sulla partecipazione, come accade nei casi di autotutela, in cui è peraltro incerto se l'art. 7 debba essere applicato anche nei confronti dell'aggiudicatario provvisorio, o solo rispetto a quello definitivo. L'estraneità delle regole partecipative alle procedure d'appalto è anche confermata dal legislatore con riferimento all'art. 10-bis (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.04.2009 n. 3497 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi edilizi da eseguirsi su beni culturali.
L'esecuzione senza autorizzazione di interventi edilizi su beni culturali integra il reato di cui all'art. 169 del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42 e non quello previsto dall'art. 181 del medesimo decreto, che ricorre in caso di esecuzione di lavori di qualsiasi genere, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, su beni paesaggistici (fattispecie relativa a sequestro preventivo di un immobile privato, dichiarato bene culturale, in cui erano in corso lavori di apposizione di un controsoffitto e di demolizione di una parete interna) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 21.04.2009 n. 16744 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi e decesso del condannato.
In tema di tutela paesaggistica, il decesso del condannato non giustifica la sospensione o la revoca dell'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in quanto tale statuizione, di natura reale, conserva la sua efficacia nei confronti di tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, diventano proprietari del bene su cui esso incide (fattispecie nella quale l'istanza di sospensione/revoca era stata presentata dagli eredi del condannato, estranei al reato) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.04.2009 n. 16687 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione (sospensione o revoca).
L'ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con sentenza irrevocabile, non può essere revocato o sospeso sulla base della mera pendenza di un ricorso in sede giurisdizionale avverso il rigetto della domanda di condono edilizio (in motivazione la Corte ha precisato che non rileva la possibilità dell'eventuale emanazione di atti favorevoli al condannato in tempi lontani o non prevedibili) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.04.2009 n. 16686 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI:  1. ATI di tipo orizzontale - Principio del favor partecipationis - Non derogabilità al principio di possesso di requisiti minimi di partecipazione in capo a tutti i partecipanti all'ATI.
2. Appalto - Interesse a ricorrere - Interesse strumentale all'annullamento di tutti gli atti di gara - Sussiste l'interesse a ricorrere.
3. Mancanza di previsioni espresse nella lex specialis circa l'avvalimento - Ricorso all'avvalimento - Legittimo.
4. Prova dell'avvalimento - Presentazione in sede di gara della dichiarazione di avvalimento (impresa ausiliata) e del formale impegno dell'impresa ausiliaria - Necessità.

1. Il favor partecipationis, pur costituendo un condivisibile principio di carattere generale, non vale tuttavia a sovvertire le regole impositive che prescrivono un livello minimo di capacità per la partecipazione agli appalti. Tale esigenza è particolarmente impellente al cospetto di un raggruppamento temporaneo di tipo orizzontale, nel quale tutti gli operatori coinvolti concorrono all'esecuzione della medesima prestazione oggetto dell'appalto e nel quale, perciò, i requisiti di capacità tecnica ed economica debbono essere posseduti da ciascuna impresa in ATI quanto meno in una misura minima giuridicamente apprezzabile, non essendo sufficiente il possesso (ovvero la prova del possesso) di tali requisiti in capo unicamente ad una sola delle imprese riunite (TAR Campania - Napoli, sez. I, n. 1343/2008).
2. In termini generali, la giurisprudenza amministrativa ha precisato da tempo che un'impresa è titolare di un interesse a ricorrere non solo quando mira ad ottenere l'aggiudicazione della gara cui abbia partecipato, ma anche quando, quale titolare di un interesse strumentale, mira ad ottenere l'annullamento di tutti gli atti, affinché la gara sia ripetuta con l'indizione di un ulteriore bando (Cons. St., Ad. Plen. 11/2008, Cons. St., sez. V, n. 2629/2008, Tar Lombardia-Milano, sez. III, n. 112/2002).
3. Non può essere posta in dubbio la possibilità che l'avvalimento trovi applicazione anche in mancanza di alcuna indicazione (confermativa o restrittiva) espressamente riportata dal bando, avendo le norme comunitarie, in virtù della loro supremazia e portata precettiva, un'efficacia integrativa automatica delle previsioni del bando di gara, anche laddove non vi sia un espresso richiamo, per cui l'assenza di espresse previsioni nella lex specialis di gara non costituisce motivo di impedimento al suo utilizzo, ma al contrario legittima i concorrenti a far uso della facoltà prevista dalla norma nella sua più ampia portata.
4. Anche se il diritto comunitario non richiede, in omaggio al favor partecipationis e alla massima apertura ai mercati, formule sacramentali, non sembra al Collegio che si possa seriamente dubitare della necessità che una dichiarazione di avvalimento sia comunque presentata in sede di gara e che, nella stessa sede, l'impresa avvalente dimostri alla stazione appaltante che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione del formale impegno dell'impresa ausiliaria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 07.04.2009 n. 3227 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sanatoria edilizia.
In tema di reati edilizi ed urbanistici, in caso di presentazione della domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria è consentito al contravventore ricorrere, sotto la propria responsabilità, alla procedura di completamento dell'opera abusiva (art. 35, comma tredicesimo, L. 28.02.1985, n. 47) solo per gli interventi di completamento funzionale dell'opera per la quale è stata presentata la domanda di sanatoria (fattispecie in tema di sequestro preventivo di un immobile demolito e ricostruito) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 25.03.2009 n. 12984 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva. Confisca e soggetto estraneo e possessore di buona fede.
In tema di reati edilizi, la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, attesa la natura sanzionatoria, non può essere disposta nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato che siano possessori di buona fede, non essendo ammissibili criteri di responsabilità oggettiva neppure con riferimento alle sanzioni amministrative (in motivazione la Corte, nell'annullare con rinvio l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca del sequestro preventivo di un manufatto abusivo, ha sottolineato la necessità di tener conto in sede di rinvio anche della sentenza C.e.d.u. del 20.01.2009 nel caso Sud Fondi s.r.l. c/ Italia) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.03.2009 n. 12118 - link a www.lexambiente.it).

APPALTIContratti pubblici. Accordi di sponsorizzazione. Contratti attivi. Non rientrano nell'ambito di applicazione del d.lgs. n. 163/2006.
Gli accordi di sponsorizzazione pur essendo necessariamente diretti al perseguimento di pubblici interessi restano fuori dall'ambito della disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici in quanto non sono qualificabili come "contratti passivi", bensì come "contratti attivi" in quanto comportano un vantaggio economico e patrimoniale direttamente quantificabile da parte dell'amministrazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.03.2009 n. 1894).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Indennità.
L'art. 15 l. 29.06.1939 n. 1497 (ora art. 167 d.lgs. 22.01.2004 n. 42) va interpretato nel senso che l'indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa, e non una forma di risarcimento del danno, e in quanto tale prescinde dalla effettiva sussistenza di un danno ambientale (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.03.2009 n. 1464 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Acque. Reflui da allevamento.
In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 16.01.2008, n. 4, all'art. 101, comma settimo, lett. b) del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, non costituisce più reato la condotta di scarico senza autorizzazione dei reflui provenienti da imprese dedite all'allevamento di bestiame, attesa la loro assimilabilità incondizionata alle acque reflue domestiche (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.03.2009 n. 9488 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI1. Approvazione capitolato tecnico da parte della giunta comunale - Illegittimità - Sussiste.
2. Offerta economicamente più vantaggiosa - Potere della commissione di gara di specificare i sottocriteri e derogare ai parametri valutativi specificati dal bando - Non sussiste.

1. L'approvazione del capitolato tecnico di un appalto da parte della Giunta comunale è illegittima per incompetenza e tale vizio si trasmette su tutti gli atti successivi, parimenti meritevoli di annullamento, che dal primo traggono fondamento. Come stabilito dall'art. 107 commi 2 e 3 del Testo Unico degli Enti Locali e come confermato dalla giurisprudenza, infatti, le determinazioni riguardanti la fase esecutiva dell'affidamento di un pubblico contratto, che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, devono essere adottate dal competente dirigente comunale e non già dalla Giunta.
2. Prima dell'apertura dell'offerta tecnica e della relativa valutazione, alla commissione aggiudicatrice è consentito soltanto fissare criteri motivazionali che, comunque, non possono derogare ai parametri fissati dal bando di gara né possono incidere sui pesi dallo stesso attribuiti; in ossequio al consolidato orientamento della giurisprudenza comunitaria, infatti, alla commissione di gara non è consentito introdurre elementi che, se noti al momento della redazione dell'offerta, avrebbero potuto influenzarne la relativa formulazione (cfr. CGCE, sez. II, n. 331/2004) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.03.2009 n. 1731).

AGGIORNAMENTO AL 24.08.2009

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

APPALTI: G.U. 22.08.2009 n. 194 "Determinazione per il periodo 01.01.2009-31.12.2009, delle misura del tasso di interesse di mora da applicare ai sensi e per gli effetti dell’art. 133 del Codice dei contratti pubblici di lavoro, servizi, forniture, approvato con decreto legislativo 12.04.2006 n. 163" (D.M. 04.08.2009).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 33 del 17.08.2009, "Monitoraggio dei provvedimenti assunti dai Comuni entro il termine del 15.10.2009 in attuazione della l.r. 13/2009" (decreto D.U.O. 04.08.2009 n. 8114 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 33 del 17.08.2009, "Direzione Centrale Programmazione Integrata - Ulteriori indicazioni agli organi collegiali delle Comunità Montane oggetto di fusione ex art. 23, commi 7, 8, 9 della l.r. 27.06.2008 n. 19 per la gestione della fase transitoria" (decreto D.C. 05.08.2009 n. 8148 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 33 del 17.08.2009, "Direzione Centrale Relazioni Esterne, Internazionali e Comunicazione - Contributo straordinario e ordinario annuale ai sensi del regolamento n. 2 del 27.07.2009 «Contributi alle Unioni di Comuni lombarde e alle Comunità Montane e incentivazione alla fusione dei piccoli Comuni, in attuazione dell'art. 20 della legge regionale 27.06.2008, n. 19 (Riordino delle Comunità Montane della Lombardia, disciplina delle Unioni di Comuni lombarde e sostegno all'esercizio associato di funzioni e servizi comunali)» - Modalità di presentazione delle domande" (decreto D.S. 11.08.2009 n. 8391 - link a www.infopoint.it).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 33 del 17.08.2009, "Determinazioni in merito agli interventi in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, nell'ambito della promozione degli interventi di riqualificazione e di arredo degli spazi urbani (art. 7, l.r. 39/84)" (deliberazione G.R. 29.07.2009 n. 9937 - link a www.infopoint.it).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 33 del 17.08.2009, "Determinazioni in merito agli interventi in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale (art. 7, l.r. 39/84)" (deliberazione G.R. 29.07.2009 n. 9936 - link a www.infopoint.it).

NEWS

APPALTI: CODICE DEGLI APPALTI PUBBLICI - D.LGS. 163/2006 - TESTO COORDINATO CON LE MODIFICHE APPORTATE DALLE LEGGI 94 E 102 DEL 2009:
1) MODIFICHE ALLE PROCEDURE DI PRESENTAZIONE E VALUTAZIONE DELLE GIUSTIFICAZIONI A CORREDO DELL’OFFERTA;
2) NUOVA CAUSA DI ESCLUSIONE DAI PUBBLICI APPALTI (link a www.ancebrescia.it).

ENTI LOCALI: Istanza di rimborso con bollo per i canoni depurazione acque. Non hanno natura tributaria ma di corrispettivo per lo svolgimento dell'attività commerciale del Comune.
Le istanze di rimborso dei canoni versati e non dovuti per i servizi di depurazione delle acque sono soggette all'imposta di bollo fin dall'origine, nella misura di 14,62 euro.
In estrema sintesi, è la risposta fornita a un Comune da parte dell'agenzia delle Entrate, contenuta nella risoluzione n. 98/E del 07.04.2009 (link a www.nuovofiscooggi.it).

EDILIZIA PRIVATA: La Tosap versata per ristrutturare rientra nel bonus fiscale del 36%. La detrazione spetta per oneri amministrativi e di autorizzazione anche se il pagamento non avviene con bonifico.
Gli uffici fiscali rispondono all'interpello posto dall'amministratore di un condominio che ha effettuato lavori di restauro di una palazzina residenziale.
Tra le spese sostenute, il legale rappresentante annovera i costi pagati all'impresa che ha eseguito i lavori, la parcella del professionista e il versamento della Tosap relativa agli spazi occupati dai ponteggi (link a www.nuovofiscooggi.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: S. Pallotta, La motivazione dell’ordinanza ingiunzione in relazione alle difese dell’interessato secondo le più recenti indicazioni giurisprudenziali (link a www.simoline.com).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: S. Occhi, Delega ambientale e VAS: una riflessione sull’istruttoria tecnica delineata dagli articoli 15, 16 e 17 del D.lgs. 152/2006 e s.m.i. (link a www.simoline.com).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTIGara d'appalto - Requisiti generali - Dichiarazioni soggetti muniti di poteri di rappresentanza - Individuazione persone fisiche soggette alla dichiarazione - Ricerca nello statuto della persona giuridica - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità con la prospettazione dei fatti rappresentati, attiene alla legittimità della mancata presentazione, a corredo dell’offerta, della dichiarazione ai sensi dell’articolo 38, comma 1, lettera c), da parte del Presidente di una società a responsabilità limitata, che abbia delegato tutti i propri poteri di amministrazione ad altro soggetto e che sia cessato dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara.
La questione presuppone, pertanto, l’individuazione dei soggetti chiamati a dimostrare il possesso dei requisiti morali richiesti dall’articolo 38, comma 1, lettera c), alla stregua del quale sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o delle Comunità che incidono sulla moralità professionale […].”
La citata disposizione, peraltro, precisa che l’esclusione e il divieto operano se le suddette sentenze o il decreto penale di condanna sono stati emessi “nei confronti del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio.”
E’ inoltre previsto che l’esclusione e il divieto operino, altresì, “nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata.”
La disposizione in questione mira a scongiurare il rischio che l’Amministrazione stipuli contratti con operatori economici inaffidabili, ovvero soggetti i cui titolari, amministratori o direttori tecnici in carica o cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, siano persone che non garantiscano la moralità professionale.
E’ per tali ragioni che, come peraltro più volte chiarito dall’Autorità (pareri n. 164 del 21.05.2008, n. 193 del 10.07.2008, n. 5 del 15.01.2009 e n. 35 dell'11.03.2009), tale norma presuppone che le dichiarazioni siano rese dagli stessi soggetti interessati e che pertanto non possa sussistere un relativo onere di conoscenza in capo al legale rappresentante dell’impresa, dal momento che il genere di dichiarazioni richieste costituisce frutto di informazioni su qualità personali e sulle relative vicende professionali e/o individuali dei soggetti muniti del potere di rappresentanza o dei direttori tecnici di cui, non necessariamente, il rappresentante legale può essere a conoscenza, trattandosi di eventi, specie quelli connessi ai procedimenti penali, che esulano da fattori rientranti nell’organizzazione aziendale. Fermo restando che è, invece, riconosciuta al legale rappresentante la possibilità di effettuare una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà nel caso in cui si tratti di soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando e divenuti irreperibili per l’impresa ovvero deceduti (cfr. parere n. 75 del 06.03.2008).
Appare evidente, dunque, come l’intenzione del Legislatore sia quella di definire in modo preciso i soggetti chiamati a dimostrare la sussistenza dei requisiti morali richiesti, stabilendo che, per il caso di società a responsabilità limitata, fattispecie rilevante ai fini del presente parere, siano gli amministratori muniti del potere di rappresentanza in carica e cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara a dover presentare la menzionata dichiarazione.
Ai fini dell’individuazione del criterio interpretativo da seguire per individuare specificamente la persona fisica rispetto alla quale, nell’ambito del rapporto societario, assume rilievo la causa di esclusione e, dunque, il soggetto tenuto alla dichiarazione sostitutiva richiesta, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5913 del 28.11.2008, sentenza n. 36 del 15.01.2008 e sentenza n. 4856 del 20.09.2005) e la prassi dell’Autorità (si vedano i già citati pareri n. 164 del 21.05.2008, n. 193 del 10.07.2008, n. 5 del 15.01.2009 e n. 35 dell'11.03.2009) hanno individuato tale criterio nella necessità di ricercare nello statuto della persona giuridica quali siano i soggetti dotati del potere di rappresentanza.
Ciò in quanto, indipendentemente dalla titolarità dei poteri di gestione societaria, i soggetti titolari del potere di rappresentanza della persona giuridica sono comunque in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell’ordinamento nei riguardi della loro personale condotta al soggetto rappresentato.
Al fine di applicare tale criterio interpretativo al caso di specie, occorre analizzare la documentazione societaria dell’Istituto di Vigilanza, dalla quale si evince che l’articolo 18 della Statuto, come modificato a seguito di delibera dell’assemblea straordinaria del 21.11.2005, dispone “Rappresentanza della società – La rappresentanza della società, anche in giudizio, compete all’amministratore unico od al presidente del consiglio di amministrazione, senza limitazioni, od al vice presidente (se nominato) in caso di assenza o impedimento del presidente, ed ai membri del Consiglio di amministrazione forniti di poteri delegati, nei limiti della delega.”
La disposizione statutaria intende dunque sancire in capo al Presidente del Consiglio di Amministrazione la titolarità della rappresentanza della società, come peraltro evidenziato anche nel menzionato verbale dell’assemblea straordinaria del 21.11.2005, in cui, nell’enunciare i soggetti presenti all’assemblea, si legge, con riferimento al Sig. Barone, “nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione e, pertanto, legale rappresentante della società.”
A nulla rileverebbe pertanto, in ossequio al menzionato criterio, il fatto che il Presidente del Consiglio di Amministrazione si sia spogliato dei poteri di amministrazione, avendo invece mantenuto il potere di rappresentanza della società.
Ne consegue che il sig. Barone, Presidente del Consiglio di Amministrazione fino al 24 ottobre 2006, sebbene privo dei poteri per l’amministrazione ordinaria e straordinaria della società, conferiti al sig. Mattaliano, come da verbale del Consiglio di Amministrazione del 22.10.2004, nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara (11.09.2008) deteneva il potere di rappresentanza ed era, pertanto, tenuto ad effettuare la dichiarazione di cui al punto 11.b.5 del bando di gara, al fine di accertare l’insussistenza delle condizioni di cui all’articolo 38, comma 1, lettera c).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il provvedimento di riammissione alla procedura di gara adottato dal Comune di Palermo nei confronti dell’Istituto di Vigilanza Security Service S.r.l. non è conforme alla normativa in materia di contratti pubblici (parere 09.07.2009 n. 77 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Gara d'appalto - Modalità di presentazione delle offerte - Sigillatura e controfirma sui lembi di chiusura - Ambiguità prescrizioni lex specialis - Principio favor partecipationis - Applicazione - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
L’art. 8 “Presentazione dell’offerta – documentazione” del Capitolato speciale della gara in esame prevede quanto segue: “Il plico contenente tutta la documentazione dovrà essere sigillato e siglato sui lembi di chiusura (…) Avvertenza: Si precisa che per sigillo deve intendersi qualsiasi impronta o segno (sia impronta espressa su materiale plastico come ceralacca o piombo, sia su una striscia incollata con timbri o firme) atto ad assicurare la chiusura e, nello stesso tempo, confermare l’autenticità della chiusura originaria proveniente dal mittente, al fine di evitare manomissioni di sorta”. Successivamente relativamente alla sola busta C Offerta economica, l’art. 8 prevede che “l’offerta deve essere inserita, a pena di esclusione, in apposita busta debitamente chiusa e sigillata con ceralacca, con apposizione di timbro dell’impresa e controfirmata su tutti i lembi di chiusura al fine di assicurarne la segretezza”. Risulta evidente come l’Avvertenza sembra riferirsi a tutti gli adempimenti formali contenuti nell’articolo 8 e che fosse stata inserita dalla Stazione appaltante al fine di fornire un canone interpretativo di tutte le previsioni relative alle modalità di chiusura delle buste. Pertanto, la successiva disposizione relativa alla sola busta economica che impone l’apposizione di sigilli con ceralacca viene a creare indubbiamente una incertezza interpretativa e la possibilità per i partecipanti di incorrere facilmente in errori nella preparazione dell’offerta.
Questa Autorità in più occasioni ha evidenziato come la Commissione di gara, quando si trovi innanzi ad incertezze interpretative, dovrà privilegiare la regola del favor partecipationis sempre nel rispetto dei principi di certezza del diritto, di par condicio dei concorrenti e di trasparenza amministrativa. Per cui, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, va preclusa alla stazione appaltante e alla Commissione di gara qualsiasi esegesi del testo di gara, se essa non si basi su un procedimento ermeneutico, che conduca all’integrazione delle regole di gara, palesando significati del bando non chiaramente desumibili dalla lettura della sua originaria formulazione (per tutti si veda il parere 31.07.2008 n. 208).
Inoltre deve farsi presente che è orientamento unanime del giudice amministrativo quello per cui, laddove le garanzie essenziali sulla segretezza del plico siano comunque assicurate, trovi applicazione il c.d. criterio teleologico, secondo cui nelle gare per l’aggiudicazione dei pubblici contratti le prescrizioni sulle formalità di presentazione delle offerte rilevano, ai fini dell’esclusione dalla gara medesima, quando rispondono ad un particolare interesse dell’amministrazione e sono tese a garantire la parità dei concorrenti. La chiusura e la controfirma sui lembi di chiusura sembrano assolvere pienamente alla funzione di garantire la segretezza, l’identità e l’immodificabilità della documentazione e dell’offerta. Nel caso di specie, la sigillatura prevista nella quale era presente una striscia incollata sulla quale erano apposti timbri e firme sembra essere un sistema idoneo a garantire la integrità e l’immodificabilità del contenuto del plico e, pertanto, è idoneo a garantire la segretezza dell’offerta nel rispetto del principio della par condicio. Di conseguenza, anche in considerazione dell’ambiguità presente nella documentazione di gara, come emerge dalle sopra citate disposizioni, la Commissione di gara ha agito correttamente dando priorità al principio del favor partecipationis.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’ammissione al prosieguo delle fasi di gara dell’A.T.I. Ingegneria Biomedica Santa Lucia e Sinteco S.p.A. sia conforme ai principi in materia di contratti pubblici (parere 09.07.2009 n. 76 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: 1. Gara d'appalto - Requisiti generali - Lex specialis - Obbligo di rendere dichiarazione comprensiva reati estinti e depenalizzati o condanne con beneficio non menzione - Legittimità - Omissione dichiarazione condanne riportate dai soggetti interessati - Esclusione dalla gara - Legittimità.
2. Gara d'appalto - Requisiti generali - Verifica - False dichiarazioni - Escussione cauzione provvisoria ex art. 48 dlgs. 163/2006 - Inapplicabilità - Ragioni.

Ritenuto in diritto:
La fattispecie prospettata dal Comune di Altavilla Vicentina nel presente procedimento coinvolge diversi profili, che devono essere distintamente individuati ed analiticamente esaminati.
La prima questione giuridica sottoposta all’attenzione di questa Autorità con la descrizione dei fatti rappresentati in narrativa consiste nello stabilire se, nel caso di specie, l’impresa R.S. Costruzioni Generali s.r.l. era tenuta a dichiarare, a carico del Rappresentante legale e del Direttore tecnico cessato dalla carica nel triennio antecedente la data del bando, i soli reati non estinti e non depenalizzati o se, invece, sul punto la peculiare disciplina di gara consentiva alla stazione appaltante un campo di valutazione più ampio, nel senso che era autorizzata anche la valutazione dei reati estinti e depenalizzati.
Al riguardo occorre muovere dalla constatazione che nel punto a10. dell’apposito modulo di istanza di ammissione alla gara (Allegato 2) era prescritto, in conformità a quanto previsto dal Disciplinare di gara (Allegato 1), che il concorrente dovesse dichiarare che “nei confronti delle persone fisiche sopraindicate (…) non ricorrono le condizioni di cui al comma 1, lett. c) dell’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i.”, inoltre “che il soggetto (persone fisiche sopraindicate) ha subito le seguenti condanne”; ed altresì “che il soggetto (persone fisiche sopraindicate) ha subito le seguenti condanne per le quali ha beneficiato della non menzione”.
Dal tenore letterale della suddetta formula dichiarativa si evince chiaramente che la stazione appaltante non si era limitata a chiedere ai partecipanti alla gara una mera dichiarazione di insussistenza delle specifiche condizioni previste dalla fattispecie legale espressamente richiamata, ossia dal comma 1, lett. c) dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006.
Se così fosse, infatti, sarebbe legittimo, da parte dell’impresa esclusa, invocare il disposto di cui alla parte finale di detta lett. c), che recita “resta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 178 del codice penale e dell’art. 445, comma 2, del codice di procedura penale”, ed evidenziare al riguardo che, una volta pronunciata dal giudice di sorveglianza la riabilitazione del condannato, di cui all’art. 178 c.p. (derivandone l’estinzione del reato e delle pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna) ovvero riconosciuto dal tribunale estinto il reato per il decorso del termine di cinque anni o due anni (a seconda che si tratti di delitto o contravvenzione), ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p., resta preclusa alla stazione appaltante la possibilità di valutare negativamente, ai fini dell’ammissione alla specifica gara, i fatti di cui alla inflitta sentenza di condanna, facendo discendere da ciò l’insussistenza dell’obbligo di dichiarare le condanne coperte da provvedimenti di estinzione ai fini della dimostrazione del requisito della moralità professionale previsto dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 (Cons. Stato, Sez. V, 31.10.2008, n. 5461).
Peraltro, tale argomentazione non consentirebbe comunque di ritenere la depenalizzazione istituto sostanzialmente analogo, a tal fine, a quello dell’estinzione del reato (in tal senso, da ultimo TAR Lazio, Roma, Sez. III-quater, 25.03.2009, n. 3215), atteso che le disposizioni, come quella contenuta nella parte finale della lett. c) dell’art. 38, sopra citata, che derogano al principio generale di dichiarare le condanne penali subite, sono, invero, di stretta interpretazione, per cui non è concepibile una norma derogatoria che venga ricavata in via di interpretazione estensiva o analogica (Cons. Stato, sez. V, 17.02.2004, n. 596).
La stazione appaltante, invece, come ben poteva in ragione della preminente tutela dell’interesse pubblico alla selezione di un concorrente moralmente e professionalmente affidabile, aveva scelto di chiedere ai partecipanti una dichiarazione sostitutiva, resa dagli stessi sotto la loro responsabilità, molto più ampia, che onerava i medesimi ad una dettagliata elencazione di tutte le condanne subite, senza eccezione alcuna, con l’ulteriore specificazione delle condanne contenenti il beneficio della non menzione.
Ne discende che, in tale ambito disciplinare, i partecipanti alla gara erano obbligati a rendere una dichiarazione veritiera, attestando tutti i reati commessi dai soggetti tenuti alla dichiarazione medesima, compresi gli eventuali reati già estinti o depenalizzati (in tal senso vedi Cons. Stato, Sez. IV, 01.10.2007, n. 5053).
Conseguentemente, avendo la R.S. Costruzioni Generali s.r.l. omesso di dichiarare due condanne penali, risultanti dal Casellario Giudiziale, a carico del Rappresentante legale e del Direttore tecnico cessato dalla carica nel triennio antecedente la data del bando, ancorché per reati estinti e depenalizzati, correttamente il Comune di Altavilla Vicentina ha ritenuto sussistente una falsa dichiarazione sulle condizioni rilevanti per l’ammissione all’appalto ed ha provveduto ad escludere l’impresa medesima dalla procedura in oggetto, prescindendo dalla valutazione in ordine all’idoneità della condanna riportata ad incidere sulla moralità professionale dell’impresa stessa, e procedendo, altresì, ad effettuare la relativa comunicazione a questa Autorità, ai fini dell’inserimento dell’impresa medesima nel Casellario Informatico per dichiarazione mendace, ex art. 27 del D.P.R. 25.01.2000, n. 34.
Per quanto riguarda, invece, il diverso profilo dell’incameramento, da parte della stazione appaltante, della fidejussione provvisoria presentata dalla R.S. Costruzioni Generali s.r.l., si evidenzia che, come già chiarito da questa Autorità, in caso di false dichiarazioni concernenti i requisiti di ordine generale, trattandosi di requisiti di natura diversa da quelli di carattere speciale, non sono da ritenersi applicabili le specifiche sanzioni di cui all’art. 48 del D.Lgs. n. 163/2006, tra cui l’escussione della cauzione provvisoria. Osta a tal fine la natura sanzionatoria della norma contenuta nell’articolo 48 del D.Lgs. n. 163/2006, per cui, in ossequio al principio di legalità e al divieto di estensione analogica delle disposizioni di tale tipologia, la stessa deve ritenersi norma di stretta interpretazione e , quindi, non estendibile ad altre ipotesi (v. parere dell’Autorità n. 29 del 26.02.2009).
Infine, in ordine all’impresa Polo s.r.l., in favore della quale è stata disposta l’aggiudicazione provvisoria, alla luce delle argomentazioni giuridiche sopra sostenute si rileva che, avendo l’impresa di cui trattasi omesso di dichiarare un decreto penale di condanna a carico del Rappresentante legale e Direttore tecnico della stessa, divenuto esecutivo nel 2004, sussistono le condizioni per qualificare come non veritiera anche la dichiarazione resa da tale impresa concorrente nel punto a10. dell’apposito modulo di istanza di ammissione alla gara (Allegato 2). Per ciò stesso, quindi, l’impresa Polo s.r.l. deve subire, previo annullamento d’ufficio del provvedimento di aggiudicazione provvisoria, le stesse sanzioni comminate a carico della R.S. Costruzioni Generali s.r.l., alle quali, peraltro, deve essere aggiunta anche l’escussione della cauzione provvisoria, che, in tal caso, trova il suo fondamento giuridico nella specifica disposizione di cui all’art. 75, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006, atteso che la predetta garanzia copre “la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario”.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il Comune di Altavilla Vicentina:
- a fronte della falsa dichiarazione resa dalla R.S. Costruzioni Generali s.r.l. relativamente al possesso di requisiti di ordine generale, abbia correttamente proceduto all’esclusione dell’impresa concorrente dalla gara e alla relativa comunicazione a questa Autorità, ai fini dell’inserimento dell’impresa stessa nel Casellario Informatico per dichiarazione mendace, ex art. 27 del D.P.R. 25.01.2000, n. 34, ma che non possa, invece, applicare all’impresa medesima la sanzione dell’escussione della cauzione provvisoria, prevista dall’art. 48 del D.Lgs. n. 163/2006 per la mancata comprova dei requisiti di carattere speciale;
- a fronte della falsa dichiarazione resa dall’impresa provvisoria aggiudicataria Polo s.r.l relativamente al possesso di requisiti di ordine generale, debba applicare le stesse sanzioni comminate alla R.S. Costruzioni Generali s.r.l., alle quali deve essere aggiunta anche l’escussione della cauzione provvisoria, ai sensi dell’art. 75, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006
(parere 09.07.2009 n. 75 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: 1. Gara d'appalto - Commissioni di gara - Riesame procedimento di sua competenza già espletato - Riesame illegittima ammissione alla gara - Ammissibilità.
2. Gara d'appalto - Partecipazione di rti - Mancata indicazione parti del servizio eseguite dai singoli operatori economici - Rilevanza solo nel caso di ati verticali.

Ritenuto in diritto:
La questione giuridica sottoposta all’attenzione di questa Autorità con la prospettazione dei fatti rappresentati consiste nello stabilire se ed in quali limiti è ammissibile il riesame da parte della Commissione di gara della fase del procedimento di sua competenza già espletato.
Al riguardo è opportuno, preliminarmente, precisare che la Commissione di gara è un organo straordinario e temporaneo dell’amministrazione aggiudicatrice (Cons. Stato, Sez. IV, 04.02.2003, n. 560), la cui attività acquisisce rilevanza esterna solo in quanto recepita e approvata dagli organi competenti della predetta amministrazione. Infatti, essa svolge compiti di natura essenzialmente tecnica, con funzione preparatoria e servente rispetto all’amministrazione appaltante, essendo investita della specifica funzione di esame e valutazione delle offerte formulate dai concorrenti, finalizzata all’individuazione del miglior contraente possibile, attività che si concreta nella c.d. aggiudicazione provvisoria. Come è intuitivo, pertanto, la funzione di detta Commissione si esaurisce soltanto con l’approvazione del proprio operato da parte degli organi competenti dell’amministrazione appaltante e, cioè, con il provvedimento di c.d. aggiudicazione definitiva.
In considerazione di quanto sopra, un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che la Commissione di gara sia titolare di un potere di autotutela decisoria, sostenendo che la stessa possa riesaminare il procedimento di gara già espletato, riaprendolo per emendarlo da errori commessi e da illegittimità verificatesi, “anche in relazione all’eventuale illegittima ammissione o esclusione dalla gara di un’impresa concorrente”, (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 05.10.2005, n. 5360), che costituisce propriamente il profilo che è venuto in rilievo nel caso di specie, e senza che ciò possa configurare un autonomo procedimento cui ricollegare l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento (in tal senso, Cons. Stato, Sez. V, 01.12.2003, n. 7833), essendo unitario, ancorché articolato in varie fase, il procedimento per la scelta del contraente da parte della stazione appaltante che si conclude con l’aggiudicazione definitiva (tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 02.04.2001, n. 1909).
Al riguardo è altresì opportuno evidenziare che, sebbene la Commissione di gara, in sede di revisione, possa riesaminare, annullare e/o rettificare gli atti già posti in essere, nell’esercizio del potere di autotutela, fino a quando l’amministrazione non proceda all’approvazione degli atti di gara, tuttavia tale attività di riesame deve comunque avvenire, a buste aperte e quindi ad offerte conosciute, solo per l’attività valutativa vincolata a parametri oggettivi e predeterminati dal bando, senza alcun esercizio di discrezionalità tecnica (Cons. Stato, Sez. VI, 24.02.2005, n. 683), come ha dichiarato di aver fatto nel caso di specie la stazione appaltante, la quale ha affermato di essersi limitata a ricalcolare i soli punteggi delle offerte relativi alle voci “tempo di consegna” degli elaborati e “offerta economica”, trattandosi di una mera formula matematica.
Tale potere di riesame costituisce concreta attuazione dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento, consacrati dall’art. 97 Cost., che devono informare qualsiasi attività della Pubblica Amministrazione e che impongono, conseguentemente, l’adozione di atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire e che, con riguardo all’attività della Commissione di gara, si configura proprio come autotutela.
Quanto al principio di continuità e concentrazione della gara, invocato dall’impresa istante, che pure costituisce esplicazione dei più generali principi di buon andamento, imparzialità, trasparenza e correttezza dell’operato dell’amministrazione ed è finalizzato a garantire che le operazioni di gara si svolgano in modo imparziale, nel rispetto della par condicio dei concorrenti, si evidenzia che il principio in questione può in concreto subire eccezioni in quelle particolari situazioni che obiettivamente impediscono la conclusione delle operazioni di gara in una sola seduta, tra le quali può certamente annoverarsi anche quella che legittima la rinnovazione del procedimento, tanto più quando tale rinnovazione è finalizzata all’eliminazione, in via di autotutela, di vizi di legittimità del precedente operato.
Nessun rilievo, pertanto, può sollevarsi nel caso di specie in merito al riesame condotto, nelle more del provvedimento di aggiudicazione definitiva, dalla Commissione di gara sul procedimento già espletato, per emendarlo da errori commessi in relazione alla illegittima ammissione alla gara di un concorrente.
Per quanto riguarda, invece, il merito dell’esclusione dell’istante con la motivazione che “L’offerta non contiene gli elementi di cui all’art. 37 del D.Lgs. n. 163/2006. In particolare non sono specificate le parti/quote del servizio che saranno eseguite dai singoli operatori economici”, si deve rilevare, innanzitutto, che l’art. 37, comma 4 del D.Lgs. n. 163/2006 dispone che i raggruppamenti temporanei di imprese e i consorzi, qualora partecipino a gara d’appalto di servizi e forniture, devono specificare in sede di offerta “le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati”, e che tale prescrizione, secondo un recente orientamento giurisprudenziale, discendendo direttamente dalla fonte primaria, non deve necessariamente essere ripetuta nel bando di gara (Cons. Stato, Sez. V, 28.09.2007, n. 5005).
Al tempo stesso, tuttavia, occorre segnalare l’orientamento che si è affermato in relazione ai previgenti artt. 11, D.Lgs. 17.03.1995, n. 157 e 10 D.Lgs. 24.07.1992, n. 358, che contenevano prescrizioni analoghe al citato l’art. 37, comma 4 del D.Lgs. n. 163/2006, circa la corretta interpretazione da attribuire a disposizioni di siffatto tenore letterale.
In particolare, muovendo dal rilievo che il legislatore parla propriamente di “parti” della prestazione e non di quote, la giurisprudenza ha escluso che sussista un obbligo di specificare la ripartizione quantitativa di un “unico” servizio tra le imprese raggruppate. Di conseguenza si è dedotto che la disposizione di cui trattasi è applicabile alla sola ipotesi di raggruppamenti “verticali” o “misti”, vale a dire con scorporo di singole parti per le quali rispondono in solido solo l’impresa esecutrice e quella mandataria, rendendosi in tal caso necessario specificare i diversi servizi destinati a essere svolti da ciascuna impresa. Viceversa, la suddetta disposizione non trova margini di applicazione nel caso di riunioni “orizzontali”, laddove tutti gli operatori economici eseguono il tutto, e quindi il medesimo tipo di prestazione, e tutte le imprese sono responsabili dell’intero in solido (Cons. Stato, Sez. V, 26.11.2008, n. 5849; Cons. Stato, Sez. V, 28.03.2007, n. 1440; Tar Lazio, Roma, Sez. III-ter 25.08.2006, n. 7524; parere dell’Autorità n. 28 del 26.02.2009).
Stante la carenza in atti di documentazione idonea a stabilire la natura, orizzontale, verticale o mista del costituendo raggruppamento con il quale l’istante GEOSYSTEM s.a.s. ha partecipato alla gara in oggetto, si può concludere nel senso che l’esclusione disposta dal Comune di Fiumicino può ritenersi legittima solo laddove il raggruppamento in questione sia di tipo verticale o misto.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che:
- nelle more del provvedimento di aggiudicazione definitiva, è ammissibile il riesame da parte della Commissione di gara del procedimento di sua competenza già espletato, per emendarlo da errori commessi anche in relazione alla illegittima ammissione alla gara di un concorrente ;
- in assenza di una specifica disposizione nella lex specialis, l’esclusione dalla gara del RTI concorrente per mancata specificazione nell’offerta delle parti del servizio che saranno eseguite dai singoli operatori economici è legittima solo laddove il raggruppamento in questione sia di tipo verticale o misto
(parere 09.07.2009 n. 74 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Gara d'appalto - Cauzione provvisoria - Finalità - Individuazione - Cauzione definitiva - Finalità - Individuazione - Impegno a rilasciare cauzione definitiva - Omissione - Esclusione dalla gara - Va disposta.
Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità con la prospettazione dei fatti rappresentati, attiene alla conformità alle prescrizioni della lex specialis di una cauzione provvisoria prodotta in sede di gara.
L’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006, in relazione alla cauzione provvisoria, che ha la funzione di coprire la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, stabilisce al comma 1, che l’offerta sia corredata da una garanzia pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione a scelta dell’offerente.
Il successivo comma 5 del medesimo articolo prevede che la garanzia debba avere una validità per almeno centottanta giorni dalla data di presentazione dell’offerta, salvo diversa disposizione indicata nel bando o nella lettera d’invito.
Inoltre, al comma 8 dello stesso articolo 75 è sancito che l’offerta sia corredata, a pena di esclusione, dall’impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia fideiussoria per l’esecuzione del contratto di cui all’articolo 113, qualora l’offerente risultasse aggiudicatario.
Tale ultima previsione è espressione di uno specifico interesse pubblico al corretto svolgimento della gara ed all’assicurazione dei migliori risultati possibili in termini di efficienza dell’azione amministrativa, al fine di scongiurare il rischio che, nel prosieguo della procedura, il soggetto che ha rilasciato la fideiussione provvisoria ad un’impresa offerente, nell’ipotesi in cui essa risulti affidataria dell’appalto, possa rifiutarsi di prestare anche la cauzione definitiva, con la conseguente interruzione della procedura.
E’ per tali ragioni che il consolidato orientamento assunto sia dalla giurisprudenza amministrativa sia dall’Autorità consente di escludere un’offerta non corredata dell’impegno di cui all’articolo 75, comma 8 (in tal senso, TAR Lazio, Roma, sez. III, sentenza n. 106 del 12.01.2009 e sentenza n. 6366 del 02.07.2008; AVCP, parere n. 186 del 12.06.2008).
Al riguardo è stato anche precisato che la cauzione provvisoria e la cauzione definitiva assolvono a due funzioni diverse e comunque indispensabili a garantire il corretto svolgersi della procedura concorsuale e che, pertanto, la fase dell’impegno a promettere la prestazione della cauzione definitiva, che deve essere contestuale alla prestazione della cauzione provvisora (al momento della presentazione dell’offerta), va distinta dall’effettivo impegno alla cauzione definitiva che, anche nell’importo, deve essere definita solo dopo l’aggiudicazione ed è esclusivamente finalizzata a garantire il pubblico interesse che tale definitivo impegno sia poi effettivamente sottoscritto.
Nel caso di specie, il bando di gara, in conformità all’articolo 75, prevedeva (articolo 13, punto e) lettera c)) l’obbligo di corredare l’offerta dell’impegno del fideiussore a “rilasciare in caso di aggiudicazione dell’appalto, una fideiussione o polizza relativa alla cauzione definitiva, di cui all’articolo 75, comma 8, del D.Lgs. n. 163/2006, in favore della Stazione Appaltante valida fino a dodici mesi dalla data di ultimazione della fornitura ed allestimento risultante dal relativo certificato (articolo 101 del D.P.R. n. 554/1999).” Disponendo altesì: “I contratti fideiussori ed assicurativi debbono essere conformi agli schemi di polizza tipo di cui al comma 1 del D.M. 12 marzo 2004 n. 123. […] Non saranno accettate le fideiussioni bancarie o le polizze assicurative che non contemplino le condizioni suddette.”
Dall’analisi della documentazione pervenuta si evince che la polizza fideiussoria presentata dalla concorrente società Fratelli Schiavone S.p.A. contiene un’apposita appendice in cui viene precisato: “La presente polizza viene presentata in conformità a quanto previsto dall’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006. I richiami contenuti nello schema tipo 1.1. di cui al D.M. 123 del 12.03.2004 devono intendersi fatti con riferimento ai corrispondenti articoli del D.Lgs. n. 163/2006 che hanno sostituito e abrogato la legge n. 109/1994. Qualora il contraente risultasse aggiudicatario dell’appalto, la presente polizza deve intendersi automaticamente svincolata al momento della sottoscrizione del contratto di appalto. In tale ipotesi il garante si impegna sin da ora nei confronti del contraente a rilasciare la garanzia fideiussoria per la cauzione definitiva prevista dall’articolo 113 del Decreto Legislativo. […]
Dunque, l’appendice alla polizza prodotta, in ossequio a quanto precisato dall’Autorità nel parere n. 106 del 09.04.2008, non si limita esclusivamente a rinviare allo schema tipo 1.1 del D.M. 12.03.2004 (relativo alla garanzia fideiussoria per la cauzione provvisoria), che peraltro non contiene alcun riferimento all’impegno del fideiussore a rilasciare una polizza fideiussoria relativa alla cauzione definitiva, ma contiene specificamente il menzionato impegno da parte del fideiussore ai sensi dell’articolo 75, comma 8, del D.Lgs. n. 163/2006; tuttavia, la precisazione operata dalla Compagnia Assicurativa è sprovvista della necessaria indicazione della durata di validità della cauzione medesima, ovvero, come richiesto dal bando “valida fino a dodici mesi dalla data di ultimazione della fornitura ed allestimento risultante dal relativo certificato”.
Né può colmare tale lacuna il rinvio contenuto nella polizza allo schema tipo 1.1 del D.M. 12.03.2004, dal momento che il medesimo non include alcun riferimento alla durata della cauzione definitiva, contenuto invece nello schema tipo 1.2 del D.M. n. 123/2004.
Ne consegue che, considerata la specifica ratio sottesa all’impegno di cui all’articolo 75, comma 8, nonché il particolare interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione nel richiedere una determinata durata di validità della cauzione definitiva, la Stazione Appaltante non avrebbe potuto ammettere alle successive fasi della procedura un’offerta priva delle condizioni richieste dal bando di gara, a pena di esclusione.
Diversamente opinando, la Stazione Appaltante sarebbe, peraltro, incorsa nella violazione sia del principio di par condicio, a danno di quei concorrenti che, invece, avevano provveduto a corredare l’offerta di tutte le condizioni prescritte dal bando, sia del principio dell’autovincolo, trattandosi di una prescrizione specificamente indicata nel bando di gara, come condizione di ammissibilità dell’offerta.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il provvedimento di esclusione della Società Fratelli Schiavone S.p.A. adottato dal Comune di Rodi Milici è conforme alla normativa in materia di contratti pubblici (parere 09.07.2009 n. 73 - link a massimario.avlp.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di demolizione di manufatti abusivi, e ancor prima quello di accertamento della non sanabilità dell’opera, sono entrambi atti dovuti e, come tali, non necessitano di motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell’abuso.
La comunicazione di avvio del procedimento non deve essere effettuata tutte le volte in cui l’Amministrazione eserciti un’attività di tipo vincolato, per di più connotata dall’urgenza, come nel caso delle sanzioni edilizie.

Il provvedimento di demolizione di manufatti abusivi, e ancor prima quello di accertamento della non sanabilità dell’opera, sono entrambi atti dovuti (fra le tante, C.d.S., VI, 28.06.2004, n. 4743) e come tali non necessitano di motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell’abuso. Detto interesse è da ritenersi infatti in re ipsa, nella stessa rimozione, rispondendo questa alla esigenza di ripristino dell’assetto urbanistico violato.
Anche questa Sezione ha avuto modo di precisare più volte che l'Amministrazione non dispone -a fronte degli illeciti edilizi- di alcun margine di discrezionalità e ha quindi l'obbligo di intervenire con un atto repressivo, dovuto nell'an e vincolato nel suo contenuto, senza che su di esso possa influire alcuna comparazione tra interessi pubblici ed interessi privati (fra tante, TAR Campania-Napoli, sez. IV, 13.05.2008, n. 4256).
Si deve rilevare, con la consolidata giurisprudenza, che la comunicazione di avvio del procedimento non deve essere effettuata tutte le volte in cui l’Amministrazione eserciti un’attività di tipo vincolato, per di più connotata dall’urgenza, come nel caso delle sanzioni edilizie.
Invero, gli atti di repressione degli abusi edilizi hanno natura urgente e strettamente vincolata (essendo dovuti in assenza di titolo per l'avvenuta trasformazione del territorio), con la conseguenza che, non essendo richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario, non devono essere preceduti da alcuna comunicazione di avvio del relativo procedimento (TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.08.2008, n. 9710); pertanto, l'assenza della comunicazione dell'avvio del relativo procedimento risulta irrilevante, anche alla luce di quanto disposto nell'art. 21-octies della l. 07.08.1990 n. 241, introdotto dall'art. 14 della l. 11.02.2005 n. 15, il quale esclude possa annullato il provvedimento qualora sia palese che il suo contenuto dispositivo non può essere diverso da quello in concreto adottato (Consiglio Stato, sez. VI, 06.06.2008, n. 2733)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 05.08.2009 n. 4732 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile.
Per costante giurisprudenza (anche di questo TAR: cfr. ad esempio TAR Campania Napoli, sez. IV, 08.06.2007, n. 6038; TAR Campania Napoli, sez. IV, 06.07.2007, n. 6551; TAR Campania Napoli, sez. VI, 03.08.2007, n. 7258; TAR Campania Napoli, sez. IV, 13.05.2008, n. 4255; TAR Campania Napoli, sez. IV, 17.02.2009, n. 847), da cui il Collegio non ravvisa motivi di discostarsi nel caso di specie, gli interventi edilizi che determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzati, quali le verande in vetro e alluminio edificate sulla balconata di un appartamento, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accedono, sono soggetti al preventivo rilascio di apposita concessione edilizia (ora, permesso di costruire).
Ciò in quanto, in materia edilizia, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile (Cassazione penale, sez. III, 10.01.2008, n. 14329)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 05.08.2009 n. 4732 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl criterio di distinzione di un'opera precaria o meno è non già strutturale bensì funzionale: "... sono precari i manufatti che risultano destinati a soddisfare esigenze di carattere contingente e ad essere quindi eliminati”.
Le disposizioni del T.U. dell’edilizia (d.P.R. n. 380/2001), elencando tassativamente le ipotesi di interventi che non richiedono titolo edilizio alcuno, ha definitivamente sancito, richiamandosi all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, che il criterio di distinzione di un'opera precaria o meno è (non già strutturale) bensì funzionale: "... sono precari i manufatti che risultano destinati a soddisfare esigenze di carattere contingente e ad essere quindi eliminati”.
Sicché è soggetto a concessione edilizia (o permesso di costruire) il manufatto che, pur se non infisso al suolo, ma solo aderente in modo stabile ad esso, è destinato ad un uso perdurante nel tempo.
Infatti, produce una trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, anche in relazione alla sua qualificazione giuridica, a nulla rilevando l’eventuale precarietà strutturale del manufatto, se non si traduca in un uso per fini contingenti e specifici (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 31.05.2001 n. 343).
Le roulottes, sono state posizionate dal ricorrente in area assoggettata a vincolo paesaggistico ai sensi della L. n. 1497/1939, con l’aggiunta di un’intelaiatura in ferro fissata al suolo che dà senz’altro vita ad un rudimentale manufatto destinato ad un uso duraturo, ancorché ciclico in concomitanza con il periodo estivo.
D’altra parte, non va da ultimo sottaciuto, che l’art. 3, lett. e) del 5 citato T.U. n. 380/2001, letteralmente inteso, considera nuove costruzioni “l’istallazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati e di strutture qualsiasi quali roulottes….che siano utilizzati come abitazioni ….e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee” (TAR Lazio-Latina, sentenza 05.08.2009 n. 773 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per realizzare una tettoia occorre il permesso di costruire.
La costruzione della stessa: non può essere annoverata nel concetto di manutenzione straordinaria; è priva del carattere della precarietà ed amovibilità; non può essere considerata pertinenza.

Il Collegio condivide l’interpretazione giurisprudenziale secondo la quale “La realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia ai sensi dell'art. 1, l. 28.01.1977 n. 10, in quanto essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente. La costruzione di una tettoia non rientra nel concetto di manutenzione straordinaria, atteso che quest'ultima si fonda sul duplice presupposto che i lavori progettati siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienici sanitari e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso” (TAR Campania Napoli, sez. VI, 17.12.2008, n. 21346).
La tettoia realizzata sul terrazzo di un fabbricato, in quanto struttura stabilmente ancorata al pavimento e destinata a soddisfare non una esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente" (TAR Campania Napoli, sez. IV, 21.12.2007, n. 16493).
"Una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre il permesso di costruire” (TAR Lombardia Milano, sez. II, 04.12.2007, n. 6544) (TAR Lazio-Roma, sentenza 05.08.2009 n. 771 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILaddove il bando richiede genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione dell’art. 38, del codice dei contratti, esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, sicché il concorrente non può essere escluso per il solo fatto dell’omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; andrà escluso solo ove la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate.
Diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso, e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, codice, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali, o tutte le violazioni contributive: in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dall’art. 38 codice, all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell’illecito, al fine dell’esclusione. In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell’essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando.
L’art. 38, d.lgs. n. 163/2006 menziona i c.d. requisiti di ordine morale, aventi carattere generale, nel senso che devono essere posseduti da tutti i concorrenti in qualsivoglia gara di appalto.
Essi differiscono dai requisiti c.d. speciali, che riguardano non il profilo <<morale>>, ma la capacità tecnico-professionale o economico-finanziaria, e che variano a seconda del tipo di appalto e di oggetto della prestazione.
La mancanza dei requisiti generali si traduce in altrettante cause di esclusione.
L’art. 38 elenca da un lato requisiti (e conseguenti cause di esclusione) il cui accertamento è <<oggettivo>>, e non implica valutazione alcuna, ad es. il fallimento, la pendenza di un procedimento di prevenzione, e dall’altro lato requisiti (e conseguenti cause di esclusione), il cui accertamento implica una valutazione da parte della stazione appaltante: ad es. la condanna per reati <<gravi>> incidenti sulla <<moralità professionale>>, la <<grave negligenza>> nell’esecuzione di precedenti contratti, le violazioni <<gravi>> in materia previdenziale.
In relazione ai requisiti per i quali occorre compiere non un accertamento vincolato, ma una valutazione, si pone la questione, che ha avuto finora soluzione non univoca, di come debba essere formulata la dichiarazione del concorrente, in ordine al possesso dei requisiti.
Su come vada formulata la dichiarazione, non può tuttavia disquisirsi in astratto, in quanto occorre avere riguardo alla legge speciale di gara (bando e disciplinare), e dunque verificare quale contenuto il bando attribuisce a tale dichiarazione.
Non di rado i bandi richiedono, genericamente, che il concorrente dichiari di non trovarsi in una delle situazioni che sono causa di esclusione ai sensi dell’art. 38, codice.
Ora, l’art. 38, considera causa di esclusione l’aver riportato condanna penale per <<reati gravi>> incidenti sulla moralità professionale; ovvero l’aver commesso violazioni <<gravi>> alle norme in materia di contributi previdenziali o assistenziali.
La valutazione di <<gravità>> implica un apprezzamento che può essere compiuto diversamente dal concorrente e dalla stazione appaltante.
Sicché, se il bando indica genericamente di dichiarare l’insussistenza di una causa di esclusione, esso, di fatto, legittima il concorrente che abbia riportato condanne penali, o commesso violazioni in materia contributiva, a compiere una valutazione di gravità/non gravità.
Si pone pertanto la questione se possa considerarsi <<falsa>> una dichiarazione del concorrente, con cui si afferma di non aver riportato condanne per gravi reati incidenti sulla moralità professionale, ovvero di non aver commesso gravi violazioni in materia contributiva, laddove sussistano condanne o violazioni in materia contributiva, ma esse si prestino a una valutazione opinabile di gravità/non gravità.
Un orientamento di questo Consesso, che il Collegio condivide e fa proprio, ha ritenuto che laddove il bando richiede genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione dell’art. 38, codice, esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, sicché il concorrente non può essere escluso per il solo fatto dell’omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; andrà escluso solo ove la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate.
La dichiarazione del concorrente, in tale caso, non può essere ritenuta <<falsa>> (Cons. St., sez. V, 08.09.2008 n. 4244; Cons. St., sez. V, 07.10.2008 n. 4897; Cons. St., sez. V, 22.02.2007 n. 945, che osserva testualmente che ove il bando richieda genericamente una dichiarazione circa la insussistenza delle cause di esclusione legali, il bando di fatto demanda <<al singolo concorrente il giudizio circa l’incidenza sull’affidabilità morale e professionale di eventuali reati dal medesimo commessi>> sicché <<è da escludere che possa qualificarsi falsa dichiarazione una valutazione soggettiva del concorrente stesso (la quale potrà tutt’al più non essere condivisa,ma giammai potrà essere ritenuta falsa, e cioè non corrispondente ad un dato oggettivamente riscontrabile). Diversa sarebbe stata la situazione se fosse stato imposto al concorrente di dichiarare tutti i reati per i quali fossero intervenute sentenze di condanna passate in giudicato o applicazione della pena a richiesta ex art. 444 del codice di procedura penale,affidando poi all’amministrazione ogni valutazione in proposito. In tal caso infatti, qualora il concorrente avesse omesso di dichiarare taluno di tali reati, si sarebbe potuta configurare una falsa autocertificazione, con conseguente esclusione dalla gara>>).
Diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso, e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, codice, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali, o tutte le violazioni contributive: in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dall’art. 38 codice, all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell’illecito, al fine dell’esclusione.
In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell’essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.08.2009 n. 4906 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla necessità o meno del permesso di costruire per la realizzazione di una recinzione.
I muri di recinzione di lunghezza notevole (cfr. ordinanza impugnata) e alti da 0,80 a 160 cm. giammai possono essere qualificati meri interventi di straordinaria manutenzione come affermato dalla difesa di parte ricorrente.
In tal senso, deve essere condiviso l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui «la valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione» (TAR Lazio Latina, sez. I, 03.09.2008 , n. 1050, cfr., anche, TAR Campania Napoli, sez. VIII, 27.02.2009, n. 1151).
In base a tale criterio, può ritenersi non necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, in quanto, entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà; occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è costituita, come in questo caso, da una vera e propria opera muraria tale da incidere in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio (TAR Cmpania-Napoli, Sez. VI, sentenza 04.08.2009 n. 4696 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALISpetta al dirigente ordinare la demolizione di opere abusive, e non più al Sindaco, solo a decorrere dall'entrata in vigore della L. 16.06.1998 n. 191.
La competenza all'emanazione, di sanzioni demolitorie rese sino all'anno 1998 deve reputarsi appartenente al Sindaco e non all'organo dirigenziale essendo stata detta competenza trasferita ai dirigenti solo ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191 (TAR Campania Napoli, sez. VI, 30.04.2008, n. 3072) (TAR Cmpania-Napoli, Sez. VI, sentenza 04.08.2009 n. 4696 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'ordine di demolizione deve seguire automaticamente all'accertamento dell'illecito, senza la necessità di una preventiva notifica della diffida a demolire e senza alcun margine per valutazioni discrezionali al fine di impedire che il trascorrere del tempo determini il consolidarsi di situazioni soggettive che potrebbero impedire l'applicazione della sanzione ripristinatoria
Il procedimento sanzionatorio previsto dall'art. art. 4, l. n. 47 del 1985, rispetto a quello di cui all'art. 7, della medesima legge va rinvenuto nella localizzazione delle opere abusive su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità o in aree coperte da vincolo paesistico, come nel caso di specie; da ciò consegue la necessità di reintegrare con immediatezza il bene protetto, pregiudicato dall'abusivo intervento edilizio.
In tal caso, l'ordine di demolizione deve seguire automaticamente all'accertamento dell'illecito, senza la necessità di una preventiva notifica della diffida a demolire e senza alcun margine per valutazioni discrezionali (anche in ordine alla scelta se procedere alla demolizione o unicamente all'acquisizione al patrimonio dell'ente), al fine di impedire che il trascorrere del tempo determini il consolidarsi di situazioni soggettive che potrebbero impedire l'applicazione della sanzione ripristinatoria.
Dalla rigida vincolatezza del provvedimento derivano, ad un tempo, l’irrilevanza del mancato rispetto delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7 e ss. L. 241/1990, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, poi confermato dallo stesso legislatore in sede di introduzione dell’art. 21-octies L. 241/1990 (L. n. 15/2005; cfr. TAR Campania Napoli, sez. VIII, 27.02.2009, n. 1151) nonché l’adeguatezza della motivazione, laddove si è dato conto dell’insistenza dell’opera su area sottoposta a vincolo ex L. 1497/1939.
In sede di emanazione di un ordine di demolizione di opere abusive su area vincolata, non è necessario acquisire il parere della Commissione Edilizia ovvero della Sezione Urbanistica Regionale, dal momento che l'ordine di ripristino discende direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia o ambientale vigente; inoltre, anche a voler diversamente opinare, tale parere sarebbe necessario solo quando l'ente è tenuto a procedere a valutazioni tecniche delle opere per acclararne la conformità o meno alle prescrizioni normative e non quando deve fare applicazione di valutazioni di natura giuridica (TAR Campania Napoli, sez. III, 05.06.2008, n. 5255, cfr., altresì, TAR Campania Napoli, sez. III, 06.11.2007, n. 10689)
(TAR Cmpania-Napoli, Sez. VI, sentenza 04.08.2009 n. 4696 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Restano assoggettate a permesso di costruire anche le attività che, pur non integrando interventi edilizi in senso stretto, comportano comunque una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio (caso attinente alla trasformazione di un’area in rimessaggio e deposito giudiziario di autoveicoli) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.07.2009 n. 28457 - link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L'orologio della torre non può disturbare i cittadini. Se la torre civica ha l'orologio non per questo deve essere disturbato il riposo dei cittadini.
Le indagini fonometriche demandate alla ASL e alla ARPA competenti per territorio hanno permesso di accertare la presenza di una situazione di inquinamento acustico nell’ambiente di vita della ricorrente rilevante ai sensi della disciplina di settore, sia di carattere primario che di natura regolamentare.
Si è altresì posto in risalto il pericolo di un pregiudizio per la salute della ricorrente, apprezzabile sotto il profilo della cd annoyance, ossia della presenza di fattori disturbanti per la qualità della vita della Vergari, specie per quel che concerne il riposo notturno.
Il Tar ha infine ritenuto preponderante la tutela della salute della ricorrente rispetto alla salvaguardia delle tradizioni storiche, certamente non compromesse in termini irreparabili attraverso una diversa e più opportuna regolamentazione dell’orologio della torre civica che prevedesse la totale sospensione dei rintocchi nelle ore notturne.
Il Collegio ritiene di dover ulteriormente puntualizzare che la controversia in esame involge il corretto uso di beni in dotazione alla p.a. locale, e cioè, in definitiva, l’esercizio di una pubblica funzione , in relazione alla quale la stessa amministrazione civica deve conformarsi al principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 cost.
In questo contesto la pretesa della ricorrente ad una confacente regolamentazione dell’orologio della torre civica assume valenza di interesse legittimo per la tutela del quale si è correttamente adito il Giudice amministrativo.
Infatti, la regolamentazione dei rintocchi dell’orologio non può essere considerata quale mero comportamento materiale della pubblica amministrazione, avulso da un precedente atto autoritativo di esercizio di poteri e funzioni pubbliche (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 09.07.2009 n. 1807 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La Cassazione indica quali solo le varianti a permessi di costruire che possono essere realizzate mediante denuncia di inizio attività (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.06.2009 n. 25975 - link a www.simoline.com).

URBANISTICA: La Cassazione precisa quando e come si configura il reato di lottizzazione abusiva (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.06.2009 n. 24671 - link a www.simoline.com).

EDILIZIA PRIVATA: La Cassazione distingue il reato di cui all’art. 181 D.Lgs. 42/2004 (opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa), che è reato di pericolo, dalla contravvenzione di cui all’art. 734 c.p. (distruzione o deturpamento di bellezze naturali), che si configura come un reato di danno (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.06.2009 n. 23828 - link a www.simoline.com).

EDILIZIA PRIVATA: Anche la realizzazione di serre può essere soggetta all’ordinario regime edilizio (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.06.2009 n. 23724 - link a www.simoline.com).

EDILIZIA PRIVATA: L’apertura di un vano finestra non rientra nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, né di restauro o risanamento conservativo ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia.
Con riferimento all’apertura del vano finestra si osserva che, per giurisprudenza di questa sezione, siffatto intervento non rientra nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, né di restauro o risanamento conservativo (i quali presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett. b-c) D.P.R. n. 380/2001, la sostituzione o la conservazione di elementi -anche strutturali- degli edifici, che siano comunque preesistenti, ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano tuttavia carattere accessorio), ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui alla lettera c) del comma primo dell'articolo 10 D.P.R. n. 380/2001, dal momento che realizza un'oggettiva trasformazione della facciata del palazzo mediante la sostituzione e l'inserimento di elementi, nonché la modifica di altri (TAR Campania Napoli, sez. IV, 28.11.2008, n. 20564) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 16.04.2009 n. 1980 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla necessità o meno del permesso di costruire per realizzare un soppalco.
Con riferimento ai soppalchi, quanto alla necessità o meno di titolo abilitativo al fine della realizzazione degli stessi, occorre distinguere i casi nei quali, in relazione alla tipologia e alla dimensione dell’intervento, può essere sufficiente una Denuncia di inizio di attività (DIA) dai casi nei quali occorre una vera e propria concessione edilizia (oggi permesso di costruire).
Deve ritenersi sufficiente una DIA nel caso in cui il soppalco sia di modeste dimensioni e al servizio della preesistente unità immobiliare (TAR Salerno 883 - 04.09.2003) mentre, viceversa, deve ritenersi necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, ai sensi dell’art. 3 comma 1, lettera del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, recante il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, comportando un incremento delle superfici dell’immobile e quindi anche un ulteriore possibile carico urbanistico (cfr. TAR Campania Napoli, sez. IV, 28.11.2008, n. 20563).
Si è, quindi, giustamente ritenuto che la realizzazione di un soppalco che comporta la riorganizzazione interna dell'immobile ampliandone considerevolmente le superfici e riorganizzando i volumi determina un vero e proprio intervento di ristrutturazione edilizia e necessita di permesso di costruire (in termini TAR Campania Napoli, sez. IV, 10.12.2007, n. 15871; TAR Piemonte Torino, sez. I, 17.12.2007, n. 3714), o in alternativa di D.I.A. proposta ai sensi dell’art. 22 DPR n. 380/2001, come modificato dall'articolo 1 del D.Lgs. 27.12.2002, n. 301 (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 16.04.2009 n. 1980 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le ristrutturazioni effettuabili previa Dia, disciplinate dall'art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380/2001 debbono ritenersi soggette alla sanzione ripristinatoria, di cui all'art. 33 del medesimo d.P.R., e non alla sanzione pecuniaria.
Anche le ristrutturazioni effettuabili previa Dia, disciplinate dall'art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 debbono ritenersi soggette alla sanzione ripristinatoria, di cui all'art. 33 del medesimo d.P.R. e non alla sanzione pecuniaria che, per opere eseguite in assenza o difformità da Dia, il successivo art. 37 prevede, ma con riferimento esclusivo ai primi due commi del citato art. 22 (TAR Lazio Roma, sez. I, 18.06.2007, n. 5534) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 16.04.2009 n. 1980 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rientrano nella nozione di «ristrutturazione edilizia» gli interventi edilizi di frazionamento di una unità immobiliare in tre che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza dello stato dei luoghi e comportino altresì l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione di quanto esistente.
Con riferimento al frazionamento dell’originario edificio in tre monolocali, che al momento del sopralluogo risultavano abitati da tre distinti locatari, questa sezione ha già avuto modo di osservare che l’intervento di cui trattasi necessita di titolo abilitativo.
Rientrano invero nella nozione di «ristrutturazione edilizia» gli interventi edilizi che –come quelli in esame- alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza dello stato dei luoghi e comportino altresì l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione di quanto esistente (TAR Lombardia Milano, sez. II, 14.05.2007, n. 3070 e, per quanto riguarda lo sbancamento in particolare, Consiglio Stato, sez. IV, 27.12.2006, n. 7924).
Inoltre, sulla base del generale principio che correla gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, tale intervento costituisce ristrutturazione edilizia in quanto la divisione ed il frazionamento di un'unità immobiliare in due o più unità comporta l'autonoma utilizzabilità delle stesse, con conseguente aumento del carico urbanistico (TAR Emilia Romagna Parma, sez. I, 15.07.2008, n. 352)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 16.04.2009 n. 1980 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Carenza di interesse a ricorrere per il soggetto legittimamente escluso.
Il concorrente legittimamente escluso da una gara pubblica non ha interesse processuale a ricorrere contro i provvedimenti adottati nelle ulteriori fasi della procedura ed, in particolare, contro quello di aggiudicazione ad altra impresa partecipante, posto che l’eventuale accoglimento del gravame nessun vantaggio recherebbe alla sua sfera giuridica, restando invulnerata la sua esclusione dalla gara (TAR Piemonte, Sez. I, ordinanza 16.03.2009 n. 237 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 17.08.2009

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DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: I. Pisani, Il nuovo procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica nelle modifiche ex d.lgs. 63/2008 e l. 129/2008 (link a www.studiospallino.it).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Vattani, sulla mancata annotazione sul formulario in caso di sosta di attesa di un veicolo che trasporta rifiuti.
Condividendo pienamente quanto esposto nella risposta al quesito sulla sosta durante il trasporto del 17.07.2009 chiedo [il mezzo può sostare in configurazione di trasporto nel caso l’impianto di destino non possa ricevere il rifiuti per motivi tecnici (chiusura dell’impianto ecc...)], se la sosta non viene annotata sul formulario ma viene supposta dal produttore al momento della verifica della 4° copia rilevando una differenza di date (inizio trasporto-arrivo a destino), che responsabilità ricadono e che azioni deve fare il produttore se non trova scritto le motivazioni nel campo annotazioni del formulario?
Sempre che il trasportatore abbia sempre l’obbligo di giustificare o motivare la sosta andando a scrivere nel campo annotazioni (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Vattani, sul deposito temporaneo e accumulo di rifiuti con diversi codici CER.
Nell’ambito del deposito temporaneo come vanno raggruppati i vari rifiuti in deposito? È possibile tenere in deposito mischiati rifiuti con codici CER diversi? (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Vattani, sulla sosta di attesa di un veicolo che trasporta rifiuti.
Un camion carico di rifiuti che non può andare a scaricare perché l’impianto di smaltimento resta chiuso il sabato e la domenica può sostare in un’apposita area in attesa che l’impianto riapra? In questo caso è necessaria qualche autorizzazione? (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Santoloci, sulla qualificazione giuridica del riversamento di liquami da depuratore fermo in modo permanente.
Al liquame industriale proveniente dal ciclo di lavorazione e canalizzato ad un impianto di depurazione interno allo stabilimento, nel caso in cui prima di essere riversato nel corpo ricettore non subisce alcun trattamento (impianto di depurazione non funzionante da diverso tempo con titolare che è perfettamente a conoscenza del blocco), può essere contestato il reato di smaltimento abusivo di rifiuti? O si tratta sempre di violazioni inerenti uno scarico? (link a www.simoline.com).

EDILIZIA PRIVATA: M. Santoloci, sulla disciplina giuridica dei “laghetti aziendali”.
I laghetti aziendali in quale disciplina rientrano? E’ vero che sono esclusi dalle regole del T.U. ambientale? (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Samtoloci, sulla competenza all’interno della Provincia in ordine alla denuncia di mancata ricezione della quarta copia del formulario.
La denuncia alla Provincia per la mancata ricezione della quarta copia del formulario è di competenza dell’ufficio ambiente o della polizia provinciale? Che tipo di accertamenti sono connessi a tale segnalazione pervenuta presso la pubblica amministrazione? (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Vattani, sulla bruciatura di imballaggi di polistirolo in campagna, autosmaltimento e reati connessi.
Sono un agente di polizia giudiziaria, ho un po’ di difficoltà nel capire l’articolo concernente l’autosmaltimento illecito di rifiuti (D.Lgs 152/2006): per quale fattispecie potrei applicarlo?
Io opero in campagna e di solito abbiamo la problematica di agricoltori che sistematicamente bruciano il polistirolo che contiene le piantine per la semina; si potrebbe applicare l’articolo in detta circostanza?
Per applicarlo, l’autore del reato deve essere necessariamente una persona giuridica? Può concorrere con l’art. 674 del c.d. getto pericoloso di cose? (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: M. Santoloci e V. Vattani, sul riutilizzo dei materiali edili da demolizione nel medesimo cantiere.
Alla luce delle recenti modifiche apportate all'articolo 181-bis e 183 del TUA, un impresario che deve effettuare delle demolizioni su un edificio, può riutilizzare i materiali di risulta di queste demolizioni per il riempimento di una massicciata perimetrale alla stessa casa oggetto di parziale demolizione se:
- dichiara nel progetto di volere utilizzare detto materiale (tutto) per la realizzazione della massicciata;
- certifica che il materiale non pregiudichi l'ambiente attraverso caratterizzazioni certificate dello stesso ai sensi di legge (vedasi terre e rocce da scavo di cui all'articolo 186);
- il materiale per essere riutilizzato non ha bisogno di alcuna elaborazione preliminare;
- vi è un provento economico legato al risparmio per l'acquisto di materiale sicuramente idoneo quindi il suo valore potrebbe essere lo stesso di quello del materiale da acquistare? (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Vattani, sulla qualificazione giuridica dei residui della lavorazione del marmo.
Quale disciplina si applica attualmente ai residui della lavorazione del marmo? (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Santoloci, sul prelievo da parte di autospurgo di liquami domestici da più utenze.
Il mio quesito riguarda l'attività di espurgo delle fosse settiche provenienti dai privati cittadini, effettuato da ditta autorizzata.
Premesso che ogni trasporto di rifiuti deve essere accompagnato dal formulario d'identificazione previsto dall'art. 193 del D.Lgs. 152/2006, con la presente nota sono a chiedere se è possibile, nel caso di pulizia delle fosse settiche, attività che in genere da luogo alla produzione di piccoli quantitativi di rifiuti per più abitazioni, è possibile utilizzare un unico formulario per più espurghi (trasporto cumulativo).
Specificando nelle annotazioni comunque il nominativo, via, civico e quantità presunta del rifiuto prelevato. Verranno compilati i campi relativi all'unità locale di produzione con vedi annotazioni, quello del peso presunto con la sommatoria dei pesi dei singoli espurghi (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: M. Santoloci, sul deposito temporaneo nei cantieri edili.
Nei cantieri edili è possibile il deposito temporaneo per i rifiuti costituiti da materiale da demolizione?
Ed in caso positivo, tale deposito deve essere ubicato all’interno dell’ area di cantiere o può essere attivato in altro sito diverso e distante dal cantiere medesimo? (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Santoloci, sulla natura giuridica del letame rispetto ai liquami zootecnici.
In relazione all’articolo “Ma davvero il letame non è mai un rifiuto?” (a firma di Maurizio Santoloci) chiedo se il liquame di origine zootecnica viene equiparato giuridicamente alle materie fecali di origine agricola? In particolare quando nella vasca aziendale il letame è misto al liquame… (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Santoloci, sul trasporto di rifiuti pericolosi da parte di un privato cittadino.
Se un privato cittadino trasporta con il proprio mezzo rifiuti pericolosi (gomme d'auto, batterie esauste, guaine bituminose, etc.) è obbligato ad avere un formulario, e a che sanzione va incontro? (link a www.simoline.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Vattani, sull'abbandono di eternit.
E’ corretto applicare l’art. 255, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006 per l’abbandono in area agricola di rifiuti costituiti da macerie e pezzi di cemento amianto (eternit) eseguito da un cittadino privato? (link a www.simoline.com).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 32 del 13.08.2009, "Incentivazione degli impianti per la produzione di energia da fonte solare per uso termico - Realizzazione di impianti al servizio di immobili di proprietà pubblica" (deliberazione G.R. 29.07.2009 n. 9955 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 13.08.2009 n. 187 "Nuove norme tecniche per le costruzioni approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture 14.01.2008 - Cessazione del regime transitorio di cui all’articolo 20, comma 1, del decreto-legge 31.12.2007, n. 248" (Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, circolare 05.08.2009).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 10.08.2009, "Rettifica delle precisazioni approvate con decreto n. 7148 del 13.07.2009, relative all'applicazione delle disposizioni per l'efficienza energetica in edilizia, di cui alla d.g.r. n. 8745 del 22.12.2008" (decreto D.U.O. 22.07.2009 n. 7538 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 10.08.2009, "Disposizioni per l'esercizio, il controllo, la manutenzione e l'ispezione degli impianti termici nel territorio regionale - Aggiornamento termine fissato con d.g.r. n. 8355 del 05.11.2008 per la comunicazione stato dell'incarico degli amministratori di condominio in merito alla responsabilità dell'impianto termico" (decreto D.G. 30.07.2009 n. 7953 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 10.08.2009, "Modalità per il sostegno finanziario degli Enti locali e degli Enti gestori delle aree regionali protette per l'esercizio delle funzioni paesaggistiche loro attribuite (art. 79, l.r. n. 12/2005)" (deliberazione G.R. 29.07.2009 n. 9964 - link a www.infopoint.it).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 10.08.2009, "Disposizioni per l'esercizio dei poteri sostitutivi regionali per l'avvio del procedimento di approvazione del PGT (art. 26, comma 3, l.r. n. 12/2005) - Modifica della d.g.r. n. 41493/99 in materia di criteri, modalità, formazione, gestione e articolazione dell'albo dei commissari ad acta" (deliberazione G.R. 29.07.2009 n. 9963 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 10.08.2009, "Disposizioni per la sospensione dell'attività di spandimento in agricoltura dei fanghi prodotti dalla depurazione delle acque reflue" (deliberazione G.R. 293.07.2009 n. 9953 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: G.U. 08.08.2009 n. 183, "Determinazione degli ambiti operativi delle associazioni di osservatori volontari, requisiti per l’iscrizione nell’elenco prefettizio e modalità di tenuta dei relativi elenchi, di cui ai commi da 40 a 44 dell’articolo 3 della legge 15.07.2009, n. 94" (D.M. 08.08.2009).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 05.08.2009 n. 180, "Criteri e requisiti per l’iscrizione all’Albo nella categoria 1 per lo svolgimento dell’attività di gestione dei centri di raccolta rifiuti" (Comitato Nazionale dell'Albo Nazionale Gestori Ambientali, deliberazione 20.07.2009).

ENTI LOCALI: G.U. 04.08.2009 n. 179 "Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009" (D.L. 03.08.2009 n. 103).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Criteri per la realizzazione di spazi verdi ai sensi della l.r. 13/2009.
Il 07.08.2009 è stata approvata la DGR. n. 10134 "determinazioni relative alla qualificazione degli insediamenti attraverso la realizzazione di spazi verdi (ex art. 3, comma 6, l.r. n. 13/2009)" (link a www.rilancioedilizia.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATALombardia, Rilancio dell'edilizia, le regole per gli spazi verdi (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATALombardia, 300.000 euro agli enti locali per la gestione delle competenze paesaggistiche.
Anche per il 2009 Regione Lombardia assegnerà contributi per 300.000 euro agli enti locali per la gestione delle competenze paesaggistiche (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il dipendente "doppiogiochista" danneggia l'Amministrazione e paga Condannato al risarcimento il funzionario del fisco che con il proprio comportamento lede l'immagine della PA.
Lede l'immagine dell'Amministrazione il comportamento "infedele" di un funzionario pubblico che svolge attività extralavorativa incompatibile con quella istituzionale.
Questo il pensiero espresso dai giudici piemontesi della Corte dei conti nella sentenza n. 144, depositata lo scorso 02.07.2009, con la quale hanno riconosciuto, in capo all'Agenzia delle Entrate, il diritto al risarcimento del danno all'immagine a seguito dell'incauto comportamento di un suo dipendente (link a www.nuovofiscooggi.it).

ENTI LOCALI: Niente Irpef sui rimborsi forfetari erogati agli amministratori locali. Escluse dal reddito le somme versate a indennizzo dei costi sostenuti nello svolgimento del mandato istituzionale.
Rimborsi forfetari e rimborsi spese per il Fisco pari sono.
Gli importi corrisposti agli amministratori locali per le missioni e gli altri impegni istituzionali sono equiparati, ai fini Irpef, ai rimborsi spese erogati ai titolari di cariche elettive pubbliche e, quindi, non sono soggetti all'imposta, così come stabilito dall'articolo 52 del Tuir (link a www.nuovofiscooggi.it).

VARI: Fisco bio per camini e stufe fisse, detrazione del 55% a maglie larghe. Con l'ecoincentivo tributario premiate anche le case con vecchi apparecchi assimilabili a impianti termici.
Bonus verde anche per le case riscaldate da vecchi impianti come caminetti, stufe e scaldacqua. Ad allargare le maglie dell'incentivo per la riqualificazione energetica degli edifici è la risoluzione n. 215/E del 12.08.2009, con cui l'agenzia delle Entrate fa il punto sulle caratteristiche tecniche dei sistemi di riscaldamento agevolabili (link a www.nuovofiscooggi.it).

dossier CONSIGLIERI COMUNALI

CONSIGLIERI COMUNALI: Un candidato consigliere comunale può avere copia dell’elenco dei sottoscrittori di una lista elettorale concorrente ammessa alle elezioni comunali.
L'art. 22 della L. n. 241/1990, ai commi 2 e 3, precisa che "l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale...", e che "tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all'articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6".
In precedenza, e cioè prima delle recenti modifiche normative, l'art. 24 prevedeva, al comma 4, l'obbligo per le singole amministrazioni "di individuare, con uno o più regolamenti..., le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso per le esigenze di cui al comma 2", tra le quali era compresa, alla lett. d), quella di salvaguardare "la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici".
Il nuovo testo dell’art. 24, come sostituito dall'art. 16 L. 11.02.2005 n. 15, al comma 1 esclude il diritto di accesso solo:
a) per i documenti coperti da segreto di Stato, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2;
b) nei procedimenti tributari;
c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione;
d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.
In definitiva, con specifico riferimento ai rapporti tra accesso e riservatezza, la nuova disciplina contenuta nell'art. 24 della L. 241/1990, come sostituito dall'art. 16 della L. 15/2005, appresta al primo una tutela più ampia che in passato, sotto due distinti profili.
Innanzitutto, l'individuazione dei casi in cui l'accesso può essere escluso per ragioni, tra l'altro, di riservatezza, può aver luogo solo con il regolamento governativo (comma 6, lett. d), mentre alle singole amministrazioni viene sottratta ogni potestà d'intervento in materia.
In secondo luogo, mentre nell'originaria versione dell'art. 24, secondo quanto prevedeva il comma 2, lettera d), l'accesso a documenti riservati era limitato alla sola "visione" degli atti amministrativi necessari alla cura dei propri interessi, nell'attuale versione dell'art. 24, come sostituito dall'art. 16 della legge 15/2005, tale previsione è stata sostituita dal nuovo comma 7, ai sensi del quale "deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici".
In sostanza, la tutela dell'istante, prima limitata alla visione degli atti, viene quindi estesa all'onnicomprensivo concetto di "accesso" che -secondo la definizione contenuta nell'art. 22, comma 1, lettera a) della L. 241/1990, come sostituito dall'art. 15 della L. 15/2005- include sia la visione degli atti che l'estrazione di copia.
Per quanto riguarda i rapporti fra diritto all’accesso e tutela della privacy lo stesso comma 7 aggiunge che l'accesso, sebbene solo "nei limiti in cui sia strettamente indispensabile", è consentito anche "nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari", ed anche "in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale", in quest'ultimo caso "nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196" (sul punto si veda TAR Marche, I, n. 10/2009 e TAR Catania, IV, n. 715/2008).
Inoltre l'art. 59 del medesimo D.Lgs.vo 196/2003, concernente proprio all’accesso a documenti amministrativi", dispone che "fatto salvo quanto previsto dall'articolo 60, i presupposti, le modalità, i limiti per l'esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 07.08.1990, n. 241, e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso. Le attività finalizzate all'applicazione di tale disciplina si considerano di rilevante interesse pubblico".
Alla stregua di quanto sopra nel caso di specie sussistono i presupposti per l’esercizio del diritto di accesso: l’interesse differenziato dell’istante discende dalla sua posizione di candidato a consigliere comunale nella lista ... e la necessità dell’accesso discende dalla circostanza che un eventuale azione in sede giurisdizionale da parte dello stesso è subordinata all’esame della documentazione richiesta (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 03.08.2009 n. 1157 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Art. 78, c. 2 d.lgs. n. 267/2000 - Amministratori - Delibere afferenti interessi propri o di prossimi congiunti - Obbligo di astensione - Presupposti - Materia urbanistica.
Ai fini dell’obbligo di astensione degli amministratori di cui all’art. 78, comma 2, del D.Lgs. 267/2000, occorre in primo luogo che il consigliere versi in una condizione di conflitto di interessi in quanto l’atto riguarda interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado.
La giurisprudenza ha chiarito che il concetto di «interesse» del consigliere alla deliberazione comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà, verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire all'adozione di una delibera (Cons. Stato, sez. IV, 23.09.1996, n. 1035).
La violazione dell’obbligo di astensione sussiste non solo nel caso di partecipazione alla votazione del consigliere in conflitto di interessi, ma anche nel caso di partecipazione alla discussione. Infatti, anche coloro che si limitano a partecipare alla discussione contribuiscono alla formazione della volontà dell’organo collegiale e possono incidere anche sulla votazione integrando il quorum costitutivo della seduta.
Deve inoltre sussistere un collegamento tra il contenuto della deliberazione e l’interesse del consigliere che, con riferimento agli atti pianificatori e generali la legge definisce come correlazione immediata e diretta. Tale correlazione deve avere carattere oggettivo, tale da manifestare o comunque rendere logicamente ipotizzabile la possibilità di un conflitto di interesse ovvero la non estraneità di propri interessi rispetto ai fatti sui quali si concorre a deliberare.
Con riferimento alla materia urbanistica, il conflitto di interessi non è peraltro escluso nell’ipotesi che nessun concreto beneficio economico scaturisca per gli immobili di proprietà dei consiglieri o dei loro prossimi congiunti, ai fini dell’incompatibilità essendo sufficiente che sussista una relazione personale fra l'oggetto dell'atto e l'amministratore, secondo una regola di carattere generale che non ammette eccezioni e ricorre anche qualora la scelta discrezionale adottata sia in concreto la più utile e la più opportuna per lo stesso interesse pubblico (cfr. TAR Liguria n. 818/2004, cit.; Cons. Stato, sez. IV, 26.05.2003, n. 2826; TAR Liguria, I, 19.10.2007 n. 1773) in quanto la condotta di un amministratore che utilizza il suo incarico pubblico per regolare gli interessi propri e dei propri parenti comporta comunque una lesione dell’imparzialità dell’amministrazione e della sua immagine che la legge intende evitare con un giudizio ex ante in astratto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.05.2009 n. 3782 - link a www.ambientediritto.it).

dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE

EDILIZIA PRIVATA: Il pagamento dei contributi connessi al rilascio di una concessione edilizia, da parte di un soggetto che ne reclama il beneficio della gratuità, non costituisce di per sé acquiescenza circa la debenza delle relative somme.
Il pagamento dei contributi connessi al rilascio di una concessione edilizia, da parte di un soggetto che ne reclama il beneficio della gratuità, non costituisce di per sé acquiescenza circa la debenza delle relative somme, anche nel caso in cui l’interessato non abbia formulato al riguardo alcuna riserva di ripetizione della somma pretesa dal Comune a tale titolo, dovendosi piuttosto considerare detto pagamento quale espressione della connaturale esigenza dell’attività imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione dell’intervento progettato.
Dalle suddette considerazioni discende correlativamente la possibilità, per tale soggetto, di svolgere azione di accertamento del proprio diritto alla restituzione dei contributi urbanistici che ritiene di avere corrisposto in tutto o in parte indebitamente all’amministrazione comunale concessionaria (v. ex multis TAR Lazio -RM- Sez. II, 17/05/2005 n. 3844; TAR Puglia –LE- Sez. I, 12/02/2002 n. 739) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 31.07.2009 n. 1131 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’amministrazione comunale deve porre l’interessato in condizione di ricostruire i passaggi logici con i quali è pervenuta alla quantificazione dell'importo del contributo di costruzione.
Per giurisprudenza costante, “le controversie relative all'an ed al quantum delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori, riservate dalla legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, riguardano diritti soggettivi delle parti, rispetto alle quali non è configurabile il vizio di difetto di motivazione. Ciò nella considerazione che le operazioni di corretta quantificazione dell'oblazione e degli atti concessori si esauriscono in una mera operazione materiale che, se errata, può comportare soltanto la violazione dei criteri fissati dalla normativa ovvero dall'amministrazione con norme di natura regolamentare e, quindi, la sussistenza del solo vizio di violazione di legge, potendo l'interessato, sulla base dei predetti criteri generali, contestare l'erroneità della quantificazione operata dall'amministrazione, evidenziando ad esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei presupposti di fatto o di diritto” (Cons. Stato, sez. V, 29.07.2000 n. 4217).
Per quanto non sussista un obbligo di motivazione, l’amministrazione deve, comunque, porre l’interessato in condizione di ricostruire i passaggi logici con i quali è pervenuta all'importo del contributo, sulla base dei prefissati criteri generali
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’equiparazione delle tariffe dovute per gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione a quelle previste per le nuove costruzioni non è irragionevole, tanto è vero che la giurisprudenza ha ritenuto che il contributo per oneri di urbanizzazione, in caso di ristrutturazione del patrimonio edilizio, potrebbe essere maggiore a quello dovuto per la realizzazione di nuove costruzioni.
L'entità degli oneri di urbanizzazione è correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione possa comportare aggravi di carico urbanistico identici a quelli derivanti da nuove costruzioni.
Un intervento di ristrutturazione globale di un edificio, attuato mediante demolizione e ricostruzione porta, invero, alla realizzazione di un organismo edilizio sostanzialmente nuovo: non appare quindi illogico ritenere che un intervento così radicale determini, di regola, un incremento del carico urbanistico pari a quello legato alla realizzazione di una nuova costruzione.
La ristrutturazione con demolizione e ricostruzione, invero, ha, di regola, ad oggetto immobili che versano in condizioni tali da consentirne un utilizzo nullo o, comunque, ridotto rispetto a quello che verrà posto in essere in conseguenza dell’intervento edilizio.
A ciò si aggiunga il rilievo che, di regola, l’edificio che viene demolito per la sua vetustà non ha comportato, proprio per l’epoca in cui è stato realizzato, alcuna contribuzione in termini di opere di urbanizzazione, a fronte di un’innegabile incidenza sul carico urbanistico.
L’equiparazione delle tariffe dovute per gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione a quelle previste per le nuove costruzioni non è, dunque, irragionevole, tanto è vero che la giurisprudenza ha, persino, ritenuto che il contributo per oneri di urbanizzazione, in caso di ristrutturazione del patrimonio edilizio, potrebbe essere maggiore a quello dovuto per la realizzazione di nuove costruzioni (Cons. Stato, sez. V, 27.09.1990, n. 692) che ha affermato la legittimità di una deliberazione regionale con la quale l'intervento di ristrutturazione che comporti un aumento delle abitazioni, sia assoggettato ad un maggior pagamento a titolo di oneri di urbanizzazione rispetto ad una nuova edificazione, tenuto conto che il costo delle opere di urbanizzazione può essere maggiore nel primo caso).
La previsione di una medesima tariffa per gli interventi di nuova costruzione e quelli di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione non necessita, quindi, di una particolare motivazione, essendo, comunque, evincibili le ragioni sottese a tale scelta.
Rimane comunque fermo il principio secondo cui il contributo di urbanizzazione trova causa nell’obbligatoria partecipazione del concessionario agli oneri che gravano sull’amministrazione locale per l’urbanizzazione dell’area interessata da un nuovo intervento edilizio, sul presupposto che alla realizzazione dell'opera assentita conseguano nella zona maggiori carichi urbanistici (Cons. Stato V, 27.12.1988 n. 852).
L’applicazione negli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione della tariffa prevista dalla delibera comunale n. 73/2007, fissata nella stessa misura prevista per gli interventi di nuova costruzione, è, pertanto, giustificata unicamente laddove gli oneri di urbanizzazione siano dovuti: se non è, dunque, illogico ritenere che, di regola, agli interventi di demolizione e ricostruzione consegua un incremento del peso insediativo, tuttavia, nell’ipotesi –che non ricorre, però, nel caso di specie– in cui non vi sia, invece, alcuna alterazione degli elementi cui è correlato il carico urbanistico, in mancanza del presupposto giustificativo per l'imposizione degli oneri di urbanizzazione, l’amministrazione non potrà pretendere la corresponsione di somme a tale titolo.
Attesa l’incidenza sul carico urbanistico degli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, maggiore rispetto a quella degli interventi di semplice ristrutturazione, la previsione di oneri di urbanizzazione in misura doppia nel primo caso, rispetto al secondo, non è affatto illogica (sempre che, in concreto, una tale incidenza di realizzi).
La circostanza che la demolizione e ricostruzione sia ricompresa nella definizione di ristrutturazione edilizia dal d.P.R. n. 327/2001 non preclude, poi, all’amministrazione di differenziare i due interventi ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione, in considerazione della loro differente incidenza sul carico urbanistico (differenziazione ripresa, d’altro canto, dall’art. 44, l. Regione Lombardia n. 12/2005).
Né il fatto che gli oneri di urbanizzazione siano stati assolti in passato, con riferimento ad un differente immobile, fa venir meno l’obbligo di concorrere agli oneri sociali legati all'incremento del carico urbanistico dovuto al nuovo intervento edilizio di ristrutturazione del fabbricato preesistente
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa riscossione coattiva degli oo.uu. rateizzati si configura come la conseguenza per l’ipotesi in cui il ritardo si protragga oltre il 240° giorno (che va ad aggiungersi alla sanzione dell’aumento del contributo nella misura pari al 40%).
La facoltà di escutere la fideiussione sorge solo quando, per il ritardo maturato, è già insorto in capo al privato l’obbligo di pagare la sanzione nella misura massima prevista (40%).

In merito all'applicazione della sanzione per ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione si sono registrate due posizioni in giurisprudenza: secondo il primo orientamento, richiamato da parte ricorrente, cui aveva in passato anche aderito questo Tribunale, in presenza di una fideiussione a garanzia del pagamento delle rate di debito degli oneri concessori è illegittima l'ingiunzione di corrispondere in misura doppia gli oneri concessori scaduti, senza escutere la garanzia, per violazione del generale dovere di correttezza di cui all'art. 1175 c.c. e del principio di cui all'art. 1227 c.c., che impone al creditore di non aggravare la posizione del debitore.
In presenza di una fideiussione bancaria “a semplice richiesta” a garanzia dell’importo da versare per il contributo a titolo di oneri urbanistici, una volta verificato che l'interessato ha omesso di corrispondere i ratei alle scadenze previste, è illegittima l'emanazione di un'ordinanza per il pagamento di una somma comprendente (oltre alle rate non pagate) le sanzioni, ciò in quanto sarebbe stata sufficiente la semplice richiesta al fideiussore (iniziativa non gravosa né esposta a rischi di sorta) per evitare un consistente aggravamento della posizione debitoria del privato e per conseguire tempestivamente il credito (Cons. Stato, sez. V 03.07.1995 n. 1001; Cons. Stato, sez. V 05.02.2003 n. 585 e 10.01.2003 n. 32 ; TAR Veneto, sez. II, 09.02.2006, n. 342; TAR Sardegna, sez. II, 07.08.2006 , n. 1595; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 07.10.2003, n. 4505)
Va però puntualizzato che nel precedente di questa Sezione vi è era anche un espresso impegno dell’Amministrazione ad utilizzare la predetta garanzia per il caso di inutile decorso dei termini di scadenza delle rate ( sez. II, 07.10.2003, n. 4505).
Diverso orientamento afferma che la fideiussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'amministrazione, sulla quale non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore; invero, la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di per sé l'obbligazione principale (TAR Campania Salerno, sez. II, 16.06.2008, n. 1936).
E’ stato puntualmente precisato dal Consiglio di Stato, nella decisione n. 6345/2005, che l'art. 1227 c.c. “esula del tutto dall'ambito sanzionatorio, in cui l'ente investito della potestà punitiva non può certamente equipararsi al creditore di un'obbligazione risarcitoria, tanto più allorquando la progressione illecita del trasgressore -puntualmente scandita da graduati e ragionevoli aggravamenti delle sanzioni in corrispondenza del protrarsi del ritardo nel pagamento- non abbia ancora esaurito tutta l'antigiuridicità presa in considerazione dalla singola previsione applicata […]" (Cons. Stato, sez. V, 11.11.2005, n. 6345; Cons. Stato, sez. IV 13.03.2008 n. 1084; Cons. Stato, sez. V 16.07.2007 n. 4025; Cons. Stato, sez. II, 24.05.2006 n. 7683/2004; TAR Mi II, 02.02.1998 n. 136; TAR Campania Salerno, sez. II, 16.062008, n. 1936).
Recentemente la Sezione nella sentenza n. 4306/2009, ha ritenuto di seguire questo orientamento, esaminando il procedimento dell’art. 42, d.P.R. n. 380/2001, che configura la riscossione coattiva come la conseguenza per l’ipotesi in cui il ritardo si protragga oltre il 240° giorno (che va ad aggiungersi alla sanzione dell’aumento del contributo nella misura pari al 40%).
Con tale norma viene posta indirettamente una tutela nei confronti del privato, estesa ad ogni forma di recupero della somma dovuta e quindi anche alla escussione della garanzia prestata: “sarebbe illogico che il debitore non possa subire, prima dello scadere del 240° giorno, la riscossione coattiva del credito da parte della p.a. ma sia esposto all’azione di regresso del fideiussore.”
La facoltà di escutere la fideiussione sorge solo quando, per il ritardo maturato, è già insorto in capo al privato l’obbligo di pagare la sanzione nella misura massima prevista.
In applicazione a tale principio, nel caso di specie l’operato dell’Amministrazione risulta scevro da ogni profilo di illegittimità, in quanto non si può configurare un obbligo dell’Amministrazione di escutere la fideiussione allo scadere del termine di pagamento (TAR Lombrdeia-Milano, Sez. II, sentenza 21.07.2009 n. 4405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Attività industriale - Onere ecologico - Oneri di urbanizzazione - Differenza - Parametrazione all’incidenza della specifica attività industriale - Attività industriali di prima classe - Applicazione generalizzata della quota di contributo in misura massima - Illegittimità.
La quota di contributo aggiuntivo (cd. onere ecologico) trova la sua ratio nella necessità di attribuire il dovuto rilievo alle esternalità negative prodotte nell’ambito dell’attività industriale, secondo criteri predeterminati ed effettivamente parametrati alla diversa incidenza connessa alla tipologia di attività svolta.
Ciò che rileva con riferimento al contributo in esame, infatti, a differenza degli oneri connessi al carico urbanistico, è l’incidenza dell’attività industriale svolta sul contesto nel quale va ad impattare, lì dove, invece, gli oneri concessori sono da riconnettere al maggior carico urbanistico determinato dall’intervento edilizio.
Ne deriva l’illegittimità dell’applicazione generalizzata della quota di contributo in misura massima per le attività industriali ricomprese nella prima classe, senza tener conto della distinzione degli impianti destinati a lavorazioni “altamente sensibili” rispetto a quelli che non implicano un elevato rischio di incidente rilevante (TAR Veneto, Sez. II,  sentenza 10.06.2009 n. 1709 - link a www.ambientediritto.it).

dossier DEFINIZIONE INTERVENTI EDILIZI

EDILIZIA PRIVATAA differenza degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, che hanno finalità meramente conservative delle strutture, le opere di restauro e risanamento conservativo sono preordinate alla realizzazione di un insieme sistematico di opere, qualificabili come necessarie in presenza di una pluralità di carenze strutturali e funzionali, che possono incidere anche sugli elementi costitutivi dell’edificio.
Può prescindersi da un ulteriore approfondimento della questione relativa alla eventuale inclusione dell’edificio nel centro storico (che pure viene negata dai locatari attuali resistenti, sulla base di un approfondito excursus storico delle vicende belliche che hanno comportato la quasi totale distruzione del patrimonio edilizio esistente), apparendo chiaramente comprovato lo stato di oggettivo degrado dell’immobile in discorso, con conseguente necessità di quegli interventi di restauro e di risanamento conservativo che risultano sufficienti, ai sensi del citato art. 3 del decreto-legge n. 351/2001, per escludere la qualificazione di immobile di pregio.
Come sottolineato dalla giurisprudenza di questo Consiglio, l’elemento che caratterizza tale tipo di interventi è costituito dalla presenza di diffuse carenze, dovute alla perdita delle originarie caratteristiche di funzionalità e di sicurezza dell’edificio e che si rendano necessarie per una effettiva riqualificazione dell’immobile (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30.09.2008, n. 4696).
A differenza, quindi, degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, che hanno finalità meramente conservative delle strutture, le opere di restauro e risanamento conservativo sono preordinate alla realizzazione di un insieme sistematico di opere, qualificabili come necessarie in presenza di una pluralità di carenze strutturali e funzionali, che possono incidere anche sugli elementi costitutivi dell’edificio (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.07.2009 n. 4840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAl fine di qualificare come ristrutturazione edilizia un'opera occorre che il complesso edilizio, sul quale si operano gli interventi, rimanga alla fine sostanzialmente il medesimo per forma, volume e altezza.
Rientrano anche nella nozione di ristrutturazione edilizia gli interventi consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato nelle sue caratteristiche preesistenti, non soltanto dimensionali, ma anche architettoniche e stilistiche che lasciano inalterati i volumi e la sagoma.

Posto che per risolvere la questione all'esame di questo giudice occorre inquadrare esattamente la tipologia dell'intervento edilizio contestato, occorre ricordare che -per giurisprudenza pacifica (anche di questo Tribunale: cfr., in termini e da ultimo, Tar Campania-Napoli, VIII, 27.02.2009, n. 1153)- al fine di qualificare come ristrutturazione edilizia un'opera, occorre che il complesso edilizio, sul quale si operano gli interventi, rimanga alla fine sostanzialmente il medesimo per forma, volume e altezza.
Il risultato della ristrutturazione può essere, infatti, un organismo edilizio anche diverso dal precedente purché però la diversità sia dovuta ad interventi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi del manufatto ovvero l'eliminazione, le modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, in quanto la ristrutturazione edilizia mira, in definitiva, alla salvezza del complesso esistente (fra le ultime: Consiglio di Stato, sez. V, n. 1246 del 05.03.2001, n. 6768 del 18.12.2000 e n. 3901 del 13.07.2000).
La giurisprudenza ha poi fatto rientrare nella nozione di ristrutturazione edilizia, anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato nelle sue caratteristiche preesistenti, non soltanto dimensionali, ma anche architettoniche e stilistiche che lasciano inalterati i volumi e la sagoma (fra le ultime Consiglio di Stato, sez. V, n. 5410 del 09.10.2002, n. 6769 del 18.12.2000, n. 3901 del 13.07.2000 cit.).
Esula invece dal concetto di ristrutturazione la totale demolizione e ricostruzione di un manufatto nel caso che il nuovo stabile non sia fedele al precedente, per sagoma, volumi e collocazione (Consiglio di Stato, sez. V, n. 5093 del 26.09.2000).
In tal caso l'intervento deve considerarsi come nuova costruzione e, come tale, è soggetto alle limitazioni imposte dalle norme urbanistiche in vigore al momento in cui va esaminata la possibilità o meno di riconoscerne la legittimità (Consiglio di Stato, sez. V n. 4397 del 10.10.2000).
Anche l'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, recante il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, al comma 1, lettera d) definisce interventi di ristrutturazione edilizia quelli <<rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente>>.
Il successivo periodo della norma, modificato con il D.Lgs. 27.12.2002, n. 301, precisa poi, per quel che qui interessa, che <<nell'ambito degli interventi di ristrutturazione sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica>>.
Quando si interviene su un edificio preesistente (senza la sua totale demolizione) un intervento può qualificarsi di ristrutturazione edilizia anche quando porti ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente, purché il complesso edilizio, sul quale si operano gli interventi, rimanga alla fine sostanzialmente il medesimo per forma, volume e altezza.
Nel caso, invece, di totale demolizione solo se la successiva ricostruzione è prevista non solo con la stessa volumetria, ma anche con la medesima sagoma dell'immobile preesistente (fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica) l'intervento può inquadrarsi fra le ipotesi di ristrutturazione edilizia, mentre la ricostruzione (dopo la demolizione) di un immobile diverso per volumi o anche solo per la sagoma (a parità di volumi) dall'immobile preesistente comporta la realizzazione di un immobile nuovo e non di un immobile ristrutturato, con la conseguente applicazione della disciplina urbanistica prevista per le nuove edificazioni.
Peraltro, come rilevato in precedenza, l'indicata disciplina risulta coerente anche con quanto previsto dall'art. 10, comma 1, lettera c), del citato D.P.R. 06.06.2001, n. 380, recante il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di recente modificato dal D.Lgs. 27.12.2002, n. 301, che, nell'indicare la tipologia di opere assoggettate al "permesso di costruire" include nella ristrutturazione edilizia <<gli interventi ... che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagome, dei prospetti o delle superfici>>.
Infatti, tale norma, per poter essere correttamente interpretata, deve essere correlata con il precedente già richiamato art. 3 del Testo Unico che, nel dare la definizione degli interventi di "ristrutturazione edilizia" chiarisce definitivamente che solo <<la ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma>> dell'edificio preesistente può essere considerata tale. Ne consegue, in coerenza con la citata consolidata giurisprudenza sul punto, che la demolizione e la successiva ricostruzione di un immobile comunque diverso dal precedente non possono in alcun caso essere considerate come "ristrutturazione edilizia" (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 28.07.2009 n. 4401 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Si ha ristrutturazione edilizia se e in quanto si realizzi una assoluta trasformazione tale da condurre ad un edificio diverso da quello precedente per tipo, caratteristiche, dimensioni e localizzazione, mediante interventi su parti costitutive dell'immobile e l'inserimento di nuove parti costitutive ed impianti.
Si ha ristrutturazione edilizia se e in quanto si realizzi una assoluta trasformazione tale da condurre ad un edificio diverso da quello precedente per tipo, caratteristiche, dimensioni e localizzazione, mediante interventi su parti costitutive dell'immobile e l'inserimento di nuove parti costitutive ed impianti. Danno invece luogo a manutenzione straordinaria gli interventi di minore importanza, non incidenti sulla volumetria e destinazione d'uso, quali quelli comportanti demolizioni e ricostruzioni di pareti divisorie, di pavimenti o di servizi igienici, la realizzazione di scale interne e la formazione di servizi igienici (Cfr. Consiglio Stato , sez. V, 23.01.1984 , n. 649).
Ed “è pacifico che per le opere di manutenzione non occorre la concessione edilizia e non può essere ordinata la demolizione. Infatti, le norme vigenti all'epoca dell'adozione dell'atto impugnato (art. 48, l. n. 47 del 1985) prevedevano che gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria fossero soggetti non a concessione edilizia, bensì ad autorizzazione del Sindaco e le opere eseguite senza autorizzazione erano soggette non alla demolizione bensì alla sanzione pecuniaria (art. 9, l. n. 47 del 1985)” (Cfr. TAR Campania Napoli, sez. VII, 23.07.2008, n. 9192)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 24.07.2009 n. 7509 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALaddove l'intervento progettato vada ascritto alla ristrutturazione -compreso il caso in cui si alteri anche solo sotto il profilo della distribuzione interna l'originaria consistenza fisica di un immobile- occorre dotare gli appartamenti, ricavati dal frazionamento mediante strutture murarie, dei servizi accessori ad uso abitativo e di spazi pertinenziali, con il conseguente incremento del carico urbanistico.
Poiché si versa in un’ipotesi di ristrutturazione globale dell’immobile è legittima la pretesa del Comune di calcolare il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione in relazione non solo all’incremento di s.u. ma, altresì, alla superficie utile già esistente ma funzionalmente necessaria alla creazione di siffatto nuovo e diversamente articolato complesso immobiliare.

L’intervento edilizio in questione ha ad oggetto la trasformazione dell’organismo edilizio preesistente mediante demolizione e ricostruzione di un fabbricato a destinazione residenziale e commerciale e di recupero a fini abitativi di sottotetto.
Il progetto prevede, in particolare, la realizzazione di un nuovo piano seminterrato (adibito a cantine e box), la formazione di un nuovo piano rialzato (9 laboratori), un primo piano (6 appartamenti e un laboratorio), un trasferimento di s.l.p. ad uso residenziale dal primo e secondo piano al secondo piano e la formazione di un nuovo corpo al secondo piano e il recupero a fini abitativi del sottotetto (5 appartamenti).
L’intervento è da qualificarsi quale ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione.
Che non si tratti di un intervento ascrivibile alla ristrutturazione semplice è, difatti, evincibile, oltre che dalle risultanze dell’attività istruttoria compiuta del Comune di Milano dalla stessa relazione tecnica allegata all’istanza di permesso di costruire, in cui è prevista espressamente la realizzazione di opere di demolizione e la costruzione di un organismo edilizio sostanzialmente nuovo.
Sono, d’altro canto, gli stessi ricorrenti a parlare in più occasioni di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione: il ricorso e, in particolare, la censura formulata con il quarto motivo –con cui viene lamentata l’equiparazione ad opera della deliberazione del C.C. di Milano n. 13/2007 delle tariffe dovute per gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione a quelle previste per gli interventi di nuova costruzione– sono impostati sul presupposto di una qualificazione dell’intervento quale ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione e non quale semplice ristrutturazione.
L’intervento, finalizzato alla ristrutturazione generale e globale dell’edificio con incremento delle unità abitative rispetto a quelle esistenti, comporta un evidente maggior carico urbanistico ed è pertanto soggetto al pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Un aggravio del carico urbanistico, in relazione alla maggiore dotazione di servizi che l'opera assentita determina nell'area in cui viene realizzata, è, difatti, legato all’incremento della superficie utile, all’aumento delle unità immobiliari e, comunque, alla realizzazione di un organismo edilizio sostanzialmente nuovo.
La giurisprudenza è, al riguardo, concorde nel ritenere che, laddove l'intervento progettato vada ascritto alla ristrutturazione -compreso il caso in cui si alteri anche solo sotto il profilo della distribuzione interna l'originaria consistenza fisica di un immobile- occorra dotare gli appartamenti, ricavati dal frazionamento mediante strutture murarie, dei servizi accessori ad uso abitativo e di spazi pertinenziali, con il conseguente incremento del carico urbanistico (cfr. Tar Emilia Romagna, sentenza 02.11.1999, n. 540).
Poiché si versa in un’ipotesi di ristrutturazione globale dell’immobile è, inoltre, legittima la pretesa del Comune di calcolare il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione in relazione non solo all’incremento di s.u. ma, altresì, alla superficie utile già esistente ma funzionalmente necessaria alla creazione di siffatto nuovo e diversamente articolato complesso immobiliare (cfr. Tar Emilia Romagna, 27/04/2005, n. 664)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa ristrutturazione previa demolizione presuppone in sede di riedificazione il rispetto della sagoma e della volumetria del manufatto preesistente.
Per le opere di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione, il rispetto della sagoma è richiesto perché, eliminati tutti gli elementi materiali dell'edificio preesistente, essa è il solo elemento fisico che permette di individuare quel collegamento con l'edificio abbattuto che costituisce la ratio della qualificazione di un intervento come di ristrutturazione edilizia.

Ai sensi dell’art. 3, lett. d), del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (come modificato dall’art. 1 del D.Lgs. 27.12.2002, n. 301) sono «interventi di ristrutturazione edilizia» quelli volti a “trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
Quindi, secondo la norma menzionata, la ristrutturazione previa demolizione presuppone in sede di riedificazione il rispetto della sagoma e della volumetria del manufatto preesistente (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10.04.2008, n. 1550).
Sul punto si è osservato che, per le opere di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione, il rispetto della sagoma è richiesto perché, eliminati tutti gli elementi materiali dell'edificio preesistente, essa è il solo elemento fisico che permette di individuare quel collegamento con l'edificio abbattuto che costituisce la ratio della qualificazione di un intervento come di ristrutturazione edilizia (TAR Lombardia, Milano, 16.01.2009, n. 153).
Inoltre, l’ampliamento o la riduzione del volume o la modifica della sagoma del fabbricato comporterebbero il venir meno della finalità della normativa statale, che consiste nel recupero del patrimonio esistente mediante la liberalizzazione degli interventi sul patrimonio immobiliare, al fine di migliorare e ammodernare i fabbricati più vecchi e malridotti, mantenendone tuttavia inalterati i valori estetici e funzionali.
Ulteriori perplessità in ordine all'ampliamento del concetto di ristrutturazione fino a comprendervi anche le modifiche di sagoma, deriva dal regime giuridico connesso agli interventi di ristrutturazione. Infatti è opinione comune della giurisprudenza (TAR Puglia, Bari, 22.07.2004 n. 3210) che per la ristrutturazione edilizia, anche mediante ricostruzione dell'edificio demolito, restano ferme le norme urbanistiche vigenti al tempo in cui venne rilasciato l'originario titolo edilizio, con la conseguenza che non sono applicabili le prescrizioni ed i vincoli imposti dagli strumenti urbanistici sopravvenuti. Invero, la ratio di questa disciplina tipica della ristrutturazione edilizia è quella di favorire l'attuazione di tutti quegli interventi migliorativi del patrimonio edilizio esistente che lasciano inalterato il tessuto urbanistico ed architettonico preesistente, ancorché difformi dalle nuove norme che regolano l'attività di trasformazione del territorio.
Alle considerazioni esposte consegue che, trattandosi di costruzione non rispettosa della volumetria e sagoma del fabbricato preesistente (Consiglio di Stato, Sez. VI, 16.12.2008, n. 6214), l’intervento edilizio in questione deve essere correttamente qualificato come nuova edificazione, sottoposta alla disciplina contenuta nel punto 22 delle N.T.A. e, per l’effetto, esso non poteva essere assentito in quanto recante superficie inferiore a quello prescritto dalla disciplina urbanistica (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 23.07.2009 n. 4275 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione edilizia - Interventi rivolti a trasformare i manufatti - Permesso di costruire – Necessità – Fattispecie: Apertura di una porta al posto di una preesistente finestra - Art. 3, c. 1, lett. d), D.P.R. n. 380/2001, (mod. dal D.Lgs. n. 301/2002).
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d) (modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002) definisce ristrutturazione edilizia gli interventi rivolti a trasformare i manufatti attraverso un insieme sistematico di opere che possono condurre ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi possono comportare il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio e la eliminazione, la modifica, l'inserimento di nuovi elementi o impianti. Nella specie, l'apertura di una porta al posto di una preesistente finestra necessita del preventivo rilascio del permesso di costruire, non essendo sufficiente la mera denuncia d'inizio attività poiché si tratta d'intervento edilizio comportante una modifica dei prospetti, in quanto tale non qualificabile come ristrutturazione edilizia "minore" (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.01.2009 n. 834 - link a www.ambientediritto.it).

dossier RIFIUTI E BONIFICHE

AMBIENTE-ECOLOGIA: Per poter legittimamente ordinare ad un proprietario la rimozione dei rifiuti da un determinato luogo, è previamente necessario aver identificato il collegamento tra un’azione od un’omissione, da lui posta in essere dolosamente o colposamente, e lo stato di abbandono dei rifiuti sul luogo.
Per poter legittimamente ordinare ad un proprietario la rimozione dei rifiuti da un determinato luogo, è previamente necessario aver identificato il collegamento tra un’azione od un’omissione, da lui posta in essere dolosamente o colposamente, e lo stato di abbandono dei rifiuti sul luogo (cfr., di recente, TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, n. 78 del 2008; TAR Basilicata, n. 651 del 2007), con esclusione di qualsivoglia aspetto di responsabilità oggettiva o “di posizione” in capo al proprietario unicamente per effetto della sua posizione dominicale (TAR Toscana, sez. II, n. 3279 del 2007) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 27.07.2009 n. 2094 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - RIFIUTI - Ordine di rimozione, smaltimento e riduzione in pristino - Proprietario - Colpa - Amministratore della società proprietaria -Deposito di detriti - Rapporto con la responsabilità penale - Fatto illecito dell’ausiliario o del preposto - Culpa in eligendo e in vigilando.
A fronte della presenza di una certa fonte di inquinamento è indiscusso ed indiscutibile che l’amministrazione possa ordinarne la rimozione, lo smaltimento e la riduzione in pristino dell’area anche al proprietario, in solido con il responsabile dell’inquinamento, qualora in capo al primo sia ravvisabile un profilo di dolo o di colpa, a prescindere dalla diretta responsabilità per l’inquinamento ovvero l’accumulo sul luogo.
Ovviamente il profilo di colpa rilevante ai fini per cui è causa non è necessariamente coincidente con la commissione di un fatto penalmente rilevante; al di là del fatto che sia o meno ascrivibile all’amministratore della società una fattispecie di reato per il materiale deposito dei detriti, ben potrebbe comunque ravvisarsi una responsabilità colposa omissiva sotto il profilo civilistico, non solo nel proprietario che tollera il deposito di materiale ignoto da parte di ignoti pure colti sul fatto sul proprio terreno, ma ancor di più di colui che civilisticamente risponde del fatto illecito del proprio ausiliario o preposto per non averne controllato debitamente l’operato, e quindi per culpa vuoi in eligendo vuoi in vigilando (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.07.2009 n. 2067 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Non può considerarsi legittimo l’accollo indifferenziato delle attività e degli oneri di bonifica di un sito contaminato sui produttori che in esso operano, senza il preventivo accertamento, con procedimento partecipato, delle relative responsabilità per l’inquinamento riscontrato.
La Sezione ritiene preliminarmente di ribadire (27.01.2009, n. 408) in via generale come il principio comunitario “chi inquina paga”, piuttosto che ricondursi alla fattispecie illecita integrata dal concorso dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa e dall’elemento materiale, imputi il danno a chi si trovi nelle condizioni di controllare i rischi, cioè imputa il costo del danno al soggetto che ha la possibilità della “cost-benefit analysis”, per cui lo stesso deve sopportarne la responsabilità per essersi trovato, prima del suo verificarsi, nella situazione più adeguata per evitarlo in modo più conveniente.
Prima della riforma della materia operata per mezzo del Decr. Legisl. n. 152/2006, non mancavano oscillazioni tra pronunce tese a sostenere che tale principio avesse meramente valore programmatico e fosse insuscettibile di trovare applicazione nell’Ordinamento statuale interno, e pronunciamenti di segno opposto, questi ultimi prevalenti soprattutto nella giurisprudenza penale (cfr. TAR Emilia Romagna, Bologna, I, 5.2001, n. 300; 03.03.1999, n. 86; Cass. Pen., III, 13.10.1995, n. 11336; 24.04.1995, n.7690).
Proprio questa Sezione (05.07.2007, n. 6526) ebbe ad affermare il carattere meramente programmatico, potendo dunque essere utilizzato in funzione interpretativa ma non quale regola specifica per la soluzione del caso non regolato, del principio stabilito dall’art. 130 del Trattato di Maastricht; tuttavia, dopo l’auspicio espresso in sede di parere (Cons. Stato, sez. consult., 05.11.2007, n. 3838) circa l’inserimento nel Codice dell’ambiente dei principi di prevenzione e correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente, del principio “chi inquina paga” nonché del principio precauzionale, nessuno più dubita della piena vigenza del principio “chi inquina paga” in tutti i procedimenti amministrativi in corso laddove non si sono prodotti diritti quesiti o comunque effetti definitivi.
Quando, pertanto, la decisione amministrativa inerisce ad una ripartizione di oneri finanziari, allora nessun effetto definitivo può dirsi ancora consolidato nel procedimento in itinere relativamente all’aspetto “in danno” alle aziende, ovvero a loro carico; perciò i relativi costi devono essere addossati ai responsabili dell’inquinamento e questo è un dato di indagine del tutto non compromesso dallo stato del procedimento al momento dell’entrata in vigore della nuova norma. Non può dunque considerarsi legittimo l’accollo indifferenziato delle attività e degli oneri di bonifica di un sito contaminato sui produttori che in esso operano, senza il preventivo accertamento, con procedimento partecipato, delle relative responsabilità per l’inquinamento riscontrato.
Nei casi di cui alle presenti controversie trova poi margine di applicazione il principio generale di proporzionalità, principio che, come è noto, si attaglia particolarmente alla materia delle limitazioni del diritto di proprietà, della attività di autotutela, delle ordinanze di necessità ed urgenza, delle irrogazione di sanzioni e, appunto, della tutela ambientale (Cons. Stato, IV, 22.03.2005, n. 1195): in base ad esso la Pubblica Amministrazione deve adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti e si risolve, in buona sostanza, nell'affermazione secondo cui le autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, sia con atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare, sì che il provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato all'obiettivo da perseguire e necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, VI, 06.03.2007, n. 1736).
E’ poi significativo che il recente D.Lgs. n. 152/2006 rimarchi, sotto il versante delle tecniche di intervento, l’importanza del principio comunitario della sostenibilità dei costi: principio che, in buona sostanza, è correlato a quello di proporzionalità. Similmente, alla stregua del principio di precauzione che trova origine nei procedimenti comunitari posti a tutela dell’ambiente, è consentito all’Amministrazione procedente adottare i provvedimenti necessari laddove essa paventi il rischio di una lesione ad un interesse tutelato anche in mancanza di un rischio concreto: è evidente che questo secondo principio deve armonizzarsi, sul versante della concreta applicazione, con il primo, cioè con il principio di proporzionalità, non potendo chiaramente prefigurarsi la prevalenza del primo sul secondo, ma dovendosi ricercare un loro equilibrato bilanciamento in relazione agli interessi pubblici e privati in giuoco. Conseguentemente tutte le decisioni adottate dalle competenti autorità in materia ambientale devono essere assistite -in relazione, per l’appunto, alla pluralità ed alla rilevanza degli interessi in giuoco- da un apparato motivazionale particolarmente rigoroso, che tenga conto di una attività istruttoria parimenti ineccepibile.
I
n tema di danno ambientale, si è sostenuto che la responsabilità oggettiva sarebbe più efficace nel tutelare il valore dell’ambiente, rispetto al modello tradizionale della responsabilità per colpa; in altri termini, considerato l’attuale livello di sviluppo tecnologico e commerciale, sarebbe necessario addossare i rischi per danni in capo a coloro che possiedono i mezzi per farvi fronte e, soprattutto, hanno un potere di controllo sulle fonti produttive di rischi, effettivi o anche solo potenziali, per rendere effettiva la prevenzione e, in caso di accadimenti lesivi, la ristorazione delle posizioni soggettive, private o pubbliche, eventualmente incise. Tuttavia la natura “oggettiva” della responsabilità non esclude certamente che si debba verificare ed accertare il presupposto causale della stessa, ossia l’avvenuto inquinamento “imputabile” come nesso eziologico all’impresa ed alla sua attività, tanto più che il nuovo quadro normativo impone sotto differenti profili di escludere che il responsabile della bonifica –ovvero del danno ambientale– possa essere individuato solo in virtù del rapporto esistente tra un determinato soggetto e l’apparato produttivo esistente nel terreno inquinato. Va quindi esclusa qualsiasi responsabilità “da posizione” che non può configurarsi surrettiziamente neppure con riferimento ai “vantaggi” connessi all’esercizio di un’impresa (TAR Sicilia, Catania, I, 20.07.2007, n. 1254) TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 03.07.2009 n. 3727 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Proprietario - Ordinanza di rimozione - Elemento soggettivo - Dolo o colpa.
In forza dell’art. 192 D.L.vo 03.04.2006 n. 152, in caso di riversamento di rifiuti su un sito da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque il titolare in uso di fatto del terreno non può essere chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area se non viene individuato a suo carico l'elemento soggettivo del dolo o della colpa, per cui lo stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino.
RIFIUTI - Abbandono - Ordinanza di rimozione - Competenza dirigenziale - Art. 107 T.U. n. 267/2000.
Ai sensi dell'art. 107, comma 5, T.U. 18.08.2000, n. 267, rientra nella competenza del dirigente, e non del Sindaco, l'adozione dell'ordinanza di rimozione di rifiuti rivolta al proprietario di un'area sulla quale gli stessi sono stati abbandonati (TAR Basilicata 23.05.2007 n. 457) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 09.06.2009 n. 3159 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Art. 14 d.lgs. n. 22/1997, oggi art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Ordine di smaltimento rivolto al proprietario - Corresponsabilità con l’autore dell’illecito abbandono - Imputabilità a titolo di dolo o colpa - Fattispecie: omessa recinzione del fondo.
L’art. 14 del d.lgs.vo 05.02.1997, n. 22 (attualmente trasfuso nell’art. 192 del d.lgs.vo 03.04.2006, n. 152), è pacificamente interpretato dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che è illegittimo l'ordine di smaltimento di rifiuti rivolto al proprietario di un fondo inquinato in quanto tale, atteso che la responsabilità di tale soggetto sorge esclusivamente se lo stesso può ritenersi titolare di un obbligo specifico, che può desumersi esclusivamente da un comportamento, anche omissivo, di corresponsabilità con l'autore dell'illecito abbandono, cosicché l'amministrazione deve fornire adeguata dimostrazione, attraverso un'istruttoria completa ed un'esauriente motivazione, dell'inquinamento avvenuto in area ben individuata ed appartenente in modo certo ad un determinato soggetto, al quale l'abbandono dei detti rifiuti sia addebitabile a titolo di dolo o colpa (ex plurimis Consiglio Stato, V, 04.03.2008, n. 807; II, 13.07.2005, n. 4310; II, 25.05.2005, n. 3602; TAR Emilia Romagna, II, 22.01.2008, n. 78; TAR Sardegna, II, 18.05.2007, n. 975; TAR Campania Napoli, V, 16.04.2007, n. 3727) (fattispecie relativa all’omessa recinzione di un fondo, confinante con la strada provinciale e pertanto agevolmente raggiungibile, ove erano riversati rifiuti di vario tipo: il TAR ha ritenuto sussistere la responsabilità per colpa) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 04.06.2009 n. 1006 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Obbligo di rimozione - Proprietario - Elemento soggettivo - Fattispecie: abbandono di pneumatici da parte del conduttore del fondo.
L'articolo 192 del D. lgs. 152 del 2006 (che ha sostanzialmente recepito lo stesso principio contenuto nel previgente articolo 9 del D.P.R. 10/09/1982, n. 915, nonché dell'articolo 14 del decreto legislativo 05/02/1997, n. 22) dispone che l'obbligo di procedere alla rimozione dei rifiuti abbandonati può gravare, in solido con il responsabile, anche a carico del proprietario e del titolare di diritti reali o personali di godimento solo se tale violazione sia anche a loro imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, da coloro che sono preposti al controllo (fattispecie relativa all’abbandono di pneumatici da parte del conduttore del fondo: la responsabilità del proprietario è stata esclusa in ragione del fatto che egli non ha la disponibilità del bene concesso in locazione né, di conseguenza, è consentita la facoltà di controllare adeguatamente l'operato del conduttore).
RIFIUTI - Responsabilità da inquinamento o abbandono di rifiuti - Fallimento - Riconsegna al proprietario del bene dato in locazione, onerato dai rifiuti prodotti dal conduttore - Rifiuto del proprietario - Legittimità - Oneri dello smaltimento - Procedura fallimentare - Bonifica mediante esecuzione d’ufficio - Insinuazione in danno.
Pur essendo quella del curatore una posizione caratterizzata da poteri limitati e finalizzati, il fallimento di per sé non muta l’attribuzione della responsabilità da inquinamento od abbandono di rifiuti, né può impedire al proprietario di rifiutare la riconsegna del bene onerata da rifiuti prodotti dal conduttore ancora da smaltire. Gli oneri dello smaltimento, se di pertinenza della società fallita, quindi, non possono essere esclusi dalla procedura fallimentare, eventualmente anche mediante lo strumento dell’insinuazione in danno da parte dell’Amministrazione nell’ipotesi in cui questa debba disporre la bonifica mediante esecuzione d’ufficio (si vedano TAR Lombardia, Milano, II, n. 1159/2005; TAR Toscana II, n. 1318/2001) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 04.06.2009 n. 878 - link a www.ambientediritto.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATA: Il potere di annullamento dell'autorizzazione paesistica -esercitato dalla Soprintendenza- non si sostanzia in un complessivo riesame delle valutazioni tecnico-discrezionali compiute dall'ente locale ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità che pone in risalto proprio la carenza della menzionata necessaria valutazione di merito da parte del Comune.
Il provvedimento comunale, di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, non risulta adeguatamente motivato con ricostruzione dell’iter logico seguito in ordine alle ragioni di compatibilità effettive e quindi non evidenzia con adeguato risalto l’interesse pubblico che ha determinato l’imposizione del vincolo.
Il potere di annullamento dell'autorizzazione paesistica esercitato nella fattispecie dalla Soprintendenza non si sostanzia in un complessivo riesame delle valutazioni tecnico-discrezionali compiute dall'ente locale, tale da comportare la eventuale illegittima sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità che pone in risalto proprio la carenza della menzionata necessaria valutazione di merito da parte del Comune.
Va comunque precisato che “Ove nel corso del procedimento di condono di un abuso edilizio e nell'esercizio del potere previsto dall'art. 82, d.lg. 24.07.1977 n. 616 (trasfuso nel t.u. 29.10.1999 n. 490 e poi nell'art. 146, d.lg. 22.01.2004 n. 42), la Soprintendenza annulli per difetto di motivazione l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal comune, quest'ultimo è titolare di un potere discrezionale, per il quale o ritiene che possa essere rilasciata una ulteriore autorizzazione paesaggistica, con una motivazione diversa da quella che ha condotto all'annullamento da parte dell'organo statale ovvero, anche sulla base delle valutazioni formulate da quest'ultimo, ritiene che non sussistano i presupposti per il rilascio di detta autorizzazione, ma in tal caso deve esporre le relative ragioni con adeguata motivazione, secondo i principi generali riguardanti l'esercizio delle pubbliche funzioni, e non può invece ingiungere senz'altro la demolizione del manufatto per il quale è stata proposta la domanda di condono, ma è tenuto a valutare se l'istanza (che da esso era già stata positivamente valutata sotto il profilo paesaggistico, con l'atto annullato per difetto di motivazione) è meritevole di essere accolta" (C.d.S. Sez. IV 28.04.2008 n. 1865) (TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 30.07.2009 n. 742 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E E AMBIENTALI - Art. 159 d.lgs. n. 42/2004 - Vincolo paesaggistico - Potere del Ministero per i beni culturali - Natura - Annullamento per motivi di legittimità - Riesame nel merito della valutazione dell’Ente delegato - Esclusione.
Il potere riconosciuto al Ministero per i beni Culturali ai sensi dell’articolo 82 del D.P.R. n. 616/1977 -ora articolo 159 del decreto legislativo n. 42/2004- è da intendersi quale espressione non già di un generale riesame nel merito della valutazione dell’Ente delegato, bensì di un potere di annullamento per motivi di legittimità, riconducibile al più generale potere di vigilanza, che il legislatore ha voluto riconoscere allo Stato nei confronti dell’esercizio delle funzioni delegate alle Regioni ed ai Comuni in materia di gestione del vincolo, fermo restando che il controllo di legittimità può riguardare anche tutti i possibili profili dell’eccesso di potere (da ultimo, Corte Cost., 07.11.2007, n. 367) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 02.07.2009 n. 3672 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Realizzazione di un parcheggio nei pressi di un luogo di culto - Parere negativo - Concertazione con le autorità religiose ex art. 19 d.lgs. n. 490/1999 - Necessità - Esclusione.
Il parere negativo sulla realizzazione di un parcheggio nei pressi di un edificio di culto non è certamente atto che possa interferire con l’esercizio del culto e che, in quanto tale, necessiti quella forma di “concertazione” prevista dall’art. 19 del d.lgs. n. 490/1999, la cui evidente ratio è quella di contemperare gli interessi religiosi di cui l’autorità ecclesiastica si fa portatrice con quelli culturali la cui tutela è rimessa alle autorità civili.
In nessun modo la mancata realizzazione del parcheggio può infatti impedire o limitare l’accesso dei fedeli alle funzioni religiose ed, in generale, essere d’impedimento o di ostacolo al culto; né alla norma può darsi la portata amplissima secondo cui l’ambito riconnesso alle esigenze del culto è talmente vasto da ricomprendere persino l’esistenza di una infrastruttura che non ha attinenza diretta alle funzioni religiose, quale un parcheggio seminterrato nelle vicinanze della chiesa (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 01.07.2009 n. 3623 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - BOSCHI E FORESTE - Taglio di bosco autorizzato - Danneggiamento ceppaie - Reato di cui all'art. 181 D.L.vo n. 42/2004 - Configurabilità.
In materia di tutela ambientale, qualsiasi modificazione del territorio, al di fuori delle ipotesi consentite, purché astrattamente idonea a ledere il bene protetto, configura il reato di cui all'articolo 181 del decreto legislativo n 42 del 2004.
Quindi anche il decespugliamento, il disboscamento, il taglio o la distruzione di ceppaie, al di fuori di qualsiasi pratica colturale ed in assenza di autorizzazione o in difformità da essa, configura il reato di cui all'articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (cfr Cass. n. 29483/2004, Cass. n. 35689/2004, Cass. n. 16036/2006).
Il possesso dell’autorizzazione per il taglio di un bosco non legittima il danneggiamento delle ceppaie (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.05.2009 n. 20138 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Costruzione iniziata in zona agricola sottoposta a vincolo idrogeologico, sismico ed ambientale senza concessione edilizia e nulla osta paesaggistico - Sanzioni applicabili - Art. 181 D. L.vo n. 42/2004 (in precedenza art. 163 d. l.gs. n. 490/1999 prima l'art 1-sexies L. n. 431/1985) - Art. 3, c. 1, lett. b), D. L.vo n. 63/2008 - Art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001.
L'articolo 181 del d.lgs. n. 42 del 2004 (in precedenza art. 163 del decreto legislativo n. 490/1999 ed ancora prima l'articolo 1-sexies della legge n.431/1985), punisce colui il quale senza alcuna autorizzazione o in difformità da essa esegue su beni paesaggistici lavori di qualsiasi genere.
Con l'ampia locuzione di lavori di qualsiasi genere si intendono non solo gli interventi edilizi, ma qualsiasi modificazione esterna dello stato dei luoghi, anche minima, purché astrattamente idonea a ledere il bene protetto. La norma non distingue tra difformità totale o parziale rispetto all' autorizzazione o variazione essenziale. Di conseguenza per qualsiasi modificazione la sanzione è unica ed e quella di cui all'art 44, lettera c), del testo unico sull'edilizia (in precedenza articolo 20, lettera c), legge n. 47 del 1985).
Infine, il legislatore, ha puntualizzato con l'art. 3, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 63 del 2008, che l'unica sanzione applicabile è quella di cui alla lettera c) dell'articolo 44 del D.P.R. n. 380/2001, testo unico sull'edilizia. Nella fattispecie, oltre ad alcune opere interne, per lo più irrilevanti ai fini della configurabilità del reato paesaggistico sono state compiute opere esterne di significativo impatto ambientale, quali ad esempio la demolizione della canna fumaria, l'omessa realizzazione di tamponamenti, la pavimentazione esterna, l'intonacatura esterna (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.05.2009 n. 19077 - link a www.ambientediritto.it).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: Il termine decennale di decadenza, dei piani attuativi,  si applica solo alle disposizioni di contenuto espropriativo e non anche alle prescrizioni urbanistiche, che rimangono operanti e vincolanti senza limiti di tempo, fino alla eventuale approvazione di nuovo piano attuativo.
Osserva il Collegio che, vero che il p.d.l. è scaduto (art. 9 L. n. 167 del 1962), ma ciò non ha ripercussioni sul regime urbanistico delle aree.
E’ giurisprudenza pacifica, infatti, che, ai sensi dell’art. 16 L. n. 1150 del 1942, applicabile anche ai piani di lottizzazione, il termine decennale di decadenza si applica solo alle disposizioni di contenuto espropriativo e non anche alle prescrizioni urbanistiche, che rimangono operanti e vincolanti senza limiti di tempo, fino alla eventuale approvazione di nuovo piano attuativo (Cons. St. IV 02/06/2000 n. 3172 e 23/07/2007 n. 667).
In più l’area de qua è soggetta non al regime della espropriazione, ma alla mera cessione secondo la disciplina della convenzione di lottizzazione, con la conseguenza che il Comune non ha perso il potere di formalizzare la cessione e di disporre dell’area in assenza finora di azioni per la sua decadenza (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 31.07.2009 n. 1968- link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa comunicazione del parere sfavorevole della Commissione edilizia costituisce rigetto della relativa domanda ed è pertanto immediatamente impugnabile.
Costituisce indirizzo giurisprudenziale costante, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi nel caso di specie, quello secondo cui la comunicazione del parere sfavorevole della Commissione edilizia costituisce rigetto della relativa domanda ed è pertanto immediatamente impugnabile (cfr., da ultimo e per tutte, Cons. Stato, sez. V, 23.01.2007 e TAR Campania, Napoli, sez. IV, 20.11.2006, n. 9983), e ciò perché, se è vero che la comunicazione del parere favorevole della Commissione Edilizia non ha valore di rilascio della concessione, non altrettanto può dirsi della comunicazione del parere contrario, che -se effettuata da parte dell'organo competente a rilasciare il titolo abilitativo richiesto- costituisce manifestazione della volontà di aderire alla decisione negativa della Commissione e, quindi, avendo tutti gli elementi necessari del diniego, costituisce atto immediatamente lesivo ed autonomamente impugnabile (questo TAR sentenza n. 1994 del 2008) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 30.07.2009 n. 4229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'asservimento della volumetria realizzabile su un lotto a favore di un altro, per consentire in quest’ultimo una maggiore edificabilità, è consentito solo per lotti aventi la medesima destinazione urbanistica.
E’ pacifico in giurisprudenza che vi è asservimento allorquando un’area non sia semplicemente, in via di fatto, a servizio di un edificio ma abbia giuridicamente ricevuto tale destinazione attraverso uno strumento urbanistico ovvero le norme del regolamento edilizio ovvero un impegno privato: per effetto di ciò, il fondo asservito resta inedificabile (C.S., V, n. 1278/2003).
Inoltre, l’asservimento della volumetria realizzabile su un lotto a favore di un altro per consentire in quest’ultimo una maggiore edificabilità è consentito solo per lotti aventi la medesima destinazione urbanistica, in quanto l’opposta soluzione comporterebbe una evidente alterazione delle norme che mirano a realizzare determinate caratteristiche tipologiche della zona (C.S. V Sez., n. 1172/2003, n. 530/1991) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 30.07.2009 n. 4229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' legittima la demolizione di un'opera per il solo fatto che sia abusiva e che sull'area di edificazione insista il vincolo paesaggistico ex D.Lgs. n. 42/2004.
Il rimedio della demolizione appare imposto dall’assoluta abusività delle opere in questione (edificazione di un manufatto a forma rettangolare delle dimensioni di m 7,50 x 2,80, h. 2,80) e per l’insistenza sul territorio isolano del vincolo paesistico ai sensi del D.Lgs. 42/2004 (cfr. art. 27, co. 2, D.P.R. 380/2001 nella parte in cui dispone: «qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30.12.1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16.06.1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa»).
La vincolatezza del provvedimento di demolizione peraltro, come affermato dal costante orientamento giurisprudenziale, rende superflua e non dovuta una puntuale motivazione essendo sufficiente l’aver evidenziato la violazione del regime vincolistico (cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n. 9718) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 29.07.2009 n. 4477 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa chiusura di un “pergolato” con degli infissi, per quanto asseritamente amovibili, è tale da consolidare la struttura in questione rendendola, di fatto, un locale chiuso fruibile autonomamente, il che si sostanzia, evidentemente, in un aumento di volumetria.
In merito all’avvenuta presentazione di istanza di sanatoria, va detto che, diversamente da quanto asserito in ricorso, è stata presentata un’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 37 D.P.R. d.lgs. 380/2001 (“interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività e accertamento di conformità”) anziché ex art. 36 del medesimo testo legislativo (relativo all’accertamento di conformità delle opere eseguite in assenza di permesso di costruire o, anche di D.I.A. ma nei casi particolari di cui all’art. 22, co. 3, pacificamente non ricorrenti nel caso di specie).
Tanto basterebbe a ritenere la censura infondata in fatto, per l’evidente rilevanza del diverso riferimento normativo in base a cui è stata effettivamente richiesta la sanatoria.
Può dirsi, però, nel merito, che non appare applicabile l’art. 37 D.P.R. 380/2001 in quanto l’intervento edilizio già menzionato, per quanto relativo a un’area ove già insisteva un pergolato di legno, non è assentibile in base alla presentazione di una mera denuncia di inizio attività.
In primo luogo, infatti, lo stesso pergolato, costituito da legno e muratura, non sembra essere stato giammai assentito da parte delle competenti autorità, né è dimostrata l’inapplicabilità del regime autorizzatorio alla struttura per l’eventuale risalenza della stessa ad epoca anteriore al 1967; è evidente che la preesistenza di un’immobile già abusivo non può servire a lucrare un regime autorizzatorio più favorevole per gli ulteriori interventi posti in essere sul medesimo.
D’altro canto la chiusura del medesimo “pergolato” con degli infissi, per quanto asseritamente amovibili, è tale da consolidare la struttura in questione rendendola, di fatto, un locale chiuso fruibile autonomamente, il che si sostanzia, evidentemente, in un aumento di volumetria.
Quanto precede dimostra la necessità del permesso di costruire e dell’attivazione della procedura di sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/2001 in luogo di quella di cui all’art. 37 del medesimo Testo Unico (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 29.07.2009 n. 4477 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa precarietà va esclusa allorché si tratti di un manufatto destinato a dare utilità prolungata nel tempo e ciò indipendentemente dai materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio.
Proprio in relazione al tipo di opera posta in essere -una casa mobile su ruote appoggiata al suolo- l’obbligatorietà di munirsi del preventivo titolo abilitativo è espressamente prevista dalla normativa urbanistico-edilizia recata dalla legge regionale n. 1/2005, lì dove l’art. 78 stabilisce espressamente che: ”sono considerate trasformazioni urbanistiche ed edilizie soggette a permesso di costruire, in quanto incidono sulle risorse essenziali del territorio ….: b) l’installazione di manufatti anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, quali esplicitamente risultino in base alle vigenti disposizioni”.
Il legislatore, quindi, ha di per sé considerato l’installazione delle strutture del genere come quelle qui in rilievo (roulotte, case mobili) come meritevoli di essere assoggettate al preventivo rilascio del permesso di costruire e tanto in ragione del fatto che, indipendentemente dal materiale, dalla forma e dalle modalità di appoggio al suolo, tali manufatti per le loro caratteristiche oggettive di occupare un volume vanno significativamente ad incidere sull’assetto del territorio e quindi devono essere debitamente autorizzate.
Sul punto, peraltro, la giurisprudenza si è espressa a proposito della questione della precarietà, condizione, che da sé manda esente dall’obbligo di munirsi di permesso e a tale proposito va ribadito il principio già espresso in analoghe circostanze da questa Sezione secondo cui la precarietà va esclusa allorché si tratti di un manufatto destinato a dare utilità prolungata nel tempo e ciò indipendentemente dai materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio (cfr. 21/11/2000 n. 2346).
Ebbene, le opere in questione per la loro consistenza e caratteristiche costruttive appaiono oggettivamente destinate ad esigenze non temporanee, bensì ad un utilizzo abitativo permanente e duraturo.
Il fatto che siano destinate ad ospitare una persona affetta da disabilità, tale circostanza ancorché avente un suo rilievo etico-affettivo assolutamente apprezzabile, non vale a giustificare legittimamente l’avvenuta realizzazione dei manufatti stessi in assenza di titolo abilitativo.
In presenza quindi di opere abusivamente eseguite, per lo più in area sottoposte ad un regime di tutela 8 vincolo idrogeologico e paesaggistico che vieta quale che sia intervento senza autorizzazione, il Comune non poteva non adottare la misura demolitoria-ripristinatoria volta appunto a rimuovere dal suo territorio opere che in quanto non preventivamente autorizzate, contrastano con la normativa urbanistica (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 29.07.2009 n. 1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento che dispone l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dei beni abusivamente realizzati costituisce un atto dovuto, la cui adozione è stata imposta una volta accertata la non avvenuta ottemperanza al presupposto provvedimento demolitorio.
E’ indubbio che il provvedimento in discussione (ndr: che dispone l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dei beni abusivamente realizzati) costituisca un atto dovuto, la cui adozione è stata imposta una volta accertata la non avvenuta ottemperanza al presupposto provvedimento demolitorio.
Parte ricorrente lamenta il fatto che l’acquisizione ha riguardato anche il terreno sottostante ed immediatamente adiacente, ma è la legge stessa (art. 132 della legge regionale n. 1/2005) a prevedere che l’effetto ablatorio comprenda oltreché le strutture emergenti anche l’area di sedime su cui insistono le opere stesse nella misura prevista dalla normativa dettata in tema di abusi edilizi e comunque va osservato come la previsione dell’acquisizione delle relative superfici era già contenuta nel pregresso provvedimento n. 15/2006 senza che gli interessati abbiano in sede di impugnativa di quell’atto mosso alcun rilievo.
Quanto al vizio procedurale dedotto, lo stesso non sussiste in quanto il TAR aveva circoscritto nel tempo gli effetti sospensivi dell’ordinanza di demolizione (nei limiti del periodo estivo), sicché una volta trascorso il periodo in questione, s’imponeva a carico dei destinatari della misura ripristinatoria procedere a dare esecuzione all’ordine impartito (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 29.07.2009 n. 1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’atto di revoca di un pregresso provvedimento amministrativo favorevole deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione all'interessato dell'avvio del relativo procedimento.
Ai sensi dell'art. 7, l. 07.08.1990 n. 241 e in applicazione dei principi generali sul giusto procedimento, ai quali la Pubblica amministrazione è tenuta a conformarsi allorché adotta atti di autotutela o di ritiro, l’atto di revoca di un pregresso provvedimento amministrativo favorevole deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione all'interessato dell'avvio del relativo procedimento per consentire al ricorrente di esporre le sue difese e di interloquire con l'amministrazione, con argomentazioni astrattamente idonee ad influire sulle determinazioni di questa (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 30.12.2008, n. 6603).
La mancata osservanza della formalità garantistica può essere giustificata da particolari esigenze di urgenza, ma esse devono essere adeguatamente esternate, anche al fine di consentire il controllo giurisdizionale del potere esercitato dall'amministrazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 28.07.2009 n. 4472 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'atto meramente confermativo non configura un’autonoma determinazione dell’amministrazione, di contenuto identico ad altra precedente, ma rappresenta soltanto la manifestazione della decisione dell’amministrazione di non ritornare su scelte già effettuate.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l’atto meramente confermativo non configura un’autonoma determinazione dell’amministrazione, di contenuto identico ad altra precedente, ma rappresenta soltanto la manifestazione della decisione dell’amministrazione di non ritornare su scelte già effettuate; esso, quindi, non riapre i termini per impugnare, in quanto la mancata impugnazione del primo atto lesivo (e, quindi, il definitivo consolidamento degli effetti da questo prodotti) rende inutile la caducazione del successivo atto confermativo.
Il nuovo atto assume, invece, natura e valore di conferma in senso proprio quando l’amministrazione, dopo aver riconsiderato i requisiti di fattispecie, si esprima ancora in senso negativo. In tal caso, l’amministrazione non si limita alla constatazione di fatto dell’esistenza di un precedente provvedimento, ma dà vita ad un autonomo procedimento, esaminando nuovamente la situazione di fatto e di diritto. Secondo la giurisprudenza amministrativa, allorquando l'amministrazione, sulla scorta di un supplemento istruttorio e di una nuova motivazione, mostri di voler confermare le volizioni espresse in un atto precedente, il conseguente provvedimento avrà valore di atto di conferma e non di atto meramente confermativo.
La conferma in senso proprio, sebbene pervenga alle stesse conclusioni cui era giunto il precedente provvedimento e ne reiteri le statuizioni, è, quindi, un atto che si sostituisce al precedente, come fonte di disciplina del rapporto amministrativo. Il vecchio provvedimento è così assorbito dal nuovo, che viene ad operare in sostituzione del primo.
Da tali premesse discende la conseguenza che il nuovo provvedimento dovrà considerarsi pienamente impugnabile con riferimento ad ogni aspetto, anche per tutto ciò che in esso possa risultare recepito dal primo, e che l’eventuale annullamento giurisdizionale dell’atto di conferma propria implica anche il travolgimento dell’atto confermato (ormai assorbito), a prescindere dal fatto che questo sia stato, o meno, autonomamente impugnato, lasciando così integro l’interesse dell’amministrato ad ottenere un diverso e satisfattivo assetto del rapporto controverso, non pregiudicato da alcuna pregressa statuizione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 28.07.2009 n. 4472 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Per avere uno specifico effetto vincolante le determinazioni del piano territoriale di coordinamento provinciale devono essere recepite dallo strumento di pianificazione comunale.
L’art. 15, l. Regione Lombardia n. 12/2005, demanda al p.t.c.p. la definizione degli obiettivi generali relativi all'assetto e alla tutela del proprio territorio connessi ad interessi di rango provinciale o sovracomunale o costituenti attuazione della pianificazione regionale e precisa che il p.t.c.p. è atto di indirizzo della programmazione socio-economica della provincia ed ha efficacia paesaggistico-ambientale.
Il piano territoriale di coordinamento provinciale ha, dunque, natura di atto di coordinamento e di indirizzo tipico della programmazione intermedia (Cons. Stato, sez. IV, 20.03.2000, n. 1493; TAR Emilia Romagna Parma, sez. I, 10.03.2008, n. 130; Tar Toscana, sez. III, 11.03.2004, n. 680).
Il rapporto tra la pianificazione provinciale e quella comunale non si pone in termini di gerarchia. La giurisprudenza è, difatti, concorde nell’affermare che la risalente nozione del sistema pianificatorio urbanistico come ordinato "a cascata" e cioè in forma sostanzialmente gerarchica si pone in contrasto con il principio costituzionale dell'autonomia degli enti territoriali (art. 118 Cost.) nonché con il criterio generale di riparto delle competenze in materia urbanistica delineato dalla normativa statale.
In un contesto ordinamentale in cui il principio di sussidiarietà, da un lato, e la spettanza al comune di tutte le funzioni amministrative che riguardano il territorio comunale, dall'altro, orientano i vari livelli di pianificazione urbanistica secondo il criterio della competenza, il ruolo del comune non può infatti essere confinato nell'ambito della mera attuazione di scelte precostituite in sede sovraordinata.
Ciò comporta che il Comune, se non può disattendere le prescrizioni di coordinamento dettate dagli enti (Regione o Provincia) titolari del relativo potere, può però discrezionalmente concretizzarne i contenuti (Cons. Stato, sez. IV, 01.10.2007, n. 5058).
Il p.t.c.p. si pone, dunque, per lo più, quale atto di indirizzo le cui determinazioni, per avere uno specifico effetto vincolante, dovranno essere recepite dallo strumento di pianificazione comunale (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.07.2009 n. 4467 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: In favore della competenza degli organi politici in luogo della dirigenza, relativamente alla firma di atti regolamentanti la circolazione stradale, milita l’ulteriore considerazione per cui i provvedimenti oggetto di impugnazione costituiscono non già meri atti di esecuzione di pregressi provvedimenti di programmazione, ma essi stessi si pongono come momenti di pianificazione e regolamentazione dell’uso del territorio, come tali in linea di principio necessariamente rientranti nelle attribuzioni degli organi di direzione politica dell’ente locale, tra cui figura nella fattispecie anche il Sindaco.
A seguito di una riunione concertativa, i sindaci dei comuni ricadenti nel territorio dell’isola di Ischia hanno stabilito modalità di restrizione del traffico veicolare, mediante al limitazione dell’autorizzazione alla circolazione, nel periodo estivo, ad un’unica autovettura per nucleo familiare.
Il dedotto motivo di incompetenza del sindaco non sussiste.
E’ stato in tal senso sostenuto che si tratterebbe di una attribuzione che l’art. 107 del D.lgs. 18.08.2000 n. 267 riserverebbe ormai alla dirigenza e non più agli organi politici dell’Amministrazione locale, essendo le previsioni di cui all’art. 7 del D.Lgs. 30.04.1992 n. 285 state modificate, quanto alla competenza, dalle nuove disposizioni generali in materia di riparto di competenze interne degli enti locali. Né, del resto, si sarebbe potuto trattare di un’ordinanza sindacale di carattere contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 54 del T.U.E.L., difettandone tutti i presupposti in fatto ed in diritto.
Osserva il Collegio che gli articoli 6 e 7 del d.lgs. 30.04.1992 n. 285 attribuiscono espressamente al sindaco il compito di individuare misure di limitazione del traffico veicolare.
Quanto alla sopravvenuta competenza dirigenziale in materia, si osserva che la previsione dell’art. 7, comma 9, del D.Lgs. 30.04.1992, sebbene di epoca anteriore rispetto alla disposizione normativa di cui all’art. 107 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267 in materia di competenze della dirigenza degli enti locali, resta comunque successiva rispetto all’introduzione nell’ordinamento del principio di separazione tra compiti degli organi di governo e compiti dei dirigenti, a suo tempo introdotta già con la legge 08.06.1990 n. 142; deve pertanto ritenersi che, rispetto al predetto principio, la disposizione de qua assume natura di lex posterior e, come tale, ben poteva proporsi come fattispecie derogatoria rispetto al preesistente principio di attribuzione di siffatte competenze alla dirigenza.
Inoltre, in favore della competenza degli organi politici in luogo della dirigenza, milita anche l’ulteriore considerazione per cui i provvedimenti oggetto di impugnazione costituiscono non già meri atti di esecuzione di pregressi provvedimenti di programmazione, ma essi stessi si pongono come momenti di pianificazione e regolamentazione dell’uso del territorio, come tali in linea di principio necessariamente rientranti nelle attribuzioni degli organi di direzione politica dell’ente locale, tra cui figura nella fattispecie anche il Sindaco, proprio in virtù del potere espressamente conferitogli dall’art. 7, comma 3, di individuare misure di regolamentazione del traffico cittadino (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 28.07.2009 n. 4426 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In qualunque tipo di gara, devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti quanto meno la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta.
In qualunque tipo di gara devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti quanto meno la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, che si tratti sia di documentazione amministrativa, sia di documentazione riguardante l'offerta tecnica, ovvero l'offerta economica, distinguendosi però tra procedure di aggiudicazione automatica, in cui il principio della pubblicità è generalmente totale nel senso che si applica anche all'apertura dei plichi, e procedure di aggiudicazione implicanti valutazioni tecnico-discrezionali per la scelta dell'offerta più vantaggiosa per l'Amministrazione sulla base di una pluralità di elementi tecnici ed economici, come nella specie, in cui all'apertura dell'offerta tecnica può procedersi in seduta riservata (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 04.03.2008, n. 901 e TAR Sicilia, Catania, sez. II, 10.02.2009, n. 290) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 28.07.2009 n. 2124 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso in cui, a seguito della notificazione di ordinanza comunale di demolizione delle opere abusive, l'interessato abbia provveduto alla presentazione dell'istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per le medesime opere, successivamente alla presentazione del ricorso giurisdizionale amministrativo avverso la detta ordinanza, il ricorso diviene improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla trattazione nel merito dello stesso.
Nel caso in cui, a seguito della notificazione di ordinanza comunale di demolizione delle opere abusive, l'interessato abbia provveduto alla presentazione dell'istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per le medesime opere, successivamente alla presentazione del ricorso giurisdizionale amministrativo avverso la detta ordinanza, il ricorso diviene improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla trattazione nel merito dello stesso, atteso che l'interesse del ricorrente si viene a concentrare nel nuovo procedimento amministrativo di sanatoria e che, anche in caso di eventuale rigetto della predetta istanza, il Comune dovrà, comunque, provvedere alla notificazione di una nuova ordinanza di demolizione, sulla quale verrà, pertanto, a incentrarsi l'interesse del ricorrente (cfr. nei termini da ultimo TAR Lazio Roma, sez. II, 05.09.2008, n. 8089)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 24.07.2009 n. 7509 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti pubblici - Procedure di gara - Requisiti di partecipazione - Requisiti soggettivi - Assenza di condanne penali - Condanne penali risalenti per reati depenalizzati - Condanne irrilevanti.
L’esclusione subita dall’appellante è illegittima. Premessa, ad avviso del Collegio, l’evidente tenuità delle tre vicende oggetto di depenalizzazione (conclusesi circa 35 anni fa con l’irrogazione di ammende di modesta consistenza) e premesso, altresì, che già da tale dato si può trarre la difformità dell’esclusione in parola rispetto all’archetipo normativo giusta il principio del c.d. falso innocuo (cfr. Cons. St., Sez. V, 13.02.2009, n. 829), assorbente risulta il dato che si tratta di vicende la cui rilevanza penale è stata esclusa ora per allora (in base al principio del favor rei) da altrettanti provvedimenti legislativi. Il che, appunto, esclude in radice che tali vicende potessero essere validamente considerate ai fini di un’esclusione, la quale, viceversa, postula l’attuale ascrivibilità al concorrente di condotte tuttora penalmente rilevanti e per di più gravi (cfr. Cons. St., Sez. IV, 18.05.2004, n. 3185).
L’esclusione che ha colpito l’appellante è, pertanto, indebita, giacché, attesa l’irrilevanza delle vicende coperte da depenalizzazione, per le altre risultava intervenuto formale provvedimento di estinzione, senza che a quest’ultimo proposito si potesse distinguere, agli effetti qui considerati, tra estinzione dichiarata ai sensi dell’art. 445 c.p.p. ed estinzione pronunziata ex art. 460 c.p.p. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.07.2009 n. 4594 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’impresa illegittimamente privata dell’esecuzione di un appalto può rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale.
Il tutto, secondo un criterio equitativo, per un importo che nel caso di specie il Collegio stima giusto riconoscere nella misura pari al 10% del prezzo a base d’asta (arg. ex art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F).

A
lla ditta ingiustamente esclusa da una gara d'appalto va, comunque, risarcito il danno, certo ed ingiusto, che essa ha già subito a causa della illegittima e qui annullata esclusione, sia in termini di perdita di altre gare (circostanza documentata in giudizio), sia in termini di lesione della reputazione professionale (cfr. Cons. St., Sez. V, 12.02.2008, n. 491; Cass., 04.06.2007, n. 12929), sia in termini di c.d. danno curriculare.
Come rilevato da questo Consiglio (cfr. Cons. St., Sez. VI, 09.06.2008, n. 2751), il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), può essere comunque fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti. In linea di massima, allora, deve ammettersi che l’impresa illegittimamente privata dell’esecuzione di un appalto possa rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale.
Il tutto, secondo un criterio equitativo, per un importo che nel caso di specie il Collegio stima giusto riconoscere nella misura pari al 10% del prezzo a base d’asta (arg. ex art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F).
Trattandosi di debito di valore, all’appellante spetta anche la rivalutazione monetaria sino alla pubblicazione della presente de-cisione (a decorrere da tale momento, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta).
Spettano, inoltre, gli interessi nella misura legale dalla data della pubblicazione della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.07.2009 n. 4594 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La P.A. deve concludere il procedimento con provvedimento espresso tutte quelle volte in cui sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni, qualunque esse siano, di quest'ultima.
L’art. 2 della legge n. 241/1990 prescrive che la Pubblica Amministrazione deve concludere il procedimento con provvedimento espresso; tale obbligo sussiste nei casi di procedimento ad iniziativa privata tipizzata ("ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza") o di procedimento ad iniziativa di ufficio (quando esso "debba essere iniziato di ufficio").
Inoltre, mentre secondo l'originario orientamento restrittivo della giurisprudenza, il silenzio può formarsi solo ove un obbligo giuridico di provvedere derivi da una norma di legge, da un regolamento o da un atto amministrativo (cfr. Cons. Stato, A.P., 10-03-1978, n. 10; Cons. Stato, sez. VI, 27-3-1984, n. 180) , secondo una recente opzione interpretativa, che il Collegio ritiene di condividere, tale obbligo non deve necessariamente derivare da una disposizione puntuale e specifica, ma può desumersi anche da prescrizioni di carattere generico e dai principi generali regolatori dell'azione amministrativa.
Sicché, può affermarsi che oggi, a prescindere dall'esistenza di una specifica disposizione normativa impositiva dell'obbligo, si ritiene il medesimo sussistente in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l'adozione di un provvedimento (cfr. Cons. Stato, V, 15-03-1991, n. 250); quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni, qualunque esse siano, di quest'ultima (cfr. Tar Campania - sez. Salerno, II, n. 164/2008).
Applicando tali principi, la domanda del ricorrente tendente ad ottenere un provvedimento di riscontro all’istanza del 09.02.2009, risulta meritevole di un provvedimento espresso da parte della P.A. in applicazione dei principi di cui all’art.97 Cost. in base ai quali la P.A. deve agire secondo canoni di efficienza, buon andamento ed imparzialità
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 23.07.2009 n. 1930 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon è applicabile alla denuncia di inizio attività l’art. 10-bis della legge n. 241/1990.
In sede di rilascio dei titoli edilizi (inclusa la particolare ipotesi della denuncia di inizio attività), il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d’ufficio ad indagini su profili che non appaiano controversi.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (da ultimo, Consiglio di Stato, IV, n. 4828 del 12.09.2007) non è applicabile alla denuncia di inizio attività l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 e, comunque, ai sensi dell’art. 21-octies della stessa legge, il vizio formale impedisce l’annullamento del provvedimento impugnato nell’ipotesi in cui il contenuto sostanziale dell’atto non avrebbe potuto essere diverso.
Come affermato dal Consiglio di Stato (IV, n. 4828 del 12.09.2007), l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 è inapplicabile alla denuncia di inizio attività, che costituisce un provvedimento (implicito) favorevole al privato, mentre presenta contenuto negativo (pur non essendo a rigore un rigetto dell’istanza) il successivo atto di diffida a non compiere l’attività. Inoltre, il preavviso relativo all’ordine di non eseguire si sostanzierebbe in un’ingiustificata duplicazione dell’ordine stesso, incompatibile con il termine ristretto entro cui l’Amministrazione deve provvedere, non essendo, tra l’altro, previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine medesimo.
Come affermato in giurisprudenza (Consiglio di Stato, IV, n. 5811 del 25.11.2008; TAR Catanzaro, II, n. 1133 del 29.07.2008; Consiglio di Stato, V, n. 2506 del 12.05.2003, n. 2506), in sede di rilascio dei titoli edilizi (inclusa la particolare ipotesi della denuncia di inizio attività), il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d’ufficio ad indagini su profili che non appaiano controversi.
Ne consegue che l’Amministrazione ha il dovere di verificare l’esistenza del possesso dell’area (cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente, del potere sulla cosa, che si concreta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale), anche tenendo conto di eventuali giudizi instaurati (senza che ciò implichi che sia devoluto al Comune il definitivo accertamento di contrastanti posizioni di diritto soggettivo, demandato, invece, alla sede naturale della risoluzione di tali conflitti, cioè alla giurisdizione ordinaria), di talché nella specie risulta legittimo (e ragionevole) il ricorso alla diffida a non eseguire l’attività, in quanto Biamonte Alfonsina in Leone ha sostenuto in giudizio di aver usucapito (almeno in parte) anche la particella 448 del foglio 14, come risulta dall’atto di citazione versato in atti
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 23.07.2009 n. 802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In presenza di un'incertezza circa l'autore dell'abuso edilizio, l'ordine di demolizione è legittimamente impartito anche al proprietario, ferma restando la non acquisibilità dell'area di sedime delle opere abusive, in danno del proprietario estraneo all'abuso.
Ai sensi dell’articolo 7, della legge 47/1985, l'ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario, anche se non responsabile dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l'ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione (cfr., da ultimo, TAR Sardegna, II, 10.04.2009, n. 450; TAR Lazio, Roma, II, 03.02.2009, n. 1061); questo stesso Tribunale ha di recente precisato che, in presenza di un'incertezza circa l'autore dell'abuso edilizio, l'ordine di demolizione è legittimamente impartito anche al proprietario, ferma restando la non acquisibilità dell'area di sedime delle opere abusive, in danno del proprietario estraneo all'abuso (cfr. sent. 25.11.2008, n. 787) (TAR Umbria, sentenza 23.07.2009 n. 441 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla variante essenziale di un progetto edilizio per una diversa ubicazione dell'erigendo fabbricato.
La giurisprudenza ha chiarito come “Ai sensi dell'art. 32, lett. c), d.P.R. 06.06.2001 n. 380, costituisce variante essenziale rispetto al progetto approvato la modifica della localizzazione dell'edificio tale da comportare lo spostamento del fabbricato su un'area totalmente o pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista, trattandosi di modifica che comporta una nuova valutazione del progetto da parte dell'Amministrazione concedente, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri urbanistici e con le connotazioni dell'area” (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 20.11.2008, n. 5743).
Peraltro, la modifica che aveva interessato l’edificio, finalizzata al maggior rispetto dello stato dei luoghi, non ha comportato un’alterazione delle caratteristiche dell'intervento originario (sagoma, volumi, altezze etc.), che sono rimaste invariate rispetto all'originario permesso di costruire, né ha determinato un’incidenza della variante sul regime dei distacchi e delle distanze (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 22.07.2009 n. 7365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' richiesta la concessione edilizia per l'installazione di tralicci o antenne di notevoli dimensioni e situati in prossimità di edifici.
E' pienamente condivisa dal Collegio la giurisprudenza secondo la quale “Se, in astratto, l'installazione dell'antenna di una stazione radioelettrica non costituisce trasformazione del territorio comunale agli effetti delle leggi urbanistiche, sicché non necessita ex art. 397 d.P.R. 29.03.1973 n. 156, di concessione o autorizzazione edilizia più di quanto ne necessitino le antenne televisive poste sui tetti delle case, la realizzazione di simili manufatti va considerata anche in concreto ed in relazione alla obiettiva consistenza degli impianti, richiedendosi la concessione edilizia in caso di installazione di tralicci o antenne di notevoli dimensioni e situati in prossimità di edifici” (cfr. TAR Sicilia, sede di Palermo, Sez. II, 07.03.2008 n. 310).
Ne consegue che già le dimensioni dell’antenna realizzata avrebbero comportato la preventiva richiesta di una concessione edilizia.
Giova, altresì, rilevare che comunque l’installazione di un'antenna, visibile dai luoghi circostanti, comporta alterazione del territorio avente rilievo ambientale ed estetico, sicché, già ai sensi dell'art. 1, l. 28.01.1977 n. 10, essa è soggetta al rilascio di concessione edilizia.
Tale principio è stato recepito dal d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il quale, all'art. 3, assoggetta a permesso di costruire (è questa la nuova denominazione della concessione edilizia) "l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione", in quanto "interventi di nuova costruzione" (Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18.05.2004 n. 3193) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 21.07.2009 n. 7284 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: L’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicazione del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune.
L’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicazione del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi (Cass., Sez. Trib., 23.12.2008 n. 30129).
Il principio affermato trova puntuale conferma sia in tema di definizione dell’indennità di espropriazione, per la quale l’edificabilità dell’area va desunta dalle norme di p.r.g., anche in assenza di piani attuativi (cfr. Cass., Sez. I, 22.01.2009 n. 1605), sia in campo strettamente civilistico, nel quale è stato riconosciuto l’errore essenziale sulla qualità del bene ove l’adozione del piano regolatore preveda per un’area una destinazione di maggior pregio rispetto a quella erroneamente supposta esistente al momento della contrattazione (cfr. Cass., SS.UU., 01.07.1997 n. 5900) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 16.07.2009 n. 1289 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Convalida - Rinnovazione dell’atto viziato - Differenza - Valutazione discrezionale.
L'istituto della convalida si distingue dalla rinnovazione dell'atto viziato e altresì della successiva integrazione di un atto, originariamente incompleto, con la disposizione o clausola mancante; infatti, nel primo caso (convalida), tutti gli effetti giuridici si imputano all'atto convalidato, rispetto al quale quello convalidante si pone soltanto come causa ostativa dell'eventuale annullamento per illegittimità (retroattività della convalida), negli altri casi, gli effetti giuridici s'imputano invece interamente all'atto sostitutivo, oppure, quando si tratti d'integrazione, s'imputano all'insieme dei due atti, quello integrato e quello integrante (C. Stato, sez. IV, 13-04-1987, n. 223), il provvedimento di convalida non ha carattere assolutamente doveroso e vincolato, ma esprime, anche, una valutazione discrezionale legata all’interesse pubblico dell’amministrazione alla conservazione dell’atto invalido, correlata alla protezione dell’affidamento del privato.
Convocazione irrituale di un organo collegiale (Consiglio Comunale) - Convalida - Applicabilità.
L'istituto dalla convalida è applicabile in riferimento anche all’irrituale convocazione della seduta di un organo collegiale (nella specie, Consiglio Comunale): non può infatti disconoscersi alla Pubblica Amministrazione la facoltà di convalidare i propri atti affetti da vizi di legittimità, con una manifestazione di volontà, intesa ad eliminare il vizio da cui l'atto stesso è inficiato, e cioè con l'emanazione di un provvedimento, nuovo ed autonomo rispetto al precedente da convalidare, di carattere costitutivo, il quale, tuttavia, si ricollega all'atto convalidato, al fine di mantenere fermi gli effetti fin dal momento in cui esso venne emanato (efficacia ex tunc della convalida), per cui gli effetti giuridici si imputano all'atto convalidato, rispetto al quale quello convalidante si pone soltanto come causa ostativa all'eventuale annullamento per illegittimità (C.D.S. IV Sez. 20.05.1996 n. 625, Ap. 09.03.1984 n. 5) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 13.07.2009 n. 3998 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di volume tecnico - Parametri.
Per l'identificazione della nozione di volume tecnico assumono valore tre ordini di parametri:
a) il primo, positivo, di tipo funzionale, relativo al rapporto di strumentalità necessaria tra il manufatto con l'utilizzo della costruzione;
b) il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono poter essere ubicate all'interno della parte abitativa, e dall'altro lato ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti: ne deriva che tale nozione può essere applicata solo alle opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, ed invece esclusa rispetto a locali, in specie laddove di ingombro rilevante, tali da mutare la consistenza dell'edificio, in quanto oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi esterni (cfr., ex multis, TAR Liguria Genova, sez. I, 30.01.2007, n. 101; TAR Puglia Lecce, sez. I, 22.11.2007, n. 3963; TAR Campania Salerno, sez. II, 03.08.2006, n. 1119; TAR Campania Napoli, sez. IV, 28.02.2006, n. 2451) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 13.07.2009 n. 3987 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica - Appartenenza delle aree alla medesima realtà industriale - Irrilevanza - Destinazione industriale.
L’appartenenza di aree alla medesima realtà industriale ha poco significato, se la distinzione di classificazione acustica è legata al fatto, ben più pregante rispetto al mero profilo soggettivo di appartenenza, che alcune di esse hanno destinazione industriale ed altre no, potendo avere quindi qualificazione diversa ai fini della pianificazione in classi acustiche.
INQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica - Rapporto con la disciplina degli strumenti urbanistici.
In termini generali la suddivisione del territorio in zone acustiche deve sovrapporsi alla disciplina propria degli strumenti urbanistici solo laddove ciò sia possibile, in quanto la prima è legata alle effettive modalità di fruizione del territorio, anche tenendo conto di realtà in fatto ulteriori rispetto alle previsioni urbanistiche (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 13.07.2009 n. 1227 - link a www.ambientediritto.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi esterni: alla procedura comparativa non si applicano le norme sui concorsi.
Alle procedure comparative per la scelta dell'esperto, figura professionale che rimane esterna all'ente, previste dall'art. 7, comma 6-bis, del D.Lgs. 165/2001, non sono applicabili i principi e le norme in materia di pubblici concorsi per l'ammissione agli impieghi (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 10.07.2009 n. 2187 - link a www.altalex.com).

URBANISTICA: Atti di pianificazione - Impugnazione - Legittimazione - Vicinitas - Insufficienza - Pregiudizio effettivo o potenziale - Fattispecie.
L’interesse al ricorso, in materia di impugnazione degli atti di pianificazione, non può essere provato solo con la situazione dello stabile collegamento con la zona interessata dalle opere, ma attraverso la dimostrazione del pregiudizio direttamente conseguente all’adozione degli atti gravati e della connessa utilitas ricavata dall’accoglimento del ricorso (Cons. Stato, n. 1584/2008).
Il pregiudizio deve essere effettivo, nel senso che dall’esecuzione dello stesso deve discendere in via immediata e personale un danno certo alla sfera giuridica del ricorrente, ovvero potenziale, nel senso, però, che la lesione si verificherà in futuro con un elevato grado di certezza (Cons. St., sez. IV, 22.06.2006, n. 3947), mentre deve escludersi il presupposto in questione nell’ipotesi in cui il danno derivante dall’attuazione dell’atto impugnato sia meramente eventuale, e, cioè, quando lo stesso non risulta, di per sé, capace di arrecare una lesione diretta alla sfera del soggetto ricorrente, né risulti sicuro che il danno si realizzerà in un secondo tempo (Cons. St., sez. IV, 19.06.2006, n. 3656).
Il pregiudizio che può conseguire ad un intervento di pianificazione può consistere nella possibile diminuzione di valore del proprio immobile o nella peggiore qualità ambientale: una volta accertata la vicinitas, vanno valutate le implicazioni urbanistiche dell’intervento e le conseguenze prodotte sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorative e simili ragioni, sono in durevole rapporto con la zona interessata dall’intervento (fattispecie relativa alla variante urbanistica comportante riduzione delle aree verdi nelle vie limitrofe alla residenza dei ricorrenti, diminuzione di alberi destinati a costituire barriere antirumore e spostamento di parcheggi pubblici: circostanze tutte incidenti sullo status di residente, sotto gli aspetti della viabilità e della vivibilità) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.07.2009 n. 4345 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - D.lgs. n. 259/2003 - L.R. Sicilia n. 17/2004, art. 103 - Procedimento autorizzatorio - Procedimento unico ex art. 87 - Confluenza delle valutazioni di tipo ambientale ed urbanistico.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 259/2003, recepito nella Regione Siciliana con l’art. 103 della l.r. 28.12.2004, n. 17, le valutazioni urbanistiche edilizie sono assorbite nel procedimento delineato dall’art. 87 che prevede un unico procedimento autorizzatorio per l'installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica. Procedimento che è finalizzato a garantire, tramite procedure tempestive e semplificate, la parità delle condizioni concorrenziali fra i diversi gestori nella realizzazione delle proprie reti di comunicazione sul territorio nazionale, nonché la osservanza di livelli uniformi di compatibilità ambientale delle emissioni radioelettriche, stante che l’intento perseguito dal legislatore comunitario e da quello nazionale è quello di consentire la installazione di stazioni radio base in forza di un unico provvedimento autorizzatorio, che deve essere rilasciato sulla base di un procedimento unitario, nel contesto del quale devono essere fatte confluire le valutazioni sia di tipo ambientale che di tipo urbanistico (cfr. Corte Costituzionale, 28.03.2006, n. 129; 06.06.2006, n. 265).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione - Art. 86 d.lgs. n. 259/2003 - Assimilazione alle opere di urbanizzazione primaria - Assoggettamento alle prescrizioni urbanistico edilizie - Esclusione.
In presenza della specifica previsione di cui all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, il quale assimila, ad ogni effetto, le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, ed in assenza di specifiche previsioni, deve ritenersi che gli impianti di telefonia mobile non possano essere assimilati alle normali costruzioni edilizie e, pertanto, la loro realizzazione non sia soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti. Conseguentemente, il titolo autorizzatorio non può essere negato se non avuto riguardo ad una specifica disciplina conformativa, che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 17.10.2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I, 13.02.2002, n. 983, 20.12.2004, n. 14908).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Comune - Governo del territorio - Reti di telecomunicazione - Divieto di installazione di carattere generalizzato - Illegittimità.
Ancorché il Comune mantenga intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa), in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell’intero nel territorio comunale. (cfr. Corte Costituzionale n. 331/2003.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Comune - Utilizzo degli strumenti urbanistici per il perseguimento di finalità di tutela della salute - Illegittimità - Art. 4 L. n. 36/2000 - Individuazione di limiti di esposizione e valori di attenzione - Riserva statale.
Il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino (cfr. anche, in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2006, n. 6994; TAR Sicilia-PA - Sez. I, TAR Sicilia Palermo, sez. I, 06.04.2009, n. 661).
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 03.06.2002, n. 3095, 20.12.2002, n. 7274, 14.02.2005, n. 450, 05.08.2005, n. 4159; sez. VI, 01.04.2003, n. 1226, 30.05.2003, n. 2997, 30.07.2003, n. 4391; 26.08.2003, n. 4841, 15.06.2006, n. 3534).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Art. 90 d.lgs. n. 259/2003 - Impianti di telecomunicazione - Carattere di pubblica utilità - Compatibilità con tutte le destinazioni urbanistiche.
L’art. 90 del citato D.Lgs. n. 259/2003 dispone che gli impianti di telecomunicazione e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno “carattere di pubblica utilità”, con possibilità, quindi, di essere ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche (residenziale, verde, agricola, ecc.: cfr., in tal senso, C.G.A. ordinanza 05.07.2006, n. 543; Cons. Stato, sez. VI, 04.09.2006, n. 5096) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 08.07.2009 n. 1213 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Art. 23 d.P.R. n. 380/2001 - Scadenza del termine - Legittimazione ex lege all’esercizio dell’attività edilizia - Amministrazione - Esercizio del potere sanzionatorio - Preventivo intervento in autotutela.
Allo scadere del termine previsto dall’art. 23 d.P.R. 380/2001, si consolida in capo all’istante una legittimazione ex lege all’esercizio dell’attività edilizia.
L’amministrazione, ove intenda contestare la sussistenza dei requisiti o delle condizioni previste dalla legge per l’esercizio dell’attività edificatoria oltre lo scadere di tale termine, non può esercitare direttamente un potere sanzionatorio ma deve prima intervenire in autotutela per rimuovere la legittimazione ad edificare che è sorta per effetto della presentazione della d.i.a. e del decorso del termine di trenta giorni senza che l’amministrazione abbia esercitato il potere inibitorio.
Il potere di autotutela, a differenza di quello sanzionatorio, è discrezionale, dovendo l’amministrazione, prima di intervenire, valutare gli interessi in conflitto (tenendo conto anche dell’affidamento ingeneratosi in capo al denunciante) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non coincide con il mero ripristino della legalità violata (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.06.2009 n. 4066 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti di carburanti - Compatibilità con le varie destinazioni di zona.
Gli impianti di distribuzione carburanti possono essere ubicati in tutte le zone urbanistiche salvo eccezioni espresse basate su particolari ragioni o vincoli (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 09.06.2008, n. 2857; id. 23.01.2007, n. 192; id. 13.12.2006, n. 7377; Tar Veneto, Sez. III, 01.08.2007, n. 2626) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 16.06.2009 n. 1805 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Offerte - Discordanza tra l’importo in cifre e quello in lettere - Prevalenza di quest’ultimo - Art. 90 D.P.R. n. 554/1999 - Ratio.
L’art. 90 del D.P.R. 554/1999, prevede in termini molto chiari un criterio legale di interpretazione delle offerte, e in caso di discordanza fra l’importo in cifre e quello in lettere fa prevalere quest’ultimo; ciò non per una scelta di carattere arbitrario -per quanto sia dato di comune esperienza che scrivere un importo in lettere richiede maggiore applicazione, e quindi è statisticamente meno soggetto ad errore- ma per un coordinamento con la norma successiva dello stesso articolo, secondo la quale, dopo l’aggiudicazione, la commissione procede al controllo dei prezzi offerti e corregge eventuali errori di calcolo proprio in base alla percentuale di ribasso indicata in lettere (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 12.06.2009 n. 1220 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono - Compatibilità dell’abuso con il vincolo - Onere della prova - Istante - Ragioni.
E’ onere di chi chiede il condono in area vincolata di provare la compatibilità col vincolo e non dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo di provare la non compatibilità dell’abuso. Altrimenti l’anomalia non sarebbe costruire senza autorizzazione in area vincolata ma reprimere gli abusi ivi realizzati (cfr., ex multis, CdS, VI, 408/2008; 6785/2002; 482/1996; TAR Toscana, III, 825/2005) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 10.06.2009 n. 1718 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Convenzione di lottizzazione - Obbligo di provvedere alla realizzazione della rete di distribuzione dell’energia elettrica - Opere necessarie al collegamento dell’impianto alla rete - Rientrano - Art. 4, L. n. 847/1964.
La previsione specifica dell’obbligo a carico dei lottizzanti di provvedere alla realizzazione della rete di distribuzione dell’energia elettrica significa che a carico degli stessi compete la realizzazione delle opere necessarie per collegare l’impianto di pubblica illuminazione realizzato dai lottizzanti alla rete dell’energia elettrica.
Tale duplicità di obblighi è confermata dall’art. 4 della legge n. 847 del 1964 che, con riferimento alle opere di urbanizzazione primaria, prevede sia le opere relative alla rete di distribuzione dell’energia elettrica sia le opere relative alla pubblica illuminazione (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 10.06.2009 n. 1712 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: ACQUA - Acqua destinata al consumo umano - Comune - Controlli effettuati ai sensi del d.lgs. n. 31/2001 - Accesso ai sensi del d.lgs. n. 195/2005 - Informazione ambientale.
I controlli che il Comune deve effettuare ai sensi degli artt. 6 e ss. del D.l.vo 02.02.2001 n. 31, possono annoverarsi tra le misure amministrative che incidono sullo stato dell’acqua: deve quindi esserne garantito l’accesso in applicazione del d.lgs. n. 195/2005.
L’art. 2 di tale normativa chiarisce infatti che per “informazione ambientale” si intende “qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente: 1) lo stato degli elementi dell'ambiente, quali l'aria, l'atmosfera, l'acqua, il suolo, il territorio … 3) le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell'ambiente di cui ai numeri 1) e 2)”.
Il successivo art. 3 precisa inoltre che l'autorità pubblica deve rendere disponibile, l'informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse, nella specie, peraltro, manifestato e sussistente nel fatto di aver stipulato contratto di somministrazione di acqua potabile con il Comune (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 20.05.2009 n. 344 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: ACQUA - Funzionalità o assenza di impianti di depurazione delle acque - Informazione ambientale - Accesso ai sensi del d.lgs. n. 195/2005 - Puntuale indicazione degli atti richiesti - Necessità - Esclusione - Obbligo, in capo all’amministrazione, di acquisire tutte le notizie.
La funzionalità o l’eventuale assenza di impianti di depurazione delle acque può annoverarsi tra le misure incidenti sullo stato dell’acqua o comunque tra le misure finalizzate a proteggere il suddetto elemento e deve, pertanto, considerarsi informazione accessibile in applicazione del d.lgs. n. 195/2005.
L’art. 2 di tale normativa chiarisce infatti che per “informazione ambientale” si intende “qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente: 1) lo stato degli elementi dell'ambiente, quali l'aria, l'atmosfera, l'acqua, il suolo, il territorio … 3) le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell'ambiente di cui ai numeri 1) e 2)”.
Il successivo art. 3 precisa inoltre che l'autorità pubblica deve rendere disponibile, l'informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse.
E’ poi pacifico che in materia di accesso ambientale non è necessaria la puntuale indicazione degli atti richiesti, ma è sufficiente una generica richiesta di informazioni sulle condizioni di un determinato contesto ambientale per costituire in capo all'amministrazione l'obbligo di acquisire tutte le notizie relative allo stato della conservazione e della salubrità dei luoghi interessati dall'istanza, ad elaborarle ed a comunicarle al richiedente (Tar Genova, I, 27.10.2007 n. 1870) (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 20.05.2009 n. 343 - link a www.ambientediritto.it).

ESPROPRIAZIONE: Art. 17. c. 2, d.P.R. n. 327/2001 - Approvazione del progetto definitivo - Comunicazione al proprietario - Decorrenza del termine per l’impugnazione.
L’art. 17, comma 2, d.P.R. n. 327/2001, con riferimento al procedimento espropriativo, così statuisce: “Mediante raccomandata con avviso di ricevimento o altra forma di comunicazione equipollente al proprietario è data notizia della data in cui è diventato efficace l'atto che ha approvato il progetto definitivo e della facoltà di prendere visione della relativa documentazione”.
Tale disposizione, nell’imporre all’Amministrazione di notiziare il soggetto espropriato in maniera da renderlo edotto di quanto sopra esattamente indicato, assume autonomo rilievo a fini processuali, in quanto consente di individuare in maniera oggettiva il dies a quo da cui decorre il termine d'impugnazione per i soggetti espropriati (v. TAR Liguria Genova, sez. I, 12.12.2008, n. 2101) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 15.05.2009 n. 2279 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva - Confisca ordinaria in caso di estinzione del reato per prescrizione - Contrasto con l'art. 117 cost. e con l'art. 7 c.e.d.u. - Manifesta infondatezza.
La confisca conserva la sua natura sanzionatoria, anche se ordinata dopo l’estinzione del reato, in quanto collegata al presupposto di un reato estinto ma storicamente esistente ed applicata da un organo giurisdizionale penale. Fattispecie: confisca dei terreni e manufatti abusivamente lottizzati e manifesta infondatezza per asserito contrasto con gli artt. 117 Cost. e 7 C.E.D.U.
Lottizzazione abusiva - Configurazione del reato.
Il reato di lottizzazione abusiva può realizzarsi sia nel compimento di atti giuridici, sia nella esplicazione di attività materiali che risultino funzionali alla realizzazione di un nuovo insediamento urbano, può configurarsi non solo in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell'assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, ma anche quando l'intervento si pone in contrasto con la destinazione programmata del territorio (comportando ad esempio, come nel caso in esame, la sua trasformazione da agricola a residenziale (Cass. S.U. sent. 28/11/2001, Salvini ed altri; Cass. pen. sez. III sent. 13/06/2008, n. 24096, Desimine ed altri; Cass. sez. III 29/04/2009, PM c Quarta ad altri).
Reato di lottizzazione abusiva commesso per colpa - Natura - Reato consumazione alternativa - Configurabilità.
La contravvenzione di lottizzazione abusiva si configura come reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di autorizzazione, sia quando quest'ultimo sussista, ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari della concessione, sui committenti e costruttori, l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Cass. S.U. 28/11/2001, sent. n. 5115).
Per cui, il reato di lottizzazione abusiva, sia materiale che negoziale, può essere commesso per colpa, come del resto pacificamente ritenuto in ordine alla contravvenzione di esecuzione di lavori in assenza o in difformità della concessione edilizia (Cass, pen. sez. III 13/10/2004, n. 39916, Lamedica ed altri; Cass. pen. sez. III , sent. 11/05/2005, Stiffi ed altri; Cass. pen. sez. III 05/03/2008, n. 9982, Quattrone; Cass. pen. sez. III sent. 10/01/2008, Zortea; Cass. pen. sez. III 26/06/2008, Belloi).
Lottizzazione abusiva - Lesività potenziale - Reato di pericolo.
Nel reato di lottizzazione abusiva la lesività non può essere ristretta alla trasformazione urbanistica effettiva del territorio, giacché essa va riferita alla potenzialità di tale trasformazione, ossia al pericolo che il territorio subisca una urbanizzazione non prevista o di tipo diverso da quella prevista (Cass. pen. sez. III sent. 26/06/2008, n. 1656, Belloi).
Trattasi quindi di reato di pericolo che si integra quando il titolare di una unità fondiaria compia su di essa operazioni di suddivisione materiale o giuridica dirette alla utilizzazione delle parti suddivise come terreni edificabili, prescindendo dall'opera edilizia che costituisce un quid pluris.
Reato di costruzione abusiva - Natura di reato formale e di pericolo presunto.
Il reato di costruzione abusiva, punito dall'art. 20 della legge 28.02.1985, n. 47, ha natura di reato formale e di pericolo presunto, connesso con il suo inserimento in un sistema di tutela basato sulla pianificazione amministrativa dell'attività urbanistica del territorio, rispetto al quale ogni abuso edilizio costituisce comunque ed obiettivamente una lesione, con conseguente sottrazione al giudice di un qualsiasi sindacato in ordine alla concreta pericolosità della condotta (Cass. pen. sez. III sent. 18/05/2001, n. 33886, Papara).
Reato di lottizzazione abusiva negoziale o cartolare - Configurabilità - Trasferimento, costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni - Obbligo di allegare il certificato di destinazione urbanistica - Art. 30, c. 1° e c. 2° DPR n. 380/2001.
In tema di reati edilizi, ai fini della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva negoziale o cartolare, l'elencazione degli elementi indiziari di cui all'art. 30, comma primo DPR 6 giugno 2001, n. 380 non è tassativa né tali elementi devono sussistere contemporaneamente, in quanto è sufficiente per l’integrazione del reato anche la presenza di uno solo di essi, qualora risulti inequivocabilmente la destinazione a scopo edificatorio del terreno (Cass. pen. sez III sent. 06/06/2008, n. 27729).
Va aggiunto che, l'art. 30, comma 2, del DPR 06.06.2001, n. 380, prescrivendo che gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni, sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica riguardante l'area interessata, rende estremamente difficile per il venditore una negoziazione destinata alla lottizzazione abusiva che non sia consapevole della natura non urbanistica della zona abusivamente lottizzata. (Cass. pen. sez. III sent. 11/05/2005, n. 36940 Stiffi ed altri).
Lottizzazione abusiva c.d. negoziale - Condotte convergenti verso un'operazione unitaria - Carattere plurisoggettivo.
Il reato di lottizzazione abusiva ha normalmente un carattere plurisoggettivo in cui confluiscono condotte convergenti verso un'operazione unitaria, è da escludere che normalmente la condotta dell'acquirente costituisca per il venditore un evento imprevisto ed imprevedibile (v. in tal senso SU sent. 27/03/1992, n. 4708, Fogliani).
Inoltre, integra il reato di lottizzazione abusiva cosiddetta negoziale non soltanto la vendita di un terreno frazionato in lotti, ma anche la vendita di quote di un terreno indiviso mediante un unico atto di trasferimento a più acquirenti, così da imporre al suolo un equivalente assetto proprietario, purché ne risulti inequivocabilmente, da elementi indiziari, la destinazione a scopo edificatorio (Cass. Pen. Sez. III sent. 26/10/2007, n. 6080).
Terreno abusivamente lottizzato a fini edificatori - Responsabilità dell'acquirente - Condotta imprudente e negligente e colpa grave.
In materia edilizia è configurabile la responsabilità dell'acquirente di un terreno abusivamente lottizzato a fini edificatori ove questi non acquisisca elementi circa le previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona, in quanto con tale imprudente e negligente condotta egli si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che apporta un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore (Cass. pen. sez. III sent. 26/06/2008, n. 37472, Belli ed altri).
Lottizzazione abusiva con atti equivalenti al frazionamento e alla vendita - Configurabilità del reato - Contratti preliminari di alienazione di singoli lotti.
In tema di lottizzazione abusiva, fra gli atti equivalenti al frazionamento e alla vendita, cui fa riferimento, ai fini della configurabilità del reato, l'art. 18 della legge 28.02.1985, n. 47, si possono ricomprendere anche i contratti preliminari di alienazione dei singoli lotti, allorché gli stessi si collochino in un contesto indiziario atto a rivelare in modo non equivoco le finalità edificatorie, che costituisce l'elemento comune alle varie forme (materiale, negoziale, mista) in cui l'illecito può essere realizzato. (Cass. pen. sez. III sent. 29/02/2000, n. 3668, Pennelli).
Confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere - Acquisizione al patrimonio disponibile del comune - Confisca ed elemento psicologico della colpa - Valutazione - Art. 44, c. 2° DPR n. 380/2001.
La confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente prevista dall'art. 44, comma secondo del DPR 06.06.2001, n. 380 non ha natura di misura di sicurezza patrimoniale, ma configura una sanzione amministrativa applicata dal giudice penale in via di supplenza rispetto al meccanismo amministrativo di acquisizione dei terreni lottizzati al patrimonio disponibile del comune (Cass. Pen. Sez. III sent. 07/07/2004, n. 38728).
Deve peraltro rilevarsi che, in applicazione dei principi affermati dalla Corte Europea e che vanno rispettati dal giudice nazionale, qualunque sia la natura della confisca, essa non può essere applicata se non sia stata accertata, nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, l'esistenza della violazione in ordine al quale essa è disposta. Ne consegue che la confisca non può colpire i terzi in buona fede.
In tal senso la più recente giurisprudenza secondo cui, "anche con riferimento alle sanzioni amministrative esulano dalla materia criteri di responsabilità oggettiva, essendo richiesta, quale requisito essenziale di legalità per la loro applicazione, l'esistenza di una condotta che risponda ai necessari requisiti soggettivi della coscienza e volontà dell'agente e sia caratterizzata, quanto meno, dall'elemento psicologico della colpa" (Cass. pen. sez. III sent. 17/11/2008, n. 42741, Silvioli ed altri).
Infine, a fronte di reato di lottizzazione abusiva dichiarato prescritto accertati tutti gli elementi del reato, si può confermare la confisca disposta dai giudici di merito a norma dell'art. 44 secondo comma del DPR n. 380 del 2001. Del resto l'estinzione del reato per prescrizione è un concetto relativo e non assoluto perché esso implica una rinuncia dello Stato al diritto di punire per il solo effetto del decorso del tempo, ma nulla impedisce che tale rinuncia possa essere più o meno limitata in base alla valutazione comparativa dei contrapposti interessi in gioco (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.05.2009 n. 20243 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Raggruppamento temporaneo di imprese - Polizza fideiussoria - Intestazione a tutte le partecipanti al raggruppamento - Necessità - Esclusione - Sufficienza dell’operatività nei loro confronti.
Nel caso di partecipazione ad una gara di appalto di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese è necessario non tanto che la polizza fidejussoria sia intestata a tutte le imprese che vi fanno parte, quanto piuttosto che la garanzia sia operativa nei confronti di tutti i partecipanti al raggruppamento (TAR Emilia-Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 06.05.2009 n. 617 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione abusiva non sanata - Esecuzione di lavori assoggettabili a DIA - Applicabilità - Esclusione - Categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione - D.P.R. n. 380/2001, art. 44, lett. c) - D.Lgs. n. 42/2004, e reati satelliti.
In materia edilizia, non è applicabile il regime della D.I.A. (denuncia di inizio attività) a lavori edilizi che interessino manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducigli, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (Cass. pen. sez. III, 19.4.2006, n. 21490) (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.01.2009 n. 1810 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lo spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva richiede la concessione edilizia allorché appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso.
La giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato due indirizzi ermeneutici: secondo il primo, andrebbero assoggettati a titolo abilitativo solo gli interventi di portata -simultaneamente– urbanistica ed edilizia.
Invero, osservano i fautori della tesi in esame, l’uso congiunto delle due espressioni (urbanistica ed edilizia) nel citato articolo escluderebbe l’assoggettamento al previo rilascio del titolo degli interventi che, pur non mancando di impatto urbanistico, siano privi di consistenza materiale di opere edilizie.
Secondo l’opposto indirizzo, l’art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 sulla edificabilità dei suoli, che pone la regola della soggezione a concessione di ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non comprende le sole attività di edificazione, ma tutte quelle consistenti in una modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica (cfr.: Cons. Stato, sez. V, 31/01/2001, n. 343; Cons. Stato, sez. V, 20/12/1999, n. 2125; Cons. Stato, sez. V, 01/03/1993, n. 319; tale orientamento è condiviso anche dalla giurisprudenza ordinaria: cfr. Cass. pen., 14/10/1988; Cass. pen., sez. III, 24/10/1997, n. 10709; Cass. pen., sez. VI, 24/07/1997, n. 8520).
La giurisprudenza favorevole a tale tesi ha aggiunto che l’art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 impone al soggetto attuatore di munirsi di concessione edilizia per ogni attività che comporti la trasformazione del territorio attraverso l'esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento e l'alterazione abbiano un qualche rilievo ambientale ed estetico, o solo funzionale (cfr. la recente Cons. Stato, sez. VI, 26/09/2003, n. 5502).
Pertanto, è soggetto a concessione edilizia ogni intervento sul territorio, preordinato alla perdurante modificazione dello stato dei luoghi con materiale posto sul suolo, pur in assenza di opere in muratura (Cons. Stato, sez. V, 06/04/1998, n. 415; cfr. altresì: <<la concessione edilizia è richiesta sia quando vi sia la realizzazione di opere murarie, sia quando si intenda realizzare un intervento sul territorio che, pur non richiedendo opere in muratura, comporti la perdurante modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul suolo>> Cons. Stato, sez. V, 14/12/1994, n. 1486; Cons. Stato, sez. VI, 27/01/2003, n. 419). 
E’ ben vero che, secondo un precedente citato dall’appellante, questo Consesso ha ritenuto che non integra l'ipotesi di trasformazione urbanisticamente rilevante del territorio, soggetta a concessione ex art. 1 l. n. 10 del 1977, l'intervento materialmente consistente nella mera ripulitura di un terreno parzialmente erboso, con ripristino di una recinzione preesistente e spargimento di ghiaia, a nulla rilevando, sotto il profilo urbanistico, la conseguente utilizzazione del suolo così ripulito e riordinato all'esposizione di autovetture a scopi commerciali (Cons. Stato, sez. IV, 08/03/1983, n. 103).
Tuttavia, alla luce dell’orientamento condiviso dal Collegio, deve ritenersi che lo spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva richiede la concessione edilizia allorché appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso (circostanza questa che deve fondarsi su fatti positivamente accertati).
Tale indirizzo, peraltro, risulta corroborato dalla risalente interpretazione del Giudice penale, secondo cui deve ritenersi soggetto a concessione lo spianamento di un terreno agricolo ed il riporto di sabbia e ghiaia, al fine di ottenerne un piazzale per deposito e smistamento di autocarri e containers (Cass. pen., 09/06/1982; cfr. altresì <<è legittimo il provvedimento del sindaco che ordini la riduzione in pristino di un'area destinata, in base al piano regolatore, a verde pubblico, che sia stata coperta di ghiaia, per essere destinata a parcheggio>> Cons. Stato, sez. II, 15/02/1989, n. 18/1989).
Per esigenze di completezza si osserva che la tesi abbracciata dal Collegio sembra, oggi, avere un testuale riscontro nel nuovo Testo unico in materia edilizia –D.P.R. n. 380/2001- (che non ha certo potenzialità applicativa e di risoluzione del caso in esame, ma che può rappresentare un valido ausilio interpretativo, specie ove “codifica” un orientamento giurisprudenziale pregresso): l’art. 3, in materia di definizione degli interventi edilizi, assoggetta a permesso di costruire –ascrivendole al genus delle nuove costruzioni- <<la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato>> (lett. e.3) e <<la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato>> (e.7); si tratta, come è facile rilevare, di interventi privi di connotazione strettamente edilizia e, nondimeno, assoggettati a titolo abilitativo (oggi permesso di costruire).
Significativa è, poi, la previsione dell’art. 10, comma 2, secondo cui <<Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività>>
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2004 n. 7324 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'art. 9 l. 122/1989 è applicabile alla costruzione di spazi parcheggio (ndr: in deroga) nelle sole aree urbane, mentre la realizzazione di parcheggi in aree extraurbane resta soggetta alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie necessitando della normale concessione edilizia.
La possibilità di realizzare parcheggi da destinare a pertinenze delle singole unità immobiliari anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, consentita dall'art. 9 l. n. 122 del 1989 (c.d. Legge Tognoli), costituisce disposizione di carattere eccezionale da interpretarsi nel suo significato strettamente letterale ed in considerazione delle finalità della legge nel cui contesto risulta inserita.
Pertanto tale articolo è applicabile alla costruzione di spazi parcheggio nelle sole aree urbane, mentre la realizzazione di parcheggi in aree extraurbane resta soggetta alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie necessitando della normale concessione edilizia
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2004 n. 7324 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con la nozione di pertinenza urbanistica, quali possono considerarsi solo manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla casa a cui sono annessi, non può essere permessa la costruzione di opere di rilevante importanza soltanto perché destinate al servizio ed all'ornamento del bene principale.
<<La nozione di pertinenza dettata dal diritto civile è più ampia di quella che regola la materia urbanistica, onde beni che, secondo quella normativa, assumono senz'altro natura pertinenziale tali invece non sono ai fini dell'applicazione delle regole che governano l'attività edilizia>> Cons. Stato, sez. V, 18/04/2001, n. 2325; <<Considerata la nozione di pertinenza urbanistica, quali possono considerarsi solo manufatti di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla casa a cui sono annessi, non può essere permessa la costruzione di opere di rilevante importanza soltanto perché destinate al servizio ed all'ornamento del bene principale; ed è perciò necessaria la concessione edilizia per l'esecuzione di opere che da un punto di vista edilizio ed urbanistico sono da considerarsi come ulteriori rispetto al bene principale, poiché occupano aree e volumi diversi>> Cons. Stato, sez. V, 30/11/2000, n. 6358; cfr. altresì Cons. Stato, sez. V, 30/10/2000, n. 5828; <<Soggiace a concessione edilizia la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla "res principalis", indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa>> Cons. Stato, sez. V, 23/03/2000, n. 1600; Cons. Stato, sez. V, 06/09/1999, n. 1015; Cons. Stato, sez. II, 12/05/1999, n. 729; Cons. Stato, sez. II, 21/02/1996, n. 1895) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2004 n. 7324 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 10.08.2009

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QUESITI & PARERI

ENTI LOCALI: Istituzione Ufficio staff dirette dipendenze sindaco.
Il Comune (omissis) è intenzionato ad istituire l’ufficio di staff alle dirette dipendenze del sindaco. Negli intendimenti dell’Amministrazione lo staff dovrà essere composto da 3 unità esterne all’organico comunale e dovrà prestare la propria opera gratuitamente e svolgere i seguenti compiti: pubbliche relazioni, cerimoniale, accoglienza e rappresentanza, corrispondenza del sindaco e della Giunta, eventuale redazione di un periodico mensile sull’attività della Amministrazione.
Lo statuto comunale prevede la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco e a tal fine chiede se:
1) sia possibile individuare n. 3 unità al di fuori dell’organico del Comune;
2) sia possibile dare l’incarico ad unità esterne senza particolari titoli di specializzazione;
3) sia possibile stipulare un contratto si presume di diritto privato a costo zero;
4) quali altre implicazioni dal punto di vista economico–fiscale bisogna considerare (INAIL – responsabilità civile, responsabilità penale, altro) (Regione Piemonte, parere n. 81/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Inclusione centri e nuclei storici. D.lgs. 63/2008 (Codice Beni Culturali).
Vengono posti due interrogativi riguardanti le conseguenze derivanti dall’introduzione –ad opera del D.lgs. 63/2008– dell’inciso “inclusi i centri e i nuclei storici” nel testo dell’art. 136, co. 1, lett. c), del D.lgs. 42/2004 (c.d. Codice dei Beni Culturali) (Regione Piemonte, parere n. 70-74/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U. 05.08.2009 n. 180, suppl. ord. n. 142/L, "Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 09.04.2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro" (D.Lgs. 03.08.2009 n. 106).

ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI: G.U. 04.08.2009 n. 179, suppl. ord. n. 140/L:
- "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 01.07.2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali" (L. 03.08.2009 n. 102).
- "Testo del decreto-legge 01.07.2009, n. 78, coordinato con la legge di conversione 03.08.2009, n. 102, recante: «Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini»".

EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI: G.U. 31.07.2009 n. 176, suppl. ord. n. 136/L, "Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia" (L. 23.07.2009 n. 99: 1^ parte - 2^ parte - 3^ parte - 4^ parte - 5^ parte - 6^ parte).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 5° suppl. straord. al n. 30 del 31.07.2009:
- "Determinazioni in merito ad interventi di edilizia scolastica e all'acquisto di mezzi di trasporto collettivo scolastico - Fondi bilancio anno 2009 (l.r. n. 70/1980, l.r. n. 1/2000, l.r. n. 11/2004)" (deliberazione G.R. 22.07.2009 n. 9879 - link a www.infopoint.it);
- "L.R. 06.06.1980, n. 70, art. 3 e l.r. 12.07.1974, n. 40 Titolo II - Piano intervento ordinario anno 2009 - Termini di presentazione domande di contributo per l'edilizia scolastica minore" (circolare regionale 23.07.2009 n. 16 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 30 del 31.07.2009, "Contributi alle unioni di comuni lombarde e alle comunità montane e incentivazione alla fusione dei piccoli comuni, in attuazione dell'art. 20 della l.r. 27.06.2008, n. 19 (Riordino delle comunità montane della Lombardia, disciplina delle unioni di comuni lombarde e sostegno all'esercizio associato di funzioni e servizi comunali)" (Regolamento Regionale 27.07.2009 n. 2 - link a www.infopoint.it).

NEWS

ENTI LOCALI: E’ stato pubblicato, sul sito del Ministro per le riforme istituzionali, lo schema di disegno di legge recante disposizioni in materia di organi e funzioni degli enti locali, semplificazione e razionalizzazione dell’ordinamento e carta delle autonomie locali.
Il testo ha ricevuto il via libera dal Consiglio dei Ministri il 15.07.2009.
Lo schema passa ora alla Conferenza Unificata per il prescritto parere. Si riporta di seguito il testo integrale del Ddl (link a www.riformeistituzionali.it).

URBANISTICALombardia, Piani di governo del territorio, commissari per i Comuni inadempienti (link a www.territotio.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Monitoraggio provvedimenti comunali "legge casa" - attuazione della l.r. 13/2009 (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

ENTI LOCALI: Tributi speciali catastali - Esenzione a favore degli Enti locali.
Con la circolare n. 2/2009 del 14.07.2009 l'Agenzia del Territorio dà chiarimenti in merito all'ambito e alla portata delle disposizioni di cui all'articolo unico della legge 15.05.1954, n. 228, laddove, come noto, si prevede l'esenzione, a favore degli Enti Locali, dal pagamento dei tributi speciali catastali (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: CODICE DEGLI APPALTI PUBBLICI – D.LGS. 163/2006 – MODIFICHE APPORTATE DALLE LEGG1 94 E 102 DEL 2009 (link a www.ancebrescia.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

PUBBLICO IMPIEGO: A. Nicoli, Antefatti e postfatti del mobbing: personalità del mobbizzato, conflittualità dell’ambiente di lavoro, configurabilità dell’infortunio sul lavoro, responsabilità verso l’ufficio (link a www.diritto.it).

ENTI LOCALI: M. M. Fracanzani, Le società degli enti pubblici: tra autonomia di impresa e responsabilità erariale. Riflessioni per un’actio finium regundorum su partecipazioni al capitale, socio d’opera, oggetto sociale, limiti soggettivi a contrarre ed a concorrere nelle pubbliche gare, dopo le riforme 2006-2009 (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: SMARRITI I DOCUMENTI: GARA SOSPESA (link a www.mediagraphic.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: In materia di collegamento sostanziale ex art. 34, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006.
Ritenuto in diritto
Al fine di formulare una ipotesi di soluzione della questione giuridica controversa sottoposta a questa Autorità, è necessario innanzitutto stabilire quale sia il corretto inquadramento giuridico della fattispecie prospettata dalla stazione appaltante Insula S.p.A..
Al riguardo si evidenzia che le situazioni di controllo e collegamento tra i partecipanti alle gare di appalto sono disciplinate dall’art. 34, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006, che prevede due distinte ipotesi di divieto di partecipazione ad una stessa gara.
La prima parte della citata disposizione stabilisce che “Non possono partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile.” e la seconda parte dispone che “Le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi”.
La prima ipotesi comporta un’esclusione automatica, che non ammette prova contraria, nel senso che il divieto scatta una volta accertata la situazione di controllo ex art. 2359 del codice civile, senza che possa assumere rilievo la concreta situazione delle due imprese o l’effettiva reciproca conoscenza o imputabilità delle offerte.
La seconda ipotesi è stata introdotta dal Legislatore in recepimento di una consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo, favorevole alla possibilità di individuare ipotesi di “collegamento sostanziale” tra imprese, diverse ed ulteriori rispetto alle ipotesi di controllo e collegamento societario di cui all’art. 2359 del codice civile, espressamente richiamate nella prima parte della disposizione in esame. Ciò al fine di evitare che il corretto e trasparente svolgimento delle gare di appalto e il libero gioco della concorrenza siano irrimediabilmente alterati dalla eventuale presentazione di offerte che, pur provenendo formalmente da due o più imprese giuridicamente diverse, siano sostanzialmente riconducibili ad un medesimo centro di interessi (v., fra tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 08.07.2004, n. 6367) e, in tale ipotesi, l’esclusione deve essere disposta dalla stazione appaltante anche in caso di assenza di una esplicita clausola nel bando di gara (v., al riguardo, Cons. Stato, Sez. VI, 01.03.2005, n. 3089).
Entrambe le previsioni contenute nel citato art. 34, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 sono ispirate alla ratio di evitare il rischio di ammissione alla gara di offerte provenienti da soggetti che, in quanto legati da una stretta comunanza di interessi caratterizzata da una certa stabilità, non sono ritenuti capaci di formulare offerte contraddistinte dalla necessaria indipendenza, serietà ed affidabilità.
Passando ad esaminare la fattispecie di cui si controverte in via principale, si evidenzia che la peculiarità della stessa è costituita dal fatto che si è in presenza di una società terza non partecipante alla gara (Panizzo s.r.l.) che possiede quote di soggetti concorrenti alla gara, sia in via diretta, in quanto detiene il 97,15% delle quote della capogruppo CGX Costruzioni Generali XODO s.r.l., che pertanto è sua controllata, sia in via indiretta, in quanto, attraverso un’altra società sua controllata (Corte della Libertà s.r.l., non partecipante alla gara, di cui detiene il 100% delle quote) possiede il 50% delle quote della capogruppo Rossi Renzo Costruzioni s.r.l..
Stante le descritte caratteristiche della fattispecie sottoposta all’esame di questa Autorità, risulta evidente che la stessa non integra l’ipotesi di cui alla prima parte dell’art. 34, comma 2, in quanto le due capogruppo concorrenti alla gara in oggetto, CGX Costruzioni Generali XODO s.r.l. e Renzo Rossi Costruzioni s.r.l., non si trovano “fra di loro” in nessuna della situazioni di cui all’art. 2359 del codice civile.
Infatti, in disparte l’ipotesi di influenza dominante esercitata da una società su un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (c.d. “controllo esterno” o “controllo contrattuale”), per la quale non è stato fornito dalla stazione appaltante alcune elemento di valutazione, le altre situazioni di controllo di cui all’art. 2359, comma 1, che sussistono quando una società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria di un’altra società (c.d. “controllo interno di diritto”) e quando una società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria di un’altra società (c.d. “controllo interno di fatto”), come pure la situazione di “collegamento presunto”, descritta dal comma 3 dell’art. 2359, che sussiste quando una società esercita su un’altra società un’influenza notevole, che si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati, sono tutte situazioni oggettive, legate alla presenza di intrecci di partecipazioni azionarie tra due società concorrenti nella medesima gara che, in base alla documentazione in atti, non si riscontrano nella fattispecie oggetto del presente parere.
Invece, con specifico riferimento alla previsione contenuta nella seconda parte dell’art. 34, comma 2, che prevede l’esclusione dalla gara in presenza di ipotesi di c.d. “collegamento sostanziale”, diverse ed ulteriori rispetto a quelle di cui all’art. 2359 del codice civile, al cospetto delle quali è ragionevolmente ipotizzabile la riconducibilità delle offerte dei concorrenti in gara ad un unico centro decisionale, appare possibile e opportuno, al fine della risoluzione del caso in esame, richiamare l’orientamento già espresso dal Giudice Amministrativo secondo il quale un’interpretazione utile della ratio posta a fondamento del divieto di partecipazione alla gara di imprese avvinte da un collegamento sostanziale “impone l’applicazione del principio non solo al caso in cui partecipino alle gare società controllanti e controllate, ma anche laddove la situazione di controllo delle società partecipanti alle gare (e non di mero collegamento) sia rilevante rispetto ad un terzo non partecipante ma in grado, tuttavia, come detentore di pacchetti di maggioranza delle diverse partecipanti, di esercitare l’influenza dominante descritta dall’art. 2359 c.c.” (Cons. Stato, Sez. VI, 06.03.2007, n. 2950).
E’ necessario, peraltro, tenere in debito conto che nel caso di specie la società terza non partecipante alla gara (Panizzo s.r.l.), per un verso, controlla la capogruppo CGX Costruzioni Generali XODO s.r.l., detenendone in via diretta il 97,15%, per altro verso, possiede solo in via indiretta il 50% delle quote della capogruppo Rossi Renzo Costruzioni s.r.l., attraverso un’altra società sua controllata al 100% denominata Corte della Libertà s.r.l..
Al riguardo non si può sottacere, altresì, che il capitale sociale della Renzo Rossi Costruzioni s.r.l. è ripartito tra due soci con partecipazione paritetica (Rossi Renzo 50% e Corte della Libertà s.r.l. 50%) e che, pertanto, un siffatto assetto societario non appare conciliabile con le caratteristiche strutturali del collegamento c.d. presunto, di cui all’art. 2359, comma 3, del codice civile, ipotizzato dalla stazione appaltante, il quale presuppone, invece, un capitale sociale suddiviso in misura non solo formalmente compatibile con le percentuali previste dalla citata disposizione codicistica per il configurarsi dell’influenza notevole (“almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati”), ma concretamente idonea a creare una situazione di potere effettivo di condizionamento.
Invece, tenuto conto che il socio Corte della Libertà s.r.l. è partecipato al 100% dalla Panizzo s.r.l., appare possibile ritenere che sussista un controllo indiretto, esercitato dalla Panizzo s.r.l. nella società Renzo Rossi Costruzioni s.r.l. per il tramite della sua controllata Corte della Libertà s.r.l., reso operativo da un possibile accordo per l’esercizio dei voti in assemblea, anche atto ad assicurare alla suddetta controllata una posizione di prevalenza sulla gestione amministrativa e tecnica della Renzo Rossi Costruzioni s.r.l..
Ovviamente la prospettata ipotesi di un siffatto accordo, stante la carenza in atti di documentazione idonea a comprovarne l’effettiva sussistenza, necessita di un’autonoma verifica da parte della stazione appaltante Insula S.p.A., attraverso l’acquisizione di adeguati elementi di valutazione, tra cui, ad esempio, l’esistenza di eventuali accordi parasociali, anche alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia C-538/07 del 19.05.2009.
Qualora una siffatta ipotesi dovesse risultare confermata, entrambe le imprese capogruppo, CGX Costruzioni Generali XODO s.r.l. e Renzo Rossi Costruzioni s.r.l. risulterebbero controllate dalla holding Panizzo s.r.l. “non partecipante ma in grado, tuttavia, come detentore di pacchetti di maggioranza delle diverse partecipanti, di esercitare l’influenza dominante descritta dall’art. 2359 c.c.” e ciò costituirebbe sicuramente un elemento di prova da valutare ai fini della imputabilità delle due offerte ad un unico centro decisionale (in questo senso v. Cons. Stato, Sez. VI, 06.03.2007, n. 2950 e Cons. Stato, Sez. V, 16.05.2008, n. 4285), ben potendosi ricavare la riconducibilità delle offerte in gara ad un unico centro decisionale anche sulla base di elementi attinenti alla particolare struttura societaria delle società concorrenti e/o del gruppo in cui sono inserite (da ultimo, v. Cons. Stato. Sez. VI, 28.10.2008, n. 6037).
Del resto, la richiamata giurisprudenza che ha ispirato la formulazione della seconda parte dell’art. 34, comma 2, mutuando un concetto proprio della dottrina penalistica ha affermato che la tutela apprestata all’interesse pubblico alla corretta e regolare scelta del “giusto” contraente è finalizzata ad evitare che il relativo bene giuridico sia addirittura messo in pericolo: infatti, qualora fosse già stato leso o vulnerato sarebbe molto difficile, se non addirittura impossibile una restituito in integrum, salva l’ipotesi dell’annullamento della gara e la sua rinnovazione, che però in ogni caso comporterebbe, per il tempo occorrente e per le risorse umane e finanziarie da impiegare e riallocare, un’offesa non riparabile ai principi di economicità, speditezza, celerità ed adeguatezza dell’azione amministrativa.
Si evidenzia, altresì, che il Legislatore stesso ha attribuito una particolare rilevanza al controllo di società da parte di una holding mediante l’introduzione nel codice civile della presunzione di cui all’art. 2497-sexies, il quale prevede espressamente che “si presume salvo prova contraria che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell’art. 2359”.
Da tale disposizione, infatti, emerge chiaramente che l’appartenenza di due imprese partecipanti alla stessa gara ad un’unica società madre che le controlla costituisce un indice presuntivo, salvo prova contraria, di attività di direzione e coordinamento delle società controllate, che, a sua volta, implica la presunzione di imputabilità delle offerte presentate dalle stesse ad un unico centro decisionale (Cons. Stato, Sez. VI, 28.10.2008, n. 6037).
Nel caso di specie, inoltre, tale presunzione sarebbe rafforzata dagli elementi indiziari riguardanti gli intrecci di incarichi amministrativi e tecnici, con particolare riguardo al fatto che Stoppa Chiara è sia Amministratore Unico dell’impresa Corte della Libertà s.r.l., con i più ampi poteri di gestione ordinaria e straordinaria, (come da visura camerale in atti), sia Consigliere, Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione e Consigliere Delegato dell’impresa Rossi Renzo Costruzioni s.r.l., capogruppo dell’ATI con Frison Costruzioni s.a.s. concorrente nella gara in oggetto, con i poteri per tutti gli atti di ordinaria amministrazione (come da visura camerale e dalle delibere di nomina e di conferimento dei poteri dei Consigli di Amministrazione del 27.03.2001 e del 18.05.2007 presenti in atti), sia Amministratrice della holding Panizzo s.r.l., con i più ampi ed illimitati poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società (come da visura camerale in atti).
Fondamentalmente diversa, invece, è la seconda fattispecie di ipotizzato collegamento sottoposta all’esame di questa Autorità dalla stazione appaltante Insula S.p.A..
Infatti, a differenza della Panizzo s.r.l., la Satio s.r.l., che viene in rilievo in tale secondo caso prospettato, non riveste il ruolo di società terza non partecipante alla gara, ma in grado di esercitare l’influenza dominante descritta dall’art. 2359 codice civile come detentrice di pacchetti di maggioranza delle diverse partecipanti alla gara. Ciò innanzitutto, perché la Satio s.r.l. non è titolare di quote (né in via diretta né in via indiretta) né della Tiozzo Gianfranco s.r.l., né della Coop. Sandro Gallo, e nemmeno della I.co.mar. s.r.l., (che sembra erroneamente chiamata in causa, stante l’avvenuto totale cambiamento della compagine societaria in passato censurata), in quanto le partecipazioni contestate sono in realtà in capo a singoli soggetti, soci o amministratori di dette società. Inoltre, perché la Coop. Sandro Gallo non è un partecipante alla gara di cui trattasi; infatti, come correttamente richiamato dalla stazione appaltante, il soggetto che ha formulato l’offerta economica nella procedura di gara in oggetto è il Consorzio Nazionale Cooperative di Produzione e Lavoro “Ciro Menotti”, secondo graduato, mentre la Coop. Sandro Gallo è stata indicata soltanto come esecutrice dei lavori.
Nessun dei succitati soggetti concorrenti si trova, infine, per quanto risulta in atti, nella condizione del soggetto che esercita influenza dominante, né notevole in impresa partecipante alla gara.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che:
- è possibile ipotizzare un collegamento sostanziale ex art. 34, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 tra le due rispettive capogruppo delle costituende ATI CGX Costruzioni Generali XODO s.r.l./Freguglia Teobaldo s.r.l. e Rossi Renzo Costruzioni s.r.l./Frison Costruzioni di Alessandro Frison s.a.s., previo accertamento da parte della stazione appaltante del ricorrere della fattispecie del controllo indiretto, esercitato dalla Panizzo s.r.l. nella Rossi Renzo Costruzioni s.r.l. per il tramite della sua controllata Corte della Libertà s.r.l., attraverso l’acquisizione di adeguati elementi di valutazione;
- non sussistono in atti elementi per configurare un collegamento sostanziale ex art. 34, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 tra il Consorzio Ciro Menotti, a mezzo della Coop. Sandro Gallo, e Tiozzo Gianfranco s.r.l.
(parere 11.06.2009 n. 71 - link a
massimario.avlp.it).

APPALTI: In materia di dimostrazione del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria.
Ritenuto in diritto:
Le problematiche sottoposte a questa Autorità con la prospettazione dei fatti rappresentati, attengono a diversi aspetti.
Innanzitutto, rilevano i profili concernenti la dimostrazione del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria di cui all’articolo 41 del D.Lgs. n. 163/2006, mediante la produzione delle dichiarazioni di almeno due istituti bancari o intermediari autorizzati dal D.Lgs. n. 385/1993, in relazione ai quali occorre accertare, da un lato, la questione della autocertificabilità delle dichiarazioni bancarie da parte dell’impresa concorrente ovvero della necessaria produzione delle dichiarazioni già in sede di offerta e, dall’altro, la questione dell’obbligo di presentare le dichiarazioni stesse in busta chiusa.
Inoltre, si pone necessaria una valutazione sia in ordine alla legittimità di una istanza di partecipazione alla quale sia stata allegata un copia del documento di identità non spillata all’istanza stessa, sia in relazione alla correttezza dell’operato di una stazione appaltante rispetto all’obbligo di custodia dei plichi.
Per i profili inerenti la produzione delle dichiarazioni bancarie, occorre considerare la nuova formulazione dell’articolo 41, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 11.09.2008 n. 152, applicabile ratione temporis alla fattispecie in questione, alla stregua del quale “negli appalti di forniture e di servizi, la dimostrazione della capacità finanziaria ed economica delle imprese concorrenti può essere fornita mediante uno o più dei seguenti documenti: a) dichiarazione di almeno due istituti bancari o intermediari autorizzati ai sensi del D.Lgs. n. 385/1993; b) bilanci o estratti di bilanci dell’impresa, ovvero dichiarazione sottoscritta in conformità alle disposizioni del D.P.R. n. 445/2000; c) dichiarazione, sottoscritta in conformità alle disposizioni del D.P.R. n. 445/2000, concernente il fatturato globale dell’impresa e l’importo relativo ai servizi e forniture nel settore oggetto della gara, realizzati negli ultimi tre esercizi.” Il successivo comma 4 stabilisce che la dichiarazione di cui al comma 1, lettera a) è presentata già in sede di offerta e che il concorrente aggiudicatario è tenuto ad esibire la documentazione probatoria a conferma delle dichiarazioni di cui al comma 1, lettere b) e c).
Fermo restando che per referenze bancarie si intendono le lettere di affidabilità con le quali gli istituti di credito attestano la solidità bancaria dell’impresa, la disposizione menzionata estende anche ai requisiti di capacità economica il principio, già previsto per i requisiti generali di cui all’articolo 38, che consente l’autocertificabilità dei requisiti ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, a condizione che essi vengano successivamente verificati mediante la richiesta delle certificazioni vere e proprie all’aggiudicatario.
Tuttavia l’autocertificabilità, come peraltro si evince dal richiamo espresso che il comma 1 dell’articolo 41 del D.Lgs. n. 163/2006 fa al D.P.R. n. 445/2000, è consentita solo per i mezzi di prova indicati alle lettere b) e c) del medesimo articolo, mentre per quello di cui alla lettera a) il Legislatore sancisce che il concorrente debba produrre, in ogni caso, le dichiarazioni provenienti da istituti di credito o intermediari finanziari già in sede di offerta, con l’obbligo del concorrente stesso di esibire l’originale in sede di verifica dei requisiti dichiarati. Tale interpretazione è, peraltro, supportata dal parere del Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi del 14.07.2008 n. 2357, che si è pronunciato proprio sullo schema del terzo decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici.
Alla luce di tali principi, non può essere ammessa ad una procedura di gara un’impresa concorrente che non abbia corredato la propria istanza di partecipazione della copia delle dichiarazioni degli istituiti bancari o degli intermediari finanziari autorizzati, in quanto la stessa risulterebbe priva della dimostrazione della capacità economico-finanziaria, quale requisito speciale richiesto dall’ordinamento per la partecipazione alle procedure di gara.

Nel caso di specie, la concorrente ditta Checchi non ha allegato alla propria istanza di partecipazione le referenze bancarie richieste e ciò ha indotto la stazione appaltante ad escluderla.
Considerata l’essenzialità del documento probatorio della capacità economico-finanziaria dell’impresa, mediante il quale la stazione appaltante riesce a conoscere l’affidabilità della stessa, il fatto che un’impresa concorrente, contravvenendo peraltro alle disposizioni di cui al Capitolato speciale d’appalto, non abbia allegato le menzionate dichiarazioni alla propria istanza di partecipazione non può non costituire motivo di esclusione.
Peraltro, rileva altresì che, nel caso di specie, il termine ultimo di presentazione della documentazione di partecipazione era stato fissato nella lex specialis, per il giorno 19.12.2008, mentre la dichiarazione bancaria che la ditta Checchi sostiene di aver avuto in possesso già nella prima seduta di gara, avvenuta il 22.12.2008, riporta proprio la data del 22.12.2008 ed è quindi certamente tardiva rispetto al previsto termine di scadenza di presentazione delle offerte.
L’eventuale ammissione di una integrazione documentale di un documento non corredato all’offerta e prodotto successivamente alla scadenza del termine ultimo previsto per la presentazione delle offerte determinerebbe, da parte della stazione appaltante, non solo una violazione delle clausole della lex specialis, a cui la stessa si è autovincolata al momento della loro determinazione, ma produrrebbe anche una violazione della par condicio nei confronti dei concorrenti che invece hanno provveduto a corredare la documentazione amministrativa delle prescritte dichiarazioni nei termini indicati.
Quanto alla mancata previsione nell’allegato modello C, “Istanza di partecipazione” di alcun riferimento alle dichiarazioni bancarie, essa trova giustificazione proprio nel dettato normativo di cui all’articolo 41 del D.Lgs. n. 163/2006, nel testo modificato dal terzo decreto correttivo, che non consente l’autocertificabilità delle dichiarazioni bancarie, ma prevede che copia delle medesime sia fornita in sede di gara e che esse siano poi comprovate in fase di controllo sul possesso dei requisiti ex articolo 48, mediante produzione dell’originale delle dichiarazioni medesime.
Inconferente appare il rilievo dell’impresa alla prescrizione del Capitolato speciale d’appalto che sancisce come “la verifica in sede di gara sarà condotta richiedendo la produzione della sotto indicata documentazione probatoria: - idonee referenze bancarie rilasciate in originale da almeno un istituto di credito.” La disposizione, infatti, è preceduta dalla seguente proposizione “Le dichiarazioni richieste per la presente gara relativamente al possesso dei requisiti di capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria sono soggette al controllo dell’articolo 48 del D.Lgs. n. 163/2006.”
La lettura congiunta delle due enunciazioni rende chiaro come la produzione in sede di gara dell’originale delle dichiarazioni bancarie si incardina nel sub-procedimento di controllo sul possesso dei requisiti; in tanto può avvenire un controllo sui requisiti effettivamente posseduti, in quanto i medesimi siano stati dichiarati o prodotti in copia in una fase antecedente. Diversamente opinando la fase di controllo ex articolo 48 perderebbe la propria funzione di verifica dei requisiti, diventando invece un momento ulteriore in cui le imprese concorrenti possono produrre quanto non dimostrato in sede di presentazione dell’istanza di partecipazione.
In tal modo si aprirebbe il varco per una sorta di legittimazione dell’integrazione documentale dei requisiti speciali richiesti, svilendo sia la ratio sottesa all’istituto sia i principi in materia di contratti pubblici, primo tra tutti il principio di par condicio.
Per quanto concerne poi il mancato inserimento della dichiarazione bancaria prodotta in una apposita busta chiusa, si rileva come un’eventuale ed ulteriore formalità in tal senso dovrebbe essere prevista dalla lex specialis, nella descrizione delle modalità di presentazione delle offerte.
Nel caso di specie, non è rinvenibile nel Capitolato speciale d’appalto nessun tipo di prescrizione in tal senso, essendo esclusivamente sancito che gli offerenti devono presentare tre buste, (“documentazione amministrativa”, “offerta tecnica” e “offerta economica”), ciascuna delle quali costituisce un autonomo plico, da presentare appositamente chiuso e con sigilli e controfirme del legale rappresentante dell’impresa sui lembi di chiusura e che tutte e tre debbano essere contenute in un apposito plico.
Non essendo prevista alcuna specifica formalità in ordine alla presentazione della dichiarazione dell’istituto bancario o dell’intermediario finanziario e considerato che l’articolo 41 del D.Lgs. n. 163/2006 consente di produrre una copia della dichiarazione dell’istituto bancario, rinviando la produzione dell’originale al successivo momento di controllo dei requisiti, non sembrano sussistere motivi per escludere la società Caponera S.r.l.
Appare quindi sotto tale profilo non giustificata l’ammissione con riserva disposta nei confronti della concorrente.
In ordine alla questione concernente la necessità di spillare all’istanza di partecipazione la copia del documento di identità allegato, si precisa che la disposizione di cui all’articolo 38, comma 3, del D.P.R. n. 445/2000 prevede: “Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore. La copia fotostatica del documento é inserita nel fascicolo.”
Considerato che, secondo l’ormai consolidato orientamento interpretativo, la produzione della copia del documento di identità costituisce elemento costitutivo della fattispecie descritta dal menzionato articolo 38, in quanto essa conferisce legale autenticità alla sua sottoscrizione apposta in calce a una istanza o a una dichiarazione e serve a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione a una determinata persona fisica, tale finalità non verrebbe disattesa interpretando la citata disposizione nel senso che sia sufficiente ai fini della conformità dell’autocertificazione la contestuale produzione dell’autocertificazione e del documento di identità.
Pertanto, nel caso di specie, il fatto che la società Caponera abbia presentato un’istanza di partecipazione con allegata una copia del documento di identità non spillata è conforme alla normativa in materia amministrativa e, pertanto, non costituisce motivazione per ammettere con riserva l’impresa concorrente.
Per quanto concerne, infine, la questione attinente all’eventuale violazione degli obblighi di custodia dei plichi, che avrebbe potuto determinare alterazioni o manomissioni dei plichi stessi, rileva il fatto che, come precisato nel verbale di gara del 23.12.2008, la Commissione ha adottato le modalità che ha ritenuto opportune per garantire l’integrità dei plichi e la segretezza delle offerte, provvedendo a controfirmare le buste contenenti l’offerta economica e tecnica, reinserirle nei plichi di consegna e custodirle sotto chiave nell’Ufficio della Direzione. Peraltro, l’eventuale inefficacia delle modalità di custodia adottate non è stata dimostrata dal verificarsi di specifiche alterazioni della documentazione prodotta.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’operato del Parco Naturale dei Monti Simbruini è conforme alla normativa di settore per quanto concerne l’esclusione della ditta Checchi e la modalità di custodia dei plichi delle offerte, mentre la società Caponera S.r.l. doveva essere ammessa senza riserva (parere 11.06.2009 n. 70 - link a
massimario.avlp.it).

APPALTI: In materia di mancato pagamento del contributo all’Autorità e di annullamento in autotutela della procedura di gara.
Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione di questa Autorità con la prospettazione dei fatti rappresentati, attiene, da un lato, alla necessità di attivare la procedura di attribuzione del Codice Identificativo della Gara (CIG) e, dall’altro, all’obbligatorietà del versamento del contributo all’Autorità ai fini della partecipazione ad una procedura di gara. In via generale, in ordine al pagamento del contributo per la partecipazione alle procedure di gara, l’Autorità ha più volte chiarito che, come indicato nella deliberazione 24.01.2008, il versamento del contributo costituisce condizione di ammissibilità dell’offerta alla procedura di gara, con l’effetto che la mancata dimostrazione dell’avvenuto versamento del contributo comporta l’esclusione dell’impresa offerente; ciò anche nel caso in cui la lex specialis non preveda espressamente tale obbligo (da ultimo, parere n. 25 del 31.01.2008). L’esclusione, invece, non si estende alle ipotesi in cui l’impresa abbia indicato in modo errato il CIG ovvero abbia omesso di indicarlo nella causa di versamento, essendo possibile in tal caso procedere all’integrazione documentale (da ultimo, parere n. 34 del 31.01.2008).
In relazione alle ipotesi in cui la stazione appaltante ometta di richiedere e/o indicare il CIG nella documentazione di gara, l’Autorità ha precisato che la stessa deve procedere a pubblicare un avviso di rettifica (in tal senso, si veda la risposta n. 6 ai quesiti frequenti, pubblicati sul sito dell’Autorità, nella sessione riscossioni).
Nelle “Istruzioni relative alle contribuzioni dovute, ai sensi dell’articolo 1, comma 67, della legge 23.12.2006 n. 266 di soggetti pubblici e privati”, pubblicate sul sito dell’Autorità, sono indicate le modalità e i termini di contribuzione (sezione B delle Istruzioni), dalle quali si evince che la stazione appaltante non è tenuta alla richiesta del CIG per lotti di servizi e forniture di importo inferiore a 20.000 euro e per lotti di lavori inferiore a 40.000 euro e che sono esonerate dal versamento del contributo le procedure il cui importo complessivo a base d’asta è inferiore a 150.000 euro.
Tanto premesso in via generale, occorre rilevare che nel caso di specie gli Istituti Riuniti di Beneficienza di Corinaldo, pur avendo bandito una procedura di gara di importo pari a 71.835,28 euro e quindi di importo inferiore a 150.000 euro, soglia al di sotto della quale non è previsto l’obbligo di contribuzione, non hanno tuttavia provveduto ad attivare la procedura di accreditamento della gara al Sistema Informativo di Monitoraggio delle Gare (SIMOG), che avrebbe attribuito alla procedura un Codice Identificativo della Gara e determinato l’importo dell’eventuale contribuzione.
Dal momento che dalla menzionata procedura di accreditamento presso il sistema SIMOG sono esonerate esclusivamente le procedure o i lotti di valore inferiore a 20.000 euro, per i servizi, e di 40.000 euro, per i lavori, mentre il valore dell’appalto in oggetto, come sancito dal Consiglio di Amministrazione nella delibera n. 31/2008, è pari a 71.835,28 euro, è evidente che, sebbene per la procedura di gara in questione non sussista l’obbligo di contribuzione all’Autorità, tuttavia ciò non comporta anche l’esonero per la stazione appaltante di procedere al relativo accreditamento presso il sistema SIMOG al fine di ottenere il CIG.
Gli Istituti Riuniti dovranno, pertanto, procedere a registrare la procedura in questione nel sistema SIMOG, pubblicando una rettifica alla documentazione di gara prodotta con l’indicazione del CIG così ottenuto.
I medesimi Istituti non potranno, invece, procedere all’esclusione dell’offerta presentata dalla Banca di Credito Cooperativo per non aver provveduto al versamento del contributo all’Autorità, non sussistendo il relativo obbligo per la gara in questione, per cui risulta scongiurato il rischio di dover aggiudicare all’unica offerta rimasta in gara e di frustrare, in tal modo, l’interesse ad avere il maggior numero di offerte in gara.
Peraltro, proprio in relazione all’intenzione manifestata dagli Istituti Riuniti di rinnovare la procedura di gara, occorre rilevare che, come più ampiamente precisato dall’Autorità nel parere n. 19 del 12.02.2009, sebbene la valutazione di un possibile annullamento in autotutela di una procedura di gara rientri nell’esclusiva potestà discrezionale di una stazione appaltante, che è chiamata a decidere in tal senso laddove sussistano ragioni di opportunità e di interesse pubblico attuale e concreto, tale provvedimento dovrà, in ogni caso, essere adottato fondando la valutazione non sulla mera esigenza di ripristinare la legalità in una procedura di gara, ma tenendo conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto. Se l’illegittimità del provvedimento, infatti, giustifica l’esercizio del potere di autotutela nel caso in cui la procedura sia inficiata da vizi che non hanno consentito di assicurare il rispetto della concorrenza tra le imprese e la par condicio tra le stesse, occorre comunque, che vengano individuati da parte della stazione appaltante tutti gli interessi pubblici attuali, distinti dal mero interesse al ripristino della situazione di legittimità che giustifica la rimozione dell’atto viziato.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che gli Istituti Riuniti di Beneficienza di Corinaldo dovranno procedere a registrare la procedura in questione nel sistema SIMOG, pubblicando una rettifica alla documentazione di gara prodotta con l’indicazione del CIG ottenuto, e non potranno escludere l’offerta presentata dalla Banca di Credito Cooperativo per non aver provveduto al versamento del contributo all’Autorità, non sussistendo il relativo obbligo per la gara in questione (parere 11.06.2009 n. 69 - link a
massimario.avlp.it).

dossier CONSIGLIERI COMUNALI

CONSIGLIERI COMUNALI: Il diritto dei consiglieri comunali e provinciali di "ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie ed informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del loro mandato” non postula e richiede che la domanda sia formulata per iscritto, all’uopo bastando una richiesta verbale, recante le indicazioni essenziali a individuare gli atti, i documenti e, in generale, le informazioni richieste, prescindendosi anche dalla precisa individuazione degli estremi identificativi degli atti richiesti.
Osserva la Sezione che l’orientamento assolutamente dominante in materia, che la Sezione ritiene di condividere e far proprio, differenzia nettamente il diritto di accesso dei privati da quello di cui sono titolari i Consiglieri Comunali e assoggetta alle formalità e ai noti temperamenti insiti nell’impianto della legge sul procedimento, unicamente il diritto di accesso dei privati (cittadini o imprese) disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della L. 241/1990, liberando in particolare il diritto di accesso dei consiglieri comunali:
1. dall’onere della richiesta scritta;
2. dalla prova della titolarità di un interesse alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante;
3. dall’onere della motivazione della propria richiesta;
4. dal limite del controllo, purché non sia emulativo e paralizzante, dell’attività dell’ente, finalità che, invece, sostanzia proprio un saliente profilo del mandato elettivo.
Conviene forse riportare alcune tra le più significative enunciazioni della giurisprudenza, quali quella secondo cui “il diritto di accesso del consigliere comunale agli atti del comune assume un connotato particolare, in quanto finalizzato al pieno ed effettivo svolgimento delle funzioni assegnate al consiglio comunale, con la conseguenza che sul consigliere comunale non grava alcun onere di motivare le proprie richieste d'informazione, né gli uffici comunali hanno titolo a richiederle e conoscerle” (TAR Abruzzo–Pescara, Sez. I, 20.02.2008, n. 123; riproduttiva di Consiglio Stato, Sez. V, 22.02.2007, n. 929).
Unico limite, discendente peraltro da comuni canoni di proporzionalità e ragionevolezza, è stato condivisibilmente rinvenuto nella formalità, minima, dell’esatta indicazione dei documenti richiesti, dei quali, ancorché non sia necessaria la menzione degli estremi identificativi precisi, occorre peraltro fornire almeno gli elementi identificativi (TAR Sardegna, Sez. I, 16.01.2008, n. 32).
Ulteriormente poi precisandosi pure che “il consigliere comunale non può abusare del diritto all'informazione riconosciutogli dall'ordinamento, piegandone le alte finalità a scopi meramente emulativi od aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro gli immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa dell'ente civico” (TAR Sardegna, Sez. I, n. 32/2008 cit.).
La delineata estensione della portata e del contenuto del diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali discende ad avviso del Tribunale pianamente dal tenore testuale e dalla ratio dell’art. 43, comma 2 del Testo Unico sugli Enti locali, di cui parte ricorrente lamenta la violazione.
Ebbene, tale norma, a mente della quale “i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”, è formulata in termini assai ampi, apparendo il diritto ivi sancito condizionato al solo vincolo della sua funzionalizzazione all’espletamento del mandato, confondendosi e identificandosi dunque la condizione del diritto di accesso con il suo fine.
Su queste coordinate interpretative si è infatti posto il Giudice d’appello, che ha chiarito, che “il diritto di accesso del consigliere comunale non conosce i vincoli e le limitazioni previsti dall'ordinario accesso di cui alla legge n. 241/1990”, essendo ad esempio esclusi alcuni importanti limiti che astringono invece il diritto d’accesso generale ed ordinario di cui all’art. 22 della legge sul procedimento amministrativo “ed in particolare quelli relativi alla riservatezza dei terzi. La legge non prende dunque in considerazione la posizione di coloro che potrebbero opporsi all'accesso (cui accorda come unica protezione l'obbligo del segreto a carico del consigliere comunale)” (Consiglio Stato, Sez. V, 09.10.2007, n. 5264).
Con la medesima ultima Decisione il Consiglio ha anche chiarito la ratio dell’art. 43 del TUEL, precisante che il diritto d’accesso ivi scolpito, “essendo riferito all'espletamento del mandato, investe l'esercizio del “munus” in tutte le sue potenziali implicazioni per consentire la valutazione della correttezza ed efficacia dell'operato dell'amministrazione comunale. (…) Il diritto di accesso è stato, infatti, attribuito ai consiglieri comunali per "tutte le notizie e le informazioni utili all'espletamento del proprio mandato" e, quindi, per tutte le notizie ed informazioni ritenute utili, senza alcuna limitazione. Dal termine "utili" contenuto nella norma in oggetto non consegue, quindi, alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, bensì l'estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato utile all'espletamento del mandato” (Consiglio Stato, Sez. V, 09.10.2007, n. 5264).
Va tuttavia ricordato limite esterno del diritto d’accesso dei Consiglieri comunali e provinciali, anch’esso discendente peraltro da comuni canoni di proporzionalità e ragionevolezza che impongono di bandirne ogni carattere emulativo e ogni direzione verso richieste generiche e indiscriminate. In tal senso si è puntualizzato che il diritto in esame, “pur essendo più ampio di quello riconosciuto alla generalità dei cittadini ai sensi degli artt. 22 ss., l. 07.08.1990 n. 241, non solo non può essere emulativo ma neppure incondizionato e comunque fondato su richieste generiche e indiscriminate, ma soggiace alle limitazioni derivanti dalla molteplicità dei servizi che il Comune deve assicurare agli amministrati e dal rispetto degli impegni di contenimento delle spese generali di gestione dell'ente” (Consiglio Stato, Sez. V, 28.12.2007, n. 6742; TAR Veneto, Sez. I, 23.11.2005 n. 3897).
In particolare, procedendo ad una specificazione concreta delle esposte teorizzazioni pretorie, ritiene il Tribunale di poter affermare che il diritto dei consiglieri comunali e provinciali, sancito dall’art. 43 del d.lgs. n. 267/2000, di “ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie ed informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del loro mandato” non postula e richiede che la domanda sia formulata per iscritto, all’uopo bastando una richiesta verbale, recante le indicazioni essenziali a individuare gli atti, i documenti e, in generale, le informazioni richieste, prescindendosi anche dalla precisa individuazione degli estremi identificativi degli atti richiesti (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 31.07.2009 n. 2128 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE

EDILIZIA PRIVATAIn caso di pagamento rateizzato degli oneri di urbanizzazione, la polizza fidejussoria di garanzia è pari alla somma garantita (più interessi legali) senza aggiungervi l'importo corrispondente alla sanzione massima per l'eventuale ritardato pagamento (40%).
Ai sensi del comma 5 dell'art. 42 del DPR n. 380/2001, l'amministrazione può procedere alla riscossione coattiva del complessivo credito solo una volta decorso inutilmente il termine di cui alla lett. c) del comma 2 (termine scaduto il quale scatta la sanzione massima, pari all'aumento del contributo in misura del 40%).
In merito all'applicazione della sanzione per ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione la giurisprudenza non ha una posizione unitaria.
Un orientamento è dell'avviso che allorché l'amministrazione abbia ottenuto dal privato una fidejussione bancaria "a semplice richiesta" a garanzia dell'importo da versare per il contributo a titolo di oneri urbanistici e, successivamente, verifichi che l'interessato ha omesso di corrispondere i ratei alle scadenze previste, è illegittima l'emanazione di un'ordinanza per il pagamento di una somma comprendente  (oltre alle rate non pagate) le sanzioni, ciò in quanto sarebbe stata sufficiente la semplice richiesta al fidejussore (iniziativa non gravosa né esposta a rischi di sorta) per evitare un consistente aggravamento della posizione debitoria del privato (ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c.) e per conseguire tempestivamente il credito (Cons. Stato, sez. V 03.07.1995 n. 1001; Cons. Stato sez. V 05.02.2003 n. 585 e 10.01.2003 n. 32; TAR Veneto, sez. II, 09.02.2006, n. 342; TAR Sardegna, sez. II, 07.08.2006, n. 1595; TAR Lombardia-Milano, sez. II, 07.10.2003, n. 4505).
Altro orientamento sostiene, invece, che non sussista in capo alla p.a. un obbligo di previa escussione del fidejussore. Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 6345/2005 ha affermato che l'art. 1227 c.c. "esula del tutto dall'ambito sanzionatorio, in cui l'ente investito della potestà punitiva non può certamente equipararsi al creditore di un'obbligazione risarcitoria, tanto più allorquando la progressione illecita del trasgressore -puntualmente scandita da graduati e ragionevoli aggravamenti delle sanzioni in corrispondenza del protrarsi del ritardo nel pagamento- non abbia ancora esaurito tutta l'antigiuridicità presa in considerazione  dalla singola previsione applicata (...) La fidejussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'amministrazione, sulla quale non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del fidejussore; invero, la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di per sé l'obbligazione principale" (Cons. Stato, sez. V, 11.11.2005, n. 6345; Cons. Stato, sez. IV, 13.03.2008 n. 1084; Cons. Stato, sez. V, 16.07.2007 n. 4025; Cons. Stato, sez. II, 24.05.2006 n. 7683; TAR Milano, sez. II, 02.02.1998 n. 136; TAR Campania-Salerno, sez. II, 16.06.2008 n. 1936).
Il collegio ritiene corretta la conclusione cui perviene quest'ultimo orientamento per le seguenti, ulteriori, ragioni.
Ai sensi del comma 5 dell'art. 42 del DPR n. 380/2001, l'amministrazione può procedere alla riscossione coattiva del complessivo credito solo una volta decorso inutilmente il termine di cui alla lett. c) del comma 2 (termine scaduto il quale scatta la sanzione massima, pari all'aumento del contributo in misura del 40%).
La riscossione coattiva è, dunque, la conseguenza più grave prevista dalla legge per l'ipotesi in cui il ritardo si protragga oltre il 240° giorno (che va ad aggiungersi alla sanzione dell'aumento del contributo nella misura pari al 40%).
La p.a. può, pertanto, escutere la fidejussione solamente in un momento in cui, per il ritardo maturato, è già insorto in capo al privato l'obbligo di pagare la sanzione nella misura massima prevista.
Poiché ai sensi del comma 4 dell'art. 42 del DPR n. 380/2001, in caso di pagamento rateizzato, le norme di cui al secondo comma si applicano ai ritardi nei pagamenti delle singole rate, anche con riferimento a tali ipotesi, l'escussione del fidejussore potrà intervenire solamente allo scadere del 240° giorno di ritardo, allorché, dunque, è già scattato l'aumento del contributo nella misura del 40% (TAR Lombardia-Milano Sez. II, sentenza 06.07.2009 n. 4306).

EDILIZIA PRIVATA: Il termine di prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per il costo di costruzione è di 5 anni.
Giova richiamare il consolidato e persuasivo orientamento della giurisprudenza amministrativa (cfr., tra le altre, TAR Basilicata, 30.04.2008 n. 141; TAR Campania, Salerno, Sez, II, 22.04.2005 n. 647; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 08.10.2001 n. 1514; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 08.05.2006 n. 701) secondo cui il termine di prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per il costo di costruzione è di 5 anni in applicazione della normativa dettata dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981, la quale è estesa dall’art. 12 della stessa legge a “tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale”.
Ed invero, il suddetto art. 28, che fissa in 5 anni il termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute, in virtù della disposta estensione prevista dall’art. 12 della stessa legge, si applica a tutte le sanzioni amministrative di tipo afflittivo, tra le quali deve essere ricompresa quella conseguente al ritardato od omesso versamento dei contributi afferenti la concessione edilizia (oggi, permesso di costruire), atteso che l’irrogazione della stessa, essendo volta a sanzionare la non puntuale osservanza dell’obbligo contributivo, presenta di certo carattere afflittivo, e ciò la prefigura svincolata da ogni forma di protezione diretta dell’interesse di natura urbanistica.
Sempre a norma del citato art. 28, il “..diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione…”.
Nel caso di specie, il “dies a quo” del termine di prescrizione quinquennale va individuato nella scadenza del termine di 240 giorni successivi alla data prevista per il pagamento della 1^ e della 2^ rata relative al contributo dovuto per il costo di costruzione (cfr. art. 42, secondo comma lett. c, del D.P.R. n. 380 del 2001, come sostituita dall’art. 27, comma 17, L. n. 448 del 2001).
Infatti, a norma del citato art. 42, secondo comma lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001, quando l’omissione del pagamento del contributo si protrae fino a 240 giorni dalla scadenza prevista va applicata una sanzione pecuniaria pari al 40% del contributo dovuto.
A norma del successivo comma 5 dello stesso articolo, decorso inutilmente il predetto termine di 240 giorni, il comune provvede alla riscossione coattiva del complessivo credito (sia di quello relativo al contributo non versato, sia della sanzione da irrogare per l’omesso versamento).
Il momento in cui si consuma la violazione va, quindi, individuato nella inutile scadenza del termine di 240 giorni, decorso il quale la sanzione correlata al mancato versamento del contributo dovuto (o di una o più rate dello stesso) era ovviamente riscuotibile (in questa sede non è controversa la misura della sanzione concretamente applicata dal Comune, non avendo il ricorrente formulato alcuna censura in proposito), insieme con la 1^ e la 2^ rata del contributo (TAR Basilicata, sentenza 22.04.2009 n. 138 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La fideiussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l’adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell’interesse dell’Amministrazione, sulla quale non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore.
La questione portata all’esame del Collegio concerne la legittimità della ingiunzione, disposta dal Comune, di pagamento della sanzione prevista dall’art. 3, comma 2, della legge n. 47/1985 per il ritardato pagamento delle somme dovute a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, nel caso in cui il privato, a garanzia delle obbligazioni assunte, abbia stipulato polizza fideiussoria.
Si discute, in particolare, se l’esistenza di una garanzia fideiussoria, con esclusione per la compagnia di assicurazione del beneficio della preventiva escussione del contraente, obblighi il Comune ad una tempestiva richiesta al garante delle somme dovute, in tal modo evitando l’applicazione delle sanzioni di legge per ritardato pagamento a carico del privato.
Al predetto quesito ritiene il Tribunale debba offrirsi risposta negativa, in adesione al condivisibile orientamento giurisprudenziale espresso dal Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 6345 dell’11.11.2005.
Il Supremo Consesso ha, invero, stabilito che la fideiussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l’adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell’interesse dell’Amministrazione, sulla quale non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore.
Invero, la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere un’entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di diligenza sullo stesso incombenti, né ancora estingue di per sé l’obbligazione principale.
Sotto altro profilo (e con ciò confutandosi altra specifica censura), ritiene il Tribunale che non sussista un obbligo del Comune di “preavvisare” del pagamento della sanzione ovvero di “avvertire" delle conseguenze del ritardato pagamento, così da non aggravare la posizione debitoria ai sensi dell’art. 1227, comma 2, cod. civ.
Invero, l’obbligazione ha ad oggetto una prestazione generica, da eseguirsi, secondo le regole comuni, al domicilio del creditore.
Secondo la normativa civilistica, dunque, alla scadenza del termine di adempimento il debitore è costituito in mora automaticamente, senza che sul creditore gravi alcun onere di sollecitazione.
Né risulta invocabile la disciplina contenuta nel richiamato art. 1227 cod. civ., atteso che essa si riferisce unicamente ad obbligazioni di carattere e contenuto risarcitorio e non a quelle, come a quella oggetto del presente giudizio, di carattere sanzionatorio (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 16.06.2008 n. 1936 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di pagamento rateizzato degli oo.uu., l’inadempimento che l’art. 42 (DPR 380/2001) sanziona è una condotta omissiva puntuale, verificabile ad un momento certo, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione, seppure ricondotto retroattivamente alla scadenza del termine di pagamento attraverso il meccanismo dell'accreditamento con valuta retroattiva.
Con il primo motivo l’appellante deduce che l’amministrazione, a fronte dell’omesso tempestivo pagamento della rata del contributo per oneri di urbanizzazione, è obbligata ad applicare a titolo sanzionatorio l’aumento (del 10%) previsto dall’art. 42, comma 2, del T.U. n. 380 del 2001.
Erra dunque la sentenza di primo grado allorché afferma che l’irrogazione della predetta sanzione –in presenza di garanzia a prima richiesta non escussa– comporti un indebito aggravamento della posizione del debitore ai sensi dell’art. 1227 cod. civ..
Il mezzo è fondato, in quanto la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha da tempo chiarito (cfr. V Sez. nn. 1250 e 6345 del 2005 nonché n. 4025 del 2007) che, in assenza di inadempimenti imputabili all’Amministrazione idonei a configurare a suo carico una responsabilità “da contatto” oppure di natura precontrattuale, il richiamo all’art. 1227 c.c. è del tutto inconferente, essendo tale disposizione riferibile solo alle obbligazioni di carattere risarcitorio e non a quelle (anche di contenuto pecuniario) di natura sanzionatoria, che restano governate dalla disciplina pubblicistica di riferimento.
D'altronde –come si evidenzia nelle citate decisioni- neppure con riguardo al regime ordinario delle obbligazioni tra privati sarebbe pertinente il richiamo all’art. 1227 cod. civ.
Infatti, l'onere di diligenza che questa norma fa gravare sul creditore non si estende alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito onde evitare maggiori danni, i quali viceversa sono da imputare esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo adempimento della sua obbligazione.
Del resto, in materia di obbligazioni “portable” quali quelle pecuniarie, e con termine di adempimento che esonera dalla costituzione in mora del debitore, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo, salva l'esistenza di apposita clausola in tal senso, nella specie assolutamente non stipulata.
Con il secondo motivo l’appellante deduce l’irrilevanza del fatto che il tardivo pagamento sia stato effettuato con valuta retrodatata al giorno di scadenza dell’obbligazione.
Anche questo mezzo è fondato, in primo luogo perché, essendo il comune di Venezia soggetto al regime di Tesoreria Unica, i pagamenti effettuati a mezzo bonifico bancario a favore dell’Ente vengono registrati sul conto solo nel giorno di incasso.
In ogni caso, a prescindere da tale aspetto fattuale, l’inadempimento che l’art. 42 sanziona è una condotta omissiva puntuale, verificabile ad un momento certo, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione, seppure ricondotto retroattivamente alla scadenza del termine di pagamento attraverso il meccanismo dell'accreditamento con valuta retroattiva (cfr. IV Sez. n. 8215 del 2004) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.03.2008 n. 1084 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non è dato ravvisare nel sistema di cui agli artt. 1936 ss. cod. civ. alcun principio di preventiva doverosa escussione del fideiussore alla scadenza del termine fissato per l'adempimento dell'obbligazione garantita (ndr: pagamento rateizzato degli oo.uu.), che peraltro colliderebbe con le finalità dell'istituto, inteso a rafforzare la garanzia del credito in funzione di un interesse proprio e specifico del creditore.
L’applicazione della sanzione pecuniaria (per ritardato pagamento rateizzato degli oo.uu.) non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, trattandosi dell’applicazione ex lege di una sanzione pecuniaria connessa al ritardato pagamento del contributo dovuto per il rilascio della concessione edilizia.

Pur in presenza di un contratto di garanzia cosiddetta autonoma, con il quale il garante si obbliga ad eseguire la prestazione oggetto della garanzia "a semplice richiesta" del creditore garantito, senza opporre eccezioni attinenti alla validità, all'efficacia ed alla vicenda del rapporto principale, anche in questa ipotesi il meccanismo dell'adempimento del garante "a prima richiesta" scatta a seguito dell'inadempimento dell'obbligazione principale, ancorché resti vietato al garante di chiedere la preventiva escussione del debitore principale (Cass. 18.11.1992 n. 12341, 03.11.1993 n. 10850, 17.05.2001 n. 6757) .
D'altronde, neppure con riguardo al regime ordinario delle obbligazioni tra privati sarebbe pertinente il richiamo all’art. 1227 cod. civ.. Infatti, l'onere di diligenza che questa norma fa gravare sul creditore non si estende alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito onde evitare maggiori danni, i quali viceversa sono da imputare esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo adempimento della sua obbligazione (V. Corte cost. n. 308 del 14.07.1999).
Inoltre, non è dato ravvisare nel sistema di cui agli artt. 1936 ss. cod. civ. alcun principio di preventiva doverosa escussione del fideiussore alla scadenza del termine fissato per l'adempimento dell'obbligazione garantita, che peraltro colliderebbe con le finalità dell'istituto, inteso a rafforzare la garanzia del credito in funzione di un interesse proprio e specifico del creditore.
In altri termini, ed in materia di obbligazioni “portable” quali quelle pecuniarie, e con termine di adempimento che esonera dalla costituzione in mora del debitore, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo, salva l'esistenza di apposita clausola in tal senso (che dovrebbe essere accettata dall’Amministrazione), nella specie non prevista.
Detto orientamento poi non è in contrasto con quanto ritenuto nelle decisioni di questa Sezione n. 32 e n. 585 del 2003, in quanto queste si riferiscono ad ipotesi di incertezza da parte dello stessa Amministrazione in ordine all’an o al quantum del contributo, nella specie insussistente.
L’applicazione della sanzione pecuniaria non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, trattandosi dell’applicazione ex lege di una sanzione pecuniaria connessa al ritardato pagamento del contributo dovuto per il rilascio della concessione edilizia (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.07.2007 n. 4025 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier RIFIUTI E BONIFICHE

AMBIENTE-ECOLOGIAL'amministrazione non può imporre ai proprietari che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'abbandono di rifiuti, ma che vengono individuati solo in quanto titolari di diritto reale sul bene, lo svolgimento di attività di rimozione, recupero e di ripristino.
Il Collegio osserva che l’art. 14 d.lgs. n. 22/1997 (oggi confluito nell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006) dispone quanto segue: “L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. È altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee. Fatta salva l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 51 e 52, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie e il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati e al recupero delle somme anticipate”.
Come si nota, il coinvolgimento del proprietario dell’area è previsto soltanto ove lo stesso -ovviamente- sia il diretto responsabile dell’abbandono ovvero se, in solido con il diretto responsabile, abbia compiuto la violazione a titolo di dolo o colpa ma tale accertamento del suo titolo di coinvolgimento deve essere compiuto in maniera adeguata e ne deve essere data indicazione con congrua motivazione nel relativo provvedimento, con esclusione di una configurazione di responsabilità di tipo “oggettivo” o residuale nell’ipotesi in cui i responsabili omettano di intervenire pur se intimati.
Sul punto, il Collegio non può che ribadire principi più volte richiamati anche da questa stessa Sezione (da ultimo, TAR Toscana, Sez. II, 05.06.2009, n. 993 e 06.05.2009, n. 762), per cui la disposizione di cui all’art. 14, comma 3, d.lgs n. 22/1997 non può che essere interpretata nel senso che l'obbligo di adottare le misure idonee alla eliminazione del rifiuto incombe solamente a carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa.
La norma individua, perciò, solo nel profilo “soggettivo” della condotta dell'autore dell'abbandono -per il proprietario esplicitamente richiamando il titolo di dolo o di colpa- la fonte dell'obbligo a provvedere alla rimozione, al recupero e al ripristino. Il proprietario dell’area, quindi, può essere coinvolto in tali operazioni non in quanto tale -a titolo di responsabilità “oggettiva”, che infatti la norma esclude– ma solo se ha contribuito effettivamente alla violazione con azioni o omissioni a lui riconducibili a titolo di dolo o colpa. Come detto, tale riconducibilità deve essere provata nella fase istruttoria e deve confluire in una congrua motivazione contenuta nel provvedimento che impone la rimozione, il recupero, lo smaltimento e il ripristino.
Da ciò la giurisprudenza quasi univoca, condivisa dal Collegio, deduce la mancanza di responsabilità, e quindi di obbligo alla rimozione-recupero-ripristino, del proprietario “incolpevole” (TAR Toscana, sez. II, 17.04.2009, n. 665; TAR Veneto, sez. III, 25.05.2005, n. 2174; TAR Lombardia, Milano, sez. I, 08.10.2004, n. 5473; TAR Campania, sez. V, 28.09.1998, n. 2988).
Ne consegue che l'amministrazione non può imporre ai proprietari che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno di abbandono di rifiuti contestato, ma che vengono individuati solo in quanto titolari di diritto reale sul bene, lo svolgimento di attività di rimozione, recupero e di ripristino (TAR Veneto, sez. III, 02.02.2002, n. 320).
Sotto tale profilo, si ricalca la conclusione della giurisprudenza penale in ordine alla inimputabilità del proprietario incolpevole, che non compia atti di gestione e movimentazione dei rifiuti, atteso che non si riscontra nei confronti dello stesso un obbligo giuridico di recintare il terreno, di scongiurare la “desertificazione” del terreno stesso o di garantire una destinazione specifica, posto che gli obblighi di gestione e smaltimento dei rifiuti sono posti esclusivamente a carico dei produttori e dei detentori dei rifiuti medesimi (Cass. Pen., Sez. III, 15.12.2008, n. 46072) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 18.06.2009 n. 1062 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAIn materia di abbandono di rifiuti, tra le ordinanze contingibili ed urgenti (a firma del Sindaco) non rientrano quelle disciplinate dall'art. 14, comma 3, del D.lgs. 05.02.1997, n. 22, in quanto tali ordinanze hanno carattere sanzionatorio, essendo previste soltanto per le violazioni imputabili "a titolo di dolo o colpa", e rientrano nell'ordinaria gestione amministrativa di spettanza dirigenziale.
La giurisprudenza formatasi al riguardo -condivisa dal Collegio- ha già affrontato la questione dell’anzidetta competenza sindacale, dopo l’entrata in vigore dell'art. 107 del D.lgs. 18.8.2000, n. 267, che ha trasferito ai dirigenti le competenze gestionali, escludendo che essa permanga in capo al Sindaco (cfr.: TAR Basilicata, 23.05.2007, n. 457; TAR Veneto, sez. III, 24.01.2006, n. 125; TAR Molise, 25.11.2004, n. 729).
Invero, ai sensi dell'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000 "le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al Capo I del Titolo III" (cioè il Consiglio Comunale, la Giunta Comunale ed il Sindaco) "l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai Dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54".
In particolare, ai sensi dell'art. 50, comma 5, del ridetto D.lgs. n. 267 del 2000 spetta al Sindaco "in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica" soltanto l'adozione delle ordinanze contingibili ed urgenti, come quelle di "eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente e non si possa altrimenti provvedere", previste dall’art. 13 del D.lgs. n. 22 del 1997, per le quali è prevista la competenza sindacale quando gli effetti dell'emergenza sanitaria e/o ambientale investono il solo territorio comunale.
Tra le ordinanze contingibili ed urgenti, però, non rientrano quelle disciplinate dall'art. 14, comma 3, del D.lgs. 05.02.1997, n. 22, in quanto tali ordinanze hanno carattere sanzionatorio, essendo previste soltanto per le violazioni imputabili "a titolo di dolo o colpa", e rientrano nell'ordinaria gestione amministrativa di spettanza dirigenziale.
Pertanto, nella fattispecie all’esame, l'adozione dell'ordinanza ex art. 14, comma 3, del D.lgs. n. 22 del 1997, trattandosi di un atto di gestione (più precisamente di un provvedimento sanzionatorio), rientrava nella competenza del dirigente (o del funzionario comunale, secondo la diversa organizzazione statutaria nel Comune di Cles) e non del Sindaco (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 22.05.2009 n. 160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATAL’ingiunzione a demolire un’opera abusivamente realizzata perde del tutto efficacia qualora l’interessato attivi l’accertamento di conformità.
Per giurisprudenza costante, l’ingiunzione a demolire un’opera abusivamente realizzata perde del tutto efficacia qualora l’interessato attivi l’accertamento di conformità, onerando l’amministrazione a rideterminarsi in materia sanzionatoria all’esito della pronuncia negativa sull’istanza di sanatoria (ex multis Tar Lombardia–Brescia 19.02.2007 n. 174) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 30.07.2009 n. 4233 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa ricostruzione su ruderi costituisce una nuova costruzione.
Per giurisprudenza costante gli interventi di risanamento conservativo, di cui all’art. 31, lett. c), l. 05.08.1978 n. 457, presuppongono necessariamente l’esistenza dell’organismo edilizio, definito nelle sue strutture verticali ed orizzontali e relativa copertura, siccome finalizzato al recupero degli immobili nella loro attuale consistenza e nell’ambito degli spazi concretamente identificabili, al pari della ristrutturazione edilizia, laddove, invece, la ricostruzione su ruderi, costituisce una nuova costruzione (ex multis Cons. St. Sez. V 23.06.1997 n. 704) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 30.07.2009 n. 4233 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Concessione - Diniego - Perfezionamento - Comunicazione del parere negativo della Commissione edilizia - Conseguenze.
2. Asservimento di un fondo - Condizioni.

1. La comunicazione del parere sfavorevole della Commissione edilizia costituisce rigetto della relativa domanda ed è pertanto immediatamente impugnabile e ciò perché, se è vero che la comunicazione del parere favorevole della Commissione Edilizia non ha valore di rilascio della concessione, non altrettanto può dirsi della comunicazione del parere contrario, che - se effettuata da parte dell'organo competente a rilasciare il titolo abilitativo richiesto - costituisce manifestazione della volontà di aderire alla decisione negativa della Commissione e, quindi, avendo tutti gli elementi necessari del diniego, costituisce atto immediatamente lesivo ed autonomamente impugnabile (Cons. Stato, sez. V, 23.01.2007; TAR Campania Napoli, sez. IV, 20.11.2006 n. 9983).
2. Vi è asservimento allorquando un'area non sia semplicemente, in via di fatto a servizio di un edificio, ma abbia giuridicamente ricevuto tale destinazione attraverso uno strumento urbanistico ovvero le norme del regolamento edilizio ovvero un impegno privato: per effetto di ciò, il fondo asservito resta inedificabile (Cons. Stato, sez. V, n. 1278/2003) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 30.07.2009 n. 4229 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: 1. Abusi - Demolizione - Ordine - Illegittimità - Casi - Ragioni.
2. Abusi - Sanatoria - Domanda del privato - Obblighi della p.A. - Conseguenze.

1. L'ordine di demolizione adottato in data successiva alla presentazione della richiesta di accertamento di conformità o di condono, in assenza di preventiva determinazione su quest'ultima, è illegittimo in quanto l'amministrazione aveva l'obbligo di pronunciarsi su di essa prima di procedere all'irrogazione delle sanzioni definitive (TAR Campania Salerno, sez. II, 07.05.2009 n. 1827).
2. L'esercizio da parte del privato della facoltà di regolarizzare la propria posizione in relazione ad un abuso edilizio, mediante proposizione di domanda per l'accertamento di conformità o di sanatoria dello stesso, impedisce l'esercizio del potere repressivo dell'Amministrazione, almeno fino a quando essa non si pronunci in senso negativo sull'istanza medesima (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 30.07.2009 n. 1410 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Procedimento amministrativo - Silenzio - Sindacabilità - In presenza di istanza di condono - Sussistenza.
In presenza di un'istanza di condono edilizio l'Amministrazione è tenuta ad adottare un provvedimento espresso e il silenzio serbato è sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell'obbligo di provvedere (Cons. Stato, sez. IV, 07.07.2008 n. 3384) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 30.07.2009 n. 539 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI: Giudizio amministrativo - Procedura - Improcedibilità - E inammissibilità - Pronuncia - Casi - Ragioni.
L'adozione di un provvedimento espresso in risposta all'istanza dell'interessato rende inammissibile, per carenza originaria di interesse ad agire, il ricorso proposto contro il silenzio se il provvedimento, ancorché non comunicato, intervenga prima della proposizione del ricorso stesso, o improcedibile per carenza sopravvenuta di interesse ad agire, se il provvedimento intervenga nel corso del giudizio (Cons. Stato, sez. VI, 25.06.2008 n. 3215; Cons. Stato, sez. VI, 10.05.2007 n. 2237; Cons. Stato, sez. V, 24.08.2006 n. 4968) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 30.07.2009 n. 539 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI: 1- Giudizio amministrativo – Procedura – Legittimazione - Passiva – Opere con rilievo urbanistico – Impugnazione - Requisiti.
2- Sindaco – Ordinanze contingibili ed urgenti – Presupposti - Esame istruttorio affidato a riscontri scientifici e non a timori generali – Necessità - Sussiste.
3- Sindaco – Ordinanze contingibili ed urgenti – Presupposti – Presunta situazione di pericolo per l'incolumità pubblica senza l'indicazione di specifici atti istruttori o scientifici a sostegno – Inammissibilità - Sussiste – Articolo 54 comma 2, d.lgs. numero 267 del 2000 - Ratio.

1- L’interesse a ricorrere va accertato, relativamente ad atti inerenti ad insediamenti aventi natura di opere con rilievo urbanistico o comunque di opere di urbanizzazione (articolo 90 decreto legislativo 259/2003; TAR Sicilia Palermo, Sezione II, 07.03.2008, numero 310) conformemente ai principi generali in materia di impugnazione di atti edilizi o urbanistici, e dunque in relazione ai soli proprietari che sono radicati in un rapporto di prossimità con l’oggetto dei provvedimenti amministrativi (TAR Puglia Lecce, Sezione III, 18.08.2008, numero 2394; TAR Campania Napoli, Sezione IV, 07.05.2008, numero 3550), rapporto da comprovarsi in giudizio a pena di inammissibilità dell’azione (CGARS, Sezione Giurisdizionale, 06.03.2008, numero 144; TAR Veneto, Sezione II, 22.10.2008, numero 3262; TAR Catania, Sezione I, 229/2008 dell’08.02.2008 e numeri 1381/2007 del 23.08.2007, 2373/2006 del 27.09.2006).
In proposito, vale quanto affermato secondo l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui a norma dell’art. 2697 codice civile chiunque chiede l’attuazione della volontà della legge in relazione ad un diritto che faccia valere in via di azione o di eccezione deve provare il fatto giuridico da cui fa discendere il preteso diritto, e quindi tutti gli elementi o requisiti per legge necessari alla nascita dello stesso, che costituiscono le condizioni positive della pretesa, mentre non ha l’onere di provare le condizioni negative, cioè delle condizioni idonee ad impedire la nascita o il perdurare del vantato diritto, tale prova essendo a carico del soggetto passivo della pretesa, interessato a dimostrare che il rapporto dedotto in giudizio in realtà non è sorto, ovvero, pur essendosi validamente costituito, si è poi estinto (Cassazione Civile 30.10.1981, numero 5746; 09.04.1975, numero 1304; 20.12.1971, numero 3696; TAR Sicilia-Catania, Sezione, 229/2008 dell’08.02.2008; numeri 1381/2007 del 23.08.2007, 2373/2006 del 27.09.2006, 08.07.2008, numeri 1376, 1381, 1382).
2- Nel caso di ordinanze sindacali motivate con riferimento alle "fortissime tensioni o proteste" (a seguito di manifestazioni e nota di protesta di cittadini) nonché con riferimento alla esigenza di "stabilire univocamente l'assenza di specifici effetti dannosi per la salute umana evitando connesse situazioni di pericolosità", le quali non sono sufficienti ad assumere di per se sole il valore di una minaccia alla sicurezza pubblica, è da ritenersi necessario un approfondito esame istruttorio affidato a riscontri scientifici e non a timori generali (TAR Sicilia-Catania, Sezione II, 13.03.2006, numero 400; TAR Sardegna, Sezione II, 340/2008).
3- L'esercizio del potere sindacale di emanare ordinanze contingibili e urgenti ex articolo 54, comma 2, decreto legislativo numero 267 del 2000, non può prescindere dalla ricorrenza di un pericolo concreto di danno grave ed imminente per l'incolumità pubblica, che richieda interventi non dilazionabili, ed al quale non possa provvedersi con mezzi ordinari, il cui accertamento deve essere provato attraverso un'attività istruttoria finalizzata all'accertamento della situazione di grave pericolo, concreto ed attuale, per il bene protetto dell'incolumità dei cittadini; pertanto, è inammissibile l'ordinanza sindacale volta alla sospensione di lavori (nel caso di specie: istallazione di una stazione radio base per telefonia) motivata in base ad una presunta situazione di pericolo per l'incolumità pubblica senza l'indicazione di specifici atti istruttori o scientifici a sostegno (TAR Calabria-Catanzaro, Sezione II, 09.10.2006, numero 1128; TAR Veneto, Sezione III, 27.12.2007, numero 4107; TAR Lazio-Roma, Sezione II, 28.11.2007, numero 11913; Consiglio di Stato, 1128/1198; CGARS 39/1997; TAR Sicilia-Catania, Sezione III, 159/2001).
In questo senso, i provvedimenti contingibili e urgenti possono essere emanati non solo per rimediare ai danni che si sono già prodotti, ma anche per evitare che determinati pregiudizi si verifichino, in base però ad una valutazione probabilistica caratterizzata da un certo grado di consistenza e fondata su cognizioni tecnico-scientifiche attendibili (TAR Veneto, Sezione III, 28.11.2001, numero 4131). Si presuppone, inoltre, la necessità di provvedere, con immediatezza, in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui sia impossibile far fronte con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento e occorre l'esistenza, oltre che la sua puntuale indicazione nel provvedimento impugnato, di una situazione di pericolo, quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso, nel caso in cui l'Amministrazione non intervenga prontamente (TAR Sicilia Catania, sez. II, 13.03.2006 , n. 400; cfr. anche Consiglio Stato, sez. V, 02.04.2003, n. 1678; TAR Marche Ancona, sez. I, 14.12.2006, n. 1526).
Quanto all’evento dannoso, il Collegio deve precisare che è censurabile l’uso del potere contingibile ed urgente del Sindaco per sospendere una attività qualificata come di interesse pubblico ai sensi dell’art. 90 del decreto legislativo 259/2003 al dichiarato fine di voler prevenire comportamenti “incontrollati” da parte di cittadini e senza gli ulteriori e necessari supporti istruttori che la giurisprudenza richiede ai fini della dimostrazione in senso scientifico della sussistenza di un pericolo per la salute, perché ciò finisce, in pratica, con il legittimare discutibili prassi diffuse e corrispondenti atteggiamenti del tutto ingiustificati ed inammissibili nell’Ordinamento e secondo le regole dell’ordinata convivenza civile: a questi ultimi, laddove si dovessero verificare, si dovrà fare fronte con gli ordinari strumenti di tutela dell’Ordine pubblico a cura delle Autorità preposte e dunque, se necessario, con intervento della forza pubblica.
In altri termini, le ragioni di tutela dell’ordine pubblico consentono il ricorso all’ordinanza contingibile ed urgente solo laddove coniugate a ragioni di emergenza sanitaria scientificamente comprovate (TAR Calabria-Reggio Calabra, Sez. I, sentenza 30.07.2009 n. 510 - link a
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EDILIZIA PRIVATACompete alla giunta municipale l'emanazione dei provvedimenti di classificazione delle industrie insalubri.
Ai sensi degli art. 102 e 103, comma 1, del R.D. 03.02.1901 n. 45, compete alla giunta municipale l'emanazione dei provvedimenti di classificazione delle industrie insalubri, sulla base dell'elenco approvato dal Ministero della sanità, e ciò anche dopo l'entrata in vigore degli art. 216 e 217 t. u. 27.07.1934 n. 1265, che hanno attribuito al sindaco il potere di adottare i concreti atti intesi ad eliminare situazioni di rischio o di pericolo per la salute pubblica derivanti da tali lavorazioni e anche dopo la legge di riforma sanitaria 23.12.1978 n. 833 (cfr., fra le tante, TAR Lombardia, sez. I, 24.11.1999, n. 3921; TAR Lombardia, sez. Brescia, 30.05.1994, n. 289; TAR Lombardia, sez. Brescia, 09.09.1991 n. 595, TAR Friuli Venezia Giulia 21.10.1982 n. 235) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 29.07.2009 n. 4539 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento in autotutela di una concessione edilizia rilasciata in violazione delle distanze minime tra fabbricati non necessita di specifica motivazione né dell'espressa comparazione tra l'interesse pubblico all'annullamento e quello del privato alla conservazione dell'atto illegittimo, essendo le norme sulla distanza tra fabbricati inderogabili, con la conseguenza che l'attività posta in essere dal comune è vincolata.
Sul piano sostanziale deve respingersi la tesi per cui la violazione delle distanze civilistiche non avrebbe potuto determinare la revoca del permesso di costruire; la giurisprudenza amministrativa è, infatti, costante nel ritenere tali violazioni non solo rilevanti sul piano amministrativo oltre che civilistico (cfr. TAR Napoli Campania sez. II 03.12.2008, n. 20804), ma persino vincolanti nell’imporre un giudizio di illegittimità dell’opera.
In tal senso, si afferma che «l'annullamento in autotutela di una concessione edilizia rilasciata in violazione delle distanze minime tra fabbricati non necessita di specifica motivazione né dell'espressa comparazione tra l'interesse pubblico all'annullamento e quello del privato alla conservazione dell'atto illegittimo, essendo le norme sulla distanza tra fabbricati inderogabili, con la conseguenza che l'attività posta in essere dal comune è vincolata» (Consiglio Stato, sez. IV 26.05.2006, n. 3201).
Il mancato interpello dei medesimi organi (nella specie la Commissione Edilizia) intervenuti nel procedimento di rilascio del titolo, infatti, non vizia l’atto impugnato proprio per la vincolatezza dello stesso, dipendente dalla diretta applicazione di norme di legge. In tal caso, infatti, la valutazione da compiersi ad opera dell’Amministrazione è di carattere solo giuridico e, conseguentemente, la richiesta di un parere a un organo tecnico, qual è la Commissione edilizia, è atto ultroneo la cui mancanza non può inficiare la legittimità del provvedimento (per l’affermazione del principio in tema di atti vincolati in materia edilizia, cfr. ex multis, TAR Campania Napoli, sez. III, 05.06.2008, n. 5255, TAR Campania Salerno, sez. II, 24.10.2005, n. 1967, TAR Puglia Lecce, sez. I, 14.05.2004 , n. 2915).
Quanto alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, pur se all’epoca dei fatti non era ancora stato introdotto l’art. 21-octies L. 241/1990, va detto che la norma non ha fatto altro che codificare un orientamento, già emerso in giurisprudenza e condiviso da questo Collegio, secondo cui «la comunicazione dell'avvio del procedimento è superflua nel caso in cui l'adozione del provvedimento finale è doverosa e vincolata, ovvero quando i presupposti fattuali risultano assolutamente incontestati dalle parti, quando il quadro normativo non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili, oppure se l'eventuale annullamento del provvedimento per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione non priva l'amministrazione del potere o addirittura del dovere di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto» (cfr., tra le altre, Consiglio Stato, sez. V, 04.05.2005 , n. 2142). Deve, pertanto, ritenersi infondata la relativa censura.
Da ultimo, va decisamente respinta l’argomentazione ex art. 11 L. 47/1985. La norma, infatti, stabilisce chiaramente che l’ipotesi normale, in caso di annullamento della «concessione» edilizia è la riduzione in pristino che può essere surrogata da una sanzione pecuniaria solo in caso in cui la rimessione in pristino o la rinnovazione del procedimento amministrativo non siano possibili («in caso di annullamento della concessione, qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il sindaco applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'ufficio tecnico erariale…»).
Esclusa la ricorrenza della fattispecie relativa ai vizi procedimentali, in quanto l’atto impugnato è motivato dall’illegittimità sostanziale del titolo edilizio annullato, deve dirsi, in proposito, che non è emersa, nel caso di specie, la impossibilità tecnica della rimessione in pristino, unico caso in cui la disposizione citata consente di applicare la sola sanzione pecuniaria (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 20.03.2007, n. 1325) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 29.07.2009 n. 4471 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASul momento di decorrenza per impugnare una concessione edilizia.
Ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione delle concessioni edilizie non è sufficiente la semplice notizia del rilascio dell'atto o la vaga cognizione del suo contenuto, in quanto occorre la conoscenza dei suoi elementi essenziali; in tal senso, pertanto, soltanto il completamento della costruzione può far presumere la piena conoscenza dell'atto lesivo, non certamente la pubblicità del fatto attuata mediante l'apposizione nel cantiere di un cartello indicante gli estremi del titolo edilizio, ovvero l'inizio o lo svolgimento dei lavori di costruzione (Consiglio Stato , sez. IV, 19.06.2006, n. 3614).
Tuttavia deve ritenersi che l'individuazione della data in cui i terzi hanno avuto piena conoscenza dell'esistenza delle violazioni della disciplina urbanistica da parte di una concessione edilizia, da cui decorre il termine per l'impugnazione della concessione rilasciata a terzi, è oggetto di un accertamento di fatto da compiersi caso per caso, per cui può ben ammettersi che la data della piena conoscenza risalga ad un momento anteriore a quello dell'ultimazione dei lavori, ogniqualvolta emerga, dalle circostanze del caso di specie, una conoscenza anticipata come nel caso in cui gli elementi essenziali dell'intervento siano conosciuti dall'interessato per essere indicati nel cartello del cantiere, situato di fronte alla sua proprietà, che avrebbero consentito di intravedere la lesione del suo interesse.
Sebbene non si disconosca l’esistenza di un precedente nei termini secondo cui “il "dies a quo" per la decorrenza del termine di impugnazione della concessione edilizia da parte dei proprietari finitimi decorre, al più, dalla data di ultimazione dei lavori, ossia dal momento in cui il controinteressato può percepire la lesività dell'opera realizzata anche nel caso di attivazione degli impianti di distribuzione dei carburanti , qualora il profilo principale per il quale viene contesta la legittimità degli atti impugnati sia il mancato rispetto delle distanze minime alle quali l'impianto realizzato avrebbe dovuto essere collocato, sia rispetto ad altro impianto, sia rispetto alla strada” (cfr. nei termini TAR Puglia Lecce, sez. II, 03.08.2005, n. 3934), tuttavia, si ritiene che, trattandosi della realizzazione di un impianto di distribuzione di carburanti sito ad una distanza inferiore rispetto a quella minima di legge, la lesività fosse immediatamente percepibile per la società ricorrente sin dal momento di affissione del cartello di cantiere e di inizio dei relativi lavori di realizzazione.
Il cartello di cantiere apposto dal controinteressato, sebbene non riportante in modo specifico il progetto dell’impianto di distribuzione del carburante, tuttavia, recava nella parte relativa alla indicazione dei lavori, in modo testuale, “costruzione impianto distribuzione carburante”; ne consegue che la società ricorrente era stata messa nelle condizioni di avere piena contezza della immediata realizzazione del detto impianto, cui pertanto si riferivano i lavori avviati in loco, che, per ciò stesso, ledeva i propri interessi commerciali (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 27.07.2009 n. 7595 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAL'art. 45, d.lgs. 11.05.1999 n. 152, va interpretato nel senso che anche lo scarico di acque reflue domestiche necessita di autorizzazione.
La ricorrente deduce l’assimilazione, ai sensi dell’art. 27, co. 7, lett. d), del D.Lgs. n. 152/1999 degli scarichi reflui del locale commerciale di cui trattasi con gli scarichi reflui domestici, che, ai sensi, del combinato disposto degli art. 33, co. 2, e 45, co. 4, del medesimo D.lgs. non necessiterebbero di alcuna autorizzazione preventiva.
In sostanza non nega di non essere in possesso dell’autorizzazione di cui all’art. 45 del D.Lgs. n. 152/1999, ma sostiene di non averne bisogno, in considerazione dell’assimilazione di detti scarichi agli scarichi domestici.
Indipendentemente dalla questione attinente alla effettiva e possibile assimilazione di cui sopra, comunque, giova rilevare come la detta prospettazione non meriti di essere condivisa nel suo presupposto essenziale dato dalla non necessità dell’autorizzazione di cui all’art. 45 per gli scarichi domestici.
Ed infatti- premesso che il richiamato art. 28, co. 7, lett. e), del d.lgs. n. 152/1999, dispone testualmente che “7. Salvo quanto previsto dall'articolo 38, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue: … e) aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale”-, l’art. 33, rubricato “Scarichi in reti fognarie”, dispone, come sostituito dall'art. 13, d.lgs. 18.08.2000 n. 258, al co. 2, che “2. Gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purché osservino i regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato”; a sua volta il successivo art. 45, rubricato “criteri generali”, dispone che “1. Tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati. … 4. In deroga al comma 1 gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell'osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato”; infine, l’art. 54, rubricato “Sanzioni amministrative”, dispone, al co. 2, che “2. Chiunque apre o comunque effettua scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 45, … è punito con la sanzione amministrativa … “.
Dal combinato disposto delle norme richiamate è dato evincere il principio secondo cui “le norme in esame non possono essere interpretate nel senso che per gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie non è necessaria la preventiva autorizzazione dovendosi, invece, ritenere che il rilascio della stessa costituisca un atto vincolato al riscontro del rispetto dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato, la cui osservanza, altrimenti, sarebbe inammissibilmente rimessa all'iniziativa spontanea dell'interessato; tra l'altro, la necessità dell'autorizzazione anche in tale ipotesi emerge dall'art. 54, comma 2, d.lgs. n. 152 del 1999, che sanziona lo scarico di acque reflue domestiche in assenza di autorizzazione senza alcuna distinzione tra le varie fattispecie” (cfr. da ultimo TAR Campania Napoli, sez. V, 03.04.2006 , n. 3314).
Ne consegue che “L'art. 45, d.lgs. 11.05.1999 n. 152 va interpretato nel senso che anche lo scarico di acque reflue domestiche necessita di autorizzazione“ (cfr. nei termini TAR Lazio-Latina, 06.05.2003, n. 437).
Ed infatti il precedente comma terzo (dell’art. 45 del D.Lgs. n. 152/1999) prevede che il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche ... è definito dalle regioni ...
Essendo previsto che la Regione debba interessarsi del regime autorizzatorio di tali scarichi, il quarto comma non può, evidentemente, avere il significato di escludere in assoluto dalla necessità dell'autorizzazione negli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie.
Esclusione che si presenterebbe non accettabile osservando, altresì, che, giusta il successivo comma settimo, ultima parte, la Regione può prevedere forme di rinnovo tacito dell'autorizzazione con riferimento a talune tipologie di scarichi di acque reflue domestiche; autorizzazione che, può ragionevolmente osservarsi, se può essere tacita, significa che comunque necessita, pur se in forma non espressa.
A completamento, va anche osservato che l'inciso di cui alla predetta ultima parte del comma settimo, inciso consistente nella frase ove soggetti (gli scarichi di acque reflue domestiche) ad autorizzazione -l'intera ultima parte è la seguente: La disciplina regionale di cui al comma 3 può prevedere per specifiche tipologie di scarichi di acque reflue domestiche, ove soggetti ad autorizzazione, forme di rinnovo tacito della medesima- si riferisce, per richiamo testuale, a quanto previsto dal precedente comma terzo in tema di regime autorizzatorio da parte della Regione, regime che, eventualmente, potrebbe prevedere anche l'esclusione dell'atto di autorizzazione per talune tipologie di scarichi.
Non potrebbe quindi tale inciso essere addotto a dimostrazione della esclusione in assoluto dalla necessità dell'autorizzazione per gli scarichi in questione.
Ciò precisato, va ritenuto che il quarto comma, a cui si riferiscono i ricorrenti, nel prevedere la deroga al primo comma, non esclude la necessità dell'autorizzazione per gli scarichi di acque reflue domestiche in pubbliche fognature, ma, prevedendo che tali scarichi sono sempre ammessi (e non prevedendo, eventualmente, che tali scarichi non necessitano di autorizzazione), fissa il principio in base al quale, ove vengano osservati i particolari regolamenti previsti, l'autorizzazione non può essere negata per quelle (ulteriori) ragioni che, invece, potrebbero essere opposte per negare l'autorizzazione a scarichi diversi; con ciò privilegiandosi le abitazioni.
Del resto, il concetto di ammissione, utilizzato dalla norma, implica, secondo i princìpi, l'adozione di un atto amministrativo che consente al suo destinatario, per quanto qui occorre, di esplicare una certa attività (nel caso, di effettuare lo scarico in argomento).
Che poi anche per le abitazioni necessiti l'autorizzazione, resta confermato osservandosi anche che, in base al successivo art. 54, secondo comma, dello stesso Dlvo n. 152 del 1999, è prevista una sanzione amministrativa per chiunque apre o comunque effettua scarichi di acque reflue domestiche ... senza l'autorizzazione di cui all'art.45, ovvero continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata; sanzione, è da notare, prevista in via generale per tutti i tipi di scarichi di acque reflue domestiche.
Ulteriore argomentazione a favore della necessità dell'autorizzazione può desumersi dall'art. 62 del Dlvo n. 152 del 1999 in questione, articolo che, contenendo norme transitorie e finali, prevede, al comma 11, che, fatte salve specifiche (diverse) disposizioni, i titolari degli scarichi esistenti devono adeguarsi alla nuova disciplina entro tre anni, termine questo valido anche nel caso di scarichi per i quali l'obbligo di autorizzazione preventiva è stato introdotto dallo stesso D.lvo; con precisazione che i titolari degli scarichi già autorizzati devono richiedere l'autorizzazione di cui al medesimo D.lvo allo scadere dell'autorizzazione in essere, ma comunque non oltre 4 anni.
Detto comma 11 non distingue fra le diverse tipologie di scarico, né, eventualmente, si riferisce (soltanto) a quegli scarichi assoggettati alla nuova disciplina, implicitamente escludendone alcuni; ma concerne tutti gli scarichi (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 27.07.2009 n. 7581 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione Paesaggistica - Legittimità - Verifica della p.A. - Procedimento - Natura - Conseguenze.
Il procedimento statale di verifica della legittimità dell'autorizzazione paesaggistica comunale, secondo quanto stabilito dall'art. 159, D.Lgs. n. 42/2004, è un procedimento che viene attivato d'ufficio da parte dell'Amministrazione che ha rilasciato l'autorizzazione, con l'immediata trasmissione degli atti alla Soprintendenza -trasmissione di cui il privato viene contestualmente avvisato ai sensi dell'art. 159, D.Lgs. n. 42/2004- alla stregua di un sub-procedimento del tutto indipendente da quello avviato dal privato di fronte all'Amministrazione locale (Cfr. TAR Campania Napoli, sez. IV, 18.05.2009 n. 2667; TAR Sardegna, sez. II, 10.03.2008 n. 387; TAR Campania Salerno, sez. II, 26.09.2007 n. 1918; TAR Puglia Lecce, sez. I, 07.06.2006 n. 3288) (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 27.07.2009 n. 1904 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: 1. Abusi - Demolizione - Commissione edilizia integrata - Parere - Necessarietà - Non sussiste - Ragioni - Conseguenze.
2. Abusi - Demolizione - Provvedimento di demolizione - Natura - Effetti.
3. Attività edilizia - Vincolo di inedificabilità - Interpretazione ex art. 27, D.P.R. n. 380/2001.

1. In sede di emanazione di ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata non è necessario acquisire il parere della Commissione Edilizia Integrata, dal momento che l'ordine di ripristino discende direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia vigente (art. 27, T.U. edilizia) e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio (ex D.Lgs. n. 490/1999, ora trasfuso nel D.Lgs. n. 42/2004), con il corollario che il potere di disporre la demolizione di opere abusive rientra nei poteri sanzionatori in materia edilizia di competenza del comune, in proprio e non già quale autorità delegata (TAR Campania Napoli, sez. VI, 27.03.2007 n. 2885).
2. La natura interamente vincolata del provvedimento di demolizione di opere eseguite in difetto di titolo abilitativo esclude la necessaria ponderazione di interessi diversi da quelli pubblici tutelati e non richiede motivazione ulteriore rispetto alla dichiarata abusività (Cfr., da ultimo TAR Lombardia Milano, sez. II, 19.02.2009 n. 1318).
3. La nozione di "vincolo di inedificabilità", di cui all'art. 27, D.P.R. n. 380/2001, va intesa come comprensiva non solo dell'inedificabilità assoluta, ma anche di quella relativa (Cfr. ex multis TAR Campania Napoli, sez. VII, 21.04.2009 n. 2084) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 23.07.2009 n. 4323 - link a
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APPALTI: Non sussiste la necessità di indicare le condanne ormai estinte in sede di dichiarazioni ex art. 38, lett. c), del D.Lgs. 163/2006.
L'art. 38, lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006, nel prescrivere l'obbligo di esclusione dalle gare per i soggetti condannati con sentenze passate in giudicato per reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari all'art. 45, par. 1, direttiva CE 2004/18, fa comunque salva l'applicazione dell'art. 178 c.p. e dell'art. 445, c. 2, del c.p.p..
La scelta legislativa, dunque, è nel senso di ritenere irrilevanti le condanne ormai estinte, con conseguente non necessità della loro indicazione in sede di dichiarazioni ex art. 38 lett. c) del D.Lgs. 163/2006. Ne consegue che, nel caso di specie, il provvedimento di revoca dell'aggiudicazione è illegittimo, e debba essere pertanto annullato. essendo ormai le condanne estinte ex art. 445 c. 2 c.p.p., ed avendo il legislatore stesso ritenuto i reati estinti non ostativi alla stipulazione di contratti con la P.A..
La stazione appaltante, in assenza di una qualunque altra clausola del bando diretta a prevedere la dichiarazione anche per detti reati, infatti, non disponeva di alcun margine di discrezionalità sulla ricorrenza dei requisiti di moralità in capo al legale rappresentante della società: pertanto, l'omessa dichiarazione su dette condanne non assume alcun rilievo e non può costituire motivo per disporre la revoca dell'aggiudicazione (TAR Lazio, Sez. II-quater, sentenza 22.07.2009 n. 7483 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Abusi - Sanatoria - Presupposti necessari - Valutazione dell'impatto ambientale - Profili - Conseguenze.
2. Abusi - In zona sottoposta a vincolo - Chiosco in legno rimodulato in cemento armato - Diniego condono - Legittimità.

1. La precarietà di un manufatto, ai fini della sua definizione come agevolmente rimovibile, dipende non già dal suo sistema d'ancoraggio, ma della sua idoneità a determinare una stabile e continuativa trasformazione del territorio; il detto carattere va dunque escluso quando trattasi di strutture destinate a dare un'utilità prolungata nel tempo (Cons. Stato, sez. V, 30.10.2000 n. 5828). Ciò in quanto quel che rileva è l'impatto dello stesso sul territorio (Cons. Stato, sez. V, 12.11.1996 n. 1317).
Pertanto è legittimo il parere di non compatibilità motivato col rilievo che il manufatto abusivamente realizzato, consiste in una struttura fissa in pannelli di cemento armato anziché in legno smontabile, conferendo tali caratteristiche costruttive quelle connotazioni che si erano volute evitare fin dal momento del rilascio del titolo autorizzatorio.
2. E' legittimo il diniego di sanatoria della ricostruzione di un chiosco, in precedenza autorizzato in legno, rimodulato con pannelli in cemento armato, laddove insista in zona vincolata paesaggistica, se con la ristrutturazione assume proprio quelle connotazioni che si erano volute evitare fin dal momento del rilascio del titolo autorizzatorio che consentiva solo la costruzione di un chiosco-bar in legno smontabile (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 22.07.2009 n. 1373 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: L'ordinanza di sospensione dei lavori abusivi diviene inefficace dopo la scadenza del termine di 45 gg..
L’atto di sospensione dei lavori previsto dall’art. 4 l. n. 47/1985 (oggi dall’art. 27, comma 3, TU edilizia) è un provvedimento cautelare, prodromico e strumentale all’applicazione di misure sanzionatorie dirette al ripristino dell’equilibrio urbanistico violato, come tale del tutto inefficace dopo la scadenza del termine di 45 giorni (ex multis TAR Calabria-Catanzaro, sez. II, 20.01.2009, n. 51) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 10.07.2009 n. 1807 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Vizi - Eccesso di potere in generale - Contraddittorietà - Sussistenza e non - Casi - Ragioni.
2. Vizi - Eccesso di potere in generale - Contraddittorietà - Insussistenza.
3. Preavviso di rigetto - Obbligo di comunicazione - Violazione - Sindacato del G.A. - Profili.

1. Qualora ci si riferisca all'ipotesi della contraddittorietà tra gli atti del procedimento, tale figura sintomatica dell'eccesso di potere, si può rinvenire solo allorquando sussista tra più atti successivi di un medesimo procedimento un contrasto inconciliabile tale da far dubitare su quale sia l'effettiva volontà dell'Amministrazione; non sussiste invece tra atti di distinti ed autonomi procedimenti, in particolare se adottati da autorità diverse, quando si tratti di provvedimento che, pur riguardanti lo stesso oggetto, siano adottati all'esito di procedimenti indipendenti e ad intervalli di tempo l'uno dall'altro (TAR Lazio Roma, sez. III, 01.04.2009 n. 3497).
2. Il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà non può mai essere dedotto utilizzando come "tertium comparationis" atti illegittimi (TAR Liguria Genova, sez. I, 11.12.2007 n. 2053; cfr. Cons. Stato., sez. VI, 02.03.2001 n. 1205).
3. L'art. 10-bis, L. n. 241/1990, che prescrive l'obbligo di comunicare il preavviso di rigetto, deve essere interpretato alla luce del successivo art. 21-octies della stessa L. n. 241/1990, secondo cui, laddove il ricorrente sollevi determinati vizi di natura formale, è imposto al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento, e quindi non annullare l'atto nel caso in cui la violazione formale non abbia inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento impugnato (Cons. Stato, sez. III, 27.01.2009 n. 7) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 10.07.2009 n. 1273 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI: Conferenza di servizi - Convocazione - Reiterata assenza - Soprintendenza - Non necessaria - Fattispecie.
La conferenza di servizi convocata a istanza di parte al fine di acquisire (non tanto un assenso, quanto piuttosto) la comune elaborazione di un'ipotesi o progetto di PdL non sembra lo strumento più adatto a conseguire l'accordo con la Soprintendenza, parendo più acconcia, all'uopo, una richiesta rivolta a quest'ultimo organo avente lo specifico oggetto di concertare (o elaborare congiuntamente) un progetto, ovvero concernente la richiesta di esprimersi su un'ipotesi di progetto già elaborato.
In tale ottica, la conferenza di servizi può apparire, anzi, una inutile complicazione (per la presenza di soggetti altri, portatori di interessi e punti di vista estranei o divergenti), laddove la disposizione invocata dal Comune richiede l'accordo soltanto con la Soprintendenza (nel caso di specie, la ricorrente nell'intento di cercare la concertazione con la Soprintendenza, chiedeva al Comune la convocazione di una conferenza di servizi con la stessa, ai sensi dell'art. 14, L. n. 241/1990. Dopo la notifica di una diffida, l'amministrazione comunale convocava la conferenza, ma la Soprintendenza non vi interveniva, giustificandosi con il mancato ricevimento della necessaria documentazione. Seguiva, quindi, una seconda convocazione ma nemmeno stavolta il rappresentante di tale organo presenziava. La ricorrente quindi, diffidava ancora una volta il Comune a convocare una ulteriore conferenza, ma inutilmente) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 09.07.2009 n. 2133 - link a
http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di pertinenza in senso urbanistico ed edilizio è più ristretto della nozione civilistica.
Il concetto di pertinenza in senso urbanistico ed edilizio è più ristretto della nozione civilistica, posto che il primo richiede, che il manufatto sia non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio ma anche che sia sfornito di un autonomo valore di mercato e dotato, comunque, di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare in cosiddetto carico urbanistico (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 22.10.2007, n. 5515; Cons. St., sez. V, 11.11.2004, n. 7324; Cons. St. sez. IV, 12.03.2007, n. 1219; Tar Basilicata–Potenza, 29.11.2008, n. 915; Tar Campania-Napoli, sez. IV, 16.09.2008, 10138; Tar Piemonte, sez. I, 13.06.2008, n. 1368)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 09.07.2009 n. 2131 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALISolo con l’art. 2 della legge 16.06.1998 n. 191 può dirsi avvenuto il trasferimento, dal sindaco ai responsabili dei servizi (non dirigenti) dallo stesso nominati ed ai dirigenti, della competenza specifica ad adottare i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino nonché ad esercitare i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione di sanzioni amministrative previste in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e in materia paesaggistico-ambientale.
E’ noto a questo Collegio il dibattito sviluppatosi sul tema dell’individuazione del momento che ha segnato il passaggio dal sindaco ai responsabili dei servizi (non dirigenti) dallo stesso nominati ed ai dirigenti della competenza specifica ad adottare i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino nonché ad esercitare i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione di sanzioni amministrative previste in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e in materia paesaggistico-ambientale.
Il Collegio non ritiene di discostarsi dall’orientamento secondo il quale solo con l’art. 2 della legge 16.06.1998 n. 191 può dirsi avvenuto tale trasferimento di competenza (cfr., Tar Lazio–Latina, Sezione I, 05.06.2007, n. 412; Tar Calabria-Catanzaro, Sezione II, 14.07.2008, n. 1061; Cons. St., sez. II, 26.04.2002, n. 2560/2001)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 09.07.2009 n. 2131 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: 1. Responsabilità - Civile - Arricchimento senza causa - Insussistenza - Casi - Ragioni.
2. Stipendi, assegni ed indennità - Calcolo - Lavoro straordinario - Difetto di autorizzazione - Conseguenze - Ragioni.

1. L'azione generale di arricchimento ha come presupposto che la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro sia avvenuta senza giusta causa, per cui, quando questa sia invece la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto, non può dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o altro rapporto conservino efficacia obbligatoria (Cfr. Cass. Civ., SS.UU., 07.02.2007 n. 2700).
2. Qualora il dipendente pubblico, sebbene in difetto dell'autorizzazione, abbia prestato lavoro straordinario dal quale sia derivata una effettiva utilità per l'amministrazione, tale lavoro va retribuito in forza dei principi in tema di ingiustificato arricchimento (Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17.12.1998 n. 1813) (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 01.07.2009 n. 457 - link a
http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATAIn caso di abuso edilizio da sanare (e non da demolire) la comunicazione al soggetto interessato della valutazione dell’Agenzia del Territorio si atteggia ad atto endoprocedimentale od istruttorio sprovvisto di autonoma lesività rispetto all’atto terminale, recante la determinazione della sanzione.
Il Collegio osserva che l’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 (T.U. dell’edilizia) stabilisce che: “in caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio […..] La valutazione dell’agenzia del territorio è notificata all‘interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa”.
Il procedimento, come si vede, è peculiarmente caratterizzato da due momenti: la notifica al soggetto interessato della valutazione dell’Agenzia del Territorio e l’applicazione della sanzione pecuniaria, che costituisce il provvedimento conclusivo del procedimento stesso.
La comunicazione al soggetto interessato della valutazione dell’Agenzia del Territorio si atteggia, pertanto, ad atto endoprocedimentale od istruttorio (così definito dal Cons. St., IV, n. 6849/2007), sprovvisto di autonoma lesività rispetto all’atto terminale, recante la determinazione della sanzione.
Quest’ultimo, ossia l’atto conclusivo, destinato ad applicare la valutazione in parola, assume la veste di atto direttamente ed immediatamente lesivo, che va impugnato, facendo valere –se del caso– dei vizi afferenti la valutazione stessa.
Questa conclusione è in linea con la giurisprudenza che, in relazione alla analoga formula usata dall’art. 15 della legge n. 10 del 1977 (circa la valutazione effettuata dall’U.T.E.) ha ritenuto che questa valutazione “non è suscettibile di autonoma impugnazione, ma deve essere sottoposta al sindacato del giudice amministrativo insieme al provvedimento con cui la sanzione viene irrogata” (Cfr. TAR Campania, III, n. 10539/2005).
In questo contesto argomentativo va detto che non assume rilevanza il cenno, contenuto nell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, al fatto che: ”La valutazione dell’agenzia del territorio è notificata all‘interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa”.
Posto che la valutazione de qua costituisce pacificamente un atto endoprocedimentale sprovvisto di autonoma lesività, e, quindi, non è impugnabile se non con il provvedimento finale recante la irrogazione della sanzione pecuniaria, il cenno va letto nel senso che la valutazione diventa definitiva dopo la decorrenza del termine di impugnazione, per l’appunto, del provvedimento finale (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 26.06.2009 n. 529 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: L’amministrazione non ha l’obbligo di comunicare al privato i mutamenti di destinazione subiti dalla sua area nel corso della procedura di approvazione del piano.
I ricorrenti citano un lontano precedente del TAR Milano del 1989, recentemente replicato da TRGA Trento 191/2008, secondo cui “allorquando l'Amministrazione provvede a modificare il piano adottato, accogliendo osservazioni che incidono sulla proprietà di terzi, è tenuta a fornire idonea comunicazione ai soggetti proprietari dell'area incisa in maniera diretta dalla modificazione, mediante ripubblicazione del P.R.G. nella parte risultata modificata o a darne quanto meno comunicazione agli interessati, per consentire loro di presentare memorie e osservazioni di merito; pertanto, va annullata la deliberazione di adozione definitiva della variante generale al piano regolatore che stralcia la destinazione alberghiera di un area in accoglimento di osservazioni di soggetti terzi, in assenza di previa pubblicazione idonea ad assicurare agli interessati le necessarie garanzie procedimentali”.
La giurisprudenza di queste isolate sentenze non può, peraltro, essere condivisa. Essa, infatti, introduce un ulteriore onere formale a carico dell’amministrazione in assenza di qualsiasi sostegno normativo.
In presenza di una norma di legge (l’art. 9 della l. urbanistica, e le corrispondenti norme regionali di dettaglio) che si limita a prevedere l’obbligo per l’autorità comunale di dare informazione ai cittadini attraverso la pubblicazione del progetto di piano –se può essere condivisibile per ragioni logiche l’approdo giurisprudenziale secondo cui tale obbligo deve essere ricavato in via interpretativa anche per le ipotesi in cui nel corso della procedura di approvazione il piano muti in modo sostanziale (perché a quel punto il piano pubblicato sarebbe “altro” dal piano approvato)– non può, però, in alcun modo essere ricavato dal sistema l’obbligo di comunicare al privato i mutamenti di destinazione subiti dalla sua area nel corso della procedura di approvazione del piano, posto che il piano resta sostanzialmente lo stesso di quello già pubblicato, e che il relativo onere di pubblicazione previsto dalla legge è stato assolto. Introdurre questo ulteriore adempimento a carico dell’amministrazione si trasformerebbe, infatti, in una operazione di creazione pretoria di una norma non ammissibile nel nostro ordinamento (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La destinazione a zona agricola di una determinata area non presuppone necessariamente che essa sia utilizzata per culture tipiche o possegga le caratteristiche per un simile utilizzazione, trattandosi di una scelta tipicamente e ampiamente discrezionale.
La destinazione di un'area a zona agricola non dipende necessariamente dalla relativa vocazione ma può essere sorretta dalla scelta discrezionale, e motivata sul piano generale, di orientare gli insediamenti urbani e produttivi in date direzioni ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale tra zone edificate e non, al fine di impedire addensamenti edilizi che possano risultare pregiudizievoli per le condizioni di vivibilità delle popolazioni insediate (TAR Milano, Sez. II, sent. n. 1092 del 27-05-2005; conforme Tar Milano, sez. II, sent. n. 935 del 10-05-2005; nello stesso senso Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2008, n. 6600 “la destinazione a zona agricola di una determinata area non presuppone necessariamente che essa sia utilizzata per culture tipiche o possegga le caratteristiche per un simile utilizzazione, trattandosi di una scelta, tipicamente e ampiamente discrezionale, con la quale l'amministrazione comunale ben può aver interesse a tutelare e salvaguardare il paesaggio o a conservare valori naturalistici ovvero a decongestionare o contenere l'espansione dell'aggregato urbano”) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La pubblicazione di uno strumento di pianificazione è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal Comune al fine di mero apporto collaborativo ma, di regola, non è richiesta per le successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di talune osservazioni, con l'unica deroga a tale principio qualora l'accoglimento delle osservazioni abbiano comportato una profonda deviazione dai criteri posti a base del piano stesso, nel qual caso occorre una nuova pubblicazione e la conseguente raccolta delle nuove osservazioni.
Nel procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione territoriale, la pubblicazione è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal Comune al fine di mero apporto collaborativo ma, di regola, non è richiesta per le successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di talune osservazioni (o di modifiche in sede di approvazione regionale), con l'unica deroga a tale principio qualora l'accoglimento delle osservazioni (o l'intervento regionale) abbiano comportato una profonda deviazione dai criteri posti a base del piano stesso, nel qual caso occorre una nuova pubblicazione e la conseguente raccolta delle nuove osservazioni (TAR Torino 2074/2008; il principio è affermato di recente anche da Tar Pescara 30/09, secondo cui “qualora l'accoglimento delle osservazioni formulate dai privati abbia comportato una profonda deviazione dai criteri posti a base del piano adottato si deve far luogo ad una nuova pubblicazione ed alla conseguente nuova raccolta delle osservazioni dei privati" (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI1. PATRIMONIO DELLA P.A. – CONCESSIONI - TRATTATIVE - VIOLAZIONE PRINCIPI DI BUONA FEDE EX ART. 1337 C.C. - ILLEGITTIMITÀ - FATTISPECIE.
2. PATRIMONIO DELLA P.A. – CONCESSIONI - RISPETTO PRINCIPI DI EVIDENZA PUBBLICA - NECESSITÀ.

1. E’ illegittimo l’operato dell'amministrazione, la quale, dopo aver portato avanti le trattative per l'assegnazione di una concessione, ha deciso, a fronte di un'offerta più conveniente, di emanare la concessione a favore di altra impresa, per l’asserita maggiore convenienza dell’offerta presentata dalla impresa intervenuta in un secondo momento, senza considerare che la prima impresa era disponibile ad offrire altrettanto; l'Amministrazione, nella sua veste di contraente, non ha in tal caso osservato la regola, valevole anche per i soggetti pubblici, di cui all’art. 1337 del codice civile –secondo cui il contraente si deve comportare secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto– laddove ha interrotto la trattativa con la prima impresa senza fornire alcuna giustificazione, sebbene vi fosse la prova che quest’ultima era disposta ad accettare le stesse condizioni offerte dall’altra impresa. Sicché, vi è stata da parte dell'Amministrazione la lesione dell’affidamento che la prima impresa aveva riposto sulla conclusione della negoziazione a suo favore.
2. Il comportamento dell'amministrazione, laddove non ha tenuto il contegno proprio del buon contraente, ridonda anche sulla validità del provvedimento concessorio.
Infatti, sulla base dei principi elaborati dalla Sezione e affermati anche nella sentenza impugnata, l'amministrazione è tenuta a privilegiare l'applicazione dei principi -di derivazione comunitaria e costantemente applicati dalla Corte di giustizia europea- di concorrenza, di parità di trattamento, di trasparenza, di non discriminazione, di mutuo riconoscimento e proporzionalità.
Tali principi, anche in virtù dell'articolo 1 della legge n. 241 del 1990, non solo si applicano direttamente nel nostro ordinamento, ma debbono informare il comportamento dell'amministrazione, anche quando non è tenuta ad azionare formalmente la procedura dell'evidenza pubblica.
Infatti, il Consiglio di Stato ha ritenuto applicabili detti principi anche alle concessioni di beni pubblici, ponendo in rilievo che "la sottoposizione ai principi di evidenza trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione" (decisione n. 168 del 2005, ma in via generale vedasi anche sez. VI, 15.02.2002 n. 934) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.06.2009 n. 4035 - link a
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APPALTIGARA D’APPALTO – COMUNICAZIONE AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA – TRASMISSIONE VIA FAX – IDONEITA’ A DETERMINARE LA DECORRENZA TERMINI IMPUGNATORI – VA AFFERMATA – RAGIONI.
La comunicazione dell’aggiudicazione definitiva trasmessa a mezzo fax è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione, nel caso in cui l'uso del fax sia previsto dalla lex specialis di gara e l’impresa destinataria della comunicazione abbia indicato in precedenza all'Amministrazione il proprio numero telefonico abilitato per la ricezione di comunicazioni inerenti la gara.
Il fax rappresenta uno dei modi in cui può concretamente svolgersi la cooperazione tra i soggetti, in quanto essa viene attuata mediante l'utilizzo di un sistema basato su linee di trasmissione di dati ed apparecchiature che consentono di poter documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente che, attraverso il cosiddetto rapporto di trasmissione, la ricezione del medesimo in quello ricevente. Tali modalità, garantite da protocolli universalmente accettati, indubbiamente ne fanno uno strumento idoneo a garantire l'effettività della comunicazione. In tal senso, infatti, si muove la normativa più recente (d.P.R. 28.12.2000, n. 445) che consente un uso generalizzato del fax nel corso dell'istruttoria, sia per la presentazione di istanze e dichiarazioni da parte dei privati (articolo 38, comma 1) che per l'acquisizione d'ufficio da parte dell'amministrazione di certezze giuridiche (articolo 43, comma 3). Tanto è vero che "i documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione tramite fax, o un altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale" (articolo 43, comma 6).
Posto quindi che gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema garantiscono, in via generale, una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, ne consegue non solo l'idoneità del mezzo a far decorrere termini perentori, ma anche che un fax deve presumersi giunto al destinatario quando il rapporto di trasmissione indica che questa è avvenuta regolarmente, senza che colui che ha inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova. Semmai la prova contraria può solo concernere la funzionalità dell'apparecchio ricevente; ma questa non può che essere fornita da chi afferma la mancata ricezione del messaggio (cfr. in tal senso Cons. Stato, sez. V, 24.04.2002, n. 2202) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.06.2009 n. 4032 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Non rientrano tra i semplici “cambi di destinazione d’uso” quegli interventi abusivi nei quali al mutamento della destinazione dell’immobile si accompagni anche l’incremento della superficie utile dello stesso.
L’avere realizzato abusivamente un ampliamento di un precedente fabbricato, già utilizzato, in conformità alla disciplina urbanistica di zona, quale “deposito per attrezzi agricoli e foraggi” per poi adibire l’intero edificio, avente superficie complessiva pari a quella dell’originario manufatto e dell’ampliamento, ad una destinazione d’uso (commerciale) che non solo risulta completamente diversa dal precedente (agricola), ma che nemmeno è compatibile con la destinazione agricola prevista nella zona “de qua”, costituisce intervento sanabile (ndr: condono edilizio) in quanto rientrante nella tipologia di abuso n. 1, di cui alla tabella allegata alla L. n. 47 del 1985, quale nuovo manufatto risultante dall’intervento di ampliamento e dal cambio di destinazione d’uso di un vecchio fabbricato realizzato in assenza della necessaria concessione edilizia.
D’altra parte, non può essere condivisa la tesi del ricorrente, imperniata sulla ritenuta ascrivibilità dell’intervento alla categoria di abuso n. 4 di cui alla citata tabella, in quanto non rientrano tra i semplici “cambi di destinazione d’uso” quegli interventi abusivi nei quali, come nel caso in esame, al mutamento della destinazione dell’immobile si accompagni anche l’incremento della superficie utile dello stesso (v. TAR Umbria, 11/10/1990 n. 353) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 19.06.2009 n. 969 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'impossibilità di riferire i ribassi d'asta ad eventi futuri e incerti, come le agevolazioni contributive che la ditta spera di ottenere ad aggiudicazione ottenuta.
Le motivazioni che le ditte partecipanti ad una gara d'appalto adducono per giustificare i ribassi d'asta devono riferirsi a fatti certi ed attuali, e non a eventi futuri e incerti.
Pertanto, è legittima la revoca di un'aggiudicazione in via provvisoria di un appalto per il servizio di pulizia degli uffici dell'Ufficio Provinciale del Lavoro e Massima Occupazione in quanto l'offerta è anomala, perché la ditta, per affrontare il costo del personale necessario per attuale il servizio di pulizie, e per giustificare il ribasso praticato rispetto al prezzo a base d'asta, ha inteso usufruire degli sgravi contributivi offerti dalla legge 407/1990.
Inoltre, le norme che tali agevolazioni prevedono "favoriscono solamente le imprese che effettuano nuove assunzioni, fra le quali non possono essere ricomprese quelle munite di sufficiente personale, come la ditta, precedente gestore del servizio, che non necessita di incrementare il proprio organico" (Tar Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 18.06.2009 n. 1141 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sui poteri di cui dispone l'amministrazione nell'ambito del rapporto che si origina on la presentazione della D.I.A..
La pubblica amministrazione, nell’ambito del rapporto che si origina con la presentazione della dichiarazione di inizio attività, dispone di tre differenti poteri.
Ai sensi dell’art. 23, c. 6, d.P.R. n. 380/2001, per 30 giorni a decorrere dal ricevimento della dichiarazione di avvio dell’attività, l’amministrazione ha il potere di inibire l’intervento edilizio.
Allo scadere del 30° giorno si consolida la fattispecie che abilita il privato a costruire e l’amministrazione decade dal potere di inibire la prosecuzione dell’attività.
Il decorso del termine di 30 giorni, ed il conseguente consolidamento del titolo, non comportano tuttavia che l'attività edilizia del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e dunque possa andare esente dalle sanzioni previste dall’ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 3498/2005).
Venuto meno il potere inibitorio, residuano, difatti, il generale potere repressivo degli abusi previsto dall’art. 27, d.p.r. n. 380/2001 ed un potere di autotutela previsto dall’art. 19, comma 3, legge n. 241/1990 secondo cui “è fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies” (sia pure sui generis, poiché, a differenza della consueta autotutela decisoria non implica un’attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo).
La legge n. 80/2005, nel riformulare l’art. 19 l. n. 241/1990, ha, difatti, precisato che la p.a. può vietare lo svolgimento dell’attività ed ordinare l’eliminazione degli effetti già prodotti anche dopo che è scaduto il termine perentorio. Lo potrà fare, però, soltanto se vi sono i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela (in particolare dell’annullamento d’ufficio) e, quindi, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico.
Allo scadere del termine previsto dall’art. 23 d.P.R. 380/2001, si consolida, difatti, in capo all’istante una legittimazione ex lege all’esercizio dell’attività edilizia. L’amministrazione, ove intenda contestare la sussistenza dei requisiti o delle condizioni previste dalla legge per l’esercizio dell’attività edificatoria oltre lo scadere di tale termine, non può esercitare direttamente un potere sanzionatorio ma deve prima intervenire in autotutela per rimuovere la legittimazione ad edificare che è sorta per effetto della presentazione della d.i.a. e del decorso del termine di 30 giorni senza che l’amministrazione abbia esercitato il potere inibitorio.
Il provvedimento impugnato, adottato dall’amministrazione successivamente allo scadere del termine di 30 giorni, che afferma l’insussistenza del presupposto per l’intervento di recupero del sottotetto richiesto dalla l.reg. n. 15/1996, non può, dunque, che qualificarsi come esercizio di un potere di autotutela.
Non assume rilievo, al riguardo, la circostanza che le modifiche all’art. 19, l. n. 241/1990 siano intervenute successivamente alla presentazione della d.i.a.: l’attuale formulazione di tale norma era sicuramente vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato; in ogni caso, anche prima dell’entrata in vigore della l. n. 80/2005, la giurisprudenza riteneva che, successivamente al perfezionarsi della d.i.a., sussistesse in capo alla p.a. un potere di intervento in autotutela (Consiglio di Stato, sez. IV, 04.09.2002, n. 4453).
Il potere di autotutela, a differenza di quello sanzionatorio, è discrezionale, dovendo l’amministrazione, prima di intervenire, valutare gli interessi in conflitto (tenendo conto anche dell’affidamento ingeneratosi in capo al denunciante) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non coincide con il mero ripristino della legalità violata.
Presupposti per il corretto esercizio del potere di annullamento in autotutela sono dunque:
- un atto affetto da un vizio di legittimità;
- l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento, non identificabile con il mero ripristino della legalità violata;
- la prevalenza di tale interesse sugli interessi pubblici e privati alla conservazione dell’atto, specie se, per il tempo trascorso dall’adozione dell'atto viziato, si siano consolidate, in concreto, situazioni soggettive tutelabili
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.06.2009 n. 4066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: GARA D'APPALTO - PROCEDURA APERTA PER L'AFFIDAMENTO IN CONCESSIONE DEL SERVIZIO GESTIONE DELLE AREE DI SOSTA A PAGAMENTO - MANCATA SPECIFICAZIONE DELLA DATA E ORA PER L'APERTURA DEI PLICHI - VIOLA L'INDEROGABILE PRINCIPIO DI PUBBLICITÀ DELLE SEDUTE DI GARA.
Le carenze degli atti di gara in punto di specificazione della data e dell’ora fissata per l’apertura dei plichi e per l’esame dei requisiti d’ammissione alla procedura finiscono per rendere riservata, anziché pubblica, la prima seduta della Commissione. Detta condotta integra la denunciata violazione dell’inderogabile pubblicità delle sedute di gara.
Segnatamente, anche ad accedere alla tesi secondo cui, vertendosi in tema di concessione di servizi, non troverebbe applicazione il disposto letterale dell’art. 64, comma 4, del codice dei contratti pubblici, deve comunque ritenersi che venga in rilievo, anche per dette procedure, il principio generale, sotteso a tale norma, che impone un’adeguata comunicazione delle notizie relative a data, luogo ed ora delle operazioni, sì da consentire l’effettiva pubblicità e la concreta possibilità di partecipazione da parte dei soggetti interessati.
Detti parametri di adeguatezza e proporzionalità delle misure informative non risultano nella specie rispettate per effetto della mera affissione all’albo pretorio. In disparte il difetto della relativa prova, deve infatti ritenersi che detta misura generale di pubblicità, non presenti la stesso grado di conoscibilità della lex specialis. In assenza di un rinvio a detta formalità da parte degli atti di gara ed in mancanza di indicazioni puntuali in seno a detti ultimi, si deve opinare che solo un atto avente la medesima pubblicità del bando ovvero una comunicazione personalizzata avrebbe potuto rispettare il principio generale di trasparenza sotteso alla normativa primaria.
Si deve soggiungere che non assume rilievo alcuno il dato della presenza dei rappresentanti di due delle quattro imprese partecipanti, posto che, al contrario, proprio l’assenza di due dei quattro soggetti interessati dimostra l’insussificienza delle misure comunicative adottate.
La violazione del principio della pubblicità delle fondamentali fasi della gara rende conseguentemente invalidi tutti gli atti della procedura selettiva, senza che rilievi l’assenza di prova dell’effettiva lesione sofferta dai concorrenti, trattandosi di adempimento posto a tutela non solo della parità di trattamento tra gli stessi, ma anche dell’interesse pubblico alla trasparenza ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, le cui conseguenze negative non sono apprezzabili ex post (vedi Consiglio Stato , sez. V, 04.03.2008, n. 901) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.06.2009 n. 3884 - link a
www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATA: Telecomunicazioni – Telefonia mobile – Stazioni radio base – Installazione – Titolo abilitativo – E’ suscettibile di comprendere tutte le valutazioni proprie del titolo abilitativo edilizio – Decreto legislativo numero 259/2003 – E’ vincolante anche per le Regioni a Statuto speciale.
L’installazione di stazioni radio base è soggetta al rilascio di un unico titolo abilitativo, come contemplato e disciplinato dall’articolo 87 del decreto legislativo numero 259/2003, suscettibile di comprendere tutte le valutazioni anche di natura urbanistica e territoriale proprie del titolo abilitativo edilizio (Corte Costituzionale numero 336/2005; Consiglio di Stato, Sezione VI, 889/2006, 4159/2005 e 4000/2005,).
Il principio di unicità del titolo abilitativo per l’installazione di stazioni radio base è vincolante anche per le Regioni a Statuto speciale e dunque anche per la Regione Sicilia, trattandosi di principio affermato dal legislatore statale del decreto legislativo numero 259/2003 nell’esercizio della potestà legislativa nella materia “trasversale” della tutela della concorrenza (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 10.06.2009 n. 615 - link a
http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una piattaforma calcestruzzo, in considerazione sia delle sue dimensioni che dello stabile collegamento al suolo, abbisogna del previo rilascio della concessione edilizia.
La realizzazione di una piattaforma calcestruzzo, in considerazione sia delle sue dimensioni che dello stabile collegamento al suolo abbisogna del previo rilascio della concessione edilizia, in quanto rientra nella nozione giuridica di costruzione, trattandosi di manufatto idoneo ad alterare lo stato dei luoghi in modo definitivo e rilevante e non meramente occasionale (cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. II 5968/2007) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 09.06.2009 n. 625 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’ordinanza di sospensione lavori (abusivi) non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento.
P
er giurisprudenza consolidata, alla quale il Collegio aderisce, l’ordinanza di sospensione lavori non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento, attesa la natura cautelare e le particolari esigenze di celerità sottese all'emissione del provvedimento (cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 07.02.2006, n. 125, ma vedi anche Tar Sicilia, Palermo Sez. III 2979/2006) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 09.06.2009 n. 625 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. GARA D’APPALTO - VALUTAZIONE CONGRUITÀ OFFERTA – IN CASO DI MANCATO SUPERAMENTO DELLA SOGLIA DI ANOMALIA - AVVIO SUB-PROCEDIMENTO DI VERIFICA- COSTITUISCE MERA FACOLTÀ.
2. GARA D’APPALTO – CRITERIO OFFERTA ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA – FISSAZIONE POSTUMA CRITERI MOTIVAZIONALI - ABROGAZIONE ART. 83, COMMA 4, ULTIMO PERIODO, D.LGS. N. 163/2006 - FINALITÀ.

1. Le stazioni appaltanti non sono tenute ad avviare il sub procedimento di verifica laddove non sia attinta la soglia di cui allo stesso art. 86, commi 1 e 2, il che è dimostrato dalla chiara formulazione della norma, che al riguardo prevede la mera facoltà e non già l’obbligo di attivare il procedimento di verifica (“In ogni caso le stazioni appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa”).
2. L’abrogazione dell’art. 83, comma 4, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 163/2006 ad opera del c.d. terzo correttivo è stata disposta al fine di ricondurre la norma a compatibilità comunitaria, visto che la stessa, nella formulazione originaria, era passibile di un’interpretazione contraria ai principi enunciati ai commi 2 e 4 dello stesso art. 86 (i quali prescrivono rispettivamente che “Il bando di gara ovvero, in caso di dialogo competitivo, il bando o il documento descrittivo, elencano i criteri di valutazione e precisano la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia, espressa con un valore numerico determinato, in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo all’elemento cui si riferisce la soglia deve essere appropriato” e che “Il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i sub - criteri e i sub-pesi o i sub–punteggi”) (TAR Marche, Sez. I, sentenza 06.06.2009 n. 575 - link a
www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'ingiunzione ad eliminare un'opera abusivamente realizzata e a ripristinare lo stato dei luoghi perde del tutto efficacia qualora l'interessato attivi uno dei procedimenti tipici (accertamento di conformità ovvero condono edilizio) previsti dalla legge per ottenere un titolo abilitativo ad efficacia sanante.
Per costante ed univoco indirizzo della giurisprudenza, l'ingiunzione ad eliminare un'opera abusivamente realizzata e a ripristinare lo stato dei luoghi perde del tutto efficacia qualora l'interessato attivi uno dei procedimenti tipici (accertamento di conformità ovvero condono edilizio) previsti dalla legge per ottenere un titolo abilitativo ad efficacia sanante (Tar Puglia-Bari, sez. III, 07.12.2005, n. 5294).
Il riesame dell'abusività dell'intervento si conclude in questi casi con l'emanazione di un nuovo provvedimento che vale comunque a superare l'atto sanzionatorio originariamente adottato dall'amministrazione.
In caso di accoglimento dell'istanza, infatti, il rilascio della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) in sanatoria precluderà in radice l'applicazione dell'ingiunzione al ripristino, risultando l'intervento compiuto a tutti gli effetti legittimo.
In caso di reiezione, invece, il ricorrente potrà contestare con apposito ricorso il provvedimento sfavorevole (Tar Puglia-Lecce, sez. I, 09.06.2006, n. 3365), mentre, d'altro canto, l'originario atto sanzionatorio sarà comunque improduttivo di effetti, dovendo essere sostituito da una nuova ordinanza, che darà specifica ragione dei presupposti a fondamento della sua adozione e che, in ogni caso, assegnerà all'interessato un nuovo termine (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. III, sentenza 15.01.2009 n. 51 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 03.08.2009

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: La TAVOLA SINOTTICA del D.Lgs. 192/2005 aggiornata al D.P.R. 59/2009 “Regolamento di attuazione del D.Lgs. 192 sul rendimento energetico in edilizia" (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Testo Unico Sicurezza: in attesa del correttivo le modifiche della Legge Comunitaria. La nuova tabella di sintesi degli adempimenti per i cantieri (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dall’UNI le regole per la progettazione del Tetto Verde (link a www.acca.it).

APPALTI SERVIZI: La guida INAIL per la sicurezza dei lavoratori degli impianti di depurazione (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 5° suppl. straord. al n. 30 del 31.07.2009:
- "Determinazioni in merito ad interventi di edilizia scolastica e all'acquisto di mezzi di trasporto collettivo scolastico - Fondi bilancio anno 2009 (l.r. n. 70/1980, l.r. n. 1/2000, l.r. n. 11/2004)" (deliberazione G.R. 22.07.2009 n. 9879 - link a www.infopoint.it);
- "L.R. 06.06.1980 n. 70, art. 3, e l.r. 12.07.1974 n. 40 Titolo II - Piano intervento ordinario anno 2009 - Termini di presentazione domande di contributo per l'edilizia scolastica minore" (circolare regionale 23.07.2009 n. 16 - link a www.infopoint.it).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 30 del 30.07.2009:
- "Modalità per il finanziamento di interventi ai fini della promozione e lo sviluppo della mobilità ciclistica - Anno 2009" (deliberazione G.R. 22.07.2009 n. 9895 - link a www.infopoint.it);
- "Approvazione del bando «Interventi per favorire lo sviluppo della mobilità ciclistica - Bando 2009» rettificato dal decreto 7815 del 28.07.2009" (testo coordinato del decreto D.U.O.23.07.209 n. 7603 - link a www.infopoint.it).

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Esercizio impresa riparazione macchine agricole. Zona agricola P.R.G..
Si pone una questione spesso presente, dotata di notevole rilievo: si chiedono chiarimenti in merito alla legittimità, o meno, dell’esercizio di una piccola impresa artigiana di riparazione di macchine agricole in zona agricola di P.R.G..
In particolare, il Comune chiede se sia giuridicamente consentita l’installazione di un’attività artigianale di riparazione di macchinari agricoli in un’area individuata come “agricola” nel P.R.G.C., precisando che le relative Norme Tecniche di Attuazione, pur non contenendo disposizioni specifiche, vietano l’esercizio di attività aventi “caratteristiche industriali o commerciali” (Regione Piemonte, parere n. 69/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio. D.P.R. 380/2001.
Il quesito formulato dal Comune riguarda il tema della ““lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio”” di cui all’art. 30 del Testo Unico dell’edilizia (D.P.R. 380/2001) (Regione Piemonte, parere n. 62/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oblazione art. 36 T.U. Edilizia – Contributo di costruzione.
Viene chiesto se l’oblazione di cui all’art. 36 T.U. edilizia (di importo pari al doppio del contributo di costruzione) già ricomprenda –oppure no– il contributo di costruzione predetto (Regione Piemonte, parere n. 61/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

NEWS

URBANISTICA: Lombardia, Adottato il Piano Territoriale Regionale (PTR) (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

PUBBLICO IMPIEGO: 31/07/2009 COMUNICATO ARAN: Sottoscritto definitivamente il CCNL per il personale del Comparto Regioni-Autonomie Locali, relativo al biennio economico 2008-2009 (link a www.aranagenzia.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: N. Durante, Il titolo edilizio al cospetto del giudice penale (link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: P. Giampietro, SCARICHI INDUSTRIALI IN ACQUE SUPERFICIALI, FOGNATURE E SUOLO, CON SUPERAMENTO DEI VALORI LIMITE: SANZIONI AMMINISTRATIVE O PENALI? (L’art. 137, comma 5 e 6, T.U. n. 152/2006, secondo Cass. Pen. n. 37279/2008) (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Valente, Il nuovo art. 19 della Legge 241 del 1990: la Denuncia d’inizio attività “immediata” per l’esercizio di attività di impianti produttivi di beni e di servizi e di prestazione di servizi (link a www.diritto.it).

APPALTI: G. Gentilini, Gli enti non profit nella codificazione dei contratti pubblici di forniture di lavori, servizi e forniture - Consiglio di Stato, sezione VI, con la sentenza 16.06.2009 n. 3897 (link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: S. Gennai, Trasferimento ingiustificato e trasferimento di ritorsione nel pubblico impiego contrattualizzato (link a www.diritto.it).

CORTE DEI CONTI

PUBBLICO IMPIEGO: Richiesta di parere con nota del Commissario Prefettizio del Comune di Cerignola (FG), riguardo la misura del compenso incentivante spettante per opere oggetto di incarichi assegnati ai tecnici dell'Ufficio Comunale (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Puglia, parere 01.07.2009 n. 60 - link a www.corteconti.it).
La questione relativa alla quota d’incentivo da applicare ad attività tecniche già espletate (o ancora in corso d’opera) ma non ancora remunerate alla data del primo gennaio 2009, ha costituito già oggetto di una vivace querelle, che si è sostanzialmente attestata su due posizioni.
La prima, già oggetto di delibera da parte della Corte dei Conti (Sezione regionale di controllo Lombardia n. 40 del 24.02.2009) considera significativo il momento in cui è stata espletata l’attività, prevedendo di conseguenza che i compensi erogati anche dopo il primo gennaio 2009, ma relativi ad attività realizzate prima di tale data, vadano assoggettati alla disciplina previgente (quella che individua nel 2% la percentuale da applicare).
Tale tesi recepisce, tra l’altro, la preoccupazione -pure fatta propria dal Comune odierno istante- legata al fatto che l’applicazione della (minor) percentuale dello 0,5% alle attività poste in essere prima dell’inizio del 2009 violerebbe la posizione dei destinatari del compenso, che hanno maturato la legittima aspettativa a percepire il corrispettivo previsto dalla normativa applicabile al momento in cui la prestazione è stata svolta.
Secondo la tesi contraria -fatta propria dal MEF con Circolare n. 36 del 23.12.2008- la riduzione applicabile a far data dal primo gennaio 2009 dovrebbe utilizzarsi per tutti i compensi comunque erogati da tale data, anche se relativi ad attività pregressa, considerando la norma di riduzione applicabile a tutta l’attività progettuale non remunerata a tale data.
Sull’argomento si è assai di recente pronunciata la Sezione Autonomie di Questa Corte (Del. 7/2009 del 23.04.2009), interpellata sulla questione di massima, nel senso che segue: “Il significato della disposizione contenuta nel comma 7-bis del DL 112/2008 convertito dalla legge n. 133/2008 va inteso nel senso che il quantum del diritto al beneficio, quale spettante sulla base della somma da ripartire nella misura vigente al momento in cui questo è sorto, ossia al compimento delle attività incentivate, non possa essere modificato per effetto di norme che riducano per il tempo successivo l’entità della somma da ripartire, per cui i compensi erogati dal primo gennaio 2009, ma relativi ad attività realizzate prima di tale data, restano assoggettati alla previgente disciplina”.
Tale tesi, ad avviso di questa Sezione, appare la più convincente, anche in omaggio alla salvaguardia dell’obiettivo di contenimento della spesa pubblica.
Da una parte, infatti, è d’intuitiva evidenza come non possa essere tout court considerato dirimente il profilo dell’attività svolta (“attività svolta … successivamente al 31.12.2008”), che appare eccessivamente riduttivo.
D’altra parte, dalla disposizione dell’art. 61, comma 8, D. Lgs. n. 163/2006 che stabilisce che l’importo previsto, individuato nello 0,5%, già “a decorrere dal primo gennaio 2009 … è versato ad apposito capitolo del bilancio …” si ricaverebbe un principio, per così dire, “di cassa”, la cui applicazione potrebbe portare a considerare la modifica applicabile non solo ad attività solo iniziate entro il 31.12.2008, ma anche ad attività addirittura concluse, ma per le quali non siano medio tempore intervenute la liquidazione dei compensi o il relativo pagamento.
In realtà tale tesi, fatta propria dal MEF nella citata circolare (“la riduzione va applicata con riferimento a tutta l’attività progettuale non ancora remunerata alla data dell’01.01.2009 …” che fa perno sul termine, utilizzato dal legislatore “destinazione a decorrere dall’01.01.2009”), appare anch’essa eccessivamente forzata, laddove ritiene la modifica applicabile anche alle progettazioni già ultimate al primo gennaio 2009, con l’approvazione del progetto esecutivo/definitivo (anche alla luce della considerazione che occorre evitare che ricadano sul dipendente destinatario dell’incentivo le conseguenze penalizzanti di ritardi nella liquidazione/erogazione dei compensi, imputabili esclusivamente all’amministrazione).
La necessità di coniugare dunque le imprescindibili esigenze di contenimento della spesa pubblica con l’indubbia rilevanza del momento in cui l’attività da remunerare è effettivamente svolta impone l’utilizzo di una tesi, per così dire, “sincretista”.
Occorrerà cioè considerare attività effettivamente realizzata prima dell'01.01.2009 ogni singola fase del complesso procedimento relativo alla realizzazione di un’opera pubblica (lavoro o fornitura) avente una propria individualità ed autonomia.
In altre parole, se prima dell’inizio del 2009 risulterà conclusa la fase della progettazione, ma non ancora iniziata, ad esempio, quella del collaudo, nulla vieterà di sottoporre il computo della misura incentivante alla disciplina previgente, per quanto attiene la remunerazione della progettazione, ed a quella nuova la fase attinente il collaudo, interamente svolta, in quanto tale, sotto la vigenza della nuova norma.
Occorre infatti considerare che, se è vero che ai fini della nascita di quello che è un vero e proprio diritto soggettivo di natura retributiva (il diritto all’incentivo), come chiarito dalla Suprema Corte (Cass. Sez. lav. n. 13384 19.07.2004), ciò che rileva è il compimento effettivo dell’attività, è anche vero che per le prestazioni di durata dovrà considerarsi la singola frazione temporale di attività compiuta.

LAVORI PUBBLICI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Castel San Pietro Terme riguardante gli effetti del D.L. 22.12.2008 n. 200, convertito nella legge nella legge 18.02.2009 n. 9, che ha abrogato il D.L. Lgt. 1446/1918, con il quale era stato stabilito che i Comuni dovessero concorrere alle spese per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali di uso pubblico (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna, parere 26.06.2009 n. 244- link a www.corteconti.it).
... la materia dei consorzi per la manutenzione e ricostruzione delle strade vicinali, era stata organicamente disciplinata dal citato decreto legge luogotenenziale del 1918, che aveva stabilito la competenza dell’autorità comunale, sia per la costituzione dei consorzi, che per la sovrintendenza nelle varie fasi della loro esistenza. Per i casi in cui le strade vicinali fossero destinate all’uso pubblico, era inoltre prescritto l’obbligo del Comune di accollarsi una quota degli oneri necessari alla loro manutenzione e ricostruzione.
A tale disciplina era seguita nel 1958 la legge n. 126, in materia di classificazione e manutenzione delle strade destinate ad uso pubblico, che, nell’art. 14, ribadiva l’obbligatorietà della costituzione dei consorzi previsti dal D.L. Lgt. 1446/1918, e stabiliva che, in caso assenza di iniziativa degli utenti o dei comuni, la costituzione poteva essere disposta d’ufficio dal Prefetto. Quest’ultima norma, a differenza di quanto accaduto al D.L. Lgt. di cui qui si tratta, non risulta espressamente abrogata dal D.L. 22.12.2008 n. 200, convertito nella legge nella legge 18.02.2009 n. 9.
Prescindendo comunque dall’attuale incongruo assetto normativo, e venendo al quesito posto dal Sindaco di Castel San Pietro Terme, si chiarisce che l’abrogazione del D.L. Lgt. 1446/1918 non comporta, a parere di questo Collegio, la eliminazione dei consorzi già costituiti in base a tale antica normativa.
Ciò in considerazione dl fatto che l’atto costitutivo del Consorzio, quale originaria manifestazione della volontà dei proprietari delle strade vicinali (approvata, secondo l’art. 2 del citato D.L. Lgt. 1446/1918, con delibera del Consiglio comunale), non ha perso il suo valore a seguito dell’abrogazione della norma che ab origine disciplinò gli effetti di tale legittima manifestazione di volontà.
Va detto, inoltre, che per i consorzi riguardanti le strade vicinali di uso pubblico che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, sono dotati di personalità giuridica pubblica, tale ultimo elemento di carattere formale, avvalora ancor più l’opinione che l’abrogazione della norma sopracitata non possa avere influito sulla sorte di soggetti già esistenti.
Va considerato, infine, che il fondamento per un eventuale sostegno finanziario comunale a favore dei consorzi già costituiti, che a suo tempo era indicato espressamente nelle disposizioni del D.L. Lgt. 1446/1918, può oggi rinvenirsi nella qualità riconosciuta ai Comuni di enti esponenziali degli interessi della comunità locale, e quindi abilitati anche a garantire, con adeguati interventi finanziari, l’efficienza della viabilità minore di uso pubblico.

PUBBLICO IMPIEGO: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Castel Guelfo di Bologna (BO) riguardante, in tema di incentivi alla progettazione interna, l'applicazione delle nuove percentuali stabilite dall'art. 61, comma 8° del D.L. 112/2008, convertito in legge 133/2008 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna, parere 26.06.2009 n. 242 - link a www.corteconti.it).
In base alla formulazione dell’art. 92, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, approvato con D.Lgs. 163/2006, precedentemente alle modifiche apportate dal D.L. 112/2008, risultava che, nel caso di appalto di lavori, a favore del responsabile del procedimento e degli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione lavori etc. doveva essere ripartita una somma non superiore al 2 per cento dell’importo posto a base di gara dell’opera o del lavoro.
Con il comma 7-bis, aggiunto all’art. 61 del suddetto D.L. si è disposto che a decorrere dall'01.01.2009, la percentuale prevista dall’art. 92 del soprarichiamato decreto legislativo, è destinata nella misura dello 0,5 per cento alla finalità di incentivazione a favore del personale tecnico di cui si è detto, e nella misura dell’1,5 per cento è versata ad apposito capitolo del dell’entrata del bilancio dello Stato.
Va in proposito precisato che il comma 7-bis, di cui si è detto, riproduce il comma 8° dell’art. 61 del D.L. 112/2008 abrogato con l’art. 1, comma 10-quater, della legge 22.12.2008 n. 201.
La questione riguardante il momento della operatività della riduzione voluta dalla normativa del 2008, richiede che si valuti la consistenza del titolo alla percezione degli incentivi all’esame; ciò perché, se si perviene alla conclusione che l’acquisizione di tali incentivi costituisca per gli interessati un diritto soggettivo, si deve conseguentemente ammettere che la disposizione che qui si esamina non può avere effetto retroattivo, mancando invece un diritto soggettivo all’acquisizione di tali corrispettivi, gli stessi potrebbero ben essere ridimensionati, a seguito dell’entrata in vigore della norma di cui si sta trattando.
Sul punto la Sezione delle autonomie, con la deliberazione del 23.04.2009 n. 7/SEZAUT/2009/QMIG, ha avuto occasione di pronunziarsi, stante la presenza di dubbi interpretativi e di conclusioni opposte (vedansi la deliberazione n. 40/2009/PAR della Sezione regionale del controllo della Lombardia e la circolare n. 36 del 23.12.2008 de Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato).
Dalle conclusioni della suddetta deliberazione si desume che le somme da ripartire a titolo di incentivo per la progettazione sono strettamente correlate, per ogni singola opera, all’importo dell’appalto ed ai relativi stanziamenti, come risulta dall’art. 13 della Legge 144/1999.
Ne consegue che tra i suddetti incentivi e l’attività di progettazione e direzione lavori deve intravedersi un rapporto di sinallagmaticità, che qualifica la posizione dei prestatori delle suindicate attività tecniche come titolarità ad un diritto intangibile nel caso di sopravvenienza di norme aventi carattere riduttivo.
In concreto, nel caso di erogazione di compensi incentivanti che avvenga dopo il 1° gennaio 2009, ma attenga ad attività svolte prima di tale data, e quindi consolidatesi in forma di diritto acquisito, deve ritenersi valida la disciplina contenuta nell’art. 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici, prima della modifica apportata con il comma 7-bis, aggiunta all’art. 61 del D.L. 112/2008, convertito dalla Legge 133/2008 e quindi liquidabili gli incentivi fino alla percentuale del 2,0.

Quanto agli altri punti del quesito va detto brevemente che:
- Secondo l’art. 18 della legge 109/1994, gli incentivi sono ripartiti tra il responsabile unico del procedimento, gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo nonché tra i loro collaboratori e che la ripartizione tiene conto delle diverse responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere. Dal tenore della norma si può desumere che le professionalità coinvolte in tali attività possono essere sia quelle specifiche degli ingegneri ed architetti, sia tutte le altre che siano state legittimamente impiegate in relazione alla maggiore o minore complessità dell’opera.
- I limiti di cassa devono ritenersi vincolanti anche per tale categoria di corrispettivi, che, tuttavia, non vanno computati come spese di personale, essendo configurabili come direttamente connesse alla esecuzione dell’opera o del lavoro, ed imputate sulle relative somme impegnate per tali interventi, anche perché, per la loro occasionale connessione alla specificità degli interventi stessi, non si prestano ad una verifica tendenziale del loro andamento.

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Nurachi - Esenzione dal pagamento del contributo per permesso di costruzione (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Sardegna, parere 22.06.2009 n. 19 - link a www.corteconti.it).
Il Comune intende assumere l’esonero dal pagamento del contributo per permesso di costruzione come incentivo per i privati proprietari, affinché provvedano ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, recupero, restauro, risanamento e ristrutturazione dei propri immobili ubicati nel centro storico, questa Sezione deve formulare alcune osservazioni.
A termini della normativa statale, tutti gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio sono subordinati al permesso di costruire e il rilascio del relativo provvedimento da parte dell’amministrazione comunale comporta la corresponsione di un contributo (contributo per il rilascio del permesso di costruire) commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione (D.P.R. 06.06.2001 n. 380, testo unico delle disposizione legislative e regolamenti in materia edilizia, nel quale sono confluite tra le altre le disposizioni per la edificabilità dei suoli di cui alla legge 28.01.1977 n. 10 ).
Alle Regioni si demanda l’individuazione degli interventi che in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico siano da sottoporre al preventivo rilascio del permesso di costruire o alla denuncia di inizio di attività. Si prevede, inoltre, che sia il Comune a determinare l’incidenza degli oneri sulla base di tabelle parametriche predefinite dalla Regione per classi di comuni (v. art. 10 e 16 cit. T.U sull’edilizia).
Le ipotesi di riduzione o esonero dal contributo di costruzione, costituendo eccezione alla regola generale dell’onerosità della concessione edilizia, sono individuate tassativamente dal Legislatore (v. art. 17 cit. T.U. sull’ edilizia; v. in tal senso costante giurisprudenza tra cui C.d.S. sez. v n. 617/2003 e n. 596/2004 ; Tar Veneto sez. II n. 604/2008).
Nell’esercizio della sua competenza primaria in materia di edilizia e urbanistica (legge costituzionale 26.02.1948 n. 3, art.3) la Regione Sardegna ha recepito il principio generale dell’onerosità della concessione edilizia facendo salvi i casi espressamente previsti (v. art. 3 legge reg. 11.10.1985 n. 23). Il Legislatore regionale, inoltre, assumendo specifiche disposizioni di “tutela e valorizzazione dei centri storici della Sardegna” (legge reg. 13.10.1998 n. 29) ha disposto lo stanziamento di specifiche risorse finanziarie da destinare a misure incentivanti e agevolative, consistenti principalmente in contributi finanziari da erogarsi per la realizzazione degli interventi di risanamento.
In proposito, va puntualizzato che all’adozione di interventi agevolativi, fino all’esonero totale, come nel caso di specie, dal pagamento degli oneri concessori di cui si tratta (permesso di costruzione), può procedersi solo in forza di espresse previsioni che ne disciplinano il regime, trattandosi di obbligazioni non disponibili da parte del Comune, se non nei limiti assentiti dalla fonte normativa primaria.

PUBBLICO IMPIEGO: Comune di Bagnoli di Sopra (PD) - Parere in merito alla ripartizione degli incentivi per la progettazione interna per gli enti sprovvisti del relativo regolamento di cui all'art. 92, comma 5, del D.Lgs. n. 163/2006, nonché alla retroattività delle disposizioni regolamentari sopravvenute  (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 19.06.2009 n. 105 - link a www.corteconti.it).
... l’art. 92 comma 5 del codice dei contratti pubblici ha previsto che "Una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere. La corresponsione dell'incentivo è disposta dal dirigente preposto alla struttura competente, previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti; limitatamente alle attività di progettazione, l'incentivo corrisposto al singolo dipendente non può superare l'importo del rispettivo trattamento economico complessivo annuo lordo; le quote parti dell'incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione medesima, ovvero prive del predetto accertamento, costituiscono economie. I soggetti di cui all'articolo 32, comma 1, lettere b) e c), possono adottare con proprio provvedimento analoghi criteri”.
La percentuale massima prevista da tale norma è stata ridimensionata ad opera dell’art. 18 comma 4-sexies del decreto legge n. 185/2008, convertito in legge n. 2/2009, che ha disposto che “
A decorrere dall'01.01.2009, la percentuale prevista dall'articolo 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, e successive modificazioni, è destinata nella misura dello 0,5 per cento alle finalità di cui alla medesima disposizione (..)”.
Secondo un orientamento ormai consolidato, (Corte dei conti, Sezione delle autonomie, delibera 7/SEZAUT/2009/QMIG, Sezione regionale di controllo per il Veneto, delibere 81/2009/PAR e 82/2009/PAR), questa Sezione ritiene che la riduzione prevista dall’art. 18, comma 4-sexies, non si applica a tutte quelle attività e prestazioni di tipo tecnico (progettazione, direzione lavori, ecc.) svolte in pendenza della vecchia disciplina, a fronte delle quali il personale interessato ha maturato un vero e proprio diritto alla corresponsione degli emolumenti, intangibile dallo jus superveniens. Tale ammontare, infatti, non può essere modificato per effetto di norme successive limitative della spesa, che regoleranno in via generale l’incentivazione dell’attività tecnica posta in essere successivamente alla data dell’01.01.2009, cui farà seguito la relativa nuova disciplina interna dell’ente, che ne regolerà gli aspetti di dettaglio.
Nel caso di prestazioni di durata che non si esauriscono in un’unica attività e che si svolgono lungo un certo arco di tempo, si ritiene che debba considerarsi la frazione temporale di attività compiuta.
Dal quadro normativo sopra delineato, emerge chiaramente che le previsioni di cui all’art. 92, comma 5, del codice contratti, come recentemente modificate, devono essere contestualizzate per ciascuna amministrazione in un regolamento interno, da adottarsi secondo modalità e criteri stabiliti dalla contrattazione decentrata, che ha lo specifico compito di individuare termini e modalità di liquidazione (percentuali interne, tempistiche, ecc.) tra le categorie di tecnici interni aventi diritto.
Venendo, dunque, al primo quesito, appare chiaro che la normativa di riferimento per la liquidazione degli incentivi per la progettazione interna fino al 31.12.2008 è costituita sia dalla fonte legislativa di cui all’art. 92, comma 5, del codice contratti, sia dal regolamento interno cui questa rinvia per gli aspetti di dettaglio.
Con riferimento all’attività tecnica posta in essere prima dell’01.01.2009 – peraltro presa in considerazione dal quesito - tale regolamento assolveva anche alla funzione di determinare la percentuale effettiva da destinare ad incentivo, che ciascun ente poteva scegliere fino ad un massimo del 2% dell’importo a base di gara, in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare.
Tale ultima funzione adesso sembra essere venuta meno, in quanto l’art. 18, comma 4-sexies, per le attività da svolgere dopo l’01.01.2009, fa ormai riferimento ad una percentuale fissa dello 0,5%, da modulare tra gli aventi diritto nei termini previsti dalle nuove previsioni regolamentari attuative.
Proprio per via di questa necessaria integrazione tra disciplina legislativa e disciplina regolamentare interna, soprattutto con riferimento all’attività posta in essere antecedentemente all’01.01.2009, è chiaro che l’ente, in assenza del necessario regolamento, aveva –ed ha tuttora- un sistema di norme incompleto, che renderebbe illegittima, oltre che arbitraria, qualsiasi liquidazione di incentivi a tale titolo.
Con il secondo quesito, l’ente, al fine di ovviare a questa situazione, chiede se è possibile approvare un regolamento che, facendo semplicemente un rinvio alla percentuale massima stabilita dalla legge vigente al momento del compimento dell’attività incentivata, consenta la liquidazione delle spettanze pregresse, anche antecedenti all’01.01.2009.
Mentre per l’attività successiva a tale ultima data non si rinvengono problemi di sorta, visto anche il fisiologico lasso temporale necessario per la contrattazione dei criteri con le OO.SS., nonché per la predisposizione del regolamento e la relativa approvazione, per l’attività antecedente, in assenza di un precedente regolamento, la questione risulta sicuramente di più difficile soluzione.
A questo proposito, però, non può trascurarsi il fatto che i dipendenti, pur in assenza di regolamento attuativo, hanno regolarmente svolto la loro attività tecnica, e dunque hanno maturato un diritto alla percezione degli incentivi, che non può essere compromesso dal comportamento inerte dell’amministrazione di appartenenza.
Tale diritto nasce già in astratto dalla stessa formulazione dell’art. 92, comma 5, che prevede per ciascuna opera o lavoro che le somme a titolo di incentivo siano “destinate” ai tecnici interni interessati, cioè che sia costituito in loro favore un accantonamento all’interno di ciascun quadro economico, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93, comma 7, e che siano ripartite per ogni singola opera o lavoro.
Orbene, il comune, anche se sprovvisto delle previsioni regolamentari, per il periodo fino al 31.12.2008 ha comunque provveduto ad accantonare nei singoli quadri economici delle varie opere pubbliche una percentuale pari al 2% dell’importo lavori a titolo di incentivo, ossia la misura massima pro tempore consentita, e tali accantonamenti dovrebbero essere tutt’ora disponibili tra i residui passivi dell’ente.
Ne deriva che con riferimento al periodo antecedente al 2009, la funzione di determinazione della percentuale effettiva sembra esser stata assolta per facta concludentia dalla stessa amministrazione, che con tali stanziamenti a valere sui singoli quadri economici ha di fatto posto in essere un’inequivocabile manifestazione di volontà in ordine all’ammontare da ripartire per singola opera.
In questo modo, all’emananda fonte regolamentare, pur se intervenuta successivamente, si demanderebbe la sola funzione di ripartizione interna tra gli aventi diritto di somme già accantonate.

Tale opzione potrebbe essere astrattamente ammissibile, purché siano determinati criteri di ripartizione interna equi e razionali, preferibilmente d’intesa con i diretti interessati, e soprattutto nel rispetto della normativa vigente al momento dello svolgimento delle singole prestazioni.
Proprio tenendo conto di quest’ultimo, fondamentale, fattore, si rileva che il rinvio alla misura massima consentita dalla legge si giustifica solo nella misura in cui l’attività tecnica incentivata sia stata posta -o sia da porre- in essere integralmente con personale interno.
Diversamente, infatti, si avrebbe una duplicazione di spesa, dovuta al fatto che le quote parti dell'incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione medesima, costituiscono economie.
Inoltre l’ente, nel suo prudente apprezzamento, dovrà comunque tenere conto del fatto che la determinazione della percentuale effettiva di incentivo va rapportata all’entità e alla complessità delle opere cui questo si riferisce, e che la liquidazione concreta che sarà fatta dal dirigente/responsabile del servizio a seguito dell’emanazione del regolamento, dovrà comunque tenere conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni.

PUBBLICO IMPIEGO: Comune di Valeggio sul Mincio (VR) - Parere in merito alla corretta applicazione delle disposizioni concernenti l'incentivo per la progettazione di cui all'art. 92, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, in seguito alle novità introdotte dall'art. 18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009. Decorrenza della riduzione percentuale (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 21.05.2009 n. 82 - link a www.corteconti.it).
... la materia degli incentivi alla progettazione interna è stata oggetto di numerose recenti modifiche, che si ritiene opportuno ricostruire brevemente.
In particolare:
- l’art. 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha previsto che “una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare”.
- l’art. 61, comma 8, del decreto legge n. 112/2008 convertito in legge n. 133/2008, ha operato una modifica alla suddetta disciplina, stabilendo che “a decorrere dal 1 gennaio 2009, la percentuale relativa a lavori, servizi e forniture è destinata nella misura dello 0,5% alle finalità di cui alla medesima disposizione e, nella misura dell’1,5%, è versata ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato”.
Il successivo comma 17, poi, con riferimento all’ambito di applicazione soggettiva delle misure di contenimento della spesa pubblica contemplate nell’art. 61, ha previsto che “Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui ai commi 14 e 16, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato.” Tuttavia, il medesimo comma 17 ha precisato che “La disposizione di cui al primo periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale.”
- l’art. 1, comma 10-quater, del decreto legge n. 162/2008, convertito in legge n. 201/2008, ha modificato l’art. 92, comma 5, del D. Lgs. n. 163/2006 “allo scopo di fronteggiare la crisi nel settore delle opere pubbliche e al fine di incentivare la progettualità delle amministrazioni aggiudicatrici”, disponendo che l’incentivo in questione corrisposto al singolo dipendente non possa superare l’importo del rispettivo trattamento economico complessivo annuo lordo, ed ha abrogato il citato art. 61 comma 8 del D.L. n.112/2008;
- da ultimo, l’art. 18 comma 4-sexies del decreto legge n. 185/2008, convertito in legge n. 2/2009, ha in sostanza reintrodotto il contenuto del suddetto comma 8, introducendo il comma 7-bis dell’art. 61 del D.L. n. 112/2008, che dispone che “A decorrere dall'01.01.2009, la percentuale prevista dall'articolo 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, e successive modificazioni, è destinata nella misura dello 0,5 per cento alle finalità di cui alla medesima disposizione e, nella misura dell'1,5 per cento, è versata ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere destinata al fondo di cui al comma 17 del presente articolo”.
Tale ultimo inciso, relativo alla quota residua dell’1,5% (rectius, della quota residua che va fino ad un massimo dell’1,5%, ben potendo gli enti aver scelto una percentuale di incentivo inferiore al 2%), non si applica agli enti territoriali e agli enti del SSN, le cui economie di spesa verranno acquisite ai rispettivi saldi di bilancio.
Del resto, l’art. 61 comma 17, con riferimento al comma 8 abrogato, escludeva l’applicazione di tale normativa proprio nei confronti di tali enti.
Posto quanto sopra, si evidenzia che la novella normativa qui considerata interviene sul limite massimo dell’importo complessivo dell’incentivo e non sulla distribuzione delle quote di spettanza dei dipendenti che hanno partecipato al procedimento.
E’ anche indubbio che a seguito della novella normativa l’assetto regolamentare di ripartizione dell’incentivo non solo debba essere adeguato alla modifica normativa, ma possa mutare in base ad una nuova valutazione di interessi da parte dell’amministrazione che, in considerazione della consistente decurtazione operata dal legislatore, potrà decidere un nuovo riparto interno tra gli aventi diritto.
Ciò premesso, può affrontarsi la questione sottoposta all’esame di questa Sezione, relativa all’applicabilità o meno della riduzione percentuale di incentivo alle attività tecniche già poste in essere prima dell’01.01.2009 ma non ancora remunerate a tale data.
In primo luogo si osserva che il generale principio d’irretroattività delle leggi (art. 11 prel.) opera con riferimento ai rapporti esauriti prima della data di entrata in vigore (o della data di efficacia, se antecedente, come nel caso specifico) della nuova normativa, mentre per le situazioni pendenti alla stessa data vige il principio di applicazione immediata della norma.
Il problema, quindi, è quello di stabilire quale sia il concetto di situazione pendente.
E’ indubbio che la novella normativa va ad incidere sulla percentuale cumulativa dell’incentivo, che è il corrispettivo complessivo dell’attività svolta da tutti i dipendenti coinvolti nel procedimento, ma poiché le prestazioni rese nell’ambito del procedimento non sono considerate dall’ordinamento come un unicum inscindibile, in quanto sono divisibili naturalmente e giuridicamente, va da sé che il concetto di situazione pendente debba essere riferito alle singole prestazioni e non al procedimento di appalto.
Se quelle attività e prestazioni di tipo tecnico (progettazione, direzione lavori, ecc.) sono state svolte in pendenza della vecchia disciplina, a fronte di esse il personale interessato ha maturato un vero e proprio diritto alla corresponsione degli emolumenti, intangibile dallo jus superveniens.
Ciò è da ricondursi principalmente allo stretto legame rinvenibile tra la determinazione e la liquidazione dell’incentivo, e le singole attività svolte, che è identificabile in termini di vera e propria corrispettività, come risulta del resto dallo stesso art. 92, comma 5, del codice dei contratti, ove si prevede che “la ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere” e che “la corresponsione dell'incentivo è disposta dal dirigente preposto alla struttura competente, previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti”.
Sul fatto che una volta realizzata l’attività incentivata il tecnico interno vanti un vero e proprio diritto soggettivo all’erogazione del compenso concorda peraltro anche la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass., Sez. lavoro, sent. n. 13384 del 19.07.2004).
Ciò che conta, dunque, ai fini della nascita di tale diritto è l’effettivo svolgimento della prestazione, mentre, nel caso di prestazioni di durata che non si esauriscono in un’unica attività (es. quella imputabile al responsabile del procedimento) e che si svolgono lungo un certo arco di tempo, dovrà considerarsi la frazione temporale di attività compiuta. Condividendosi, pertanto, l’orientamento espresso dalla Sezione delle Autonomie con delibera 7/SEZAUT/2009/QMIG, cui si rinvia, si conclude nel senso che l’ammontare dell’incentivo in questione vada ricondotto al momento in cui è sorto il diritto, ossia al momento del compimento dell’attività svolta.
Tale ammontare non può essere modificato per effetto di norme successive limitative della spesa, che regoleranno in via generale l’incentivazione dell’attività tecnica posta in essere successivamente alla data dell’01.01.2009, cui farà seguito la relativa nuova disciplina interna dell’ente, che ne regolerà gli aspetti di dettaglio.
I compensi da erogare successivamente all’01.01.2009, ma relativi ad attività svolta precedentemente, resteranno assoggettati alla disciplina in vigore prima dell’emanazione dell’art. 7-bis.

dossier D.I.A.

EDILIZIA PRIVATA: Nella denuncia di inizio attività, produce effetti interruttivi l'intervento del responsabile del procedimento diretto a richiedere l'integrazione della pratica attraverso l'asseverazione del progettista, qualora questa sia stata omessa.
La asseverazione del tecnico progettista prevista dall’art. 23, comma 1, del DPR n. 380 del 2001, anche secondo la dottrina dominante, costituisce condizione essenziale di efficacia della denuncia, ossia elemento fondamentale ed imprescindibile del procedimento (cfr. Cass. pen., Sez. III, 06.04.1995).
Essa svolge in particolare funzione eminentemente certificativa –rafforzata anche da specifiche previsioni sanzionatorie, come si vedrà– nella parte in cui il tecnico abilitato attesta la regolarità dell’intervento da realizzare in relazione all’intera disciplina dell’attività edilizia.
Del resto, se la DIA di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 prevede in linea generale che una semplice “denunzia” a firma del privato interessato possa attestare l’esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge dell’attività da intraprendere, l’art. 23 del testo unico edilizia sembra senz’altro sottrarre questo potere autocertificativo al privato esecutore dell’intervento, o almeno attenuarne la portata, per attribuirlo invece –quanto meno nella sua parte prevalente– al progettista abilitato.
In questa direzione va condivisa la tesi che qualifica la DIA come fattispecie a formazione progressiva che si perfeziona solo in presenza di alcuni elementi costitutivi, tra i quali sono da annoverarsi l’atto del privato (unitamente alla asseverazione del progettista), il decorso di un determinato lasso di tempo (30 gg.), oltre alla sussistenza dei presupposti sostanziali di operatività dell’istituto (ossia la conformità dell’intervento alle prescrizioni di piano).
La relazione asseverata assume in detto contesto un’importanza fondamentale in quanto rappresenta in concreto l’atto in base al quale avrà luogo l’attività di verifica in ordine alla conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici.
L’istituto della DIA comporta così una inversione della tradizionale sequenza procedimentale, poiché la dichiarazione del privato, corredata da una relazione tecnica attestante l’esistenza dei requisiti stabiliti dalla legge, precede e, salvo provvedimento inibitorio, prescinde dall’atto amministrativo che tradizionalmente, invece, ed almeno in via di regola, deve autorizzare l’attività edilizia dei privati, così come accade per il permesso di costruire.
Risulta allora evidente che, nel caso della DIA, il ruolo giocato dalla PA muta radicalmente rispetto ai procedimenti permissivi: mentre in questi ultimi il provvedimento amministrativo è di tipo autorizzatorio e, quindi, precede l’inizio dei lavori, nella procedura semplificata, invece, la pubblica amministrazione non adotta un formale atto di consenso, ma interviene solo in termini inibitori qualora accerti l’assenza dei presupposti legislativamente richiesti.
Da tale inversione procedurale discendono indubbi vantaggi in termini di accelerazione e di semplificazione dei procedimenti, anche in vista del raggiungimento degli obiettivi di liberalizzazione di quel determinato settore economico.
Tuttavia per garantire l’ottenimento di tali vantaggi è quanto mai necessario che ciascuno degli attori del processo (privato e amministrazione) rispetti il ruolo che l’ordinamento gli attribuisce, pena la vanificazione dell’obiettivo legislativamente fissato.
In altre parole, qualora si acceda alla tesi secondo la quale, ai fini dell’utile decorso del termine, non è strettamente necessario allegare alla dichiarazione del privato anche l’asseverazione del tecnico abilitato (la quale potrebbe essere allegata in ogni momento su richiesta del responsabile del procedimento, a giudizio del ricorrente, senza che tale richiesta istruttoria possa in qualche modo interrompere l’utile decorso del termine di 30 gg.), si rischierebbe di alterare il predetto rapporto di inversione, ossia di ritornare agli schemi classici secondo cui il privato chiede e la PA valuta la legittimità della pretesa, il che non sarebbe coerente con la ratio che ispira il modello di semplificazione della DIA (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 07.05.2009 n. 1012 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier RIFIUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Abbandono da parte di ignoti e responsabilità del proprietario dell'area.
In caso di riversamento di rifiuti su un sito da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque il titolare in uso di fatto del terreno non può essere chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area se non viene individuato a suo carico l' elemento soggettivo del dolo o della colpa, per cui lo stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 09.06.2009 n. 3159 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Abbandono e obbligo di recinzione del terreno.
Sulla sussistenza di un obbligo di recinzione in capo al proprietario di un fondo sul quale sono stati riversati rifiuti (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 04.06.2009 n. 1006 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Abbandono ed esclusione di responsabilità del proprietario dell'area concessa in locazione.
In tema di abbandono di rifiuti, il proprietario non ha la disponibilità del bene concesso in locazione né, di conseguenza, è consentita la facoltà di controllare adeguatamente l'operato del conduttore, in quanto per verificare con precisione lo stato di fatto occorre aver riacquistato la disponibilità del bene (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 04.06.2009 n. 878 - link a www.lexambiente.it).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: La verifica di compatibilità del PGT al PTCP è di competenza del dirigente, mentre le prescrizioni di stralcio della Provincia non hanno carattere precettivo ma sono finalizzate a consentire, se recepite, l’approvazione immediata del PGT.
1.
Se si considera che la valutazione di compatibilità del piano di governo del territorio al piano territoriale di coordinamento provinciale mira esclusivamente a verificare, attraverso la mera comparazione del contenuto dei due piani, il rispetto del PTCP da parte del PGT, e non implica profili di discrezionalità, se ne trae che essa non si configura come atto di indirizzo, ma tende alla mera attuazione degli obiettivi della pianificazione provinciale, ed è pertanto riconducibile alle attribuzioni dirigenziali.
2. Nell’ambito del procedimento di verifica di compatibilità del piano di governo del territorio al piano territoriale di coordinamento provinciale, le prescrizioni della Provincia, nella parte in cui prevedono (anche) le destinazioni degli ambiti da stralciare, non hanno carattere precettivo, e non escludono la possibilità di destinazioni diverse: esse, in altri termini, devono intendersi unicamente finalizzate a consentire l’approvazione immediata del piano regolatore senza ulteriori passaggi procedimentali; nel senso che, se il Comune recepisce le prescrizioni di stralcio con la rispettiva destinazione, il piano può essere approvato e produrre i suoi effetti tout court, mentre una destinazione diversa da quella suggerita imporrebbe il ritorno del piano alla Provincia per una nuova verifica di compatibilità, ovvero l’attivazione del procedimento di modifica o integrazione del PTCP (TAR Lombardia-Milano, Sezione II, sentenza 28.07.2009 n. 4468 - link a
www.cameramministrativacomo.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' configurabile una pretesa giuridicamente rilevante a conseguire la compensazione tra l’importo degli oneri di concessione determinati al momento del rilascio del titolo edilizio e l’importo delle opere infrastrutturali direttamente eseguite dal titolare della concessione, anche a prescindere dalla circostanza che sia intervenuto o meno un accordo con il Comune in ordine alle modalità e alle garanzie per la loro esecuzione.
La norma di cui all’art 11 della legge 28.01.1977, n.10 prevede che “A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il concessionario può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune.”
La giurisprudenza amministrativa ha costantemente interpretato lo scomputo di cui alla norma sopra citata quale materia di un vero e proprio “diritto“ del concessionario .
Più in dettaglio, è configurabile una pretesa giuridicamente rilevante a conseguire la compensazione tra l’importo degli oneri di concessione determinati al momento del rilascio del titolo edilizio e l’importo delle opere infrastrutturali direttamente eseguite dal titolare della concessione, anche a prescindere dalla circostanza che sia intervenuto o meno un accordo con il Comune in ordine alle modalità e alle garanzie per la loro esecuzione (vedi Tar Lombardia, sez III, 04.06.2002, 2275).
La società ricorrente assume, a tal riguardo, di avere realizzato direttamente, senza ricevere smentita dalla amministrazione resistente, alcune opere infrastrutturali e, segnatamente, il completamento di una strada e la esecuzione di opere fognarie.
La P.a., pur non avendo concordato con il ricorrente modalità e garanzie per la esecuzione delle opere di urbanizzazione da valere a scomputo degli oneri concessori, ha però serbato un contegno concludente valevole quale “accettazione“ implicita di quanto costruito dal privato.
Ne costituisce prova l’ atto ,versato dal ricorrente, con il quale si attesta che la P.a. locale ha proceduto alla denominazione della strada completata dal ricorrente, intitolata Via E. De Nicola già sulla scorta di una delibera di Consiglio Comunale del 1987, anche per la parte oggetto dei lavori di completamento eseguiti direttamente dalla società; e la mancata specifica contestazione in ordine alla realizzazione delle predette opere infrastrutturali.
L’applicazione del meccanismo della compensazione tra obbligazioni che P.a. e privato assumono reciprocamente nella fase genetica del rapporto concessorio è del tutto coerente con il canone di buon andamento della P.a..
Invero, l’operatività del meccanismo compensativo previsto dalla legge scongiura in radice le conseguenze negative da ascrivere ai casi di indebita locupletazione che la P.a. può consumare ogni qualvolta essa non riconosca strumentalmente la utilità di opere eseguite da privati.
E’ pertanto illegittima la ordinanza ingiunzione con la quale -disattendendo la legittima pretesa allo scomputo avanzata dalla ricorrente- si intima alla società titolare di una concessione edilizia il pagamento integrale delle residue quote dovute per oneri di urbanizzazione, pur in presenza della diretta realizzazione di alcune opere infrastrutturali da parte del concessionario, ritenute corrispondenti all’interesse pubblico e accettate implicitamente dall’amministrazione locale (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 18.07.2009 n. 1855 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La costituzione di un'A.T.I. lascia impregiudicato l'assetto dei rapporti interni fra le imprese riunite, i quali, dunque, continuano ad essere disciplinati secondo le regole generali in materia di mandato.
L'associazione temporanea di due o più imprese nell'aggiudicazione ed esecuzione di un contratto di appalto è fondata su di un rapporto di mandato con rappresentanza, gratuito ed irrevocabile, conferito da una o più imprese, collettivamente, ad altra impresa capogruppo legittimata a compiere, nei rapporti con l'amministrazione, ogni attività giuridica connessa o dipendente dall'appalto e produttiva di effetti giuridici direttamente nei confronti delle imprese mandanti sino all'estinzione del rapporto, salva restando l'autonomia negoziale delle imprese riunite per quanto concerne la gestione a ciascuna di esse affidati ed i rapporti con i terzi. La costituzione di un'A.T.I. lascia impregiudicato l'assetto dei rapporti interni fra le imprese riunite, i quali, dunque, continuano ad essere disciplinati secondo le regole generali in materia di mandato.
Conseguentemente, nel caso in cui la società mandante di un'A.T.I. agisca in giudizio nei confronti della società mandataria per l'adempimento degli obblighi contrattuali derivanti dal mandato (fra i quali, quello di rimetterle le somme incassate in qualità di capogruppo), essa mandante deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto di credito ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, gravando poi sulla mandataria, presunta debitrice, l'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa (TRIBUNALE civile e penale di Bari, Sez. II civile, sentenza 10.07.2009 n. 2350 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATASulla natura di un'opera pertinenziale.
La collocazione al di sopra di un muro di sostegno di n. 22 fioriere in cemento dell’altezza di cm. 60 (fissate al suolo da elementi di cemento dell’altezza di cm. 15) ben può essere ricompresa nell'ambito delle «opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti», di cui all'art. 7 comma 2, d.l. 23.01.1982 n. 9, dato che esse sembrano possedere tutte le caratteristiche che la consolidata elaborazione giurisprudenziale (cfr. TAR Catanzaro, sez. II, 10.06.2008 n. 647) connette al concetto di pertinenza edilizia:
a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale;
b) il mancato possesso, per natura e struttura, di una pluralità di destinazioni; c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente edificato;
h) l'assenza di un autonomo valore di mercato.
Da tale presupposto discende, ex art. 10 L. n. 47/1985, la sola applicabilità nella specie della sanzione pecuniaria, con il conseguente annullamento dell’ordinanza di demolizione (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 08.07.2009 n. 1449 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ambiente in genere. Industrie insalubri.
Ai sensi degli art. 216 e 217 T.U.L.S. n. 1265/1934, il Sindaco è titolare di un generale potere di vigilanza sulle industrie insalubri e pericolose che può anche concretarsi nella prescrizione di accorgimenti relativi allo svolgimento dell'attività, volti a prevenire, a tutela dell'igiene e della salute pubblica, situazioni di inquinamento: tale potere è ampiamente discrezionale ed esercitabile in qualsiasi tempo, sia nel momento in cui è richiesta l'attivazione dell'impianto, sia in epoca successiva.
Presupposto per l’esercizio di siffatto potere è la sussistenza di un concreto pericolo per l’ambiente e dunque per la salute pubblica, da valutare complessivamente previa consultazione ed avviso degli organismi competenti in materia sanitaria ed ambientale (ASL, ARPA), nei sensi ed alle condizioni previste dall’art. 16 della legge n. 241 del 1990.
Tale potere, il cui mancato esercizio in presenza dei prescritti presupposti determina tra l’altro i reati di danneggiamento e di omissione di atti d’ufficio, è tuttora esercitabile anche in presenza di norme specifiche in materia di inquinamento (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 07.07.2009 n. 1786 - link a www.lexambiente.it).

ENTI LOCALI: Per la revoca degli assessori non e' sufficiente la motivazione politica.
La revoca del singolo assessore deve essere motivata da ragioni che attengono al buon andamento dell’organo e non a mere esigenze di partito o di coalizione (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 23.06.2009 n. 1620 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: I documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione tramite fax, o un altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertare la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale.
Essendo l'uso del fax previsto dalla lex specialis di gara ed avendo l’odierna appellante indicato all'Amministrazione il proprio numero telefonico abilitato per la ricezione di comunicazioni ine-renti la gara, non può esservi dubbio sul fatto che la conoscenza dell'aggiudicazione acquisita per quel mezzo fosse idonea a far decorrere il termine per impugnare.
Con pronuncia 04.06.2007, n. 2951 la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha osservato quanto segue: “Il fax rappresenta uno dei modi in cui può concretamente svolgersi la cooperazione tra i soggetti, in quanto essa viene attuata mediante l'utilizzo di un sistema basato su linee di trasmissione di dati ed apparecchiature che consentono di poter documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente che, attraverso il cosiddetto rapporto di trasmissione, la ricezione del medesimo in quello ricevente. Tali modalità, garantite da protocolli universalmente accettati, indubbiamente ne fanno uno strumento idoneo a garantire l'effettività della comunicazione. In tal senso, infatti, si muove la normativa più recente (d.P.R. 28.12.2000, n. 445) che consente un uso generalizzato del fax nel corso dell'istruttoria, sia per la presentazione di istanze e dichiarazioni da parte dei privati (articolo 38, comma 1) che per l'acquisizione d'ufficio da parte dell'amministrazione di certezze giuridiche (articolo 43, comma 3)".
Tanto è vero che "i documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione tramite fax, o un altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale" (articolo 43, comma 6).
Posto quindi che gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema garantiscono, in via generale, una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, ne consegue non solo l'idoneità del mezzo a far decorrere termini perentori, ma anche che un fax deve presumersi giunto al destinatario quando il rapporto di trasmissione indica che questa è avvenuta regolarmente, senza che colui che ha inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova.
Semmai la prova contraria può solo concernere la funzionalità dell'apparecchio ricevente; ma questa non può che essere fornita da chi afferma la mancata ricezione del messaggio. (cfr. in tal senso Cons. Stato, sez. V, 24.04.2002, n. 2202) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.06.2009 n. 4032 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Condono in zone vincolate.
E' illegittima l’ordinanza di demolizione di opere abusive ove l’Amministrazione non si sia prima pronunciata sull’istanza di sanatoria in precedenza presentata dall’interessato.
Nel caso di opere realizzate a meno di 150 metri di distanza da un corso d’acqua rientrante tra quelli tutelati come beni di interesse paesaggistico, correttamente viene negata la sanatoria edilizia dell’intervento ivi effettuato (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 09.06.2009 n. 440 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Le disposizioni di un bando di gara che impongano all'aggiudicatario oneri ritenuti eccessivamente gravosi integrano una lesione attuale dell'interesse dell'impresa concorrente.
Le disposizioni di un bando di gara che impongano all’aggiudicatario oneri ritenuti eccessivamente gravosi integrano una lesione attuale dell’interesse dell’impresa concorrente, in quanto non è possibile per essa sottrarsi all’osservanza delle disposizioni e presentare una propria offerta che disattenda l’obbligo imposto dalla stazione appaltante, sicché devono essere impugnate tempestivamente, prima che sia conclusa la fase di scelta del contraente (cfr. TAR Veneto, sez. I, 28.10.2008, n. 3377) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 05.06.2009 n. 1407 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ai fini dell'esclusione dalla gara, in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, la verifica dell'incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell'impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all'esercizio del potere discrezionale della P.A..
Come ha avuto modo di affermare, ormai in diverse occasioni, la giurisprudenza formatasi al riguardo (cfr. Cons. St., sez. V, 12.04.2007, n. 1723, nonché sez. V, 31.01.2006, n. 349, richiamata anche da parte ricorrente; in precedenza Cons. St., sez. V, 18.10.2001, n. 5517; id., 25.11.2002, n. 6482) “in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, la verifica dell'incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell'impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all'esercizio del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato” (così la citata Cons. St., sez. V, n. 1723/2007).
Dalla lettura della nota impugnata (24.06.2008, prot. n. 17229, del Presidente della Commissione giudicatrice) emerge, peraltro, che tale valutazione è stata del tutto omessa.
Ne deriva come conseguenza l’illegittimità del provvedimento di esclusione disposto nei confronti della ricorrente, per la manifesta violazione dell’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 29.05.2009 n. 808 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Gli strumenti urbanistici non necessitano di altra motivazione oltre a quella che è dato evincere dall'esame dei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano.
Come a più riprese affermato dalla giurisprudenza amministrativa (tra l’altro dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 24 del 1999) in generale gli strumenti urbanistici non necessitano di altra motivazione oltre a quella che è dato evincere dall’esame dei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano, salvo il ricorrere di una serie di casi in cui l’Amministrazione ha un obbligo di motivazione più specifico, tra cui l’ipotesi di affidamento qualificato del privato.
Con riferimento a tale evenienza, chiarito che “tale non è il caso dell’interesse correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell’area in modo più proficuo, per il quale vale il principio generale della non necessità di motivazione ulteriore rispetto a quelle che si possono evincere dai criteri di ordine tecnico urbanistico seguiti per la redazione del progetto di strumento”, la richiamata Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato individua le ipotesi di precedente convenzione di lottizzazione o di accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e privati.
Nel caso di specie tuttavia non vi è alcun affidamento qualificato del privato, nei termini appena chiariti, con il risultato che ai fini motivazionali è sufficiente il richiamo alla relazione di accompagnamento dello strumento urbanistico, da cui si possono evincere i criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione della variante (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 26.05.2009 n. 912 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’introduzione del d.lgs. n. 259/2003 non ha messo in discussione il potere del comune di disciplinare la localizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni nell'ambito del proprio territorio, purché tale disciplina non si risolta in un impedimento che renda impossibile, in concreto, la realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni.
Il Comune, nell’ambito delle competenze legislativamente stabilite, può regolamentare la collocazione degli impianti, sia sotto il profilo urbanistico-edilizio, sia al fine di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici compatibilmente con la qualità del servizio e le esigenze degli operatori della telecomunicazione.
Ma per raggiungere tale obiettivo, è necessario –come chiarito dalla giurisprudenza– che le competenze comunali in materia siano esercitate in modo da superare una visione atomistica tendente a prendere in considerazione i singoli impianti, anziché la rete di comunicazione, e che, a tal fine, l’installazione di infrastrutture in materia di telefonia mobile, presentando caratteristiche funzionali di relativa infungibilità per quanto riguarda la localizzazione degli impianti, sia sottoposta ad opportune procedure di valutazione di compatibilità con le esigenze operative del servizio, da effettuarsi attraverso un confronto dialettico con i gestori delle reti e la loro partecipazione propositiva al procedimento (cfr. TAR Umbria, 20.12.2001 n. 702).
Tale principio è stato ripetutamente sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa che ha evidenziato che “la introduzione del D.L.vo n. 259/2003 non ha messo in discussione il potere del Comune di disciplinare la localizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni nell’ambito del proprio territorio, purché ovviamente tale disciplina non si risolva in un impedimento che renda impossibile in concreto, e comunque estremamente difficile, la realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni (così Cons. St. VI, 18.05.2004, n. 3193). In particolare la assimilazione di tali infrastrutture alle opere di urbanizzazione primaria (stabilita dall’art. 86, 3° c., D.L.vo cit.) non preclude ai Comuni, nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, di provvedere alla localizzazione degli impianti in determinati ambiti di territorio, sempreché sia assicurato l’interesse nazionale ad una capillare distribuzione del servizio. (In tal senso Cons. St. VI, ord. 06.04.2004, n. 1612). Sennonché, … , la introduzione di misure tipicamente di governo del territorio (distanze, altezze, localizzazioni, ecc….) tramite un regolamento edilizio comunale (ex art. 8, 6° comma, L. n. 36/2001), trova giustificazione solo se sia conforme al principio di ragionevolezza e alla natura delle competenze urbanistico-edilizie esercitate, e sia sorretta da una sufficiente motivazione sulla base delle risultanze acquisite attraverso un’istruttoria idonea a dimostrare la ragionevolezza della misura e la sua idoneità rispetto al fine perseguito” (così Cons. St. VI, 03.06.2002, n. 3095; 16.11.2004, n. 7502; nelle stesso senso, tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 03.06.2002 n. 3095; 16.11.2004 n. 7502) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 26.05.2009 n. 903 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un abuso commesso su un bene vincolato può essere condonato, a meno che non ricorrano, insieme, l'imposizione del vincolo di inedificabilità relativa prima della esecuzione delle opere, la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio, la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Secondo l’orientamento già adottato da questa Sezione nella sentenza n. 17 del 2009, che il Collegio condivide, richiama in funzione motivazionale e riproduce in sintesi, le disposizioni dei citati artt. 32 e 33, da un lato, e dell’art. 32, comma 27, lett. D), del D.L. n. 269 del 2003, dall’altro, devono essere correlate tenendo presente che mentre gli uni contemplano le condizioni che consentono il condono di un abuso, l’altro contempla invece condizioni nelle quali l’abuso non può essere condonato.
Il combinato disposto dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 32, comma 27, lett. D), del d.l. n. 269 del 2003 comporta quindi che un abuso commesso su un bene vincolato può essere condonato, a meno che non ricorrano, insieme, l’imposizione del vincolo di inedificabilità relativa prima della esecuzione delle opere, la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio, la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Se una di tali condizioni non ricorre (ad esempio la difformità dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici), l’abuso realizzato su un immobile soggetto ad un vincolo di inedificabilità relativa sfuggirà alla disciplina dell’eccezione regolata dall’art. 32, comma 27, lett. D), citato (cioè alla non condonabilità) e sarà invece assoggettato alla disciplina generale dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 21.05.2009 n. 1228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un'area edificatoria già utilizzata ai fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire.
In materia deve applicarsi il principio secondo cui un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione (C.S., V, n. 5039/2004). Insomma, ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto edificato occorre considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area, quelle previste con progetti già assentiti dal Comune, come pure gli atti di asservimento di volumetria in favore di altro fondo (Tar Cagliari, II, n. 996/2006); non può quindi essere considerata libera un'area già parzialmente edificata, sicché nel calcolo della volumetria realizzabile, ai fini del rilascio di un permesso relativo ad una seconda costruzione, nella perdurante esistenza del primo edificio, dovrà tenersi conto di quanto già realizzato (Tar Pescara, n. 88/2006).
Al riguardo, si deve ricordare che, per principio pacifico, ai fini del calcolo dei volumi e delle superfici utilizzabili a scopi edificatori, non si deve tener conto soltanto della situazione attuale delle aree frazionate, con una verifica formalistica per ciascuna di esse del possesso di tutti i necessari requisiti, secondo la normativa urbanistica vigente (lotto minimo, superficie utilizzabile etc.), ma occorre considerare anche la situazione antecedente al frazionamento, riferita all'intero terreno con gli eventuali precedenti sfruttamenti edilizi.
Per cui, nell'ipotesi di precedente realizzazione di un manufatto edilizio, l'intera estensione interessata deve essere considerata già utilizzata ai fini edificatori, con l'effetto che l'area al manufatto asservita o,in altri termini,che ha espresso la volumetria già realizzata non esprime volumetria rapportata alla sua interezza, pur se sia oggetto di un frazionamento o di alienazione separata dall'area su cui insiste il manufatto (Consiglio di Stato, sez. V, n. 749 del 10.02.2000; Consiglio di Stato, sez. V, n. 749 del 2000 cit.)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 21.05.2009 n. 1221).

LAVORI PUBBLICI: Un progetto definitivo di opera pubblica stradale, incidente in misura rilevante sulla viabilità esistente, non può essere approvato senza essere preceduto da uno studio di tipo ambientale anche di natura acustica.
Considerando anzitutto la disciplina generale di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici (D.P.R. n. 554 del 1999), è ben chiaro che nell’elaborazione e nella approvazione dei progetti preliminari e definitivi di opere pubbliche occorre comunque uno studio di prefattibilità ambientale. Studio che deve essere logicamente effettuato in via preventiva anche quando ai sensi della normativa vigente non è necessaria una specifica procedura di V.I.A. (valutazione di impatto ambientale). In particolare, la rilevanza e l’importanza cronologica di tale studio sono essenzialmente giustificate e giustificabili non solo dal fatto che esso deve in via preventiva riguardare fra l’altro i prevedibili effetti della realizzazione dell’intervento e del suo esercizio sulle componenti ambientali e sulla salute dei cittadini ma anche dal fatto che il contenuto del successivo progetto esecutivo deve limitarsi a riprodurre pedissequamente e fedelmente le prescrizioni già elaborate e già approvate nell’ambito della progettazione preliminare e definitiva (cfr. artt. 18, 21, 29, 2^ co., e 35 del citato D.P.R.).
Considerando poi la disciplina nazionale in materia di inquinamento acustico (L. n. 447 del 1995), è da notare che essa contiene principi fondamentali vincolanti (ai sensi e per gli effetti dell’art. 117 della Costituzione) non solo per la tutela dell’ambiente esterno ma anche per l’ambiente abitativo delle popolazioni interessate; ambiente quest’ultimo che nella progettazione di un’opera pubblica stradale (come nel caso di specie) deve essere studiato in via preventiva proprio al fine di proteggerlo adeguatamente dall’introduzione di rumori tali da provocare fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane e quindi tali da costituire pericolo per la salute umana (sulla necessità di una documentata, approfondita ed attenta valutazione e quantificazione preventiva dei livelli di emissioni sonore con riferimento all’art. 8, 4° co., della citata L. n. 447/1995 ed al D.P.C.M. 01.03.1991, cfr. la sentenza di questo Tribunale n. 25 del 25.01.2008 laddove è stata esaminata e decisa una questione non dissimile alla presente di omessa acquisizione della documentazione di impatto acustico correlata ad una procedura amministrativa mirata all’insediamento di un impianto industriale da porre nelle vicinanze di una abitazione) (TAR Umbria, sentenza 19.05.2009 n. 256 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La realizzazione di una strada costituisce opera di trasformazione urbanistica soggetta ad autorizzazione comunale ed è, quindi, idonea a configurare una lottizzazione abusiva materiale, ai sensi della prima parte del comma 1 dell'art. 18 della legge n. 47 del 1985.
Il comma 1, dell’art. 18, della legge n. 47 del 1985 (le cui disposizioni sono ora contenute nell'art. 30 del testo unico emanato con il suddetto D.P.R. n. 380 del 2001) prevede due ipotesi di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio: la prima, denominata dalla giurisprudenza lottizzazione abusiva materiale (c.d. anche fisica o sostanziale), si configura “quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione”; la seconda, denominata a sua volta lottizzazione abusiva negoziale, (c.d. anche formale o cartolare) si configura “quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.
Il bene giuridico protetto dalla predetta norma, quindi, è non solo quello dell’ordinata pianificazione urbanistica e del corretto uso del territorio, ma anche (e soprattutto) quello relativo all’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè dal Comune), cui spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio, non previamente assentito (ex plurimis: C.d.S. sez. IV, 06/10/2003 n. 5849), nonché la prevenzione dei costi di urbanizzazione primaria e secondaria, necessari in ogni insediamento urbano, che potrebbero di fatto ricadere a carico della finanza comunale (Cass. Sez. Un. 28.11.1981).
La giurisprudenza di questa Sezione (cfr. sentenza n. 1017/2008) ha precisato che la condotta contemplata dall'art. 30, 1° comma 1°, alinea, del D.P.R. n. 380 del 2001, avente lo stesso contenuto del comma 1, dell’art. 18, della legge n. 47 del 1985 applicato al caso oggetto del presente gravame, non richiede la necessaria preesistenza o la concomitante realizzazione di opere di urbanizzazione in senso proprio, ben potendo essere integrata mediante la realizzazione di qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l'assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo, e quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta "di fronte al fatto compiuto"), sia a determinare un carico urbanistico che necessita di adeguamento degli standards.
Il Collegio intende aderire e ribadire l'orientamento giurisprudenziale che ritiene che la realizzazione di una strada costituisce indubbiamente opera di trasformazione urbanistica (comportando un mutamento del precedente assetto del territorio) soggetta ad autorizzazione comunale, tanto più se trattasi di strada che costituisce accesso a singoli lotti, ed è quindi idonea a configurare una lottizzazione abusiva materiale, ai sensi della prima parte del comma 1, dell’art. 18, della legge n. 47 del 1985 (TAR Lazio, Latina, n. 68/2002, Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 2445/2003).
Alla luce della giurisprudenza prevalente e dell’orientamento di questa Sezione (cfr. sentenza n. 1017/2008), dalla quale questo Collegio non ritiene di doversi discostare, la "trasformazione urbanistica" di un sito, nel senso sopra precisato, costituisce uno dei due elementi costitutivi necessari che concorrono ad integrare la c.d. lottizzazione abusiva materiale, richiedendosi altresì, alla luce della suddetta normativa, che tale condotta risulti contraria alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti o comunque stabilite da leggi statali o regionali, o in alternativa, che venga posta in essere senza la prescritta autorizzazione (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 12.05.2009 n. 1075 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: La proroga dei contratti non è un istituto stabile dell’ordinamento ma è stata prevista dall’art. 23 della l. 62/2005 soltanto nella fase transitoria successiva all’abrogazione dell’istituto del rinnovo sicché oggi essa risulta persino priva della necessaria base normativa.
Nella specie, la proroga dei rapporti pregressi è, in punto di fatto, pacifica. La stazione appaltante ritiene peraltro che in ciò non sia ravvisabile alcun profilo di illegittimità vuoi perché non si tratta di rinnovo ma di proroga tecnica in pendenza di gara, vuoi perché, anche a voler ragionare in termini di rinnovo, questo sarebbe consentito dall’art. 57 del codice dei contratti pubblici, vuoi, infine, perché quella considerata sarebbe stata una scelta obbligata per far fronte ad ineludibili esigenze pubbliche.
Ritiene viceversa il Collegio che le proroghe in questione, oltre a violare il disposto dell’art. 23 della l. n. 65/2005, contraddicano al generale principio dell’evidenza pubblica, il cui rispetto è imposto anche dal dovere di preservare il diritto alla libera concorrenza, garantito a livello comunitario in materia di appalti pubblici. Una volta espunta dall’ordinamento la disposizione che, a determinate condizioni, consentiva il rinnovo espresso dei contratti (art. 6, secondo comma, della l. 537/1993), il sistema non prevede infatti altra via che quella del reperimento del contraente secondo le regole dell’evidenza pubblica (Cons. Stato, Sez. V, 08.07.2008, n. 3391).
Ciò comporta, a livello ermeneutico, un vincolo in sede di interpretazione di ogni altro strumento o disposizione che possano, in linea teorica, raggiungere un effetto sostanzialmente identico a quello del rinnovo: si vuol dire che la stessa logica che presiede al divieto di rinnovo esclude che ad un effetto simile (ed altrettanto pregiudizievole per il principio di concorrenza) possa legittimamente pervenirsi attraverso la proroga dei rapporti già in essere.
D’altronde, la proroga dei contratti (proprio per la sua potenziale nocività nei confronti dei principi dell’evidenza pubblica e della salvaguardia della concorrenza) non è un istituto stabile dell’ordinamento ma è stata prevista dall’art. 23 della l. 62/2005 soltanto nella fase transitoria successiva all’abrogazione dell’istituto del rinnovo (ed anche in tale fase risultava circondata da particolari garanzie, come la durata non superiore a sei mesi e la celere pubblicazione del bando di gara) sicché oggi essa risulta persino priva della necessaria base normativa.
La conseguenza è che questa è teorizzabile, ancorandola al principio di continuità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), nei soli, limitati ed eccezionali, casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione) vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente.
Non vi è quindi bisogno di notare come nella fattispecie ciò che si vorrebbe qualificare come mera proroga tecnica coincide perfettamente con la fenomenica del rinnovo giacché questa si è risolta in una indeterminata prosecuzione dei precedenti rapporti, con durata complessiva del rapporto persino superiore a quella massima ordinariamente presa in considerazione dal diritto comunitario.
Non condivisibile risulta poi il richiamo all’art. 57 del codice dei contratti.
Da questo punto di vista, va innanzitutto premesso che anche tale disposizione va interpretata in senso restrittivo e ciò proprio per evitare che questa possa risolversi in uno strumento per aggirare l’ormai pacifico divieto di rinnovo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 31.10.2006, n. 6457, resa con riferimento alla previgente, analoga disciplina dettata dall’art. 7, comma 2, lett. f, del d.lgs. 157/1995).
Va poi notato che mentre il rinnovo del contratto si sostanzia nella riedizione del rapporto pregresso (generalmente in virtù di una clausola già contenuta nella relativa disciplina), la ripetizione di servizi analoghi di cui parla l’art. 57 del codice postula una nuova aggiudicazione (sia pure in forma negoziata) alla stregua di un progetto di base. Si tratta, dunque, di due istituti profondamente distinti: mentre il rinnovo risultava applicabile a qualsiasi rapporto e comportava una ripetizione delle prestazioni per una durata pari a quella originariamente fissata nel contratto rinnovando, la ripetizione dei servizi analoghi comporta un nuovo e diverso vincolo contrattuale, con un diverso oggetto, come a tacer d’altro si ricava dal dato che la ripetizione può aver luogo solo nel triennio successivo alla stipula dell’appalto iniziale (vale a dire persino in pendenza del contratto originario, il quale può generalmente durare fino a quarantotto mesi).
Rinnovo (vietato) e ripetizione dei servizi analoghi (ammessa a certe condizioni dal diritto di derivazione comunitaria) non sono pertanto istituti sovrapponibili.
Ciò premesso a livello generale, un’attenta analisi dell’art. 57 conferma che questo non è indifferenziatamente applicabile a tutte le ipotesi in cui si tratti della “ripetizione di servizi analoghi”.
Dal punto di vista letterale (a parte gli altri vincoli ai quali la ripetizione è subordinata) non deve infatti sfuggire che l’art. 57 del codice dei contratti (analogamente alla corrispondente disposizione della direttiva 2008/14/CE) ha come oggetto una nuova aggiudicazione (sia pure in forma negoziata e senza previa pub-blicazione di un bando) di “nuovi servizi”. La disposizione si riferisce, cioè, a servizi la cui esecuzione, al momento della indizione della gara originaria, è presa in considerazione solo a livello di mera eventualità perché, a quell’epoca, il relativo bisogno non esiste. E’ questa la ragione per la quale la disposizione, dal punto di vista letterale, parla di “nuovi servizi”: si tratta, appunto, di servizi in relazione ai quali il bisogno è eventuale e può sorgere solo successivamente alla gara originaria. Ed è per questo che la stazione appaltante, pur prendendoli in considerazione nel bando, non li assegna all’esito della corrispondente procedura concorsuale ma si riserva la facoltà di farlo nel triennio dalla stipula del contratto.
Questa impostazione è confermata a livello sistematico. Se l’art. 57 del codice dei contratti si riferisse a prestazioni della cui ripetizione vi fosse certezza sin dal momento della indizione del-la gara originaria (e quindi se la ripetizione in parola fosse indifferenziatamente applicabile a tutti i servizi), i relativi bandi dovrebbero prenderne in considerazione il valore anche dal punto di vista dei requisiti di qualificazione, mentre la disposizione in esame (al pari della corrispondente disposizione recata a livello comunitario) ne prevede il computo ai soli fini del principio di infrazionabilità surrettizia della soglia dell’appalto.
I requisiti di partecipazione, anche in caso di possibile ripetizione ex art. 57, vengono dunque tarati solo sul valore certo dell’appalto (quello per il quale la gara è effettivamente celebrata) proprio perché la ripetizione, al momento della gara, non è affatto certa ma solo eventuale e destinata a conseguire ad una nuova, distinta (ed altrettanto eventuale) aggiudicazione (sia pure all’esito di una procedura negoziata). Se fosse diversamente, d’altronde, si darebbe luogo ad una restrizione del possibile novero dei partecipanti contraria al principio di proporzionalità poiché i requisiti di ammissione verrebbero a risultare inaspriti in funzione di un innalzamento dell’importo della gara che è invece solo eventuale (perché eventuale è la successiva assegnazione della ripetizione dei servizi analoghi).
L’art. 57 del codice dei contratti non fonda dunque una nuova ipotesi di generale rinnovabilità dei contratti di servizi consistente nella ripetizione di servizi analoghi a quelli affidati all’esito di una gara ma si riferisce soltanto ad eventuali esigenze di servizi analoghi (distinti dai servizi complementari) sopravvenute nel triennio successivo alla stipula del contratto.
Ipotesi, questa, che manifestamente non ricorre nel caso esaminato, nel quale l’esigenza di disporre di un servizio di magazzino era comunque certamente presente alla stazione appaltante al momento della stipula del contratto originario (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2009 n. 2882 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: L'obbligo di motivazione del provvedimento di revoca dell'incarico di un singolo assessore (o di più assessori) può basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa, rimesse in via esclusiva al Sindaco.
L’atto di revoca dell’assessore comunale non rientra fra gli atti politici e perciò non impugnabile davanti al giudice amministrativo alla stregua dell'art. 31 T.U. sul Consiglio di Stato di cui al R. D. 26.6.1924 n. 1054; di conseguenza, deve ritenersi ammissibile l'impugnativa di un atto del genere davanti al giudice amministrativo, in quanto posto in essere da un'autorità amministrativa e nell'esercizio di un potere amministrativo, sia pure ampiamente discrezionale (C. St., V, n. 209/2007).
L’atto di revoca dell’incarico di assessore non è soggetto all’obbligo della comunicazione di avvio del relativo procedimento in considerazione della specifica disciplina normativa che regola i rapporti Sindaco-Assessore.
Invero, le norme in materia di partecipazione possono essere invocate quando l'ordinamento prende in qualche modo in considerazione gli interessi privati in quanto ritenuti idonei ad incidere sull'esito finale per il migliore perseguimento dell'interesse pubblico, mentre tale partecipazione diventa indifferente in un contesto normativo nel quale la valutazione degli interessi coinvolti è rimessa in modo esclusivo al Sindaco, cui compete in via autonoma la scelta e la responsabilità della compagine di cui avvalersi per l'amministrazione del Comune nell'interesse della comunità locale, con sottopozione del merito del relativo operato unicamente alla valutazione del consiglio comunale.
Per questo il relativo procedimento è semplificato al massimo per consentire un'immediata soluzione della crisi intervenuta nell'ambito del governo locale, articolandosi nei seguenti passaggi: valutazione della situazione da parte del sindaco, scelta sindacale di modificare la composizione della giunta nell'interesse della comunità locale e comunicazione motivata di ciò al consiglio comunale, senza l'interposizione della comunicazione dell'avvio del procedimento all'assessore assoggettato alla revoca, la cui opinione è irrilevante per la normativa attuale salvo che non venga fatta propria dal consiglio comunale ( si veda C. St. V, n. 209/2007).
Per quanto riguarda la motivazione, occorre considerare che la revoca dell'incarico di assessore è posta essenzialmente nella disponibilità del sindaco e che la comunicazione al consiglio è tendenzialmente diretta al mantenimento di un corretto rapporto collaborativo tra sindaco-giunta ed il consiglio comunale, il quale potrebbe eventualmente opporsi ad un atto del genere, ma con l'estremo rimedio della mozione di sfiducia motivata (art. 37 L. n. 142/1990, come sostituito dall'art. 18 L. n. 81/1993 ed art. 52 D. L.vo n. 267/2000), che però comporta in caso di approvazione lo scioglimento del consiglio stesso; l'obbligo di motivazione del provvedimento di revoca dell'incarico di un singolo assessore (o di più assessori), quindi, va valutato nel suesposto quadro normativo ed esso può senz'altro basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa, rimesse in via esclusiva al sindaco, tenendo conto sia di esigenze di carattere generale, quali ad es. dei rapporti con l'opposizione o rapporti interni alla maggioranza consiliare, sia di particolari esigenze di maggiore operosità ed efficienza di specifici settori dell'amministrazione locale o dell'affievolirsi del rapporto fiduciario tra il capo dell'amministrazione ed il singolo assessore (Cfr. C. St. V, n. 209/2007 e, con riferimento alla revoca del presidente del consiglio comunale ed alla revoca di un consigliere comunale componente di una comunità montana, C. St., V, n. 1042 del 03.04.2004 e n. 5864 del 07.09.2004) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 06.04.2009 n. 396 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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