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AGGIORNAMENTO AL 31.08.2009 |
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NOVITA' SUL SITO |
E' stato
inserito il nuovo bottone
MODULISTICA ove sono stati
pubblicati alcuni fac-simile di moduli
relativamente all'edilizia privata valevoli
per la Regione Lombardia.
La modulistica pubblicata è in formato .doc
cosicché ognuno la possa personalizzare.
I moduli pubblicati vogliono solo essere un
aiuto agli "addetti ai lavori"
demandando loro la responsabilità dei
contenuti qualora utilizzati.
Nelle prossime settimane saranno pubblicati
ulteriori moduli e l'archivio sarà
costantemente aggiornato. |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 34 del
25.08.2009, "Adozione del Piano
Territoriale Regionale (art. 21 l.r.
11.03.2005, n. 12 «Legge per il Governo del
Territorio»)"
(deliberazione
C.R. 30.07.2009 n. 874 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del
24.08.2009, "Differimento del termine per
l'entrata in vigore della procedura di
calcolo per la certificazione energetica
degli edifici, approvata con d.d.g. 5796
dell'11.06.2009"
(decreto
D.G. 12.08.2009 n. 8420 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del
24.08.2009, "Determinazioni relative alla
qualificazione degli insediamenti attraverso
la realizzazione di spazi verdi (ex art. 3,
comma 6, l.r. 13/2009)"
(deliberazione
G.R. 07.08.2009 n. 10134 - link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del
24.08.2009, "Determinazioni in merito
all'ammissibilità nelle discariche dei
rifiuti non pericolosi e pericolosi fino
alla adozione delle modifiche del D.M.
Ambiente e Tutela del territorio 03.08.2005"
(deliberazione
G.R. 07.08.2009 n. 10099 - link a
www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 34 del
24.08.2009, "Determinazioni in merito
alle procedure per il rilascio
dell'autorizzazione all'esercizio di
impianti mobili per le attività di
trattamento dei rifiuti"
(deliberazione
G.R. 07.08.2009 n. 10098 - link a www.infopoint.it). |
NEWS |
URBANISTICA:
Lombardia, Il Piano Territoriale Regionale
(PTR) adottato dal Consiglio: breve
presentazione dei contenuti
(link a www.territorio.regione.lombardia.it). |
ENTI LOCALI:
L'assessore ordina i lavori. E se
li paga.
Per i lavori ordinati
direttamente dall'assessore, senza
preventivo impegno di spesa, paga
direttamente l'assessore e non il comune.
Non è, infatti, ammissibile l'azione di
arricchimento senza causa, nei confronti
delle amministrazioni locali, per effetto
della normativa speciale che disciplina il
procedimento di spesa.
La Corte di cassazione, Sezione I civile,
con la sentenza 29.07.2009 n. 17550 (in
www.lexitalia.it) chiarisce pregevolmente la
normativa particolare posta a regolare le
obbligazioni degli enti locali, respingendo
per inammissibilità il ricorso presentato da
un appaltatore avverso la sentenza di
appello, che aveva ritenuto infondata la
doglianza nel giudizio di merito, basata
sull'azione di indebito arricchimento.
In particolare, l'impresa aveva chiesto alla
Cassazione di considerare erronea la
sentenza del giudice di merito, in quanto
non aveva preso in considerazione il
riconoscimento dell'utilità della
prestazione ordinata dall'assessore per il
comune e la sua rispondenza all'interesse
pubblico. Il riconoscimento dell'utilità
della prestazione ricevuta, anche se non
regolarmente ordinata, da parte del comune
debitori, ai sensi dell'articolo 2041 del
codice civile potrebbe, in apparenza,
fondare la pretesa degli appaltatori di
agire in giudizio contro l'ente locale, per
pretendere l'indennizzo scaturente
dall'arricchimento derivante dall'esecuzione
della loro prestazione.
Crea, però, ostacolo a questa ricostruzione
basata esclusivamente sul codice civile lo
specifico ordinamento degli enti locali e,
in particolare, l'articolo 191, comma 3, del
dlgs 267/2000, ai sensi del quale, qualora
l'ordine di esecuzione di appalti sia stato
emesso senza l'adozione dell'impegno di
spesa preventivo, il rapporto obbligatorio
intercorre, ai fini della controprestazione
e per la parte non riconoscibile come debito
fuori bilancio direttamente tra il privato
fornitore e l'amministratore, funzionario o
dipendente che hanno consentito la
fornitura.
La presenza di questa disposizione speciale
fa sì, osserva la Cassazione, che il
rapporto obbligatorio, ai fini del pagamento
del corrispettivo insorga tra appaltatore e,
in via esclusiva, amministratore o
funzionario che abbia consentito la
prestazione. Ciò, allora, determina
l'impossibilità di esperire nei confronti
del comune l'azione di arricchimento senza
causa, perché la norma speciale elimina in
radice il necessario requisito della
sussidiarietà dell'azione di indebito
arricchimento, consistente nella possibilità
di farvi ricorso solo qualora manchino altri
mezzi di tutela diretta. Ai sensi
dell'articolo 2042 del codice civile,
infatti, «l'azione di arricchimento non è
proponibile quando il danneggiato può
esercitare un'altra azione per farsi
indennizzare del pregiudizio subito».
L'articolo 191, del dlgs 267/2000 consente
agli appaltatori di rivalersi nei confronti
delle persone fisiche degli amministratori o
funzionari che abbiano dato causa a
ordinazioni di prestazioni in violazione
delle regole sull'impegno preventivo della
spesa: ciò significa, da un lato, che la
norma esime del tutto da responsabilità
l'ente locale per le attività di illegittima
gestione delle obbligazioni contrattuali
poste in essere da amministratori e
funzionari; dall'altro, l'appaltatore può
agire in via diretta contro questi ultimi,
per ottenere il pagamento dei corrispettivi
(articolo 28.08.2009 tratto da ItaliaOggi,
pag. 11). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
URBANISTICA:
Lombardia, Corso di specializzazione
sull'applicazione della L.R. n. 12/2005:
1^ lezione - parte B
(beni paesistici) (Geometra Orobico
n. 3/2009). |
URBANISTICA: Lombardia,
Corso di specializzazione sull'applicazione
della L.R. n. 12/2005:
1^ lezione - parte A (valutazione ambientale
dei piani) (Geometra Orobico n.
1/2009). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Pierobon,
NEL TRASPORTO DEI RIFIUTI OCCORRE (ORA) LA
SCHEDA DI TRASPORTO (DI CUI AL D.M.
30/06/2009, N. 554), O BASTA IL SOLO
FORMULARIO? PRIMISSIME CONSIDERAZIONI
(link a www.lexambiente.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
M. Lavatelli,
Progetti e tutela dell'autore
(link a www.lavatellilatorraca.it). |
dossier BOX |
EDILIZIA PRIVATA:
Legge "Tognoli".
In tema di reati edilizi, la costruzione di
autorimesse o parcheggi destinati a
pertinenza di fabbricati esistenti è
soggetta ad autorizzazione gratuita ai sensi
della legge n. 122 del 1989 e non
all'ordinario regime concessorio, a
condizione che nella relativa domanda sia
preventivamente indicato il fabbricato
servito, in quanto ciò consente l'immediata
identificazione del vincolo permanente di
asservimento (in motivazione la Corte,
nell'enunciare il predetto principio, ha
precisato che il rapporto di pertinenzialità
è riconoscibile nel caso in cui i "boxes" si
trovano in un ragionevole raggio di
accessibilità pedonale) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.04.2009 n. 14940 -
link a www.lexambiente.it). |
dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE |
EDILIZIA PRIVATA:
La regola fondamentale in materia
di quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta
tecnico-discrezionale dell’Amministrazione
deve precedere, e non seguire, il rilascio
della concessione edilizia, in quanto gli
effetti e gli oneri derivanti dalla stessa
devono essere ben noti al richiedente, il
quale, tenuto conto dell’esborso economico
da affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Alla luce del consolidato e condiviso
orientamento giurisprudenziale, seguito
anche da questo TAR (per tutte e solo per
citare le più recenti CGA, sez. giur.,
14.01.2009, n. 7 e 02.03.2007, n. 64; TAR
Sicilia Palermo, I, 16.01.2007, n. 726,
21.08.2006, n. 1832, 02.01.2004, n. 1,
03.04.2002, n. 879), la regola fondamentale
in materia di quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta
tecnico-discrezionale dell’Amministrazione
deve precedere e non seguire il rilascio
della concessione edilizia, in quanto gli
effetti e gli oneri derivanti dalla stessa
devono essere ben noti al richiedente, il
quale, tenuto conto dell’esborso economico
da affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di
integrazione successive al rilascio della
concessione edilizia, che esporrebbero il
privato a conseguenze idonee ad incidere
pesantemente sulla sua sfera economica,
nella considerazione, fra l’altro, della
necessità di garantire la correttezza del
rapporto intercorrente tra la Pubblica
Amministrazione ed il privato, soprattutto
allorquando la tempestiva conoscenza degli
oneri discrezionalmente imposti possa
indirizzare in un senso, piuttosto che in un
altro, le scelte dell’operatore economico.
Nelle numerose sentenze, con le quali questa
Sezione si è pronunciata sulla delineata
questione (tra le tante, nn. 405/1993,
588/1995, 1358/1996, 2117/1997, 865/2002 e
1/2004), si è, in particolare, osservato che
il termine del 31 dicembre di ogni anno,
prescritto dall’art. 34 della l.r. n.
37/1985, nel testo vigente all’epoca dei
fatti di causa, per l’aggiornamento da parte
dei Comuni degli oneri di urbanizzazione,
non è perentorio, cosicché risultano
legittime le quantificazioni disposte con
atto successivo.
Tale aggiornamento può, però, avere effetto
sulle concessioni edilizie già rilasciate,
soltanto qualora nelle stesse fosse stata
espressamente inserita la clausola della
salvezza dell’eventuale conguaglio.
In assenza di tale previsione, una eventuale
riquantificazione degli oneri di
urbanizzazione può, pertanto, ammettersi,
solo nel caso di correzione di errori
riconoscibili, sulla base di parametri certi
e predefiniti.
Nella specie, il Comune resistente dopo
avere adeguato “ora per allora” gli
oneri di urbanizzazione, ha illegittimamente
preteso il pagamento di una integrazione
delle somme già quantificate e versate dalla
ricorrente per una concessione edilizia
rilasciata in precedenza senza la
previsione, seppur ipotetica, di successivi
conguagli.
Sulla base dei principi esposti, mentre non
risultano illegittimi in sé le deliberazioni
comunali di adeguamento retroattivo degli
oneri concessori, in quanto intervenute
sotto la vigenza dell’originaria versione
dell’art. 34 della l.r. n. 35/1985, è
illegittimo l’impugnato provvedimento di
richiesta del pagamento di un conguaglio
degli oneri concessori già quantificati e
versati (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 11.08.2009 n. 1406 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier DEFINIZIONE INTERVENTI
EDILIZI |
EDILIZIA PRIVATA:
L’apposizione di una
pavimentazione in cotto su di uno spazio
esterno, già cementato, non è tale da dar
luogo a quell’inserimento di elementi
innovativi idoneo a connotare l’intervento
come ristrutturazione edilizia e, pertanto,
l’apposizione di una pavimentazione in cotto
su di uno spazio esterno, già cementato, non
è tale da dar luogo a quell’inserimento di
elementi innovativi idoneo a connotare
l’intervento come ristrutturazione edilizia.
La sola piastrellatura di uno spazio
esterno, già cementato, ben può essere
classificata quale opera di manutenzione
straordinaria, con conseguente sufficienza
della d.i.a. e inapplicabilità della
disciplina di cui all’art. 27, comma 2,
D.P.R. 380/2001, a nulla rilevando la
diversità di materiali (cfr. Cass. pen.
29.02.1988, in Riv. Pen. 1989, 818 secondo
cui “la sostituzione del vecchio solaio
in strutture lignee di un fatiscente
edificio rustico con altro solaio in cemento
armato, che non abbia alterato i volumi né
le superfici dell’unità immobiliare, deve
essere considerata di manutenzione
straordinaria ... e pertanto non è
necessaria per essa la concessione edilizia”).
Il discrimine tra gli interventi manutentivi
o di restauro, per i quali è sufficiente la
d.i.a e quelli di ristrutturazione,
asserviti a permesso di costruire, è
individuabile nella circostanza che i primi
sono diretti a conservare l'edificio nel
rispetto della sua tipologia, forma e
struttura, senza alcun inserimento di
elementi innovativi pur se sostitutivi di
quelli precedenti mentre i secondi sono
diretti ad alterare, anche sotto il profilo
della distribuzione interna, l'originaria
consistenza fisica dell'immobile e
comportano altresì l'inserimento di nuovi
impianti e la modifica e ridistribuzione dei
volumi (TAR Campania Napoli, sez. IV,
18.09.2003, n. 11499; TAR Campania Napoli,
sez. IV, n. 16667/2005), per cui
l’apposizione di una pavimentazione in cotto
su di uno spazio esterno, già cementato, non
è tale da dar luogo a quell’inserimento di
elementi innovativi idoneo a connotare
l’intervento come ristrutturazione edilizia
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.08.2009 n. 4805 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier D.I.A. |
EDILIZIA PRIVATA:
D.i.a. e poteri della P.A.
Ai sensi dell’art. 23, c. 6, d.P.R. n.
380/2001, per 30 giorni a decorrere dal
ricevimento della dichiarazione di avvio
dell’attività, l’amministrazione ha il
potere di inibire l’intervento edilizio.
Allo scadere del 30° giorno si consolida la
fattispecie che abilita il privato a
costruire e l’amministrazione decade dal
potere di inibire la prosecuzione
dell’attività.
Il decorso del termine di 30 giorni, ed il
conseguente consolidamento del titolo, non
comportano tuttavia che l'attività edilizia
del privato, ancorché del tutto difforme dal
paradigma normativo, possa considerarsi
lecitamente effettuata e dunque possa andare
esente dalle sanzioni previste
dall’ordinamento per il caso di sua mancata
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi
Venuto meno il potere inibitorio, residuano,
difatti, il generale potere repressivo degli
abusi previsto dall’art. 27, d.p.r. n.
380/2001 ed un potere di autotutela previsto
dall’art. 19, comma 3, legge n. 241/1990
secondo cui "è fatto comunque salvo il
potere dell’amministrazione competente di
assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies" (sia pure sui
generis, poiché, a differenza della consueta
autotutela decisoria non implica un’attività
di secondo grado insistente su un procedente
provvedimento amministrativo) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.06.2009 n. 4066 -
link a www.lexambiente.it). |
dossier ESPROPRIAZIONE |
ESPROPRIAZIONE: Provvedimento
comunale di occupazione d'urgenza emanato
prima dell'approvazione del progetto di
variante regionale al PRG. Inefficacia fino
all'approvazione regionale.
La decisione della Giunta comunale di
procedere all'occupazione di immobili di
proprietà privata prima dell'approvazione
regionale del progetto di variante al PRG
comunale (consistente nel mutamento della
destinazione urbanistica di un'area da verde
pubblico a terziario commerciale per
consentire la realizzazione di un mercato)
implica che la materiale apprensione degli
immobili è condizionata all'esecutività
della variante regionale, cosicché solo con
la stessa è possibile dare attuazione al
procedimento ablatorio.
Ne consegue che gli effetti della delibera
comunale sono temporaneamente sospesi in
attesa che sia adottata e divenga esecutiva
l'approvazione conclusiva della Regione
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza
12.03.2009 n. 1895). |
ESPROPRIAZIONE: 1.
Comunicazione di avvio del procedimento
espropriativo - Necessità anche in caso di
dichiarazione di pubblica utilità implicita;
2. Comunicazione di avvio del procedimento -
Comunicazione ex art. 8 l. 241/1990 -
Consentita solo ove vi sia un ingente numero
di proprietari espropriandi.
1.
Nella espropriazione per pubblica utilità
sussiste l'obbligo di previa comunicazione
di avvio del procedimento funzionale
all'approvazione del progetto di opera
pubblica, ai sensi dell'art. 7 della l.
241/1990. Tale obbligo sussiste anche in
caso di dichiarazione di pubblica utilità
implicita a norma dell'art. 1 della legge
03.01.1979 n. 1 in quanto l'avviso di avvio
del procedimento ha valenza generale,
essendo finalizzata a creare un
contraddittorio all'interno del procedimento
amministrativo (cfr. ex multis, Cons.
Stato, sez. IV, n. 4018/2004).
2.
In materia di espropriazioni per pubblica
utilità, il ricorso alle forme alternative
di comunicazione di avvio del procedimento
di cui all'art. 8 comma 3 della l. 241/1990
(cd. altre forme di pubblicità idonee) è
consentito solo qualora il numero dei
proprietari espropriandi sia di tale entità
da rendere particolarmente gravosa e quindi
certamente pregiudizievole per l'interesse
pubblico alla sollecita conclusione della
procedura la comunicazione personale
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza
03.03.2009 n. 1727). |
dossier OPERE PRECARIE |
EDILIZIA PRIVATA:
Un pergolato costituito da
struttura in legno non infissa né al
pavimento, né alla parete, né chiusa su
alcun lato, nemmeno sulla copertura, è da
classificare quale struttura precaria.
La giurisprudenza è costante nel ritenere
che non sia necessaria alcuna concessione
edilizia allorché l’opera consista in una
struttura precaria, facilmente rimovibile,
non costituente trasformazione urbanistica
del territorio, come avviene nell’ipotesi di
pergolato costituito da struttura in legno
non infissa né al pavimento, né alla parete,
né chiusa su alcun lato, nemmeno sulla
copertura.
Deve, pertanto, ritenersi che tale
intelaiatura può qualificarsi come mero
arredo di uno spazio esterno, che non
comporta realizzazione di superfici utili o
volume (Consiglio di Stato, Sez. V -
sentenza 07.11.2005 n. 6193; in senso
analogo Tar Lazio-Roma, Sez. II - sentenza
28.03.2007 n. 2716).
Con riferimento all’ipotesi di specie si
deve rilevare che, come risulta dagli atti,
il Comune ha sanzionato la realizzazione di
una <<struttura in legno dalle dimensioni di
mt. 6,00x3,20x3,20>>. Tale struttura è stata
qualificata quale gazebo nel verbale redatto
dagli agenti dell’U.O.S.A.E.
In realtà, come è dato evincere dalla
perizia giurata di parte e dalle foto
allegate, non oggetto di contestazione da
parte del Comune, tale struttura è priva di
copertura ed è destinata al sostegno di
pianti rampicanti. La stessa risulta
agganciata alla parete con delle staffe che
hanno la funzione di evitarne l’oscillazione
e non di rendere la struttura solidale
all’edificio: quindi ai sensi dell’art. 2
del Regolamento del Comune Edilizio di
Napoli, deve essere qualificata quale
grillage e non quale gazebo.
Per la sua tipologia e per l’uso di
materiali dal non rilevante impatto visivo,
come emerge anche dalle foto depositate, può
ritenersi, come sostenuto dal ricorrente, un
arredo dello spazio esterno con la
conseguenza che la stessa può farsi
rientrare, fra le opere di manutenzione
straordinaria, ai sensi dell’articolo 6 del
Regolamento Edilizio del Comune di Napoli
(cfr. in senso analogo Tar Campania-Napoli
Sez. IV - sentenza 02.12.2008, n. 20791)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.08.2009 n. 4804 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier RIFIUTI E BONIFICHE |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Abbandono.
L'obbligo di adottare le misure idonee alla
eliminazione del rifiuto incombe solamente a
carico di colui che di tale situazione sia
responsabile, per avervi dato causa (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 18.06.2009 n. 1063 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Bonifiche e curatela
fallimentare.
Il potere del curatore di disporre dei beni
fallimentari (secondo le particolari regole
della procedura concorsuale e sotto il
controllo del giudice delegato) non
comporta, necessariamente, il dovere di
adottare particolari comportamenti attivi
finalizzati alla tutela sanitaria degli
immobili destinati alla bonifica da fattori
inquinanti e che la curatela fallimentare
non subentri negli obblighi più strettamente
correlati alla responsabilità
dell'imprenditore fallito a meno che non vi
sia una prosecuzione nell’attività.
Ne consegue che non può accettarsi che la
legittimazione passiva sia del curatore
(poiché ciò, inoltre, determinerebbe un
sovvertimento del principio “chi inquina
paga” scaricando i costi sui creditori
che non presentano alcun collegamento con
l’inquinamento).
Il coinvolgimento del curatore resterà
indispensabile nella fase esecutiva, ma il
suo mancato coinvolgimento quale
destinatario formale dell’azione
amministrativa non inficia la legittimità
del provvedimento impugnato (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 16.06.2009 n. 3885 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Trasporto e confisca del
mezzo.
In tema di gestione dei rifiuti, va disposta
la confisca obbligatoria, prevista dall'art.
53, comma secondo, D.Lgs. 05.02.1997, del
mezzo impiegato per il trasporto non
autorizzato di rifiuti, pur quando sia in
proprietà di un terzo legato da un rapporto
contrattuale al soggetto responsabile
dell'illecito (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 19.05.2009 n. 20935 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Attività di raccolta e
trasporto rifiuti in forma ambulante.
L'attività di raccolta e trasporto dei
rifiuti non pericolosi prodotti da terzi,
effettuata in forma ambulante, non integra
il reato di gestione non autorizzata dei
rifiuti, a condizione, da un lato, che il
soggetto sia in possesso del titolo
abilitativo per l'esercizio di attività
commerciale in forma ambulante e,
dall'altro, che si tratti di rifiuti che
formano oggetto del suo commercio (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.05.2009 n. 20249 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Deposito incontrollato
ed eterogeneità dei materiali depositati.
Il reato di deposito incontrollato di
rifiuti si configura ogniqualvolta si
accerti un'attività di stoccaggio e
smaltimento di materiali, costituiti anche
in parte da rifiuti, abusivamente ammassati
su una determinata area rientrante nella
disponibilità del reo (la Corte,
nell'enunciare tale principio, ha precisato
che non v'è alcun obbligo per il giudice di
pronunciare assoluzione parziale nel caso in
cui parte dei materiali depositati in
maniera incontrollata siano esclusi dal
novero dei rifiuti) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.03.2009 n. 11802 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti.
Reato di deposito incontrollato.
In tema di rifiuti, il reato di deposito
incontrollato è integrato anche dalla
violazione della normativa regolamentare
sulla "messa in riserva" (D.M. 05.02.1998,
modificato dal D.M. 05.04.2006, n. 186),
attesa l'esigenza di conservare
separatamente i rifiuti dalle materie prime
e dal prodotto finito (fattispecie di
deposito incontrollato di rifiuti plastici,
in parte ammassati all'interno di locali ed
in parte esposti agli agenti atmosferici,
stoccati unitamente a materiale semilavorato
ed a prodotti finiti della lavorazione)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.03.2009 n. 9851 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Omessa bonifica dei siti
inquinati.
In tema di gestione dei rifiuti, ai fini
della configurabilità del reato di omessa
bonifica dei siti inquinati (art. 257,
D.Lgs. 03.04.2006, n. 152) è necessario il
superamento della concentrazione soglia di
rischio (CSR) nonché l'adozione del progetto
di bonifica previsto dall'art. 242 del
citato decreto (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 03.03.2009 n. 9492 -
link a www.lexambiente.it). |
dossier SCOMPUTO OO.UU. |
EDILIZIA PRIVATA:
Lo scomputo, totale o parziale,
della quota di contributo dovuta in caso di
realizzazione diretta delle opere di
urbanizzazione deve essere effettuata senza
distinzione tra opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, attesa la mancata
distinzione in seno all’artt. 11 legge
10/1977.
In punto di diritto, come già precisato da
questo Tribunale con la sentenza resa tra le
parti n. 1367/2008 nel giudizio avverso il
silenzio inadempimento dell’Amministrazione,
lo scomputo, totale o parziale, della quota
di contributo dovuta in caso di
realizzazione diretta delle opere di
urbanizzazione deve essere effettuata senza
distinzione tra opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, attesa la mancata
distinzione in seno all’artt. 11 legge
10/1977 (Tar Toscana, III, 11.03.2004 n.
679; TAR Toscana, sez. III, 11.08.2004, n.
3181; TAR Lombardia Milano, sez. III,
04.06.2002 , n. 2275)
Ne consegue che il Comune di Caltanisetta,
in forza dell’esplicito riconoscimento delle
opere scomputabili operate in sede di
convenzione di lottizzazione (Consiglio
Stato, sez. V, 01.06.1998, n. 701) per un
ammontare di £ 209.193.640, è tenuto a
conteggiare tali somme in compensazione con
quelle dovute dalla ricorrente a titolo di
oneri di urbanizzazione tanto primaria
quanto secondaria (TAR Sardegna, sez. II,
17.06.2008, n. 1212), con versamento
dell’eventuale eccedenza in favore della
Edilfac s.r.l.
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 11.08.2009 n. 1405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
Le zone agricole, quando
risultano meritevoli di una particolare
tutela sotto il profilo ambientale, possono
essere denominate diversamente, come ad
esempio «parco rurale» perché non è
indispensabile attenersi alle denominazioni
contenute nel D.M. 02.04.1968 che ha
determinato le zone territoriali da
utilizzare negli gli strumenti urbanistici
del Comune.
Ben può l’autorità urbanistica
specificamente determinare la destinazione
delle zone da pianificare, senza
strettamente attenersi alle denominazioni
contenute nel decreto ministeriale del
02.04.1968 (cfr. Sez. IV, 19.02.2007, n.
860).
Sotto tale profilo, anche le zone agricole,
quando risultano meritevoli di una
particolare tutela sotto il profilo
ambientale, possono essere denominate
diversamente (nella specie, come ‘parco
rurale’).
Infatti, l’autorità urbanistica può tenere
conto delle caratteristiche dei luoghi e
prevedere un particolare regime giuridico
che contemperi le esigenze di tutela (anche
degli edifici rurali preesistenti) con
quelle della produzione agricola.
Nella specie, lo studio agronomico -posto a
base della contestata delibera consiliare–
ha tenuto conto della situazione orografica,
idrogeologica, dell’andamento delle colture
e dell’agro-sistema complessivo, riguardanti
le aree da inserire nella zona destinata a ‘parco
rurale’ e, per meglio descrivere tali
aree, ha individuato le ‘unità di
paesaggio’.
In tal modo, lo studio ha preso in
considerazione l’area compresa tra il Fiume
Chiese e la zona a sul del basso lago di
Garda, al fine di integrare quelle già
destinate a ‘zona parco rurale’ nel
vigente piano regolatore, e della quale ha
rilevato le caratteristiche agricole e le
esigenze di salvaguardia ambientale.
Tale determinazione, in quanto suffragata da
una articolata istruttoria e da elementi
oggettivi, non risulta dunque manifestamente
irragionevole (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.07.2009 n. 4308 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Realizzazione di
un parcheggio nei pressi di un edificio di
culto.
Il parere negativo sulla realizzazione di un
parcheggio nei pressi di un edificio di
culto non è atto che possa interferire con
l’esercizio del culto e che, in quanto tale,
necessita quella forma di “concertazione”
prevista dalla norma, la cui evidente
ratio è quella di contemperare gli
interessi religiosi di cui l’autorità
ecclesiastica si fa portatrice con quelli
culturali la cui tutela è rimessa alle
autorità civili.
In nessun modo la mancata realizzazione del
parcheggio può impedire o limitare l’accesso
dei fedeli alle funzioni religiose e, in
generale, essere d’impedimento o di ostacolo
al culto (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 01.07.2009 n. 3623 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Destinazione agricola.
La destinazione di un'area a zona agricola
non dipende necessariamente dalla relativa
vocazione ma può essere sorretta dalla
scelta discrezionale, e motivata sul piano
generale, di orientare gli insediamenti
urbani e produttivi in date direzioni ovvero
di salvaguardare precisi equilibri
dell'assetto territoriale tra zone edificate
e non, al fine di impedire addensamenti
edilizi che possano risultare
pregiudizievoli per le condizioni di
vivibilità delle popolazioni insediate (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 24.06.2009 n. 1318 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Certificazione energetica
Non vi è nessuna norma che abilita
espressamente i Chimici alla progettazione
di impianti d’utenza asserviti agli edifici,
così come definiti, questi ultimi, dal D.M.
22.01.2008, n. 37, ovvero: impianti
elettrici, di riscaldamento e
climatizzazione, radiotelevisivi ed
elettronici, idrici e sanitari, gas,
sollevamento di persone o cose, posti al
servizio degli edifici. Cioè di quegli
impianti essenziali ai fini della
certificazione energetica.
Per i Chimici non è, pertanto, possibile
stabilire la necessaria corrispondenza
biunivoca tra abilitazione alla
progettazione dei suddetti impianti e
abilitazione alla certificazione energetica,
cosicché non si rivela illegittima la loro
esclusione regionale dal novero dei soggetti
certificatori (TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. I,
sentenza 16.06.2009 n. 956 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Istanza di sanatoria e silenzio.
Il silenzio serbato dal Comune sulla domanda
di sanatoria ex art. 13, l. 28.02.1985 n.
47, modificato dall'art. 36, d.P.R.
06.06.2001 n. 380, è qualificabile come
silenzio provvedimentale, con contenuto di
rigetto, e non come silenzio-inadempimento
all'obbligo di provvedere, impugnabile ex
art. 2, l. 21.07.2000 n. 205 (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 11.06.2009 n. 3236 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lotti interclusi.
Solo nel caso di lotto intercluso o negli
analoghi casi in cui la zona risulti
totalmente urbanizzata l’ente locale non può
negare il rilascio di una concessione
edilizia basandosi sul solo argomento
formale della mancanza della strumentazione
urbanistica di dettaglio.
Peraltro, sebbene nei casi suddetti non sia
necessario lo strumento urbanistico
attuativo, non è comunque sufficiente un
qualsiasi stadio d’urbanizzazione di fatto,
per eludere il principio fondamentale della
pianificazione e per eventualmente aumentare
i guasti urbanistici già verificatisi,
essendo invece doverosa la pianificazione
dell’urbanizzazione fino a quando essa
conservi una qualche utile funzione anche in
aree già compromesse o urbanizzate (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 11.06.2009 n. 3218 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Poteri dell'Ente
Parco.
L’Ente parco, in sede di esercizio dei
potere autorizzativo che l’ordinamento gli
conferisce, assume a parametro di
riferimento la tavola di valori ambientali
che rende il giudizio di compatibilità di
natura estetico-paesaggistico, pertanto
sostanzialmente assimilabile a quello di
pertinenza dell’Autorità competente in
materia ambientale (TAR Campania-Salerno,
Sez. II,
sentenza 10.06.2009 n. 3188 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Partecipazione
al procedimento.
L'art. 26 del decreto Legislativo
24.03.2006, n. 157, che ha sostituito l’art.
159 del decreto Legislativo 22.01.2004, n.
42, ha espressamente confermato la necessità
di rendere edotti gli interessati
dell’attivazione del iter procedimentale di
controllo, prescritto in materia
paesaggistica, prevedendo che “l’amministrazione
competente al rilascio dell’autorizzazione
dà immediata comunicazione alla
soprintendenza delle autorizzazioni
rilasciate, trasmettendo la documentazione
prodotta dall’interessato nonché le
risultanze degli accertamenti eventualmente
esperiti. La comunicazione è inviata
contestualmente agli interessati, per i
quali costituisce avviso di inizio del
procedimento, ai sensi e per gli effetti
della legge 07.08.1990, n. 241”.
La riforma normativa, testé riprodotta nel
suo esatto tenore testuale, assume portata
innovativa rispetto alla disciplina anteatta
soltanto per il fatto che impone nei
riguardi dell’Ente subdelegato il compito di
effettuare detto adempimento informativo, in
tal modo confermando la necessità di
consentire la partecipazione al procedimento
instaurato innanzi all’Autorità statale.
Quest’ultima, per giunta, deve essere messa
in condizioni di verificare che detto onere
sia stato regolarmente espletato, atteso che
la norma aggiunge che “nella
comunicazione alla soprintendenza il Comune
attesta di avere eseguito il contestuale
invio agli interessati”.
Ad ogni modo, la pretermissione del
contraddittorio in sede di procedimento di
secondo grado, che conduce all’esercizio del
potere tutorio spettante all’Autorità
statale sulle autorizzazioni paesaggistiche
già rilasciate, non può non inficiare la
legittimità del provvedimento emesso, a
prescindere dall’Autorità sulla quale
specificamente incombe il compito di
notiziare tempestivamente l’interessato; né
può ipotizzarsi la superfluità del momento
dialogico, secondo il principio della
dequotazione dei vizi formali sancito
dall’art. 21-octies della l. n. 241/1990, e
ciò non solo -in astratto- per il carattere
discrezionale delle valutazioni di
pertinenza dell’organo di controllo in
materia paesaggistica, ma anche alla luce
delle specifiche ragioni poste a base del
provvedimento oggetto di gravame a fronte
degli articolati rilievi prodotti in sede di
ricorso da parte attorea, tali da indurre a
ritenere, in sede prognostica, che, se
fossero stati previamente offerti
all’attenzione della Soprintendenza,
avrebbero potuto condurre a determinazioni
di segno contrario (TAR Campania-Salerno,
Sez. II,
sentenza 10.06.2009 n. 3183 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permanenza dell'illecito
edilizio.
L’illecito edilizio ha carattere permanente.
Ne consegue che l’illecito permane nel caso
di trasferimento dell’immobile (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 10.06.2009 n. 1723 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono in zona vincolata.
E' onere di chi chiede il condono in area
vincolata di provare la compatibilità col
vincolo e non dell’Amministrazione preposta
alla tutela del vincolo di provare la non
compatibilità dell’abuso. Altrimenti
l’anomalia non sarebbe costruire senza
autorizzazione in area vincolata ma
reprimere gli abusi ivi realizzati (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 10.06.2009 n. 1718 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Valutazione di
incidenza.
Il tenore delle disposizioni relative alla
disciplina normativa che regola il
procedimento di valutazione d’incidenza
ambientale, costituita dall’art. 5 del
d.p.r. 08.09.1997, n. 357, è univoco
nell’ammettere la possibilità che il
procedimento di valutazione dell’incidenza
si concluda in senso negativo per il
proponente, con un’unica eccezione nel caso
che “il piano o l'intervento debba essere
realizzato per motivi imperativi di
rilevante interesse pubblico, inclusi motivi
di natura sociale ed economica”: solo in
quest’ultima evenienza, che certamente non
si ravvisa nel caso in esame, il legislatore
prevede che il procedimento debba comunque
terminare con l’autorizzazione
dell’intervento proposto (TAR Sardegna, Sez.
II,
sentenza 09.06.2009 n. 921 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono (opere non ultimate a
seguito di provvedimenti amministrativi o
giurisdizionali).
In tema di condono edilizio, la disposizione
ai sensi della quale possono ottenere la
sanatoria anche le opere non ultimate, nei
modi e tempi prescritti, per effetto di
provvedimenti amministrativi o
giurisdizionali, deve essere intesa quale
norma di favore relativa anche ai
provvedimenti del giudice penale
(fattispecie di opera non ultimata per
effetto di intervenuto sequestro) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.05.2009 n. 20135 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Acque. Scarico da impianto di
depurazione e superamento dei limiti.
Si applicano, alla condotta di superamento
dei valori-limite di legge
nell'effettuazione di scarico proveniente da
impianto di depurazione, le sanzioni di cui
all'art. 137, comma quinto, del D.Lgs. n.
152 del 2006 (fattispecie di avvenuto
superamento dei valori-limite dell'azoto
ammoniacale) (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 11.05.2009 n. 19875 -
link a www.lexambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Lavoro
straordinario oltre il monte ore annuale.
Mancanza della preventiva autorizzazione.
Non sussiste il diritto al compenso.
Deve negarsi il compenso per lavoro
straordinario (nella fattispecie trattasi di
domanda avanzata da militari della Guardia
di Finanza) espletato oltre il monte ore
annuale, ma non preventivamente autorizzato
dall'organo competente, sulla scorta del
consolidato orientamento del Consiglio di
Stato (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1430/2009
- in riforma di Tar Lombardia, sez. I, n.
2047/2006, n. 602/2007, n. 3551/2008), non
essendo stata provata l'adozione
dell'autorizzazione, alla quale non
equivalgono gli ordini di servizio in base
ai quali le prestazioni straordinarie sono
state richieste, né è intervenuta alcuna,
pur eccezionale, autorizzazione a sanatoria,
onde gli odierni opposti hanno diritto
soltanto al riposo compensativo, ancorché
non abbiano presentato a suo tempo domanda
al riguardo
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.04.2009 n. 3529 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Affidamento
del servizio di pulizia, sanificazione,
raccolta e trasporto di rifiuti di presidi
ospedalieri. Requisiti di partecipazione.
Moralità professionale. Dimostrazione della
sussistenza. Grava sul singolo partecipante
alla gara. Esclusione. Legittima.
E' onere del partecipante alla gara
dimostrare alla stazione appaltante il
possesso dei requisiti prescritti dalla
legge, tra i quali rientra anche l'assenza
di condanne in capo ai soggetti indicati
nell'art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs.
12.04.2006, n. 163, ovvero la dimostrazione
di aver adottato atti o misure di completa
dissociazione dalla condotta penalmente
sanzionata.
E' pertanto legittima l'esclusione di
un'impresa concorrente in caso di mancata
dimostrazione dell'idoneità delle misure di
dissociazione adottate
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.04.2009 n. 3503 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1.
Contratti della p.a. Requisiti di
partecipazione. Moralità professionale.
Reati pregressi. Contro uno Stato membro
della Comunità Europea. Rilevanza.
Esclusione. Legittima.
2. Contratti della p.a. - Gara - Esclusione
- Previa comunicazione di avvio del
procedimento - Necessità - Esclusa.
3. Contratti della p.a. - Appalto di opere
pubbliche - Procedura di affidamento -
Esclusione - Comunicazione dell'avvio del
procedimento - Insussistenza dell'obbligo.
1.
L'espressione «reati contro lo Stato»
contenuta nell'inciso normativo di cui
all'art. 38, comma 1, D.Lgs. 12.04.2006, n.
163, al fine di individuare i reati ostativi
alla partecipazione alle gare di pubblici
appalti deve essere interpretata come «reati
contro uno Stato membro della Comunità
europea», poiché le stazioni appaltanti,
per valutare la moralità professionale
dell'operatore interessato
all'aggiudicazione, devono prendere in
considerazione i reati compiuti dal medesimo
all'interno di qualsiasi Stato dell'Unione
europea.
2.
L'esclusione dalla gara di un concorrente
non costituisce autonomo procedimento,
distinto da quello concorsuale nel quale si
inserisce come fase interna della procedura
di gara, per cui non necessita di previa
comunicazione di avvio del procedimento.
3.
Nel caso in cui, nell'ambito di una
procedura per l'affidamento di un appalto
pubblico, la commissione di gara abbia prima
ammesso talune imprese e successivamente le
abbia escluse dalla gara, la stazione
appaltante non è tenuta alla comunicazione
dell'avvio del procedimento, ove
l'esclusione intervenga prima
dell'aggiudicazione definitiva, atteso che
il procedimento di scelta del contraente
privato, sebbene articolato in varie fasi,
presenta carattere unitario e si conclude
soltanto a seguito dell'aggiudicazione
definitiva
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.04.2009 n. 3500 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Affidamento
del servizio di trascrizione. Contratti
esclusi. Procedura di cottimo fiduciario in
economia. Apertura delle buste contenenti le
offerte di gara. Seduta pubblica. Necessità.
Con riferimento alle procedure di cottimo
fiduciario in economia aventi per oggetto
lavori, servizi e forniture -di importo
prossimo alla soglia comunitaria- ed esclusi
dall'applicazione del Codice dei Contratti,
ai sensi dell'art. 27, D.Lgs. 12.04.2006, n.
163, deve ritenersi comunque sussistente
l'obbligo per l'Amministrazione di procedere
all'apertura delle buste contenenti le
offerte di gara mediante seduta pubblica,
nel rispetto dei princìpi di trasparenza e
di proporzionalità (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.04.2009 n. 3498 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Contratti
della p.a. Appalto. Legge sul procedimento
amministrativo. Esclusione dal procedimento.
Applicabilità dell'art. 7, L. 07.08.1990, n.
241. Solo per nuovi procedimenti correlati.
Nelle procedure d'appalto il "procedimento
amministrativo" consiste nella stessa
procedura di scelta del contraente,
disciplinata dalla normativa settoriale e
dalla lex specialis, ed in cui le
esigenze partecipative sono particolarmente
tutelate mediante un sistema specifico, che
garantisce l'incidenza ed il diretto
coinvolgimento degli interessati nel sistema
di scelta del contraente (TAR Valle d'Aosta,
07.01.2003 n. 1).
Solo l'apertura di nuovi procedimenti ad
esso correlati comporta l'applicazione delle
norme di cui alla L. 07.08.1990, n. 241
sulla partecipazione, come accade nei casi
di autotutela, in cui è peraltro incerto se
l'art. 7 debba essere applicato anche nei
confronti dell'aggiudicatario provvisorio, o
solo rispetto a quello definitivo.
L'estraneità delle regole partecipative alle
procedure d'appalto è anche confermata dal
legislatore con riferimento all'art. 10-bis
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.04.2009 n. 3497 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi edilizi da eseguirsi
su beni culturali.
L'esecuzione senza autorizzazione di
interventi edilizi su beni culturali integra
il reato di cui all'art. 169 del D.Lgs.
22.01.2004, n. 42 e non quello previsto
dall'art. 181 del medesimo decreto, che
ricorre in caso di esecuzione di lavori di
qualsiasi genere, senza la prescritta
autorizzazione o in difformità di essa, su
beni paesaggistici (fattispecie relativa
a sequestro preventivo di un immobile
privato, dichiarato bene culturale, in cui
erano in corso lavori di apposizione di un
controsoffitto e di demolizione di una
parete interna) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 21.04.2009 n. 16744 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Ordine di
rimessione in pristino dello stato dei
luoghi e decesso del condannato.
In tema di tutela paesaggistica, il decesso
del condannato non giustifica la sospensione
o la revoca dell'ordine di rimessione in
pristino dello stato dei luoghi, in quanto
tale statuizione, di natura reale, conserva
la sua efficacia nei confronti di tutti i
soggetti che, a qualsiasi titolo, diventano
proprietari del bene su cui esso incide
(fattispecie nella quale l'istanza di
sospensione/revoca era stata presentata
dagli eredi del condannato, estranei al
reato) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 20.04.2009 n. 16687 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione
(sospensione o revoca).
L'ordine di demolizione del manufatto
abusivo, impartito con sentenza
irrevocabile, non può essere revocato o
sospeso sulla base della mera pendenza di un
ricorso in sede giurisdizionale avverso il
rigetto della domanda di condono edilizio
(in motivazione la Corte ha precisato che
non rileva la possibilità dell'eventuale
emanazione di atti favorevoli al condannato
in tempi lontani o non prevedibili)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.04.2009 n. 16686 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI: 1.
ATI di tipo orizzontale - Principio del
favor partecipationis - Non derogabilità al
principio di possesso di requisiti minimi di
partecipazione in capo a tutti i
partecipanti all'ATI.
2. Appalto - Interesse a ricorrere -
Interesse strumentale all'annullamento di
tutti gli atti di gara - Sussiste
l'interesse a ricorrere.
3. Mancanza di previsioni espresse nella lex
specialis circa l'avvalimento - Ricorso all'avvalimento
- Legittimo.
4. Prova dell'avvalimento - Presentazione in
sede di gara della dichiarazione di
avvalimento (impresa ausiliata) e del
formale impegno dell'impresa ausiliaria -
Necessità.
1.
Il favor partecipationis, pur
costituendo un condivisibile principio di
carattere generale, non vale tuttavia a
sovvertire le regole impositive che
prescrivono un livello minimo di capacità
per la partecipazione agli appalti. Tale
esigenza è particolarmente impellente al
cospetto di un raggruppamento temporaneo di
tipo orizzontale, nel quale tutti gli
operatori coinvolti concorrono
all'esecuzione della medesima prestazione
oggetto dell'appalto e nel quale, perciò, i
requisiti di capacità tecnica ed economica
debbono essere posseduti da ciascuna impresa
in ATI quanto meno in una misura minima
giuridicamente apprezzabile, non essendo
sufficiente il possesso (ovvero la prova del
possesso) di tali requisiti in capo
unicamente ad una sola delle imprese riunite
(TAR Campania - Napoli, sez. I, n.
1343/2008).
2.
In termini generali, la giurisprudenza
amministrativa ha precisato da tempo che
un'impresa è titolare di un interesse a
ricorrere non solo quando mira ad ottenere
l'aggiudicazione della gara cui abbia
partecipato, ma anche quando, quale titolare
di un interesse strumentale, mira ad
ottenere l'annullamento di tutti gli atti,
affinché la gara sia ripetuta con
l'indizione di un ulteriore bando (Cons.
St., Ad. Plen. 11/2008, Cons. St., sez. V,
n. 2629/2008, Tar Lombardia-Milano, sez. III,
n. 112/2002).
3.
Non può essere posta in dubbio la
possibilità che l'avvalimento trovi
applicazione anche in mancanza di alcuna
indicazione (confermativa o restrittiva)
espressamente riportata dal bando, avendo le
norme comunitarie, in virtù della loro
supremazia e portata precettiva,
un'efficacia integrativa automatica delle
previsioni del bando di gara, anche laddove
non vi sia un espresso richiamo, per cui
l'assenza di espresse previsioni nella
lex specialis di gara non costituisce
motivo di impedimento al suo utilizzo, ma al
contrario legittima i concorrenti a far uso
della facoltà prevista dalla norma nella sua
più ampia portata.
4.
Anche se il diritto comunitario non
richiede, in omaggio al favor
partecipationis e alla massima apertura ai
mercati, formule sacramentali, non sembra al
Collegio che si possa seriamente dubitare
della necessità che una dichiarazione di
avvalimento sia comunque presentata in sede
di gara e che, nella stessa sede, l'impresa
avvalente dimostri alla stazione appaltante
che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio
mediante presentazione del formale impegno
dell'impresa ausiliaria
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 07.04.2009 n. 3227 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sanatoria edilizia.
In tema di reati edilizi ed urbanistici, in
caso di presentazione della domanda di
concessione o di autorizzazione in sanatoria
è consentito al contravventore ricorrere,
sotto la propria responsabilità, alla
procedura di completamento dell'opera
abusiva (art. 35, comma tredicesimo, L.
28.02.1985, n. 47) solo per gli interventi
di completamento funzionale dell'opera per
la quale è stata presentata la domanda di
sanatoria (fattispecie in tema di
sequestro preventivo di un immobile demolito
e ricostruito) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 25.03.2009 n. 12984 -
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URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva. Confisca e
soggetto estraneo e possessore di buona
fede.
In tema di reati edilizi, la confisca dei
terreni abusivamente lottizzati e delle
opere abusivamente costruite, attesa la
natura sanzionatoria, non può essere
disposta nei confronti di soggetti estranei
alla commissione del reato che siano
possessori di buona fede, non essendo
ammissibili criteri di responsabilità
oggettiva neppure con riferimento alle
sanzioni amministrative (in motivazione
la Corte, nell'annullare con rinvio
l'ordinanza di rigetto dell'istanza di
revoca del sequestro preventivo di un
manufatto abusivo, ha sottolineato la
necessità di tener conto in sede di rinvio
anche della sentenza C.e.d.u. del 20.01.2009
nel caso Sud Fondi s.r.l. c/ Italia)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.03.2009 n. 12118 -
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APPALTI: Contratti
pubblici. Accordi di sponsorizzazione.
Contratti attivi. Non rientrano nell'ambito
di applicazione del d.lgs. n. 163/2006.
Gli accordi di sponsorizzazione pur essendo
necessariamente diretti al perseguimento di
pubblici interessi restano fuori dall'ambito
della disciplina comunitaria e nazionale
sugli appalti pubblici in quanto non sono
qualificabili come "contratti passivi",
bensì come "contratti attivi" in
quanto comportano un vantaggio economico e
patrimoniale direttamente quantificabile da
parte dell'amministrazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza
12.03.2009 n. 1894). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Indennità.
L'art. 15 l. 29.06.1939 n. 1497 (ora art.
167 d.lgs. 22.01.2004 n. 42) va interpretato
nel senso che l'indennità prevista per abusi
edilizi in zone soggette a vincoli
paesaggistici costituisce vera e propria
sanzione amministrativa, e non una forma di
risarcimento del danno, e in quanto tale
prescinde dalla effettiva sussistenza di un
danno ambientale (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 12.03.2009 n. 1464 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Acque. Reflui da allevamento.
In tema di tutela delle acque
dall'inquinamento, a seguito delle modifiche
apportate dal D.Lgs. 16.01.2008, n. 4,
all'art. 101, comma settimo, lett. b) del
D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, non costituisce
più reato la condotta di scarico senza
autorizzazione dei reflui provenienti da
imprese dedite all'allevamento di bestiame,
attesa la loro assimilabilità incondizionata
alle acque reflue domestiche (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.03.2009 n. 9488 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI: 1.
Approvazione capitolato tecnico da parte
della giunta comunale - Illegittimità -
Sussiste.
2. Offerta economicamente più vantaggiosa -
Potere della commissione di gara di
specificare i sottocriteri e derogare ai
parametri valutativi specificati dal bando -
Non sussiste.
1.
L'approvazione del capitolato tecnico di un
appalto da parte della Giunta comunale è
illegittima per incompetenza e tale vizio si
trasmette su tutti gli atti successivi,
parimenti meritevoli di annullamento, che
dal primo traggono fondamento. Come
stabilito dall'art. 107 commi 2 e 3 del
Testo Unico degli Enti Locali e come
confermato dalla giurisprudenza, infatti, le
determinazioni riguardanti la fase esecutiva
dell'affidamento di un pubblico contratto,
che impegnano l'amministrazione verso
l'esterno, devono essere adottate dal
competente dirigente comunale e non già
dalla Giunta.
2.
Prima dell'apertura dell'offerta tecnica e
della relativa valutazione, alla commissione
aggiudicatrice è consentito soltanto fissare
criteri motivazionali che, comunque, non
possono derogare ai parametri fissati dal
bando di gara né possono incidere sui pesi
dallo stesso attribuiti; in ossequio al
consolidato orientamento della
giurisprudenza comunitaria, infatti, alla
commissione di gara non è consentito
introdurre elementi che, se noti al momento
della redazione dell'offerta, avrebbero
potuto influenzarne la relativa formulazione
(cfr. CGCE, sez. II, n. 331/2004)
(massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza
03.03.2009 n. 1731). |
AGGIORNAMENTO AL 24.08.2009 |
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GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
APPALTI: G.U.
22.08.2009 n. 194 "Determinazione per il
periodo 01.01.2009-31.12.2009,
delle misura del tasso di interesse di mora
da applicare ai sensi e per gli effetti
dell’art. 133 del Codice dei contratti
pubblici di lavoro, servizi, forniture,
approvato con decreto legislativo 12.04.2006
n. 163"
(D.M. 04.08.2009). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 33 del
17.08.2009, "Monitoraggio dei
provvedimenti assunti dai Comuni entro il
termine del 15.10.2009 in attuazione della
l.r. 13/2009"
(decreto
D.U.O. 04.08.2009 n. 8114 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 33 del
17.08.2009, "Direzione Centrale
Programmazione Integrata - Ulteriori
indicazioni agli organi collegiali delle
Comunità Montane oggetto di fusione ex art.
23, commi 7, 8, 9 della l.r. 27.06.2008 n.
19 per la gestione della fase transitoria"
(decreto
D.C. 05.08.2009 n. 8148 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 33 del
17.08.2009, "Direzione Centrale
Relazioni Esterne, Internazionali e
Comunicazione - Contributo straordinario e
ordinario annuale ai sensi del regolamento
n. 2 del 27.07.2009 «Contributi alle Unioni
di Comuni lombarde e alle Comunità Montane e
incentivazione alla fusione dei piccoli
Comuni, in attuazione dell'art. 20 della
legge regionale 27.06.2008, n. 19 (Riordino
delle Comunità Montane della Lombardia,
disciplina delle Unioni di Comuni lombarde e
sostegno all'esercizio associato di funzioni
e servizi comunali)» - Modalità di
presentazione delle domande"
(decreto
D.S. 11.08.2009 n. 8391 - link a www.infopoint.it). |
LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 33 del
17.08.2009, "Determinazioni in merito
agli interventi in materia di tutela e
valorizzazione del patrimonio culturale,
nell'ambito della promozione degli
interventi di riqualificazione e di arredo
degli spazi urbani (art. 7, l.r. 39/84)"
(deliberazione
G.R. 29.07.2009 n. 9937 - link a
www.infopoint.it). |
LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 33 del
17.08.2009, "Determinazioni in merito
agli interventi in materia di tutela e
valorizzazione del patrimonio culturale
(art. 7, l.r. 39/84)" (deliberazione
G.R. 29.07.2009 n. 9936 - link a
www.infopoint.it). |
NEWS |
APPALTI:
CODICE DEGLI APPALTI PUBBLICI - D.LGS.
163/2006 - TESTO COORDINATO CON LE MODIFICHE
APPORTATE DALLE LEGGI 94 E 102 DEL 2009:
1) MODIFICHE ALLE PROCEDURE DI PRESENTAZIONE
E VALUTAZIONE DELLE GIUSTIFICAZIONI A
CORREDO DELL’OFFERTA;
2) NUOVA CAUSA DI ESCLUSIONE DAI PUBBLICI
APPALTI (link a www.ancebrescia.it). |
ENTI LOCALI:
Istanza di rimborso con bollo per i canoni
depurazione acque. Non hanno natura
tributaria ma di corrispettivo per lo
svolgimento dell'attività commerciale del
Comune.
Le istanze di rimborso dei canoni versati e
non dovuti per i servizi di depurazione
delle acque sono soggette all'imposta di
bollo fin dall'origine, nella misura di
14,62 euro.
In estrema sintesi, è la
risposta fornita a un Comune da parte
dell'agenzia delle Entrate, contenuta nella
risoluzione n. 98/E del
07.04.2009 (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Tosap versata per ristrutturare rientra
nel bonus fiscale del 36%. La detrazione
spetta per oneri amministrativi e di
autorizzazione anche se il pagamento non
avviene con bonifico.
Gli uffici fiscali rispondono all'interpello
posto dall'amministratore di un condominio
che ha effettuato lavori di restauro di una
palazzina residenziale.
Tra le spese sostenute, il legale
rappresentante annovera i costi pagati
all'impresa che ha eseguito i lavori, la
parcella del professionista e il versamento
della Tosap relativa agli spazi occupati dai
ponteggi (link a www.nuovofiscooggi.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
S. Pallotta,
La motivazione dell’ordinanza ingiunzione in
relazione alle difese dell’interessato
secondo le più recenti indicazioni
giurisprudenziali (link a
www.simoline.com). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
S. Occhi,
Delega ambientale e VAS: una riflessione
sull’istruttoria tecnica delineata dagli
articoli 15, 16 e 17 del D.lgs. 152/2006 e
s.m.i. (link a www.simoline.com). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI: Gara
d'appalto - Requisiti generali -
Dichiarazioni soggetti muniti di poteri di
rappresentanza - Individuazione persone
fisiche soggette alla dichiarazione -
Ricerca nello statuto della persona
giuridica - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità
con la prospettazione dei fatti
rappresentati, attiene alla legittimità
della mancata presentazione, a corredo
dell’offerta, della dichiarazione ai sensi
dell’articolo 38, comma 1, lettera c), da
parte del Presidente di una società a
responsabilità limitata, che abbia delegato
tutti i propri poteri di amministrazione ad
altro soggetto e che sia cessato dalla
carica nel triennio antecedente la data di
pubblicazione del bando di gara.
La questione presuppone, pertanto,
l’individuazione dei soggetti chiamati a
dimostrare il possesso dei requisiti morali
richiesti dall’articolo 38, comma 1, lettera
c), alla stregua del quale sono esclusi
dalla partecipazione alle procedure di
affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi e non
possono stipulare i relativi contratti i
soggetti “nei cui confronti è stata
pronunciata sentenza di condanna passata in
giudicato, o emesso decreto penale di
condanna divenuto irrevocabile, oppure
sentenza di applicazione della pena su
richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del
codice di procedura penale, per reati gravi
in danno dello Stato o delle Comunità che
incidono sulla moralità professionale […].”
La citata disposizione, peraltro, precisa
che l’esclusione e il divieto operano se le
suddette sentenze o il decreto penale di
condanna sono stati emessi “nei confronti
del titolare o del direttore tecnico se si
tratta di impresa individuale; del socio o
del direttore tecnico, se si tratta di
società in nome collettivo; dei soci
accomandatari o del direttore tecnico se si
tratta di società in accomandita semplice;
degli amministratori muniti di potere di
rappresentanza o del direttore tecnico se si
tratta di altro tipo di società o consorzio.”
E’ inoltre previsto che l’esclusione e il
divieto operino, altresì, “nei confronti
dei soggetti cessati dalla carica nel
triennio antecedente la data di
pubblicazione del bando di gara, qualora
l'impresa non dimostri di aver adottato atti
o misure di completa dissociazione della
condotta penalmente sanzionata.”
La disposizione in questione mira a
scongiurare il rischio che l’Amministrazione
stipuli contratti con operatori economici
inaffidabili, ovvero soggetti i cui
titolari, amministratori o direttori tecnici
in carica o cessati dalla carica nel
triennio antecedente la data di
pubblicazione del bando di gara, siano
persone che non garantiscano la moralità
professionale.
E’ per tali ragioni che, come peraltro più
volte chiarito dall’Autorità (pareri n. 164
del 21.05.2008, n. 193 del 10.07.2008, n. 5
del 15.01.2009 e n. 35 dell'11.03.2009),
tale norma presuppone che le dichiarazioni
siano rese dagli stessi soggetti interessati
e che pertanto non possa sussistere un
relativo onere di conoscenza in capo al
legale rappresentante dell’impresa, dal
momento che il genere di dichiarazioni
richieste costituisce frutto di informazioni
su qualità personali e sulle relative
vicende professionali e/o individuali dei
soggetti muniti del potere di rappresentanza
o dei direttori tecnici di cui, non
necessariamente, il rappresentante legale
può essere a conoscenza, trattandosi di
eventi, specie quelli connessi ai
procedimenti penali, che esulano da fattori
rientranti nell’organizzazione aziendale.
Fermo restando che è, invece, riconosciuta
al legale rappresentante la possibilità di
effettuare una dichiarazione sostitutiva
dell’atto di notorietà nel caso in cui si
tratti di soggetti cessati dalla carica nel
triennio antecedente la data di
pubblicazione del bando e divenuti
irreperibili per l’impresa ovvero deceduti
(cfr. parere n. 75 del 06.03.2008).
Appare evidente, dunque, come l’intenzione
del Legislatore sia quella di definire in
modo preciso i soggetti chiamati a
dimostrare la sussistenza dei requisiti
morali richiesti, stabilendo che, per il
caso di società a responsabilità limitata,
fattispecie rilevante ai fini del presente
parere, siano gli amministratori muniti del
potere di rappresentanza in carica e cessati
dalla carica nel triennio antecedente la
data di pubblicazione del bando di gara a
dover presentare la menzionata
dichiarazione.
Ai fini dell’individuazione del criterio
interpretativo da seguire per individuare
specificamente la persona fisica rispetto
alla quale, nell’ambito del rapporto
societario, assume rilievo la causa di
esclusione e, dunque, il soggetto tenuto
alla dichiarazione sostitutiva richiesta, la
giurisprudenza amministrativa (Consiglio di
Stato, sez. V, sentenza n. 5913 del
28.11.2008, sentenza n. 36 del 15.01.2008 e
sentenza n. 4856 del 20.09.2005) e la prassi
dell’Autorità (si vedano i già citati pareri
n. 164 del 21.05.2008, n. 193 del
10.07.2008, n. 5 del 15.01.2009 e n. 35
dell'11.03.2009) hanno individuato tale
criterio nella necessità di ricercare nello
statuto della persona giuridica quali siano
i soggetti dotati del potere di
rappresentanza.
Ciò in quanto, indipendentemente dalla
titolarità dei poteri di gestione
societaria, i soggetti titolari del potere
di rappresentanza della persona giuridica
sono comunque in grado di trasmettere, con
il proprio comportamento, la riprovazione
dell’ordinamento nei riguardi della loro
personale condotta al soggetto
rappresentato.
Al fine di applicare tale criterio
interpretativo al caso di specie, occorre
analizzare la documentazione societaria
dell’Istituto di Vigilanza, dalla quale si
evince che l’articolo 18 della Statuto, come
modificato a seguito di delibera
dell’assemblea straordinaria del 21.11.2005,
dispone “Rappresentanza della società –
La rappresentanza della società, anche in
giudizio, compete all’amministratore unico
od al presidente del consiglio di
amministrazione, senza limitazioni, od al
vice presidente (se nominato) in caso di
assenza o impedimento del presidente, ed ai
membri del Consiglio di amministrazione
forniti di poteri delegati, nei limiti della
delega.”
La disposizione statutaria intende dunque
sancire in capo al Presidente del Consiglio
di Amministrazione la titolarità della
rappresentanza della società, come peraltro
evidenziato anche nel menzionato verbale
dell’assemblea straordinaria del 21.11.2005,
in cui, nell’enunciare i soggetti presenti
all’assemblea, si legge, con riferimento al
Sig. Barone, “nella qualità di Presidente
del Consiglio di Amministrazione e,
pertanto, legale rappresentante della
società.”
A nulla rileverebbe pertanto, in ossequio al
menzionato criterio, il fatto che il
Presidente del Consiglio di Amministrazione
si sia spogliato dei poteri di
amministrazione, avendo invece mantenuto il
potere di rappresentanza della società.
Ne consegue che il sig. Barone, Presidente
del Consiglio di Amministrazione fino al 24
ottobre 2006, sebbene privo dei poteri per
l’amministrazione ordinaria e straordinaria
della società, conferiti al sig. Mattaliano,
come da verbale del Consiglio di
Amministrazione del 22.10.2004, nel triennio
antecedente la data di pubblicazione del
bando di gara (11.09.2008) deteneva il
potere di rappresentanza ed era, pertanto,
tenuto ad effettuare la dichiarazione di cui
al punto 11.b.5 del bando di gara, al fine
di accertare l’insussistenza delle
condizioni di cui all’articolo 38, comma 1,
lettera c).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che il provvedimento di
riammissione alla procedura di gara adottato
dal Comune di Palermo nei confronti
dell’Istituto di Vigilanza Security Service
S.r.l. non è conforme alla normativa in
materia di contratti pubblici
(parere 09.07.2009 n.
77 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI:
Gara d'appalto - Modalità di
presentazione delle offerte - Sigillatura e
controfirma sui lembi di chiusura -
Ambiguità prescrizioni lex specialis -
Principio favor partecipationis -
Applicazione - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
L’art. 8 “Presentazione dell’offerta –
documentazione” del Capitolato speciale
della gara in esame prevede quanto segue: “Il
plico contenente tutta la documentazione
dovrà essere sigillato e siglato sui lembi
di chiusura (…) Avvertenza: Si precisa che
per sigillo deve intendersi qualsiasi
impronta o segno (sia impronta espressa su
materiale plastico come ceralacca o piombo,
sia su una striscia incollata con timbri o
firme) atto ad assicurare la chiusura e,
nello stesso tempo, confermare l’autenticità
della chiusura originaria proveniente dal
mittente, al fine di evitare manomissioni di
sorta”. Successivamente relativamente
alla sola busta C Offerta economica, l’art.
8 prevede che “l’offerta deve essere
inserita, a pena di esclusione, in apposita
busta debitamente chiusa e sigillata con
ceralacca, con apposizione di timbro
dell’impresa e controfirmata su tutti i
lembi di chiusura al fine di assicurarne la
segretezza”. Risulta evidente come
l’Avvertenza sembra riferirsi a tutti gli
adempimenti formali contenuti nell’articolo
8 e che fosse stata inserita dalla Stazione
appaltante al fine di fornire un canone
interpretativo di tutte le previsioni
relative alle modalità di chiusura delle
buste. Pertanto, la successiva disposizione
relativa alla sola busta economica che
impone l’apposizione di sigilli con
ceralacca viene a creare indubbiamente una
incertezza interpretativa e la possibilità
per i partecipanti di incorrere facilmente
in errori nella preparazione dell’offerta.
Questa Autorità in più occasioni ha
evidenziato come la Commissione di gara,
quando si trovi innanzi ad incertezze
interpretative, dovrà privilegiare la regola
del favor partecipationis sempre nel
rispetto dei principi di certezza del
diritto, di par condicio dei concorrenti e
di trasparenza amministrativa. Per cui,
secondo l’orientamento giurisprudenziale
consolidato, va preclusa alla stazione
appaltante e alla Commissione di gara
qualsiasi esegesi del testo di gara, se essa
non si basi su un procedimento ermeneutico,
che conduca all’integrazione delle regole di
gara, palesando significati del bando non
chiaramente desumibili dalla lettura della
sua originaria formulazione (per tutti si
veda il parere 31.07.2008 n. 208).
Inoltre deve farsi presente che è
orientamento unanime del giudice
amministrativo quello per cui, laddove le
garanzie essenziali sulla segretezza del
plico siano comunque assicurate, trovi
applicazione il c.d. criterio teleologico,
secondo cui nelle gare per l’aggiudicazione
dei pubblici contratti le prescrizioni sulle
formalità di presentazione delle offerte
rilevano, ai fini dell’esclusione dalla gara
medesima, quando rispondono ad un
particolare interesse dell’amministrazione e
sono tese a garantire la parità dei
concorrenti. La chiusura e la controfirma
sui lembi di chiusura sembrano assolvere
pienamente alla funzione di garantire la
segretezza, l’identità e l’immodificabilità
della documentazione e dell’offerta. Nel
caso di specie, la sigillatura prevista
nella quale era presente una striscia
incollata sulla quale erano apposti timbri e
firme sembra essere un sistema idoneo a
garantire la integrità e l’immodificabilità
del contenuto del plico e, pertanto, è
idoneo a garantire la segretezza
dell’offerta nel rispetto del principio
della par condicio. Di conseguenza, anche in
considerazione dell’ambiguità presente nella
documentazione di gara, come emerge dalle
sopra citate disposizioni, la Commissione di
gara ha agito correttamente dando priorità
al principio del favor partecipationis.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l’ammissione al
prosieguo delle fasi di gara dell’A.T.I.
Ingegneria Biomedica Santa Lucia e Sinteco
S.p.A. sia conforme ai principi in materia
di contratti pubblici
(parere
09.07.2009 n. 76 - link a
massimario.avlp.it). |
APPALTI:
1. Gara d'appalto - Requisiti
generali - Lex specialis - Obbligo di
rendere dichiarazione comprensiva reati
estinti e depenalizzati o condanne con
beneficio non menzione - Legittimità -
Omissione dichiarazione condanne riportate
dai soggetti interessati - Esclusione dalla
gara - Legittimità.
2. Gara d'appalto - Requisiti generali -
Verifica - False dichiarazioni - Escussione
cauzione provvisoria ex art. 48 dlgs.
163/2006 - Inapplicabilità - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
La fattispecie prospettata dal Comune di
Altavilla Vicentina nel presente
procedimento coinvolge diversi profili, che
devono essere distintamente individuati ed
analiticamente esaminati.
La prima questione giuridica sottoposta
all’attenzione di questa Autorità con la
descrizione dei fatti rappresentati in
narrativa consiste nello stabilire se, nel
caso di specie, l’impresa R.S. Costruzioni
Generali s.r.l. era tenuta a dichiarare, a
carico del Rappresentante legale e del
Direttore tecnico cessato dalla carica nel
triennio antecedente la data del bando, i
soli reati non estinti e non depenalizzati o
se, invece, sul punto la peculiare
disciplina di gara consentiva alla stazione
appaltante un campo di valutazione più
ampio, nel senso che era autorizzata anche
la valutazione dei reati estinti e
depenalizzati.
Al riguardo occorre muovere dalla
constatazione che nel punto a10.
dell’apposito modulo di istanza di
ammissione alla gara (Allegato 2) era
prescritto, in conformità a quanto previsto
dal Disciplinare di gara (Allegato 1), che
il concorrente dovesse dichiarare che “nei
confronti delle persone fisiche
sopraindicate (…) non ricorrono le
condizioni di cui al comma 1, lett. c)
dell’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i.”,
inoltre “che il soggetto (persone fisiche
sopraindicate) ha subito le seguenti
condanne”; ed altresì “che il soggetto
(persone fisiche sopraindicate) ha subito le
seguenti condanne per le quali ha
beneficiato della non menzione”.
Dal tenore letterale della suddetta formula
dichiarativa si evince chiaramente che la
stazione appaltante non si era limitata a
chiedere ai partecipanti alla gara una mera
dichiarazione di insussistenza delle
specifiche condizioni previste dalla
fattispecie legale espressamente richiamata,
ossia dal comma 1, lett. c) dell’art. 38 del
D.Lgs. n. 163/2006.
Se così fosse, infatti, sarebbe legittimo,
da parte dell’impresa esclusa, invocare il
disposto di cui alla parte finale di detta
lett. c), che recita “resta salva in ogni
caso l’applicazione dell’articolo 178 del
codice penale e dell’art. 445, comma 2, del
codice di procedura penale”, ed
evidenziare al riguardo che, una volta
pronunciata dal giudice di sorveglianza la
riabilitazione del condannato, di cui
all’art. 178 c.p. (derivandone l’estinzione
del reato e delle pene accessorie ed ogni
altro effetto penale della condanna) ovvero
riconosciuto dal tribunale estinto il reato
per il decorso del termine di cinque anni o
due anni (a seconda che si tratti di delitto
o contravvenzione), ai sensi dell’art. 445,
comma 2, c.p.p., resta preclusa alla
stazione appaltante la possibilità di
valutare negativamente, ai fini
dell’ammissione alla specifica gara, i fatti
di cui alla inflitta sentenza di condanna,
facendo discendere da ciò l’insussistenza
dell’obbligo di dichiarare le condanne
coperte da provvedimenti di estinzione ai
fini della dimostrazione del requisito della
moralità professionale previsto dall’art. 38
del D.Lgs. n. 163/2006 (Cons. Stato, Sez. V,
31.10.2008, n. 5461).
Peraltro, tale argomentazione non
consentirebbe comunque di ritenere la
depenalizzazione istituto sostanzialmente
analogo, a tal fine, a quello
dell’estinzione del reato (in tal senso, da
ultimo TAR Lazio, Roma, Sez. III-quater,
25.03.2009, n. 3215), atteso che le
disposizioni, come quella contenuta nella
parte finale della lett. c) dell’art. 38,
sopra citata, che derogano al principio
generale di dichiarare le condanne penali
subite, sono, invero, di stretta
interpretazione, per cui non è concepibile
una norma derogatoria che venga ricavata in
via di interpretazione estensiva o analogica
(Cons. Stato, sez. V, 17.02.2004, n. 596).
La stazione appaltante, invece, come ben
poteva in ragione della preminente tutela
dell’interesse pubblico alla selezione di un
concorrente moralmente e professionalmente
affidabile, aveva scelto di chiedere ai
partecipanti una dichiarazione sostitutiva,
resa dagli stessi sotto la loro
responsabilità, molto più ampia, che onerava
i medesimi ad una dettagliata elencazione di
tutte le condanne subite, senza eccezione
alcuna, con l’ulteriore specificazione delle
condanne contenenti il beneficio della non
menzione.
Ne discende che, in tale ambito
disciplinare, i partecipanti alla gara erano
obbligati a rendere una dichiarazione
veritiera, attestando tutti i reati commessi
dai soggetti tenuti alla dichiarazione
medesima, compresi gli eventuali reati già
estinti o depenalizzati (in tal senso vedi
Cons. Stato, Sez. IV, 01.10.2007, n. 5053).
Conseguentemente, avendo la R.S. Costruzioni
Generali s.r.l. omesso di dichiarare due
condanne penali, risultanti dal Casellario
Giudiziale, a carico del Rappresentante
legale e del Direttore tecnico cessato dalla
carica nel triennio antecedente la data del
bando, ancorché per reati estinti e
depenalizzati, correttamente il Comune di
Altavilla Vicentina ha ritenuto sussistente
una falsa dichiarazione sulle condizioni
rilevanti per l’ammissione all’appalto ed ha
provveduto ad escludere l’impresa medesima
dalla procedura in oggetto, prescindendo
dalla valutazione in ordine all’idoneità
della condanna riportata ad incidere sulla
moralità professionale dell’impresa stessa,
e procedendo, altresì, ad effettuare la
relativa comunicazione a questa Autorità, ai
fini dell’inserimento dell’impresa medesima
nel Casellario Informatico per dichiarazione
mendace, ex art. 27 del D.P.R. 25.01.2000,
n. 34.
Per quanto riguarda, invece, il diverso
profilo dell’incameramento, da parte della
stazione appaltante, della fidejussione
provvisoria presentata dalla R.S.
Costruzioni Generali s.r.l., si evidenzia
che, come già chiarito da questa Autorità,
in caso di false dichiarazioni concernenti i
requisiti di ordine generale, trattandosi di
requisiti di natura diversa da quelli di
carattere speciale, non sono da ritenersi
applicabili le specifiche sanzioni di cui
all’art. 48 del D.Lgs. n. 163/2006, tra cui
l’escussione della cauzione provvisoria.
Osta a tal fine la natura sanzionatoria
della norma contenuta nell’articolo 48 del
D.Lgs. n. 163/2006, per cui, in ossequio al
principio di legalità e al divieto di
estensione analogica delle disposizioni di
tale tipologia, la stessa deve ritenersi
norma di stretta interpretazione e , quindi,
non estendibile ad altre ipotesi (v. parere
dell’Autorità n. 29 del 26.02.2009).
Infine, in ordine all’impresa Polo s.r.l.,
in favore della quale è stata disposta
l’aggiudicazione provvisoria, alla luce
delle argomentazioni giuridiche sopra
sostenute si rileva che, avendo l’impresa di
cui trattasi omesso di dichiarare un decreto
penale di condanna a carico del
Rappresentante legale e Direttore tecnico
della stessa, divenuto esecutivo nel 2004,
sussistono le condizioni per qualificare
come non veritiera anche la dichiarazione
resa da tale impresa concorrente nel punto
a10. dell’apposito modulo di istanza di
ammissione alla gara (Allegato 2). Per ciò
stesso, quindi, l’impresa Polo s.r.l. deve
subire, previo annullamento d’ufficio del
provvedimento di aggiudicazione provvisoria,
le stesse sanzioni comminate a carico della
R.S. Costruzioni Generali s.r.l., alle
quali, peraltro, deve essere aggiunta anche
l’escussione della cauzione provvisoria,
che, in tal caso, trova il suo fondamento
giuridico nella specifica disposizione di
cui all’art. 75, comma 6, del D.Lgs. n.
163/2006, atteso che la predetta garanzia
copre “la mancata sottoscrizione del
contratto per fatto dell’affidatario”.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che il Comune di
Altavilla Vicentina:
- a fronte della falsa dichiarazione resa
dalla R.S. Costruzioni Generali s.r.l.
relativamente al possesso di requisiti di
ordine generale, abbia correttamente
proceduto all’esclusione dell’impresa
concorrente dalla gara e alla relativa
comunicazione a questa Autorità, ai fini
dell’inserimento dell’impresa stessa nel
Casellario Informatico per dichiarazione
mendace, ex art. 27 del D.P.R. 25.01.2000,
n. 34, ma che non possa, invece, applicare
all’impresa medesima la sanzione
dell’escussione della cauzione provvisoria,
prevista dall’art. 48 del D.Lgs. n. 163/2006
per la mancata comprova dei requisiti di
carattere speciale;
- a fronte della falsa dichiarazione resa
dall’impresa provvisoria aggiudicataria Polo
s.r.l relativamente al possesso di requisiti
di ordine generale, debba applicare le
stesse sanzioni comminate alla R.S.
Costruzioni Generali s.r.l., alle quali deve
essere aggiunta anche l’escussione della
cauzione provvisoria, ai sensi dell’art. 75,
comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006
(parere
09.07.2009 n. 75 - link a
massimario.avlp.it). |
APPALTI:
1. Gara d'appalto - Commissioni
di gara - Riesame procedimento di sua
competenza già espletato - Riesame
illegittima ammissione alla gara -
Ammissibilità.
2. Gara d'appalto - Partecipazione di rti -
Mancata indicazione parti del servizio
eseguite dai singoli operatori economici -
Rilevanza solo nel caso di ati verticali.
Ritenuto in diritto:
La questione giuridica sottoposta
all’attenzione di questa Autorità con la
prospettazione dei fatti rappresentati
consiste nello stabilire se ed in quali
limiti è ammissibile il riesame da parte
della Commissione di gara della fase del
procedimento di sua competenza già
espletato.
Al riguardo è opportuno, preliminarmente,
precisare che la Commissione di gara è un
organo straordinario e temporaneo
dell’amministrazione aggiudicatrice (Cons.
Stato, Sez. IV, 04.02.2003, n. 560), la cui
attività acquisisce rilevanza esterna solo
in quanto recepita e approvata dagli organi
competenti della predetta amministrazione.
Infatti, essa svolge compiti di natura
essenzialmente tecnica, con funzione
preparatoria e servente rispetto
all’amministrazione appaltante, essendo
investita della specifica funzione di esame
e valutazione delle offerte formulate dai
concorrenti, finalizzata all’individuazione
del miglior contraente possibile, attività
che si concreta nella c.d. aggiudicazione
provvisoria. Come è intuitivo, pertanto, la
funzione di detta Commissione si esaurisce
soltanto con l’approvazione del proprio
operato da parte degli organi competenti
dell’amministrazione appaltante e, cioè, con
il provvedimento di c.d. aggiudicazione
definitiva.
In considerazione di quanto sopra, un
consolidato orientamento giurisprudenziale
ritiene che la Commissione di gara sia
titolare di un potere di autotutela
decisoria, sostenendo che la stessa possa
riesaminare il procedimento di gara già
espletato, riaprendolo per emendarlo da
errori commessi e da illegittimità
verificatesi, “anche in relazione
all’eventuale illegittima ammissione o
esclusione dalla gara di un’impresa
concorrente”, (ex multis Cons. Stato,
Sez. IV, 05.10.2005, n. 5360), che
costituisce propriamente il profilo che è
venuto in rilievo nel caso di specie, e
senza che ciò possa configurare un autonomo
procedimento cui ricollegare l’obbligo di
comunicazione dell’avvio del procedimento
(in tal senso, Cons. Stato, Sez. V,
01.12.2003, n. 7833), essendo unitario,
ancorché articolato in varie fase, il
procedimento per la scelta del contraente da
parte della stazione appaltante che si
conclude con l’aggiudicazione definitiva
(tra le tante, Cons. Stato, Sez. V,
02.04.2001, n. 1909).
Al riguardo è altresì opportuno evidenziare
che, sebbene la Commissione di gara, in sede
di revisione, possa riesaminare, annullare
e/o rettificare gli atti già posti in
essere, nell’esercizio del potere di
autotutela, fino a quando l’amministrazione
non proceda all’approvazione degli atti di
gara, tuttavia tale attività di riesame deve
comunque avvenire, a buste aperte e quindi
ad offerte conosciute, solo per l’attività
valutativa vincolata a parametri oggettivi e
predeterminati dal bando, senza alcun
esercizio di discrezionalità tecnica (Cons.
Stato, Sez. VI, 24.02.2005, n. 683), come ha
dichiarato di aver fatto nel caso di specie
la stazione appaltante, la quale ha
affermato di essersi limitata a ricalcolare
i soli punteggi delle offerte relativi alle
voci “tempo di consegna” degli elaborati e
“offerta economica”, trattandosi di una mera
formula matematica.
Tale potere di riesame costituisce concreta
attuazione dei principi costituzionali di
legalità, imparzialità e buon andamento,
consacrati dall’art. 97 Cost., che devono
informare qualsiasi attività della Pubblica
Amministrazione e che impongono,
conseguentemente, l’adozione di atti il più
possibile rispondenti ai fini da conseguire
e che, con riguardo all’attività della
Commissione di gara, si configura proprio
come autotutela.
Quanto al principio di continuità e
concentrazione della gara, invocato
dall’impresa istante, che pure costituisce
esplicazione dei più generali principi di
buon andamento, imparzialità, trasparenza e
correttezza dell’operato
dell’amministrazione ed è finalizzato a
garantire che le operazioni di gara si
svolgano in modo imparziale, nel rispetto
della par condicio dei concorrenti, si
evidenzia che il principio in questione può
in concreto subire eccezioni in quelle
particolari situazioni che obiettivamente
impediscono la conclusione delle operazioni
di gara in una sola seduta, tra le quali può
certamente annoverarsi anche quella che
legittima la rinnovazione del procedimento,
tanto più quando tale rinnovazione è
finalizzata all’eliminazione, in via di
autotutela, di vizi di legittimità del
precedente operato.
Nessun rilievo, pertanto, può sollevarsi nel
caso di specie in merito al riesame
condotto, nelle more del provvedimento di
aggiudicazione definitiva, dalla Commissione
di gara sul procedimento già espletato, per
emendarlo da errori commessi in relazione
alla illegittima ammissione alla gara di un
concorrente.
Per quanto riguarda, invece, il merito
dell’esclusione dell’istante con la
motivazione che “L’offerta non contiene
gli elementi di cui all’art. 37 del D.Lgs.
n. 163/2006. In particolare non sono
specificate le parti/quote del servizio che
saranno eseguite dai singoli operatori
economici”, si deve rilevare,
innanzitutto, che l’art. 37, comma 4 del
D.Lgs. n. 163/2006 dispone che i
raggruppamenti temporanei di imprese e i
consorzi, qualora partecipino a gara
d’appalto di servizi e forniture, devono
specificare in sede di offerta “le parti
del servizio o della fornitura che saranno
eseguite dai singoli operatori economici
riuniti o consorziati”, e che tale
prescrizione, secondo un recente
orientamento giurisprudenziale, discendendo
direttamente dalla fonte primaria, non deve
necessariamente essere ripetuta nel bando di
gara (Cons. Stato, Sez. V, 28.09.2007, n.
5005).
Al tempo stesso, tuttavia, occorre segnalare
l’orientamento che si è affermato in
relazione ai previgenti artt. 11, D.Lgs.
17.03.1995, n. 157 e 10 D.Lgs. 24.07.1992,
n. 358, che contenevano prescrizioni
analoghe al citato l’art. 37, comma 4 del
D.Lgs. n. 163/2006, circa la corretta
interpretazione da attribuire a disposizioni
di siffatto tenore letterale.
In particolare, muovendo dal rilievo che il
legislatore parla propriamente di “parti”
della prestazione e non di quote, la
giurisprudenza ha escluso che sussista un
obbligo di specificare la ripartizione
quantitativa di un “unico” servizio tra le
imprese raggruppate. Di conseguenza si è
dedotto che la disposizione di cui trattasi
è applicabile alla sola ipotesi di
raggruppamenti “verticali” o “misti”, vale a
dire con scorporo di singole parti per le
quali rispondono in solido solo l’impresa
esecutrice e quella mandataria, rendendosi
in tal caso necessario specificare i diversi
servizi destinati a essere svolti da
ciascuna impresa. Viceversa, la suddetta
disposizione non trova margini di
applicazione nel caso di riunioni
“orizzontali”, laddove tutti gli operatori
economici eseguono il tutto, e quindi il
medesimo tipo di prestazione, e tutte le
imprese sono responsabili dell’intero in
solido (Cons. Stato, Sez. V, 26.11.2008, n.
5849; Cons. Stato, Sez. V, 28.03.2007, n.
1440; Tar Lazio, Roma, Sez. III-ter
25.08.2006, n. 7524; parere dell’Autorità n.
28 del 26.02.2009).
Stante la carenza in atti di documentazione
idonea a stabilire la natura, orizzontale,
verticale o mista del costituendo
raggruppamento con il quale l’istante
GEOSYSTEM s.a.s. ha partecipato alla gara in
oggetto, si può concludere nel senso che
l’esclusione disposta dal Comune di
Fiumicino può ritenersi legittima solo
laddove il raggruppamento in questione sia
di tipo verticale o misto.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che:
- nelle more del provvedimento di
aggiudicazione definitiva, è ammissibile il
riesame da parte della Commissione di gara
del procedimento di sua competenza già
espletato, per emendarlo da errori commessi
anche in relazione alla illegittima
ammissione alla gara di un concorrente ;
- in assenza di una specifica disposizione
nella lex specialis, l’esclusione
dalla gara del RTI concorrente per mancata
specificazione nell’offerta delle parti del
servizio che saranno eseguite dai singoli
operatori economici è legittima solo laddove
il raggruppamento in questione sia di tipo
verticale o misto
(parere
09.07.2009 n. 74 - link a
massimario.avlp.it). |
APPALTI:
Gara d'appalto - Cauzione
provvisoria - Finalità - Individuazione -
Cauzione definitiva - Finalità -
Individuazione - Impegno a rilasciare
cauzione definitiva - Omissione - Esclusione
dalla gara - Va disposta.
Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità
con la prospettazione dei fatti
rappresentati, attiene alla conformità alle
prescrizioni della lex specialis di
una cauzione provvisoria prodotta in sede di
gara.
L’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006, in
relazione alla cauzione provvisoria, che ha
la funzione di coprire la mancata
sottoscrizione del contratto per fatto
dell’affidatario, stabilisce al comma 1, che
l’offerta sia corredata da una garanzia pari
al due per cento del prezzo base indicato
nel bando o nell’invito, sotto forma di
cauzione o di fideiussione a scelta
dell’offerente.
Il successivo comma 5 del medesimo articolo
prevede che la garanzia debba avere una
validità per almeno centottanta giorni dalla
data di presentazione dell’offerta, salvo
diversa disposizione indicata nel bando o
nella lettera d’invito.
Inoltre, al comma 8 dello stesso articolo 75
è sancito che l’offerta sia corredata, a
pena di esclusione, dall’impegno di un
fideiussore a rilasciare la garanzia
fideiussoria per l’esecuzione del contratto
di cui all’articolo 113, qualora l’offerente
risultasse aggiudicatario.
Tale ultima previsione è espressione di uno
specifico interesse pubblico al corretto
svolgimento della gara ed all’assicurazione
dei migliori risultati possibili in termini
di efficienza dell’azione amministrativa, al
fine di scongiurare il rischio che, nel
prosieguo della procedura, il soggetto che
ha rilasciato la fideiussione provvisoria ad
un’impresa offerente, nell’ipotesi in cui
essa risulti affidataria dell’appalto, possa
rifiutarsi di prestare anche la cauzione
definitiva, con la conseguente interruzione
della procedura.
E’ per tali ragioni che il consolidato
orientamento assunto sia dalla
giurisprudenza amministrativa sia
dall’Autorità consente di escludere
un’offerta non corredata dell’impegno di cui
all’articolo 75, comma 8 (in tal senso, TAR
Lazio, Roma, sez. III, sentenza n. 106 del
12.01.2009 e sentenza n. 6366 del
02.07.2008; AVCP, parere n. 186 del
12.06.2008).
Al riguardo è stato anche precisato che la
cauzione provvisoria e la cauzione
definitiva assolvono a due funzioni diverse
e comunque indispensabili a garantire il
corretto svolgersi della procedura
concorsuale e che, pertanto, la fase
dell’impegno a promettere la prestazione
della cauzione definitiva, che deve essere
contestuale alla prestazione della cauzione
provvisora (al momento della presentazione
dell’offerta), va distinta dall’effettivo
impegno alla cauzione definitiva che, anche
nell’importo, deve essere definita solo dopo
l’aggiudicazione ed è esclusivamente
finalizzata a garantire il pubblico
interesse che tale definitivo impegno sia
poi effettivamente sottoscritto.
Nel caso di specie, il bando di gara, in
conformità all’articolo 75, prevedeva
(articolo 13, punto e) lettera c)) l’obbligo
di corredare l’offerta dell’impegno del
fideiussore a “rilasciare in caso di
aggiudicazione dell’appalto, una
fideiussione o polizza relativa alla
cauzione definitiva, di cui all’articolo 75,
comma 8, del D.Lgs. n. 163/2006, in favore
della Stazione Appaltante valida fino a
dodici mesi dalla data di ultimazione della
fornitura ed allestimento risultante dal
relativo certificato (articolo 101 del
D.P.R. n. 554/1999).” Disponendo altesì: “I
contratti fideiussori ed assicurativi
debbono essere conformi agli schemi di
polizza tipo di cui al comma 1 del D.M. 12
marzo 2004 n. 123. […] Non saranno accettate
le fideiussioni bancarie o le polizze
assicurative che non contemplino le
condizioni suddette.”
Dall’analisi della documentazione pervenuta
si evince che la polizza fideiussoria
presentata dalla concorrente società
Fratelli Schiavone S.p.A. contiene
un’apposita appendice in cui viene
precisato: “La presente polizza viene
presentata in conformità a quanto previsto
dall’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006. I
richiami contenuti nello schema tipo 1.1. di
cui al D.M. 123 del 12.03.2004 devono
intendersi fatti con riferimento ai
corrispondenti articoli del D.Lgs. n.
163/2006 che hanno sostituito e abrogato la
legge n. 109/1994. Qualora il contraente
risultasse aggiudicatario dell’appalto, la
presente polizza deve intendersi
automaticamente svincolata al momento della
sottoscrizione del contratto di appalto. In
tale ipotesi il garante si impegna sin da
ora nei confronti del contraente a
rilasciare la garanzia fideiussoria per la
cauzione definitiva prevista dall’articolo
113 del Decreto Legislativo. […]”
Dunque, l’appendice alla polizza prodotta,
in ossequio a quanto precisato dall’Autorità
nel parere n. 106 del 09.04.2008, non si
limita esclusivamente a rinviare allo schema
tipo 1.1 del D.M. 12.03.2004 (relativo alla
garanzia fideiussoria per la cauzione
provvisoria), che peraltro non contiene
alcun riferimento all’impegno del
fideiussore a rilasciare una polizza
fideiussoria relativa alla cauzione
definitiva, ma contiene specificamente il
menzionato impegno da parte del fideiussore
ai sensi dell’articolo 75, comma 8, del
D.Lgs. n. 163/2006; tuttavia, la
precisazione operata dalla Compagnia
Assicurativa è sprovvista della necessaria
indicazione della durata di validità della
cauzione medesima, ovvero, come richiesto
dal bando “valida fino a dodici mesi
dalla data di ultimazione della fornitura ed
allestimento risultante dal relativo
certificato”.
Né può colmare tale lacuna il rinvio
contenuto nella polizza allo schema tipo 1.1
del D.M. 12.03.2004, dal momento che il
medesimo non include alcun riferimento alla
durata della cauzione definitiva, contenuto
invece nello schema tipo 1.2 del D.M. n.
123/2004.
Ne consegue che, considerata la specifica
ratio sottesa all’impegno di cui
all’articolo 75, comma 8, nonché il
particolare interesse pubblico perseguito
dall’Amministrazione nel richiedere una
determinata durata di validità della
cauzione definitiva, la Stazione Appaltante
non avrebbe potuto ammettere alle successive
fasi della procedura un’offerta priva delle
condizioni richieste dal bando di gara, a
pena di esclusione.
Diversamente opinando, la Stazione
Appaltante sarebbe, peraltro, incorsa nella
violazione sia del principio di par
condicio, a danno di quei concorrenti che,
invece, avevano provveduto a corredare
l’offerta di tutte le condizioni prescritte
dal bando, sia del principio dell’autovincolo,
trattandosi di una prescrizione
specificamente indicata nel bando di gara,
come condizione di ammissibilità
dell’offerta.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che il provvedimento di
esclusione della Società Fratelli Schiavone
S.p.A. adottato dal Comune di Rodi Milici è
conforme alla normativa in materia di
contratti pubblici
(parere
09.07.2009 n. 73 - link a
massimario.avlp.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di demolizione di manufatti
abusivi, e ancor prima quello di
accertamento della non sanabilità
dell’opera, sono entrambi atti dovuti e,
come tali, non necessitano di motivazione in
ordine all'attualità dell'interesse pubblico
alla rimozione dell’abuso.
La comunicazione di avvio del procedimento
non deve essere effettuata tutte le volte in
cui l’Amministrazione eserciti un’attività
di tipo vincolato, per di più connotata
dall’urgenza, come nel caso delle sanzioni
edilizie.
Il provvedimento di demolizione di manufatti
abusivi, e ancor prima quello di
accertamento della non sanabilità
dell’opera, sono entrambi atti dovuti (fra
le tante, C.d.S., VI, 28.06.2004, n. 4743) e
come tali non necessitano di motivazione in
ordine all'attualità dell'interesse pubblico
alla rimozione dell’abuso. Detto interesse è
da ritenersi infatti in re ipsa,
nella stessa rimozione, rispondendo questa
alla esigenza di ripristino dell’assetto
urbanistico violato.
Anche questa Sezione ha avuto modo di
precisare più volte che l'Amministrazione
non dispone -a fronte degli illeciti
edilizi- di alcun margine di discrezionalità
e ha quindi l'obbligo di intervenire con un
atto repressivo, dovuto nell'an e
vincolato nel suo contenuto, senza che su di
esso possa influire alcuna comparazione tra
interessi pubblici ed interessi privati (fra
tante, TAR Campania-Napoli, sez. IV,
13.05.2008, n. 4256).
Si deve rilevare, con la consolidata
giurisprudenza, che la comunicazione di
avvio del procedimento non deve essere
effettuata tutte le volte in cui
l’Amministrazione eserciti un’attività di
tipo vincolato, per di più connotata
dall’urgenza, come nel caso delle sanzioni
edilizie.
Invero, gli atti di repressione degli abusi
edilizi hanno natura urgente e strettamente
vincolata (essendo dovuti in assenza di
titolo per l'avvenuta trasformazione del
territorio), con la conseguenza che, non
essendo richiesti apporti partecipativi del
soggetto destinatario, non devono essere
preceduti da alcuna comunicazione di avvio
del relativo procedimento (TAR Campania
Napoli, sez. IV, 01.08.2008, n. 9710);
pertanto, l'assenza della comunicazione
dell'avvio del relativo procedimento risulta
irrilevante, anche alla luce di quanto
disposto nell'art. 21-octies della l.
07.08.1990 n. 241, introdotto dall'art. 14
della l. 11.02.2005 n. 15, il quale esclude
possa annullato il provvedimento qualora sia
palese che il suo contenuto dispositivo non
può essere diverso da quello in concreto
adottato (Consiglio Stato, sez. VI,
06.06.2008, n. 2733)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 05.08.2009 n. 4732 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di una veranda è da
considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un
nuovo locale autonomamente utilizzabile e
difetta normalmente del carattere di
precarietà, trattandosi di opera destinata
non a sopperire ad esigenze temporanee e
contingenti con la sua successiva rimozione,
ma a durare nel tempo, ampliando così il
godimento dell'immobile.
Per costante
giurisprudenza (anche di questo TAR: cfr. ad
esempio TAR Campania Napoli, sez. IV,
08.06.2007, n. 6038; TAR Campania Napoli,
sez. IV, 06.07.2007, n. 6551; TAR Campania
Napoli, sez. VI, 03.08.2007, n. 7258; TAR
Campania Napoli, sez. IV, 13.05.2008, n.
4255; TAR Campania Napoli, sez. IV,
17.02.2009, n. 847), da cui il Collegio non
ravvisa motivi di discostarsi nel caso di
specie, gli interventi edilizi che
determinano una variazione planivolumetrica
ed architettonica dell'immobile nel quale
vengono realizzati, quali le verande in
vetro e alluminio edificate sulla balconata
di un appartamento, pur avendo carattere
pertinenziale rispetto all'immobile cui
accedono, sono soggetti al preventivo
rilascio di apposita concessione edilizia
(ora, permesso di costruire).
Ciò in quanto, in materia edilizia, una
veranda è da considerarsi, in senso
tecnico-giuridico, un nuovo locale
autonomamente utilizzabile e difetta
normalmente del carattere di precarietà,
trattandosi di opera destinata non a
sopperire ad esigenze temporanee e
contingenti con la sua successiva rimozione,
ma a durare nel tempo, ampliando così il
godimento dell'immobile (Cassazione penale,
sez. III, 10.01.2008, n. 14329)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 05.08.2009 n. 4732 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
criterio di distinzione di un'opera precaria
o meno è non già strutturale bensì
funzionale: "... sono precari i manufatti
che risultano destinati a soddisfare
esigenze di carattere contingente e ad
essere quindi eliminati”.
Le disposizioni del T.U. dell’edilizia (d.P.R.
n. 380/2001), elencando tassativamente le
ipotesi di interventi che non richiedono
titolo edilizio alcuno, ha definitivamente
sancito, richiamandosi all’orientamento
giurisprudenziale maggioritario, che il
criterio di distinzione di un'opera precaria
o meno è (non già strutturale) bensì
funzionale: "... sono precari i manufatti
che risultano destinati a soddisfare
esigenze di carattere contingente e ad
essere quindi eliminati”.
Sicché è soggetto a concessione edilizia (o
permesso di costruire) il manufatto che, pur
se non infisso al suolo, ma solo aderente in
modo stabile ad esso, è destinato ad un uso
perdurante nel tempo.
Infatti, produce una trasformazione
urbanistica ogni intervento che alteri in
modo rilevante e duraturo lo stato del
territorio, anche in relazione alla sua
qualificazione giuridica, a nulla rilevando
l’eventuale precarietà strutturale del
manufatto, se non si traduca in un uso per
fini contingenti e specifici (cfr., ex
multis, Cons. St., sez. V, 31.05.2001 n.
343).
Le roulottes, sono state posizionate dal
ricorrente in area assoggettata a vincolo
paesaggistico ai sensi della L. n.
1497/1939, con l’aggiunta di un’intelaiatura
in ferro fissata al suolo che dà senz’altro
vita ad un rudimentale manufatto destinato
ad un uso duraturo, ancorché ciclico in
concomitanza con il periodo estivo.
D’altra parte, non va da ultimo sottaciuto,
che l’art. 3, lett. e) del 5 citato T.U. n.
380/2001, letteralmente inteso, considera
nuove costruzioni “l’istallazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati e di
strutture qualsiasi quali roulottes….che
siano utilizzati come abitazioni ….e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 05.08.2009 n. 773 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
realizzare una tettoia occorre il permesso
di costruire.
La costruzione della stessa: non può essere
annoverata nel concetto di manutenzione
straordinaria; è priva del carattere della
precarietà ed amovibilità; non può essere
considerata pertinenza.
Il Collegio condivide l’interpretazione
giurisprudenziale secondo la quale “La
realizzazione di una tettoia è soggetta a
concessione edilizia ai sensi dell'art. 1,
l. 28.01.1977 n. 10, in quanto essa, pur
avendo carattere pertinenziale rispetto
all'immobile cui accede, incide sull'assetto
edilizio preesistente. La costruzione di una
tettoia non rientra nel concetto di
manutenzione straordinaria, atteso che
quest'ultima si fonda sul duplice
presupposto che i lavori progettati siano
preordinati alla mera rinnovazione o
sostituzione di parti dell'edificio o alla
realizzazione di impianti igienici sanitari
e che i volumi e le superfici preesistenti
non vengano alterati o non siano destinati
ad altro uso” (TAR Campania Napoli, sez.
VI, 17.12.2008, n. 21346).
“La tettoia realizzata sul terrazzo di un
fabbricato, in quanto struttura stabilmente
ancorata al pavimento e destinata a
soddisfare non una esigenza temporanea e
contingente, ma prolungata nel tempo, è
priva del carattere della precarietà ed
amovibilità ed è quindi assoggettata al
regime del permesso di costruire, dal
momento che comporta una rilevante modifica
dell'assetto edilizio preesistente" (TAR
Campania Napoli, sez. IV, 21.12.2007, n.
16493).
"Una tettoia avente carattere di
stabilità, realizzata in aderenza ad un
preesistente fabbricato ed idonea ad
un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter
essere considerata una mera pertinenza,
costituisce un'opera esterna per la cui
realizzazione occorre il permesso di
costruire” (TAR Lombardia Milano, sez.
II, 04.12.2007, n. 6544)
(TAR Lazio-Roma,
sentenza 05.08.2009 n. 771 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Laddove
il bando richiede genericamente una
dichiarazione di insussistenza delle cause
di esclusione dell’art. 38, del codice dei
contratti, esso giustifica una valutazione
di gravità/non gravità compiuta dal
concorrente, sicché il concorrente non può
essere escluso per il solo fatto
dell’omissione formale, cioè di non aver
dichiarato tutte le condanne penali o tutte
le violazioni contributive; andrà escluso
solo ove la stazione appaltante ritenga che
le condanne o le violazioni contributive
siano gravi e definitivamente accertate.
Diverso discorso deve essere fatto quando il
bando sia più preciso, e non si limiti a
chiedere una generica dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all’art. 38, codice, ma specifichi che
vanno dichiarate tutte le condanne penali, o
tutte le violazioni contributive: in tal
caso, il bando esige una dichiarazione dal
contenuto più ampio e più puntuale rispetto
a quanto prescritto dall’art. 38 codice,
all’evidente fine di riservare alla stazione
appaltante la valutazione di gravità o meno
dell’illecito, al fine dell’esclusione. In
siffatta ipotesi, la causa di esclusione non
è solo quella, sostanziale, dell’essere
stata commessa una grave violazione, ma
anche quella, formale, di aver omesso una
dichiarazione prescritta dal bando.
L’art. 38, d.lgs. n. 163/2006 menziona i
c.d. requisiti di ordine morale, aventi
carattere generale, nel senso che devono
essere posseduti da tutti i concorrenti in
qualsivoglia gara di appalto.
Essi differiscono dai requisiti c.d.
speciali, che riguardano non il profilo
<<morale>>, ma la capacità
tecnico-professionale o
economico-finanziaria, e che variano a
seconda del tipo di appalto e di oggetto
della prestazione.
La mancanza dei requisiti generali si
traduce in altrettante cause di esclusione.
L’art. 38 elenca da un lato requisiti (e
conseguenti cause di esclusione) il cui
accertamento è <<oggettivo>>, e non implica
valutazione alcuna, ad es. il fallimento, la
pendenza di un procedimento di prevenzione,
e dall’altro lato requisiti (e conseguenti
cause di esclusione), il cui accertamento
implica una valutazione da parte della
stazione appaltante: ad es. la condanna per
reati <<gravi>> incidenti sulla <<moralità
professionale>>, la <<grave negligenza>>
nell’esecuzione di precedenti contratti, le
violazioni <<gravi>> in materia
previdenziale.
In relazione ai requisiti per i quali
occorre compiere non un accertamento
vincolato, ma una valutazione, si pone la
questione, che ha avuto finora soluzione non
univoca, di come debba essere formulata la
dichiarazione del concorrente, in ordine al
possesso dei requisiti.
Su come vada formulata la dichiarazione, non
può tuttavia disquisirsi in astratto, in
quanto occorre avere riguardo alla legge
speciale di gara (bando e disciplinare), e
dunque verificare quale contenuto il bando
attribuisce a tale dichiarazione.
Non di rado i bandi richiedono,
genericamente, che il concorrente dichiari
di non trovarsi in una delle situazioni che
sono causa di esclusione ai sensi dell’art.
38, codice.
Ora, l’art. 38, considera causa di
esclusione l’aver riportato condanna penale
per <<reati gravi>> incidenti sulla moralità
professionale; ovvero l’aver commesso
violazioni <<gravi>> alle norme in materia
di contributi previdenziali o assistenziali.
La valutazione di <<gravità>> implica un
apprezzamento che può essere compiuto
diversamente dal concorrente e dalla
stazione appaltante.
Sicché, se il bando indica genericamente di
dichiarare l’insussistenza di una causa di
esclusione, esso, di fatto, legittima il
concorrente che abbia riportato condanne
penali, o commesso violazioni in materia
contributiva, a compiere una valutazione di
gravità/non gravità.
Si pone pertanto la questione se possa
considerarsi <<falsa>> una dichiarazione del
concorrente, con cui si afferma di non aver
riportato condanne per gravi reati incidenti
sulla moralità professionale, ovvero di non
aver commesso gravi violazioni in materia
contributiva, laddove sussistano condanne o
violazioni in materia contributiva, ma esse
si prestino a una valutazione opinabile di
gravità/non gravità.
Un orientamento di questo Consesso, che il
Collegio condivide e fa proprio, ha ritenuto
che laddove il bando richiede genericamente
una dichiarazione di insussistenza delle
cause di esclusione dell’art. 38, codice,
esso giustifica una valutazione di
gravità/non gravità compiuta dal
concorrente, sicché il concorrente non può
essere escluso per il solo fatto
dell’omissione formale, cioè di non aver
dichiarato tutte le condanne penali o tutte
le violazioni contributive; andrà escluso
solo ove la stazione appaltante ritenga che
le condanne o le violazioni contributive
siano gravi e definitivamente accertate.
La dichiarazione del concorrente, in tale
caso, non può essere ritenuta <<falsa>>
(Cons. St., sez. V, 08.09.2008 n. 4244;
Cons. St., sez. V, 07.10.2008 n. 4897; Cons.
St., sez. V, 22.02.2007 n. 945, che osserva
testualmente che ove il bando richieda
genericamente una dichiarazione circa la
insussistenza delle cause di esclusione
legali, il bando di fatto demanda <<al
singolo concorrente il giudizio circa
l’incidenza sull’affidabilità morale e
professionale di eventuali reati dal
medesimo commessi>> sicché <<è da
escludere che possa qualificarsi falsa
dichiarazione una valutazione soggettiva del
concorrente stesso (la quale potrà tutt’al
più non essere condivisa,ma giammai potrà
essere ritenuta falsa, e cioè non
corrispondente ad un dato oggettivamente
riscontrabile). Diversa sarebbe stata la
situazione se fosse stato imposto al
concorrente di dichiarare tutti i reati per
i quali fossero intervenute sentenze di
condanna passate in giudicato o applicazione
della pena a richiesta ex art. 444 del
codice di procedura penale,affidando poi
all’amministrazione ogni valutazione in
proposito. In tal caso infatti, qualora il
concorrente avesse omesso di dichiarare
taluno di tali reati, si sarebbe potuta
configurare una falsa autocertificazione,
con conseguente esclusione dalla gara>>).
Diverso discorso deve essere fatto quando il
bando sia più preciso, e non si limiti a
chiedere una generica dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all’art. 38, codice, ma specifichi che
vanno dichiarate tutte le condanne penali, o
tutte le violazioni contributive: in tal
caso, il bando esige una dichiarazione dal
contenuto più ampio e più puntuale rispetto
a quanto prescritto dall’art. 38 codice,
all’evidente fine di riservare alla stazione
appaltante la valutazione di gravità o meno
dell’illecito, al fine dell’esclusione.
In siffatta ipotesi, la causa di esclusione
non è solo quella, sostanziale, dell’essere
stata commessa una grave violazione, ma
anche quella, formale, di aver omesso una
dichiarazione prescritta dal bando
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.08.2009 n. 4906 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
necessità o meno del permesso di costruire
per la realizzazione di una recinzione.
I muri di recinzione di lunghezza notevole
(cfr. ordinanza impugnata) e alti da 0,80 a
160 cm. giammai possono essere qualificati
meri interventi di straordinaria
manutenzione come affermato dalla difesa di
parte ricorrente.
In tal senso, deve essere condiviso
l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui «la
valutazione in ordine alla necessità della
concessione edilizia per la realizzazione di
opere di recinzione va effettuata sulla
scorta dei seguenti due parametri: natura e
dimensioni delle opere e loro destinazione e
funzione» (TAR Lazio Latina, sez. I,
03.09.2008 , n. 1050, cfr., anche, TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 27.02.2009, n.
1151).
In base a tale criterio, può ritenersi non
necessario il permesso per costruire per
modeste recinzioni di fondi rustici senza
opere murarie, in quanto, entro tali limiti
la recinzione rientra solo tra le
manifestazioni del diritto di proprietà;
occorre, invece, il permesso, quando la
recinzione è costituita, come in questo
caso, da una vera e propria opera muraria
tale da incidere in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del
territorio
(TAR Cmpania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.08.2009 n. 4696 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Spetta
al dirigente ordinare la demolizione di
opere abusive, e non più al Sindaco, solo a
decorrere dall'entrata in vigore della L.
16.06.1998 n. 191.
La competenza
all'emanazione, di sanzioni demolitorie rese
sino all'anno 1998 deve reputarsi
appartenente al Sindaco e non all'organo
dirigenziale essendo stata detta competenza
trasferita ai dirigenti solo ai sensi
dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191
(TAR Campania Napoli, sez. VI, 30.04.2008,
n. 3072)
(TAR Cmpania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.08.2009 n. 4696 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'ordine
di demolizione deve seguire automaticamente
all'accertamento dell'illecito, senza la
necessità di una preventiva notifica della
diffida a demolire e senza alcun margine per
valutazioni discrezionali al fine di
impedire che il trascorrere del tempo
determini il consolidarsi di situazioni
soggettive che potrebbero impedire
l'applicazione della sanzione
ripristinatoria
Il procedimento
sanzionatorio previsto dall'art. art. 4, l.
n. 47 del 1985, rispetto a quello di cui
all'art. 7, della medesima legge va
rinvenuto nella localizzazione delle opere
abusive su aree assoggettate a vincolo di
inedificabilità o in aree coperte da vincolo
paesistico, come nel caso di specie; da ciò
consegue la necessità di reintegrare con
immediatezza il bene protetto, pregiudicato
dall'abusivo intervento edilizio.
In tal caso, l'ordine di demolizione deve
seguire automaticamente all'accertamento
dell'illecito, senza la necessità di una
preventiva notifica della diffida a demolire
e senza alcun margine per valutazioni
discrezionali (anche in ordine alla scelta
se procedere alla demolizione o unicamente
all'acquisizione al patrimonio dell'ente),
al fine di impedire che il trascorrere del
tempo determini il consolidarsi di
situazioni soggettive che potrebbero
impedire l'applicazione della sanzione
ripristinatoria.
Dalla rigida vincolatezza del provvedimento
derivano, ad un tempo, l’irrilevanza del
mancato rispetto delle garanzie
procedimentali di cui agli artt. 7 e ss. L.
241/1990, secondo il consolidato
orientamento giurisprudenziale, poi
confermato dallo stesso legislatore in sede
di introduzione dell’art. 21-octies L.
241/1990 (L. n. 15/2005; cfr. TAR Campania
Napoli, sez. VIII, 27.02.2009, n. 1151)
nonché l’adeguatezza della motivazione,
laddove si è dato conto dell’insistenza
dell’opera su area sottoposta a vincolo ex
L. 1497/1939.
In sede di
emanazione di un ordine di demolizione di
opere abusive su area vincolata, non è
necessario acquisire il parere della
Commissione Edilizia ovvero della Sezione
Urbanistica Regionale, dal momento che
l'ordine di ripristino discende direttamente
dall'applicazione della disciplina edilizia
o ambientale vigente; inoltre, anche a voler
diversamente opinare, tale parere sarebbe
necessario solo quando l'ente è tenuto a
procedere a valutazioni tecniche delle opere
per acclararne la conformità o meno alle
prescrizioni normative e non quando deve
fare applicazione di valutazioni di natura
giuridica (TAR Campania Napoli, sez. III,
05.06.2008, n. 5255, cfr., altresì, TAR
Campania Napoli, sez. III, 06.11.2007, n.
10689)
(TAR Cmpania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.08.2009 n. 4696 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Restano assoggettate a permesso di costruire
anche le attività che, pur non integrando
interventi edilizi in senso stretto,
comportano comunque una modificazione
permanente dello stato materiale e della
conformazione del suolo per adattarlo ad un
impiego diverso da quello che gli è proprio
(caso attinente alla trasformazione di
un’area in rimessaggio e deposito
giudiziario di autoveicoli) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.07.2009 n. 28457 -
link a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L'orologio della torre non può
disturbare i cittadini. Se la torre civica
ha l'orologio non per questo deve essere
disturbato il riposo dei cittadini.
Le indagini fonometriche demandate alla ASL
e alla ARPA competenti per territorio hanno
permesso di accertare la presenza di una
situazione di inquinamento acustico
nell’ambiente di vita della ricorrente
rilevante ai sensi della disciplina di
settore, sia di carattere primario che di
natura regolamentare.
Si è altresì posto in risalto il pericolo di
un pregiudizio per la salute della
ricorrente, apprezzabile sotto il profilo
della cd annoyance, ossia della presenza di
fattori disturbanti per la qualità della
vita della Vergari, specie per quel che
concerne il riposo notturno.
Il Tar ha infine ritenuto preponderante la
tutela della salute della ricorrente
rispetto alla salvaguardia delle tradizioni
storiche, certamente non compromesse in
termini irreparabili attraverso una diversa
e più opportuna regolamentazione
dell’orologio della torre civica che
prevedesse la totale sospensione dei
rintocchi nelle ore notturne.
Il Collegio ritiene di dover ulteriormente
puntualizzare che la controversia in esame
involge il corretto uso di beni in dotazione
alla p.a. locale, e cioè, in definitiva,
l’esercizio di una pubblica funzione , in
relazione alla quale la stessa
amministrazione civica deve conformarsi al
principio di buona amministrazione di cui
all’art. 97 cost.
In questo contesto la pretesa della
ricorrente ad una confacente
regolamentazione dell’orologio della torre
civica assume valenza di interesse legittimo
per la tutela del quale si è correttamente
adito il Giudice amministrativo.
Infatti, la regolamentazione dei rintocchi
dell’orologio non può essere considerata
quale mero comportamento materiale della
pubblica amministrazione, avulso da un
precedente atto autoritativo di esercizio di
poteri e funzioni pubbliche (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 09.07.2009 n. 1807 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Cassazione indica quali solo le varianti
a permessi di costruire che possono essere
realizzate mediante denuncia di inizio
attività (Corte di cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 22.06.2009 n. 25975 -
link a www.simoline.com). |
URBANISTICA:
La Cassazione precisa quando e come si
configura il reato di lottizzazione abusiva
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.06.2009 n. 24671 -
link a www.simoline.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Cassazione distingue il reato di cui
all’art. 181 D.Lgs. 42/2004 (opere eseguite
in assenza di autorizzazione o in difformità
da essa), che è reato di pericolo, dalla
contravvenzione di cui all’art. 734 c.p.
(distruzione o deturpamento di bellezze
naturali), che si configura come un reato di
danno (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.06.2009 n. 23828 -
link a www.simoline.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche la realizzazione di serre può essere
soggetta all’ordinario regime edilizio
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.06.2009 n. 23724 -
link a www.simoline.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’apertura di un vano finestra
non rientra nell'ambito degli interventi di
manutenzione straordinaria, né di restauro o
risanamento conservativo ma nel novero degli
interventi di ristrutturazione edilizia.
Con riferimento all’apertura del vano
finestra si osserva che, per giurisprudenza
di questa sezione, siffatto intervento non
rientra nell'ambito degli interventi di
manutenzione straordinaria, né di restauro o
risanamento conservativo (i quali
presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett.
b-c) D.P.R. n. 380/2001, la sostituzione o
la conservazione di elementi -anche
strutturali- degli edifici, che siano
comunque preesistenti, ovvero l'inserimento
di elementi nuovi, che abbiano tuttavia
carattere accessorio), ma nel novero degli
interventi di ristrutturazione edilizia, di
cui alla lettera c) del comma primo
dell'articolo 10 D.P.R. n. 380/2001, dal
momento che realizza un'oggettiva
trasformazione della facciata del palazzo
mediante la sostituzione e l'inserimento di
elementi, nonché la modifica di altri (TAR
Campania Napoli, sez. IV, 28.11.2008, n.
20564)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 16.04.2009 n. 1980 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla necessità o meno del
permesso di costruire per realizzare un
soppalco.
Con riferimento ai soppalchi, quanto alla
necessità o meno di titolo abilitativo al
fine della realizzazione degli stessi,
occorre distinguere i casi nei quali, in
relazione alla tipologia e alla dimensione
dell’intervento, può essere sufficiente una
Denuncia di inizio di attività (DIA) dai
casi nei quali occorre una vera e propria
concessione edilizia (oggi permesso di
costruire).
Deve ritenersi sufficiente una DIA nel caso
in cui il soppalco sia di modeste dimensioni
e al servizio della preesistente unità
immobiliare (TAR Salerno 883 - 04.09.2003)
mentre, viceversa, deve ritenersi necessario
il permesso di costruire quando il soppalco
sia di dimensioni non modeste e comporti una
sostanziale ristrutturazione dell’immobile
preesistente, ai sensi dell’art. 3 comma 1,
lettera del D.P.R. 06.06.2001, n. 380,
recante il Testo Unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia
edilizia, comportando un incremento delle
superfici dell’immobile e quindi anche un
ulteriore possibile carico urbanistico (cfr.
TAR Campania Napoli, sez. IV, 28.11.2008, n.
20563).
Si è, quindi, giustamente ritenuto che la
realizzazione di un soppalco che comporta la
riorganizzazione interna dell'immobile
ampliandone considerevolmente le superfici e
riorganizzando i volumi determina un vero e
proprio intervento di ristrutturazione
edilizia e necessita di permesso di
costruire (in termini TAR Campania Napoli,
sez. IV, 10.12.2007, n. 15871; TAR Piemonte
Torino, sez. I, 17.12.2007, n. 3714), o in
alternativa di D.I.A. proposta ai sensi
dell’art. 22 DPR n. 380/2001, come
modificato dall'articolo 1 del D.Lgs.
27.12.2002, n. 301
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 16.04.2009 n. 1980 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le ristrutturazioni effettuabili
previa Dia, disciplinate dall'art. 22, comma
3, d.P.R. n. 380/2001 debbono ritenersi
soggette alla sanzione ripristinatoria, di
cui all'art. 33 del medesimo d.P.R., e non
alla sanzione pecuniaria.
Anche le ristrutturazioni effettuabili
previa Dia, disciplinate dall'art. 22, comma
3, d.P.R. n. 380 del 2001 debbono ritenersi
soggette alla sanzione ripristinatoria, di
cui all'art. 33 del medesimo d.P.R. e non
alla sanzione pecuniaria che, per opere
eseguite in assenza o difformità da Dia, il
successivo art. 37 prevede, ma con
riferimento esclusivo ai primi due commi del
citato art. 22 (TAR Lazio Roma, sez. I,
18.06.2007, n. 5534)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 16.04.2009 n. 1980 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rientrano nella nozione di
«ristrutturazione edilizia» gli interventi
edilizi di frazionamento di una unità
immobiliare in tre che alterino, anche sotto
il profilo della distribuzione interna,
l'originaria consistenza dello stato dei
luoghi e comportino altresì l'inserimento di
nuovi impianti e la modifica e
ridistribuzione di quanto esistente.
Con riferimento
al frazionamento dell’originario edificio in
tre monolocali, che al momento del
sopralluogo risultavano abitati da tre
distinti locatari, questa sezione ha già
avuto modo di osservare che l’intervento di
cui trattasi necessita di titolo
abilitativo.
Rientrano invero nella nozione di
«ristrutturazione edilizia» gli interventi
edilizi che –come quelli in esame- alterino,
anche sotto il profilo della distribuzione
interna, l'originaria consistenza dello
stato dei luoghi e comportino altresì
l'inserimento di nuovi impianti e la
modifica e ridistribuzione di quanto
esistente (TAR Lombardia Milano, sez. II,
14.05.2007, n. 3070 e, per quanto riguarda
lo sbancamento in particolare, Consiglio
Stato, sez. IV, 27.12.2006, n. 7924).
Inoltre, sulla base del generale principio
che correla gli oneri di urbanizzazione al
carico urbanistico, tale intervento
costituisce ristrutturazione edilizia in
quanto la divisione ed il frazionamento di
un'unità immobiliare in due o più unità
comporta l'autonoma utilizzabilità delle
stesse, con conseguente aumento del carico
urbanistico (TAR Emilia Romagna Parma, sez.
I, 15.07.2008, n. 352)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 16.04.2009 n. 1980 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Carenza di interesse a ricorrere
per il soggetto legittimamente escluso.
Il concorrente
legittimamente escluso da una gara pubblica
non ha interesse processuale a ricorrere
contro i provvedimenti adottati nelle
ulteriori fasi della procedura ed, in
particolare, contro quello di aggiudicazione
ad altra impresa partecipante, posto che
l’eventuale accoglimento del gravame nessun
vantaggio recherebbe alla sua sfera
giuridica, restando invulnerata la sua
esclusione dalla gara
(TAR Piemonte, Sez. I,
ordinanza 16.03.2009 n. 237 -
link a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 17.08.2009 |
ã |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
I. Pisani,
Il nuovo procedimento per il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica nelle
modifiche ex d.lgs. 63/2008 e l. 129/2008
(link a www.studiospallino.it). |
QUESITI & PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Vattani, sulla mancata
annotazione sul formulario in caso di sosta
di attesa di un veicolo che trasporta
rifiuti.
Condividendo pienamente quanto esposto nella
risposta al quesito sulla sosta durante il
trasporto del 17.07.2009 chiedo [il mezzo
può sostare in configurazione di trasporto
nel caso l’impianto di destino non possa
ricevere il rifiuti per motivi tecnici
(chiusura dell’impianto ecc...)], se la
sosta non viene annotata sul formulario ma
viene supposta dal produttore al momento
della verifica della 4° copia rilevando una
differenza di date (inizio trasporto-arrivo
a destino),
che responsabilità ricadono e che azioni
deve fare il produttore se non trova scritto
le motivazioni nel campo annotazioni del
formulario?
Sempre che il trasportatore abbia sempre
l’obbligo di giustificare o motivare la
sosta andando a scrivere nel campo
annotazioni (link a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Vattani, sul deposito
temporaneo e accumulo di rifiuti con diversi
codici CER.
Nell’ambito del deposito temporaneo come
vanno raggruppati i vari rifiuti in
deposito? È possibile tenere in deposito
mischiati rifiuti con codici CER diversi?
(link a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Vattani, sulla sosta di attesa di un
veicolo che trasporta rifiuti.
Un camion carico di rifiuti che non può
andare a scaricare perché l’impianto di
smaltimento resta chiuso il sabato e la
domenica
può sostare in un’apposita area in attesa
che l’impianto riapra? In questo caso è
necessaria qualche autorizzazione?
(link a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Santoloci, sulla
qualificazione giuridica del riversamento di
liquami da depuratore fermo in modo
permanente.
Al liquame industriale proveniente dal ciclo
di lavorazione e canalizzato ad un impianto
di depurazione interno allo stabilimento,
nel caso in cui prima di essere riversato
nel corpo ricettore non subisce alcun
trattamento (impianto di depurazione non
funzionante da diverso tempo con titolare
che è perfettamente a conoscenza del
blocco),
può essere contestato il reato di
smaltimento abusivo di rifiuti? O si tratta
sempre di violazioni inerenti uno scarico?
(link a www.simoline.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Santoloci, sulla disciplina giuridica dei
“laghetti aziendali”.
I laghetti aziendali in quale disciplina
rientrano? E’ vero che sono esclusi dalle
regole del T.U. ambientale? (link
a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Samtoloci, sulla competenza
all’interno della Provincia in ordine alla
denuncia di mancata ricezione della quarta
copia del formulario.
La denuncia alla Provincia per la mancata
ricezione della quarta copia del formulario
è di competenza dell’ufficio ambiente o
della polizia provinciale? Che
tipo di accertamenti sono connessi a tale
segnalazione pervenuta presso la pubblica
amministrazione? (link a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Vattani, sulla bruciatura di
imballaggi di polistirolo in campagna,
autosmaltimento e reati connessi.
Sono un agente di polizia giudiziaria,
ho un po’ di difficoltà nel capire
l’articolo concernente l’autosmaltimento
illecito di rifiuti (D.Lgs 152/2006): per
quale fattispecie potrei applicarlo?
Io opero in campagna e di solito abbiamo la
problematica di agricoltori che
sistematicamente bruciano il polistirolo che
contiene le piantine per la semina; si
potrebbe applicare l’articolo in detta
circostanza?
Per applicarlo, l’autore del reato deve
essere necessariamente una persona
giuridica? Può concorrere con l’art. 674 del
c.d. getto pericoloso di cose? (link a
www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
M. Santoloci e V. Vattani, sul
riutilizzo dei materiali edili da
demolizione nel medesimo cantiere.
Alla luce delle recenti modifiche apportate
all'articolo 181-bis e 183 del TUA,
un impresario che deve effettuare delle
demolizioni su un edificio, può riutilizzare
i materiali di risulta di queste demolizioni
per il riempimento di una massicciata
perimetrale alla stessa casa oggetto di
parziale demolizione se:
- dichiara nel progetto di volere utilizzare
detto materiale (tutto) per la realizzazione
della massicciata;
- certifica che il materiale non pregiudichi
l'ambiente attraverso caratterizzazioni
certificate dello stesso ai sensi di legge (vedasi
terre e rocce da scavo di cui all'articolo
186);
- il materiale per essere riutilizzato non
ha bisogno di alcuna elaborazione
preliminare;
- vi è un provento economico legato al
risparmio per l'acquisto di materiale
sicuramente idoneo quindi il suo valore
potrebbe essere lo stesso di quello del
materiale da acquistare? (link a
www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Vattani, sulla qualificazione giuridica
dei residui della lavorazione del marmo.
Quale disciplina si applica attualmente ai
residui della lavorazione del marmo?
(link a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Santoloci, sul prelievo da
parte di autospurgo di liquami domestici da
più utenze.
Il mio quesito riguarda l'attività di
espurgo delle fosse settiche provenienti dai
privati cittadini, effettuato da ditta
autorizzata.
Premesso che ogni trasporto di rifiuti deve
essere accompagnato dal formulario
d'identificazione previsto dall'art. 193 del
D.Lgs. 152/2006, con la presente nota sono a
chiedere
se è possibile, nel caso di pulizia delle
fosse settiche, attività che in genere da
luogo alla produzione di piccoli
quantitativi di rifiuti per più abitazioni,
è possibile utilizzare un unico formulario
per più espurghi (trasporto cumulativo).
Specificando nelle annotazioni comunque il
nominativo, via, civico e quantità presunta
del rifiuto prelevato. Verranno compilati i
campi relativi all'unità locale di
produzione con vedi annotazioni, quello del
peso presunto con la sommatoria dei pesi dei
singoli espurghi (link a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
M. Santoloci, sul deposito
temporaneo nei cantieri edili.
Nei cantieri edili è possibile il deposito
temporaneo per i rifiuti costituiti da
materiale da demolizione?
Ed in caso positivo, tale deposito deve
essere ubicato all’interno dell’ area di
cantiere o può essere attivato in altro sito
diverso e distante dal cantiere medesimo?
(link a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Santoloci, sulla natura
giuridica del letame rispetto ai liquami
zootecnici.
In relazione all’articolo “Ma davvero il
letame non è mai un rifiuto?” (a firma di
Maurizio Santoloci)
chiedo se il liquame di origine zootecnica
viene equiparato giuridicamente alle materie
fecali di origine agricola? In particolare
quando nella vasca aziendale il letame è
misto al liquame… (link a
www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Santoloci, sul trasporto di rifiuti
pericolosi da parte di un privato cittadino.
Se un privato cittadino trasporta con il
proprio mezzo rifiuti pericolosi (gomme
d'auto, batterie esauste, guaine bituminose,
etc.) è obbligato ad avere un formulario, e
a che sanzione va incontro? (link
a www.simoline.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Vattani, sull'abbandono di
eternit.
E’ corretto applicare l’art. 255, comma 1,
del D.Lgs. n. 152 del 2006 per l’abbandono
in area agricola di rifiuti costituiti da
macerie e pezzi di cemento amianto (eternit)
eseguito da un cittadino privato?
(link a www.simoline.com). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n.
32 del 13.08.2009, "Incentivazione degli
impianti per la produzione di energia da
fonte solare per uso termico - Realizzazione
di impianti al servizio di immobili di
proprietà pubblica" (deliberazione
G.R. 29.07.2009 n. 9955 - link a
www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 13.08.2009 n. 187 "Nuove norme
tecniche per le costruzioni approvate con
decreto del Ministro delle infrastrutture
14.01.2008 - Cessazione del regime
transitorio di cui all’articolo 20, comma 1,
del decreto-legge 31.12.2007, n. 248"
(Ministero delle Infrastrutture e dei
trasporti,
circolare
05.08.2009). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del
10.08.2009, "Rettifica delle precisazioni
approvate con decreto n. 7148 del
13.07.2009, relative all'applicazione delle
disposizioni per l'efficienza energetica in
edilizia, di cui alla d.g.r. n. 8745 del
22.12.2008" (decreto
D.U.O. 22.07.2009 n. 7538 - link
a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del
10.08.2009, "Disposizioni per
l'esercizio, il controllo, la manutenzione e
l'ispezione degli impianti termici nel
territorio regionale - Aggiornamento termine
fissato con d.g.r. n. 8355 del 05.11.2008
per la comunicazione stato dell'incarico
degli amministratori di condominio in merito
alla responsabilità dell'impianto termico"
(decreto
D.G. 30.07.2009 n. 7953 - link a
www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del
10.08.2009, "Modalità per il sostegno
finanziario degli Enti locali e degli Enti
gestori delle aree regionali protette per
l'esercizio delle funzioni paesaggistiche
loro attribuite (art. 79, l.r. n. 12/2005)"
(deliberazione
G.R. 29.07.2009 n. 9964 - link a
www.infopoint.it). |
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del
10.08.2009, "Disposizioni per l'esercizio
dei poteri sostitutivi regionali per l'avvio
del procedimento di approvazione del PGT
(art. 26, comma 3, l.r. n. 12/2005) -
Modifica della d.g.r. n. 41493/99 in materia
di criteri, modalità, formazione, gestione e
articolazione dell'albo dei commissari ad
acta" (deliberazione
G.R. 29.07.2009 n. 9963 - link a
www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 32 del
10.08.2009, "Disposizioni per la
sospensione dell'attività di spandimento in
agricoltura dei fanghi prodotti dalla
depurazione delle acque reflue"
(deliberazione
G.R. 293.07.2009 n. 9953 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI:
G.U. 08.08.2009 n. 183, "Determinazione
degli ambiti operativi delle associazioni di
osservatori volontari, requisiti per
l’iscrizione nell’elenco prefettizio e
modalità di tenuta dei relativi elenchi, di
cui ai commi da 40 a 44 dell’articolo 3
della legge 15.07.2009, n. 94" (D.M.
08.08.2009). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 05.08.2009 n. 180, "Criteri e
requisiti per l’iscrizione all’Albo nella
categoria 1 per lo svolgimento dell’attività
di gestione dei centri di raccolta rifiuti"
(Comitato Nazionale dell'Albo Nazionale
Gestori Ambientali,
deliberazione 20.07.2009). |
ENTI LOCALI:
G.U. 04.08.2009 n. 179 "Disposizioni
correttive del decreto-legge anticrisi n. 78
del 2009" (D.L.
03.08.2009 n. 103). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Criteri per la realizzazione di
spazi verdi ai sensi della l.r. 13/2009.
Il 07.08.2009 è stata approvata la DGR. n.
10134 "determinazioni relative alla
qualificazione degli insediamenti attraverso
la realizzazione di spazi verdi (ex art. 3,
comma 6, l.r. n. 13/2009)" (link a
www.rilancioedilizia.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
Rilancio dell'edilizia, le regole per gli
spazi verdi
(link a www.territorio.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
300.000 euro agli enti locali per la
gestione delle competenze paesaggistiche.
Anche per il 2009 Regione Lombardia
assegnerà contributi per 300.000 euro agli
enti locali per la gestione delle competenze
paesaggistiche
(link a www.territorio.regione.lombardia.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il dipendente "doppiogiochista" danneggia
l'Amministrazione e paga Condannato al
risarcimento il funzionario del fisco che
con il proprio comportamento lede l'immagine
della PA.
Lede l'immagine dell'Amministrazione il
comportamento "infedele" di un funzionario
pubblico che svolge attività extralavorativa
incompatibile con quella istituzionale.
Questo il pensiero espresso dai giudici
piemontesi della Corte dei conti nella
sentenza n. 144, depositata lo scorso
02.07.2009, con la quale hanno
riconosciuto, in capo all'Agenzia delle
Entrate, il diritto al risarcimento del
danno all'immagine a seguito dell'incauto
comportamento di un suo dipendente (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
ENTI LOCALI:
Niente Irpef sui rimborsi forfetari erogati
agli amministratori locali. Escluse dal
reddito le somme versate a indennizzo dei
costi sostenuti nello svolgimento del
mandato istituzionale.
Rimborsi forfetari e rimborsi spese per il
Fisco pari sono.
Gli importi corrisposti agli amministratori
locali per le missioni e gli altri impegni
istituzionali sono equiparati, ai fini
Irpef, ai rimborsi spese erogati ai titolari
di cariche elettive pubbliche e, quindi, non
sono soggetti all'imposta, così come
stabilito dall'articolo 52 del Tuir (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
VARI:
Fisco bio per camini e stufe fisse,
detrazione del 55% a maglie larghe. Con
l'ecoincentivo tributario premiate anche le
case con vecchi apparecchi assimilabili a
impianti termici.
Bonus verde anche per le case riscaldate da
vecchi impianti come caminetti, stufe e
scaldacqua. Ad allargare le maglie
dell'incentivo per la riqualificazione
energetica degli edifici è la risoluzione n.
215/E del 12.08.2009, con cui l'agenzia
delle Entrate fa il punto sulle
caratteristiche tecniche dei sistemi di
riscaldamento agevolabili (link a
www.nuovofiscooggi.it). |
dossier CONSIGLIERI COMUNALI |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Un candidato consigliere comunale
può avere copia dell’elenco dei
sottoscrittori di una lista elettorale
concorrente ammessa alle elezioni comunali.
L'art. 22 della L. n. 241/1990, ai commi 2 e
3, precisa che "l'accesso ai documenti
amministrativi, attese le sue rilevanti
finalità di pubblico interesse, costituisce
principio generale dell'attività
amministrativa al fine di favorire la
partecipazione e di assicurarne
l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene
ai livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale...", e che
"tutti i documenti amministrativi sono
accessibili, ad eccezione di quelli indicati
all'articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6".
In precedenza, e cioè prima delle recenti
modifiche normative, l'art. 24 prevedeva, al
comma 4, l'obbligo per le singole
amministrazioni "di individuare, con uno
o più regolamenti..., le categorie di
documenti da esse formati o comunque
rientranti nella loro disponibilità
sottratti all'accesso per le esigenze di cui
al comma 2", tra le quali era compresa,
alla lett. d), quella di salvaguardare "la
riservatezza di terzi, persone, gruppi ed
imprese, garantendo peraltro agli
interessati la visione degli atti relativi
ai procedimenti amministrativi, la cui
conoscenza sia necessaria per curare o per
difendere i loro interessi giuridici".
Il nuovo testo dell’art. 24, come sostituito
dall'art. 16 L. 11.02.2005 n. 15, al comma 1
esclude il diritto di accesso solo:
a) per i documenti coperti da segreto di
Stato, e nei casi di segreto o di divieto di
divulgazione espressamente previsti dalla
legge, dal regolamento governativo di cui al
comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai
sensi del comma 2;
b) nei procedimenti tributari;
c) nei confronti dell'attività della
pubblica amministrazione diretta
all'emanazione di atti normativi,
amministrativi generali, di pianificazione e
di programmazione;
d) nei procedimenti selettivi, nei confronti
dei documenti amministrativi contenenti
informazioni di carattere psicoattitudinale
relativi a terzi.
In definitiva, con specifico riferimento ai
rapporti tra accesso e riservatezza, la
nuova disciplina contenuta nell'art. 24
della L. 241/1990, come sostituito dall'art.
16 della L. 15/2005, appresta al primo una
tutela più ampia che in passato, sotto due
distinti profili.
Innanzitutto, l'individuazione dei casi in
cui l'accesso può essere escluso per
ragioni, tra l'altro, di riservatezza, può
aver luogo solo con il regolamento
governativo (comma 6, lett. d), mentre alle
singole amministrazioni viene sottratta ogni
potestà d'intervento in materia.
In secondo luogo, mentre nell'originaria
versione dell'art. 24, secondo quanto
prevedeva il comma 2, lettera d), l'accesso
a documenti riservati era limitato alla sola
"visione" degli atti amministrativi
necessari alla cura dei propri interessi,
nell'attuale versione dell'art. 24, come
sostituito dall'art. 16 della legge 15/2005,
tale previsione è stata sostituita dal nuovo
comma 7, ai sensi del quale "deve
comunque essere garantito ai richiedenti
l'accesso ai documenti amministrativi la cui
conoscenza sia necessaria per curare o per
difendere i propri interessi giuridici".
In sostanza, la tutela dell'istante, prima
limitata alla visione degli atti, viene
quindi estesa all'onnicomprensivo concetto
di "accesso" che -secondo la
definizione contenuta nell'art. 22, comma 1,
lettera a) della L. 241/1990, come
sostituito dall'art. 15 della L. 15/2005-
include sia la visione degli atti che
l'estrazione di copia.
Per quanto riguarda i rapporti fra diritto
all’accesso e tutela della privacy lo stesso
comma 7 aggiunge che l'accesso, sebbene solo
"nei limiti in cui sia strettamente
indispensabile", è consentito anche "nel
caso di documenti contenenti dati sensibili
e giudiziari", ed anche "in caso di
dati idonei a rivelare lo stato di salute e
la vita sessuale", in quest'ultimo caso
"nei termini previsti dall'articolo 60
del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196"
(sul punto si veda TAR Marche, I, n. 10/2009
e TAR Catania, IV, n. 715/2008).
Inoltre l'art. 59 del medesimo D.Lgs.vo
196/2003, concernente proprio all’accesso a
documenti amministrativi", dispone che "fatto
salvo quanto previsto dall'articolo 60, i
presupposti, le modalità, i limiti per
l'esercizio del diritto di accesso a
documenti amministrativi contenenti dati
personali, e la relativa tutela
giurisdizionale, restano disciplinati dalla
legge 07.08.1990, n. 241, e successive
modificazioni e dalle altre disposizioni di
legge in materia, nonché dai relativi
regolamenti di attuazione, anche per ciò che
concerne i tipi di dati sensibili e
giudiziari e le operazioni di trattamento
eseguibili in esecuzione di una richiesta di
accesso. Le attività finalizzate
all'applicazione di tale disciplina si
considerano di rilevante interesse pubblico".
Alla stregua di quanto sopra nel caso di
specie sussistono i presupposti per
l’esercizio del diritto di accesso:
l’interesse differenziato dell’istante
discende dalla sua posizione di candidato a
consigliere comunale nella lista ... e la
necessità dell’accesso discende dalla
circostanza che un eventuale azione in sede
giurisdizionale da parte dello stesso è
subordinata all’esame della documentazione
richiesta
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 03.08.2009 n. 1157 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Art. 78, c. 2 d.lgs. n. 267/2000
- Amministratori - Delibere afferenti
interessi propri o di prossimi congiunti -
Obbligo di astensione - Presupposti -
Materia urbanistica.
Ai fini dell’obbligo di astensione degli
amministratori di cui all’art. 78, comma 2,
del D.Lgs. 267/2000, occorre in primo luogo
che il consigliere versi in una condizione
di conflitto di interessi in quanto l’atto
riguarda interessi propri o di loro parenti
o affini sino al quarto grado.
La giurisprudenza ha chiarito che il
concetto di «interesse» del consigliere alla
deliberazione comprende ogni situazione di
conflitto o di contrasto di situazioni
personali, comportante una tensione della
volontà, verso una qualsiasi utilità che si
possa ricavare dal contribuire all'adozione
di una delibera (Cons. Stato, sez. IV,
23.09.1996, n. 1035).
La violazione dell’obbligo di astensione
sussiste non solo nel caso di partecipazione
alla votazione del consigliere in conflitto
di interessi, ma anche nel caso di
partecipazione alla discussione. Infatti,
anche coloro che si limitano a partecipare
alla discussione contribuiscono alla
formazione della volontà dell’organo
collegiale e possono incidere anche sulla
votazione integrando il quorum costitutivo
della seduta.
Deve inoltre sussistere un collegamento tra
il contenuto della deliberazione e
l’interesse del consigliere che, con
riferimento agli atti pianificatori e
generali la legge definisce come
correlazione immediata e diretta. Tale
correlazione deve avere carattere oggettivo,
tale da manifestare o comunque rendere
logicamente ipotizzabile la possibilità di
un conflitto di interesse ovvero la non
estraneità di propri interessi rispetto ai
fatti sui quali si concorre a deliberare.
Con riferimento alla materia urbanistica, il
conflitto di interessi non è peraltro
escluso nell’ipotesi che nessun concreto
beneficio economico scaturisca per gli
immobili di proprietà dei consiglieri o dei
loro prossimi congiunti, ai fini
dell’incompatibilità essendo sufficiente che
sussista una relazione personale fra
l'oggetto dell'atto e l'amministratore,
secondo una regola di carattere generale che
non ammette eccezioni e ricorre anche
qualora la scelta discrezionale adottata sia
in concreto la più utile e la più opportuna
per lo stesso interesse pubblico (cfr. TAR
Liguria n. 818/2004, cit.; Cons. Stato, sez.
IV, 26.05.2003, n. 2826; TAR Liguria, I,
19.10.2007 n. 1773) in quanto la condotta di
un amministratore che utilizza il suo
incarico pubblico per regolare gli interessi
propri e dei propri parenti comporta
comunque una lesione dell’imparzialità
dell’amministrazione e della sua immagine
che la legge intende evitare con un giudizio
ex ante in astratto (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 19.05.2009 n. 3782 -
link a www.ambientediritto.it). |
dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE |
EDILIZIA PRIVATA:
Il pagamento dei contributi
connessi al rilascio di una concessione
edilizia, da parte di un soggetto che ne
reclama il beneficio della gratuità, non
costituisce di per sé acquiescenza circa la
debenza delle relative somme.
Il pagamento dei contributi connessi al
rilascio di una concessione edilizia, da
parte di un soggetto che ne reclama il
beneficio della gratuità, non costituisce di
per sé acquiescenza circa la debenza delle
relative somme, anche nel caso in cui
l’interessato non abbia formulato al
riguardo alcuna riserva di ripetizione della
somma pretesa dal Comune a tale titolo,
dovendosi piuttosto considerare detto
pagamento quale espressione della
connaturale esigenza dell’attività
imprenditoriale edilizia di dare avvio,
senza indugi, alla realizzazione
dell’intervento progettato.
Dalle suddette considerazioni discende
correlativamente la possibilità, per tale
soggetto, di svolgere azione di accertamento
del proprio diritto alla restituzione dei
contributi urbanistici che ritiene di avere
corrisposto in tutto o in parte
indebitamente all’amministrazione comunale
concessionaria (v. ex multis TAR
Lazio -RM- Sez. II, 17/05/2005 n. 3844; TAR
Puglia –LE- Sez. I, 12/02/2002 n. 739)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 31.07.2009 n. 1131 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’amministrazione
comunale deve porre l’interessato in
condizione di ricostruire i passaggi logici
con i quali è pervenuta alla quantificazione
dell'importo del contributo di costruzione.
Per giurisprudenza costante, “le
controversie relative all'an ed al quantum
delle somme dovute a titolo di oblazione e
di oneri concessori, riservate dalla legge
alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, riguardano diritti
soggettivi delle parti, rispetto alle quali
non è configurabile il vizio di difetto di
motivazione. Ciò nella considerazione che le
operazioni di corretta quantificazione
dell'oblazione e degli atti concessori si
esauriscono in una mera operazione materiale
che, se errata, può comportare soltanto la
violazione dei criteri fissati dalla
normativa ovvero dall'amministrazione con
norme di natura regolamentare e, quindi, la
sussistenza del solo vizio di violazione di
legge, potendo l'interessato, sulla base dei
predetti criteri generali, contestare
l'erroneità della quantificazione operata
dall'amministrazione, evidenziando ad
esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei
presupposti di fatto o di diritto”
(Cons. Stato, sez. V, 29.07.2000 n. 4217).
Per quanto non sussista un obbligo di
motivazione, l’amministrazione deve,
comunque, porre l’interessato in condizione
di ricostruire i passaggi logici con i quali
è pervenuta all'importo del contributo,
sulla base dei prefissati criteri generali
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’equiparazione
delle tariffe dovute per gli interventi di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione a quelle previste per le nuove
costruzioni non è irragionevole, tanto è
vero che la giurisprudenza ha ritenuto che
il contributo per oneri di urbanizzazione,
in caso di ristrutturazione del patrimonio
edilizio, potrebbe essere maggiore a quello
dovuto per la realizzazione di nuove
costruzioni.
L'entità degli
oneri di urbanizzazione è correlata alla
variazione del carico urbanistico, sicché è
ben possibile che un intervento di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione possa comportare aggravi di
carico urbanistico identici a quelli
derivanti da nuove costruzioni.
Un intervento di ristrutturazione globale di
un edificio, attuato mediante demolizione e
ricostruzione porta, invero, alla
realizzazione di un organismo edilizio
sostanzialmente nuovo: non appare quindi
illogico ritenere che un intervento così
radicale determini, di regola, un incremento
del carico urbanistico pari a quello legato
alla realizzazione di una nuova costruzione.
La ristrutturazione con demolizione e
ricostruzione, invero, ha, di regola, ad
oggetto immobili che versano in condizioni
tali da consentirne un utilizzo nullo o,
comunque, ridotto rispetto a quello che
verrà posto in essere in conseguenza
dell’intervento edilizio.
A ciò si aggiunga il rilievo che, di regola,
l’edificio che viene demolito per la sua
vetustà non ha comportato, proprio per
l’epoca in cui è stato realizzato, alcuna
contribuzione in termini di opere di
urbanizzazione, a fronte di un’innegabile
incidenza sul carico urbanistico.
L’equiparazione delle tariffe dovute per gli
interventi di ristrutturazione mediante
demolizione e ricostruzione a quelle
previste per le nuove costruzioni non è,
dunque, irragionevole, tanto è vero che la
giurisprudenza ha, persino, ritenuto che il
contributo per oneri di urbanizzazione, in
caso di ristrutturazione del patrimonio
edilizio, potrebbe essere maggiore a quello
dovuto per la realizzazione di nuove
costruzioni (Cons. Stato, sez. V,
27.09.1990, n. 692) che ha affermato la
legittimità di una deliberazione regionale
con la quale l'intervento di
ristrutturazione che comporti un aumento
delle abitazioni, sia assoggettato ad un
maggior pagamento a titolo di oneri di
urbanizzazione rispetto ad una nuova
edificazione, tenuto conto che il costo
delle opere di urbanizzazione può essere
maggiore nel primo caso).
La previsione di una medesima tariffa per
gli interventi di nuova costruzione e quelli
di ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione non necessita, quindi, di una
particolare motivazione, essendo, comunque,
evincibili le ragioni sottese a tale scelta.
Rimane comunque fermo il principio secondo
cui il contributo di urbanizzazione trova
causa nell’obbligatoria partecipazione del
concessionario agli oneri che gravano
sull’amministrazione locale per
l’urbanizzazione dell’area interessata da un
nuovo intervento edilizio, sul presupposto
che alla realizzazione dell'opera assentita
conseguano nella zona maggiori carichi
urbanistici (Cons. Stato V, 27.12.1988 n.
852).
L’applicazione negli interventi di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione della tariffa prevista dalla
delibera comunale n. 73/2007, fissata nella
stessa misura prevista per gli interventi di
nuova costruzione, è, pertanto, giustificata
unicamente laddove gli oneri di
urbanizzazione siano dovuti: se non è,
dunque, illogico ritenere che, di regola,
agli interventi di demolizione e
ricostruzione consegua un incremento del
peso insediativo, tuttavia, nell’ipotesi
–che non ricorre, però, nel caso di specie–
in cui non vi sia, invece, alcuna
alterazione degli elementi cui è correlato
il carico urbanistico, in mancanza del
presupposto giustificativo per l'imposizione
degli oneri di urbanizzazione,
l’amministrazione non potrà pretendere la
corresponsione di somme a tale titolo.
Attesa l’incidenza sul carico urbanistico
degli interventi di ristrutturazione
mediante demolizione e ricostruzione,
maggiore rispetto a quella degli interventi
di semplice ristrutturazione, la previsione
di oneri di urbanizzazione in misura doppia
nel primo caso, rispetto al secondo, non è
affatto illogica (sempre che, in concreto,
una tale incidenza di realizzi).
La circostanza che la demolizione e
ricostruzione sia ricompresa nella
definizione di ristrutturazione edilizia dal
d.P.R. n. 327/2001 non preclude, poi,
all’amministrazione di differenziare i due
interventi ai fini della determinazione
degli oneri di urbanizzazione, in
considerazione della loro differente
incidenza sul carico urbanistico
(differenziazione ripresa, d’altro canto,
dall’art. 44, l. Regione Lombardia n.
12/2005).
Né il fatto che gli oneri di urbanizzazione
siano stati assolti in passato, con
riferimento ad un differente immobile, fa
venir meno l’obbligo di concorrere agli
oneri sociali legati all'incremento del
carico urbanistico dovuto al nuovo
intervento edilizio di ristrutturazione del
fabbricato preesistente (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
riscossione coattiva degli oo.uu. rateizzati
si configura come la conseguenza per
l’ipotesi in cui il ritardo si protragga
oltre il 240° giorno (che va ad aggiungersi
alla sanzione dell’aumento del contributo
nella misura pari al 40%).
La facoltà di escutere la fideiussione sorge
solo quando, per il ritardo maturato, è già
insorto in capo al privato l’obbligo di
pagare la sanzione nella misura massima
prevista (40%).
In
merito all'applicazione della sanzione per
ritardato pagamento degli oneri di
urbanizzazione
si sono registrate due posizioni in
giurisprudenza: secondo il primo
orientamento, richiamato da parte
ricorrente, cui aveva in passato anche
aderito questo Tribunale, in presenza di una
fideiussione a garanzia del pagamento delle
rate di debito degli oneri concessori è
illegittima l'ingiunzione di corrispondere
in misura doppia gli oneri concessori
scaduti, senza escutere la garanzia, per
violazione del generale dovere di
correttezza di cui all'art. 1175 c.c. e del
principio di cui all'art. 1227 c.c., che
impone al creditore di non aggravare la
posizione del debitore.
In presenza di una fideiussione bancaria “a
semplice richiesta” a garanzia
dell’importo da versare per il contributo a
titolo di oneri urbanistici, una volta
verificato che l'interessato ha omesso di
corrispondere i ratei alle scadenze
previste, è illegittima l'emanazione di
un'ordinanza per il pagamento di una somma
comprendente (oltre alle rate non pagate) le
sanzioni, ciò in quanto sarebbe stata
sufficiente la semplice richiesta al
fideiussore (iniziativa non gravosa né
esposta a rischi di sorta) per evitare un
consistente aggravamento della posizione
debitoria del privato e per conseguire
tempestivamente il credito (Cons. Stato,
sez. V 03.07.1995 n. 1001; Cons. Stato, sez.
V 05.02.2003 n. 585 e 10.01.2003 n. 32 ; TAR
Veneto, sez. II, 09.02.2006, n. 342; TAR
Sardegna, sez. II, 07.08.2006 , n. 1595; Tar
Lombardia, Milano, sez. II, 07.10.2003, n.
4505)
Va però puntualizzato che nel precedente di
questa Sezione vi è era anche un espresso
impegno dell’Amministrazione ad utilizzare
la predetta garanzia per il caso di inutile
decorso dei termini di scadenza delle rate (
sez. II, 07.10.2003, n. 4505).
Diverso orientamento afferma che la
fideiussione che accompagna la rateizzazione
del pagamento degli oneri di urbanizzazione
non ha la finalità di agevolare
l'adempimento del soggetto obbligato al
pagamento, bensì costituisce una garanzia
personale prestata unicamente nell'interesse
dell'amministrazione, sulla quale non
incombe alcun obbligo di preventiva
escussione del fideiussore; invero, la
garanzia sussidiaria serve a scongiurare che
il Comune possa irrimediabilmente perdere
una entrata di diritto pubblico, ma non
alleggerisce affatto la posizione del
soggetto tenuto al pagamento, né attenua i
doveri di diligenza sullo stesso incombenti,
né estingue di per sé l'obbligazione
principale (TAR Campania Salerno, sez. II,
16.06.2008, n. 1936).
E’ stato puntualmente precisato dal
Consiglio di Stato, nella decisione n.
6345/2005, che l'art. 1227 c.c. “esula
del tutto dall'ambito sanzionatorio, in cui
l'ente investito della potestà punitiva non
può certamente equipararsi al creditore di
un'obbligazione risarcitoria, tanto più
allorquando la progressione illecita del
trasgressore -puntualmente scandita da
graduati e ragionevoli aggravamenti delle
sanzioni in corrispondenza del protrarsi del
ritardo nel pagamento- non abbia ancora
esaurito tutta l'antigiuridicità presa in
considerazione dalla singola previsione
applicata […]" (Cons. Stato, sez. V,
11.11.2005, n. 6345; Cons. Stato, sez. IV
13.03.2008 n. 1084; Cons. Stato, sez. V
16.07.2007 n. 4025; Cons. Stato, sez. II,
24.05.2006 n. 7683/2004; TAR Mi II,
02.02.1998 n. 136; TAR Campania Salerno,
sez. II, 16.062008, n. 1936).
Recentemente la Sezione nella sentenza n.
4306/2009, ha ritenuto di seguire questo
orientamento, esaminando il procedimento
dell’art. 42, d.P.R. n. 380/2001, che
configura la riscossione coattiva come la
conseguenza per l’ipotesi in cui il ritardo
si protragga oltre il 240° giorno (che va ad
aggiungersi alla sanzione dell’aumento del
contributo nella misura pari al 40%).
Con tale norma viene posta indirettamente
una tutela nei confronti del privato, estesa
ad ogni forma di recupero della somma dovuta
e quindi anche alla escussione della
garanzia prestata: “sarebbe illogico che
il debitore non possa subire, prima dello
scadere del 240° giorno, la riscossione
coattiva del credito da parte della p.a. ma
sia esposto all’azione di regresso del
fideiussore.”
La facoltà di escutere la fideiussione sorge
solo quando, per il ritardo maturato, è già
insorto in capo al privato l’obbligo di
pagare la sanzione nella misura massima
prevista.
In applicazione a tale principio, nel caso
di specie l’operato dell’Amministrazione
risulta scevro da ogni profilo di
illegittimità, in quanto non si può
configurare un obbligo dell’Amministrazione
di escutere la fideiussione allo scadere del
termine di pagamento
(TAR Lombrdeia-Milano, Sez. II,
sentenza 21.07.2009 n. 4405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Attività industriale - Onere
ecologico - Oneri di urbanizzazione -
Differenza - Parametrazione all’incidenza
della specifica attività industriale -
Attività industriali di prima classe -
Applicazione generalizzata della quota di
contributo in misura massima -
Illegittimità.
La quota di contributo aggiuntivo (cd. onere
ecologico) trova la sua ratio nella
necessità di attribuire il dovuto rilievo
alle esternalità negative prodotte
nell’ambito dell’attività industriale,
secondo criteri predeterminati ed
effettivamente parametrati alla diversa
incidenza connessa alla tipologia di
attività svolta.
Ciò che rileva con riferimento al contributo
in esame, infatti, a differenza degli oneri
connessi al carico urbanistico, è
l’incidenza dell’attività industriale svolta
sul contesto nel quale va ad impattare, lì
dove, invece, gli oneri concessori sono da
riconnettere al maggior carico urbanistico
determinato dall’intervento edilizio.
Ne deriva l’illegittimità dell’applicazione
generalizzata della quota di contributo in
misura massima per le attività industriali
ricomprese nella prima classe, senza tener
conto della distinzione degli impianti
destinati a lavorazioni “altamente
sensibili” rispetto a quelli che non
implicano un elevato rischio di incidente
rilevante (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 10.06.2009 n. 1709 - link a
www.ambientediritto.it). |
dossier DEFINIZIONE INTERVENTI
EDILIZI |
EDILIZIA PRIVATA: A
differenza degli interventi di manutenzione
ordinaria e straordinaria, che hanno
finalità meramente conservative delle
strutture, le opere di restauro e
risanamento conservativo sono preordinate
alla realizzazione di un insieme sistematico
di opere, qualificabili come necessarie in
presenza di una pluralità di carenze
strutturali e funzionali, che possono
incidere anche sugli elementi costitutivi
dell’edificio.
Può prescindersi da un ulteriore
approfondimento della questione relativa
alla eventuale inclusione dell’edificio nel
centro storico (che pure viene negata dai
locatari attuali resistenti, sulla base di
un approfondito excursus storico delle
vicende belliche che hanno comportato la
quasi totale distruzione del patrimonio
edilizio esistente), apparendo chiaramente
comprovato lo stato di oggettivo degrado
dell’immobile in discorso, con conseguente
necessità di quegli interventi di restauro e
di risanamento conservativo che risultano
sufficienti, ai sensi del citato art. 3 del
decreto-legge n. 351/2001, per escludere la
qualificazione di immobile di pregio.
Come sottolineato dalla giurisprudenza di
questo Consiglio, l’elemento che
caratterizza tale tipo di interventi è
costituito dalla presenza di diffuse
carenze, dovute alla perdita delle
originarie caratteristiche di funzionalità e
di sicurezza dell’edificio e che si rendano
necessarie per una effettiva
riqualificazione dell’immobile (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 30.09.2008, n. 4696).
A differenza, quindi, degli interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria, che
hanno finalità meramente conservative delle
strutture, le opere di restauro e
risanamento conservativo sono preordinate
alla realizzazione di un insieme sistematico
di opere, qualificabili come necessarie in
presenza di una pluralità di carenze
strutturali e funzionali, che possono
incidere anche sugli elementi costitutivi
dell’edificio
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.07.2009 n. 4840 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Al
fine di qualificare come ristrutturazione
edilizia un'opera occorre che il complesso
edilizio, sul quale si operano gli
interventi, rimanga alla fine
sostanzialmente il medesimo per forma,
volume e altezza.
Rientrano anche nella nozione di
ristrutturazione edilizia gli interventi
consistenti nella demolizione e successiva
fedele ricostruzione di un fabbricato nelle
sue caratteristiche preesistenti, non
soltanto dimensionali, ma anche
architettoniche e stilistiche che lasciano
inalterati i volumi e la sagoma.
Posto che per risolvere la questione
all'esame di questo giudice occorre
inquadrare esattamente la tipologia
dell'intervento edilizio contestato, occorre
ricordare che -per giurisprudenza pacifica
(anche di questo Tribunale: cfr., in termini
e da ultimo, Tar Campania-Napoli, VIII,
27.02.2009, n. 1153)- al fine di qualificare
come ristrutturazione edilizia un'opera,
occorre che il complesso edilizio, sul quale
si operano gli interventi, rimanga alla fine
sostanzialmente il medesimo per forma,
volume e altezza.
Il risultato della ristrutturazione può
essere, infatti, un organismo edilizio anche
diverso dal precedente purché però la
diversità sia dovuta ad interventi
comprendenti il ripristino o la sostituzione
di alcuni elementi costitutivi del manufatto
ovvero l'eliminazione, le modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti,
in quanto la ristrutturazione edilizia mira,
in definitiva, alla salvezza del complesso
esistente (fra le ultime: Consiglio di
Stato, sez. V, n. 1246 del 05.03.2001, n.
6768 del 18.12.2000 e n. 3901 del
13.07.2000).
La giurisprudenza ha poi fatto rientrare
nella nozione di ristrutturazione edilizia,
anche gli interventi consistenti nella
demolizione e successiva fedele
ricostruzione di un fabbricato nelle sue
caratteristiche preesistenti, non soltanto
dimensionali, ma anche architettoniche e
stilistiche che lasciano inalterati i volumi
e la sagoma (fra le ultime Consiglio di
Stato, sez. V, n. 5410 del 09.10.2002, n.
6769 del 18.12.2000, n. 3901 del 13.07.2000
cit.).
Esula invece dal concetto di
ristrutturazione la totale demolizione e
ricostruzione di un manufatto nel caso che
il nuovo stabile non sia fedele al
precedente, per sagoma, volumi e
collocazione (Consiglio di Stato, sez. V, n.
5093 del 26.09.2000).
In tal caso l'intervento deve considerarsi
come nuova costruzione e, come tale, è
soggetto alle limitazioni imposte dalle
norme urbanistiche in vigore al momento in
cui va esaminata la possibilità o meno di
riconoscerne la legittimità (Consiglio di
Stato, sez. V n. 4397 del 10.10.2000).
Anche l'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001, n.
380, recante il Testo Unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia, al comma 1, lettera d)
definisce interventi di ristrutturazione
edilizia quelli <<rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad
un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente>>.
Il successivo periodo della norma,
modificato con il D.Lgs. 27.12.2002, n. 301,
precisa poi, per quel che qui interessa, che
<<nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione sono ricompresi anche
quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica>>.
Quando
si interviene su un edificio preesistente
(senza la sua totale demolizione) un
intervento può qualificarsi di
ristrutturazione edilizia anche quando porti
ad un organismo in tutto o in parte diverso
dal precedente, purché il complesso
edilizio, sul quale si operano gli
interventi, rimanga alla fine
sostanzialmente il medesimo per forma,
volume e altezza.
Nel caso, invece, di totale demolizione solo
se la successiva ricostruzione è prevista
non solo con la stessa volumetria, ma anche
con la medesima sagoma dell'immobile
preesistente (fatte salve le sole
innovazioni necessarie per l'adeguamento
alla normativa antisismica) l'intervento può
inquadrarsi fra le ipotesi di
ristrutturazione edilizia, mentre la
ricostruzione (dopo la demolizione) di un
immobile diverso per volumi o anche solo per
la sagoma (a parità di volumi) dall'immobile
preesistente comporta la realizzazione di un
immobile nuovo e non di un immobile
ristrutturato, con la conseguente
applicazione della disciplina urbanistica
prevista per le nuove edificazioni.
Peraltro, come rilevato in precedenza,
l'indicata disciplina risulta coerente anche
con quanto previsto dall'art. 10, comma 1,
lettera c), del citato D.P.R. 06.06.2001, n.
380, recante il Testo Unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia, di recente modificato dal
D.Lgs. 27.12.2002, n. 301, che,
nell'indicare la tipologia di opere
assoggettate al "permesso di costruire"
include nella ristrutturazione edilizia <<gli
interventi ... che portino ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e che comportino aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, della
sagome, dei prospetti o delle superfici>>.
Infatti, tale norma, per poter essere
correttamente interpretata, deve essere
correlata con il precedente già richiamato
art. 3 del Testo Unico che, nel dare la
definizione degli interventi di "ristrutturazione
edilizia" chiarisce definitivamente che
solo <<la ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma>> dell'edificio
preesistente può essere considerata tale. Ne
consegue, in coerenza con la citata
consolidata giurisprudenza sul punto, che la
demolizione e la successiva ricostruzione di
un immobile comunque diverso dal precedente
non possono in alcun caso essere considerate
come "ristrutturazione edilizia"
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 28.07.2009 n. 4401 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Si ha ristrutturazione edilizia
se e in quanto si realizzi una assoluta
trasformazione tale da condurre ad un
edificio diverso da quello precedente per
tipo, caratteristiche, dimensioni e
localizzazione, mediante interventi su parti
costitutive dell'immobile e l'inserimento di
nuove parti costitutive ed impianti.
Si ha
ristrutturazione edilizia se e in quanto si
realizzi una assoluta trasformazione tale da
condurre ad un edificio diverso da quello
precedente per tipo, caratteristiche,
dimensioni e localizzazione, mediante
interventi su parti costitutive
dell'immobile e l'inserimento di nuove parti
costitutive ed impianti. Danno invece luogo
a manutenzione straordinaria gli interventi
di minore importanza, non incidenti sulla
volumetria e destinazione d'uso, quali
quelli comportanti demolizioni e
ricostruzioni di pareti divisorie, di
pavimenti o di servizi igienici, la
realizzazione di scale interne e la
formazione di servizi igienici (Cfr.
Consiglio Stato , sez. V, 23.01.1984 , n.
649).
Ed “è pacifico che per le opere di
manutenzione non occorre la concessione
edilizia e non può essere ordinata la
demolizione. Infatti, le norme vigenti
all'epoca dell'adozione dell'atto impugnato
(art. 48, l. n. 47 del 1985) prevedevano che
gli interventi di manutenzione ordinaria e
straordinaria fossero soggetti non a
concessione edilizia, bensì ad
autorizzazione del Sindaco e le opere
eseguite senza autorizzazione erano soggette
non alla demolizione bensì alla sanzione
pecuniaria (art. 9, l. n. 47 del 1985)”
(Cfr. TAR Campania Napoli, sez. VII,
23.07.2008, n. 9192)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 24.07.2009 n. 7509 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Laddove
l'intervento progettato vada ascritto alla
ristrutturazione -compreso il caso in cui si
alteri anche solo sotto il profilo della
distribuzione interna l'originaria
consistenza fisica di un immobile- occorre
dotare gli appartamenti, ricavati dal
frazionamento mediante strutture murarie,
dei servizi accessori ad uso abitativo e di
spazi pertinenziali, con il conseguente
incremento del carico urbanistico.
Poiché si versa in un’ipotesi di
ristrutturazione globale dell’immobile è
legittima la pretesa del Comune di calcolare
il contributo per oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione in relazione non solo
all’incremento di s.u. ma, altresì, alla
superficie utile già esistente ma
funzionalmente necessaria alla creazione di
siffatto nuovo e diversamente articolato
complesso immobiliare.
L’intervento
edilizio in questione ha ad oggetto la
trasformazione dell’organismo edilizio
preesistente mediante demolizione e
ricostruzione di un fabbricato a
destinazione residenziale e commerciale e di
recupero a fini abitativi di sottotetto.
Il progetto prevede, in particolare, la
realizzazione di un nuovo piano seminterrato
(adibito a cantine e box), la formazione di
un nuovo piano rialzato (9 laboratori), un
primo piano (6 appartamenti e un
laboratorio), un trasferimento di s.l.p. ad
uso residenziale dal primo e secondo piano
al secondo piano e la formazione di un nuovo
corpo al secondo piano e il recupero a fini
abitativi del sottotetto (5 appartamenti).
L’intervento è da qualificarsi quale
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione.
Che non si tratti di un intervento
ascrivibile alla ristrutturazione semplice
è, difatti, evincibile, oltre che dalle
risultanze dell’attività istruttoria
compiuta del Comune di Milano dalla stessa
relazione tecnica allegata all’istanza di
permesso di costruire, in cui è prevista
espressamente la realizzazione di opere di
demolizione e la costruzione di un organismo
edilizio sostanzialmente nuovo.
Sono, d’altro canto, gli stessi ricorrenti a
parlare in più occasioni di ristrutturazione
mediante demolizione e ricostruzione: il
ricorso e, in particolare, la censura
formulata con il quarto motivo –con cui
viene lamentata l’equiparazione ad opera
della deliberazione del C.C. di Milano n.
13/2007 delle tariffe dovute per gli
interventi di ristrutturazione mediante
demolizione e ricostruzione a quelle
previste per gli interventi di nuova
costruzione– sono impostati sul presupposto
di una qualificazione dell’intervento quale
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione e non quale semplice
ristrutturazione.
L’intervento, finalizzato alla
ristrutturazione generale e globale
dell’edificio con incremento delle unità
abitative rispetto a quelle esistenti,
comporta un evidente maggior carico
urbanistico ed è pertanto soggetto al
pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Un aggravio del carico urbanistico, in
relazione alla maggiore dotazione di servizi
che l'opera assentita determina nell'area in
cui viene realizzata, è, difatti, legato
all’incremento della superficie utile,
all’aumento delle unità immobiliari e,
comunque, alla realizzazione di un organismo
edilizio sostanzialmente nuovo.
La giurisprudenza è, al riguardo, concorde
nel ritenere che, laddove l'intervento
progettato vada ascritto alla
ristrutturazione -compreso il caso in cui si
alteri anche solo sotto il profilo della
distribuzione interna l'originaria
consistenza fisica di un immobile- occorra
dotare gli appartamenti, ricavati dal
frazionamento mediante strutture murarie,
dei servizi accessori ad uso abitativo e di
spazi pertinenziali, con il conseguente
incremento del carico urbanistico (cfr. Tar
Emilia Romagna, sentenza 02.11.1999, n.
540).
Poiché si versa in un’ipotesi di
ristrutturazione globale dell’immobile è,
inoltre, legittima la pretesa del Comune di
calcolare il contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione in
relazione non solo all’incremento di s.u.
ma, altresì, alla superficie utile già
esistente ma funzionalmente necessaria alla
creazione di siffatto nuovo e diversamente
articolato complesso immobiliare (cfr. Tar
Emilia Romagna, 27/04/2005, n. 664)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
ristrutturazione previa demolizione
presuppone in sede di riedificazione il
rispetto della sagoma e della volumetria del
manufatto preesistente.
Per le opere di ristrutturazione con
demolizione e ricostruzione, il rispetto
della sagoma è richiesto perché, eliminati
tutti gli elementi materiali dell'edificio
preesistente, essa è il solo elemento fisico
che permette di individuare quel
collegamento con l'edificio abbattuto che
costituisce la ratio della qualificazione di
un intervento come di ristrutturazione
edilizia.
Ai sensi dell’art. 3, lett. d), del D.P.R.
06.06.2001 n. 380 (come modificato dall’art.
1 del D.Lgs. 27.12.2002, n. 301) sono «interventi
di ristrutturazione edilizia» quelli
volti a “trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di
opere che possono portare ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il
ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento
di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito
degli interventi di ristrutturazione
edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica”.
Quindi, secondo la norma menzionata, la
ristrutturazione previa demolizione
presuppone in sede di riedificazione il
rispetto della sagoma e della volumetria del
manufatto preesistente (Consiglio di Stato,
Sez. IV, 10.04.2008, n. 1550).
Sul punto si è osservato che, per le opere
di ristrutturazione con demolizione e
ricostruzione, il rispetto della sagoma è
richiesto perché, eliminati tutti gli
elementi materiali dell'edificio
preesistente, essa è il solo elemento fisico
che permette di individuare quel
collegamento con l'edificio abbattuto che
costituisce la ratio della
qualificazione di un intervento come di
ristrutturazione edilizia (TAR Lombardia,
Milano, 16.01.2009, n. 153).
Inoltre, l’ampliamento o la riduzione del
volume o la modifica della sagoma del
fabbricato comporterebbero il venir meno
della finalità della normativa statale, che
consiste nel recupero del patrimonio
esistente mediante la liberalizzazione degli
interventi sul patrimonio immobiliare, al
fine di migliorare e ammodernare i
fabbricati più vecchi e malridotti,
mantenendone tuttavia inalterati i valori
estetici e funzionali.
Ulteriori perplessità in ordine
all'ampliamento del concetto di
ristrutturazione fino a comprendervi anche
le modifiche di sagoma, deriva dal regime
giuridico connesso agli interventi di
ristrutturazione. Infatti è opinione comune
della giurisprudenza (TAR Puglia, Bari,
22.07.2004 n. 3210) che per la
ristrutturazione edilizia, anche mediante
ricostruzione dell'edificio demolito,
restano ferme le norme urbanistiche vigenti
al tempo in cui venne rilasciato
l'originario titolo edilizio, con la
conseguenza che non sono applicabili le
prescrizioni ed i vincoli imposti dagli
strumenti urbanistici sopravvenuti. Invero,
la ratio di questa disciplina tipica
della ristrutturazione edilizia è quella di
favorire l'attuazione di tutti quegli
interventi migliorativi del patrimonio
edilizio esistente che lasciano inalterato
il tessuto urbanistico ed architettonico
preesistente, ancorché difformi dalle nuove
norme che regolano l'attività di
trasformazione del territorio.
Alle considerazioni esposte consegue che,
trattandosi di costruzione non rispettosa
della volumetria e sagoma del fabbricato
preesistente (Consiglio di Stato, Sez. VI,
16.12.2008, n. 6214), l’intervento edilizio
in questione deve essere correttamente
qualificato come nuova edificazione,
sottoposta alla disciplina contenuta nel
punto 22 delle N.T.A. e, per l’effetto, esso
non poteva essere assentito in quanto
recante superficie inferiore a quello
prescritto dalla disciplina urbanistica
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 23.07.2009 n. 4275 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia -
Interventi rivolti a trasformare i manufatti
- Permesso di costruire – Necessità –
Fattispecie: Apertura di una porta al posto
di una preesistente finestra - Art. 3, c. 1,
lett. d), D.P.R. n. 380/2001, (mod. dal
D.Lgs. n. 301/2002).
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1,
lett. d) (modificato dal D.Lgs. n. 301 del
2002) definisce ristrutturazione edilizia
gli interventi rivolti a trasformare i
manufatti attraverso un insieme sistematico
di opere che possono condurre ad un
organismo in tutto o in parte diverso dal
precedente.
Tali interventi possono comportare il
ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell'edificio e la
eliminazione, la modifica, l'inserimento di
nuovi elementi o impianti. Nella specie,
l'apertura di una porta al posto di una
preesistente finestra necessita del
preventivo rilascio del permesso di
costruire, non essendo sufficiente la mera
denuncia d'inizio attività poiché si tratta
d'intervento edilizio comportante una
modifica dei prospetti, in quanto tale non
qualificabile come ristrutturazione edilizia
"minore" (Corte di cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 13.01.2009 n. 834 - link
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dossier RIFIUTI E BONIFICHE |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Per poter legittimamente ordinare
ad un proprietario la rimozione dei rifiuti
da un determinato luogo, è previamente
necessario aver identificato il collegamento
tra un’azione od un’omissione, da lui posta
in essere dolosamente o colposamente, e lo
stato di abbandono dei rifiuti sul luogo.
Per poter legittimamente ordinare ad un
proprietario la rimozione dei rifiuti da un
determinato luogo, è previamente necessario
aver identificato il collegamento tra
un’azione od un’omissione, da lui posta in
essere dolosamente o colposamente, e lo
stato di abbandono dei rifiuti sul luogo
(cfr., di recente, TAR Emilia-Romagna,
Bologna, sez. II, n. 78 del 2008; TAR
Basilicata, n. 651 del 2007), con esclusione
di qualsivoglia aspetto di responsabilità
oggettiva o “di posizione” in capo al
proprietario unicamente per effetto della
sua posizione dominicale (TAR Toscana, sez.
II, n. 3279 del 2007) (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 27.07.2009 n. 2094 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - RIFIUTI - Ordine
di rimozione, smaltimento e riduzione in
pristino - Proprietario - Colpa -
Amministratore della società proprietaria
-Deposito di detriti - Rapporto con la
responsabilità penale - Fatto illecito
dell’ausiliario o del preposto - Culpa in
eligendo e in vigilando.
A fronte della presenza di una certa fonte
di inquinamento è indiscusso ed
indiscutibile che l’amministrazione possa
ordinarne la rimozione, lo smaltimento e la
riduzione in pristino dell’area anche al
proprietario, in solido con il responsabile
dell’inquinamento, qualora in capo al primo
sia ravvisabile un profilo di dolo o di
colpa, a prescindere dalla diretta
responsabilità per l’inquinamento ovvero
l’accumulo sul luogo.
Ovviamente il profilo di colpa rilevante ai
fini per cui è causa non è necessariamente
coincidente con la commissione di un fatto
penalmente rilevante; al di là del fatto che
sia o meno ascrivibile all’amministratore
della società una fattispecie di reato per
il materiale deposito dei detriti, ben
potrebbe comunque ravvisarsi una
responsabilità colposa omissiva sotto il
profilo civilistico, non solo nel
proprietario che tollera il deposito di
materiale ignoto da parte di ignoti pure
colti sul fatto sul proprio terreno, ma
ancor di più di colui che civilisticamente
risponde del fatto illecito del proprio
ausiliario o preposto per non averne
controllato debitamente l’operato, e quindi
per culpa vuoi in eligendo vuoi in vigilando
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 21.07.2009 n. 2067 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Non può considerarsi legittimo
l’accollo indifferenziato delle attività e
degli oneri di bonifica di un sito
contaminato sui produttori che in esso
operano, senza il preventivo accertamento,
con procedimento partecipato, delle relative
responsabilità per l’inquinamento
riscontrato.
La Sezione ritiene preliminarmente di
ribadire (27.01.2009, n. 408) in via
generale come il principio comunitario “chi
inquina paga”, piuttosto che ricondursi
alla fattispecie illecita integrata dal
concorso dell’elemento soggettivo del dolo o
della colpa e dall’elemento materiale,
imputi il danno a chi si trovi nelle
condizioni di controllare i rischi, cioè
imputa il costo del danno al soggetto che ha
la possibilità della “cost-benefit
analysis”, per cui lo stesso deve
sopportarne la responsabilità per essersi
trovato, prima del suo verificarsi, nella
situazione più adeguata per evitarlo in modo
più conveniente.
Prima della riforma della materia operata
per mezzo del Decr. Legisl. n. 152/2006, non
mancavano oscillazioni tra pronunce tese a
sostenere che tale principio avesse
meramente valore programmatico e fosse
insuscettibile di trovare applicazione
nell’Ordinamento statuale interno, e
pronunciamenti di segno opposto, questi
ultimi prevalenti soprattutto nella
giurisprudenza penale (cfr. TAR Emilia
Romagna, Bologna, I, 5.2001, n. 300;
03.03.1999, n. 86; Cass. Pen., III,
13.10.1995, n. 11336; 24.04.1995, n.7690).
Proprio questa Sezione (05.07.2007, n. 6526)
ebbe ad affermare il carattere meramente
programmatico, potendo dunque essere
utilizzato in funzione interpretativa ma non
quale regola specifica per la soluzione del
caso non regolato, del principio stabilito
dall’art. 130 del Trattato di Maastricht;
tuttavia, dopo l’auspicio espresso in sede
di parere (Cons. Stato, sez. consult.,
05.11.2007, n. 3838) circa l’inserimento nel
Codice dell’ambiente dei principi di
prevenzione e correzione alla fonte dei
danni causati all’ambiente, del principio “chi
inquina paga” nonché del principio
precauzionale, nessuno più dubita della
piena vigenza del principio “chi inquina
paga” in tutti i procedimenti
amministrativi in corso laddove non si sono
prodotti diritti quesiti o comunque effetti
definitivi.
Quando, pertanto, la decisione
amministrativa inerisce ad una ripartizione
di oneri finanziari, allora nessun effetto
definitivo può dirsi ancora consolidato nel
procedimento in itinere relativamente
all’aspetto “in danno” alle aziende,
ovvero a loro carico; perciò i relativi
costi devono essere addossati ai
responsabili dell’inquinamento e questo è un
dato di indagine del tutto non compromesso
dallo stato del procedimento al momento
dell’entrata in vigore della nuova norma.
Non può dunque considerarsi legittimo
l’accollo indifferenziato delle attività e
degli oneri di bonifica di un sito
contaminato sui produttori che in esso
operano, senza il preventivo accertamento,
con procedimento partecipato, delle relative
responsabilità per l’inquinamento
riscontrato.
Nei casi di cui alle presenti controversie
trova poi margine di applicazione il
principio generale di proporzionalità,
principio che, come è noto, si attaglia
particolarmente alla materia delle
limitazioni del diritto di proprietà, della
attività di autotutela, delle ordinanze di
necessità ed urgenza, delle irrogazione di
sanzioni e, appunto, della tutela ambientale
(Cons. Stato, IV, 22.03.2005, n. 1195): in
base ad esso la Pubblica Amministrazione
deve adottare la soluzione idonea ed
adeguata, comportante il minor sacrificio
possibile per gli interessi compresenti e si
risolve, in buona sostanza,
nell'affermazione secondo cui le autorità
comunitarie e nazionali non possono imporre,
sia con atti normativi, sia con atti
amministrativi, obblighi e restrizioni alle
libertà del cittadino, tutelate dal diritto
comunitario, in misura superiore, cioè
sproporzionata, a quella strettamente
necessaria nel pubblico interesse per il
raggiungimento dello scopo che l'autorità è
tenuta a realizzare, sì che il provvedimento
emanato sia idoneo, cioè adeguato
all'obiettivo da perseguire e necessario,
nel senso che nessun altro strumento
ugualmente efficace, ma meno negativamente
incidente, sia disponibile (cfr., ex
plurimis, Cons. Stato, VI, 06.03.2007,
n. 1736).
E’ poi significativo che il recente D.Lgs.
n. 152/2006 rimarchi, sotto il versante
delle tecniche di intervento, l’importanza
del principio comunitario della
sostenibilità dei costi: principio che, in
buona sostanza, è correlato a quello di
proporzionalità. Similmente, alla stregua
del principio di precauzione che trova
origine nei procedimenti comunitari posti a
tutela dell’ambiente, è consentito
all’Amministrazione procedente adottare i
provvedimenti necessari laddove essa paventi
il rischio di una lesione ad un interesse
tutelato anche in mancanza di un rischio
concreto: è evidente che questo secondo
principio deve armonizzarsi, sul versante
della concreta applicazione, con il primo,
cioè con il principio di proporzionalità,
non potendo chiaramente prefigurarsi la
prevalenza del primo sul secondo, ma
dovendosi ricercare un loro equilibrato
bilanciamento in relazione agli interessi
pubblici e privati in giuoco.
Conseguentemente tutte le decisioni adottate
dalle competenti autorità in materia
ambientale devono essere assistite -in
relazione, per l’appunto, alla pluralità ed
alla rilevanza degli interessi in giuoco- da
un apparato motivazionale particolarmente
rigoroso, che tenga conto di una attività
istruttoria parimenti ineccepibile.
In
tema di danno ambientale, si è sostenuto che
la responsabilità oggettiva sarebbe più
efficace nel tutelare il valore
dell’ambiente, rispetto al modello
tradizionale della responsabilità per colpa;
in altri termini, considerato l’attuale
livello di sviluppo tecnologico e
commerciale, sarebbe necessario addossare i
rischi per danni in capo a coloro che
possiedono i mezzi per farvi fronte e,
soprattutto, hanno un potere di controllo
sulle fonti produttive di rischi, effettivi
o anche solo potenziali, per rendere
effettiva la prevenzione e, in caso di
accadimenti lesivi, la ristorazione delle
posizioni soggettive, private o pubbliche,
eventualmente incise. Tuttavia la natura “oggettiva”
della responsabilità non esclude certamente
che si debba verificare ed accertare il
presupposto causale della stessa, ossia
l’avvenuto inquinamento “imputabile”
come nesso eziologico all’impresa ed alla
sua attività, tanto più che il nuovo quadro
normativo impone sotto differenti profili di
escludere che il responsabile della bonifica
–ovvero del danno ambientale– possa essere
individuato solo in virtù del rapporto
esistente tra un determinato soggetto e
l’apparato produttivo esistente nel terreno
inquinato. Va quindi esclusa qualsiasi
responsabilità “da posizione” che non
può configurarsi surrettiziamente neppure
con riferimento ai “vantaggi”
connessi all’esercizio di un’impresa (TAR
Sicilia, Catania, I, 20.07.2007, n. 1254)
TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 03.07.2009 n. 3727 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Art. 192 d.lgs. n.
152/2006 - Proprietario - Ordinanza di
rimozione - Elemento soggettivo - Dolo o
colpa.
In forza dell’art. 192 D.L.vo 03.04.2006 n.
152, in caso di riversamento di rifiuti su
un sito da parte di terzi ignoti, il
proprietario o comunque il titolare in uso
di fatto del terreno non può essere chiamato
a rispondere della fattispecie di abbandono
o deposito incontrollato di rifiuti sulla
propria area se non viene individuato a suo
carico l'elemento soggettivo del dolo o
della colpa, per cui lo stesso soggetto non
può essere destinatario di ordinanza
sindacale di rimozione e rimessione in
pristino.
RIFIUTI - Abbandono -
Ordinanza di rimozione - Competenza
dirigenziale - Art. 107 T.U. n. 267/2000.
Ai sensi dell'art. 107, comma 5, T.U.
18.08.2000, n. 267, rientra nella competenza
del dirigente, e non del Sindaco, l'adozione
dell'ordinanza di rimozione di rifiuti
rivolta al proprietario di un'area sulla
quale gli stessi sono stati abbandonati (TAR
Basilicata 23.05.2007 n. 457) (TAR
Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 09.06.2009 n. 3159 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Art. 14 d.lgs. n.
22/1997, oggi art. 192 d.lgs. n. 152/2006 -
Ordine di smaltimento rivolto al
proprietario - Corresponsabilità con
l’autore dell’illecito abbandono -
Imputabilità a titolo di dolo o colpa -
Fattispecie: omessa recinzione del fondo.
L’art. 14 del d.lgs.vo 05.02.1997, n. 22
(attualmente trasfuso nell’art. 192 del
d.lgs.vo 03.04.2006, n. 152), è
pacificamente interpretato dalla
giurisprudenza amministrativa nel senso che
è illegittimo l'ordine di smaltimento di
rifiuti rivolto al proprietario di un fondo
inquinato in quanto tale, atteso che la
responsabilità di tale soggetto sorge
esclusivamente se lo stesso può ritenersi
titolare di un obbligo specifico, che può
desumersi esclusivamente da un
comportamento, anche omissivo, di
corresponsabilità con l'autore dell'illecito
abbandono, cosicché l'amministrazione deve
fornire adeguata dimostrazione, attraverso
un'istruttoria completa ed un'esauriente
motivazione, dell'inquinamento avvenuto in
area ben individuata ed appartenente in modo
certo ad un determinato soggetto, al quale
l'abbandono dei detti rifiuti sia
addebitabile a titolo di dolo o colpa (ex
plurimis Consiglio Stato, V, 04.03.2008,
n. 807; II, 13.07.2005, n. 4310; II,
25.05.2005, n. 3602; TAR Emilia Romagna, II,
22.01.2008, n. 78; TAR Sardegna, II,
18.05.2007, n. 975; TAR Campania Napoli, V,
16.04.2007, n. 3727) (fattispecie relativa
all’omessa recinzione di un fondo,
confinante con la strada provinciale e
pertanto agevolmente raggiungibile, ove
erano riversati rifiuti di vario tipo: il
TAR ha ritenuto sussistere la responsabilità
per colpa) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 04.06.2009 n. 1006 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Art. 192
d.lgs. n. 152/2006 - Obbligo di rimozione -
Proprietario - Elemento soggettivo -
Fattispecie: abbandono di pneumatici da
parte del conduttore del fondo.
L'articolo 192 del D. lgs. 152 del 2006 (che
ha sostanzialmente recepito lo stesso
principio contenuto nel previgente articolo
9 del D.P.R. 10/09/1982, n. 915, nonché
dell'articolo 14 del decreto legislativo
05/02/1997, n. 22) dispone che l'obbligo di
procedere alla rimozione dei rifiuti
abbandonati può gravare, in solido con il
responsabile, anche a carico del
proprietario e del titolare di diritti reali
o personali di godimento solo se tale
violazione sia anche a loro imputabile a
titolo di dolo o colpa, in base agli
accertamenti effettuati, in contraddittorio
con i soggetti interessati, da coloro che
sono preposti al controllo (fattispecie
relativa all’abbandono di pneumatici da
parte del conduttore del fondo: la
responsabilità del proprietario è stata
esclusa in ragione del fatto che egli non ha
la disponibilità del bene concesso in
locazione né, di conseguenza, è consentita
la facoltà di controllare adeguatamente
l'operato del conduttore).
RIFIUTI - Responsabilità
da inquinamento o abbandono di rifiuti -
Fallimento - Riconsegna al proprietario del
bene dato in locazione, onerato dai rifiuti
prodotti dal conduttore - Rifiuto del
proprietario - Legittimità - Oneri dello
smaltimento - Procedura fallimentare -
Bonifica mediante esecuzione d’ufficio -
Insinuazione in danno.
Pur essendo quella del curatore una
posizione caratterizzata da poteri limitati
e finalizzati, il fallimento di per sé non
muta l’attribuzione della responsabilità da
inquinamento od abbandono di rifiuti, né può
impedire al proprietario di rifiutare la
riconsegna del bene onerata da rifiuti
prodotti dal conduttore ancora da smaltire.
Gli oneri dello smaltimento, se di
pertinenza della società fallita, quindi,
non possono essere esclusi dalla procedura
fallimentare, eventualmente anche mediante
lo strumento dell’insinuazione in danno da
parte dell’Amministrazione nell’ipotesi in
cui questa debba disporre la bonifica
mediante esecuzione d’ufficio (si vedano TAR
Lombardia, Milano, II, n. 1159/2005; TAR
Toscana II, n. 1318/2001) (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 04.06.2009 n. 878 - link
a www.ambientediritto.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA:
Il potere di annullamento
dell'autorizzazione paesistica -esercitato
dalla Soprintendenza- non si sostanzia in un
complessivo riesame delle valutazioni
tecnico-discrezionali compiute dall'ente
locale ma si estrinseca in un controllo di
mera legittimità che pone in risalto proprio
la carenza della menzionata necessaria
valutazione di merito da parte del Comune.
Il provvedimento comunale, di rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica, non
risulta adeguatamente motivato con
ricostruzione dell’iter logico seguito in
ordine alle ragioni di compatibilità
effettive e quindi non evidenzia con
adeguato risalto l’interesse pubblico che ha
determinato l’imposizione del vincolo.
Il potere di annullamento
dell'autorizzazione paesistica esercitato
nella fattispecie dalla Soprintendenza non
si sostanzia in un complessivo riesame delle
valutazioni tecnico-discrezionali compiute
dall'ente locale, tale da comportare la
eventuale illegittima sovrapposizione o
sostituzione di una nuova valutazione di
merito a quella compiuta in sede di rilascio
dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un
controllo di mera legittimità che pone in
risalto proprio la carenza della menzionata
necessaria valutazione di merito da parte
del Comune.
Va comunque precisato che “Ove nel corso
del procedimento di condono di un abuso
edilizio e nell'esercizio del potere
previsto dall'art. 82, d.lg. 24.07.1977 n.
616 (trasfuso nel t.u. 29.10.1999 n. 490 e
poi nell'art. 146, d.lg. 22.01.2004 n. 42),
la Soprintendenza annulli per difetto di
motivazione l'autorizzazione paesaggistica
rilasciata dal comune, quest'ultimo è
titolare di un potere discrezionale, per il
quale o ritiene che possa essere rilasciata
una ulteriore autorizzazione paesaggistica,
con una motivazione diversa da quella che ha
condotto all'annullamento da parte
dell'organo statale ovvero, anche sulla base
delle valutazioni formulate da quest'ultimo,
ritiene che non sussistano i presupposti per
il rilascio di detta autorizzazione, ma in
tal caso deve esporre le relative ragioni
con adeguata motivazione, secondo i principi
generali riguardanti l'esercizio delle
pubbliche funzioni, e non può invece
ingiungere senz'altro la demolizione del
manufatto per il quale è stata proposta la
domanda di condono, ma è tenuto a valutare
se l'istanza (che da esso era già stata
positivamente valutata sotto il profilo
paesaggistico, con l'atto annullato per
difetto di motivazione) è meritevole di
essere accolta" (C.d.S. Sez. IV
28.04.2008 n. 1865)
(TAR Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 30.07.2009 n. 742 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E E AMBIENTALI -
Art. 159 d.lgs. n. 42/2004 - Vincolo
paesaggistico - Potere del Ministero per i
beni culturali - Natura - Annullamento per
motivi di legittimità - Riesame nel merito
della valutazione dell’Ente delegato -
Esclusione.
Il potere riconosciuto al Ministero per i
beni Culturali ai sensi dell’articolo 82 del
D.P.R. n. 616/1977 -ora articolo 159 del
decreto legislativo n. 42/2004- è da
intendersi quale espressione non già di un
generale riesame nel merito della
valutazione dell’Ente delegato, bensì di un
potere di annullamento per motivi di
legittimità, riconducibile al più generale
potere di vigilanza, che il legislatore ha
voluto riconoscere allo Stato nei confronti
dell’esercizio delle funzioni delegate alle
Regioni ed ai Comuni in materia di gestione
del vincolo, fermo restando che il controllo
di legittimità può riguardare anche tutti i
possibili profili dell’eccesso di potere (da
ultimo, Corte Cost., 07.11.2007, n. 367)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 02.07.2009 n. 3672 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Realizzazione di un parcheggio nei pressi di
un luogo di culto - Parere negativo -
Concertazione con le autorità religiose ex
art. 19 d.lgs. n. 490/1999 - Necessità -
Esclusione.
Il parere negativo sulla realizzazione di un
parcheggio nei pressi di un edificio di
culto non è certamente atto che possa
interferire con l’esercizio del culto e che,
in quanto tale, necessiti quella forma di “concertazione”
prevista dall’art. 19 del d.lgs. n.
490/1999, la cui evidente ratio è
quella di contemperare gli interessi
religiosi di cui l’autorità ecclesiastica si
fa portatrice con quelli culturali la cui
tutela è rimessa alle autorità civili.
In nessun modo la mancata realizzazione del
parcheggio può infatti impedire o limitare
l’accesso dei fedeli alle funzioni religiose
ed, in generale, essere d’impedimento o di
ostacolo al culto; né alla norma può darsi
la portata amplissima secondo cui l’ambito
riconnesso alle esigenze del culto è
talmente vasto da ricomprendere persino
l’esistenza di una infrastruttura che non ha
attinenza diretta alle funzioni religiose,
quale un parcheggio seminterrato nelle
vicinanze della chiesa (TAR Campania-Napoli,
Sez. IV,
sentenza 01.07.2009 n. 3623 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI -
BOSCHI E FORESTE - Taglio di bosco
autorizzato - Danneggiamento ceppaie - Reato
di cui all'art. 181 D.L.vo n. 42/2004 -
Configurabilità.
In materia di tutela ambientale, qualsiasi
modificazione del territorio, al di fuori
delle ipotesi consentite, purché
astrattamente idonea a ledere il bene
protetto, configura il reato di cui
all'articolo 181 del decreto legislativo n
42 del 2004.
Quindi anche il decespugliamento, il
disboscamento, il taglio o la distruzione di
ceppaie, al di fuori di qualsiasi pratica
colturale ed in assenza di autorizzazione o
in difformità da essa, configura il reato di
cui all'articolo 181 del decreto legislativo
n. 42 del 2004 (cfr Cass. n. 29483/2004,
Cass. n. 35689/2004, Cass. n. 16036/2006).
Il possesso dell’autorizzazione per il
taglio di un bosco non legittima il
danneggiamento delle ceppaie (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.05.2009 n. 20138 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI -
Costruzione iniziata in zona agricola
sottoposta a vincolo idrogeologico, sismico
ed ambientale senza concessione edilizia e
nulla osta paesaggistico - Sanzioni
applicabili - Art. 181 D. L.vo n. 42/2004
(in precedenza art. 163 d. l.gs. n. 490/1999
prima l'art 1-sexies L. n. 431/1985) - Art.
3, c. 1, lett. b), D. L.vo n. 63/2008 - Art.
44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001.
L'articolo 181 del d.lgs. n. 42
del 2004 (in precedenza art. 163 del decreto
legislativo n. 490/1999 ed ancora prima
l'articolo 1-sexies della legge n.431/1985),
punisce colui il quale senza alcuna
autorizzazione o in difformità da essa
esegue su beni paesaggistici lavori di
qualsiasi genere.
Con l'ampia locuzione di lavori di qualsiasi
genere si intendono non solo gli interventi
edilizi, ma qualsiasi modificazione esterna
dello stato dei luoghi, anche minima, purché
astrattamente idonea a ledere il bene
protetto. La norma non distingue tra
difformità totale o parziale rispetto all'
autorizzazione o variazione essenziale. Di
conseguenza per qualsiasi modificazione la
sanzione è unica ed e quella di cui all'art
44, lettera c), del testo unico
sull'edilizia (in precedenza articolo 20,
lettera c), legge n. 47 del 1985).
Infine, il legislatore, ha puntualizzato con
l'art. 3, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo n. 63 del 2008, che l'unica
sanzione applicabile è quella di cui alla
lettera c) dell'articolo 44 del D.P.R. n.
380/2001, testo unico sull'edilizia. Nella
fattispecie, oltre ad alcune opere interne,
per lo più irrilevanti ai fini della
configurabilità del reato paesaggistico sono
state compiute opere esterne di
significativo impatto ambientale, quali ad
esempio la demolizione della canna fumaria,
l'omessa realizzazione di tamponamenti, la
pavimentazione esterna, l'intonacatura
esterna (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 07.05.2009 n. 19077 -
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GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
Il termine decennale di
decadenza, dei piani attuativi, si
applica solo alle disposizioni di contenuto
espropriativo e non anche alle prescrizioni
urbanistiche, che rimangono operanti e
vincolanti senza limiti di tempo, fino alla
eventuale approvazione di nuovo piano
attuativo.
Osserva il Collegio che, vero che il p.d.l.
è scaduto (art. 9 L. n. 167 del 1962), ma
ciò non ha ripercussioni sul regime
urbanistico delle aree.
E’ giurisprudenza pacifica, infatti, che, ai
sensi dell’art. 16 L. n. 1150 del 1942,
applicabile anche ai piani di lottizzazione,
il termine decennale di decadenza si applica
solo alle disposizioni di contenuto
espropriativo e non anche alle prescrizioni
urbanistiche, che rimangono operanti e
vincolanti senza limiti di tempo, fino alla
eventuale approvazione di nuovo piano
attuativo (Cons. St. IV 02/06/2000 n. 3172 e
23/07/2007 n. 667).
In più l’area de qua è soggetta non
al regime della espropriazione, ma alla mera
cessione secondo la disciplina della
convenzione di lottizzazione, con la
conseguenza che il Comune non ha perso il
potere di formalizzare la cessione e di
disporre dell’area in assenza finora di
azioni per la sua decadenza
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 31.07.2009 n. 1968- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
comunicazione del parere sfavorevole della
Commissione edilizia costituisce rigetto
della relativa domanda ed è pertanto
immediatamente impugnabile.
Costituisce indirizzo giurisprudenziale
costante, dal quale non si ravvisano ragioni
per discostarsi nel caso di specie, quello
secondo cui la comunicazione del parere
sfavorevole della Commissione edilizia
costituisce rigetto della relativa domanda
ed è pertanto immediatamente impugnabile
(cfr., da ultimo e per tutte, Cons. Stato,
sez. V, 23.01.2007 e TAR Campania, Napoli,
sez. IV, 20.11.2006, n. 9983), e ciò perché,
se è vero che la comunicazione del parere
favorevole della Commissione Edilizia non ha
valore di rilascio della concessione, non
altrettanto può dirsi della comunicazione
del parere contrario, che -se effettuata da
parte dell'organo competente a rilasciare il
titolo abilitativo richiesto- costituisce
manifestazione della volontà di aderire alla
decisione negativa della Commissione e,
quindi, avendo tutti gli elementi necessari
del diniego, costituisce atto immediatamente
lesivo ed autonomamente impugnabile (questo
TAR sentenza n. 1994 del 2008)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 30.07.2009 n. 4229 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'asservimento
della volumetria realizzabile su un lotto a
favore di un altro, per consentire in
quest’ultimo una maggiore edificabilità, è
consentito solo per lotti aventi la medesima
destinazione urbanistica.
E’ pacifico in giurisprudenza che vi è
asservimento allorquando un’area non sia
semplicemente, in via di fatto, a servizio
di un edificio ma abbia giuridicamente
ricevuto tale destinazione attraverso uno
strumento urbanistico ovvero le norme del
regolamento edilizio ovvero un impegno
privato: per effetto di ciò, il fondo
asservito resta inedificabile (C.S., V, n.
1278/2003).
Inoltre, l’asservimento della volumetria
realizzabile su un lotto a favore di un
altro per consentire in quest’ultimo una
maggiore edificabilità è consentito solo per
lotti aventi la medesima destinazione
urbanistica, in quanto l’opposta soluzione
comporterebbe una evidente alterazione delle
norme che mirano a realizzare determinate
caratteristiche tipologiche della zona (C.S.
V Sez., n. 1172/2003, n. 530/1991)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 30.07.2009 n. 4229 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittima la demolizione di un'opera per il
solo fatto che sia abusiva e che sull'area
di edificazione insista il vincolo
paesaggistico ex D.Lgs. n. 42/2004.
Il rimedio della demolizione appare imposto
dall’assoluta abusività delle opere in
questione (edificazione di un manufatto a
forma rettangolare delle dimensioni di m
7,50 x 2,80, h. 2,80) e per l’insistenza sul
territorio isolano del vincolo paesistico ai
sensi del D.Lgs. 42/2004 (cfr. art. 27, co.
2, D.P.R. 380/2001 nella parte in cui
dispone: «qualora si tratti di aree
assoggettate alla tutela di cui al regio
decreto 30.12.1923, n. 3267, o appartenenti
ai beni disciplinati dalla legge 16.06.1927,
n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto
legislativo 29.10.1999, n. 490, il dirigente
provvede alla demolizione ed al ripristino
dello stato dei luoghi, previa comunicazione
alle amministrazioni competenti le quali
possono eventualmente intervenire, ai fini
della demolizione, anche di propria
iniziativa»).
La vincolatezza del provvedimento di
demolizione peraltro, come affermato dal
costante orientamento giurisprudenziale,
rende superflua e non dovuta una puntuale
motivazione essendo sufficiente l’aver
evidenziato la violazione del regime
vincolistico (cfr., ex multis, TAR
Campania Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n.
9718)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 29.07.2009 n. 4477 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
chiusura di un “pergolato” con degli
infissi, per quanto asseritamente amovibili,
è tale da consolidare la struttura in
questione rendendola, di fatto, un locale
chiuso fruibile autonomamente, il che si
sostanzia, evidentemente, in un aumento di
volumetria.
In merito all’avvenuta presentazione di
istanza di sanatoria, va detto che,
diversamente da quanto asserito in ricorso,
è stata presentata un’istanza di sanatoria
ai sensi dell’art. 37 D.P.R. d.lgs. 380/2001
(“interventi eseguiti in assenza o in
difformità dalla denuncia di inizio attività
e accertamento di conformità”) anziché
ex art. 36 del medesimo testo legislativo
(relativo all’accertamento di conformità
delle opere eseguite in assenza di permesso
di costruire o, anche di D.I.A. ma nei casi
particolari di cui all’art. 22, co. 3,
pacificamente non ricorrenti nel caso di
specie).
Tanto basterebbe a ritenere la censura
infondata in fatto, per l’evidente rilevanza
del diverso riferimento normativo in base a
cui è stata effettivamente richiesta la
sanatoria.
Può dirsi, però, nel merito, che non appare
applicabile l’art. 37 D.P.R. 380/2001 in
quanto l’intervento edilizio già menzionato,
per quanto relativo a un’area ove già
insisteva un pergolato di legno, non è
assentibile in base alla presentazione di
una mera denuncia di inizio attività.
In primo luogo, infatti, lo stesso
pergolato, costituito da legno e muratura,
non sembra essere stato giammai assentito da
parte delle competenti autorità, né è
dimostrata l’inapplicabilità del regime
autorizzatorio alla struttura per
l’eventuale risalenza della stessa ad epoca
anteriore al 1967; è evidente che la
preesistenza di un’immobile già abusivo non
può servire a lucrare un regime
autorizzatorio più favorevole per gli
ulteriori interventi posti in essere sul
medesimo.
D’altro canto la chiusura del medesimo “pergolato”
con degli infissi, per quanto asseritamente
amovibili, è tale da consolidare la
struttura in questione rendendola, di fatto,
un locale chiuso fruibile autonomamente, il
che si sostanzia, evidentemente, in un
aumento di volumetria.
Quanto precede dimostra la necessità del
permesso di costruire e dell’attivazione
della procedura di sanatoria ex art. 36
D.P.R. 380/2001 in luogo di quella di cui
all’art. 37 del medesimo Testo Unico
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 29.07.2009 n. 4477 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
precarietà va esclusa allorché si tratti di
un manufatto destinato a dare utilità
prolungata nel tempo e ciò indipendentemente
dai materiali utilizzati o dal sistema di
ancoraggio.
Proprio in relazione al tipo di opera posta
in essere -una casa mobile su ruote
appoggiata al suolo- l’obbligatorietà di
munirsi del preventivo titolo abilitativo è
espressamente prevista dalla normativa
urbanistico-edilizia recata dalla legge
regionale n. 1/2005, lì dove l’art. 78
stabilisce espressamente che: ”sono
considerate trasformazioni urbanistiche ed
edilizie soggette a permesso di costruire,
in quanto incidono sulle risorse essenziali
del territorio ….: b) l’installazione di
manufatti anche prefabbricati e di strutture
di qualsiasi genere, quali roulotte, camper,
case mobili, imbarcazioni che siano
utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e
simili e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee, quali
esplicitamente risultino in base alle
vigenti disposizioni”.
Il legislatore, quindi, ha di per sé
considerato l’installazione delle strutture
del genere come quelle qui in rilievo
(roulotte, case mobili) come meritevoli di
essere assoggettate al preventivo rilascio
del permesso di costruire e tanto in ragione
del fatto che, indipendentemente dal
materiale, dalla forma e dalle modalità di
appoggio al suolo, tali manufatti per le
loro caratteristiche oggettive di occupare
un volume vanno significativamente ad
incidere sull’assetto del territorio e
quindi devono essere debitamente
autorizzate.
Sul punto, peraltro, la giurisprudenza si è
espressa a proposito della questione della
precarietà, condizione, che da sé manda
esente dall’obbligo di munirsi di permesso e
a tale proposito va ribadito il principio
già espresso in analoghe circostanze da
questa Sezione secondo cui la precarietà va
esclusa allorché si tratti di un manufatto
destinato a dare utilità prolungata nel
tempo e ciò indipendentemente dai materiali
utilizzati o dal sistema di ancoraggio (cfr.
21/11/2000 n. 2346).
Ebbene, le opere in questione per la loro
consistenza e caratteristiche costruttive
appaiono oggettivamente destinate ad
esigenze non temporanee, bensì ad un
utilizzo abitativo permanente e duraturo.
Il fatto che siano destinate ad ospitare una
persona affetta da disabilità, tale
circostanza ancorché avente un suo rilievo
etico-affettivo assolutamente apprezzabile,
non vale a giustificare legittimamente
l’avvenuta realizzazione dei manufatti
stessi in assenza di titolo abilitativo.
In presenza quindi di opere abusivamente
eseguite, per lo più in area sottoposte ad
un regime di tutela 8 vincolo idrogeologico
e paesaggistico che vieta quale che sia
intervento senza autorizzazione, il Comune
non poteva non adottare la misura
demolitoria-ripristinatoria volta appunto a
rimuovere dal suo territorio opere che in
quanto non preventivamente autorizzate,
contrastano con la normativa urbanistica
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 29.07.2009 n. 1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento che dispone l'acquisizione
gratuita al patrimonio comunale dei beni
abusivamente realizzati costituisce un atto
dovuto, la cui adozione è stata imposta una
volta accertata la non avvenuta ottemperanza
al presupposto provvedimento demolitorio.
E’ indubbio che il provvedimento in
discussione (ndr: che dispone
l'acquisizione gratuita al patrimonio
comunale dei beni abusivamente realizzati)
costituisca un atto dovuto, la cui adozione
è stata imposta una volta accertata la non
avvenuta ottemperanza al presupposto
provvedimento demolitorio.
Parte ricorrente lamenta il fatto che
l’acquisizione ha riguardato anche il
terreno sottostante ed immediatamente
adiacente, ma è la legge stessa (art. 132
della legge regionale n. 1/2005) a prevedere
che l’effetto ablatorio comprenda oltreché
le strutture emergenti anche l’area di
sedime su cui insistono le opere stesse
nella misura prevista dalla normativa
dettata in tema di abusi edilizi e comunque
va osservato come la previsione
dell’acquisizione delle relative superfici
era già contenuta nel pregresso
provvedimento n. 15/2006 senza che gli
interessati abbiano in sede di impugnativa
di quell’atto mosso alcun rilievo.
Quanto al vizio procedurale dedotto, lo
stesso non sussiste in quanto il TAR aveva
circoscritto nel tempo gli effetti
sospensivi dell’ordinanza di demolizione
(nei limiti del periodo estivo), sicché una
volta trascorso il periodo in questione,
s’imponeva a carico dei destinatari della
misura ripristinatoria procedere a dare
esecuzione all’ordine impartito
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 29.07.2009 n. 1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L’atto di revoca di un pregresso
provvedimento amministrativo favorevole deve
essere necessariamente preceduto dalla
comunicazione all'interessato dell'avvio del
relativo procedimento.
Ai sensi
dell'art. 7, l. 07.08.1990 n. 241 e in
applicazione dei principi generali sul
giusto procedimento, ai quali la Pubblica
amministrazione è tenuta a conformarsi
allorché adotta atti di autotutela o di
ritiro, l’atto di revoca di un pregresso
provvedimento amministrativo favorevole deve
essere necessariamente preceduto dalla
comunicazione all'interessato dell'avvio del
relativo procedimento per consentire al
ricorrente di esporre le sue difese e di
interloquire con l'amministrazione, con
argomentazioni astrattamente idonee ad
influire sulle determinazioni di questa
(cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 30.12.2008,
n. 6603).
La mancata osservanza della formalità
garantistica può essere giustificata da
particolari esigenze di urgenza, ma esse
devono essere adeguatamente esternate, anche
al fine di consentire il controllo
giurisdizionale del potere esercitato
dall'amministrazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 28.07.2009 n. 4472 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L'atto meramente confermativo non
configura un’autonoma determinazione
dell’amministrazione, di contenuto identico
ad altra precedente, ma rappresenta soltanto
la manifestazione della decisione
dell’amministrazione di non ritornare su
scelte già effettuate.
Secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza, l’atto meramente
confermativo non configura un’autonoma
determinazione dell’amministrazione, di
contenuto identico ad altra precedente, ma
rappresenta soltanto la manifestazione della
decisione dell’amministrazione di non
ritornare su scelte già effettuate; esso,
quindi, non riapre i termini per impugnare,
in quanto la mancata impugnazione del primo
atto lesivo (e, quindi, il definitivo
consolidamento degli effetti da questo
prodotti) rende inutile la caducazione del
successivo atto confermativo.
Il nuovo atto assume, invece, natura e
valore di conferma in senso proprio quando
l’amministrazione, dopo aver riconsiderato i
requisiti di fattispecie, si esprima ancora
in senso negativo. In tal caso,
l’amministrazione non si limita alla
constatazione di fatto dell’esistenza di un
precedente provvedimento, ma dà vita ad un
autonomo procedimento, esaminando nuovamente
la situazione di fatto e di diritto. Secondo
la giurisprudenza amministrativa,
allorquando l'amministrazione, sulla scorta
di un supplemento istruttorio e di una nuova
motivazione, mostri di voler confermare le
volizioni espresse in un atto precedente, il
conseguente provvedimento avrà valore di
atto di conferma e non di atto meramente
confermativo.
La conferma in senso proprio, sebbene
pervenga alle stesse conclusioni cui era
giunto il precedente provvedimento e ne
reiteri le statuizioni, è, quindi, un atto
che si sostituisce al precedente, come fonte
di disciplina del rapporto amministrativo.
Il vecchio provvedimento è così assorbito
dal nuovo, che viene ad operare in
sostituzione del primo.
Da tali premesse discende la conseguenza che
il nuovo provvedimento dovrà considerarsi
pienamente impugnabile con riferimento ad
ogni aspetto, anche per tutto ciò che in
esso possa risultare recepito dal primo, e
che l’eventuale annullamento giurisdizionale
dell’atto di conferma propria implica anche
il travolgimento dell’atto confermato (ormai
assorbito), a prescindere dal fatto che
questo sia stato, o meno, autonomamente
impugnato, lasciando così integro
l’interesse dell’amministrato ad ottenere un
diverso e satisfattivo assetto del rapporto
controverso, non pregiudicato da alcuna
pregressa statuizione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 28.07.2009 n. 4472 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Per avere uno specifico effetto
vincolante le determinazioni del piano
territoriale di coordinamento provinciale
devono essere recepite dallo strumento di
pianificazione comunale.
L’art. 15, l. Regione Lombardia n. 12/2005,
demanda al p.t.c.p. la definizione degli
obiettivi generali relativi all'assetto e
alla tutela del proprio territorio connessi
ad interessi di rango provinciale o
sovracomunale o costituenti attuazione della
pianificazione regionale e precisa che il
p.t.c.p. è atto di indirizzo della
programmazione socio-economica della
provincia ed ha efficacia
paesaggistico-ambientale.
Il piano territoriale di coordinamento
provinciale ha, dunque, natura di atto di
coordinamento e di indirizzo tipico della
programmazione intermedia (Cons. Stato, sez.
IV, 20.03.2000, n. 1493; TAR Emilia Romagna
Parma, sez. I, 10.03.2008, n. 130; Tar
Toscana, sez. III, 11.03.2004, n. 680).
Il rapporto tra la pianificazione
provinciale e quella comunale non si pone in
termini di gerarchia. La giurisprudenza è,
difatti, concorde nell’affermare che la
risalente nozione del sistema pianificatorio
urbanistico come ordinato "a cascata" e cioè
in forma sostanzialmente gerarchica si pone
in contrasto con il principio costituzionale
dell'autonomia degli enti territoriali (art.
118 Cost.) nonché con il criterio generale
di riparto delle competenze in materia
urbanistica delineato dalla normativa
statale.
In un contesto ordinamentale in cui il
principio di sussidiarietà, da un lato, e la
spettanza al comune di tutte le funzioni
amministrative che riguardano il territorio
comunale, dall'altro, orientano i vari
livelli di pianificazione urbanistica
secondo il criterio della competenza, il
ruolo del comune non può infatti essere
confinato nell'ambito della mera attuazione
di scelte precostituite in sede
sovraordinata.
Ciò comporta che il Comune, se non può
disattendere le prescrizioni di
coordinamento dettate dagli enti (Regione o
Provincia) titolari del relativo potere, può
però discrezionalmente concretizzarne i
contenuti (Cons. Stato, sez. IV, 01.10.2007,
n. 5058).
Il p.t.c.p. si pone, dunque, per lo più,
quale atto di indirizzo le cui
determinazioni, per avere uno specifico
effetto vincolante, dovranno essere recepite
dallo strumento di pianificazione comunale
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.07.2009 n. 4467 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
In favore della competenza degli
organi politici in luogo della dirigenza,
relativamente alla firma di atti
regolamentanti la circolazione stradale,
milita l’ulteriore considerazione per cui i
provvedimenti oggetto di impugnazione
costituiscono non già meri atti di
esecuzione di pregressi provvedimenti di
programmazione, ma essi stessi si pongono
come momenti di pianificazione e
regolamentazione dell’uso del territorio,
come tali in linea di principio
necessariamente rientranti nelle
attribuzioni degli organi di direzione
politica dell’ente locale, tra cui figura
nella fattispecie anche il Sindaco.
A seguito di una riunione concertativa, i
sindaci dei comuni ricadenti nel territorio
dell’isola di Ischia hanno stabilito
modalità di restrizione del traffico
veicolare, mediante al limitazione
dell’autorizzazione alla circolazione, nel
periodo estivo, ad un’unica autovettura per
nucleo familiare.
Il dedotto motivo di incompetenza del
sindaco non sussiste.
E’ stato in tal senso sostenuto che si
tratterebbe di una attribuzione che l’art.
107 del D.lgs. 18.08.2000 n. 267
riserverebbe ormai alla dirigenza e non più
agli organi politici dell’Amministrazione
locale, essendo le previsioni di cui
all’art. 7 del D.Lgs. 30.04.1992 n. 285
state modificate, quanto alla competenza,
dalle nuove disposizioni generali in materia
di riparto di competenze interne degli enti
locali. Né, del resto, si sarebbe potuto
trattare di un’ordinanza sindacale di
carattere contingibile ed urgente ai sensi
dell’art. 54 del T.U.E.L., difettandone
tutti i presupposti in fatto ed in diritto.
Osserva il Collegio che gli articoli 6 e 7
del d.lgs. 30.04.1992 n. 285 attribuiscono
espressamente al sindaco il compito di
individuare misure di limitazione del
traffico veicolare.
Quanto alla sopravvenuta competenza
dirigenziale in materia, si osserva che la
previsione dell’art. 7, comma 9, del D.Lgs.
30.04.1992, sebbene di epoca anteriore
rispetto alla disposizione normativa di cui
all’art. 107 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267 in
materia di competenze della dirigenza degli
enti locali, resta comunque successiva
rispetto all’introduzione nell’ordinamento
del principio di separazione tra compiti
degli organi di governo e compiti dei
dirigenti, a suo tempo introdotta già con la
legge 08.06.1990 n. 142; deve pertanto
ritenersi che, rispetto al predetto
principio, la disposizione de qua
assume natura di lex posterior e,
come tale, ben poteva proporsi come
fattispecie derogatoria rispetto al
preesistente principio di attribuzione di
siffatte competenze alla dirigenza.
Inoltre, in favore della competenza degli
organi politici in luogo della dirigenza,
milita anche l’ulteriore considerazione per
cui i provvedimenti oggetto di impugnazione
costituiscono non già meri atti di
esecuzione di pregressi provvedimenti di
programmazione, ma essi stessi si pongono
come momenti di pianificazione e
regolamentazione dell’uso del territorio,
come tali in linea di principio
necessariamente rientranti nelle
attribuzioni degli organi di direzione
politica dell’ente locale, tra cui figura
nella fattispecie anche il Sindaco, proprio
in virtù del potere espressamente
conferitogli dall’art. 7, comma 3, di
individuare misure di regolamentazione del
traffico cittadino
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 28.07.2009 n. 4426 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In qualunque tipo di gara, devono
svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti
concernenti quanto meno la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta.
In qualunque tipo di gara devono svolgersi
in seduta pubblica gli adempimenti
concernenti quanto meno la verifica
dell'integrità dei plichi contenenti
l'offerta, che si tratti sia di
documentazione amministrativa, sia di
documentazione riguardante l'offerta
tecnica, ovvero l'offerta economica,
distinguendosi però tra procedure di
aggiudicazione automatica, in cui il
principio della pubblicità è generalmente
totale nel senso che si applica anche
all'apertura dei plichi, e procedure di
aggiudicazione implicanti valutazioni
tecnico-discrezionali per la scelta
dell'offerta più vantaggiosa per
l'Amministrazione sulla base di una
pluralità di elementi tecnici ed economici,
come nella specie, in cui all'apertura
dell'offerta tecnica può procedersi in
seduta riservata (cfr. Consiglio di Stato,
sez. V, 04.03.2008, n. 901 e TAR Sicilia,
Catania, sez. II, 10.02.2009, n. 290)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 28.07.2009 n. 2124 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso in cui, a seguito della
notificazione di ordinanza comunale di
demolizione delle opere abusive,
l'interessato abbia provveduto alla
presentazione dell'istanza di rilascio della
concessione edilizia in sanatoria per le
medesime opere, successivamente alla
presentazione del ricorso giurisdizionale
amministrativo avverso la detta ordinanza,
il ricorso diviene improcedibile per
sopravvenuta carenza di interesse alla
trattazione nel merito dello stesso.
Nel caso in cui, a seguito della
notificazione di ordinanza comunale di
demolizione delle opere abusive,
l'interessato abbia provveduto alla
presentazione dell'istanza di rilascio della
concessione edilizia in sanatoria per le
medesime opere, successivamente alla
presentazione del ricorso giurisdizionale
amministrativo avverso la detta ordinanza,
il ricorso diviene improcedibile per
sopravvenuta carenza di interesse alla
trattazione nel merito dello stesso, atteso
che l'interesse del ricorrente si viene a
concentrare nel nuovo procedimento
amministrativo di sanatoria e che, anche in
caso di eventuale rigetto della predetta
istanza, il Comune dovrà, comunque,
provvedere alla notificazione di una nuova
ordinanza di demolizione, sulla quale verrà,
pertanto, a incentrarsi l'interesse del
ricorrente (cfr. nei termini da ultimo TAR
Lazio Roma, sez. II, 05.09.2008, n. 8089)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 24.07.2009 n. 7509 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti pubblici - Procedure di
gara - Requisiti di partecipazione -
Requisiti soggettivi - Assenza di condanne
penali - Condanne penali risalenti per reati
depenalizzati - Condanne irrilevanti.
L’esclusione subita dall’appellante è
illegittima. Premessa, ad avviso del
Collegio, l’evidente tenuità delle tre
vicende oggetto di depenalizzazione
(conclusesi circa 35 anni fa con
l’irrogazione di ammende di modesta
consistenza) e premesso, altresì, che già da
tale dato si può trarre la difformità
dell’esclusione in parola rispetto
all’archetipo normativo giusta il principio
del c.d. falso innocuo (cfr. Cons. St., Sez.
V, 13.02.2009, n. 829), assorbente risulta
il dato che si tratta di vicende la cui
rilevanza penale è stata esclusa ora per
allora (in base al principio del favor rei)
da altrettanti provvedimenti legislativi. Il
che, appunto, esclude in radice che tali
vicende potessero essere validamente
considerate ai fini di un’esclusione, la
quale, viceversa, postula l’attuale
ascrivibilità al concorrente di condotte
tuttora penalmente rilevanti e per di più
gravi (cfr. Cons. St., Sez. IV, 18.05.2004,
n. 3185).
L’esclusione che ha colpito l’appellante è,
pertanto, indebita, giacché, attesa
l’irrilevanza delle vicende coperte da
depenalizzazione, per le altre risultava
intervenuto formale provvedimento di
estinzione, senza che a quest’ultimo
proposito si potesse distinguere, agli
effetti qui considerati, tra estinzione
dichiarata ai sensi dell’art. 445 c.p.p. ed
estinzione pronunziata ex art. 460 c.p.p.
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.07.2009 n. 4594 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’impresa illegittimamente
privata dell’esecuzione di un appalto può
rivendicare a titolo di lucro cessante anche
la perdita della possibilità di arricchire
il proprio curriculum professionale.
Il tutto, secondo un criterio equitativo,
per un importo che nel caso di specie il
Collegio stima giusto riconoscere nella
misura pari al 10% del prezzo a base d’asta
(arg. ex art. 345, l. n. 2248 del 1865 All.
F).
Alla
ditta ingiustamente esclusa da una gara
d'appalto va, comunque, risarcito il danno,
certo ed ingiusto, che essa ha già subito a
causa della illegittima e qui annullata
esclusione, sia in termini di perdita di
altre gare (circostanza documentata in
giudizio), sia in termini di lesione della
reputazione professionale (cfr. Cons. St.,
Sez. V, 12.02.2008, n. 491; Cass.,
04.06.2007, n. 12929), sia in termini di
c.d. danno curriculare.
Come rilevato da questo Consiglio (cfr.
Cons. St., Sez. VI, 09.06.2008, n. 2751), il
fatto stesso di eseguire un appalto pubblico
(anche a prescindere dal lucro che l’impresa
ne ricava grazie al corrispettivo pagato
dalla stazione appaltante), può essere
comunque fonte per l’impresa di un vantaggio
economicamente valutabile, perché accresce
la capacità di competere sul mercato e
quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e
futuri appalti. In linea di massima, allora,
deve ammettersi che l’impresa
illegittimamente privata dell’esecuzione di
un appalto possa rivendicare a titolo di
lucro cessante anche la perdita della
possibilità di arricchire il proprio
curriculum professionale.
Il tutto, secondo un criterio equitativo,
per un importo che nel caso di specie il
Collegio stima giusto riconoscere nella
misura pari al 10% del prezzo a base d’asta
(arg. ex art. 345, l. n. 2248 del 1865 All.
F).
Trattandosi di debito di valore,
all’appellante spetta anche la rivalutazione
monetaria sino alla pubblicazione della
presente de-cisione (a decorrere da tale
momento, in conseguenza della liquidazione
giudiziale, il debito di valore si trasforma
in debito di valuta).
Spettano, inoltre, gli interessi nella
misura legale dalla data della pubblicazione
della presente decisione e fino
all’effettivo soddisfo (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 23.07.2009 n. 4594 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La P.A. deve concludere il
procedimento con provvedimento espresso
tutte quelle volte in cui sorga per il
privato una legittima aspettativa a
conoscere il contenuto e le ragioni delle
determinazioni, qualunque esse siano, di
quest'ultima.
L’art. 2 della
legge n. 241/1990 prescrive che la Pubblica
Amministrazione deve concludere il
procedimento con provvedimento espresso;
tale obbligo sussiste nei casi di
procedimento ad iniziativa privata tipizzata
("ove il procedimento consegua
obbligatoriamente ad un'istanza") o di
procedimento ad iniziativa di ufficio
(quando esso "debba essere iniziato di
ufficio").
Inoltre, mentre secondo l'originario
orientamento restrittivo della
giurisprudenza, il silenzio può formarsi
solo ove un obbligo giuridico di provvedere
derivi da una norma di legge, da un
regolamento o da un atto amministrativo
(cfr. Cons. Stato, A.P., 10-03-1978, n. 10;
Cons. Stato, sez. VI, 27-3-1984, n. 180) ,
secondo una recente opzione interpretativa,
che il Collegio ritiene di condividere, tale
obbligo non deve necessariamente derivare da
una disposizione puntuale e specifica, ma
può desumersi anche da prescrizioni di
carattere generico e dai principi generali
regolatori dell'azione amministrativa.
Sicché, può affermarsi che oggi, a
prescindere dall'esistenza di una specifica
disposizione normativa impositiva
dell'obbligo, si ritiene il medesimo
sussistente in tutte quelle fattispecie
particolari nelle quali ragioni di giustizia
e di equità impongano l'adozione di un
provvedimento (cfr. Cons. Stato, V,
15-03-1991, n. 250); quindi, tutte quelle
volte in cui, in relazione al dovere di
correttezza e di buona amministrazione della
parte pubblica, sorga per il privato una
legittima aspettativa a conoscere il
contenuto e le ragioni delle determinazioni,
qualunque esse siano, di quest'ultima (cfr.
Tar Campania - sez. Salerno, II, n.
164/2008).
Applicando tali principi, la domanda del
ricorrente tendente ad ottenere un
provvedimento di riscontro all’istanza del
09.02.2009, risulta meritevole di un
provvedimento espresso da parte della P.A.
in applicazione dei principi di cui
all’art.97 Cost. in base ai quali la P.A.
deve agire secondo canoni di efficienza,
buon andamento ed imparzialità
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 23.07.2009 n. 1930 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è applicabile alla denuncia di inizio
attività l’art. 10-bis della legge n.
241/1990.
In sede di rilascio dei titoli edilizi
(inclusa la particolare ipotesi della
denuncia di inizio attività), il Comune è
tenuto a verificare la legittimazione
soggettiva del richiedente, con il solo
limite di non poter procedere d’ufficio ad
indagini su profili che non appaiano
controversi.
Come ripetutamente affermato dalla
giurisprudenza (da ultimo, Consiglio di
Stato, IV, n. 4828 del 12.09.2007) non è
applicabile alla denuncia di inizio attività
l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 e,
comunque, ai sensi dell’art. 21-octies della
stessa legge, il vizio formale impedisce
l’annullamento del provvedimento impugnato
nell’ipotesi in cui il contenuto sostanziale
dell’atto non avrebbe potuto essere diverso.
Come affermato dal Consiglio di
Stato (IV, n. 4828 del 12.09.2007), l’art.
10-bis della legge n. 241/1990 è
inapplicabile alla denuncia di inizio
attività, che costituisce un provvedimento
(implicito) favorevole al privato, mentre
presenta contenuto negativo (pur non essendo
a rigore un rigetto dell’istanza) il
successivo atto di diffida a non compiere
l’attività. Inoltre, il preavviso relativo
all’ordine di non eseguire si sostanzierebbe
in un’ingiustificata duplicazione
dell’ordine stesso, incompatibile con il
termine ristretto entro cui
l’Amministrazione deve provvedere, non
essendo, tra l’altro, previste parentesi
procedimentali produttive di sospensione del
termine medesimo.
Come affermato
in giurisprudenza (Consiglio di Stato, IV,
n. 5811 del 25.11.2008; TAR Catanzaro, II,
n. 1133 del 29.07.2008; Consiglio di Stato,
V, n. 2506 del 12.05.2003, n. 2506), in sede
di rilascio dei titoli edilizi (inclusa la
particolare ipotesi della denuncia di inizio
attività), il Comune è tenuto a verificare
la legittimazione soggettiva del
richiedente, con il solo limite di non poter
procedere d’ufficio ad indagini su profili
che non appaiano controversi.
Ne consegue che l’Amministrazione ha il
dovere di verificare l’esistenza del
possesso dell’area (cioè del concreto
esercizio, da parte del richiedente, del
potere sulla cosa, che si concreta in
un’attività corrispondente all’esercizio
della proprietà o di altro diritto reale),
anche tenendo conto di eventuali giudizi
instaurati (senza che ciò implichi che sia
devoluto al Comune il definitivo
accertamento di contrastanti posizioni di
diritto soggettivo, demandato, invece, alla
sede naturale della risoluzione di tali
conflitti, cioè alla giurisdizione
ordinaria), di talché nella specie risulta
legittimo (e ragionevole) il ricorso alla
diffida a non eseguire l’attività, in quanto
Biamonte Alfonsina in Leone ha sostenuto in
giudizio di aver usucapito (almeno in parte)
anche la particella 448 del foglio 14, come
risulta dall’atto di citazione versato in
atti (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 23.07.2009 n. 802 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In presenza di un'incertezza
circa l'autore dell'abuso edilizio, l'ordine
di demolizione è legittimamente impartito
anche al proprietario, ferma restando la non
acquisibilità dell'area di sedime delle
opere abusive, in danno del proprietario
estraneo all'abuso.
Ai sensi dell’articolo 7, della legge
47/1985, l'ordinanza di demolizione di una
costruzione abusiva può legittimamente
essere emanata nei confronti del
proprietario, anche se non responsabile
dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio
costituisce illecito permanente e che
l'ordinanza stessa ha carattere
ripristinatorio e non prevede l'accertamento
del dolo o della colpa del soggetto cui si
imputa la trasgressione (cfr., da ultimo,
TAR Sardegna, II, 10.04.2009, n. 450; TAR
Lazio, Roma, II, 03.02.2009, n. 1061);
questo stesso Tribunale ha di recente
precisato che, in presenza di un'incertezza
circa l'autore dell'abuso edilizio, l'ordine
di demolizione è legittimamente impartito
anche al proprietario, ferma restando la non
acquisibilità dell'area di sedime delle
opere abusive, in danno del proprietario
estraneo all'abuso (cfr. sent. 25.11.2008,
n. 787) (TAR Umbria,
sentenza 23.07.2009 n. 441 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla variante essenziale di un
progetto edilizio per una diversa ubicazione
dell'erigendo fabbricato.
La giurisprudenza ha chiarito come “Ai
sensi dell'art. 32, lett. c), d.P.R.
06.06.2001 n. 380, costituisce variante
essenziale rispetto al progetto approvato la
modifica della localizzazione dell'edificio
tale da comportare lo spostamento del
fabbricato su un'area totalmente o pressoché
totalmente diversa da quella originariamente
prevista, trattandosi di modifica che
comporta una nuova valutazione del progetto
da parte dell'Amministrazione concedente,
sotto il profilo della sua compatibilità con
i parametri urbanistici e con le
connotazioni dell'area” (cfr. Consiglio
Stato , sez. IV, 20.11.2008, n. 5743).
Peraltro, la modifica che aveva interessato
l’edificio, finalizzata al maggior rispetto
dello stato dei luoghi, non ha comportato
un’alterazione delle caratteristiche
dell'intervento originario (sagoma, volumi,
altezze etc.), che sono rimaste invariate
rispetto all'originario permesso di
costruire, né ha determinato un’incidenza
della variante sul regime dei distacchi e
delle distanze (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 22.07.2009 n. 7365 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
richiesta la concessione edilizia per
l'installazione di tralicci o antenne di
notevoli dimensioni e situati in prossimità
di edifici.
E' pienamente condivisa dal Collegio la
giurisprudenza secondo la quale “Se, in
astratto, l'installazione dell'antenna di
una stazione radioelettrica non costituisce
trasformazione del territorio comunale agli
effetti delle leggi urbanistiche, sicché non
necessita ex art. 397 d.P.R. 29.03.1973 n.
156, di concessione o autorizzazione
edilizia più di quanto ne necessitino le
antenne televisive poste sui tetti delle
case, la realizzazione di simili manufatti
va considerata anche in concreto ed in
relazione alla obiettiva consistenza degli
impianti, richiedendosi la concessione
edilizia in caso di installazione di
tralicci o antenne di notevoli dimensioni e
situati in prossimità di edifici” (cfr.
TAR Sicilia, sede di Palermo, Sez. II,
07.03.2008 n. 310).
Ne consegue che già le dimensioni
dell’antenna realizzata avrebbero comportato
la preventiva richiesta di una concessione
edilizia.
Giova, altresì, rilevare che comunque
l’installazione di un'antenna, visibile dai
luoghi circostanti, comporta alterazione del
territorio avente rilievo ambientale ed
estetico, sicché, già ai sensi dell'art. 1,
l. 28.01.1977 n. 10, essa è soggetta al
rilascio di concessione edilizia.
Tale principio è stato recepito dal d.P.R.
06.06.2001 n. 380, il quale, all'art. 3,
assoggetta a permesso di costruire (è questa
la nuova denominazione della concessione
edilizia) "l'installazione di torri e
tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti
e di ripetitori per i servizi di
telecomunicazione", in quanto
"interventi di nuova costruzione" (Cfr.
Cons. Stato, Sez. VI, 18.05.2004 n. 3193)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 21.07.2009 n. 7284 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
L’edificabilità di un’area, ai
fini dell’applicazione del criterio di
determinazione della base imponibile fondato
sul valore venale, dev’essere desunta dalla
qualificazione ad essa attribuita nel piano
regolatore generale adottato dal comune.
L’edificabilità di un’area, ai fini
dell’applicazione del criterio di
determinazione della base imponibile fondato
sul valore venale, dev’essere desunta dalla
qualificazione ad essa attribuita nel piano
regolatore generale adottato dal comune,
indipendentemente dall’approvazione dello
stesso da parte della regione e
dall’adozione di strumenti urbanistici
attuativi (Cass., Sez. Trib., 23.12.2008 n.
30129).
Il principio affermato trova puntuale
conferma sia in tema di definizione
dell’indennità di espropriazione, per la
quale l’edificabilità dell’area va desunta
dalle norme di p.r.g., anche in assenza di
piani attuativi (cfr. Cass., Sez. I,
22.01.2009 n. 1605), sia in campo
strettamente civilistico, nel quale è stato
riconosciuto l’errore essenziale sulla
qualità del bene ove l’adozione del piano
regolatore preveda per un’area una
destinazione di maggior pregio rispetto a
quella erroneamente supposta esistente al
momento della contrattazione (cfr. Cass.,
SS.UU., 01.07.1997 n. 5900) (TAR Toscana,
Sez. I,
sentenza 16.07.2009 n. 1289 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Convalida - Rinnovazione
dell’atto viziato - Differenza - Valutazione
discrezionale.
L'istituto della convalida si distingue
dalla rinnovazione dell'atto viziato e
altresì della successiva integrazione di un
atto, originariamente incompleto, con la
disposizione o clausola mancante; infatti,
nel primo caso (convalida), tutti gli
effetti giuridici si imputano all'atto
convalidato, rispetto al quale quello
convalidante si pone soltanto come causa
ostativa dell'eventuale annullamento per
illegittimità (retroattività della
convalida), negli altri casi, gli effetti
giuridici s'imputano invece interamente
all'atto sostitutivo, oppure, quando si
tratti d'integrazione, s'imputano
all'insieme dei due atti, quello integrato e
quello integrante (C. Stato, sez. IV,
13-04-1987, n. 223), il provvedimento di
convalida non ha carattere assolutamente
doveroso e vincolato, ma esprime, anche, una
valutazione discrezionale legata
all’interesse pubblico dell’amministrazione
alla conservazione dell’atto invalido,
correlata alla protezione dell’affidamento
del privato.
Convocazione irrituale
di un organo collegiale (Consiglio Comunale)
- Convalida - Applicabilità.
L'istituto dalla convalida è applicabile in
riferimento anche all’irrituale convocazione
della seduta di un organo collegiale (nella
specie, Consiglio Comunale): non può infatti
disconoscersi alla Pubblica Amministrazione
la facoltà di convalidare i propri atti
affetti da vizi di legittimità, con una
manifestazione di volontà, intesa ad
eliminare il vizio da cui l'atto stesso è
inficiato, e cioè con l'emanazione di un
provvedimento, nuovo ed autonomo rispetto al
precedente da convalidare, di carattere
costitutivo, il quale, tuttavia, si
ricollega all'atto convalidato, al fine di
mantenere fermi gli effetti fin dal momento
in cui esso venne emanato (efficacia ex
tunc della convalida), per cui gli
effetti giuridici si imputano all'atto
convalidato, rispetto al quale quello
convalidante si pone soltanto come causa
ostativa all'eventuale annullamento per
illegittimità (C.D.S. IV Sez. 20.05.1996 n.
625, Ap. 09.03.1984 n. 5) (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 13.07.2009 n. 3998 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di volume tecnico - Parametri.
Per l'identificazione della nozione di
volume tecnico assumono valore tre ordini di
parametri:
a) il primo, positivo, di tipo funzionale,
relativo al rapporto di strumentalità
necessaria tra il manufatto con l'utilizzo
della costruzione;
b) il secondo ed il terzo, negativi,
ricollegati da un lato all'impossibilità di
soluzioni progettuali diverse, nel senso che
tali costruzioni non devono poter essere
ubicate all'interno della parte abitativa, e
dall'altro lato ad un rapporto di necessaria
proporzionalità fra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti: ne deriva
che tale nozione può essere applicata solo
alle opere edilizie completamente prive di
una propria autonomia funzionale, anche
potenziale, ed invece esclusa rispetto a
locali, in specie laddove di ingombro
rilevante, tali da mutare la consistenza
dell'edificio, in quanto oggettivamente
incidenti in modo significativo sui luoghi
esterni (cfr., ex multis, TAR Liguria
Genova, sez. I, 30.01.2007, n. 101; TAR
Puglia Lecce, sez. I, 22.11.2007, n. 3963;
TAR Campania Salerno, sez. II, 03.08.2006,
n. 1119; TAR Campania Napoli, sez. IV,
28.02.2006, n. 2451) (TAR Campania-Salerno,
Sez. II,
sentenza 13.07.2009 n. 3987 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Classificazione acustica - Appartenenza
delle aree alla medesima realtà industriale
- Irrilevanza - Destinazione industriale.
L’appartenenza di aree alla medesima realtà
industriale ha poco significato, se la
distinzione di classificazione acustica è
legata al fatto, ben più pregante rispetto
al mero profilo soggettivo di appartenenza,
che alcune di esse hanno destinazione
industriale ed altre no, potendo avere
quindi qualificazione diversa ai fini della
pianificazione in classi acustiche.
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Classificazione acustica - Rapporto con la
disciplina degli strumenti urbanistici.
In termini generali la suddivisione del
territorio in zone acustiche deve
sovrapporsi alla disciplina propria degli
strumenti urbanistici solo laddove ciò sia
possibile, in quanto la prima è legata alle
effettive modalità di fruizione del
territorio, anche tenendo conto di realtà in
fatto ulteriori rispetto alle previsioni
urbanistiche (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 13.07.2009 n. 1227 -
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi esterni: alla procedura
comparativa non si applicano le norme sui
concorsi.
Alle procedure
comparative per la scelta dell'esperto,
figura professionale che rimane esterna
all'ente, previste dall'art. 7, comma 6-bis,
del D.Lgs. 165/2001, non sono applicabili i
principi e le norme in materia di pubblici
concorsi per l'ammissione agli impieghi
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 10.07.2009 n. 2187 -
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URBANISTICA:
Atti di pianificazione -
Impugnazione - Legittimazione - Vicinitas -
Insufficienza - Pregiudizio effettivo o
potenziale - Fattispecie.
L’interesse al ricorso, in materia di
impugnazione degli atti di pianificazione,
non può essere provato solo con la
situazione dello stabile collegamento con la
zona interessata dalle opere, ma attraverso
la dimostrazione del pregiudizio
direttamente conseguente all’adozione degli
atti gravati e della connessa utilitas
ricavata dall’accoglimento del ricorso
(Cons. Stato, n. 1584/2008).
Il pregiudizio deve essere effettivo, nel
senso che dall’esecuzione dello stesso deve
discendere in via immediata e personale un
danno certo alla sfera giuridica del
ricorrente, ovvero potenziale, nel senso,
però, che la lesione si verificherà in
futuro con un elevato grado di certezza
(Cons. St., sez. IV, 22.06.2006, n. 3947),
mentre deve escludersi il presupposto in
questione nell’ipotesi in cui il danno
derivante dall’attuazione dell’atto
impugnato sia meramente eventuale, e, cioè,
quando lo stesso non risulta, di per sé,
capace di arrecare una lesione diretta alla
sfera del soggetto ricorrente, né risulti
sicuro che il danno si realizzerà in un
secondo tempo (Cons. St., sez. IV,
19.06.2006, n. 3656).
Il pregiudizio che può conseguire ad un
intervento di pianificazione può consistere
nella possibile diminuzione di valore del
proprio immobile o nella peggiore qualità
ambientale: una volta accertata la
vicinitas, vanno valutate le
implicazioni urbanistiche dell’intervento e
le conseguenze prodotte sulla qualità della
vita di coloro che per residenza, attività
lavorative e simili ragioni, sono in
durevole rapporto con la zona interessata
dall’intervento (fattispecie relativa alla
variante urbanistica comportante riduzione
delle aree verdi nelle vie limitrofe alla
residenza dei ricorrenti, diminuzione di
alberi destinati a costituire barriere
antirumore e spostamento di parcheggi
pubblici: circostanze tutte incidenti sullo
status di residente, sotto gli aspetti della
viabilità e della vivibilità) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.07.2009 n. 4345 -
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
D.lgs. n. 259/2003 - L.R. Sicilia n.
17/2004, art. 103 - Procedimento
autorizzatorio - Procedimento unico ex art.
87 - Confluenza delle valutazioni di tipo
ambientale ed urbanistico.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs.
n. 259/2003, recepito nella Regione
Siciliana con l’art. 103 della l.r.
28.12.2004, n. 17, le valutazioni
urbanistiche edilizie sono assorbite nel
procedimento delineato dall’art. 87 che
prevede un unico procedimento autorizzatorio
per l'installazione delle infrastrutture di
comunicazione elettronica. Procedimento che
è finalizzato a garantire, tramite procedure
tempestive e semplificate, la parità delle
condizioni concorrenziali fra i diversi
gestori nella realizzazione delle proprie
reti di comunicazione sul territorio
nazionale, nonché la osservanza di livelli
uniformi di compatibilità ambientale delle
emissioni radioelettriche, stante che
l’intento perseguito dal legislatore
comunitario e da quello nazionale è quello
di consentire la installazione di stazioni
radio base in forza di un unico
provvedimento autorizzatorio, che deve
essere rilasciato sulla base di un
procedimento unitario, nel contesto del
quale devono essere fatte confluire le
valutazioni sia di tipo ambientale che di
tipo urbanistico (cfr. Corte Costituzionale,
28.03.2006, n. 129; 06.06.2006, n. 265).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione - Art. 86 d.lgs.
n. 259/2003 - Assimilazione alle opere di
urbanizzazione primaria - Assoggettamento
alle prescrizioni urbanistico edilizie -
Esclusione.
In presenza della specifica previsione di
cui all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, il
quale assimila, ad ogni effetto, le
infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione alle opere di urbanizzazione
primaria, ed in assenza di specifiche
previsioni, deve ritenersi che gli impianti
di telefonia mobile non possano essere
assimilati alle normali costruzioni edilizie
e, pertanto, la loro realizzazione non sia
soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie
preesistenti. Conseguentemente, il titolo
autorizzatorio non può essere negato se non
avuto riguardo ad una specifica disciplina
conformativa, che prenda in considerazione
le reti infrastrutturali tecnologiche
necessarie per il funzionamento del servizio
pubblico (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI,
17.10.2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I,
13.02.2002, n. 983, 20.12.2004, n. 14908).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comune - Governo del
territorio - Reti di telecomunicazione -
Divieto di installazione di carattere
generalizzato - Illegittimità.
Ancorché il Comune mantenga intatte le
proprie competenze in materia di governo del
territorio, queste tuttavia, per espressa
valutazione legislativa, non possono
interferire con quelle relative alla
installazione delle reti di
telecomunicazione e, in particolare, non
possono determinare vincoli e limiti così
stringenti da concretizzarsi in un divieto
di carattere pressoché generalizzato (e
senza prevedere alcuna possibile
localizzazione alternativa), in contrasto
con le esigenze tecniche necessarie a
consentire la realizzazione effettiva della
rete di telefonia cellulare che assicuri la
copertura del servizio nell’intero nel
territorio comunale. (cfr. Corte
Costituzionale n. 331/2003.
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Comune - Utilizzo degli
strumenti urbanistici per il perseguimento
di finalità di tutela della salute -
Illegittimità - Art. 4 L. n. 36/2000 -
Individuazione di limiti di esposizione e
valori di attenzione - Riserva statale.
Il Comune non può, mediante il formale
utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure, le
quali nella sostanza costituiscano una
deroga ai limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici fissati dallo Stato, quali,
esemplificativamente, il divieto
generalizzato di installare stazioni
radio-base per telefonia cellulare in tutte
le zone territoriali omogenee, ovvero la
introduzione di distanze fisse da osservare
rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle
persone o al centro cittadino (cfr. anche,
in tal senso, Cons. Stato, sez. VI,
29.11.2006, n. 6994; TAR Sicilia-PA - Sez.
I, TAR Sicilia Palermo, sez. I, 06.04.2009,
n. 661).
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali
non al governo del territorio, ma alla
tutela della salute dai rischi
dell'elettromagnetismo e si trasformano in
una misura surrettizia di tutela della
popolazione da immissioni radioelettriche,
che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di
puntuali limiti di esposizione, valori di
attenzione ed obiettivi di qualità, da
introdursi con D.P.C.M., su proposta del
Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (in tal senso, fra le
tante, Cons. Stato, IV, 03.06.2002, n. 3095,
20.12.2002, n. 7274, 14.02.2005, n. 450,
05.08.2005, n. 4159; sez. VI, 01.04.2003, n.
1226, 30.05.2003, n. 2997, 30.07.2003, n.
4391; 26.08.2003, n. 4841, 15.06.2006, n.
3534).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Art. 90 d.lgs. n.
259/2003 - Impianti di telecomunicazione -
Carattere di pubblica utilità -
Compatibilità con tutte le destinazioni
urbanistiche.
L’art. 90 del citato D.Lgs. n. 259/2003
dispone che gli impianti di
telecomunicazione e le opere accessorie
occorrenti per la loro funzionalità hanno
“carattere di pubblica utilità”, con
possibilità, quindi, di essere ubicati in
qualsiasi parte del territorio comunale,
essendo compatibili con tutte le
destinazioni urbanistiche (residenziale,
verde, agricola, ecc.: cfr., in tal senso,
C.G.A. ordinanza 05.07.2006, n. 543; Cons.
Stato, sez. VI, 04.09.2006, n. 5096) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 08.07.2009 n. 1213 -
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EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Art. 23 d.P.R. n.
380/2001 - Scadenza del termine -
Legittimazione ex lege all’esercizio
dell’attività edilizia - Amministrazione -
Esercizio del potere sanzionatorio -
Preventivo intervento in autotutela.
Allo scadere del termine previsto dall’art.
23 d.P.R. 380/2001, si consolida in capo
all’istante una legittimazione ex lege
all’esercizio dell’attività edilizia.
L’amministrazione, ove intenda contestare la
sussistenza dei requisiti o delle condizioni
previste dalla legge per l’esercizio
dell’attività edificatoria oltre lo scadere
di tale termine, non può esercitare
direttamente un potere sanzionatorio ma deve
prima intervenire in autotutela per
rimuovere la legittimazione ad edificare che
è sorta per effetto della presentazione
della d.i.a. e del decorso del termine di
trenta giorni senza che l’amministrazione
abbia esercitato il potere inibitorio.
Il potere di autotutela, a differenza di
quello sanzionatorio, è discrezionale,
dovendo l’amministrazione, prima di
intervenire, valutare gli interessi in
conflitto (tenendo conto anche
dell’affidamento ingeneratosi in capo al
denunciante) e la sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale, che
non coincide con il mero ripristino della
legalità violata (TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.06.2009 n. 4066 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Impianti di carburanti -
Compatibilità con le varie destinazioni di
zona.
Gli impianti di distribuzione carburanti
possono essere ubicati in tutte le zone
urbanistiche salvo eccezioni espresse basate
su particolari ragioni o vincoli (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. V, 09.06.2008, n.
2857; id. 23.01.2007, n. 192; id.
13.12.2006, n. 7377; Tar Veneto, Sez. III,
01.08.2007, n. 2626) (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 16.06.2009 n. 1805 -
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APPALTI:
Offerte - Discordanza tra
l’importo in cifre e quello in lettere -
Prevalenza di quest’ultimo - Art. 90 D.P.R.
n. 554/1999 - Ratio.
L’art. 90 del D.P.R. 554/1999, prevede in
termini molto chiari un criterio legale di
interpretazione delle offerte, e in caso di
discordanza fra l’importo in cifre e quello
in lettere fa prevalere quest’ultimo; ciò
non per una scelta di carattere arbitrario
-per quanto sia dato di comune esperienza
che scrivere un importo in lettere richiede
maggiore applicazione, e quindi è
statisticamente meno soggetto ad errore- ma
per un coordinamento con la norma successiva
dello stesso articolo, secondo la quale,
dopo l’aggiudicazione, la commissione
procede al controllo dei prezzi offerti e
corregge eventuali errori di calcolo proprio
in base alla percentuale di ribasso indicata
in lettere (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 12.06.2009 n. 1220 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Condono - Compatibilità
dell’abuso con il vincolo - Onere della
prova - Istante - Ragioni.
E’ onere di chi chiede il condono in area
vincolata di provare la compatibilità col
vincolo e non dell’Amministrazione preposta
alla tutela del vincolo di provare la non
compatibilità dell’abuso. Altrimenti
l’anomalia non sarebbe costruire senza
autorizzazione in area vincolata ma
reprimere gli abusi ivi realizzati (cfr.,
ex multis, CdS, VI, 408/2008; 6785/2002;
482/1996; TAR Toscana, III, 825/2005) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 10.06.2009 n. 1718 -
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URBANISTICA:
Convenzione di lottizzazione -
Obbligo di provvedere alla realizzazione
della rete di distribuzione dell’energia
elettrica - Opere necessarie al collegamento
dell’impianto alla rete - Rientrano - Art.
4, L. n. 847/1964.
La previsione specifica dell’obbligo a
carico dei lottizzanti di provvedere alla
realizzazione della rete di distribuzione
dell’energia elettrica significa che a
carico degli stessi compete la realizzazione
delle opere necessarie per collegare
l’impianto di pubblica illuminazione
realizzato dai lottizzanti alla rete
dell’energia elettrica.
Tale duplicità di obblighi è confermata
dall’art. 4 della legge n. 847 del 1964 che,
con riferimento alle opere di urbanizzazione
primaria, prevede sia le opere relative alla
rete di distribuzione dell’energia elettrica
sia le opere relative alla pubblica
illuminazione (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 10.06.2009 n. 1712 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
ACQUA - Acqua destinata al
consumo umano - Comune - Controlli
effettuati ai sensi del d.lgs. n. 31/2001 -
Accesso ai sensi del d.lgs. n. 195/2005 -
Informazione ambientale.
I controlli che il Comune deve effettuare ai
sensi degli artt. 6 e ss. del D.l.vo
02.02.2001 n. 31, possono annoverarsi tra le
misure amministrative che incidono sullo
stato dell’acqua: deve quindi esserne
garantito l’accesso in applicazione del
d.lgs. n. 195/2005.
L’art. 2 di tale normativa chiarisce infatti
che per “informazione ambientale” si
intende “qualsiasi informazione
disponibile in forma scritta, visiva,
sonora, elettronica od in qualunque altra
forma materiale concernente: 1) lo stato
degli elementi dell'ambiente, quali l'aria,
l'atmosfera, l'acqua, il suolo, il
territorio … 3) le misure, anche
amministrative, quali le politiche, le
disposizioni legislative, i piani, i
programmi, gli accordi ambientali e ogni
altro atto, anche di natura amministrativa,
nonché le attività che incidono o possono
incidere sugli elementi e sui fattori
dell'ambiente di cui ai numeri 1) e 2)”.
Il successivo art. 3 precisa inoltre che
l'autorità pubblica deve rendere
disponibile, l'informazione ambientale
detenuta a chiunque ne faccia richiesta,
senza che questi debba dichiarare il proprio
interesse, nella specie, peraltro,
manifestato e sussistente nel fatto di aver
stipulato contratto di somministrazione di
acqua potabile con il Comune (TAR
Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 20.05.2009 n. 344 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
ACQUA - Funzionalità o assenza di
impianti di depurazione delle acque -
Informazione ambientale - Accesso ai sensi
del d.lgs. n. 195/2005 - Puntuale
indicazione degli atti richiesti - Necessità
- Esclusione - Obbligo, in capo
all’amministrazione, di acquisire tutte le
notizie.
La funzionalità o l’eventuale assenza di
impianti di depurazione delle acque può
annoverarsi tra le misure incidenti sullo
stato dell’acqua o comunque tra le misure
finalizzate a proteggere il suddetto
elemento e deve, pertanto, considerarsi
informazione accessibile in applicazione del
d.lgs. n. 195/2005.
L’art. 2 di tale normativa chiarisce infatti
che per “informazione ambientale” si
intende “qualsiasi informazione
disponibile in forma scritta, visiva,
sonora, elettronica od in qualunque altra
forma materiale concernente: 1) lo stato
degli elementi dell'ambiente, quali l'aria,
l'atmosfera, l'acqua, il suolo, il
territorio … 3) le misure, anche
amministrative, quali le politiche, le
disposizioni legislative, i piani, i
programmi, gli accordi ambientali e ogni
altro atto, anche di natura amministrativa,
nonché le attività che incidono o possono
incidere sugli elementi e sui fattori
dell'ambiente di cui ai numeri 1) e 2)”.
Il successivo art. 3 precisa inoltre che
l'autorità pubblica deve rendere
disponibile, l'informazione ambientale
detenuta a chiunque ne faccia richiesta,
senza che questi debba dichiarare il proprio
interesse.
E’ poi pacifico che in materia di accesso
ambientale non è necessaria la puntuale
indicazione degli atti richiesti, ma è
sufficiente una generica richiesta di
informazioni sulle condizioni di un
determinato contesto ambientale per
costituire in capo all'amministrazione
l'obbligo di acquisire tutte le notizie
relative allo stato della conservazione e
della salubrità dei luoghi interessati
dall'istanza, ad elaborarle ed a comunicarle
al richiedente (Tar Genova, I, 27.10.2007 n.
1870) (TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 20.05.2009 n. 343 - link
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ESPROPRIAZIONE:
Art. 17. c. 2, d.P.R. n. 327/2001 - Approvazione del
progetto definitivo - Comunicazione al
proprietario - Decorrenza del termine per
l’impugnazione.
L’art. 17, comma 2, d.P.R. n. 327/2001, con
riferimento al procedimento espropriativo,
così statuisce: “Mediante raccomandata
con avviso di ricevimento o altra forma di
comunicazione equipollente al proprietario è
data notizia della data in cui è diventato
efficace l'atto che ha approvato il progetto
definitivo e della facoltà di prendere
visione della relativa documentazione”.
Tale disposizione, nell’imporre
all’Amministrazione di notiziare il soggetto
espropriato in maniera da renderlo edotto di
quanto sopra esattamente indicato, assume
autonomo rilievo a fini processuali, in
quanto consente di individuare in maniera
oggettiva il dies a quo da cui decorre il
termine d'impugnazione per i soggetti
espropriati (v. TAR Liguria Genova, sez. I,
12.12.2008, n. 2101) (TAR Campania-Salerno,
Sez. I,
sentenza 15.05.2009 n. 2279 -
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URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva - Confisca
ordinaria in caso di estinzione del reato
per prescrizione - Contrasto con l'art. 117
cost. e con l'art. 7 c.e.d.u. - Manifesta
infondatezza.
La confisca conserva la sua natura
sanzionatoria, anche se ordinata dopo
l’estinzione del reato, in quanto collegata
al presupposto di un reato estinto ma
storicamente esistente ed applicata da un
organo giurisdizionale penale. Fattispecie:
confisca dei terreni e manufatti
abusivamente lottizzati e manifesta
infondatezza per asserito contrasto con gli
artt. 117 Cost. e 7 C.E.D.U.
Lottizzazione abusiva -
Configurazione del reato.
Il reato di lottizzazione abusiva può
realizzarsi sia nel compimento di atti
giuridici, sia nella esplicazione di
attività materiali che risultino funzionali
alla realizzazione di un nuovo insediamento
urbano, può configurarsi non solo in
presenza di un intervento sul territorio
tale da comportare una nuova definizione
dell'assetto preesistente in zona non
urbanizzata o non sufficientemente
urbanizzata, ma anche quando l'intervento si
pone in contrasto con la destinazione
programmata del territorio (comportando ad
esempio, come nel caso in esame, la sua
trasformazione da agricola a residenziale
(Cass. S.U. sent. 28/11/2001, Salvini ed
altri; Cass. pen. sez. III sent. 13/06/2008,
n. 24096, Desimine ed altri; Cass. sez. III
29/04/2009, PM c Quarta ad altri).
Reato di lottizzazione
abusiva commesso per colpa - Natura - Reato
consumazione alternativa - Configurabilità.
La contravvenzione di lottizzazione abusiva
si configura come reato a consumazione
alternativa, potendo realizzarsi sia quando
manchi un provvedimento di autorizzazione,
sia quando quest'ultimo sussista, ma
contrasti con le prescrizioni degli
strumenti urbanistici, in quanto grava sui
soggetti che predispongono un piano di
lottizzazione, sui titolari della
concessione, sui committenti e costruttori,
l'obbligo di controllare la conformità
dell'intera lottizzazione e delle singole
opere alla normativa urbanistica e alle
previsioni di pianificazione (Cass. S.U.
28/11/2001, sent. n. 5115).
Per cui, il reato di lottizzazione abusiva,
sia materiale che negoziale, può essere
commesso per colpa, come del resto
pacificamente ritenuto in ordine alla
contravvenzione di esecuzione di lavori in
assenza o in difformità della concessione
edilizia (Cass, pen. sez. III 13/10/2004, n.
39916, Lamedica ed altri; Cass. pen. sez.
III , sent. 11/05/2005, Stiffi ed altri;
Cass. pen. sez. III 05/03/2008, n. 9982,
Quattrone; Cass. pen. sez. III sent.
10/01/2008, Zortea; Cass. pen. sez. III
26/06/2008, Belloi).
Lottizzazione abusiva -
Lesività potenziale - Reato di pericolo.
Nel reato di lottizzazione abusiva la
lesività non può essere ristretta alla
trasformazione urbanistica effettiva del
territorio, giacché essa va riferita alla
potenzialità di tale trasformazione, ossia
al pericolo che il territorio subisca una
urbanizzazione non prevista o di tipo
diverso da quella prevista (Cass. pen. sez.
III sent. 26/06/2008, n. 1656, Belloi).
Trattasi quindi di reato di pericolo che si
integra quando il titolare di una unità
fondiaria compia su di essa operazioni di
suddivisione materiale o giuridica dirette
alla utilizzazione delle parti suddivise
come terreni edificabili, prescindendo
dall'opera edilizia che costituisce un
quid pluris.
Reato di costruzione
abusiva - Natura di reato formale e di
pericolo presunto.
Il reato di costruzione abusiva, punito
dall'art. 20 della legge 28.02.1985, n. 47,
ha natura di reato formale e di pericolo
presunto, connesso con il suo inserimento in
un sistema di tutela basato sulla
pianificazione amministrativa dell'attività
urbanistica del territorio, rispetto al
quale ogni abuso edilizio costituisce
comunque ed obiettivamente una lesione, con
conseguente sottrazione al giudice di un
qualsiasi sindacato in ordine alla concreta
pericolosità della condotta (Cass. pen. sez.
III sent. 18/05/2001, n. 33886, Papara).
Reato di lottizzazione
abusiva negoziale o cartolare -
Configurabilità - Trasferimento,
costituzione o scioglimento della comunione
di diritti reali relativi a terreni -
Obbligo di allegare il certificato di
destinazione urbanistica - Art. 30, c. 1° e
c. 2° DPR n. 380/2001.
In tema di reati edilizi, ai fini della
configurabilità del reato di lottizzazione
abusiva negoziale o cartolare, l'elencazione
degli elementi indiziari di cui all'art. 30,
comma primo DPR 6 giugno 2001, n. 380 non è
tassativa né tali elementi devono sussistere
contemporaneamente, in quanto è sufficiente
per l’integrazione del reato anche la
presenza di uno solo di essi, qualora
risulti inequivocabilmente la destinazione a
scopo edificatorio del terreno (Cass. pen.
sez III sent. 06/06/2008, n. 27729).
Va aggiunto che, l'art. 30, comma 2, del DPR
06.06.2001, n. 380, prescrivendo che gli
atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in
forma privata, aventi ad oggetto
trasferimento o costituzione o scioglimento
della comunione di diritti reali relativi a
terreni, sono nulli e non possono essere
stipulati né trascritti nei pubblici
registri immobiliari ove agli atti stessi
non sia allegato il certificato di
destinazione urbanistica riguardante l'area
interessata, rende estremamente difficile
per il venditore una negoziazione destinata
alla lottizzazione abusiva che non sia
consapevole della natura non urbanistica
della zona abusivamente lottizzata. (Cass.
pen. sez. III sent. 11/05/2005, n. 36940
Stiffi ed altri).
Lottizzazione abusiva
c.d. negoziale - Condotte convergenti verso
un'operazione unitaria - Carattere
plurisoggettivo.
Il reato di lottizzazione abusiva ha
normalmente un carattere plurisoggettivo in
cui confluiscono condotte convergenti verso
un'operazione unitaria, è da escludere che
normalmente la condotta dell'acquirente
costituisca per il venditore un evento
imprevisto ed imprevedibile (v. in tal senso
SU sent. 27/03/1992, n. 4708, Fogliani).
Inoltre, integra il reato di lottizzazione
abusiva cosiddetta negoziale non soltanto la
vendita di un terreno frazionato in lotti,
ma anche la vendita di quote di un terreno
indiviso mediante un unico atto di
trasferimento a più acquirenti, così da
imporre al suolo un equivalente assetto
proprietario, purché ne risulti
inequivocabilmente, da elementi indiziari,
la destinazione a scopo edificatorio (Cass.
Pen. Sez. III sent. 26/10/2007, n. 6080).
Terreno abusivamente
lottizzato a fini edificatori -
Responsabilità dell'acquirente - Condotta
imprudente e negligente e colpa grave.
In materia edilizia è configurabile la
responsabilità dell'acquirente di un terreno
abusivamente lottizzato a fini edificatori
ove questi non acquisisca elementi circa le
previsioni urbanistiche e pianificatorie di
zona, in quanto con tale imprudente e
negligente condotta egli si pone
colposamente in una situazione di
inconsapevolezza che apporta un determinante
contributo causale all'attività illecita del
venditore (Cass. pen. sez. III sent.
26/06/2008, n. 37472, Belli ed altri).
Lottizzazione abusiva
con atti equivalenti al frazionamento e alla
vendita - Configurabilità del reato -
Contratti preliminari di alienazione di
singoli lotti.
In tema di lottizzazione abusiva, fra gli
atti equivalenti al frazionamento e alla
vendita, cui fa riferimento, ai fini della
configurabilità del reato, l'art. 18 della
legge 28.02.1985, n. 47, si possono
ricomprendere anche i contratti preliminari
di alienazione dei singoli lotti, allorché
gli stessi si collochino in un contesto
indiziario atto a rivelare in modo non
equivoco le finalità edificatorie, che
costituisce l'elemento comune alle varie
forme (materiale, negoziale, mista) in cui
l'illecito può essere realizzato. (Cass. pen.
sez. III sent. 29/02/2000, n. 3668,
Pennelli).
Confisca dei terreni
abusivamente lottizzati e delle opere -
Acquisizione al patrimonio disponibile del
comune - Confisca ed elemento psicologico
della colpa - Valutazione - Art. 44, c. 2°
DPR n. 380/2001.
La confisca dei terreni abusivamente
lottizzati e delle opere abusivamente
prevista dall'art. 44, comma secondo del DPR
06.06.2001, n. 380 non ha natura di misura
di sicurezza patrimoniale, ma configura una
sanzione amministrativa applicata dal
giudice penale in via di supplenza rispetto
al meccanismo amministrativo di acquisizione
dei terreni lottizzati al patrimonio
disponibile del comune (Cass. Pen. Sez. III
sent. 07/07/2004, n. 38728).
Deve peraltro rilevarsi che, in applicazione
dei principi affermati dalla Corte Europea e
che vanno rispettati dal giudice nazionale,
qualunque sia la natura della confisca, essa
non può essere applicata se non sia stata
accertata, nei suoi elementi oggettivi e
soggettivi, l'esistenza della violazione in
ordine al quale essa è disposta. Ne consegue
che la confisca non può colpire i terzi in
buona fede.
In tal senso la più recente giurisprudenza
secondo cui, "anche con riferimento alle
sanzioni amministrative esulano dalla
materia criteri di responsabilità oggettiva,
essendo richiesta, quale requisito
essenziale di legalità per la loro
applicazione, l'esistenza di una condotta
che risponda ai necessari requisiti
soggettivi della coscienza e volontà
dell'agente e sia caratterizzata, quanto
meno, dall'elemento psicologico della colpa"
(Cass. pen. sez. III sent. 17/11/2008, n.
42741, Silvioli ed altri).
Infine, a fronte di reato di lottizzazione
abusiva dichiarato prescritto accertati
tutti gli elementi del reato, si può
confermare la confisca disposta dai giudici
di merito a norma dell'art. 44 secondo comma
del DPR n. 380 del 2001. Del resto
l'estinzione del reato per prescrizione è un
concetto relativo e non assoluto perché esso
implica una rinuncia dello Stato al diritto
di punire per il solo effetto del decorso
del tempo, ma nulla impedisce che tale
rinuncia possa essere più o meno limitata in
base alla valutazione comparativa dei
contrapposti interessi in gioco (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.05.2009 n. 20243 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Raggruppamento temporaneo di
imprese - Polizza fideiussoria -
Intestazione a tutte le partecipanti al
raggruppamento - Necessità - Esclusione -
Sufficienza dell’operatività nei loro
confronti.
Nel caso di partecipazione ad una gara di
appalto di un costituendo raggruppamento
temporaneo di imprese è necessario non tanto
che la polizza fidejussoria sia intestata a
tutte le imprese che vi fanno parte, quanto
piuttosto che la garanzia sia operativa nei
confronti di tutti i partecipanti al
raggruppamento (TAR Emilia-Romagna-Bologna,
Sez. I,
sentenza 06.05.2009 n. 617 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione abusiva non sanata -
Esecuzione di lavori assoggettabili a DIA -
Applicabilità - Esclusione - Categorie della
manutenzione straordinaria, del restauro e/o
risanamento conservativo, della
ristrutturazione - D.P.R. n. 380/2001, art.
44, lett. c) - D.Lgs. n. 42/2004, e reati
satelliti.
In materia edilizia, non è applicabile il
regime della D.I.A. (denuncia di inizio
attività) a lavori edilizi che interessino
manufatti abusivi che non siano stati sanati
né condonati, in quanto gli interventi
ulteriori (sia pure riconducigli, nella loro
oggettività, alle categorie della
manutenzione straordinaria, del restauro e/o
risanamento conservativo, della
ristrutturazione, della realizzazione di
opere costituenti pertinenze urbanistiche)
ripetono le caratteristiche di illegittimità
dell'opera principale alla quale ineriscono
strutturalmente (Cass. pen. sez. III,
19.4.2006, n. 21490) (Corte di cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 19.01.2009 n. 1810 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Lo spargimento di ghiaia su
un'area che ne era in precedenza priva
richiede la concessione edilizia allorché
appaia preordinata alla modifica della
precedente destinazione d'uso.
La giurisprudenza e la dottrina hanno
elaborato due indirizzi ermeneutici:
secondo il primo, andrebbero
assoggettati a titolo abilitativo solo gli
interventi di portata -simultaneamente–
urbanistica ed edilizia.
Invero, osservano i fautori della tesi in
esame, l’uso congiunto delle due espressioni
(urbanistica ed edilizia) nel citato
articolo escluderebbe l’assoggettamento al
previo rilascio del titolo degli interventi
che, pur non mancando di impatto
urbanistico, siano privi di consistenza
materiale di opere edilizie.
Secondo l’opposto indirizzo, l’art. 1
l. 28.01.1977 n. 10 sulla edificabilità dei
suoli, che pone la regola della soggezione a
concessione di ogni attività comportante
trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio, non comprende le sole attività
di edificazione, ma tutte quelle consistenti
in una modificazione dello stato materiale e
della conformazione del suolo per adattarlo
ad un impiego diverso da quello che gli è
proprio in relazione alla sua condizione
naturale ed alla sua qualificazione
giuridica (cfr.: Cons. Stato, sez. V,
31/01/2001, n. 343; Cons. Stato, sez. V,
20/12/1999, n. 2125; Cons. Stato, sez. V,
01/03/1993, n. 319; tale orientamento è
condiviso anche dalla giurisprudenza
ordinaria: cfr. Cass. pen., 14/10/1988;
Cass. pen., sez. III, 24/10/1997, n. 10709;
Cass. pen., sez. VI, 24/07/1997, n. 8520).
La giurisprudenza favorevole a tale tesi ha
aggiunto che l’art. 1 l. 28.01.1977 n. 10
impone al soggetto attuatore di munirsi di
concessione edilizia per ogni attività che
comporti la trasformazione del territorio
attraverso l'esecuzione di opere comunque
attinenti agli aspetti urbanistici ed
edilizi, ove il mutamento e l'alterazione
abbiano un qualche rilievo ambientale ed
estetico, o solo funzionale (cfr. la recente
Cons. Stato, sez. VI, 26/09/2003, n. 5502).
Pertanto, è soggetto a concessione edilizia
ogni intervento sul territorio, preordinato
alla perdurante modificazione dello stato
dei luoghi con materiale posto sul suolo,
pur in assenza di opere in muratura (Cons.
Stato, sez. V, 06/04/1998, n. 415; cfr.
altresì: <<la concessione edilizia è
richiesta sia quando vi sia la realizzazione
di opere murarie, sia quando si intenda
realizzare un intervento sul territorio che,
pur non richiedendo opere in muratura,
comporti la perdurante modifica dello stato
dei luoghi con materiale posto sul suolo>>
Cons. Stato, sez. V, 14/12/1994, n. 1486;
Cons. Stato, sez. VI, 27/01/2003, n. 419).
E’ ben vero
che, secondo un precedente citato
dall’appellante, questo Consesso ha ritenuto
che non integra l'ipotesi di trasformazione
urbanisticamente rilevante del territorio,
soggetta a concessione ex art. 1 l. n. 10
del 1977, l'intervento materialmente
consistente nella mera ripulitura di un
terreno parzialmente erboso, con ripristino
di una recinzione preesistente e spargimento
di ghiaia, a nulla rilevando, sotto il
profilo urbanistico, la conseguente
utilizzazione del suolo così ripulito e
riordinato all'esposizione di autovetture a
scopi commerciali (Cons. Stato, sez. IV,
08/03/1983, n. 103).
Tuttavia, alla luce dell’orientamento
condiviso dal Collegio, deve ritenersi che
lo spargimento di ghiaia su un'area che ne
era in precedenza priva richiede la
concessione edilizia allorché appaia
preordinata alla modifica della precedente
destinazione d'uso (circostanza questa che
deve fondarsi su fatti positivamente
accertati).
Tale indirizzo, peraltro, risulta
corroborato dalla risalente interpretazione
del Giudice penale, secondo cui deve
ritenersi soggetto a concessione lo
spianamento di un terreno agricolo ed il
riporto di sabbia e ghiaia, al fine di
ottenerne un piazzale per deposito e
smistamento di autocarri e containers (Cass.
pen., 09/06/1982; cfr. altresì <<è
legittimo il provvedimento del sindaco che
ordini la riduzione in pristino di un'area
destinata, in base al piano regolatore, a
verde pubblico, che sia stata coperta di
ghiaia, per essere destinata a parcheggio>>
Cons. Stato, sez. II, 15/02/1989, n.
18/1989).
Per esigenze di completezza si osserva che
la tesi abbracciata dal Collegio sembra,
oggi, avere un testuale riscontro nel nuovo
Testo unico in materia edilizia –D.P.R. n.
380/2001- (che non ha certo potenzialità
applicativa e di risoluzione del caso in
esame, ma che può rappresentare un valido
ausilio interpretativo, specie ove “codifica”
un orientamento giurisprudenziale
pregresso): l’art. 3, in materia di
definizione degli interventi edilizi,
assoggetta a permesso di costruire
–ascrivendole al genus delle nuove
costruzioni- <<la realizzazione di
infrastrutture e di impianti, anche per
pubblici servizi, che comporti la
trasformazione in via permanente di suolo
inedificato>> (lett. e.3) e <<la
realizzazione di depositi di merci o di
materiali, la realizzazione di impianti per
attività produttive all'aperto ove
comportino l'esecuzione di lavori cui
consegua la trasformazione permanente del
suolo inedificato>> (e.7); si tratta,
come è facile rilevare, di interventi privi
di connotazione strettamente edilizia e,
nondimeno, assoggettati a titolo abilitativo
(oggi permesso di costruire).
Significativa è, poi, la previsione
dell’art. 10, comma 2, secondo cui <<Le
regioni stabiliscono con legge quali
mutamenti, connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili
o di loro parti, sono subordinati a permesso
di costruire o a denuncia di inizio attività>>
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2004 n. 7324 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 9 l. 122/1989 è
applicabile alla costruzione di spazi
parcheggio (ndr: in deroga) nelle sole aree
urbane, mentre la realizzazione di parcheggi
in aree extraurbane resta soggetta alle
ordinarie prescrizioni urbanistiche ed
edilizie necessitando della normale
concessione edilizia.
La possibilità
di realizzare parcheggi da destinare a
pertinenze delle singole unità immobiliari
anche in deroga agli strumenti urbanistici
ed ai regolamenti edilizi vigenti,
consentita dall'art. 9 l. n. 122 del 1989
(c.d. Legge Tognoli), costituisce
disposizione di carattere eccezionale da
interpretarsi nel suo significato
strettamente letterale ed in considerazione
delle finalità della legge nel cui contesto
risulta inserita.
Pertanto tale articolo è applicabile alla
costruzione di spazi parcheggio nelle sole
aree urbane, mentre la realizzazione di
parcheggi in aree extraurbane resta soggetta
alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed
edilizie necessitando della normale
concessione edilizia
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2004 n. 7324 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con la nozione di pertinenza
urbanistica, quali possono considerarsi solo
manufatti di dimensioni modeste e ridotte
rispetto alla casa a cui sono annessi, non
può essere permessa la costruzione di opere
di rilevante importanza soltanto perché
destinate al servizio ed all'ornamento del
bene principale.
<<La nozione
di pertinenza dettata dal diritto civile è
più ampia di quella che regola la materia
urbanistica, onde beni che, secondo quella
normativa, assumono senz'altro natura
pertinenziale tali invece non sono ai fini
dell'applicazione delle regole che governano
l'attività edilizia>> Cons. Stato, sez.
V, 18/04/2001, n. 2325; <<Considerata la
nozione di pertinenza urbanistica, quali
possono considerarsi solo manufatti di
dimensioni modeste e ridotte rispetto alla
casa a cui sono annessi, non può essere
permessa la costruzione di opere di
rilevante importanza soltanto perché
destinate al servizio ed all'ornamento del
bene principale; ed è perciò necessaria la
concessione edilizia per l'esecuzione di
opere che da un punto di vista edilizio ed
urbanistico sono da considerarsi come
ulteriori rispetto al bene principale,
poiché occupano aree e volumi diversi>>
Cons. Stato, sez. V, 30/11/2000, n. 6358;
cfr. altresì Cons. Stato, sez. V,
30/10/2000, n. 5828; <<Soggiace a
concessione edilizia la realizzazione di
un'opera di rilevanti dimensioni, che
modifica l'assetto del territorio e che
occupa aree e volumi diversi rispetto alla "res
principalis", indipendentemente dal vincolo
di servizio o d'ornamento nei riguardi di
essa>> Cons. Stato, sez. V, 23/03/2000,
n. 1600; Cons. Stato, sez. V, 06/09/1999, n.
1015; Cons. Stato, sez. II, 12/05/1999, n.
729; Cons. Stato, sez. II, 21/02/1996, n.
1895)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2004 n. 7324 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 10.08.2009 |
ã |
QUESITI & PARERI |
ENTI LOCALI:
Istituzione Ufficio staff dirette
dipendenze sindaco.
Il Comune (omissis) è intenzionato ad
istituire l’ufficio di staff alle dirette
dipendenze del sindaco. Negli intendimenti
dell’Amministrazione lo staff dovrà essere
composto da 3 unità esterne all’organico
comunale e dovrà prestare la propria opera
gratuitamente e svolgere i seguenti compiti:
pubbliche relazioni, cerimoniale,
accoglienza e rappresentanza, corrispondenza
del sindaco e della Giunta, eventuale
redazione di un periodico mensile
sull’attività della Amministrazione.
Lo statuto comunale prevede la costituzione
di uffici posti alle dirette dipendenze del
sindaco e a tal fine chiede se:
1) sia possibile individuare n. 3 unità al
di fuori dell’organico del Comune;
2) sia possibile dare l’incarico ad unità
esterne senza particolari titoli di
specializzazione;
3) sia possibile stipulare un contratto si
presume di diritto privato a costo zero;
4) quali altre implicazioni dal punto di
vista economico–fiscale bisogna considerare
(INAIL – responsabilità civile,
responsabilità penale, altro) (Regione
Piemonte,
parere n. 81/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Inclusione centri e nuclei
storici. D.lgs. 63/2008 (Codice Beni
Culturali).
Vengono posti due interrogativi riguardanti
le conseguenze derivanti dall’introduzione
–ad opera del D.lgs. 63/2008– dell’inciso “inclusi
i centri e i nuclei storici” nel testo
dell’art. 136, co. 1, lett. c), del D.lgs.
42/2004 (c.d. Codice dei Beni Culturali)
(Regione Piemonte,
parere n. 70-74/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA -
LAVORI PUBBLICI: G.U.
05.08.2009 n. 180, suppl. ord. n. 142/L, "Disposizioni
integrative e correttive del decreto
legislativo 09.04.2008, n. 81, in materia
di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro" (D.Lgs.
03.08.2009 n. 106). |
ENTI LOCALI -
LAVORI PUBBLICI: G.U.
04.08.2009 n. 179, suppl. ord. n. 140/L:
- "Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 01.07.2009,
n. 78, recante provvedimenti anticrisi,
nonché proroga di termini e della
partecipazione italiana a missioni
internazionali" (L.
03.08.2009 n. 102).
- "Testo del decreto-legge 01.07.2009, n.
78, coordinato con la legge di conversione
03.08.2009, n. 102, recante: «Provvedimenti
anticrisi, nonché proroga di termini»". |
EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI: G.U.
31.07.2009 n. 176, suppl. ord. n. 136/L, "Disposizioni
per lo sviluppo e l’internazionalizzazione
delle imprese, nonché in materia di energia"
(L. 23.07.2009 n. 99:
1^ parte -
2^
parte -
3^
parte -
4^
parte -
5^
parte -
6^
parte). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, 5° suppl. straord. al n. 30
del 31.07.2009:
- "Determinazioni in merito ad interventi
di edilizia scolastica e all'acquisto di
mezzi di trasporto collettivo scolastico -
Fondi bilancio anno 2009 (l.r. n. 70/1980,
l.r. n. 1/2000, l.r. n. 11/2004)"
(deliberazione
G.R. 22.07.2009 n. 9879 - link a
www.infopoint.it);
- "L.R. 06.06.1980, n. 70, art. 3 e l.r.
12.07.1974, n. 40 Titolo II - Piano
intervento ordinario anno 2009 - Termini di
presentazione domande di contributo per
l'edilizia scolastica minore" (circolare
regionale 23.07.2009 n. 16 - link
a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 30 del
31.07.2009, "Contributi alle unioni di
comuni lombarde e alle comunità montane e
incentivazione alla fusione dei piccoli
comuni, in attuazione dell'art. 20 della
l.r. 27.06.2008, n. 19 (Riordino delle
comunità montane della Lombardia, disciplina
delle unioni di comuni lombarde e sostegno
all'esercizio associato di funzioni e
servizi comunali)"
(Regolamento
Regionale 27.07.2009 n. 2 - link
a www.infopoint.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI:
E’ stato pubblicato, sul sito del Ministro
per le riforme istituzionali, lo
schema di disegno di legge recante
disposizioni in materia di organi e funzioni
degli enti locali, semplificazione e
razionalizzazione dell’ordinamento e carta
delle autonomie locali.
Il testo ha ricevuto il via libera dal
Consiglio dei Ministri il 15.07.2009.
Lo schema passa ora alla Conferenza
Unificata per il prescritto parere. Si
riporta di seguito il testo integrale del
Ddl (link a www.riformeistituzionali.it). |
URBANISTICA: Lombardia,
Piani di governo del territorio, commissari
per i Comuni inadempienti
(link a www.territotio.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Monitoraggio provvedimenti
comunali "legge casa" - attuazione della
l.r. 13/2009 (link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
ENTI LOCALI:
Tributi speciali catastali -
Esenzione a favore degli Enti locali.
Con la
circolare n. 2/2009 del 14.07.2009
l'Agenzia del Territorio dà chiarimenti in
merito all'ambito e alla portata delle
disposizioni di cui all'articolo unico della
legge 15.05.1954, n. 228, laddove, come
noto, si prevede l'esenzione, a favore degli
Enti Locali, dal pagamento dei tributi
speciali catastali (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
CODICE DEGLI APPALTI PUBBLICI – D.LGS.
163/2006 – MODIFICHE APPORTATE DALLE LEGG1
94 E 102 DEL 2009 (link a
www.ancebrescia.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
A. Nicoli,
Antefatti e postfatti del mobbing:
personalità del mobbizzato, conflittualità
dell’ambiente di lavoro, configurabilità
dell’infortunio sul lavoro, responsabilità
verso l’ufficio (link a
www.diritto.it). |
ENTI LOCALI:
M. M. Fracanzani,
Le società degli enti pubblici: tra
autonomia di impresa e responsabilità
erariale. Riflessioni per un’actio
finium regundorum su partecipazioni al
capitale, socio d’opera, oggetto sociale,
limiti soggettivi a contrarre ed a
concorrere nelle pubbliche gare, dopo le
riforme 2006-2009 (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
SMARRITI I DOCUMENTI: GARA SOSPESA
(link a
www.mediagraphic.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
In materia di collegamento
sostanziale ex art. 34, comma 2, del D.Lgs.
n. 163/2006.
Ritenuto in diritto
Al fine di formulare una ipotesi di
soluzione della questione giuridica
controversa sottoposta a questa Autorità, è
necessario innanzitutto stabilire quale sia
il corretto inquadramento giuridico della
fattispecie prospettata dalla stazione
appaltante Insula S.p.A..
Al riguardo si evidenzia che le situazioni
di controllo e collegamento tra i
partecipanti alle gare di appalto sono
disciplinate dall’art. 34, comma 2, del
D.Lgs. n. 163/2006, che prevede due distinte
ipotesi di divieto di partecipazione ad una
stessa gara.
La prima parte della citata disposizione
stabilisce che “Non possono partecipare alla
medesima gara concorrenti che si trovino fra
di loro in una delle situazioni di controllo
di cui all’articolo 2359 del codice civile.”
e la seconda parte dispone che “Le
stazioni appaltanti escludono altresì dalla
gara i concorrenti per i quali accertano che
le relative offerte sono imputabili ad un
unico centro decisionale, sulla base di
univoci elementi”.
La prima ipotesi comporta un’esclusione
automatica, che non ammette prova contraria,
nel senso che il divieto scatta una volta
accertata la situazione di controllo ex art.
2359 del codice civile, senza che possa
assumere rilievo la concreta situazione
delle due imprese o l’effettiva reciproca
conoscenza o imputabilità delle offerte.
La seconda ipotesi è stata introdotta dal
Legislatore in recepimento di una
consolidata giurisprudenza del giudice
amministrativo, favorevole alla possibilità
di individuare ipotesi di “collegamento
sostanziale” tra imprese, diverse ed
ulteriori rispetto alle ipotesi di controllo
e collegamento societario di cui all’art.
2359 del codice civile, espressamente
richiamate nella prima parte della
disposizione in esame. Ciò al fine di
evitare che il corretto e trasparente
svolgimento delle gare di appalto e il
libero gioco della concorrenza siano
irrimediabilmente alterati dalla eventuale
presentazione di offerte che, pur provenendo
formalmente da due o più imprese
giuridicamente diverse, siano
sostanzialmente riconducibili ad un medesimo
centro di interessi (v., fra tutte, Cons.
Stato, Sez. IV, 08.07.2004, n. 6367) e, in
tale ipotesi, l’esclusione deve essere
disposta dalla stazione appaltante anche in
caso di assenza di una esplicita clausola
nel bando di gara (v., al riguardo, Cons.
Stato, Sez. VI, 01.03.2005, n. 3089).
Entrambe le previsioni contenute nel citato
art. 34, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006
sono ispirate alla ratio di evitare
il rischio di ammissione alla gara di
offerte provenienti da soggetti che, in
quanto legati da una stretta comunanza di
interessi caratterizzata da una certa
stabilità, non sono ritenuti capaci di
formulare offerte contraddistinte dalla
necessaria indipendenza, serietà ed
affidabilità.
Passando ad esaminare la fattispecie di cui
si controverte in via principale, si
evidenzia che la peculiarità della stessa è
costituita dal fatto che si è in presenza di
una società terza non partecipante alla gara
(Panizzo s.r.l.) che possiede quote di
soggetti concorrenti alla gara, sia in via
diretta, in quanto detiene il 97,15% delle
quote della capogruppo CGX Costruzioni
Generali XODO s.r.l., che pertanto è sua
controllata, sia in via indiretta, in
quanto, attraverso un’altra società sua
controllata (Corte della Libertà s.r.l., non
partecipante alla gara, di cui detiene il
100% delle quote) possiede il 50% delle
quote della capogruppo Rossi Renzo
Costruzioni s.r.l..
Stante le descritte caratteristiche della
fattispecie sottoposta all’esame di questa
Autorità, risulta evidente che la stessa non
integra l’ipotesi di cui alla prima parte
dell’art. 34, comma 2, in quanto le due
capogruppo concorrenti alla gara in oggetto,
CGX Costruzioni Generali XODO s.r.l. e Renzo
Rossi Costruzioni s.r.l., non si trovano
“fra di loro” in nessuna della situazioni di
cui all’art. 2359 del codice civile.
Infatti, in disparte l’ipotesi di influenza
dominante esercitata da una società su
un’altra società in virtù di particolari
vincoli contrattuali con essa (c.d. “controllo
esterno” o “controllo contrattuale”),
per la quale non è stato fornito dalla
stazione appaltante alcune elemento di
valutazione, le altre situazioni di
controllo di cui all’art. 2359, comma 1, che
sussistono quando una società dispone della
maggioranza dei voti esercitabili
nell’assemblea ordinaria di un’altra società
(c.d. “controllo interno di diritto”)
e quando una società dispone di voti
sufficienti per esercitare un’influenza
dominante nell’assemblea ordinaria di
un’altra società (c.d. “controllo interno
di fatto”), come pure la situazione di “collegamento
presunto”, descritta dal comma 3
dell’art. 2359, che sussiste quando una
società esercita su un’altra società
un’influenza notevole, che si presume quando
nell’assemblea ordinaria può essere
esercitato almeno un quinto dei voti ovvero
un decimo se la società ha azioni quotate in
mercati regolamentati, sono tutte situazioni
oggettive, legate alla presenza di intrecci
di partecipazioni azionarie tra due società
concorrenti nella medesima gara che, in base
alla documentazione in atti, non si
riscontrano nella fattispecie oggetto del
presente parere.
Invece, con specifico riferimento alla
previsione contenuta nella seconda parte
dell’art. 34, comma 2, che prevede
l’esclusione dalla gara in presenza di
ipotesi di c.d. “collegamento sostanziale”,
diverse ed ulteriori rispetto a quelle di
cui all’art. 2359 del codice civile, al
cospetto delle quali è ragionevolmente
ipotizzabile la riconducibilità delle
offerte dei concorrenti in gara ad un unico
centro decisionale, appare possibile e
opportuno, al fine della risoluzione del
caso in esame, richiamare l’orientamento già
espresso dal Giudice Amministrativo secondo
il quale un’interpretazione utile della
ratio posta a fondamento del divieto di
partecipazione alla gara di imprese avvinte
da un collegamento sostanziale “impone
l’applicazione del principio non solo al
caso in cui partecipino alle gare società
controllanti e controllate, ma anche laddove
la situazione di controllo delle società
partecipanti alle gare (e non di mero
collegamento) sia rilevante rispetto ad un
terzo non partecipante ma in grado,
tuttavia, come detentore di pacchetti di
maggioranza delle diverse partecipanti, di
esercitare l’influenza dominante descritta
dall’art. 2359 c.c.” (Cons. Stato, Sez.
VI, 06.03.2007, n. 2950).
E’ necessario, peraltro, tenere in debito
conto che nel caso di specie la società
terza non partecipante alla gara (Panizzo
s.r.l.), per un verso, controlla la
capogruppo CGX Costruzioni Generali XODO
s.r.l., detenendone in via diretta il
97,15%, per altro verso, possiede solo in
via indiretta il 50% delle quote della
capogruppo Rossi Renzo Costruzioni s.r.l.,
attraverso un’altra società sua controllata
al 100% denominata Corte della Libertà s.r.l..
Al riguardo non si può sottacere, altresì,
che il capitale sociale della Renzo Rossi
Costruzioni s.r.l. è ripartito tra due soci
con partecipazione paritetica (Rossi Renzo
50% e Corte della Libertà s.r.l. 50%) e che,
pertanto, un siffatto assetto societario non
appare conciliabile con le caratteristiche
strutturali del collegamento c.d. presunto,
di cui all’art. 2359, comma 3, del codice
civile, ipotizzato dalla stazione
appaltante, il quale presuppone, invece, un
capitale sociale suddiviso in misura non
solo formalmente compatibile con le
percentuali previste dalla citata
disposizione codicistica per il configurarsi
dell’influenza notevole (“almeno un
quinto dei voti ovvero un decimo se la
società ha azioni quotate in mercati
regolamentati”), ma concretamente idonea
a creare una situazione di potere effettivo
di condizionamento.
Invece, tenuto conto che il socio Corte
della Libertà s.r.l. è partecipato al 100%
dalla Panizzo s.r.l., appare possibile
ritenere che sussista un controllo
indiretto, esercitato dalla Panizzo s.r.l.
nella società Renzo Rossi Costruzioni s.r.l.
per il tramite della sua controllata Corte
della Libertà s.r.l., reso operativo da un
possibile accordo per l’esercizio dei voti
in assemblea, anche atto ad assicurare alla
suddetta controllata una posizione di
prevalenza sulla gestione amministrativa e
tecnica della Renzo Rossi Costruzioni s.r.l..
Ovviamente la prospettata ipotesi di un
siffatto accordo, stante la carenza in atti
di documentazione idonea a comprovarne
l’effettiva sussistenza, necessita di
un’autonoma verifica da parte della stazione
appaltante Insula S.p.A., attraverso
l’acquisizione di adeguati elementi di
valutazione, tra cui, ad esempio,
l’esistenza di eventuali accordi
parasociali, anche alla luce della recente
sentenza della Corte di Giustizia C-538/07
del 19.05.2009.
Qualora una siffatta ipotesi dovesse
risultare confermata, entrambe le imprese
capogruppo, CGX Costruzioni Generali XODO
s.r.l. e Renzo Rossi Costruzioni s.r.l.
risulterebbero controllate dalla holding
Panizzo s.r.l. “non partecipante ma in
grado, tuttavia, come detentore di pacchetti
di maggioranza delle diverse partecipanti,
di esercitare l’influenza dominante
descritta dall’art. 2359 c.c.” e ciò
costituirebbe sicuramente un elemento di
prova da valutare ai fini della imputabilità
delle due offerte ad un unico centro
decisionale (in questo senso v. Cons. Stato,
Sez. VI, 06.03.2007, n. 2950 e Cons. Stato,
Sez. V, 16.05.2008, n. 4285), ben potendosi
ricavare la riconducibilità delle offerte in
gara ad un unico centro decisionale anche
sulla base di elementi attinenti alla
particolare struttura societaria delle
società concorrenti e/o del gruppo in cui
sono inserite (da ultimo, v. Cons. Stato.
Sez. VI, 28.10.2008, n. 6037).
Del resto, la richiamata giurisprudenza che
ha ispirato la formulazione della seconda
parte dell’art. 34, comma 2, mutuando un
concetto proprio della dottrina penalistica
ha affermato che la tutela apprestata
all’interesse pubblico alla corretta e
regolare scelta del “giusto”
contraente è finalizzata ad evitare che il
relativo bene giuridico sia addirittura
messo in pericolo: infatti, qualora fosse
già stato leso o vulnerato sarebbe molto
difficile, se non addirittura impossibile
una restituito in integrum, salva
l’ipotesi dell’annullamento della gara e la
sua rinnovazione, che però in ogni caso
comporterebbe, per il tempo occorrente e per
le risorse umane e finanziarie da impiegare
e riallocare, un’offesa non riparabile ai
principi di economicità, speditezza,
celerità ed adeguatezza dell’azione
amministrativa.
Si evidenzia, altresì, che il Legislatore
stesso ha attribuito una particolare
rilevanza al controllo di società da parte
di una holding mediante l’introduzione nel
codice civile della presunzione di cui
all’art. 2497-sexies, il quale prevede
espressamente che “si presume salvo prova
contraria che l’attività di direzione e
coordinamento di società sia esercitata
dalla società o ente tenuto al
consolidamento dei loro bilanci o che
comunque le controlla ai sensi dell’art.
2359”.
Da tale disposizione, infatti, emerge
chiaramente che l’appartenenza di due
imprese partecipanti alla stessa gara ad
un’unica società madre che le controlla
costituisce un indice presuntivo, salvo
prova contraria, di attività di direzione e
coordinamento delle società controllate,
che, a sua volta, implica la presunzione di
imputabilità delle offerte presentate dalle
stesse ad un unico centro decisionale (Cons.
Stato, Sez. VI, 28.10.2008, n. 6037).
Nel caso di specie, inoltre, tale
presunzione sarebbe rafforzata dagli
elementi indiziari riguardanti gli intrecci
di incarichi amministrativi e tecnici, con
particolare riguardo al fatto che Stoppa
Chiara è sia Amministratore Unico
dell’impresa Corte della Libertà s.r.l., con
i più ampi poteri di gestione ordinaria e
straordinaria, (come da visura camerale in
atti), sia Consigliere, Vice Presidente del
Consiglio di Amministrazione e Consigliere
Delegato dell’impresa Rossi Renzo
Costruzioni s.r.l., capogruppo dell’ATI con
Frison Costruzioni s.a.s. concorrente nella
gara in oggetto, con i poteri per tutti gli
atti di ordinaria amministrazione (come da
visura camerale e dalle delibere di nomina e
di conferimento dei poteri dei Consigli di
Amministrazione del 27.03.2001 e del
18.05.2007 presenti in atti), sia
Amministratrice della holding Panizzo
s.r.l., con i più ampi ed illimitati poteri
per la gestione ordinaria e straordinaria
della società (come da visura camerale in
atti).
Fondamentalmente diversa, invece, è la
seconda fattispecie di ipotizzato
collegamento sottoposta all’esame di questa
Autorità dalla stazione appaltante Insula
S.p.A..
Infatti, a differenza della Panizzo s.r.l.,
la Satio s.r.l., che viene in rilievo in
tale secondo caso prospettato, non riveste
il ruolo di società terza non partecipante
alla gara, ma in grado di esercitare
l’influenza dominante descritta dall’art.
2359 codice civile come detentrice di
pacchetti di maggioranza delle diverse
partecipanti alla gara. Ciò innanzitutto,
perché la Satio s.r.l. non è titolare di
quote (né in via diretta né in via
indiretta) né della Tiozzo Gianfranco
s.r.l., né della Coop. Sandro Gallo, e
nemmeno della I.co.mar. s.r.l., (che sembra
erroneamente chiamata in causa, stante
l’avvenuto totale cambiamento della
compagine societaria in passato censurata),
in quanto le partecipazioni contestate sono
in realtà in capo a singoli soggetti, soci o
amministratori di dette società. Inoltre,
perché la Coop. Sandro Gallo non è un
partecipante alla gara di cui trattasi;
infatti, come correttamente richiamato dalla
stazione appaltante, il soggetto che ha
formulato l’offerta economica nella
procedura di gara in oggetto è il Consorzio
Nazionale Cooperative di Produzione e Lavoro
“Ciro Menotti”, secondo graduato, mentre la
Coop. Sandro Gallo è stata indicata soltanto
come esecutrice dei lavori.
Nessun dei succitati soggetti concorrenti si
trova, infine, per quanto risulta in atti,
nella condizione del soggetto che esercita
influenza dominante, né notevole in impresa
partecipante alla gara.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che:
- è possibile ipotizzare un collegamento
sostanziale ex art. 34, comma 2, del D.Lgs.
n. 163/2006 tra le due rispettive capogruppo
delle costituende ATI CGX Costruzioni
Generali XODO s.r.l./Freguglia Teobaldo
s.r.l. e Rossi Renzo Costruzioni s.r.l./Frison
Costruzioni di Alessandro Frison s.a.s.,
previo accertamento da parte della stazione
appaltante del ricorrere della fattispecie
del controllo indiretto, esercitato dalla
Panizzo s.r.l. nella Rossi Renzo Costruzioni
s.r.l. per il tramite della sua controllata
Corte della Libertà s.r.l., attraverso
l’acquisizione di adeguati elementi di
valutazione;
- non sussistono in atti elementi per
configurare un collegamento sostanziale ex
art. 34, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 tra
il Consorzio Ciro Menotti, a mezzo della
Coop. Sandro Gallo, e Tiozzo Gianfranco
s.r.l.
(parere
11.06.2009 n. 71 - link a
massimario.avlp.it). |
APPALTI:
In materia di dimostrazione del
possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria.
Ritenuto in diritto:
Le problematiche sottoposte a questa
Autorità con la prospettazione dei fatti
rappresentati, attengono a diversi aspetti.
Innanzitutto, rilevano i profili concernenti
la dimostrazione del possesso dei requisiti
di capacità economico-finanziaria di cui
all’articolo 41 del D.Lgs. n. 163/2006,
mediante la produzione delle dichiarazioni
di almeno due istituti bancari o
intermediari autorizzati dal D.Lgs. n.
385/1993, in relazione ai quali occorre
accertare, da un lato, la questione della
autocertificabilità delle dichiarazioni
bancarie da parte dell’impresa concorrente
ovvero della necessaria produzione delle
dichiarazioni già in sede di offerta e,
dall’altro, la questione dell’obbligo di
presentare le dichiarazioni stesse in busta
chiusa.
Inoltre, si pone necessaria una valutazione
sia in ordine alla legittimità di una
istanza di partecipazione alla quale sia
stata allegata un copia del documento di
identità non spillata all’istanza stessa,
sia in relazione alla correttezza
dell’operato di una stazione appaltante
rispetto all’obbligo di custodia dei plichi.
Per i profili inerenti la produzione delle
dichiarazioni bancarie, occorre considerare
la nuova formulazione dell’articolo 41,
comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, a seguito
delle modifiche introdotte dal D.Lgs.
11.09.2008 n. 152, applicabile ratione
temporis alla fattispecie in questione,
alla stregua del quale “negli appalti di
forniture e di servizi, la dimostrazione
della capacità finanziaria ed economica
delle imprese concorrenti può essere fornita
mediante uno o più dei seguenti documenti:
a) dichiarazione di almeno due istituti
bancari o intermediari autorizzati ai sensi
del D.Lgs. n. 385/1993; b) bilanci o
estratti di bilanci dell’impresa, ovvero
dichiarazione sottoscritta in conformità
alle disposizioni del D.P.R. n. 445/2000; c)
dichiarazione, sottoscritta in conformità
alle disposizioni del D.P.R. n. 445/2000,
concernente il fatturato globale
dell’impresa e l’importo relativo ai servizi
e forniture nel settore oggetto della gara,
realizzati negli ultimi tre esercizi.”
Il successivo comma 4 stabilisce che la
dichiarazione di cui al comma 1, lettera a)
è presentata già in sede di offerta e che il
concorrente aggiudicatario è tenuto ad
esibire la documentazione probatoria a
conferma delle dichiarazioni di cui al comma
1, lettere b) e c).
Fermo restando che per referenze bancarie si
intendono le lettere di affidabilità con le
quali gli istituti di credito attestano la
solidità bancaria dell’impresa, la
disposizione menzionata estende anche ai
requisiti di capacità economica il
principio, già previsto per i requisiti
generali di cui all’articolo 38, che
consente l’autocertificabilità dei requisiti
ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, a
condizione che essi vengano successivamente
verificati mediante la richiesta delle
certificazioni vere e proprie
all’aggiudicatario.
Tuttavia l’autocertificabilità, come
peraltro si evince dal richiamo espresso che
il comma 1 dell’articolo 41 del D.Lgs. n.
163/2006 fa al D.P.R. n. 445/2000, è
consentita solo per i mezzi di prova
indicati alle lettere b) e c) del medesimo
articolo, mentre per quello di cui alla
lettera a) il Legislatore sancisce che il
concorrente debba produrre, in ogni caso, le
dichiarazioni provenienti da istituti di
credito o intermediari finanziari già in
sede di offerta, con l’obbligo del
concorrente stesso di esibire l’originale in
sede di verifica dei requisiti dichiarati.
Tale interpretazione è, peraltro, supportata
dal parere del Consiglio di Stato, Sezione
consultiva per gli atti normativi del
14.07.2008 n. 2357, che si è pronunciato
proprio sullo schema del terzo decreto
correttivo al Codice dei contratti pubblici.
Alla luce di tali principi, non può essere
ammessa ad una procedura di gara un’impresa
concorrente che non abbia corredato la
propria istanza di partecipazione della
copia delle dichiarazioni degli istituiti
bancari o degli intermediari finanziari
autorizzati, in quanto la stessa
risulterebbe priva della dimostrazione della
capacità economico-finanziaria, quale
requisito speciale richiesto
dall’ordinamento per la partecipazione alle
procedure di gara.
Nel caso di specie, la concorrente ditta
Checchi non ha allegato alla propria istanza
di partecipazione le referenze bancarie
richieste e ciò ha indotto la stazione
appaltante ad escluderla.
Considerata l’essenzialità del documento
probatorio della capacità
economico-finanziaria dell’impresa, mediante
il quale la stazione appaltante riesce a
conoscere l’affidabilità della stessa, il
fatto che un’impresa concorrente,
contravvenendo peraltro alle disposizioni di
cui al Capitolato speciale d’appalto, non
abbia allegato le menzionate dichiarazioni
alla propria istanza di partecipazione non
può non costituire motivo di esclusione.
Peraltro, rileva altresì che, nel caso di
specie, il termine ultimo di presentazione
della documentazione di partecipazione era
stato fissato nella lex specialis, per il
giorno 19.12.2008, mentre la dichiarazione
bancaria che la ditta Checchi sostiene di
aver avuto in possesso già nella prima
seduta di gara, avvenuta il 22.12.2008,
riporta proprio la data del 22.12.2008 ed è
quindi certamente tardiva rispetto al
previsto termine di scadenza di
presentazione delle offerte.
L’eventuale ammissione di una integrazione
documentale di un documento non corredato
all’offerta e prodotto successivamente alla
scadenza del termine ultimo previsto per la
presentazione delle offerte determinerebbe,
da parte della stazione appaltante, non solo
una violazione delle clausole della lex
specialis, a cui la stessa si è
autovincolata al momento della loro
determinazione, ma produrrebbe anche una
violazione della par condicio nei confronti
dei concorrenti che invece hanno provveduto
a corredare la documentazione amministrativa
delle prescritte dichiarazioni nei termini
indicati.
Quanto alla mancata previsione nell’allegato
modello C, “Istanza di partecipazione”
di alcun riferimento alle dichiarazioni
bancarie, essa trova giustificazione proprio
nel dettato normativo di cui all’articolo 41
del D.Lgs. n. 163/2006, nel testo modificato
dal terzo decreto correttivo, che non
consente l’autocertificabilità delle
dichiarazioni bancarie, ma prevede che copia
delle medesime sia fornita in sede di gara e
che esse siano poi comprovate in fase di
controllo sul possesso dei requisiti ex
articolo 48, mediante produzione
dell’originale delle dichiarazioni medesime.
Inconferente appare il rilievo dell’impresa
alla prescrizione del Capitolato speciale
d’appalto che sancisce come “la verifica
in sede di gara sarà condotta richiedendo la
produzione della sotto indicata
documentazione probatoria: - idonee
referenze bancarie rilasciate in originale
da almeno un istituto di credito.” La
disposizione, infatti, è preceduta dalla
seguente proposizione “Le dichiarazioni
richieste per la presente gara relativamente
al possesso dei requisiti di capacità
tecnico-professionale ed
economico-finanziaria sono soggette al
controllo dell’articolo 48 del D.Lgs. n.
163/2006.”
La lettura congiunta delle due enunciazioni
rende chiaro come la produzione in sede di
gara dell’originale delle dichiarazioni
bancarie si incardina nel sub-procedimento
di controllo sul possesso dei requisiti; in
tanto può avvenire un controllo sui
requisiti effettivamente posseduti, in
quanto i medesimi siano stati dichiarati o
prodotti in copia in una fase antecedente.
Diversamente opinando la fase di controllo
ex articolo 48 perderebbe la propria
funzione di verifica dei requisiti,
diventando invece un momento ulteriore in
cui le imprese concorrenti possono produrre
quanto non dimostrato in sede di
presentazione dell’istanza di
partecipazione.
In tal modo si aprirebbe il varco per una
sorta di legittimazione dell’integrazione
documentale dei requisiti speciali
richiesti, svilendo sia la ratio
sottesa all’istituto sia i principi in
materia di contratti pubblici, primo tra
tutti il principio di par condicio.
Per quanto concerne poi il mancato
inserimento della dichiarazione bancaria
prodotta in una apposita busta chiusa, si
rileva come un’eventuale ed ulteriore
formalità in tal senso dovrebbe essere
prevista dalla lex specialis, nella
descrizione delle modalità di presentazione
delle offerte.
Nel caso di specie, non è rinvenibile nel
Capitolato speciale d’appalto nessun tipo di
prescrizione in tal senso, essendo
esclusivamente sancito che gli offerenti
devono presentare tre buste,
(“documentazione amministrativa”, “offerta
tecnica” e “offerta economica”),
ciascuna delle quali costituisce un autonomo
plico, da presentare appositamente chiuso e
con sigilli e controfirme del legale
rappresentante dell’impresa sui lembi di
chiusura e che tutte e tre debbano essere
contenute in un apposito plico.
Non essendo prevista alcuna specifica
formalità in ordine alla presentazione della
dichiarazione dell’istituto bancario o
dell’intermediario finanziario e considerato
che l’articolo 41 del D.Lgs. n. 163/2006
consente di produrre una copia della
dichiarazione dell’istituto bancario,
rinviando la produzione dell’originale al
successivo momento di controllo dei
requisiti, non sembrano sussistere motivi
per escludere la società Caponera S.r.l.
Appare quindi sotto tale profilo non
giustificata l’ammissione con riserva
disposta nei confronti della concorrente.
In ordine alla questione concernente la
necessità di spillare all’istanza di
partecipazione la copia del documento di
identità allegato, si precisa che la
disposizione di cui all’articolo 38, comma
3, del D.P.R. n. 445/2000 prevede: “Le
istanze e le dichiarazioni sostitutive di
atto di notorietà da produrre agli organi
della amministrazione pubblica o ai gestori
o esercenti di pubblici servizi sono
sottoscritte dall'interessato in presenza
del dipendente addetto ovvero sottoscritte e
presentate unitamente a copia fotostatica
non autenticata di un documento di identità
del sottoscrittore. La copia fotostatica del
documento é inserita nel fascicolo.”
Considerato che, secondo l’ormai consolidato
orientamento interpretativo, la produzione
della copia del documento di identità
costituisce elemento costitutivo della
fattispecie descritta dal menzionato
articolo 38, in quanto essa conferisce
legale autenticità alla sua sottoscrizione
apposta in calce a una istanza o a una
dichiarazione e serve a comprovare, oltre
alle generalità del dichiarante,
l'imprescindibile nesso di imputabilità
soggettiva della dichiarazione a una
determinata persona fisica, tale finalità
non verrebbe disattesa interpretando la
citata disposizione nel senso che sia
sufficiente ai fini della conformità
dell’autocertificazione la contestuale
produzione dell’autocertificazione e del
documento di identità.
Pertanto, nel caso di specie, il fatto che
la società Caponera abbia presentato
un’istanza di partecipazione con allegata
una copia del documento di identità non
spillata è conforme alla normativa in
materia amministrativa e, pertanto, non
costituisce motivazione per ammettere con
riserva l’impresa concorrente.
Per quanto concerne, infine, la questione
attinente all’eventuale violazione degli
obblighi di custodia dei plichi, che avrebbe
potuto determinare alterazioni o
manomissioni dei plichi stessi, rileva il
fatto che, come precisato nel verbale di
gara del 23.12.2008, la Commissione ha
adottato le modalità che ha ritenuto
opportune per garantire l’integrità dei
plichi e la segretezza delle offerte,
provvedendo a controfirmare le buste
contenenti l’offerta economica e tecnica,
reinserirle nei plichi di consegna e
custodirle sotto chiave nell’Ufficio della
Direzione. Peraltro, l’eventuale inefficacia
delle modalità di custodia adottate non è
stata dimostrata dal verificarsi di
specifiche alterazioni della documentazione
prodotta.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l’operato del Parco
Naturale dei Monti Simbruini è conforme alla
normativa di settore per quanto concerne
l’esclusione della ditta Checchi e la
modalità di custodia dei plichi delle
offerte, mentre la società Caponera S.r.l.
doveva essere ammessa senza riserva
(parere
11.06.2009 n. 70 - link a
massimario.avlp.it). |
APPALTI:
In materia di mancato pagamento
del contributo all’Autorità e di
annullamento in autotutela della procedura
di gara.
Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione di
questa Autorità con la prospettazione dei
fatti rappresentati, attiene, da un lato,
alla necessità di attivare la procedura di
attribuzione del Codice Identificativo della
Gara (CIG) e, dall’altro, all’obbligatorietà
del versamento del contributo all’Autorità
ai fini della partecipazione ad una
procedura di gara. In via generale, in
ordine al pagamento del contributo per la
partecipazione alle procedure di gara,
l’Autorità ha più volte chiarito che, come
indicato nella deliberazione 24.01.2008, il
versamento del contributo costituisce
condizione di ammissibilità dell’offerta
alla procedura di gara, con l’effetto che la
mancata dimostrazione dell’avvenuto
versamento del contributo comporta
l’esclusione dell’impresa offerente; ciò
anche nel caso in cui la lex specialis
non preveda espressamente tale obbligo (da
ultimo, parere n. 25 del 31.01.2008).
L’esclusione, invece, non si estende alle
ipotesi in cui l’impresa abbia indicato in
modo errato il CIG ovvero abbia omesso di
indicarlo nella causa di versamento, essendo
possibile in tal caso procedere
all’integrazione documentale (da ultimo,
parere n. 34 del 31.01.2008).
In relazione alle ipotesi in cui la stazione
appaltante ometta di richiedere e/o indicare
il CIG nella documentazione di gara,
l’Autorità ha precisato che la stessa deve
procedere a pubblicare un avviso di
rettifica (in tal senso, si veda la risposta
n. 6 ai quesiti frequenti, pubblicati sul
sito dell’Autorità, nella sessione
riscossioni).
Nelle “Istruzioni relative alle
contribuzioni dovute, ai sensi dell’articolo
1, comma 67, della legge 23.12.2006 n. 266
di soggetti pubblici e privati”,
pubblicate sul sito dell’Autorità, sono
indicate le modalità e i termini di
contribuzione (sezione B delle Istruzioni),
dalle quali si evince che la stazione
appaltante non è tenuta alla richiesta del
CIG per lotti di servizi e forniture di
importo inferiore a 20.000 euro e per lotti
di lavori inferiore a 40.000 euro e che sono
esonerate dal versamento del contributo le
procedure il cui importo complessivo a base
d’asta è inferiore a 150.000 euro.
Tanto premesso in via generale, occorre
rilevare che nel caso di specie gli Istituti
Riuniti di Beneficienza di Corinaldo, pur
avendo bandito una procedura di gara di
importo pari a 71.835,28 euro e quindi di
importo inferiore a 150.000 euro, soglia al
di sotto della quale non è previsto
l’obbligo di contribuzione, non hanno
tuttavia provveduto ad attivare la procedura
di accreditamento della gara al Sistema
Informativo di Monitoraggio delle Gare (SIMOG),
che avrebbe attribuito alla procedura un
Codice Identificativo della Gara e
determinato l’importo dell’eventuale
contribuzione.
Dal momento che dalla menzionata procedura
di accreditamento presso il sistema SIMOG
sono esonerate esclusivamente le procedure o
i lotti di valore inferiore a 20.000 euro,
per i servizi, e di 40.000 euro, per i
lavori, mentre il valore dell’appalto in
oggetto, come sancito dal Consiglio di
Amministrazione nella delibera n. 31/2008, è
pari a 71.835,28 euro, è evidente che,
sebbene per la procedura di gara in
questione non sussista l’obbligo di
contribuzione all’Autorità, tuttavia ciò non
comporta anche l’esonero per la stazione
appaltante di procedere al relativo
accreditamento presso il sistema SIMOG al
fine di ottenere il CIG.
Gli Istituti Riuniti dovranno, pertanto,
procedere a registrare la procedura in
questione nel sistema SIMOG, pubblicando una
rettifica alla documentazione di gara
prodotta con l’indicazione del CIG così
ottenuto.
I medesimi Istituti non potranno, invece,
procedere all’esclusione dell’offerta
presentata dalla Banca di Credito
Cooperativo per non aver provveduto al
versamento del contributo all’Autorità, non
sussistendo il relativo obbligo per la gara
in questione, per cui risulta scongiurato il
rischio di dover aggiudicare all’unica
offerta rimasta in gara e di frustrare, in
tal modo, l’interesse ad avere il maggior
numero di offerte in gara.
Peraltro, proprio in relazione
all’intenzione manifestata dagli Istituti
Riuniti di rinnovare la procedura di gara,
occorre rilevare che, come più ampiamente
precisato dall’Autorità nel parere n. 19 del
12.02.2009, sebbene la valutazione di un
possibile annullamento in autotutela di una
procedura di gara rientri nell’esclusiva
potestà discrezionale di una stazione
appaltante, che è chiamata a decidere in tal
senso laddove sussistano ragioni di
opportunità e di interesse pubblico attuale
e concreto, tale provvedimento dovrà, in
ogni caso, essere adottato fondando la
valutazione non sulla mera esigenza di
ripristinare la legalità in una procedura di
gara, ma tenendo conto della sussistenza di
un interesse pubblico concreto e attuale
alla rimozione dell’atto. Se l’illegittimità
del provvedimento, infatti, giustifica
l’esercizio del potere di autotutela nel
caso in cui la procedura sia inficiata da
vizi che non hanno consentito di assicurare
il rispetto della concorrenza tra le imprese
e la par condicio tra le stesse, occorre
comunque, che vengano individuati da parte
della stazione appaltante tutti gli
interessi pubblici attuali, distinti dal
mero interesse al ripristino della
situazione di legittimità che giustifica la
rimozione dell’atto viziato.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che gli Istituti Riuniti
di Beneficienza di Corinaldo dovranno
procedere a registrare la procedura in
questione nel sistema SIMOG, pubblicando una
rettifica alla documentazione di gara
prodotta con l’indicazione del CIG ottenuto,
e non potranno escludere l’offerta
presentata dalla Banca di Credito
Cooperativo per non aver provveduto al
versamento del contributo all’Autorità, non
sussistendo il relativo obbligo per la gara
in questione
(parere
11.06.2009 n. 69 - link a
massimario.avlp.it). |
dossier CONSIGLIERI COMUNALI |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Il diritto dei consiglieri
comunali e provinciali di "ottenere dagli
uffici, rispettivamente, del comune e della
provincia, nonché dalle loro aziende ed enti
dipendenti, tutte le notizie ed informazioni
in loro possesso, utili all’espletamento del
loro mandato” non postula e richiede che la
domanda sia formulata per iscritto, all’uopo
bastando una richiesta verbale, recante le
indicazioni essenziali a individuare gli
atti, i documenti e, in generale, le
informazioni richieste, prescindendosi anche
dalla precisa individuazione degli estremi
identificativi degli atti richiesti.
Osserva la Sezione che l’orientamento
assolutamente dominante in materia, che la
Sezione ritiene di condividere e far
proprio, differenzia nettamente il diritto
di accesso dei privati da quello di cui sono
titolari i Consiglieri Comunali e assoggetta
alle formalità e ai noti temperamenti insiti
nell’impianto della legge sul procedimento,
unicamente il diritto di accesso dei privati
(cittadini o imprese) disciplinato dagli
artt. 22 e seguenti della L. 241/1990,
liberando in particolare il diritto di
accesso dei consiglieri comunali:
1. dall’onere della richiesta scritta;
2. dalla prova della titolarità di un
interesse alla tutela di una situazione
giuridicamente rilevante;
3. dall’onere della motivazione della
propria richiesta;
4. dal limite del controllo, purché non sia
emulativo e paralizzante, dell’attività
dell’ente, finalità che, invece, sostanzia
proprio un saliente profilo del mandato
elettivo.
Conviene forse riportare alcune tra le più
significative enunciazioni della
giurisprudenza, quali quella secondo cui “il
diritto di accesso del consigliere comunale
agli atti del comune assume un connotato
particolare, in quanto finalizzato al pieno
ed effettivo svolgimento delle funzioni
assegnate al consiglio comunale, con la
conseguenza che sul consigliere comunale non
grava alcun onere di motivare le proprie
richieste d'informazione, né gli uffici
comunali hanno titolo a richiederle e
conoscerle” (TAR Abruzzo–Pescara, Sez.
I, 20.02.2008, n. 123; riproduttiva di
Consiglio Stato, Sez. V, 22.02.2007, n.
929).
Unico limite, discendente peraltro da comuni
canoni di proporzionalità e ragionevolezza,
è stato condivisibilmente rinvenuto nella
formalità, minima, dell’esatta indicazione
dei documenti richiesti, dei quali, ancorché
non sia necessaria la menzione degli estremi
identificativi precisi, occorre peraltro
fornire almeno gli elementi identificativi
(TAR Sardegna, Sez. I, 16.01.2008, n. 32).
Ulteriormente poi precisandosi pure che “il
consigliere comunale non può abusare del
diritto all'informazione riconosciutogli
dall'ordinamento, piegandone le alte
finalità a scopi meramente emulativi od
aggravando eccessivamente, con richieste non
contenute entro gli immanenti limiti della
proporzionalità e della ragionevolezza, la
corretta funzionalità amministrativa
dell'ente civico” (TAR Sardegna, Sez. I,
n. 32/2008 cit.).
La delineata estensione della portata e del
contenuto del diritto di accesso dei
consiglieri comunali e provinciali discende
ad avviso del Tribunale pianamente dal
tenore testuale e dalla ratio
dell’art. 43, comma 2 del Testo Unico sugli
Enti locali, di cui parte ricorrente lamenta
la violazione.
Ebbene, tale norma, a mente della quale “i
consiglieri comunali e provinciali hanno
diritto di ottenere dagli uffici,
rispettivamente, del comune e della
provincia, nonché dalle loro aziende ed enti
dipendenti, tutte le notizie e le
informazioni in loro possesso, utili
all'espletamento del proprio mandato. Essi
sono tenuti al segreto nei casi
specificamente determinati dalla legge”,
è formulata in termini assai ampi, apparendo
il diritto ivi sancito condizionato al solo
vincolo della sua funzionalizzazione
all’espletamento del mandato, confondendosi
e identificandosi dunque la condizione del
diritto di accesso con il suo fine.
Su queste coordinate interpretative si è
infatti posto il Giudice d’appello, che ha
chiarito, che “il diritto di accesso del
consigliere comunale non conosce i vincoli e
le limitazioni previsti dall'ordinario
accesso di cui alla legge n. 241/1990”,
essendo ad esempio esclusi alcuni importanti
limiti che astringono invece il diritto
d’accesso generale ed ordinario di cui
all’art. 22 della legge sul procedimento
amministrativo “ed in particolare quelli
relativi alla riservatezza dei terzi. La
legge non prende dunque in considerazione la
posizione di coloro che potrebbero opporsi
all'accesso (cui accorda come unica
protezione l'obbligo del segreto a carico
del consigliere comunale)” (Consiglio
Stato, Sez. V, 09.10.2007, n. 5264).
Con la medesima ultima Decisione il
Consiglio ha anche chiarito la ratio
dell’art. 43 del TUEL, precisante che il
diritto d’accesso ivi scolpito, “essendo
riferito all'espletamento del mandato,
investe l'esercizio del “munus” in tutte le
sue potenziali implicazioni per consentire
la valutazione della correttezza ed
efficacia dell'operato dell'amministrazione
comunale. (…) Il diritto di accesso è stato,
infatti, attribuito ai consiglieri comunali
per "tutte le notizie e le informazioni
utili all'espletamento del proprio mandato"
e, quindi, per tutte le notizie ed
informazioni ritenute utili, senza alcuna
limitazione. Dal termine "utili" contenuto
nella norma in oggetto non consegue, quindi,
alcuna limitazione al diritto di accesso dei
consiglieri comunali, bensì l'estensione di
tale diritto a qualsiasi atto ravvisato
utile all'espletamento del mandato”
(Consiglio Stato, Sez. V, 09.10.2007, n.
5264).
Va tuttavia ricordato limite esterno del
diritto d’accesso dei Consiglieri comunali e
provinciali, anch’esso discendente peraltro
da comuni canoni di proporzionalità e
ragionevolezza che impongono di bandirne
ogni carattere emulativo e ogni direzione
verso richieste generiche e indiscriminate.
In tal senso si è puntualizzato che il
diritto in esame, “pur essendo più ampio
di quello riconosciuto alla generalità dei
cittadini ai sensi degli artt. 22 ss., l.
07.08.1990 n. 241, non solo non può essere
emulativo ma neppure incondizionato e
comunque fondato su richieste generiche e
indiscriminate, ma soggiace alle limitazioni
derivanti dalla molteplicità dei servizi che
il Comune deve assicurare agli amministrati
e dal rispetto degli impegni di contenimento
delle spese generali di gestione dell'ente”
(Consiglio Stato, Sez. V, 28.12.2007, n.
6742; TAR Veneto, Sez. I, 23.11.2005 n.
3897).
In particolare, procedendo ad una
specificazione concreta delle esposte
teorizzazioni pretorie, ritiene il Tribunale
di poter affermare che il diritto dei
consiglieri comunali e provinciali, sancito
dall’art. 43 del d.lgs. n. 267/2000, di “ottenere
dagli uffici, rispettivamente, del comune e
della provincia, nonché dalle loro aziende
ed enti dipendenti, tutte le notizie ed
informazioni in loro possesso, utili
all’espletamento del loro mandato” non
postula e richiede che la domanda sia
formulata per iscritto, all’uopo bastando
una richiesta verbale, recante le
indicazioni essenziali a individuare gli
atti, i documenti e, in generale, le
informazioni richieste, prescindendosi anche
dalla precisa individuazione degli estremi
identificativi degli atti richiesti
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 31.07.2009 n. 2128 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE |
EDILIZIA PRIVATA: In
caso di pagamento rateizzato degli oneri di
urbanizzazione, la polizza fidejussoria di
garanzia è pari alla somma garantita (più
interessi legali) senza aggiungervi
l'importo corrispondente alla sanzione
massima per l'eventuale ritardato pagamento
(40%).
Ai sensi del comma 5
dell'art. 42 del DPR n. 380/2001,
l'amministrazione può procedere alla
riscossione coattiva del complessivo credito
solo una volta decorso inutilmente il
termine di cui alla lett. c) del comma 2
(termine scaduto il quale scatta la sanzione
massima, pari all'aumento del contributo in
misura del 40%).
In merito all'applicazione della sanzione
per ritardato pagamento degli oneri di
urbanizzazione la giurisprudenza non ha una
posizione unitaria.
Un orientamento è dell'avviso che allorché
l'amministrazione abbia ottenuto dal privato
una fidejussione bancaria "a semplice
richiesta" a garanzia dell'importo da
versare per il contributo a titolo di oneri
urbanistici e, successivamente, verifichi
che l'interessato ha omesso di corrispondere
i ratei alle scadenze previste, è
illegittima l'emanazione di un'ordinanza per
il pagamento di una somma comprendente
(oltre alle rate non pagate) le sanzioni,
ciò in quanto sarebbe stata sufficiente la
semplice richiesta al fidejussore
(iniziativa non gravosa né esposta a rischi
di sorta) per evitare un consistente
aggravamento della posizione debitoria del
privato (ai sensi dell'art. 1227, comma 2,
c.c.) e per conseguire tempestivamente il
credito (Cons. Stato, sez. V 03.07.1995 n.
1001; Cons. Stato sez. V 05.02.2003 n. 585 e
10.01.2003 n. 32; TAR Veneto, sez. II,
09.02.2006, n. 342; TAR Sardegna, sez. II,
07.08.2006, n. 1595; TAR Lombardia-Milano,
sez. II, 07.10.2003, n. 4505).
Altro orientamento sostiene, invece, che non
sussista in capo alla p.a. un obbligo di
previa escussione del fidejussore. Il
Consiglio di Stato con la sentenza n.
6345/2005 ha affermato che l'art. 1227 c.c.
"esula del tutto dall'ambito
sanzionatorio, in cui l'ente investito della
potestà punitiva non può certamente
equipararsi al creditore di un'obbligazione
risarcitoria, tanto più allorquando la
progressione illecita del trasgressore
-puntualmente scandita da graduati e
ragionevoli aggravamenti delle sanzioni in
corrispondenza del protrarsi del ritardo nel
pagamento- non abbia ancora esaurito tutta
l'antigiuridicità presa in considerazione
dalla singola previsione applicata (...) La
fidejussione che accompagna la rateizzazione
del pagamento degli oneri di urbanizzazione
non ha la finalità di agevolare
l'adempimento del soggetto obbligato al
pagamento, bensì costituisce una garanzia
personale prestata unicamente nell'interesse
dell'amministrazione, sulla quale non
incombe alcun obbligo di preventiva
escussione del fidejussore; invero, la
garanzia sussidiaria serve a scongiurare che
il Comune possa irrimediabilmente perdere
una entrata di diritto pubblico, ma non
alleggerisce affatto la posizione del
soggetto tenuto al pagamento, né attenua i
doveri di diligenza sullo stesso incombenti,
né estingue di per sé l'obbligazione
principale" (Cons. Stato, sez. V,
11.11.2005, n. 6345; Cons. Stato, sez. IV,
13.03.2008 n. 1084; Cons. Stato, sez. V,
16.07.2007 n. 4025; Cons. Stato, sez. II,
24.05.2006 n. 7683; TAR Milano, sez. II,
02.02.1998 n. 136; TAR Campania-Salerno,
sez. II, 16.06.2008 n. 1936).
Il collegio ritiene corretta la conclusione
cui perviene quest'ultimo orientamento per
le seguenti, ulteriori, ragioni.
Ai sensi del comma 5 dell'art. 42 del DPR n.
380/2001, l'amministrazione può procedere
alla riscossione coattiva del complessivo
credito solo una volta decorso inutilmente
il termine di cui alla lett. c) del comma 2
(termine scaduto il quale scatta la sanzione
massima, pari all'aumento del contributo in
misura del 40%).
La riscossione coattiva è, dunque, la
conseguenza più grave prevista dalla legge
per l'ipotesi in cui il ritardo si protragga
oltre il 240° giorno (che va ad aggiungersi
alla sanzione dell'aumento del contributo
nella misura pari al 40%).
La p.a. può, pertanto, escutere la
fidejussione solamente in un momento in cui,
per il ritardo maturato, è già insorto in
capo al privato l'obbligo di pagare la
sanzione nella misura massima prevista.
Poiché ai sensi del comma 4 dell'art. 42 del
DPR n. 380/2001, in caso di pagamento
rateizzato, le norme di cui al secondo comma
si applicano ai ritardi nei pagamenti delle
singole rate, anche con riferimento a tali
ipotesi, l'escussione del fidejussore potrà
intervenire solamente allo scadere del 240°
giorno di ritardo, allorché, dunque, è già
scattato l'aumento del contributo nella
misura del 40% (TAR Lombardia-Milano Sez. II,
sentenza 06.07.2009
n. 4306). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il termine di prescrizione della
sanzione irrogata per ritardato pagamento
del contributo dovuto per gli oneri di
urbanizzazione e per il costo di costruzione
è di 5 anni.
Giova richiamare il consolidato e persuasivo
orientamento della giurisprudenza
amministrativa (cfr., tra le altre, TAR
Basilicata, 30.04.2008 n. 141; TAR Campania,
Salerno, Sez, II, 22.04.2005 n. 647; TAR
Calabria, Catanzaro, Sez. II, 08.10.2001 n.
1514; TAR Sicilia, Catania, Sez. I,
08.05.2006 n. 701) secondo cui il termine di
prescrizione della sanzione irrogata per
ritardato pagamento del contributo dovuto
per gli oneri di urbanizzazione e per il
costo di costruzione è di 5 anni in
applicazione della normativa dettata
dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981, la
quale è estesa dall’art. 12 della stessa
legge a “tutte le violazioni per le quali
è prevista la sanzione amministrativa del
pagamento di una somma di denaro, anche
quando questa sanzione non è prevista in
sostituzione di una sanzione penale”.
Ed invero, il suddetto art. 28, che fissa in
5 anni il termine di prescrizione del
diritto a riscuotere le somme dovute, in
virtù della disposta estensione prevista
dall’art. 12 della stessa legge, si applica
a tutte le sanzioni amministrative di tipo
afflittivo, tra le quali deve essere
ricompresa quella conseguente al ritardato
od omesso versamento dei contributi
afferenti la concessione edilizia (oggi,
permesso di costruire), atteso che
l’irrogazione della stessa, essendo volta a
sanzionare la non puntuale osservanza
dell’obbligo contributivo, presenta di certo
carattere afflittivo, e ciò la prefigura
svincolata da ogni forma di protezione
diretta dell’interesse di natura
urbanistica.
Sempre a norma del citato art. 28, il “..diritto
a riscuotere le somme dovute per le
violazioni indicate dalla presente legge si
prescrive nel termine di cinque anni dal
giorno in cui è stata commessa la
violazione…”.
Nel caso di specie, il “dies a quo”
del termine di prescrizione quinquennale va
individuato nella scadenza del termine di
240 giorni successivi alla data prevista per
il pagamento della 1^ e della 2^ rata
relative al contributo dovuto per il costo
di costruzione (cfr. art. 42, secondo comma
lett. c, del D.P.R. n. 380 del 2001, come
sostituita dall’art. 27, comma 17, L. n. 448
del 2001).
Infatti, a norma del citato art. 42, secondo
comma lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001,
quando l’omissione del pagamento del
contributo si protrae fino a 240 giorni
dalla scadenza prevista va applicata una
sanzione pecuniaria pari al 40% del
contributo dovuto.
A norma del successivo comma 5 dello stesso
articolo, decorso inutilmente il predetto
termine di 240 giorni, il comune provvede
alla riscossione coattiva del complessivo
credito (sia di quello relativo al
contributo non versato, sia della sanzione
da irrogare per l’omesso versamento).
Il momento in cui si consuma la violazione
va, quindi, individuato nella inutile
scadenza del termine di 240 giorni, decorso
il quale la sanzione correlata al mancato
versamento del contributo dovuto (o di una o
più rate dello stesso) era ovviamente
riscuotibile (in questa sede non è
controversa la misura della sanzione
concretamente applicata dal Comune, non
avendo il ricorrente formulato alcuna
censura in proposito), insieme con la 1^ e
la 2^ rata del contributo
(TAR Basilicata,
sentenza 22.04.2009 n. 138 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La fideiussione che accompagna la
rateizzazione del pagamento degli oneri di
urbanizzazione non ha la finalità di
agevolare l’adempimento del soggetto
obbligato al pagamento, bensì costituisce
una garanzia personale prestata unicamente
nell’interesse dell’Amministrazione, sulla
quale non incombe alcun obbligo di
preventiva escussione del fideiussore.
La questione portata all’esame del Collegio
concerne la legittimità della ingiunzione,
disposta dal Comune, di pagamento della
sanzione prevista dall’art. 3, comma 2,
della legge n. 47/1985 per il ritardato
pagamento delle somme dovute a titolo di
oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione, nel caso in cui il privato, a
garanzia delle obbligazioni assunte, abbia
stipulato polizza fideiussoria.
Si discute, in particolare, se l’esistenza
di una garanzia fideiussoria, con esclusione
per la compagnia di assicurazione del
beneficio della preventiva escussione del
contraente, obblighi il Comune ad una
tempestiva richiesta al garante delle somme
dovute, in tal modo evitando l’applicazione
delle sanzioni di legge per ritardato
pagamento a carico del privato.
Al predetto quesito ritiene il Tribunale
debba offrirsi risposta negativa, in
adesione al condivisibile orientamento
giurisprudenziale espresso dal Consiglio di
Stato, sez. V, con la sentenza n. 6345
dell’11.11.2005.
Il Supremo Consesso ha, invero, stabilito
che la fideiussione che accompagna la
rateizzazione del pagamento degli oneri di
urbanizzazione non ha la finalità di
agevolare l’adempimento del soggetto
obbligato al pagamento, bensì costituisce
una garanzia personale prestata unicamente
nell’interesse dell’Amministrazione, sulla
quale non incombe alcun obbligo di
preventiva escussione del fideiussore.
Invero, la garanzia sussidiaria serve a
scongiurare che il Comune possa
irrimediabilmente perdere un’entrata di
diritto pubblico, ma non alleggerisce
affatto la posizione del soggetto tenuto al
pagamento, né attenua i doveri di diligenza
sullo stesso incombenti, né ancora estingue
di per sé l’obbligazione principale.
Sotto altro profilo (e con ciò confutandosi
altra specifica censura), ritiene il
Tribunale che non sussista un obbligo del
Comune di “preavvisare” del pagamento
della sanzione ovvero di “avvertire"
delle conseguenze del ritardato pagamento,
così da non aggravare la posizione debitoria
ai sensi dell’art. 1227, comma 2, cod. civ.
Invero, l’obbligazione ha ad oggetto una
prestazione generica, da eseguirsi, secondo
le regole comuni, al domicilio del
creditore.
Secondo la normativa civilistica, dunque,
alla scadenza del termine di adempimento il
debitore è costituito in mora
automaticamente, senza che sul creditore
gravi alcun onere di sollecitazione.
Né risulta invocabile la disciplina
contenuta nel richiamato art. 1227 cod.
civ., atteso che essa si riferisce
unicamente ad obbligazioni di carattere e
contenuto risarcitorio e non a quelle, come
a quella oggetto del presente giudizio, di
carattere sanzionatorio (TAR Campania-Salerno,
Sez. II,
sentenza 16.06.2008 n. 1936 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di pagamento
rateizzato degli oo.uu., l’inadempimento che
l’art. 42 (DPR 380/2001) sanziona è una
condotta omissiva puntuale, verificabile ad
un momento certo, restando irrilevante un
eventuale adempimento tardivo
dell'obbligazione, seppure ricondotto
retroattivamente alla scadenza del termine
di pagamento attraverso il meccanismo
dell'accreditamento con valuta retroattiva.
Con il primo motivo l’appellante deduce che
l’amministrazione, a fronte dell’omesso
tempestivo pagamento della rata del
contributo per oneri di urbanizzazione, è
obbligata ad applicare a titolo
sanzionatorio l’aumento (del 10%) previsto
dall’art. 42, comma 2, del T.U. n. 380 del
2001.
Erra dunque la sentenza di primo grado
allorché afferma che l’irrogazione della
predetta sanzione –in presenza di garanzia a
prima richiesta non escussa– comporti un
indebito aggravamento della posizione del
debitore ai sensi dell’art. 1227 cod. civ..
Il mezzo è fondato, in quanto la
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato
ha da tempo chiarito (cfr. V Sez. nn. 1250 e
6345 del 2005 nonché n. 4025 del 2007) che,
in assenza di inadempimenti imputabili
all’Amministrazione idonei a configurare a
suo carico una responsabilità “da
contatto” oppure di natura
precontrattuale, il richiamo all’art. 1227
c.c. è del tutto inconferente, essendo tale
disposizione riferibile solo alle
obbligazioni di carattere risarcitorio e non
a quelle (anche di contenuto pecuniario) di
natura sanzionatoria, che restano governate
dalla disciplina pubblicistica di
riferimento.
D'altronde –come si evidenzia nelle citate
decisioni- neppure con riguardo al regime
ordinario delle obbligazioni tra privati
sarebbe pertinente il richiamo all’art. 1227
cod. civ.
Infatti, l'onere di diligenza che questa
norma fa gravare sul creditore non si
estende alla sollecitudine nell'agire a
tutela del proprio credito onde evitare
maggiori danni, i quali viceversa sono da
imputare esclusivamente alla condotta del
debitore, tenuto al tempestivo adempimento
della sua obbligazione.
Del resto, in materia di obbligazioni “portable”
quali quelle pecuniarie, e con termine di
adempimento che esonera dalla costituzione
in mora del debitore, il creditore è
soltanto facultato ad attivare la solidale
responsabilità del fideiussore, senza che
possa invece ritenersi tenuto ad escutere il
coobbligato piuttosto che attendere il
pagamento, ancorché tardivo, salva
l'esistenza di apposita clausola in tal
senso, nella specie assolutamente non
stipulata.
Con il secondo motivo l’appellante deduce
l’irrilevanza del fatto che il tardivo
pagamento sia stato effettuato con valuta
retrodatata al giorno di scadenza
dell’obbligazione.
Anche questo mezzo è fondato, in primo luogo
perché, essendo il comune di Venezia
soggetto al regime di Tesoreria Unica, i
pagamenti effettuati a mezzo bonifico
bancario a favore dell’Ente vengono
registrati sul conto solo nel giorno di
incasso.
In ogni caso, a prescindere da tale aspetto
fattuale, l’inadempimento che l’art. 42
sanziona è una condotta omissiva puntuale,
verificabile ad un momento certo, restando
irrilevante un eventuale adempimento tardivo
dell'obbligazione, seppure ricondotto
retroattivamente alla scadenza del termine
di pagamento attraverso il meccanismo
dell'accreditamento con valuta retroattiva
(cfr. IV Sez. n. 8215 del 2004) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.03.2008 n. 1084 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è dato ravvisare nel sistema
di cui agli artt. 1936 ss. cod. civ. alcun
principio di preventiva doverosa escussione
del fideiussore alla scadenza del termine
fissato per l'adempimento dell'obbligazione
garantita (ndr: pagamento rateizzato degli
oo.uu.), che peraltro colliderebbe con le
finalità dell'istituto, inteso a rafforzare
la garanzia del credito in funzione di un
interesse proprio e specifico del creditore.
L’applicazione della sanzione pecuniaria
(per ritardato pagamento rateizzato degli
oo.uu.) non deve essere preceduta dalla
comunicazione di avvio del relativo
procedimento, trattandosi dell’applicazione
ex lege di una sanzione pecuniaria connessa
al ritardato pagamento del contributo dovuto
per il rilascio della concessione edilizia.
Pur in presenza di un contratto di garanzia
cosiddetta autonoma, con il quale il garante
si obbliga ad eseguire la prestazione
oggetto della garanzia "a semplice
richiesta" del creditore garantito,
senza opporre eccezioni attinenti alla
validità, all'efficacia ed alla vicenda del
rapporto principale, anche in questa ipotesi
il meccanismo dell'adempimento del garante "a
prima richiesta" scatta a seguito
dell'inadempimento dell'obbligazione
principale, ancorché resti vietato al
garante di chiedere la preventiva escussione
del debitore principale (Cass. 18.11.1992 n.
12341, 03.11.1993 n. 10850, 17.05.2001 n.
6757) .
D'altronde, neppure con riguardo al regime
ordinario delle obbligazioni tra privati
sarebbe pertinente il richiamo all’art. 1227
cod. civ.. Infatti, l'onere di diligenza che
questa norma fa gravare sul creditore non si
estende alla sollecitudine nell'agire a
tutela del proprio credito onde evitare
maggiori danni, i quali viceversa sono da
imputare esclusivamente alla condotta del
debitore, tenuto al tempestivo adempimento
della sua obbligazione (V. Corte cost. n.
308 del 14.07.1999).
Inoltre, non è dato ravvisare nel sistema di
cui agli artt. 1936 ss. cod. civ. alcun
principio di preventiva doverosa escussione
del fideiussore alla scadenza del termine
fissato per l'adempimento dell'obbligazione
garantita, che peraltro colliderebbe con le
finalità dell'istituto, inteso a rafforzare
la garanzia del credito in funzione di un
interesse proprio e specifico del creditore.
In altri termini, ed in materia di
obbligazioni “portable” quali quelle
pecuniarie, e con termine di adempimento che
esonera dalla costituzione in mora del
debitore, il creditore è soltanto facultato
ad attivare la solidale responsabilità del
fideiussore, senza che possa invece
ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato
piuttosto che attendere il pagamento,
ancorché tardivo, salva l'esistenza di
apposita clausola in tal senso (che dovrebbe
essere accettata dall’Amministrazione),
nella specie non prevista.
Detto orientamento poi non è in contrasto
con quanto ritenuto nelle decisioni di
questa Sezione n. 32 e n. 585 del 2003, in
quanto queste si riferiscono ad ipotesi di
incertezza da parte dello stessa
Amministrazione in ordine all’an o al
quantum del contributo, nella specie
insussistente.
L’applicazione della sanzione pecuniaria non
deve essere preceduta dalla comunicazione di
avvio del relativo procedimento, trattandosi
dell’applicazione ex lege di una
sanzione pecuniaria connessa al ritardato
pagamento del contributo dovuto per il
rilascio della concessione edilizia
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.07.2007 n. 4025 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier RIFIUTI E BONIFICHE |
AMBIENTE-ECOLOGIA: L'amministrazione
non può imporre ai proprietari che non hanno
alcuna responsabilità diretta sull'abbandono
di rifiuti, ma che vengono individuati solo
in quanto titolari di diritto reale sul
bene, lo svolgimento di attività di
rimozione, recupero e di ripristino.
Il Collegio osserva che l’art. 14 d.lgs. n.
22/1997 (oggi confluito nell’art. 192 d.lgs.
n. 152/2006) dispone quanto segue: “L'abbandono
e il deposito incontrollati di rifiuti sul
suolo e nel suolo sono vietati. È altresì
vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi
genere, allo stato solido o liquido, nelle
acque superficiali e sotterranee. Fatta
salva l'applicazione delle sanzioni di cui
agli articoli 51 e 52, chiunque viola i
divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a
procedere alla rimozione, all'avvio a
recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed
al ripristino dello stato dei luoghi in
solido con il proprietario e con i titolari
di diritti reali o personali di godimento
sull'area ai quali tale violazione sia
imputabile a titolo di dolo o colpa. Il
sindaco dispone con ordinanza le operazioni
a tal fine necessarie e il termine entro cui
provvedere, decorso il quale procede
all'esecuzione in danno dei soggetti
obbligati e al recupero delle somme
anticipate”.
Come si nota, il coinvolgimento del
proprietario dell’area è previsto soltanto
ove lo stesso -ovviamente- sia il diretto
responsabile dell’abbandono ovvero se, in
solido con il diretto responsabile, abbia
compiuto la violazione a titolo di dolo o
colpa ma tale accertamento del suo titolo di
coinvolgimento deve essere compiuto in
maniera adeguata e ne deve essere data
indicazione con congrua motivazione nel
relativo provvedimento, con esclusione di
una configurazione di responsabilità di tipo
“oggettivo” o residuale nell’ipotesi
in cui i responsabili omettano di
intervenire pur se intimati.
Sul punto, il Collegio non può che ribadire
principi più volte richiamati anche da
questa stessa Sezione (da ultimo, TAR
Toscana, Sez. II, 05.06.2009, n. 993 e
06.05.2009, n. 762), per cui la disposizione
di cui all’art. 14, comma 3, d.lgs n.
22/1997 non può che essere interpretata nel
senso che l'obbligo di adottare le misure
idonee alla eliminazione del rifiuto incombe
solamente a carico di colui che di tale
situazione sia responsabile, per avervi dato
causa.
La norma individua, perciò, solo nel profilo
“soggettivo” della condotta
dell'autore dell'abbandono -per il
proprietario esplicitamente richiamando il
titolo di dolo o di colpa- la fonte
dell'obbligo a provvedere alla rimozione, al
recupero e al ripristino. Il proprietario
dell’area, quindi, può essere coinvolto in
tali operazioni non in quanto tale -a titolo
di responsabilità “oggettiva”, che
infatti la norma esclude– ma solo se ha
contribuito effettivamente alla violazione
con azioni o omissioni a lui riconducibili a
titolo di dolo o colpa. Come detto, tale
riconducibilità deve essere provata nella
fase istruttoria e deve confluire in una
congrua motivazione contenuta nel
provvedimento che impone la rimozione, il
recupero, lo smaltimento e il ripristino.
Da ciò la giurisprudenza quasi univoca,
condivisa dal Collegio, deduce la mancanza
di responsabilità, e quindi di obbligo alla
rimozione-recupero-ripristino, del
proprietario “incolpevole” (TAR Toscana, sez.
II, 17.04.2009, n. 665; TAR Veneto, sez. III,
25.05.2005, n. 2174; TAR Lombardia, Milano,
sez. I, 08.10.2004, n. 5473; TAR Campania,
sez. V, 28.09.1998, n. 2988).
Ne consegue che l'amministrazione non può
imporre ai proprietari che non hanno alcuna
responsabilità diretta sull'origine del
fenomeno di abbandono di rifiuti contestato,
ma che vengono individuati solo in quanto
titolari di diritto reale sul bene, lo
svolgimento di attività di rimozione,
recupero e di ripristino (TAR Veneto, sez.
III, 02.02.2002, n. 320).
Sotto tale profilo, si ricalca la
conclusione della giurisprudenza penale in
ordine alla inimputabilità del proprietario
incolpevole, che non compia atti di gestione
e movimentazione dei rifiuti, atteso che non
si riscontra nei confronti dello stesso un
obbligo giuridico di recintare il terreno,
di scongiurare la “desertificazione”
del terreno stesso o di garantire una
destinazione specifica, posto che gli
obblighi di gestione e smaltimento dei
rifiuti sono posti esclusivamente a carico
dei produttori e dei detentori dei rifiuti
medesimi (Cass. Pen., Sez. III, 15.12.2008,
n. 46072)
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 18.06.2009 n. 1062 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: In
materia di abbandono di rifiuti, tra le
ordinanze contingibili ed urgenti (a firma
del Sindaco) non rientrano quelle
disciplinate dall'art. 14, comma 3, del
D.lgs. 05.02.1997, n. 22, in quanto tali
ordinanze hanno carattere sanzionatorio,
essendo previste soltanto per le violazioni
imputabili "a titolo di dolo o colpa", e
rientrano nell'ordinaria gestione
amministrativa di spettanza dirigenziale.
La giurisprudenza formatasi al riguardo
-condivisa dal Collegio- ha già affrontato
la questione dell’anzidetta competenza
sindacale, dopo l’entrata in vigore
dell'art. 107 del D.lgs. 18.8.2000, n. 267,
che ha trasferito ai dirigenti le competenze
gestionali, escludendo che essa permanga in
capo al Sindaco (cfr.: TAR Basilicata,
23.05.2007, n. 457; TAR Veneto, sez. III,
24.01.2006, n. 125; TAR Molise, 25.11.2004,
n. 729).
Invero, ai sensi dell'art. 107, comma 5, del
D.lgs. n. 267 del 2000 "le disposizioni
che conferiscono agli organi di cui al Capo
I del Titolo III" (cioè il Consiglio
Comunale, la Giunta Comunale ed il Sindaco)
"l'adozione di atti di gestione e di atti
o provvedimenti amministrativi si intendono
nel senso che la relativa competenza spetta
ai Dirigenti, salvo quanto previsto
dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54".
In particolare, ai sensi dell'art. 50, comma
5, del ridetto D.lgs. n. 267 del 2000 spetta
al Sindaco "in caso di emergenze
sanitarie o di igiene pubblica" soltanto
l'adozione delle ordinanze contingibili ed
urgenti, come quelle di "eccezionale ed
urgente necessità di tutela della salute
pubblica e dell'ambiente e non si possa
altrimenti provvedere", previste
dall’art. 13 del D.lgs. n. 22 del 1997, per
le quali è prevista la competenza sindacale
quando gli effetti dell'emergenza sanitaria
e/o ambientale investono il solo territorio
comunale.
Tra le ordinanze contingibili ed urgenti,
però, non rientrano quelle disciplinate
dall'art. 14, comma 3, del D.lgs.
05.02.1997, n. 22, in quanto tali ordinanze
hanno carattere sanzionatorio, essendo
previste soltanto per le violazioni
imputabili "a titolo di dolo o colpa",
e rientrano nell'ordinaria gestione
amministrativa di spettanza dirigenziale.
Pertanto, nella fattispecie all’esame,
l'adozione dell'ordinanza ex art. 14, comma
3, del D.lgs. n. 22 del 1997, trattandosi di
un atto di gestione (più precisamente di un
provvedimento sanzionatorio), rientrava
nella competenza del dirigente (o del
funzionario comunale, secondo la diversa
organizzazione statutaria nel Comune di Cles)
e non del Sindaco
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 22.05.2009 n. 160 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: L’ingiunzione
a demolire un’opera abusivamente realizzata
perde del tutto efficacia qualora
l’interessato attivi l’accertamento di
conformità.
Per giurisprudenza costante, l’ingiunzione a
demolire un’opera abusivamente realizzata
perde del tutto efficacia qualora
l’interessato attivi l’accertamento di
conformità, onerando l’amministrazione a
rideterminarsi in materia sanzionatoria
all’esito della pronuncia negativa
sull’istanza di sanatoria (ex multis
Tar Lombardia–Brescia 19.02.2007 n. 174)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 30.07.2009 n. 4233 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
ricostruzione su ruderi costituisce una
nuova costruzione.
Per
giurisprudenza costante gli interventi di
risanamento conservativo, di cui all’art.
31, lett. c), l. 05.08.1978 n. 457,
presuppongono necessariamente l’esistenza
dell’organismo edilizio, definito nelle sue
strutture verticali ed orizzontali e
relativa copertura, siccome finalizzato al
recupero degli immobili nella loro attuale
consistenza e nell’ambito degli spazi
concretamente identificabili, al pari della
ristrutturazione edilizia, laddove, invece,
la ricostruzione su ruderi, costituisce una
nuova costruzione (ex multis Cons.
St. Sez. V 23.06.1997 n. 704)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 30.07.2009 n. 4233 -
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Concessione - Diniego -
Perfezionamento - Comunicazione del parere
negativo della Commissione edilizia -
Conseguenze.
2. Asservimento di un fondo - Condizioni.
1. La comunicazione del parere sfavorevole
della Commissione edilizia costituisce
rigetto della relativa domanda ed è pertanto
immediatamente impugnabile e ciò perché, se
è vero che la comunicazione del parere
favorevole della Commissione Edilizia non ha
valore di rilascio della concessione, non
altrettanto può dirsi della comunicazione
del parere contrario, che - se effettuata da
parte dell'organo competente a rilasciare il
titolo abilitativo richiesto - costituisce
manifestazione della volontà di aderire alla
decisione negativa della Commissione e,
quindi, avendo tutti gli elementi necessari
del diniego, costituisce atto immediatamente
lesivo ed autonomamente impugnabile (Cons.
Stato, sez. V, 23.01.2007; TAR Campania
Napoli, sez. IV, 20.11.2006 n. 9983).
2. Vi è asservimento allorquando un'area non
sia semplicemente, in via di fatto a
servizio di un edificio, ma abbia
giuridicamente ricevuto tale destinazione
attraverso uno strumento urbanistico ovvero
le norme del regolamento edilizio ovvero un
impegno privato: per effetto di ciò, il
fondo asservito resta inedificabile (Cons.
Stato, sez. V, n. 1278/2003) (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 30.07.2009 n. 4229 -
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Abusi - Demolizione - Ordine -
Illegittimità - Casi - Ragioni.
2. Abusi - Sanatoria - Domanda del privato -
Obblighi della p.A. - Conseguenze.
1. L'ordine di demolizione adottato in data
successiva alla presentazione della
richiesta di accertamento di conformità o di
condono, in assenza di preventiva
determinazione su quest'ultima, è
illegittimo in quanto l'amministrazione
aveva l'obbligo di pronunciarsi su di essa
prima di procedere all'irrogazione delle
sanzioni definitive (TAR Campania Salerno,
sez. II, 07.05.2009 n. 1827).
2. L'esercizio da parte del privato della
facoltà di regolarizzare la propria
posizione in relazione ad un abuso edilizio,
mediante proposizione di domanda per
l'accertamento di conformità o di sanatoria
dello stesso, impedisce l'esercizio del
potere repressivo dell'Amministrazione,
almeno fino a quando essa non si pronunci in
senso negativo sull'istanza medesima (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 30.07.2009 n. 1410 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Procedimento amministrativo -
Silenzio - Sindacabilità - In presenza di
istanza di condono - Sussistenza.
In presenza di un'istanza di condono
edilizio l'Amministrazione è tenuta ad
adottare un provvedimento espresso e il
silenzio serbato è sindacabile in sede
giurisdizionale quanto al mancato
adempimento dell'obbligo di provvedere
(Cons. Stato, sez. IV, 07.07.2008 n. 3384)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 30.07.2009 n. 539 - link
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Giudizio amministrativo -
Procedura - Improcedibilità - E
inammissibilità - Pronuncia - Casi -
Ragioni.
L'adozione di un provvedimento espresso in
risposta all'istanza dell'interessato rende
inammissibile, per carenza originaria di
interesse ad agire, il ricorso proposto
contro il silenzio se il provvedimento,
ancorché non comunicato, intervenga prima
della proposizione del ricorso stesso, o
improcedibile per carenza sopravvenuta di
interesse ad agire, se il provvedimento
intervenga nel corso del giudizio (Cons.
Stato, sez. VI, 25.06.2008 n. 3215; Cons.
Stato, sez. VI, 10.05.2007 n. 2237; Cons.
Stato, sez. V, 24.08.2006 n. 4968) (TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 30.07.2009 n. 539 - link
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ATTI AMMINISTRATIVI:
1- Giudizio amministrativo –
Procedura – Legittimazione - Passiva – Opere
con rilievo urbanistico – Impugnazione -
Requisiti.
2- Sindaco – Ordinanze contingibili ed
urgenti – Presupposti - Esame istruttorio
affidato a riscontri scientifici e non a
timori generali – Necessità - Sussiste.
3- Sindaco – Ordinanze contingibili ed
urgenti – Presupposti – Presunta situazione
di pericolo per l'incolumità pubblica senza
l'indicazione di specifici atti istruttori o
scientifici a sostegno – Inammissibilità -
Sussiste – Articolo 54 comma 2, d.lgs.
numero 267 del 2000 - Ratio.
1-
L’interesse a ricorrere va accertato,
relativamente ad atti inerenti ad
insediamenti aventi natura di opere con
rilievo urbanistico o comunque di opere di
urbanizzazione (articolo 90 decreto
legislativo 259/2003; TAR Sicilia Palermo,
Sezione II, 07.03.2008, numero 310)
conformemente ai principi generali in
materia di impugnazione di atti edilizi o
urbanistici, e dunque in relazione ai soli
proprietari che sono radicati in un rapporto
di prossimità con l’oggetto dei
provvedimenti amministrativi (TAR Puglia
Lecce, Sezione III, 18.08.2008, numero 2394;
TAR Campania Napoli, Sezione IV, 07.05.2008,
numero 3550), rapporto da comprovarsi in
giudizio a pena di inammissibilità
dell’azione (CGARS, Sezione Giurisdizionale,
06.03.2008, numero 144; TAR Veneto, Sezione
II, 22.10.2008, numero 3262; TAR Catania,
Sezione I, 229/2008 dell’08.02.2008 e numeri
1381/2007 del 23.08.2007, 2373/2006 del
27.09.2006).
In proposito, vale quanto affermato secondo
l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui
a norma dell’art. 2697 codice civile
chiunque chiede l’attuazione della volontà
della legge in relazione ad un diritto che
faccia valere in via di azione o di
eccezione deve provare il fatto giuridico da
cui fa discendere il preteso diritto, e
quindi tutti gli elementi o requisiti per
legge necessari alla nascita dello stesso,
che costituiscono le condizioni positive
della pretesa, mentre non ha l’onere di
provare le condizioni negative, cioè delle
condizioni idonee ad impedire la nascita o
il perdurare del vantato diritto, tale prova
essendo a carico del soggetto passivo della
pretesa, interessato a dimostrare che il
rapporto dedotto in giudizio in realtà non è
sorto, ovvero, pur essendosi validamente
costituito, si è poi estinto (Cassazione
Civile 30.10.1981, numero 5746; 09.04.1975,
numero 1304; 20.12.1971, numero 3696; TAR
Sicilia-Catania, Sezione, 229/2008
dell’08.02.2008; numeri 1381/2007 del
23.08.2007, 2373/2006 del 27.09.2006,
08.07.2008, numeri 1376, 1381, 1382).
2-
Nel caso di ordinanze sindacali motivate con
riferimento alle "fortissime tensioni o
proteste" (a seguito di manifestazioni e
nota di protesta di cittadini) nonché con
riferimento alla esigenza di "stabilire
univocamente l'assenza di specifici effetti
dannosi per la salute umana evitando
connesse situazioni di pericolosità", le
quali non sono sufficienti ad assumere di
per se sole il valore di una minaccia alla
sicurezza pubblica, è da ritenersi
necessario un approfondito esame istruttorio
affidato a riscontri scientifici e non a
timori generali (TAR Sicilia-Catania,
Sezione II, 13.03.2006, numero 400; TAR
Sardegna, Sezione II, 340/2008).
3-
L'esercizio del potere sindacale di emanare
ordinanze contingibili e urgenti ex articolo
54, comma 2, decreto legislativo numero 267
del 2000, non può prescindere dalla
ricorrenza di un pericolo concreto di danno
grave ed imminente per l'incolumità
pubblica, che richieda interventi non
dilazionabili, ed al quale non possa
provvedersi con mezzi ordinari, il cui
accertamento deve essere provato attraverso
un'attività istruttoria finalizzata
all'accertamento della situazione di grave
pericolo, concreto ed attuale, per il bene
protetto dell'incolumità dei cittadini;
pertanto, è inammissibile l'ordinanza
sindacale volta alla sospensione di lavori
(nel caso di specie: istallazione di una
stazione radio base per telefonia) motivata
in base ad una presunta situazione di
pericolo per l'incolumità pubblica senza
l'indicazione di specifici atti istruttori o
scientifici a sostegno (TAR
Calabria-Catanzaro, Sezione II, 09.10.2006,
numero 1128; TAR Veneto, Sezione III,
27.12.2007, numero 4107; TAR Lazio-Roma,
Sezione II, 28.11.2007, numero 11913;
Consiglio di Stato, 1128/1198; CGARS
39/1997; TAR Sicilia-Catania, Sezione III,
159/2001).
In questo senso, i provvedimenti
contingibili e urgenti possono essere
emanati non solo per rimediare ai danni che
si sono già prodotti, ma anche per evitare
che determinati pregiudizi si verifichino,
in base però ad una valutazione
probabilistica caratterizzata da un certo
grado di consistenza e fondata su cognizioni
tecnico-scientifiche attendibili (TAR
Veneto, Sezione III, 28.11.2001, numero
4131). Si presuppone, inoltre, la necessità
di provvedere, con immediatezza, in ordine a
situazioni di natura eccezionale ed
imprevedibile, cui sia impossibile far
fronte con gli strumenti ordinari apprestati
dall'ordinamento e occorre l'esistenza,
oltre che la sua puntuale indicazione nel
provvedimento impugnato, di una situazione
di pericolo, quale ragionevole probabilità
che accada un evento dannoso, nel caso in
cui l'Amministrazione non intervenga
prontamente (TAR Sicilia Catania, sez. II,
13.03.2006 , n. 400; cfr. anche Consiglio
Stato, sez. V, 02.04.2003, n. 1678; TAR
Marche Ancona, sez. I, 14.12.2006, n. 1526).
Quanto all’evento dannoso, il Collegio deve
precisare che è censurabile l’uso del potere
contingibile ed urgente del Sindaco per
sospendere una attività qualificata come di
interesse pubblico ai sensi dell’art. 90 del
decreto legislativo 259/2003 al dichiarato
fine di voler prevenire comportamenti “incontrollati”
da parte di cittadini e senza gli ulteriori
e necessari supporti istruttori che la
giurisprudenza richiede ai fini della
dimostrazione in senso scientifico della
sussistenza di un pericolo per la salute,
perché ciò finisce, in pratica, con il
legittimare discutibili prassi diffuse e
corrispondenti atteggiamenti del tutto
ingiustificati ed inammissibili
nell’Ordinamento e secondo le regole
dell’ordinata convivenza civile: a questi
ultimi, laddove si dovessero verificare, si
dovrà fare fronte con gli ordinari strumenti
di tutela dell’Ordine pubblico a cura delle
Autorità preposte e dunque, se necessario,
con intervento della forza pubblica.
In altri termini, le ragioni di tutela
dell’ordine pubblico consentono il ricorso
all’ordinanza contingibile ed urgente solo
laddove coniugate a ragioni di emergenza
sanitaria scientificamente comprovate (TAR
Calabria-Reggio Calabra, Sez. I,
sentenza 30.07.2009 n. 510 - link
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EDILIZIA PRIVATA: Compete
alla giunta municipale l'emanazione dei
provvedimenti di classificazione delle
industrie insalubri.
Ai sensi degli art. 102 e 103, comma 1, del
R.D. 03.02.1901 n. 45, compete alla giunta
municipale l'emanazione dei provvedimenti di
classificazione delle industrie insalubri,
sulla base dell'elenco approvato dal
Ministero della sanità, e ciò anche dopo
l'entrata in vigore degli art. 216 e 217 t.
u. 27.07.1934 n. 1265, che hanno attribuito
al sindaco il potere di adottare i concreti
atti intesi ad eliminare situazioni di
rischio o di pericolo per la salute pubblica
derivanti da tali lavorazioni e anche dopo
la legge di riforma sanitaria 23.12.1978 n.
833 (cfr., fra le tante, TAR Lombardia, sez.
I, 24.11.1999, n. 3921; TAR Lombardia, sez.
Brescia, 30.05.1994, n. 289; TAR Lombardia,
sez. Brescia, 09.09.1991 n. 595, TAR Friuli
Venezia Giulia 21.10.1982 n. 235) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 29.07.2009 n. 4539 -
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EDILIZIA PRIVATA:
L'annullamento in autotutela di
una concessione edilizia rilasciata in
violazione delle distanze minime tra
fabbricati non necessita di specifica
motivazione né dell'espressa comparazione
tra l'interesse pubblico all'annullamento e
quello del privato alla conservazione
dell'atto illegittimo, essendo le norme
sulla distanza tra fabbricati inderogabili,
con la conseguenza che l'attività posta in
essere dal comune è vincolata.
Sul piano sostanziale deve respingersi la
tesi per cui la violazione delle distanze
civilistiche non avrebbe potuto determinare
la revoca del permesso di costruire; la
giurisprudenza amministrativa è, infatti,
costante nel ritenere tali violazioni non
solo rilevanti sul piano amministrativo
oltre che civilistico (cfr. TAR Napoli
Campania sez. II 03.12.2008, n. 20804), ma
persino vincolanti nell’imporre un giudizio
di illegittimità dell’opera.
In tal senso, si afferma che «l'annullamento
in autotutela di una concessione edilizia
rilasciata in violazione delle distanze
minime tra fabbricati non necessita di
specifica motivazione né dell'espressa
comparazione tra l'interesse pubblico
all'annullamento e quello del privato alla
conservazione dell'atto illegittimo, essendo
le norme sulla distanza tra fabbricati
inderogabili, con la conseguenza che
l'attività posta in essere dal comune è
vincolata» (Consiglio Stato, sez. IV
26.05.2006, n. 3201).
Il mancato interpello dei medesimi organi
(nella specie la Commissione Edilizia)
intervenuti nel procedimento di rilascio del
titolo, infatti, non vizia l’atto impugnato
proprio per la vincolatezza dello stesso,
dipendente dalla diretta applicazione di
norme di legge. In tal caso, infatti, la
valutazione da compiersi ad opera
dell’Amministrazione è di carattere solo
giuridico e, conseguentemente, la richiesta
di un parere a un organo tecnico, qual è la
Commissione edilizia, è atto ultroneo la cui
mancanza non può inficiare la legittimità
del provvedimento (per l’affermazione del
principio in tema di atti vincolati in
materia edilizia, cfr. ex multis, TAR
Campania Napoli, sez. III, 05.06.2008, n.
5255, TAR Campania Salerno, sez. II,
24.10.2005, n. 1967, TAR Puglia Lecce, sez.
I, 14.05.2004 , n. 2915).
Quanto alla mancata comunicazione di avvio
del procedimento, pur se all’epoca dei fatti
non era ancora stato introdotto l’art.
21-octies L. 241/1990, va detto che la norma
non ha fatto altro che codificare un
orientamento, già emerso in giurisprudenza e
condiviso da questo Collegio, secondo cui «la
comunicazione dell'avvio del procedimento è
superflua nel caso in cui l'adozione del
provvedimento finale è doverosa e vincolata,
ovvero quando i presupposti fattuali
risultano assolutamente incontestati dalle
parti, quando il quadro normativo non
presenta margini di incertezza
sufficientemente apprezzabili, oppure se
l'eventuale annullamento del provvedimento
per accertata violazione dell'obbligo
formale di comunicazione non priva
l'amministrazione del potere o addirittura
del dovere di adottare un nuovo
provvedimento di identico contenuto»
(cfr., tra le altre, Consiglio Stato, sez.
V, 04.05.2005 , n. 2142). Deve, pertanto,
ritenersi infondata la relativa censura.
Da ultimo, va decisamente respinta
l’argomentazione ex art. 11 L. 47/1985. La
norma, infatti, stabilisce chiaramente che
l’ipotesi normale, in caso di annullamento
della «concessione» edilizia è la
riduzione in pristino che può essere
surrogata da una sanzione pecuniaria solo in
caso in cui la rimessione in pristino o la
rinnovazione del procedimento amministrativo
non siano possibili («in caso di
annullamento della concessione, qualora non
sia possibile la rimozione dei vizi delle
procedure amministrative o la restituzione
in pristino, il sindaco applica una sanzione
pecuniaria pari al valore venale delle opere
o loro parti abusivamente eseguite, valutato
dall'ufficio tecnico erariale…»).
Esclusa la ricorrenza della fattispecie
relativa ai vizi procedimentali, in quanto
l’atto impugnato è motivato
dall’illegittimità sostanziale del titolo
edilizio annullato, deve dirsi, in
proposito, che non è emersa, nel caso di
specie, la impossibilità tecnica della
rimessione in pristino, unico caso in cui la
disposizione citata consente di applicare la
sola sanzione pecuniaria (cfr. Consiglio
Stato, sez. V, 20.03.2007, n. 1325) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 29.07.2009 n. 4471 -
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EDILIZIA PRIVATA: Sul
momento di decorrenza per impugnare una
concessione edilizia.
Ai fini della decorrenza del termine per
l'impugnazione delle concessioni edilizie
non è sufficiente la semplice notizia del
rilascio dell'atto o la vaga cognizione del
suo contenuto, in quanto occorre la
conoscenza dei suoi elementi essenziali; in
tal senso, pertanto, soltanto il
completamento della costruzione può far
presumere la piena conoscenza dell'atto
lesivo, non certamente la pubblicità del
fatto attuata mediante l'apposizione nel
cantiere di un cartello indicante gli
estremi del titolo edilizio, ovvero l'inizio
o lo svolgimento dei lavori di costruzione
(Consiglio Stato , sez. IV, 19.06.2006, n.
3614).
Tuttavia deve ritenersi che l'individuazione
della data in cui i terzi hanno avuto piena
conoscenza dell'esistenza delle violazioni
della disciplina urbanistica da parte di una
concessione edilizia, da cui decorre il
termine per l'impugnazione della concessione
rilasciata a terzi, è oggetto di un
accertamento di fatto da compiersi caso per
caso, per cui può ben ammettersi che la data
della piena conoscenza risalga ad un momento
anteriore a quello dell'ultimazione dei
lavori, ogniqualvolta emerga, dalle
circostanze del caso di specie, una
conoscenza anticipata come nel caso in cui
gli elementi essenziali dell'intervento
siano conosciuti dall'interessato per essere
indicati nel cartello del cantiere, situato
di fronte alla sua proprietà, che avrebbero
consentito di intravedere la lesione del suo
interesse.
Sebbene non si disconosca l’esistenza di un
precedente nei termini secondo cui “il "dies
a quo" per la decorrenza del termine di
impugnazione della concessione edilizia da
parte dei proprietari finitimi decorre, al
più, dalla data di ultimazione dei lavori,
ossia dal momento in cui il
controinteressato può percepire la lesività
dell'opera realizzata anche nel caso di
attivazione degli impianti di distribuzione
dei carburanti , qualora il profilo
principale per il quale viene contesta la
legittimità degli atti impugnati sia il
mancato rispetto delle distanze minime alle
quali l'impianto realizzato avrebbe dovuto
essere collocato, sia rispetto ad altro
impianto, sia rispetto alla strada”
(cfr. nei termini TAR Puglia Lecce, sez. II,
03.08.2005, n. 3934), tuttavia, si ritiene
che, trattandosi della realizzazione di un
impianto di distribuzione di carburanti sito
ad una distanza inferiore rispetto a quella
minima di legge, la lesività fosse
immediatamente percepibile per la società
ricorrente sin dal momento di affissione del
cartello di cantiere e di inizio dei
relativi lavori di realizzazione.
Il cartello di cantiere apposto dal
controinteressato, sebbene non riportante in
modo specifico il progetto dell’impianto di
distribuzione del carburante, tuttavia,
recava nella parte relativa alla indicazione
dei lavori, in modo testuale, “costruzione
impianto distribuzione carburante”; ne
consegue che la società ricorrente era stata
messa nelle condizioni di avere piena
contezza della immediata realizzazione del
detto impianto, cui pertanto si riferivano i
lavori avviati in loco, che, per ciò stesso,
ledeva i propri interessi commerciali (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 27.07.2009 n. 7595 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
45, d.lgs. 11.05.1999 n. 152, va
interpretato nel senso che anche lo scarico
di acque reflue domestiche necessita di
autorizzazione.
La ricorrente deduce l’assimilazione, ai
sensi dell’art. 27, co. 7, lett. d), del
D.Lgs. n. 152/1999 degli scarichi reflui del
locale commerciale di cui trattasi con gli
scarichi reflui domestici, che, ai sensi,
del combinato disposto degli art. 33, co. 2,
e 45, co. 4, del medesimo D.lgs. non
necessiterebbero di alcuna autorizzazione
preventiva.
In sostanza non nega di non essere in
possesso dell’autorizzazione di cui all’art.
45 del D.Lgs. n. 152/1999, ma sostiene di
non averne bisogno, in considerazione
dell’assimilazione di detti scarichi agli
scarichi domestici.
Indipendentemente dalla questione attinente
alla effettiva e possibile assimilazione di
cui sopra, comunque, giova rilevare come la
detta prospettazione non meriti di essere
condivisa nel suo presupposto essenziale
dato dalla non necessità dell’autorizzazione
di cui all’art. 45 per gli scarichi
domestici.
Ed infatti- premesso che il richiamato art.
28, co. 7, lett. e), del d.lgs. n. 152/1999,
dispone testualmente che “7. Salvo quanto
previsto dall'articolo 38, ai fini della
disciplina degli scarichi e delle
autorizzazioni, sono assimilate alle acque
reflue domestiche le acque reflue: … e)
aventi caratteristiche qualitative
equivalenti a quelle domestiche e indicate
dalla normativa regionale”-, l’art. 33,
rubricato “Scarichi in reti fognarie”,
dispone, come sostituito dall'art. 13,
d.lgs. 18.08.2000 n. 258, al co. 2, che “2.
Gli scarichi di acque reflue domestiche che
recapitano in reti fognarie sono sempre
ammessi purché osservino i regolamenti
emanati dal gestore del servizio idrico
integrato”; a sua volta il successivo
art. 45, rubricato “criteri generali”,
dispone che “1. Tutti gli scarichi devono
essere preventivamente autorizzati. … 4. In
deroga al comma 1 gli scarichi di acque
reflue domestiche in reti fognarie sono
sempre ammessi nell'osservanza dei
regolamenti fissati dal gestore del servizio
idrico integrato”; infine, l’art. 54,
rubricato “Sanzioni amministrative”,
dispone, al co. 2, che “2. Chiunque apre
o comunque effettua scarichi di acque reflue
domestiche o di reti fognarie, servite o
meno da impianti pubblici di depurazione,
senza l'autorizzazione di cui all'articolo
45, … è punito con la sanzione
amministrativa … “.
Dal combinato disposto delle norme
richiamate è dato evincere il principio
secondo cui “le norme in esame non
possono essere interpretate nel senso che
per gli scarichi di acque reflue domestiche
in reti fognarie non è necessaria la
preventiva autorizzazione dovendosi, invece,
ritenere che il rilascio della stessa
costituisca un atto vincolato al riscontro
del rispetto dei regolamenti fissati dal
gestore del servizio idrico integrato, la
cui osservanza, altrimenti, sarebbe
inammissibilmente rimessa all'iniziativa
spontanea dell'interessato; tra l'altro, la
necessità dell'autorizzazione anche in tale
ipotesi emerge dall'art. 54, comma 2, d.lgs.
n. 152 del 1999, che sanziona lo scarico di
acque reflue domestiche in assenza di
autorizzazione senza alcuna distinzione tra
le varie fattispecie” (cfr. da ultimo
TAR Campania Napoli, sez. V, 03.04.2006 , n.
3314).
Ne consegue che “L'art. 45, d.lgs.
11.05.1999 n. 152 va interpretato nel senso
che anche lo scarico di acque reflue
domestiche necessita di autorizzazione“
(cfr. nei termini TAR Lazio-Latina,
06.05.2003, n. 437).
Ed infatti il precedente comma terzo
(dell’art. 45 del D.Lgs. n. 152/1999)
prevede che il regime autorizzatorio degli
scarichi di acque reflue domestiche ... è
definito dalle regioni ...
Essendo previsto che la Regione debba
interessarsi del regime autorizzatorio di
tali scarichi, il quarto comma non può,
evidentemente, avere il significato di
escludere in assoluto dalla necessità
dell'autorizzazione negli scarichi di acque
reflue domestiche in reti fognarie.
Esclusione che si presenterebbe non
accettabile osservando, altresì, che, giusta
il successivo comma settimo, ultima parte,
la Regione può prevedere forme di rinnovo
tacito dell'autorizzazione con riferimento a
talune tipologie di scarichi di acque reflue
domestiche; autorizzazione che, può
ragionevolmente osservarsi, se può essere
tacita, significa che comunque necessita,
pur se in forma non espressa.
A completamento, va anche osservato che
l'inciso di cui alla predetta ultima parte
del comma settimo, inciso consistente nella
frase ove soggetti (gli scarichi di acque
reflue domestiche) ad autorizzazione -l'intera
ultima parte è la seguente: La disciplina
regionale di cui al comma 3 può prevedere
per specifiche tipologie di scarichi di
acque reflue domestiche, ove soggetti ad
autorizzazione, forme di rinnovo tacito
della medesima- si riferisce, per richiamo
testuale, a quanto previsto dal precedente
comma terzo in tema di regime autorizzatorio
da parte della Regione, regime che,
eventualmente, potrebbe prevedere anche
l'esclusione dell'atto di autorizzazione per
talune tipologie di scarichi.
Non potrebbe quindi tale inciso essere
addotto a dimostrazione della esclusione in
assoluto dalla necessità dell'autorizzazione
per gli scarichi in questione.
Ciò precisato, va ritenuto che il quarto
comma, a cui si riferiscono i ricorrenti,
nel prevedere la deroga al primo comma, non
esclude la necessità dell'autorizzazione per
gli scarichi di acque reflue domestiche in
pubbliche fognature, ma, prevedendo che tali
scarichi sono sempre ammessi (e non
prevedendo, eventualmente, che tali scarichi
non necessitano di autorizzazione), fissa il
principio in base al quale, ove vengano
osservati i particolari regolamenti
previsti, l'autorizzazione non può essere
negata per quelle (ulteriori) ragioni che,
invece, potrebbero essere opposte per negare
l'autorizzazione a scarichi diversi; con ciò
privilegiandosi le abitazioni.
Del resto, il concetto di ammissione,
utilizzato dalla norma, implica, secondo i
princìpi, l'adozione di un atto
amministrativo che consente al suo
destinatario, per quanto qui occorre, di
esplicare una certa attività (nel caso, di
effettuare lo scarico in argomento).
Che poi anche per le abitazioni necessiti
l'autorizzazione, resta confermato
osservandosi anche che, in base al
successivo art. 54, secondo comma, dello
stesso Dlvo n. 152 del 1999, è prevista una
sanzione amministrativa per chiunque apre o
comunque effettua scarichi di acque reflue
domestiche ... senza l'autorizzazione di cui
all'art.45, ovvero continui ad effettuare o
mantenere detti scarichi dopo che
l'autorizzazione sia stata sospesa o
revocata; sanzione, è da notare, prevista in
via generale per tutti i tipi di scarichi di
acque reflue domestiche.
Ulteriore argomentazione a favore della
necessità dell'autorizzazione può desumersi
dall'art. 62 del Dlvo n. 152 del 1999 in
questione, articolo che, contenendo norme
transitorie e finali, prevede, al comma 11,
che, fatte salve specifiche (diverse)
disposizioni, i titolari degli scarichi
esistenti devono adeguarsi alla nuova
disciplina entro tre anni, termine questo
valido anche nel caso di scarichi per i
quali l'obbligo di autorizzazione preventiva
è stato introdotto dallo stesso D.lvo; con
precisazione che i titolari degli scarichi
già autorizzati devono richiedere
l'autorizzazione di cui al medesimo D.lvo
allo scadere dell'autorizzazione in essere,
ma comunque non oltre 4 anni.
Detto comma 11 non distingue fra le diverse
tipologie di scarico, né, eventualmente, si
riferisce (soltanto) a quegli scarichi
assoggettati alla nuova disciplina,
implicitamente escludendone alcuni; ma
concerne tutti gli scarichi (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-ter,
sentenza 27.07.2009 n. 7581 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione Paesaggistica -
Legittimità - Verifica della p.A. -
Procedimento - Natura - Conseguenze.
Il procedimento statale di verifica della
legittimità dell'autorizzazione
paesaggistica comunale, secondo quanto
stabilito dall'art. 159, D.Lgs. n. 42/2004,
è un procedimento che viene attivato
d'ufficio da parte dell'Amministrazione che
ha rilasciato l'autorizzazione, con
l'immediata trasmissione degli atti alla
Soprintendenza -trasmissione di cui il
privato viene contestualmente avvisato ai
sensi dell'art. 159, D.Lgs. n. 42/2004- alla
stregua di un sub-procedimento del tutto
indipendente da quello avviato dal privato
di fronte all'Amministrazione locale (Cfr.
TAR Campania Napoli, sez. IV, 18.05.2009 n.
2667; TAR Sardegna, sez. II, 10.03.2008 n.
387; TAR Campania Salerno, sez. II,
26.09.2007 n. 1918; TAR Puglia Lecce, sez.
I, 07.06.2006 n. 3288) (TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 27.07.2009 n. 1904 -
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Abusi - Demolizione -
Commissione edilizia integrata - Parere -
Necessarietà - Non sussiste - Ragioni -
Conseguenze.
2. Abusi - Demolizione - Provvedimento di
demolizione - Natura - Effetti.
3. Attività edilizia - Vincolo di
inedificabilità - Interpretazione ex art.
27, D.P.R. n. 380/2001.
1.
In sede di emanazione di ordinanza di
demolizione di opere edilizie abusive su
area vincolata non è necessario acquisire il
parere della Commissione Edilizia Integrata,
dal momento che l'ordine di ripristino
discende direttamente dall'applicazione
della disciplina edilizia vigente (art. 27,
T.U. edilizia) e non costituisce affatto
irrogazione di sanzioni discendenti dalla
violazione di disposizioni a tutela del
paesaggio (ex D.Lgs. n. 490/1999, ora
trasfuso nel D.Lgs. n. 42/2004), con il
corollario che il potere di disporre la
demolizione di opere abusive rientra nei
poteri sanzionatori in materia edilizia di
competenza del comune, in proprio e non già
quale autorità delegata (TAR Campania
Napoli, sez. VI, 27.03.2007 n. 2885).
2.
La natura interamente vincolata del
provvedimento di demolizione di opere
eseguite in difetto di titolo abilitativo
esclude la necessaria ponderazione di
interessi diversi da quelli pubblici
tutelati e non richiede motivazione
ulteriore rispetto alla dichiarata abusività
(Cfr., da ultimo TAR Lombardia Milano, sez.
II, 19.02.2009 n. 1318).
3.
La nozione di "vincolo di inedificabilità",
di cui all'art. 27, D.P.R. n. 380/2001, va
intesa come comprensiva non solo dell'inedificabilità
assoluta, ma anche di quella relativa (Cfr.
ex multis TAR Campania Napoli, sez.
VII, 21.04.2009 n. 2084) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 23.07.2009 n. 4323 -
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APPALTI:
Non sussiste la necessità di
indicare le condanne ormai estinte in sede
di dichiarazioni ex art. 38, lett. c), del
D.Lgs. 163/2006.
L'art. 38, lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006,
nel prescrivere l'obbligo di esclusione
dalle gare per i soggetti condannati con
sentenze passate in giudicato per reati di
partecipazione a un'organizzazione
criminale, corruzione, frode, riciclaggio,
quali definiti dagli atti comunitari
all'art. 45, par. 1, direttiva CE 2004/18,
fa comunque salva l'applicazione dell'art.
178 c.p. e dell'art. 445, c. 2, del c.p.p..
La scelta legislativa, dunque, è nel senso
di ritenere irrilevanti le condanne ormai
estinte, con conseguente non necessità della
loro indicazione in sede di dichiarazioni ex
art. 38 lett. c) del D.Lgs. 163/2006. Ne
consegue che, nel caso di specie, il
provvedimento di revoca dell'aggiudicazione
è illegittimo, e debba essere pertanto
annullato. essendo ormai le condanne estinte
ex art. 445 c. 2 c.p.p., ed avendo il
legislatore stesso ritenuto i reati estinti
non ostativi alla stipulazione di contratti
con la P.A..
La stazione appaltante, in assenza di una
qualunque altra clausola del bando diretta a
prevedere la dichiarazione anche per detti
reati, infatti, non disponeva di alcun
margine di discrezionalità sulla ricorrenza
dei requisiti di moralità in capo al legale
rappresentante della società: pertanto,
l'omessa dichiarazione su dette condanne non
assume alcun rilievo e non può costituire
motivo per disporre la revoca
dell'aggiudicazione (TAR Lazio, Sez.
II-quater,
sentenza 22.07.2009 n. 7483 -
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Abusi - Sanatoria -
Presupposti necessari - Valutazione
dell'impatto ambientale - Profili -
Conseguenze.
2. Abusi - In zona sottoposta a vincolo -
Chiosco in legno rimodulato in cemento
armato - Diniego condono - Legittimità.
1.
La precarietà di un manufatto, ai fini della
sua definizione come agevolmente rimovibile,
dipende non già dal suo sistema
d'ancoraggio, ma della sua idoneità a
determinare una stabile e continuativa
trasformazione del territorio; il detto
carattere va dunque escluso quando trattasi
di strutture destinate a dare un'utilità
prolungata nel tempo (Cons. Stato, sez. V,
30.10.2000 n. 5828). Ciò in quanto quel che
rileva è l'impatto dello stesso sul
territorio (Cons. Stato, sez. V, 12.11.1996
n. 1317).
Pertanto è legittimo il parere di non
compatibilità motivato col rilievo che il
manufatto abusivamente realizzato, consiste
in una struttura fissa in pannelli di
cemento armato anziché in legno smontabile,
conferendo tali caratteristiche costruttive
quelle connotazioni che si erano volute
evitare fin dal momento del rilascio del
titolo autorizzatorio.
2.
E' legittimo il diniego di sanatoria della
ricostruzione di un chiosco, in precedenza
autorizzato in legno, rimodulato con
pannelli in cemento armato, laddove insista
in zona vincolata paesaggistica, se con la
ristrutturazione assume proprio quelle
connotazioni che si erano volute evitare fin
dal momento del rilascio del titolo
autorizzatorio che consentiva solo la
costruzione di un chiosco-bar in legno
smontabile (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 22.07.2009 n. 1373 -
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EDILIZIA PRIVATA:
L'ordinanza di sospensione dei
lavori abusivi diviene inefficace dopo la
scadenza del termine di 45 gg..
L’atto di sospensione dei lavori previsto
dall’art. 4 l. n. 47/1985 (oggi dall’art.
27, comma 3, TU edilizia) è un provvedimento
cautelare, prodromico e strumentale
all’applicazione di misure sanzionatorie
dirette al ripristino dell’equilibrio
urbanistico violato, come tale del tutto
inefficace dopo la scadenza del termine di
45 giorni (ex multis TAR
Calabria-Catanzaro, sez. II, 20.01.2009, n.
51) (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 10.07.2009 n. 1807 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Vizi - Eccesso di potere in
generale - Contraddittorietà - Sussistenza e
non - Casi - Ragioni.
2. Vizi - Eccesso di potere in generale -
Contraddittorietà - Insussistenza.
3. Preavviso di rigetto - Obbligo di
comunicazione - Violazione - Sindacato del
G.A. - Profili.
1.
Qualora ci si riferisca all'ipotesi della
contraddittorietà tra gli atti del
procedimento, tale figura sintomatica
dell'eccesso di potere, si può rinvenire
solo allorquando sussista tra più atti
successivi di un medesimo procedimento un
contrasto inconciliabile tale da far
dubitare su quale sia l'effettiva volontà
dell'Amministrazione; non sussiste invece
tra atti di distinti ed autonomi
procedimenti, in particolare se adottati da
autorità diverse, quando si tratti di
provvedimento che, pur riguardanti lo stesso
oggetto, siano adottati all'esito di
procedimenti indipendenti e ad intervalli di
tempo l'uno dall'altro (TAR Lazio Roma, sez.
III, 01.04.2009 n. 3497).
2.
Il vizio di eccesso di potere per
contraddittorietà non può mai essere dedotto
utilizzando come "tertium comparationis"
atti illegittimi (TAR Liguria Genova, sez.
I, 11.12.2007 n. 2053; cfr. Cons. Stato.,
sez. VI, 02.03.2001 n. 1205).
3.
L'art. 10-bis, L. n. 241/1990, che prescrive
l'obbligo di comunicare il preavviso di
rigetto, deve essere interpretato alla luce
del successivo art. 21-octies della stessa
L. n. 241/1990, secondo cui, laddove il
ricorrente sollevi determinati vizi di
natura formale, è imposto al giudice di
valutare il contenuto sostanziale del
provvedimento, e quindi non annullare l'atto
nel caso in cui la violazione formale non
abbia inciso sulla legittimità sostanziale
del provvedimento impugnato (Cons. Stato,
sez. III, 27.01.2009 n. 7) (TAR Sardegna,
Sez. II,
sentenza 10.07.2009 n. 1273 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Conferenza di servizi -
Convocazione - Reiterata assenza -
Soprintendenza - Non necessaria -
Fattispecie.
La conferenza di servizi convocata a istanza
di parte al fine di acquisire (non tanto un
assenso, quanto piuttosto) la comune
elaborazione di un'ipotesi o progetto di PdL
non sembra lo strumento più adatto a
conseguire l'accordo con la Soprintendenza,
parendo più acconcia, all'uopo, una
richiesta rivolta a quest'ultimo organo
avente lo specifico oggetto di concertare (o
elaborare congiuntamente) un progetto,
ovvero concernente la richiesta di
esprimersi su un'ipotesi di progetto già
elaborato.
In tale ottica, la conferenza di servizi può
apparire, anzi, una inutile complicazione
(per la presenza di soggetti altri,
portatori di interessi e punti di vista
estranei o divergenti), laddove la
disposizione invocata dal Comune richiede
l'accordo soltanto con la Soprintendenza (nel
caso di specie, la ricorrente nell'intento
di cercare la concertazione con la
Soprintendenza, chiedeva al Comune la
convocazione di una conferenza di servizi
con la stessa, ai sensi dell'art. 14, L. n.
241/1990. Dopo la notifica di una diffida,
l'amministrazione comunale convocava la
conferenza, ma la Soprintendenza non vi
interveniva, giustificandosi con il mancato
ricevimento della necessaria documentazione.
Seguiva, quindi, una seconda convocazione ma
nemmeno stavolta il rappresentante di tale
organo presenziava. La ricorrente quindi,
diffidava ancora una volta il Comune a
convocare una ulteriore conferenza, ma
inutilmente) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 09.07.2009 n. 2133 -
link a
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EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di pertinenza in senso urbanistico
ed edilizio è più ristretto della nozione
civilistica.
Il concetto di pertinenza in senso
urbanistico ed edilizio è più ristretto
della nozione civilistica, posto che il
primo richiede, che il manufatto sia non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza
dell’edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio ma anche che sia
sfornito di un autonomo valore di mercato e
dotato, comunque, di un volume modesto
rispetto all’edificio principale, in modo da
evitare in cosiddetto carico urbanistico
(cfr., ex multis, Cons. St., sez. V,
22.10.2007, n. 5515; Cons. St., sez. V,
11.11.2004, n. 7324; Cons. St. sez. IV,
12.03.2007, n. 1219; Tar Basilicata–Potenza,
29.11.2008, n. 915; Tar Campania-Napoli,
sez. IV, 16.09.2008, 10138; Tar Piemonte,
sez. I, 13.06.2008, n. 1368)
(TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 09.07.2009 n. 2131 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Solo
con l’art. 2 della legge 16.06.1998 n. 191
può dirsi avvenuto il trasferimento, dal
sindaco ai responsabili dei servizi (non
dirigenti) dallo stesso nominati ed ai
dirigenti, della competenza specifica ad
adottare i provvedimenti di sospensione dei
lavori, abbattimento e riduzione in pristino
nonché ad esercitare i poteri di vigilanza
edilizia e di irrogazione di sanzioni
amministrative previste in materia di
prevenzione e repressione dell’abusivismo
edilizio e in materia
paesaggistico-ambientale.
E’ noto a
questo Collegio il dibattito sviluppatosi
sul tema dell’individuazione del momento che
ha segnato il passaggio dal sindaco ai
responsabili dei servizi (non dirigenti)
dallo stesso nominati ed ai dirigenti della
competenza specifica ad adottare i
provvedimenti di sospensione dei lavori,
abbattimento e riduzione in pristino nonché
ad esercitare i poteri di vigilanza edilizia
e di irrogazione di sanzioni amministrative
previste in materia di prevenzione e
repressione dell’abusivismo edilizio e in
materia paesaggistico-ambientale.
Il Collegio non ritiene di discostarsi
dall’orientamento secondo il quale solo con
l’art. 2 della legge 16.06.1998 n. 191 può
dirsi avvenuto tale trasferimento di
competenza (cfr., Tar Lazio–Latina, Sezione
I, 05.06.2007, n. 412; Tar
Calabria-Catanzaro, Sezione II, 14.07.2008,
n. 1061; Cons. St., sez. II, 26.04.2002, n.
2560/2001) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 09.07.2009 n. 2131 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
1. Responsabilità - Civile -
Arricchimento senza causa - Insussistenza -
Casi - Ragioni.
2. Stipendi, assegni ed indennità - Calcolo
- Lavoro straordinario - Difetto di
autorizzazione - Conseguenze - Ragioni.
1.
L'azione generale di arricchimento ha come
presupposto che la locupletazione di un
soggetto a danno dell'altro sia avvenuta
senza giusta causa, per cui, quando questa
sia invece la conseguenza di un contratto o
comunque di un altro rapporto, non può dirsi
che la causa manchi o sia ingiusta, almeno
fino a quando il contratto o altro rapporto
conservino efficacia obbligatoria (Cfr.
Cass. Civ., SS.UU., 07.02.2007 n. 2700).
2.
Qualora il dipendente pubblico, sebbene in
difetto dell'autorizzazione, abbia prestato
lavoro straordinario dal quale sia derivata
una effettiva utilità per l'amministrazione,
tale lavoro va retribuito in forza dei
principi in tema di ingiustificato
arricchimento (Cfr. Cons. Stato, sez. IV,
17.12.1998 n. 1813) (TAR Calabria-Reggio
Calabria,
sentenza 01.07.2009 n. 457 - link
a
http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
caso di abuso edilizio da sanare (e non da
demolire) la comunicazione al soggetto
interessato della valutazione dell’Agenzia
del Territorio si atteggia ad atto
endoprocedimentale od istruttorio sprovvisto
di autonoma lesività rispetto all’atto
terminale, recante la determinazione della
sanzione.
Il Collegio osserva che l’art. 38 del D.P.R.
n. 380/2001 (T.U. dell’edilizia) stabilisce
che: “in caso di annullamento del
permesso, qualora non sia possibile, in base
a motivata valutazione, la rimozione dei
vizi delle procedure amministrative o la
restituzione in pristino, il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale
applica una sanzione pecuniaria pari al
valore venale delle opere o loro parti
abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia
del territorio […..] La valutazione
dell’agenzia del territorio è notificata
all‘interessato dal dirigente o dal
responsabile dell’ufficio e diviene
definitiva decorsi i termini di impugnativa”.
Il procedimento, come si vede, è
peculiarmente caratterizzato da due momenti:
la notifica al soggetto interessato della
valutazione dell’Agenzia del Territorio e
l’applicazione della sanzione pecuniaria,
che costituisce il provvedimento conclusivo
del procedimento stesso.
La comunicazione al soggetto interessato
della valutazione dell’Agenzia del
Territorio si atteggia, pertanto, ad atto
endoprocedimentale od istruttorio (così
definito dal Cons. St., IV, n. 6849/2007),
sprovvisto di autonoma lesività rispetto
all’atto terminale, recante la
determinazione della sanzione.
Quest’ultimo, ossia l’atto conclusivo,
destinato ad applicare la valutazione in
parola, assume la veste di atto direttamente
ed immediatamente lesivo, che va impugnato,
facendo valere –se del caso– dei vizi
afferenti la valutazione stessa.
Questa conclusione è in linea con la
giurisprudenza che, in relazione alla
analoga formula usata dall’art. 15 della
legge n. 10 del 1977 (circa la valutazione
effettuata dall’U.T.E.) ha ritenuto che
questa valutazione “non è suscettibile di
autonoma impugnazione, ma deve essere
sottoposta al sindacato del giudice
amministrativo insieme al provvedimento con
cui la sanzione viene irrogata” (Cfr.
TAR Campania, III, n. 10539/2005).
In questo contesto argomentativo va detto
che non assume rilevanza il cenno, contenuto
nell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, al
fatto che: ”La valutazione dell’agenzia
del territorio è notificata all‘interessato
dal dirigente o dal responsabile
dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i
termini di impugnativa”.
Posto che la valutazione de qua
costituisce pacificamente un atto
endoprocedimentale sprovvisto di autonoma
lesività, e, quindi, non è impugnabile se
non con il provvedimento finale recante la
irrogazione della sanzione pecuniaria, il
cenno va letto nel senso che la valutazione
diventa definitiva dopo la decorrenza del
termine di impugnazione, per l’appunto, del
provvedimento finale
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 26.06.2009 n. 529 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L’amministrazione non ha
l’obbligo di comunicare al privato i
mutamenti di destinazione subiti dalla sua
area nel corso della procedura di
approvazione del piano.
I ricorrenti citano un lontano precedente
del TAR Milano del 1989, recentemente
replicato da TRGA Trento 191/2008, secondo
cui “allorquando l'Amministrazione
provvede a modificare il piano adottato,
accogliendo osservazioni che incidono sulla
proprietà di terzi, è tenuta a fornire
idonea comunicazione ai soggetti proprietari
dell'area incisa in maniera diretta dalla
modificazione, mediante ripubblicazione del
P.R.G. nella parte risultata modificata o a
darne quanto meno comunicazione agli
interessati, per consentire loro di
presentare memorie e osservazioni di merito;
pertanto, va annullata la deliberazione di
adozione definitiva della variante generale
al piano regolatore che stralcia la
destinazione alberghiera di un area in
accoglimento di osservazioni di soggetti
terzi, in assenza di previa pubblicazione
idonea ad assicurare agli interessati le
necessarie garanzie procedimentali”.
La giurisprudenza di queste isolate sentenze
non può, peraltro, essere condivisa. Essa,
infatti, introduce un ulteriore onere
formale a carico dell’amministrazione in
assenza di qualsiasi sostegno normativo.
In presenza di una norma di legge (l’art. 9
della l. urbanistica, e le corrispondenti
norme regionali di dettaglio) che si limita
a prevedere l’obbligo per l’autorità
comunale di dare informazione ai cittadini
attraverso la pubblicazione del progetto di
piano –se può essere condivisibile per
ragioni logiche l’approdo giurisprudenziale
secondo cui tale obbligo deve essere
ricavato in via interpretativa anche per le
ipotesi in cui nel corso della procedura di
approvazione il piano muti in modo
sostanziale (perché a quel punto il piano
pubblicato sarebbe “altro” dal piano
approvato)– non può, però, in alcun modo
essere ricavato dal sistema l’obbligo di
comunicare al privato i mutamenti di
destinazione subiti dalla sua area nel corso
della procedura di approvazione del piano,
posto che il piano resta sostanzialmente lo
stesso di quello già pubblicato, e che il
relativo onere di pubblicazione previsto
dalla legge è stato assolto. Introdurre
questo ulteriore adempimento a carico
dell’amministrazione si trasformerebbe,
infatti, in una operazione di creazione
pretoria di una norma non ammissibile nel
nostro ordinamento
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La destinazione a zona agricola
di una determinata area non presuppone
necessariamente che essa sia utilizzata per
culture tipiche o possegga le
caratteristiche per un simile utilizzazione,
trattandosi di una scelta tipicamente e
ampiamente discrezionale.
La destinazione di un'area a zona agricola
non dipende necessariamente dalla relativa
vocazione ma può essere sorretta dalla
scelta discrezionale, e motivata sul piano
generale, di orientare gli insediamenti
urbani e produttivi in date direzioni ovvero
di salvaguardare precisi equilibri
dell'assetto territoriale tra zone edificate
e non, al fine di impedire addensamenti
edilizi che possano risultare
pregiudizievoli per le condizioni di
vivibilità delle popolazioni insediate (TAR
Milano, Sez. II, sent. n. 1092 del
27-05-2005; conforme Tar Milano, sez. II,
sent. n. 935 del 10-05-2005; nello stesso
senso Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2008, n.
6600 “la destinazione a zona agricola di
una determinata area non presuppone
necessariamente che essa sia utilizzata per
culture tipiche o possegga le
caratteristiche per un simile utilizzazione,
trattandosi di una scelta, tipicamente e
ampiamente discrezionale, con la quale
l'amministrazione comunale ben può aver
interesse a tutelare e salvaguardare il
paesaggio o a conservare valori
naturalistici ovvero a decongestionare o
contenere l'espansione dell'aggregato urbano”)
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La
pubblicazione di uno strumento di
pianificazione è finalizzata alla
presentazione delle osservazioni da parte
dei soggetti interessati al progetto di
piano adottato dal Comune al fine di mero
apporto collaborativo ma, di regola, non è
richiesta per le successive fasi del
procedimento, anche se il piano originario
risulti modificato a seguito
dell'accoglimento di talune osservazioni,
con l'unica deroga a tale principio qualora
l'accoglimento delle osservazioni abbiano
comportato una profonda deviazione dai
criteri posti a base del piano stesso, nel
qual caso occorre una nuova pubblicazione e
la conseguente raccolta delle nuove
osservazioni.
Nel
procedimento di formazione degli strumenti
di pianificazione territoriale, la
pubblicazione è finalizzata alla
presentazione delle osservazioni da parte
dei soggetti interessati al progetto di
piano adottato dal Comune al fine di mero
apporto collaborativo ma, di regola, non è
richiesta per le successive fasi del
procedimento, anche se il piano originario
risulti modificato a seguito
dell'accoglimento di talune osservazioni (o
di modifiche in sede di approvazione
regionale), con l'unica deroga a tale
principio qualora l'accoglimento delle
osservazioni (o l'intervento regionale)
abbiano comportato una profonda deviazione
dai criteri posti a base del piano stesso,
nel qual caso occorre una nuova
pubblicazione e la conseguente raccolta
delle nuove osservazioni (TAR Torino
2074/2008; il principio è affermato di
recente anche da Tar Pescara 30/09, secondo
cui “qualora l'accoglimento delle
osservazioni formulate dai privati abbia
comportato una profonda deviazione dai
criteri posti a base del piano adottato si
deve far luogo ad una nuova pubblicazione ed
alla conseguente nuova raccolta delle
osservazioni dei privati"
(TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: 1.
PATRIMONIO DELLA P.A. – CONCESSIONI -
TRATTATIVE - VIOLAZIONE PRINCIPI DI BUONA
FEDE EX ART. 1337 C.C. - ILLEGITTIMITÀ -
FATTISPECIE.
2. PATRIMONIO DELLA P.A. – CONCESSIONI -
RISPETTO PRINCIPI DI EVIDENZA PUBBLICA -
NECESSITÀ.
1.
E’ illegittimo l’operato
dell'amministrazione, la quale, dopo aver
portato avanti le trattative per
l'assegnazione di una concessione, ha
deciso, a fronte di un'offerta più
conveniente, di emanare la concessione a
favore di altra impresa, per l’asserita
maggiore convenienza dell’offerta presentata
dalla impresa intervenuta in un secondo
momento, senza considerare che la prima
impresa era disponibile ad offrire
altrettanto; l'Amministrazione, nella sua
veste di contraente, non ha in tal caso
osservato la regola, valevole anche per i
soggetti pubblici, di cui all’art. 1337 del
codice civile –secondo cui il contraente si
deve comportare secondo buona fede nello
svolgimento delle trattative e nella
formazione del contratto– laddove ha
interrotto la trattativa con la prima
impresa senza fornire alcuna
giustificazione, sebbene vi fosse la prova
che quest’ultima era disposta ad accettare
le stesse condizioni offerte dall’altra
impresa. Sicché, vi è stata da parte
dell'Amministrazione la lesione
dell’affidamento che la prima impresa aveva
riposto sulla conclusione della negoziazione
a suo favore.
2.
Il comportamento dell'amministrazione,
laddove non ha tenuto il contegno proprio
del buon contraente, ridonda anche sulla
validità del provvedimento concessorio.
Infatti, sulla base dei principi elaborati
dalla Sezione e affermati anche nella
sentenza impugnata, l'amministrazione è
tenuta a privilegiare l'applicazione dei
principi -di derivazione comunitaria e
costantemente applicati dalla Corte di
giustizia europea- di concorrenza, di parità
di trattamento, di trasparenza, di non
discriminazione, di mutuo riconoscimento e
proporzionalità.
Tali principi, anche in virtù dell'articolo
1 della legge n. 241 del 1990, non solo si
applicano direttamente nel nostro
ordinamento, ma debbono informare il
comportamento dell'amministrazione, anche
quando non è tenuta ad azionare formalmente
la procedura dell'evidenza pubblica.
Infatti, il Consiglio di Stato ha ritenuto
applicabili detti principi anche alle
concessioni di beni pubblici, ponendo in
rilievo che "la sottoposizione ai
principi di evidenza trova il suo
presupposto sufficiente nella circostanza
che con la concessione di area demaniale si
fornisce un'occasione di guadagno a soggetti
operanti sul mercato, tale da imporre una
procedura competitiva ispirata ai ricordati
principi di trasparenza e non
discriminazione" (decisione n. 168 del
2005, ma in via generale vedasi anche sez.
VI, 15.02.2002 n. 934) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 19.06.2009 n. 4035 -
link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI: GARA
D’APPALTO – COMUNICAZIONE AGGIUDICAZIONE
DEFINITIVA – TRASMISSIONE VIA FAX –
IDONEITA’ A DETERMINARE LA DECORRENZA
TERMINI IMPUGNATORI – VA AFFERMATA –
RAGIONI.
La comunicazione dell’aggiudicazione
definitiva trasmessa a mezzo fax è idonea a
far decorrere il termine per l’impugnazione,
nel caso in cui l'uso del fax sia previsto
dalla lex specialis di gara e
l’impresa destinataria della comunicazione
abbia indicato in precedenza
all'Amministrazione il proprio numero
telefonico abilitato per la ricezione di
comunicazioni inerenti la gara.
Il fax rappresenta uno dei modi in cui può
concretamente svolgersi la cooperazione tra
i soggetti, in quanto essa viene attuata
mediante l'utilizzo di un sistema basato su
linee di trasmissione di dati ed
apparecchiature che consentono di poter
documentare sia la partenza del messaggio
dall'apparato trasmittente che, attraverso
il cosiddetto rapporto di trasmissione, la
ricezione del medesimo in quello ricevente.
Tali modalità, garantite da protocolli
universalmente accettati, indubbiamente ne
fanno uno strumento idoneo a garantire
l'effettività della comunicazione. In tal
senso, infatti, si muove la normativa più
recente (d.P.R. 28.12.2000, n. 445) che
consente un uso generalizzato del fax nel
corso dell'istruttoria, sia per la
presentazione di istanze e dichiarazioni da
parte dei privati (articolo 38, comma 1) che
per l'acquisizione d'ufficio da parte
dell'amministrazione di certezze giuridiche
(articolo 43, comma 3). Tanto è vero che "i
documenti trasmessi da chiunque ad una
pubblica amministrazione tramite fax, o un
altro mezzo telematico o informatico idoneo
ad accertarne la fonte di provenienza,
soddisfano il requisito della forma scritta
e la loro trasmissione non deve essere
seguita da quella del documento originale"
(articolo 43, comma 6).
Posto quindi che gli accorgimenti tecnici
che caratterizzano il sistema garantiscono,
in via generale, una sufficiente certezza
circa la ricezione del messaggio, ne
consegue non solo l'idoneità del mezzo a far
decorrere termini perentori, ma anche che un
fax deve presumersi giunto al destinatario
quando il rapporto di trasmissione indica
che questa è avvenuta regolarmente, senza
che colui che ha inviato il messaggio debba
fornire alcuna ulteriore prova. Semmai la
prova contraria può solo concernere la
funzionalità dell'apparecchio ricevente; ma
questa non può che essere fornita da chi
afferma la mancata ricezione del messaggio
(cfr. in tal senso Cons. Stato, sez. V,
24.04.2002, n. 2202) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 19.06.2009 n. 4032 -
link a
www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non rientrano tra i semplici
“cambi di destinazione d’uso” quegli
interventi abusivi nei quali al mutamento
della destinazione dell’immobile si
accompagni anche l’incremento della
superficie utile dello stesso.
L’avere realizzato abusivamente un
ampliamento di un precedente fabbricato, già
utilizzato, in conformità alla disciplina
urbanistica di zona, quale “deposito per
attrezzi agricoli e foraggi” per poi
adibire l’intero edificio, avente superficie
complessiva pari a quella dell’originario
manufatto e dell’ampliamento, ad una
destinazione d’uso (commerciale) che non
solo risulta completamente diversa dal
precedente (agricola), ma che nemmeno è
compatibile con la destinazione agricola
prevista nella zona “de qua”,
costituisce intervento sanabile (ndr:
condono edilizio) in quanto rientrante nella
tipologia di abuso n. 1, di cui alla tabella
allegata alla L. n. 47 del 1985, quale nuovo
manufatto risultante dall’intervento di
ampliamento e dal cambio di destinazione
d’uso di un vecchio fabbricato realizzato in
assenza della necessaria concessione
edilizia.
D’altra parte, non può essere condivisa la
tesi del ricorrente, imperniata sulla
ritenuta ascrivibilità dell’intervento alla
categoria di abuso n. 4 di cui alla citata
tabella, in quanto non rientrano tra i
semplici “cambi di destinazione d’uso”
quegli interventi abusivi nei quali, come
nel caso in esame, al mutamento della
destinazione dell’immobile si accompagni
anche l’incremento della superficie utile
dello stesso (v. TAR Umbria, 11/10/1990 n.
353)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 19.06.2009 n. 969 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'impossibilità di riferire i
ribassi d'asta ad eventi futuri e incerti,
come le agevolazioni contributive che la
ditta spera di ottenere ad aggiudicazione
ottenuta.
Le motivazioni che le ditte partecipanti ad
una gara d'appalto adducono per giustificare
i ribassi d'asta devono riferirsi a fatti
certi ed attuali, e non a eventi futuri e
incerti.
Pertanto, è legittima la revoca di
un'aggiudicazione in via provvisoria di un
appalto per il servizio di pulizia degli
uffici dell'Ufficio Provinciale del Lavoro e
Massima Occupazione in quanto l'offerta è
anomala, perché la ditta, per affrontare il
costo del personale necessario per attuale
il servizio di pulizie, e per giustificare
il ribasso praticato rispetto al prezzo a
base d'asta, ha inteso usufruire degli
sgravi contributivi offerti dalla legge
407/1990.
Inoltre, le norme che tali agevolazioni
prevedono "favoriscono solamente le
imprese che effettuano nuove assunzioni, fra
le quali non possono essere ricomprese
quelle munite di sufficiente personale, come
la ditta, precedente gestore del servizio,
che non necessita di incrementare il proprio
organico" (Tar Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 18.06.2009 n. 1141 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sui poteri di cui dispone
l'amministrazione nell'ambito del rapporto
che si origina on la presentazione della
D.I.A..
La pubblica amministrazione, nell’ambito del
rapporto che si origina con la presentazione
della dichiarazione di inizio attività,
dispone di tre differenti poteri.
Ai sensi dell’art. 23, c. 6, d.P.R. n.
380/2001, per 30 giorni a decorrere dal
ricevimento della dichiarazione di avvio
dell’attività, l’amministrazione ha il
potere di inibire l’intervento edilizio.
Allo scadere del 30° giorno si consolida la
fattispecie che abilita il privato a
costruire e l’amministrazione decade dal
potere di inibire la prosecuzione
dell’attività.
Il decorso del termine di 30 giorni, ed il
conseguente consolidamento del titolo, non
comportano tuttavia che l'attività edilizia
del privato, ancorché del tutto difforme dal
paradigma normativo, possa considerarsi
lecitamente effettuata e dunque possa andare
esente dalle sanzioni previste
dall’ordinamento per il caso di sua mancata
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi
(Cons. Stato, sez. IV, sentenza n.
3498/2005).
Venuto meno il potere inibitorio, residuano,
difatti, il generale potere repressivo degli
abusi previsto dall’art. 27, d.p.r. n.
380/2001 ed un potere di autotutela previsto
dall’art. 19, comma 3, legge n. 241/1990
secondo cui “è fatto comunque salvo il
potere dell’amministrazione competente di
assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies” (sia pure sui
generis, poiché, a differenza della consueta
autotutela decisoria non implica un’attività
di secondo grado insistente su un procedente
provvedimento amministrativo).
La legge n. 80/2005, nel riformulare l’art.
19 l. n. 241/1990, ha, difatti, precisato
che la p.a. può vietare lo svolgimento
dell’attività ed ordinare l’eliminazione
degli effetti già prodotti anche dopo che è
scaduto il termine perentorio. Lo potrà
fare, però, soltanto se vi sono i
presupposti per l’esercizio del potere di
autotutela (in particolare dell’annullamento
d’ufficio) e, quindi, entro un ragionevole
lasso di tempo, dopo aver valutato gli
interessi in conflitto e sussistendone le
ragioni di interesse pubblico.
Allo scadere
del termine previsto dall’art. 23 d.P.R.
380/2001, si consolida, difatti, in capo
all’istante una legittimazione ex lege
all’esercizio dell’attività edilizia.
L’amministrazione, ove intenda contestare la
sussistenza dei requisiti o delle condizioni
previste dalla legge per l’esercizio
dell’attività edificatoria oltre lo scadere
di tale termine, non può esercitare
direttamente un potere sanzionatorio ma deve
prima intervenire in autotutela per
rimuovere la legittimazione ad edificare che
è sorta per effetto della presentazione
della d.i.a. e del decorso del termine di 30
giorni senza che l’amministrazione abbia
esercitato il potere inibitorio.
Il provvedimento impugnato, adottato
dall’amministrazione successivamente allo
scadere del termine di 30 giorni, che
afferma l’insussistenza del presupposto per
l’intervento di recupero del sottotetto
richiesto dalla l.reg. n. 15/1996, non può,
dunque, che qualificarsi come esercizio di
un potere di autotutela.
Non assume rilievo, al riguardo, la
circostanza che le modifiche all’art. 19, l.
n. 241/1990 siano intervenute
successivamente alla presentazione della
d.i.a.: l’attuale formulazione di tale norma
era sicuramente vigente alla data di
adozione del provvedimento impugnato; in
ogni caso, anche prima dell’entrata in
vigore della l. n. 80/2005, la
giurisprudenza riteneva che, successivamente
al perfezionarsi della d.i.a., sussistesse
in capo alla p.a. un potere di intervento in
autotutela (Consiglio di Stato, sez. IV,
04.09.2002, n. 4453).
Il potere di autotutela, a differenza di
quello sanzionatorio, è discrezionale,
dovendo l’amministrazione, prima di
intervenire, valutare gli interessi in
conflitto (tenendo conto anche
dell’affidamento ingeneratosi in capo al
denunciante) e la sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale, che
non coincide con il mero ripristino della
legalità violata.
Presupposti per il corretto esercizio del
potere di annullamento in autotutela sono
dunque:
- un atto affetto da un vizio di
legittimità;
- l’esistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale all’annullamento, non
identificabile con il mero ripristino della
legalità violata;
- la prevalenza di tale interesse sugli
interessi pubblici e privati alla
conservazione dell’atto, specie se, per il
tempo trascorso dall’adozione dell'atto
viziato, si siano consolidate, in concreto,
situazioni soggettive tutelabili
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.06.2009 n. 4066 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
GARA D'APPALTO - PROCEDURA APERTA
PER L'AFFIDAMENTO IN CONCESSIONE DEL
SERVIZIO GESTIONE DELLE AREE DI SOSTA A
PAGAMENTO - MANCATA SPECIFICAZIONE DELLA
DATA E ORA PER L'APERTURA DEI PLICHI - VIOLA
L'INDEROGABILE PRINCIPIO DI PUBBLICITÀ DELLE
SEDUTE DI GARA.
Le carenze degli atti di gara in punto di
specificazione della data e dell’ora fissata
per l’apertura dei plichi e per l’esame dei
requisiti d’ammissione alla procedura
finiscono per rendere riservata, anziché
pubblica, la prima seduta della Commissione.
Detta condotta integra la denunciata
violazione dell’inderogabile pubblicità
delle sedute di gara.
Segnatamente, anche ad accedere alla tesi
secondo cui, vertendosi in tema di
concessione di servizi, non troverebbe
applicazione il disposto letterale dell’art.
64, comma 4, del codice dei contratti
pubblici, deve comunque ritenersi che venga
in rilievo, anche per dette procedure, il
principio generale, sotteso a tale norma,
che impone un’adeguata comunicazione delle
notizie relative a data, luogo ed ora delle
operazioni, sì da consentire l’effettiva
pubblicità e la concreta possibilità di
partecipazione da parte dei soggetti
interessati.
Detti parametri di adeguatezza e
proporzionalità delle misure informative non
risultano nella specie rispettate per
effetto della mera affissione all’albo
pretorio. In disparte il difetto della
relativa prova, deve infatti ritenersi che
detta misura generale di pubblicità, non
presenti la stesso grado di conoscibilità
della lex specialis. In assenza di un
rinvio a detta formalità da parte degli atti
di gara ed in mancanza di indicazioni
puntuali in seno a detti ultimi, si deve
opinare che solo un atto avente la medesima
pubblicità del bando ovvero una
comunicazione personalizzata avrebbe potuto
rispettare il principio generale di
trasparenza sotteso alla normativa primaria.
Si deve soggiungere che non assume rilievo
alcuno il dato della presenza dei
rappresentanti di due delle quattro imprese
partecipanti, posto che, al contrario,
proprio l’assenza di due dei quattro
soggetti interessati dimostra l’insussificienza
delle misure comunicative adottate.
La violazione del principio della pubblicità
delle fondamentali fasi della gara rende
conseguentemente invalidi tutti gli atti
della procedura selettiva, senza che rilievi
l’assenza di prova dell’effettiva lesione
sofferta dai concorrenti, trattandosi di
adempimento posto a tutela non solo della
parità di trattamento tra gli stessi, ma
anche dell’interesse pubblico alla
trasparenza ed all’imparzialità dell’azione
amministrativa, le cui conseguenze negative
non sono apprezzabili ex post (vedi
Consiglio Stato , sez. V, 04.03.2008, n.
901) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.06.2009 n. 3884 -
link a
www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Telecomunicazioni – Telefonia
mobile – Stazioni radio base – Installazione
– Titolo abilitativo – E’ suscettibile di
comprendere tutte le valutazioni proprie del
titolo abilitativo edilizio – Decreto
legislativo numero 259/2003 – E’ vincolante
anche per le Regioni a Statuto speciale.
L’installazione di stazioni radio base è
soggetta al rilascio di un unico titolo
abilitativo, come contemplato e disciplinato
dall’articolo 87 del decreto legislativo
numero 259/2003, suscettibile di comprendere
tutte le valutazioni anche di natura
urbanistica e territoriale proprie del
titolo abilitativo edilizio (Corte
Costituzionale numero 336/2005; Consiglio di
Stato, Sezione VI, 889/2006, 4159/2005 e
4000/2005,).
Il principio di unicità del titolo
abilitativo per l’installazione di stazioni
radio base è vincolante anche per le Regioni
a Statuto speciale e dunque anche per la
Regione Sicilia, trattandosi di principio
affermato dal legislatore statale del
decreto legislativo numero 259/2003
nell’esercizio della potestà legislativa
nella materia “trasversale” della tutela
della concorrenza (TAR Sicilia-Palermo, Sez.
II,
sentenza 10.06.2009 n. 615 - link
a
http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una
piattaforma calcestruzzo, in considerazione
sia delle sue dimensioni che dello stabile
collegamento al suolo, abbisogna del previo
rilascio della concessione edilizia.
La realizzazione di una piattaforma
calcestruzzo, in considerazione sia delle
sue dimensioni che dello stabile
collegamento al suolo abbisogna del previo
rilascio della concessione edilizia, in
quanto rientra nella nozione giuridica di
costruzione, trattandosi di manufatto idoneo
ad alterare lo stato dei luoghi in modo
definitivo e rilevante e non meramente
occasionale (cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. II
5968/2007) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 09.06.2009 n. 625 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ordinanza
di sospensione lavori (abusivi) non
necessita della previa comunicazione di
avvio del procedimento.
Per
giurisprudenza consolidata, alla quale il
Collegio aderisce, l’ordinanza di
sospensione lavori non necessita della
previa comunicazione di avvio del
procedimento, attesa la natura cautelare e
le particolari esigenze di celerità sottese
all'emissione del provvedimento (cfr. TAR
Calabria Catanzaro, sez. II, 07.02.2006, n.
125, ma vedi anche Tar Sicilia, Palermo Sez.
III 2979/2006)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 09.06.2009 n. 625 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1.
GARA D’APPALTO - VALUTAZIONE CONGRUITÀ
OFFERTA – IN CASO DI MANCATO SUPERAMENTO
DELLA SOGLIA DI ANOMALIA - AVVIO
SUB-PROCEDIMENTO DI VERIFICA- COSTITUISCE
MERA FACOLTÀ.
2. GARA D’APPALTO – CRITERIO OFFERTA
ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA – FISSAZIONE
POSTUMA CRITERI MOTIVAZIONALI - ABROGAZIONE
ART. 83, COMMA 4, ULTIMO PERIODO, D.LGS. N.
163/2006 - FINALITÀ.
1.
Le stazioni appaltanti non sono tenute ad
avviare il sub procedimento di verifica
laddove non sia attinta la soglia di cui
allo stesso art. 86, commi 1 e 2, il che è
dimostrato dalla chiara formulazione della
norma, che al riguardo prevede la mera
facoltà e non già l’obbligo di attivare il
procedimento di verifica (“In ogni caso
le stazioni appaltanti possono valutare la
congruità di ogni altra offerta che, in base
ad elementi specifici, appaia anormalmente
bassa”).
2.
L’abrogazione dell’art. 83, comma 4, ultimo
periodo, del D.Lgs. n. 163/2006 ad opera del
c.d. terzo correttivo è stata disposta al
fine di ricondurre la norma a compatibilità
comunitaria, visto che la stessa, nella
formulazione originaria, era passibile di
un’interpretazione contraria ai principi
enunciati ai commi 2 e 4 dello stesso art.
86 (i quali prescrivono rispettivamente che
“Il bando di gara ovvero, in caso di
dialogo competitivo, il bando o il documento
descrittivo, elencano i criteri di
valutazione e precisano la ponderazione
relativa attribuita a ciascuno di essi,
anche mediante una soglia, espressa con un
valore numerico determinato, in cui lo
scarto tra il punteggio della soglia e
quello massimo relativo all’elemento cui si
riferisce la soglia deve essere appropriato”
e che “Il bando per ciascun criterio di
valutazione prescelto prevede, ove
necessario, i sub - criteri e i sub-pesi o i
sub–punteggi”) (TAR Marche, Sez. I,
sentenza 06.06.2009 n. 575 - link
a
www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ingiunzione ad eliminare
un'opera abusivamente realizzata e a
ripristinare lo stato dei luoghi perde del
tutto efficacia qualora l'interessato attivi
uno dei procedimenti tipici (accertamento di
conformità ovvero condono edilizio) previsti
dalla legge per ottenere un titolo
abilitativo ad efficacia sanante.
Per costante ed univoco indirizzo della
giurisprudenza, l'ingiunzione ad eliminare
un'opera abusivamente realizzata e a
ripristinare lo stato dei luoghi perde del
tutto efficacia qualora l'interessato attivi
uno dei procedimenti tipici (accertamento di
conformità ovvero condono edilizio) previsti
dalla legge per ottenere un titolo
abilitativo ad efficacia sanante (Tar
Puglia-Bari, sez. III, 07.12.2005, n. 5294).
Il riesame dell'abusività dell'intervento si
conclude in questi casi con l'emanazione di
un nuovo provvedimento che vale comunque a
superare l'atto sanzionatorio
originariamente adottato
dall'amministrazione.
In caso di accoglimento dell'istanza,
infatti, il rilascio della concessione
edilizia (oggi permesso di costruire) in
sanatoria precluderà in radice
l'applicazione dell'ingiunzione al
ripristino, risultando l'intervento compiuto
a tutti gli effetti legittimo.
In caso di reiezione, invece, il ricorrente
potrà contestare con apposito ricorso il
provvedimento sfavorevole (Tar Puglia-Lecce,
sez. I, 09.06.2006, n. 3365), mentre,
d'altro canto, l'originario atto
sanzionatorio sarà comunque improduttivo di
effetti, dovendo essere sostituito da una
nuova ordinanza, che darà specifica ragione
dei presupposti a fondamento della sua
adozione e che, in ogni caso, assegnerà
all'interessato un nuovo termine (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. III,
sentenza 15.01.2009 n. 51 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 03.08.2009 |
ã |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
La TAVOLA SINOTTICA del D.Lgs. 192/2005
aggiornata al D.P.R. 59/2009 “Regolamento di
attuazione del D.Lgs. 192 sul rendimento
energetico in edilizia" (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Testo Unico Sicurezza: in attesa del
correttivo le modifiche della Legge
Comunitaria. La nuova tabella di sintesi
degli adempimenti per i cantieri
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dall’UNI le regole per la progettazione del
Tetto Verde (link a www.acca.it). |
APPALTI SERVIZI:
La guida INAIL per la sicurezza dei
lavoratori degli impianti di depurazione
(link a www.acca.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, 5° suppl. straord. al n. 30 del
31.07.2009:
- "Determinazioni in merito ad interventi
di edilizia scolastica e all'acquisto di
mezzi di trasporto collettivo scolastico -
Fondi bilancio anno 2009 (l.r. n. 70/1980,
l.r. n. 1/2000, l.r. n. 11/2004)" (deliberazione
G.R. 22.07.2009 n. 9879 - link a
www.infopoint.it);
- "L.R. 06.06.1980 n. 70, art. 3, e l.r.
12.07.1974 n. 40 Titolo II - Piano
intervento ordinario anno 2009 - Termini di
presentazione domande di contributo per
l'edilizia scolastica minore" (circolare
regionale 23.07.2009 n. 16 - link
a www.infopoint.it). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 30 del
30.07.2009:
- "Modalità per il finanziamento di
interventi ai fini della promozione e lo
sviluppo della mobilità ciclistica - Anno
2009" (deliberazione
G.R. 22.07.2009 n. 9895 - link a
www.infopoint.it);
- "Approvazione del bando «Interventi per
favorire lo sviluppo della mobilità
ciclistica - Bando 2009» rettificato dal
decreto 7815 del 28.07.2009" (testo
coordinato del decreto D.U.O.23.07.209 n.
7603 - link a www.infopoint.it). |
QUESITI & PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Esercizio impresa riparazione
macchine agricole. Zona agricola P.R.G..
Si pone una
questione spesso presente, dotata di
notevole rilievo: si chiedono chiarimenti in
merito alla legittimità, o meno,
dell’esercizio di una piccola impresa
artigiana di riparazione di macchine
agricole in zona agricola di P.R.G..
In particolare, il Comune chiede se sia
giuridicamente consentita l’installazione di
un’attività artigianale di riparazione di
macchinari agricoli in un’area individuata
come “agricola” nel P.R.G.C.,
precisando che le relative Norme Tecniche di
Attuazione, pur non contenendo disposizioni
specifiche, vietano l’esercizio di attività
aventi “caratteristiche industriali o
commerciali” (Regione Piemonte,
parere n.
69/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva di terreni
a scopo edificatorio. D.P.R. 380/2001.
Il quesito formulato dal Comune riguarda il
tema della ““lottizzazione abusiva di
terreni a scopo edificatorio”” di cui
all’art. 30 del Testo Unico dell’edilizia
(D.P.R. 380/2001) (Regione Piemonte,
parere n.
62/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oblazione art. 36 T.U. Edilizia –
Contributo di costruzione.
Viene chiesto se l’oblazione di cui all’art.
36 T.U. edilizia (di importo pari al doppio
del contributo di costruzione) già
ricomprenda –oppure no– il contributo di
costruzione predetto (Regione Piemonte,
parere n.
61/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
NEWS |
URBANISTICA:
Lombardia, Adottato il Piano Territoriale
Regionale (PTR)
(link a www.territorio.regione.lombardia.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
31/07/2009 COMUNICATO ARAN: Sottoscritto
definitivamente il CCNL per il personale del
Comparto Regioni-Autonomie Locali, relativo
al biennio economico 2008-2009
(link a www.aranagenzia.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
N. Durante,
Il titolo edilizio al cospetto del giudice
penale (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
P. Giampietro,
SCARICHI INDUSTRIALI IN ACQUE SUPERFICIALI,
FOGNATURE E SUOLO, CON SUPERAMENTO DEI
VALORI LIMITE: SANZIONI AMMINISTRATIVE O
PENALI? (L’art. 137, comma 5 e 6, T.U. n.
152/2006, secondo Cass. Pen. n. 37279/2008)
(link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Valente,
Il nuovo art. 19 della Legge 241 del 1990:
la Denuncia d’inizio attività “immediata”
per l’esercizio di attività di impianti
produttivi di beni e di servizi e di
prestazione di servizi (link a
www.diritto.it). |
APPALTI:
G. Gentilini,
Gli enti non profit nella codificazione dei
contratti pubblici di forniture di lavori,
servizi e forniture - Consiglio di Stato,
sezione VI, con la sentenza 16.06.2009 n.
3897 (link a www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
S. Gennai,
Trasferimento ingiustificato e trasferimento
di ritorsione nel pubblico impiego
contrattualizzato
(link a www.diritto.it). |
CORTE DEI CONTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Richiesta di parere con nota del Commissario
Prefettizio del Comune di Cerignola (FG),
riguardo la misura del compenso
incentivante spettante per opere oggetto di
incarichi assegnati ai tecnici dell'Ufficio
Comunale
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Puglia,
parere 01.07.2009 n. 60
- link a www.corteconti.it).
La questione relativa alla quota
d’incentivo da applicare ad attività
tecniche già espletate (o ancora in corso
d’opera) ma non ancora remunerate alla data
del primo gennaio 2009, ha costituito già
oggetto di una vivace querelle, che si è
sostanzialmente attestata su due posizioni.
La prima, già oggetto di delibera da parte
della Corte dei Conti (Sezione regionale di
controllo Lombardia n. 40 del 24.02.2009)
considera significativo il momento in cui è
stata espletata l’attività, prevedendo di
conseguenza che i compensi erogati anche
dopo il primo gennaio 2009, ma relativi ad
attività realizzate prima di tale data,
vadano assoggettati alla disciplina
previgente (quella che individua nel 2% la
percentuale da applicare).
Tale tesi recepisce, tra l’altro, la
preoccupazione -pure fatta propria dal
Comune odierno istante- legata al fatto che
l’applicazione della (minor) percentuale
dello 0,5% alle attività poste in essere
prima dell’inizio del 2009 violerebbe la
posizione dei destinatari del compenso, che
hanno maturato la legittima aspettativa a
percepire il corrispettivo previsto dalla
normativa applicabile al momento in cui la
prestazione è stata svolta.
Secondo la tesi contraria -fatta propria dal
MEF con Circolare n. 36 del 23.12.2008- la
riduzione applicabile a far data dal primo
gennaio 2009 dovrebbe utilizzarsi per tutti
i compensi comunque erogati da tale data,
anche se relativi ad attività pregressa,
considerando la norma di riduzione
applicabile a tutta l’attività progettuale
non remunerata a tale data.
Sull’argomento si è assai di recente
pronunciata la Sezione Autonomie di Questa
Corte (Del. 7/2009 del 23.04.2009),
interpellata sulla questione di massima, nel
senso che segue: “Il significato della
disposizione contenuta nel comma 7-bis del
DL 112/2008 convertito dalla legge n.
133/2008 va inteso nel senso che il quantum
del diritto al beneficio, quale spettante
sulla base della somma da ripartire nella
misura vigente al momento in cui questo è
sorto, ossia al compimento delle attività
incentivate, non possa essere modificato per
effetto di norme che riducano per il tempo
successivo l’entità della somma da
ripartire, per cui i compensi erogati dal
primo gennaio 2009, ma relativi ad attività
realizzate prima di tale data, restano
assoggettati alla previgente disciplina”.
Tale tesi, ad avviso di questa Sezione,
appare la più convincente, anche in omaggio
alla salvaguardia dell’obiettivo di
contenimento della spesa pubblica.
Da una parte, infatti, è d’intuitiva
evidenza come non possa essere tout court
considerato dirimente il profilo
dell’attività svolta (“attività svolta …
successivamente al 31.12.2008”), che appare
eccessivamente riduttivo.
D’altra parte, dalla disposizione dell’art.
61, comma 8, D. Lgs. n. 163/2006 che
stabilisce che l’importo previsto,
individuato nello 0,5%, già “a decorrere dal
primo gennaio 2009 … è versato ad apposito
capitolo del bilancio …” si ricaverebbe un
principio, per così dire, “di cassa”, la cui
applicazione potrebbe portare a considerare
la modifica applicabile non solo ad attività
solo iniziate entro il 31.12.2008, ma anche
ad attività addirittura concluse, ma per le
quali non siano medio tempore intervenute la
liquidazione dei compensi o il relativo
pagamento.
In realtà tale tesi, fatta propria dal
MEF nella citata circolare (“la
riduzione va applicata con riferimento a
tutta l’attività progettuale non ancora
remunerata alla data dell’01.01.2009 …” che
fa perno sul termine, utilizzato dal
legislatore “destinazione a decorrere
dall’01.01.2009”), appare anch’essa
eccessivamente forzata, laddove ritiene la
modifica applicabile anche alle
progettazioni già ultimate al primo gennaio
2009, con l’approvazione del progetto
esecutivo/definitivo (anche alla luce
della considerazione che occorre evitare che
ricadano sul dipendente destinatario
dell’incentivo le conseguenze penalizzanti
di ritardi nella liquidazione/erogazione dei
compensi, imputabili esclusivamente
all’amministrazione).
La necessità di coniugare dunque le
imprescindibili esigenze di contenimento
della spesa pubblica con l’indubbia
rilevanza del momento in cui l’attività da
remunerare è effettivamente svolta impone
l’utilizzo di una tesi, per così dire,
“sincretista”.
Occorrerà cioè considerare attività
effettivamente realizzata prima
dell'01.01.2009 ogni singola fase del
complesso procedimento relativo alla
realizzazione di un’opera pubblica (lavoro o
fornitura) avente una propria individualità
ed autonomia.
In altre parole, se prima dell’inizio del
2009 risulterà conclusa la fase della
progettazione, ma non ancora iniziata, ad
esempio, quella del collaudo, nulla vieterà
di sottoporre il computo della misura
incentivante alla disciplina previgente, per
quanto attiene la remunerazione della
progettazione, ed a quella nuova la fase
attinente il collaudo, interamente svolta,
in quanto tale, sotto la vigenza della nuova
norma.
Occorre infatti considerare che, se è
vero che ai fini della nascita di quello che
è un vero e proprio diritto soggettivo di
natura retributiva (il diritto
all’incentivo), come chiarito dalla
Suprema Corte (Cass. Sez. lav. n. 13384
19.07.2004), ciò che rileva è il
compimento effettivo dell’attività, è anche
vero che per le prestazioni di durata dovrà
considerarsi la singola frazione temporale
di attività compiuta. |
LAVORI PUBBLICI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Castel San Pietro Terme
riguardante gli effetti del D.L. 22.12.2008
n. 200, convertito nella legge nella legge
18.02.2009 n. 9, che ha abrogato il D.L. Lgt.
1446/1918, con il quale era stato stabilito
che i Comuni dovessero concorrere alle spese
per la manutenzione, sistemazione e
ricostruzione delle strade vicinali di uso
pubblico
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Emilia Romagna,
parere
26.06.2009 n. 244- link a www.corteconti.it).
... la materia dei consorzi per la
manutenzione e ricostruzione delle strade
vicinali, era stata organicamente
disciplinata dal citato decreto legge
luogotenenziale del 1918, che aveva
stabilito la competenza dell’autorità
comunale, sia per la costituzione dei
consorzi, che per la sovrintendenza nelle
varie fasi della loro esistenza. Per i casi
in cui le strade vicinali fossero destinate
all’uso pubblico, era inoltre prescritto
l’obbligo del Comune di accollarsi una quota
degli oneri necessari alla loro manutenzione
e ricostruzione.
A tale disciplina era seguita nel 1958 la
legge n. 126, in materia di classificazione
e manutenzione delle strade destinate ad uso
pubblico, che, nell’art. 14, ribadiva
l’obbligatorietà della costituzione dei
consorzi previsti dal D.L. Lgt. 1446/1918, e
stabiliva che, in caso assenza di iniziativa
degli utenti o dei comuni, la costituzione
poteva essere disposta d’ufficio dal
Prefetto. Quest’ultima norma, a differenza
di quanto accaduto al D.L. Lgt. di cui qui
si tratta, non risulta espressamente
abrogata dal D.L. 22.12.2008 n. 200,
convertito nella legge nella legge
18.02.2009 n. 9.
Prescindendo comunque dall’attuale incongruo
assetto normativo, e venendo al quesito
posto dal Sindaco di Castel San Pietro
Terme, si chiarisce che l’abrogazione del
D.L. Lgt. 1446/1918 non comporta, a parere
di questo Collegio, la eliminazione dei
consorzi già costituiti in base a tale
antica normativa.
Ciò in considerazione dl fatto che l’atto
costitutivo del Consorzio, quale originaria
manifestazione della volontà dei proprietari
delle strade vicinali (approvata, secondo
l’art. 2 del citato D.L. Lgt. 1446/1918, con
delibera del Consiglio comunale), non ha
perso il suo valore a seguito
dell’abrogazione della norma che ab origine
disciplinò gli effetti di tale legittima
manifestazione di volontà.
Va detto, inoltre, che per i consorzi
riguardanti le strade vicinali di uso
pubblico che, per consolidato orientamento
giurisprudenziale, sono dotati di
personalità giuridica pubblica, tale ultimo
elemento di carattere formale, avvalora
ancor più l’opinione che l’abrogazione della
norma sopracitata non possa avere influito
sulla sorte di soggetti già esistenti.
Va considerato, infine, che il fondamento
per un eventuale sostegno finanziario
comunale a favore dei consorzi già
costituiti, che a suo tempo era indicato
espressamente nelle disposizioni del D.L.
Lgt. 1446/1918, può oggi rinvenirsi nella
qualità riconosciuta ai Comuni di enti
esponenziali degli interessi della comunità
locale, e quindi abilitati anche a
garantire, con adeguati interventi
finanziari, l’efficienza della viabilità
minore di uso pubblico. |
PUBBLICO IMPIEGO:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Castel Guelfo di Bologna (BO)
riguardante, in tema di incentivi
alla progettazione interna, l'applicazione
delle nuove percentuali stabilite dall'art.
61, comma 8° del D.L. 112/2008, convertito
in legge 133/2008
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Emilia Romagna,
parere 26.06.2009 n. 242
- link a www.corteconti.it).
In base alla formulazione dell’art. 92,
comma 5, del Codice dei contratti pubblici,
approvato con D.Lgs. 163/2006,
precedentemente alle modifiche apportate dal
D.L. 112/2008, risultava che, nel caso di
appalto di lavori, a favore del responsabile
del procedimento e degli incaricati della
redazione del progetto, del piano della
sicurezza, della direzione lavori etc.
doveva essere ripartita una somma non
superiore al 2 per cento dell’importo posto
a base di gara dell’opera o del lavoro.
Con il comma 7-bis, aggiunto all’art. 61 del
suddetto D.L. si è disposto che a decorrere
dall'01.01.2009, la percentuale prevista
dall’art. 92 del soprarichiamato decreto
legislativo, è destinata nella misura dello
0,5 per cento alla finalità di
incentivazione a favore del personale
tecnico di cui si è detto, e nella misura
dell’1,5 per cento è versata ad apposito
capitolo del dell’entrata del bilancio dello
Stato.
Va in proposito precisato che il comma
7-bis, di cui si è detto, riproduce il comma
8° dell’art. 61 del D.L. 112/2008 abrogato
con l’art. 1, comma 10-quater, della legge
22.12.2008 n. 201.
La questione riguardante il momento della
operatività della riduzione voluta dalla
normativa del 2008, richiede che si valuti
la consistenza del titolo alla percezione
degli incentivi all’esame; ciò perché, se si
perviene alla conclusione che l’acquisizione
di tali incentivi costituisca per gli
interessati un diritto soggettivo, si deve
conseguentemente ammettere che la
disposizione che qui si esamina non può
avere effetto retroattivo, mancando invece
un diritto soggettivo all’acquisizione di
tali corrispettivi, gli stessi potrebbero
ben essere ridimensionati, a seguito
dell’entrata in vigore della norma di cui si
sta trattando.
Sul punto la Sezione delle autonomie, con la
deliberazione del 23.04.2009 n. 7/SEZAUT/2009/QMIG,
ha avuto occasione di pronunziarsi, stante
la presenza di dubbi interpretativi e di
conclusioni opposte (vedansi la
deliberazione n. 40/2009/PAR della Sezione
regionale del controllo della Lombardia e la
circolare n. 36 del 23.12.2008 de Ministero
dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento
della Ragioneria Generale dello Stato).
Dalle conclusioni della suddetta
deliberazione si desume che le somme da
ripartire a titolo di incentivo per la
progettazione sono strettamente correlate,
per ogni singola opera, all’importo
dell’appalto ed ai relativi stanziamenti,
come risulta dall’art. 13 della Legge
144/1999.
Ne consegue che tra i suddetti incentivi
e l’attività di progettazione e direzione
lavori deve intravedersi un rapporto di
sinallagmaticità, che qualifica la posizione
dei prestatori delle suindicate attività
tecniche come titolarità ad un diritto
intangibile nel caso di sopravvenienza di
norme aventi carattere riduttivo.
In concreto, nel caso di erogazione di
compensi incentivanti che avvenga dopo il 1°
gennaio 2009, ma attenga ad attività svolte
prima di tale data, e quindi consolidatesi
in forma di diritto acquisito, deve
ritenersi valida la disciplina contenuta
nell’art. 92, comma 5, del codice dei
contratti pubblici, prima della modifica
apportata con il comma 7-bis, aggiunta
all’art. 61 del D.L. 112/2008, convertito
dalla Legge 133/2008 e quindi liquidabili
gli incentivi fino alla percentuale del 2,0.
Quanto agli altri punti del quesito va detto
brevemente che:
- Secondo l’art. 18 della legge 109/1994,
gli incentivi sono ripartiti tra il
responsabile unico del procedimento, gli
incaricati della redazione del progetto, del
piano della sicurezza, della direzione dei
lavori, del collaudo nonché tra i loro
collaboratori e che la ripartizione tiene
conto delle diverse responsabilità
professionali connesse alle specifiche
prestazioni da svolgere. Dal tenore della
norma si può desumere che le professionalità
coinvolte in tali attività possono essere
sia quelle specifiche degli ingegneri ed
architetti, sia tutte le altre che siano
state legittimamente impiegate in relazione
alla maggiore o minore complessità
dell’opera.
- I limiti di cassa devono ritenersi
vincolanti anche per tale categoria di
corrispettivi, che, tuttavia, non vanno
computati come spese di personale, essendo
configurabili come direttamente connesse
alla esecuzione dell’opera o del lavoro, ed
imputate sulle relative somme impegnate per
tali interventi, anche perché, per la loro
occasionale connessione alla specificità
degli interventi stessi, non si prestano ad
una verifica tendenziale del loro andamento. |
EDILIZIA PRIVATA:
Comune di Nurachi -
Esenzione dal pagamento del contributo per
permesso di costruzione
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Sardegna,
parere
22.06.2009 n. 19
- link a www.corteconti.it).
Il Comune intende assumere l’esonero dal
pagamento del contributo per permesso di
costruzione come incentivo per i privati
proprietari, affinché provvedano ad
interventi di manutenzione ordinaria e
straordinaria, recupero, restauro,
risanamento e ristrutturazione dei propri
immobili ubicati nel centro storico, questa
Sezione deve formulare alcune osservazioni.
A termini della normativa statale, tutti gli
interventi di trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio sono subordinati al
permesso di costruire e il rilascio del
relativo provvedimento da parte
dell’amministrazione comunale comporta la
corresponsione di un contributo (contributo
per il rilascio del permesso di costruire)
commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione (D.P.R. 06.06.2001 n. 380, testo
unico delle disposizione legislative e
regolamenti in materia edilizia, nel quale
sono confluite tra le altre le disposizioni
per la edificabilità dei suoli di cui alla
legge 28.01.1977 n. 10 ).
Alle Regioni si demanda l’individuazione
degli interventi che in relazione
all’incidenza sul territorio e sul carico
urbanistico siano da sottoporre al
preventivo rilascio del permesso di
costruire o alla denuncia di inizio di
attività. Si prevede, inoltre, che sia il
Comune a determinare l’incidenza degli oneri
sulla base di tabelle parametriche
predefinite dalla Regione per classi di
comuni (v. art. 10 e 16 cit. T.U
sull’edilizia).
Le ipotesi di riduzione o esonero dal
contributo di costruzione, costituendo
eccezione alla regola generale
dell’onerosità della concessione edilizia,
sono individuate tassativamente dal
Legislatore (v. art. 17 cit. T.U. sull’
edilizia; v. in tal senso costante
giurisprudenza tra cui C.d.S. sez. v n.
617/2003 e n. 596/2004 ; Tar Veneto sez. II
n. 604/2008).
Nell’esercizio della sua competenza
primaria in materia di edilizia e
urbanistica (legge costituzionale 26.02.1948
n. 3, art.3) la Regione Sardegna ha recepito
il principio generale dell’onerosità della
concessione edilizia facendo salvi i casi
espressamente previsti (v. art. 3 legge reg.
11.10.1985 n. 23). Il Legislatore regionale,
inoltre, assumendo specifiche disposizioni
di “tutela e valorizzazione dei centri
storici della Sardegna” (legge reg.
13.10.1998 n. 29) ha disposto lo
stanziamento di specifiche risorse
finanziarie da destinare a misure
incentivanti e agevolative, consistenti
principalmente in contributi finanziari da
erogarsi per la realizzazione degli
interventi di risanamento.
In proposito, va puntualizzato che
all’adozione di interventi agevolativi, fino
all’esonero totale, come nel caso di specie,
dal pagamento degli oneri concessori di cui
si tratta (permesso di costruzione), può
procedersi solo in forza di espresse
previsioni che ne disciplinano il regime,
trattandosi di obbligazioni non disponibili
da parte del Comune, se non nei limiti
assentiti dalla fonte normativa primaria.
|
PUBBLICO IMPIEGO: Comune
di Bagnoli di Sopra (PD) - Parere
in merito alla ripartizione degli
incentivi per la progettazione interna per
gli enti sprovvisti del relativo regolamento
di cui all'art. 92, comma 5, del D.Lgs. n.
163/2006, nonché alla retroattività delle
disposizioni regolamentari sopravvenute
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere 19.06.2009 n. 105
- link a www.corteconti.it).
... l’art. 92 comma 5 del codice dei
contratti pubblici ha previsto che "Una
somma non superiore al due per cento
dell'importo posto a base di gara di
un'opera o di un lavoro, comprensiva anche
degli oneri previdenziali e assistenziali a
carico dell’amministrazione, a valere
direttamente sugli stanziamenti di cui
all'articolo 93, comma 7, è ripartita, per
ogni singola opera o lavoro, con le modalità
e i criteri previsti in sede di
contrattazione decentrata e assunti in un
regolamento adottato dall'amministrazione,
tra il responsabile del procedimento e gli
incaricati della redazione del progetto, del
piano della sicurezza, della direzione dei
lavori, del collaudo, nonché tra i loro
collaboratori. La percentuale effettiva, nel
limite massimo del due per cento, è
stabilita dal regolamento in rapporto
all'entità e alla complessità dell'opera da
realizzare. La ripartizione tiene conto
delle responsabilità professionali connesse
alle specifiche prestazioni da svolgere. La
corresponsione dell'incentivo è disposta dal
dirigente preposto alla struttura
competente, previo accertamento positivo
delle specifiche attività svolte dai
predetti dipendenti; limitatamente alle
attività di progettazione, l'incentivo
corrisposto al singolo dipendente non può
superare l'importo del rispettivo
trattamento economico complessivo annuo
lordo; le quote parti dell'incentivo
corrispondenti a prestazioni non svolte dai
medesimi dipendenti, in quanto affidate a
personale esterno all'organico
dell'amministrazione medesima, ovvero prive
del predetto accertamento, costituiscono
economie. I soggetti di cui all'articolo 32,
comma 1, lettere b) e c), possono adottare
con proprio provvedimento analoghi criteri”.
La percentuale massima prevista da tale
norma è stata ridimensionata ad opera
dell’art. 18 comma 4-sexies del decreto
legge n. 185/2008, convertito in legge n.
2/2009, che ha disposto che “A decorrere
dall'01.01.2009, la percentuale prevista
dall'articolo 92, comma 5, del codice dei
contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture, di cui al decreto
legislativo 12.04.2006 n. 163, e successive
modificazioni, è destinata nella misura
dello 0,5 per cento alle finalità di cui
alla medesima disposizione (..)”.
Secondo un orientamento ormai consolidato,
(Corte dei conti, Sezione delle autonomie,
delibera 7/SEZAUT/2009/QMIG, Sezione
regionale di controllo per il Veneto,
delibere 81/2009/PAR e 82/2009/PAR), questa
Sezione ritiene che la riduzione prevista
dall’art. 18, comma 4-sexies, non si applica
a tutte quelle attività e prestazioni di
tipo tecnico (progettazione, direzione
lavori, ecc.) svolte in pendenza della
vecchia disciplina, a fronte delle quali il
personale interessato ha maturato un vero e
proprio diritto alla corresponsione degli
emolumenti, intangibile dallo jus
superveniens. Tale ammontare, infatti, non
può essere modificato per effetto di norme
successive limitative della spesa, che
regoleranno in via generale l’incentivazione
dell’attività tecnica posta in essere
successivamente alla data dell’01.01.2009,
cui farà seguito la relativa nuova
disciplina interna dell’ente, che ne
regolerà gli aspetti di dettaglio.
Nel caso di prestazioni di durata che non
si esauriscono in un’unica attività e che si
svolgono lungo un certo arco di tempo, si
ritiene che debba considerarsi la frazione
temporale di attività compiuta.
Dal quadro normativo sopra delineato, emerge
chiaramente che le previsioni di cui
all’art. 92, comma 5, del codice contratti,
come recentemente modificate, devono
essere contestualizzate per ciascuna
amministrazione in un regolamento interno,
da adottarsi secondo modalità e criteri
stabiliti dalla contrattazione decentrata,
che ha lo specifico compito di individuare
termini e modalità di liquidazione
(percentuali interne, tempistiche, ecc.) tra
le categorie di tecnici interni aventi
diritto.
Venendo, dunque, al primo quesito, appare
chiaro che la normativa di riferimento per
la liquidazione degli incentivi per la
progettazione interna fino al 31.12.2008 è
costituita sia dalla fonte legislativa di
cui all’art. 92, comma 5, del codice
contratti, sia dal regolamento interno cui
questa rinvia per gli aspetti di dettaglio.
Con riferimento all’attività tecnica posta
in essere prima dell’01.01.2009 – peraltro
presa in considerazione dal quesito - tale
regolamento assolveva anche alla funzione di
determinare la percentuale effettiva da
destinare ad incentivo, che ciascun ente
poteva scegliere fino ad un massimo del 2%
dell’importo a base di gara, in rapporto
all'entità e alla complessità dell'opera da
realizzare.
Tale ultima funzione adesso sembra essere
venuta meno, in quanto l’art. 18, comma
4-sexies, per le attività da svolgere dopo
l’01.01.2009, fa ormai riferimento ad una
percentuale fissa dello 0,5%, da modulare
tra gli aventi diritto nei termini previsti
dalle nuove previsioni regolamentari
attuative.
Proprio per via di questa necessaria
integrazione tra disciplina legislativa e
disciplina regolamentare interna,
soprattutto con riferimento all’attività
posta in essere antecedentemente
all’01.01.2009, è chiaro che l’ente, in
assenza del necessario regolamento, aveva
–ed ha tuttora- un sistema di norme
incompleto, che renderebbe illegittima,
oltre che arbitraria, qualsiasi liquidazione
di incentivi a tale titolo.
Con il secondo quesito, l’ente, al fine di
ovviare a questa situazione, chiede se è
possibile approvare un regolamento che,
facendo semplicemente un rinvio alla
percentuale massima stabilita dalla legge
vigente al momento del compimento
dell’attività incentivata, consenta la
liquidazione delle spettanze pregresse,
anche antecedenti all’01.01.2009.
Mentre per l’attività successiva a tale
ultima data non si rinvengono problemi di
sorta, visto anche il fisiologico lasso
temporale necessario per la contrattazione
dei criteri con le OO.SS., nonché per la
predisposizione del regolamento e la
relativa approvazione, per l’attività
antecedente, in assenza di un precedente
regolamento, la questione risulta
sicuramente di più difficile soluzione.
A questo proposito, però, non può
trascurarsi il fatto che i dipendenti, pur
in assenza di regolamento attuativo, hanno
regolarmente svolto la loro attività
tecnica, e dunque hanno maturato un diritto
alla percezione degli incentivi, che non può
essere compromesso dal comportamento inerte
dell’amministrazione di appartenenza.
Tale diritto nasce già in astratto dalla
stessa formulazione dell’art. 92, comma 5,
che prevede per ciascuna opera o lavoro che
le somme a titolo di incentivo siano
“destinate” ai tecnici interni interessati,
cioè che sia costituito in loro favore un
accantonamento all’interno di ciascun quadro
economico, a valere direttamente sugli
stanziamenti di cui all'articolo 93, comma
7, e che siano ripartite per ogni singola
opera o lavoro.
Orbene, il comune, anche se sprovvisto delle
previsioni regolamentari, per il periodo
fino al 31.12.2008 ha comunque provveduto ad
accantonare nei singoli quadri economici
delle varie opere pubbliche una percentuale
pari al 2% dell’importo lavori a titolo di
incentivo, ossia la misura massima pro
tempore consentita, e tali accantonamenti
dovrebbero essere tutt’ora disponibili tra i
residui passivi dell’ente.
Ne deriva che con riferimento al periodo
antecedente al 2009, la funzione di
determinazione della percentuale effettiva
sembra esser stata assolta per facta
concludentia dalla stessa amministrazione,
che con tali stanziamenti a valere sui
singoli quadri economici ha di fatto posto
in essere un’inequivocabile manifestazione
di volontà in ordine all’ammontare da
ripartire per singola opera.
In questo modo, all’emananda fonte
regolamentare, pur se intervenuta
successivamente, si demanderebbe la sola
funzione di ripartizione interna tra gli
aventi diritto di somme già accantonate.
Tale opzione potrebbe essere astrattamente
ammissibile, purché siano determinati
criteri di ripartizione interna equi e
razionali, preferibilmente d’intesa con i
diretti interessati, e soprattutto nel
rispetto della normativa vigente al momento
dello svolgimento delle singole prestazioni.
Proprio tenendo conto di quest’ultimo,
fondamentale, fattore, si rileva che il
rinvio alla misura massima consentita dalla
legge si giustifica solo nella misura in cui
l’attività tecnica incentivata sia stata
posta -o sia da porre- in essere
integralmente con personale interno.
Diversamente, infatti, si avrebbe una
duplicazione di spesa, dovuta al fatto che
le quote parti dell'incentivo corrispondenti
a prestazioni non svolte dai medesimi
dipendenti, in quanto affidate a personale
esterno all'organico dell'amministrazione
medesima, costituiscono economie.
Inoltre l’ente, nel suo prudente
apprezzamento, dovrà comunque tenere
conto del fatto che la determinazione della
percentuale effettiva di incentivo va
rapportata all’entità e alla complessità
delle opere cui questo si riferisce, e che
la liquidazione concreta che sarà fatta dal
dirigente/responsabile del servizio a
seguito dell’emanazione del regolamento,
dovrà comunque tenere conto delle
responsabilità professionali connesse alle
specifiche prestazioni. |
PUBBLICO IMPIEGO:
Comune di Valeggio sul Mincio (VR) - Parere
in merito alla corretta applicazione
delle disposizioni concernenti l'incentivo
per la progettazione di cui all'art. 92,
comma 5, del Codice dei contratti pubblici,
in seguito alle novità introdotte dall'art.
18, comma 4-sexies della legge n. 2/2009.
Decorrenza della riduzione percentuale
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere
21.05.2009 n. 82
- link a www.corteconti.it).
... la materia degli incentivi alla
progettazione interna è stata oggetto di
numerose recenti modifiche, che si ritiene
opportuno ricostruire brevemente.
In particolare:
- l’art. 92, comma 5, del codice dei
contratti pubblici ha previsto che “una
somma non superiore al due per cento
dell'importo posto a base di gara di
un'opera o di un lavoro, comprensiva anche
degli oneri previdenziali e assistenziali a
carico dell’amministrazione, a valere
direttamente sugli stanziamenti di cui
all'articolo 93, comma 7, è ripartita, per
ogni singola opera o lavoro, con le modalità
e i criteri previsti in sede di
contrattazione decentrata e assunti in un
regolamento adottato dall'amministrazione,
tra il responsabile del procedimento e gli
incaricati della redazione del progetto, del
piano della sicurezza, della direzione dei
lavori, del collaudo, nonché tra i loro
collaboratori. La percentuale effettiva, nel
limite massimo del due per cento, è
stabilita dal regolamento in rapporto
all'entità e alla complessità dell'opera da
realizzare”.
- l’art. 61, comma 8, del decreto legge n.
112/2008 convertito in legge n. 133/2008, ha
operato una modifica alla suddetta
disciplina, stabilendo che “a decorrere dal
1 gennaio 2009, la percentuale relativa a
lavori, servizi e forniture è destinata
nella misura dello 0,5% alle finalità di cui
alla medesima disposizione e, nella misura
dell’1,5%, è versata ad apposito capitolo
dell’entrata del bilancio dello Stato”.
Il successivo comma 17, poi, con riferimento
all’ambito di applicazione soggettiva delle
misure di contenimento della spesa pubblica
contemplate nell’art. 61, ha previsto che
“Le somme provenienti dalle riduzioni di
spesa e le maggiori entrate di cui al
presente articolo, con esclusione di quelle
di cui ai commi 14 e 16, sono versate
annualmente dagli enti e dalle
amministrazioni dotati di autonomia
finanziaria ad apposito capitolo
dell'entrata del bilancio dello Stato.”
Tuttavia, il medesimo comma 17 ha precisato
che “La disposizione di cui al primo periodo
non si applica agli enti territoriali e agli
enti, di competenza regionale o delle
province autonome di Trento e di Bolzano,
del Servizio sanitario nazionale.”
- l’art. 1, comma 10-quater, del decreto
legge n. 162/2008, convertito in legge n.
201/2008, ha modificato l’art. 92, comma 5,
del D. Lgs. n. 163/2006 “allo scopo di
fronteggiare la crisi nel settore delle
opere pubbliche e al fine di incentivare la
progettualità delle amministrazioni
aggiudicatrici”, disponendo che l’incentivo
in questione corrisposto al singolo
dipendente non possa superare l’importo del
rispettivo trattamento economico complessivo
annuo lordo, ed ha abrogato il citato art.
61 comma 8 del D.L. n.112/2008;
- da ultimo, l’art. 18 comma 4-sexies del
decreto legge n. 185/2008, convertito in
legge n. 2/2009, ha in sostanza reintrodotto
il contenuto del suddetto comma 8,
introducendo il comma 7-bis dell’art. 61 del
D.L. n. 112/2008, che dispone che “A
decorrere dall'01.01.2009, la percentuale
prevista dall'articolo 92, comma 5, del
codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture, di cui al
decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, e
successive modificazioni, è destinata nella
misura dello 0,5 per cento alle finalità di
cui alla medesima disposizione e, nella
misura dell'1,5 per cento, è versata ad
apposito capitolo dell'entrata del bilancio
dello Stato per essere destinata al fondo di
cui al comma 17 del presente articolo”.
Tale ultimo inciso, relativo alla quota
residua dell’1,5% (rectius, della quota
residua che va fino ad un massimo dell’1,5%,
ben potendo gli enti aver scelto una
percentuale di incentivo inferiore al 2%),
non si applica agli enti territoriali e
agli enti del SSN, le cui economie di spesa
verranno acquisite ai rispettivi saldi di
bilancio.
Del resto, l’art. 61 comma 17, con
riferimento al comma 8 abrogato, escludeva
l’applicazione di tale normativa proprio nei
confronti di tali enti.
Posto quanto sopra, si evidenzia che la
novella normativa qui considerata interviene
sul limite massimo dell’importo complessivo
dell’incentivo e non sulla distribuzione
delle quote di spettanza dei dipendenti che
hanno partecipato al procedimento.
E’ anche indubbio che a seguito della
novella normativa l’assetto regolamentare di
ripartizione dell’incentivo non solo debba
essere adeguato alla modifica normativa, ma
possa mutare in base ad una nuova
valutazione di interessi da parte
dell’amministrazione che, in considerazione
della consistente decurtazione operata dal
legislatore, potrà decidere un nuovo riparto
interno tra gli aventi diritto.
Ciò premesso, può affrontarsi la questione
sottoposta all’esame di questa Sezione,
relativa all’applicabilità o meno della
riduzione percentuale di incentivo alle
attività tecniche già poste in essere prima
dell’01.01.2009 ma non ancora remunerate a
tale data.
In primo luogo si osserva che il generale
principio d’irretroattività delle leggi
(art. 11 prel.) opera con riferimento ai
rapporti esauriti prima della data di
entrata in vigore (o della data di
efficacia, se antecedente, come nel caso
specifico) della nuova normativa, mentre
per le situazioni pendenti alla stessa data
vige il principio di applicazione immediata
della norma.
Il problema, quindi, è quello di stabilire
quale sia il concetto di situazione
pendente.
E’ indubbio che la novella normativa va ad
incidere sulla percentuale cumulativa
dell’incentivo, che è il corrispettivo
complessivo dell’attività svolta da tutti i
dipendenti coinvolti nel procedimento, ma
poiché le prestazioni rese nell’ambito del
procedimento non sono considerate
dall’ordinamento come un unicum
inscindibile, in quanto sono divisibili
naturalmente e giuridicamente, va da sé che
il concetto di situazione pendente debba
essere riferito alle singole prestazioni e
non al procedimento di appalto.
Se quelle attività e prestazioni di tipo
tecnico (progettazione, direzione lavori,
ecc.) sono state svolte in pendenza della
vecchia disciplina, a fronte di esse il
personale interessato ha maturato un vero e
proprio diritto alla corresponsione degli
emolumenti, intangibile dallo jus
superveniens.
Ciò è da ricondursi principalmente allo
stretto legame rinvenibile tra la
determinazione e la liquidazione
dell’incentivo, e le singole attività
svolte, che è identificabile in termini di
vera e propria corrispettività, come risulta
del resto dallo stesso art. 92, comma 5, del
codice dei contratti, ove si prevede che “la
ripartizione tiene conto delle
responsabilità professionali connesse alle
specifiche prestazioni da svolgere” e che
“la corresponsione dell'incentivo è disposta
dal dirigente preposto alla struttura
competente, previo accertamento positivo
delle specifiche attività svolte dai
predetti dipendenti”.
Sul fatto che una volta realizzata
l’attività incentivata il tecnico interno
vanti un vero e proprio diritto soggettivo
all’erogazione del compenso concorda
peraltro anche la giurisprudenza della Corte
di cassazione (cfr. Cass., Sez. lavoro,
sent. n. 13384 del 19.07.2004).
Ciò che conta, dunque, ai fini della
nascita di tale diritto è l’effettivo
svolgimento della prestazione, mentre, nel
caso di prestazioni di durata che non si
esauriscono in un’unica attività (es. quella
imputabile al responsabile del procedimento)
e che si svolgono lungo un certo arco di
tempo, dovrà considerarsi la frazione
temporale di attività compiuta.
Condividendosi, pertanto, l’orientamento
espresso dalla Sezione delle Autonomie con
delibera 7/SEZAUT/2009/QMIG, cui si rinvia,
si conclude nel senso che l’ammontare
dell’incentivo in questione vada ricondotto
al momento in cui è sorto il diritto, ossia
al momento del compimento dell’attività
svolta.
Tale ammontare non può essere modificato per
effetto di norme successive limitative della
spesa, che regoleranno in via generale
l’incentivazione dell’attività tecnica posta
in essere successivamente alla data
dell’01.01.2009, cui farà seguito la
relativa nuova disciplina interna dell’ente,
che ne regolerà gli aspetti di dettaglio.
I compensi da erogare successivamente
all’01.01.2009, ma relativi ad attività
svolta precedentemente, resteranno
assoggettati alla disciplina in vigore prima
dell’emanazione dell’art. 7-bis. |
dossier D.I.A. |
EDILIZIA PRIVATA:
Nella denuncia di inizio
attività, produce effetti interruttivi
l'intervento del responsabile del
procedimento diretto a richiedere
l'integrazione della pratica attraverso
l'asseverazione del progettista, qualora
questa sia stata omessa.
La asseverazione del tecnico progettista
prevista dall’art. 23, comma 1, del DPR n.
380 del 2001, anche secondo la dottrina
dominante, costituisce condizione essenziale
di efficacia della denuncia, ossia elemento
fondamentale ed imprescindibile del
procedimento (cfr. Cass. pen., Sez. III,
06.04.1995).
Essa svolge in particolare funzione
eminentemente certificativa –rafforzata
anche da specifiche previsioni
sanzionatorie, come si vedrà– nella parte in
cui il tecnico abilitato attesta la
regolarità dell’intervento da realizzare in
relazione all’intera disciplina
dell’attività edilizia.
Del resto, se la DIA di cui all’art. 19
della legge n. 241 del 1990 prevede in linea
generale che una semplice “denunzia”
a firma del privato interessato possa
attestare l’esistenza dei presupposti e dei
requisiti di legge dell’attività da
intraprendere, l’art. 23 del testo unico
edilizia sembra senz’altro sottrarre questo
potere autocertificativo al privato
esecutore dell’intervento, o almeno
attenuarne la portata, per attribuirlo
invece –quanto meno nella sua parte
prevalente– al progettista abilitato.
In questa direzione va condivisa la tesi che
qualifica la DIA come fattispecie a
formazione progressiva che si perfeziona
solo in presenza di alcuni elementi
costitutivi, tra i quali sono da annoverarsi
l’atto del privato (unitamente alla
asseverazione del progettista), il decorso
di un determinato lasso di tempo (30 gg.),
oltre alla sussistenza dei presupposti
sostanziali di operatività dell’istituto
(ossia la conformità dell’intervento alle
prescrizioni di piano).
La relazione asseverata assume in detto
contesto un’importanza fondamentale in
quanto rappresenta in concreto l’atto in
base al quale avrà luogo l’attività di
verifica in ordine alla conformità delle
opere da realizzare agli strumenti
urbanistici.
L’istituto della DIA comporta così una
inversione della tradizionale sequenza
procedimentale, poiché la dichiarazione del
privato, corredata da una relazione tecnica
attestante l’esistenza dei requisiti
stabiliti dalla legge, precede e, salvo
provvedimento inibitorio, prescinde
dall’atto amministrativo che
tradizionalmente, invece, ed almeno in via
di regola, deve autorizzare l’attività
edilizia dei privati, così come accade per
il permesso di costruire.
Risulta allora evidente che, nel caso della
DIA, il ruolo giocato dalla PA muta
radicalmente rispetto ai procedimenti
permissivi: mentre in questi ultimi il
provvedimento amministrativo è di tipo
autorizzatorio e, quindi, precede l’inizio
dei lavori, nella procedura semplificata,
invece, la pubblica amministrazione non
adotta un formale atto di consenso, ma
interviene solo in termini inibitori qualora
accerti l’assenza dei presupposti
legislativamente richiesti.
Da tale inversione procedurale discendono
indubbi vantaggi in termini di accelerazione
e di semplificazione dei procedimenti, anche
in vista del raggiungimento degli obiettivi
di liberalizzazione di quel determinato
settore economico.
Tuttavia per garantire l’ottenimento di tali
vantaggi è quanto mai necessario che
ciascuno degli attori del processo (privato
e amministrazione) rispetti il ruolo che
l’ordinamento gli attribuisce, pena la
vanificazione dell’obiettivo
legislativamente fissato.
In altre parole, qualora si acceda alla tesi
secondo la quale, ai fini dell’utile decorso
del termine, non è strettamente necessario
allegare alla dichiarazione del privato
anche l’asseverazione del tecnico abilitato
(la quale potrebbe essere allegata in ogni
momento su richiesta del responsabile del
procedimento, a giudizio del ricorrente,
senza che tale richiesta istruttoria possa
in qualche modo interrompere l’utile decorso
del termine di 30 gg.), si rischierebbe di
alterare il predetto rapporto di inversione,
ossia di ritornare agli schemi classici
secondo cui il privato chiede e la PA valuta
la legittimità della pretesa, il che non
sarebbe coerente con la ratio che
ispira il modello di semplificazione della
DIA (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 07.05.2009 n. 1012 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier RIFIUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Abbandono da parte di
ignoti e responsabilità del proprietario
dell'area.
In caso di riversamento di rifiuti su un
sito da parte di terzi ignoti, il
proprietario o comunque il titolare in uso
di fatto del terreno non può essere chiamato
a rispondere della fattispecie di abbandono
o deposito incontrollato di rifiuti sulla
propria area se non viene individuato a suo
carico l' elemento soggettivo del dolo o
della colpa, per cui lo stesso soggetto non
può essere destinatario di ordinanza
sindacale di rimozione e rimessione in
pristino (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 09.06.2009 n. 3159 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Abbandono e obbligo di
recinzione del terreno.
Sulla sussistenza di un obbligo di
recinzione in capo al proprietario di un
fondo sul quale sono stati riversati rifiuti
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 04.06.2009 n. 1006 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Abbandono ed esclusione
di responsabilità del proprietario dell'area
concessa in locazione.
In tema di abbandono di rifiuti, il
proprietario non ha la disponibilità del
bene concesso in locazione né, di
conseguenza, è consentita la facoltà di
controllare adeguatamente l'operato del
conduttore, in quanto per verificare con
precisione lo stato di fatto occorre aver
riacquistato la disponibilità del bene (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 04.06.2009 n. 878 - link
a www.lexambiente.it). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
La verifica di compatibilità del
PGT al PTCP è di competenza del dirigente,
mentre le prescrizioni di stralcio della
Provincia non hanno carattere precettivo ma
sono finalizzate a consentire, se recepite,
l’approvazione immediata del PGT.
1.
Se si considera che la valutazione di
compatibilità del piano di governo del
territorio al piano territoriale di
coordinamento provinciale mira
esclusivamente a verificare, attraverso la
mera comparazione del contenuto dei due
piani, il rispetto del PTCP da parte del PGT,
e non implica profili di discrezionalità, se
ne trae che essa non si configura come atto
di indirizzo, ma tende alla mera attuazione
degli obiettivi della pianificazione
provinciale, ed è pertanto riconducibile
alle attribuzioni dirigenziali.
2.
Nell’ambito del procedimento di verifica di
compatibilità del piano di governo del
territorio al piano territoriale di
coordinamento provinciale, le prescrizioni
della Provincia, nella parte in cui
prevedono (anche) le destinazioni degli
ambiti da stralciare, non hanno carattere
precettivo, e non escludono la possibilità
di destinazioni diverse: esse, in altri
termini, devono intendersi unicamente
finalizzate a consentire l’approvazione
immediata del piano regolatore senza
ulteriori passaggi procedimentali; nel senso
che, se il Comune recepisce le prescrizioni
di stralcio con la rispettiva destinazione,
il piano può essere approvato e produrre i
suoi effetti tout court, mentre una
destinazione diversa da quella suggerita
imporrebbe il ritorno del piano alla
Provincia per una nuova verifica di
compatibilità, ovvero l’attivazione del
procedimento di modifica o integrazione del
PTCP (TAR Lombardia-Milano, Sezione II,
sentenza 28.07.2009 n. 4468 -
link a
www.cameramministrativacomo.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' configurabile una pretesa
giuridicamente rilevante a conseguire la
compensazione tra l’importo degli oneri di
concessione determinati al momento del
rilascio del titolo edilizio e l’importo
delle opere infrastrutturali direttamente
eseguite dal titolare della concessione,
anche a prescindere dalla circostanza che
sia intervenuto o meno un accordo con il
Comune in ordine alle modalità e alle
garanzie per la loro esecuzione.
La norma di cui all’art 11 della legge
28.01.1977, n.10 prevede che “A scomputo
totale o parziale della quota dovuta, il
concessionario può obbligarsi a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione con
le modalità e le garanzie stabilite dal
Comune.”
La giurisprudenza amministrativa ha
costantemente interpretato lo scomputo di
cui alla norma sopra citata quale materia di
un vero e proprio “diritto“ del
concessionario .
Più in dettaglio, è configurabile una
pretesa giuridicamente rilevante a
conseguire la compensazione tra l’importo
degli oneri di concessione determinati al
momento del rilascio del titolo edilizio e
l’importo delle opere infrastrutturali
direttamente eseguite dal titolare della
concessione, anche a prescindere dalla
circostanza che sia intervenuto o meno un
accordo con il Comune in ordine alle
modalità e alle garanzie per la loro
esecuzione (vedi Tar Lombardia, sez III,
04.06.2002, 2275).
La società ricorrente assume, a tal
riguardo, di avere realizzato direttamente,
senza ricevere smentita dalla
amministrazione resistente, alcune opere
infrastrutturali e, segnatamente, il
completamento di una strada e la esecuzione
di opere fognarie.
La P.a., pur non avendo concordato con il
ricorrente modalità e garanzie per la
esecuzione delle opere di urbanizzazione da
valere a scomputo degli oneri concessori, ha
però serbato un contegno concludente
valevole quale “accettazione“
implicita di quanto costruito dal privato.
Ne costituisce prova l’ atto ,versato dal
ricorrente, con il quale si attesta che la
P.a. locale ha proceduto alla denominazione
della strada completata dal ricorrente,
intitolata Via E. De Nicola già sulla scorta
di una delibera di Consiglio Comunale del
1987, anche per la parte oggetto dei lavori
di completamento eseguiti direttamente dalla
società; e la mancata specifica
contestazione in ordine alla realizzazione
delle predette opere infrastrutturali.
L’applicazione del meccanismo della
compensazione tra obbligazioni che P.a. e
privato assumono reciprocamente nella fase
genetica del rapporto concessorio è del
tutto coerente con il canone di buon
andamento della P.a..
Invero, l’operatività del meccanismo
compensativo previsto dalla legge scongiura
in radice le conseguenze negative da
ascrivere ai casi di indebita locupletazione
che la P.a. può consumare ogni qualvolta
essa non riconosca strumentalmente la
utilità di opere eseguite da privati.
E’ pertanto illegittima la ordinanza
ingiunzione con la quale -disattendendo la
legittima pretesa allo scomputo avanzata
dalla ricorrente- si intima alla società
titolare di una concessione edilizia il
pagamento integrale delle residue quote
dovute per oneri di urbanizzazione, pur in
presenza della diretta realizzazione di
alcune opere infrastrutturali da parte del
concessionario, ritenute corrispondenti
all’interesse pubblico e accettate
implicitamente dall’amministrazione locale
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 18.07.2009 n. 1855 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La costituzione di un'A.T.I.
lascia impregiudicato l'assetto dei rapporti
interni fra le imprese riunite, i quali,
dunque, continuano ad essere disciplinati
secondo le regole generali in materia di
mandato.
L'associazione temporanea di due o più
imprese nell'aggiudicazione ed esecuzione di
un contratto di appalto è fondata su di un
rapporto di mandato con rappresentanza,
gratuito ed irrevocabile, conferito da una o
più imprese, collettivamente, ad altra
impresa capogruppo legittimata a compiere,
nei rapporti con l'amministrazione, ogni
attività giuridica connessa o dipendente
dall'appalto e produttiva di effetti
giuridici direttamente nei confronti delle
imprese mandanti sino all'estinzione del
rapporto, salva restando l'autonomia
negoziale delle imprese riunite per quanto
concerne la gestione a ciascuna di esse
affidati ed i rapporti con i terzi. La
costituzione di un'A.T.I. lascia
impregiudicato l'assetto dei rapporti
interni fra le imprese riunite, i quali,
dunque, continuano ad essere disciplinati
secondo le regole generali in materia di
mandato.
Conseguentemente, nel caso in cui la società
mandante di un'A.T.I. agisca in giudizio nei
confronti della società mandataria per
l'adempimento degli obblighi contrattuali
derivanti dal mandato (fra i quali, quello
di rimetterle le somme incassate in qualità
di capogruppo), essa mandante deve provare
la fonte (negoziale o legale) del suo
diritto di credito ed il relativo termine di
scadenza, limitandosi alla mera allegazione
della circostanza dell'inadempimento della
controparte, gravando poi sulla mandataria,
presunta debitrice, l'onere della prova del
fatto estintivo dell'altrui pretesa
(TRIBUNALE civile e penale di Bari, Sez. II
civile,
sentenza 10.07.2009 n. 2350 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
natura di un'opera pertinenziale.
La collocazione al di sopra di un muro di
sostegno di n. 22 fioriere in cemento
dell’altezza di cm. 60 (fissate al suolo da
elementi di cemento dell’altezza di cm. 15)
ben può essere ricompresa nell'ambito delle
«opere costituenti pertinenze od impianti
tecnologici al servizio di edifici già
esistenti», di cui all'art. 7 comma 2,
d.l. 23.01.1982 n. 9, dato che esse sembrano
possedere tutte le caratteristiche che la
consolidata elaborazione giurisprudenziale
(cfr. TAR Catanzaro, sez. II, 10.06.2008 n.
647) connette al concetto di pertinenza
edilizia:
a) un nesso oggettivo strumentale e
funzionale con la cosa principale;
b) il mancato possesso, per natura e
struttura, di una pluralità di destinazioni;
c) un carattere durevole;
d) la non utilizzabilità economica in modo
diverso;
e) una ridotta dimensione;
f) una individualità fisica e strutturale
propria;
g) l'accessione ad un edificio preesistente
edificato;
h) l'assenza di un autonomo valore di
mercato.
Da tale presupposto discende, ex art. 10 L.
n. 47/1985, la sola applicabilità nella
specie della sanzione pecuniaria, con il
conseguente annullamento dell’ordinanza di
demolizione
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 08.07.2009 n. 1449 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ambiente in genere. Industrie
insalubri.
Ai sensi degli art. 216 e 217 T.U.L.S. n.
1265/1934, il Sindaco è titolare di un
generale potere di vigilanza sulle industrie
insalubri e pericolose che può anche
concretarsi nella prescrizione di
accorgimenti relativi allo svolgimento
dell'attività, volti a prevenire, a tutela
dell'igiene e della salute pubblica,
situazioni di inquinamento: tale potere è
ampiamente discrezionale ed esercitabile in
qualsiasi tempo, sia nel momento in cui è
richiesta l'attivazione dell'impianto, sia
in epoca successiva.
Presupposto per l’esercizio di siffatto
potere è la sussistenza di un concreto
pericolo per l’ambiente e dunque per la
salute pubblica, da valutare
complessivamente previa consultazione ed
avviso degli organismi competenti in materia
sanitaria ed ambientale (ASL, ARPA), nei
sensi ed alle condizioni previste dall’art.
16 della legge n. 241 del 1990.
Tale potere, il cui mancato esercizio in
presenza dei prescritti presupposti
determina tra l’altro i reati di
danneggiamento e di omissione di atti
d’ufficio, è tuttora esercitabile anche in
presenza di norme specifiche in materia di
inquinamento (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 07.07.2009 n. 1786 -
link a www.lexambiente.it). |
ENTI LOCALI:
Per la revoca degli assessori non
e' sufficiente la motivazione politica.
La revoca del
singolo assessore deve essere motivata da
ragioni che attengono al buon andamento
dell’organo e non a mere esigenze di partito
o di coalizione
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 23.06.2009 n. 1620 -
link a www.altalex.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
I documenti trasmessi da chiunque
ad una pubblica amministrazione tramite fax,
o un altro mezzo telematico o informatico
idoneo ad accertare la fonte di provenienza,
soddisfano il requisito della forma scritta
e la loro trasmissione non deve essere
seguita da quella del documento originale.
Essendo l'uso del fax previsto dalla lex
specialis di gara ed avendo l’odierna
appellante indicato all'Amministrazione il
proprio numero telefonico abilitato per la
ricezione di comunicazioni ine-renti la
gara, non può esservi dubbio sul fatto che
la conoscenza dell'aggiudicazione acquisita
per quel mezzo fosse idonea a far decorrere
il termine per impugnare.
Con pronuncia 04.06.2007, n. 2951 la Sesta
Sezione del Consiglio di Stato ha osservato
quanto segue: “Il fax rappresenta uno dei
modi in cui può concretamente svolgersi la
cooperazione tra i soggetti, in quanto essa
viene attuata mediante l'utilizzo di un
sistema basato su linee di trasmissione di
dati ed apparecchiature che consentono di
poter documentare sia la partenza del
messaggio dall'apparato trasmittente che,
attraverso il cosiddetto rapporto di
trasmissione, la ricezione del medesimo in
quello ricevente. Tali modalità, garantite
da protocolli universalmente accettati,
indubbiamente ne fanno uno strumento idoneo
a garantire l'effettività della
comunicazione. In tal senso, infatti, si
muove la normativa più recente (d.P.R.
28.12.2000, n. 445) che consente un uso
generalizzato del fax nel corso
dell'istruttoria, sia per la presentazione
di istanze e dichiarazioni da parte dei
privati (articolo 38, comma 1) che per
l'acquisizione d'ufficio da parte
dell'amministrazione di certezze giuridiche
(articolo 43, comma 3)".
Tanto è vero che "i documenti trasmessi
da chiunque ad una pubblica amministrazione
tramite fax, o un altro mezzo telematico o
informatico idoneo ad accertarne la fonte di
provenienza, soddisfano il requisito della
forma scritta e la loro trasmissione non
deve essere seguita da quella del documento
originale" (articolo 43, comma 6).
Posto quindi che gli accorgimenti tecnici
che caratterizzano il sistema garantiscono,
in via generale, una sufficiente certezza
circa la ricezione del messaggio, ne
consegue non solo l'idoneità del mezzo a far
decorrere termini perentori, ma anche che un
fax deve presumersi giunto al destinatario
quando il rapporto di trasmissione indica
che questa è avvenuta regolarmente, senza
che colui che ha inviato il messaggio debba
fornire alcuna ulteriore prova.
Semmai la prova contraria può solo
concernere la funzionalità dell'apparecchio
ricevente; ma questa non può che essere
fornita da chi afferma la mancata ricezione
del messaggio. (cfr. in tal senso Cons.
Stato, sez. V, 24.04.2002, n. 2202)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.06.2009 n. 4032 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Condono in zone
vincolate.
E' illegittima l’ordinanza di demolizione di
opere abusive ove l’Amministrazione non si
sia prima pronunciata sull’istanza di
sanatoria in precedenza presentata
dall’interessato.
Nel caso di opere realizzate a meno di 150
metri di distanza da un corso d’acqua
rientrante tra quelli tutelati come beni di
interesse paesaggistico, correttamente viene
negata la sanatoria edilizia dell’intervento
ivi effettuato (TAR Emilia Romagna-Parma,
Sez. I,
sentenza 09.06.2009 n. 440 - link
a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
Le disposizioni di un bando di
gara che impongano all'aggiudicatario oneri
ritenuti eccessivamente gravosi integrano
una lesione attuale dell'interesse
dell'impresa concorrente.
Le disposizioni di un bando di gara che
impongano all’aggiudicatario oneri ritenuti
eccessivamente gravosi integrano una lesione
attuale dell’interesse dell’impresa
concorrente, in quanto non è possibile per
essa sottrarsi all’osservanza delle
disposizioni e presentare una propria
offerta che disattenda l’obbligo imposto
dalla stazione appaltante, sicché devono
essere impugnate tempestivamente, prima che
sia conclusa la fase di scelta del
contraente (cfr. TAR Veneto, sez. I,
28.10.2008, n. 3377) (TAR Puglia-Bari, Sez.
I,
sentenza 05.06.2009 n. 1407 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ai fini dell'esclusione dalla
gara, in assenza di parametri normativi
fissi e predeterminati, la verifica
dell'incidenza dei reati commessi dal legale
rappresentante dell'impresa sulla moralità
professionale della stessa attiene
all'esercizio del potere discrezionale della P.A..
Come ha avuto modo di affermare, ormai in
diverse occasioni, la giurisprudenza
formatasi al riguardo (cfr. Cons. St., sez.
V, 12.04.2007, n. 1723, nonché sez. V,
31.01.2006, n. 349, richiamata anche da
parte ricorrente; in precedenza Cons. St.,
sez. V, 18.10.2001, n. 5517; id.,
25.11.2002, n. 6482) “in assenza di
parametri normativi fissi e predeterminati,
la verifica dell'incidenza dei reati
commessi dal legale rappresentante
dell'impresa sulla moralità professionale
della stessa attiene all'esercizio del
potere discrezionale della P.A. e deve
essere valutata attraverso la disamina in
concreto delle caratteristiche dell'appalto,
del tipo di condanna, della natura e delle
concrete modalità di commissione del reato”
(così la citata Cons. St., sez. V, n.
1723/2007).
Dalla lettura della nota impugnata
(24.06.2008, prot. n. 17229, del Presidente
della Commissione giudicatrice) emerge,
peraltro, che tale valutazione è stata del
tutto omessa.
Ne deriva come conseguenza l’illegittimità
del provvedimento di esclusione disposto nei
confronti della ricorrente, per la manifesta
violazione dell’art. 38 del d.lgs. n.
163/2006 (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 29.05.2009 n. 808 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Gli strumenti urbanistici non
necessitano di altra motivazione oltre a
quella che è dato evincere dall'esame dei
criteri di ordine tecnico seguiti per la
redazione del piano.
Come a più riprese affermato dalla
giurisprudenza amministrativa (tra l’altro
dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 24 del 1999) in
generale gli strumenti urbanistici non
necessitano di altra motivazione oltre a
quella che è dato evincere dall’esame dei
criteri di ordine tecnico seguiti per la
redazione del piano, salvo il ricorrere di
una serie di casi in cui l’Amministrazione
ha un obbligo di motivazione più specifico,
tra cui l’ipotesi di affidamento qualificato
del privato.
Con riferimento a tale evenienza, chiarito
che “tale non è il caso dell’interesse
correlato ad una precedente previsione
urbanistica che consenta un utilizzo
dell’area in modo più proficuo, per il quale
vale il principio generale della non
necessità di motivazione ulteriore rispetto
a quelle che si possono evincere dai criteri
di ordine tecnico urbanistico seguiti per la
redazione del progetto di strumento”, la
richiamata Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato individua le ipotesi di precedente
convenzione di lottizzazione o di accordi di
diritto privato intercorsi tra Comune e
privati.
Nel caso di specie tuttavia non vi è alcun
affidamento qualificato del privato, nei
termini appena chiariti, con il risultato
che ai fini motivazionali è sufficiente il
richiamo alla relazione di accompagnamento
dello strumento urbanistico, da cui si
possono evincere i criteri generali di
ordine tecnico-discrezionale seguiti
nell’impostazione della variante (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 26.05.2009 n. 912 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’introduzione
del d.lgs. n. 259/2003 non ha messo in
discussione il potere del comune di
disciplinare la localizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazioni
nell'ambito del proprio territorio, purché
tale disciplina non si risolta in un
impedimento che renda impossibile, in
concreto, la realizzazione di una rete
completa di infrastrutture di
telecomunicazioni.
Il Comune, nell’ambito delle competenze
legislativamente stabilite, può
regolamentare la collocazione degli
impianti, sia sotto il profilo
urbanistico-edilizio, sia al fine di
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici compatibilmente
con la qualità del servizio e le esigenze
degli operatori della telecomunicazione.
Ma per raggiungere tale obiettivo, è
necessario –come chiarito dalla
giurisprudenza– che le competenze comunali
in materia siano esercitate in modo da
superare una visione atomistica tendente a
prendere in considerazione i singoli
impianti, anziché la rete di comunicazione,
e che, a tal fine, l’installazione di
infrastrutture in materia di telefonia
mobile, presentando caratteristiche
funzionali di relativa infungibilità per
quanto riguarda la localizzazione degli
impianti, sia sottoposta ad opportune
procedure di valutazione di compatibilità
con le esigenze operative del servizio, da
effettuarsi attraverso un confronto
dialettico con i gestori delle reti e la
loro partecipazione propositiva al
procedimento (cfr. TAR Umbria, 20.12.2001 n.
702).
Tale principio è stato ripetutamente
sottolineato dalla giurisprudenza
amministrativa che ha evidenziato che “la
introduzione del D.L.vo n. 259/2003 non ha
messo in discussione il potere del Comune di
disciplinare la localizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazioni
nell’ambito del proprio territorio, purché
ovviamente tale disciplina non si risolva in
un impedimento che renda impossibile in
concreto, e comunque estremamente difficile,
la realizzazione di una rete completa di
infrastrutture di telecomunicazioni (così
Cons. St. VI, 18.05.2004, n. 3193). In
particolare la assimilazione di tali
infrastrutture alle opere di urbanizzazione
primaria (stabilita dall’art. 86, 3° c.,
D.L.vo cit.) non preclude ai Comuni,
nell’esercizio del potere di pianificazione
urbanistica, di provvedere alla
localizzazione degli impianti in determinati
ambiti di territorio, sempreché sia
assicurato l’interesse nazionale ad una
capillare distribuzione del servizio. (In
tal senso Cons. St. VI, ord. 06.04.2004, n.
1612). Sennonché, … , la introduzione di
misure tipicamente di governo del territorio
(distanze, altezze, localizzazioni, ecc….)
tramite un regolamento edilizio comunale (ex
art. 8, 6° comma, L. n. 36/2001), trova
giustificazione solo se sia conforme al
principio di ragionevolezza e alla natura
delle competenze urbanistico-edilizie
esercitate, e sia sorretta da una
sufficiente motivazione sulla base delle
risultanze acquisite attraverso
un’istruttoria idonea a dimostrare la
ragionevolezza della misura e la sua
idoneità rispetto al fine perseguito”
(così Cons. St. VI, 03.06.2002, n. 3095;
16.11.2004, n. 7502; nelle stesso senso, tra
le tante, Cons. Stato, sez. VI, 03.06.2002
n. 3095; 16.11.2004 n. 7502)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 26.05.2009 n. 903 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un abuso commesso su un bene
vincolato può essere condonato, a meno che
non ricorrano, insieme, l'imposizione del
vincolo di inedificabilità relativa prima
della esecuzione delle opere, la
realizzazione delle stesse in assenza o
difformità dal titolo edilizio, la non
conformità alle norme urbanistiche e alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Secondo l’orientamento già adottato da
questa Sezione nella sentenza n. 17 del
2009, che il Collegio condivide, richiama in
funzione motivazionale e riproduce in
sintesi, le disposizioni dei citati artt. 32
e 33, da un lato, e dell’art. 32, comma 27,
lett. D), del D.L. n. 269 del 2003,
dall’altro, devono essere correlate tenendo
presente che mentre gli uni contemplano le
condizioni che consentono il condono di un
abuso, l’altro contempla invece condizioni
nelle quali l’abuso non può essere
condonato.
Il combinato disposto dell’art. 32 della
legge n. 47 del 1985 e dell’art. 32, comma
27, lett. D), del d.l. n. 269 del 2003
comporta quindi che un abuso commesso su un
bene vincolato può essere condonato, a meno
che non ricorrano, insieme, l’imposizione
del vincolo di inedificabilità relativa
prima della esecuzione delle opere, la
realizzazione delle stesse in assenza o
difformità dal titolo edilizio, la non
conformità alle norme urbanistiche e alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Se una di tali condizioni non ricorre (ad
esempio la difformità dalle norme
urbanistiche o dalle prescrizioni degli
strumenti urbanistici), l’abuso realizzato
su un immobile soggetto ad un vincolo di
inedificabilità relativa sfuggirà alla
disciplina dell’eccezione regolata dall’art.
32, comma 27, lett. D), citato (cioè alla
non condonabilità) e sarà invece
assoggettato alla disciplina generale
dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 21.05.2009 n. 1228 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un'area edificatoria già
utilizzata ai fini edilizi è suscettibile di
ulteriore edificazione solo quando la
costruzione su di essa realizzata non
esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio
dell'ulteriore permesso di costruire.
In materia deve
applicarsi il principio secondo cui un'area
edificatoria già utilizzata a fini edilizi è
suscettibile di ulteriore edificazione solo
quando la costruzione su di essa realizzata
non esaurisca la volumetria consentita dalla
normativa vigente al momento del rilascio
dell'ulteriore permesso di costruire,
dovendosi considerare non solo la superficie
libera ed il volume ad essa corrispondente,
ma anche la cubatura del fabbricato
preesistente al fine di verificare se, in
relazione all'intera superficie dell'area
(superficie scoperta più superficie
impegnata dalla costruzione preesistente),
residui l'ulteriore volumetria di cui si
chiede la realizzazione (C.S., V, n.
5039/2004). Insomma, ai fini della
quantificazione della volumetria residua
disponibile di un lotto edificato occorre
considerare tutte le costruzioni che
insistono sull'area, quelle previste con
progetti già assentiti dal Comune, come pure
gli atti di asservimento di volumetria in
favore di altro fondo (Tar Cagliari, II, n.
996/2006); non può quindi essere considerata
libera un'area già parzialmente edificata,
sicché nel calcolo della volumetria
realizzabile, ai fini del rilascio di un
permesso relativo ad una seconda
costruzione, nella perdurante esistenza del
primo edificio, dovrà tenersi conto di
quanto già realizzato (Tar Pescara, n.
88/2006).
Al riguardo, si deve ricordare che, per
principio pacifico, ai fini del calcolo dei
volumi e delle superfici utilizzabili a
scopi edificatori, non si deve tener conto
soltanto della situazione attuale delle aree
frazionate, con una verifica formalistica
per ciascuna di esse del possesso di tutti i
necessari requisiti, secondo la normativa
urbanistica vigente (lotto minimo,
superficie utilizzabile etc.), ma occorre
considerare anche la situazione antecedente
al frazionamento, riferita all'intero
terreno con gli eventuali precedenti
sfruttamenti edilizi.
Per cui, nell'ipotesi di precedente
realizzazione di un manufatto edilizio,
l'intera estensione interessata deve essere
considerata già utilizzata ai fini
edificatori, con l'effetto che l'area al
manufatto asservita o,in altri termini,che
ha espresso la volumetria già realizzata non
esprime volumetria rapportata alla sua
interezza, pur se sia oggetto di un
frazionamento o di alienazione separata
dall'area su cui insiste il manufatto
(Consiglio di Stato, sez. V, n. 749 del
10.02.2000; Consiglio di Stato, sez. V, n.
749 del 2000 cit.)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza
21.05.2009 n. 1221). |
LAVORI PUBBLICI:
Un progetto definitivo di opera
pubblica stradale, incidente in misura
rilevante sulla viabilità esistente, non può
essere approvato senza essere preceduto da
uno studio di tipo ambientale anche di
natura acustica.
Considerando anzitutto la disciplina
generale di attuazione della legge quadro
sui lavori pubblici (D.P.R. n. 554 del
1999), è ben chiaro che nell’elaborazione e
nella approvazione dei progetti preliminari
e definitivi di opere pubbliche occorre
comunque uno studio di prefattibilità
ambientale. Studio che deve essere
logicamente effettuato in via preventiva
anche quando ai sensi della normativa
vigente non è necessaria una specifica
procedura di V.I.A. (valutazione di impatto
ambientale). In particolare, la rilevanza e
l’importanza cronologica di tale studio sono
essenzialmente giustificate e giustificabili
non solo dal fatto che esso deve in via
preventiva riguardare fra l’altro i
prevedibili effetti della realizzazione
dell’intervento e del suo esercizio sulle
componenti ambientali e sulla salute dei
cittadini ma anche dal fatto che il
contenuto del successivo progetto esecutivo
deve limitarsi a riprodurre pedissequamente
e fedelmente le prescrizioni già elaborate e
già approvate nell’ambito della
progettazione preliminare e definitiva (cfr.
artt. 18, 21, 29, 2^ co., e 35 del citato
D.P.R.).
Considerando poi la disciplina nazionale in
materia di inquinamento acustico (L. n. 447
del 1995), è da notare che essa contiene
principi fondamentali vincolanti (ai sensi e
per gli effetti dell’art. 117 della
Costituzione) non solo per la tutela
dell’ambiente esterno ma anche per
l’ambiente abitativo delle popolazioni
interessate; ambiente quest’ultimo che nella
progettazione di un’opera pubblica stradale
(come nel caso di specie) deve essere
studiato in via preventiva proprio al fine
di proteggerlo adeguatamente
dall’introduzione di rumori tali da
provocare fastidio o disturbo al riposo ed
alle attività umane e quindi tali da
costituire pericolo per la salute umana
(sulla necessità di una documentata,
approfondita ed attenta valutazione e
quantificazione preventiva dei livelli di
emissioni sonore con riferimento all’art. 8,
4° co., della citata L. n. 447/1995 ed al
D.P.C.M. 01.03.1991, cfr. la sentenza di
questo Tribunale n. 25 del 25.01.2008
laddove è stata esaminata e decisa una
questione non dissimile alla presente di
omessa acquisizione della documentazione di
impatto acustico correlata ad una procedura
amministrativa mirata all’insediamento di un
impianto industriale da porre nelle
vicinanze di una abitazione) (TAR Umbria,
sentenza 19.05.2009 n. 256 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La realizzazione di una strada
costituisce opera di trasformazione
urbanistica soggetta ad autorizzazione
comunale ed è, quindi, idonea a configurare
una lottizzazione abusiva materiale, ai
sensi della prima parte del comma 1
dell'art. 18 della legge n. 47 del 1985.
Il comma 1, dell’art. 18, della legge n. 47
del 1985 (le cui disposizioni sono ora
contenute nell'art. 30 del testo unico
emanato con il suddetto D.P.R. n. 380 del
2001) prevede due ipotesi di lottizzazione
abusiva di terreni a scopo edificatorio:
la prima, denominata dalla
giurisprudenza lottizzazione abusiva
materiale (c.d. anche fisica o sostanziale),
si configura “quando vengono iniziate
opere che comportino trasformazione
urbanistica od edilizia dei terreni stessi
in violazione delle prescrizioni degli
strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o
comunque stabilite dalle leggi statali o
regionali o senza la prescritta
autorizzazione”; la seconda,
denominata a sua volta lottizzazione abusiva
negoziale, (c.d. anche formale o cartolare)
si configura “quando tale trasformazione
venga predisposta attraverso il
frazionamento e la vendita, o atti
equivalenti, del terreno in lotti che, per
le loro caratteristiche quali la dimensione
in relazione alla natura del terreno e alla
sua destinazione secondo gli strumenti
urbanistici, il numero, l'ubicazione o la
eventuale previsione di opere di
urbanizzazione ed in rapporto ad elementi
riferiti agli acquirenti, denuncino in modo
non equivoco la destinazione a scopo
edificatorio”.
Il bene giuridico protetto dalla predetta
norma, quindi, è non solo quello
dell’ordinata pianificazione urbanistica e
del corretto uso del territorio, ma anche (e
soprattutto) quello relativo all’effettivo
controllo del territorio da parte del
soggetto titolare della stessa funzione di
pianificazione (cioè dal Comune), cui spetta
di vigilare sul rispetto delle vigenti
prescrizioni urbanistiche, con conseguente
legittima repressione di qualsiasi
intervento di tipo lottizzatorio, non
previamente assentito (ex plurimis:
C.d.S. sez. IV, 06/10/2003 n. 5849), nonché
la prevenzione dei costi di urbanizzazione
primaria e secondaria, necessari in ogni
insediamento urbano, che potrebbero di fatto
ricadere a carico della finanza comunale
(Cass. Sez. Un. 28.11.1981).
La giurisprudenza di questa Sezione (cfr.
sentenza n. 1017/2008) ha precisato che la
condotta contemplata dall'art. 30, 1° comma
1°, alinea, del D.P.R. n. 380 del 2001,
avente lo stesso contenuto del comma 1,
dell’art. 18, della legge n. 47 del 1985
applicato al caso oggetto del presente
gravame, non richiede la necessaria
preesistenza o la concomitante realizzazione
di opere di urbanizzazione in senso proprio,
ben potendo essere integrata mediante la
realizzazione di qualsiasi tipo di opere in
concreto idonee a stravolgere l'assetto del
territorio preesistente, a realizzare un
nuovo insediamento abitativo, e quindi, in
ultima analisi, a determinare sia un
concreto ostacolo alla futura attività di
programmazione (che viene posta "di
fronte al fatto compiuto"), sia a
determinare un carico urbanistico che
necessita di adeguamento degli standards.
Il Collegio intende aderire e ribadire
l'orientamento giurisprudenziale che ritiene
che la realizzazione di una strada
costituisce indubbiamente opera di
trasformazione urbanistica (comportando un
mutamento del precedente assetto del
territorio) soggetta ad autorizzazione
comunale, tanto più se trattasi di strada
che costituisce accesso a singoli lotti, ed
è quindi idonea a configurare una
lottizzazione abusiva materiale, ai sensi
della prima parte del comma 1, dell’art. 18,
della legge n. 47 del 1985 (TAR Lazio,
Latina, n. 68/2002, Consiglio di Stato,
Sezione IV, n. 2445/2003).
Alla luce della giurisprudenza prevalente e
dell’orientamento di questa Sezione (cfr.
sentenza n. 1017/2008), dalla quale questo
Collegio non ritiene di doversi discostare,
la "trasformazione urbanistica" di un
sito, nel senso sopra precisato, costituisce
uno dei due elementi costitutivi necessari
che concorrono ad integrare la c.d.
lottizzazione abusiva materiale,
richiedendosi altresì, alla luce della
suddetta normativa, che tale condotta
risulti contraria alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici vigenti o comunque
stabilite da leggi statali o regionali, o in
alternativa, che venga posta in essere senza
la prescritta autorizzazione (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 12.05.2009 n. 1075 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
La proroga dei contratti non è un
istituto stabile dell’ordinamento ma è stata
prevista dall’art. 23 della l. 62/2005
soltanto nella fase transitoria successiva
all’abrogazione dell’istituto del rinnovo
sicché oggi essa risulta persino priva della
necessaria base normativa.
Nella specie, la proroga dei rapporti
pregressi è, in punto di fatto, pacifica. La
stazione appaltante ritiene peraltro che in
ciò non sia ravvisabile alcun profilo di
illegittimità vuoi perché non si tratta di
rinnovo ma di proroga tecnica in pendenza di
gara, vuoi perché, anche a voler ragionare
in termini di rinnovo, questo sarebbe
consentito dall’art. 57 del codice dei
contratti pubblici, vuoi, infine, perché
quella considerata sarebbe stata una scelta
obbligata per far fronte ad ineludibili
esigenze pubbliche.
Ritiene viceversa il Collegio che le
proroghe in questione, oltre a violare il
disposto dell’art. 23 della l. n. 65/2005,
contraddicano al generale principio
dell’evidenza pubblica, il cui rispetto è
imposto anche dal dovere di preservare il
diritto alla libera concorrenza, garantito a
livello comunitario in materia di appalti
pubblici. Una volta espunta dall’ordinamento
la disposizione che, a determinate
condizioni, consentiva il rinnovo espresso
dei contratti (art. 6, secondo comma, della
l. 537/1993), il sistema non prevede infatti
altra via che quella del reperimento del
contraente secondo le regole dell’evidenza
pubblica (Cons. Stato, Sez. V, 08.07.2008,
n. 3391).
Ciò comporta, a livello ermeneutico, un
vincolo in sede di interpretazione di ogni
altro strumento o disposizione che possano,
in linea teorica, raggiungere un effetto
sostanzialmente identico a quello del
rinnovo: si vuol dire che la stessa logica
che presiede al divieto di rinnovo esclude
che ad un effetto simile (ed altrettanto
pregiudizievole per il principio di
concorrenza) possa legittimamente pervenirsi
attraverso la proroga dei rapporti già in
essere.
D’altronde, la proroga dei contratti
(proprio per la sua potenziale nocività nei
confronti dei principi dell’evidenza
pubblica e della salvaguardia della
concorrenza) non è un istituto stabile
dell’ordinamento ma è stata prevista
dall’art. 23 della l. 62/2005 soltanto nella
fase transitoria successiva all’abrogazione
dell’istituto del rinnovo (ed anche in tale
fase risultava circondata da particolari
garanzie, come la durata non superiore a sei
mesi e la celere pubblicazione del bando di
gara) sicché oggi essa risulta persino priva
della necessaria base normativa.
La conseguenza è che questa è teorizzabile,
ancorandola al principio di continuità
dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.),
nei soli, limitati ed eccezionali, casi in
cui (per ragioni obiettivamente non
dipendenti dall’Amministrazione) vi sia
l’effettiva necessità di assicurare
precariamente il servizio nelle more del
reperimento di un nuovo contraente.
Non vi è quindi bisogno di notare come nella
fattispecie ciò che si vorrebbe qualificare
come mera proroga tecnica coincide
perfettamente con la fenomenica del rinnovo
giacché questa si è risolta in una
indeterminata prosecuzione dei precedenti
rapporti, con durata complessiva del
rapporto persino superiore a quella massima
ordinariamente presa in considerazione dal
diritto comunitario.
Non condivisibile risulta poi il richiamo
all’art. 57 del codice dei contratti.
Da questo punto di vista, va innanzitutto
premesso che anche tale disposizione va
interpretata in senso restrittivo e ciò
proprio per evitare che questa possa
risolversi in uno strumento per aggirare
l’ormai pacifico divieto di rinnovo (cfr.
Cons. Stato, Sez. VI, 31.10.2006, n. 6457,
resa con riferimento alla previgente,
analoga disciplina dettata dall’art. 7,
comma 2, lett. f, del d.lgs. 157/1995).
Va poi notato che mentre il rinnovo del
contratto si sostanzia nella riedizione del
rapporto pregresso (generalmente in virtù di
una clausola già contenuta nella relativa
disciplina), la ripetizione di servizi
analoghi di cui parla l’art. 57 del codice
postula una nuova aggiudicazione (sia pure
in forma negoziata) alla stregua di un
progetto di base. Si tratta, dunque, di due
istituti profondamente distinti: mentre il
rinnovo risultava applicabile a qualsiasi
rapporto e comportava una ripetizione delle
prestazioni per una durata pari a quella
originariamente fissata nel contratto
rinnovando, la ripetizione dei servizi
analoghi comporta un nuovo e diverso vincolo
contrattuale, con un diverso oggetto, come a
tacer d’altro si ricava dal dato che la
ripetizione può aver luogo solo nel triennio
successivo alla stipula dell’appalto
iniziale (vale a dire persino in pendenza
del contratto originario, il quale può
generalmente durare fino a quarantotto
mesi).
Rinnovo (vietato) e ripetizione dei servizi
analoghi (ammessa a certe condizioni dal
diritto di derivazione comunitaria) non sono
pertanto istituti sovrapponibili.
Ciò premesso a livello generale, un’attenta
analisi dell’art. 57 conferma che questo non
è indifferenziatamente applicabile a tutte
le ipotesi in cui si tratti della
“ripetizione di servizi analoghi”.
Dal punto di vista letterale (a parte gli
altri vincoli ai quali la ripetizione è
subordinata) non deve infatti sfuggire che
l’art. 57 del codice dei contratti
(analogamente alla corrispondente
disposizione della direttiva 2008/14/CE) ha
come oggetto una nuova aggiudicazione (sia
pure in forma negoziata e senza previa
pub-blicazione di un bando) di “nuovi
servizi”. La disposizione si riferisce,
cioè, a servizi la cui esecuzione, al
momento della indizione della gara
originaria, è presa in considerazione solo a
livello di mera eventualità perché, a
quell’epoca, il relativo bisogno non esiste.
E’ questa la ragione per la quale la
disposizione, dal punto di vista letterale,
parla di “nuovi servizi”: si tratta,
appunto, di servizi in relazione ai quali il
bisogno è eventuale e può sorgere solo
successivamente alla gara originaria. Ed è
per questo che la stazione appaltante, pur
prendendoli in considerazione nel bando, non
li assegna all’esito della corrispondente
procedura concorsuale ma si riserva la
facoltà di farlo nel triennio dalla stipula
del contratto.
Questa impostazione è confermata a livello
sistematico. Se l’art. 57 del codice dei
contratti si riferisse a prestazioni della
cui ripetizione vi fosse certezza sin dal
momento della indizione del-la gara
originaria (e quindi se la ripetizione in
parola fosse indifferenziatamente
applicabile a tutti i servizi), i relativi
bandi dovrebbero prenderne in considerazione
il valore anche dal punto di vista dei
requisiti di qualificazione, mentre la
disposizione in esame (al pari della
corrispondente disposizione recata a livello
comunitario) ne prevede il computo ai soli
fini del principio di infrazionabilità
surrettizia della soglia dell’appalto.
I requisiti di partecipazione, anche in caso
di possibile ripetizione ex art. 57, vengono
dunque tarati solo sul valore certo
dell’appalto (quello per il quale la gara è
effettivamente celebrata) proprio perché la
ripetizione, al momento della gara, non è
affatto certa ma solo eventuale e destinata
a conseguire ad una nuova, distinta (ed
altrettanto eventuale) aggiudicazione (sia
pure all’esito di una procedura negoziata).
Se fosse diversamente, d’altronde, si
darebbe luogo ad una restrizione del
possibile novero dei partecipanti contraria
al principio di proporzionalità poiché i
requisiti di ammissione verrebbero a
risultare inaspriti in funzione di un
innalzamento dell’importo della gara che è
invece solo eventuale (perché eventuale è la
successiva assegnazione della ripetizione
dei servizi analoghi).
L’art. 57 del codice dei contratti non fonda
dunque una nuova ipotesi di generale
rinnovabilità dei contratti di servizi
consistente nella ripetizione di servizi
analoghi a quelli affidati all’esito di una
gara ma si riferisce soltanto ad eventuali
esigenze di servizi analoghi (distinti dai
servizi complementari) sopravvenute nel
triennio successivo alla stipula del
contratto.
Ipotesi, questa, che manifestamente non
ricorre nel caso esaminato, nel quale
l’esigenza di disporre di un servizio di
magazzino era comunque certamente presente
alla stazione appaltante al momento della
stipula del contratto originario (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2009 n. 2882 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
L'obbligo di motivazione del
provvedimento di revoca dell'incarico di un
singolo assessore (o di più assessori) può
basarsi sulle più ampie valutazioni di
opportunità politico-amministrativa, rimesse
in via esclusiva al Sindaco.
L’atto di revoca dell’assessore comunale non
rientra fra gli atti politici e perciò non
impugnabile davanti al giudice
amministrativo alla stregua dell'art. 31
T.U. sul Consiglio di Stato di cui al R. D.
26.6.1924 n. 1054; di conseguenza, deve
ritenersi ammissibile l'impugnativa di un
atto del genere davanti al giudice
amministrativo, in quanto posto in essere da
un'autorità amministrativa e nell'esercizio
di un potere amministrativo, sia pure
ampiamente discrezionale (C. St., V, n.
209/2007).
L’atto di revoca dell’incarico di assessore
non è soggetto all’obbligo della
comunicazione di avvio del relativo
procedimento in considerazione della
specifica disciplina normativa che regola i
rapporti Sindaco-Assessore.
Invero, le norme in materia di
partecipazione possono essere invocate
quando l'ordinamento prende in qualche modo
in considerazione gli interessi privati in
quanto ritenuti idonei ad incidere
sull'esito finale per il migliore
perseguimento dell'interesse pubblico,
mentre tale partecipazione diventa
indifferente in un contesto normativo nel
quale la valutazione degli interessi
coinvolti è rimessa in modo esclusivo al
Sindaco, cui compete in via autonoma la
scelta e la responsabilità della compagine
di cui avvalersi per l'amministrazione del
Comune nell'interesse della comunità locale,
con sottopozione del merito del relativo
operato unicamente alla valutazione del
consiglio comunale.
Per questo il relativo procedimento è
semplificato al massimo per consentire
un'immediata soluzione della crisi
intervenuta nell'ambito del governo locale,
articolandosi nei seguenti passaggi:
valutazione della situazione da parte del
sindaco, scelta sindacale di modificare la
composizione della giunta nell'interesse
della comunità locale e comunicazione
motivata di ciò al consiglio comunale, senza
l'interposizione della comunicazione
dell'avvio del procedimento all'assessore
assoggettato alla revoca, la cui opinione è
irrilevante per la normativa attuale salvo
che non venga fatta propria dal consiglio
comunale ( si veda C. St. V, n. 209/2007).
Per quanto riguarda la motivazione, occorre
considerare che la revoca dell'incarico di
assessore è posta essenzialmente nella
disponibilità del sindaco e che la
comunicazione al consiglio è tendenzialmente
diretta al mantenimento di un corretto
rapporto collaborativo tra sindaco-giunta ed
il consiglio comunale, il quale potrebbe
eventualmente opporsi ad un atto del genere,
ma con l'estremo rimedio della mozione di
sfiducia motivata (art. 37 L. n. 142/1990,
come sostituito dall'art. 18 L. n. 81/1993
ed art. 52 D. L.vo n. 267/2000), che però
comporta in caso di approvazione lo
scioglimento del consiglio stesso; l'obbligo
di motivazione del provvedimento di revoca
dell'incarico di un singolo assessore (o di
più assessori), quindi, va valutato nel
suesposto quadro normativo ed esso può
senz'altro basarsi sulle più ampie
valutazioni di opportunità
politico-amministrativa, rimesse in via
esclusiva al sindaco, tenendo conto sia di
esigenze di carattere generale, quali ad es.
dei rapporti con l'opposizione o rapporti
interni alla maggioranza consiliare, sia di
particolari esigenze di maggiore operosità
ed efficienza di specifici settori
dell'amministrazione locale o
dell'affievolirsi del rapporto fiduciario
tra il capo dell'amministrazione ed il
singolo assessore (Cfr. C. St. V, n.
209/2007 e, con riferimento alla revoca del
presidente del consiglio comunale ed alla
revoca di un consigliere comunale componente
di una comunità montana, C. St., V, n. 1042
del 03.04.2004 e n. 5864 del 07.09.2004)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 06.04.2009 n. 396 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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