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ANNO CORRENTE

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ANNO 2013
 

SINO ALL'ANNO 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANNO 2012
aggiornamento al 31.12.2012

APPALTIAppalti, la verifica si fa sul web. Le p.a. controlleranno online i requisiti delle imprese. La procedura dell'Authority parte subito per i lavori sopra i 20 mln. A regime da luglio 2013.
Dal 1° gennaio verifiche online per gli appalti pubblici attraverso l'Avcpass dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, anche se il sistema sarà realmente obbligatorio per tutti gli appalti oltre i 40 mila euro dal 01.07.2013. I concorrenti dovranno registrarsi presso l'Autorità e tramite Posta elettronica certificata (Pec) inserire i documenti sul sistema che, una volta attivato, permetterà alle stazioni appaltanti di controllare i requisiti dichiarati senza più chiedere documenti cartacei.
È quanto prevede la deliberazione 24.12.2012 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che rende possibile la verifica dei requisiti di partecipazione agli appalti pubblici attraverso un sistema informatico collegato alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici, istituita presso l'Autorità.
In realtà dalla delibera si evince che il sistema sarà a regime per la maggior parte degli appalti dal 01.07.2013, anche se dal 01.01.2013, per i soli appalti di lavori oltre i 20 milioni, sarà possibile utilizzare l'Avcpass. L'applicazione consentirà, da un lato, alle stazioni appaltanti l'acquisizione della documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario per l'affidamento dei contratti pubblici (per l'aggiudicatario e i concorrenti sorteggiati in sede di verifica) e, dall'altro, agli operatori economici (imprese e professionisti) di inserire i documenti richiesti (previa registrazione al sistema Avcpass e utilizzando obbligatoriamente la propria Pec), con un notevole risparmio di tempo e di costi.
La delibera individua i dati concernenti la partecipazione alle gare e la valutazione delle offerte e prevede che l'Avcpass si applichi a tutte le tipologie di contratti disciplinate dal Codice per le quali è previsto il rilascio del Codice identificativo gara (Cig), cioè a quelle oltre i 40 mila euro. Il sistema prevede che dopo la registrazione al servizio Avcpass (accedendo al sito www.avcp.it -servizi ad accesso riservato– Avcpass), il concorrente indichi gli estremi della procedura di affidamento cui intende partecipare e riceva un «Passoe» da inserire nella busta contenente la documentazione amministrativa. Fermo restando l'obbligo per l'operatore economico di presentare le autocertificazioni richieste dalla normativa vigente in ordine al possesso dei requisiti per la partecipazione alla procedura di affidamento, il «Passoe» rappresenta lo strumento necessario per procedere alla verifica dei requisiti stessi da parte delle stazioni appaltanti.
Sarà poi il responsabile del procedimento (Rup) a chiedere all'Autorità i documenti a comprova dei requisiti autodichiarati dal concorrente. Gli operatori economici dovranno invece caricare sul sistema i documenti in proprio possesso. Per quel che riguarda i certificati dei servizi e delle forniture svolte, la delibera prevede che a regime siano messi a disposizione dall'Autorità che quindi dovrebbe acquisirli dalle stazioni appaltanti. Però, in considerazione del fatto che in molti settori non esiste un sistema standardizzato di certificati utilizzabili, la delibera prevede che, in via transitoria, gli operatori economici possono inserire nel sistema, al posto dei certificati dei servizi o delle forniture svolte, le fatture relative alle prestazioni svolte indicando, ove disponibile, il Cig del contratto cui si riferiscono (articolo ItaliaOggi del 29.12.2012).

APPALTIDECRETO CRESCITA/ Le imprese pagano per i bandi. Costi di pubblicazione dell'ente rimborsati da chi vince. Il meccanismo entrerà in vigore il 1° gennaio prossimo.
Dal 01.01.2013 le spese per la pubblicazione sui quotidiani dei bandi e degli avvisi di gara saranno rimborsate alla stazione appaltante dall'affidatario del contratto; rimane sempre ferma la disciplina prevista nel Codice dei contratti pubblici che obbliga anche dopo il 1° gennaio le stazioni appaltanti a pubblicare i bandi e gli avvisi, oltre che sulla Gazzetta Ufficiale, sul proprio sito internet e su quello del ministero delle infrastrutture e dell'Osservatorio dell'Autorità, anche per estratto su quotidiani a diffusione nazionale e locale.

È questo il quadro che si ricava alla luce del comma 35 dell'articolo 34 del decreto legge 179/2012, (legge 221/2012).
La norma prende in considerazione soltanto l'onere di pubblicità sui quotidiani di bandi e avvisi di gara che fa capo alle stazioni appaltanti e che riguarda la pubblicazione per estratto, ai sensi dell'articolo 66, comma 7, del Codice dei contratti pubblici, su due quotidiani a diffusione nazionale e due a diffusione locale, se si tratta di contratti di rilevanza comunitaria (ai sensi dell'articolo 122, comma 5, del Codice, su un quotidiano a diffusione nazionale e locale, se il contratto è al di sotto delle soglie di applicazione della normativa comunitaria). In sostanza il nuovo comma 35 dell'articolo 34 del provvedimento stabilisce che a partire dai bandi e dagli avvisi pubblicati successivamente al 01.01.2013, le spese per la pubblicazione per estratto sui quotidiani previste dalle norme del Codice (i citati articoli 66, comma 7 e 122, comma 5) «sono rimborsate alla stazione appaltante dall'aggiudicatario, entro il termine di 60 giorni dall'aggiudicazione».
La norma ha due effetti, ma lascia aperto un dubbio interpretativo che dovrebbe essere in qualche modo risolto.
Il primo effetto è quello di confermare a chiare lettere che anche dal 01.01.2013 le stazioni appaltanti sono comunque tenute alla pubblicazione sui quotidiani dei bandi e degli avvidi di gara per estratto. Da ultimo, e prima dell'approvazione della legge «anticorruzione», il dubbio poteva infatti esservi. Nel 2009, infatti, il comma 5 dell'articolo 32 della legge n. 69/2009 aveva stabilito che proprio a decorrere dal 01.01.2013, le pubblicazioni effettuate in forma cartacea non avessero più «effetto di pubblicità legale, ferma restando la possibilità per le amministrazioni e gli enti pubblici, in via integrativa, di effettuare la pubblicità sui quotidiani a scopo di maggiore diffusione, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio».
Con tutta probabilità, quindi, la pubblicazione sui quotidiani sarebbe sparita. Con la recente legge 06.11.2012, n. 190 («anticorruzione») il legislatore ha però previsto una disposizione «di salvezza» delle norme in materia di pubblicità contenute nel Codice dei contratti pubblici In sostanza, quindi, l'aver fatte salve le due norme del Codice dei contratti pubblici (vedi ItaliaOggi del 30.11.2012, pag. 35) ha significato implicitamente abrogare la norma che avrebbe fato perdere efficacia legale alla pubblicità sui quotidiani a decorrere da inizio 2013. Appare evidente, adesso, che la disposizione del decreto legge sulla crescita, nel testo del maxi-emendamento, nel prendere atto della norma della legge 190/2012, non fa altro che confermare l'obbligo di pubblicità sui quotidiani occupandosi però di venire incontro alle difficoltà di bilancio delle stazioni appaltanti.
Il secondo effetto è, appunto, quello di sollevare le finanze delle amministrazioni che, seppure dovranno sopportare inizialmente le spese di pubblicazione, si vedranno rimborsare tali spese dall'aggiudicatario del contratto dopo due mesi dall'aggiudicazione. Una sorta di spending review sulle spalle delle imprese.
Il dubbio interpretativo riguarda il fatto che, dal tenore letterale della norma, non si desume se e come chi partecipa alla gara avrà contezza dei costi già sostenuti dalla stazione appaltante, il che farà una certa differenza soprattutto quando le gare sono al massimo ribasso (articolo ItaliaOggi del 28.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTILe stazioni appaltanti dovranno iscriversi all'Anagrafe unica.
Le stazioni appaltanti dovranno iscriversi all'anagrafe unica istituita presso la Banca dati dei contratti pubblici, gestita dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che dovrebbe essere attivata entro il 01.01.2013; in caso di inadempimento dell'obbligo di iscrizione scatta la nullità degli atti e la responsabilità amministrativa e contabile del funzionario responsabile.

È questa una delle principali novità contenuta nel testo del decreto legge 179 convertito, presentato dal governo e sul quale l'aula del senato ha votato ieri la fiducia.
Si tratta di una assolta novità l'istituzione presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture dell'anagrafe unica delle stazioni appaltanti alla quale obbligatoriamente ogni stazione appaltante dovrà iscriversi. La norma precisa infatti che le stazioni appaltanti di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture saranno tenute a richiedere l'iscrizione all'anagrafe unica presso la banca dati nazionale dei Contratti pubblici istituita ai sensi dell'articolo 52-bis del codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 07.03.2005 n. 82.
In sostanza ciò significa che prima dovrà essere attiva la banca dati nazionale dei contratti pubblici (che dovrebbe partire il 01.01.2013, quanto meno per gli affidamenti di rilievo superiore alla soglia comunitaria, stando ad alcune indiscrezioni filtrate nelle ultime settimane) e poi le amministrazioni potranno iscriversi. Sarà l'Autorità di vigilanza presieduta da Sergio Santoro a dettare, poi, con una propria delibera, le modalità operative e di funzionamento della anagrafe.
Gli obblighi per le amministrazioni non si esauriscono però nella mera iscrizione all'anagrafe, perché esse dovranno anche procedere, ogni anno, all'aggiornamento dei rispettivi dati identificativi. L'inadempimento di questi obblighi è previsto che dia luogo alla nullità degli atti adottati e alla responsabilità amministrativa e contabile dei funzionari responsabili (articolo ItaliaOggi del 28.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTINulla di fatto per le modifiche alla responsabilità solidale.
Nulla di fatto per la responsabilità solidale negli appalti: rimane la disciplina attuale; ammessi i contratti di rete nelle gare di appalto; salta all'ultimo momento l'estensione della disciplina sui crediti di imposta per le infrastrutture in PPP di importo superiore a 100 milioni e per quelle già aggiudicate.
È quanto emerge dal testo del dl 179/2012 convertito che proprio per il settore delle infrastrutture in project financing compie alcuni significativi passi indietro. Si parlava, con alcuni emendamenti dei relatori, di due modifiche alla disciplina sui crediti di imposta: la riduzione da 500 a 100 milioni della soglia minima di applicazione e della possibilità di utilizzarli anche per le opere aggiudicate.
Le due modifiche sono però saltate e tutto invariato. Stessa sorte per la proposta di esclusione del settore degli appalti pubblici dalla disciplina sulla responsabilità solidale fiscale; anche in questo caso la norma non compare più nel testo finale.
Rappresenta invece una novità, peraltro presa dal disegno di legge semplificazioni-bis, riguarda i cosiddetti contratti di rete stipulati fra aggregazioni di imprese ai sensi dell'articolo 3, comma 4-ter, del decreto legge 10.02.2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 09.04.2009, n. 33. La norma approvata ieri stabilisce che alle aggregazioni che si basano su questi contratti si applicano le disposizioni dell'articolo 37 del Codice dei contratti pubblici che, a sua volta, detta le regole per la costituzione e il funzionamento dei raggruppamenti temporanei di imprese e dei consorzi ordinari di concorrenti.
Ciò dovrebbe significare che le imprese che hanno sottoscritto il contratto di rete dovranno configurare la propria «aggregazione» secondo le regole proprie di queste due tipologie di soggetti raggruppati, quanto meno, quindi, secondo lo schema del mandato con rappresentanza. Infine per far fronte ai pagamenti per lavori e forniture già eseguiti, l'Anas potrà utilizzare le risorse dell'ex Fondo centrale di garanzia, nel limite di 400 milioni di euro (articolo ItaliaOggi del 28.12.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl Durc dell'Inail è solo online. Dal 2 gennaio la richiesta va fatta in via telematica. Una circolare dell'Istituto indica i servizi che con il nuovo anno saranno su internet.
Dal 2 gennaio la richiesta del Durc potrà essere fatta all'Inail soltanto online. Così come solo per via telematica si dovranno presentare le domande di riduzione dei tassi medi di tariffe e i ricorsi in materia di applicazione delle tariffe dei premi.

L'Inail prosegue così sulla strada della telematizzazione obbligatoria dei servizi, avviata all'inizio del 2012, e con la circolare 21.12.2012 n. 68 indica il nuovo gruppo di istanze destinate a transitare solo online.
Riduzione del tasso medio di tariffa dopo il primo biennio di attività. Le aziende, operative da almeno un biennio, che eseguono interventi per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro, possono richiedere, entro il 28 febbraio (29 febbraio in caso di anno-bisestile) dell'anno per il quale la riduzione è richiesta, la riduzione del tasso medio di tariffa dopo il primo biennio di attività (riduzione per prevenzione OT 24). L'istanza di riduzione deve essere presentata utilizzando l'apposito servizio online attivo in www.inail.it alla sezione Punto Cliente - Denunce.
Riduzione del tasso medio di tariffa nei primi due anni di attività. Nei primi due anni di attività la riduzione dei premi può essere richiesta da tutti i datori di lavoro in regola con le disposizioni obbligatorie in materia di prevenzione infortuni. In questo caso la domanda deve essere presentata utilizzando l'apposito servizio online attivo in www.inail.it alla sezione Punto Cliente - Denunce all'atto della denuncia dei lavori, dopo l'inizio dei lavori (in qualsiasi momento, ma non oltre la scadenza del biennio di attività).
Ricorsi in materia di tariffe dei premi. I provvedimenti in materia di applicazione delle tariffe dei premi possono essere oggetto di ricorso al presidente dell'Istituto. Il ricorso deve essere proposto entro 30 giorni dalla piena conoscenza degli atti impugnati utilizzando il servizio online attivo in www.inail.it alla sezione Punto Cliente - Ricorsi on-line.
Documento unico di regolarità contributiva (Durc). Tutte le tipologie di richiesta di Durc devono essere effettuate esclusivamente utilizzando l'apposito servizio telematico disponibile sul sito www.sportellounicoprevidenziale.it. L'obbligo di richiedere il Durc esclusivamente in via telematica era già stato previsto per le amministrazioni pubbliche, i soggetti privati a rilevanza pubblica, le società di qualificazione (Soa), i consulenti del lavoro e per tutti gli altri intermediari previsti dalla legge 11.01.1979, n. 12.
Contributi di malattia e maternità per il settore della navigazione. Dovrà essere fatta esclusivamente online anche la denuncia mensile dei contributi di malattia e/o di maternità per il personale delle imprese di navigazione e del settore volo, compresa quella riguardante le quote di servizio e i contributi per l'assistenza contrattuale, limitatamente alle convenzioni in essere con l'Istituto. La denuncia deve essere effettuata utilizzando i servizi online disponibili sul sito www.inail.it - Navigazione marittima - Servizi on-line - Accesso Area dedicata agli utenti del settore navigazione- Denuncia contributi malattia e maternità.
Assistenza. A disposizione di aziende e consulenti ci saranno il contact center multicanale (Ccm) al numero verde 803.164 e il servizio -Inail Risponde- (disponibile nell'area Contatti del portale www.inail.it) per richiedere informazioni o chiarimenti sull'utilizzo dei servizi online e approfondimenti normativi e procedurali. Per gli utenti del settore marittimo, inoltre, è attivo uno specifico servizio di help-desk per la soluzione di eventuali problematiche di natura tecnica, raggiungibile al seguente indirizzo: helpdesk.navigazione@inail.it (articolo ItaliaOggi del 28.12.2012).

PUBBLICO IMPIEGO - VARI: LE NUOVE PENSIONI/ Al debutto la speranza di vita. Ai requisiti anagrafici si sommano per tutti tre mesi in più. Dal 01.01.2013 in vigore le regole della riforma Fornero.
Pensione sempre più lontana. Tre mesi almeno per tutti, da Capodanno, e senza contare il passo in avanti già preventivato dalla riforma Fornero.
I tre mesi sono l'effetto della cosiddetta speranza di vita che il prossimo 1° gennaio farà debutto (è la prima volta) sulla scena pensionistica. Vediamo, dunque, come si potrà andare in pensione nel 2013 tenendo conto che i requisiti (in sintesi riprodotti in tabella) si differenziano in base al regime contributivo cui si appartiene: quello retributivo/misto (chi possiede un'anzianità contributiva al 31.12.1995) e quello contributivo (chi non possiede un'anzianità contributiva al 31.12.1995).
Da quattro a due pensioni. Fino all'anno scorso si era abituati a ragionare sulle pensioni avendo in mente quattro possibilità: la pensione di vecchiaia retributiva, la pensione di vecchiaia contributiva, la pensione di anzianità con le quote e la pensione di anzianità con il massimo di lavoro (i famosi 40 anni). Dal 1° gennaio 2012 sono scomparse queste pensioni, sostituite da due prestazioni: la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata.
Lavoratori con anzianità contributiva al 31.12.1995. Nel 2013 hanno diritto alla pensione di vecchiaia con almeno 20 anni di contributi e un'età di: ... (articolo ItaliaOggi del 28.12.2012).

ENTI LOCALIBilanci 2013 zeppi di incognite. I nodi: Imu, fondo di solidarietà, trasferimenti regionali. Il 2012 lascia in eredità molte questioni aperte. Giro di vite sugli oneri di urbanizzazione.
L'esercizio finanziario che sta per iniziare si presenta, per i comuni, ricco di incognite quanto quello che sta per concludersi. Non a caso, la legge di stabilità 2013, appena approvata dal parlamento, ha rinviato di sei mesi (al 30 giugno) il termine per l'approvazione del prossimo bilancio di previsione.
Alcune delle questioni aperte nascono proprio da partite relative al 2012 non ancora chiuse.
In primo luogo, entro il prossimo mese di febbraio si provvederà alla regolazione dei rapporti finanziari con lo stato a seguito della verifica del gettito dell'Imu (art. 9, comma 6-bis, del dl 174/2012). In ogni caso, il Mef ha chiarito che, in sede di consuntivo, gli enti dovranno confermare l'importo relativo al gettito stimato dal dipartimento delle finanze e che tale entrata convenzionale deve essere considerata valida ai fini del Patto.
Contestualmente, dovrebbe essere reso definitivo il riparto del taglio da 1.450 milioni previsto dall'art. 28 del dl 201/2011, anch'esso legato alla distribuzione territoriale dell'Imu.
Infine, entro il 31 marzo (termine perentorio) i comuni soggetti al Patto di quest'anno dovranno comunicare al ministero dell'interno (con modalità da stabilire entro il 31 gennaio) l'importo non utilizzato per l'estinzione o la riduzione anticipata del debito ai sensi dell'art. 8, comma 3, del dl 174, che verrà decurtato nel 2013. Tutte queste variazioni riguardano la competenza 2012, ma in termini di cassa incideranno sul 2013.
La nuova Imu
Lo «spacchettamento» dell'Imu deciso dalla legge di stabilità (con destinazione ai comuni dell'intero gettito sugli immobili residenziali ed allo stato di quello relativo agli immobili produttivi), per quanto opportuno in una prospettiva di medio-periodo, nell'immediato pone altri punti interrogativi, essendo (inevitabilmente) accompagnato da un nuovo meccanismo perequativo (il fondo di solidarietà comunale) che sostituisce il fondo sperimentale di riequilibrio (e i residui trasferimenti erariali) e che difficilmente sarà operativo prima del mese di maggio. Per la definizione dei relativi criteri di formazione e di riparto, infatti, è prescritta l'adozione di un dpcm che dovrà essere emanato (previo accordo in Conferenza stato-città e autonomie locali) entro il 30 aprile (in caso di mancato accordo il termine per l'emanazione slitta di 15 giorni).
Nelle more, il Viminale provvederà, entro il 28 febbraio, ad erogare un anticipo pari al 20% di quanto dovuto ai comuni per l'anno 2012 a titolo di fsr o di trasferimenti (a tal fine si assumerà come riferimento l'importo delle spettanze pubblicato alla data del 31.12.2012). I successivi conguagli dovranno tenere conto di una lunga serie di parametri (costi e fabbisogni standard, dimensione demografica e territoriale, capacità fiscale ai fini Imu e distribuzione del relativo gettito, tagli ex art. 16 del dl 95), oltre che ovviamente, anche in tal caso, dell'esito delle verifiche sull'Imu 2012. Per evitare oscillazioni eccessive, la legge di stabilità ha previsto l'introduzione di una clausola di salvaguardia, che dovrebbe «limitare le variazioni, in aumento e in diminuzione, delle risorse disponibili».
Tares
Non pochi dubbi avvolgono anche il nuovo tributo comunale su rifiuti e servizi indivisibili (Tares), che dal 1° gennaio sostituirà Tarsu, Tia1 e Tia2. Sui siti di diversi comuni, infatti, si trovano ancora istruzioni di pagamento ormai superate (in quanto riferite al precedente regime fiscale o tariffario), che vanno aggiornate quanto prima. Al riguardo, occorre tener presente che la Tares può essere pagata o in un'unica soluzione entro il mese di giugno o in modo rateizzato. I comuni possono decidere autonomamente il numero e la scadenza delle rate (la disciplina standard ne prevede 4, scadenti a gennaio, aprile, luglio e ottobre), ma per il 2013 la legge di stabilità ha previsto che il versamento della prima rata sia comunque posticipato ad aprile e che i comuni non possano anticiparlo, ma solo eventualmente differirlo.
Sempre per il 2013, inoltre, fino alla determinazione delle nuove tariffe, l'importo da pagare è commisurato a quanto versato nel 2012 a titolo di Tarsu o di Tia, salvo conguaglio, e il pagamento della quota per i servizi indivisibili è effettuato nella misura standard di 0,30 euro al metro quadrato fino all'ultima rata, allorché verrà effettuato il conguaglio riferito all'eventuale incremento della maggiorazione fino a 0,40 euro.
Trasferimenti regionali
Nebuloso è anche il destino trasferimenti regionali, che dal 2013 dovrebbero essere fiscalizzati e sostituti da una compartecipazione all'addizionale regionale Irpef (e alla tassa automobilistica regionale per le province). Al momento, tuttavia, quasi nessuna regione ha provveduto (si veda ItaliaOggi del 23 novembre).
Oneri di urbanizzazione
Dal prossimo anno, infine, non potranno più essere applicati alla parte corrente della spesa i proventi degli oneri di urbanizzazione: non è stata, infatti, prorogata la deroga di cui all'art. 2, comma 8, della legge 244/2007, che ha quindi esaurito i suoi effetti nel 2012 (articolo ItaliaOggi del 28.12.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOTrasparenza, albo e sito a braccetto. I chiarimenti in una delibera Civit.
Doppia trasparenza per gli enti locali. L'albo pretorio non basta per la pubblicazione delle varie informazioni che occorre mettere in evidenza ai fini delle varie disposizioni che puntano sulla cosiddetta total disclosure. Occorre sempre replicare ogni atto nella sezione «Trasparenza, valutazione e merito», obbligatoriamente prevista nei siti internet istituzionali, ai sensi del dlgs 150/2009.

Lo ha stabilito la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit) con la deliberazione 18.12.2012 n. 33/2012, confermando che l'attuale regime delle pubblicazioni complica le cose per le amministrazioni, costrette ad un'ondata di burocrazia, in attesa che si modifichi il regime normativo delle pubblicazioni obbligatorie.
La Civit ha inteso rispondere ad uno dei primi problemi applicativi delle disposizioni dell'articolo 18 del dl 83/2012, convertito in legge 134/2012, la norma sulla cosiddetta «amministrazione aperta», che in effetti crea un doppione di molte pubblicazioni già obbligatorie ai sensi di altre norme, relativamente ai procedimenti di erogazione di contributi o di assegnazione di incarichi di collaborazione esterna e di appalti, di importi superiori ai 1.000 euro.
Si constata, nella deliberazione della Civit, che alcuni tra gli atti da pubblicare nell'albo pretorio (avvisi, bandi di gare, appalti, bandi di concorso per l'assunzione di personale) rientrano tra quelli che sia a norma dell'articolo 18 della legge 134/2012, sia a norma della legge 190/2012 (anticorruzione) devono essere pubblicati anche sul sito dell'ente.
Secondo la Civit, «ad analoga conclusione si può pervenire esaminando l'oggetto di alcune delle determinazioni dirigenziali».
Né la norma sull'amministrazione aperta, né la legge anticorruzione hanno espressamente previsto che le pubblicazioni da esse previste siano sostitutive di quella all'albo pretorio, che non è stata abrogata.
I primi osservatori avevano constato che in ragione di ciò, le disposizioni sulla trasparenza fossero da cumulare: gli adempimenti, dunque, sono aggiuntivi e non sostitutivi l'uno dell'altro.
La Civit, correttamente, osserva che l'inserimento degli atti nell'albo pretorio ha una durata temporalmente limitata: ciò induce a ritenere tenere «distinto l'obbligo di affissione nell'albo pretorio da quello di pubblicazione sul sito web»; il secondo, infatti, non è espressamente soggetto a limiti temporali (semmai, il problema è dato da limiti «fisici» degli spazi di archiviazione).
Da qui la conclusione tratta dalla Civit: «L'affissione di atti nell'albo pretorio online non esonera l'amministrazione dall'obbligo di pubblicazione anche sul sito istituzionale nell'apposita sezione “Trasparenza, valutazione e merito”, nei casi in cui tali atti rientrino nelle categorie per le quali l'obbligo è previsto dalla legge».
Le indicazioni della commissione sono ineccepibili ed aderenti al dettato legislativo, ma confermano un incremento notevole del carico di lavoro. In assenza di strumenti informatici capaci di integrare le varie informazioni ed i database contenenti gli atti da pubblicare, gli uffici saranno chiamati a replicare più volte le pubblicazioni, con buona pace della semplificazione e della razionalizzazione del lavoro.
Risulta, dunque, urgente attuare la delega legislativa prevista dall'articolo 1, comma 35, della legge 190/2012, che chiama il Governo futuro a un decreto legislativo «per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, mediante la modifica o l'integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità» (articolo ItaliaOggi del 28.12.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOGhigliottina sui contratti locali. Se non adeguati alla legge Brunetta cessano al 31/12. Gli enti sono rimasti inerti credendo alla disapplicazione della riforma. Accordi a rischio.
Tempo scaduto per i contratti collettivi decentrati degli enti locali. Laddove non fossero stati adeguati alle disposizioni della riforma Brunetta, il dlgs 150/2009, dal 01.01.2013 cesserà totalmente la loro applicazione e le amministrazioni potrebbero trovarsi senza la legittima possibilità di applicare la contrattazione aziendale.
Col nuovo anno, scatta la tagliola prevista dall'articolo 65 del dlgs 150/2009, ai sensi del quale era necessario per le amministrazioni locali adeguare i contratti decentrati alla riforma entro il 31.12.2011, in mancanza di che cessano la loro efficacia con lo spirare del 31.12.2012.
Si conclude, dunque, il lunghissimo periodo di sospensione dell'effetto ghigliottina sui contratti decentrati, fortemente voluto a suo tempo dall'Anci, che si è rivelato, però, molto controproducente.
Infatti, ambigue letture dell'articolo 65 sono state utilizzate dai sindacati e dalle prime pronunce dei giudici del lavoro, per ritenere che detto articolo avesse addirittura sospeso l'efficacia della riforma Brunetta.
Questa tesi iniziale è stata, poi, smentita sia dalla giurisprudenza successiva (in particolare dai tribunali in sede di opposizione ai decreti monocratici dei giudici del lavoro emessi in applicazione dell'articolo 28 dello statuto dei lavoratori), sia dall'articolo 5, comma 1, del dlgs 141/2011.
Norma, quest'ultima, di interpretazione autentica, ai sensi della quale «l'articolo 65, commi 1, 2 e 4, del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150, si interpreta nel senso che l'adeguamento dei contratti collettivi integrativi è necessario solo per i contratti vigenti alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo, mentre ai contratti sottoscritti successivamente si applicano immediatamente le disposizioni introdotte dal medesimo decreto».
Sta di fatto che l'iniziale erronea lettura della portata dell'articolo 65 ha portato moltissimi enti a ritenere non necessario adeguare i contratti in essere, in attesa della disapplicazione ex lege.
Chi non avesse già adeguato i contratti o quanto meno attivato per tempo la contrattazione per il 2013, rischia, adesso, di trovarsi nell'impossibilità di erogare il trattamento economico accessorio strettamente connesso alla contrattazione e di disapplicare totalmente le disposizioni decentrate di parte giuridica.
L'effetto ghigliottina sui contratti decentrati non adeguati al dlgs 150/2009 implica che gli enti, in assenza di nuovi contratti, potranno solo erogare i trattamenti connessi al fondo della contrattazione decentrata direttamente disciplinati dagli ancora vigenti contratti nazionali di lavoro. Si tratta di voci come, ad esempio, la posizione di sviluppo dovuta alla progressione orizzontale, l'indennità di comparto, l'indennità di rischio, l'incentivo per le ex ottave qualifiche funzionali, le indennità di turno, reperibilità, maneggio valori, a condizione che siano formalmente organizzati servizi richiedenti queste prestazioni, l'orario notturno, festivo e notturno-festivo.
Non sarà possibile disciplinare nuove progressioni orizzontali (del resto congelate per effetto dell'articolo 9, comma 1, della legge 122/2010, né ammissibili solo giuridicamente, contrariamente all'erroneo indirizzo proposto dalla Corte dei conti), né attribuire indennità la cui determinazione risulti competenza esclusiva, anche per l'ammontare, della contrattazione decentrata.
Si tratta, ad esempio, di tutte le indennità come quelle per il disagio, o quelle previste dall'articolo 17, comma 2, lettera f), del Ccnl 01.04.1999, o quelle previste per protocollatori o addetti agli uffici relazioni col pubblico, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, lettera i), sempre del Ccnl 01.04.1999, come modificato dall'articolo 36, comma 2, del Ccnl 22.01.2004.
Gli enti, per evitare il congelamento di queste risorse e di importanti parti del salario accessorio è opportuno corrano ai ripari e stipulino celermente contratti decentrati adeguati senza eccezione alcuna al dlgs 150/2009, anche per gli eventuali incrementi consentiti dall'articolo 15, commi 2 e 5, del Ccnl 01.04.1999.
In mancanza, le indennità connesse strettamente alla contrattazione e anche la possibilità dell'incremento dei fondi risulta compromessa. Né sarebbe legittimo attivare gli istituti connessi alla contrattazione aziendale sulla base di contratti decentrati sottoscritti nel corso del 2013, ma con effetti retroattivi, poiché i contratti producono effetti solo successivamente alla loro sottoscrizione definitiva (articolo ItaliaOggi del 28.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: Il 2013 sarà l'anno della Tares. Rifiuti e servizi unificati in un unico tributo comunale. Tutto quello che i comuni devono sapere per prepararsi all'appuntamento del 1° gennaio.
Dal 01.01.2013 sono soppressi tutti i prelievi relativi alla gestione dei rifiuti e in tutti i comuni del territorio nazionale viene introdotto il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi. La conoscenza della produzione dei rifiuti prodotti dalle utenze all'interno di un determinato territorio, sia in termini quantitativi che qualitativi, oltre a consentire di effettuare una corretta gestione dei servizi di igiene urbana, consentirà di valutare, in maniera diretta e secondo il principio del «chi più produce, più paga», il corrispettivo che ciascuna utenza dovrà versare al soggetto che di tale gestione si occupa.
Il calcolo della Tares dovrà essere effettuato sulla base dell'80% della superficie catastale; tuttavia, per consentirne una effettiva applicabilità dal 01.01.2013, una recente disposizione prevede che, in via di prima applicazione, per gli immobili che non hanno una superficie catastale aggiornata, l'Agenzia del territorio determini una superficie convenzionale.
In via transitoria, dal 01.01.2013 si potranno applicare le disposizioni del dpr 158/1999 con una maggiorazione di 0,30 euro per metro quadrato a copertura dei costi.
I comuni potranno, con delibera del consiglio, modificare la maggiorazione fino a 0,40 euro anche in virtù della ubicazione e della tipologia dell'immobile. Sono previste anche riduzioni (nella misura massima del 30% nel caso di a) abitazioni con un unico abitante; b) abitazione per uso stagionale; c) cittadini proprietari residenti all'estero per più di sei mesi; d) fabbricati rurali a uso abitativo.
Una ulteriore riduzione (non superiore al 40% spetta per le zone in cui non è effettuata la raccolta) ovvero nel caso di smaltimento in proprio dei rifiuti assimilati. Il calcolo del tributo avviene sulla base di tabelle allegate al regolamento approvato dal comune. Tali dati possono essere dedotti da una serie di specifiche tabelle allegate alla citata normativa oppure in modo più preciso e razionale eseguendo misure sperimentali dirette nell'ambito territoriale di applicazione della Tares.
Le procedure di calcolo prevedono accertamenti sperimentali per quantificare la produzione dei rifiuti da parte delle diverse tipologie di utenza, e richiedono una sperimentazione attiva capace di portare a regime la corretta gestione e applicazione del tributo (articolo ItaliaOggi del 28.12.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Commissioni variabili. Il regolamento può aumentare i componenti. Fa eccezione solo la materia elettorale, di competenza dello stato.
Può essere aumentato il numero dei componenti delle commissioni consiliari permanenti e speciali previsto dal regolamento comunale qualora l'attuale previsione fosse ritenuta lesiva del principio di rappresentanza di ciascun gruppo consiliare in seno alla commissione stessa?
L'articolo 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000 dispone che le commissioni consiliari, una volta istituite sulla base di una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate dall'apposito regolamento comunale con l'inderogabile limite, posto dal legislatore, riguardante il rispetto del criterio proporzionale nella composizione. Ciò significa che le forze politiche presenti in consiglio devono essere il più possibile rispecchiate anche nelle commissioni, in modo che in ciascuna di esse ne sia riprodotto il peso numerico e di voto; la proporzionalità è volta ad assicurare in seno alle commissioni la maggiore rappresentatività possibile.
Il legislatore, però, non ha precisato in che modo debba essere applicato detto criterio di proporzionalità. Si ritiene che spetti al regolamento, cui sono demandate la determinazione dei poteri delle commissioni, nonché la disciplina dell'organizzazione e delle forme di pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi idonei a garantirne il rispetto.
Secondo un orientamento giurisprudenziale, il criterio proporzionale può dirsi rispettato solo ove sia assicurata la presenza in ogni commissione di ciascun gruppo presente in consiglio, in modo che se una lista è rappresentata da un solo consigliere, questi deve essere presente in tutte le commissioni costituite (v. Tar Lombardia, Brescia, 04/07/1992, n. 796; Tar Lombardia Milano, 03/05/1996, n. 567), assicurando una composizione delle commissioni proporzionata all'entità di ciascun gruppo consiliare.
La stessa giurisprudenza richiamata ha, inoltre, precisato che il criterio proporzionale «è posto dal legislatore come direttiva suscettibile di svariate opzioni applicative, egualmente legittime purché coerenti con la ratio che quel principio sottende, e che consiste nell'assicurare in seno alle commissioni la maggiore rappresentatività possibile. Al raggiungimento di questo obiettivo concorrono, non solo la rappresentanza individuale proporzionata alla consistenza delle forze politiche presenti nell'organo elettivo, ma anche –quando la varietà di consistenza e di numero dei gruppi non consenta di conseguire l'obiettivo, con precisione aritmetica, per quozienti interi– meccanismi tecnici (quali il voto ponderato, il voto plurimo e simili) idonei ad assicurare a ciascun commissario un peso corrispondente a quello della forza politica che rappresenta» (Tar Lombardia, n. 567/1996).
Pertanto, l'ente, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, potrà valutare l'evenienza di procedere ad opportuna integrazione delle previsioni regolamentari, individuando la soluzione applicativa che meglio garantisca il rispetto del criterio proporzionale nella composizione delle commissioni consiliari.
Tuttavia, un'eventuale modifica regolamentare che determini l'aumento del numero dei componenti delle commissioni consiliari, non potrà in alcun modo trovare applicazione con riferimento alla composizione della commissione elettorale comunale, disciplinata dall'art. 12 del dpr 20.03.1967, n. 223.
Infatti, la materia elettorale rientra tra quella di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione, e agli adempimenti ad essa relativi sovrintende il sindaco in qualità di ufficiale del governo (artt. 14 e 54, comma 3, del dlgs. n. 267/200) (articolo ItaliaOggi del 28.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALIRiforma forense. Compensi senza limiti massimi. Il preventivo dell'avvocato solo su richiesta del cliente.
ACCORDI/ Il patto di quota lite resta possibile ma il professionista non può ricevere parte del bene oggetto della causa.

La legge professionale degli avvocati tende ad eliminare le asimmetrie informative, cioè le incertezze, le difficoltà di orientamento del cliente. La scelta del professionista deve poter avvenire anche sulla base di una comparazione tra compensi, cioè circa i costi della prestazione, che in ogni caso è “obbligazione di mezzo”. L'avvocato cioè mette a disposizione i mezzi per raggiungere un risultato, non garantisce il risultato stesso. Solo in modo indiretto, e appunto in tema di compensi, vi può essere un impegno del legale a raggiungere il risultato, ancorando la retribuzione al vantaggio concreto del cliente (patto di quota lite).
Procedendo con ordine, nell'ottica dell'utente, si possono prevede situazioni di prestazione gratuita (articolo 13), ad esempio per condivisione di interessi, partecipazione a comuni ideali o per valutazione della notorietà che può derivare al professionista dalla controversia. L'avvocato infatti può esercitare l'attività anche a proprio favore, traendo un vantaggio anche indiretto, ad esempio nel caso di partecipazione all'affare (difendendo propri interessi in una lite condominiale, tra soci, tra parenti), a differenza di altre professioni, in cui è presente anche una funzione di garanzia per i terzi (ad esempio, nella revisione contabile). La prestazione gratuita, che il cliente avrà cura di pattuire espressamente, non è in contrasto con il principio della «retribuzione proporzionata e sufficiente» posto dall'articolo 36 della Costituzione (Cassazione 1223/2003).
Anche la prestazione pattuita come gratuita potrebbe, tuttavia, diventare onerosa se si altera l'equilibrio iniziale (ad esempio, la comunanza di interessi, di ideali, la potenziale parentela): di qui l'opportunità che patti su prestazioni gratuite siano redatti in forma scritta, con una clausola di invariabilità.
Le pattuizioni sul compenso possono avere varie basi di calcolo (si veda la scheda in alto), tenendo presente che non sono previsti limiti massimi. È tuttavia possibile che una pretesa eccessiva del professionista sia stata ottenuta sulla base di un errore del cliente (che pensava particolarmente difficile il risultato), o di una situazione di debolezza (infondato timore di un danno che avrebbe potuto verificarsi): in questi casi l'avvocato che risulti aver approfittato del cliente rischia anche sanzioni disciplinari. Un problema simile a quello dei limiti massimi, è posto dal patto di quota lite.
Tale patto prevede che il compenso del professionista sia collegato ad un certo risultato, coinvolgendo il professionista stesso nella tensione verso un risultato favorevole. In caso di vittoria, il compenso è ancorato al valore del bene ottenuto, anche superando quanto risulterebbe applicando un compenso medio, elevato o elevatissimo. Il patto di quota lite ha l'effetto di coinvolgere il professionista nel risultato da ottenere, e rimedia sia alla mancata anticipazione del compenso (in genere, una percentuale di quanto pattuito per l'intera vicenda) sia alla mancata anticipazione delle spese vive (consulenze, approfondimenti, studi).
La riforma forense appena approvata consente tale patto, ma pone uno specifico limite: l'articolo 13, comma 4 impedisce che l'avvocato percepisca, come compenso, una quota del beni oggetto della prestazione. Ciò significa che il professionista non può, attraverso la vittoria di una lite o la positiva gestione di una trattativa, diventare socio, quotista o comproprietario di un bene insieme al suo cliente. L'avvocato può esigere il pagamento della quota lite, ma solo in danaro, senza poter obbligare il cliente a condividere il bene. In tal modo, si applica alla professione il divieto di “patto commissorio” (articolo 2744 del Codice civile).
La legge professionale non prevede l'obbligo di forma scritta per i patti sul compenso, nemmeno nei casi di prestazione gratuita o di quota lite. È tuttavia intuitivo che, sia per le ipotesi di compensi squilibrati (gratuiti o in quota lite), sia per la generalità degli affari legali, le parti coinvolte si scambieranno corrispondenza. Se il cliente lo chiede, il professionista è tenuto a comunicare in forma scritta la prevedibile misura del costo della prestazione, con voci suddivise in spese, oneri (fiscali, previdenziali) e compenso professionale. Il cliente, in tal modo, potrà comparare i servizi offerti.
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I compensi
01 | PATTUIZIONE A TEMPO
La «Pattuizione a tempo» si applica alle prestazioni per lo più telefoniche, all'assistenza a singoli atti. Viene definita «a tempo» perché ha come unità di misura l'ora o una sua frazione di effettivo impegno
02 | PATTUIZIONE FORFETARIA
La «Pattuizione forfetaria» opera indipendentemente dal tempo e dalla difficoltà del caso. Normalmente si collega ad una specifica vicenda o ad una fase predefinita
03 | SU UNO O PIÙ AFFARI
L'indicazione «Su uno o più affari» presuppone la delimitazione di un oggetto di consulenza o di una specifica lite. Può esser collegato ad un'esclusiva o ad un numero minimo di affari da gestire
04 | IN BASE AI TEMPI DI EROGAZIONE
L'indicazione «In base ai tempi di erogazione» riguarda i tempi di risposta, immediata, dodici ore, ventiquattro ore o altra tempistica con o senza presenza fisica
05 | IN BASE ALL'ASSOLVIMENTO
L'indicazione «In base all'assolvimento» riguarda i dettagli dell'incarico: ad esempio, la possibilità di farsi sostituire da ausiliari o collaboratori
06 | PER SINGOLE FASI O PRESTAZIONI
L'indicazione «per singole fasi o prestazioni» riguarda le vicende che possono evolversi, ad esempio in primo grado, in appello, in Cassazione, urgente (cautelare) o di merito (che si conclude con sentenza)
07 | A PERCENTUALE
L'indicazione «A percentuale» sottointende sul valore economico dell'affare o sul vantaggio, anche non strettamente patrimoniale, del cliente (articolo Il Sole 24 Ore del 27.12.2012).

CONDOMINIOPubblicate in G.U. le nuove disposizioni sui condomini, in vigore anche per quelli complessi. Una riforma senza esclusioni. Disciplina estesa a villette a schiera o centri residenziali.
Disciplina condominiale ad ampio raggio. La legge di riforma, la n. 220 dell'11/12/2012, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17 dicembre scorso, ha infatti definitivamente chiarito che la nuova disciplina si applica anche ai condomini complessi, o supercondomini, ai c.d. condomini orizzontali e anche nelle ipotesi di multiproprietà.
In altri termini, la normativa dettata per i caseggiati costituiti da un unico corpo si applica anche a quei complessi edilizi sempre più articolati, distinti in diversi corpi di fabbrica, dotati di autonomia strutturale, ma caratterizzati dalla presenza di una serie di opere e servizi comuni a tutto il complesso edilizio. Tale principio riguarda il grande caseggiato composto da una pluralità di corpi di fabbrica affiancati l'uno all'altro, con le scale, gli ingressi e la copertura distinti, ma aventi in comune determinate parti essenziali o utili, e il gruppo di palazzine signorili o di palazzi con numerosi piani, i quali in comune beneficiano di alcuni beni, impianti e servizi necessari per l'esistenza o per l'uso, ovvero destinati all'uso o al servizio comune.
Il nuovo art. 1117-bis del codice civile, introdotto dalla legge di riforma, chiarisce quindi che la disciplina del condominio si applica, in quanto compatibile, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condomini di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni (per esempio, i muri maestri, i pilastri di ferro o di cemento armato legati tra loro dalle travi, i lastrici solari, il riscaldamento centrale, l'impianto per l'acqua calda e per il condizionamento dell'aria, l'ingresso e le strade di accesso ecc.).
La medesima disciplina si applica anche alle villette o costruzioni plurifamiliari delle località di villeggiatura: infatti, di condominio si può parlare non solo negli edifici che si estendono in senso verticale, ma anche in relazione a corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente (come in particolare proprio le villette c.d. a schiera), che possono ben essere dotati di strutture portanti e di impianti essenziali comuni. Quindi anche nel caso in cui le unità immobiliari esclusive non siano disposte verticalmente (una sopra all'altra nello stesso edificio) ma orizzontalmente, cioè una accanto all'altra, sussiste un'ipotesi di condominio, da qualificarsi come orizzontale qualora esista un patrimonio comune a tali porzioni, cioè un complesso di beni e/o impianti destinati strutturalmente e funzionalmente al servizio o al godimento delle predette unità immobiliari private.
Tutte queste situazioni sono oggi contemplate nella legge di riforma del condominio. In particolare, seguendo la definizione normativa, possono ipotizzarsi le seguenti combinazioni: più unità immobiliari autonome, per esempio villette o garage; più edifici condominiali; più gruppi di unità immobiliari autonome aventi ciascuno un'organizzazione condominiale, definiti condomini di unità immobiliari; più gruppi di edifici condominiali, definiti condomini di edifici. In tutte le quattro ipotesi considerate, la caratteristica comune è rappresentata dall'esistenza di parti che servono all'uso comune, quali aree, opere, installazioni e manufatti di qualunque genere. Non si ha, invece, condominio quando vi sono edifici totalmente distinti e autonomi: infatti, le regole condominiali riguardano essenzialmente gli immobili divisi in piani orizzontali e trovano applicazione anche per quei fabbricati che siano verticalmente divisi da una semplice paratia di legno. Esse non riguardano invece l'edificio che sia diviso in due parti da un muro interno verticale, dalle fondamenta al tetto, in modo da formare due corpi di fabbrica distinti e autonomi.
Allo stesso modo la nuova disciplina riguarda anche i proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico, cioè i proprietari di appartamenti in multiproprietà facenti parte di un condominio: il multiproprietario è condomino diretto a tutti gli effetti ed è titolare dei diritti e degli obblighi che gli fanno capo, in quanto condomino. Del resto la multiproprietà di singole unità immobiliari nell'ambito di un complesso residenziale non importa alcuna deroga all'applicazione della disciplina sul condominio negli edifici per quanto riguarda le parti e ai servizi comuni di utilità generale all'intero edificio.
Inoltre resta confermato che la sussistenza del condominio non è influenzata dal numero dei titolari delle proprietà esclusive, con la conseguenza che è sufficiente che vi siano anche due soli partecipanti affinché lo stesso venga a giuridica esistenza e si applichino le relative regole di funzionamento e di gestione: si tratta del c.d. condominio minimo (articolo ItaliaOggi Sette del 24.12.2012).

VARIIl ddl sulle categorie non regolamentate. Vigilanza al ministero dello sviluppo. L'albo non fa più la differenza. Regole chiare per le professioni.
Attività in chiaro per i senz'albo. Il consumatore che vuole affidarsi a un professionista non iscritto a un ordine, infatti, d'ora in poi potrà andare sul sito del ministero dello sviluppo economico, scorrere l'elenco delle associazioni professionali legate al settore d'interesse, e valutare attestazioni e standard qualitativi degli iscritti.

È questo uno degli obiettivi principali del disegno di legge sulle professioni non regolamentate, approvato il 19 dicembre scorso in via definitiva dalla Camera (si veda ItaliaOggi del 20 dicembre), che regolamenta dopo 30 anni un universo di 3,5 milioni di lavoratori, dipendenti e autonomi, che esercitano un'attività professionale senza essere iscritti in ordini o albi professionali. Ma vediamo nel dettaglio cosa prevede la legge, in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Le definizioni. Il ddl definisce anzitutto la professione non organizzata in ordini o collegi, escludendo dalla disciplina le attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o collegi, le professioni sanitarie e le attività e mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative. Chiunque svolga una professione non ordinistica, inoltre, dovrà contraddistinguere la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l'espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della stessa legge.
Le associazioni. I professionisti possono costituire associazioni professionali, allo scopo di valorizzare le competenze degli associati, diffondere tra essi il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza. Le associazioni hanno natura privatistica, sono fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva. Promuovono la formazione permanente dei propri iscritti, adottano un codice di condotta, vigilano sulla condotta professionale degli associati, definiscono le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del medesimo codice e promuovono forme di garanzia a tutela dell'utente, tra cui l'attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore. Le associazioni possono anche costituire forme aggregative, che rappresentano le associazioni aderenti e devono agire in piena indipendenza e imparzialità. Si tratta di soggetti autonomi rispetto alle associazioni professionali che le compongono. Le forme aggregative hanno funzioni di promozione e qualificazione delle attività professionali che rappresentano, nonché di divulgazione delle informazioni e delle conoscenze a esse connesse e di rappresentanza delle istanze comuni nelle sedi politiche e istituzionali. Su mandato delle singole associazioni, esse possono controllare l'operato delle medesime associazioni, ai fini della verifica del rispetto e della congruità degli standard professionali e qualitativi dell'esercizio dell'attività e dei codici di condotta definiti dalle stesse associazioni.
La pubblicità. Le associazioni pubblicano sul proprio sito web gli elementi informativi che presentano utilità per il consumatore, secondo criteri di trasparenza, correttezza, veridicità. Della correttezza di tali informazioni garantisce il responsabile legale dell'associazione professionale o della forma aggregativa. Nei casi in cui le associazioni autorizzino i propri associati a utilizzare il riferimento all'iscrizione all'associazione quale marchio o attestato di qualità dei propri servizi, sul proprio sito Internet devono rendere disponibili anche le informazioni sul significato dei marchi e sui criteri di attribuzione dei marchi e degli altri attestati di qualità, dandone contemporaneamente notizia al ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 81 del decreto legislativo di recepimento della c.d. «direttiva servizi» (dlgs 59/2010).
Le attestazioni. Le associazioni professionali possono rilasciare ai propri iscritti delle attestazioni su molteplici aspetti, dalla regolare iscrizione del professionista, requisiti e standard qualitativi, possesso della polizza assicurativa, previe le necessarie verifiche, sotto la responsabilità del proprio rappresentante legale, al fine di tutelare i consumatori e di garantire la trasparenza del mercato dei servizi professionali. Tali attestazioni non rappresentano però requisito necessario per l'esercizio dell'attività professionale. Per i settori di competenza, le medesime associazioni possono promuovere la costituzione di organismi di certificazione della conformità a norme tecniche Uni, accreditati dall'organismo unico nazionale di accreditamento (Accredia), che possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista anche non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di conformità alla norma tecnica Uni definita per la singola professione.
La vigilanza. La non veridicità delle informazioni pubblicate sul sito dell'associazione o contenute nell'attestazione rilasciata, infine, è sanzionabile ai sensi dell'articolo 27 del Codice del consumo dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione del ministero dello sviluppo economico, che svolge compiti di vigilanza sul mercato relativamente alla corretta attuazione delle previsioni della legge (articolo ItaliaOggi Sette del 24.12.2012).

ENTI LOCALILegge di stabilità. L'effetto delle nuove regole dipende dalla situazione in ogni ente in termini di competenza mista.
Ai mini-enti Patto con mini-bonus. Nel 2013 per i Comuni tra mille e 5mila abitanti obiettivi di saldo al 13 per cento.
LE CONSEGUENZE/ L'estensione delle regole di finanza pubblica impatta anche sulla gestione del personale e delle società partecipate.

Niente da fare. Nonostante le manifestazioni, le proposte di emendamenti, le richieste di proroga, da gennaio anche i Comuni fra mille e 5mila abitanti dovranno fare i conti con il Patto di stabilità.
Nelle Regioni soggette ai vincoli ordinari del Patto si tratta di 3.422 Comuni (il 42,3% dei municipi italiani), che nel complesso moltiplicano per 2,5 volte la platea obbligata a centrare gli obiettivi di saldo imposti dalle manovre di finanza pubblica.
Facili da immaginare i problemi tecnici e applicativi che porterà con sé la cervellotica architettura del Patto di stabilità, con il suo metodo della «competenza mista» (competenza di parte corrente e cassa di conto capitale), le voci incluse e quelle escluse e le ricadute sulla disciplina relativa a personale e società. Altrettanto facile da prevedere un ampliamento della mole di pagamenti alle imprese incagliati nelle casse degli enti, soprattutto perché nei Comuni medio-piccoli la spesa corrente, su cui si fondano tutti i calcoli del Patto, è assai meno lineare nel tempo rispetto a quella delle città, con la conseguenza che non saranno rari i casi in cui le amministrazioni si troveranno ad avere a che fare con obiettivi irraggiungibili o di fatto casuali.
Nel tentativo di rendere un po' meno amara la novità, la legge di stabilità nella versione emendata al Senato e confermata in via definitiva, assegna agli enti fra mille e 5mila abitanti un obiettivo un po' più leggero rispetto a quello riservato a chi già da anni è inserito nei meccanismi del Patto di stabilità. Per tutti i Comuni, la base di calcolo viene aggiornata rispetto agli anni scorsi e fa riferimento alla media registrata nel triennio 2007/2009.
Per chi conta più di 5mila abitanti, l'obiettivo di saldo si ottiene applicando a questa grandezza il moltiplicatore del 15,8%, mentre se i residenti sono compresi fra mille e 5mila il parametro da applicare è il 13 per cento. Di conseguenza, l'avanzo obbligatorio da raggiungere per rispettare gli obiettivi di bilancio sarà un po' più leggero rispetto a quello assegnato agli altri enti. Solo per un anno però, perché dal 2014 (quando nei vincoli del Patto entreranno anche i Comuni sotto i mille abitanti che si aggregheranno in Unioni senza scegliere la via alternativa delle convenzioni) il moltiplicatore sarà per tutti il 15,8 per cento.
L'effetto del "bonus", comunque, è del tutto relativo e dipenderà dalle condizioni di bilancio dei singoli Comuni: il Patto impone a tutti un avanzo in termini di competenza mista, un sistema contabile che i piccoli enti non hanno mai utilizzato, e la strada sarà particolarmente in salita per chi oggi presenta un bilancio in pareggio secondo i criteri ordinari ma disavanzo secondo questi parametri. Ovviamente, come per gli altri Comuni, anche per i piccoli c'è la possibilità di essere considerati «virtuosi» in base alla capacità di riscossione, all'equilibrio corrente e all'autonomia finanziaria. Dal 2013, nei parametri di virtuosità entrano anche i valori catastali e il numero di occupati (anche se di quest'ultimo indicatore non è chiara la relazione con le condizioni della finanza locale).
L'ingresso nel mondo del Patto di stabilità non cambia solo la gestione del bilancio, ma modifica anche le regole per la gestione del personale. Gli enti fra mille e 5mila abitanti dovranno abbandonare il tetto che limita la spesa ai livelli registrati nel 2008, e abbracciare le regole che chiedono di ridurre l'incidenza delle spese di personale sul complesso delle uscite correnti intervenendo sulla «razionalizzazione delle strutture» e sulle dinamiche della contrattazione integrativa.
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Che cosa cambia
01 | IL PATTO
Dal 2013 rientrano nei meccanismi del Patto di stabilità anche i Comuni con popolazione compresa fra mille e 5mila abitanti. Dal 2014 le regole si estenderanno anche ai Comuni con meno di mille abitanti che si aggregheranno nelle Unioni
02 | IL BONUS
Gli obiettivi di saldo si individuano applicando alla media della spesa corrente 2007/2009 il moltiplicatore del 13 per cento. Dal 2014 il moltiplicatore diventa quello generale del 15,8 per cento (articolo Il Sole 24 Ore del 24.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIEquilibri. Obbligo di utilizzo per investimenti e debito. L'alienazione non può finanziare la spesa corrente.
LA FACOLTÀ/ Per ripristinare gli equilibri concessa la possibilità di modificare le tariffe e le aliquote dei tributi locali entro il 30 settembre.

Era nell'aria. Dal 01.01.2013 l'equilibrio di parte corrente di Comuni e Province sarà più stringente. La versione definitiva della legge di stabilità cancella infatti la norma che finora ha consentito di utilizzare il plusvalore delle alienazioni patrimoniali per finanziare le spese correnti aventi carattere non permanente (articolo 3, comma 28, legge 350/2003) e per rimborsare la quota di capitale delle rate di ammortamento dei mutui (articolo 1, comma 66, legge 311/2004). I proventi da alienazioni patrimoniali, precisa la legge di stabilità 2013, potranno essere destinati solo a coprire le spese di investimento, o, in assenza di queste o per la parte eccedente, per ridurre il debito.
Sempre in tema di equilibrio di parte corrente del bilancio di previsione, dal 2013 sparirà anche l'altra deroga, ancora più utilizzata, relativa all'utilizzo delle entrate da rilascio di permessi di costruire (prima denominati oneri di urbanizzazione) per finanziare le spese correnti, nella misura del 50%, e, per un ulteriore 25%, per coprire le spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio. Già nel bilancio di previsione 2012-2014 i Comuni hanno dovuto "quadrare" i conti degli ultimi due anni del pluriennale senza far ricorso a questa possibilità, che era consentita solo fino al 2012 (dopo la proroga introdotta sull'articolo 2, comma 8 della legge 244/2007). Pertanto, le entrate da permessi di costruire potranno essere destinate solo a coprire le spese di investimento.
L'ultima stretta sull'equilibrio corrente va a colpire la salvaguardia degli equilibri di bilancio prevista dall'articolo 193 del decreto legislativo 267/2000. Dal prossimo anno i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali potranno essere utilizzati solo per ripristinare gli equilibri di parte capitale e non potranno più essere impiegati per gli squilibri di parte corrente. Per il ripristino degli equilibri spunta una facoltà nuova per gli enti locali: quella di modificare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di propria competenza entro la data della verifica degli equilibri (30 settembre). E ciò in deroga, si legge nel testo, all'articolo 1, comma 169, della legge 296/2006, secondo cui le tariffe e le aliquote dei tributi di competenza degli enti locali sono deliberate entro la data fissata per la deliberazione del bilancio di previsione.
L'attenzione all'equilibrio di parte corrente è già entrata nel mondo della finanza locale nel capitolo "virtuosità" ai fini del patto di stabilità e fra gli indicatori "spia" che possono far scattare verifiche ispettive da parte del ministero dell'Economia. Ora, queste norme restrittive intendono agire sulla qualità della spesa. Infatti, impongono un limite alla dinamica della spesa corrente, dopo che per il rispetto del patto di stabilità gli enti locali hanno compresso maggiormente la spesa per investimenti rispetto a quella corrente (articolo Il Sole 24 Ore del 24.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALILa supplenza. Verifiche del Viminale sul rispetto dei vincoli di bilancio. Revisori-commissari per certificare i conti.
LE SANZIONI/ Fino alla comunicazione sono sospesi erogazioni e trasferimenti di fondi e scatta il divieto di nuove assunzioni.

Si allarga il coinvolgimento dei revisori dei conti in materia di patto di stabilità interno: da controllori possono diventare anche commissari ad acta. È l'effetto delle novità introdotte dal testo finale dalla legge di stabilità 2013 sulla certificazione finale del rispetto del patto di stabilità interno.
L'intervento punta a recuperare i "numeri" degli enti che non trasmettono i dati effettivi al ministero dell'Economia entro il termine perentorio del 31 marzo dell'anno successivo. E lo fa agendo su due fronti. Da un lato, concede più tempo: 60 giorni dal termine stabilito per l'approvazione del rendiconto (30 giugno, quindi, e non più 15 maggio). Dall'altro lato, addossa l'adempimento all'organo di revisione economico-finanziaria, che esce così sempre più carico di compiti e responsabilità dopo ogni provvedimento normativo di finanza locale (da ultimo, i decreti legge 83/2012 sulla crescita, 95/2012 sulla spending review e 174/2012 sul riordino degli enti locali).
La norma introduce, negli enti che non inviano la certificazione entro il 30 giugno, l'obbligo per il presidente dell'organo di revisione economico-finanziaria (in presenza di un collegio) o per il revisore unico (in caso di organi monocratici) di provvedere, in qualità di commissario ad acta, ad assicurare l'assolvimento dell'adempimento e a trasmettere la certificazione entro i successivi 30 giorni, con la sottoscrizione di tutti i soggetti tenuti. In altri termini, il revisore dei conti, se verifica che il responsabile finanziario non ha inoltrato i dati consuntivi, si deve sostituire a questo e inviare i dati entro il 30 luglio, acquisendo anche le firme del responsabile del servizio finanziario e del sindaco o del presidente della Provincia.
Sino alla data di trasmissione da parte del commissario ad acta le erogazioni di risorse o trasferimenti da parte del ministero dell'Interno sono sospese. A questo fine, la Ragioneria generale dello Stato trasmette una comunicazione ad hoc al ministero dell'Interno.
La novità sostituisce la precedente norma che equiparava gli enti che non avessero inviato la certificazione entro il 31 marzo agli enti fuori patto di stabilità, con conseguente assoggettamento alle sanzioni.
Ora, per gli enti rispettosi dei vincoli del patto di stabilità interno, che però trasmettono la certificazione finale in ritardo, comunque entro il 30 giugno, si applica la sanzione del divieto di assumere personale a qualsiasi titolo. Ancora, il testo della legge di stabilità 2013 introduce l'obbligo di trasmettere la certificazione dei risultati finali a rettifica di quella precedentemente inviata; l'obbligo scatta decorsi 60 giorni del termine stabilito per approvare il rendiconto, se l'ente rileva, con riferimento alla certificazione già trasmessa, un peggioramento del saldo finanziario effettivo rispetto all'obiettivo del patto (articolo Il Sole 24 Ore del 24.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIPagamenti Pa. La circolare 36. Incognita Durc sul «visto» ai crediti.
Nuove indicazioni sulle certificazioni dei crediti di somme dovute da Regioni, enti locali ed enti del servizio sanitario nazionale per lavori, forniture e servizi, per consentire ai creditori la cessione dei crediti a banche o intermediari finanziari. Le ha fornite il ministero dell'Economia dopo che, con il decreto del 29 ottobre scorso, ha chiarito le disposizioni del precedente decreto del 25 giugno.

Con la circolare 36, pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» 291 del 14 dicembre, il ministero ha poi fornito le istruzioni applicative, con particolare riferimento all'utilizzo della piattaforma elettronica e alle comunicazioni da inviare al ministero.
Circa la regolarità contributiva, certificata dal Durc, che la stazione appaltante deve chiedere ai datori di lavoro in ogni fase della gestione dei contratti, la circolare non ritiene che il documento vada richiesto in sede di certificazione, ma di pagamento. Poiché tra il rilascio della certificazione e l'erogazione dei fondi da parte della banca cessionaria del credito trascorrono pochi giorni, è opportuno che sia l'ente pubblico a chiedere il Durc al momento della certificazione e a comunicare l'esito alla banca. Se il documento evidenzia inadempienze non iscritte a ruolo, e quindi non risultanti dalla verifica in base all'articolo 48-bis del Dpr 602/1973, la banca ne terrà conto nella determinazione della somma da erogare, per evitare perdite contributive.
Circa la tracciabilità dei flussi finanziari, prevista dalla legge 136/2010, modificata e completata dal decreto legge 187/2012, ai fini della lotta contro la mafia, la circolare 36 non dà invece informazioni. La normativa prevede che nei contratti con gli appaltatori per lavori, forniture e servizi pubblici deve essere inserita, a pena di nullità, una clausola con la quale gli operatori economici coinvolti in appalti pubblici si impegnano a utilizzare conti correnti, accesi presso banche (o poste), dedicati alle commesse pubbliche, sui quali devono essere esclusivamente eseguiti tutti i movimenti finanziari riferiti ai contratti.
È inoltre previsto che gli strumenti di pagamento devono riportare, per ciascuna transazione posta in essere dalla stazione appaltante, il codice identificato di gara (Cig) e, se richiesto in base all'articolo 11 della legge 3/2003, il codice unico di progetto (Cup). Anche queste indicazioni dovrebbero essere comunicate dalla stazione appaltante, che ne è a conoscenza, alla banca cessionaria del credito in sede di certificazione. Altrimenti, se non viene informata, la banca non potrebbe versare i fondi sul conto corrente dedicato e indicare Cig e Cup (articolo Il Sole 24 Ore del 24.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOLa legge di stabilità.
IL PUBBLICO IMPIEGO/ Torna la buonuscita «pesante». Riliquidazione entro un anno per tutti i soggetti che erano stati penalizzati.

La prima regola che entrerà definitivamente in vigore con la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» della legge di stabilità è quella sul trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici, che ripesca il decreto sullo stesso tema varato a fine ottobre dal Governo dopo la bocciatura costituzionale (sentenza 223/2012) delle regole scritte nella manovra 2010.
In pratica, si fissa nella legge il termine di un anno entro il quale le Pubbliche amministrazioni dovranno ri-erogare il trattamento di servizio in formula piena ai dipendenti pubblici che erano in regime di Tfs (e quindi erano stati assunti prima del 31.12.2000), e che sono usciti dall'ufficio fra il 01.01.2011 e l'ottobre del 2012 vedendosi di conseguenza riconoscere un assegno d'uscita alleggerito perché fondato sul sistema di calcolo del Tfr, cioè quello applicato ai dipendenti privati e ai pubblici con anzianità minore.
L'allineamento fra Tfr e trattamento di fine servizio (Tfs) era stato introdotto nella manovra estiva 2010 (articolo 12, comma 10, del Dl 78/2010) all'interno del pacchetto di misure nate dall'esigenza di contenere le spese per il pubblico impiego. L'ingresso di questi dipendenti nella "famiglia" del Tfr non aveva, però, fatto cadere la trattenuta del 2,5% a loro carico prevista dal vecchio regime, e questo aspetto ha contribuito a far cadere l'intero meccanismo sotto i colpi della Corte costituzionale.
La via d'uscita individuata con il decreto ora accolto dalla legge di stabilità ai commi 98-100 permette di salvaguardare i diritti dei dipendenti interessati senza il rischio di far saltare a breve i bilanci degli enti pubblici, e in particolar modo quelli di Comuni e Province che avevano impostato tutta la programmazione sulla base della trattenuta del 2,5% a carico del dipendente.
La decisione della Corte costituzionale aveva aperto infatti una doppia strada. La regola è: il regime di Tfs comporta la trattenuta del 2,5%, ma offre una buonuscita più ricca, quello del Tfr elimina la trattenuta e alleggerisce l'assegno d'addio. La nuova norma in pratica afferma che per i dipendenti assunti prima del 31.12.2000 il regime di Tfs non è mai venuto meno, perché l'allineamento viene abrogato retroattivamente dal 01.01.2011, data della sua entrata in vigore. Morale della favola: rimane la trattenuta, e il calcolo più "generoso" della buonuscita.
Nel capitolo dedicato al reclutamento, la legge di stabilità affronta poi la questione precari, cercando un equilibrio fra l'esigenza di non chiudere la porta ai titolari di contratti a termine (e alle attività loro assegnate) e quella di non far saltare la programmazione della spesa pubblica. Per tenere insieme questi due fattori, la legge (commi 400 e seguenti) disegna una procedura in due passaggi. Il primo offre alle amministrazioni pubbliche la possibilità di prorogare fino al 30 giugno i contratti che superano il limite di 36 mesi, tramite accordi decentrati con le organizzazioni sindacali più rappresentative.
La seconda punta invece sui concorsi pubblici, che potranno prevedere una riserva di posti del 40% a favore di chi ha già svolto almeno tre anni di servizio, e possono premiare nel punteggio l'esperienza maturata da chi ha passato almeno tre anni da co.co.co. I concorsi, però, non potranno uscire dai binari fissati dalla programmazione triennale del personale e dal tetto del 50% delle risorse finanziarie disponibili (articolo Il Sole 24 Ore del 23.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 22.12.2012

ATTI AMMINISTRATIVI: Dirigenti, determinazioni doc. Obbligatoria l'attestazione di regolarità amministrativa. Le novità del dl 174 che non necessitano dell'approvazione del regolamento sui controlli.
Anche le determinazioni adottate dai dirigenti devono contenere l'attestazione di regolarità amministrativa; i pareri di regolarità devono essere contenuti nei testi delle deliberazioni; i responsabili dei settori finanziari devono attestare che i provvedimenti non determinano alterazioni negli equilibri finanziari degli enti e le attribuzioni dei revisori sul terreno dei pareri sono accresciute in misura assai rilevante.
Sono queste le principali novità immediatamente operative contenute nel dl n. 174/2012 sul versante istituzionale, novità che non hanno bisogno della adozione del regolamento sui controlli interni per diventare operative. Tutte queste misure vanno nella direzione dell'ampliamento immediato delle forme di monitoraggio e verifica delle attività delle amministrazioni locali, così da prevenire il maturare di condizioni di deficit.
I pareri di regolarità tecnica resi dai responsabili dei servizi sono necessari da sempre per le deliberazioni adottate dalla giunta e dal consiglio; con le nuove regole essi diventano necessari anche sugli altri atti amministrativi, in primo luogo quindi sulle determinazioni adottate dai dirigenti o, nei comuni che ne sono sprovvisti, dai responsabili, dai decreti e dalle ordinanze adottate dai sindaci. Questa estensione è contenuta nel nuovo testo dell'articolo 147-bis del dlgs n. 267/2000, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, che prevede che tutti gli atti siano accompagnati dal parere di regolarità amministrativa. Siamo in presenza di una estensione dell'ambito di applicazione, che è finalizzato al rafforzamento delle verifiche sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi. Occorre evidenziare che la scelta si traduce spesso in un aggravamento del procedimento che ha un rilievo essenzialmente formale: infatti sulle determinazioni il parere di regolarità tecnica deve essere rilasciato dallo stesso dirigente o responsabile che adotta la determinazione e, quindi, dà atto della legittimità, opportunità, congruità ecc. del provvedimento da lui adottato.
Un'altra importante novità è la imposizione del vincolo a che i pareri di regolarità tecnica e contabile sulle proposte di deliberazione siano contenuti nel testo del provvedimento. In questo modo il legislatore vuole rendere subito evidente le valutazioni sui singoli atti, di modo che risulti immediatamente il giudizio formulato dai dirigenti o dai responsabili. Il legislatore vuole quindi evitare che tali giudizi siano contenuti nel frontespizio delle delibere, il che determinava comunque un effetto di loro minore evidenza. Appare quanto mai utile che essi siano inseriti nella premesse della deliberazione, cioè nella parte in cui si illustrano le ragioni che sono alla base della scelta contenuta nel provvedimento.
Altra importante novità è il rafforzamento delle competenze del dirigente o responsabile finanziario. Non si deve limitare a verificare la copertura degli oneri nel bilancio dell'ente e la correttezza della imputazione; il suo giudizio si deve estendere alla attestazione che l'atto non determini il maturare di condizioni di squilibrio nella gestione delle risorse. Ovviamente tra le condizioni di squilibrio si deve prevedere anche l'eventuale mancato rispetto del patto di Stabilità. È del tutto evidente che in questo modo l'ambito delle attività dei dirigenti e/o responsabili dei settori finanziari si espande in misura assai significativa e rilevante. E che ciò possa determinare un ampliamento dei compiti esercitati da questi soggetti è del tutto evidente. È altrettanto evidente che la scelta legislativa determina un rilevante ampliamento della loro responsabilità: non possono infatti limitare alla verifica del rispetto della copertura degli oneri e della correttezza della imputazione. La «crescita» del loro ruolo determina, in modo direttamente correlato, un aumento della loro responsabilità.
I revisori dei conti si devono esprimere su un arco molto più ampio di atti. In precedenza essi dovevano esprimersi sulle proposte di bilancio, sui documenti allegati e sulle variazioni. Adesso sono chiamati a dare, tra l'altro, un giudizio su tutti i documenti di programmazione economica e finanziaria, sulla verifica della permanenza degli equilibri, sulle scelte compiute dall'ente in materia di gestione dei servizi, sulle proposte di indebitamento, a partire dai mutui, sull'eventuale ricorso a forme di finanza innovativa, sul riconoscimento dei debiti fuori bilancio, sulle transazioni a cui l'ente intende aderire, nonché sui regolamenti finanziari, ivi compresi quello di economato, patrimoniali, tributari e delle altre entrate proprie dell'ente (articolo ItaliaOggi del 21.12.2012).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Se il sindaco e i consiglieri sono proprietari di parte dei terreni. Demanio senza conflitti. Obbligo di astensione per gli amministratori.
Sussiste l'obbligo di astensione, ai sensi dall'art. 78, comma 2, del dlgs n. 267/2000, per il sindaco e i consiglieri comunali di un comune che ha deliberato la richiesta di «sclassificazione» dal regime demaniale civico dei terreni soggetti a uso civico ricompresi nel centro abitato e nell'area industriale dell'ente, in quanto risultano avere «irreversibilmente perso la conformazione fisica o la destinazione funzionale di terreni agrari, ovvero boschivi o pascolativi» (art. 18-bis, comma 1, lett. a), considerato che detti amministratori risultano proprietari di parte dei terreni?
L'obbligo di astensione trova fondamento nei principi di legalità, imparzialità e trasparenza che devono caratterizzare l'azione amministrativa ai sensi dell'art. 97 della Costituzione.
In particolare, l'art. 78, comma 2, del dlgs n. 267/2000 dispone che: «Gli amministratori di cui all'art. 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado.
L'obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministrazione o di parenti o affini fino al quarto grado
».
Una costante giurisprudenza ritiene che l'obbligo di astensione, per conflitto di interessi da parte dei soggetti appartenenti ad organi collegiali, sussista in tutti i casi in cui i soggetti tenuti alla sua osservanza siano portatori di interessi personali che possano trovarsi in posizione di conflittualità o anche solo di divergenza rispetto a quello, generale, affidato alle cure dell'organo di cui fanno parte (ex multis Tar Puglia-Lecce, sez. I, 18.07.2009, n. 1884; Consiglio di stato, sez. V, 13.06.2008, n. 2970).
Con specifico riferimento all'approvazione di provvedimenti normativi o di carattere generale, la giurisprudenza ha affermato più volte che il dovere di astensione degli amministratori locali costituisce principio generale che, in quanto tale, non ammette deroghe o eccezioni e ricorre ogni qualvolta sussista una correlazione diretta fra la posizione dell'amministratore e l'oggetto della deliberazione, anche se la votazione potrebbe non avere altro apprezzabile esito e la scelta fosse in concreto la più utile e la più opportuna per l'interesse pubblico (Consiglio di stato, sez. IV, 26.05.2003, n. 2826; idem 04.12.2003, n. 7050; idem 12.12.2000, n. 6596).
Pertanto, il dovere di astensione sussiste in tutti i casi in cui gli amministratori versino in situazioni, anche potenzialmente, idonee a porre in pericolo la loro assoluta imparzialità e serenità di giudizio. Ciò al fine di evitare che, partecipando alla discussione e all'approvazione del provvedimento, essi possano condizionare nel complesso la formazione della volontà dell'assemblea concorrendo a determinare un assetto complessivo non coerente con la volontà che sarebbe scaturita senza la loro presenza (Consiglio di stato, sez. IV, 21.06.2007, n. 3385).
La fattispecie in esame pare doversi ricondurre nell'ambito applicativo dell'art. 78, comma 2, del dlgs n. 267/2000, avendo ad oggetto l'approvazione di un provvedimento di carattere generale (l'istanza di sclassificazione dal regime demaniale civico si riferisce a tutto il centro abitato e a tutta l'area industriale) e ricorrendo quella «correlazione immediata e diretta» fra il contenuto della deliberazione e gli interessi personali dei componenti il consiglio comunale.
In tale ipotesi, per evitare che un possibile conflitto di interessi possa inficiare la legittimità della deliberazione, la giurisprudenza ha ritenuto che una votazione frazionata, cui di volta in volta si astengono gli amministratori interessati, seguita dall'approvazione del provvedimento nel suo complesso, rappresenti una soluzione ragionevole e realistica (Tar Veneto, sez. I, 08.06.2006, n. 1719).
Per la richiamata giurisprudenza è ammissibile che il consiglio comunale proceda a deliberazioni e votazioni sui singoli terreni interessati; in queste votazioni disgiunte i consiglieri interessati si devono astenere, dovendo risultare le suddette votazioni separate dalla votazione finale. Tuttavia, l'approvazione della istanza di «sclassificazione» non può esaurirsi in singole votazioni frazionate riferite ai singoli terreni, ma deve necessariamente comprendere anche una fase conclusiva comportante l'esame, la discussione, la votazione e l'approvazione del provvedimento nel suo complesso.
I consiglieri che si sono astenuti su singoli punti del provvedimento, per una loro correlazione diretta ed immediata con lo stesso, potranno, invece, prendere parte all'approvazione finale.
La ratio dell'art. 78 del dlgs n. 267/2000, costituita dall'esigenza di evitare situazioni di conflitto di interesse dei consiglieri comunali, deve ritenersi sufficientemente garantita in quanto il consigliere «interessato», per quanto riguarda la scelta pianificatoria relativa ai suoi interessi, non è più in condizione di influire, almeno direttamente, sulla stessa in sede di votazione finale, posto che in ordine alla questione si è già formato il consenso senza la sua partecipazione (Tar Lazio sez. II-bis sent. n. 6506/2002; Tar Veneto sez. I sent. n. 4159/2003) (articolo ItaliaOggi del 21.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARI: LA LEGGE DI STABILITÀ IN SINTESI.
FISCO
   TOBIN TAX. La tassa sulle transazioni finanziarie scatterà da marzo con una nuova veste (esentando la finanza etica). L'aliquota per i mercati regolamentati sarà dello 0,12% (ma 0,1% dal 2014) e per quelli non regolamentati, su cui sarà applicata da luglio, dello 0,22% (0,2% dal 2014). Per i derivati invece l'imposta è fissa e sarà al massimo di 200 euro. Colpito anche il trading più speculativo, con un'aliquota dello 0,02% sulle negoziazioni ad alta frequenza (high frequency trading).
   IMU. Il gettito dell'imposta municipale propria passa ai Comuni, che incasseranno subito 7,6 miliardi di euro nel 2013-2014. A queste risorse si aggiungono quelle del Fondo di solidarietà comunale, pari a 8,9 miliardi nel biennio. Allo Stato resterà però il gettito Imu su capannoni industriali e opifici, con un incasso di 8,9 miliardi nel 2013-14. Su questi immobili a uso produttivo i Comuni potranno aumentare l'aliquota standard dello 0,76%, portandola fino a un massimo di 1,06%.
   TARES. La nuova tassa su rifiuti e servizi sostituisce la Tarsu e arriverà dall'anno prossimo. La tariffa si pagherà in più rate e la prima è prevista ad aprile.
   SANATORIA MINI-DEBITI. Sono cancellati tutti i piccoli debiti con il Fisco, fino a un importo di 2 mila euro, che risalgono a prima dell'anno 2000.
   IRPEF REGIONI. Slitta di un anno, al gennaio del 2014, la possibilità per le Regioni di rimodulare l'addizionale Irpef, misura prevista dalla manovra estiva del 2011.
   CARTELLE PAZZE. Novità per le cartelle esattoriali errate, con misure per accelerare l'annullamento di questi avvisi di pagamento inviati erroneamente dal Fisco.
   IMPOSTA BOLLO. Nel 2013 aumenta a 4.500 euro, dai precedenti 1.200 euro, il tetto per l'imposta di bollo pagata dalle società sui prodotti finanziari.
   ASSICURAZIONI. Fissato tetto al credito d'imposta delle imprese assicurative, commisurato all'ammontare delle riserve tecniche presenti in bilancio.
LAVORO
   PRECARI. Salvi i precari della pubblica amministrazione con contratto in scadenza, che resteranno così al lavoro fino al prossimo 31 luglio. Nei concorsi pubblici, inoltre, ai precari potrà essere riservata una quota fino al 40% dei posti: ne beneficeranno i lavoratori con tre anni di servizio con contratto a tempo determinato o collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co) nell'amministrazione che emana il bando. Il reclutamento dovrà svolgersi per titoli ed esami.
   AMMORTIZZATORI SOCIALI. Aumentano le risorse per finanziare la cassa integrazione in deroga, con 900 milioni che si aggiungono agli 800 milioni già previsti.
   RICONGIUNZIONI. Le ricongiunzioni previdenziali tornano a essere gratuite, ma soltanto per i lavoratori passati all'Inps dal pubblico impiego prima del luglio 2010.
   BUSTE PAGA PESANTI. Per i lavoratori colpiti dal terremoto in Emilia Romagna è prevista la restituzione dei contributi previdenziali, distribuita in rate mensili.
FAMIGLIE
   SFRATTI. Arriva una nuova proroga per il blocco degli sfratti. Il termine è rinviato a fine giugno 2013, con un possibile ulteriore rinvio di altri sei mesi.
   FOTOVOLTAICO. Prorogato al 30.06.2013 il termine per realizzare gli impianti fotovoltaici su edifici pubblici e aree della pubblica amministrazione.
   ABS E PNEUMATICI. Cancellato l'Abs obbligatorio per le moto e salta l'obbligo di montare pneumatici termici sulle auto (e non le catene) in caso di forti nevicate.
   SISMA EMILIA. Risorse per sostenere le imprese che hanno subito danni indiretti, con l'accesso ai mutui garantiti dallo Stato per pagare tasse e contributi.
ENTI LOCALI
   PATTO STABILITÀ. Salgono a 1,4 mld le risorse per Comuni e Province. Un miliardo arriverà da un allentamento del patto di stabilità interno, 400 mln da minori tagli per i Comuni.
   PROVINCE. Congelato per un anno il riordino delle Province. Anche nel 2013 non ci saranno elezioni e, se necessario, arriverà un commissario straordinario.
   COMUNI. Rinvio di sei mesi per l'approvazione dei bilanci dei Comuni. Il termine per la delibere sul bilancio degli enti locali è spostato infatti al 30 giugno 2013.
   RIFIUTI ROMA. Sarà nominato un supercommissario per la gestione dei rifiuti a Roma e provincia. L'incarico potrà durare sei mesi, con la possibilità di proroga.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
   CONGEDI A ORE. Arrivano i congedi parentali «su base oraria». Le modalità per beneficiarne saranno definite dalla contrattazione collettiva di settore.
   TFR PUBBLICO IMPIEGO. Cancellata la trattenuta del 2,5% sul Tfr per i dipendenti pubblici, con il ripristino del trattamento di fine servizio (Tfs).
   UNIVERSITÀ. Per gli atenei arrivano nuove risorse per 100 milioni di euro. Andranno ad aumentare la dotazione del Fondo per il finanziamento ordinario delle università.
   POLICLINICI NON STATALI. I policlinici delle università non statali avranno nel 2013 un contributo di 52,5 milioni. La fondazione Gaslini riceve invece 5 milioni.
   FANNULLONI SANITÀ. Verifica straordinaria sul personale del settore sanitario. Se saranno scovati dei 'fannulloni', dovranno essere ricollocati alle proprie mansioni.
   GDF. Da ottobre per diventare generale di divisione e generale di corpo d'armata della Guardia di finanza servirà un anno in più di permanenza nel grado precedente.
   SICUREZZA. Nel comparto sicurezza si potranno fare assunzioni di personale per arrivare a una spesa annua massima di 70 milioni per il 2013 e 120 milioni dal 2014.
   BENI MAFIA. Rafforzamento per l'Agenzia per l'amministrazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. I beni mobili sotto sequestro potranno essere venduti.
   POSTE. Rinvio di un anno per i tagli al parco auto di Poste italiane, obbligata a ridurre le vetture usate dai postini e quelle date come benefit ai dipendenti.
   INPS-INAIL. Slitta al 31 luglio la scadenza dei consigli di indirizzo e vigilanza (Civ) di Inps e Inail, in attesa del riordino previdenziale con la nascita del super-Inps.
FINANZIAMENTI
   MONTI-BOND. Cambiano i Monti-bond, le obbligazioni sottoscritte dal ministero dell'Economia di cui beneficerà Banca Mps. Il termine slitta ancora al primo marzo del 2013.
   FONDO TAGLIA-TASSE. Non andranno al fondo taglia-tasse le risorse derivanti dalla minore spesa per interessi sul debito pubblico, legata al calo dello spread Btp-Bund.
   EXPO 2015. L'Expo 2015 non subirà i tagli lineari del 10%. A supporto della società di gestione arriverà il personale della struttura per la gestione liquidatoria di Torino 2006.
   BEI. L'Italia parteciperà all'aumento di capitale della Banca europea per gli investimenti con un contributo di 1,617 miliardi, da pagare in un'unica tranche nel 2013.
   AEROSPAZIO. Arrivano 8,43 miliardi di euro in 16 anni per sostenere le imprese del settore aerospaziale. Un intervento di cui beneficerà in particolare Finmeccanica.
   NON-AUTOSUFFICIENZE. Stanziati 115 milioni di euro per sostenere i malati di Sla (sclerosi laterale amiotrofica) e aiutare le persone non-autosufficienti.
   TAV. Nuove risorse per 2,25 miliardi di euro per la Tav Torino-Lione. All'alta velocità ferroviaria sono destinati 150 milioni di euro all'anno dal 2015 al 2029.
EDITORIA
   EDITORIA. Per il prossimo anno stanziati 45 milioni di euro per il settore editoriale e 15 milioni per il sostegno a radio e televisioni locali.
   TV-STAMPA. Prorogato di un anno il divieto di incroci proprietari tra stampa e televisioni. Lo stop resta in vigore fino al 31.12.del 2013.
GIOCHI
   SALE POKER. Scattano a gennaio le gare per aprire sale da poker. È stata eliminata infatti la proroga di sei mesi per l'apertura di sale dedicate al gioco d'azzardo.
   MULTE GIOCHI. Rinvio al 30.06.2013 per le multe previste per gli spot radio-televisivi e la pubblicità sulla stampa per ragazzi che pubblicizzano i giochi con vincite in denaro (articolo ItaliaOggi del 21.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Appalti senza ribassi selvaggi. Nuovi parametri per i servizi di ingegneria e architettura. È in dirittura d'arrivo il provvedimento per la liquidazione dei compensi professionali.
È finita l'era delle liberalizzazioni selvagge nei bandi per la pubblica amministrazione. L'era in cui cioè, con l'eliminazione delle tariffe, le gare per i servizi di ingegneria e architettura venivano aggiudicate a prezzi stracciati con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo iniziale.

È in dirittura d'arrivo, infatti, un nuovo provvedimento che dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la liquidazione dei corrispettivi in caso di contenzioso, si occuperà di comporre il mosaico complessivo di riforma delle professioni: si tratta di un decreto interministeriale (giustizia-infrastrutture) che definisce i parametri da utilizzare per la determinazione dell'importo da porre a base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria e architettura.
Il contesto generale. Un testo dall'elaborazione complessa (il ministero sta finendo le consultazioni con le categorie interessate per inviarlo al Consiglio di stato) ma necessario, dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le corrette procedure per l'affidamento. Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle categorie professionali che, tra le altre cose, ha alimentato, soprattutto in questi mesi, un'eccessiva discrezionalità delle stazioni appaltanti.
Anche se l'assenza di riferimenti tariffari per i servizi di ingegneria e di architettura non è uno scenario nuovo per il settore già colpito da modifiche significative nel 2006 con l'eliminazione delle tariffe minime obbligatorie, introdotta dalle lenzuolate Bersani. Questa abolizione pur con alcune eccezioni (giacché il ricorso alle tariffe non era vietato del tutto se utilizzate come parametri di riferimento) non contemplava comunque più l'obbligo per le stazioni appaltanti di applicare tariffe fisse o minime con il risultato di avere ribassi delle offerte nelle gare pubbliche anche del 90% del loro valore iniziale.
Comunque per sanare tale criticità il governo era intervenuto con il decreto sviluppo stabilendo che per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi tecnici si sarebbero applicati i parametri individuati appunto con un decreto interministeriale che avrebbe anche definito «le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi». Il tutto con un paletto preciso: «I parametri individuati non possono condurre alla determinazione di un importo a base di gara superiore a quello derivante dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del presente decreto».
I punti principali del testo. La battaglia dei periti industriali che hanno sostenuto assieme al Pat, il lavoro dei tecnici del ministero per la stesura del testo, è stata orientata soprattutto a eliminare gli aspetti eccessivamente discrezionali. Così è saltata, in primo luogo, la possibilità per le pubbliche amministrazioni di aumentare o diminuire gli importi a base di gara del 60% in maniera completamente discrezionale come invece è avvenuto nel decreto sui parametri per le liquidazioni giudiziali dei compensi dei professionisti (dm 140/12). Allo stesso modo quel parametro indicato nel testo con la lettera «G», che nel calcolo degli importi a base di gara servirà a definire la «complessità della prestazione», vedrà diminuire la sua portata discrezionale.
Il decreto, infatti, non fissa più (come nelle versioni circolate in precedenza) una forbice tra due valori (ridotto e elevato), ma quozienti fissi e non derogabili stabiliti a seconda della categoria e della destinazione funzionale dell'opera. Il provvedimento richiama nella valutazione del compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e del grado di complessità.
Torna poi la liquidazione forfettaria delle spese, in sostanza l'importo delle spese e degli oneri accessori, invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente» secondo percentuali standard degli oneri sostenuti dal professionista che varieranno tra il 10 e il 25% a seconda del valore dell'opera.
Il commento. «L'offerta economica calcolata su basi false», commenta il presidente del Cnpi Giuseppe Jogna, «era tristemente diventata l'unica variabile nelle aggiudicazioni, e abbiamo assistito a corse al ribasso per firmare contratti un po' usa e getta. Ma non solo, perché nonostante l'evidente abnormità dei ribassi, le stazioni appaltanti, forse perseguendo un miope criterio di risparmio, non hanno quasi mai dato applicazione al concetto di offerta anomala.
Uno scenario quasi da Far west che sull'onda delle selvagge liberalizzazioni ha assimilato le attività professionali a quelle dell'impresa dove prevale il minor costo anche a scapito della qualità dei servizi. Ecco perché ben venga questo decreto che sono convinto risolleverà l'alto livello qualitativo che, da sempre, ha caratterizzato gli studi di progettazione nel nostro paese» (articolo ItaliaOggi del 21.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Le liti stradali non sono assimilabili a quelle tributarie. Lo ha detto la Consulta. Sindaci, multe non impugnabili. Decadono se ricorrono contro le multe del proprio vigile.
Costa caro al primo cittadino proporre ricorso al giudice di pace contro una multa personale elevata dal suo comando di polizia municipale. Il radicamento e la prosecuzione della lite costituiscono infatti potenziali cause di decadenza dall'incarico in conformità all'art. 63 del Tuel.
Lo ha evidenziato la Corte Costituzionale con l'ordinanza 06.12.2012 n. 276.
È singolare la vicenda del sindaco di Azzano Decimo che dopo essere incappato nei rigori dell'autovelox dei vigili del suo comune ha proposto ricorso contro la multa davanti al giudice di pace di Pordenone.
Un attento cittadino di diverso orientamento politico ha quindi promosso con successo un giudizio davanti al tribunale al fine di accertare l'incompatibilità sopravvenuta del primo cittadino ai sensi dell'art. 63 del dlgs 267/2000. Contro questa decisione l'interessato con la fascia tricolore ha quindi proposto censure alla corte d'appello di Trieste evidenziando, tra l'altro, la progressiva limitazione dell'ambito di applicazione di questo istituto e la potenziale assimilazione del contenzioso stradale con le liti tributarie specificamente escluse dall'incompatibilità. I giudici della città della scienza hanno allora sollevato questione di legittimità costituzionale proprio su quest'ultima questione evidenziando che l'art. 63 del Tuel è potenzialmente carente laddove non comprende anche le cause di opposizione ex legge 689/1981 tra quelle che non determinano la decadenza come quelle fiscali.
A parere della Consulta però la lite tributaria non è assolutamente assimilabile a quella stradale. La giurisprudenza di legittimità, specifica l'ordinanza, «ha annoverato il procedimento di cui alla legge n. 689 del 1981 tra quelli civili a cognizione ordinaria tendente all'accertamento negativo della pretesa sanzionatoria da parte dell'autorità competente e proponibili al giudice di pace ovvero al tribunale». In pratica la speciale natura della giurisdizione tributaria «implica una ontologica eterogeneità rispetto alla natura di giudizio civile a cognizione ordinaria attribuita alla opposizione ex lege n. 689/1981, determinando di conseguenza l'incomparabilità delle situazioni poste a raffronto».
In buona sostanza se un sindaco intende resistere contro una multa stradale accertata dai suoi operatori ha le armi spuntate. Questa condizione però secondo la Corte costituzionale non incide necessariamente in maniera sfavorevole sull'elettorato passivo del primo cittadino. L'amministratore locale, conclude infatti l'ordinanza, ha piena facoltà di eliminare le cause di incompatibilità mediante un scelta personale «che lungi dall'essere normativamente coartata consente al medesimo interessato (che si trova in un contesto di inconciliabilità tra la permanenza nella carica e la prosecuzione della lite) di essere arbitro di se stesso e di preservare il valore costituzionale che egli ritiene prevalente come cittadino e come eletto a cariche pubbliche» (articolo ItaliaOggi del 21.12.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: Regolamento sprint per i controlli.
Tempi stretti per l'approvazione del regolamento che dovrà definire gli strumenti e le modalità di controllo interno di cui al comma 1, lett. d), dell'art. 3 del dl 174 convertito nella legge 213/2012.

Chi si augurava che con la conversione del decreto legge in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali sarebbe slittato almeno di due mesi il termine del 10.01.2013 è rimasto deluso e oramai restano pochi giorni per l'adozione di un regolamento complesso che presuppone anche una chiara visione organizzativa e di funzionamento effettivo dei «nuovi» sistemi di controllo interni agli enti locali.
Con la conversione del dl 174 è stata concessa una proroga temporale di uno o due anni ai comuni con popolazione inferiore ai 100 mila abitanti (a seconda della dimensione demografica, rispettivamente, superiore a 50 mila o a 15 mila abitanti) solo per la tipologia dei controlli sulle partecipate, compreso il bilancio consolidato, strategico, sulla qualità dei servizi erogati e sulla soddisfazione degli utenti interni ed esterni.
Immediata operatività per tutti gli enti locali, invece, del controllo di gestione, del controllo strategico, del controllo costante degli equilibri finanziari, sia in termini di competenza sia di residui nonché della gestione di cassa, anche ai fini del rispetto del patto di stabilità. Gli enti avevano tre mesi dal 10.10.2012, per l'adozione con delibera di Consiglio di un apposito regolamento da inviare alla Corte dei conti e al prefetto, pena lo scioglimento del Consiglio ai sensi dell'art. 141 Tuel.
Ma oltre al regolamento la norma richiede la piena ed effettiva operatività degli stessi controlli; non basta, cioè, la stesura ed approvazione del regolamento.
Sicuramente la complessità della tipologia dei controlli in questione richiede uno sforzo organizzativo degli enti che passa attraverso la rivisitazione del regolamento degli uffici e dei servizi per la valutazione della «collocazione» di tali controlli, la verifica del sistema informativo contabile che deve garantire la gestione di informazioni utili (soprattutto in termini di novità) per il controllo di gestione, e quindi la contabilità economica ed analitica, gli indicatori, il sistema di reporting, e il controllo strategico e relativi indicatori di output ed outcome.
Il tempo è obiettivamente troppo breve per l'introduzione o il potenziamento di un serio ed efficace sistema di controlli.
Tuttavia per non vanificare lo sforzo legislativo utile per la collettività, sarebbe opportuno che gli enti adottassero da subito (in assenza di qualche proroga) una delibera di giunta con cui prendere atto di tale obbligo legislativo e dare istruzioni operative e organizzative secondo un percorso prestabilito, riservandosi quanto prima di sottoporre il regolamento al consiglio per la sua approvazione, ben sapendo che anche i regolamenti di Contabilità e dell'organizzazione degli uffici e dei servizi devono essere rivisti e aggiornati (articolo ItaliaOggi del 21.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni culturali. Autorizzazioni paesaggistiche. Interventi più facili nelle zone protette.
Meno oneri per gli interventi nelle zone tutelate. Il ministero dei Beni culturali, in linea con quanto previsto dal decreto legge semplificazioni (Dl 5/2012), ha messo a punto un Dpr che chiarisce e in qualche maniera amplia le attività che si possono realizzare nelle zone protette ricorrendo alle modalità "veloci", indicate nel Dpr 139/2010, per ottenere l'autorizzazione paesaggistica. Si tratta di un abbattimento dei tempi (da 120 a 60 giorni) e della presentazione ridotta di documentazione (è sufficiente la certificazione di un tecnico mentre la relazione paesaggistica è in formato "mini").

Di queste semplificazioni già potevano usufruire 39 interventi indicati nel Dpr 139. Ora con il nuovo decreto, che è stato presentato ieri al preconsiglio e sarà esaminato dal prossimo Consiglio dei ministri, la corsia veloce viene estesa, per effetto di chiarimenti che i tecnici del ministero hanno messo a punto circa l'applicazione delle norme già esistenti, ad ambiti nuovi. Si tratta sempre di interventi di lieve entità, che, almeno in teoria, dovrebbero non impattare troppo sul paesaggio.
Per esempio, con il nuovo decreto viene specificato che si può ricorrere alla procedura dell'autorizzazione semplificata anche quando si tratta di attività in aree sottoposte a vincolo di bellezza individua (come ville e giardini) o nei nuclei e centri storici. Fattispecie che finora erano escluse dall'autorizzazione paesaggistica semplificata. Come contropartita, gli interventi di lieve entità che insistono su tali zone presuppongono una relazione paesaggistica che, seppure, semplificata, richiede qualche dettaglio in più rispetto a quella "base". Devono, invece, ricorrere alla procedura ordinaria gli interventi realizzati che prevedono un aumento di volume fino a 100 metri cubi e la demolizione e ricostruzione di manufatti.
Tra le altre modifiche introdotte alle regole dettate con il Dpr 139, è stato reso libero –dunque, non soggetto all'autorizzazione paesaggistica semplificata e tantomeno a quella ordinaria– il taglio selettivo della vegetazione che cresce in prossimità dei fiumi (articolo Il Sole 24 Ore del 20.12.2012).

APPALTIAppalti in lotti. È una facoltà. I pareri parlamentari sulla direttiva.
Facoltà e non obbligo di suddivisione in lotti degli appalti; per le concessioni affidate senza gara obbligo di appaltare a terzi tutti i lavori; più elasticità nelle variazioni del prezzo contrattuale.
Sono questi alcuni dei contenuti dei pareri emessi dalle commissioni parlamentari sulle proposte di direttive europee su appalti e concessioni. La Commissione ambiente della camera, su uno dei punti più controversi (suddivisione in lotti degli interventi di grandi dimensioni) ha chiesto di rendere facoltativa e non vincolante la suddivisione degli appalti in lotti separati, al fine di evitare il rischio di determinare un aggravio dei costi, un prolungamento dei tempi di esecuzione e un incremento del contenzioso.
Per gli affidamenti a terzi da parte dei concessionari di lavori pubblici (tema che da ultimo ha visto il governo Monti seguire la linea di un maggiore ricorso agli affidamenti a terzi con l'obbligo di affidare almeno il 60% a partire dal 01.01.2014), il parere votato il 14 dicembre chiede di valutare «l'opportunità di prevedere la facoltà per le amministrazioni aggiudicatrici di imporre al concessionario che una percentuale minima pari al 30% venga affidata a terzi, con particolare riferimento ai rapporti concessori di lunga durata». Per le concessioni affidate o prorogate senza gara, invece, si suggerisce l'obbligo di affidamento del 100% dei lavori a terzi.
Infine la camera chiede che sia elevata dal 5 al 15% la percentuale di variazione del prezzo a partire dalla quale si deve ricorrere a una nuova procedura di aggiudicazione, favorendo quindi una maggiore elasticità sul mantenimento del contratto originario. Nel parere approvato il 18 dicembre dalla Commissione lavori pubblici del senato, emerge l'apprezzamento per la promozione della partecipazione delle piccole e medie imprese «anche attraverso l'abolizione dei limiti di fatturato per l'accesso agli appalti».
Per quel che riguarda invece l'obbligo di creare organi nazionali di vigilanza (articoli 93 e seguenti delle proposte) la Commissione suggerisce «in relazione alle attuali ristrettezze di bilancio, di individuare gli organi in questione tra le realtà già esistenti nel panorama pubblico italiano»; ove peraltro opera da più di dieci anni l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (articolo ItaliaOggi del 20.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

VARIPROFESSIONI/ Via libera definitivo al ddl. Le associazioni potranno rilasciare gli attestati di competenza. Professionisti anche senza albo. Standard di qualità per le attività non regolamentate.
È arrivato il riconoscimento per le professioni non regolamentate.

È stato infatti approvato ieri dalla commissione Attività produttive della Camera, riunita in sede legislativa, il disegno di legge n. 1934-B che regolamenta le associazioni senza un albo di riferimento.
Che ora diventa quindi legge dello stato, al termine di un iter durato due anni e mezzo. A questo punto, il consumatore che vorrà usufruire di una prestazione da parte di un professionista non iscritto a un ordine, potrà consultare l'elenco delle associazioni professionali pubblicato sul sito del ministero dello sviluppo economico, a cui sono affidati, tra l'altro, i compiti di vigilanza sulla corretta attuazione della legge. Ma vediamo nel dettaglio cosa prevede questa riforma attesa da decenni dalle libere associazioni.
Elenco e pubblicità. L'elenco delle associazioni professionali è pubblicato dal ministero dello sviluppo economico sul proprio sito internet. A loro volta, le associazioni pubblicano online sul proprio portale tutti gli elementi informativi, impegnandosi a rispettare criteri di trasparenza, correttezza, veridicità. Nel dettaglio, le associazioni devono assicurare la piena conoscibilità dei seguenti elementi: atto costitutivo e statuto, precisa identificazione delle attività professionali, composizione degli organismi deliberativi e titolari delle cariche sociali, struttura organizzativa, eventuali requisiti per la partecipazione all'associazione. Al ministero dello sviluppo economico il compito di vigilare sulla corretta attuazione della legge.
Le attestazioni. Le associazioni professionali possono rilasciare ai propri iscritti, previe le necessarie verifiche, delle attestazioni, che però non rappresentano requisito necessario per l'esercizio dell'attività, su molteplici aspetti (regolare iscrizione del professionista, requisiti e standard qualitativi, possesso della polizza assicurativa), al fine di tutelare i consumatori e di garantire la trasparenza del mercato dei servizi professionali.
Per i settori di competenza, le medesime associazioni possono promuovere la costituzione di organismi di certificazione della conformità a norme tecniche Uni, accreditati dall'organismo unico nazionale di accreditamento (Accredia), che possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista anche non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di conformità alla norma tecnica Uni definita per la singola professione (articolo ItaliaOggi del 20.12.2012).

ATTI AMMINISTRATIVIRicorsi al tar sugli appalti. Contributo unificato, vale l'importo della gara.
Nei ricorsi al Tar sugli appalti il contributo unificato si calcola in base all'importo a base di gara. La precisazione arriva da un emendamento al ddl Stabilità nella parte in cui disciplina il balzello da pagare prima di iniziare una causa.

Il ddl stabilità ha, in particolare, aumentato il contributo per i processi al Tar e al Consiglio di Stato in materia di appalti, sostituendo all'importo fisso di Euro 4 mila una scaletta a seconda del valore della causa: euro 2.000 quando il valore della controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; euro 4.000 per le controversie di importo compreso tra 200.000 e 1.000.000 euro; euro 6.000 per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro. L'emendamento precisa che si applica la soglia massima (6 mila euro) in altri due casi.
Il primo è quello delle cause di valore indeterminabile; il secondo caso è quello della omessa dichiarazione del valore della lite.
A proposito del valore della lite l'emendamento precisa come debba essere calcolata per i processi amministrativi. Quando le controversie amministrative riguardano i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture il valore della lite è pari all'importo posto a base d'asta individuato dalle stazioni appaltanti negli atti di gara. Il valore non considera i ribassi: c'è quindi la possibilità di un'incidenza negativa nel caso di ribasso che comporta un'offerta compresa nello scaglione più basso del contributo unificato rispetto a quello da applicare per l'importo base.
Altra precisazione contenuta nell'emendamento riguarda i provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti e quindi le multe applicate dalle authority: il valore della lite è pari alla somma delle sanzioni irrogate.
Altri emendamenti riguardano l'abbandono delle tariffe degli avvocati e l'adeguamento al decreto sui parametri (140/2012) per la liquidazione delle spese da parte dei giudici alla fine di una sentenza: il decreto va usato anche per la liquidazione a favore delle amministrazioni che si difendono nel giudizio civile e in quello tributario con propri funzionari (resta ferma la decurtazione del 20%).
Ciò significa che anche le amministrazioni subiranno la riduzione delle spese rimborsate, considerato che i nuovi parametri sono di regola più bassi delle vecchie tariffe forensi (articolo ItaliaOggi del 19.12.2012).

ATTI AMMINISTRATIVISpecifiche in Gazzetta per la firma digitale.
In G.U. n. 294 di ieri sono stati pubblicati due decreti, a firma del ministro per la pubblica amministrazione, che attuano alcune norme contenute nel Codice dell'amministrazione digitale.
Il primo (D.P.C.M. 06.09.2012) definisce le modalità tecniche con cui inserire nel certificato qualificato di firma le informazioni relative a specifiche qualifiche del titolare della firma digitale, riconosciute da ordini o da collegi professionali, da amministrazioni pubbliche o da enti pubblici e privati.
Il secondo (D.P.C.M. 27.09.2012) fissa le regole tecniche mediante le quali il gestore della casella di posta elettronica certificata (PEC-ID) tramite la quale possono essere presentate, in via telematica, istanze e dichiarazioni alle pubbliche amministrazioni, deve identificare il titolare della medesima casella (articolo ItaliaOggi del 19.12.2012).

CONDOMINIOIn Gazzetta la legge 220/2012: cosa cambia per le comproprietà dei fabbricati. Nuovo condominio da giugno. Il 17/06/2013 la data fissata per l'avvio della riforma.
La riforma del condominio partirà il 17.06.2013. È stata, infatti, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17.12.2012 la legge n. 220 dell'11/12/2012 sulla riforma della disciplina delle comproprietà dei fabbricati.
La legge prevede, infatti, una vacatio di sei mesi, che serviranno a studiare le novità e a prepararsi alla applicazione delle nuove disposizioni.
Le novità toccano il condominio a tutto campo: quorum delle assemblee più snello per prendere le decisioni e evitare ingessature, l'amministratore diventa manager e professionista qualificato e trasparente, più libertà per i singoli condomini (nel distacco dall'impianto riscaldamento, per gli impianti radio-tv e pannelli solari.
Cambiano le modalità di convocazione dell'assemblea e i quorum costitutivi e deliberativi, sia in prima sia n seconda convocazione, con un limite alla raccolta di deleghe: l'obiettivo è quello di rendere più snella la gestione e più facili le scelte.
Cambia la disciplina dell'amministratore, che diventa un ruolo professionale e richiede un titolo di studio almeno di istruzione secondaria di secondo grado, ma soprattutto una formazione specifica e un aggiornamento periodico.
Peraltro è prevista una deroga ai requisiti professionali sia per gli amministratori che hanno svolto l'incarico per un anno nell'ultimo triennio (soggetti all'aggiornamento periodico) sia per il singolo condomino che svolge l'attività (esonerato anche da obblighi di aggiornamento).
L'amministratore ha maggiori obblighi di trasparenza e deve aprire un conto corrente bancario dedicato al singolo condomino, mettendo a disposizione i movimenti bancari al controllo dei partecipanti. Si codifica, poi, la regola già prevista da alcune sentenze per cui la funzione amministrativa può essere svolta da una società. Si svecchia la disciplina consentendo il sito internet condominiale e, come richiesto dal garante della privacy, si dettaglia la maggioranza per l'installazione di telecamere per la videosorveglianza condominiale.
Viene concesso più spazio al singolo condomino per distaccarsi dall'impianto di riscaldamento centralizzato, installare impianti di ricezione radiotelevisiva e pannelli solari.
Certo se impianti radio-tv e pannelli solari incidono su parti comuni il condominio potrà dare prescrizioni.
Quanto all'impianto di riscaldamento, il distacco non è completamente libero, in quanto è concesso solo se non si fruisce del calore per problemi tecnici prolungati per un'intera stagione e comunque con obbligo di partecipare alle spese di manutenzione straordinaria della centrale termica.
Inoltre il regolamento non può vietare di tenere animali domestici. Quanto alle spese condominiali, la riforma sceglie il pugno duro contro i morosi, nei cui confronti l'amministratore deve agire entro sei mesi. Inoltre i dati personali dei morosi possono essere comunicati ai creditori del condominio, tenuti ad agire contro gli inadempienti prima di rivalersi sui partecipanti in regola (articolo ItaliaOggi del 18.12.2012).

aggiornamento al 18.12.2012

CONDOMINIO: Il sottotetto è condominiale. La struttura deve poter essere usata come vano autonomo. La riforma aggiorna l'elenco (non tassativo) delle parti destinate a uso collettivo.
I sottotetti si presumono parte comune dell'edificio condominiale se oggettivamente destinati all'uso collettivo da parte dei condomini.
È uno degli effetti della riforma del condominio, che ha introdotto novità in merito alle parti comuni del caseggiato. Infatti, è stato aggiornato l'elenco dei beni che, in base all'art. 1117 c.c., si presumono in comproprietà di tutti i condomini, il quale tiene conto anche dell'evoluzione tecnologica intervenuta dal 1942 a oggi.
In primo luogo appare evidente la volontà del legislatore di utilizzare un linguaggio più comprensibile: così viene precisato che i beni elencati sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio («anche se aventi diritto a godimento periodico», con un implicito riferimento alle ipotesi della c.d. multiproprietà immobiliare), espressione certamente più semplice e attuale rispetto a quella precedente («proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio»).
A conferma di ciò, la successiva precisazione secondo cui le parti elencate sono condominiali «se non risulta il contrario dal titolo», mentre la precedente (e ancora attuale) versione dell'art. 1117 c.c. disponeva, con una forma un po' più arcaica, «se il contrario non risulta dal titolo» .
Rimane quindi confermato che per stabilire quali siano le parti comuni dell'edificio condominiale bisogna in primo luogo esaminare le clausole dei rogiti di acquisto (e, successivamente, il regolamento, l'atto di successione ereditaria, le vicende di fatto che abbiano portato a un eventuale acquisto per usucapione, o la destinazione oggettiva del bene). In ogni caso viene confermato che si tratta comunque, è bene precisarlo subito, di un elenco dei beni comuni non tassativo, ma esemplificativo, di parti che, come detto, si presumono condominiali, con la conseguenza che un bene o un impianto, pur non indicato nell'art. 1117 c.c., può, a determinate condizioni, essere ugualmente qualificato come condominiale.
Ciò trova conferma nel fatto prima dell'elenco dei beni di cui ai numeri 1, 2 e 3 della predetta disposizione del codice civile, nella stessa norma viene anticipata l'espressione «tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune» (mentre nell'originario testo dell'art. 1117 c.c. detta espressione era contenuta soltanto al termine dell'elencazione dei beni comuni di cui al n. 1): la modifica evidenziata tende dunque a evidenziare il carattere esemplificativo e non esaustivo dell'elencazione in questione. Del resto, di fronte alle molteplici varietà delle ipotesi che possono presentarsi nella realtà condominiale, non è certo possibile un elenco completo e quindi anche la legge di riforma si limita soltanto a fornire all'interprete una chiave per individuare quali beni, in un caseggiato in condominio, debbano presumersi di proprietà comune.
Nel passare all'elenco delle parti condominiali, la novità è rappresentata dall'inclusione in esse dei pilastri, delle travi portanti e delle facciate: tali indicazioni sono indiscutibili, se si considera che i muri perimetrali delimitano esternamente il caseggiato, mentre i pilastri e le travi in conglomerato cementizio sono elementi dell'intelaiatura portante dell'edificio condominiale. Vengono ricompresi nell'elenco dei beni comuni anche le aree destinate a parcheggio e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune. Si tratta quindi dei sottotetti che abbiano dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo (mentre sono generalmente di proprietà esclusiva quelli che costituiscono una camera d'aria e hanno la mera funzione di isolare e proteggere l'appartamento dell'ultimo piano dal caldo, dal freddo e dall'umidità).
Per quanto riguarda le altre novità introdotte dalla riforma della disciplina condominiale in tema di parti comuni, merita di essere precisato che è stata modificata la dicitura di alcuni beni comuni (gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento (anziché gli acquedotti, le fognature, i canali di scarico, gli impianti per l'acqua, per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili) e che sono stati aggiunti altri impianti, ovvero quelli per il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo anche da satellite o via cavo. Da notare che, in caso di impianti unitari, si dovrà far rientrare l'impianto tra le parti comuni fino al punto di utenza, salve le normative di settore in materia di reti pubbliche, in grado, queste ultime, di costituire unilateralmente vincoli sull'edificio aventi effetti analoghi alle servitù (articolo ItaliaOggi Sette del 17.12.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Pubblicato in Guue il regolamento n. 1179/12 con le norme per l'end of waste. Il riutilizzo del vetro ora è doc. Regole Ue per i produttori di materie prime secondarie.
Nuove regole certe per i produttori di materie prime secondarie. Dopo quelle relative ai rottami ferrosi, arrivano infatti dall'Ue le norme per riabilitare a veri e propri beni i rifiuti di vetro sottoposti a procedimenti di recupero.
Le nuove regole sull'«end of waste» sono recate dal
REGOLAMENTO (UE) N. 1179/2012 DELLA COMMISSIONE del 10.12.2012 in attuazione dell'articolo 6 della direttiva madre sui rifiuti (la 2008/98/Ce) e si applicano immediatamente in tutti gli Stati membri a partire dall'11.06.2013 senza necessità di essere veicolate da provvedimenti interni in quanto norme «self executing».
Con il provvedimento in parola (pubblicato sulla Guue dell'11.12.2012, n. L337) la Commissione Ue stabilisce tutte le condizioni indefettibili che i rottami di vetro devono soddisfare per uscire dalla disciplina dei rifiuti, ossia: tipologie di rifiuti processabili; operazioni di recupero da seguire; standard qualitativi minimi dei prodotti ottenuti; tipi di riutilizzi possibili; sistemi di gestione dei processi; certificazione di conformità.
Tipologie di rifiuti ammissibili. In base al nuovo regolamento, saranno utilizzabili per ottenere le materie prime in esame unicamente i rifiuti recuperabili provenienti dalla raccolta del vetro per imballaggio, il vetro piano, il vasellame privo di piombo. Sono invece esclusi i residui contenenti vetro provenienti da rifiuti solidi urbani indifferenziati o da strutture sanitarie ed i rifiuti pericolosi.
Trattamento. I rifiuti ammessi all'«end of waste» dovranno essere raccolti, separati dagli altri residui e trasformati fino a ottenere dei rottami di vetro riutilizzabili direttamente, attraverso la rifusione, nella produzione di sostanze di vetro od oggetti.
Qualità delle materie prime secondarie. I rottami ottenuti all'esito del trattamento dovranno soddisfare sia le specifiche norme di settore (in sostanza, quelle dell'industria del vetro) sia i limiti massimi di metalli, sostanze organiche (come carta, gomma plastica, tessuto, legno) ed inorganiche (come ceramica, roccia, porcellana, piroceramica) stabiliti dagli allegati tecnici al regolamento comunitario.
Ancora, i rottami dovranno altresì essere esenti dalle caratteristiche di pericolo previste dall'allegato III alla citata direttiva madre sui rifiuti e rispettare i parametri di concentrazione fissati sia dalla decisione 2000/532/Ce (recante l'elenco dei rifiuti) che dal regolamento Ce n. 850/2004 (relativo agli inquinanti organici persistenti).
Riutilizzi consentiti. Parte integrante delle condizioni da rispettare per poter gestire come veri e propri beni i rottami ottenuti all'esito del recupero è il rispetto della loro destinazione. Questa, come accennato, deve coincidere esclusivamente con il riutilizzo diretto delle materie prime ottenute nella produzione di sostanze od oggetti di vetro mediante la loro rifusione. In caso contrario, essi rottami torneranno quindi ad essere considerati rifiuti, con tutti i relativi obblighi gestionali connessi.
Controllo del procedimento. Procedimento di trattamento dei rifiuti e qualità dei rottami ottenuti dovranno essere sottoposti ad un sistema di gestione che permetta il controllo delle condizioni prescritte, sistema che dovrà altresì essere validato da un organismo accreditato dall'Ue almeno ogni tre anni.
Dichiarazione di conformità. Ogni partita di rottami di vetro dovrà infine essere accompagnata da un dichiarazione di conformità che la identifichi e ne attesti la rispondenza ai requisiti tecnici stabiliti dal nuovo regolamento Ue.
Tale onere sarà a carico del «produttore» dei rottami (ossia del detentore che li cede per la prima volta dalla loro creazione ad altro soggetto) oppure, in caso di materiali extra Ue, dall'«importatore» (quale persona fisica o giuridica stabilita nell'Unione che li introduce nel territorio doganale comunitario).
L'«end of waste» Ue. Alla base della nuova disciplina, come accennato, vi è la citata direttiva 2008/98/Ce, il cui articolo 6 conferisce alla Commissione Ue il potere stabilire norme tecniche per il recupero di determinate categorie di rifiuti.
Tali regole, una volta adottate, diventano vincolanti e scavalcano quelle eventualmente stabilite dai singoli Stati membri, legittimando i soggetti che le osservano a gestire come veri e propri beni i residui che derivano dai processi regolamentati.
Il nuovo regolamento Ue n. 1179/2012 sui rottami di vetro segue l'analogo regolamento 333/2011/Ue relativo all'end of waste di rottami di ferro, acciaio ed alluminio già in vigore dal 09.10.2011.
Se l'Esecutivo Ue seguirà la scaletta di priorità prevista dallo stesso articolo 6 della direttiva 2008/98/Ce, tra i prossimi criteri in arrivo dovranno esserci quelli relativi al recupero di rifiuti di carta, tessuto e pneumatici fuori uso (articolo ItaliaOggi Sette del 17.12.2012).

APPALTI SERVIZI: Servizi locali. L'adeguamento ai parametri europei previsto dal Dl sviluppo riguarda anche il settore idrico.
Affidamenti da giustificare. Le ragioni della scelta vanno esplicitate in una relazione pubblica.

Gli enti locali devono verificare la coerenza con i parametri comunitari degli affidamenti dei servizi alle società partecipate e, se rilevano criticità, devono adottare misure di adeguamento.
La legge di conversione del Dl sviluppo (Dl 179/2012) delinea un nuovo quadro di riferimento essenziale per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, definendo nell'articolo 34 un percorso finalizzato a garantire la massima trasparenza (sia a fini di concorrenza, sia per gli utenti) sui modelli gestionali scelti dagli enti locali.
La relazione illustrativa
I Comuni e gli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali (individuati dal comma 23 come i soggetti competenti all'affidamento per i servizi a rete, come la gestione del ciclo integrato dei rifiuti) devono esplicitare in una relazione illustrativa le ragioni dell'affidamento e la sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per il modello prescelto (comma 20).
Il documento, che deve essere pubblicato sul sito internet dell'ente affidante, ha come contenuti essenziali anche l'individuazione degli obblighi di servizio pubblico e delle relative compensazioni, che dovranno essere esplicitate tenendo conto dei parametri della disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato, compresa nel cosiddetto pacchetto Sieg (il nuovo pacchetto di norme sugli aiuti di Stato per i servizi di interesse economico generale).
Per gli affidamenti in house, la relazione dovrà evidenziare analiticamente i dati quantitativi che esplicitano la prevalenza dell'attività svolta dalla società a favore dell'ente locale e della sua comunità, e gli elementi compositivi del controllo analogo, come ad esempio le clausole convenzionali che garantiscono agli enti soci di intervenire nei processi decisionali strategici, gli strumenti specifici, l'oggetto sociale delimitato.
Il controllo
Se la società è partecipata da più enti locali, detentori anche di quote molto limitate, le clausole statutarie devono consentire agli enti di esercitare congiuntamente il controllo analogo, come chiarito dalla Corte di giustizia Ue, sezione III, con la sentenza del 29.11.2012, sulla causa C-183/11.
L'eventuale rilevazione, da parte dell'ente affidante, di elementi non conformi ai requisiti comunitari nel presunto rapporto in house, determina l'obbligatoria adozione di misure (comma 21) che sanciscano soprattutto il controllo analogo, come l'inclusione nello statuto di regole specifiche, la costituzione di organismi di verifica, la regolamentazione dettagliata delle attività di checking delle prestazioni e della qualità nei contratti di servizio.
Società miste
La situazione può risultare più critica per le società miste, perché i parametri del partenariato pubblico-privato di tipo istituzionale definiti dall'ordinamento comunitario prevedono la selezione a evidenza pubblica del socio privato e la contestuale attribuzione a questo di specifici compiti operativi.
Le società a partecipazione congiunta pubblico-privata "vecchio modello" (nelle quali il socio sia stato individuato con gara, ma per le quali l'affidamento sia avvenuto in forma diretta) non possono proseguire nella gestione. Gli enti dovranno dunque riacquistare temporaneamente le quote (liquidando il socio privato), per indire poi una nuova gara «a doppio oggetto». Un percorso analogo deve essere seguito per le società miste nelle quali il socio privato sia stato scelto, a suo tempo, senza gara.
L'affidamento diretto di servizi pubblici da parte di amministrazioni locali a società da esse non partecipate comporta invece un nuovo affidamento con gara, entro termini molto brevi.
Mancato adeguamento
La mancata formazione e pubblicizzazione della relazione illustrativa e l'eventuale mancato adeguamento ai parametri comunitari comportano la cessazione degli affidamenti "impropri" in corso al 31.12.2013. La stessa data comporta la cessazione degli affidamenti per i quali il contratto di servizio non preveda scadenza e non sia stato inserito nello strumento pattizio, nel frattempo, un termine preciso.
La nuova disciplina non si applica al servizio di distribuzione del gas naturale, a quello di distribuzione dell'energia e a quello di gestione delle farmacie (articolo 34, comma 25): curiosamente, non è escluso il servizio idrico, per il quale, di conseguenza, gli enti di governo dell'ambito devono dimostrare la coerenza dei modelli gestionali attuali con i requisiti comunitari (ed eventualmente adeguarli, pena la scadenza delle gestioni esistenti a fine 2013).
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Le nuove regole
01 | La procedura
I servizi pubblici locali di rilevanza economica devono essere affidati in base a una relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico
02 | La scadenza
Gli affidamenti in corso non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea devono essere adeguati entro il 31.12.2013 pubblicando, entro la stessa data, la relazione. Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza, gli enti devono inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento. In mancanza di adempimento a questi obblighi, l'affidamento cessa al 31.12.2013
I punti-chiave
01 | LA DECISIONE
Il giudice del lavoro di Padova ha annullato il provvedimento con cui un Comune aveva messo in disponibilità un proprio dipendente: un titolare di posizione organizzativa che, dopo la mancata conferma dell'incarico, era stato spostato in un altro settore e poi dichiarato in esubero
02 | LA MOTIVAZIONE
Il giudice ha rilevato che nella comunicazione ai soggetti sindacali è mancata completamente l'indicazione dei criteri in base ai quali è stata effettuata la scelta dei dipendenti da collocare in esubero. Quindi, secondo il giudice, il dipendente non è stato individuato in modo oggettivo ma mirato (articolo Il Sole 24 Ore del 17.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 17.12.2012

PUBBLICO IMPIEGOLEGGE DI STABILITÀ/ Torna la buonuscita nella p.a.. Stop al tfr. Chiuse di diritto le controversie pendenti. Un emendamento fa salvi gli effetti del decreto legge 185/2012.
Torna la vecchia e cara buonuscita per i dipendenti pubblici. A chi abbia percepito la prestazione in base al regime di trattamento di fine rapporto (tfr, che aveva sostitutivo le vecchie regole del Tfs), il trattamento sarà riliquidato entro il 31.10.2013. Chiuse di diritto tutte le liti pendenti; nessun recupero di eventuali somme erogate in eccedenza ai lavoratori dipendenti.

La novità, prevista dal dl n. 185/2012, è salvata da un emendamento introdotto al ddl Stabilità.
Torna la buonuscita. Il decreto legge n. 78/2010, con effetto dal 01.01.2011, aveva stabilito il cambio di regole per il calcolo della buonuscita dei dipendenti pubblici al fine di equipararle a quelle dei dipendenti del settore privato. Sulla base di tanto, dal 2011, tutti i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, ricevevano la prestazione di fine rapporto lavoro calcolata secondo le regole del codice civile.
Poi è arrivata la marcia indietro per i dipendenti pubblici, fissata dal decreto legge n. 185/2012 in vigore dal 31 ottobre, in conseguenza della sentenza della corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il permanere della ritenuta del 2,5% a carico dei lavoratori, una volta cambiate le regole di calcolo del trattamento di fine servizio. Il dl n. 185/2012 ha stabilito la riliquidazione d'ufficio, entro un anno, di tutti i Tfs liquidati in base alle nuove, e adesso abrogate, regole, ma senza procedere al recupero delle eventuali somme erogate in eccedenza al dipendente.
Con il dietrofront, inoltre, è stata disposta anche l'estinzione di diritto di tutti i processi pendenti, nonché l'inefficacia di tutte le sentenze emesse (tranne quelle passate in giudicato) in materia di restituzione del contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5% della retribuzione. Le novità, come accennato, sono raccolte in un emendamento al ddl Stabilità, il quale fissa inoltre, l'estinzione di diritto di tutti i processi pendenti aventi ad oggetto la restituzione del contributo previdenziale obbligatorio e fa salvi gli atti e i provvedimenti prodotti sulla base delle disposizioni del decreto legge n. 185/2012 che non verrà convertito in legge.
Testo unico maternità. Oltre alle imprenditrici agricole anche le pescatrici autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne avranno diritto all'indennità di maternità. La novità, anch'essa prevista da un emendamento al disegno di legge Stabilità, arriva da una modifica al Testo unico maternità (decreto legislativo n. 151/2001). L'indennità verrà corrisposta per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre successivi, in misura pari all'80% della misura giornaliera del salario convenzionale.
Sempre in tema di maternità, infine, una modifica all'articolo 32 del Tu autorizza la contrattazione collettiva a stabilire le modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa (articolo ItaliaOggi del 15.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALII controlli negli enti locali. Riforma sprint sui conti dei Comuni. Da adottare entro il 10 gennaio i regolamenti locali con i nuovi compiti per revisori e segretari.
IL RISCHIO/ A tutti i vertici amministrativi competenze più pesanti ma non accompagnate da tutele efficaci.

Quella scritta nel decreto legge sui «costi della politica» è una riforma profonda dei controlli negli enti locali. Una riforma, però, nata dall'emergenza, varata per decreto legge e ritoccata in Parlamento nel corso di un dibattito già scaldato dal clima pre-elettorale.
Le novità che ne sono uscite sono parecchie, hanno tempi di attuazione spesso strettissimi, ma l'efficacia e la praticabilità degli equilibri che disegnano fra le diverse professionalità che lavorano in Comuni e Province sono tutte da verificare nelle prove sul campo. Tutti i settori di vertice dell'amministrazione locale vengono investiti di nuovi compiti, che questa Guida prova a spiegare profilo per profilo, all'interno però di un ridisegno che non sceglie se puntare sui controlli interni o esterni, e non sembra preoccuparsi troppo dell'armonia fra le musiche che i diversi orchestrali devono suonare.
L'ampliamento dei compiti più deciso è forse quello riservato ai revisori dei conti che, dopo l'avvio delle nuove regole di nomina più attente all'indipendenza dalla politica, sono ora chiamati a entrare sempre più nel merito di tutte le scelte gestionali, comprese quelle che riguardano le modalità di svolgimento dei servizi, in economia o tramite società esterne. Non si è colta, però, l'occasione di ricreare i collegi negli enti fra 5mila e 15mila abitanti, cancellati nel 2006 in uno dei primi, malintesi, tagli ai «costi della politica»; anzi, nel primo passaggio parlamentare una mano aveva messo a rischio nei Comuni inseriti in Unioni il ruolo di più di mille professionisti, cancellati da un emendamento poi caduto prima del l'approvazione definitiva.
Nel decreto originario, invece, il Governo aveva pensato di affidare la presidenza dei collegi negli enti sopra i 60mila abitanti a dipendenti ministeriali, con uno slancio centralista anch'esso cancellato per evidenti problemi di costituzionalità.
La stessa incertezza fra spinta ai controlli centrali e delega all'autonomia locale si nota nelle nuove regole sui responsabili dei servizi finanziari. La loro centralità nella gestione dell'ente diventa sempre più marcata, i loro pareri diventano obbligatori su tutti gli atti che possano incidere anche in modo indiretto su equilibri e patrimonio, e cresce la loro influenza sulla politica che può discostarsi dalle loro indicazioni solo con motivazioni adeguate e documentate. Un ruolo, quello del ragioniere-capo rafforzato dalla riforma, che vede crescere responsabilità e rischi di conflitto con la politica, ma non le tutele: anche in questo caso, dopo un iniziale impeto eccessivamente centralista (secondo il quale la revoca dell'incarico del ragioniere sarebbe stata possibile solo con l'assenso di Viminale ed Economia) si è tornati indietro e non si è più prevista alcuna tutela aggiuntiva.
Riflessioni simili possono essere svolte per i segretari generali, che oltre a vedersi ribadito il compito di primi attori nei controlli di regolarità amministrativa sono chiamati a essere i primi interlocutori della Corte dei conti con le relazioni semestrali sull'andamento della gestione e sull'efficacia dei controlli esterni. E il fatto che la Corte, controllore esterno per eccellenza, debba giudicare il funzionamento delle verifiche interne denuncia in modo palese le sovrapposizioni fra i due sistemi tra cui la riforma non sceglie.
Riassumendo: l'agenda di revisori, segretari, ragionieri e magistrati cresce sensibilmente e solo l'attuazione potrà verificare l'efficacia e la praticabilità della convivenza fra attori così pesanti. Un'attuazione che ha tempi strettissimi, e che impegna tutti gli enti locali, dal piccolo Comune alla grande città, a riscrivere i regolamenti e redistribuire i compiti in pochissime settimane. Le regole vanno adeguate entro il 10 gennaio, poi la macchina deve partire (articolo Il Sole 24 Ore 14.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIGestioni associate, l'unione è da preferire alla convenzione.
Convenzione o unione per gestire in forma associata le funzioni fondamentali? È una delle domande che gli amministratori dei piccoli comuni si pongono più spesso in questi giorni. Entro fine anno, infatti, occorrerà dimostrare allo Stato di avere già messo insieme almeno un terzo del «core business», ovvero almeno tre delle nove funzioni fondamentali individuate dall'art. 19 del dl 95/2012. Per gli enti inadempienti, potrà scattare il potere sostitutivo dello Stato ex art. 8 della l. 131/2003, previa diffida da parte del prefetto.

Apparentemente, la convezione è la scelta più comoda. Si tratta di un semplice contratto di diritto pubblico (art. 30 del Tuel), mediante il quale si può prevedere o la costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato, o la delega di funzioni ad un comune capofila. Di norma, si opta per quest'ultima soluzione, che però rischia di appesantire il bilancio del capofila, sul quale si scaricano anche le quote di spesa riferite agli altri comuni convenzionati. La questione si pone soprattutto in relazione al Patto di stabilità interno, che dal prossimo anno (salvo proroghe) si applicherà a tutti i comuni con più di 1.000 abitanti e quindi a molti di quelli interessati dall'obbligo di dare vita alle gestioni associate.
Un recente parere (n. 26/2012) della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per l'Emilia-Romagna ha affermato, infatti, che il capofila, nel determinare il proprio saldo finanziario obiettivo, non può considerare unicamente la propria quota di spesa relativa alla gestione dei servizi associati, ma deve farsi carico anche delle quote di spesa riferita agli altri comuni. Eventuali ritardi nei rimborsi da parte di questi ultimi, inoltre, potrebbero causare anche problemi (di Patto, per le spese in conto capitale, ma soprattutto) di cassa al capo convenzione.
Simili difficoltà non si pongono, invece, in caso di costituzione di un'unione di comuni (ovvero di trasformazione di un'unione esistente). L'unione, infatti, costituisce un ente locale a sé stante, con un proprio bilancio separato ed autonomo. I comuni che ne fanno parte sono posti sullo stesso piano, dovendo tutti finanziare la propria quota di spese. Alle unioni, inoltre, competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati.
C'è quindi la possibilità di far convergere (almeno in parte) su tali soggetti le entrate e le spese, evitando complessi passaggi di risorse fra un ente e l'altro e dribblando (legittimamente) i vincoli del Patto. Quest'ultimo, infatti, si applicherà (dal 2014) alle sole unioni «speciali» che i comuni al di sotto dei 1.000 abitanti possono costituire (in alternativa agli altri due modelli) per gestire in forma associata tutte le loro funzioni (la relativa disciplina contenuta nell'art. 16 del dl 138/2011). Al momento, invece, non è prevista l'estensione del Patto alle unioni «classiche» (art. 32 del Tuel), il che rappresenta un ulteriore motivo per optare per questo modello, anziché per quello della convenzione.
La scelta dell'unione, infine, è anche vantaggiosa rispetto alla gestione delle risorse umane. L'allargamento della platea degli enti soggetti al Patto ha come conseguenza anche l'assoggettamento dei comuni con più di 1000 abitanti a più restrittivi obblighi di contenimento della spesa di personale ed a maggiori limiti alla possibilità di effettuare nuove assunzioni (con applicazione del turn-over al 40% della spesa delle cessazioni intervenute nell'anno precedente, anziché di quello «per teste», che consente un nuovo ingresso per ogni uscita).
Le unioni «classiche», invece, continueranno ad essere soggette al più favorevole regime previsto per gli enti non soggetti al Patto (cfr Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Toscana, parere n. 7/2012) (articolo ItaliaOggi del 14.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALIControlli interni subito al via. Entro il 10 gennaio gli enti devono varare il regolamento.  Le amministrazioni inadempienti rischiano la diffida del prefetto e lo scioglimento.
Entro il 10 gennaio i consigli comunali, provinciali, delle unioni dei comuni e delle superstiti comunità montane devono approvare il regolamento consiliare sui controlli interni. Le amministrazioni inadempienti saranno diffidate dal prefetto e, se entro i due mesi successivi non avranno adottato tale testo, saranno sciolte.

Con queste disposizioni contenute nel dl n. 174/2012, per come convertito dalla legge 213, vengono significativamente accresciuti i controlli interni negli enti locali. La norma ne ha previsti ben sei: regolarità amministrativa e contabile, di gestione, sugli equilibri finanziari, strategico, sulle società partecipate e non quotate e sulla qualità dei servizi erogati. Le prime tre forme sono obbligatorie da subito per tutte le amministrazioni locali, le altre tre sono da subito obbligatorie solamente per gli enti locali che hanno più di 100 mila abitanti, lo diventeranno dal 1/1/2014 per quelli con popolazione superiore a 50 mila abitanti e dal 01/01/2015 per quelli superiori a 15 mila abitanti.
Tutte le forme di controllo interno vanno disciplinate all'interno dello specifico regolamento, tranne quella sugli equilibri di bilancio, che deve essere inserita nel regolamento di contabilità. Per esplicita previsione legislativa la competenza alla adozione del regolamento appartiene al consiglio, nonostante per molti aspetti siamo in presenza di misure aventi una natura organizzativa. Se il regolamento non viene approvato il legislatore dispone lo scioglimento degli organi di governo. E inoltre sono stabilite la irrogazione delle stesse sanzioni previste per gli amministratori e i revisori dei conti responsabili dei dissesti e una specifica multa.
Quanto alle forme di verifica sulla adozione e sulla applicazione del regolamento, si deve ricordare che un copia deve essere inviata al prefetto e alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti e che le province ed i comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti devono semestralmente trasmettere alla stessa una relazione sulla gestione e sull'andamento dei controlli interni.
Nel regolamento, occorre scegliere per tutte le forme di controllo interno la struttura che è chiamata a esercitarlo, la periodicità e la utilizzazione del report. Per i controlli di regolarità amministrativa e contabile il responsabile è individuato direttamente dal legislatore nel segretario; per quello strategico nel direttore generale o, nel caso in cui questa figura non sia presente, nel segretario; quello sugli equilibri finanziari deve fare capo necessariamente al dirigente economico finanziario. Invece deve essere il regolamento ad individuare il responsabile delle altre tre forme di controllo interno, cioè quello di gestione, quello sulle società partecipate non quotate e quello di qualità sui servizi erogati. Per tutte le forme di controllo deve essere il regolamento a individuare la struttura competente, cioè i soggetti che affiancano il responsabile.
Da sottolineare che il legislatore prevede necessariamente il coinvolgimento del segretario, del direttore generale se presente, dei dirigenti e degli organismi di controllo. Occorre inoltre fissare la cadenza periodica con cui dovranno essere svolte le varie forme di controllo e, quindi, con cui saranno prodotti i report; in tale scelta è opportuno tenere presente il vincolo della relazione semestrale, che deve dare conto anche degli esiti delle verifiche interne, da rendere alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti da parte delle province e dei comuni con più di 15 mila abitanti.
Va ricordato che, tranne il controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile, tutte le forme di controllo interno si concretizzano nella realizzazione di una relazione. Altro aspetto comune è la disciplina delle modalità di utilizzazione dei report. Essi vanno trasmessi, sulla base del vincolo dettato dal legislatore, alla giunta ed al consiglio dell'ente: il regolamento può dettare specifiche regole, come ad esempio la necessità che i suoi esiti siano necessariamente esaminati dagli organi di governo, anche individuandone le modalità e la tempistica.
La verifica di regolarità amministrativa e contabile si suddivide in 2 parti: quella preventiva, che si esercita tramite i pareri di regolarità tecnica e contabile e quella successiva. Per questa seconda forma è necessario disciplinare le modalità con cui vengono scelte le determinazioni, i contratti e gli altri atti amministrativi da sottoporre a verifica. Si può usare la tecnica della scelta a campione, ma si può anche prevedere (in alternativa o a integrazione) che alcuni atti siano comunque sottoposti a tale verifica, ad esempio quelli di importo rilevante. Occorre inoltre disciplinare il contenuto della direttiva che il segretario può impartire ai dirigenti attraverso il report.
Per il controllo di gestione la disciplina deve riguardare soprattutto i contenuti e le modalità di rilevazione delle informazioni.
Per quello sugli equilibri della gestione finanziaria la regolamentazione deve avere come oggetto soprattutto la definizione delle modalità di intervento e coinvolgimento del collegio dei revisori dei conti. Ad esempio essi possono svolgere tanto ruoli attivi, quanto esser chiamati alla verifica degli esiti. E ancora è necessario prevedere le modalità di effettuazione delle verifiche sulle società, così da evitare il maturare di improvvise condizioni di deficit: per cui appare utile stabilire un nesso diretto con le verifiche sulle società.
Per il controllo strategico le scelte di maggiore rilievo sono quelle legate alla definizione del suo contenuto, che per molti versi comprende gli esiti di tutte le forme di controllo interno. Per cui appare necessario che si stabiliscano forme di interrelazione con tutte le altre forme di verifica. Appare inoltre opportuno che esso comprenda anche la relazione sulle performance di cui al dlgs n. 150/2009, cd legge Brunetta.
Il monitoraggio della gestione delle società non partecipate deve essere esattamente puntualizzato nei contenuti ed occorre inoltre disciplinare le modalità di interrelazione con i controlli strategico e sulla qualità dei servizi erogati.
Infine, si deve definire il contenuto del controllo sulla qualità dei servizi erogati. Esso deve fare riferimento sia a quelli gestiti dall'ente che a quelli gestiti dalle società partecipate che a quelli gestiti da soggetti aggiudicatari. Appare necessario che esso comprenda anche gli esiti della customer satisfaction prevista dalla legge Brunetta tra gli elementi caratterizzanti le performance organizzative (articolo ItaliaOggi del 14.12.2012).

CONSIGLIERI COMUNALI:  OSSERVATORIO VIMINALE/ Ammessa la consultazione dell'anagrafe degli stranieri residenti. Diritto di accesso a 360°. Il consigliere può visionare ogni documento.
Può un consigliere comunale avere accesso agli elenchi anagrafici di tutti gli stranieri residenti con relativi indirizzi?

L'art. 43, comma 2, del dlgs n. 267/2000 prevede che «i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge». Il diritto di accesso dei consiglieri comunali agli atti amministrativi dell'ente locale è stato definito dal Consiglio di stato (sent. n. 4471/2005) «diritto soggettivo pubblico funzionalizzato», come tale strumentale al controllo politico-amministrativo sull'ente nell'interesse della collettività.
In considerazione di ciò, il diritto dei consiglieri comunali di ottenere, dai competenti uffici comunali, tutte le informazioni utili all'espletamento del loro mandato non incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata. Infatti, tale limite all'accesso, operante in base alla disciplina posta in via generale dagli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990, non è previsto dall'art. 43, comma 2, del Tuel, che opera quale norma speciale e, anzi, risulta implicitamente escluso in quanto il consigliere è vincolato al segreto d'ufficio (cfr. Consiglio di stato, sez. V, n. 6963/2010 e n. 2716/2004).
In merito a ciò la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, nel parere dell'11.01.2011, ha affermato che «gli uffici comunali non possono limitare in alcun caso il diritto di accesso del consigliere comunale, ancorché possa sussistere il pericolo di divulgazione di dati di cui il medesimo entri in possesso. La responsabilità di aver messo in condizione il consigliere comunale di conoscere dati sensibili cede di fronte al diritto di accesso incondizionato del medesimo, ma può essere invocata dal terzo eventualmente danneggiato solo nei confronti di chi (consigliere comunale) del suo diritto ha fatto un uso contra legem».
Inoltre, nel parere del 06.04.2011 ha precisato che «l'eventuale segretezza che pure opera nei confronti del consigliere comunale non è quella legata alla natura dell'atto, ma al suo comportamento che non può essere divulgativo del contenuto degli atti ai quali ha avuto accesso, stante il vincolo previsto in capo al consigliere comunale dall'art. 43 all'osservanza del segreto d'ufficio nelle ipotesi specificamente determinate dalla legge, nonché al divieto di divulgazione dei dati personali ai sensi del dlgs n. 196/2003».
In definitiva, gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, da un lato, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minore aggravio possibile per gli uffici comunali, dall'altro, nel fatto che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche o meramente emulative, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso (Consiglio di stato, sez. V, n. 6963/2010).
Deve essere, pertanto, sottolineata la peculiarità del diritto di accesso del consigliere comunale, di più ampia astensione rispetto a quello disciplinato dalla legge n. 241/1990, in quanto strumento di verifica e controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell'ente locale, non per finalità personali, ma per la tutela degli interessi pubblici, configurandosi come espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività (C.d.S., sez. V, 08.09.1994, n. 976).
Con specifico riferimento al caso in esame, la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, con il parere reso in data 20.12.2011, ha ritenuto sussistere «il diritto del consigliere comunale di accedere agli elenchi e alle cancellazioni anagrafiche richieste al fine di esercitare le prerogative connesse all'esercizio del proprio mandato politico», non rilevando in tal senso «il fatto che le informazioni richieste concernano dati riservati trattati dal sindaco nell'esercizio delle funzioni di ufficiale di governo».
Alla luce di quanto affermato in precedenza, si ritiene che ai sensi dell'art. 43, comma 2, del Tuel al consigliere comunale non si possa negare l'accesso a nessun atto o documento in ragione della sua eventuale segretezza o riservatezza, ferma restando la necessità che i dati in tal modo acquisiti siano utilizzati esclusivamente per le finalità strettamente connesse con l'espletamento del mandato (articolo ItaliaOggi del 14.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIPer gli affidamenti in house salta il limite di 200mila euro.
Anche la gestione dei rifiuti rientra tra i «servizi a rete», per i quali tutte le attività di organizzazione e gestione devono essere trasferiti agli ambiti territoriali ottimali previsti dalla manovra-bis del Ferragosto 2011 (articolo 3-bis del Dl 138/2011). Scompare del tutto il limite dei 200mila euro annui per gli affidamenti in house, che sarebbe dovuto entrare in vigore a inizio 2014 e avrebbe lasciato sopravvivere gli affidamenti di valore superiore fino alla fine dello stesso anno secondo le previsioni del decreto legge sulla revisione di spesa.

La versione definitiva del decreto «Sviluppo-bis», che ha ottenuto ieri l'ultimo disco verde dalla Camera, porta molte novità al mondo dei servizi pubblici locali e delle società partecipate.
Oltre alla scomparsa del limite dei 200mila euro all'in-house (si veda anche Il Sole 24 Ore del 7 dicembre), che riporta integralmente la disciplina degli affidamenti nel'ambito delle regole Ue sull'in house, il ritocco di maggior peso è quello sugli ambiti territoriali previsti dalla manovra-bis dello scorso anno, ma accolti con più di un'incertezza da parte delle Regioni che in qualche caso non ne hanno completato il disegno o l'attuazione.
Ora i ritardatari devono affrettarsi perché agli ambiti, secondo la legge di conversione approvata ieri, vanno trasferiti subito tutti i compiti relativi a «scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo». Insomma, esce dai singoli enti locali l'intera organizzazione dei servizi pubblici a rete, famiglia nella quale il decreto Sviluppo-bis fa rientrare anche la raccolta e smaltimento di rifiuti urbani superando così i dubbi interpretativi sollevati da molti operatori.
In nome della concorrenza, o di quel che ne rimane dopo la sentenza 199/2012 della Corte costituzionale che ha cancellato le "liberalizzazioni" dell'anno scorso, si prevede poi che la disciplina del Codice appalti si applichi anche ai servizi di illuminazione votiva.
In ogni caso, chi sceglie la strada dell'in house dovrà motivare in una relazione, da pubblicare sul sito Internet, le ragioni della scelta. Una semplificazione interviene poi sul fronte dei micro-pagamenti pubblici alle imprese, che devono essere effettuati in forma elettronica se il creditore lo richiede (articolo Il Sole 24 Ore del 14.12.2012).

APPALTIBanca dati sugli appalti, partenza dal 1° aprile.
Parte il conto alla rovescia per l'avvio della banca dati appalti gestita dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. L'obbligo per le stazioni appaltanti di servirsi del portale battezzato «Avcpass» per la verifica dei requisiti di costruttori, progettisti e fornitori di beni e servizi scatterà il 01.04.2013 e sarà limitato alle gare di importo superiore a un milione di euro.

Dal primo gennaio il sistema partirà in forma sperimentale. Lo slittamento di tre mesi rispetto al termine previsto dal Dlgs 163/2006 (articolo 6-bis) servirà per permettere a enti e imprese di prendere confidenza con la nuova procedura di gestione delle gare, evitando di mandare in tilt il mercato. Una volta diventato operativo il servizio costituirà una vera e propria rivoluzione per il settore degli appalti, in cui operano circa 40mila amministrazioni, con oltre 1,2 milioni di gare bandite ogni anno.
Lo scopo di Avcpass è di dare alle amministrazioni la possibilità di verificare in via telematica e in un colpo solo tutti i requisiti di chi parteciperà alle gare: dalla regolarità contributiva (Inarcassa, Inail) alla documentazione antimafia (ministero dell'Interno), dalla certificazione di qualità (Accredia) a quella di regolarità fiscale rilasciata dall'Agenzia delle Entrate.
Perché tutto ciò si tramuti in realtà bisognerà però attendere ancora. Per ora la possibilità di accesso diretto ai dati telematici da parte dell'Autorità funziona solo con Inarcassa, in tutti gli altri casi sarà comunque l'Autorità a "mediare" tre le Pa, verificando la sussistenza dei requisiti e dandone comunicazione, ancora in forma cartacea, agli enti interessati.
Lo schema di delibera con le indicazioni operative per stazioni appaltanti e imprese è stato posta ieri in consultazione. Associazioni e amministrazioni coinvolti nell'operazione avranno a disposizione pochissimo tempo per far pervenire le proprie valutazioni utilizzando il modulo scaricabile dal sito dell'Autorità. Il termine ultimo scade lunedì 17 dicembre. Poi, dopo aver incassato il parere del Garante della privacy sulla gestione dei dati sensibili forniti dalle imprese Via Ripetta darà l'ok definitivo al documento.
Confermate le anticipazioni pubblicate sull'ultimo numero del settimanale Edilizia e Territorio. Dopo la fase sperimentale il sistema diventerà obbligatorio per i bandi al di sopra di un milione dal primo aprile 2013. Nel terzo trimestre il sistema diventerà vincolante i bandi oltre 150mila euro. Infine da ottobre non ci saranno sconti: il servizio sarà obbligatorio per tutti i bandi da 40mila euro in su, pena la nullità della gara (articolo Il Sole 24 Ore del 14.12.2012).

APPALTIDECRETO CRESCITA/ Più flessibile la qualificazione delle imprese di costruzioni. Appalti, una mini-rivoluzione. Credito d'imposta per partenariati e Anagrafe unica.
Credito di imposta ed esenzione dal pagamento del canone di concessione per i Ppp (partenariati pubblico-privati) oltre i 500 milioni; creazione dell'anagrafe unica delle stazioni appaltanti presso l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici; più flessibile la qualificazione delle imprese di costruzioni.
Sono queste alcune delle principali novità contenute nel decreto-legge 179/2012 come approvato dalla camera ieri, anche se alcune modifiche chieste da più parti, come l'esclusione degli appalti dalla «responsabilità fiscale» e l'ampliamento fino a 100 milioni dei crediti di imposta non sono passate.
Anagrafe unica delle stazioni appaltanti
Le stazioni appaltanti di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture saranno tenute a richiedere l'iscrizione all'Anagrafe Unica presso la Banca dati nazionale dei Contratti pubblici istituita presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (e a tenere aggiornati i dati immessi). Sarà l'Autorità a stabilire, poi, con una propria delibera, le modalità operative e di funzionamento della Anagrafe. L'inadempimento agli obblighi di iscrizione e successivo aggiornamento è previsto che dia luogo alla nullità degli atti adottati e alla responsabilità amministrativa e contabile dei funzionari responsabili.
Defiscalizzazione per nuove infrastrutture
Sarà possibile la defiscalizzazione a favore del soggetto realizzatore in partenariato pubblico-privato di nuove opere pubbliche infrastrutturali (con progetto approvato entro il 31.12.2015 e di importo superiore a 500 milioni di euro) per le quali non siano previsti contributi pubblici a fondo perduto e per le quali sia certa la non sostenibilità del piano economico finanziario. Si tratterà di un credito di imposta a valere sull'Ires e sull'Irap direttamente generate dalla costruzione e gestione dell'opera, nel limite del 50% del costo dell'investimento. Per le stessa tipologia di opere, e sempre in caso di non sostenibilità del piano economico, è anche prevista l'esenzione dal pagamento del canone di concessione nella misura necessaria al raggiungimento dell'equilibrio del piano economico-finanziario.
Contratti di rete
Alle aggregazioni di imprese che si basano sui contratti di rete si prevede che siano applicabili le disposizioni dell'articolo 37 del Codice dei contratti pubblici che, a sua volta, detta le regole per la costituzione e il funzionamento dei raggruppamenti temporanei di imprese e dei consorzi ordinari di concorrenti. Ciò dovrebbe significare che le imprese che hanno sottoscritto il contratto di rete dovranno configurare la propria «aggregazione» secondo le regole proprie di queste due tipologie di soggetti raggruppati, quanto meno, quindi, secondo lo schema del mandato con rappresentanza.
Qualificazione delle imprese
Fino al 31.12.2015 sarà possibile dimostrare il requisito della cifra di affari realizzata in lavori (richiesta nelle gare oltre i 20 milioni di euro) avendo riguardo a un periodo di attività riferito ai migliori cinque anni del decennio antecedente la data di pubblicazione del bando. Si proroga di un anno il termine (oggi stabilito al 31.12.2012) fino al quale, ai fini della verifica di congruità tra cifra d'affari in lavori, costo delle attrezzature e costo del personale dell'impresa (in sede di revisione triennale dell'attestazione Soa), è ammessa la tolleranza del 50% (invece che del 25%) e si procede alla riduzione della cifra d'affari in misura pari al 50%.
Conferenze di servizi
Per il superamento del dissenso nelle conferenze di servizi, si prevede che i partecipanti formulino soluzioni anche volte a modificare il progetto originario e non si limitino a esprimere dissenso, con la previsione aggiuntiva di una ulteriore riunione di mediazione e di una ulteriore riunione per definire comunque i punti di dissenso. Se non si trova ancora una soluzione, è prevista l'adozione comunque di un Dpcm con la decisione finale, con la partecipazione dei presidenti delle regioni o delle province autonome interessate.
Svincolo garanzie
La quota dell'importo della garanzia non svincolabile in corso di esecuzione del contratto passa dal 25 al 20% dell'iniziale importo garantito, consentendo quindi alle imprese di avere un livello minore di impegni. Per le opere in esercizio da oltre un anno, si prevede anche prima del collaudo e a determinate condizioni, lo svincolo automatico delle garanzie di buona esecuzione prestate a favore dell'ente aggiudicatore, senza necessità di alcun benestare, ferma restando una quota massima del 20% da svincolare all'emissione del certificato di collaudo (articolo ItaliaOggi del 13.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATANella casella e-mail c'è il Durc. Al via la consegna con posta elettronica certificata. In una nota Inail le indicazioni per le richieste. Si parte con le stazioni appaltanti.
Adesso il Durc viaggia anche per posta elettronica. Da stamattina, infatti, si può chiedere all'Inail di ricevere il documento unico di regolarità contributiva per posta elettronica certificata (Pec), firmato digitalmente. Le operazioni si effettuano tutte su internet (www.sportellounicoprevidenziale.it), ma per ora sono abilitati unicamente le stazioni appaltanti e le amministrazioni procedenti in relazioni a imprese non edili.
Lo spiega, tra l'altro, l'Inail nella nota 10.12.2012 n. 8798 di prot..
Il Durc via Pec. Il nuovo canale di consegna del Durc riceve operatività da stamattina (12 dicembre). Infatti, da oggi è disponibile la nuova versione dell'applicativo telematico www.sportellounicoprevidenziale.it che consente di richiedere all'Inail il recapito tramite Pec del Durc firmato digitalmente. Il servizio, precisa l'Inail, sarà operativo per le richieste effettuate a partire dal oggi (sono esclusi, quindi, i Durc ancora da ricevere).
In sede di prima applicazione, spiega l'Inail, i Durc trasmessi via Pec sono soltanto quelli richiesti dalle stazioni appaltanti e dalle amministrazioni procedenti; per gli altri soggetti, l'Inail fa riserva di successive istruzioni. Per richiedere il recapito del Durc tramite Pec da parte dell'Inail è indispensabili il possesso di alcune condizioni (si veda tabella).
Istruzioni operative. Per utilizzare il nuovo servizio di recapito tramite Pec, i soggetti che sono in possesso di un'utenza come «stazione appaltante/amministrazione procedente» (Sa/Ap) devono verificare nel proprio profilo anagrafico all'interno di sportellounicoprevidenziale:
● che la struttura di appartenenza sia correttamente e puntualmente identificata e, cioè, che sia specificato, oltre alla denominazione dell'ente, sia dipartimento/direzione che settore/ufficio/sede
● che l'indirizzo di Pec della struttura di appartenenza sia inserito e sia corretto.
A tal fine, per aggiornare eventualmente i dati, dopo l'accesso al sito, l'utente Sa/Ap deve seguire il percorso «gestione anagrafiche», «stazioni appaltanti/amministrazioni procedenti», inserire il dato e-mail Pec mancante o modificare quello presente e, quindi, confermare l'operazione. In mancanza degli aggiornamenti, qualora vi siano più Sa/Ap facenti capo a uno stesso ente/amministrazione, il Durc verrà recapitato all'indirizzo Pec che risulta registrato.
Nel caso in cui la singola Sa/Ap non sia dotata di un proprio indirizzo Pec, deve indicare quello della struttura ad essa gerarchicamente sovraordinata, fermo restando che, in tal caso, sarà onere di quest'ultima struttura trasmettere il Durc ricevuto dallo a quella (Sa/Ap) che ha effettuato la richiesta.
Come effettuare la richiesta. Per ricevere il Durc tramite Pec, in fase di compilazione della richiesta, l'utente Sa/Ap, dopo aver verificato che il campo «e-mail Pec» è correttamente valorizzato, deve compilare la sezione (tab) «Impresa» nel seguente modo:
alla sezione «sede operativa», va selezionata la casella «sede operativa coincidente con la sede legale»;
alla sezione «recapito corrispondenza», va selezionata la casella «Pec».
A conclusione della richiesta, nella sezione «inoltro», va selezionato «Inail» come ente emittente. L'Inail sottolinea che è opportuno verificare a video, prima della conferma e dell'inoltro della pratica, l'esattezza dell'indirizzo Pec al quale il Durc sarà recapitato.
Infine, l'Inail ricorda che per ogni ulteriore informazione o per segnalare problemi in ordine alla richiesta o al rilascio del Durc via Pec deve essere utilizzata esclusivamente l'apposita funzione di assistenza disponibile sul sito di «sportellounicoprevidenziale» (link «assistenza» posto sul toolbar in alto alla homepage) (articolo ItaliaOggi del 12.12.2012).

PUBBLICO IMPIEGO: Decreto enti locali. Cancellata la salvaguardia degli incarichi. Per i ragionieri dei Comuni nuovi compiti e meno tutele.
Una correzione di qua e un ritocco di là, alla fine i responsabili finanziari degli enti locali incontrano nella legge di conversione del decreto sui costi della politica solo un deciso ampliamento dei loro compiti, ma nessuna tutela aggiuntiva.
Nel maxiemendamento del Governo, infatti, si è persa per strada la clausola di salvaguardia che mirava a metterli al riparo da revoche "ingiustificate" dell'incarico, magari dettate dal fatto che il loro ruolo rafforzato nelle verifiche intralciasse troppo i programmi politici dell'amministrazione. Una novità, quest'ultima, che fa storcere il naso ai diretti interessati, e che denuncia ulteriormente i problemi dettati dalla nuova architettura dei controlli negli equilibri spesso delicati degli organismi di vertice degli enti locali.
La prima versione della clausola, scritta nel testo originario del decreto legge 174/2012 approvata dal Governo, in un afflato centralista di problematica attuazione, metteva addirittura i responsabili finanziari di Comuni e Province sotto la tutela del Governo. Si prevedeva infatti che l'incarico di responsabile del servizio finanziario potesse essere revocato dal sindaco o dal presidente della Provincia solo «in caso di gravi irregolarità» riscontrate nell'esercizio delle sue funzioni; per avere effetto, però, l'ordinanza di revoca avrebbe dovuto passare un doppio vaglio centrale, da parte del ministero dell'Interno e della Ragioneria generale dello Stato. Una tutela, questa, che aveva fatto sollevare più di un dubbio sulla sua costituzionalità, perché re-introduceva un controllo centrale su enti che in base al Titolo V della Costituzione sono equiordinati allo Stato.
Proprio su questo aspetto avevano agito gli emendamenti nel primo passaggio parlamentare, che avevano sostituito la tutela da parte di Viminale ed Economia con quella garantita dal giudizio dell'organo interno di revisione, che avrebbe dovuto avallare o meno la decisione del sindaco di mettere alla porta il ragioniere capo.
La polemica, però, era scoppiata anche su un piano più politico: i segretari generali, anch'essi investiti di nuovi compiti nella macchina dei controlli interni, avevano raccolto in pochi giorni oltre mille firme in fondo a una petizione per chiedere tutele analoghe, mentre i sindaci si erano detti contrari alla blindatura di un incarico che non può prescindere da una base collaborativa e fiduciaria.
Risultato finale: i ragionieri-capo dovranno dare pareri su tutti gli atti che possano incidere su equilibri di bilancio e patrimonio, ma potranno essere revocati senza troppi problemi (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento all'11.12.2012

CONDOMINIO: Condomini, gestione in chiaro. L'amministratore deve garantire trasparenza finanziaria. Dalla tenuta dei registri al conto corrente: i nuovi obblighi introdotti dalla riforma.
L'amministratore condominiale fa il pieno di competenze. Sono, infatti, numerosi gli obblighi, nuovi, rimodulati o semplicemente codificati, addossati a questa figura dalla legge di riforma della disciplina condominiale.
Eccoli in sintesi.
Obblighi di comunicazione ai condomini e di affissione delle generalità in un luogo di pubblico accesso. In caso di nomina e per ogni successivo mandato, c'è l'obbligo per l'amministratore di comunicare ai condomini i propri dati anagrafici e professionali, il proprio codice fiscale e, qualora si tratti di società, la denominazione e la sede legale della stessa, l'indirizzo dei locali in cui si trovano i registri di cui ai numeri 6) e 7) dell'art. 1130 c.c. (registro dell'anagrafe condominiale, registro dei verbali dell'assemblea, registro di nomina e revoca dell'amministratore, registro di contabilità), nonché dei giorni e delle ore nelle quali ciascun condomino interessato può accedere a detti locali ed estrarre copia (firmata dall'amministratore) dei predetti documenti (previa richiesta a quest'ultimo e con rimborso della spesa). È poi evidente come sia di pubblico interesse poter risalire con immediatezza al nominativo e al recapito del soggetto chiamato per legge a rappresentare il condominio nei rapporti con i terzi. Ebbene, d'ora in avanti anche l'amministratore avrà l'obbligo di esporre in uno spazio accessibile ai terzi una targhetta con le proprie generalità.
Obbligo di stipulare apposita polizza assicurativa per la responsabilità professionale e di comunicarne gli estremi ai condomini. L'amministratore, al momento dell'accettazione della nomina, se previsto dall'assemblea, deve anche presentare ai condomini una polizza individuale di responsabilità civile per gli atti compiuti nell'esercizio del mandato. L'amministratore è tenuto ad adeguare i massimali della polizza se nel periodo del suo incarico l'assemblea abbia deliberato lavori straordinari. Tale adeguamento non deve essere però inferiore all'importo di spesa deliberato e deve essere effettuato contestualmente all'inizio dei lavori.
Obbligo di aprire un conto corrente condominiale e di far transitare esclusivamente su quest'ultimo le entrate e le uscite condominiali. Anche questa disposizione risponde a un'esigenza di elementare trasparenza nell'amministrazione delle somme di denaro di proprietà altrui. A detto conto corrente, che potrà essere sia bancario sia postale, avranno ovviamente diritto di accesso tutti i condomini. L'accesso dovrà comunque essere intermediato dall'amministratore.
Obbligo di consegna della documentazione condominiale o di singoli condomini alla cessazione dell'incarico. Viene ulteriormente ribadito, anche in sede normativa, l'obbligo dell'amministratore di passaggio delle consegne alla cessazione dell'incarico. Detto obbligo potrà essere assolto mediante consegna della documentazione condominiale o di singoli condomini sia a questi ultimi sia al nuovo amministratore designato dall'assemblea. Viene poi ulteriormente specificato che l'amministratore dimissionario resta comunque tenuto ad adottare eventuali interventi urgenti nell'interesse delle parti comuni anche dopo la cessazione dell'incarico, qualora non possa utilmente attivarsi il nuovo amministratore (ad esempio, perché non ancora nominato dall'assemblea), senza diritto a ulteriore compenso.
Obbligo di riscuotere le somme dovute dai condomini. Viene poi introdotto l'obbligo dell'amministratore di riscuotere quanto dovuto dai condomini alle casse comuni entro il termine di sei mesi dalla chiusura dell'esercizio contabile nel quale è compreso il credito vantato. L'intervento dell'assemblea, lungi dal costituire una condizione per il recupero forzoso dei crediti condominiali, può invece sollevare l'amministratore da detto obbligo normativo. Detto obbligo va correlato a quanto specificamente previsto in tema di morosità condominiale dall'art. 63 disp. att. c.c.
Obbligo di specificare l'ammontare del compenso al momento della nomina. Per evitare possibili contenziosi in materia, la legge di riforma ha previsto di obbligare l'amministratore a dichiarare espressamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'ammontare del compenso richiesto sia in occasione della prima nomina sia per i successivi rinnovi del mandato biennale. Solitamente sarà la deliberazione assembleare di nomina a specificare l'ammontare del compenso richiesto dall'amministratore e accettato dall'assemblea.
Obblighi contabili. L'art. 1130-bis c.c. prevede un rendiconto condominiale annuale che dovrà predisposto dall'amministratore e contenere una serie di specifiche voci contabili indispensabili alla ricostruzione e al controllo della gestione dell'amministratore da parte di ogni condomino. In particolare, si prevedono come elementi imprescindibili del rendiconto: il registro di contabilità, il riepilogo finanziario e una relazione accompagnatoria, esplicativa della gestione annuale, con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti (articolo ItaliaOggi Sette del 10.12.2012).

APPALTI: Contratti d'appalto, alcune accortezze per evitare errori. Le clausole che impongono un periodo di prova possono influenzare il calcolo del reddito.
Solo l'accettazione rende certo il ricavo degli appalti. Le clausole contrattuali che impongono dopo l'accettazione un periodo di prova possono avere influenza nel calcolo del reddito imponibile. Se già normalmente l'individuazione del periodo di competenza crea non pochi problemi ai contribuenti, gli stessi sono addirittura amplificati nel caso in cui oggetto dei rapporti è un contratto di appalto.
Sul punto vi sono alcune prese di posizioni della prassi che possono fornire un aiuto al fine di evitare errori.
La risoluzione n. 133/E del 26.09.2005 dell'agenzia delle entrate ha analizzato una ipotesi di appalto di opere pubbliche in cui una società che aveva per oggetto l'esecuzione di lavori edili e stradali in appalto con committenti sia pubblici che privati e sia italiani che esteri. Punto fondamentale (anche se non unico) dell'istanza era quello di individuare il momento in cui i lavori svolti potevano considerarsi ultimati così da individuare la competenza fiscale dei proventi e degli oneri in forza di quanto richiesto dall'art. 109, comma 2, lett. b), del Tuir. Lo stesso prevede che «i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi».
Nel caso di specie ci si riferiva al momento in cui potranno considerarsi ultimate le opere nel caso di appalti pubblici disciplinati dalla cosiddetta legge Merloni (legge 11.02.1994, n. 109) le cui previsioni sono state ritenute decisive al fine di individuare la soluzione del caso concreto.
In particolare l'articolo 28 prevede che, entro sei mesi dall'ultimazione dei lavori, l'amministrazione pubblica committente faccia collaudare l'opera secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione il quale detta una disciplina molto dettagliata del procedimento di collaudo. L'art. 199 prevede che l'organo di collaudo nel caso di risultato positivo debba emettere il certificato di collaudo che però ha carattere provvisorio e diviene definitivo solo decorsi due anni dalla sua emissione (o in altro termine stabilito dal capitolato). Qualora invece il collaudatore non ritenga collaudabile l'opera eseguita dall'appaltatore, il certificato di collaudo provvisorio non è emesso.
Secondo l'agenzia però «è possibile affermare che la “consegna”, nell'accezione giuridica del termine, e accettazione dell'opera, siano ricollegabili alla conclusione del procedimento relativo all'emissione del certificato di collaudo provvisorio, e in particolare al momento in cui, in esito alla procedura, sorge il diritto alla liquidazione del corrispettivo e resta a carico dell'appaltatore solo la garanzia per vizi e difformità dell'opera, cessando tutte altre garanzie tipiche del contratto, mentre il rischio per il perimento dell'opera si trasferisce in capo al committente».
In tal modo vi è un'anticipazione rispetto alla definitiva conclusione della commessa ma in effetti la soluzione pare conforme al reale volontà che può desumersi dalla lettura della regole fiscale.
Secondo l'agenzia la procedura di collaudo è unica e si esaurisce con la deliberazione sull'ammissibilità del certificato di collaudo provvisorio da parte della stazione appaltante. Tanto è vero che il collaudo definitivo può anche essere omesso e può anche essere parificato (in qualche modo) a quanto previsto dall'art. 1667 del codice civile che fissa (anch'esso) in due anni dalla data della consegna e accettazione dell'opera, il termine di prescrizione dell'azione del committente nei confronti dell'appaltatore nel caso di difformità e vizi dell'opera, specificando che essa vale solo con riferimento alle difformità e vizi non conosciuti e non riconoscibili e purché denunciati a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla scoperta.
Nella conclusione della risoluzione n. 133/E si afferma che «ai fini dell'applicazione dell'art. 93, comma 5, del Tuir, l'opera si debba considerare ultimata al momento in cui risulta avvenuta la sua “consegna” al committente nei termini sopra indicati, a conclusione del procedimento relativo all'emissione del certificato di collaudo provvisorio disciplinato dal dpr n. 554 del 1999. In tale momento sussistono tutti gli elementi (ultimazione dei lavori, consegna delle opere, certezza e determinabilità dei ricavi) per far partecipare alla determinazione del reddito il corrispettivo pattuito per l'opera completata» (articolo ItaliaOggi Sette del 10.12.2012).

PUBBLICO IMPIEGO: Attività di vendita. Irrilevante il compenso.
No al doppio lavoro per i dipendenti Pa.
Il dipendente pubblico non può esercitare attività di vendita anche se collabora soltanto al commercio come commesso, presso il negozio di una parente, con o senza compenso, e persino in modo discontinuo è soggetto a licenziamento.

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con la sentenza n. 20857/2012.
Il caso è relativo a una lavoratrice che, a volte durante il normale orario di lavoro e talora durante l'assenza per malattia, collaborava alla vendita nella struttura della sorella.
Accertato il fatto, la Regione l'ha licenziata, accusandola di aver violato il divieto assoluto di cumulo di impieghi e di incarichi lavorativi in costanza di rapporto di lavoro subordinato con datore pubblico.
L'impiegata ha fatto ricorso prima al tribunale e poi alla corte d'appello, ma ha perso in entrambi i giudizi. Si è rivolta, quindi, alla Cassazione, sostenendo che la sentenza di secondo grado non aveva tenuto presente che lei aveva prestato attività in modo non continuativo e non remunerato, sostando, per qualche ora nel negozio della sorella. Poi ha portato a sostegno la giurisprudenza secondo cui è lecita la partecipazione in società agricole a conduzione familiare, qualora l'impegno sia modesto, non abituale o continuato.
La Cassazione ha messo in evidenza come i giudici di merito abbiano rilevato che la dipendente pubblica si era trovata nel negozio sia in orario lavorativo che extralavorativo e che essi, correttamente, non hanno valutato rilevante l'attribuzione o meno di compenso per l'attività di vendita.
I giudici di legittimità sottolineano, quindi, che il legislatore (articolo 60 del Testo Unico 3/1957 sulle incompatibilità, richiamato dall'articolo 53, comma 1, del Dlgs 165/2001) considera illecito l'esercizio, da parte dell'impiegato pubblico, di commercio, industria o professione, senza far riferimento alla retribuzione e che la contrattazione collettiva pone il divieto di attendere ad occupazioni estranee al servizio. Proprio nella lineare interpretazione di queste regole spicca il profilo giuridico di originalità e di maggiore interesse di questa sentenza: il divieto di vendere è, per il dipendente pubblico, assoluto, a prescindere del fatto che la prestazione sia remunerata o continuativa (articolo Il Sole 24 Ore del 10.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 10.12.2012

VARIIncandidabilità ampia. Fuori dalle assemblee anche chi patteggia. Cosa prevede lo schema di decreto sulle liste pulite appena varato.
Parlamentari e ministri incandidabili per gravi reati di mafia e per reati contro la pubblica amministrazione.
Lo prevede lo schema di decreto legislativo attuativo della legge 190/2012, approvato giovedì dal Consiglio dei ministri, precisando che starà fuori dalle assemblee e dai governi nazionali e locali anche chi patteggia.
Parlamentari e ministri. Sono incandidabili a deputato e senatore coloro che abbiano riportato condanne definitive alla pena della reclusione superiore a due anni per i delitti distrettuali e cioè quelli di maggiore allarme sociale (associazione mafiosa, sequestro di persona, gravi reati di droga e in materia ambientale, delitti con finalità di terrorismo). Lo stesso vale per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (peculato, concussione, corruzione, abuso d'ufficio, omissione atti d'ufficio).
Portano all'incandidabilità anche ulteriori delitti la cui pena edittale massima è superiore a tre anni di reclusione. Le disposizioni sull'incandidabilità dei parlamentari valgono anche per l'assunzione ed allo svolgimento di un incarico di governo. Prima di assumere le funzioni di presidente del Consiglio o di ministro, si dovrà dichiarare al presidente della Repubblica, di non trovarsi nella condizione ostativa. Viceministri, sottosegretario di Stato e commissario straordinari del Governo renderanno la dichiarazione al presidente del Consiglio.
Governi e consiglieri regionali. Riprese le norme in vigore aggiungendo quali cause ostative i reati distrettuali e ampliando il catalogo dei delitti contro la p.a. come modificato a seguito della legge n. 190/2012. L'elenco dei ricomprende le condanne definitive per i delitti di competenza delle procure distrettuali senza però il richiamo al limite della pena in concreto erogata (superiore a due anni), stabilita invece per l'incandidabilità dei parlamentari nazionali. Questa scelta si motiva per il fatto che attualmente la legge n. 55/1990 prevede l'incandidabilità per i gravi reati, indipendentemente dalla pena in concreto erogata.
Enti locali. Oltre a una ricognizione della normativa vigente in materia di incandidabilità negli enti locali, il decreto introduce ulteriori ipotesi di incandidabilità per delitti di grave allarme sociale, parificandole a quelle previste per il livello politico nazionale e regionale. Sono, dunque, ampliate le ipotesi di incandidabilità con il richiamo ai delitti distrettuali di grave allarme sociale e ai delitti contro la pubblica amministrazione
Durata. Per l'incandidabilità «politica» la durata è connessa al periodo di interdizione temporanea dai pubblici uffici stabilita, come pena accessoria, con la sentenza di condanna.Per la durata delle incandidabilità regionali e locali, l'incandidabilità è senza termine, ed eliminabile solo con la riabilitazione.
Patteggiamento. Tutte le ipotesi di incandidabilità operano anche nel caso di patteggiamento della pena. Questo vale solo per le sentenze pronunciate successivamente all'entrata in vigore del testo unico, con riferimento alle nuove incandidabilità: quindi per tutte quelle previste per deputati e senatori e per quelle che si aggiungono a livello regionale e locale (articolo ItaliaOggi dell'08.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOControlli double face sugli enti. Più poteri alla Corte conti. Verifiche interne scaglionate. Approvato in via definitiva il dl salva-enti con il giro di vite sulle spese delle regioni.
Più oneri sulla Corte dei conti e una tabella di marcia più «rilassata» (soprattutto in materia di bilancio consolidato e controlli sulle partecipate) per quanto riguarda i controlli interni.
Si muovono lungo queste due direttrici le novità introdotte nel corso dell'iter parlamentare al decreto legge n. 174/2012 (cosiddetto «salva-enti locali» o «costi della politica» come è stato ribattezzato visto che è stato emanato all'indomani degli scandali che hanno travolto le amministrazioni regionali di Lombardia e Lazio), approvato ieri in via definitiva dalla camera con 268 sì, un solo no e 153 astensioni (quelle di gran parte dei deputati del Pdl dopo che giovedì il partito guidato da Angelino Alfano ha deciso di uscire dalla maggioranza che sostiene il governo Monti).
Il dl 174, nel testo emendato dalla camera prima e poi dal senato, rafforza i poteri di controllo della Corte dei conti sui bilanci preventivi e sui rendiconti degli enti locali. Saranno posti ai raggi X il rispetto del Patto di stabilità interno, l'osservanza dei limiti di indebitamento e la sostenibilità finanziaria dell'ente. In caso di violazioni i sindaci o i presidenti dovranno adottare provvedimenti per rimuovere le irregolarità entro 60 giorni che dovranno essere trasmessi alla magistratura contabile. La Corte li esaminerà nei successivi 30. Se l'ente non provvede alla trasmissione o la verifica da parte della Corte darà esito negativo, le amministrazioni non potranno più spendere.
Le sezioni regionali della Corte dei conti verificheranno con cadenza semestrale le regolarità delle gestioni. I sindaci dei comuni con più di 15.000 abitanti e i presidenti di provincia dovranno trasmettere ogni sei mesi un referto sulla regolarità della gestione sulla base delle linee guida approvate dalla Corte conti. Il bilancio consolidato e il controllo della qualità dei servizi erogati partiranno dal 2013 solo negli enti con più di 100.000 abitanti. Dal 2014 l'asticella si abbasserà a 50.000 abitanti e solo nel 2015 a 15.000 abitanti. La stessa tempistica si applicherà ai controlli sulle partecipate non quotate e alla definizione di metodologie di controllo strategico finalizzate alla rilevazione dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi. La funzione di controllo strategico potrà essere esercitata in forma associata.
Nella parte dedicata alle regioni (i primi due articoli) il provvedimento, pur con un dietrofront rispetto al testo iniziale (che introduceva i controlli preventivi di legittimità da parte della Corte dei conti sugli atti dei governatori), introduce significative novità sottoponendo i preventivi e consuntivi regionali al controllo dei magistrati contabili che dovranno verificare la rispondenza col Patto di stabilità. La Corte dei conti passerà ai raggi X anche le partecipazioni in società controllate. Tra le novità introdotte al senato si segnala la chance, prevista per le regioni che abbiano adottato il piano di stabilizzazione finanziaria (per il momento solo la Campania), di chiedere entro il 15 dicembre un'anticipazione di cassa da destinare al pagamento della spesa corrente nei limiti di 50 milioni per il 2012 (si veda ItaliaOggi del 30 novembre).
Per gli enti locali in dissesto e che si trovino in condizione di grave indisponibilità di cassa è prevista la possibilità di chiedere un anticipo pari a 5/12 delle entrate per la durata di sei mesi. I comuni che accedono al fondo anti-dissesto potranno ricevere un contributo di 300 euro per abitante. Le province avranno 20 euro per abitante. Al fondo potranno accedere tutti i comuni (è stata soppressa la norma che riservava l'accesso al fondo solo ai comuni con più di 20.000 abitanti). I comuni sciolti per mafia e in cui sussistono squilibri strutturali di bilancio potranno chiedere un'anticipazione di 200 euro per abitante nel limite massimo di 20 milioni l'anno.
La stretta sui costi della politica regionale impone ai governatori di:
● ridurre le indennità di funzione dei consiglieri e degli assessori nonché l'assegno di fine mandato
● prevedere il divieto di cumulo di indennità o emolumenti
● pubblicizzare i redditi degli eletti
● definire gli importi dei contributi in favore dei gruppi consiliari
● erogare pensioni e vitalizi agli ex presidenti, assessori e consiglieri solo a chi abbia compiuto i 66 anni di età e abbiano ricoperto l'incarico per non meno di 10 anni anche non continuativi. I governatori dovranno adeguarsi a queste prescrizioni entro il 23 dicembre o entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del dl 174 pena la perdita dell'80% dei trasferimenti non destinati a finanziare il Ssn e il Tpl (articolo ItaliaOggi dell'08.12.2012).

APPALTIDECRETO CRESCITA/ Le imprese pagano per i bandi. Costi di pubblicazione dell'ente rimborsati da chi vince. Il meccanismo entrerà in vigore il 1° gennaio prossimo.
Dal 01.01.2013 le spese per la pubblicazione sui quotidiani dei bandi e degli avvisi di gara saranno rimborsate alla stazione appaltante dall'affidatario del contratto; rimane sempre ferma la disciplina prevista nel Codice dei contratti pubblici che obbliga anche dopo il 1° gennaio le stazioni appaltanti a pubblicare i bandi e gli avvisi, oltre che sulla Gazzetta Ufficiale, sul proprio sito internet e su quello del ministero delle infrastrutture e dell'Osservatorio dell'Autorità, anche per estratto su quotidiani a diffusione nazionale e locale.
È questo il quadro che si ricava alla luce del comma 35 dell'articolo 34 del decreto legge 179/2012, introdotto con il maxi-emendamento predisposto dal governo e sul quale è stata votata ieri la fiducia.
La norma prende in considerazione soltanto l'onere di pubblicità sui quotidiani di bandi e avvisi di gara che fa capo alle stazioni appaltanti e che riguarda la pubblicazione per estratto, ai sensi dell'articolo 66, comma 7, del Codice dei contratti pubblici, su due quotidiani a diffusione nazionale e due a diffusione locale, se si tratta di contratti di rilevanza comunitaria (ai sensi dell'articolo 122, comma 5, del Codice, su un quotidiano a diffusione nazionale e locale, se il contratto è al di sotto delle soglie di applicazione della normativa comunitaria). In sostanza il nuovo comma 35 dell'articolo 34 del provvedimento stabilisce che a partire dai bandi e dagli avvisi pubblicati successivamente al 01.01.2013, le spese per la pubblicazione per estratto sui quotidiani previste dalle norme del Codice (i citati articoli 66, comma 7 e 122, comma 5) «sono rimborsate alla stazione appaltante dall'aggiudicatario, entro il termine di 60 giorni dall'aggiudicazione».
La norma ha due effetti, ma lascia aperto un dubbio interpretativo che dovrebbe essere in qualche modo risolto.
Il primo effetto è quello di confermare a chiare lettere che anche dal 1° gennaio 2013 le stazioni appaltanti sono comunque tenute alla pubblicazione sui quotidiani dei bandi e degli avvidi di gara per estratto. Da ultimo, e prima dell'approvazione della legge «anticorruzione», il dubbio poteva infatti esservi. Nel 2009, infatti, il comma 5 dell'articolo 32 della legge n. 69/2009 aveva stabilito che proprio a decorrere dal 1° gennaio 2013, le pubblicazioni effettuate in forma cartacea non avessero più «effetto di pubblicità legale, ferma restando la possibilità per le amministrazioni e gli enti pubblici, in via integrativa, di effettuare la pubblicità sui quotidiani a scopo di maggiore diffusione, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio». Con tutta probabilità, quindi, la pubblicazione sui quotidiani sarebbe sparita. Con la recente legge 06.11.2012, n. 190 («anticorruzione») il legislatore ha però previsto una disposizione «di salvezza» delle norme in materia di pubblicità contenute nel Codice dei contratti pubblici. In sostanza, quindi, l'aver fatte salve le due norme del Codice dei contratti pubblici (vedi ItaliaOggi del 30.11.2012, pag. 35) ha significato implicitamente abrogare la norma che avrebbe fato perdere efficacia legale alla pubblicità sui quotidiani a decorrere da inizio 2013. Appare evidente, adesso, che la disposizione del decreto legge sulla crescita, nel testo del maxi-emendamento, nel prendere atto della norma della legge 190/2012, non fa altro che confermare l'obbligo di pubblicità sui quotidiani occupandosi però di venire incontro alle difficoltà di bilancio delle stazioni appaltanti.
Il secondo effetto è, appunto, quello di sollevare le finanze delle amministrazioni che, seppure dovranno sopportare inizialmente le spese di pubblicazione, si vedranno rimborsare tali spese dall'aggiudicatario del contratto dopo due mesi dall'aggiudicazione. Una sorta di spending review sulle spalle delle imprese.
Il dubbio interpretativo riguarda il fatto che, dal tenore letterale della norma, non si desume se e come chi partecipa alla gara avrà contezza dei costi già sostenuti dalla stazione appaltante, il che farà una certa differenza soprattutto quando le gare sono al massimo ribasso.
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Le stazioni appaltanti dovranno iscriversi all'Anagrafe unica.
Le stazioni appaltanti dovranno iscriversi all'anagrafe unica istituita presso la Banca dati dei contratti pubblici, gestita dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che dovrebbe essere attivata entro il 01.01.2013; in caso di inadempimento dell'obbligo di iscrizione scatta la nullità degli atti e la responsabilità amministrativa e contabile del funzionario responsabile.
È questa una delle principali novità contenuta nel testo del maxi-emendamento al decreto legge 179, presentato dal governo e sul quale l'aula del senato ha votato ieri la fiducia. Si tratta di una assolta novità l'istituzione presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture dell'anagrafe unica delle stazioni appaltanti alla quale obbligatoriamente ogni stazione appaltante dovrà iscriversi.
La norma precisa infatti che le stazioni appaltanti di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture saranno tenute a richiedere l'iscrizione all'anagrafe unica presso la banca dati nazionale dei Contratti pubblici istituita ai sensi dell'articolo 52-bis del codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 07.03.2005 n. 82. In sostanza ciò significa che prima dovrà essere attiva la banca dati nazionale dei contratti pubblici (che dovrebbe partire il 01.01.2013, quanto meno per gli affidamenti di rilievo superiore alla soglia comunitaria, stando ad alcune indiscrezioni filtrate nelle ultime settimane) e poi le amministrazioni potranno iscriversi.
Sarà l'Autorità di vigilanza presieduta da Sergio Santoro a dettare, poi, con una propria delibera, le modalità operative e di funzionamento della anagrafe. Gli obblighi per le amministrazioni non si esauriscono però nella mera iscrizione all'anagrafe, perché esse dovranno anche procedere, ogni anno, all'aggiornamento dei rispettivi dati identificativi. L'inadempimento di questi obblighi è previsto che dia luogo alla nullità degli atti adottati e alla responsabilità amministrativa e contabile dei funzionari responsabili.
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Nulla di fatto per le modifiche alla responsabilità solidale.
Nulla di fatto per la responsabilità solidale negli appalti: rimane la disciplina attuale; ammessi i contratti di rete nelle gare di appalto; salta all'ultimo momento l'estensione della disciplina sui crediti di imposta per le infrastrutture in PPP di importo superiore a 100 milioni e per quelle già aggiudicate. È quanto emerge dal testo del maxi-emendamento approvato dal senato che proprio per il settore delle infrastrutture in project financing compie alcuni significativi passi indietro.
Si parlava, con alcuni emendamenti dei relatori, di due modifiche alla disciplina sui crediti di imposta: la riduzione da 500 a 100 milioni della soglia minima di applicazione e della possibilità di utilizzarli anche per le opere aggiudicate. Le due modifiche sono però saltate e tutto invariato. Stessa sorte per la proposta di esclusione del settore degli appalti pubblici dalla disciplina sulla responsabilità solidale fiscale; anche in questo caso la norma non compare più nel testo finale.
Rappresenta invece una novità, peraltro presa dal disegno di legge semplificazioni-bis, riguarda i cosiddetti contratti di rete stipulati fra aggregazioni di imprese ai sensi dell'articolo 3, comma 4-ter, del decreto legge 10.02.2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 09.04.2009, n. 33.
La norma approvata ieri stabilisce che alle aggregazioni che si basano su questi contratti si applicano le disposizioni dell'articolo 37 del Codice dei contratti pubblici che, a sua volta, detta le regole per la costituzione e il funzionamento dei raggruppamenti temporanei di imprese e dei consorzi ordinari di concorrenti. Ciò dovrebbe significare che le imprese che hanno sottoscritto il contratto di rete dovranno configurare la propria «aggregazione» secondo le regole proprie di queste due tipologie di soggetti raggruppati, quanto meno, quindi, secondo lo schema del mandato con rappresentanza.
Infine per far fronte ai pagamenti per lavori e forniture già eseguiti, l'Anas potrà utilizzare le risorse dell'ex Fondo centrale di garanzia, nel limite di 400 milioni di euro (articolo ItaliaOggi del 07.12.2012).

PUBBLICO IMPIEGOCongedi parentali anche a ore. Nei ccnl le modalità per fruire dei permessi ai genitori. La novità nel decreto legge salva-infrazioni che è stato approvato ieri dal governo.
I congedi parentali potranno essere utilizzati anche a ore e non solo su base giornaliera. Sarà la contrattazione collettiva a definire le modalità di fruizione del congedo nonché i criteri di calcolo della base oraria e l'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa.
È una delle tante disposizioni contenute nel decreto legge salva-infrazioni, varato ieri dal consiglio dei ministri per provare a salvare, appunto, l'Italia dalle numerose procedure, aperte o possibili, da parte dell'Unione europea.
I temi affrontati dal decreto spaziano dal lavoro al fisco, dalla sanità all'ambiente. Sul fronte fiscale, si prevedono, tra l'altro, l'unificazione dei criteri del momento di effettuazione delle operazioni intraUe, lo stop alla fatturazione dei pagamenti anticipati e la ridefinizione degli adempimenti negli scambi intracomunitari. E ancora, lo stop per i comuni alla possibilità di ampliare l'oggetto dei contratti per la riscossione locale affidando ai concessionari nuovi ambiti di business senza indire gare, ma semplicemente rinegoziando i rapporti in essere.
Da segnalare, ancora le modifiche alla normativa del quadro RW sui beni all'estero: la previsione di una sanzione di 258 euro per chi presenta il quadro RW entro i 90 giorni successivi alla scadenza dei termini di Unico, riduzione dal 5 al 3% della sanzione minima per l'omessa dichiarazione degli investimenti esteri che raddoppia se i predetti investimenti sono situati in black list, completa scomparsa della sezione III del quadro relativo al monitoraggio fiscale.
Accordo Italia-San Marino. Via libera del governo anche alla Convenzione tra Italia e San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali (si veda ItaliaOggi del 4 dicembre). Si tratta di un ulteriore tassello della già vasta rete di strumenti analoghi per evitare le doppie imposizioni stipulati dall'Italia. In particolare, l'accordo con San Marino permette di creare un valido quadro giuridico-economico di riferimento per gli operatori economici italiani, ed allo stesso tempo garantisce l'interesse generale dell'Amministrazione finanziaria italiana. La struttura della Convenzione ricalca gli schemi più recenti accolti sul piano internazionale dall'Ocse, con particolare riferimento allo scambio di informazioni fiscali ed al superamento del segreto bancario
Contributi agli uffici giudiziari. Il consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare un provvedimento che introduce alcune modificazioni al procedimento per la concessione dei contributi alle spese di funzionamento degli uffici giudiziari in favore dei comuni presso i quali questi uffici hanno sede. Il meccanismo attuale di rimborso delle spese (disciplinato dalla legge n. 392 del 1941 e dal dpr n. 187 del 1998) prevede l'erogazione di un anticipo all'inizio di ogni esercizio finanziario, pari al 70% del contributo erogato nell'anno precedente, e un successivo saldo a consuntivo, entro il 30 settembre di ogni anno. Il nuovo intervento rende la spesa più facilmente controllabile da parte dell'amministrazione della giustizia e incentiva prassi virtuose di gestione dei flussi finanziari attraverso la destinazione dei risparmi ottenuti in favore degli enti locali interessati.
Piano dei conti integrato delle p.a. Il consiglio ha approvato un provvedimento che riguarda le modalità di adozione del piano dei conti integrato delle amministrazioni pubbliche. L'articolo 4 del decreto legislativo n. 91 del 31 maggio (disposizioni di attuazione dell'articolo 2 della legge 196 del 2009, in materia di adeguamento ed armonizzazione dei sistemi contabili) ha disposto che le amministrazioni pubbliche che utilizzano la contabilità finanziaria sono tenute ad adottare un comune piano dei conti integrato, costituito da conti che rilevano le entrate e le spese in termini di contabilità finanziaria e in termini di contabilità economico-patrimoniale e da conti economico-patrimoniali. Tale piano deve essere redatto dalle p.a. (a eccezione dei ministeri e degli enti territoriali) secondo comuni criteri di contabilizzazione indicati dal provvedimento. All'esito dell'adozione del piano dei conti integrato sarà effettuata una sperimentazione di due anni, che consentirà alle amministrazioni aderenti di verificare l'effettiva rispondenza del nuovo assetto contabile
Referendum. Si voterà il 10 e l'11.02.2013 nei territori che hanno chiesto il distacco dalla regione di appartenenza. Si tratta, in particolare, della provincia di Piacenza che ha chiesto il distacco dall'Emilia Romagna e l'aggregazione alla Lombardia, e dei comuni veneti di Arsiè, di Canale d'Agordo, di Cesiomaggiore, di Falcade, di Feltro, di Gosaldo e di Roccapietone (Belluno) che hanno invece chiesto il distacco dal Veneto per passare al Trentino-Alto Adige/Sudtirol (articolo ItaliaOggi del 07.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIEnti associati, revisione doc. Collegi nelle unioni che svolgono funzioni fondamentali. Il maxiemendamento al dl 174 sui costi della politica ha corretto la formulazione.
Il nuovo assetto dell'organo di revisione economico-finanziaria, con la previsione di un collegio composto da tre membri chiamati a operare anche nei comuni associati, riguarda solo le unioni che esercitano in forma associata tutte le funzioni fondamentali comunali.
Il maxiemendamento al disegno di legge di conversione del dl 174/2012 approvato in settimana dal senato, infatti, corregge la formulazione del nuovo art. 234, comma 3-bis, del Tuel uscita dalla camera.
Il testo precedente disponeva che «Nelle unioni di comuni la revisione economico-finanziaria è svolta da un collegio di revisori composto da tre membri, che svolge le medesime funzioni anche per i comuni che fanno parte dell'unione».
Il riferimento, quindi, era a tutte le unioni e non solo a quelle costituite dai piccoli comuni per assolvere all'obbligo di gestione in forma associata delle funzioni fondamentali.
Dopo il passaggio a palazzo Madama, invece, la portata della novità è stata circoscritta alle sole unioni di comuni «totalitarie», siano esse speciali (ex art. 16 del dl 138/2011), ovvero classiche (ex art. 32 del Tuel).
Sebbene nulla vieti che anche i comuni di dimensioni medio-grandi associno la generalità del proprio «core business», è evidente che il legislatore mira soprattutto a quelli sotto i 5.000 abitanti (3.000 in montagna), i quali, entro la fine del 2013 (salvo proroghe) dovranno gestire in comunione tutte le nove funzioni fondamentali individuate dall'art. 19, comma 1, del dl 95/2012.
Anche i piccoli comuni, peraltro, potranno agevolmente aggirare la nuova norma, optando per il modello della convenzione (art. 30 del Tuel), anche solo per gestire alcune delle predette funzioni.
Ricordiamo, infatti, che l'art. 14, comma 29, del dl 78/2010 si limita a sancire il divieto di svolgere la medesima funzione mediante più di una forma associativa, mentre l'art. 32 del Tuel impedisce al singolo comune di far parte di più di un'unione. Nulla osta, invece, alla possibilità di aderire ad un'unione conferendo ad essa solo alcune funzioni e gestendo le altre mediate convenzione.
In tali casi, l'obbligo di passare dall'attuale revisore monocratico al collegio e di assegnare a quest'ultimo anche la vigilanza dei conti dei comuni associati non si applica.
È stata, invece, confermata la disposizione in base alla quale, all'atto della costituzione del nuovo collegio dei revisori delle unioni di comuni di cui all'articolo 234, comma 3-bis, del Tuel (ovvero, come detto, quelle «totalitarie») decadranno i revisori in carica nei comuni associati.
Per la scelta dei componenti occorre applicare il meccanismo dell'estrazione dalle liste regionali, previsto dall'art. 16, comma 25, del dl 138/2011. Gli elenchi sono stati recentemente approvati dal decreto del 27 novembre 2012 del ministero dell'interno, dipartimento per gli affari interni e territoriali.
In base a quanto disposto dal regolamento del Viminale n. 23 del 15.02.2012, occorrerà pescare da nominativi inseriti almeno in fascia 2, che include i soggetti iscritti da almeno cinque anni e che abbiano svolto almeno un incarico di revisore dei conti presso un ente locale per almeno tre anni.
È chiaro che, a seguito delle modifiche, si attenuano alcuni degli effetti che sarebbero conseguiti dalla riforma come approvata a Montecitorio, che avrebbe comportato una forte riduzione di posti per i professionisti che lavorano nella pa locale e una penalizzazione per quelli al primo incarico (articolo ItaliaOggi del 07.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

TRIBUTITares, rischio di salto nel buio. Sono molte le perplessità dei comuni e degli operatori. A pochi giorni dall'effettiva entrata in vigore del tributo i nodi da sciogliere sono molti.
A pochi giorni dall'effettiva entrata in vigore del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (c.d. Tares) -come istituito ai sensi e per gli effetti dell'art. 14 del dl n. 201/2011 conv. con modif. in legge n. 214/2011- sono molteplici le perplessità dei comuni e degli operatori chiamati a dare attuazione al rinnovato istituto.
È indubbio che la Tares garantirà -per un verso- il superamento di un regime che, negli anni, per il coesistere di differenti strumenti (Tarsu; Tia1; Tia2), ha generato un panorama di riferimento, anche giurisprudenziale, del tutto diversificato e -sotto altro profilo- assicurerà la definitiva affermazione della natura «tributaria» del prelievo.
Peraltro, proprio con riguardo a tale ultimo profilo, va dato conto che le disposizioni normative già consentono tuttavia al tributo di «trasformarsi» in corrispettivo del servizio –e dunque in vera e propria tariffa– allorché venga data attuazione a quei sistemi di «misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico» che la stessa Corte Costituzionale -con la nota sentenza n. 238/2009 relativa all'affermazione della natura tributaria del regime Tarsu/Tia- aveva indicato essere i principali motivi per cui, in ogni caso, dette entrate non potevano avere qualifica tariffaria al riguardo rilevando che «_ il fatto generatore dell'obbligo di pagamento è legato non all'effettiva produzione di rifiuti da parte del soggetto obbligato e alla effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente all'utilizzazione di superfici potenzialmente idonee a produrre rifiuti ed alla potenziale fruibilità del servizio di smaltimento».
Ma come detto in apertura sono molte le perplessità relative all'attuazione delle nuove previsioni, con molteplici richieste di revisioni della norma –di cui si sono fatti portavoce differenti centri di interesse– e che dovrebbero confluire in puntuali revisioni del sistema Tares a pochi giorni dall'attuazione di questa e soprattutto a pochi giorni dalla scadenza della prima rata di pagamento che la norma prevede avvenga già entro il prossimo gennaio.
A tale riguardo, senza volontà di affrontare compiutamente la delicata questione delle richieste di modifica, data la molteplicità dei profili trattati e il necessario approfondimento che ogni elemento richiederebbe, è comunque possibile valutare taluni profili della problematica ed in tale ottica approfondire due tematiche oggetto di distinti progetti di riforma.
In tale contesto una rilevante modificazione proposta è già contenuta in atti ufficiali, ossia nel progetto di legge di modifica al Codice dell'ambiente, attualmente in esame alla commissione ambiente della camera dei deputati.
All'art. 16 di tale progetto di legge è, infatti, contenuta una disposizione per la quale la possibilità di attuare un sistema tariffario (in luogo di quello tributario della Tares) non sarebbe riconnessa solo ed esclusivamente all'approntamento dei già indicati sistemi di misurazione puntuali della quantità di rifiuti conferiti ma anche all'ipotesi in cui i comuni abbiano comunque realizzato «sistemi di gestione caratterizzati dall'utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso».
È indubbio che, data la genericità della previsione, la stessa non possa che essere apprezzata esclusivamente per l'effetto che questa sarebbe in grado di ingenerare.
Le conseguenze più immediate (e forse anche volute) sarebbero, infatti, quelle di sottrarre al regime di applicazione Tares una serie di fattispecie per le quali –pur non essendo attuati meccanismi di misurazione puntuali della quantità di rifiuti conferiti, come richiesto dalla Corte costituzionale e come originariamente previsto dalla stessa legge– potrebbero ugualmente valere i «correttivi» previsti dalla norma.
Quanto detto con la conseguente applicazione di un regime tariffario sia pure in assenza di parametri effettivi di riferimento e, dunque, con il rischio di determinare uno scenario di discrezionalità assoluta e totalmente incontrollato, collegato a variabili sostanzialmente indefinite e forse indefinibili.
E comunque in possibile contrasto con le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale.
A fronte di tali correttivi –imitati nella forma ma assolutamente dirompenti per gli effetti che potrebbero determinare– e al di là di ipotesi di mero rinvio dell'entrata in vigore delle previsioni di legge, rispetto a cui il dubbio maggiore risiede nella quota di contribuzione relativa ai servizi indivisibili che il Governo conta di ottenere già nel 2013, altri progetti di riforma riguardano direttamente l'art. 14 del dl n. 201/2011 conv. con modif. in legge n. 214/2011 istitutivo della Tares.
Tali ulteriori progetti di riforma affermano peraltro in modo congiunto l'esigenza di superare i preoccupanti profili connessi al mantenimento degli attuali livelli occupazionali.
Si deve infatti osservare che, a fronte dell'enunciazione chiara del Comune quale «soggetto attivo dell'obbligazione tributaria», molti Enti Locali avevano ipotizzato la necessità –anche nei confronti di propri gestori dei servizi– di riacquisire ogni funzione, con ogni conseguenza in ordine alla sorte dei dipendenti dei gestori e di riorganizzazione delle funzioni all'interno degli Enti locali medesimi.
In tale direzione –e premesso che in ogni caso i gestori hanno comunque titolo a poter continuare a gestire le attività strumentali e propedeutiche alla riscossione della Tares– i nuovi progetti di riforma si preoccupano di prevedere che i comuni possano affidare a detti soggetti gestori, non solo le già indicate attività strumentali, ma anche ogni funzione connessa alle fasi di gestione, accertamento e riscossione della Tares, con ciò assicurando i precedenti livelli occupazionali e garantendo una fase meno traumatica nel passaggio al nuovo regime (articolo ItaliaOggi del 07.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATATorna il potere sostitutivo di Palazzo Chigi sui vincoli.
NECESSARI TRE TENTATIVI/ Per superare l'obiezione della Corte costituzionale previste tre riunioni (in 90 giorni) tra Governo e enti territoriali per trovare l'intesa.

In attesa del debat public alla francese o della riforma radicale delle procedure per l'autorizzazione delle opere pubbliche sul territorio, a questo punto rinviate alla prossima legislatura, il Governo prova ad aggiustare –nel decreto legge sviluppo-bis approvato ieri dal Senato– la conferenza di servizi modello legge 241 in caso di motivato dissenso delle amministrazioni di tutela culturale e paesaggistica. Viene ripristinato il potere sostitutivo del Governo, cancellato da una recente sentenza della Consulta.
L'articolo 14-quater della legge 241/1990 (riformato dal decreto legge 78/2010) dava infatti la possibilità al Consiglio dei ministri (alla presenza del Governatore) di superare il dissenso motivato dell'amministrazione di tutela, dopo aver tentato un'intesa con la Regione interessata: la norma era stata però dichiarata incostituzionale dalla Consulta (sentenza 11.07.2012, n. 179) perché il termine di trenta giorni per fare l'intesa Governo-Regione era stato considerato troppo stringente.
La sentenza aveva di fatto azzerato il potere sostitutivo del Governo. Ora il maxiemendamento al decreto sviluppo prova a restituire al Governo il potere sostitutivo per superare il motivato dissenso regionale, allungando però a un massimo di 90 giorni i tempi dell'intervento governativo.
La procedura diventa molto più complessa, con l'obbligo di esperire almeno tre tentativi di accordo con la Regione interessata.
Il primo step prevede che sia indetta dalla Presidenza del Consiglio una riunione «entro trenta giorni dalla data di remissione della questione alla delibera del Consiglio dei ministri».
Alla riunione dovranno partecipare, oltre alla Regione o alla Provincia autonoma, anche gli enti locali e le amministarzioni interessate al progetto sotto esame, «attraverso un unico rappresentante legittimato, dall'organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell'amministrazione sulle decisioni di competenza».
A rendere questo passaggio innovativo e l'intera procedura più graduale è anche il fatto che «i partecipanti debbono formulare le specifiche indicazioni necessarie alla individuazione di una soluzione condivisa, anche volta a modificare il progetto originario».
Se l'intesa non è raggiunta dopo questa prima riunione, entro trenta giorni, viene indetta sempre da Palazzo Chigi una seconda riunione che abbia le stesse modalità della prima, «per concordare interventi di mediazione, valutando anche le soluzioni progettuali alternative a quella originaria».
Se anche questa seconda riunione non arriva a una soluzione entro trenta giorni, nei successivi trenta vengono avviate nuove trattative, stavolta «finalizzate a risolvere e comunque a individuare i punti di dissenso». Se anche in questo caso l'intesa non è raggiunta, la deliberazione del Consiglio dei ministri per l'esercizio del potere sostitutivo «può essere comunque adotatta con la partecipazione dei presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate».
L'intervento sulla conferenza di servizi ha una sua importanza, anche se va detto che il potere sostitutivo della Presidenza del Consiglio è stato finora utilizzato in casi molto rari. È tuttavia un tentativo per rimettere in moto lo strumento. Ed è una delle poche norme significative per le infrastrutture, dopo la cancellazione degli interventi più importanti, come l'abbassamento della soglia di accesso al credito di imposta in favore del project financing e l'eliminazione per il settore dei lavori pubblici della responsabiità solidale fra appaltatore e subappaltatore per i mancati pagamenti di quest'ultimo relativi all'Iva e alle trattenute dei dipendenti (articolo Il Sole 24 Ore del 07.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIAffidamenti diretti «liberi». Per le partecipate salta il limite di 200mila euro annui.
IL QUADRO/ Il correttivo cancella il tetto introdotto a luglio anche per le strumentali Confermato il blocco ad assunzioni e stipendi.

Con la cancellazione del limite dei 200mila euro all'in house che sarebbe scattato a inizio 2014, inserita nel maxiemendamento governativo al decreto sviluppo-bis, gli affidamenti diretti di servizi pubblici a rilevanza economica perdono l'ultimo vincolo destinato ad avere un impatto generalizzato.
La novità, insomma, sembra segnare la parola fine alla storia dei tentativi di liberalizzazione avviati nel 2008, con la prima manovra della legislatura, e colpiti dai referendum del 2011 e dalla sentenza 199/2012 della Corte costituzionale.
L'addio al tetto di valore per gli affidamenti diretti (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri), che era stato reintrodotto a luglio nel decreto legge sulla revisione di spesa con un occhio particolare alle società strumentali, si spiega anche con il rischio-contenzioso che avrebbe accompagnato la sua applicazione. Un limite identico era contenuto nell'articolo 4 della manovra-bis del 2011 (Dl 138), cancellato per illegittimità dalla Corte costituzionale. E, in vista del 2014 sarebbe stata praticamente certa una nuova ondata di ricorsi alla Consulta da parte delle Regioni.
Con il via libera alla conversione in legge del decreto, comunque, tirano un sospiro di sollievo molti dei titolari attuali di affidamenti diretti (tra le strumentali, per esempio, società come Lazio Service), che sarebbero dovuti decadere a fine 2014, e cade l'ultimo limite «made in Italy» all'in house: la disciplina di riferimento rimane in pratica solo quella europea, che consente l'affidamento diretto a società interamente pubbliche che siano controllate dall'ente affidante e con lui svolgano la parte rilevante della propria attività.
Un ricordo pallido dell'ondata liberalizzatrice rivive in realtà in un altro correttivo contenuto nel maxiemendamento, che impone di dare conto, in una relazione, delle ragioni alla base della scelta dell'affidamento e dei contenuti del contratto di servizio. La relazione, però, va semplicemente pubblicata sul sito istituzionale dell'ente e non è sottoposta a pareri dell'Antitrust che sarebbero stati giudicati incostituzionali in seguito alla sentenza post-referendum della Consulta. Non sono fissate sanzioni per la mancata pubblicazione della relazione: la decadenza automatica è prevista al 31.12.2013 solo in caso di mancato adeguamento degli affidamenti non conformi alla disciplina Ue (per esempio: affidamento diretto a una società mista) o privi di data di scadenza.
Tutto questo pacchetto di regole esclude espressamente energia elettrica, farmacie comunali e gas naturale. A complicare la gestione c'è invece il trasferimento di tutti i compiti di scelta della forma di gestione dei servizi, tariffe e controlli agli ambiti territoriali ottimali previsti dal 2011 ma non ancora costituiti ovunque. Una regola, questa, che sottrae ai Comuni ogni compito diretto nell'organizzazione dei servizi pubblici.
Per gli affidamenti diretti alle società quotate, viene ribadita la decadenza a fine 2020 degli affidamenti diretti che non prevedono scadenza (lo prevedeva già il decreto originario) e si precisa che rientrano nella disciplina delle quotate tutte «le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati». Queste regole, quindi, oltre alle aziende presenti nel listino di Borsa, dovrebbero estendersi anche alle società che emettono obbligazioni.
La precisazione è importante anche per definire i confini dell'estensione alle società partecipate delle regole di contenimento di spesa pubblica imposte agli enti locali controllanti. Il tema più spinoso, da questo punto di vista, è rappresentato dai blocchi alle assunzioni e dai tetti agli stipendi individuali, ribaditi nel caso delle società strumentali anche dal decreto legge sulla revisione di spesa. Il problema è legato al fatto che nelle aziende il personale è assunto con contratti di diritto privato, il cui congelamento per legge rischia di scatenare un contenzioso ad ampio raggio.
Proprio per questa ragione, in commissione era stato approvato un correttivo che chiedeva alle società di ridurre le spese di personale, rispettando anche il limite del 40% al turn over, senza bloccare gli stipendi individuali, ma il «non possumus» della Ragioneria lo ha escluso dal testo governativo (articolo Il Sole 24 Ore del 07.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIAppalti, resta la responsabilità solidale.
Nessun alleggerimento per le aziende - Le reti di imprese potranno partecipare ai bandi
QUALIFICAZIONE/ I requisiti di fatturato per lavori oltre 20 milioni potranno essere dimostrati pescando tra i cinque migliori esercizi degli ultimi dieci anni.

Il mondo dell'edilizia deve dire addio ad alcune delle misure più attese. Il decreto sviluppo non porterà in dote l'abbassamento della soglia minima per l'ammissibilità del credito di imposta per le opere in project financing (che resta a 500 milioni) e non potrà neanche essere applicato alle opere già aggiudicate. Salta anche la norma più utile per le piccole e medie imprese dei lavori pubblici: non viene più escluso il settore degli appalti dalla responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatori quando questi ultimi non pagano l'Iva o i contributi dei lavoratori all'Inps e all'Inail. Scompare, infine, la possibilità per le imprese di autoprodurre il certificato di regolarità contributiva (Durc) in alcuni passaggi chiave del contratto.
L'edilizia incassa però alcune novità minori, annunciate da tempo dal Governo come capitoli delle semplificazioni: per esempio, l'ammissione delle reti di impresa al mercato degli appalti. Oppure l'istituzione dell'anagrafe unica delle stazioni appaltanti.
La prima norma era stata inserita, appunto, nel Ddl Semplificazioni bis appena sbarcato in Parlamento e ora recuperata nel maxiemendamento presentato dal Governo.
La seconda è una novità dell'ultimora. Prevede l'istituzione di un'anagrafe delle oltre 38mila stazioni appaltanti italiane presso l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. Gli enti avranno l'obbligo di richiedere l'iscrizione presso la banca dati degli appalti che l'Autorità dovrà istituire entro il 01.01.2013, pena «la nullità degli atti adottati e la responsabilità amministrativa e contabile dei funzionari responsabili». Le modalità di iscrizione e di funzionamento dell'anagrafe saranno stabilite con una delibera della stessa autorità.
Le novità in materia di appalti non finiscono qui. Passa anche la norma che permette alle imprese qualificate a eseguire i lavori di maggiore dimensione (oltre 20 milioni) di dimostrare i requisiti di fatturato pescando tra i cinque migliori esercizi degli ultimi 10 anni.
Poi ci sono due norme anticrisi: la proroga a tutto il 2013 delle agevolazioni per la verifica triennale dei requisiti da parte delle Soa e l'aumento dal 75 all'80% della quota di cauzione svincolabile in corso di appalto. Per contro, a partire dal 01.01.2013 saranno le imprese a doversi accollare le spese di pubblicazione dei bandi di gara e degli avvisi di aggiudicazione sui quotidiani.
A rimborsare la Pa dei costi sostenuti dovrà essere l'aggiudicatario del contratto.
Infine, in materia di conferenza di servizi, nasce il contraddittorio lungo in caso di dissenso di una Regione o di una Provincia autonoma.
Se l'amministrazione locale dovesse mostrare la propria opposizione al progetto, il Governo programmerà una serie di tre incontri a distanza di 30 giorni l'uno dall'altro. E solo all'esito negativo di questi potrà procedere aggirando il veto (articolo Il Sole 24 Ore del 06.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 06.12.2012

SEGRETARI COMUNALI: Niente «premi» senza obiettivi.
Niente retribuzioni di risultato per i segretari se non sono stati formalizzati in via preventiva dall'amministrazione gli obiettivi necessari alla valutazione.

Lo spiega l'ex-Ages (agenzia dei segretari) nelle risposte ai quesiti 30.11.2012 n. 9/2012 e 30.11.2012 n. 10/2012.
In un altra nota (la 30.11.2012 n. 8/2012) l'ex-Ages afferma che non sono possibili le convenzioni fra Comuni singoli e Unioni (articolo Il Sole 24 Ore del 05.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

LAVORI PUBBLICIIn dirittura d'arrivo il decreto interministeriale che mette i paletti nelle gare pubbliche. Appalti, basta ribassi selvaggi. La prestazione professionale troverà il suo compenso.
Gare d'appalto con tariffe professionali certe. E con precisi paletti di discrezionalità sugli importi per le pubbliche amministrazioni. È finita dunque l'era in cui le stazioni appaltanti si presentavano alle gare offrendo progettazione ed esecuzione delle opere a prezzi stracciati (con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo iniziale) svilendo anche il ruolo del professionista.

A sanare la situazione infatti ci penserà un decreto interministeriale giustizia-infrastrutture, a giorni in arrivo al Consiglio di stato, che definisce i parametri da utilizzare per la determinazione dell'importo da porre a base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria e architettura.
Dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la liquidazione dei corrispettivi in caso di contenzioso, dunque, arriva un altro provvedimento a comporre lo scenario complessivo di riforma delle professioni che, tra i suoi capisaldi, ha visto appunto l'abolizione delle tariffe.
Il contesto generale. Si tratta di un testo atteso nel mondo delle professioni tecniche (ingegneri, architetti, geometri, periti industriali ecc.) e soprattutto necessario dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le procedure per l'affidamento degli incarichi di progettazione. Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle professioni tecniche che, tra le altre cose, ha alimentato negli ultimi anni un'eccessiva discrezionalità delle stazioni appaltanti. Soprattutto dopo le lenzuolate Bersani.
Per sanare tale criticità il governo era intervenuto con il decreto sviluppo stabilendo che per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi tecnici si sarebbero applicati i parametri individuati appunto con un decreto interministeriale che avrebbe anche definito «le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi». Il tutto con un paletto preciso: «I parametri individuati non possono condurre alla determinazione di un importo a base di gara superiore a quello derivante dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del presente decreto».
I punti principali del testo. La battaglia degli ordini sul provvedimento è stata soprattutto mirata a eliminare gli aspetti eccessivamente discrezionali del testo. Così è saltata, in primo luogo, la possibilità per le pubbliche amministrazioni di aumentare o diminuire gli importi a base di gara del 60% in maniera completamente discrezionale come era avvenuto fino ad ora. Allo stesso modo il parametro «G», che nel calcolo degli importi a base di gara servirà a definire la «complessità della prestazione», vedrà diminuire la sua portata discrezionale.
Il decreto, infatti, non fissa più (come nelle bozze precedenti) una forbice tra due valori (ridotto e elevato), ma quozienti fissi e non derogabili stabiliti a seconda della categoria e della destinazione funzionale dell'opera. Il provvedimento richiama nella valutazione del compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e del grado di complessità.
Torna poi la liquidazione forfettaria delle spese, in sostanza l'importo delle spese e degli oneri accessori, invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente» secondo percentuali standard degli oneri sostenuti dal professionista che varieranno tra il 10 e il 25% a seconda del valore dell'opera (articolo ItaliaOggi del 05.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIPagamenti. Le novità del decreto legislativo 192/2012 sui ritardi si applicheranno ai contratti conclusi da inizio 2013.
Interessi al via senza sollecito. La decorrenza sarà automatica per tutte le transazioni commerciali.
NELLA RETE/ La disciplina riguarda i versamenti effettuati a titolo di corrispettivo tra imprese, professionisti e pubbliche amministrazioni.

Decorrenza automatica degli interessi di mora per i contratti conclusi dal 01.01.2013 e prova scritta di ogni patto derogatorio: così dispone il decreto legislativo 192/2012 di recepimento della direttiva 2011/7/Ue contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. I pagamenti effettuati oltre il termine dei 30 giorni dalla scadenza, ovvero entro il maggior termine stabilito contrattualmente non superiore comunque a 60 giorni salvo casi particolari, saranno quindi maggiorati di interessi moratori senza necessità di sollecito e preavviso di inadempimento da parte del creditore.
Dentro e fuori
La disciplina riguarda tutti i pagamenti effettuati a titolo di corrispettivo tra imprese ovvero tra queste e le pubbliche amministrazioni. Nella nozione di impresa rientrano anche i professionisti e cioè i soggetti che esercitano un'attività professionale indipendente. Sul punto, la direttiva comunitaria precisa come la sua operatività nei confronti delle professioni liberali non determina la loro assimilazione alle imprese per fini diversi da quelli sugli interessi di mora per ritardati pagamenti. Per espressa previsione di legge, restano inoltre esclusi solamente i debiti oggetto di procedure concorsuali nonché i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno. Si persegue in questo modo la finalità di contrastare le posizioni dominanti delle imprese sui propri fornitori e sulle imprese sub committenti, in particolare quando si tratta di micro, piccole e medie imprese. Così, come chiarisce la direttiva, si vuole contrastare i ritardi nei pagamenti che, limitando la liquidità delle imprese, ne complicano la gestione finanziaria obbligandole a ricorrere a finanziamenti esterni in un periodo di crisi strutturale del sistema.
I 30 e i 60 giorni
Il Dlgs 192/2012 estende a tutte le transazioni commerciali le regole imposte nel settore agricolo e agroalimentare dall'articolo 62 del Dl 1/2012, che dallo scorso 24 ottobre prevede la decorrenza automatica degli interessi di mora dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, fissato in 30 giorni per le merci deteriorabili e in 60 per tutte le altre a decorrere dall'ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura. Quest'ultima disposizione costituisce una norma speciale rispetto alla regole generali applicabili ai ritardi nei pagamenti dei corrispettivi per merci o servizi resi.
Gli interessi moratori
Differenti sono anche le modalità per individuare i termini di decorrenza degli interessi moratori. Alla luce della normativa comunitaria, il creditore matura il diritto agli interessi dal giorno successivo alla data di scadenza o alla fine del periodo di pagamento stabilito nel contratto. Se data di scadenza o di pagamento non risultano invece contrattualizzati, gli interessi di mora decorrono comunque, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento individuato in 30 giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente. Nel caso in cui non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta di pagamento, i 30 giorni decorrono dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi. Invece se il debitore riceve la fattura o la richiesta di pagamento prima delle merci o della prestazione dei servizi, i 30 giorni decorrono dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi. I 30 giorni vanno infine calcolati a partire dalla data dell'accettazione o della verifica della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, se il debitore riceve la fattura o la richiesta di pagamento in epoca non successiva a questa data. Le imprese possono pattuire un termine superiore ai 30 giorni: tuttavia se si superano i 60 giorni, oltre alla necessità di una pattuizione espressa con clausola da provarsi per iscritto, non deve configurarsi un comportamento gravemente iniquo per il creditore.
La pubblica amministrazione
Nelle transazioni commerciali in cui debitore è una pubblica amministrazione il termine ordinario di pagamento è quello dei 30 giorni. Tuttavia le parti possono pattuire in modo espresso un termine per il pagamento superiore in ragione della natura o dell'oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. In ogni caso i maggiori termini pattuiti, a differenza di quanto previsto nei rapporti tra imprese, non possono superare i 60 giorni e la relativa clausola deve essere provata per iscritto. I termini sono invece automaticamente raddoppiati a 60 giorni per le imprese pubbliche tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria (articolo Il Sole 24 Ore del 04.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI: Revisori dei conti. L'estensione procederà a tappe, mentre si prova ad ampliare i vincoli di assunzione alle in house.
Controlli progressivi sulle società. Esami nel 2013 per le città oltre 100mila abitanti, nel 2015 si arriverà a quelle sopra 15mila.

L'ultima versione del Dl enti locali prevede che nel 2013 il nuovo controllo ad hoc sulle partecipate si effettui solo nelle città con più di 100mila abitanti, per scendere a 50mila nel 2014 e a 15mila dal 2015.
Ma tutti gli enti, in realtà, sono già oggi chiamati a molte verifiche, a partire dalle dinamiche sul personale delle società. Regole che provano a cambiare ancora con gli emendamenti presentati venerdì scorso dai relatori al decreto «Sviluppo2», al centro di una navigazione parlamentare dagli esiti ancora incerti. I correttivi estendono prima di tutto alle società in house le regole del turn over, che consentono di assumere entro il tetto del 40% dei risparmi ottenuti con le cessazioni dell'anno precedente, e inoltre le mettono al sicuro dal blocco degli stipendi che rischierebbero con l'estensione tout court delle norme applicate agli enti locali: chi non supera i tetti di spesa, secondo il correttivo, sarà chiamato a garantire risparmi di spesa ma senza vietare a tutti qualsiasi incremento contrattuale. Un blocco del genere si scontrerebbe infatti con i contratti di diritto privato tipici del personale delle società, che non possono essere contraddetti da norme di legge. Lo stesso problema, però, si incontra nelle società strumentali, dove il blocco dei trattamenti economici sarà in vigore nel 2013/2014 e rischia di generare un forte contenzioso.
Le nuove regole sui controlli contenute nel decreto enti locali, che attende la fiducia domani al Senato per poi tornare alla Camera per la lettura definitiva, chiamano i revisori a verifiche puntuali anche sul mondo delle società. Questi controlli, in base al maxiemendamento governativo, scatteranno il prossimo anno solo nelle città sopra i 100mila abitanti, poi la soglia scenderà a 50mila nel 2014 e a 15mila dal 2015.
La prima disposizione rilevante, in questa prospettiva, è l'articolo 18, comma 2-bis, della legge 133/2008, che dispone l'assoggettamento delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo, affidatarie senza gara di servizi (quindi tra queste non rientrano le società miste conformi ai parametri comunitari del partenariato pubblico-privato) ai divieti e alle limitazioni per le assunzioni di personale secondo il regime previsto per l'ente controllante.
La norma fa riferimento alle società individuate dal conto consolidato Istat, ma alcune interpretazioni (Corte dei conti, sez. Calabria, delibera 84/2012) evidenziano che la regola va vada intesa in via estensiva, comprendendo anche tutte le società non incluse nell'elenco. Rispetto a questa previsione, è evidente l'obbligo di vigilanza dell'ente socio sul rispetto dei vincoli alle assunzioni nella società, sancito come principio generale (Corte dei Conti. sez. Lombardia, delibera 7/2012).
Il controllo entra in gioco anche nella relazione tra amministrazioni e società affidatarie in house di servizi pubblici locali, regolata dall'articolo 3, commi 5 e 6 della legge 148/2011. Oltre all'estensione del Patto, ancora tutta da definire, la norma prevede che le società debbano assoggettarsi alle disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le consulenze.
Il controllo risulta obbligato anche dall'articolo 76, comma 7 della legge 133/2008, in quanto le amministrazioni locali devono calcolare, ai fini della determinazione del rapporto tra spesa del personale e spesa corrente, anche la spesa delle società a partecipazione totale o di controllo, affidatarie di servizi senza gara.
Qualora, infatti, il rapporto superi il limite del 50% a causa degli eccessivi costi delle risorse umane delle partecipate, l'ente locale socio non può procedere ad assunzioni.
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L'evoluzione
01 | L'ESTENSIONE
Il provvedimento sugli enti locali prevede l'allestimento di nuovi controlli ad hoc sulle società partecipate, sui rapporti finanziari fra ente e società e sul rispetto delle regole di personale
02 | IL CORRETTIVO
Nel maxiemendamento che sarà sottoposto domani alla fiducia in Senato si prevede che questi controlli siano applicati nel 2013 nei Comuni con più di 100mila abitanti, nel 2014 in quelli superiori a 50mila abitanti e dal 2015 in quelli dai 15mila abitanti in su
03 | PERSONALE
I relatori dal decreto Sviluppo 2, intanto, hanno presentato venerdì una serie di emendamenti sul personale delle società in house: a queste viene estesa la regola del turn over, che consente di assumere solo entro il tetto del 40% dei risparmi conseguiti con le cessazioni dal servizio dell'anno precedente
04 | BLOCCO STIPENDI
Nel 2013/2014 è previsto per le società strumentali, ma rischia di creare contenzioso perché il personale è titolare di contratti di diritto privato. Per la stessa ragione, gli emendamenti presentati al decreto sviluppo escludono da questa misura le società in house, chiamate invece a garantire più flessibili «contenimenti» nella spesa di personale
05 | TETTI DI SPESA
L'altro limite da sottoporre a controllo riguarda l'impossibilità di spendere per il personale più del 50% della spesa corrente, nella somma di ente e società (articolo Il Sole 24 Ore del 03.12.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: L'attuazione. Disciplina da approvare entro poche settimane.
Verifiche, tocca ai regolamenti fissare calendario e modalità.

Tempi assai stretti per applicare le nuove regole sui controlli interni e sanzioni molto dure in caso di inosservanza. Tutti i Comuni e gli altri enti locali dovranno adottare entro il 10 gennaio, cioè entro i 90 giorni successivi alla emanazione del decreto legge 174/2012, il regolamento, dando immediata comunicazione sia al Prefetto sia alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. Saranno avviate le procedure di scioglimento degli organi politici se entro due mesi dalla diffida da parte del Prefetto gli enti locali non lo avranno approvato.
È quanto prevede il testo del decreto enti locali, all'esame del Senato per la conversione in legge.
Sono competenti ad adottare il regolamento i consigli comunali e provinciali. La disciplina del controllo sugli equilibri finanziari deve essere inserita nell'ambito del regolamento di contabilità. Sono tenuti a dare vita al controllo strategico, a quello sulla gestione delle società partecipate e a quello sulla qualità dei servizi erogati da subito solo i Comuni con più di 100mila abitanti, dal 2014 con più di 50mila abitanti, dal 2015 con più di 15.000 abitanti. I controlli interni possono essere gestiti in forma associata. Le nuove forme di verifica, tranne il controllo di regolarità amministrativa e contabile per la parte preventiva all'adozione delle deliberazioni, hanno alcune caratteristiche unitarie: ognuno produce, come risultato finale, una relazione e non determina conseguenze sulla legittimità, né costituisce condizione di validità dei singoli atti.
Il regolamento deve, in primo luogo, individuare per ogni forma di controllo interno le modalità di effettuazione, le interrelazioni con le altre verifiche e il soggetto responsabile. Il decreto legge 174 assegna direttamente la responsabilità al segretario per i controlli di regolarità amministrativa e contabile e, ove non sia presente il direttore generale, per quello strategico; al dirigente o responsabile finanziario per quello sugli equilibri di bilancio e alla struttura preposta a tali rapporti quello sulle società non quotate partecipate. Il regolamento deve disciplinare le modalità di coinvolgimento dei segretari, dei direttori generali, dell'insieme dei dirigenti o responsabili, del collegio dei revisori e dell'organismo indipendente di valutazione. Deve inoltre disciplinare le modalità di utilizzazione di queste relazioni da parte degli organi di governo.
Il controllo di regolarità amministrativa e contabile va disciplinato in modo differenziato per le sue due fasi. La fase preventiva si concretizza nel rilascio dei pareri tecnico e di regolarità contabile sulle proposte di deliberazione. La fase successiva prevede la verifica delle determinazioni, dei contratti e in generale degli atti di gestione, anche a campione, con modalità che dovranno essere disciplinate dal regolamento. Per esempio si possono sottoporre a controllo solo i provvedimenti che dispongono spese di elevato valore. I suoi esiti vanno comunicati ai dirigenti e/o responsabili insieme alle direttive cui si devono conformare in caso di irregolarità. Sul controllo di gestione non vi sono novità di rilievo rispetto al decreto legislativo 267/2000: deve verificare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità delle attività. Il regolamento deve individuare la struttura preposta, le modalità operative e l'utilizzazione dei suoi esiti, in particolare per misurare le performance. Il controllo strategico serve a verificare, tra l'altro, il grado di attuazione dei programmi, la qualità delle attività, i tempi di realizzazione, le procedure utilizzate. Il regolamento può unificare questo controllo con la relazione sulle performance prevista dalla legge Brunetta.
Il decreto legge 174/2012 ha poi introdotto tre forme di controllo interno. Il controllo sugli equilibri della gestione finanziaria ha come oggetto sia l'andamento della competenza e dei residui, sia il rispetto del patto. Si deve estendere anche agli effetti determinati dalle scelte compiute dai soggetti che per conto dell'ente gestiscono i servizi. Il controllo sulle società partecipate non quotate si deve incentrare sulla verifica del raggiungimento degli obiettivi prefissati dall'ente, sul rispetto degli standard di qualità e delle condizioni dettate nei contratti di servizio. Infine, la verifica della qualità dei servizi erogati e del giudizio da parte degli utenti va unificata con il decreto legislativo 150/2009, che impone a tutte le Pa di realizzare forme di customer satisfaction, tenendone conto per valutare le performance.
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I punti chiave
01 | I REGOLAMENTI
Gli enti devono approvare un regolamento consiliare per i controlli di regolarità amministrativa e contabile; di gestione; strategico; sulle società partecipate e sulla qualità dei servizi.
Nel regolamento di contabilità va inserita la disciplina del controllo sugli equilibri della gestione finanziaria
02 | I CONTROLLI
I controlli interni producono rapporti sull'attività svolta dall'ente. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile produce pareri sulle proposte di delibera e verifica, anche a campione, su tutti gli atti di gestione. Il controllo di gestione misura le attività in termini di efficienza, efficacia ed economicità. Il controllo strategico riassume tutte le verifiche e unifica la relazione sulla performance.
Il controllo sugli equilibri della gestione finanziaria analizza la gestione e la condizione economica complessiva dell'ente, anche con riferimento alle scelte delle società partecipate. Il controllo sulle società verifica il grado di realizzazione degli obiettivi assegnati e del rispetto dei vincoli dettati nel contratto di servizio. Il controllo sulla qualità della gestione misura il grado di soddisfazione degli utenti (articolo Il Sole 24 Ore del 03.12.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI: Da definire meglio l'obbligo di pareri su Peg e servizi.
I CONFINI/ Interventi necessari sul piano delle opere pubbliche e sulle dismissioni, ma non sui piani esecutivi.

I revisori degli enti locali iniziano a misurarsi sulle modifiche del decreto enti locali che ha rivisto le loro funzioni scritte nell'articolo 239 del Tuel. Anzitutto è richiesto un parere dei revisori per gli «strumenti di programmazione economico-finanziaria». Nessun dubbio per i documenti, come il piano delle opere pubbliche o quello delle dismissioni, che devono essere approvati dal consiglio: qui il parere è dovuto.
Il discorso non è altrettanto chiaro, però, per il Peg. Si tratta di uno strumento di programmazione o di gestione? Quando si dovrebbe dare il parere? I pareri si fanno sugli atti, ma qui l'unica delibera è di Giunta, visto che il segretario o il dg semplicemente lo «predispongono». Si avrebbe perciò un parere sulla delibera di Giunta, quindi formulato dopo l'assunzione della decisione definitiva, e non se ne capisce l'utilità. L'organo di revisione di regola si rivolge al Consiglio e non ad altri soggetti, e solo quando c'è una norma che definisce il loro compito, l'oggetto e il destinatario del parere stesso. In sostanza, si ritiene che qui il parere non sia dovuto.
Occorre poi che i revisori si esprimano sulle «modalità di gestione dei servizi e proposte di costituzione o di partecipazione ad organismi esterni». La terminologia è generica. È indubbio che si debba dare un parere sulle delibere di Consiglio di costituzione e di partecipazione a organismi esterni, ma meno chiaro è il compito del collegio sulla gestione dei servizi. Su quali servizi? E quando va dato il parere? Da subito o all'affidamento? L'affidamento potrebbe anche non esserci, se il servizio è in economia. Il dubbio, quindi, è se vada fatto un "inventario" dei servizi erogati o no. In ogni caso, il parere dovrebbe essere dato solo se la delibera è di Consiglio.
Un parere deve essere dato anche sulle «proposte di ricorso all'indebitamento». In questo caso si pensa che il parere riguardi ogni singola operazione, e va formulato anche considerando la congruità e verificando il rispetto dei vincoli al debito. Il parere è dovuto anche in caso di fideiussioni e, comunque, per ogni tipologia di debito, leasing compreso. Le operazioni non rientranti nell'indebitamento si ritrovano comunque al punto successivo, dove si chiede di esprimersi sulle «proposte di utilizzo di strumenti di finanza innovativa», nelle quali si devono fare rientrare tutte le forme non tipizzate di natura finanziaria, dagli swap alle cartolarizzazioni. L'attenzione deve concentrarsi sia sulla convenienza sia sulla loro ammissibilità.
Sempre in argomento, un problema riguarda le operazioni di riduzione del debito, imposte dalla spending review. In questo caso non viene richiesto un parere, in quanto non si tratta di «ricorso all'indebitamento» ma di sua estinzione. In ogni caso occorre ricordare che l'articolo 239, comma 1-bis, richiede «un motivato giudizio di congruità, di coerenza e di attendibilità contabile delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti». Trattandosi di una variazione occorre perciò esprimersi sulla convenienza nella scelta dei mutui da estinguere. È richiesto, infine, di esprimersi sui debiti fuori bilancio e sulle transazioni. In merito la questione riguarda anzitutto la congruità della delibera, ma ci si dovrebbe interrogare anche sui motivi che hanno portato alla soccombenza.
Anche alla luce dei tanti nuovi compiti che attendono i professionisti, è importante che il maxiemendamento governativo al decreto enti locali cancelli il taglio ai revisori dei conti nei Comuni che fanno parte di Unioni. Il correttivo applica il nuovo assetto solo alle future Unioni dei Comuni fino a mille abitanti, dove gli enti svolgeranno in forma associata tutte le funzioni fondamentali (articolo Il Sole 24 Ore del 03.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Anticorruzione. Dipendenti pubblici. Tagliola in tempo reale per gli incarichi esterni.
Cambiano le procedure e le modalità per l'affidamento degli incarichi ai dipendenti pubblici.

La legge 190/2012 (anticorruzione) interviene infatti sull'articolo 53 del decreto legislativo 165/2001 prevedendo ulteriori verifiche e nuovi adempimenti. Il lavoratore pubblico può essere destinatario di attività extra lavorative da parte di tre soggetti diversi. Innanzitutto, da parte della Pa di appartenenza, ma solo per compiti non compresi tra i doveri d'ufficio. La legge 190/2012 precisa che verranno individuate con appositi regolamenti alcuni tipi di attività comunque vietati.
A un dipendente pubblico possono essere, poi, affidati incarichi da parte di un'altra amministrazione o da privati, purché di natura saltuaria e sporadica e non in conflitto di interessi. È sempre richiesta la preventiva autorizzazione dell'ente di appartenenza: in caso di inosservanza, il dipendente incappa in una responsabilità disciplinare che si estende all'obbligo della restituzione del compenso eventualmente ricevuto all'ente di appartenenza. L'omissione del versamento costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla Corte dei conti.
Una volta effettuata la prestazione, al dipendente viene corrisposto il compenso pattuito. Scatta a questo punto tutto il sistema delle rendicontazioni che si conclude con l'adempimento dell'anagrafe delle prestazioni: in precedenza il soggetto pubblico o privato che aveva affidato un incarico al dipendente aveva tempo fino al 30 aprile dell'anno successivo per comunicare alla Pa di appartenenza l'ammontare dei compensi erogati; ora il termine è stato ridotto a soli 15 giorni dall'erogazione delle somme pattuite. Rimane invece fermo al 30 giugno dell'anno successivo il termine per inserire in «PerlaPa» i compensi relativi all'anno precedente contenuti nelle comunicazioni.
Confermato inoltre l'invio semestrale per gli incarichi di consulenza, anche se le informazioni sono trasmesse (alla Funzione pubblica) e pubblicate in tabelle riassuntive liberamente scaricabili in un formato «digitale standard aperto» che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Si attendono le indicazioni operative. Le amministrazioni inadempimenti saranno segnalate alla Corte dei conti.
Resta confermato il regime di maggior favore per i dipendenti part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno e per alcune particolari tipologie di incarichi, come la collaborazione a giornali e riviste, la partecipazione a convegni e seminari, l'attività di formazione diretta alla Pa e le attività per le quali è previsto il solo rimborso delle spese documentate (articolo Il Sole 24 Ore del 03.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 03.12.2012

APPALTIDECRETO CRESCITA/ Gli emendamenti dei relatori in commissione al senato. Responsabilità solidale addio. L'impresa autocertificherà che il fornitore è in regola.
Sterilizzata la responsabilità solidale nei contratti di appalto e subappalto: al committente basterà autocertificare che i subappaltatori e fornitori sono in regola con il pagamento di tasse e contributi e ciò eviterà la responsabilità solidale.
Non solo. Anche le società di revisione potranno attestare la regolarità della posizione dell'appaltatore (o subappaltatore). Via libera alla preventiva escussione del patrimonio del responsabile delle irregolarità e ampliamento dell'esclusione dalle nuove regole ai contratti stipulati ai sensi del codice dei contratti pubblici.

Questo il contenuto di un emendamento messo a punto dai relatori Simona Vicari (Pdl) e Filippo Bubbico (Pd) al dl crescita 2.0 (179/2012) in commissione industria al Senato, che sarà votato la settimana prossima e che prevede l'entrata in vigore delle modifiche dal 01.01.2013.
L'autocertificazione
L'emendamento introduce nel testo di legge quanto già in parte ammesso in via amministrativa dalla circolare 40 dell'agenzia delle entrate. Si prevede infatti il venir meno della responsabilità solidale, e anche, ai sensi dell'ultima parte del comma 28-bis, della responsabilità sanzionatoria prevista per il committente, qualora sia possibile dimostrare il regolare versamento di ritenute e Iva anche attraverso il rilascio da parte dal responsabile dell'adempimento di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio «attestante la correttezza dei versamenti delle ritenute sui redditi dei lavoratori dipendenti impiegati nell'ambito dell'appalto e, per le prestazioni rese nel medesimo ambito, della corrispondente Iva dovuta sulle stesse».
Oltre a ciò l'emendamento collega i medesimi effetti anche alla documentazione rilasciata da una società di revisione. L'aver previsto per legge ciò che fino ad oggi lo era solo in forza di una presa di posizione della prassi è positivo, ma visto che si interveniva valeva la pena eliminare i dubbi che rendono anche questo punto non del tutto chiaro. In base alla norma l'autocertificazione deve attestare «la correttezza dei versamenti» ma nulla dice nel caso in cui tali versamenti non siano stati effettuati non in forza di un comportamento irregolare ma solo in quanto non dovuti.
Gli esempi sono quelli in cui i termini di versamento dell'Iva o delle ritenute sono successivi a quello del pagamento, o anche quello in cui a fronte delle fatture emesse non vi è Iva da versare in quanto il periodo si chiude con un credito d'imposta. La locuzione che poteva coprire tale situazioni sarebbe stata quella che richiamava la necessità di attestare i versamenti qualora dovuti e in caso contrario la regolarità del comportamento tenuto fino a quel momento.
Nonostante nemmeno l'emendamento abbia messo in chiaro tali situazioni, l'unica tesi possibile è che in mancanza di un obbligo di versamento (si pensi alla chiusura a credito della liquidazione Iva) devi ritenersi sufficiente ai fini dell'esonero dalla responsabilità solidale o sanzionatoria un autocertificazione che attesti la regolarità del comportamento.
La preventiva escussione
L'emendamento introduce nel caso di responsabilità solidale dell'appaltatore la possibilità di eccepire la preventiva escussione. Anche questo è un segnale positivo che non eviterà problemi nella pratica. Se stessa è da intendere come la possibilità per il responsabile solidale semplicemente di eccepire la necessità di una preventiva escussione prima di dover rispondere allora la previsione potrebbe cogliere nel segno. Ma se invece il responsabile solidale potrà eccepire la preventiva escussione dovendo anche indicare i beni del patrimonio del debitore sui quali l'amministrazione potrà soddisfarsi, allora è lecito avanzare dubbi sul fatto che anche ciò rappresenti una reale forma di tutela.
Da accogliere positivamente e senza dubbi è invece la previsione che porta a eliminare il termine «fornitura» dal comma 28-ter, che in precedenza rendeva l'ambito oggettivo di applicazione incerto (nel comma 28 si faceva riferimento ai contratti di appalto di opere e servizi mentre nel successivo a quelli di appalto di opere, forniture e servizi.
I contratti pubblici
Ultima modifica introdotta riguarda l'estensione dell'esclusione della normativa non più solo alle stazioni appaltanti ma anche agli «enti aggiudicatori» da intendere come le amministrazioni aggiudicatrici, le imprese pubbliche, e i soggetti che, non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall'autorità competente secondo le norme vigenti (articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012).

APPALTI SERVIZIDECRETO CRESCITA/ Un freno alle assunzioni e i project bond tra le novità. Dietrofront sui servizi locali. Eliminato il tetto dei 200 mila euro per l'in house.
Eliminato il tetto dei 200 mila euro per gli affidamenti in house di servizi pubblici previsto per il 2014 e quindi basterà rispettare le norme e la giurisprudenza comunitaria per gestire in house un servizio pubblico; previsto il divieto di assunzione del personale per le società controllate se la spesa per il personale della controllata affidataria di un servizio pubblico locale incide per più del 50% rispetto alla spesa corrente dell'amministrazione controllante; previsti i project bond anche per realizzare, potenziare o gestire un impianto o una infrastruttura destinata a pubblico servizio. Sono queste alcune delle novità previste per la disciplina dei servizi pubblici locali e non dagli emendamenti dei relatori al decreto legge 179/2012 sulla crescita.

La più rilevante modifica riguarda l'ennesimo revirement normativo sulla disciplina degli affidamenti in house di servizi pubblici locali: Si propone infatti l'eliminazione del limite massimo dell'importo di affidamento, pari a 200 mila euro, entro il quale era prevista, dall'articolo 8, comma 4 del decreto-legge 95/2012 (convertito nella legge 135, cosiddetta spending review), la possibilità di procedere ad affidamenti in house a società interamente pubbliche.
La norma di agosto stabilisce che da inizio 2014 in house si possano affidare servizi pubblici soltanto nel rispetto della giurisprudenza comunitaria e del citato limite: con l'emendamento sarà invece sufficiente rispettare i limiti dell'ordinamento comunitario.
Il che significa nella sostanza, non cambiare in alcun modo il quadro di riferimento precedente all'introduzione del limite. Si prevede inoltre che gli affidamenti in essere non conformi ai requisiti comunitari devono essere adeguati entro il termine del 31.12.2013 pubblicando, entro la stessa data, una relazione che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo.
Per gli affidamenti senza data di scadenza occorrerà inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento; in caso di mancato inserimento del termine si prevede la cessazione ex lege entro fine 2013.
Sul fronte delle spese per il personale delle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo, titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, ne commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica, si richiama il vincolo generale a non assumere in caso di spesa per il personale superiore al 50% delle spese correnti, ma lo si rende più incisivo. Infatti si stabilisce che se l'incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'amministrazione controllante, supera il 50% delle spese correnti, l'amministrazione controllante deve imporre un divieto all'assunzione di personale, divieto che oggi non è previsto. Introdotto anche il vincolo di contenimento sulle consulenze per rispettare il vincolo del 50%
Se l'incidenza è invece inferiore al 50% si potrà procedere a nuove assunzioni entro il limite del 40% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Una certa perplessità su queste nuove modifiche arriva dall'Anci che, con Filippo Bernacchi, delegato Anci alle politiche energetiche e ai rifiuti, così commenta l'intervento modificativo: «Spero in un ravvedimento di Governo e Parlamento perché se si continua di questo passo non si avrà mai un quadro stabile, certo e definito, con le amministrazioni che continueranno a essere in bilico in quanto fra un provvedimento e l'altro, posso trovarsi in regola oppure essere in difetto».
Importante anche l'estensione dell'ambito di applicazione della disciplina dei project bond anche per realizzare, potenziare o gestire un impianto o una infrastruttura destinata a pubblico servizio (articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIAmpliata la chance dei crediti d'imposta per i partenariati pubblico-privati. Chi vince la gara paga la pubblicazione del bando.
I costi della pubblicazione sui quotidiani dei bandi e degli avvisi di gare di appalto pubblico saranno a carico di chi vince la gara; ampliata la possibilità dei crediti di imposta per i Ppp (Partenariati pubblico-privati), possibile per interventi oltre i 100 milioni e per le reti Ngn di importo inferiore a 100 milioni; chiarito che saranno certificabili anche i crediti vantati dai professionisti verso le Amministrazioni.

Sono queste alcune delle novità contenute negli emendamenti presentati dai relatori del decreto-legge 179 (c.d. «crescita 2»).
Una prima rilevante novità riguarda i costi per la pubblicità legale dei bandi e degli avvisi di gara. Si prevede infatti che per i bandi e gli avvisi pubblicati successivamente al 01.01.2013 le spese (pubblicazione per estratto sui quotidiani, ex art. 66, comma 2 del codice dei contratti pubblici) debbano essere rimborsate alla stazione appaltante dall'aggiudicatario, entro il termine di 60 giorni dall'aggiudicazione. Il costo di pubblicazione, noto al momento della gara, verrebbe quindi ad essere caricato sull'affidatario del contratto, sostanzialmente riducendo anche l'utile di un appalto.
Novità anche per il credito di imposta relativo ai contratti di partenariato pubblico-privato (deve trattarsi sempre di interventi la cui progettazione definitiva sia stata approvata entro il 31.12.2015 e per i quali non sono previsti contributi pubblici a fondo): l'emendamento dei relatori in primo luogo amplia sensibilmente il raggio di azione della norma: se nel testo del decreto-legge l'utilizzabilità del credito era prevista per interventi di valore superiore a 500 milioni, adesso nella proposta dei relatori, la norma si potrà applicare al di sopra dei 100 milioni, andando quindi a intercettare anche project finance di minore importo.
Inoltre è previsto che la norma sia applicabile anche per progetti finalizzati allo sviluppo delle reti Ngn (le cosiddette «reti di prossima generazione») sul territorio nazionale, di importo inferiore a 100 milioni di euro Dal punto di vista tecnico-operativo, poi, si prevede che il credito non sia più «a valere» su Ires e Irap, ma «utilizzabile in compensazione esclusivamente dei versamenti relativi sull'Ires e sull'Irap». Un'altra norma degli emendamenti stabilisce che i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, di cui all'articolo 13 della legge n. 183 del 2011 e all'articolo 31 del decreto-legge n. 78 del 2010, maturati per somministrazione, forniture e appalti sono interpretati nel senso di includere anche le somme spettanti quale corrispettivo per prestazioni professionali eseguite da un professionista iscritto ad albo o collegio.
La disposizione incide sulla disciplina che consente -su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti- alle regioni e agli enti locali di certificare al creditore la cessione pro soluto a favore di banche o intermediari finanziari. In sostanza quindi si interviene con una norma di carattere interpretativo, cautelativamente, per evitare che le prestazioni rese dai professionisti possano essere ritenuti non ricomprese nell'ambito di applicazione oggettivo della norma.
L'emendamento dei relatori prevede che per la progettazione e la realizzazione di interventi infrastrutturali nel settore ferroviario sia Rfi il soggetto destinatario dei fondi da assegnare con le delibere Cipe.
Si introduce una sanzione «a titolo di danno alla produzione», commisurata a una percentuale che dovrà essere stabilita dal Mef, per le stazioni appaltanti che non prevedono nei capitolati di appalto il divieto di utilizzare prodotti originari di paesi terzi per più del 50% del valore della fornitura. Viene prevista anche la possibilità di trasferimento a titolo gratuito compendio costituente l'Arsenale di Venezia al Comune di Venezia, che ne assicura l'inalienabilità, la valorizzazione, il recupero e la riqualificazione, in questa operazione sarà possibile anche realizzare, fra gli altri, il Centro operativo e servizi accessori del Sistema Mose e sarà consentito destinare a titolo oneroso parti del compendio per finalità diverse dalla gestione del Mose (articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012).

APPALTIIn gara l'azienda a credito, ma per pagare gli arretrati.
Le imprese in difficoltà per i ritardati pagamenti delle p.a. potranno aggiudicarsi gli appalti pubblici, ma per lavorare e pagare tasse e contributi arretrati.

Lo stabilisce il maxiemendamento dei relatori al ddl conversione del dl sviluppo (n. 179/2012), affidando a un decreto interministeriale la previsione di una disciplina che: a) riconosca la possibilità alle imprese non in possesso di Durc di partecipare agli appalti pubblici; b) fissi criteri e modalità per il pagamento da parte delle stazioni appaltanti agli enti previdenziali e all'Agenzia delle entrate del debito dalle stesse imprese maturato.
Il Durc, inoltre, fa ritorno alla carta. Gli operatori economici, infatti, avranno facoltà di produrre su carta il documento di regolarità contributiva, così sollevando le amministrazioni dall'obbligo di doverlo acquisire per mezzo di strumenti informatici.
Sì agli appalti pubblici, ma per pagare i debiti. Disco verde dunque alla partecipazione agli appalti pubblici, per le imprese non in possesso di Durc per ritardati pagamenti dello stato. Le regole sono affidate a un decreto interministeriale (economia, lavoro, trasporto, sviluppo economico) che dovrà arrivare entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del dl n. 179/2012.
La disciplina dovrà definire le misure per consentire la partecipazione alle procedure di affidamento, per la fornitura di beni e servizi e per la realizzazione di lavori, alle imprese che non sono in possesso, alla data di entrata in vigore della predetta legge di conversione, del documento unico di regolarità contributiva in ragione di comprovate difficoltà economiche e finanziarie dovute anche a ritardati pagamenti da parte della pubblica amministrazione e che, per tali ragioni, risultino debitrici nei confronti degli enti previdenziali e assistenziali e dell'Agenzia delle entrate. Non tutte le imprese ne beneficeranno, ma soltanto quelle che non sono mai state fatte oggetto di provvedimenti per fatti riconducibili a condotte illecite volte a evadere gli obblighi fiscali, previdenziali e contributivi.
Lo stesso decreto, inoltre, dovrà altresì definire:
a) i criteri e le modalità per il pagamento da parte delle stazioni appaltanti agli enti previdenziali e assistenziali e all'Agenzia delle entrate del credito maturato nei confronti delle predette imprese, comprensive di ogni sovrattassa e sanzione, a valere sugli importi definiti con i certificati di pagamento concernenti l'esecuzione di prestazioni relative alle procedure di affidamento di cui le stesse imprese risultino aggiudicatarie;
b) i criteri e le modalità per garantire il totale recupero dei crediti vantati dagli enti previdenziali e assistenziali e dell'Agenzia delle entrate nei confronti delle predette imprese e la loro continuità operativa.
Il Durc ritorna alla carta. La regolarità contributiva potrà nuovamente essere certificata direttamente dall'impresa. Infatti, il maxiemendamento modifica il dpr n. 207/2010 e il dlgs n. 163/2006 al fine di dare facoltà, agli operatori economici (negli appalti pubblici), di produrre autonomamente il Durc, così evitando che lo stesso venga acquisito d'ufficio. La novità si ripercuote, evidentemente, anche sulle modalità che oggi sono previste per la stampa del certificato.
Il maxiemendamento, a tal fine, modifica l'articolo 40 del dpr n. 445/2000 (solo un anno fa modificato dalla legge n. 183/2011, la legge di stabilità per il 2012), al fine di stabile che sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati sia apposta, a pena di nullità, la dicitura «il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai provati gestori di pubblici servizi, a esclusione delle ipotesi di richiesta da parte degli operatori economici interessati al documento unico di regolarità contributiva» (questa la novità). Infine, la possibilità di produrre il Durc su carta è estesa anche per il pagamento degli stati di avanzamento dei lavori e dello stato finale dei lavori (articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl piano delle performance diventa obbligatorio per i comuni.
Un carico di burocrazia sugli atti di gestione degli enti locali. Oltre al Piano esecutivo di gestione si configura l'obbligo di adottare un doppione: il piano della performance, previsto dalla legge Brunetta.
Gli emendamenti alla legge di conversione del dl 174/2012 rischiano di rendere confusionario il quadro delle attività di controllo e di programmazione di comuni e province. In particolare, un emendamento all'articolo 3, comma 1, lettera g) del decreto prevede di aggiungere all'articolo 169 del dlgs 256/2000 un comma 3-bis ai sensi del quale «il piano esecutivo di gestione è deliberato in coerenza con il bilancio di previsione e con la relazione previsionale e programmatica. Al fine di semplificare i processi di pianificazione gestionale dell'ente, il piano dettagliato degli obiettivi di cui all'articolo 108, comma 1, e il piano della performance di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150, sono unificati organicamente nel piano esecutivo di gestione».
La prima parte dell'emendamento, che consente di unificare il piano esecutivo di gestione (che aggancia le attività da svolgere alle risorse finanziarie) col piano dettagliato degli obiettivi è sostanzialmente inutile. I due atti di pianificazione vengono da sempre gestiti come un unico elemento, distinto in due sezioni dalla gran parte degli enti locali. La seconda parte rischia di creare lavoro pedante e inutile, laddove richiama come adempimento obbligatorio l'approvazione del piano della performance, previsto dall'articolo 10 del dlgs 150/2009.
Con l'emendamento si potrebbe configurare come obbligatorio per gli enti locali un articolo della riforma Brunetta che essa stessa riforma ha escluso applicarsi direttamente all'ordinamento di comuni e province. Gli articoli 16, 31 e 74 della riforma Brunetta, posti a indicare quali norme si applichino almeno come principi agli enti locali nemmeno menzionano l'articolo 10 del dlgs 150/2009. E non si tratta di un caso. Il piano della performance, previsto da detto articolo 10 è «un documento programmatico triennale, da adottare in coerenza con i contenuti e il ciclo della programmazione finanziaria e di bilancio, che individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici e operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali e intermedi e alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell'amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale e i relativi indicatori».
Tale piano della performance è espressamente dedicato alle sole amministrazioni statali, perché solo per esse è innovativo. I suoi contenuti sono già e da moltissimi anni previsti in due atti di programmazione degli enti locali: la relazione previsionale e programmatica e il piano esecutivo di gestione. Per altro, l'articolo 10 del dlgs 150/2009 prevede anche una scadenza per l'adozione del piano della performance, il 31 gennaio di ogni anno, assolutamente incompatibile con gli ordinari termini di approvazione dei bilanci e del Peg degli enti locali. Un doppione che è auspicabile non venga inserito nell'ordinamento locale e comunque, solo facoltativo (articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALIIl controllo strategico sotto il dg crea un cortocircuito organizzativo.
Un cortocircuito organizzativo e istituzionale. Il disegno di legge di conversione del dl 174/2012 rischia di creare inestricabili problemi operativi incidendo sull'autonomia dei segretari comunali e dei dirigenti, oltre che creando nuovi elementi di rivalità tra i segretari e i direttori generali.
Gli emendamenti inseriscono al comma 2 dell'articolo 147-ter del dlgs 267/2000 la previsione secondo la quale l'unità addetta al controllo strategico «è posta sotto la direzione del direttore generale, laddove previsto, o del segretario comunale negli enti in cui non è prevista la figura del direttore generale». Sono state così accolte le lagnanze dei (pochissimi) direttori generali degli enti locali, i quali avevano chiesto a gran vice che la norma specificasse la loro preposizione al controllo strategico. Quasi che il controllo strategico e la sua direzione costituiscano una posizione di privilegio o superiorità gerarchica, i direttori generali hanno ottenuto questo riconoscimento espresso delle loro funzioni, a scapito dei segretari comunali.
Una scelta discutibile, quella del legislatore, perché dà appunto la sensazione che il controllo strategico (forse a causa dell'aggettivo altisonante) risulti una funzione di natura apicale, mentre altro non è che la congiunzione tra la programmazione politica di mandato e le relazioni revisionali e programmatica triennali. Inoltre, si attribuisce un rilievo a una figura, quella del direttore generale, in via di estinzione, già eliminata in tutti i comuni con meno di 100 mila abitanti e oggettivamente vista come un doppione, anche per effetto proprio del dl 174/2012 che certamente rilancia il peso del segretario comunale.
Un rilancio anche oltre misura, almeno a causa sempre degli emendamenti al disegno di legge di conversione. I quali, se approvati, creano ragioni di complicazione e attrito anche tra segretari e dirigenti, con la possibilità di accrescere l'ingerenza degli organi di governo nella gestione. Infatti, si prevede di modificare l'articolo 147-bis, comma 3, del dlgs 267/2000 prevedendo che gli atti di controllo del segretario sui provvedimenti dei dirigenti siano trasmessi a questi ultimi «unitamente alle direttive cui conformarsi in caso di riscontrata irregolarità».
A parte la circostanza che le direttive sono atti che non implicano l'obbligo di conformazione da parte del destinatario e che i dirigenti dispongono di una specifica sfera di autonomia che non può essere lesa, in ogni caso appare singolare assegnare al segretario un potere di conformazione, visto che detto organo risulta ancora incaricato direttamente dal sindaco o dal presidente della provincia.
Il segretario comunale non gode di quella posizione di terzietà di cui un organo di controllo dotato di poteri conformativi dovrebbe disporre. Gli emendamenti rischiano, così, di rendere la riforma dei controlli uno strumento mediante il quale gli organi di governo, per il tramite di segretari troppo influenzabili, potrebbero per interposta persona e mediante i controlli gestire indirettamente. Un risultato del tutto opposto agli intenti della norma e alla Costituzione (articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTISemplificazioni, si riparte dal dl sviluppo Contratti con la Pa anche senza Durc - Sull'Aspi le correzioni dopo l'accordo produttività.
FONDI STRUTTURALI/ Le risorse liberate con la riprogrammazione 2007-2013 finanzieranno gli ammortizzatori sociali in deroga.

Un passo avanti e uno di lato sul Durc, il Documento unico di regolarità contributiva che le amministrazioni devono acquisire d'ufficio dalle aziende che partecipano alle gare d'appalto. E una serie di correzioni sull'Aspi, l'assicurazione sociale per l'impiego che entrerà in vigore tra un mese. Sono questi i contenuti forse più rilevanti sul fronte delle semplificazioni del maxi-emendamento presentato dai due relatori Simona Vicari (Pdl) e Filippo Bubbico (Pd) agli articoli 33 e 34 del Dl sviluppo bis, per il quale si prevede di arrivare alla votazione finale in commissione Industria, al Senato, lunedì prossimo, per poi passare all'Aula il giorno successivo.
Sul Durc si prevede, in particolare, il riconoscimento della possibilità di partecipare a gare anche ad aziende non in regola con i versamenti se le difficoltà sono dovute a ritardi di pagamenti in corso da parte della Pa. A questa apertura, però, segue anche una correzione che reintroduce la facoltà da parte dei privati di presentare il Durc per l'aggiudicazione dei contratti o il pagamento dello stato di avanzamento dei lavori. Rispetto al divieto previsto formalmente dal «Salva Italia» e dal «Semplifica Italia» si tratterebbe di un passo indietro. E, di sicuro, la correzione non è gradita dal ministero della Funzione Pubblica e la semplificazione, da cui si continua a guardare con fiducia ai destini del Ddl «Semplificazioni-due», che dovrebbe essere messo in agenda alla Camera e che sul Durc, in particolare, prevede l'aumento della validità da 90 a 180 giorni, oltre al divieto, ribadito, di essere richiesto per ogni singolo contratto, visto che la sua validità è estesa a tutte le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori.
Passando all'Aspi, invece, va detto subito che si tratta di piccole correzioni concordate con il Lavoro e che non producono nuovi oneri. Gli aspetti principali riguardano la gestione degli eventuali esodi di dipendenti più anziani in caso di eccedenze, come previsto dal recente accordo tra le parti sociali sulla produttività. I datori dovranno pagare l'equivalente della pensione e i contributi ai lavoratori fino alla maturazione del requisito e vengono confermati, nel contempo, gli sgravi previsti dalla circolare di ottobre sulle assunzioni di soggetti in difficoltà o la trasformazione di contratti a termine in contratti definitivi. Viene poi previsto che le risorse liberate dalla riprogrammazione dei Fondi Ue 2007-2013 potranno essere utilizzate per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga e saranno affidati alle regioni (tutte, non solo quelle del Sud). Infine per il lavoro a chiamata si propone la soppressione della comunicazione via fax che il datore di lavoro deve trasmettere alla direzione territoriale del lavoro competente, lasciando solo la comunicazione via sms o posta elettronica ... (articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTILa legge anticorruzione, in vigore dal 28 novembre, ha abrogato la norma del 2009. P.a., bandi di gara sui giornali. Obbligo di pubblicità legale anche dopo il 01.01.2013.
Le amministrazioni, anche dopo il 01.01.2013, dovranno procedere alla pubblicazione sui quotidiani dei bandi e degli avvisi di gara per l'affidamento di contratti pubblici.

La legge «anticorruzione», n. 190/2012 (in vigore dal 28 novembre scorso), ha infatti implicitamente abrogato la norma del 2009 che prevedeva la perdita di efficacia legale della pubblicità in forma cartacea a decorrere da inizio 2013.
Vediamo quindi di ricostruire quanto avvenuto dal 2006 ad oggi.
La disciplina sulla pubblicità dei bandi e avvisi nel Codice dei contratti pubblici
Attualmente la disciplina in materia di pubblicità degli avvisi e dei bandi di gara è prevista dal dlgs 163/2006 (il Codice dei contratti pubblici) all'articolo 66, comma 7 e, per i contratti di importo inferiori alla soglia comunitaria, all'articolo 122, commi 5 e 7. Al di là della diversa tempistica di pubblicazione prevista dalle norme citate, essenzialmente si prevedono quattro modalità di pubblicità: in primo luogo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana serie speciale relativa ai contratti pubblici, sul «profilo di committente» della stazione appaltante; in secondo luogo, non oltre due giorni lavorativi dopo, sul sito informatico del ministero delle infrastrutture (di cui al dm 06.04.2001, n. 20) nonché sul sito informatico presso l'Osservatorio dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici; infine si prevede la pubblicazione, per estratto, su almeno due dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno due a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i contratti. Allo stesso regime di pubblicità sono soggetti i risultati delle aggiudicazioni concernenti i contratti di lavori affidati con procedura negoziata, con invito a cinque o a dieci soggetti, per importi inferiori a 1 milione o a 500 mila euro.
Le modifiche del 2009
L'articolo 32 della legge 18/06/2009 n. 69 interviene sulla materia con una norma al fine di «promuovere il progressivo superamento della pubblicazione in forma cartacea».
In particolare si prevede: che dal 01.01.2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si devono intendere assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati; che, in aggiunta alle ordinarie modalità di pubblicità (si usa l'avverbio «altresì») le amministrazioni debbano pubblicare bandi e avvisi nei siti informatici, secondo modalità stabilite con decreto del presidente del consiglio dei ministri, su proposta del ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione di concerto con il ministro delle infrastrutture e dei trasporti per le materie di propria competenza.
Il comma 5 dell'articolo 32 stabilisce infine che «dal 01.01.2013 le pubblicazioni effettuate in forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale, ferma restando la possibilità per le amministrazioni e gli enti pubblici, in via integrativa, di effettuare la pubblicità sui quotidiani a scopo di maggiore diffusione, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio».
In linea teorica, quindi, da inizio 2013 perderebbe di efficacia legale la pubblicazione sui quotidiani, ma, come si vedrà, in effetti non è così.
Le ulteriori modifiche apportate dalla legge «anticorruzione» (n. 190/2012)
Il primo articolo della legge 06.11.2012 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 13.11.2012 n. 265) interviene nuovamente sulla materia trattandola alla luce dell'esigenza di assicurare la massima trasparenza all'azione amministrativa. Quest'ultima, infatti, (comma 15) «costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili» ai sensi della Costituzione; con questa qualificazione la trasparenza dell'azione amministrativa assurge espressamente ad obbligo di rango costituzionale (essendo peraltro già obbligo ai sensi del diritto comunitario).
È sempre il comma 15 a declinare l'obbligo di trasparenza nell'obbligo di pubblicazione, da parte delle singole amministrazioni, sui siti web istituzionali (secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità), delle informazioni relative ad una molteplicità di procedimenti amministrativi fra cui anche quelli relativi alla scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi previsti dal Codice dei contratti pubblici.
Ciò detto, assume particolare rilievo quanto previsto nel successivo comma 31, laddove da un lato si prevede la delega al ministero della funzione pubblica, guidato da Filippo Patroni Griffi, all'emanazione di uno o più decreti (da adottare entro sei mesi, cioè entro metà maggio 2013) in cui siano definite, fra le altre, le informazioni rilevanti da pubblicare sui siti web, e «le relative modalità di pubblicazione» e, dall'altro lato, si introduce una disposizione «di salvezza» delle norme in materia di pubblicità contenute nel Codice dei contratti pubblici («Restano ferme le disposizioni in materia di pubblicità previste dal codice di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163»).
Infine il comma 32 richiama le stazioni appaltanti «in ogni caso» a pubblicare sul sito istituzionale una serie di informazioni riguardanti sia la procedura di affidamento, sia l'esecuzione del contratto (oggetto dell'appalto, importo di aggiudicazione, tempi di completamento dell'opera ecc.), informazioni che devono anche essere trasmesse all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
Cosa succede dal 01.01.2013
Il recentissimo intervento della legge anticorruzione pone quindi un problema interpretativo sugli effetti della norma della legge 2009 che, a fare data dal 01.01.2013, imporrebbe la perdita di efficacia della valore legale della pubblicità effettuata sui quotidiani, rispetto al comma 31 della legge 190/2012 laddove afferma che «restano ferme» le norme del Codice dei contratti in materia di pubblicità.
Appare evidente che, per i principi generali della successione delle leggi nel tempo, la norma più recente implicitamente abroga la disposizione del 2009, ponendo nel nulla la prevista perdita di efficacia, a decorrere dal 2013, della pubblicità effettuata «in forma cartacea».
L'avere fatto espressamente restare «ferme» le vigenti norme del Codice, con una disposizione che entra in vigore prima del primo gennaio 2013, automaticamente fa sì che la disposizione del 2009 debba considerarsi «tamquam non esset» e quindi inapplicabile per implicita abrogazione.
Pertanto le amministrazioni, anche dopo il primo gennaio 2013, sono tenute ad applicare integralmente gli articoli 66 e 122 del Codice dei contratti pubblici (ivi compresi gli obblighi di pubblicazione sui quotidiani) e, ovviamente, anche a pubblicare bandi e avvisi sui siti istituzionali (ma ciò avviene già dal 2010).
La salvezza delle norme del Codice sembra, in prospettiva, da ritenersi valida anche dopo l'emanazione (prevista nei prossimi sei mesi) dei decreti ministeriali di cui al comma 31 dell'articolo 1 della legge 190/2012, dal momento che l'ambito di applicazione della delega è relativo alle modalità attuative delle pubblicazioni sui siti web, ma non sembra intaccare le altre forme di pubblicità previste dal Codice dei contratti pubblici (articolo ItaliaOggi del 30.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

COMPETENZE GESTIONALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Competenza sul TSO.
Qual è l'organo competente ad adottare l'ordinanza relativa al procedimento amministrativo di trattamento sanitario obbligatorio, in assenza del Commissario straordinario incaricato della temporanea gestione dell'ente?

L'art. 34 della legge 23.12.1978, n. 833, attribuisce al sindaco la competenza ad adottare le ordinanze in materia di trattamento sanitario obbligatorio, entro 48 ore dalla convalida della proposta da parte di un medico della unità sanitaria locale.
Nel caso di specie, se il comune, ricompreso nel territorio di una regione a statuto speciale, è sottoposto a gestione commissariale e non è prevista dalla specifica normativa regionale in materia di scioglimento degli organi la nomina di vice o sub commissari, la competenza all'adozione del provvedimento in argomento spetta in via esclusiva al commissario straordinario incaricato della gestione dell'ente (articolo ItaliaOggi del 30.11.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Nuovi gruppi consiliari.
Quali norme disciplinano la costituzione di nuovi gruppi consiliari in ambito comunale? Sono ammissibili i gruppi consiliari uni personali?

La materia dei gruppi consiliari è regolata dalle norme statutarie e regolamentari adottate dai singoli enti locali nell'ambito dell'autonomia organizzativa dei consigli, riconosciuta espressamente agli stessi dall'art. 38, comma 3, del Tuel n. 267/2000.
In linea di principio, sono ammissibili i mutamenti che possono sopravvenire all'interno delle forze politiche presenti in consiglio comunale, per effetto di dissociazioni dall'originario gruppo di appartenenza, comportanti la costituzione di nuovi gruppi consiliari, ovvero l'adesione a diversi gruppi esistenti.
Tuttavia, sono i singoli enti locali, nell'ambito della propria potestà di organizzazione, i titolari della competenza a dettare norme, statutarie e regolamentari, nella materia e le relative problematiche dovrebbero trovare adeguata soluzione nella specifica disciplina di cui l'ente stesso si è dotato.
Riguardo all'ammissibilità dei gruppi unipersonali, se il regolamento comunale stabilisce che ciascun gruppo sia costituito da almeno due consiglieri ma che, nel caso che una lista presentata alle elezioni abbia avuto eletto un solo consigliere, a questo siano riconosciute le prerogative e la rappresentanza spettanti a un gruppo consiliare; ovvero disciplina la fattispecie di distacco successivo dal gruppo, stabilendo che il consigliere che non aderisce ad altri gruppi non acquisisce le prerogative spettanti ad un gruppo consiliare, potendo soltanto confluire nel gruppo misto, si può desumere che i gruppi unipersonali possano essere ammessi solo se coincidenti con l'unico consigliere eletto in una lista.
Peraltro, soltanto il Consiglio comunale, nella sua autonomia e in quanto titolare della competenza a dettare le norme cui conformarsi in tale materia, è abilitato a fornire un'interpretazione autentica delle norme statutarie e regolamentari di cui l'ente è munito (articolo ItaliaOggi del 30.11.2012).

EDILIZIA PRIVATASenza marchio Ce vanno sostituiti. Nuovi maniglioni per il 18 febbraio.
Entro il 18.02.2013 è obbligatorio provvedere alla sostituzione dei maniglioni non marcati Ce installati sulle porte delle vie di esodo nelle attività soggette al controllo dei vigili del fuoco ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi.
Questo è quanto previsto nel decreto del 06.12.2011 del ministero dell'interno (pubblicato in G.U. n. 299 del 24/12/2011) che ha prorogato di 24 mesi il termine ultimo, inizialmente fissato dal dm 03.11.2004 al 16/02/2011, per la sostituzione dei maniglioni non marcati Ce.
Tali dispositivi devono essere conformi alle norme UNI EN 179 o UNI EN 1125 e devono essere muniti di marcature Ce (dpr 21/4/1993 n. 246). L'art. 3 del dm 03/11/2004 disciplina i casi in cui è prevista l'installazione dei maniglioni antipanico: sulle porte delle vie d'esodo, devono essere installati i dispositivi conformi alla UNI EN 179 qualora si verifichi una delle seguenti condizioni: l'attività è aperta al pubblico e la porta è utilizzabile da meno di 10 persone; l'attività non è aperta al pubblico e la porta è utilizzabile da un numero di persone superiore a 9 e inferiore a 26; sulle porte delle vie d'esodo, devono essere installati i dispositivi conformi alla UNI EN 1125 qualora si verifichi una delle seguenti condizioni: l'attività è aperta al pubblico e la porta è utilizzabile da più di 9 persone; l'attività non è aperta al pubblico e la porta è utilizzabile da più di 25 persone; i locali con lavorazione e materiali che comportino pericoli di esplosione e specifici rischi d'incendio con più di 5 lavoratori addetti.
L'introduzione dell'obbligo di marcatura Ce, attestante rispondenza a requisiti essenziali di sicurezza, comporta un nuovo ruolo per tutti gli operatori interessati. Introducendo anche un sistema di corretta identificazione del dispositivo, in funzione di parametri, quali tipo di attività, presenza di pericoli di esplosione e rischi di incendio (articolo ItaliaOggi del 27.11.2012).

CONSIGLIERI COMUNALILa copertura previdenziale a carico degli amministratori. I consiglieri comunali si pagano la pensione.
L'Inps presenta il conto ai consiglieri comunali i quali dal 2008, se vogliono la pensione devono pagarsela da soli.
Lo ricorda l'Inps nella circolare 26.11.2012 n. 133.
Finanziaria 2008. La legge finanziaria 2008 (n. 244/2007, art. 2, comma 24), ha apportato alcune modifiche alle norme del dlgs n. 267/2000 (il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) in materia di trattamento previdenziale degli amministratori locali. Nel testo dell'art. 81 del citato Tu è stato infatti aggiunto il seguente periodo «I consiglieri di cui all'art. 77, comma 2, se a domanda collocati in aspettativa non retribuita per il periodo di espletamento del mandato, assumono a proprio carico l'intero pagamento degli oneri previdenziali, assistenziali e di ogni altra natura previsti dall'art. 86».
Pertanto, i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province e i consiglieri delle comunità montane non compresi nell'elenco di cui al citato art. 86 del Tu nei confronti dei quali in quanto eletti e rispondenti ai requisiti previsti dall'art. 31 della legge 300/1970 era già applicato il regime dell'accredito figurativo, a partire dal 01.01.2008, non hanno più titolo all'accredito gratuito, ma assumono a proprio carico il versamento di tutti gli oneri previdenziali. In altre parole, l'accredito della contribuzione figurativa utile per la pensione resta in piedi solo per i lavoratori dipendenti eletti presidenti di consigli comunali e provinciali ed i membri delle giunte. Gli altri, e cioè i semplici consiglieri, la pensione dovranno pagarsela da soli, attraverso il versamento della normale contribuzione pari al 33% della retribuzione di riferimento.
Poiché l'art. 81 sopra citato, nel porre l'onere contributivo a carico degli amministratori locali in esame nulla ha previsto in merito all'obbligatorietà dei versamenti, si ritiene che la copertura dei periodi di aspettativa ai fini previdenziali, assistenziali e assicurativi sia rimessa alla libera volontà degli interessati. Questi hanno perciò facoltà di decidere se e in quale momento presentare istanza di autorizzazione al versamento della contribuzione a loro carico.
La domanda. I consiglieri interessati, si legge nella circolare, devono presentare specifica domanda a valere dal trimestre in corso dalla data di presentazione, alla sede dell'Inps di propria competenza, corredandola con apposite dichiarazioni dell'amministrazione locale presso cui esercitano il loro mandato. Tale dichiarazione deve evidenziare la carica ricoperta, la durata del relativo mandato e la circostanza che l'amministratore è tenuto ad assolvere direttamente il carico contributivo; e del datore di lavoro, redatta sotto forma di autocertificazione.
Da tale dichiarazione devono potersi rilevare la data di instaurazione del rapporto di lavoro, la data di collocamento in aspettativa e l'eventuale data finale della stessa, la categoria e la qualifica rivestita dal lavoratore all'inizio dell'aspettativa. Per determinare la contribuzione dovuta dai consiglieri a copertura dei periodi di aspettativa si farà riferimento alla retribuzione imponibile dichiarata con il flusso EMens per le 52 settimane di lavoro immediatamente antecedenti la domanda. Ai fini del calcolo deve essere considerato l'intero ammontare della retribuzione imponibile (articolo ItaliaOggi del 27.11.201).

CONDOMINIO: LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ La riforma del condominio piace. Piacerà un po' meno ai morosi. ItaliaOggi Sette ha raccolto le opinioni degli addetti ai lavori: Confedilizia, Anaci e Sunia.
La stretta sui morosi convince gli addetti ai lavori. Sono queste infatti le disposizioni che raccolgono i favori di Confedilizia, Anaci e Sunia, in merito alla riforma del condominio, diventata legge dopo l'approvazione definitiva del ddl, martedì scorso, in commissione giustizia del senato, che riscrive quasi del tutto gli articoli 1117 e seguenti del codice civile e 61 e seguenti delle disposizioni di attuazione.
Se, infatti, Confedilizia e il Sunia (Sindacato nazionale unitario inquilini e assegnatari) esprimono un parere sostanzialmente positivo, con qualche riserva, più critica è la posizione dell'Anaci (Associazione nazionale amministratori di condomini e immobili). «Il nostro giudizio è nel complesso positivo anche se il legislatore ha mancato di coraggio non attribuendo al condominio la capacità giuridica come nella maggior parte dei paesi europei», sottolinea Corrado Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia.
«Una norma mancata che poteva servire a limitare la conflittualità tra i condomini facilitandone i rapporti». Semaforo verde, invece, per le novità in materia di requisiti che l'amministratore dovrà possedere e che implicano l'obbligo di frequentare un corso di formazione iniziale e il possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado. A questo proposito, secondo Sforza Fogliani, è positivo che «la nomina di un interno, cioè di uno dei condomini dello stabile come amministratore, non richieda a quest'ultimo il possesso di alcuna formazione specifica. Un aspetto che va a salvaguardia di quegli amministratori che scelgono di svolgere questo lavoro gratuitamente».
A raccogliere i favori di Confedilizia sono anche le nuove disposizioni in materia di condomini morosi, in base alle quali l'amministratore potrà procedere con l'ingiunzione (senza autorizzazione preventiva dall'assemblea) e potrà fornire ai creditori i dati di chi non è in regola con il pagamento delle rate. Inoltre, in caso di mora che dura da più di sei mesi, dovrà sospendere il debitore dalla fruizione dei servizi comuni. «Una novità che permette di mettere tutti i condomini sullo stesso piano». Poco utile, invece, viene considerata la possibilità di creare un sito internet del condominio, da cui accedere individualmente a tutti gli atti e i rendiconti mensili. «Un'opportunità che a mio parere verrà utilizzata poco, da un lato, per la sua dispendiosità e, dall'altro, perché servirebbe per consultare una documentazione che può essere visionata già presso l'amministratore con il valore aggiunto di poter anche chiedere contestualmente delle delucidazioni».
Più critica l'Anaci. «Qualcosa di buono in questa riforma c'è, ma non abbiamo digerito che non sia stata prevista una maggiore valorizzazione della figura professionale dell'amministratore», sottolinea il presidente Pietro Membri. Parere positivo, invece, sul tema dei requisiti necessari che dovranno essere posseduti dall'amministratore, sul sito internet condominiale e sulla stretta ai condomini morosi. L'associazione considera, invece, una formalità il tema della stipula da parte dell'amministratore di una polizza a tutela dai rischi derivanti dalla professione svolta (su richiesta dell'assemblea). «Per gli iscritti alla nostra associazione, infatti, abbiamo già in automatico una garanzia per gli errori per un milione di euro». Tra i sindacati del settore, giudizi favorevoli arrivano dal Sunia.
«Per noi è positivo il fatto che la riforma sia stata fatta, abbiamo seguito il lavoro parlamentare con confronti e audizioni, e per noi il testo presenta alcuni punti innovativi, per esempio, riguardo alla diminuzione dei quorum, cioè delle maggioranze richieste per le delibere assembleari per una serie di interventi», spiega Aldo Rossi, segretario nazionale responsabile ufficio legislativo del Sunia. Anche se, a suo dire, si poteva fare di più sui temi della personalità giuridica del condominio e della partecipazione del conduttore alle assemblee per gli oneri a suo carico. Positiva l'opinione sugli obblighi di formazione per l'amministratore «perché ci devono essere garanzie di professionalità» e sulla possibilità di creare un sito internet «che potrebbe garantire maggior trasparenza ed efficienza». Inoltre, conclude Rossi, «la possibilità di rivalersi sui beni dei condomini morosi potrebbe portare a una riduzione delle liti condominiali, che a oggi rappresentano circa il 10% del contenzioso civile» (articolo ItaliaOggi Sette del 26.11.2012).

CONDOMINIOLA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Sulle delibere regole più chiare.
Con la legge di riforma della disciplina del condominio approvata martedì scorso dalla commissione giustizia del senato è stato infatti integralmente riscritto l'art. 1137 c.c., disciplinando in maniera più chiara il procedimento giudiziale di verifica della legittimità della volontà assembleare, in gran parte confermando le conclusioni alle quali era giunta la più recente giurisprudenza della Cassazione a seguito di un incessante lavorio di interpretazione durato quasi 70 anni.
Delibere nulle e annullabili.
Il legislatore ha riscritto l'art. 1137 c.c. eliminando alla radice qualsiasi dubbio sull'applicabilità della procedura di impugnazione ivi disciplinata anche ai casi di nullità delle delibere condominiali.
Nella nuova disposizione si parla infatti espressamente di annullamento delle deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio da promuovere dinanzi alla competente autorità giudiziaria nel termine perentorio di 30 giorni. Mentre in precedenza si poteva equivocare se il ricorso diretto a fare accertare in giudizio la contrarietà delle deliberazioni assembleari alla legge o al regolamento di condominio comprendesse o meno anche i casi di nullità delle stesse, la nuova versione della predetta disposizione chiarisce in modo inequivocabile che detta azione giudiziale, con particolare riferimento al menzionato termine di decadenza, è finalizzata esclusivamente all'accertamento dell'annullabilità della volontà assembleare (occorre peraltro osservare come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia ormai confinato i casi di nullità a categorie del tutto marginali).
La legittimazione ad agire. La nuova disposizione specifica altresì che la legittimazione attiva all'impugnazione delle deliberazioni assembleari spetta tanto ai condomini presenti in assemblea, che abbiano votato in senso contrario all'approvazione della delibera, quanto a quelli assenti, quanto, infine, a quelli che, pur avendo partecipato alla riunione condominiale, sia siano astenuti dal voto. Il termine di decadenza di 30 giorni per l'impugnazione della delibera condominiale decorre dalla data dell'assemblea per i dissenzienti e gli astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
Le modalità di impugnazione delle deliberazioni. Con l'eliminazione della parola «ricorso» dall'art. 1137 c.c. il legislatore ha poi risolto una volta per tutte l'annosa questione se il termine in questione debba essere inteso in senso tecnico o atecnico e se, quindi, l'impugnazione delle deliberazioni assembleari debba avvenire con ricorso o con atto di citazione. La nuova disposizione si limita infatti a dire che chi intende impugnare una deliberazione assembleare che si assuma contrarie alla legge o regolamento di condominio deve chiederne l'annullamento all'autorità giudiziaria entro il termine di 30 giorni, rientrando dunque detto procedimento tra quelli ordinari, normalmente introdotti con atto di citazione.
La sospensione dell'efficacia della delibera impugnata. Con gli ultimi due commi del novellato art. 1337 c.c. si è quindi voluta ulteriormente chiarire la questione della sospensione dell'efficacia della delibera condominiale impugnata. Detta istanza, di natura cautelare, potrà quindi essere proposta tanto in costanza di causa quanto anteriormente alla stessa.
Limitatamente a quest'ultimo caso il legislatore ha però inteso specificare che l'istanza di sospensione proposta autonomamente e anteriormente all'avvio della causa di merito non sospende il termine di decadenza di 30 giorni di cui al medesimo art. 1337 c.c. ovvero, detto in altri termini, non equivale all'atto di impugnazione della volontà assembleare.
La mediazione c.d. obbligatoria delle controversie condominiali. L'art. 5 del dlgs n. 28/2010, normativa quadro in materia di mediazione, obbliga le parti a far precedere l'eventuale azione giudiziaria in materia di condominio da un tentativo di risoluzione bonaria della controversia presso specifici organismi iscritti in un apposito registro tenuto presso il ministero della giustizia.
Circa il significato del concetto di «controversia condominiale» la legge di riforma ha opportunamente chiarito che sono tali quelle derivanti dalla violazione o dall'errata applicazione delle disposizioni dettate dal codice civile e dalle relative disposizioni di attuazione in materia condominiale.
In altri termini, rientrano nella c.d. mediazione obbligatoria le liti tra condomini e tra questi ultimi e il condominio, non anche quelle tra il condominio e soggetti terzi (fornitori, ecc.).
Anche in ordine alla libertà dei litiganti di scegliere l'organismo cui inviare l'istanza di mediazione la legge di riforma ha inserito una disposizione del tutto peculiare per il condominio, prevedendo che la stessa debba essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato. La nuova disposizione normativa opportunamente chiarisce inoltre che al procedimento di mediazione è legittimato a partecipare l'amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c.
È poi stato ulteriormente previsto che se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione. La proposta di mediazione deve quindi essere approvata dall'assemblea con la maggioranza di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.
Si tratta di disposizioni chiare e opportune che consentono di superare molti dei dubbi fino a oggi emersi in materia di mediazione delle liti condominiali e che dovrebbero quindi agevolare il compito degli amministratori condominiali, garantendo maggiori possibilità di successo a questo particolare strumento di risoluzione delle controversie. Occorre però evidenziare come a oggi la mediazione in materia condominiale non possa più ritenersi obbligatoria a seguito dell'annuncio dato dalla Corte costituzionale lo scorso 24.10.2012 circa la dichiarazione di illegittimità, per eccesso di delega legislativa, del dlgs n. 28/2010. In questi giorni si rincorrono però le voci su possibili e immediate sanatorie per via legislativa, in attesa del deposito delle motivazioni della predetta sentenza (articolo ItaliaOggi Sette del 26.11.2012).

CONDOMINIO: LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Installazioni e modifiche veloci.
Novità in arrivo per gli impianti in ambito condominiale, sia per quanto riguarda quelli «centralizzati», che possono essere installati o modificati con delibere assembleari approvate con quorum più bassi (e quindi più rapidamente), sia per quanto riguarda quelli non centralizzati, che possono essere installati nelle proprietà esclusive secondo regole precise, mirate a evitare successive contestazioni da parti degli altri condomini.

Quindi la prima importante novità introdotta dalla riforma del condominio è la possibilità di deliberare l'installazione di impianti comuni sulla base di un consenso non necessariamente ampio da parte dei condomini.
Gli impianti satellitari e di produzione dell'energia pulita. Per favorire lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie di radiodiffusione da satellite, le opere di installazione di nuovi impianti satellitari (i c.d. padelloni) era prevista dalla legge una maggioranza ridotta e cioè un numero di voti pari al terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio.
A seguito della riforma del condominio, il cui obiettivo è certamente quello di eliminare il più possibile il numero esorbitante degli impianti singoli, è stata prevista la possibilità di installare impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo (anche da satellite o via cavo) e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze con un delibera approvata con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
Lo stesso quorum ridotto poi vale anche per la realizzazione delle opere e degli interventi diretti alla produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti «verdi» (fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili) da parte del condominio.
Per detti impianti sparisce quindi la maggioranza dei partecipanti al condominio (che viene sostituita dalla maggioranza degli intervenuti all'assemblea) ed il valore millesimale scende al 50%.
Si può perciò dire che per approvare questi impianti, che rappresentano delle innovazioni, è richiesta la stessa maggioranza prevista per le spese straordinarie sulle parti comuni e, conseguentemente si ridurrà in modo notevole il contenzioso tra condomini sulla natura dell'intervento deliberato.
Ma le novità non finiscono qui.
Anche la richiesta di installazione di detti impianti centralizzati da parte di un solo condomino deve essere tenuta in considerazione dall'amministratore che deve inserire la questione all'ordine del giorno ed è tenuto a convocare l'assemblea entro 30 giorni dalla richiesta.
Del resto costituisce grave irregolarità il comportamento dell'amministratore che ripetutamente rifiuti di convocare l'assemblea nei casi previsti dalla legge.
Quindi l'amministratore deve convocare, sempreché la richiesta sia chiara e dettagliata.
È vero infatti che il singolo condomino o il gruppo di condomini che intendono proporre l'installazione dei detti impianti sono tenuti a indicare (evidentemente per iscritto) il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi proposti (ma non sembra debba essere necessario un vero e proprio progetto).
In mancanza, l'amministratore deve invitare il condomino proponente a fornire le necessarie informazioni mancanti.
Naturalmente tali impianti possono essere realizzati sempreché non compromettano la sicurezza del fabbricato, non alterino il decoro architettonico o rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Gli impianti non centralizzati. La riforma del condominio introduce importanti novità anche su una questione frequentemente oggetto di contenzioso tra i condomini e cioè le installazioni di impianti autonomi nelle parti comuni per la ricezione radiotelevisiva (ad esempio, parabole) e di altri flussi informativi o per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
Così viene riconosciuto il diritto individuale del singolo condomino alla ricezione radio-Tv con impianti individuali satellitari o via cavo e ne viene confermata la libera realizzazione, senza previo voto dell'assemblea, con l'obbligo però di arrecare il minor pregiudizio possibile alle parti comuni e agli immobili di proprietà di altri condomini e prevedendo che, per la progettazione e l'esecuzione dell'impianto, i condomini siano comunque costretti a lasciare libero accesso alle loro proprietà individuali.
In ogni caso deve essere rispettato il decoro architettonico dell'edificio (ed è fatto salvo quanto previsto in materia di reti pubbliche).
Ma è consentita anche l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato.
Sarà l'assemblea, ai fini dell'installazione di detti impianti, a provvedere, a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto.
Del resto, ciascun comproprietario potrebbe avere interesse ad installare pannelli per produrre energia, ma potrebbe non essere sufficiente per tutti la superficie a disposizione, o sopportabile dalla struttura il peso di più impianti ecc.; dette eventualità, fanno sì che la disponibilità dell'installazione non sia affatto scontata, ma debba essere valutata caso per caso, considerando la volontà e gli interessi di tutti i condomini interessati.
Da tenere presente che se detti impianti comportano necessariamente modifiche delle parti comuni, il condomino interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi.
In tal caso l'assemblea può intervenire e imporre, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio, adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico del caseggiato, con possibilità di subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali.
Tale disciplina coglie quindi in pieno l'esigenza di tutelare la sicurezza e l'estetica del condominio (articolo ItaliaOggi Sette del 26.11.2012).

CONDOMINIO LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Dura la vita per chi non paga.
Acceleratore premuto contro i condomini morosi, che possono essere attaccati sia dall'amministratore sia dai creditori del condominio.

La legge di riforma del condominio si preoccupa di ammodernare la gestione finanziaria della compagine dei comproprietari, anche se non le ha riconosciuto lo status di persona giuridica.
Lo svecchiamento dell'impianto normativo prelude in alcuni a una gestione manageriale del condominio, tanto che la stessa può essere affidata a società e può essere nominato un organo di auditing interno (una commissione consultiva e di controllo formata da condomini). Manageriale o meno (va ricordato che la riforma ammette la possibilità di forme di amministrazione in proprio con uno dei comproprietari che si presta) la riforma dà un impulso alla gestione dei crediti condominiali.
Vediamo come.
Innanzi tutto, salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso.
Il nuovo articolo 1129 del codice civile detta, dunque, i tempi all'amministratore che non può rimanere inerte.
Il termine di sei mesi, entro i quali, necessariamente, l'amministratore deve agire e chiedere un decreto ingiuntivo contro il moroso, è a disposizione dell'assemblea, ma se la stessa non ha disposto nulla di diverso, allora, è automatico.
Se l'amministratore non rispetta il termine di sei mesi e non si rivolge a un avvocato per avviare la pratica legale potrà essere chiamato a risponderne di fronte all'assemblea; così come è responsabile e può essere revocato, se, quando sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, abbia omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva.
Una causa tipica di irregolarità nella gestione del credito e che può dare adito alla revoca dell'amministratore è aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio: ogni decisione da cui può derivare una minore garanzia deve passare dall'assemblea.
Dal punto di vista del singolo condomino il periodo di mora tollerato è un semestre, trascorso il quale bisogna aspettarsi la notifica dell'atto giudiziario e in particolare di un decreto ingiuntivo.
Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può, infatti, ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo.
Si tratta di una procedura veloce, mediante la quale il creditore si rivolge direttamente al giudice cui porta le prove scritte del proprio credito, per ottenere un decreto con il quale si può passare subito alla fase del pignoramento.
Secondo un orientamento della Cassazione, è possibile chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo anche solo sulla base del bilancio preventivo regolarmente approvato dall'assemblea.
L'esecutività non viene meno neanche nel caso in cui il condomino moroso presenti opposizione al decreto ingiuntivo.
Terminato il semestre il condomino moroso potrà anche essere sospeso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.
Tale sanzione, nella versione previgente del codice, si applicava soltanto nel caso in cui vi fosse una espressa previsione regolamentare condominiale che lo consentisse espressamente, mentre con la nuova versione la sanzione è prevista direttamente dalla norma e potrà risultare uno strumento particolarmente persuasivo.
L'azione dei creditori del condominio. Il condomino moroso non subisce solo attacchi interni, in quanto è esposto anche all'azione dei creditori del condominio. In base all'articolo 63 delle disposizioni di attuazione, infatti, l'amministratore è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi. E contro di questi il creditore esterno dovrà rivolgersi in prima battuta.
I creditori, infatti, non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini (disposizione introdotta dalla legge di riforma).
Si tratta di un beneficio di preventiva escussione a favore dei comproprietari in regola, anche se non è chiaro se l'obbligazione del condominio sia solidale o meno (con obbligo in quest'ultimo caso del creditore di agire contro ciascun condomino nei limiti della sua quota di millesimi). La Cassazione si è schierata per quest'ultima tesi, anche se i giudici di merito non seguono unanimemente la Suprema corte.
Quanto ai soggetti tenuti al pagamento, la riforma ribadisce che chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente.
Inoltre chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto. Quindi chi compra è responsabile per debiti pregressi al suo acquisito e chi vende rimane obbligato anche per debiti successivi alla vendita, fino alla data in cui non ha consegnato l'atto all'amministratore.
Chi vende rimane, dunque, ancora coinvolto delle vicende condominiali successive al passaggio di proprietà, a meno che non sia diligente nel far avere all'amministratore la copia dell'atto di vendita. Se non lo fa, il vecchio proprietario potrà ancora essere chiamato al pagamento degli oneri condominiali successivi alla compravendita non versati dall'acquirente.
Una volta riscossi (spontaneamente o coattivamente) i contributi, questi devono essere accreditati su un conto dedicato.
La riforma scrive, infatti, la regola per cui l'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, e quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio. Sul punto deve essere garantita la massima trasparenza: ciascun condomino, per il tramite dell'amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia del conto (articolo ItaliaOggi Sette del 26.11.2012).

CONDOMINIO: LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Videosorvegliati, ok a maggioranza.
Via libera, ma a maggioranza, alla videosorveglianza condominiale. E con alcune cautele indicate dal Garante della privacy. La riforma del condominio, infatti, introduce l'articolo 1122-ter del codice civile, che prevede la facoltà dell'assemblea di decidere sull'installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni, con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136, ossia deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.

La norma arriva in un contesto, fino a oggi, di assenza di una presa di posizione del legislatore. Tanto che con provvedimento dell'08.04.2010 sulla videosorveglianza il Garante aveva appurato una lacuna normativa. In quella sede per i trattamenti effettuati dal condominio (anche per il tramite della relativa amministrazione), il Garante aveva evidenziato l'assenza di una puntuale disciplina che permettesse di risolvere alcuni problemi applicativi evidenziati nell'esperienza di questi ultimi anni. Infatti, che non era chiaro se l'installazione di sistemi di videosorveglianza potesse essere effettuata in base alla sola volontà dei comproprietari, o se rilevasse anche la qualità di conduttori; ancora non era chiaro quale fosse il numero di voti necessario per la deliberazione condominiale in materia (l'unanimità o una determinata maggioranza).
La legge di riforma del condominio affronta, invece, direttamente la questione e stabilisce che le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del codice civile.
Vediamo dunque cosa prevede l'articolo 1136 del codice civile, che è stato modificato. In prima convocazione per l'approvazione di una delibera ci vuole il quorum di 2/3 del valore e maggioranza per teste, e voto favorevole della maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore dell'edificio.
Poiché la norma fa riferimento esclusivamente al secondo comma dell'articolo 1136, si deve ritenere che la maggioranza debba sempre commutarsi secondo le soglie da esso previste.
Una volta rispettate queste maggioranze si può passare a installare le telecamere. Ma senza dimenticare che si devono osservare le precauzioni previste dal citato provvedimento generale del Garante della privacy del 2010.
Eccole, in dettaglio: le persone che transitano nelle aree videosorvegliate del condominio devono essere informate con cartelli della presenza delle telecamere, i cartelli devono essere resi visibili anche quando il sistema di videosorveglianza è attivo in orario notturno. Nel caso in cui i sistemi di videosorveglianza installati siano collegati alle forze di polizia è necessario apporre uno specifico cartello che lo evidenzi.
Contro possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, prevenzione incendi, sicurezza del lavoro ecc. si possono installare telecamere senza il consenso dei soggetti ripresi, ma sempre sulla base delle prescrizioni indicate dal Garante.
Particolare attenzione deve essere posta quanto al termine di conservazione delle immagini registrate.
Il provvedimento generale del Garante dell'08.04.2010 stabilisce che, nei casi in cui sia stato scelto un sistema che preveda la conservazione delle immagini, in applicazione del principio di proporzionalità, anche l'eventuale conservazione temporanea dei dati deve essere commisurata al tempo necessario e predeterminato a raggiungere la finalità perseguita. Il provvedimento passa a indicazioni nel dettaglio: la conservazione deve essere limitata a poche ore o, al massimo, alle 24 ore successive alla rilevazione. Inoltre non risulta che ricorrano circostanze tali da consentire un allungamento del periodo di conservazione. Il sistema impiegato deve essere programmato in modo da operare al momento prefissato l'integrale cancellazione automatica delle informazioni allo scadere del termine previsto da ogni supporto, anche mediante sovra-registrazione, con modalità tali da rendere non riutilizzabili i dati cancellati. In presenza di impianti basati su tecnologia non digitale o comunque non dotati di capacità di elaborazione tali da consentire la realizzazione di meccanismi automatici di expiring dei dati registrati, la cancellazione delle immagini dovrà comunque essere effettuata nel più breve tempo possibile per l'esecuzione materiale delle operazioni dalla fine del periodo di conservazione fissato dal titolare. Il mancato rispetto dei tempi di conservazione delle immagini raccolte e del correlato obbligo di cancellazione di dette immagini oltre il termine previsto comporta l'applicazione della sanzione amministrativa stabilita dall'art. 162, comma 2-ter, del Codice della privacy.
Altri adempimenti, previsti nel provvedimento generale del Garante, sono la richiesta di verifica preliminare e la nomina di responsabili e incaricati del trattamento. La verifica preliminare è necessaria per i sistemi di raccolta delle immagini associate a dati biometrici, per i sistemi di videosorveglianza dotati di software che permetta il riconoscimento della persona tramite collegamento o incrocio o confronto delle immagini rilevate (ad esempio morfologia del volto) con altri specifici dati personali e, infine, per i sistemi cosiddetti intelligenti, che non si limitano a riprendere e registrare le immagini, ma sono in grado di rilevare automaticamente comportamenti o eventi anomali, segnalarli, ed eventualmente registrarli. Devono essere nominati incaricati del trattamento le persone, da mantenere in numero ristretto, che hanno accesso alle immagini, anche se si ritiene che per la maggioranza dei casi non sia necessario la visione in tempo reale con un monitor. Non è consentita alcuna forma di registrazione audio (articolo ItaliaOggi Sette del 26.11.2012).

APPALTI: Rete imprese Italia: va escluso l'ambito Iva e serve un tetto sotto il quale le norme non si applicano. Appalti-subappalti, così non va. La responsabilità solidale va limitata solo ad alcuni settori.
Delimitare l'ambito di applicazione della responsabilità solo ad alcuni settori e sopra una certa cifra ed eliminare l'ambito Iva per l'impossibilità di effettuare controlli in tal senso. Sono le richieste di revisione della normativa sulla responsabilità solidale negli appalti avanzate da Rete imprese Italia al governo. Gli spazi per intervenire non mancano, complice la disponibilità al dialogo manifestata dall'esecutivo, ma l'ostacolo è il fattore tempo: una volta approvata la legge di stabilità, in parlamento scatterà il «rompete le righe» e si penserà alla campagna elettorale in vista delle politiche di primavera.
Le norme sulla responsabilità solidale negli appalti e i subappalti, introdotte con il decreto crescita (dl 83/2012, convertito nella l. 12.08.2012, n. 134), agitano il mondo delle imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, perché introducono una serie di complicazioni che rischiano di aggravare ulteriormente il lavoro quotidiano, obbligando i soggetti appaltanti, per evitare la responsabilità solidale, ad accertare il corretto pagamento dei debiti erariali da parte dei loro fornitori (appaltatori). In caso contrario il committente potrà esimersi dal regolare finanziariamente le prestazioni ottenute anche in presenza di un contratto.
«Se l'obiettivo del legislatore era portare trasparenza nel mercato, si è prodotto l'effetto opposto», commenta Andrea Trevisani, responsabile delle politiche fiscali di Confartigianato, associazione che assieme a Cna, Casartigiani, Confcommercio e Confesercenti costituisce Rete imprese Italia. «Un aspetto che dovrebbe far riflettere e portare a una rapida revisione delle norme, considerato che il tempo che resta prima che il parlamento smetta nei fatti di decidere, in vista delle prossime elezioni, è poco».
I problemi introdotti dalle norme in questione stanno portando a una (quasi) paralisi nel mercato, con i tempi di pagamento tra le aziende, un problema cronico del nostro paese, che si stanno allungando ulteriormente. Se oggi occorre attendere 137 giorni per vedersi onorato il credito (+44 giorni solo nell'ultimo anno), verosimilmente il dato andrà ritoccato verso l'alto. «Se si interpreta la norma alla lettera», prosegue Trevisani, «si arriva all'assurdo per cui se l'azienda deve sostituire la serratura di un capannone è chiamata a verificare che il fabbro convocato per l'operazione abbia versato regolarmente le ritenute ai propri dipendenti e sia a posto anche sul fronte Iva». Senza trascurare la tentazione di rinviare capziosamente i pagamenti proprio appellandosi alla lettera della legge.
La richiesta delle aziende, espressa tramite Rete imprese Italia, si fonda essenzialmente su tre punti: delimitare il settore di applicazione della norma, «che è stata introdotta in un provvedimento legislativo riguardante l'edilizia, ma che di fatto oggi si estende anche ad altri ambiti», spiega Trevisani. In secondo luogo porre un limite minimo, al di sotto del quale le misure non si applicano (i piccoli lavori in sostanza). Infine, escludere l'ambito Iva, caratterizzato da tempistiche che spesso rendono impossibile i controlli. «Restiamo sul piano dei contenuti e del buon senso», conclude il responsabile fiscale. «Ci auguriamo che si tenga conto di questo» (articolo ItaliaOggi Sette del 26.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Dl enti locali. Sanzioni fino allo scioglimento per chi non ridefinisce le verifiche su conti, gestioni e partecipate.
Controlli, riforma in tempi stretti. Il Parlamento non modifica la scadenza: sistema da rifare entro il 9 gennaio.
LA PROCEDURA/ Il varo dei regolamenti deve passare dal consiglio perché la Giunta non può approvare da sola gli «atti fondamentali».

Tempi ultra-rapidi per la «rivoluzione dei controlli» negli enti locali prevista dal Dl 174/2012 che sta compiendo gli ultimi passaggi parlamentari in vista della conversione in legge. I correttivi introdotti alla Camera nel decreto originario, che hanno ritoccato anche la nuova disciplina dei controlli, non hanno però modificato il calendario. L'avvio dei nuovi meccanismi, di conseguenza, dovrà inderogabilmente avvenire entro il 9 gennaio prossimo: il termine è quello fissato dall'articolo 3, comma 2, che anche dopo il passaggio alla Camera continua a far riferimento a 90 giorni dall'approvazione del decreto, e non dalla sua conversione in legge come spesso avviene quando il Parlamento rivede i meccanismi scritti dal Governo nel testo originario. Insomma, a meno di improbabili ripensamenti dell'ultima ora, occorrerà fare in fretta, anche per evitare di imboccare la strada che può portare a sanzioni pesantissime, fino allo scioglimento dell'ente.
L'impresa non è semplice, perché la nuova disciplina chiede di rivedere integralmente il meccanismo dei controlli interni e le stesse procedure ordinarie che caratterizzano la vita amministrativa degli enti locali e la decisione sugli atti di spesa. In pratica, si tratta di riordinare un'architettura dei controlli che poggia su tre pilastri, rappresentati dal controllo di regolarità contabile, dal controllo di gestione e da quello sugli equilibri di bilancio, a cui negli enti sopra i 15mila abitanti (la soglia era stata fissata a 10mila nel testo originario approvato dal Governo) si aggiungono i capitoli relativi al controllo strategico e a quello sulle società partecipate non quotate.
Regolarità contabile ed equilibri di bilancio sono naturalmente le due tipologie con più storia e diffusione nei controlli negli enti locali, ma ricevono dalla riforma importanti novità, a partire dal parere quasi vincolante (gli organi politici devono motivare l'eventuale deroga) che il responsabile del servizio finanziario deve dare su tutti gli atti che abbiano «riflessi diretti e indiretti sul bilancio».
Più innovativo il controllo strategico, che negli enti sopra i 15mila abitanti è chiamato a verificare i risultati conseguiti in base ai singoli obiettivi, le performance finanziarie, i tempi di realizzazione: nei Comuni maggiori esistono già molte esperienze di questo tipo, ma la nuova disciplina fissa con più puntualità caratteristiche e contenuti del controllo, che si deve estendere anche al monitoraggio sulla qualità dei servizi erogati e al tasso di soddisfazione degli utenti. Un analogo sistema di monitoraggi deve estendersi alle società partecipate, con un'analisi puntuale sui rapporti finanziari fra Comune e società, sul quadro contabile e i contratti di servizio, oltre che sul rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Un aspetto, quest'ultimo, che appare più che problematico, come mostra l'allarme lanciato giovedì dalla Ragioneria sull'obbligo per i Comuni di vigilare sul deposito dei bilanci da parte di aziende speciali e istituzioni. Il termine scade il 30 novembre, ma praticamente nessuno ha trasmesso i dati e la vigilanza è in carico alle amministrazioni locali controllanti.
L'approvazione delle disposizioni regolamentari volte a disciplinare il controllo di regolarità amministrativa e contabile, il controllo di gestione, il controllo strategico, quello sugli equilibri di bilancio e quello sulle società partecipate è di competenza del consiglio comunale o provinciale, quindi viene ricondotto al novero degli atti fondamentali individuati dalla classificazione contenuta nell'articolo 42 del Tuel. Non sono possibili alternative (linee-guida) e nemmeno elusioni alla competenza dell'organo collegiale rappresentativo, in quanto la competenza consiliare è espressamente indicata all'articolo 3, comma 2, del decreto, e quindi impedisce un intervento della Giunta (che sarebbe viziato da incompetenza).
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L'architettura dei controlli
01 | REGOLARITÀ CONTABILE
   Il controllo è esercitato in fase preventiva, come parere di regolarità tecnica e contabile degli atti, e in fase successiva, secondo principi generali di revisione aziendale. Il parere del responsabile dei servizi finanziari viene esteso a tutti gli atti che abbiano «riflessi diretti o indiretti» sugli equilibri di bilancio dell'ente locale. Il controllo sui singoli atti va effettuato utilizzando tecniche di campionamento
02 | CONTROLLO DI GESTIONE
   Punta a verificare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità dell'azione amministrativa, per ottimizzare il rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti
03 | CONTROLLO STRATEGICO
   Punta a verificare lo stato di attuazione effettiva dei programmi. L'ente deve rilevare i risultati conseguiti rispetto agli obiettivi e i tempi di realizzazione rispetto alle previsioni. Questa tipologia di controllo non è prevista per i Comuni con meno di 15mila abitanti
04 | EQUILIBRI FINANZIARI
   È svolto sotto la direzione e il coordinamento del responsabile del servizio finanziario e tramite la vigilanza dell'organo di revisione
05 | ORGANISMI ESTERNI
   L'ente locale deve definire un sistema di controlli sulle società partecipate, tramite le strutture proprie dell'ente locale
06 | QUALITÀ DEI SERVIZI
   Può essere effettuato sia direttamente, sia tramite organismi gestionali esterni, con l'uso di metodi che consentano di misurare la soddisfazione degli utenti esterni e interni dell'ente (articolo Il Sole 24 Ore del 26.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 26.11.2012

CONDOMINIOLA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ La distinzione tra decisioni contrattuali e deliberative. Nuovi millesimi, serve unanimità. La rettifica per errore può invece avvenire a maggioranza.
Per cambiare le tabelle millesimali condominiali non ci vuole sempre l'unanimità; la rettifica per errore o mutamento dello stato dell'immobile può avvenire a maggioranza.
La riforma del condominio precisa quando la decisione sui valori proporzionali delle singole unità immobiliari ha natura contrattuale (e ci vuole l'accordo di tutti) e quando, invece, ha natura deliberativa (e basta la maggioranza). Vediamo, dunque, il nuovo articolo 69 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile, partendo dalla situazione del codice civile previgente.
Nella normativa previgente, spiegano gli atti parlamentari, secondo l'orientamento tradizionale, l'approvazione o la revisione delle tabelle millesimali non poteva essere deliberata a maggioranza dall'assemblea condominiale. Come accade per il regolamento contrattuale, si riteneva invece necessario il consenso di tutti i condomini; in assenza di tale consenso unanime, alla formazione delle tabelle provvedeva il giudice su istanza degli interessati, in contraddittorio con tutti i condomini.
Tra gli argomenti a sostegno della tesi dell'unanimità, si affermava che la materia non rientrava tra le competenze della assemblea e che l'approvazione delle tabelle si risolverebbe in un atto negoziale di accertamento, cioè una manifestazione di volontà volta ad accertare il contenuto di diritti reali spettanti a ciascun condomino.
Una sentenza della Corte di cassazione si è pronunciata, a Sezioni Unite, in materia di approvazione e modifica delle tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio rendendo più facile l'intervento dell'assemblea condominiale (Cassazione civile, S.U., sentenza 09.08.2010, n. 18477). Per la Cassazione, infatti, «le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'articolo 1136 codice civile, comma 2 (voto a maggioranza degli intervenuti e che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio)».
Il nuovo articolo 69 citato comincia con il disporre che i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale possono essere rettificati o modificati all'unanimità.
L'assemblea totalitaria è sovrana e può decidere la misura dei millesimi, anche eventualmente, se i condomini lo vogliono, senza corrispondenza precisa con lo stato di fatto. No si può escludere ì, infatti che i condomini intendano modificare la portata dei loro rispettivi diritti e obblighi di partecipazione alla vita del condominio. Ma questa non è l'unica via per la modifica dei millesimi.
La norma prosegue prescrivendo che in alcuni casi i valori possono essere rettificati o modificati anche nell'interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, secondo comma, del codice civile (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio).
I casi di modifica a maggioranza sono: valori conseguenza di un errore; alterazione per più di un quinto del valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino, in conseguenza di mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari.
In questo caso il costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione.
A questo proposito va sottolineato che per errore si intende la obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari e il valore proporzionale ad esse attribuito.
Inoltre, allo scopo di rivedere i valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell'amministratore. Questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini. L'amministratore che non adempie a quest'obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento degli eventuali danni.
Le norme richiamate si applicano per la rettifica o la revisione delle tabelle per la ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali.
Infine va ricordato che il Condominio può esperire l'azione di indebito arricchimento per far valere le proprie ragioni contro il singolo condomino che si è avvalso di un errore nelle tabelle millesimali per non concorrere alle spese (articolo ItaliaOggi del 24.11.2012).

CONDOMINIOLA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Le deliberazioni impugnabili anche dagli astenuti. Assemblee ad assetto variabile. Maggioranza semplice per le modifiche di minore rilievo.
Maggioranze più snelle e deliberazioni impugnabili anche dagli astenuti. Per cambiare la tabella millesimale ci vuole l'unanimità, ma basta la maggioranza se la variazione riguarda una rettifica per un solo condomino, anche a seguito di sopraelevazione o aumento delle unità.
Queste le novità della legge di riforma del condominio, che riscrive l'articolo 1136 del codice civile, attesa alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Vediamo come.
L'assemblea in prima convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio.
Nella vecchia versione occorreva il medesimo quorum di millesimi, ma un più alto quorum per teste: questo significa che sarà più facile far svolgere l'assemblea in prima convocazione.
Per l'approvazione delle deliberazioni occorre un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. Il computo della maggioranza per l'assemblea in prima convocazione è rimasto invariato (ma calcolato su un diverso quorum partecipativo).
Se l'assemblea in prima convocazione non può deliberare per mancanza di numero legale, l'assemblea in seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima.
Quindi non ci possono essere prima e seconda convocazione nello stesso giorno. La riforma inserisce una soglia per considerare regolarmente costituita l'assemblea in seconda convocazione: occorre l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio. Per l'approvazione delle deliberazioni occorre la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.
Una maggioranza qualificata ci vuole per le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell'amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, quelle che concernono la ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità e le deliberazioni di cui agli articoli 1117-ter (tutela delle destinazioni di uso), 1120, secondo comma (opere per sicurezza impianti, eliminazione barriere architettoniche, contenimento consumo energetico, realizzazione parcheggi, installazione pannelli solari, impianti centralizzati di ricezione televisiva e dati), 1122-ter (impianti di videosorveglianza) nonché 1135, secondo comma (manutenzione straordinaria): devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma, e cioè maggioranza degli intervenuti rappresentante almeno la metà del valore dei millesimi.
Le deliberazioni di cui all'articolo 1120, primo comma (innovazioni), e all'articolo 1122-bis, terzo comma (prescrizioni e cautele per impianti individuali di ricezione televisiva e di produzione di energia da fonti non rinnovabili), devono essere approvate dall'assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell'edificio.
L'articolo 1136 nuova versione conferma che l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati.
Infine, delle riunioni dell'assemblea si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall'amministratore.
IMPUGNAZIONI
La regola della maggioranza impone che le deliberazioni prese dall'assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini.
La riforma allarga la platea dei soggetti che possono impugnare la deliberazione. Il codice civile, nella vecchia versione, si riferiva ai condomini assenti e a quelli dissenzienti. Si aggiunge ora la categoria degli astenuti.
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto, dunque, può rivolgersi all'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento.
Rimane il termine di decadenza di 30 giorni, trascorsi i quali la deliberazione si consolida.
Il termine di 30 giorni decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
L'azione di annullamento non sospende l'esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità giudiziaria.
L'istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell'inizio della causa di merito non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell'impugnazione della deliberazione.
MILLESIMI
Per la rettifica e modifica della tabelle dei millesimi (valori proporzionali delle singole unità immobiliari) di regola ci vuole l'unanimità.
Tuttavia in alcuni casi basta la maggioranza degli intervenuti e la metà del valore dell'edificio: ciò vale per rettificare o modificare i millesimi anche nell'interesse di un solo condomino. Questo capita quando i valori sono conseguenza di un errore e a seguito di sopraelevazione, incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, con conseguente alterazione di più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino. In questa ipotesi il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione (articolo ItaliaOggi del 23.11.2012).

LAVORI PUBBLICIDirettiva pagamenti, Tajani: si applica ai lavori pubblici.
La disciplina europea sui ritardati pagamenti si applica anche al settore dei lavori e in particolare alla progettazione e all'esecuzione di opere e edifici pubblici, nonché ai lavori di ingegneria civile.
È quanto conferma il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, nella lettera 14.11.2012 con la quale risponde al presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, rispetto al problema dell'inclusione del settore delle costruzioni nell'ambito applicativo della nuova disciplina comunitaria sui ritardati pagamenti (direttiva 7/2011) recepita dal decreto 192 del 09.11.2012.
Il punto delicato, sollevato nei giorni scorsi non soltanto dall'Ance, ma anche da Confartigianato, Cna, Aniem, Ancpl e Oice, riguarda la nozione di «transazione commerciale» che il decreto prevede sia riferita ai contratti che hanno a oggetto «la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo». Da ciò il timore che interpretazioni restrittive possano escludere la realizzazione di opere pubbliche, nonostante la direttiva, in un «considerando», preveda esplicitamente che i settori cui si applica la disciplina «dovrebbero anche includere la progettazione e l'esecuzione di opere e edifici pubblici, nonché i lavori di ingegneria civile».
Nella lettera di risposta all'Ance il commissario europeo, dopo avere espresso apprezzamento per il fatto che l'Italia ha recepito la direttiva n. 7 ben prima del termine del 16.03.2013 (le norme del decreto 192 entreranno in vigore il 01.01.2013), afferma che il campo di applicazione della direttiva «riguarda tutti i settori produttivi senza eccezioni incluso il settore edile».
Per Tajani, «la nozione di fornitura di merci e di prestazione di servizi dietro corrispettivo include anche la progettazione e l'esecuzione di opere e edifici pubblici, nonché i lavori di ingegneria civile», come dice anche il considerando. Nei giorni scorsi, in alcune dichiarazioni alla stampa, anche il viceministro Ciaccia aveva confermato che le norme del decreto 192 sono da ritenersi applicabili anche ai lavori. A questo punto, per fugare ogni residuo e possibile dubbio, manca soltanto un piccolo intervento integrativo o interpretativo sul decreto 192 (articolo ItaliaOggi del 23.11.2012).

PUBBLICO IMPIEGODimissioni, niente convalida nella p.a..
La nuova procedura sulle dimissioni introdotta dalla riforma Fornero non si applica ai dipendenti pubblici almeno fino a quando non verrà recepita con appositi provvedimenti. Lo spiega il ministero del lavoro nell'interpello n. 35/2012, rispondendo all'Università di Firenze. Dal 18 luglio, la legge n. 92/2012 ha introdotto una nuova procedura di convalida delle dimissioni dal lavoro finalizzata a contrastare il cosiddetto fenomeno delle «dimissioni in bianco». La stessa legge, tuttavia, precisa che le nuove disposizioni «costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del dlgs n. 165/2001». Da tale norma, spiega il ministero, si evince che la nuova disciplina sulle dimissioni trova applicazione pure nei confronti del personale delle pubbliche amministrazioni ma soltanto una volta che saranno stati emessi i necessari provvedimenti di attuazione (articolo ItaliaOggi del 23.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALIAnticorruzione con armi spuntate. Il segretario è il responsabile. Ma non può essere sanzionato.  Il sistema di prevenzione disegnato dalla legge 190 appare tarato solo sui dirigenti pubblici.
Inapplicabili ai segretari comunali le sanzioni previste dalla legge 190/2012 in capo alla figura del responsabile della prevenzione della corruzione.
La «legge anticorruzione» stabilisce che il responsabile della prevenzione negli enti locali coincida col segretario comunale, a meno che motivatamente non si assegni la funzione a un altro soggetto.
Tuttavia, il sistema delle sanzioni per il responsabile appare disegnato solo ed esclusivamente per i dirigenti pubblici e non si attaglia alla figura del segretario.
Per il responsabile sono elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale «la mancata predisposizione del piano e la mancata adozione delle procedure per la selezione e la formazione dei dipendenti». Ma si vede subito come questa indicazione valga poco o nulla per il segretario comunale.
Il sistema della responsabilità dirigenziale è regolato dall'articolo 21, comma 1, del dlgs 267/2000, ai sensi del quale «il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo II del decreto legislativo di attuazione della legge 04.03.2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all'articolo 23 ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo».
Come si nota, esso si fonda su tre livelli di sanzioni, connesse alla gravità della responsabilità dirigenziale rilevata: l'impossibilità di rinnovare, alla scadenza, l'incarico dirigenziale, oppure la revoca anticipata o, ancora, il recesso dal rapporto di lavoro.
Si tratta di una disciplina in gran parte incompatibile con la regolazione del rapporto dei segretari comunali, i quali dipendono, ancora per poco, dall'Agenzia per poi tornare nei ruoli del ministero dell'interno. Il recesso, dunque, non appare attivabile.
Ma, anche l'impossibilità del rinnovo dell'incarico non ha alcun senso. Il segretario comunale non può che avere l'incarico da segretario comunale. Semmai, la responsabilità dirigenziale connessa al ruolo di responsabile della prevenzione della corruzione potrebbe essere utile per levarsi il peso da dosso di tale incarico, ma ovviamente l'ente non potrebbe «non rinnovare l'incarico», posto che tale eventualità rimane esclusivamente legata al succedersi dei sindaci e dei presidenti delle province, dato lo spoils system particolarmente spinto che caratterizza lo status dei segretari.
Pertanto, l'unica vera e concreta sanzione attivabile per il segretari potrebbe essere quella della revoca dell'incarico. Ma tale istituto è regolato dal dlgs 267/2000 ed è connesso soprattutto alle funzioni tipicamente proprie del segretario.
Nella sostanza, questo primo lotto di responsabilità ha senso solo per i dirigenti veri e propri, molto meno, quasi riducendosi a pura forma, per i segretari comunali. Un secondo tipo di responsabilità, quella oggettivamente più sorprendente e meno giustificabile, è quella che rende il responsabile responsabile, appunto, per la condotta altrui.
La legge prevede che «in caso di commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione».
La norma scarica sul responsabile, in primo luogo, la già vista «responsabilità dirigenziale», replicando gli stessi problemi di applicabilità ai segretari comunali visti prima. Vi è poi la responsabilità disciplinare, che nel sistema degli enti locali, data la posizione di autonomia spiccatissima del segretario, non si capisce bene chi potrebbe mai contestare.
Insomma, proprio con riferimento alle responsabilità del segretario, la legge 190/2012 rivela il suo eccessivo formalismo burocratico, che lascia pochi spazi alla concreta efficacia (articolo ItaliaOggi del 23.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOGiro di vite su chi svolge una seconda attività.  Responsabilità erariale oltre all'obbligo di restituire i compensi.
Limitazioni alla possibilità di autorizzare i dipendenti e i dirigenti pubblici allo svolgimento di una seconda attività; maturazione di responsabilità erariale, oltre all'obbligo del versamento al proprio ente, in caso di percezione di compensi provenienti da seconde attività svolte illegittimamente dai dipendenti pubblici, comunicazione immediata alla Funzione pubblica degli incarichi conferiti e di quelli autorizzati a vantaggio del personale pubblico e divieto per i dipendenti pubblici collocati in quiescenza di ricevere incarichi di qualunque sorta da parte dei privati con cui si è avuto a che fare per ragioni di ufficio.
Sono queste le principali novità per il personale dipendente dalle p.a. contenute nel testo della legge anticorruzione.
La norma entrerà in vigore mercoledì 28 novembre, decorsi 15 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, immediatamente per questi aspetti. Non vi è ombra di dubbio nel fatto che queste prescrizioni si applicano a regioni ed enti locali in quanto sono dettate nella forma della modifica del dlgs n. 165/2001 e che esse entrano immediatamente in vigore
Ogni singola amministrazione dovrà darsi uno specifico regolamento per la disciplina del conferimento di incarichi a dipendenti pubblici e per il rilascio delle autorizzazioni a svolgere una seconda attività per i propri dipendenti. Nel regolamento deve essere prevista la maturazione la nuova ipotesi del «conflitto, anche potenziale, di interessi» come elemento di cui le p.a. devono tenere conto nel rilascio di autorizzazioni in aggiunta alla incompatibilità di diritto e di fatto ed alla tutela dell'interesse al buon funzionamento, nella individuazione delle condizioni che vietano sia il conferimento di incarichi sia l'autorizzazione a svolgerne per conto di altri soggetti.
I dipendenti e dirigenti pubblici che ricevono illegittimamente compensi erogati da altri soggetti per seconde attività svolte in modo illegittimo, ad esempio senza la prescritta autorizzazione, devono versare tali somme alla propria amministrazione. Questa è la conferma di un vincolo già operativo; l'elemento di novità è dato dal rafforzamento della sanzione: il mancato versamento di queste somme al proprio datore di lavoro determina la maturazione di responsabilità erariale.
Viene stabilito che tutte le p.a. devono comunicazione alla Funzione pubblica, in forma telematica, degli incarichi conferiti a dipendenti pubblici e di quelli attribuiti da altri soggetti ai propri dipendenti che hanno avuto una specifica e preventiva autorizzazione. Con una assai discutibile previsione si stabilisce che questo obbligo si estende anche agli incarichi conferiti in via gratuita. In precedenze queste informazioni dovevano essere trasmesse entro il 30 giugno di ogni anno, dopo la legge 190/2012 tale comunicazione deve essere effettuata entro i 15 giorni successivi. E deve contenere l'oggetto dell'incarico ed il compenso lordo; va corredata da una relazione con cui si indicano le disposizioni che sono alla base del conferimento dell'incarico, i criteri con cui i dipendenti sono stati scelti e le misure di contenimento di questo tipo di spesa.
Viene limitata la possibilità per i dipendenti pubblici cessati dal servizio di ricevere qualsivoglia tipo di incarico, anche sotto la forma della assunzione, da parte dei soggetti nei cui confronti «negli ultimi tre anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle p.a.». Da sottolineare la durezza delle sanzioni: nullità dei contratti che violano tale obbligo, divieto di contattare con tutte le p.a. per le aziende che violano il divieto e, ovviamente, restituzione dei compensi eventualmente percepiti (articolo ItaliaOggi del 23.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALILa giunta approva il Piano.
È la giunta comunale l'organo competente ad approvare il piano anticorruzione. La legge 190/2012 demanda all'«organo di indirizzo politico» il compito di adottare il piano, su proposta del dirigente responsabile della prevenzione della corruzione, che negli enti locali coincide col segretario comunale, a meno che motivatamente non si stabilisca di assegnare questo compito ad un altro soggetto.

La locuzione «organo di indirizzo politico» pone il problema di comprendere quale sia tale organo negli enti locali, in cui la funzione di indirizzo è ripartita tra consiglio, giunta e sindaco (nelle province a breve la giunta dovrebbe sparire).
Evidentemente il legislatore ha tenuto presente il modello dell'organo di indirizzo politico monocratico, tipico dell'assetto ministeriale, lasciando aperto il problema della corretta determinazione delle competenze negli enti locali. Ad un primo sguardo, sembrerebbe di poter concludere che la competenza sia del consiglio, considerando che ai sensi dell'articolo 42, comma 1, del dlgs 267/2000 «è l'organo di indirizzo e di controllo politico–amministrativo».
Tuttavia, non si deve dimenticare che il consiglio è competente esclusivamente ed in via tassativa per le sole attribuzioni ad esso assegnate dallo stesso articolo 42 del Tuel, il quale richiama solo programmi, mentre utilizza il lemma «piani» solo per quelli urbanistici. La tassatività delle competenze del consiglio, allora, porta a far ritenere che l'adozione del piano di prevenzione della corruzione ricada nell'organo dotato di competenza generale e residuale, ovvero la giunta, anche in relazione alla funzione fondamentalmente esecutiva e non di programmazione generale che riveste il piano anticorruzione.
Basti porre mente alla necessità che il responsabile della prevenzione della convenzione controlli in corso d'opera l'utilità e l'efficacia del piano ed al suo obbligo di proporne tempestivamente adeguamenti e modifiche, anche connesse a modifiche organizzative dell'ente. L'organizzazione è strettamente connessa al regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, unico regolamento che il Testo unico degli enti locali assegni alla competenza della giunta.
Considerando il valore di atto non di indirizzo generale, ma organizzativo, del piano di prevenzione della corruzione ed anche la non necessarietà di un dibattito tra maggioranza e opposizione sul tema e, ancora, una rilevante snellezza del procedimento di approvazione e revisione, sembra di poter affermare, allora, che la competenza ricada sulla giunta e non sul consiglio. Nel caso delle province, una volta soppresse le giunte, sarà il presidente della provincia a svolgerne le funzioni e dunque sarà detto organo monocratico competente ad approvare il piano e le relative modifiche (articolo ItaliaOggi del 23.11.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Il sindaco non può porre paletti alle richieste dei consiglieri comunali. Diritto di accesso illimitato. La tutela della privacy passa in secondo piano.
In assenza di apposite norme regolamentari di disciplina del diritto di accesso dei consiglieri, il sindaco può individuare autonomamente delle limitazioni al suddetto diritto, anche con riferimento ad esigenze di tutela dei dati personali?

L'esercizio del diritto di accesso è previsto dal secondo comma dell'articolo 43 del dlgs 267/2000, definito dal Consiglio di stato (sent. n. 4471/2005) «diritto soggettivo pubblico funzionalizzato», finalizzato al controllo politico-amministrativo sull'ente nell'interesse della collettività e, come tale, diverso dal diritto di accesso previsto dalla legge n. 241/1990, riconosciuto ai soggetti interessati allo scopo di predisporre la tutela di posizioni soggettive lese. Il diritto del consigliere comunale ad ottenere dall'ente tutte le informazioni utili all'espletamento del mandato non incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato al segreto d'ufficio.
Gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali (attraverso modalità che ragionevolmente sono fissate nel regolamento dell'ente) e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche, ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso.
Anche la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi ha richiamato il consolidato principio giurisprudenziale, secondo cui il diritto del consigliere di accesso agli atti «non può subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell'ente con l'unico limite di poter esaudire la richiesta, qualora sia di una certa gravosità, secondo i tempi necessari per non determinare interruzione delle altre attività di tipo corrente».
Il consigliere deve quindi contemperare il diritto di accesso con l'esigenza di non intralciare lo svolgimento dell'attività amministrativa ed il regolare funzionamento degli uffici comunali, comportando ad essi il minor aggravio possibile, sia dal punto di vista organizzativo che economico. Sul tema dell'esercizio del diritto di accesso ad atti dell'amministrazione comunale da parte del consigliere comunale si è espressa la Commissione per l'acceso ai documenti amministrativi.
Relativamente all'ammissibilità dell'accesso ad atti istituzionali del comune mediante uso di tecnologie informatiche, nonché all'acquisizione in formato digitale (a mezzo Pec) delle deliberazioni consiliari e di giunta e dei relativi atti preparatori, la Commissione ha ritenuto che, sulla base del quadro normativo vigente e della oramai generalizzata diffusione degli strumenti informatici presso i soggetti pubblici e privati, «l'accesso telematico debba essere sempre consentito, soprattutto ove richiesto, non solo nei reciproci rapporti posti in essere tra le pubbliche amministrazioni e in quelli da esse intrattenuti con l'utenza privata, ma anche nei rapporti tra le stesse amministrazioni locali e i componenti eletti nei loro organi consiliari».
In merito alla problematica relativa all'accesso di un consigliere comunale agli elenchi dei contribuenti locali e dei cittadini morosi nel pagamento dei tributi comunali, la Commissione osserva che «la disposizione contenuta nell'art. 43, comma 2, Tuel riconosce al consigliere comunale il diritto di ottenere dagli uffici comunali tutte le notizie e le informazioni utili all'espletamento del proprio mandato e gli impone l'obbligo del segreto nei casi specificatamente determinati dalla legge. Indipendentemente dall'inclusione, fra i casi soggetti al segreto, della divulgazione dei contribuenti morosi, gli uffici comunali non possono limitare in alcun caso il diritto di accesso del consigliere comunale, ancorché possa sussistere il pericolo della divulgazione dei dati di cui il medesimo entri in possesso. La responsabilità di aver messo in condizione il consigliere comunale di conoscere dati sensibili cede di fronte al diritto di accesso incondizionato del medesimo, ma può essere invocata dal terzo eventualmente danneggiato solo nei confronti di chi (consigliere comunale) del suo diritto abbia fatto un uso contra legem».
Circa la possibilità che al sindaco sia riconosciuta la facoltà, in assenza di puntuali disposizioni regolamentari, di individuare autonomamente i limiti al diritto di accesso dei consiglieri, appare dirimente la sentenza del Tar Campania n. 19672/2008 con la quale è stato accolto il ricorso avverso un decreto sindacale recante la disciplina delle modalità di esercizio del diritto di accesso ex art. 43, comma 2, del dlgs 267/2000.
Il giudice amministrativo ha ritenuto sussistente il vizio di incompetenza considerato che la materia del diritto di accesso dei consiglieri avrebbe dovuto trovare la propria disciplina nel regolamento adottato dal consiglio comunale, «tenuto conto che il potere di informazione è uno dei tratti caratteristici del controllo affidato alla minoranza politica» (articolo ItaliaOggi del 23.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

SEGRETARI COMUNALIBotta e risposta dopo il varo del dl 174. Sul controllo strategico scontro tra Anci, segretari e direttori.
Tra le numerose forme di controllo sull'attività degli enti locali previste dalla legislazione vigente, riprese e potenziate dal decreto-legge 174 del 10 ottobre scorso, figura il controllo strategico. Di che si tratta? Esso rappresenta un aspetto cruciale della riforma della p.a. in quanto mira a verificare se e in quale misura siano stati realizzati gli obiettivi finali dell'ente intesi in termini di servizi resi ai cittadini. È pertanto evidente che tale forma di controllo presuppone l'esistenza di documenti di programmazione strategica e modelli di organizzazione e di gestione orientati al risultato. Presupposti che mancano in quasi tutte le amministrazione tanto che la Corte dei conti ha più volte segnalato la sostanziale inosservanza della norma in materia.
In realtà, la pianificazione strategica, che spetta agli organi di governo, è carente quasi ovunque e gli stessi strumenti di programmazione previsti dalla legge sono spesso vuoti di contenuto, inadeguati e tardivi (programma di governo, piani di sviluppo, strumenti di bilancio). In tale quadro, come si manifesta possibile dare concreta attuazione all'articolo 147 del Testo unico, come sostituito dal decreto 174, che sostanzialmente ripete la definizione e le finalità del controllo strategico diretto a «valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, dei programmi e degli altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi predefiniti»? Come è possibile operare se i piani non ci sono o sono carenti e i risultati non sono individuati, né misurati?
Il decreto-legge va oltre e dispone che, nell'ambito della loro autonomia, gli enti locali disciplinano e organizzano il sistema dei controlli interni cui il controllo strategico appartiene. A detta organizzazione partecipano il segretario dell'ente, il direttore generale laddove previsto, i responsabili dei servizi e le unità di controllo. Un po' tutti insomma. Sul funzionamento del sistema vigila questa volta la Corte dei conti attraverso le sezioni regionali. A tali fini il sindaco, o il presidente della provincia, trasmette alla Corte un referto sulla regolarità della gestione e sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni avvalendosi del direttore generale o del segretario negli enti in cui non è prevista la figura del dg. Ancora, il decreto 174 prevede che debba essere istituita una unità organizzativa preposta al controllo strategico che effettua rilevazioni ed elabora rapporti periodici da sottoporre alla giunta e al consiglio.
 E qui si innesta un'aspra querelle tra l'Anci, l'Unione dei segretari e l'Andigel, l'associazione dei direttori generali degli enti locali. È accaduto infatti che in sede di esame del decreto da parte della commissione affari costituzionali della camera è stato approvato, tra gli altri, un emendamento che pone tout court l'unità organizzativa suddetta «sotto la direzione del segretario comunale». L'emendamento non fa menzione alcuna del direttore generale laddove previsto, come nel caso della trasmissione del referto alla Corte dei conti. L'Anci interviene con un comunicato del presidente in cui si rappresenta l'inopportunità di affidare la suddetta direzione al segretario.
Con un duro comunicato, l'Unione nazionale dei segretari stigmatizza l'intervento di Delrio, chiede addirittura di riconsiderare la propria posizione, conferma la proposta di un direttore operativo che supporti e non sostituisca le funzioni e le competenze del segretario. Non meno duro il comunicato del presidente dell'Andigel che considera l'emendamento «un colpo di mano e un insulto a qualsiasi principio di autonomia e che conferma una pericolosa involuzione centralistica in corso».
Si ripropone dunque lo scontro tra le due unità di vertice determinatosi in seguito alla introduzione negli enti locali di maggiori dimensioni della figura del direttore generale prevista dalla riforma Bassanini del 1997. Oggi, a distanza di 15 anni il problema non è stato ancora risolto (articolo ItaliaOggi del 23.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONDOMINIOLA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Condomini morosi, meno privacy. L'amministratore può svelare il nome di chi non è in regola. Cosa cambia nelle comunicazioni con la legge approvata.
Il condomino moroso perde un po' della sua privacy. L'amministratore, secondo la legge di riforma del condominio, approvata definitivamente dalle camere martedì scorso e ora in attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, è tenuto a comunicare i dati dei condomini morosi ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino. Possono essere resi noti, dunque, i nominativi dei condomini non in regola con il pagamento della somma dovuta e delle rispettive quote millesimali.
Questa comunicazione è propedeutica a far sapere ai creditori del condominio l'esatta identità dei condomini, che non avendo pagato le rate condominiali, mettono in difficoltà il condominio nel suo complesso. Senza il versamento di tutti i partecipanti alla compagine condominiale, sul conto del condominio non ci sono le somme necessarie per pagare i fornitori del condominio.

Il problema di conoscere i dati dei singoli condomini è nato a seguito della presa di posizione della Cassazione che ha costretto i fornitori del condominio a intentare cause contro i singoli condomini per recuperare quanto dovuto da ognuno: la Cassazione ha escluso il vincolo di solidarietà giuridica.
Sul punto era già intervenuto il garante della privacy, con un'apertura alla possibilità di comunicazione dei dati dei morosi. Ma vediamo di riepilogare la questione.
Con nota del 26.09.2008 il garante per la protezione dei dati personali ha dato riscontro a un'associazione di categoria in merito agli effetti della sentenza della Cassazione, sezioni unite, n. 9148 del 2008, che ha ritenuto legittimo, facendo propria la tesi minoritaria, il principio della parziarietà, ossia della ripartizione tra i condomini delle obbligazioni assunte nell'interesse del condominio in proporzione alle rispettive quote. In particolare, la Suprema corte ha sottolineato che l'obbligazione, ancorché comune, è divisibile trattandosi di somma di denaro; la solidarietà nel condominio, al contrario, non è contemplata da nessuna disposizione di legge e l'articolo 1123 del codice civile non distingue il profilo esterno da quello interno; l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote.
In sostanza, se una ditta esegue lavori per il condominio e non riceve il pagamento, prima della sentenza del 2008 poteva fare causa al condominio e anche a uno solo dei condomini chiedendo a uno tutto il debito. Si parlava, infatti, di responsabilità solidale. Tutto è cambiato con la sentenza citata. La Cassazione impone, nell'esempio, alla ditta esecutrice dei lavori, di dividere il proprio credito nei confronti di ciascuno dei condomini. E per recuperare il credito si dovranno fare tante cause quanti sono i condomini e quindi conoscere i nominativi dei condomini e sapere la quota di debito loro attribuibile.
La sentenza della Cassazione è stata smentita da alcune successive sentenze di merito, ma l'orientamento delle sezioni unite non è stato successivamente ribaltato dalla Suprema corte.
Si è posto dunque il problema di privacy dei singoli condomini e cioè se può l'amministratore passare i dati dei condomini alle ditte. Con la nota del 2008 il garante ha risposto a una richiesta dall'Anaci, associazione degli amministratori, e ha risolto in senso positivo il quesito.
L'Autorità garante ha innanzitutto richiamato l'attenzione su quanto affermato in occasione del proprio provvedimento generale del 18 maggio 2006, relativo al trattamento dei dati personali connessi all'attività di gestione di condomini: al punto 2.1 veniva precisato che le informazioni trattate, per finalità di gestione e amministrazione del condominio ai sensi dell'articolo 24, comma 1, lettere a), b) o c), del codice privacy, possono essere riferite a ciascun partecipante condominiale in quanto funzionali all'amministrazione comune.
Pertanto, concludeva il garante, anche a seguito della sentenza della Suprema corte, non sussiste alcun vincolo nella normativa privacy alla comunicazione di detti dati. Infatti, fermo restando che le informazioni oggetto del trattamento devono essere pertinenti e non eccedenti, i dati personali riferiti ai singoli condomini possono essere trattati dai fornitori di beni e servizi condominiali in assenza del consenso degli interessati per dare esecuzione agli obblighi derivanti da un contratto stipulato dai partecipanti alla compagine condominiale, ancorché di regola tramite amministratore ed eventualmente ex articolo 24, comma 1, lettera f), del codice privacy per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.
Questo significa che ricorre la causa di esonero dal consenso derivante dalla necessità di eseguire contratti: il rapporto contrattuale intrattenuto dal condominio si può riferire, infatti, ai singoli condomini. E dove c'è necessità di eseguire un rapporto contrattuale non ci sono restrizioni poste dalla legge sulla privacy. In sede di esemplificazione nella nota in questione il garante cita come dati suscettibili di tale trattamento quelli che consentono di identificare i condomini obbligati al pagamento del corrispettivo per l'esecuzione dei contratti di fornitura di beni e servizi, le rispettive quote millesimali e, se del caso, le ulteriori informazioni necessarie a determinare le somme individualmente dovute.
Stando alla legge di riforma del condominio, dalla facoltà si è passati all'obbligo di comunicare le informazioni necessarie ai creditori.
L'articolo 63 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, riformulato dalla novella, prevede infatti che l'amministratore è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti i dati dei condomini morosi. L'unica condizione è che i creditori lo chiedano, non potendo l'amministratore fare comunicazioni unilaterali di sua iniziativa.
Il condomino moroso non può invocare più la privacy e l'amministratore, osservando la legge, non ha nulla da temere quanto al rispetto della riservatezza.
Peraltro l'amministratore deve limitarsi a dare i dati dei condomini morosi e non altro. Va aggiunto, però, che l'articolo 63, nella nuova formulazione, prevede che l'escussione dei condomini, quelli in regola con i pagamenti, può avvenire solo dopo che i creditori abbiano esperito le cause contro i morosi. A quel punto il creditore ha l'esigenza di conoscere i dati dei condomini in regola, ma la norma non lo contempla esplicitamente (articolo ItaliaOggi del 22.11.2012).

APPALTIGare, flop stazioni uniche. Accorpamenti p.a. al ralenti per gestire gli appalti. I dati del ministero dell'interno sulla natalità delle Sua. Aumentano i contenziosi.
Sono soltanto tredici le stazioni uniche appaltanti in tutta Italia che hanno consentito di accorpare 477 stazioni appaltanti di cui 205 comuni per gestire 729 gare, per un importo di 3,2 miliardi; il contenzioso, pari al 5,6% delle gare svolte, è però più alto della media nazionale (4,3%).
Sono questi alcuni dei dati, in verità deludenti, diffusi nei giorni scorsi dal gabinetto del ministro dell'interno (Ufficio II - Ordine e sicurezza pubblica) per fare il punto, a seguito di una circolare ministeriale del 12.05.2012, sul funzionamento dello strumento della stazione unica appaltante (la cosiddetta Sua). In realtà si tratta di dati assolutamente inidonei a realizzare quella auspicabile concentrazione degli enti appaltanti che da più parti viene richiesta, ma il problema nasce dal fatto che il ricorso alla stazione unica appaltante, nelle sue varie forme, è da sempre facoltativa.
Qualcosa è probabile che potrà cambiare in applicazione di quanto previsto dall'articolo 14, commi 12-31 del decreto 78/2010, come modificato dal decreto 95/2012 (legge 135/2012) che ha introdotto l'obbligo a partire dal mese di marzo 2013, per tutti i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di svolgere le funzioni di stazioni appaltanti in una dimensione ottimale il cui limite demografico minimo è stato fissato in 10.000 abitanti.
L'applicazione di questa norma dovrebbe quindi accelerare il ricorso alla diverse tipologie di stazione unica appaltante per venire incontro all'esigenza di riduzione del numero delle stazioni appaltanti al fine di migliorare l'efficienza e la trasparenza dell'azione amministrativa. La rilevazione del Viminale prende in considerazione diverse tipologie partendo da quella disciplinata dal dpcm 30.06.2011 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 200 del 29.08.2011) in attuazione dell'articolo 13 della legge 13.08.2010, n. 136 relativo al Piano straordinario contro le mafie approvato dal Consiglio dei ministri il 28.01.2010.
Si tratta in sostanza di una centrale di committenza e, come prevede il Codice dei contratti pubblici, ha il compito di procedere all'acquisizione di forniture, lavori e servizi destinati ad altre amministrazioni e all'aggiudicazione di appalti o alla conclusione di accordi quadro. Oltre a quelle di più recente disciplina rileva poi il modello costituito su base provinciale (in Calabria, Campania e a Trento) che ha visto la costituzione di cinque strutture; c'è poi il modello della Suar su base regionale, operante in due regioni, istituito con leggi regionali. Infine c'è il modello che fa capo ai provveditorati regionali alle opere pubbliche, a valenza generale e inquadrato nell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici.
Caso a parte è quello dell'Ufficio regionale per la gestione delle gare d'appalto (Urega) istituito in Sicilia con la legge 7/2002, primo esempio di stazione unica appaltante. Dai dati forniti dal ministero si ricava quindi che in tutto sono state costituite 13 stazioni uniche che hanno raccolto 477 stazioni appaltanti di cui 205 comuni; le strutture costituite utilizzano personale degli enti convenzionati o di appartenenza. La rilevazione mette però in luce che sono in fase di costituzione nuove stazioni uniche appaltanti (per esempio, a Genova e nella regione Liguria).
I loro compiti sono quelli di espletare le procedure di gara, dal bando all'aggiudicazione provvisoria, ma 11 strutture su 13 dichiarano di svolgere anche altre funzioni (acquisizione informazioni antimafia, validazione dei progetti e predisposizione del contratto). Nove strutture su 13 si attivano, oltre che sulle procedure aperte, anche sulle procedure ristrette e negoziate, mentre soltanto quattro affidano cottimi fiduciari. Le 13 stazioni operative hanno gestito 729 gare (erano 130 nel 2009) per un importo complessivo dei contratti pari a 3,247 miliardi. Per quanto riguarda la gestione del contenzioso nei confronti delle gare esperite sono stati registrati ricorsi per una percentuale pari al 5,6%, dato più elevato del 4,3% della media nazionale.
Fra le proposte che il ministero avanza per promuovere il ricorso alle Sua vengono citate: l'obbligo di adesione per gli enti locali i cui organi sono stati sciolti «per mafia»; l'obbligo di ricorso alla Sua quando sono coinvolte più stazioni appaltanti in relazione alla costruzione di grandi opere e di interventi a esse assimilabili per tipologia (ricostruzioni post sisma) (articolo ItaliaOggi del 22.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALIDal primo gennaio 2013 parcelle pagate puntualmente.
«Finalmente i liberi professionisti non saranno più costretti ad aspettare mesi e mesi per vedere onorata la loro prestazione professionale. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo sulle transazioni commerciali si colma l'ennesima lacuna normativa che fino a oggi ha penalizzato il lavoro dei professionisti, perché il ritardo dei pagamenti è un grosso problema che coinvolge le pmi, ma soprattutto i liberi professionisti che lavorano con la pubblica amministrazione e con le imprese».

Con queste parole, il presidente di Confprofessioni saluta il varo definitivo del decreto legislativo 09.11.2012, n. 192 recante «Modifiche al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/Ue relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11.11.2011, n. 180», che è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15.11. scorso.
«Si tratta di un provvedimento che va nella stessa direzione cui Confprofessioni lavora da mesi, richiedendo l'estensione ai professionisti del diritto di compensare i crediti con la pubblica amministrazione», aggiunge Stella, «come confermano gli emendamenti presentati da Confprofessioni al decreto sulla crescita in Commissione industria al Senato».
Dal 01.01.2013, dunque, i liberi professionisti potranno contare su regole più severe per la riscossione dei propri crediti nei confronti della p.a. Il decreto sulle transazione commerciali, infatti, riformula la definizione di «pubblica amministrazione» ai fini della tempestività dei pagamenti, estendendo le nuove regole a tutti i soggetti che già oggi rientrano nella disciplina del codice degli appalti.
Parecchie le altre novità introdotte con il decreto 192/2012 che coinvolgono i liberi professionisti. Decorso il termine di pagamento, che rimane fissato in 30 giorni dal ricevimento della fattura o della parcella, scatta automaticamente la decorrenza degli interessi moratori, senza la necessità di costituzione in mora. Il tasso minimo di interesse legale moratorio passa dal 7 all'8%, oltre al saggio fissato dalla Bce per le operazioni di rifinanziamento.
Più strette anche le regole per derogare i termini di pagamenti e tempi certi per la verifica della congruità della prestazione professionale. Infine, è prevista una somma forfettaria di 40 euro da aggiungere all'importo dovuto al creditore in caso di ritardato pagamento, a titolo di rimborso per le spese di recupero (articolo ItaliaOggi del 22.11.2012).

CONDOMINIOLA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ La legge è stata approvata in via definitiva dal senato. Nuove regole per la vita in comune. Ingiunzione ai proprietari morosi senza l'ok dell'assemblea.
La riforma del condominio è legge. Il via libera definitivo è arrivato ieri dalla commissione giustizia del senato che ha approvato in sede deliberante e senza apportare modifiche il testo varato il 27 settembre scorso dalla camera dei deputati.
Per la prima volta, dal lontano 1942, cambiano le regole del codice civile che disciplinano la convivenza in condominio e che interessano circa 30 milioni di italiani. Ma vediamo le principali novità a cominciare dalla figura dell'amministratore che esce profondamente ridisegnata dalla riforma.
Amministratore. Il provvedimento rende più snelle le decisioni e valorizza la figura dell'amministratore che resterà in carica due anni, dovrà avere requisiti di formazione e onorabilità, non dovrà essere stato condannato per delitti contro la pubblica amministrazione, dovrà avere conseguito almeno il diploma di maturità, aver frequentato un apposito corso e, ove ciò sia richiesto dall'assemblea, aver stipulato una speciale polizza assicurativa a tutela dai rischi derivanti dal proprio operato. L'amministratore potrà essere licenziato prima della fine del mandato qualora abbia commesso gravi irregolarità fiscali o non abbia aperto o utilizzato il conto corrente condominiale.
Nei confronti dei condòmini morosi l'amministratore potrà procedere con l'ingiunzione senza chiedere una preventiva autorizzazione dell'assemblea e potrà comunicare ai creditori i dati di chi non paga. Questi così potranno agire in prima battuta sui «morosi». Se la mora dura più di sei mesi, l'amministratore dovrà sospendere il condomino debitore dalla fruizione dei servizi comuni qualificato.
Riscaldamento. Chi si vuole «staccare» dall'impianto centralizzato può farlo senza dover attendere il benestare dell'assemblea, ma a patto di non creare pregiudizi agli altri e di continuare a pagare la manutenzione straordinaria dell'impianto condominiale.
Nuovi quorum. Quorum più basso (dovrà essere pari alla maggioranza degli intervenuti in assemblea, che rappresentino almeno la metà dei millesimi) per deliberare, ad esempio, l'installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni dell'edificio. Uguale il quorum per deliberare l'installazione di impianti per la produzione di energia eolica, solare o comunque rinnovabile, anche da parte di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune. Stessa maggioranza anche per deliberare l'attivazione, a cura dell'amministratore e a spese dei condomini, di un sito internet del condominio, ad accesso individuale protetto da una password, per consultare e stampare in formato digitale i rendiconti mensili e gli altri documenti dell'assemblea.
Basteranno i 4/5 dei consensi, infine, per il cambio di destinazione d'uso dei locali comuni. Potranno impugnare le delibere assembleari, per annullarle, anche i condomini che si sono astenuti. Mediazione obbligatoria in caso di controversie.
Nessun divieto per gli animali. Il regolamento condominiale non potrà più vietare di tenere animali in casa. Ma questi dovranno essere «domestici».
Condòmini molesti. Maggior rigore contro chi arreca danni o disturba. Per chi viola il regolamento condominiale la sanzione è stata aggiornata: da 0,052 euro (pari a 100 lire) a 200 euro. In caso di recidiva si arriva a 800 euro (articolo ItaliaOggi del 21.11.2012).

CONDOMINIO LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ La legge ridisegna i requisiti morali e professionali. Bollino blu per l'amministratore. Obbligatori diploma, formazione iniziale e aggiornamento.
Amministratore con il bollino blu. Dovrà essere diplomato e deve avere seguito un corso di formazione; ma deve anche possedere severi requisiti morali: non deve essere stato condannato per delitti puniti con reclusione da due a cinque anni.

La riforma del condominio ridisegna l'identikit dell'amministratore, codificando che la carica può essere svolta anche da una società e ridefinisce i compiti e i poteri.
Requisiti. Per diventare amministratore di condominio occorre godere dei diritti civili e non essere stati condannati per delitti contro la p.a., la giustizia, la fede pubblica, il patrimonio e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni.
È ostativa alla funzione l'avere subito una misura di prevenzione (salvo riabilitazione) e non essere sottoposti a tutela o curatela. La strada è bloccata anche per i protestati. Passando ai requisiti professionali bisogna avere un diploma di scuola superiore e avere frequentato un corso di formazione iniziale e aggiornarsi periodicamente. Ultimo requisito è la sottoscrizione di un'assicurazione per responsabilità professionale.
La novella esclude i requisiti professionali quando l'amministratore è un interno, nominato tra i condomini dello stabile. Anche le società possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio: i requisiti morali e professionali dovranno essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione. La perdita dei requisiti morali comporta la cessazione dall'incarico. La norma stabilisce una disposizione transitoria: chi ha svolto attività di amministrazione di condominio per almeno un anno nell'arco dei tre anni precedenti è consentito lo svolgimento dell'attività di amministratore anche in assenza dei requisiti di titolo di studio e di frequenza del corso di formazione iniziale (ma rimane l'obbligo di formazione periodica).
Obblighi. L'obbligo di nomina scatta quando i condomini sono più di otto. L'amministratore deve essere rintracciabile dai condomini e deve fornire orari nei quali è a disposizione, anche per far visionare i documenti dell'amministrazione. Un obbligo specifico concerne le somme versate dai condomini: si deve aprire un apposito conto e i relativi estratti sono a disposizione degli interessati. Altro obbligo di natura gestionale è quello di agire per recuperare le rate non pagate dai morosi: l'amministratore deve farlo entro sei mesi chiusura dell'esercizio.
L'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per uguale durata. L'amministratore può essere licenziato dall'assemblea in qualunque momento oppure dal giudice, anche su richiesta di un solo condomino per gravi irregolarità. La riforma codifica i casi di gravi inadempienze: ad esempio mancata rendicontazione, mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi e di deliberazioni dell'assemblea, mancata apertura e utilizzazione del conto corrente dedicato al condominio.
Compiti. Tra i compiti dell'amministratore, introdotti dalla novella, si segnalano la tenuta di alcuni registri, tra cui il registro di anagrafe condominiale e il registro di contabilità. Il registro dell'anagrafe contiene le generalità dei condomini, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza.
Nel registro di contabilità sono annotati in ordine cronologico, entro 30 giorni da quello dell'effettuazione, i singoli movimenti in entrata e in uscita. Il registro può tenersi anche con modalità informatizzate.
Altri registri sono quello dei verbali delle assemblee e quello del registro di nomina e revoca dell'amministratore. Nel registro dei verbali delle assemblee sono annotate le deliberazioni e le brevi dichiarazioni rese dai condomini che ne hanno fatto richiesta. Nel registro di nomina e revoca dell'amministratore sono annotate, in ordine cronologico, le date della nomina e della revoca di ciascun amministratore del condominio e gli estremi dei provvedimenti giudiziari. Specifico obbligo dell'amministratore è la redazione del rendiconto condominiale annuale.
Il rendiconto. A proposito del rendiconto, la riforma prevede per l'assemblea condominiale di nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio. Per ragioni di auditing interno l'assemblea può anche nominare, oltre all'amministratore, un consiglio di condominio composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari. Il consiglio ha funzioni consultive e di controllo (articolo ItaliaOggi del 21.11.2012).

CONDOMINIOLA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Le nuove regole puntano ad assicurare stabilità finanziaria. Il rendiconto come un bilancio. Entrate e uscite da evidenziare col criterio della competenza.
Il rendiconto condominiale dovrà somigliare sempre di più al bilancio delle società ed evidenziare in maniera trasparente le somme in entrata e quelle in uscita secondo il criterio di competenza. Queste ultime dovranno necessariamente transitare su un conto corrente intestato al condominio e l'amministratore, che potrà essere anche una società, dovrà curare i necessari adempimenti fiscali. Questi avrà a sua disposizione nuovi ed efficaci strumenti per contrastare il dilagante fenomeno della morosità condominiale e dovrà attivarsi senza indugio per recuperare le somme non versate nelle casse condominiali.
La maggiore stabilità finanziaria del condominio costituirà quindi una garanzia in più per i fornitori esterni: in caso di lavori di manutenzione straordinaria o di innovazioni dovrà infatti obbligatoriamente essere costituito un fondo speciale di ammontare pari a quello dell'appalto deliberato dall'assemblea. I singoli condomini avranno a loro volta qualche tutela in più nei confronti delle imprese che vantino crediti nei confronti del condominio, in quanto le stesse dovranno necessariamente provare a recuperare le somme dovute dai comproprietari in mora nel versamento degli oneri condominiali (previa obbligatoria indicazione della loro identità da parte dell'amministratore) e solo in caso di insuccesso potranno agire nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti.
Queste alcune delle novità introdotte dalla legge di riforma della disciplina condominiale approvata ieri in via definitiva dalla commissione giustizia del senato, che ha riscritto in maniera quasi completa gli articoli 1117 e seguenti del codice civile e 61 e seguenti delle relative disposizioni di attuazione (si veda la tabella relativa alle principali novità introdotte). Ma la nuova normativa interviene in modo rilevante anche sui requisiti, i poteri e i doveri dell'amministratore condominiale (la cui figura si avvia a diventare sempre più professionale per allontanare dal mercato operatori improvvisati), sulle modalità di costituzione, partecipazione ed espressione della volontà dell'assemblea condominiale (le maggioranze necessarie all'adozione delle delibere vengono generalmente abbassate per migliorare il relativo processo decisionale), sull'utilizzo delle parti comuni (viene ammesso il distacco dall'impianto comune di riscaldamento o condizionamento, purché ciò non influisca negativamente sul suo funzionamento), sulla disciplina di nuove fattispecie quali il supercondominio e il cosiddetto condominio orizzontale (articolo ItaliaOggi del 21.11.2012).

EDILIZIA PRIVATAPrevenzione incendi al restyling. Dal 27 novembre prossimo cambia la modulistica per i vigili.
Dal 27 novembre per la presentazione delle istanze ai Vigili del fuoco relative ai procedimenti di prevenzione degli incendi è necessario utilizzare la nuova modulistica definita con decreto dirigenziale del direttore centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica del ministero dell'interno 31.10.2012, n. 200.
I nuovi moduli tengono conto dell'avvento della Scia (legge n. 122/2010) sui procedimento di spettanza del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco nonché di quanto previsto in materia di Sportello unico per le attività produttive (Suap, dpr n. 160/20101).
Per la prima volta, in una materia così difficile come quella della prevenzione incendi, viene concretamente preferita un'impostazione fondata sul principio della proporzionalità, in base al quale gli adempimenti amministrativi vengono diversificati in relazione alla grandezza dell'impresa, al settore in cui esercita l'attività principale e soprattutto viene perseguita l'effettiva esigenza di tutela degli interessi pubblici collettivi.
È con il decreto del ministero dell'interno 07.08.2012 che viene stabilita la data del 27 novembre per l'utilizzato della nuova modulistica sostitutiva di quella contenuta nel decreto del ministro dell'interno 04.05.1998.
La modulistica di prevenzione e incendi valida dal 27 novembre è la seguente: valutazione dei progetti (richiesta di esame del progetto); Scia (Scia; asseverazione per Scia; Scia Gpl; asseverazione per Scia Gpl); rinnovo periodico di conformità antincendio (attestato di rinnovo periodico, asseverazione per rinnovo periodico, attestato di rinnovo periodico per Gpl); domanda di deroga (richiesta di deroga); nulla osta di fattibilità (richiesta di nulla osta di fattibilità); verifiche in corso d'opera (richiesta di verifica in corso d'opera, certificazione di resistenza al fuoco di prodotti/elementi costruttivi in opera, dichiarazione di corretta installazione e funzionamento dell'impianto, certificazione di corretta installazione e funzionamento dell'impianto, dichiarazione inerente i prodotti impiegati, Pin 7 2012 voltura, Pin 2.7 Gpl 2012 dichiarazione, Pin 2.6 dichiarazione non aggravio rischio).
Va ricordato che il 07.10.2011 era entrato in vigore il dpr 01.08.2011, n. 151 contenente il regolamento recante la semplificazione della disciplina dei procedimenti di prevenzione degli incendi e all'articolo 2, comma 7, dello stesso dpr veniva stabilito che per garantire l'uniformità delle procedure, nonché la trasparenza e la speditezza dell'attività amministrativa, le modalità di presentazione delle istanze e la relativa documentazione, da allegare, sarebbero state definite con un successivo decreto del ministro dell'interno.
Nell'art. 11, 1 comma, del dpr n. 151/2011 era, inoltre, fissato un periodo transitorio ed era stabilito che fino all'adozione del decreto ministeriale di cui al comma 7 dell'articolo 2, si applicano le disposizioni normative contenute nel decreto del ministro dell'interno del 04.05.1998 riguardante le modalità di presentazione e il contenuto delle domande per l'avvio di procedimenti di prevenzione incendi, nonché l'uniformità dei connessi servizi resi dai comandi provinciali dei vigili del fuoco. Il dpr n. 151/2011, recependo quanto stabilito dalla legge del 30.07.2010, n. 122 in materia di semplificazione amministrativa ha individuato le attività soggette alla disciplina della prevenzione incendi e contemporaneamente ha semplificato gli adempimenti per i soggetti interessati (articolo ItaliaOggi del 20.11.2012).

ENTI LOCALILe novità previste nel dm al vaglio della conferenza stato-regioni. Rendicontazione online. Autovelox, contabilità separata. Dal 2013 i proventi vanno divisi dalle altre multe stradali.
Nel 2013 i proventi connessi alle sanzioni per autovelox e telelaser dovranno essere contabilizzati separatamente dai proventi derivanti in generale dalle multe stradali, con apposita rendicontazione da inviare per via informatica al ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al ministero dell'interno.
Disciplina più dettagliata per l'utilizzo dei misuratori di velocità, con indicazioni supplementari rispetto a quelle contenute nella direttiva del 14.08.2009.
Sono queste le importanti novità previste dalla bozza di un decreto ministeriale che attende il via libera della conferenza stato-regioni prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
La legge n. 120 del 29.07.2010 aveva riscritto l'art. 142 del codice della strada in materia di eccesso di velocità e proventi delle multe, prevedendo che per tutte le violazioni dei limiti di velocità accertate mediante l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento oppure attraverso l'utilizzazione di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni i relativi proventi devono essere ripartiti in misura uguale fra l'ente dal quale dipende l'organo accertatore e l'ente proprietario della strada restando comunque escluse le strade in concessione.
Le somme derivanti dall'attribuzione delle quote dei proventi ripartiti devono essere destinate alla manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e al potenziamento delle attività di controllo e accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, comprese le spese relative al personale. Ma queste nuove disposizioni non sono mai diventate operative, in quanto non è stato emanato il decreto attuativo. In sede di conversione, con modificazioni, del decreto legge n. 16 del 02.03.2012, la legge n. 44 del 26.04.2012 ha disposto che il decreto ministeriale di cui all'art. 25, comma 2, della legge 120/2010 deve essere emanato entro 90 giorni dal 29.04.2012 e che, in caso di mancata emanazione, saranno comunque applicate le disposizioni sulla ripartizione dei proventi di cui ai commi 12-bis, 12-ter e 12-quater dell'art. 142.
Sul punto, però, l'Anci aveva immediatamente chiarito che, in ogni caso, non essendo stato abrogato il comma 3 dell'art. 25 della legge 120/2010, la nuova disciplina non avrebbe trovato immediata applicazione, ma si sarebbe dovuto attendere il 01.01.2013. Dunque, alla luce di questo complesso iter normativo, manca solo il tanto atteso decreto ministeriale attuativo, che, finalmente, sembra essere in dirittura d'arrivo. Infatti, la bozza, già predisposta dai tecnici del ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del ministero dell'interno, deve attendere solo il parere della conferenza stato-regioni prima di poter essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, con entrata in vigore fissata per il 01.01.2013.
La bozza del decreto ministeriale prevede che gli enti locali dovranno trasmettere per via informatica al ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al ministero dell'interno entro il del 31 maggio di ogni anno (con prima scadenza il 31.05.2014) una relazione relativa al periodo intercorrente tra il 1° gennaio e il 31 dicembre dell'anno precedente, una relazione, suddivisa su tre sezioni, indicando le informazioni generali, i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie di propria spettanza di cui all'art. 208, comma 1, e all'art. 142, comma 12-bis, del codice della strada e le informazioni relative alla destinazione dei proventi stessi. Deve essere tenuta una contabilità separata fra i proventi in generale e quelli derivanti da accertamenti delle violazioni dei limiti massimi di velocità.
In particolare, per questi ultimi deve risultare la distinzione a seconda che siano di intera spettanza dell'ente locale, oppure siano soggetti a ripartizione al 50% con l'ente proprietario della strada, oppure derivino dagli accertamenti eseguiti da organi accertatori di altri enti locali. Con qualche perplessità sulla conformità al dettato normativo, il decreto esclude dall'obbligo di ripartizione i proventi delle sanzioni derivanti dalle multe elevate dagli organi di polizia stradale dipendenti dallo stato.
Le somme introitate per i verbali di contestazione dell'eccesso di velocità rilevato con misuratori elettronici sono attribuiti interamente all'ente da cui dipende l'organo accertatore per gli accertamenti eseguiti su strade e autostrade in concessione (fra le quali sia le autostrade e le strade statali di interesse nazionale che le strade di interesse statale a gestione regionale), su strade di interesse regionale gestite direttamente dalle regioni o da queste date in concessione e su tutte le altre strade non di proprietà degli enti locali.
In via provvisoria, nel 2013 per i proventi da ripartire si dovrà fare riferimento alle somme incassate per pagamento di sanzioni accertate nel corso dell'anno. La ripartizione, da rendicontare entro il 31.01.2014, interesserà il totale delle somme incamerate, al netto delle spese sostenute per tutti i procedimenti amministrativi connessi. Per gli anni successivi saranno contabilizzati anche i proventi incassati, derivanti da accertamenti di violazioni relative ad anni precedenti (articolo ItaliaOggi Sette del 19.11.2012).

APPALTIPubblicato in G.U. il decreto che recepisce la norma Ue. Regole al via dal 01.01.2013. Giorni contati ai pagamenti lenti. La p.a. dovrà saldare i conti dei fornitori entro un mese.
Tempi certi nei pagamenti alle imprese fornitrici di beni o servizi alla p.a..
È stato pubblicato, infatti, sulla G.U. n. 267 del 15 novembre scorso il decreto 09.11.2012, n. 192 che fissa a trenta giorni il termine di pagamento (con possibilità di deroghe distinte a seconda che si tratti di contratti tra privati o di transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni), eleva il tasso minimo degli interessi legali moratori (da sette a otto punti percentuali della maggiorazione del tasso fissato dalla Bce) e chiarisce cosa si intende per «grave iniquità» che fa scattare la sanzione della nullità del contratto tra le parti.
Le nuove regole, che entrano in vigore il 30.11.2012, ma si applicheranno a partire dal 01.01.2013, riguardano tutti i «contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo».
Il decreto, in attuazione della delega contenuta nel cosiddetto Statuto delle imprese (legge 11.11.2011, n. 180), recepisce con largo anticipo rispetto alla scadenza (fissata al 16.03.2013) la direttiva 2011/7/Ue del 16.02.2011 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e per farlo modifica le norme dettate dal precedente decreto legislativo n. 231 del 09.10.2002 che aveva recepito la prima direttiva comunitaria sul tema (direttiva 2000/35/Ce del 29.06.2000).
L'urgenza di approntare una soluzione al problema della tempestività dei pagamenti fra imprese e, soprattutto, di quelli della pubblica amministrazione alle imprese non è una novità. Lo stesso governo, nella relazione illustrativa del decreto, parte dalla constatazione che Italia è all'ultimo posto nelle classifiche europee in relazione a questo problema, «che riguarda tutte le imprese ma finisce per colpire principalmente le piccole e medie imprese e gli artigiani, che costituiscono l'ossatura del tessuto produttivo italiano, che hanno minore capacità finanziaria e di ricorso al credito e minore forza contrattuale nei rapporti con le grandi aziende e con la pubblica amministrazione, così da essere spesso indotti a rinunciare contrattualmente ai diritti ad essi spettanti per legge».
La nuova disciplina si applica alla pubblica amministrazione, per tale intendendosi «l'amministrazione aggiudicatrice» prevista dal cosiddetto Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163/2006), ma ricomprendendo anche soggetti di diritto privato quando svolgano attività per la quale sono tenuti al rispetto della disciplina sui contratti pubblici. Restano, invece, esclusi: a) i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito; b) i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore.
Il sistema approntato dal decreto distingue i contratti tra imprese da quelli tra imprese e pubbliche amministrazioni quando definisce i termini di pagamento imposti, mentre il precedente decreto fissava a 30 giorni il pagamento per ogni tipo di transazione commerciale e con libertà delle parti di accordarsi per un termine superiore rispetto a quello legale a condizione che le diverse pattuizioni fossero stabilite per iscritto e rispettassero i limiti concordati nell'ambito di accordi sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale. A partire da gennaio prossimo, invece, il termine di 30 giorni indicato nei contratti tra le imprese potrà essere derogato fino a un massimo di 60 giorni, sempre che l'accordo sia in forma espressa (per iscritto) e non risulti «gravemente iniquo» per il creditore.
Per quanto riguarda i contratti in cui il debitore è una pubblica amministrazione sarà possibile fissare un termine legale di pagamento fino a un massimo di sessanta giorni in due casi: (1) per le imprese pubbliche che svolgono attività economiche di natura industriale o commerciale, offrendo merci o servizi sul mercato; (2) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria; fatta eccezione per tali casi, è lasciata facoltà alle parti di concordare, anche in questo caso in forma (scritta) espressa, un termine superiore a 30 giorni ma comunque non superiore a 60 giorni, se questo termine risulta oggettivamente giustificato dalla natura o dall'oggetto del contratto o da particolari circostanze esistenti al momento della conclusione dell'accordo.
Sempre nell'ottica di un doppio binario, il decreto distingue i contratti tra privati da quelli tra imprese e p.a. prevedendo che siano corrisposti, nel primo caso, «interessi moratori» (che sono interessi legali di mora o interessi a un tasso concordato tra le imprese) e, nel secondo caso, «interessi legali di mora» (ossia interessi a un tasso che non può essere inferiore al tasso legale, vale a dire il tasso Bce maggiorato dell'8%). In aggiunta al rimborso dei costi e fatta salva la prova del maggior danno (che può comprendere anche i costi di assistenza per il recupero del credito), si prevede anche la corresponsione di una somma forfettaria di 40 euro, volta a rimborsare i costi amministrativi e interni di recupero del credito, che si cumula agli interessi di mora e che dovrà essere corrisposta senza che sia necessaria la costituzione in mora ed indipendentemente dalla dimostrazione dei costi. Il decreto assicura la facoltà delle parti di concordare pagamenti a rate: in tal caso, le conseguenze negative del ritardo (interessi e risarcimento) saranno calcolate esclusivamente sulle singole rate scadute.
Infine, la nullità del contratto tra le parti è stabilita nei casi in cui risultano «gravemente inique» le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori e al risarcimento dei costi di recupero. Mentre il precedente decreto forniva solo degli orientamenti all'interprete per decifrare il concetto di «grave iniquità» ora vengono considerate ex lege gravemente inique, senza ammettere prova contraria, le clausole che escludono il diritto al pagamento degli interessi di mora e quelle relative alla data di ricevimento della fattura e si presumono gravemente inique quelle che escludono il risarcimento dei costi di recupero (articolo ItaliaOggi Sette del 19.11.2012).

APPALTIGli effetti della nuova disciplina sulla responsabilità solidale Iva. Non sono esclusi i privati. Appalti, come evitare l'impasse. Dalle sanzioni all'entrata in vigore: le soluzioni ai nodi irrisolti.
La nuova responsabilità solidale e sanzionatoria per Iva e ritenute nel caso di appalti e subappalti rischia di bloccare le attività. Una norma volutamente rigida ma scritta forse troppo frettolosamente sta creando un numero incredibile di difficoltà. I comportamenti da tenere non sono ancora certi e considerando i rischi a cui si va incontro in caso di errore, spesso le imprese stanno tenendo un comportamento orientato alla massima prudenza. Ci si muove con cautela con il risultato però di rallentare anche la produttività.
Ecco allora da un esame del testo normativo le questioni di maggiore rilevanza ancora sul tappeto con le possibili soluzioni.
Appalto e subappalto. L'ambito oggettivo di applicazione è delineato dal comma 28 dell'art. 35 del decreto 223/2006 come dal dl 83/2012. La locuzione utilizzata è molto secca facendo riferimento ai casi di «appalto di opere o di servizi». Il riferimento normativo per definire la fattispecie è l'articolo 1655 del codice civile che dispone «l'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro».
Tale definizione è però alquanto difficile da declinare nei casi concreti, i quali non di rado non sono nemmeno formalizzati in forma scritta. Senza contare che proprio su tale definizione la stessa cassazione ormai da decenni fornisce interpretazioni che non permettono di riconoscere con certezza i limiti di tale fattispecie contrattuale. Se si cerca un aiuto nella prassi un riferimento può essere nella circolare 7 del 07.02.2007 che ha illustrato le regole in tema di ritenute sui corrispettivi dovuti dal condominio all'appaltatore. Anche in questo caso la norma limiti l'ambito di intervento ai corrispettivi «dovuti per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o servizi».
La prassi interpretando questo passaggio (ed estendendo il contenuto letterale della norma) ha affermato che «deve ritenersi che la norma trova applicazione per le prestazioni convenute nei contratti d'opera in generale e, in particolare, nei contratti che comportano l'assunzione, nei confronti del committente, di un'obbligazione avente ad oggetto la realizzazione, dietro corrispettivo, di un'opera o servizio, nonché l'assunzione diretta, da parte del prestatore d'opera, del rischio connesso con l'attività, svolta senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente». Si può non essere d'accordo (il contratto d'opera non è un contratto di appalto) ma certo la posizione della prassi in assenza di indicazioni contrarie deve essere quanto meno considerata.
I privati. Il comma 28-ter prevede che «Le disposizioni di cui ai commi 28 e 28-bis si applicano in relazione ai contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che stipulano i predetti contratti nell'ambito di attività rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto». Ciò ha fatto dire che i privati sono esclusi da tale normativa. In realtà nononostante sia questa la soluzione da preferire sarebbe bene un intervento che elimini qualsiasi dubbio. Infatti fermandosi al testo i dubbi possono esistere. Il committente infatti in base a quanto indicato nel comma 28-bis è responsabile nel caso di irregolari inadempimenti sia dell'appaltatore che del subappaltatore.
Se ipotizziamo una situazione in cui con un committente privato intervengo quali appaltatori e subappaltate due esercenti attività d'impresa, è chiaro che il contratto tra questi ultimi due è concluso «da soggetti che stipulano i predetti contratti nell'ambito di attività rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto». Quindi la norma si applica in tutte le sue parti e anche in quella che prevede una responsabilità sanzionatoria del committente per le irregolarità del subappaltatore. Almeno la prassi elimini in fretta questo dubbio.
I non residenti. Difficile dal testo normativo escludere i non residenti dall'ambito di applicazione. Se l'appaltatore o il subappaltatore (più facilmente) non sono soggetti italiani non vi sono particolari limiti di applicazione. Se ci si ferma al modo Ue difficile ipotizzare che, ad esempio, il subappaltatore che viene a lavorare in una cantiere in Italia non svolga un'attività rilevante ai fini Iva (anche se magari solo nel suo paese). Quindi anche a costoro è da richiedere l'autocertificazione.
Il committente. È fuori di dubbio che anche il committente abbia una responsabilità seppur di natura sanzionatoria. La stessa è riferita alle irregolarità di tutti gli anelli della possibile catena (appaltatore, subappaltatore 1, subappaltatore 2 ecc.). Il comma 28-bis prevede infatti che «il committente provvede al pagamento del corrispettivo dovuto all'appaltatore previa esibizione da parte di quest'ultimo della documentazione attestante (_) Il committente può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all'esibizione della predetta documentazione da parte dell'appaltatore».
Da qui una piccola notizia positiva: il committente ha la possibilità di avere a che fare solo con il committente. È a lui che può richiedere la documentazione attestante la regolarità anche dei subappaltatori e sospendere il pagamento fino al mancato ricevimento di questa da parte dell'appaltatore. D'altra parte spesso capita che il committente non sappia neanche o quanto nemmeno conosce i subappaltatori.
Le sanzioni del committente. C'è un limite alle sanzioni a carico del committente ma nonostante ciò le stesse possono esser sproporzionate. Il comma 28-bis trattando della sanzione a carico del committente si prevede che «ai fini della predetta sanzione si applicano le disposizioni previste per la violazione commessa dall'appaltatore». Quindi deve valere la previsione secondo cui la stessa deve rimanere «nei limiti dell'ammontare del corrispettivo dovuto».
Oltre al dubbio a quale corrispettivo occorre riferirsi nel caso di presenza di subappalto (a quello del contratto di appalto in genere o del singolo subappalto) tale locuzione lascia aperto il rischio della sproporzione. Si pensi a un contratto che prevede corrispettivo di 5 mila euro (con Iva 10%). L'appaltatore non versa 500 euro la sanzione a carico del committente è quella minima che però è di 5 mila euro (10 volte l'importo non versato!!!).
Il settore edile. Giustamente si sta cercando in via interpretativa di limitare l'ambito di applicazione della norma. Torna allora il riferimento al fatto che la norma in questione è contenuta nell'art. 13-ter del dl 83/2012 e precisante nel capo III del provvedimento titolato misure per l'edilizia. Ma questo unico elemento per limitare all'edilizia la nuova previsione non pare decisivo (almeno fino a quando almeno la prassi non dovesse confermare tale soluzione).
Si noti inoltre che la norma è «di passaggio» in questo provvedimento in quanto l'art. 13-ter in questione va a sostituire il comma 28 dell'articolo 35 del decreto-legge 04.07.2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 04.08.2006, n. 248 articolo titolato «Misure di contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale» compreso nel titolo III a sua volta titolato «Misure in materia di contrasto all'evasione ed elusione fiscale, di recupero della base imponibile, di potenziamento dei poteri di controllo dell'Amministrazione finanziaria, di semplificazione degli adempimenti tributari e in materia di giochi» (e qui il riferimento al comparto edile non lo si ritrova più).
Entrata in vigore. La circolare 40 ha affermato che la norma si applica solo per i contratti di appalto e subappalto stipulati a decorrere dal 12 agosto e con riguardo ai pagamenti effettuati dall'11.10.2012 (grazie allo statuto del contribuente).
Una presa di posizione favorevole ma che comporta la necessità di verificare la data di stipula del contratto. Ora nel caso di contratto verbale (fattispecie alquanto comune e che non pare poter essere esclusa dall'ambito di applicazione) non è di certo facile individuare tale data e soprattutto non sarà poi facile in futuro riuscire a provare la stessa (articolo ItaliaOggi Sette del 19.11.2012).

EDILIZIA PRIVATALe istruzioni per accedere al finanziamento previsto dal Conto termico sulle fonti rinnovabili. Energia, case e imprese efficienti. Fondi di 700 mln per chi migliora l'impianto di riscaldamento.
Arriva il conto termico per persone fisiche, condomini e imprese. Uno stanziamento di 700 milioni di euro finanzierà i soggetti privati che effettuano interventi per migliorare le prestazioni termiche dei propri edifici. Mentre altri 200 mln di euro sono a disposizione delle pubbliche amministrazioni.
Il decreto ministeriale congiunto tra sviluppo economico, ambiente e tutela del territorio e del mare e ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali è stato approvato negli scorsi giorni ed è ora al vaglio della conferenza unificata. Una volta pubblicato in Gazzetta Ufficiale potranno essere avviati gli investimenti a seguito dei quali i soggetti interessati potranno richiedere l'erogazione dell'incentivo.
Si tratterà di un contributo che potrà coprire circa il 40% della spesa sostenuta, con dei limiti massimi di potenza, e sarà erogato in un periodo di due o cinque anni a seconda del tipo di intervento. Il soggetto gestore dell'agevolazione sarà il Gse, a cui andranno presentate le domande di accesso all'incentivo. Ai fini dell'accesso agli incentivi, i beneficiari possono avvalersi dello strumento del finanziamento tramite terzi o di un contratto di rendimento energetico ovvero di un servizio energia, anche tramite l'intervento di un fornitore di servizi energetici.
Finanziabili caldaie e solare termico. Il conto termico finanzia interventi di piccole dimensioni di produzione di energia termica da fonti rinnovabili e di sistemi ad alta efficienza, con una potenza massima di 500 Kw (700 mq in caso di solare termico). È possibile ottenere un contributo per la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti di climatizzazione invernale utilizzanti pompe di calore elettriche o a gas, anche geotermiche. Inoltre, è finanziabile la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale o di riscaldamento delle serre esistenti con impianti di climatizzazione invernale dotati di generatore di calore alimentato da biomassa. Infine, l'incentivo sostiene anche l'installazione di collettori solari termici, anche abbinati a sistemi di solar cooling, nonché la sostituzione di scaldacqua elettrici con scaldacqua a pompa di calore.
Ammissibili manodopera, apparecchiature e opere murarie. Per gli interventi impiantistici relativi alla produzione di acqua calda, anche se destinata, con la tecnologia solar cooling, alla climatizzazione estiva sono finanziabili le spese per smontaggio e dismissione dell'impianto esistente, parziale o totale, fornitura e posa in opera di tutte le apparecchiature termiche, meccaniche, elettriche ed elettroniche, nonché delle opere idrauliche e murarie necessarie per la realizzazione a regola d'arte degli impianti organicamente collegati alle utenze. Per gli interventi impiantistici concernenti la climatizzazione invernale, sono invece ammissibili lo smontaggio e dismissione dell'impianto di climatizzazione invernale esistente, parziale o totale, la fornitura e posa in opera di tutte le apparecchiature termiche, meccaniche, elettriche ed elettroniche, delle opere idrauliche e murarie necessarie per la sostituzione, a regola d'arte, di impianti di climatizzazione invernale o di produzione di acqua calda sanitaria preesistenti nonché i sistemi di contabilizzazione individuale. Oltre a quelli relativi al generatore di calore, sono ammessi anche gli eventuali interventi sulla rete di distribuzione, sui sistemi di trattamento dell'acqua, sui dispositivi di controllo e regolazione, sui sistemi di estrazione e alimentazione dei combustibili nonché sui sistemi di emissione. Sono inoltre comprese tutte le opere e i sistemi di captazione per impianti che utilizzino lo scambio termico con il sottosuolo. L'avvio delle spese sarà possibile solo a partire dal giorno successivo all'entrata in vigore del decreto.
Contributo del 50% per la certificazione energetica. Sono ammesse a contributo anche le prestazioni professionali connesse alla realizzazione degli interventi finanziabili e per la redazione di diagnosi energetiche e di attestati di certificazione energetica relativi agli edifici oggetto degli interventi. Infatti, per molti degli interventi finanziati, la normativa richiede la presentazione della relativa certificazione energetica. I soggetti privati possono ottenere un contributo secco del 50% sulle spese per la relativa certificazione.
Rata unica se il contributo è inferiore a 600 euro. Il contributo viene erogato in rate annuali per un periodo di due o cinque anni a seconda della complessità dell'intervento. L'unica possibilità di ottenere immediatamente il contributo spettante è che lo stesso sia inferiore o uguale a 600 euro.
Possibile il cumulo con altri incentivi. L'incentivo può essere cumulato con altri incentivi statali sotto forma di fondi di garanzia, fondi di rotazione e contributi in conto interesse. In caso di incentivi non statali cumulabili, anche se in conto capitale, l'incentivo è attribuibile in misura complementare fino al raggiungimento dei massimali stabiliti, per specifici interventi, o al raggiungimento dell'incentivo che sarebbe stato erogabile per il medesimo intervento senza considerare il cumulo (articolo ItaliaOggi Sette del 19.11.2012).

ENTI LOCALIBilanci. La legge di conversione del Dl 174/2012 prevede la decadenza immediata con nuovi collegi.
Tagliati oltre mille revisori. Niente professionisti nei Comuni che appartengono alle Unioni.
EFFETTI SUI GIOVANI/ Con il riordino tutti i municipi sotto i 5mila abitanti dovrebbero unirsi e si chiuderebbe ogni chance per chi è al debutto.

Il decreto enti locali che dopo il voto della Camera si avvia verso la conversione definitiva in legge al Senato segna l'ennesimo giro di giostra per i revisori dei conti, sia dal punto di vista del numero dei posti in gioco sia da quello dei compiti da svolgere nelle verifiche sui bilanci dei Comuni.
Sul primo versante, la novità più rilevante intervenuta a Montecitorio è rappresentata dal l'abrogazione dello slancio centralista che aveva spinto il Governo a prevedere la scelta ministeriale del presidente del collegio nelle città con più di 60mila abitanti e nei capoluoghi di Provincia (oltre che nelle Province). Con gli emendamenti approvati alla Camera, i collegi tornano a essere completamente composti da commercialisti e revisori legali, senza l'ingresso dei dipendenti ministeriali che avrebbe comportato più di un problema di professionalità, e forse anche di legittimità costituzionale visto che in base al Titolo V gli enti locali sono allo stesso livello dello Stato nell'architettura della Repubblica. Traducendo il tutto in numeri, si tratta di 208 posti "riconquistati" dalla categoria (nelle 99 città con più di 60mila abitanti, nei 29 Comuni capoluogo di Provincia sotto quella soglia e nelle 80 Province che sopravviveranno al riordino).
Ciò che si recupera negli enti più grandi, però, rischia di venir perso, con gli interessi, nei Comuni più piccoli, e sempre per effetto della legge di conversione del decreto sugli enti locali. Il provvedimento cambia infatti la geografia della revisione nelle Unioni di Comuni, introducendo un collegio di tre membri in capo all'Unione che sostituisce il revisore monocratico oggi al lavoro sia nelle Unioni sia negli enti che le compongono. Già oggi le Unioni sono 370 e raccolgono 1.871 Comuni per cui, come ha calcolato per esempio Patrizio Battisti, presidente della commissione enti locali dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Tivoli (Roma), il saldo sarebbe negativo per 1.131 posti. Ma c'è di più: anche nella versione più flessibile scritta nel decreto di luglio sulla revisione di spesa, il riordino dei piccoli enti porterà all'interno di nuove Unioni molti piccoli enti che oggi vivono "in solitudine", con il risultato di ridurre ulteriormente gli spazi per i professionisti che lavorano con la Pa locale.
Non è finita: nei Comuni che già oggi sono aggregati in Unioni, il cambio della guardia dovrebbe essere rapido. Gli emendamenti approvati la scorsa settimana alla Camera stabiliscono infatti che i revisori attuali «decadono» all'atto della costituzione dei nuovi collegi, che vanno formati con il meccanismo dell'estrazione dalle liste regionali introdotto dalla riforma in via di attuazione. In pratica, la norma non prevede nemmeno la fine del mandato dei professionisti attuali, incappando nello stesso errore che caratterizzava la prima versione del taglio-Lanzillotta del 2006 (quello che portò da tre a uno i revisori negli enti fra 5mila e 15mila abitanti) e che fu poi costretto a cedere il passo alle norme ordinarie del Codice civile.
La riscrittura della revisione nei piccoli enti rischia dunque di tornare a infiammare le polemiche sul ruolo dei professionisti nella Pa locale, e di creare più di qualche problema applicativo. Non è solo questione di posti: in linea teorica l'azzeramento dei revisori nei piccoli enti può essere considerato coerente con la struttura delle Unioni future, con il bilancio dell'Unione che diventa il pilastro dei conti locali a scapito del bilancio del singolo ente. Il compito, però, non si presenta facile, anche perché lo stesso decreto sugli enti locali riempie di nuovi compiti l'agenda dei guardiani dei conti comunali all'interno del nuovo sistema dei controlli interni chiamato a verificare oltre agli equilibri finanziari il grado di attuazione dei programmi e a intervenire con «correttivi tempestivi» a correggere i casi di inefficienza.
Ma c'è un ultimo aspetto, che rischia di avere un effetto paradossale. In teoria, la riforma dei piccoli enti dovrebbe aggregare in Unioni tutti i Comuni sotto i 5mila abitanti, che sono però gli unici in cui possono debuttare i revisori al primo incarico secondo la riforma. Se quindi l'eccezione alle Unioni, che consente ai Comuni di legarsi in convenzioni rimanendo però distinti, non fosse seguita da nessuno, non ci sarebbe più una via d'accesso al ruolo di revisore dei conti per chi non ha già altri mandati alle spalle.
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Le novità
01 | NELLE CITTÀ
Cancellata la norma, contenuta nella versione originaria del decreto enti locali, che prevedeva nelle città sopra i 60mila abitanti, nelle Province e nei capoluoghi di Provincia la nomina del presidente dei revisori da parte del Governo, scegliendolo tra i dipendenti ministeriali
02 | NEI PICCOLI COMUNI
Nei Comuni inseriti in Unioni decade il revisore dei conti: la revisione è affidata esclusivamente a un collegio in capo all'Unione, chiamato a controllare i conti della stessa Unione ma anche dei Comuni che la compongono
03 | EFFETTO IMMEDIATO
Si prevede che i revisori decadono all'atto della costituzione dei nuovi collegi
04 | NUOVI REVISORI
Per la riforma i revisori al debutto possono operare solo negli enti fino a 5mila abitanti, dunque la nuova norma rischia di chiudere ogni accesso (articolo Il Sole 24 Ore del 19.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTINuovi compiti. Dopo il recepimento della direttiva Ue. Controlli periodici estesi anche ai tempi di pagamento.
ESAME COSTANTE/ Va rilevato tempestivamente l'emergere di possibili passività non previste a causa degli automatismi sugli interessi di mora.

Dal primo gennaio prossimo, i revisori degli enti locali dovranno preoccuparsi di verificare con maggiore attenzione la dinamica dei pagamenti delle Pubbliche amministrazioni sottoposte al loro controllo.
È questo uno degli effetti –e non certo di poco conto– del recepimento in Italia della Direttiva 2011/7/EU del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16.02.2011, relativa alla «lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali».
Con le modifiche apportate al Dlgs 231/2002, per le operazioni poste in essere dal 01.01.2013, gli enti locali saranno tenuti a onorare i propri impegni di pagamento al massimo entro 60 giorni dal ricevimento della fattura (o da altri particolari, specifici momenti individuati dalla norma). Ogni possibile eccezione a questo adempimento è stata rimossa proprio dalla Direttiva citata, e dal conseguente provvedimento varato dal nostro Governo lo scorso 31 ottobre. La sanzione per l'inadempimento è l'applicazione all'intero importo dovuto (somma scaduta e relative imposte, tasse e altri oneri applicabili) di pesanti interessi di mora (oggi fissati a un tasso di circa il 10% annuo).
Il Testo unico degli enti locali prevede che l'organo di revisione vigili sulla regolarità contabile, finanziaria e –in questo caso– economica della gestione, relativamente all'effettuazione delle spese e all'attività contrattuale, anche con tecniche motivate di campionamento. Pertanto, sarà compito specifico dei revisori effettuare delle verifiche periodiche (anche a campione) sulle modalità con le quali vengono disciplinate –in via contrattuale– le modalità di attribuzioni di penali e risarcimenti per danni subiti da ritardo di pagamento, tenendo a mente che il nuovo testo del Dlgs 231/2002 prevede la nullità di eventuali clausole che stabiliscano l'impossibilità di applicare interessi di mora, che escludano il risarcimento per i costi di recupero o che siano finalizzate a predeterminare o modificare la data di ricevimento della fattura.
Ancora con maggiore attenzione, l'organo di revisione dovrà monitorare la corretta dinamica dei pagamenti, rilevando –ove ne ricorrano i presupposti– i pericoli dell'emersione di passività non preventivate, ovvero quelle legate al l'eventuale necessità di corrispondere i non certo "economici" interessi di mora.
A tal fine, sarà necessario implementare –nei casi, non infrequenti, in cui non sia stato già fatto a cura del responsabile economico finanziario dell'ente– procedure ad hoc che effettuino il monitoraggio costante (e automatico) del decorso dei giorni dal recepimento ufficiale delle fatture passive, di modo da segnalare per tempo l'avvicinarsi del termine massimo per il pagamento (che, per i casi "normali", è addirittura di 30 e non 60 giorni). Tale procedura sarà, ovviamente utile per i "controlli in itinere" –demandati agli uffici dell'ente– ma anche all'organo di revisione che, oggi più di ieri, non potrà esimersi dal rilevare potenziali oneri non previsti, in tutti i casi di sforamento dei tempi massimi.
Bisogna, infatti, al riguardo rammentare che il creditore dell'ente ben potrebbe attivare le procedure giurisdizionali per l'ottenimento degli interessi moratori anche dopo il soddisfacimento del credito residuo e che -dunque- l'ente locale non è al riparo da tale evenienza nemmeno a pagamento effettuato (articolo Il Sole 24 Ore del 19.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

SEGRETARI COMUNALILa petizione. Spoil system, valanga di firme dai segretari.
I segretari comunali scendono in campo e si rivolgono direttamente al Governo per lamentare lo spoil system a cui sono soggetti.

Il fatto degno di nota è che la petizione, circolata in rete nei giorni scorsi (http://petizionepubblica.it) ha già ricevuto la firma di oltre mille sottoscrittori, coinvolgendo quindi circa un terzo dei segretari oggi in attività.
Lo spunto per la presa di posizione è la norma del decreto legge sugli enti locali, confermata con qualche correzione durante la conversione in legge alla Camera, che blinda la figura dei responsabili dei servizi finanziari; con le nuove regole, per revocare l'incarico occorre il riscontro di «gravi irregolarità nell'esercizio delle funzioni», e l'ordinanza di revoca firmata dal sindaco deve ricevere il via libera da parte del collegio dei revisori dei conti (nella versione originale del decreto 174/2012 era addirittura previsto il timbro da parte della Ragioneria generale dello Stato).
«Perché noi no?», si chiedono in sostanza i segretari comunali, che rimarcano la «scarsa considerazione prestata alla figura del segretario, a cui è esplicitamente affidata la direzione dei controlli interni, e che opera oggi in condizione di assoluta precarietà, dato che il suo incarico scade alla scadenza del mandato del sindaco». L'incongruenza agli occhi dei segretari si fa più grave alla luce delle nuove regole scritte nello stesso decreto legge sugli enti locali, che affidano proprio a segretari e responsabili dei servizi finanziari compiti gemelli nel coordinamento dei nuovi controlli interni.
Segretari e ragionieri capo, solo per fare un esempio, devono sovrintendere alle nuove regolazioni di inizio e fine mandato previste per sindaci e presidenti della Provincia, e rispondono personalmente con il dimezzamento dello stipendio per tre mesi se l'adempimento non viene effettuato. Senza «un adeguato sistema di tutela del ruolo -sostengono però i segretari- il potenziamento dei controlli è vanificato nella sostanza» (articolo Il Sole 24 Ore del 19.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOLegge anticorruzione. Forte spinta alla trasparenza delle Pa.
Nomine discrezionali e incarichi extra assegnati in chiaro. Va attestata l'assenza di un conflitto d'interessi.

La legge anticorruzione "stringe" sulla trasparenza delle nomine discrezionali e l'assegnazione di incarichi nella pubblica amministrazione, imponendo una serie di nuovi adempimenti, finalizzati a mettere in chiaro i criteri di scelta e a garantire che l'affidamento di attività extradoveri d'ufficio non generi conflitti di interesse.
Le amministrazioni e le società partecipate devono anzitutto comunicare al dipartimento della Funzione pubblica –tramite organismi indipendenti di valutazione– tutti i dati utili a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle Pa, individuate discrezionalmente dal l'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione. La previsione (articolo 1, comma 39, legge 190/2012) è finalizzata a garantire al meglio la separazione tra indirizzo politico e gestione.
Nella prospettiva invece di ridurre il rischio di potenziali conflitti di interesse, le nuove norme delineano un intervento integrativo nella legge 241/1990, inserendo nella stessa un articolo (il 6-bis) che disciplina la regolazione generale di questa situazione.
La disposizione prevede che il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.
Se la norma incardinata nella legge sul procedimento amministrativo fornisce garanzie per l'azione dei funzionari pubblici in relazione alle attività amministrative, la legge anticorruzione rafforza e rende più stringenti le procedure relative all'autorizzazione di incarichi professionali ai dipendenti pubblici da parte di soggetti privati o pubblici, rimodulando e integrando varie parti dell'articolo 53 del Dlgs 165/2001.
In particolare, il provvedimento con cui l'amministrazione di appartenenza consente al dipendente di svolgere queste attività esterne deve ora contenere l'attestazione dell'avvenuta verifica dell'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. E la linea di tutela si estende anche a un periodo di garanzia successivo all'eventuale cessazione del rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica.
È infatti previsto che i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri.
I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.
La massima responsabilizzazione dei dipendenti pubblici sarà peraltro sostenuta (comma 44) con un nuovo e più articolato codice di comportamento generale, rispetto al quale ciascuna amministrazione definirà un proprio codice integrativo (con la collaborazione dell'organismo indipendente di valutazione) (articolo Il Sole 24 Ore del 19.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVICittadini. L'accesso agli atti è garantito come i diritti sociali e civili. Sul web i bilanci e i costi dei servizi.
La legge anticorruzione ha elevato la trasparenza dell'attività amministrativa a livello essenziale delle prestazioni relative ai diritti sociali e civili in base all'articolo 117 della Costituzione, individuando una serie di adempimenti che permettano ai cittadini conoscere le dinamiche operative delle Pa.
Prima di tutto, vanno pubblicate le informazioni sui procedimenti amministrativi, in modo tale da risultare facilmente accessibili e semplici da consultare. Nel sito entrano poi i bilanci e i conti consuntivi, così da rendere operativo il principio di pubblicità previsto per questi documenti dall'articolo 151 del Tuel.
Ampia evidenza va fornita anche ai costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche, in base a un modello schematico che dovrà essere approvato dall'Authority appalti. E, allo stesso modo, vanno resi pubblici i costi unitari di produzione dei servizi erogati ai cittadini, così come avviene oggi per solo i servizi a domanda individuale (peraltro in relazione alla percentuale di copertura con le tariffe).
Per garantire appieno l'accessibilità ai cittadini, la pubblicizzazione deve riguardare alcuni particolari tipi di documenti e dati: i provvedimenti di autorizzazione e di concessione, le informazioni sulla scelta dei contraenti e sulle modalità selettive per gli appalti pubblici, le concessioni di erogazioni e contributi, le informazioni sui concorsi e le prove selettive del personale. Si tratta peraltro di atti che, in forme diverse, hanno già percorsi di pubblicizzazione strutturata, come ad esempio l'albo dei beneficiari di contributi e di benefici economici o gli avvisi di post-aggiudicazione degli appalti.
La legge anticorruzione prevede anche norme specifiche sulla gestione dei procedimenti amministrativi. Scatta infatti l'obbligo di monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle anomalie: i risultati del monitoraggio devono essere resi consultabili nel sito web.
Ogni amministrazione deve anche rendere noto almeno un indirizzo di Pec al quale i cittadini possono inviare le istanze dei procedimenti e ricevere informazioni sull'attività amministrativa che li riguarda. Questo profilo si correla alle previsioni che rendono obbligatoria la messa a disposizione dei cittadini di strumenti telematici e informatici per accedere ai provvedimenti e ai procedimenti amministrativi che li riguardano, comprese quelle relative allo stato della procedura e ai tempi.
La formalizzazione delle decisioni delle Pa va garantita anche in caso di istanze manifestamente irricevibili, inammissibili, improcedibili o di domande infondate: in tutte queste ipotesi vanno prodotti provvedimenti espressi, redatti in forma semplificata, con una motivazione che può consistere in un sintetico riferimento all'elemento ritenuto risolutivo (articolo Il Sole 24 Ore del 19.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIGare. Arbitrati solo se autorizzati dalla giunta. Appalti tracciabili a tutto campo sui siti istituzionali.
Gli appalti vanno pubblicizzati in modo specifico con informazioni sulle procedure, sugli affidatari e sui tempi di realizzazione, mentre il ricorso agli arbitrati va motivato e autorizzato dall'organo di governo dell'ente.
La legge anticorruzione prevede che le amministrazioni aggiudicatrici rendano disponibili in forma semplificata molte informazioni relative alla scelta del contraente e alla procedura selettiva. Le stazioni appaltanti hanno un obbligo specifico di pubblicazione, sui propri siti istituzionali, dei dati relativi al l'oggetto della gara, all'elenco degli operatori invitati a presentare offerte, all'aggiudicatario e all'importo di aggiudicazione. Lo stesso pacchetto informativo deve evidenziare i tempi di completamento dell'opera, del servizio o della fornitura, nonché l'importo delle somme liquidate. Entro il 31 gennaio di ogni anno, queste informazioni, relative alle gare dell'anno precedente, vanno pubblicate in tabelle riassuntive, liberamente scaricabili.
Una selezione di queste informazioni va trasmessa all'Authority degli appalti (che determinerà quelle rilevanti con proprio provvedimento), che le pubblica nel proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini e che è tenuta a trasmettere alla Corte dei conti (entro il 30 aprile di ogni anno) l'elenco delle amministrazioni che non hanno adempiuto all'obbligo informativo (passibili di rilevanti sanzioni).
La legge delinea un quadro di maggior trasparenza anche per gli arbitrati sulle controversie derivanti dai contratti di appalto. Il ricorso agli arbitri, infatti, va motivato e autorizzato dalla giunta. L'inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell'avviso di gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito, o il ricorso all'arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli (comma 19).
La nuova disciplina degli arbitrati (che si applica anche agli appalti delle società partecipate, ma che non riguarda quelli conferiti prima dell'entrata in vigore della legge) prevede che la nomina degli arbitri avvenga nel rispetto dei principi di pubblicità e di rotazione, nonché di quelli previsti dal codice dei contratti pubblici.
Le Pa devono nominare come arbitro preferibilmente un dirigente pubblico, prevedendo il compenso massimo. Qualora non sia possibile individuarlo tra i dirigenti pubblici, può essere nominato un altro soggetto, secondo le procedure del Dlgs 163/2006 e con provvedimento motivato.
Sul piano procedurale, la legge anticorruzione contiene una specificazione dei reati contro la pubblica amministrazione che costituiscono causa ostativa a contrattare.
Le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara.
Proprio per potenziare il contrasto all'influenza delle organizzazioni criminali sugli appalti, la legge prevede (commi 52-56) la costituzione presso le prefetture di elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a infiltrazioni mafiose (white list), con riferimento alle attività a rischio (articolo Il Sole 24 Ore del 19.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 19.11.2012

EDILIZIA PRIVATAUn container come casa è abusivo.
Il container trasformato in monolocale fissato solidamente al suolo rappresenta una edificazione e pertanto necessità sempre di licenza edilizia per essere realizzato. E a nulla rileva che al singolare manufatto siano state applicate ruote atte a dimostrarne una possibile manovrabilità e trasportabilità.
Lo ha chiarito il Consiglio di Stato, Sez. I, con il parere n. 3727/2012.
Sono frequenti le installazioni precarie di roulotte, rimorchi e container trasformate in dimore stabili magari con semplici accorgimenti di fortuna atti anche a simularne un uso temporaneo. Nel caso sottoposto all'esame del collegio un comune ha disposto la demolizione di un container monoblocco, munito di ruote, adibito abusivamente a civile abitazione.
Contro questa severa determinazione l'interessato ha proposto ricorso straordinario al presidente della repubblica con conseguente interessamento dei giudici di palazzo Spada per il prescritto parere. Il collegio non ha dubbi. Un container monoblocco posizionato su blocchi di lapillo in un'area interamente pavimentata di circa 200 mq rappresenta un evidente abuso edilizio. Anche se nella parte inferiore del manufatto sono state applicate delle ruote.
In particolare come risulta agli atti del comune il manufatto è abusivo perché realizzato senza alcun titolo abilitativo. Il container collegato al suolo deve infatti essere considerato al pari di una qualsiasi struttura fissa adibita ad abitazione realizzata senza i necessari titoli abilitativi (articolo ItaliaOggi del 17.11.2012).

APPALTIPagamenti sprint ai professionisti. Le p.a. dovranno saldare entro 30 giorni dalla parcella. Il dlgs 192 tutela non solo le imprese ma anche tutti gli esercenti una libera professione.
Pagamenti certi ai professionisti che lavorano con la pubblica amministrazione. Dal 01.01.2013 le parcelle dovranno essere onorate entro 30 giorni al massimo dal momento in cui la p.a. le riceve. Oltre questo termine inizieranno a decorrere gli interessi (senza necessità di un apposito atto di costituzione in mora) che passeranno dal 7 all'8%, oltre al tasso fissato dalla Bce per le operazioni di rifinanziamento. Solo in casi eccezionali i termini di pagamento potranno allungarsi a 60 giorni.
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di giovedì (n. 267 del 15 novembre) del dlgs n. 192/2012 che recepisce la direttiva Ue contro i ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali, anche i professionisti, e non solo le imprese, potranno contare su una corsia preferenziale per incassare i loro onorari.
Il provvedimento riformula infatti il concetto di pubblica amministrazione, estendendo le novità a tutti i soggetti che rientrano nella disciplina del codice appalti (dlgs 163/2006).
E i diretti interessati, che spesso si trovano a dover fronteggiare situazioni di carenza di liquidità a causa dei ritardati pagamenti, festeggiano per l'arrivo di un provvedimento che «colma l'ennesima lacuna normativa che fino ad oggi ha penalizzato il lavoro dei professionisti». «Il decreto», ha commentato Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, «va nella stessa direzione a cui Confprofessioni lavora da mesi richiedendo l'estensione ai professionisti del diritto di compensare i crediti con la p.a.». «Il ritardo nei pagamenti», ha osservato Stella, «è un grosso problema che coinvolge le pmi, ma soprattutto i professionisti che lavorano con la pubblica amministrazione e con le imprese».
Le regole
Il provvedimento, approvato dal consiglio dei ministri il 31 ottobre scorso (si veda ItaliaOggi del 02/11/2012) stabilisce regole differenti a seconda che si tratti di transazioni tra imprese o tra la p.a. e un soggetto privato (impresa o professionista).
Nel primo caso il decreto consente comunque alle parti di concordare un termine di pagamento superiore a 30 giorni. E anche superiore a 60 giorni se l'estensione temporale è stata sottoscritta in forma espressa e non è gravemente iniqua per il creditore.
Nella seconda ipotesi, il termine di pagamento dovrà essere di regola non superiore a 30 giorni. Potrà arrivare fino a un massimo di 60 giorni se il debitore è un'impresa pubblica o un ente pubblico che fornisce servizi sanitari (Asl, ospedali). In questo caso, le parti potranno concordare, in forma espressa, di andare oltre i 30 giorni per il pagamento, se la dilazione è oggettivamente giustificata dalla natura o dall'oggetto del contratto o da particolari circostanze esistenti al momento della stipula.
Ma la dead-line per onorare gli impegni non potrà mai superare i 60 giorni. Decorsa inutilmente tale scadenza scatteranno gli interessi di mora (8% più il tasso Bce) a cui dovrà essere aggiunta una somma forfettaria di 40 euro da aggiungere all'importo dovuto al creditore a titolo di rimborso per le spese di recupero.
La decorrenza
Nonostante il termine per recepire la direttiva europea 2011/7/Ue sia fissato al 16.03.2013, la nuova disciplina si applicherà alle transazioni commerciali concluse a partire dal 01.01.2013. Quindi in anticipo rispetto alla scadenza prevista, in considerazione dell'importanza della materia e della necessità di garantire in questo periodo di crisi un'iniezione di liquidità indispensabile per professionisti e imprese.
Le nuove regole non si applicheranno retroattivamente ai contratti già conclusi, ma soltanto a quelli futuri. I destinatari delle nuove norme avranno, dunque, sufficiente tempo per adeguare la modulistica contrattuale e le procedure interne di pagamento (articolo ItaliaOggi del 17.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOPermessi. Disabili, istanze web per i privati.
Le modalità di presentazione delle domande di permessi per assistenza ai familiari portatori di handicap (ex art. 33, legge n. 104/1992), che dal 01.10.2012 (circolare n. 117/2012) devono essere presentate esclusivamente in modalità telematica, attraverso il web, i patronati o il contact center multicanale, valgono solo per i dipendenti del settore privato e non anche per i pubblici iscritti all'ex Inpdap.
Lo precisa l'Inps con il messaggio 15.11.2012 n. 18728.
A tal riguardo, sottolinea l'ente di previdenza, è stata innovata solo la modalità di presentazione della domanda e non anche l'ambito soggettivo degli utenti tenuti a presentare all'Istituto l'istanza medesima. Pertanto, l'obbligo di invio telematico riguarda esclusivamente la generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato e non i soggetti titolari di un rapporto di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, con copertura assicurativa presso la gestione ex Inpdap.
Infatti, conclude la nota, competente alla concessione di tali benefici per il personale in questione è esclusivamente il datore di lavoro, cui fa carico il relativo onere economico (articolo ItaliaOggi del 17.11.2012).

APPALTICrediti e Pa. Gli effetti del decreto pubblicato l'altro ieri. Ritardi nei versamenti con super-interessi.
Dopo le prime rassicurazioni sui lavori pubblici, arriva anche la soddisfazione dei professionisti per gli effetti che le nuove regole sulle transazioni commerciali scritte nel Dlgs 192/2012, pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» di giovedì, avranno sul calendario dei pagamenti delle loro parcelle. «Finalmente non saremo più costretti ad attendere mesi e mesi per vederci onorata la nostra prestazione –spiega Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni–. Con la pubblicazione del decreto, si colma l'ennesima lacuna normativa che fino a oggi ha penalizzato il lavoro dei professionisti».
Più incertezze si registrano invece nelle Pubbliche amministrazioni e soprattutto in quelle territoriali, dove si concentra una fetta maggioritaria dei 100 miliardi a cui secondo le ultime stime sono arrivati i mancati pagamenti alle imprese da parte degli uffici pubblici. Per loro non sarà più possibile derogare al termine dei 30-60 giorni e, soprattutto, post-datare la fattura o addirittura prevedere per contratto la rinuncia agli interessi di mora.
Ed è proprio il nodo degli interessi, inaspriti rispetto alle vecchie regole fino a farli arrivare a un tasso che a valori attuali sfiora il 10%, a rappresentare l'aspetto essenziale delle novità.
In molti casi, infatti, l'obbligo di onorare la fattura entro due mesi è destinato a rimanere lettera morta, al pari delle regole sui tempi di pagamento che l'hanno preceduto. L'ostacolo più importante continua a essere rappresentato dal Patto di stabilità, che è all'origine di molti dei ritardi accumulati da Comuni e Province e che nel 2013 è destinato a pesare sul tema per una duplice ragione. Il Patto blocca in particolare i pagamenti delle spese in conto capitale, dopo aver lasciato liberi gli impegni (quindi gli stanziamenti) e aver in questo modo esaltato i difetti di programmazione di molte amministrazioni locali.
I vincoli continueranno a esistere nel 2013, inaspriti dalla stretta ulteriore sui bilanci locali, e si riproporranno anche per il monte delle certificazioni dei crediti avviate dai decreti dell'Economia varati quest'estate e corretti ai primi di novembre: gli arretrati certificati in questi mesi, infatti, vanno pagati entro l'anno e rientrano in pieno nei plafond lasciati dal Patto di stabilità, che di conseguenza saranno "occupati" anche dall'arrivo a scadenza dell'onda delle certificazioni.
A stoppare i pagamenti non in regola con il Patto di stabilità ci sono anche le sanzioni a carico dei funzionari che firmano atti di spesa e che, di conseguenza, nella loro attività si trovano spesso a dover decidere quale legge non rispettare: quella che impone tempi certi di pagamento e quella che vieta di sforare il Patto. A far pendere la bilancia del rispetto verso la seconda norma sono proprio le sanzioni a carico dei funzionari, che possono essere chiamati a rispondere per la responsabilità disciplinare e amministrativa se danno il via libera ai pagamenti fuori plafond.
Nel nuovo quadro normativo, però, anche la formazione di interessi di mora, che sono destinati a pesare in misura rapidamente crescente sui bilanci dell'ente, potrebbero finire per rappresentare la base di un'ipotesi di danno erariale se il mancato pagamento non poggia su giustificazioni oggettive. Il disallineamento fra dinamica degli impegni e tasso di pagamenti può essere risolto solo a medio termine, se gli obblighi di programmazione introdotti dalle norme degli ultimi mesi avranno un'applicazione effettiva e generalizzata, ma nel frattempo il rebus rimane insoluto.
Rimangono, poi, i problemi cronici e crescenti delle casse, che oltre a Comuni e Province riguardano molte aziende sanitarie, in particolare nel Mezzogiorno. Un quadro, questo, in cui si innestano anche le regole sulla tesoreria unica, che sottraggono la liquidità al controllo diretto dell'ente (articolo Il Sole 24 Ore del 17.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIPagamenti commerciali in 30 giorni.
Dall'01.01.2013 termini certi di pagamento nelle transazioni commerciali: di norma 30 giorni, che non possono comunque superare i 60, consentiti solo in casi eccezionali. E scatta una maggiorazione del tasso degli interessi legali moratori, che passa dal 7% all'8% in più rispetto al tasso fissato dalla Bce per le operazioni di rifinanziamento.
Lo prevede il decreto legislativo 09.11.2012, n. 19, recante «Modifiche al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/Ue relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11.11.2011, n. 180», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 267 di ieri.
Come spiegato in una nota della presidenza del Consiglio dei ministri dopo il varo del provvedimento, avvenuto il 31 ottobre scorso, l'approvazione del decreto legislativo che recepisce la direttiva 2011/7/Ue sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra imprese, e tra pubbliche amministrazioni e imprese, attua la delega conferita al Governo con l'articolo 10 della legge n. 180 del 2011 (Statuto delle imprese).
Nonostante il termine per il recepimento della direttiva sia fissato al 16.03.2013, il governo ha voluto provvedere ad una sua attuazione anticipata dal 01.01.2013 in considerazione della importanza della normativa nonché dell'opportunità peculiare di garantire, in questo momento, le imprese e più specificatamente le piccole e medie imprese.
 Per quanto riguarda i rapporti tra imprese, come detto, il decreto legislativo dispone un regime rigoroso stabilendo che il termine di pagamento legale sia di 30 giorni e che termini superiori a 60 giorni possano essere previsti solo in casi particolari e in presenza di obiettive giustificazioni.
La disciplina del decreto legislativo si applicherà ai contratti conclusi a partire dal 01.01.2013. Le pubbliche amministrazioni e le imprese avranno così il tempo per adeguarsi alle nuove norme e per adottare procedure operative e contabili più funzionali a prassi di pagamento rapido (articolo ItaliaOggi del 16.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATAColonnine di ricarica anche sulle aree pubbliche.
La ricarica dei veicoli elettrici può essere assimilata a un classico rifornimento di carburante con una tempistica più allungata. In attesa di una disciplina ad hoc per queste particolari esigenze sarà necessario individuare le aree con idonea segnaletica orizzontale bianca apponendo anche il classico simbolo del rifornimento.

Lo ha chiarito il ministero dei trasporti con il parere n. 5253/2012.
Un progettista ha richiesto chiarimenti sulla possibilità di realizzare stalli di sosta di colore giallo destinati al posteggio dei veicoli elettrici presso colonnine di ricarica. A parere del ministero questi impianti sono realizzabili essendo assimilabili alle normali aree di servizio che sono definite dal codice come pertinenze di servizio, ma non possono essere di colore giallo, stante la peculiarità degli spazi colorati disciplinati dall'art. 7 del codice. Anche se mancano i criteri di localizzazione e gli standard dimensionali richiesti specificamente per i nuovi impianti dall'art. 60 del regolamento stradale sono tante le disposizioni di dettaglio che possono assistere il progettista.
Per esempio in ambito urbano gli accessi agli impianti devono rispondere ai requisiti dei passi carrabili, secondo l'art. 61 del regolamento. In pratica la ricarica delle batterie dei veicoli elettrici può essere assimilata al rifornimento dei veicoli tradizionali. La maggior durata della sosta può complicare la questione anche in relazione alle disposizioni normative in materia di occupazione della sede stradale. In attesa di un provvedimento ad hoc la progettazione di questi manufatti può comunque seguire alcuni indirizzi applicativi.
Gli stalli di sosta riservati di colore bianco saranno evidenziati agli utenti e in ambito urbano sarà possibile anche occupare marciapiedi, a condizione di mantenere libero uno spazio minimo di sicurezza per la circolazione. Per la segnaletica verticale occorrerà utilizzare un pannello composito con divieto di sosta generale eccetto i veicoli elettrici in ricarica. In buona sostanza un pannello integrativo indicherà il periodo di validità delle prescrizioni e la rimozione coatta per i trasgressori, con eccezione dei veicoli elettrici in ricarica.
A ogni modo, conclude il parere centrale, risulterà difficile sanzionare i veicoli che stazionano nella zona riservata oltre al tempo necessario per la ricarica (articolo ItaliaOggi del 16.11.2012).

SEGRETARI COMUNALIPetizione online per chiedere maggiori tutele. Segretari comunali contro lo spoils system.
La recente riforma dei controlli sugli enti locali ha introdotto un'efficace e più penetrante forma di controllo sulla attività amministrativa dell'ente locale che però non tiene conto della delicata posizione che occupa il segretario comunale all'interno dell'ente.
Per questo la categoria ha promosso la sottoscrizione di una petizione online, che ha già riscosso grande adesione, per sottolineare lo stato di disagio nel quale si trovano.
Il governo, consapevole del grave problema dell'imparzialità dei vertici amministrativi, ha ritenuto di blindare la posizione del responsabile del servizio finanziario.
Ai sensi del dl 174/2012 approvato martedì dalla camera dei deputati, l'incarico di responsabile del servizio finanziario di cui all'articolo 153, comma 4, può essere revocato esclusivamente in caso di gravi irregolarità riscontrate nell'esercizio delle funzioni assegnate. La revoca è disposta con ordinanza del legale rappresentante dell'ente, previo parere obbligatorio del collegio dei revisori dei conti. La commissione bilancio di Montecitorio ha così modificato il testo originario del decreto legge che subordinava la revoca a un duplice parere del ministero dell'interno e del ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello stato. Una modifica che, secondo i segretari comunali, non cambia la ratio della norma.
«È evidente che il governo», si legge nella petizione online, «per non vedere vanificata la ratio della nuova previsione, ha tutelato il responsabile del servizio finanziario da ipotesi distorsive di revoca immotivata da parte del sindaco, frequenti purtroppo nell'attuale sistema di spoils system che attribuisce poteri illimitati agli organi politici anche degli enti locali».
«Scarsa considerazione in questo senso, però, è stata prestata alla figura del segretario, a cui viene esplicitamente affidata la direzione dei controlli interni, e che, si rammenta, opera oggi in condizione di assoluta precarietà, dato che il suo incarico scade alla scadenza del mandato del sindaco».
«Incongruenza oggi ancora più evidente», proseguono, «con le nuove funzioni che il disegno di legge anticorruzione attribuisce al segretario, affidandogli nella sua qualità di dirigente generale dell'ente locale il compito e il ruolo di responsabile del piano anticorruzione nell'ente locale».
«I segretari», conclude il testo della raccolta firme, «chiedono dunque la revisione del sistema di nomina del segretario, eliminando l'attuale spoils system per salvaguardare la sua imparzialità e il corretto svolgimento del suo delicato ruolo, ritenendo indispensabile, in primo luogo, eliminare la scadenza automatica dell'incarico del segretario nell'ente locale alla scadenza del mandato del sindaco. Tale sistema oggi rimette alla mera discrezionalità politica la prosecuzione dell'operato del segretario nell'ente; i segretari, inoltre, ritengono necessario introdurre un adeguato sistema di tutela del loro ruolo per non vanificare nella sostanza il potenziamento dei controlli che oggi appare necessario».
«La petizione», viene spiegato, «è assolutamente laica, non ha alcuna connotazione sindacale e, allo stato attuale, ha già superato 1.000 sottoscrittori».
Per consultare e aderire alla petizione: http://petizionepubblica.it (articolo ItaliaOggi del 16.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLa stima dei dipendenti in eccesso non può essere direttamente legata agli accorpamenti geografici. Esuberi al buio nelle province. Da gennaio rischiano dirigenti a contratto e staff delle giunte.
Impossibile allo stato una stima realistica degli esuberi nelle province. A rischiare, nell'immediato, sono solo i dirigenti a contratto e il personale di staff alle giunte. Ma i numeri circolati in questi giorni sugli esuberi potenziali non sembrano affidabili.
Esuberi potenziali. Sono circolate stime di circa 12 mila dipendenti provinciali in potenziale esubero.
Su un totale di circa 57 mila dipendenti la cifra corrisponderebbe al 21%, quasi un quarto del totale. Non sembra, oggettivamente, giustificabile una valutazione di un potenziale esubero di un quarto dei dipendenti pubblici di un intero sistema locale.
La stima appare viziata dall'impostazione su cui si fonda: considerare potenzialmente in esubero tutti i dipendenti delle province non in possesso dei requisiti per rimanere nell'ordinamento e, dunque, destinate ad accorparsi con altre.
Non sembra, tuttavia, corretto far corrispondere ad accorpamenti meramente geografici, come quelli previsti dal dl 188/2012, l'automatico stato di esubero dei dipendenti delle province obbligate all'accorpamento.
Si tratta di valutazioni influenzate dal vizio principale della riforma voluta dal governo: guarda quasi solo agli aspetti dei confini geografici e della costituzione degli organi politici, senza curarsi troppo delle funzioni che vengono gestite dalle province.
È evidente che lo stato di esubero non ha alcuna diretta e immediata conseguenza dall'accorpamento geografico. Attività che per loro natura debbono essere svolte in modo diffuso nel territorio, come i servizi per il lavoro, la manutenzione delle strade e degli edifici scolastici, la vigilanza, l'ambiente, la formazione, non sono intaccate dall'accorpamento, perché, salvo razionalizzazioni possibili, restano aggregate al territorio.
In effetti, solo una volta completato il processo di accorpamento, le province «nuove» potranno condurre una seria ricognizione dei fabbisogni, ai sensi dell'articolo 33 del dlgs 165/2001 e sulla base di questa verificare se vi siano o meno esuberi. Si tratta di un processo il cui esito non appare stimabile, e rispetto al quale 12 mila dipendenti sono oggettivamente spropositati, se si considera che nell'intera compagine statale la Funzione pubblica ha stimato meno di 5 mila esuberi.
Il nodo è, semmai, capire quali funzioni e competenze resteranno alle province, perché poi si potrebbe porre un problema di esubero indotto dalla sottrazione di tali funzioni e di trasferimento dei dipendenti verso comuni o regioni.
Personale in staff e dirigenti a contratto. Nell'immediato, invece, e cioè a partire dal 01.01.2013 un gruppo consistente di dipendenti provinciali si troverà oggettivamente in esubero.
È l'intero sistema dei componenti degli «staff» degli organi di governo. La cancellazione delle giunte determinerà certamente l'assenza immediata di attività lavorative nei riguardi di tali staff e l'attivazione delle procedure dell'articolo 33 del dlgs 165/2001.
Molto di tale personale, però, è assunto con contratti flessibili e a tempo determinato. L'articolo 90 del dlgs 267/2000 stabilisce che possono essere costituiti uffici di staff «posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori». È chiaro che gli uffici di diretta collaborazione della giunta e degli assessori non avranno più alcuna operatività. I dipendenti in staff a tempo determinato, dunque, perderanno a loro volta la giustificazione della loro presenza in servizio, a meno che non possano essere reimpiegati in altre attività. Occorrerà dare anche uno sguardo alla causale di assunzione, ma anch'essi si trovano in condizione di eccedenza potenziale rispetto ai fabbisogni.
L'articolo 33 del dlgs 165/2001 è tarato solo per i dipendenti di ruolo. Non si deve, tuttavia, scartare l'ipotesi del licenziamento individuale di stampo privatistico, per chiusura di un'attività specifica.
Analogo problema riguarda i dirigenti a contratto. Quelli assunti in staff (combinando l'articolo 110 e l'articolo 90 del Tuel) vanno incontro alla stessa problematica sorte del personale delle segreterie. Nelle province in cui vi siano i commissari per accompagnare l'accorpamento, vi sarà la conclusione del mandato e dunque la scadenza ex lege degli incarichi (articolo ItaliaOggi del 16.11.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALIOSSERVATORIO VIMINALE/ I poteri del primo cittadino sono limitati alle ordinanze contingibili e urgenti. Viabilità, decide il dirigente. La gestione ordinaria non spetta più al sindaco
Il comandante della polizia municipale può adottare un'ordinanza con la quale si apportano modifiche alla viabilità urbana?

Il Piano urbano del traffico (Put) –da cui dovrebbero derivare le eventuali modificazioni alla viabilità– secondo quanto previsto dall'art. 36, comma 5, del Codice della strada viene aggiornato ogni due anni. Il predetto Put, essendo uno strumento di programmazione e, dunque, a valenza generale, è demandato all'approvazione degli organi collegiali del comune.
Occorre tenere presente, tuttavia, che l'art. 107, comma 5, del dlgs n. 267/2000 prevede che «le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I, titolo III, (consiglio, giunta e sindaco) l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54» dello stesso decreto legislativo.
Pertanto, le competenze assegnate, in particolare dal codice della strada, al sindaco (fuori dei casi di cui ai citati articoli 50 e 54 del dlgs n. 267/2000) si intendono oggi demandate al dirigente.
Sul punto la giurisprudenza (Tar Lombardia, sentenza n. 13/01/2003, n. 904) ha specificato che «al di fuori dei provvedimenti contingibili e urgenti, il sindaco non può adottare un'ordinanza in materia di viabilità ordinaria, esercitando altrimenti un atto di gestione che compete in via esclusiva al dirigente».
In particolare il Tar Lombardia –sezione di Brescia– con la sentenza 08.01.2011, n. 10 ha ribadito tale principio, affermando che l'art. 7 del codice della strada, che assegna al sindaco il potere di regolamentare la circolazione dei veicoli, va coordinato con la posteriore norma del già citato art. 107.
La competenza del sindaco in tema di limitazioni della circolazione deve, quindi, ritenersi attratta nella competenza propria del dirigente di settore, in quanto si tratta di funzioni di gestione ordinaria (articolo ItaliaOggi del 16.11.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ La modifica del simbolo.
In assenza di una specifica disciplina statutaria e regolamentare, un gruppo consiliare di opposizione può modificare o sostituire il simbolo col quale la lista si era presentata al corpo elettorale?

La materia concernente la costituzione dei gruppi consiliari è interamente demandata allo statuto e al regolamento del consiglio, nell'ambito della propria autonomia funzionale ed organizzativa (art. 38, comma 3, dlgs n. 267/2000).
Ne deriva che le problematiche relative alla costituzione e al funzionamento dei gruppi consiliari dovrebbero essere valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui l'ente locale si è dotato. Pertanto soltanto il consiglio comunale, nella sua sovranità e in quanto titolare della competenza a dettare le norme cui uniformarsi in tale materia, è abilitato a fornire un'interpretazione autentica delle norme statutarie e regolamentari, pronunciandosi in merito a quanto richiesto.
Nel caso di specie, se lo statuto comunale e il regolamento non dettano specifiche disposizioni in materia ma prevedono che i consiglieri si costituiscano «di regola» nei gruppi individuati nelle liste che si sono presentate alle elezioni e stabiliscono che i consiglieri possano costituire gruppi non corrispondenti alle liste elettorali nelle quali sono stati eletti, sembra di poter ritenere ammissibile la facoltà di operare variazioni all'interno degli schieramenti che possono, dunque, non corrispondere alla composizione scaturente dalle elezioni.
Il principio generale del divieto di mandato imperativo sancito dall'art. 67 della Costituzione, pacificamente applicabile ad ogni assemblea elettiva, assicura ad ogni consigliere l'esercizio del mandato ricevuto dagli elettori, pur conservando verso gli stessi la responsabilità politica, con assoluta libertà, ivi compresa quella di far venir meno l'appartenenza dell'eletto alla lista o alla coalizione di originaria appartenenza (Tar Trentino-Alto Adige, sez. di Trento sent. n. 75 del 2009)
In linea con il principio generale secondo cui, all'elemento «statico» dell'elezione in una lista si sovrappone quello «dinamico», fondato sull'autonomia politica dei consiglieri, sono da ritenere in genere ammissibili anche eventuali mutamenti, all'interno delle forze politiche, che comportano altrettanti cambiamenti nei gruppi consiliari.
Pertanto, la denominazione dei gruppi consiliari, con eventuale variazione dei simboli (contrassegni) a cui tali gruppi fanno riferimento, in assenza di una specifica disposizione statutaria o regolamentare, appare rientrare nelle scelte proprie delle formazioni politiche presenti in consiglio (articolo ItaliaOggi del 16.11.2012).

LAVORI PUBBLICIDebiti della Pa. La direttiva europea scatterà dal primo gennaio 2013. Tajani: lavori pubblici inclusi nel decreto sui pagamenti.
ARRIVA UNA CIRCOLARE/ Il chiarimento è allo studio dello Sviluppo economico Il ritardo nel saldare le fatture penalizza soprattutto le piccole aziende.

«Nessuna eccezione: il decreto che ha appena recepito la direttiva europea sui tempi di pagamento deve valere per tutti i settori, compresi i lavori pubblici e l'edilizia».
Il vicepresidente della Commissione Ue e responsabile dell'Industria, Antonio Tajani, prova a fare chiarezza una volta per tutte sulle nuove regole che scatteranno dal prossimo 1 gennaio e che in particolare vincolano la pubblica amministrazione a pagare i propri fornitori entro 30 giorni o al massimo 60 in alcuni casi specifici.
Le parole di Tajani –presente ieri a Roma all'incontro «Restart the system. Ripensiamo lo sviluppo», promosso da Methos in collaborazione con Archi's Comunicazione e Studio Valla– confermano quanto lo stesso vicepresidente Ue ha scritto in una lettera inviata mercoledì scorso al presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti. Proprio l'Ance era primo firmatario di un «position paper» firmato anche dalle altre associazioni imprenditoriali delle costruzioni che sollecitava un chiarimento del Governo italiano e della commissione sull'inclusione dei lavori pubblici nell'ambito di applicazione del Dlgs 191/2012 (pubblicato ieri in Gazzetta) che recepisce la direttiva 2011/7.
A provare a sgomberare il campo dai dubbi è stato anche il viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Mario Ciaccia, che ieri ha voluto «tranquillizzare» il mondo delle costruzioni: «Io credo che la direttiva europea che impone alla pubblica amministrazione di pagare in tempi brevi e certi coloro che hanno fatto prestazioni di lavoro, riguarda tutti i settori». Una dichiarazione, questa, apprezzata dall'Ance: «È il segnale che volevamo sentire», ha affermato Buzzetti che ha avvertito di voler continuare a vigilare nei «prossimi giorni» affinché «non ci sia nessun dubbio sull'applicazione del decreto anche al nostro settore».
A preoccupare i costruttori è soprattutto il fatto che il testo del decreto non si riferisca esplicitamente ai lavori pubblici. Un mancato richiamo che però non significa l'esclusione dalle nuove regole: così almeno spiegano i tecnici del ministero degli Affari europei, guidato da Enzo Moavero, che ha coordinato il lavoro di messa a punto del testo. Ma, vista la delicatezza della materia, nei prossimi giorni potrebbe arrivare un chiarimento ufficiale del ministero dello Sviluppo economico attraverso una circolare.
Quella dei ritardi nei pagamenti del resto è da sempre un'emergenza, soprattutto in questa fase in cui le imprese sono a corto di liquidità. In particolare, a essere penalizzate sono le piccole aziende, costrette ad aspettare in media circa 180-190 giorni per essere pagate (anche la Grecia fa meglio: 174 giorni), con punte record al Sud dove si superano anche i 1.500 giorni.
Da qui l'attesa per i nuovi paletti europei che, come detto, fissano a 30 giorni il termine ordinario che la Pa deve rispettare per pagare. Anche se ci saranno delle deroghe: in particolare per asl, ospedali e imprese pubbliche che possono portare a 60 giorni il termine massimo. Ma anche tutte le altre Pa potranno accedere a questa proroga nel caso "eccezionale" in cui sia giustificata «dalla natura o dall'oggetto del contratto» oppure dalle «circostanze esistenti al momento della sua conclusione».
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LE NOVITÀ
Pagamenti entro 30 giorni
   Dal 01.01.2013 la Pa dovrà pagare i fornitori entro 30 giorni dal ricevimento della fattura da parte dell'ente debitore o, quando non è certa la data di arrivo della fattura, dalla consegna della merce o dalla data di prestazione dei servizi
Le deroghe
   Sono previste deroghe a 2 mesi per le imprese pubbliche e per gli enti (Asl e ospedali) che forniscono assistenza sanitaria. Proroga possibile anche per le altre Pa ma solo se giustificata «dalla natura o dall'oggetto del contratto» (articolo Il Sole 24 Ore del 16.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTICrediti verso le Pa, nuovi termini ad alto rischio.
Per tutte le transazioni in essere dal 01.01.2013 le pubbliche amministrazioni dovranno pagare le fatture al massimo entro 60 giorni. In caso contrario, scatteranno in automatico –e senza necessità di messa in mora– gli interessi legali (calcolati aggiungendo ad un tasso di riferimento Ue ben 8 punti percentuali).

Non sarà semplice per gli enti pubblici digerire la Direttiva 2011/7/Ce che, con le modifiche apportate al Dlgs 231/2002 dal Dlgs 192/2012 (ieri in Gazzetta Ufficiale), ha reso le disposizioni contenute in quest'ultimo provvedimento più cogenti rispetto al passato.
Per le Pa la novità maggiore consiste nell'impossibilità assoluta a derogare (su base convenzionale) all'applicazione delle more o di altre cautele stabilite dalla legge a favore del fornitore. Ciò farà si che, in nessun caso, essa potrà invocare giustificazioni a un mancato pagamento nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il fornitore pagato in ritardo potrà intraprendere molto più facilmente un'azione legale per la corresponsione degli interessi moratori anche dopo il pagamento dell'importo dovuto.
Proprio quest'ultimo concetto, chiarito dalle nuove norme, deve comprendere tanto la somma che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine contrattuale o legale di pagamento, quanto le imposte, i dazi, le tasse o gli oneri applicabili indicati nella fattura o nella richiesta equivalente di pagamento. Insomma, nulla rimane fuori dal computo della mora.
Infine, è stato stabilito che –nelle sole transazioni commerciali in cui il debitore è una Pa– è sempre nulla la clausola avente ad oggetto la predeterminazione o la modifica della data di ricevimento della fattura: una statuizione che sarebbe stato meglio estendere alle transazioni tra privati.
Per il passato, la misura con impatto più immediato è quella che riguarda i crediti verso le amministrazioni pubbliche già scaduti. Su questo fronte, i provvedimenti adottati con la certificazione del credito sono visti dalla generalità delle imprese come una via di sbocco alla massa creditoria vantata nei confronti della Pa. In questi primi giorni di applicazione della procedura, tuttavia, appare in molti casi imperfetta la conoscenza della novità da parte della Pa. In alcune amministrazioni, poi, i funzionari a cui sono state indirizzate le istanze con la modalità ordinaria sono apparsi impreparati rispetto alle richiesta delle imprese.
Un altro nodo da dirimere –evidenziato da quesiti dei lettori– è quello che interessa i crediti vantati dalle imprese nei confronti delle società a parziale o totale partecipazione pubblica. È risaputo, infatti, che nel corso degli ultimi anni lo strumento delle partecipate è stato adoperato dalle amministrazioni su diversi livelli. Tale circostanza ha fatto si che una consistente parte dei debiti pubblici sia stata trasferita proprio a tali soggetti. Purtroppo, allo stato, la procedura di certificazione dei crediti non si applica alle partecipate pubbliche (articolo Il Sole 24 Ore del 16.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICIL'Authority sui lavori pubblici e il ministero lavorano per inserire il modello nel ddl Infrastrutture. Contratti tipo per il project finance. Dalle penali per contenziosi rischi di danno erariale per le p.a..
Dopo la creazione dei bandi tipo per le operazioni di project financing, ora dovrebbero essere messi a punto, dal ministero delle infrastrutture, contratti tipo per la pubblica amministrazione, le imprese e le stazioni appaltanti. D'intesa con l'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici. L'obiettivo è ridurre le cause di contenzioso nella realizzazione di opere pubbliche con il concorso dei capitali privati.
Tra le criticità che frenano in Italia lo sviluppo del partenariato pubblico-privato (Ppp) il contenzioso costituisce il 24,2% delle cause di ritardo, a volte indefinito, del progetto, secondo lo studio dell'Ance, che ha messo in evidenza l'alta mortalità delle operazioni di project financing e come solo un'opera su quattro arrivi alla fase di gestione. Il conseguente pagamento delle penali contrattuali potrebbe comportare il rischio di danno erariale per gli amministratori pubblici che hanno partecipato al processo decisorio e di autorizzazione dell'intervento pubblico-pubblico. Una prospettiva messa in luce dal presidente dell'Autorità di vigilanza sulle opere pubbliche, Sergio Santoro.
Nella vicenda del ponte sullo stretto di Messina, caso di scuola di opera pubblica da realizzare con il ricorso alla finanza di progetto bloccata dal contenzioso, (cambio di decisione, in questo caso politica), la penale da pagare al general contractor Eurolink (raggruppamento di imprese guidato da Impregilo) è di 300 milioni di euro. Penale il cui pagamento è stato procrastinato dal decreto del governo che il 2 novembre ha deciso di concedere altri due anni di tempo per l'approvazione del progetto definitivo. Una decisione che permetterà forse al concedente, Stretto di Messina spa, di stringere con gli investitori cinesi che già dal 2011 si erano dichiarati interessati a costruire l'opera.
Ma, se, per decreto, è stata rinviata la spinosa questione del contenzioso sul ponte di Messina, non così per tutte le altre infrastrutture di Ppp. «Il problema delle penali», ha sottolineato il presidente dell'Authority, Santoro, «coinvolge la responsabilità degli amministratori pubblici (quelli che hanno fatto le scelte) che potrebbero essere coinvolti per danno erariale. Per loro esiste questo rischio, perché le penali sicuramente vanno pagate». Così, è la convinzione di Santoro, «è necessario apportare un ulteriore correttivo al ddl Infrastrutture, approvato dal consiglio dei ministri, e ora in discussione in parlamento, inserendo l'esame delle cause del contenzioso direttamente nel dibattito pubblico che obbligatoriamente si dovrà svolgere sull'opera in project finance secondo la novità procedurale introdotta dalla nuova normativa in discussione».
Nel dibattito pubblico, ha spiegato Santoro, «le contrarietà sull'intervento pubblico-privato dovranno essere esaminate in sede amministrativa e giurisdizionale e poi la fase si dovrà chiudere inesorabilmente seguita dall'apertura dei cantieri». Per evitare il blocco dei cantieri aperti «il ddl infrastrutture», ha proseguito il presidente dell'Authority di vigilanza, «dovrà essere arricchito con l'inserimento della parte processualistica e sposato con il codice del processo amministrativo (dlgs 104 del 2010) che prevede una normativa di favore per le opere pubbliche (art. 119 e seguenti) che fa in modo che il giudice amministrativo non possa intervenire su opere in esecuzione per una pretesa di affidamento illegittimo. In questo modo, non si potranno bloccare i cantieri e l'unica conseguenza per chi è rimasto illegittimamente escluso dall'affidamento dell'opera sarà l'indennizzo».
Che la legislazione sia ancora inadeguata ad attrarre capitali privati per le opere pubbliche è convinzione espressa anche da Domenico Crocco, capo dipartimento infrastrutture dell'omonimo ministero guidato da Corrado Passera.
«L'inadeguatezza dei contratti rientra fra le cause di mortalità delle operazioni di project financing, come ha evidenziato lo studio dell'Ance», ha dichiarato Crocco, «si dovrà discutere la necessità di inserire nel ddl Infrastrutture, in discussione, contratti tipo che possano dare riferimenti solidi e più certezze» (articolo ItaliaOggi del 15.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO - VARICosa prevedono le nuove norme anticorruzione, approdate in Gazzetta Ufficiale. Magistrati, stop agli arbitrati. La scelta cadrà su dirigenti della p.a. (a rotazione).
Stop agli arbitrati per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari. Da oggi, gli arbitri chiamati a dirimere le controversie in materia di appalti in cui è presente una p.a., saranno scelti tra i dirigenti pubblici con incarichi a rotazione. Inoltre, chi è stato condannato, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati di peculato, corruzione e concussione, non potrà essere posto nell'organico di uffici preposti a gestire risorse finanziarie né potrà sedersi nelle commissioni di concorsi pubblici o di affidamento appalti pubblici.
Nessun licenziamento o trasferimento per il dipendente pubblico che denuncia all'Ago o alla Corte dei conti, condotte illecite di cui ne è venuto a conoscenza in ragione della sua funzione. Poi, i magistrati potranno essere collocati in fuori ruolo per un periodo che non superi, nell'arco della loro carriera, i dieci anni. Infine, mano più pesante sulle pene previste per alcuni reati, quali la concussione e l'abuso di ufficio.

Queste alcune delle interessanti disposizioni contenute nel testo della legge n. 190/2012, meglio nota come «legge anticorruzione», che, dopo un lungo iter parlamentare, è finalmente approdata sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 13 novembre ed entrerà in vigore il prossimo 28 novembre.
  
ARBITRATI ADDIO
Da tale data, sarà vietata ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari, agli avvocati e ai procuratori dello Stato, nonché ai componenti delle commissioni tributarie, la partecipazione a collegi arbitrali o l'assunzione di incarico di arbitro unico. In caso di violazione, la legge prevede l'immediata decadenza dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti. La norma prevede una rivoluzione in tale campo.
Ad esempio, di dispone che la nomina degli arbitri per la risoluzione delle controversie nelle quali una parte sia una p.a., sia individuata esclusivamente tra i dirigenti pubblici. Sarà la stessa p.a. a mettere nero su bianco, all'atto della nomina, l'importo massimo spettante al dirigente per l'attività arbitrale. Viene espressamente posta una clausola di salvaguardia, ovvero che le novelle legislative non possono essere operative solo per gli arbitrati conferiti o autorizzati prima del 28 novembre.
  
CODICE DI COMPORTAMENTO
Anche ciascuna magistratura e l'Avvocatura dello Stato dovranno dotarsi di un codice etico, secondo le linee guida che l'esecutivo definirà a breve giro di posta. L'incombenza spetterà agli organi delle associazioni di categoria e dovranno aderirvi tutti gli appartenenti alla magistratura interessata. In caso di inerzia, la legge prescrive che il codice vengo adottato dall'organo di autogoverno.
  
VADE RETRO CONDANNATI
Operando un'aggiunta al Tu sul pubblico impiego, la legge n. 190 inserisce l'articolo 35-bis. Si dispone che chi è stato condannato, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (tra questi, il peculato, la corruzione e la concussione), potrà dire addio all'assegnazione in uffici che sono preposti alla gestione di risorse finanziarie, all'erogazione di beni e servizi, nonché all'erogazione di sovvenzioni e sussidi finanziari. A questi soggetti viene altresì preclusa la possibilità di fare parte, anche con la mansione di segretario, di commissioni di concorsi per l'accesso al pubblico impiego e di commissioni per l'affidamento di gare per appalti pubblici.
  
STATALE DELATORE TUTELATO
La legge poi prevede che il pubblico dipendente che denuncia all'Ago o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico, condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a una misura discriminatoria per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.
Tranne nei casi di calunnia o diffamazione, l'identità dello statale denunciante non può essere rivelata, almeno senza il suo consenso e sempre che l'autorità giudiziaria trovi ulteriori riscontri a quanto denunciato. Dovrà invece essere sollevato il velo sulla sua identità, nei casi in cui questa sia assolutamente indispensabile affinché il soggetto incolpato possa difendersi.
  
MAGISTRATI, FUORI RUOLO MAX 10 ANNI
Scatta il giro di vite sui collocamenti in fuori ruolo dei magistrati. Tranne che ai membri di governo, alle cariche elettive e ai componenti delle corti internazionali, dalla data di entrata in vigore della legge n.190, si precisa che ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari e gli avvocati e procuratori dello Stato, potranno essere collocati in posizione di fuori ruolo per un periodo complessivo, nell'arco della loro carriera, che non superi i dieci anni.
La norma in esame, prevede altresì che i soggetti indicati che, al 28.11.2012 hanno già maturato o che maturano successivamente a tale data, il periodo massimo di collocamento in fuori ruolo, devono intendersi confermati in tale posizione sino al termine dell'incarico, della legislatura o del mandato relativo all'ente presso cui si svolge la funzione di fuori ruolo. In particolare, se non vi è termine al mandato, il collocamento si intende confermato sino al 28.11.2013.
  
LE PENE
Tra le novità apportate dalla legge, l'inserimento nel codice penale del delitto di «traffico di influenze illecite» che sanziona chi sfrutta le sue relazioni con un soggetto pubblico al fine di farsi dare o promettere denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della sua mediazione illecita oppure per remunerare il funzionario, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.
Poi, per la concussione, riferita al solo pubblico ufficiale, viene previsto un aumento del minimo della pena, da quattro a sei anni di reclusione, mentre per l'abuso d'ufficio, si prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni, anziché da sei mesi a tre anni. Infine, è stata aumentata da quattro a dieci anni (anziché da tre a otto anni) la pena della reclusione per la corruzione in atti giudiziari (articolo ItaliaOggi del 15.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICI: Direttiva pagamenti, i lavori pubblici rischiano l'esclusione. Le imprese: sarebbe una follia, il Governo chiarisca.
C'è il rischio che i lavori pubblici siano esclusi dal recepimento della direttiva Ue 2011/7 in materia di pagamenti.

L'allarme viene lanciato dall'intero arco delle associazioni imprenditoriali delle costruzioni con un «position paper» che tenta un'interpretazione favorevole del decreto legislativo approvato dal Governo e, al tempo stesso, minaccia un ricorso a Bruxelles qualora l'interpretazione del Governo, in fase applicativa, risultasse diversa. Alla fine il «position paper» ha soprattutto una finalità: stanare il Governo con un'interpretazione che chiarisca una volta per tutte come stiano le cose.
«Chiediamo al Governo di chiarire, in modo inequivocabile, che l'ambito di applicazione del provvedimento di recepimento della direttiva include il settore dei lavori pubblici», afferma il documento che porta la firma di Ance, Confartigianato, Cna, Casa, Aniem e delle tre centrali cooperative. Intanto, il decreto legislativo è stato firmato dal presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, e dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta ufficiale tra oggi e domani.
Ma qual è il punto che allarma i costruttori? Nella direttiva 7, nelle premesse, all'undicesimo «considerando», si afferma esplicitamente che i settori cui si applica la disciplina «dovrebbero anche includere la progettazione e l'esecuzione di opere e edifici pubblici, nonché i lavori di ingegneria civile». Questo richiamo esplicito si è perso nel testo del Dlgs di recepimento, ma le stesse associazioni riconoscono che questo inserimento non era affatto dovuto. «Consideriamo -afferma il documento- che la nuova disciplina introdotta con il decreto legislativo di integrale recepimento della direttiva trovi applicazione anche al settore dei lavori pubblici».
Da contatti informali con la commissione Ue, l'Ance ha avuto rassicurazioni che i lavori pubblici non possono essere esclusi dal recepimento della direttiva, ma a pesare è anche il fatto che nella precedente disciplina sui pagamenti (decreto legislativo 231/2002) i lavori pubblici furono esclusi. L'allarme nasce proprio dal fatto che il nuovo decreto legislativo va a modificare quel vecchio provvedimento senza innovare sul punto specifico.
Dal ministero dell'Economia e dalla Ragioneria, d'altra parte, non sono arrivate interpretazioni esaustive su una questione che comporterebbe una rivoluzione nel sistema di pagamenti dell'intera pubblica amministrazione: passare a 30 o 60 giorni dal 1° gennaio non è affatto un'impresa realistica se tutta una serie di procedure autorizzative e di vincoli (patto di stabilità) non vengono rese coerenti con l'obiettivo.
Da qui la preoccupazione. «Qualsiasi diversa interpretazione -dice ancora il documento- creerebbe una inaccettabile disparità di trattamento, nonché un disallineamento solo italiano rispetto alle prescrizioni delle istituzioni europee che, infatti, hanno esplicitamente inserito un riferimento al settore dei lavori pubblici nella direttiva stessa». Un'eventuale esclusione -e il riferimento è certamente esplicito- «rappresenterebbe un'inspiegabile anomalìa nel panorama europeo e porterebbe inevitabilmente all'apertura di una procedura di infrazione per la non corretta applicazione della direttiva» (articolo Il Sole 24 Ore del 15.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Come farsi pagare dalla «Pa».
Doppio binario per i crediti delle imprese verso la «Pa». Da gennaio versamenti in 30-60 giorni Sugli arretrati la carta-certificazione.

Da gennaio pagamenti in 30 giorni (60 nel caso di imprese pubbliche che svolgono attività economiche e di enti sanitari), e per i vecchi crediti il meccanismo della certificazione che rende "liquido" il credito e si deve tradurre in pagamenti effettivi entro 12 mesi.
Con la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» del 6 novembre dei tre decreti corretti sulla certificazione dei crediti, e con la scrittura del provvedimento che recepisce la direttiva europea dal 1° gennaio prossimo, nelle ultime settimane il Governo ha ristrutturato la dinamica dei rapporti commerciali fra i privati e la pubblica amministrazione. Ma il passaggio dalla teoria scritta sulla carta alla realtà è ricco di ostacoli, che mettono a rischio i principi enunciati poche righe sopra. Vediamo perché.
Vecchi crediti
La montagna di pagamenti arretrati verso privati che si è accumulata nelle pubbliche amministrazioni, e che viaggia dai 70 ai 100 miliardi a seconda delle stime, non è interessata dal recepimento della direttiva europea ma viene disciplinata dal sistema delle certificazioni. Nella versione pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» di novembre, si riduce da 60 a 30 giorni il termine entro il quale la pubblica amministrazione locale, dove si annida la fetta maggioritaria dei mancati pagamenti, deve certificare che il credito è «liquido, certo ed esigibile».
Per rendere più facile la procedura di certificazione, il ministero dell'Economia ha messo in campo una piattaforma elettronica (http://certificazionecrediti.mef.gov.it/CertificazioneCredito/home.xhtml) in cui far transitare le richieste di certificazione e le cessioni o le compensazioni con i debiti fiscali o previdenziali dell'impresa creditrice. Proprio qui rischia però di sorgere il primo inghippo, perché tutte le pubbliche amministrazioni si devono abilitare sulla piattaforma: per farlo c'è ancora una settimana di tempo, e alla scadenza si potrà stilare un primo bilancio sul tasso di adesione, soprattutto da parte della pubblica amministrazione locale.
Passata la scadenza, anche i privati potranno abilitarsi per chiedere la certificazione con la via telematica, ma ovviamente è essenziale che tutti gli enti si iscrivano in tempo. Non solo: dalla partita rimangono escluse le aziende sanitarie nelle Regioni impegnate in piani di rientro dall'extradeficit, cioè proprio gli enti che occupano le posizioni di prima fila nelle classifiche dei cattivi pagatori e che di conseguenza trattengono le somme più consistenti attese dal sistema delle imprese.
Che cosa cambia da gennaio
Nessuna amministrazione, almeno in teoria, è esclusa dai nuovi calendari che il recepimento della direttiva Ue (il provvedimento è stato firmato ieri dal Capo dello Stato, e sarà pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» a brevissimo) imporrà dal 1° gennaio. Dal punto di vista dell'ambito applicativo, il nodo più consistente è il rischio-esclusione che pende sull'edilizia (si veda il servizio a pagina 12), e che finirebbe per chiudere la strada verso il pagamento proprio al settore più impegnato soprattutto con i Comuni.
Anche per gli altri operatori, comunque, le lungaggini delle procedure, la carenza di liquidità e i vincoli del Patto di stabilità rischiano di ritardare i tempi effettivi nonostante il nuovo calendario di legge (com'è accaduto con le vecchie regole). La novità più concreta, quindi, potrebbe essere legata al conteggio automatico degli interessi di mora, che non potranno essere esclusi dai contratti e potrebbero rappresentare per il creditore una forma di "investimento" con una buona remunerazione (articolo Il Sole 24 Ore del 15.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 15.11.2012

APPALTIProgetti, niente gara fino a 40.000. Aggiudicazione a ribasso per gli incarichi fino a 100 mila euro. In Gazzetta una circolare interpretativa su codice dei contratti pubblici e regolamento attuativo.
Legittimo affidare incarichi di progettazione in via diretta fino a 40 mila euro; ammesso il ricorso al prezzo più basso per incarichi al di sotto dei 100 mila euro; possibile trasformare l'avvalimento in subappalto ma senza superare il limite del 30% della «categoria prevalente»; le stazioni appaltanti nelle procedure ristrette per gare di progettazione possono utilizzare anche criteri diversi da quelli del regolamento.

È quanto prevede la circolare 30.10.2012 n. 4536, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13.11.2012, predisposta dal ministero delle infrastrutture e trasporti (a firma di Bernedette Veca, direttore per la regolazione dei contratti pubblici) che reca «primi chiarimenti» sull'applicazione di alcune norme del regolamento del Codice dei contratti pubblici alla luce delle recenti modifiche e integrazioni intervenute in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
La necessità dell'intervento interpretativo del dicastero di Porta Pia, che con tutta probabilità non rimarrà isolato considerando le numerose modifiche apportate al Codice dei contratti in quest'ultimo anno, che comportano anche conseguenze interpretative sul regolamento attuativo e, comunque dubbi per gli operatori del settore.
Con il dettagliato provvedimento interpretativo, che origina anche da diverse segnalazioni trasmesse da operatori del settore, si affrontano alcuni profili della disciplina degli affidamenti in economia per la quale il decreto legge 70/2011 ha inciso sul comma 11 dell'art. 125 del codice, innalzando il limite dell'importo consentito per affidamento diretto in economia di servizi e forniture da 20 mila euro a 40 mila euro.
La questione che si è posta, soprattutto con riferimento all'articolo 267, comma 10 del regolamento, riguardava l'efficacia della modifica rispetto alle procedure di affidamento di servizi di ingegneria e architettura stante il mancato coordinamento fra norma del Codice (con la soglia a 40 mila euro) e norma regolamentare (con il tetto a 20 mila euro). La circolare chiarisce che anche per i servizi di ingegneria vige il limite dei 40.000 euro, sia per principio generale di gerarchia delle fonti, sia per la soppressione del riferimento al secondo periodo del comma 11 dell'art. 125 (contenuta nell'art. 267, comma 10) che quindi «ha inteso assoggettare, integralmente, anche i servizi attinenti l'architettura e l'ingegneria al regime generale di cui all'art. 125, comma 11, del codice dei contratti».
Sempre con riguardo alle gare di progettazione la circolare chiarisce anche che al di sotto della soglia dei 100 mila euro le stazioni appaltanti possono applicare il criterio del prezzo più basso, senza l'obbligo, previsto per gli affidamenti oltre i 100 mila euro, di utilizzare il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, anche perché «l'obbligo di servirsi della procedura di cui all'art. 57, comma 6, del codice contempla utilmente il ricorso ad entrambi i criteri di aggiudicazione».
Si chiarisce anche il problema interpretativo di mancato coordinamento fra l'articolo 62 del Codice e l'articolo 265 del regolamento sulle procedure ristrette per servizi di progettazione, stabilendo che, in ragione del principio della gerarchia delle fonti e della natura non delegificante del regolamento, oltre alla scelta degli offerenti effettuata per metà a sorteggio e per metà con i criteri del regolamento, le stazioni appaltanti possono «indicare nel bando di gara diversi criteri, purché oggettivi, non discriminatori e rispettosi del principio di proporzionalità». Per l'avvalimento per servizi e forniture si precisa che ove manchi il contratto di avvalimento scatta l'esclusione del concorrente dalle procedure selettive e che ciò «si concretizza sia nell'ipotesi di «mancanza materiale» del contratto, sia in presenza di un difetto costitutivo e giuridicamente rilevante dello stesso (contratto nullo, sottoposto a condizione meramente potestativa ovvero altre ipotesi di nullità del contratto)».
Per i lavori si precisa che la possibilità di mutare l'avvalimento in subappalto non potrà mai avvenire oltre il limite del 30% della categoria prevalente. La circolare chiarisce inoltre che l'impresa in pendenza del rilascio del rinnovo dell'attestazione Soa, può partecipare alle procedure selettive nel caso in cui la stessa abbia richiesto di sottoporsi alla verifica triennale (stipulando apposito contratto con la Soa) prima della scadenza del triennio (articolo ItaliaOggi del 14.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO - VARIAnticorruzione. In «Gazzetta» la legge con la tutela per i pubblici dipendenti che scoprono illeciti.
Chi denuncia resta anonimo. Identità coperta finché non scattano la calunnia o una lite civile.

Resterà anonimo il dipendente pubblico che denuncia illeciti, almeno nella maggior parte dei casi.
Lo prevede l'articolo 1, comma 51, della legge 06.11.2012 n. 190 (pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 265 del 13.11.2012 e in vigore dal 28 novembre), limitando l'accesso al testo della denunzia.
Ma il contenuto, e soprattutto la firma, diventeranno noti se il denunciato inizia un giudizio per calunnia o diffamazione, oppure se chiede il risarcimento dei danni da reato. Nel pubblico impiego sono frequenti le segnalazioni interne, ma se anonime, ne è difficile l'utilizzo (articolo 333 del Codice di procedura penale). Per le denunce firmate, fino ad oggi si doveva correre il rischio di una reazione da parte del denunciato, mentre con l'articolo 1 della legge 190 il meccanismo diventa più agevole, perché il denunciante può contare sull'anonimato. Può contarci almeno fin quando il suo avversario non passa al contrattacco e propone una denuncia (penale) per calunnia (se si incolpa un innocente di un reato) o diffamazione (se si offende reputazione o l'onore), oppure fin quando non inizia una lite civile in cui si chieda il risarcimento danni per calunnia o diffamazione.
La norma del 2012 solleva in parte le ansie di chi (dirigenti, amministratori e dipendenti) è tenuto a denunciare fatti che possano dar luogo a responsabilità, trovandosi tra due fuochi perché da un lato vi è l'obbligo di denuncia (se i fatti sono conosciuti per ragioni d'ufficio), e dall'altro vi è l'assunzione di responsabilità per omissione. Oggi è almeno garantito l'anonimato, e chi denuncia non può subire sanzioni né essere discriminato, licenziato, o trasferito d'ufficio. Soprattutto, non rischia neppure di essere scoperto da colui che è stato denunciato, perché l'identità di chi firma una segnalazione non può essere svelata. A tal fine è modificata la legge sull'accesso agli atti amministrativi (241/1990) escludendo che la denuncia possa essere oggetto di generica richiesta di copia da parte di chi vi abbia interesse.
Il segreto sull'identità del denunciante viene meno quando emerge una contrapposizione tra il diritto del denunciante a segnalare errori senza essere messo alla berlina e diritto del denunciato a difendersi: la legge 190 garantisce infatti al denunciato la possibilità di smentire fatti e circostanze, anche con un confronto diretto, e cioè anche conoscendo chi lo accusa.
Il secondo periodo del comma 51 dell'articolo 1 legge 190 sottolinea, infatti, che l'identità del denunciante può essere rivelata se la conoscenza di tale identità sia «assolutamente indispensabile» per la difesa dell'incolpato. Ad esempio, per smentire circostanze di fatti che non hanno altri testimoni, può chiedersi un confronto diretto con l'accusatore (articolo Il Sole 24 Ore del 14.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Imprese e pagamenti rischiano di andare in tilt per effetto della responsabilità solidale estesa. Certificare di essere ok col fisco pesa su appalti e subappalti.
Gli operatori economici sono in affanno, schiacciati da un'ulteriore incombenza. C'è un tam-tam, infatti, che si sta diffondendo da impresa a impresa: chi, per ottenere l'incasso di una fattura, si vede richiedere dal proprio cliente-committente la compilazione di un'autocertificazione a dimostrazione dell'avvenuto adempimento dei connessi obblighi fiscali, a sua volta la richiede ai propri fornitori-appaltatori.
Così sono sempre più numerosi gli imprenditori alle prese con un nuovo pesante adempimento: la dimostrazione al proprio committente del corretto adempimento degli obblighi di versamento dell'Iva e delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente relativi alle prestazioni d'appalto eseguite (si veda ItaliaOggi Sette del 5 novembre e del 29 ottobre, ndr).
Le nuove disposizioni introdotte dall'art. 13-ter del dl 83/2012, il cosiddetto decreto crescita (convertito nella l. 12.08.2012, n. 134) sulla responsabilità solidale negli appalti, divenute pienamente operative dall'11.10.2012 per i pagamenti relativi ai contratti stipulati dal 12.08.2012, stanno creando serie difficoltà alle imprese. Con la circolare 40 dell'08/10/2012 l'Agenzia delle entrate ha previsto la possibilità per le imprese appaltatrici e subappaltatrici di autocertificare il rispetto degli obblighi tributari relativi al versamento dell'Iva e delle ritenute fiscali, in modo da poter evitare l'attestazione di un professionista abilitato per ottenere il pagamento delle proprie prestazioni.
Ma anche tale possibilità non sembra semplificare di molto la procedura che si va a innescare per ottenere il pagamento di una prestazione di appalto o subappalto, dato che comunque nella maggior parte dei casi anche l'autocertificazione, seppur firmata dall'impresa, richiederà l'ausilio di un professionista.
Se ogni committente, per evitare il rischio di una sanzione da 5 mila a 200 mila euro, prima di pagare l'appaltatore gli chiede, con la fattura per le prestazioni effettuate, anche un'autocertificazione del rispetto degli obblighi tributari a esse connessi e lo stesso fa ogni appaltatore ai propri subappaltatori per evitare il rischio della responsabilità solidale in caso di mancato adempimento di tali obblighi, c'è il rischio che in molti casi costi e tempi dell'attività amministrativa necessaria agli adempimenti documentali relativi alle prestazioni d'appalto e subappalto finiscano per superare costi e tempi delle prestazioni stesse. Senza poi considerare i rischi di violazioni penali che incombono sulle autocertificazioni non correttamente compilate.
In assenza di precise delimitazioni dell'ambito di applicazione, la norma, infatti, opera indipendentemente dal valore del contratto e dalla tipologia dell'attività svolta e quindi le sanzioni potrebbero trovare applicazione anche per casistiche marginali. Per esempio in occasione del pagamento della manutenzione periodica di una caldaia di un negozio o di un ufficio richiesta da un'impresa, o in occasione della riparazione di un'auto aziendale (i committenti privati restano esclusi), o ancora per la rettifica di un pistone, la levigatura di una sedia, la zincatura di un portone e così via.
La sanzione minima di 5 mila euro che rischia il committente che non abbia verificato, prima di procedere al pagamento dell'appaltatore, il corretto adempimento da parte di quest'ultimo e dei suoi eventuali subappaltatori, degli obblighi tributari relativi al contratto stesso, sarà in molti casi sproporzionata, perché non limitata al corrispettivo del contratto (come previsto invece per la responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore) e finirà per penalizzare soprattutto le imprese di più piccole dimensioni.
In altri casi accadrà che l'appaltatore e il subappaltatore, che non hanno ancora ricevuto il pagamento dal proprio committente di fatture già emesse per lo stesso contratto, non riusciranno più a riceverlo, se proprio a causa di quel mancato pagamento non sono stati in grado di versare la relativa Iva. Insomma, un cane che si morde la coda.
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Il committente vigila sui fornitori.
Scatta la vigilanza del committente nei confronti dell'appaltatore per i debiti fiscali. In pratica, i soggetti appaltanti, per evitare la responsabilità solidale, dovranno accertare il corretto pagamento dei debiti erariali da parte dei loro fornitori (appaltatori). In caso contrario il committente potrà esimersi dal regolare finanziariamente le prestazioni ottenute anche in presenza dio un regolare contratto.
È quanto prevede il decreto crescita (dl 83/2012, convertito nella l. 12.08.2012, n. 134). Ma quali sono i contratti che rientrano in tale disciplina? Ecco una panoramica.
La responsabilità solidale. Si applica ai soli contratti «di appalto» (ivi inclusi i contratti di «subappalto») ex art. 1655 e segg. c.c. (secondo cui «L'appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro»).
Rimangono escluse dall'ambito della responsabilità solidale fattispecie quali:
   - il contratto d'opera (anche detto «di prestazione d'opera»), manuale o intellettuale;
   - il contratto di vendita (cd. «di fornitura»).
Il contratto d'opera manuale si verifica quando «una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente» (art. 2222 c.c.). L'elemento peculiare risulta essere l'organizzazione di impresa:
   - nell'appalto è necessaria un'organizzazione complessa per realizzare l'opera o prestare il servizio;
   - nella prestazione d'opera prevale il lavoro dell'imprenditore e dei propri familiari.
Le imprese artigianali. La prestazione d'opera è il caso, in generale, delle prestazioni offerte dagli artigiani, per i quali la prevalenza del proprio apporto costituisce una condizione per essere iscritti al relativo Albo.
Va considerato l'apporto dell'imprenditore in termini complessivi (si pensi alla possibilità di avere imprese artigiane piuttosto strutturate, con un numero significativo di dipendenti, ex L. 443/1985, dove il prodotto viene totalmente lavorato dai dipendenti), essendo possibile che esso sia limitato anche alla sola supervisione o al controllo dell'attività dell'azienda. In entrambi i casi si tratta di una obbligazione «di risultato» (senza la quale non spetta alcun corrispettivo) e il contenuto della prestazione viene sostanzialmente personalizzato sulle richieste del cliente.
Distinzione tra appalto di fornitura. In generale la giurisprudenza procede alla seguente distinzione:
   1) analisi oggettiva (Cass. sent. 3517 del 28/10/1958). Ossia, va anzitutto verificato se la materia costituisca solo un «mezzo» per produrre l'opera (vero oggetto del contratto) o meno. Quindi, se si verifica:
      a) la prevalenza del «dare» sul «fare», si è in presenza:
- di un contratto di fornitura (in particolare, di «vendita di bene futuro», ex art. 1472 e segg. cc);
- eventualmente periodica (cioè un contratto di somministrazione di beni ex art. 1559 e segg. cc)
      b) la prevalenza del «fare» sul «dare», si è in presenza di un contratto:
- di appalto (con fornitura di materiali, ex art. 1658 cc: se è necessaria una organizzazione di impresa» complessa si applica la responsabilità solidale;
- di «prestazione d'opera»: se è prevalente l'apporto personale del prestatore non si applica la responsabilità solidale.
   2) appuramento della prevalenza. In tal caso, in ordine di importanza va valutato quanto segue:
      a) Cass. sent. 1114 del 17/04/1970 (analisi «soggettiva»): a.1) deve desumersi dalle clausole contrattuali se la volontà delle parti ha voluto dare maggior rilievo al trasferimento del bene o al processo produttivo»; a.2) e ciò indipendentemente dalla denominazione utilizzata nel contratto (cd. «nomen juris»), in applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma.
Per esempio, un idraulico, nel predisporre il contratto: a) lo intitola quale «appalto», o ne cita gli articoli di legge (artt. 1655 e segg.): difficilmente potrà sostenere che si tratti di cessione; lo intitola quale «fornitura» (e magari cita gli artt. 1470 e segg. cc): non si potrà porre in dubbio che si tratti di «vendita» di beni. Tratto discriminante risulta essere in generale la responsabilità per vizi dell'opera (palesi o occulti) cui si intende assoggettare il prestatore nell'appalto (più onerosa) rispetto alle clausole riferite alla vendita.
      b) Cass. sent. 507 del 17/02/1958:
         b.1) se il prestatore si obbliga a personalizzare il prodotto sulle specifiche del committente (e cioè laddove il committente si rivolga a una specifica controparte in considerazione della sua abilità nella produzione di beni specifici); b.2) si è in presenza di una obbligazione «di fare» (e non «di dare»), es.: costruttore richiede ad un produttore di infissi, per esigenze di progetto, la fornitura di particolari finestre dalla forma triangolare: appalto (prodotto «personalizzato») (articolo ItaliaOggi Sette del 12.11.2012).

APPALTI: LEGGE DI STABILITÀ/ L'obiettivo è far cassa aumentando il costo del contributo unificato. Gare, il contenzioso è un salasso. Ricorrere al giudice amministrativo diventa antieconomico.
Nuovo salasso per le cause sugli appalti. La giustizia tartassa il contenzioso amministrativo in generale, ma la mano pesante si fa sentire soprattutto nel contenzioso sulle procedure di gara pubblica.
Il disegno di legge stabilità per il 2013, attualmente all'esame della camera, fa leva sul contributo unificato per fare cassa e attacca i processi che si svolgono davanti ai tribunali amministrativi regionali e al consiglio di stato. L'effetto immediato sarà di rendere antieconomico il ricorso al giudice amministrativo con possibile incremento del flusso di denunce alla magistratura penale (per la denuncia non si deve versare il balzello in questione).
Le disposizioni in discussione contengono anche una possibile beffa quando l'impresa ha ragione, propone ricorso e la stazione appaltante ritira l'atto: l'impresa sarà multata con una sanzione pari al contributo unificato. Come dire «hai sostanzialmente vinto, ma devi pagare lo stesso il disturbo arrecato alla giustizia».
Ecco tutte le novità in itinere.
Contributo salato. Viene innalzato il contributo unificato e i relativi incassi saranno destinati al miglioramento dei servizi inerenti alla giustizia.
In particolare viene elevato l'importo del contributo unificato per le controversie di competenza del giudice amministrativo.
Così si eleva da 1.500 a 1.800 euro il contributo unificato dovuto per le controversie cui si applica il rito abbreviato disciplinato dal Codice del processo amministrativo (articolo 119). Si sostituisce ai 4 mila euro, attualmente previsti per tutte le controversie in tema di affidamento di pubblici lavori e di provvedimenti adottati dalle autorità amministrative indipendenti, una disciplina del contributo unificato diversificata in ragione del valore della controversia (portando il contributo dal valore minimo di 2 mila euro a quello massimo di 6 mila euro).
Si eleva da 600 a 650 euro il contributo unificato dovuto per i restanti tipi di ricorsi amministrativi e anche per il ricorso straordinario al presidente della repubblica.
Appello. Il contributo unificato nel processo amministrativo (disciplinato dall'articolo 13, comma 6-bis, del T.u. delle spese di giustizia) è aumentato sempre della metà per i giudizi di impugnazione.
Gli effetti. Un processo sugli appalti, considerato anche il fatto che le imprese pur di aggiudicarsi la commessa praticano forti ribassi, rischia di diventare antieconomico, soprattutto per la fascia media delle gare di importo da 200 mila euro a un milione.
La percentuale di utile di impresa rischia, infatti, di essere completamente decurtata dalle spese vive di giustizia e in particolare dal contributo unificato.
Basti pensare all'ipotesi in cui occorra proporre il ricorso in primo e in secondo grado per arrivare a cifre notevoli. Nella fascia fino a un milione di euro, primo e secondo grado fruttano allo stato 10 mila euro e nella fascia superiore si arriva a 15 mila euro. Senza contare la parcella dell'avvocato.
Se poi occorresse presentare motivi aggiunti di ricorso (una sorta di ricorso bis su atti non conosciuti prima) si è assoggettati a un prelievo raddoppiato e le cifre già alte diventano astronomiche.
Da qui la possibilità che l'impresa, tagliata fuori da una gara di appalto oppure non risultata vincitrice e che intenda far valere i propri diritti, se non vuole sobbarcarsi le spese di giustizia, avrà come unica alternativa quella della giustizia penale, che rischia di espandersi, magari non sempre a proposito: l'illegittimità di un atto non significa che necessariamente sia stato commesso un reato.
Un altro ripiego, nell'ottica di risparmiare sull'esercizio del diritto di difesa, ma non veloce come un ricorso al Tar con la corsia preferenziale, sarebbe il ricorso al capo dello stato (costa appena 650 euro).
E gli effetti collaterali riguardano anche l'attività dell'avvocato. Il legale deve fare presente tutti i possibili costi del contenzioso e deve mettere in evidenza gli oneri lievitati del contributo unificato. Altro riflesso concerne la necessità di mettere in capo gli istituti previsti dall'ordinamento che possano avere l'effetto di risolvere la controversia senza ricorrere alla magistratura. In materia di appalti questa strada può essere battuta, ad esempio, con l'informativa preventiva sull'intenzione di proporre un ricorso giurisdizionale (articolo 243-bis del codice dei contratti pubblici): si espongono direttamente alla stazione appaltante i motivi di ricorso e la p.a. ha l'obbligo di rispondere.
Peraltro anche in sede di esecuzione la legge prevede forme di conciliazione e accordo bonario che, bilanciando maggiori costi e benefici, potranno risultare maggiormente appetibili (articolo ItaliaOggi Sette del 12.11.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Decreto enti locali. Alla Camera cade la nomina da parte del prefetto per i controllori dei conti nelle città.
Più tutele ai ragionieri-capo. Per la revoca ci vorrà il parere dei revisori e non quello dei ministeri.

Obbligo di acquisire il parere dei revisori dei conti –in luogo di quelli del ministero dell'Interno e della Ragioneria generale dello Stato previsti dal testo iniziale– prima di revocare i responsabili del settore finanziario. Innalzamento a 15mila –al posto di 10mila– della soglia minima di abitanti a partire dalla quale i Comuni devono attivare i controlli strategico, di qualità e sulle società e sottoporsi alla verifica della Corte dei conti. Modifica dei compiti di controllo attribuiti alla magistratura contabile rispetto alle Regioni e agli enti locali. E poi introduzione della relazione di inizio mandato per gli enti locali e soppressione della nomina da parte del prefetto del presidente del collegio dei revisori nei grandi enti locali.
Sono queste le principali novità in materia di controlli interni approvate dalla Camera durante l'esame del decreto 174/2012 sugli enti locali per la conversione in legge: dopo la fiducia votata l'8 novembre e il via libera atteso per domani, il testo deve passare al Senato.
Inoltre, i deputati hanno deciso di limitare ai Comuni con popolazione superiore a 15mila abitanti (anziché 10mila) l'obbligo di dare pubblicità alla condizione patrimoniale degli eletti, di modificare l'intervento dello Stato in aiuto dei Comuni in difficoltà e di abrogare la proroga del termine per il versamento da parte dei Comuni al Viminale di una quota dei diritti di segreteria. Ma vediamo le novità nel dettaglio.
Intanto, entro tre mesi dall'insediamento i sindaci devono redigere una relazione di inizio mandato, predisposta dal segretario o dal dirigente del settore finanziario, in cui accertare la condizione patrimoniale ed economica e l'indebitamento.
La revoca dei dirigenti del servizio finanziario può essere disposta dai sindaci per gravi irregolarità ed è necessario il parere dei revisori dei conti. Questo parere prende il posto di quello previsto dal testo iniziale del decreto, a carico del ministero dell'Economia e della Ragioneria generale dello Stato. Si vuole così rafforzare l'indipendenza dei "ragionieri capo", tanto più marcata perché i revisori saranno scelti per sorteggio, ed evitare gli assai discutibili interventi di soggetti esterni all'ente. Non dovranno, inoltre, tenere conto degli indirizzi della Ragioneria dello Stato: il possibile filo diretto è così spezzato sul nascere.
Inoltre, l'obbligo di attivare il controllo strategico e quelli sulle società controllate e sulla qualità dei servizi è dettato per i Comuni con popolazione superiore a 15mila abitanti e non più, come nella previsione iniziale, per i municipi con oltre 10mila abitanti. Si prevede inoltre che il controllo strategico, come quello di regolarità amministrativa e contabile, sia svolto da un ufficio alle dipendenze del segretario. Dai controlli sulle società vengono escluse quelle quotate in borsa.
Poi, il controllo semestrale della Corte dei conti viene limitato ai Comuni con più di 15mila abitanti. Esso viene esteso all'equilibrio di bilancio. Viene eliminata la possibilità per la magistratura contabile di avvalersi della Guardia di finanza, mentre la Ragioneria generale dello Stato, anche su input della Corte dei conti, può disporre controlli sugli enti locali che ricorrono alle anticipazioni di cassa, che hanno uno squilibrio di bilancio, che presentano anomalie nella gestione dei servizi in conto terzi o hanno aumentato la spesa per gli organi istituzionali.
La Corte dei conti deve anche verificare i bilanci per il rispetto del patto di stabilità, dell'indebitamento e della gestione finanziaria, comprese le partecipazioni superiori al 90 per cento.
Si prevede poi che le unioni dei Comuni debbano avere tre revisori, che svolgono tale attività anche per i Comuni aderenti, con automatica decadenza di quelli in carica. Viene soppressa la previsione per cui il presidente del collegio dei revisori dei conti nei grandi Comuni, nelle Province e nelle Città metropolitane avrebbe dovuto essere designato dal prefetto.
Infine, le sezioni decentrate di controllo della magistratura contabile devono esaminare i bilanci preventivi e consuntivi delle Regioni, degli enti del servizio sanitario e delle società controllate che gestiscono servizi pubblici e a trasmettere con cadenza semestrale un referto ai consigli regionali, con l'obbligo della Regione di adottare i provvedimenti richiesti. Il presidente della Regione trasmette alla Corte dei conti e al consiglio regionale una relazione annuale sulla gestione. Vengono rafforzati i vincoli connessi alla relazione di fine legislatura delle Regioni e degli enti locali.
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Nuova soglia 15mila
La popolazione
  
● Durante l'esame alla Camera del decreto legge 174/2012 sugli enti locali è stata innalzata a 15mila abitanti –rispetto ai 10mila del testo originario– la soglia per l'applicazione ai Comuni dell'obbligo di attivare il controllo strategico sullo stato di attuazione dei programmi rispetto alle direttive impartite dal Consiglio, sulle società controllate e sulla qualità dei servizi erogati
   ● Limitato ai Comuni con più di 15mila abitanti (anziché 10mila) anche il controllo semestrale della Corte dei conti
   ● Circoscritto ai Comuni con più di 15mila abitanti anche l'obbligo di dare pubblicità alla condizione patrimoniale degli eletti (articolo Il Sole 24 Ore del 12.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Contabilità. Pesa l'obbligo di unificare le attività. Incognita funzioni sui bilanci degli enti fino a 5mila abitanti.
Sono diverse le incognite che i piccoli Comuni sotto i 5mila abitanti dovranno a breve affrontare nel predisporre i progetti di bilancio per il 2013 .
Accanto alla problematica Tares (comune anche agli enti più grandi), amministratori e funzionari dovranno vedersela con il patto di stabilità (Comuni sopra i 1.000 abitanti) ma soprattutto con le interrelazioni di carattere contabile conseguenti alle gestioni associate.
In particolare, il bilancio 2013 dovrà tener conto degli oneri stabiliti dalle varie convenzioni o dall'adesione alle unioni cui ciascun ente locale dovrà partecipare per adempiere agli obblighi di gestione associata.
La costruzione del bilancio sarà particolarmente difficoltosa atteso che l'attuale schema per titoli, funzioni e servizi non coincide con le nove funzioni fondamentali previste in materia di gestione associata dalla legge 135/2012. Gli uffici saranno chiamati ad operazioni di riclassificazione fondate non su criteri certi ma, spesso, su criteri soggettivi o di analogia. È stato anche proposto di utilizzare come punto di riferimento l'articolazione del bilancio armonizzato come previsto dal Dpcm 28.12.2011 che struttura il bilancio in missioni e programmi, ma questo criterio potrà avere carattere sussidiario in quanto anche le missioni non coincidono esattamente con le funzioni.
Appare comunque chiaro che se per talune funzioni (polizia locale, protezione civile, catasto, edilizia scolastica, servizi scolastici e sociali) non esistono particolari problemi per individuare le spese relative a ciascuna funzione associata o da associare dato che di fatto le funzioni da associare coincidono o con quelle attuali di bilancio o con i servizi indicati nel bilancio, alcune problematiche si avranno per altre funzioni associate quali:
   - organizzazione dell'amministrazione, gestione finanziaria, contabile e controllo;
   - organizzazione dei servizi pubblici, compreso il trasporto;
   - servizi di raccolta, avvio, smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi.
Queste funzioni associate comprendono servizi oggi allocati anche su funzioni di bilancio diverse. Tra l'altro si tratta talvolta di compiti, come l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale il cui ambito non è al momento chiaro, discutendosi del fatto se comprenda o meno tutti i servizi pubblici indipendentemente dalla rilevanza economica.
In conclusione e in attesa di criteri normativi specifici, gli uffici comunali, e in particolare quelli finanziari, dovranno operare secondo criteri di analogia, riferita sia alla struttura di bilancio prevista dal Dpr 194/1996 che del modello armonizzato (Dpcm 28.12.2011) per affrontare la problematica della riconduzione, della allocazione e della ripartizione delle spese inerenti i servizi comunali in essere, ai fini della gestione contabile della gestione associata, alle nove funzioni fondamentali oggetto di gestione associata.
Appare molto opportuno in sede di convenzionamento (o di trasferimento di funzioni alle unioni), specificare quali servizi comunali devono, anche ai fini contabili, collegarsi alla specifica funzione oggetto di trasferimento e di gestione associata per consentire agli uffici di ripartire in modo ottimale le partite contabili soprattutto in relazione a quei servizi che possono allocarsi in funzioni diverse (articolo Il Sole 24 Ore del 12.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI: Mina fiscale sulle unioni: le entrate non sono esenti. «Dimenticata» l'agevolazione per le gestioni associate.
La gestione di servizi attraverso l'unione di Comuni o le convenzioni, obbligatoria dal prossimo primo gennaio per gli enti con meno di 5mila abitanti, ha delle importanti conseguenze sul piano fiscale.
In particolare, in relazione alle entrate a carattere commerciale, rilevanti ai fini Iva, quali, ad esempio, la gestione di acquedotti, fiere, mostre, comunità per anziani, asili nido, assistenza domiciliare, corsi sportivi, affitto impianti, refezione scolastica, trasporto alunni. Queste entrate, infatti, attualmente non sono soggette alle imposte sui redditi in virtù dell'esclusione soggettiva prevista dall'articolo 74 del Dpr 917/1986 (il testo unico delle imposte sui redditi) per i Comuni, i consorzi tra enti locali, le comunità montane, le Province e le Regioni.
L'articolo 74 non prevede però la fattispecie delle unioni tra Comuni.
Né è possibile applicare per analogia questa esclusione, in quanto il legislatore, «quando ha inteso estendere un'agevolazione fiscale a tutti gli enti territoriali lo ha espressamente affermato» (risoluzione Entrate 149/2005).
Anche la Corte di Cassazione si è pronunciata a riguardo. Ad esempio nella sentenza n. 9760/1997 si legge :«Le ipotesi di esenzione tributaria previste dalla legge rivestono carattere eccezionale... e quindi non consentono applicazione a fattispecie diverse da quelle che debbano ritenersi in esse considerate alla stregua di una rigorosa interpretazione».
Nella risoluzione n. 386/2007, poi, la stessa amministrazione finanziaria ha trattato un caso in cui una Provincia chiedeva la riconducibilità alle fattispecie previste dall'articolo 74 del Tuir di nuovi enti chiamati "Comunità" e definiti dalla stessa legge provinciale quali enti pubblici costituiti «dai Comuni appartenenti al medesimo territorio per l'esercizio di funzioni, compiti, attività e servizi nonché, in forma associata obbligatoria, delle funzioni amministrative trasferite ai Comuni».
Nella risposta le Entrate hanno ribadito che la formulazione del Testo unico sulle imposte elencando tassativamente gli enti non soggetti all'imposizione sui redditi, impedisce ogni interpretazione estensiva di tale disposizione, escludendo la riconducibilità nell'ambito applicativo della stessa di enti diversi da quelli citati in modo esplicito.
In questo modo, però, l'unione di Comuni subirebbe una sottrazione di risorse a causa delle imposte sui redditi dovute, con un conseguente aumento delle tariffe, e un incremento di costi dal punto di vista organizzativo a causa della gestione dei nuovi adempimenti fiscali, fattori che potrebbero vanificare i risparmi conseguenti alla gestione associata.
Appare allora necessaria una precisa riflessione a riguardo, che potrebbe condurre a valutare l'eventuale intervento del legislatore per integrazioni o innovazioni delle figure soggettive esistenti riconducibili all'articolo 74 del Tuir.
Questa esigenza peraltro era già emersa nel parere reso dalla Sezione Terza del Consiglio di Stato n. 224/1989, in relazione ad un quesito formulato proprio dall'amministrazione finanziaria sui soggetti destinatari della stessa norma del Tuir (articolo Il Sole 24 Ore del 12.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 12.11.2012

PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Il ricongiungimento diventa una stangata.
Nessuna soluzione in vista: almeno per ora. Chi si trova a dover pagare un'enormità per ricongiungere due periodi di contribuzione presso istituti previdenziali diversi (per lo più chi deve ricongiungere i versamenti nell'Inps) no troverà risposte nella legge di Stabilità.

I relatori sono pessimisti per via di mancanza di risorse ... (articolo L'Unità dell'11.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALINiente tavolini sulle piazze. Nelle aree artistiche stop a ombrelloni e seggiole. Direttiva del ministro ai Beni culturali sulle attività commerciali in zona pubblica.
Stop a sedie, tavolini e ombrelloni indecorosi. Ciò in quanto l'esercizio diffuso e talora incontrollato di attività commerciali, nell'ambito di aree pubbliche di particolare valore storico, artistico e paesaggistico, può determinare la compromissione delle esigenze di tutela del patrimonio culturale con effetti pregiudizievoli anche sullo sviluppo e la promozione del turismo culturale.
Insomma, per il ministro Ornaghi, è giunto il momento di far rispettare il codice Urbani e fornire, quindi, alle soprintendenze, nonché indirettamente ai comuni, le indicazioni tecnico-operative per valorizzare il patrimonio di cui l'Italia è ricca.
Le istruzioni sono contenute nella «Direttiva 10.10.2012 del ministro per i Beni e le attività culturali concernente l'esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale», e inviata alla Corte dei conti per la prescritta registrazione.
La ricognizione. Innanzitutto, secondo il ministro è necessario effettuare una prima ricognizione dei complessi monumentali e degli immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici rilevanti, nelle cui adiacenze si svolgono attività commerciali su area pubblica.
E ciò, al fine di valutare se sono state rispettate le prescrizioni poste e se le amministrazioni locali, nell'autorizzare il commercio su area pubblica, si sono attenute a quanto prescritto dall'art. 52 del codice (dlgs 42/2004). Perché compete ai comuni, formalmente, individuare le aree nelle quali vietare, o sottoporre a particolari condizioni, l'esercizio dell'attività, come pure reprimere il commercio non autorizzato.
Piazza con vista. A prescindere, comunque, dal rapporto di collaborazione con gli enti locali, per il ministro, vanno utilizzati gli strumenti ammessi dal codice per inibire usi non consentiti. A tale proposito, al punto 3.2.1. della direttiva, è richiamato il fatto che le piazze, vie, strade e altri spazi aperti, se di proprietà pubblica, sono da considerarsi automaticamente vincolati qualora realizzati da oltre 70 anni con il divieto, quindi, del loro utilizzo per fini non compatibili tra i quali vanno fatti rientrare il commercio ambulante ma anche la concessione di suolo pubblico per installare tavolini e sedie.
E ciò fino alla verifica, «con esito negativo» dell'eventuale interesse culturale. Peraltro, precisa anche il ministro, per le aree non soggette a specifico vincolo ma, costituenti la cornice ambientale di beni culturali direttamente tutelati, si dovrà impedire che – specie mediante l'installazione di banchetti o strutture che dir si voglia, sia pregiudicata la visuale dei beni direttamente vincolati.
Interessi collettivi. Se dovranno essere i comuni, tuttavia, per primi, a condividere i contenuti della «direttiva decoro», ciò nonostante, precisa il ministro Ornaghi, non va trascurato il fatto che destinataria del provvedimento è anche la «generalità dei consociati», in quanto titolare di un diritto di uso pubblico delle aree stesse, da esercitarsi nel rispetto delle prescrizioni e dei divieti impartiti a difesa del superiore interesse inerente la tutela dei beni».
Insomma, non è un caso se la direttiva richiama anche due pronunciamenti, rispettivamente della Corte costituzionale (247/2010) e del Consiglio di stato (482/2011) con i quali viene posto in rilevo come le vie e le piazze appartengono, di fatto, al patrimonio storico-culturale e, in quanto tale ne devono trarre vantaggio i cittadini tutti (articolo ItaliaOggi del 10.11.2012).

PUBBLICO IMPIEGODall'Inps le istruzioni operative. Regole «ante 2010» per il Tfs degli statali.
TRANSIZIONE/ In attesa dell'adeguamento delle procedure informatiche si terrà conto solo delle anzianità maturate fino al 2010.
Il trattamento di fine servizio (Tfs) dei dipendenti pubblici continuerà a essere calcolato secondo le regole vigenti al 31.12.2010.

Infatti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 223/2012 che ha dichiarato la incostituzionalità dell'articolo 12, comma 10, del Dl 78/2010, l'Inps ha emanato le prime istruzioni operative (messaggio 09.11.2012 n. 18296) a seguito del Dl 185/2012 che ha abrogato retroattivamente la norma oggetto di censura.
Fino al 2010, i trattamenti di fine servizio (buonuscita per gli statali ex Enpas e indennità premio servizio per gli enti locali/sanità ex Inadel) erano calcolati prendendo a riferimento la retribuzione annua dell'ultimo giorno di servizio per gli statali, mentre per gli altri valeva la retribuzione dell'ultimo anno.
Tale importo, rapportato all'80%, costituiva la base di calcolo da moltiplicare per gli anni utili per i quali vi era stato versamento della contribuzione. Era considerato anno intero la frazione non inferiore a sei mesi e un giorno, tralasciando quelle inferiori. L'importo veniva a sua volta diviso per 12 o per 15 a seconda se la prestazione era a carico dell'ex Enpas oppure ex Inadel.
Con la manovra estiva del 2010, al fine di contenere ulteriormente i costi del pubblico impiego, si stabilì che con effetto dal 01.01.2011 per i lavoratori della pubblica amministrazione, ai quali il computo dei trattamenti di fine servizio comunque denominati non era già regolato in base a quanto previsto per il personale in regime di Tfr (articolo 2120 del codice civile), il calcolo dovesse avvenire in base alle regole civilistiche, con applicazione dell'aliquota del 6,91 per cento.
Il decreto stabilisce, altresì, che i trattamenti saranno riliquidati d'ufficio entro un anno dall'entrata in vigore e –in ogni caso– non si provvederà al recupero a carico del dipendente delle eventuali somme già erogate in eccedenza. In attesa dell'adeguamento delle procedure informatiche, i Tfs saranno erogati in via provvisoria tenendo conto delle sole anzianità maturate fino al 31.12.2010 (articolo Il Sole 24 Ore del 10.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Niente attenuanti per i dirigenti. Aver attuato le direttive dei politici non riduce la responsabilità. Sentenza della Corte conti Puglia sulle relazioni tra organi di governo e manager locali.
La responsabilità amministrativa ed erariale dei dirigenti non viene né eliminata, né ridotta dalla circostanza che il loro agire considerato antigiuridico dalla Corte dei conti discenda da direttive espresse dall'organo di governo.
La sentenza 24.09.2012 n. 1216 della Corte dei conti, Sez. giurisdizionale per la Puglia, costituisce una pietra miliare per chiarire definitivamente le relazioni tra organi di governo e dirigenti, sfatando la convinzione, molto radicata, che lo strumento della direttiva possa da un lato orientare la gestione verso risultati antigiuridici facendo da scudo alla responsabilità, dall'altro costituisca limite insormontabile all'autonomia decisionale dei dirigenti.
La sentenza della magistratura contabile ha accertato la responsabilità erariale di un dirigente che, in violazione aperta del principio di onnicomprensività, ha liquidato a se stesso e a propri dipendenti compensi per la realizzazione di progetti, qualificati «extra orario», finanziati dall'Unione europea.
Tra gli elementi presentati a difesa del proprio operato, il dirigente ha puntato sull'assenza di colpa grave, scaturente dall'aver agito in buona fede, per aver eseguito un mandato stabilito dalla giunta comunale e, inoltre, nel rispetto di una fonte regolamentare interna.
La sentenza evidenzia come simile eccezione risulti priva di pregio, riferendosi alla normativa che sancisce il principio di separazione delle competenze e delle responsabilità degli organi di governo, rispetto alla dirigenza.
Nell'ordinamento locale, tale principio è fissato dall'articolo 107, comma 1, del dlgs 267/2000, secondo il quale «i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo».
La sentenza, per evidenziare la responsabilità del dirigente, richiama una norma che costituisce diretta conseguenza del principio di separazione, l'articolo 45, comma 4, del dlgs 165/2001, ai sensi del quale i dirigenti sono in via esclusiva responsabili dell'attribuzione dei trattamenti economici accessori.
L'esclusività delle funzioni e competenze dirigenziali non può essere ridotta o lesa dalla relazione funzionale con gli organi di governo.
Le direttive del sindaco o della giunta non hanno, né potrebbero avere, alcuna forza cogente nei riguardi dell'azione gestionale, perché se così non fosse, il principio di separazione sarebbe ovviamente sempre violato.
I dirigenti non possono trincerarsi dietro le direttive degli organi di governo, per rinunciare alla doverosità del proprio agire legittimo. Del resto, la giurisprudenza consolidata della magistratura contabile ha messo in evidenza che gli atti dei dirigenti, anche se a monte esistano direttive, non possono considerarsi come «dovuti», in particolare, come nel caso di specie, se le direttive si rivelino illegittime. E, comunque, adottare atti gestionali conformi a direttive illegittime implica la responsabilità del dirigente, visto che è questo, esprimendo la volontà nella fase finale dell'iter, che determina l'insorgere dell'azione lesiva dell'erario.
La sentenza della sezione Puglia sottolinea perfino che non solo una direttiva illegittima non giustifica un comportamento gravemente negligente, come quello adottato liquidando somme in difformità dalle regole imposte dalla legge e dalla contrattazione, ma addirittura impone al dirigente di esprimere la propria autonomia decisionale. Giungendo a disattenderla, ovviamente motivando, o, nel dubbio, interpretarla in modo da renderla conforme e rispettosa della legge
(articolo ItaliaOggi del 09.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Se i consiglieri cambiano casacca è necessario rivederne la composizione. Commissioni col bilancino. Va rispettato il criterio proporzionale del Tuel.
È necessario provvedere a un riequilibrio generale delle commissioni consiliari permanenti originariamente costituite se, a fronte dei molteplici mutamenti politici intervenuti nel tempo, si è modificata la compagine dei consiglieri e, quindi, la composizione dei gruppi? Il consigliere che ha cambiato gruppo, se riveste le funzioni di presidente di una commissione consiliare, deve continuare a svolgere tali funzioni fino al termine del mandato oppure si deve procedere alla sua sostituzione?

Le commissioni consiliari previste dall'articolo 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000, una volta istituite sulla base di una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate dall'apposito regolamento comunale con l'unico limite, posto dal legislatore, riguardante il rispetto del criterio proporzionale nella composizione.
Ciò significa che le forze politiche presenti in consiglio devono essere il più possibile rispecchiate anche nelle commissioni, in modo che in ciascuna di esse ne sia riprodotto il peso numerico e di voto.
Il caso prospettato si inquadra nell'ambito dei possibili mutamenti che possono sopravvenire all'interno delle forze politiche presenti in consiglio comunale per effetto di dissociazioni dall'originario gruppo di appartenenza, comportanti la costituzione di nuovi gruppi consiliari ovvero l'adesione a diversi gruppi esistenti.
Il principio generale del divieto di mandato imperativo, sancito dall'articolo 67 della Costituzione, assicura ad ogni consigliere l'esercizio del mandato ricevuto dagli elettori –pur conservando verso gli stessi la responsabilità politica– con assoluta libertà, ivi compresa quella di far venir meno l'appartenenza dell'eletto alla lista o alla coalizione di originaria appartenenza (cfr Tar, Trentino-Alto Adige, Trento n. 75 del 2009).
Va da sé che i mutamenti in parola modificano i rapporti tra le forze politiche presenti in consiglio, incidendo sul numero dei gruppi ovvero sulla consistenza numerica degli stessi, e ciò non può non influire sulla composizione delle commissioni consiliari che deve, pertanto, adeguarsi ai nuovi assetti.
La fattispecie prospettata va, pertanto, inquadrata nell'ambito di un riequilibrio generale degli assetti presenti nelle commissioni.
Quanto al rispetto del criterio proporzionale previsto dal citato articolo 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000, il legislatore non precisa come lo stesso debba essere declinato in concreto. Spetta al regolamento, cui sono demandate la determinazione dei poteri delle commissioni nonché la disciplina dell'organizzazione e delle forme di pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi idonei a garantirne il rispetto.
Secondo quanto osservato dal Tar Lombardia, nella sentenza n. 567/1996, il criterio proporzionale è posto dal legislatore come direttiva suscettibile di svariate opzioni applicative, egualmente legittime purché coerenti con la ratio che quel principio sottende, e che consiste nell'assicurare in seno alle commissioni la maggiore rappresentatività possibile. Al raggiungimento di questo risultato concorrono, come esperienza e prassi dimostrano, non soltanto la rappresentanza individuale proporzionata alla consistenza delle forze politiche presenti nell'organo elettivo, ma anche – quando la varietà di consistenza e di numero dei gruppi non consenta di conseguire l'obiettivo con precisione aritmetica, per quozienti interi  meccanismi tecnici (quali il voto ponderato, il voto plurimo e simili) idonei ad assicurare a ciascun commissario un peso corrispondente a quello della forza politica che rappresenta.
Nel caso di specie se, in materia di commissioni consiliari, il regolamento sul funzionamento del consiglio comunale prevede che la ripartizione dei membri delle commissioni da parte dei singoli gruppi deve essere effettuata con un criterio di proporzionalità –garantendo, comunque a ciascun consigliere la presenza in almeno una commissione consiliare– e che nel caso di dimissioni, decadenza od altro motivo che renda necessaria la sostituzione di un consigliere, il presidente del gruppo consiliare di appartenenza designi un altro rappresentante, è necessario provvedere, anche al fine di adeguare la composizione delle commissioni al criterio proporzionale previsto dal citato art. 38 del dlgs 267/2000, ad una revisione complessiva delle stesse con una deliberazione del consiglio comunale che prenda atto della designazione dei consiglieri in rappresentanza dei gruppi neo costituiti e della sostituzione dei consiglieri.
Il disposto recato dal regolamento comunale in combinato disposto con il citato art. 38 Tuel è applicabile anche alla ipotesi prospettata del consigliere eletto presidente di una commissione in rappresentanza di un gruppo dal quale successivamente si sia dissociato (articolo ItaliaOggi del 09.11.2012).

PUBBLICO IMPIEGOLEGGE ANTICORRUZIONE/ Per gli enti locali occorreranno specifiche intese in Unificata. Piani di legalità nei pubblici uffici. Codici di condotta, turnover dei dirigenti, incarichi ai raggi X.
Definizione di un piano e individuazione di un responsabile (di norma il segretario) per le attività di contrasto della corruzione. Adozione di un codice di comportamento dei dipendenti. Turnover dei dirigenti, specialmente nei settori più a rischio, e rafforzamento del contrasto ai casi di conflitto di interessi. Trasparenza e pubblicità sui conferimenti di incarichi discrezionali e sui tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi.

Sono questi alcuni dei principali obblighi imposti dalla legge recante «disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», approvata in via definitiva dal Parlamento e già firmata dal capo dello stato (il testo è atteso in Gazzetta Ufficiale).
Va chiarito fin da subito che tale provvedimento si applica a tutte le p.a. di cui all'art. 1, comma, 2, del dlgs 165/2011, ivi compresi, quindi, regioni, enti locali, nonché enti pubblici e soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo.
Per gli enti territoriali, però, occorreranno specifiche intese, da raggiungere in Conferenza unificata entro 120 giorni dall'entrata in vigore della legge, per definirne operativamente le modalità applicative.
In primo luogo, andranno specificati tempi e modalità di definizione del piano triennale di prevenzione della corruzione, a partire da quello relativo agli anni 2013-2015. In base alla disciplina generale, il piano deve adottato dall'organo di indirizzo politico di ciascuna pa entro il 31 gennaio e deve contenere la valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione e l'indicazione degli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio. Esso dovrà essere coerente con le linee guida contenute nel piano nazionale anticorruzione approvato dalla commissione nazionale per la valutazione, l'integrità e la trasparenza della pubblica amministrazione (Civit), che è stata individuata come l'autorità nazionale in materia.
Il piano, che andrà trasmesso alla regione interessata e al dipartimento della funzione pubblica, dovrà essere predisposto dal responsabile anticorruzione, che negli enti locali coinciderà, di norma e salva diversa e motivata determinazione degli organi di indirizzo politico, con il segretario.
Quest'ultimo vede così ulteriormente rafforzate le proprie prerogative in materia di controllo, già fortemente ampliate (sul versante della regolarità amministrative e contabile) dal recente dl 174/2012.
Nella sua nuova veste di responsabile anticorruzione, il segretario, oltre a predisporre il piano triennale, dovrà verificarne la concreta attuazione, curando anche la selezione e la formazione del personale destinato a operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, assicurandone altresì l'effettiva rotazione.
Per compensare tali maggiori responsabilità (e i connessi risvolti di natura disciplinare ed erariale per i casi di omissione di controllo), la nuova legge prevede che la revoca del segretario da parte del sindaco per gravi violazioni d'ufficio debba essere inviata dal prefetto alla Civit, che deve pronunciarsi entro 30 giorni. Decorso tale termine la revoca diventa efficace, salvo che l'autorità rilevi il suo collegamento con le attività di prevenzione anticorruzione.
Gli enti locali dovranno anche adottare norme regolamentari relative all'individuazione degli incarichi vietati ai dipendenti pubblici e dotarsi di un codice di comportamento che integri e specifichi quello generale che dovrà essere definito a livello nazionale. Il codice integrativo dovrà essere adottato, previo parere dell'organismo interno di valutazione (Oiv), sulla base dei criteri, delle linee guida e dei modelli predisposti dalla Civit ed una copia dovrà essere consegnata ai dipendenti all'atto della assunzione, con obbligo di sottoscrizione.
Rafforzati, infine, gli obblighi di pubblicità e trasparenza, con riguardo, innanzitutto, agli esiti delle verifiche periodiche sul rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi. Le pa dovranno anche trasmettere alla funzione pubblica, tramite gli Oiv, tutti i dati utili (compresi titoli e curricula) a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni, individuate discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione.
La legge ha comunque delegato il governo ad adottare un decreto legislativo «per la disciplina organica degli illeciti, e relative sanzioni disciplinari, correlati al superamento dei termini di definizione dei procedimenti» e uno per normare in modo organico gli adempimenti pubblicitari a carico della p.a. L'esecutivo è stato anche delegato a emanare un provvedimento per il riordino della disciplina delle cause di incandidabilità, che dovrebbe vedere la luce in tempi brevi.
Infine, vanno segnalate le modifiche apportate al Tuel per adeguare le relative disposizioni alle nuove fattispecie di reato introdotte.
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La velocità di conclusione dei procedimenti entra nel piano anticorruzione. Non c'è trasparenza senza controllo dei tempi. Il controllo dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi entrano a far parte del piano anticorruzione.
Lo stabilisce la legge anticorruzione, che interviene in diversi punti allo scopo di riformare la legge sul procedimento amministrativo, la 241/1990, per garantire la maggiore trasparenza possibile nell'esercizio dell'azione amministrativa.
Si tratta di disposizioni che si aggiungono a quanto già prevede l'articolo 2, commi 9 e seguenti, della legge 241/1990, i quali prevedono responsabilità disciplinari e contabili nei confronti dei dirigenti che non rispettino i termini dei procedimenti, oltre a sistemi sostitutivi nel caso di inerzia.
Dietro il mancato rispetto dei termini dei procedimenti amministrativi possono, in effetti, annidarsi situazioni di corruttela o, comunque, azioni volte a favorire la conclusione di procedimenti con strade privilegiate rispetto ad altri.
Col rischio che i procedimenti conclusi prima per favorire qualcuno, possano comportare ritardi ingiusti nei confronti degli altri.
Nell'articolo 11 del codice di comportamento allegato ai contratti collettivi di lavoro, è specificato che «nella trattazione delle pratiche egli rispetta l'ordine cronologico e non rifiuta prestazioni a cui sia tenuto motivando genericamente con la quantità di lavoro da svolgere o la mancanza di tempo a disposizione».
Gli uffici e i dipendenti, dunque, debbono rispettare la tempistica, secondo l'ordine di ricezione delle istanze o di attivazione delle pratiche, evitando di anticipare i tempi o ritardarli ad arte, allo scopo di suscitare elementi di possibile corruttela.
Il disegno di legge anticorruzione non solo indica il monitoraggio dei tempi come uno degli elementi costitutivi del piano triennale di prevenzione della corruzione, ma in ogni caso impone alle amministrazioni il controllo periodico del rispetto dei tempi procedimentali, allo scopo di eliminare tempestivamente le anomalie e di esporre i risultati del monitoraggio sul sito web.
I cittadini, in questo modo, potranno contare sulla possibilità di capire il grado generale di puntualità e rispetto dei termini procedimentali.
Le amministrazioni, comunque, dovranno fare ancora di più. Il disegno di legge le obbliga ad attivare definitivamente sistemi telematici di relazione con i cittadini. Tramite strumenti di identificazione informatica da mettere in azione nel rispetto del codice dell'amministrazione digitale, ciascun cittadino dovrà poter accedere a tutte le informazioni concernenti i procedimenti e i provvedimenti che lo riguardano. In particolare, il singolo soggetto interessato, potrà verificare lo stato della procedura e i relativi tempi.
In questo modo, oltre al controllo interno sul rispetto dei tempi, si crea anche un sistema di controllo esterno, generalizzato sul monitoraggio e specifico, invece, per i singoli procedimenti.
Il disegno di legge anticorruzione, in sostanza, chiude il cerchio del sistema di garanzia delle tempistiche procedimentali, innescando una piena trasparenza che dovrebbe costituire un deterrente per la corruzione (articolo ItaliaOggi del 09.11.2012).

CONSIGLIERI COMUNALINuovi obblighi per i vertici politici dal dl salva-enti che ieri ha incassato la fiducia. Una relazione all'inizio e una alla fine del mandato.
Regioni, province e comuni chiamati alla trasmissione della relazione di fine legislatura alla Corte dei conti e alla pubblicazione della stessa sui propri siti internet istituzionali. In caso di inadempimento, scatteranno, per gli organi di vertice e i dirigenti responsabili sanzioni pecuniarie che prevedono il dimezzamento delle indennità di mandato e degli emolumenti. Presidenti di provincia e neosindaci redigeranno, entro tre mesi dal loro insediamento, una relazione di inizio mandato che dia conto della situazione finanziaria e patrimoniale dell'ente, nonché del suo livello di indebitamento.
Queste alcune delle novità apportate dal lavoro congiunto delle Commissioni permanenti affari costituzionali e bilancio, tesoro e programmazione della camera, al testo del decreto legge salva enti (il n. 174/2012) che proprio ieri ha incassato il voto di fiducia dall'aula di Montecitorio.
Relazione di fine legislatura. Con un restyling alle disposizioni recate dal dlgs n. 149/2011 (uno dei decreti delegati attuativi del federalismo fiscale), il decreto n. 174 rifà i contorni alla relazione di fine legislatura cui sono tenute le regioni, le province e le amministrazioni comunali. Innanzitutto sui tempi.
Per le regioni, viene precisato che entro dieci giorni dalla sottoscrizione della relazione da parte del presidente la stessa deve essere inoltrata alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti. Questa, entro un mese dalla ricezione, ne esprime valutazioni per iscritto che dovranno immediatamente essere rese pubbliche attraverso l'immissione sul sito internet istituzionale della regione. Se la regione non redige o pubblica online la relazione di fine legislatura, subentra un particolare regime sanzionatorio.
In pratica, al presidente e, in caso di mancata predisposizione, al responsabile delle servizio finanziario della regione viene ridotta della metà, con riferimento alle tre mensilità successive, la misura dell'indennità di mandato spettante e quella degli emolumenti. Il presidente dovrà altresì mettere sulla home page del sito il motivo della mancata pubblicazione della relazione. Per le province e i comuni, invece, la relazione di fine mandato deve essere redatta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale. Anche in questo caso, entro dieci giorni dalla sottoscrizione da parte del presidente della provincia o del sindaco dovrà essere trasmessa alla Corte dei conti. Previste sanzioni in caso di mancata redazione o di pubblicazione sul sito internet dell'ente.
Presidenti e sindaci, nonché i dirigenti responsabili, subiranno la riduzione alla metà, con riferimento alle tre successive mensilità, dell'indennità di mandato e degli emolumenti. I primi cittadini, inoltre, dovranno mettere in chiaro le motivazioni dell'omessa pubblicazione.
Relazione di inizio mandato. Entro tre mesi dall'insediamento, i presidenti delle province e i sindaci dovranno redigere una relazione di inizio mandato, ovvero una cartina al tornasole dei conti dell'ente. Infatti, lo scopo di tale relazione è quella di verificare la situazione finanziaria dell'ente, la consistenza del proprio patrimonio e la misura dell'indebitamento. A predisporla dovranno essere i responsabili dei servizi finanziari o i segretari generali. Se le risultanze della relazione dovessero far temere per la tenuta dei conti dell'ente, i presidenti e i sindaci sono autorizzati a ricorrere alle procedure per ristabilire il riequilibrio finanziario.
Nel silenzio della norma, il legislatore dovrebbe chiarire, magari anche prima del definitivo passaggio in aula previsto per martedì prossimo, l'organo cui dovrà essere inviata la relazione. Se alla Corte dei conti, nell'ambito dei controlli demandatale dall'art. 1, commi 166 e seguenti, della legge finanziaria 2006 o alla ragioneria generale dello stato. Infine, sull'onda mediatica delle vicende che hanno coinvolto esponenti politici in seno al Consiglio regionale del Lazio, il decreto modifica una disposizione contenuta all'articolo 5 del citato dlgs n. 149/2011.
In pratica, si permette alla Ragioneria generale dello stato di avviare proprie verifiche qualora si accerti un aumento non giustificato delle spese a favore dei gruppi consiliari e degli organi istituzionali dell'ente. La stessa ragioneria, inoltre, se dovesse verificare, attraverso le proprie banche dati, uno squilibrio finanziario dell'ente, dovrà darne immediata comunicazione alla competente sezione regionale della Corte dei conti (articolo ItaliaOggi del 09.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPRIVACY/ Provvedimento del Garante. Che dà anche una stretta al marketing selvaggio. Valutazione dipendenti al coperto.
Busta chiusa e web criptato per garantire la riservatezza. Valutazione ai dipendenti consegnate solo in busta chiusa o per via telematica.

Il Garante della privacy con il provvedimento 04.10.2012 n. 276 ha prescritto a un'azienda ospedaliera di adottare le misure idonee a garantire la riservatezza dei dati personali contenuti nei documenti di valutazione dei dipendenti.
Nel caso specifico un dirigente si è lamentato per aver ricevuto la propria scheda, in busta aperta, da personale amministrativo addetto a un'altra struttura dell'azienda. Il Garante ha accolto il ricorso e ha imposto al complesso sanitario di garantire maggiori tutele affinché il contenuto delle schede individuali di valutazione non possa essere letto neppure dal personale incaricato della consegna o da altre persone non autorizzate.
Possono ad esempio essere adottate modalità telematiche che consentano l'accesso al documento solo al dipendente interessato (certificandone anche l'avvenuta ricezione), oppure provvedendo a consegnare la valutazione opportunamente spillata o in busta chiusa.
CASELLARIO GIUDIZIALE APERTO ALLE P.A.
Con altro provvedimento il garante si è occupato di casellario giudiziale, rilasciando parere favorevole allo schema di decreto dirigenziale del ministero della giustizia che disciplina le modalità operative di consultazione diretta in via telematica del casellario giudiziale da parte delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi.
Le p.a. e gli enti che hanno in gestione servizi pubblici (ad esempio Poste spa, Enel spa, Italgas, Trenitalia) potranno consultare direttamente il casellario giudiziale, per acquisire informazioni sui precedenti penali e sui carichi pendenti, al fine di effettuare i controlli d'ufficio previsti dalla legge o di verificare le dichiarazioni sostitutive presentate da imprenditori e cittadini interessati, ad esempio, a partecipare a gare d'appalto e forniture o ad altri provvedimenti (ad esempio il rilascio della patente di guida).
Saranno consentiti, però, accessi selettivi ai soli dati giudiziari indispensabili agli accertamenti di competenza. Anzi viene creato ad hoc proprio il «certificato selettivo», ad uso degli enti pubblici
Sono state previste convenzioni tra il ministero della giustizia e i soggetti interessati che stabiliranno le condizioni e le regole tecniche per il rilascio dei «certificati selettivi».
Il garante ha chiesto inoltre di introdurre adeguate misure di sicurezza, soprattutto sul controllo degli accessi. La consultazione diretta del Sic (Sistema informativo del casellario) avverrà infatti mediante il Cerpa (Centro europeo ricerca e promozione dell'accessibilità), il sistema per la certificazione massiva gestito dall'ufficio centrale del casellario. Il Sic potrà essere consultato tramite tecnologia web service o tramite Pec, il servizio di posta elettronica certificata. L'Ufficio del casellario centrale garantirà la piena tracciabilità dei collegamenti telematici tra il Cerpa e i vari sistemi coinvolti. Verrà istituito il «Registro degli accessi al Sic», che consentirà all'amministrazione interessata di eseguire controlli informatizzati trimestrali, anche a campione, sulla rispondenza delle richieste dei certificati ai rispettivi procedimenti amministrativi. Le registrazioni e i log del sistema dovranno essere conservati per dieci anni.
LISTE INVALIDI PER LA PROTEZIONE CIVILE
Sempre dal Garante arrivano precisazioni per il piano di protezione civile relativa agli invalidi: i comuni devono chiedere l'elenco dei nominativi alle Asl e non all'Inps. L'Inps, infatti, non può inviare ai Comuni l'elenco degli invalidi perché nessuna norma lo autorizza a comunicare all'ente locale dati sulla salute delle persone che fruiscono delle prestazioni d'invalidità.
MARKETING SELVAGGIO
In materia di marketing, infine, Il Garante della privacy ha vietato il trattamento illecito dei dati di circa un milione di persone contenuti nel data base di una società che opera nel settore delle vendite per corrispondenza e del marketing diretto. La decisione (provvedimento 286/2012) è stata adottata in seguito agli esiti dell'attività ispettiva avviata su segnalazione di numerose persone che lamentavano di essere state disturbate con offerte commerciali indesiderate (articolo ItaliaOggi del 09.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATARiscaldamento, impianti finanziati. Aiuti fino al 40% dei costi per cittadini e aziende che cambiano. Il governo vara il nuovo Conto termico. I contributi fino a esaurimento fondi. A disposizione 900 mln..
Ai cittadini e alle piccole imprese che investono cento in energia termica, lo stato finanzierà 40. Impianti di riscaldamento inclusi.
Dare una sferzata alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili e accelerare i progetti di riqualificazione energetica degli edifici pubblici sono, infatti, i due obiettivi dichiarati di un decreto ministeriale, varato ieri dal ministro allo sviluppo economico, Corrado Passera, di concerto con i ministri dell'ambiente e delle politiche agricole, Corrado Clini e Mario Catania.
Il dm, conosciuto anche come «conto termico», costruisce un nuovo sistema di incentivi per interventi di piccola caratura; in sostanza per piccole imprese e usi domestici. Nell'alveo delle agevolazioni rientrano anche le serre, finora scarsamente incentivate. Cittadini e imprese potranno, così, investire alcune migliaia di euro in nuovi impianti a energia rinnovabile, supportati da un'agevolazione che andrà a copertura del 40% dell'investimento e che sarà incassata entro un biennio. O in cinque anni per gli investimenti più costosi.
Le tecnologie termiche da fonti rinnovabili incentivate sono riscaldamento a biomassa, pompe di calore, solare termico e solar cooling. Sul versante pubblica amministrazione, invece, gli incentivi serviranno, a detta del ministero dello sviluppo economico, a «superare le restrizioni fiscali e di bilancio, che non hanno finora consentito alle amministrazioni di sfruttare le potenzialità» del risparmio energetico. Il conto termico servirà, quindi, a riqualificare gli edifici di proprietà pubblica dal punto di vista energetico. Vediamo come.
I fondi. Intanto va detto che i finanziamenti, che il decreto sul Conto termico mette a disposizione delle pubbliche amministrazioni, ammontano a 200 mln di euro per le pubbliche amministrazioni e a 700 mln di euro per i privati cittadini e le piccole imprese. Infatti, per le amministrazioni pubbliche il blocco alle erogazioni scatterà trascorsi due mesi dal raggiungimento dell'impegno di spesa annua cumulata in agevolazioni di 200 mln di euro. Mentre, per i privati, i condomini e le aziende, lo stop scatterà trascorsi 60 giorni dal raggiungimento dell'impegno di spesa cumulato annuo di 700 mln. Raggiunte tali soglie, bisognerà attendere un nuovo decreto interministeriale, che aggiorni il parco agevolazioni
Gli interventi. Per privati e aziende, il Conto termico finanzia: la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti, con altri a pompe di calore elettriche o a gas, anche geotermiche; la sostituzione di impianti esistenti di climatizzazione invernale e riscaldamento delle serre con impianti di climatizzazione invernale alimentati da generatori a biomassa; l'installazione di collettori solari termici, anche abbinati a sistemi di solar cooling; la sostituzione di scaldacqua elettrici con scaldacqua a pompa di calore.
Per gli edifici delle p.a., oltre agli interventi di cui sopra, il Conto termico finanzia anche investimenti in isolamento termico, chiusure trasparenti e infissi, nuovi impianti con generatori di calore a condensazione e sistemi di schermatura e ombreggiamento di chiusure, fissi e mobili (articolo ItaliaOggi del 09.11.2012).

ENTI LOCALIUna controriforma sui controlli. Fa discutere la presenza dei ministeriali nei collegi dei revisori. La norma inserita nel dl 174 è di dubbia utilità. E se ne è accorto anche il Parlamento.
Le risposte legislative date sull'onda di uno sdegno generalizzato quasi sempre hanno prodotto effetti disastrosi che si sono trascinati negli anni. Il «rafforzamento» dei controlli negli enti locali disposto dal dl 174, presenta aspetti di controriforma del sistema delle autonomie e porta a duplicazione di controlli ed a soluzioni che destano sul piano operativo forti dubbi di fattibilità. Non si comprende la ratio della disposizione introdotta con il comma 1, lettera m dell'art. 3 del dl 174/2012.
Come sostenuto dall'Upi la nomina, da parte del prefetto, di un presidente del collegio dei revisori, di concerto con i ministeri dell'interno e dell'economia, nei comuni con popolazione superiore a 60 mila abitanti e quelli capoluogo di provincia, non appare assolutamente in linea con le prerogative di autonomia degli enti locali. E di questo sembrano essersene accorti i deputati di Montecitorio che in commissione hanno soppresso la norma.
Quanti dipendenti dei due ministeri avranno la professionalità ora richiesta per essere estratti a sorte come revisori in tali enti? Per essere estratti a sorte per tali enti, occorre essere iscritti ad albo professionale da almeno dieci anni, aver svolto almeno due incarichi di revisione negli enti locali per la durata di tre anni ciascuno ed infine dimostrare di aver acquisito i crediti formativi specifici. La nuova disposizione non migliora l'indipendenza e la professionalità del revisore ed aumenta in modo considerevole il costo.
Quanto costa e quanto tempo richiede una trasferta da Roma ad un comune non servito dall'alta velocità per esaminare un atto quale una variazione di bilancio che storna fondi o la sottoscrizione di un modello quale tipo quello delle spese di rappresentanza?
L'esito dei controlli con revisori ministeriali nelle Asl non è certo stato esaltante. Abbiamo appreso di recente che in quelle della Calabria non c'era neppure la contabilità.
Il sistema di elezione dei revisori viene modificato prima dell'entrata in funzione attribuendo circa 250 incarichi a dipendenti ministeriali (la cui indipendenza e professionalità non è definita) con la speranza di rafforzare il monitoraggio degli obiettivi di finanza pubblica.
La scarsa conoscenza da parte di chi scrive le norme degli adempimenti a cui sono tenuti i revisori, combinata con l'accavallarsi frenetico della normativa porta a soluzioni che appaiono assurde.
L'auspicio è che la disposizione sia abrogata in via definitiva seguendo l'indicazione delle Commissioni affari costituzionali e bilancio della Camera dei deputati.
Tanti aspetti del nuovo sistema dei controlli delineato dall'art. 3 del decreto 174, destano perplessità e la fretta della conversione in legge non aiuta quegli approfondimenti che sarebbero necessari. Si è aperta una caccia ad acquisire maggiori poteri di controllo da parte di troppi interlocutori. La norma d'altra parte non è per nulla organica ed amplia compiti ai segretari, ai responsabili dei servizi finanziari, ai servizi ispettivi del Mef, alla Guardia di finanza, alla Corte dei conti e anche ai revisori.
Il controllo di regolarità amministrativa e contabile deve ora essere effettuato da struttura interna sia in via preventiva che successiva (con la tecnica del campionamento) sotto la direzione del segretario e le risultanze sono trasmesse periodicamente all'organo di revisione. A cosa serve un controllo a posteriori effettuato dalle stesse persone che l'hanno esercitato ex ante? Tale nuova disposizione come si raccorda con l'affidamento all'organo di revisione dello stesso controllo con uguale criterio (principi di revisione aziendale) e sulle stesse materie come indicato dall'art. 239 del Tuel? Ed ancora, a dimostrazione che la fretta porta a confusione; il citato art. 3 al comma 1, lettera o), amplia i pareri obbligatori dei revisori su proposte di atti fondamentali della gestione e tra questi i regolamenti di contabilità, economato-provveditorato, patrimonio e di applicazione dei tributi locali. La norma richiede un «motivato giudizio di congruità, coerenza e di attendibilità contabile delle previsioni di bilancio» anche per il parere sui regolamenti. Come esprimere il motivato giudizio nell'articolazione richiesta sui regolamenti richiede un'enorme fantasia.
È giusto ampliare la funzione di collaborazione del revisore perché i pareri obbligatori preventivi hanno evitato in tanti casi gravi irregolarità e contribuito a mantenere gli equilibri finanziari, ma non è possibile, in un Paese normale, aumentare continuamente i compiti, responsabilità e sanzioni senza preoccuparsi dell'iniquità dei compensi. Forse, la mancata congruità dei compensi non rende possibile l'adeguato svolgimento di funzioni solo per alcuni.
Un auspicio: fermiamoci un attimo! La confusione per gli enti locali è già troppa, il termine del 31 ottobre era stabilito per approvare il bilancio del nuovo anno e non di quello in corso, per gli organismi partecipati è arduo comprendere quali siano le norme sono vigenti e la loro portata ed inoltre per l'Imu, stante l'incertezza del gettito, è autorizzato l'«accertamento virtuale».
Apriamo un confronto fra gli attori del controllo per elaborare una normativa di rafforzamento dei controlli sostanziali, non invasiva e razionale. Una normativa che eviti costose duplicazioni e preveda una stretta relazione fra controlli interni, organo di revisione e Sezione regionale della Corte dei conti a cui affidare la «regia» e il controllo sui controlli (articolo ItaliaOggi del 09.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

VARI: Circolare dei trasporti. Patente smarrita, ecco il nuovo modello per licenza europea.
Chi deve richiedere una nuova patente di guida per smarrimento distruzione o furto deve presentarsi a un ufficio di polizia con un documento di riconoscimento e due fotografie formato tessera facendo attenzione ad apporre correttamente anche la firma autografa sul nuovo modello di domanda.

Lo ha chiarito il Ministero dei Trasporti con la nota 31.10.2012 n. 29619 di prot..
Il rinnovo della patente di guida per smarrimento, sottrazione o distruzione è disciplinato dal dpr 104/2000. Con circolare 18/6/2001 il ministero dei trasporti ha illustrato concretamente le modalità operative per il corretto svolgimento di questa formalità. In pratica l'interessato può presentarsi a un qualsiasi ufficio di polizia, entro 48 ore, con un documento di riconoscimento e due fotografie formato tessera.
Espletate tutte le formalità l'utente stradale uscirà dal comando con il permesso provvisorio di circolazione già compilato, valido per 90 giorni. Sempre che la patente sia duplicabile e non risulti scaduta. In questo caso infatti a parere dell'organo tecnico centrale solo gli uffici della motorizzazione potranno dare adeguata assistenza agli utenti interessati rilasciando anche un permesso provvisorio di circolazione. Con l'entrata in vigore del dlgs 59/2011, dal 19/01/2013, cambieranno le categorie delle patenti di guida e arriverà anche un nuovo modello di patente, la licenza europea.
Queste importanti novità in arrivo condizioneranno anche la procedura per il rilascio del duplicato della licenza di guida. Oltre alle fotografie l'interessato d'ora in poi dovrà apporre sulla domanda di duplicato anche la propria firma autografa. Questa annotazione dovrà infatti obbligatoriamente essere riprodotta anche sul duplicato della patente di guida (articolo ItaliaOggi del 06.11.2012).

ENTI LOCALIEnti locali. Sono i possibili addetti da trasferire per effetto di accorpamenti e riduzione di funzioni. Fino a 12mila eccedenze nelle Province.
LA CONSULTA/ Oggi udienza davanti alla Corte costituzionale sui ricorsi presentati da 8 Regioni contro la stretta del salva-Italia di dicembre.

Per una partita sulle eccedenze nella Pa che si avvia alla conclusione, come spiega l'articolo qui in alto, ce n'è un'altra che è appena al fischio di inizio e che si concluderà nel 2014. A giocarla saranno vecchie e nuove Province.
Sono 12mila infatti i dipendenti che rischiano di dover essere ricollocati per effetto del doppio intervento del taglio di 35 enti di area vasta nelle Regioni ordinarie e della riduzione a 3 (ambiente, trasporti, edilizia scolastica) delle funzioni.
La stima è frutto di un'elaborazione del Sole 24 Ore. Che parte dagli ultimi numeri sul personale resi noti dall'Upi e li incrocia con la stretta avviata dal salva-Italia, proseguita dalla spending review e completata dal decreto sul riordino varato mercoledì. Dei circa 57mila lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni provinciali, circa 27mila appartengono a quelle interessate dagli accorpamenti o dall'evoluzione in città metropolitane. Al loro interno può essere individuato un primo gruppo di 12mila unità "a rischio-eccedenza". Si tratta dei dipendenti delle Province che confluiranno in altri "enti di mezzo" e perderanno il titolo di capoluogo. Immaginando che questo venga fissato ovunque nel Comune più popoloso –anche se la legge consente ai sindaci interessati, anche a maggioranza, di disporre diversamente– e considerando che gli organi politici andranno concentrati in un unico "palazzo" poiché non ci saranno sedi decentrate, in teoria, gli unici lavoratori sicuri del posto sarebbero quelli che già risultano oggi occupati nel capoluogo.
Per gli altri partirebbe il ricollocamento presso uno degli uffici che gestiranno le tre funzioni rimaste di competenza provinciale oppure presso i Comuni che le erediteranno. A meno che le Regioni non decidano di tenerle per sé, gestendole in proprio o magari creando una struttura ad hoc. Il procedimento per il trasferimento del personale sarà molto simile a quello descritto qui in alto. con le specificità delineate dall'articolo 6 del Dl approvato la settimana scorsa e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
È presumibile che l'iter occupi gran parte del 2013 e si concluda solo a ridosso della partenza dei nuovi enti fissata per il 01.01.2014. I criteri e le modalità da seguire saranno concertate con i sindacati. Ma se entro 30 giorni non si raggiungerà un accordo i presidenti di Provincia potranno avviare i passaggi di ruolo. Nel rispetto di un doppio vincolo: le dotazioni organiche saranno rideterminate tenendo conto dell'effettivo fabbisogno; per le eventuali deroghe conteranno i parametri di virtuosità già richiamati dalla spending.
Ulteriori novità sul fronte Province potrebbero arrivare oggi dalla Consulta che esaminerà il ricorso presentato da 8 Regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli, Lazio, Campania, Molise e Sardegna) contro l'articolo 23 del Dl salva-Italia del dicembre scorso che ha disegnato i futuri consigli provinciali come organi di secondo livello, eletti dai Comuni. In caso di accoglimento verrebbe meno una delle due gambe su cui si regge l'intera risistemazione delle Province e il Governo sarebbe costretto a correre ai ripari. Anche perché l'articolo 23 è l'unica disposizione dell'intera operazione-Province per cui l'Esecutivo ha già "cifrato" i potenziali risparmi. I 65 milioni quantificati all'epoca del salva-Italia ma prudenzialmente non messi a bilancio (articolo Il Sole 24 Ore del 06.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Giustizia. La legge anticorruzione rinvia a un decreto per disciplinare il nuovo sistema di controllo antimafia.
Una white list per gli appalti. L'informativa della Prefettura sostituita da un elenco in continuo aggiornamento.
LA PREVENZIONE/ Chi non è soggetto al rischio di infiltrazioni non guadagna l'immunità da accertamenti Basta poco per perdere l'iscrizione.

Tempi brevi per l'entrata in vigore di elenchi di imprenditori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (articolo 1, commi 52 e 53, legge anticorruzione): entro 60 giorni un decreto del Presidente del Consiglio chiarirà le modalità di funzionamento, ed entro i successivi 60 giorni l'informativa antimafia "atipica" o "supplementare" sarà sostituita, in taluni settori, da un elenco (white list). I settori sono quelli più soggetti a rischi di infiltrazione (trasporti, smaltimento rifiuti, inerti, come da tabella allegata).

Fino ad oggi la Camera di commercio rilasciava certificati di iscrizione con una generica stampigliatura di validità antimafia, di frequente contraddetti da informative prefettizie di contenuto diverso, motivate caso per caso attraverso richiami a rapporti redatti dagli organi di investigazione. Le "informative" prefettizie sono tuttavia destinate ad esser sostituite da "comunicazione antimafia" (articolo 84, Dlgs 159/2011): nell'attesa dell'entrata in vigore del Codice antimafia del 2011 (dopo 24 mesi da un regolamento che ancora manca), nei settori più a rischio individuati dalla legge anticorruzione le informative non saranno più singole (a richiesta degli enti interessati), bensì desumibili dalla lettura nell'elenco (white list).
Chi è presente in tale elenco potrà dichiararsi «non soggetto a rischio di infiltrazione» e concorrere quindi senza attendere la verifica della Prefettura. L'elenco delle attività più esposte a rischio di infiltrazione coincide con quello contenuto nella direttiva del ministro dell'Interno Maroni n. 4610 del 13.06.2010, ma altre tipologie possono arricchire l'elenco delle attività certificabili come indenni da rischi.
Una lista analoga era già prevista nell'articolo 4, comma 13, del decreto sviluppo (70/2011), ma riguardava solo i subfornitori e i subappalti: ora si opera anche a monte, direttamente sugli appalti; di contenuto simile è anche il Codice etico che l'articolo 3 dello Statuto delle imprese (legge 180/2011) prevede sotto forma di rifiuto di ogni rapporto con organizzazioni criminali o mafiose: chi non aderisce al codice etico non può far parte delle associazioni e perde benefici in tema di semplificazioni amministrative (Scia, Dia edilizie).
L'inserimento nell'elenco dei «non soggetti a tentativi di infiltrazione» dovrebbe essere automatico, poiché è un diritto delle imprese quello di non essere discriminate attraverso albi o elenchi. Può quindi prevedersi una corsa all'iscrizione, oppure un periodo di iniziale autocertificazione dell'esistenza dei requisiti per l'iscrizione in white list. Nel frattempo, coesisteranno i sistemi di "informativa" antimafia, cioè gli attestati rilasciati dalle Prefetture.
L'informatizzazione potrà rimediare ad alcuni degli inconvenienti fino ad oggi emersi per le informative, cioè la territorialità dei provvedimenti (emessi dalle Prefetture dove l'impresa ha sede): l'articolo 1, comma 52, prevede la competenza della Prefettura dove ha sede l'impresa, ma il Dlgs 159/2011 prevede anche una banca dati nazionale, rendendo irrilevante la sede della Prefettura.
L'iscrizione nell'elenco dei non soggetti a tentativi di infiltrazione non genera immunità da accertamenti successivi, poiché basterà un rischio (la presenza di pregiudicati in cantiere, la partecipazione a cartelli) per far perdere l'iscrizione. Sull'entrata ed uscita dalle liste di qualità vi sarà un verosimile contenzioso, affidato alla giustizia amministrativa che ha già ampia esperienza in tema di informative antimafia. La previsione di liste di qualità è il primo passo verso il rating di legalità delle imprese (articolo 5-ter, Dl 1/2012, ora legge 27/2012 sulle liberalizzazioni). Ivi si legge che il rating delle imprese va valutato in sede di concessione di finanziamenti pubblici e di accesso al credito bancario: il passaggio dalla white list (assenza di rischi) al rating (presenza di qualità) sarà quindi un incentivo per le imprese (articolo Il Sole 24 Ore del 06.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 06.11.2012

PUBBLICO IMPIEGO - VARILe nuove norme allargano l'applicazione del reato. Responsabilità amministrativa della società. Stretta sulla corruzione privata, ritoccare documenti costerà caro
Corruzione privata a maglie strettissime. Inasprite le pene per chi «ritocca» bilanci e documenti ufficiali lasciandosi corrompere; allargato inoltre, l'ambito applicativo del reato. Non solo: scatterà anche la responsabilità amministrativa della società per l'illecito penale commesso dal proprio dipendente i sensi del dlgs. n. 231/2001.

La legge anticorruzione, appena approvata dal parlamento, fissa più rigidi paletti non solo nei rapporto tra privati e pubbliche amministrazioni, ma anche nelle operazioni intercorse tra impresa e impresa.
L'art. 20 della legge riformula il testo dell'art. 2635 c.c., modificandone altresì la rubrica in «Corruzione tra privati» (in luogo dell'«Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità»). Si prevede ora che «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. Le pene sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi».
Risulta dunque ampliato l'elenco dei possibili autori del reato che possono essere, oltre ai soggetti individuati nel primo comma (amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori), anche coloro i quali sono sottoposti alla direzione o alla vigilanza di questi ultimi.
Tale ampliamento tiene conto del rilievo in proposito specificamente, con riferimento al reato di corruzione privata descritto nel previgente art. 2635 c.c., ritenuto non conforme agli articoli 7 e 8 della Convenzione penale di Strasburgo del 27/01/1999.
La pena è ridotta fino a un anno e sei mesi allorché il reato sia commesso da un soggetto sottoposto a quelli cui la norma si rivolge in prima battuta: si tratta del personale che è sotto la vigilanza o la direzione degli amministratori, dei direttori generali ecc. È proprio in questo l'allargamento principale della fattispecie: il coinvolgimento di soggetti che non hanno responsabilità dirette verso l'esterno, ma che agiscono in funzione di un rapporto con i rappresentanti dell'impresa.
Per il soggetto che dà o promette utilità in cambio della manipolazione dei documenti contabili è prevista la stessa pena, con ciò disincentivando ancor più le condotte criminose individuate.
Infine la pena è raddoppiata laddove siano coinvolte società quotate in mercati regolamentati. Come anticipato la nuova previsione penale trova riscontro anche nella disciplina della responsabilità amministrativa delle imprese per i reati commessi da propri apicali.
L'inserimento tra i reati societari di cui all'art. 25-ter del dlgs 231/01 viene disposto con riferimento ai «casi previsti dal terzo comma dell'art. 2635 c.c.»: la responsabilità amministrativa ex dlgs 231/2001 conseguente alla commissione del reato di corruzione tra privati, e quindi l'eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote, sarebbe pertanto configurabile a carico della società cui appartiene il soggetto corruttore, ossia colui che «dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma» dell'art. 2635 c.c. (soggetti corrotti).
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Concussione, non per induzione.
Semaforo verde alla legge anticorruzione, che aggiorna anche il catalogo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa delle imprese per i reati commessi da manager e dipendenti: scatta anche per la concussione per induzione e per la corruzione tra privati. La legge ha fatto molto discutere anche per i possibili effetti sui processi con imputati eccellenti, ma è da analizzare nel suo complesso. Si tratta di una riforma che generalmente innalza i livelli sanzionatori e precisa le fattispecie incriminatrici. Significativa è l'inversione di tendenza per la procedibilità della corruzione tra privati: da procedibile a querela a procedibile di ufficio quando dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi. Un netto distacco rispetto all'impostazione del decreto legislativo 61/2002, che ha depenalizzato il falso in bilancio e ha subordinato molti reati societari alla querela dell'interessato.
Il reato di concussione diventa riferibile al solo pubblico ufficiale (e non più anche all'incaricato di pubblico servizio) e non è più prevista la fattispecie per induzione, oggetto di un autonomo reato; la corruzione impropria del pubblico ufficiale (corruzione per un atto d'ufficio) viene riformulata in modo da rendere punibile chi tiene condotte illecite a prescindere dall'adozione o dall'omissione di atti inerenti al proprio ufficio. La legge aggiunge al codice penale il nuovo articolo 319-quater, «Induzione indebita a dare o promettere utilità» (cosiddetta concussione per induzione), che punisce sia il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che induce il privato a pagare (reclusione da 3 a 8 anni) sia il privato che dà o promette denaro o altra utilità (reclusione fino a 3 anni). Viene inserito nel codice il delitto di «Traffico di influenze illecite» (nuovo articolo 346-bis) che sanziona chi sfrutta le sue relazioni con un soggetto pubblico al fine di farsi dare o promettere denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della sua mediazione illecita oppure per remunerare il funzionario, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. Vediamo ora le novità in dettaglio.
Concussione. Il reato di concussione diventa riferibile al solo pubblico ufficiale; scompare la fattispecie della concussione per induzione ed è previsto un aumento del minimo della pena, portato da quattro a sei anni di reclusione.
L'eliminazione del riferimento alla figura dell'incaricato di pubblico servizio ripristina il testo dell'articolo 317 del codice penale vigente anteriormente alla riforma effettuata con la legge n. 86 del 1990. L'impostazione originaria del codice penale infatti non contemplava gli incaricati di pubblico servizio fra i soggetti attivi del delitto di concussione, limitando l'ambito di applicazione dello stesso ai soli pubblici ufficiali.
Corruzione. La «corruzione per un atto d'ufficio» si chiama «corruzione per l'esercizio della funzione». Il reato ha una sanzione più elevata. La corruzione è incentrata sull'indebita ricezione o accettazione della promessa di denaro o altra utilità collegata all'esercizio delle funzioni o dei poteri del pubblico ufficiale, e non al compimento di un atto dell'ufficio. Viene soppressa l'ipotesi più lieve per il pubblico ufficiale che riceve la retribuzione per un atto già compiuto. La disposizione si applica anche all'incaricato di pubblico servizio.
Corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio. Il reato continua ad applicarsi anche all'incaricato di pubblico servizio e ne è aumentata la pena, da quattro a otto anni, in luogo della reclusione da due a cinque anni.
Corruzione in atti giudiziari. Viene aumentata da quattro a dieci anni (anziché da tre a otto anni) la pena della reclusione per la corruzione in atti giudiziari.
Concussione per induzione. Si chiama «induzione indebita a dare o promettere utilità» il nuovo reato previsto dall'articolo 319-quater, codice penale, di nuova introduzione. La norma punisce il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che induce il privato a pagare; il privato che dà o promette denaro o altra utilità è punito invece con la reclusione fino a tre anni.
Traffico di influenze. È nuovo il reato di «traffico di influenze illecite» che punisce con la reclusione chi, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio oppure per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.
Abuso di ufficio. La legge punisce più severamente l'abuso d'ufficio, prevedendo l'applicazione della pena della reclusione da uno a quattro anni, anziché da sei mesi a tre anni.
Interdizione. La legge modifica l'articolo 317-bis del codice penale nel senso di far conseguire l'interdizione perpetua dai pubblici uffici anche alla condanna per corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e in atti giudiziari.
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Trasparenza della p.a. online.
La trasparenza della p.a. passa dal sito internet. Dal sito istituzionale devono essere assicurate le informazioni relative ai procedimenti amministrativi. Il tutto in un quadro di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione. Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche si devono trovare le comunicazioni di atti istituzionali (ad esempio, bilanci e conti consuntivi), ma anche dati statistici per la valutazione della regolarità ed efficienza dell'amministrazione (ad esempio, i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini).
Tramite la rete deve avvenire il dialogo tra ente pubblico e cittadino e impresa con riferimento all'iter di una singola pratica. Non si deve perdere tempo allo sportello pubblico e l'amministrazione deve rispondere per posta elettronica. Per arginare la corruzione la legge appena approvata dal parlamento (atto camera 4434-B) agisce non solo sul versante repressivo penale, ma anche su quello preventivo: questo significa impedire che si creino le condizioni in cui la corruzione attecchisce. Una amministrazione efficiente e rapida argina le situazioni in cui per far andare avanti la pratica bisogna pagare un prezzo illecito. Ma vediamo le novità della legge sotto il profilo della trasparenza amministrativa.
Tutto sul web. La legge fa un elenco degli atti da mettere sotto i riflettori. Si tratta di autorizzazioni e concessioni; appalti e gare pubbliche; concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati; concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera.
Tempi senza veli. La legge stabilisce che le amministrazioni devono provvedere al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle anomalie. Inoltre i risultati del monitoraggio devono essere consultabili nel sito web istituzionale di ciascuna amministrazione.
Per il cittadino. Ogni amministrazione pubblica deve rendere noto, sul proprio sito web istituzionale, almeno un indirizzo di posta elettronica certificata cui il cittadino possa rivolgersi per trasmettere istanze e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo riguardano.
Appalti. Con riferimento alle gare e alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici la legge precisa che cosa debbono pubblicare le stazioni appaltanti sul sito web. Ecco l'elenco: la struttura proponente; l'oggetto del bando; l'elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l'aggiudicatario; l'importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate.
Entro il 31 gennaio di ogni anno, inoltre, tali informazioni, relativamente all'anno precedente, sono pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici (articolo ItaliaOggi Sette del 05.11.2012).

APPALTIAppalti, slalom sul campo minato della responsabilità solidale. Le principali problematiche, e le relative possibili soluzioni, sul nuovo adempimento.
Caos in azienda per la nuova ipotesi di responsabilità solidale nel caso di appalto di opere e servizi. Una norma (magari anche con valide motivazioni alle spalle) sparata nel mucchio senza troppe delimitazioni sta rischiando di creare l'impasse totale.
Ecco allora una serie di questioni che a oggi, nonostante la normativa sia ormai in vigore, sono ancora sul tappeto e su cui neanche la circolare 40/E dell'Agenzia delle entrate è riuscita a fare luce. Per ognuna di esse offriremo una possibile soluzione adatta a coloro i quali, per poter continuare a operare, devono assumere una decisione.
La norma e le spiegazioni. La norma di riferimento è l'articolo 13-ter del dl n. 83 del 2012 titolato «Disposizioni in materia di responsabilità solidale dell'appaltatore». Gli unici chiarimenti fino a oggi intervenuti sono quelli contenuti nella circolare n. 40/E dell'08.10.2012 (si veda ItaliaOggi Sette del 29 ottobre) che ha compiuto degli sforzi per facilitare alcuni compiti, ma non è riuscita a superarli in toto. Anche perché non vi è certezza che sia proprio l'Agenzia delle entrate che deve superare alcuni di questi ostacoli, quali per esempio l'esatto ambito di applicazione oggettivo della disposizione (cos'è un contratto di appalto).
L'entrata in vigore. Almeno su questo punto non vi sono incertezze dopo i chiarimenti dell'Agenzia. Erano sorti dubbi, infatti, nell'individuare il momento a partire dal quale il committente/appaltatore era tenuto, in forza delle nuove disposizioni, a verificare gli adempimenti fiscali in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di appalto/subappalto.
Secondo l'Agenzia si devono considerare due fatti (concorrenti):
● le regole trovano applicazione solo per i contratti di appalto/subappalto stipulati dal 12 agosto 2012;
● in forza di quanto previsto dallo statuto del contribuente, visto che la norma introduce un adempimento di natura tributaria, gli adempimenti devono essere posti in essere a partire dal sessantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della norma e quindi in relazione ai pagamenti effettuati a partire dall'11.10.2012, in relazione ai contratti stipulati a partire dal 12.08.2012.
Ambito oggettivo. La disposizione prevede la responsabilità dell'appaltatore e del committente per il versamento all'Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto. Il contratto in questione deve essere di appalto di opere o servizi.
Ma come fare a identificare tale fattispecie? La qualificazione giuridica di un contratto genericamente di servizi non è facile e da anni la stessa giurisprudenza (anche di legalità) sta proponendo interpretazione di volta in volta non del tutto coincidente. L'unico riferimento certo è il codice civile (art. 1655), che definisce il contratto di appalto come quel contratto «col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro».
Inoltre: i contratti d'opera sono inclusi o esclusi? Provando a immaginare i rapporti esistenti in una azienda l'individuazione diviene un rompicapo (anche pensando che molti di questi rapporti non sono nemmeno formalizzati in forma scritta). Torna alla mente la pioggia di risoluzioni che sono intervenute quando era stato introdotto il reverse charge obbligatorio nel campo dei sub appalti edili (e i dubbi esistono ancora). Il consiglio più facile sarebbe quello nella pratica operativa di estendere al massimo l'ambito oggettivo, ma ciò non può certo dirsi una soluzione.
Il settore dell'attività. L'art. 13-ter non fa alcun riferimento a una particolare settore a cui lo stesso deve applicarsi facendo presumere la sua applicazione a qualsiasi contratto di appalto o servizi. È vero però che il titolo I della norma in cui è compreso anche l'art. 13-ter è denominato Misure per l'edilizia e da ciò vi è chi sta cercando di sostenere la limitazione dell'applicazione delle regole agli appalti di tale settore. A oggi la scelta di questa strada non appare però sufficientemente sorretta da motivazioni giuridica e potrebbe significare esporsi a rischi non di poco conto. Anche perché ripercorrendo la volontà del legislatore questa limitazione del campo di applicazione della novità non pare così evidente.
I soggetti. Appaltatore, sub appaltatore e committente sono tutti e tre in diversa misura nella morsa della nuova regola.
Anche dopo la circolare 40/E le diverse posizioni dovrebbero così riassumersi:
● tra appaltatore scatta la solidarietà in assenza delle cautele imposte dalla norma;
● per il committente non scatta invece la solidarietà ma una sanzione nella misura da 5 mila a 200 mila euro.
Il committente. Appurato che la responsabilità solidale non è un problema del committente (sarebbe bene che anche sul punto arrivasse una conferma esplicita) la circolare 40/E non risolve tutti i problemi di quest'ultimo. La stessa infatti fa intuire (ma ciò è desumibile purtroppo anche dalla norma) che il rischio sanzionatorio per il committente non riguarda unicamente gli adempimenti dell'unico soggetto con cui lui ha a che fare (l'appaltatore), ma anche i comportamenti dei sub appaltatori che potrebbe anche non conoscerlo (potrebbe non sapere nemmeno del loro intervento).
Il committente Alfa per stare al sicuro deve ottenere la documentazione sia dal suo appaltatore beta che da tutti i sub appaltatori di quest'ultimo (in molti casi ciò è materialmente impossibile). Un altro problema del committente riguarda la sanzione. La stessa è fissata in misura variabile da 5 mila a 200 mila euro senza che vi sia un proporzionalità con il pagamento effettuato.
Un esempio: il committente paga prima di aver verificato la regolarità del comportamento dell'appaltatore o dei sub appaltatori e la sanzione sembra in ogni caso scattare (minimo di 5 mila euro), anche nel caso in cui il pagamento sia di soli 100 euro. Il tutto appare un po' eccessivo (articolo ItaliaOggi Sette del 05.11.2012).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIFatture sprint. Sulla carta.
La pubblica amministrazione dovrebbe pagare in 30 giorni, ma non ci sono soldi. Oppure non si possono spendere per via del patto di Stabilità.
La pubblica amministrazione salderà i suoi debiti in 30 giorni, massimo due mesi, e non più in sei mesi, un anno, e anche oltre, come succede oggi. Lo stesso vale per i pagamenti tra imprese.

Lo prevede un decreto legge approvato dal governo nei giorni scorsi. Una norma salutata con favore dalle imprese, ovviamente. Ma che segna un bel passo in avanti nel velleitarismo giuridico. Perché se le pubbliche amministrazioni hanno finora accumulato quasi 100 miliardi di arretrati la causa non è la pigrizia o l'indolenza dei responsabili dei pagamenti. Il motivo è che non ci sono i soldi. O, se ci sono, non si possono spendere a causa delle regole imposte dal patto di Stabilità.
Il governo Monti invece di affrontare questi macigni preferisce aggirare l'ostacolo e, con una norma che comunque consente di guadagnare tanti bei titoli sui giornali, impone una regola che, si sa già, non potrà essere rispettata. Primo perché l'obbligo di pagare in 30 giorni è già contenuto nel dlgs 231 del 2002, anche se poteva essere derogato. Poi perché il patto di Stabilità interno, una delle cause principali dei ritardi di pagamento, non solo non viene allentato, ma dal 01.01.2013, guarda caso la stessa data di avvio delle nuove disposizioni, sarà esteso ai comuni sopra i mille abitanti (ora interessava gli enti con popolazione sopra i 5 mila).
D'altra parte i trasferimenti agli enti locali sono in continua diminuzione. Tanto che questi motivi hanno reso molto difficoltosa addirittura la certificazione dei crediti delle imprese nei confronti della p.a., figuriamoci il pagamento. Un sindaco o un governatore che non ha i soldi o che se li ha non li può spendere, potrà rispettare i termini di pagamento solennemente fissati dal nuovo decreto? Improbabile. Lo stesso vale per i rapporti tra imprese private, dove le norme già esistono, ma non sono riuscite a ridurre i tempi di pagamento che anzi, a causa della crisi degli ultimi anni, si sono allungati sempre più. Anche in materia di lotta alla corruzione, l'approccio del governo ricorda sempre più quello delle grida di manzoniana memoria.
La legge approvata mercoledì scorso infatti cerca di chiudere le maglie normative, estendendo la rilevanza penale e la sanzionabilità anche a quelle figure aziendali che non hanno rappresentanza esterna ma che sono sottoposte al controllo degli amministratori e quindi dei vertici aziendali. Con il rischio concreto di ingessare l'azione delle aziende che dovranno, quantomeno, ampliare i propri modelli organizzativi.
Inasprire le pene o allargare l'ambito di applicazione dei reati rischia però di danneggiare solo chi opera in buona fede. Non intimorisce certo i corrotti. Che normalmente si preoccupano di non farsi trovare con le mani nel sacco, non se e quale sanzione potrà essere loro comminata (articolo ItaliaOggi Sette del 05.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZISaldo in 30 giorni o interessi top. Cambiano le regole per la p.a.. Il dlgs che dimezza i tempi di pagamento. Ma lo stock di crediti incagliati è ormai ingestibile.
Obbligo di saldare le fatture entro uno o al massimo due mesi e interessi di mora intorno al 10% per i ritardatari.
Basteranno queste misure per riportare a un livello fisiologico i tempi di pagamento della p.a.? Lo scorso 31 ottobre il governo ha licenziato uno schema di decreto legislativo che recepisce nel nostro ordinamento la direttiva n. 2011/7/Ue relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Come noto, il problema dei ritardi riguarda soprattutto le fatture emesse nei confronti di soggetti pubblici, che spesso costringono i creditori ad aspettare il saldo per mesi (e nei casi peggiori anni). Tale prassi è purtroppo molto diffusa nel nostro paese. Secondo le rilevazioni dell'Ance, la p.a. paga, in media, con un ritardo di 114 giorni, ma in alcuni casi si superano i due anni. Il dato più allarmante, però, è il continuo peggioramento della situazione. Complice la crisi economica, mentre nel 2010 circa la metà delle imprese segnalava aumenti nei ritardi, il dato per il 2011 è salito al 77%. Nella quasi totalità dei casi (97%), inoltre, gli ultimi 12 mesi non hanno portato alcun miglioramento.
Tale quadro è confermato da una recente indagine di Confapi, secondo cui sei pmi su dieci hanno riscontrato, negli ultimi quattro anni, un allungamento dei tempi medi per i pagamenti, mentre una su due denuncia ritardi superiori all'anno. In pratica, quando va bene i tempi di pagamento rimangono invariati, ma sempre più spesso continuano ad allungarsi.
Non sorprende, quindi, che negli anni passati si sia accumulato uno stock di crediti incagliati di proporzioni impressionanti. La cifra complessiva non è neppure facilmente verificabile, dato che le attuali regole della contabilità pubblica non consentono agevolmente di distinguere, nel coacervo dei «residui passivi» della p.a., i debiti veri e propri. In ogni caso, si tratta di un numero che oscilla fra i 70 e i 100 miliardi di euro. Le imprese interessate rischiano di cadere in un circolo vizioso da cui è difficile uscire: i ritardati pagamenti rischiano di generare irregolarità fiscali (con tutte le conseguenze del caso) e contributive (che, fotografate nei Durc, impediscono di accedere a nuove commesse).
Ecco perché sono sempre più diffusi i casi di fallimenti di imprese «in bonis».
In questo contesto si inserisce il provvedimento varato la scorsa settimana dal Governo. Come detto, esso è stato adottato per adeguare il diritto interno alle indicazioni sempre più stringenti provenienti da Bruxelles, che ha fatto della repressione dei pagamenti-lumaca un obiettivo strategico.
Il decreto del Governo corregge il precedente dlgs 231/2002 (anch'esso a suo tempo adottato per recepire una direttiva europea, la n. 2000/35/Ce) prevedendo due principali novità, che diventeranno operative per tutte le transazioni commerciali concluse dal 01.01.2013.
In primo luogo, alle p.a. viene imposto di effettuare i pagamenti entro un termine molto breve: di norma non si potranno superare i 30 giorni e solo in casi eccezionali si potrà arrivare a 60.
In secondo luogo, chi non rispetterà questo timing dovrà corrispondere alla controparte un interesse molto elevato, pari al tasso fissato dalla Banca centrale europea maggiorato dell'8% (al momento, quindi, la soglia si aggira intorno al 10%). Tale sanzione scatterà in automatico (ovvero senza necessità di costituzione in mora) dal giorno successivo alla scadenza del termine.
Si tratta di una disciplina più restrittiva della precedente, che pure imponeva in via generale di pagare entro un mese e fissava uno spread elevato (+7%) rispetto al tasso Bce, ma che consentiva sia stabilire un termine superiore a quello legale, sia di fissare in diversa misura il tasso degli interessi dovuti nell'ipotesi di ritardato pagamento. Sebbene fosse previsto espressamente il divieto (sanzionato con la nullità parziale) di clausole gravemente inique per il creditore, spesso quest'ultimo ha stentato ad ottenere giustizia, perlopiù a causa della mancanza di forza contrattuale
D'ora in avanti, invece queste deroghe non saranno più consentite.
Ma sarà sufficiente a correggere una tendenza così radicata e che affonda le proprie radici nei mali atavici del sistema pubblico italiano?
Qualche dubbio, al riguardo, è legittimo (articolo ItaliaOggi Sette del 05.11.2012).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIDebiti commerciali. Obbligo di versamento a 30-60 giorni e tassi maggiorati per i ritardi solo sui contratti dal 2013.
Il pagamento si scontra col Patto. Via libera al Dlgs sui termini ridotti - Da gennaio vincoli estesi ai mini-enti.
LE NUOVE REGOLE/ Impossibile inserire clausole che allungano i tempi, o modificano la data di fattura Obbligo di riconoscere anche i micro-interessi.

Interessi di mora con tasso Bce maggiorato dell'8% per i pagamenti oltre il termine e rimborso obbligatorio delle spese di recupero; sono alcune delle novità che andranno seguite per i pagamenti dei contratti stipulati dalle Pa dal 01.01.2013 (non si estendono retroattivamente ai contratti già conclusi).
Le nuove regole sono arrivate la scorsa settimana, con l'approvazione del Dlgs di recepimento della direttiva europea 2011/7/UE del 16.02.2011. L'ambito di applicazione, come per il Dlgs legislativo 231/2002 con cui il nostro Paese aveva attuato la precedente direttiva, è riferito alle transazioni commerciali, cioè ai contratti che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.
I pagamenti nei contratti stipulati dalla Pa dovranno prevedere termini di regola non superiori a 30 giorni; che potranno essere portati al massimo a 60, se le parti concordano per iscritto e se ciò risulta oggettivamente giustificato dal contratto o da particolari circostanze.
Per disincentivare i ritardi è previsto l'obbligo di corrispondere interessi legali di mora, a un tasso minimo che non può essere inferiore al tasso Bce maggiorato dell'8%; gli interessi decorrono dal giorno successivo alla scadenza del termine, senza che sia necessaria la costituzione in mora.
Fra le conseguenze negative del ritardo è stato inserito anche il diritto del creditore al risarcimento dei costi amministrativi e interni di recupero del credito, che sono forfetizzati in 40 euro, salvo la prova di maggiori costi; anche questo rimborso, come gli interessi, va corrisposto senza che sia necessaria la costituzione in mora e indipendentemente dalla dimostrazione di aver sostenuto costi.
Sono nulle per legge, senza ammissione di prova contraria in quanto considerate gravemente inique, le clausole che escludono l'applicazione di interessi di mora e nei contratti della Pa la clausola relativa alla predeterminazione o modifica della data di ricevimento della fattura. Inoltre si presume gravemente iniqua la clausola che esclude il risarcimento dei costi di recupero del credito. Tra le novità viene meno l'esclusione delle richieste di interessi inferiori a 5 euro. Nei casi di pagamenti a rate, gli interessi e il risarcimento maturano dalle singole rate scadute.
La tutela della tempestività dei pagamenti è da tempo presente negli interventi del legislatore, ed ha già ispirato numerose misure a carico delle amministrazioni pubbliche. Va ricordato innanzi tutto l'obbligo imposto a tutte le Pa di adottare, entro il 31.12.2009 le opportune misure organizzative per garantire il tempestivo pagamento delle somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti.
Relativamente al Patto di stabilità, con il cosiddetto visto di compatibilità monetaria, il funzionario che adotta provvedimenti con impegni di spesa deve accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica (articolo 9, comma 1, del DL 78/2009). In sostanza, l'obbligo di verificare la compatibilità della spesa con i limiti previsti dal Patto è finalizzato a prevenire l'insorgenza di spese e quindi di contratti da cui scaturiscano pagamenti non compatibili con i vincoli del Patto stesso. A ciò si aggiunge la necessità di programmazione dei pagamenti, altro strumento utile al raggiungimento degli obiettivi del Patto di stabilità da parte delle Pa.
Patto di stabilità che dal 01.01.2013 sarà esteso per la prima volta anche ai Comuni con popolazione compresa fra mille e 5mila abitanti, ai quali si raccomanda quindi di adottare da subito, qualora non lo avessero già effettuato, la programmazione degli incassi e dei pagamenti ed il visto di compatibilità monetaria, la cui mancanza è fonte di responsabilità amministrativa.
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I paletti
01 | PATTO DI STABILITÀ
   A bloccare i pagamenti è spesso la decisione di impegni di spesa che poi non trovano capienza nei limiti imposti dal Patto. Dal 1° gennaio prossimo i vincoli del Patto di stabilità saranno estesi ai Comuni fra mille e 5mila abitanti.
02 | RESPONSABILITÀ
   Le norme impongono ai funzionari di non firmare atti di spesa che non trovino capienza nei limiti ai pagamenti consentiti dal Patto di stabilità.
03 | PROGRAMMAZIONE
   Obbligatoria per tutti la definizione di un piano dei pagamenti che rispetti il Patto (articolo Il Sole 24 Ore del 05.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

SEGRETARI COMUNALIAnticorruzione. Modifiche al Tuel. Revoca del segretario soggetta a verifica.
Le disposizioni approvate in via definitiva dalla Camera sulla repressione della corruzione vedono il segretario comunale come soggetto chiamato ad assolvere, negli enti locali, le funzioni di responsabile della prevenzione della corruzione attribuendogli precise funzioni (tra le altre, la predisposizione del piano triennale di prevenzione della corruzione e la vigilanza sulla sua attuazione) e ampie responsabilità di natura disciplinare e erariale in caso di omissione di controllo.
Quello che emerge dalla disciplina è però il fatto che a fronte di queste ulteriori funzioni di garanzia e controllo e delle responsabilità previste, nessuna garanzia sostanziale è prevista per il segretario comunale: È semplicemente aggravata la procedura di revoca prevista dall'articolo 100 del Tuel (Dlgs 267/2000), prevedendo che il provvedimento di revoca del sindaco per gravi violazioni d'ufficio sia comunicato tramite il prefetto all'autorità nazionale anticorruzione, che entro 30 giorni vaglierà se la revoca si ricolleghi o meno alle attività anticorruzione svolte dal segretario. Trascorso il termine senza obiezioni da parte dell'autorità, la revoca del segretario diventerà efficace.
Si tratta di una garanzia blanda, più formale che sostanziale, dato che a oggi i casi di revoca dei segretari in base all'articolo 100 del Tuel sono sporadici.
Il provvedimento quindi nulla prevede su maggiori garanzie, sia nella nomina, sia nella non conferma del segretario, auspicate dall'apposita commissione ministeriale ma soprattutto da settori della categoria, in considerazione del fatto che la nomina fiduciaria e lo spoil sistem automatico, mal si conciliano con le sempre più ampie funzioni di controllo e garanzia che sono assegnate ai segretari.
Si pensi infatti alle funzioni di controllo e garanzia previste sia nel provvedimento anti corruzione, sia nel decreto legge 174/2012 in materia di controlli sugli enti locali (articolo Il Sole 24 Ore del 05.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLe scadenze. Le materie sottoposte da gennaio all'obbligo di gestione associata.
Piccoli Comuni insieme anche per l'urbanistica. La spending review ha «liberato» dalle limitazioni i segretari.

La gestione della segreteria comunale non rientra tra le funzioni fondamentali che i piccoli Comuni devono gestire necessariamente in forma associata, mentre gli strumenti urbanistici dovranno essere adottati in modo unitario.
Con i correttivi portati dal Dl 95/2012 si definisce il quadro normativo delle gestioni che i Comuni fino a 5mila abitanti devono mettere in cantiere in queste settimane perché siano operative dal 1° gennaio prossimo. Regole che si aggiungono al superamento del vincolo per i Comuni al di sotto dei mille abitanti di dare corso alla gestione associata di tutte le attività e alla spinta a fare ricorso alle convenzioni rispetto alle Unioni.
Senza dimenticare che entro la fine di marzo in questi centri le gare di lavori pubblici, di beni e di forniture dovranno essere realizzate dalle centrali uniche di committenza e non più dalle singole amministrazioni: è questo un vincolo che si applica anche alle attività che i singoli Comuni potranno continuare a svolgere da soli.
Il passaggio da un'individuazione delle attività che i piccoli Comuni devono gestire insieme basata sui capitoli di bilancio a una che assume una logica istituzionale è assai corretto in termini di impostazione e di efficienza, ma pone problemi di prima applicazione. Si passa, in primo luogo, dalle attività generali, di amministrazione e controllo per almeno il 70% della spesa corrente all'organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo.
La norma precedente imponeva di mettere insieme almeno il 70% della spesa del personale, della ragioneria e dei compiti generali, ambito in cui rientrava la segreteria comunale, che quindi doveva essere gestita in modo unitario salvo il caso in cui il Comune avesse deciso di considerarla compresa tra la quota di spesa esclusa. Adesso si resta nell'ambito dell'organizzazione generale di queste attività, con una specifica attenzione al settore finanziario. La limitazione alla organizzazione generale determina come conseguenza che non è indispensabile mettere insieme le segreterie nell'ambito della gestione unitaria della funzione.
Considerazioni analoghe si devono fare anche per l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale. La norma non obbliga i piccoli municipi a mettere insieme la gestione dei servizi idrici, di distribuzione del gas, dei trasporti pubblici locali, ma a dettare in modo unitario le regole fondamentali. Mentre devono mettere insieme, per esplicita indicazione, la gestione del servizio rifiuti, insieme alla riscossione dei relativi tributi.
È rilevante la scelta del Dl 95 di imporre la gestione associata della pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale, mentre in precedenza ci si riferiva solamente al governo del territorio e dell'ambiente. Questa scelta determina che sia gli strumenti urbanistici sia quelli edilizi saranno gestiti in forma associata; anche il rilascio dei permessi edilizi dovrebbe quindi essere gestito in forma associata. Queste scelte confermano che i compiti più importanti che i piccoli Comuni potranno continuare a gestire da soli sono i lavori pubblici, ambito che con il Dl 95 si estende anche alla viabilità (articolo Il Sole 24 Ore del 05.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Modelli organizzativi. Le resistenze. La convenzione salva il personale.
La realizzazione della gestione associata delle funzioni fondamentali da parte dei piccoli Comuni determina un primo, certo, risparmio nella diminuzione del numero dei responsabili, e quindi della relativa spesa. Il che sta già provocando ostilità dei vertici burocratici di questi enti verso la concreta applicazione della gestione associata, ostilità che si aggiunge a quella che serpeggia tra tutto il personale dei piccoli Comuni, preoccupato di dovere mutare sede e datore di lavoro.
Infatti se fino a oggi tre Comuni gestivano la polizia locale ed avevano ognuno il proprio responsabile che godeva quindi delle indennità di posizione e di risultato,
con la gestione associata il responsabile non potrà che essere uno solo e l'indennità una sola. Questo effetto sarà prodotto sia nel caso di unioni che in quello delle convenzioni.
Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti del Piemonte (parere 30.08.2012 n. 287) e della Lombardia (parere 08.10.2012 n. 426) hanno già chiarito che
non è possibile prevedere più responsabili per la stessa funzione nel caso di gestione associata. In caso di realizzazione della gestione associata tramite l'unione i Comuni dovranno trasferire definitivamente a questo soggetto i dipendenti impegnati nello svolgimento di questa attività e cancellare i posti dalla propria dotazione organica.
Conseguenze a cui la gran parte del personale guarda con sfiducia perché si ritiene che l'unione sia un datore di lavoro meno certo. Mentre nel caso delle convenzioni è sufficiente la semplice assegnazione funzionale: si rimane dipendenti del Comune e i posti non vengono cancellati dalla dotazione organica. Il che è una delle ragioni che incentivano la gestione associata attraverso la convenzione. In molte realtà, inoltre, la sede di lavoro potrebbe essere modificata.
Se aggiungiamo che non è prevista alcuna forma di incentivazione, cui invece si può dare corso solamente nel caso di utilizzo in parte alle dipendenze del Comune ed in parte alle dipendenze della gestione associata, l'ostilità della gran parte del personale si accresce. Il che costituisce uno degli ostacoli di maggiore rilievo al successo della gestione associata (articolo Il Sole 24 Ore del 05.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIAppalti e arbitrato, l'anticorruzione è un passo indietro.
Il Ddl anticorruzione approvato, in via definitiva, dal Senato torna a occuparsi dell'arbitrato negli appalti pubblici, regolato dall'articolo 241 del Codice degli appalti. Il disegno di legge non sembra andare però nella giusta direzione per favorire il buon successo dell'arbitrato a tutela tanto della stazione appaltante e dell'impresa aggiudicataria, troppo prigioniero di un'ottica di controllo della Pa e di contenimento di costi.

In primo luogo il Ddl propone che l'arbitrato debba essere previamente e motivatamente autorizzato dall'organo di governo dell'amministrazione a pena di nullità. Il Dlgs 53/2010 aveva già riformato l'articolo 241 introducendo un obbligo per la stazione appaltante di indicare fin dal bando di gara se il contratto conterrà la clausola compromissoria, sempre a pena di nullità dell'arbitrato. Ancora, era stato inserito il divieto di stipulare un compromesso ad hoc per la soluzione di controversie già insorte tra Pa e aggiudicatario. A soli due anni dalla riforma, oggi neppure l'indicazione obbligatoria della clausola compromissoria fin dal bando di gara e il divieto di compromesso sembrano sufficiente garanzia di trasparenza, dovendo sussistere l'ulteriore elemento della previa e motivata autorizzazione dell'organo di governo dell'amministrazione.
È un segno del permanere di una diffidenza verso l'arbitrato, che però può travolgere l'affidamento che il terzo ripone nell'esistenza di una valida clausola compromissoria, qualora risulti a posteriori che un atto interno della Pa, volto a fornire la previa e motivata autorizzazione, fosse carente o viziato. L'arbitrato dovrebbe invece essere visto come una forma di risoluzione delle controversie nell'interesse di entrambe le parti, perché operante su un piano di parità, e in cui anche la parte privata sceglie l'arbitrato come forma di garanzia ulteriore in una controversia contro una parte pubblica. Così è negli arbitrati di investimento tra Stati e investitori privati e così è, in generale, negli altri paesi europei.
Altro tema sensibile sono le nomine degli arbitri e dei compensi. Anche qui era intervenuto il Dlgs 53, rafforzando le garanzie a tutela della terzietà degli arbitri e introducendo un tetto per i compensi. L'articolo 241 prevede oggi che il presidente del collegio deve avere «precipui requisiti di indipendenza» e non avere esercitato nell'ultimo triennio funzioni di arbitro di parte o di difensore in giudizi arbitrali in materia di appalti pubblici (a eccezione dei casi in cui l'esercizio della difesa sia dovere d'ufficio del difensore dipendente pubblico), e che anche gli arbitri di parte non possano aver avuto alcun coinvolgimento nella materia del contendere. Il Dlgs 53 ha poi introdotto un compenso massimo per l'intero collegio arbitrale, incluso il segretario, di 100 mila euro.
Con il Ddl anticorruzione si ritiene che queste garanzie non siano più sufficienti, ma da un lato si dice che la nomina deve avvenire «nel rispetto dei principi di pubblicità e di rotazione», dall'altro si specifica che se la controversia è tra due Pa, gli arbitri di parte possono essere solo dirigenti pubblici, mentre se è tra una Pa e un privato, l'arbitro nominato dalla Pa deve essere scelto preferibilmente tra i dirigenti pubblici. Ci pare che il funzionario pubblico mal potrebbe sottrarsi all'indicazione "preferenziale" del legislatore, con il paradosso che l'arbitro di nomina della Pa sarebbe perlopiù un dirigente pubblico e quindi molto poco terzo, e con una prevedibile compressione anche del principio di rotazione.
Ancora, il Ddl prevede che la Pa debba stabilire, a pena di nullità della nomina, il compenso massimo per l'arbitro dirigente pubblico e che l'eventuale differenza tra l'importo spettante agli altri arbitri e quello massimo stabilito per il dirigente è acquisita al bilancio della stazione appaltante.
Il quadro è quindi quello di nomine da parte della Pa sempre di dirigenti pubblici, con compensi più bassi di quelli degli altri arbitri e con un incameramento da parte della Pa della differenza. Difficile però che possa operare in maniera equilibrata un collegio arbitrale in cui un arbitro, per definizione di nomina della Pa, abbia un compenso inferiore rispetto agli altri.
L'esigenza di controllare la procedura e di contenere i costi sembra non sposarsi con quella di migliorare l'efficacia del ricorso all'arbitrato (articolo Il Sole 24 Ore del 04.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALINuove province, rebus funzioni. I compiti trasferiti rischiano di far collassare regioni e comuni. Non sono state ancora definite le prerogative che passeranno di mano. Col rischio che nulla cambi.
Resta ancora irrisolto il nodo della titolarità delle funzioni provinciali. Da un lato il governo non è ancora riuscito a fissare quali siano quelle attribuite alle province con leggi dello stato attinenti alla potestà legislativa esclusiva statale, mancando clamorosamente il termine dello scorso 5 settembre, entro il quale un dpcm avrebbe dovuto individuarle, per assegnarle ai comuni.
Dall'altro, il decreto di riordino cerca di chiarire meglio la sorte delle funzioni provinciali, attribuite alle province da leggi regionali.
A questo scopo, si introduce nell'articolo 17 del dl 95/2012, convertito in legge 135/2012, un nuovo comma 10-bis, che colma un vuoto francamente clamoroso della disciplina di riordino provinciale.
Infatti, sebbene le regioni fossero state onerate del compito di rivedere le funzioni attribuite alle province, non era stato chiarito esattamente il percorso.
Il nuovo comma 10-bis dell'articolo 17 della spending review dispone, dunque che nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione (cioè nell'ambito della potestà legislativa concorrente e residuale) le regioni dovranno trasferire con propria legge ai comuni le funzioni già conferite alle province dalla normativa vigente.
Tuttavia, le regioni, dispone la norma, potranno decidere diversamente. Qualora ritengano necessario assicurare un esercizio unitario e non polverizzato tra molteplici enti, potranno acquisire esse stesse le funzioni a suo tempo attribuite alle province.
Il percorso, tuttavia, per la ridefinizione delle funzioni regionali appare piuttosto complesso ed accidentato (come del resto per le altre funzioni provinciali non qualificate come fondamentali).
Infatti, il decreto sul riordino precisa che insieme con le funzioni debbono essere trasferiti ai comuni (o riacquisiti dalle regioni) le risorse umane, finanziarie e strumentali.
Questa è una previsione corretta, che rischia, tuttavia, di bloccare sul nascere il percorso di riforma. Infatti, moltissime funzioni assegnate alle province anche dalle regioni, a suo tempo in base al dlgs 112/1998, non sono mai state finanziate dalle regioni medesime.
Nei bilanci provinciali, pertanto, non vi è alcuna traccia di un collegamento tra l'esercizio delle competenze svolte e i finanziamenti regionali. Il che significa che, in realtà, le province le hanno svolte attingendo alle entrate proprie, prevalentemente, dunque, i trasferimenti statali, le imposte sulla trascrizione delle vendite degli autoveicoli e le addizionali.
In assenza, allora, di un riordino della finanza locale e regionale, sia i comuni, sia le regioni che si vedano piovere addosso le funzioni provinciali rischiano non solo di ritrovarsi senza le necessarie dotazioni di personale, ma anche senza fonti di finanziamento.
Si pensi ai servizi sociali delle province, che in molte regioni assicurano il supporto socio-educativo ai disabili sensoriali. Pochissimi dipendenti provinciali (due, tre) lavorano su servizi estremamente costosi, che richiedono l'operato di lettori-ripetitori, che aiutano gli allievi a studiare a scuola e a casa, con un servizio dedicato. Spesso si tratta di appalti del valore di milioni, mai finanziati dalle casse regionali.
Il governo, comunque, pare essere consapevole della difficoltà estrema di modificare l'assetto delle competenze provinciali, perché il nuovo comma 10-bis afferma che nelle more del trasferimento delle risorse necessarie, le funzioni provinciali restano conferite alle province. Senza nemmeno prevedere un termine entro il quale le regioni dovrebbero completare l'opera di trasferimento delle funzioni.
Come dire, insomma, che le competenze provinciali potrebbero non cambiare mai, in barba agli intenti di riorganizzazione ed economia di scala enunciati.
D'altra parte, il decreto non può ovviamente modificare quanto prevede l'articolo 118, comma 2, della Costituzione, ai sensi del quale «i comuni, le province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze». Dunque, in ogni caso le regioni possono riattribuire alle province funzioni che il decreto vuole si assegnino ai comuni o siano da esse avocate (articolo ItaliaOggi del 03.11.2012).

PUBBLICO IMPIEGOIl caso dell'impiegato in soprannumero al Comune di Carnago. La spending review mette il geometra in disponibilità.
Avvio del procedimento di «messa in disponibilità» per un geometra, capo dell'ufficio tecnico del comune di Carnago (Varese). La misura già prevista, dal 2001, è applicata ora in considerazione del taglio alle dotazioni organiche contenuto nella spending review.
Continua a far discutere la notizia della messa in disponibilità del funzionario del comune di Carnago (Varese), con i sindacati che hanno chiesto al sindaco un immediato ripensamento. Mentre il diretto interessato ha presentato ricorso chiedendo la reintegra (e 265mila euro di risarcimento danni).
La vicenda nasce dall'applicazione dell'articolo 16 della legge di stabilità 2012 (legge n. 183 del 2011) che, novellando l'articolo 33 del Dlgs 165 del 2001, stabilisce come le amministrazioni pubbliche che hanno situazioni di soprannumero o eccedenze di personale possano collocare in disponibilità il personale che non sia impiegabile diversamente. In questi casi, dalla data di collocamento in disponibilità, prevede ancora la legge, restano sospese tutte le obbligazioni inerenti il rapporto di lavoro. E il lavoratore ha diritto a un'indennità pari all'80% dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale per la durata massima di 24 mesi (i periodi di godimento dell'indennità sono comunque riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa).
Il geometra in questione ha diretto per circa 10 anni l'ufficio tecnico del comune di Carnago, e, riferiscono fonti sondacali, è stato collocato in disponibilità dopo essere stato "messo all'angolo" sul lavoro. La procedura della messa in disponibilità è prevista dal 2001, e non si tratta di un licenziamento. Certo «è un'ipotesi rara. Ma può accadere, specie nelle piccole amministrazioni», ha sottolineato il presidente dell'Aran, Sergio Gasparrini. Questa procedura, poi, prevede anche una comunicazione alla Funzione pubblica (in modo tale che eventuali altre amministrazioni in carenza di personale prima di attivare procedure concorsuali possano richiedere il personale messo in eccedenza). Ma questa comunicazione, a quanto si apprende, non sarebbe stata effettuata.
I sindacati lamentano però anche altre violazioni nell'operato del comune di Carnago, come quella, ha sottolineato Gianna Moretto (Fp-Cgil di Varese) «che non ha agito con trasparenza. E, in più, non ha fornito elementi per giustificare l'esubero di personale». Anzi, l'amministrazione di Carnago avrebbe una situazione di carenza di almeno 13 dipendenti nella pianta organica.
Ma la messa in disponibilità del geometra in questione potrebbe essere legata ai tagli previsti dalla spending review. Su questo fronte però non sono ancora stati emanati i decreti con i tagli alle piante organiche (il termine è scaduto il 31 ottobre). A quanto si apprende dovrebbero arrivare nelle prossime settimane.
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Messa in disponibilità.
Il collocamento in disponibilità è previsto dall'articolo 16 della legge di Stabilità 2012, che ha modificato l'articolo 33 del Dlgs 165 del 2001. Con la messa in disponibilità il lavoratore pubblico vede sospese tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro. Ma percepisce una indennità pari all'80% dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale per la durata massima di 24 mesi. La legge prevede che i periodi di godimento dell'indennità siano riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione (e dell'importo) (articolo Il Sole 24 Ore del 03.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALIIntegrativo in pensione, tutto tace. Silenzio sulla possibilità di applicare il 4% anche alla p.a.. Dal ministero del lavoro l'apertura, ma dall'economia nessun segnale dopo oltre un mese.
Un mese senza nessun segnale. Questa è la risposta attuale del ministero dell'Economia alla posizione assunta da Michel Martone circa la legittimità che i liberi professionisti applichino il «contributo integrativo» al 4% anche alle pubbliche amministrazioni. Stiamo parlando dell'opportunità concreta di aumentare le loro pensioni introdotta dalla mini-riforma Lo Presti (legge 133/2011) e dal suo indebolimento dato proprio dal ministero dell'Economia con una propria interpretazione restrittiva del testo di legge: i suoi tecnici hanno imposto che il contributo integrativo rimanga al 2% invece di salire al 4% (o al 5%) nel caso in cui la richiesta di parcella del libero professionista sia diretta a comuni, regioni, Asl e così via.
La posizione dell'Economia è frutto di soggettiva interpretazione di una clausola di salvaguardia prevista effettivamente nel testo di legge Lo Presti, che esorta a varare provvedimenti «senza maggiori oneri per la finanza pubblica», paventando una necessaria politica di controllo della spesa. Il monito contenuto nell'interpretazione del ministero non ha nulla a che vedere, però, con lo spirito del provvedimento, dato che negare di innalzare il contributo al 4%, contrariamente a quanto invece fanno già molti liberi professionisti di altri ordini professionali, significa discriminare solo alcune categorie malcapitate, tra cui biologi, psicologi, periti industriali e tanti altri. Inoltre una simile interpretazione contraddice la volontà stessa del legislatore, come risulta dagli atti preparatori al testo.
Il viceministro del Welfare, tagliando la testa al toro, aveva sottolineato come non fosse giusto impedire solo ad alcuni liberi professionisti ciò che è permesso ad altri, dato che un simile atteggiamento si macchierebbe in ogni caso di incostituzionalità. Rispondendo all'interrogazione parlamentare urgente proposta proprio da Antonino Lo Presti (Fli), Martone invitava il ministero dell'Economia ad un ripensamento della posizione assunta che non trovava fondamento: invece ad oggi nessuna risposta.
Ovviamente la questione coinvolge immediatamente non solo gli interessi delle Casse di previdenza, ma prima di tutto i diritti previdenziali dei liberi professionisti iscritti. Minore contribuzione integrativa si traduce, infatti, in minori disponibilità economiche da poter ridistribuire sulle future pensioni in un clima di sostanziale disparità e con un mercato del lavoro abbastanza statico. Invece la legge Lo Presti è chiarissima e si rivolge indistintamente alla collettività, non operando distinzione tra cliente pubblico e privato.
E in uno Stato di diritto in cui la certezza della norma è un pilastro, un ritardo, o meglio, il protrarsi della una presa di posizione da parte dell'Economia senza aperture al confronto non appare assolutamente giustificabile (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIPagamenti della p.a. in 30 giorni. Termine estensibile a 60 giorni. E valido anche tra imprese. Il decreto approvato dal Consiglio dei ministri pronto per approdare in Gazzetta Ufficiale.
Conto salato per la pubblica amministrazione in ritardo con i pagamenti: gli interessi sono pari al tasso Bce aumentato di 8 punti. E di regola l'amministrazione deve pagare in trenta giorni, derogabili, ma solo fino a sessanta giorni.
Lo schema di decreto legislativo sui ritardi di pagamento, approvato il 31 ottobre dal Consiglio dei ministri, recepisce la direttiva n. 2011/7/Ue, del 16.02.2011, del Parlamento europeo e del Consiglio, e riscrive il decreto legislativo n. 231/2002, creando un doppio binario: da un lato le transazioni tra imprese e dall'altro quelle in cui il debitore è un ente pubblico o equiparato.
Vediamo le principali novità.
TASSO. Il tasso degli interessi legali moratori viene alzato di un punto. Passa da sette a otto punti percentuali lo spread da aggiungere al tasso fissato da Bce.
ESCLUSIONI. La normativa si applica anche alle richieste di interessi inferiori ai 5 euro. Non si applicherà, invece, ai debiti oggetto di procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Viene definita riprendendo la nozione di amministrazione aggiudicatrice del codice degli appalti (dlgs 163/2006): vi rientrano, quindi, anche soggetti di diritto privato tenuti al rispetto della disciplina sui contratti pubblici.
TERMINI DI PAGAMENTO TRA PRIVATI. Il termine di pagamento, se non diversamente stabilito nel contratto, è di trenta giorni. Le parti possono stabilire contrattualmente un diverso termine di pagamento che non deve, di regola, superare i sessanta giorni; può essere, però, superiore, se concordato in forma espressa e non gravemente iniquo per il creditore.
TERMINI DI PAGAMENTO A CARICO DELLA P.A. Per i contratti in cui il debitore è una pubblica amministrazione, il termine di pagamento, di regola, è non superiore a trenta giorni. Si può fissare un termine legale di pagamento fino a un massimo di sessanta giorni in due casi: per le imprese pubbliche (che svolgono attività economiche di natura industriale o commerciale, offrendo merci o servizi sul mercato) e per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria. Le parti possono concordare, in forma espressa, un termine superiore a trenta giorni, se oggettivamente giustificato dalla natura o dall'oggetto del contratto o da particolari circostanze esistenti al momento della conclusione dell'accordo, ma comunque non superiore a sessanta giorni.
VERIFICA MERCI. La durata massima delle procedure di accettazione o di verifica delle merci e dei servizi non può superare, di norma, trenta giorni.
RATE. Interessi e risarcimento devono essere calcolati esclusivamente sulle singole rate scadute.
INTERESSI DI MORA TRA PRIVATI. Per i contratti tra imprese devono essere corrisposti «interessi moratori», che sono interessi legali di mora (tasso Bce più 8%) o interessi a un tasso concordato tra le imprese.
INTERESSI DI MORA A CARICO DELLA P.A. Per i rapporti tra imprese e pubblica amministrazione, è previsto l'obbligo di corrispondere interessi legali di mora, e cioè interessi ad un tasso che non può essere inferiore al tasso legale (tasso Bce maggiorato dell'8%).
RECUPERO SPESE. Sono dovuti 40 euro fissi, come rimborso dei costi amministrativi ed interni di recupero del credito: la somma si cumula agli interessi di mora, è dovuta senza che sia necessaria la costituzione in mora e indipendentemente dalla dimostrazione dei costi. In ogni caso è salva la prova di maggiori costi sostenuti.
CLAUSOLE NULLE. La nuova direttiva codifica la grave iniquità da cui deriva la nullità delle clausole contrattuali. Nel recepire la direttiva, lo schema di decreto prevede che sono nulle, se gravemente inique, le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori e al risarcimento dei costi di recupero. La legge considera automaticamente gravemente inique, senza ammettere prova contraria, le clausole che escludono il diritto al pagamento degli interessi di mora e quelle relative alla data di ricevimento della fattura.
Sono presunte gravemente inique (e quindi possibile la prova contraria) le clausole che escludono il risarcimento dei costi di recupero. In caso di nullità, si verifica la sostituzione automatica delle clausole invalide con la disciplina legislativa. Sono nulle anche le clausole relative alla data di ricevimento della fattura, al fine di escludere che attraverso simili accordi si eluda la perentorietà del termine di pagamento.
SUBFORNITURA. Viene innalzato il tasso degli interessi legali di mora: la maggiorazione del tasso di riferimento (tasso applicato dalla Bce nelle sue più recenti operazioni di rifinanziamento) passa da sette ad otto punti percentuali.
DECORRENZA. La nuova disciplina (si veda altro articolo in pagina) si applicherà alle transazioni commerciali concluse a partire dal 01.01.2013, in anticipo rispetto alla scadenza prevista dalla normativa Ue di riferimento (16.03.2013). Quindi la nuova disciplina non si applica retroattivamente ai contratti già conclusi, ma soltanto a quelli stipulati a partire dal 01.01.2013. I destinatari delle nuove norme hanno, dunque, tempo per adeguare la modulistica contrattuale e le procedure interne di pagamento.
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Tempi brevi anche per gli appalti. E interessi salati per tutti.
Il termine di pagamento a 30 giorni che dal 1° gennaio le pubbliche amministrazioni dovranno rispettare verso i fornitori di beni e servizi si applicherà anche a tutti gli appalti.
Lo rivelano a ItaliaOggi fonti del ministero degli affari europei, guidato da Enzo Moavero Milanesi. Dunque, dal 01.01.2013 i termini di pagamento previsti (30 giorni estensibili a 60 nel caso in cui il debitore sia un'impresa pubblica, un'Asl e un ospedale) e gli interessi connessi (8 punti percentuali più il tasso legale Bce) dovranno essere rispettati per ogni genere di fornitura di beni e servizi. Lavori pubblici inclusi.
È quanto prevede il decreto legislativo, che recepisce nell'ordinamento italiano la direttiva europea sui ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali (2011/7/Ue del 16.02.2011), approvato in via definitiva il 31 ottobre dal Consiglio dei ministri, in anticipo rispetto alla scadenza fissata a marzo 2013.
La delega, frutto di un'attività di coordinamento svolta dal ministero di Moavero, è immediatamente esecutiva; non prevede cioè il passaggio dalle commissioni parlamentari. Il dlgs è ora al vaglio del Quirinale e, salvo rilievi, dovrebbe andare in G.U. la prossima settimana. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, tra i ministeri proponenti non comparirà lo Sviluppo economico. La motivazione è formale. La delega infatti non prevedeva alcun ruolo esplicito per il dicastero guidato da Corrado Passera.
Altro nodo sostanziale è la convivenza tra il dlgs che recepisce la direttiva pagamenti e l'art. 62 del decreto liberalizzazioni (1/2012), che impone alle transazioni tra privati tempi di pagamento certi (30 giorni per le merci deperibili e 60 giorni per i prodotti non deperibili) e contratti di fornitura scritti e firmati da entrambi i contraenti, per le forniture di prodotti agroalimentari. Fonti delle politiche europee chiariscono che la direttiva Ue non entra nel merito dei rapporti tra imprese e lascia libertà ai privati di accordarsi sui tempi diversi di pagamento, salvo che termini e interessi concordati non siano iniqui per il creditore. Stessa cosa fa il dlgs attuativo. Di conseguenza, tra le due normative non c'è conflitto.
E in Italia si applica quanto deciso dal parlamento col decreto Liberalizzazioni. Infine, per quanto riguarda la possibilità di far certificare i crediti già vantati dalle imprese verso le pubbliche amministrazioni (processo in itinere) e di incassare pagamenti a mezzo di Certificati di credito del Tesoro (Cct), il dicastero delle politiche europee chiarisce che la misura riguarda soprattutto il passato, ma non esclude una sua eventuale applicazione anche in futuro. Qualora dovessero verificarsi analoghe situazioni di difficoltà nei pagamenti delle p.a..
L'obiettivo, ovviamente, è che per i contratti di fornitura di beni e servizi, stipulati dal 01.01.2013 in poi, i nuovi termini di pagamenti a 30 giorni consentano di superare tali sofferenze. Resta, in ogni caso, esclusa ogni ipotesi di retroattività della direttiva pagamenti al debito in essere (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIRimborsi spese dei politici assoggettati all'Iperf. Question time in commissione finanze della camera.
Rimborsi spese dei titolari di cariche elettive pagano l'Irpef.
A seguito di un'interrogazione formulata da Francesco Barbato, Idv, che chiedeva chiarimenti «in merito al trattamento fiscale applicabile alle somme corrisposte a titolo diverso dai rimborsi spese dai gruppi politici, costituiti presso le assemblee elettive a livello parlamentare o locale, ai loro componenti», Vieri Ceriani, sottosegretario al ministero dell'economia in commissione finanze alla Camera, ha precisato che le somme erogate da soggetti diversi dalle assemblee elette (parlamento, assemblee regionali, consigli provinciali e comunali) devono essere assoggettati a Irpef. Anche se si tratta di rimborsi spese.
Ciò in ossequio al combinato disposto degli art. 50, comma 1, lett. g) e 52, comma 1, lett. b) del Tuir, dal quale si evince che non la «non imponibilità» Irpef dei rimborsi in questione spetta soltanto per le somme erogate direttamente ai componenti dei collegi «dagli organi competenti a determinare i trattamenti dei soggetti stessi», vale a dire dalle diverse assemblee elette, competenti a determinare i criteri di riparto e le spese rimborsabili.
Va da sé che le somme ricevute dai parlamentari (o dai consiglieri regionali, provinciali e comunali), direttamente dai gruppi politici, ancorché a titolo di rimborso spese a piè di lista, dovranno comunque essere assoggettate a Irpef in relazione allo specifico rapporto intercorrente tra il soggetto erogatore (il gruppo politico) e il percipiente (il parlamentare o il consigliere).
Immobili di interesse storico artistico con doppia riduzione Irpef. Il corrispettivo spettante per la locazione a canone convenzionato di immobili di interesse storico o artistico, gode di una doppia riduzione ai fini Irpef. Dall'anno d'imposta 2012, infatti, il canone di locazione sarà prima ridotto del 35% e sul risultato così ottenuto spetterà un'ulteriore detrazione del 30%. In altri termini il reddito del fabbricato che concorrerà alla determinazione del reddito complessivo Irpef sarà pari al 45,5% del canone di locazione pattuito.
Lo ha precisato al question time di mercoledì scorso Vieri Ceriani in risposta a un quesito volto a conoscere se il reddito imponibile, determinato ai sensi dell'art. 37, comma 4, del Tuir vada ulteriormente ridotto del 30%, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, della legge n. 431/1998, qualora il fabbricato riconosciuto di interesse storico o artistico sia concesso in locazione a canone convenzionato.
Il Mef, dopo avere ricordato che l'ulteriore detrazione del 30% spetta qualora l'unità immobiliare sia concessa in locazione a canone convenzionale, sulla base di appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori, ha significato che l'agevolazione riguarda anche i redditi derivanti dalla locazione di immobili di interesse storico o artistico che siano ubicati in comuni cosiddetti ad alta densità abitativa e siano locati con contratti stipulati o rinnovati ai sensi del comma 3 dell'art. 2 della legge n. 431/1998 .
Tares senza differimenti. L'entrata in vigore della Tares, il nuovo tributo che dal prossimo anno andrà a sostituire la Tarsu, la Tia1 e la Tia 2, non può essere differito in quanto rientra nell'ambito di una manovra di finanza pubblica più vasta e complessa. Il sottosegretario Ceriani ha ritenuto ininfluente, al fine dell'avvio del nuovo prelievo, la mancata emanazione del regolamento con il quale i competenti ministeri, entro il 31/10/2012, avrebbero dovuto stabilire i criteri per l'individuazione del costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la determinazione della tariffa. Trattandosi di un termine ordinatorio Vieri Ceriani precisa che nelle more dell'adozione sarà comunque possibile introdurre la Tares applicando le disposizioni del dpr n. 158/1999 (recante il cosiddetto «metodo normalizzato»).
Per quanto concerne invece la riscossione la cui tariffa se avente natura corrispettiva sarà effettuata dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, mentre, in ogni caso, la maggiorazione (da 30 a 40 cent di euro per ogni mq) potrà essere incassata solo dal comune, il Mef, dopo aver precisato che la distinta modalità di riscossione trova il suo fondamento nella circostanza che detta tariffa ha natura corrispettiva, mentre la maggiorazione ha natura tributaria, si è comunque dichiarato disposto a valutare l'opportunità di evitare lo sdoppiamento della modalità di riscossione, prevedendo, ad esempio, che la citata maggiorazione sia riscossa dallo stesso affidatario del servizio rifiuti il quale dovrà poi contestualmente riversarla al comune (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012).

ENTI LOCALI: Province, 56.000 posti a rischio. Gli accorpamenti non garantiscono il mantenimento del lavoro.  Il decreto legge del governo è chiaro: si terrà conto dell'effettivo fabbisogno. Esuberi in vista.
A rischio 56.000 dipendenti provinciali. Contrariamente a quanto ha sempre asserito il governo, il «riordino» delle province non garantisce affatto il mantenimento delle posizioni lavorative dei lavoratori impiegati nelle province, per i quali, al contrario, si avvia un percorso incertissimo, sia sulla destinazione lavorativa, sia sulla stessa possibilità di proseguire il rapporto di lavoro.
Tutte le province istituite ex novo, per effetto degli accorpamenti, dovranno gestire il passaggio diretto dei dipendenti.
Il decreto legge disciplina questa fase delicatissima in modo a dir poco confuso.
Infatti, prevede che il passaggio avvenga nel rispetto della disciplina prevista dall'articolo 31 del dlgs 165/2001.
Ma questa norma, non ha nulla a che vedere con la fattispecie, in quanto è finalizzata a regolamentare il passaggio dei dipendenti pubblici verso soggetti pubblici o privati, costituiti per effetto di esternalizzazioni. C'è un ente di provenienza e un ente di destinazione.
Nel caso, invece, delle nuove province, vi è un ente neocostituito, nel quale ne confluiscono due. Non è un'esternalizzazione, ma una fusione. In effetti, manca completamente una disciplina che regolamenta simile evenienza.
Il decreto prevede un esame congiunto tra le amministrazioni provinciali interessati e i sindacati, per individuare criteri e modalità condivisi. In assenza, le nuove province adotteranno comunque gli atti necessari per il passaggio di ruolo dei dipendenti.
Tuttavia, precisa il decreto, «le relative dotazioni organiche saranno rideterminate tenendo conto dell'effettivo fabbisogno». Dunque, non si dà affatto per scontato che le nuove province assorbiranno l'intera dotazione di personale di quelle che vi confluiscono.
Occorrerà ridefinire i fabbisogni e l'obiettivo, non dichiarato esplicitamente, è quello di individuare casi di personale in esubero.
Comunque, a maggior chiarimento, il decreto lascia ferma l'applicazione della disciplina contenuta nell'articolo 16, comma 8, della legge 135/2012, che rinvia a un dpcm, per la fissazione dei criteri di virtuosità in base ai quali gli enti locali saranno tenuti a dichiarare esuberi di personale.
Il decreto precisa che l'esame congiunto con i sindacati dovrà essere attivato anche ai processi di mobilità conseguenti all'applicazione dell'articolo 17, commi 8 e 10-bis (introdotto dal decreto sul riordino), della legge 135/2012, in conseguenza del passaggio delle funzioni provinciali verso i comuni, evento che interesserà non solo le province neocostituite, ma anche quelle non interessate dal riordino territoriale.
Pertanto, i margini di incertezza sono fortissimi. Per un verso, l'effetto dell'accorpamento dei territori potrebbe determinare un quantitativo di esuberi allo stato non stimabile. Per altro verso, laddove le province non risulteranno virtuose dovranno comunque porre in disponibilità i propri dipendenti e, in ogni caso, per effetto del trasferimento delle funzioni provinciali ai comuni o alle regioni, il personale dovrà cambiare casacca.
Una migrazione di proporzioni gigantesche, decine di migliaia di dipendenti, senza che vi sia la minima indicazione generale sui criteri, in particolare per guidare il processo di passaggio verso i comuni (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: In soffitta le commissioni di vigilanza sugli spettacoli. Nota del viminale sulla spending review.
La spending review manda in pensione definitivamente le commissioni provinciali di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo. Ma lo stesso destino potrebbe essere riservato anche alle commissioni comunali, qualora i comuni dovessero decidere di non ritenerle indispensabili e, quindi, non confermarle. E c'è già chi immagina defaticanti conferenze di servizi che potrebbero rischiare di appesantire ancor più, invece che semplificare, i procedimenti del Suap.

È questo lo scenario che si prospetta per effetto dell'art. 12, comma 20, del dl 95/2012 letta la nota 21.09.2012 n. 557 di prot. del ministero dell'interno diretta alla prefettura di Perugia e relativa a problematiche connesse allo spettacolo viaggiante.
Del resto, la burocrazia comunale, in questo momento, naviga a vista. Ciò in quanto dal 2008 a oggi sono una ventina i decreti leggi, e le relative leggi di conversione, che hanno novellato l'ordinamento giuridico, introducendo norme in materia di semplificazione: dal dl 112/1998 al disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 16 ottobre scorso.
Per questo motivo è passata inosservata una disposizione, di forte impatto, contenuta nella spending review. Si tratta dell'art. 12, comma 20, del dl 06.07.2012, n. 95 (convertito nella legge 135/2012) il quale dispone che «a decorrere dalla data di scadenza degli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di proroga ai sensi dell'art. 68, comma 2, del decreto legge 112/2008 (convertito nella legge 133/2008), le attività svolte dagli organismi stessi sono definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell'ambito delle quali operano».
Per individuare gli organismi collegiali nel mirino del governo tecnico occorre procedere a un'analisi complessa che porta a individuare, tra le altre, anche le commissioni provinciali di vigilanza. Ma dalla lettura delle disposizioni in questione, emerge anche che (art. 29, comma 6, l. 248/2006) regioni, province autonome, enti locali, nonché gli enti del Servizio sanitario nazionale, avrebbero dovuto operare in maniera analoga tenuto conto che «l'obiettivo di risparmio della spesa costituisce disposizioni di principio».
Ed è questo, in sostanza, il nocciolo della questione; perché non pare che, allo stato attuale, alcuna regione o alcun comune si sia mosso su questo fronte con la conseguenza che l'omissione avrebbe dovuto comportare l'implicita soppressione della commissione comunale di vigilanza pubblico spettacolo (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012).

PUBBLICO IMPIEGO: Progressioni verticali fuorilegge. Incompatibili con la Brunetta. Non così le norme sui dirigenti. L'Aran ha raccolto le principali disposizioni contrattuali per dipendenti e manager degli enti locali.
Sono da considerare abrogate perché in contrasto con il dlgs n. 150/2009, c.d. legge Brunetta, le norme dei contratti nazionali del personale che disciplinano le progressioni verticali. Mentre non vanno considerate abrogate le regole dettate dai contratti nazionali dei dirigenti sugli incarichi, nonostante la stessa disposizione esclude questa materia da quelle che possono essere oggetto di contrattazione collettiva.
E sono da considerare superate le disposizioni che indicano in modo analitico le componenti che devono dare corso alla costituzione della parte stabile del fondo per il personale, mentre per il fondo dei dirigenti le corrispondenti disposizioni sono pienamente valide.

Sono queste alcune delle principali scelte contenute nelle raccolte sistematiche realizzate nei giorni scorsi dall'Aran delle disposizioni contrattuali dettate per il personale e per i dirigenti degli enti locali. Analoga raccolta è stata messa a punto anche per le norme contrattuali dei segretari.
Questi lavori sono assai utili, perché permettono di avere sotto mano un testo di facile ed immediata consultazione. Occorre considerare che tali elaborazioni non hanno un valore impegnativo; solamente una specifica intesa contrattuale consente di arrivare a tale risultato: per i dipendenti era stato prevista dai contratti nazionali una delega alla redazione del testo unico delle norme contrattuali, ma non è stata fino ad oggi esercitata.
Si deve subito rilevare la estrema prudenza con cui l'Aran procede nella constatazione delle disposizioni che si devono ritenere superate per contrasto con la legislazione successiva. Nel caso delle progressioni verticali si deve ricordare che questa indicazione è stata già fornita dalle sezioni unite di controllo della Corte dei conti, in quanto il dlgs n. 150/2009 prevede esclusivamente concorsi pubblici con riserva non superiore al 50% per gli interni, superando la possibilità dei concorsi e/o prove selettive interamente riservati agli interni.
Le nuove disposizioni, modificando anche per questo aspetto le regole dettate dal Ccnl 31/03/1999, hanno stabilito che gli interni debbano essere in possesso degli stessi requisiti previsti per i candidati esterni, a partire dal titolo di studio. In mancanza di specifiche indicazioni in questo senso l'Aran non se la è sentita di dichiarare abrogate le disposizioni dei contratti collettivi della dirigenza che dettano regole, discipline, criteri e durata per gli incarichi dirigenziali.
Ciò nonostante in modo esplicito il citato dlgs n. 150/2009 escluda il conferimento degli incarichi dirigenziali dalle materie oggetto di contrattazione e nonostante il dlgs n. 141/2011 stabilisca che le disposizioni dettate dalla legge cd Brunetta prevalgano sulle norme contrattuali nazionali in contrasto.
Occorre segnalare la estrema prudenza con cui l'Aran affronta uno dei nodi più caldi: la revisione del sistema delle relazioni sindacali a seguito delle novità dettate dalle citate disposizioni. È evidente che una delle finalità essenziali della legge c.d. Brunetta è costituita dal ridimensionamento del ruolo e delle prerogative delle organizzazioni sindacali; ridimensionamento che si è fin qui realizzato in misura molto parziale in quanto le volontà legislative non hanno trovato concreta applicazione nella contrattazione collettiva nazionale.
Per questa ragione le raccolte sistematiche delle norme contrattuali dei dipendenti, dei dirigenti e dei segretari si limitano a segnalare la esistenza delle nuove regole legislative, ma evitano di trarre la conseguenza della constatazione della avvenuta abrogazione delle scelte contrattuali effettuate in precedenza.
Un'altra significativa differenza che emerge dalle raccolte sistematiche dei contratti dei dipendenti e dei dirigenti è quella relativa alle regole per la costituzione del fondo per la contrattazione decentrata. Per quello dei dipendenti la raccolta considera abrogate le disposizioni dettate in modo analitico, soprattutto dall'articolo 15 del Ccnl 01/04/1999, per la costituzione della parte stabile. Si considera sufficiente il lavoro che è stato compito con l'articolo 31 del Ccnl 22/1/2004, cioè la unificazione di tutte le componenti in una voce unitaria. Invece per il fondo dei dirigenti questa scelta non viene riproposta e si torna a suggerire che la individuazione delle risorse decentrate continui ad essere articolata sulla base di tutte le voci «storiche» comprese nell'articolo 26 del Ccnl 23/12/1999.
Questa diversità, che a prima vista sembra illogica, deve invece essere considerata come pienamente giustificata in quanto nel fondo dei dirigenti, a differenza di quello del personale, non è prevista la distinzione tra la parte stabile e la parte variabile, per cui la esigenza di tornare ogni anno a verificare le regole che presiedono alla sua costituzione è pienamente giustificata (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOMobilità volontaria previa ricognizione degli esuberi. Obbligatorio per le p.a. verificare le liste di disponibilità.
La mobilità volontaria tra dipendenti delle amministrazioni pubbliche deve essere preceduta dalla verifica di dipendenti inseriti nelle liste di disponibilità, prevista dall'articolo 34-bis del dlgs 165/2001.
La nuova disciplina sugli esuberi del personale pubblico, introdotta dalla spending review, il dl 95/2012, convertito in legge 135/2012, non lascia dubbi sulla necessità di superare l'avviso espresso dalla Funzione pubblica col parere 198/2005 e ritenere obbligatorio per le amministrazioni di verificare se nelle liste di disponibilità siano presenti lavoratori in esubero, prima di effettuare qualsiasi assunzione a qualsiasi titolo, compresa la mobilità.
A suo tempo, palazzo Vidoni in merito ai rapporti tra articoli 30 (sulla mobilità volontaria) e 34-bis (sulle misure di tutela nel mercato del lavoro per i dipendenti in disponibilità) aveva sostenuto che l'interpretazione più corretta fosse di «escludere l'obbligo di comunicazione preventiva rispetto l'acquisizione di personale in mobilità». Secondo il parere della funzione pubblica, risalente a sette anni fa, la circostanza che con la mobilità non comporti l'ingresso di nuove unità nella pubblica amministrazione, bensì uno spostamento tra enti di personale già dipendente non crea «pregiudizio per i dipendenti in situazione di disponibilità», dal momento che si copre un posto vacante presso un ente, ma se ne libera simmetricamente un altro, presso un diverso ente.
La motivazione non appariva persuasiva nemmeno all'epoca dell'emanazione del parere, perché influenzata esclusivamente da logiche finanziarie. È evidente che per il lavoratore pubblico in disponibilità e, dunque, alle soglie del licenziamento, è fondamentale poter contare sulla possibilità di ricollocarsi in un ente ove sia evidenziata la carenza di organico, piuttosto che in un altro. Condizioni come la distanza dalla residenza, le modalità lavorative, l'organizzazione sono, ovviamente, fondamentali per un incontro domanda offerta.
Altrettanto fondamentale, per un lavoratore alle soglie del licenziamento, è conoscere in anticipo se un ente abbia possibilità ed intenzione di assumere qualcuno, per categoria, profilo e mansione corrispondenti, in modo da potersi proporre per ottenere l'assunzione.
Lo scopo precipuo dell'articolo 34-bis del dlgs 165/2001 è consentire ai dipendenti in disponibilità di ottenere una proposta di assunzione mediante mobilità obbligatoria, da parte di un'amministrazione che intenda bandire un concorso, così da tirare fuori il dipendente in esubero dal rischio del licenziamento. È evidente che se l'articolo 34-bis si esclude dal campo di applicazione delle procedure di mobilità volontaria di cui all'articolo 30 del dlgs 165/2001, le tutele e le opportunità per il lavoratore in disponibilità si riducono drasticamente. Il che risulta contrastare con un nuovo assetto normativo, introdotto nel 2009, che rende le procedure per mobilità sostanzialmente identiche a quelle dei concorsi, essendo necessario un avviso pubblico. Non pare abbia coerenza ridurre le tutele ai lavoratori in disponibilità ai meri adempimenti obbligatori connessi ad assunzioni per concorsi (sempre più rare), senza coinvolgerli in procedure per trasferimenti, ormai per altro pubbliche.
Il tutto, comunque, non regge più alla luce dell'articolo 2, comma 13, della legge 135/2012. Tale disposizione impone al dipartimento della funzione pubblica di censire e redigere un elenco dei posti vacanti nelle pubbliche amministrazioni, da pubblicare sul relativo sito web.
I dipendenti in disponibilità avranno il diritto di presentare domanda di ricollocazione in quei posti vacanti, con simmetrico obbligo di accoglimento, da parte delle amministrazioni, che, in caso contrario «non possono procedere ad assunzioni di personale».
Non pare più possibile, allora, che un'amministrazione assuma mediante mobilità volontaria, senza curarsi di attuare le previsioni dell'articolo 34-bis. Infatti, visto il diritto soggettivo riconosciuto ad un dipendente in disponibilità di presentare domanda su un posto vacante, se si consentisse all'amministrazione di rendere indisponibile il posto si vulnererebbe il diritto del lavoratore di attivarsi autonomamente, per ricollocarsi (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Salvo l'assessore assenteista. Non decade se snobba le sedute del consiglio. Il sindaco potrà revocarlo se la condotta fa venir meno il rapporto fiduciario.
È applicabile anche alla carica di assessore comunale la disciplina relativa all'istituto della decadenza per ingiustificata assenza a più sedute dell'organo collegiale?
Il legislatore statale contempla l'ipotesi della decadenza per mancata partecipazione alle sedute con esclusivo riferimento alla carica di consigliere (art. 43, ultimo comma, del Tuel n. 267/2000; tale norma va letta in combinato disposto con l'art. 273, c. 6, del medesimo Tuel n. 267 in base al quale, nelle more dell'adozione della prescritta disciplina statutaria, trova applicazione, per il profilo considerato, il disposto dell'art. 289 del Tulcp n. 148/1915).
Nulla di analogo si prevede, alla stregua del vigente ordinamento, per la carica di assessore, a differenza dal pregresso ordinamento (v. art. 289, c. 2 del citato Tulcp n. 148/1915)
Tale circostanza è da imputarsi alla configurazione della giunta quale organo fiduciario, di diretta collaborazione con il sindaco che dispone, fra l'altro, del potere di revoca dell'assessore allorché venga meno il rapporto di fiducia alla base dell'investitura a tale carica per le più svariate cause, ivi compresa la protratta e ingiustificata assenza alle sedute, quale esternazione di un atteggiamento di indisponibilità alla prosecuzione del rapporto instaurato con l'accettazione della nomina; appare evidente come, in un'ipotesi di tale tipo, debba desumersi l'inevitabilità di una nuova valutazione da parte del sindaco in ordine alla permanenza dei presupposti che avevano condotto all'individuazione di quel soggetto quale suo stretto collaboratore per l'attuazione del programma di governo.
Pertanto, la norma dello statuto comunale che disciplina l'ipotesi della decadenza dell'assessore per assenze ingiustificate alle sedute della giunta appare di dubbia applicabilità, sia perché, secondo i comuni canoni ermeneutici, le previsioni statutarie conformate a un regime giuridico successivamente riformato possono continuare a trovare applicazione solo nella misura in cui non confliggono con il nuovo sistema; sia per la difficoltà d'individuare, nell'ambito dell'organo collegiale di cui l'amministratore locale fa parte, l'organo deputato alla valutazione della posizione dell' assessore stesso.
Infatti, se per il consiglio vale il principio, proprio degli organi collegiali elettivi, per cui la valutazione circa la posizione dei singoli componenti il consesso (cioè la legittimazione a farne parte) costituisce materia di esclusiva competenza del collegio medesimo, per la giunta non sembrerebbe possibile l'applicazione di analogo principio, trattandosi di un organo collegiale che non è elettivo, bensì nominato fiduciariamente dal sindaco che appare, pertanto, come l'unico soggetto legittimato a pronunciarsi sulla legittimità della partecipazione del singolo assessore alla compagine della giunta (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Gruppi consiliari.
Il capogruppo e il vicecapogruppo possono estromettere un consigliere comunale dal gruppo consiliare, a cui l'interessato aveva aderito nel corso della consiliatura, se questo ha manifestato al presidente del consiglio la volontà di continuare a militare nel partito da cui è stato espulso e a far parte del gruppo consiliare che si identifica nel medesimo partito?

L'istituto dei gruppi consiliari non è espressamente previsto dalla legge, ma si desume implicitamente da quelle disposizioni normative che contemplano diritti e prerogative in capo ai gruppi o ai capigruppo (in particolare, art. 38, comma 3; art. 39, comma 4, e art. 125 del dlgs n. 267/2000).
Pertanto, la costituzione così come il funzionamento dei gruppi non sono disciplinati in modo uniforme dalla fonte legislativa statale, bensì da statuto e regolamento in quanto, trattandosi di aggregazioni politiche interne ai consigli, si riconducono alla materia afferente al funzionamento dei consigli demandata, ex art. 38, commi 2 e 3, del decreto dlgs n. 267/2000, alle citate fonti normative locali.
Nel caso di specie, se le norme statutarie e regolamentari non contemplano l'evenienza dell'estromissione di un consigliere comunale dal gruppo consigliare di appartenenza ad opera del capogruppo, mentre si rinvengono chiari elementi da cui si desume che la volontà di appartenenza a un gruppo, anche nell'evenienza dell'adesione a un gruppo, diverso da quello corrispondente alla lista in cui si sia stati eletti, si riconduce esclusivamente ad una scelta individuale del diretto interessato, esercitabile nel rispetto delle condizioni poste dalla norma medesima, si ritiene sia preclusa la possibilità che un consigliere possa essere estromesso, contro la sua volontà, dal gruppo in cui è transitato legittimamente (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 02.11.2012

PUBBLICO IMPIEGO: Geometra di 53 anni in mobilità per due anni, poi più niente. Sindaco bersaniano licenzia un dipendente pubblico in esubero.
C'è un sindaco che licenzia i lavoratori pubblici in esubero. È quello di Carnago nel Varesotto. Un geometra di 53 anni, in municipio da 11, è stato messo in mobilità (due anni all'80% dello stipendio) perché di troppo secondo una ricognizione della pianta organica.
È la prima volta che accade in Italia, ha assicurato la cronaca milanese del Corsera. Una rottamazione bella e buona, direbbe qualcuno. Anche perché in questo comune del Varesotto anziché sventolare il labaro leghista, ondeggia proprio la bandiera democrat. E dunque il sindaco dal taglio facile è l'ennesimo renziano? No, anzi è un bersaniano tutto d'un pezzo, uno di quegli amministratori lombardi che, pronti-via, hanno firmato il loro sostegno a Pier Luigi Bersani. E forse non ci pensava Maurizio Andreoli Andreoni, 58 anni, medico di base specializzato in ematologia, con passione per la politica, prima assessore al bilancio e dal 2009 sindaco, sconfiggendo con 1400 voti i lumbard, che questo singolare primato, del licenziamento di un pubblico dipendente cadesse proprio nel mezzo di primarie di coalizione piuttosto vivaci proprio per colpa (o per merito) degli esponenti del suo partito.
Ormai però è andata: Enrico Cirrincione, ha ricevuto la lettera con allegata delibera comunale che gli indica la porta d'uscita del palazzo municipale. Il sindaco ha allargato le braccia, ha «parlato di un esercito senza generali», e portando a esempio proprio il settore del licenziato, ha protestato che il suo comune «ha quattro geometri e solo due stradini», ha ricordato l'uscita dolce con due annualita pagate per oltre i tre quarti, ha negato insomma qualsiasi fatto personale col mobilitando Cirrincione. Il quale invece, al medesimo giornale, ricordando di non aver mai avuto un richiamo né un provvedimento disciplinare e di sentirsi mobbizzato. E rammentando, anche di uno screzio che c'era stato fra lui e il sindaco quando, anni prima, il medico faceva l'assessore.
La vicenda, par di capire, oltre a fare scuola per le nuove norme che regolano la Pubblica amministrazione si trasferirà presto davanti al magistrato del lavoro, anche perché la Cisl, ma soprattutto la Cgil, sono scatenatissime e parlano del mancato rispetto delle procedure e si sono precipitate ieri a incontrare l'amministrazione e minacciano lo sciopero. E qualche ricaduta politica potrebbe non mancare se si considera che il vicesindaco della giunta «rottamatrice» è il segretario provinciale del Pd di Varese, Fabrizio Taricco, che, come la stragrande maggioranza dei segretari provinciali piddini d'Italia, sta con Bersani. Quando anzi, il segretario nazionale decise di far partire proprio dal capoluogo le primarie, il vicesindaco lo visse come un successo personale.
Il sito Varese Report riporta ancora una dichiarazione soddisfatta: «Il fatto che Bersani inizi da qui la presentazione della Carta d'intenti rappresenta per noi anche il riconoscimento di cinque anni di grande e appassionato lavoro per la costruzione del Partito democratico sul territorio», aveva detto Taricco. Il guaio è che proprio a Varese, Renzi aveva trovato un convinto supporter nell'ex candidato sindaco Alessandro Alfieri, consigliere regionale, che aveva abbandonato la corrente di Enrico Letta per mettersi dalla sua, organizzandogli, in una domenica di ottobre, un mega raduno in un teatro cittadino.
Il licenziamento di Carnago, seppure edulcorato dalla mobilità, entrerà nel dibattito delle primarie, in cui spesso s'è cercato di accreditare Renzi del più forsennato liberismo, ricordando spesso le sue polemiche con la Cgil? Se lo chiedono anche al già citato ristorante, fra i commenti del ricco «menu di Halloween»: gnocchi di zucca con taleggio e noci, cosciotto di maiale con patate e frittelle, ancora di zucca. A 22 euro (articolo ItaliaOggi dell'01.11.2012).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIDal 2013 pagamenti entro 30 giorni. Per la pubblica amministrazione saranno possibili deroghe fino a 60 giorni.
IL SÌ DEL GOVERNO/ Il via libera dopo una lunga discussione in Consiglio sul Ponte sullo stretto. La stretta sui tempi riguarda anche i rapporti tra imprese.

Dal 01.01.2013, la pubblica amministrazione dovrà pagare i propri fornitori entro 30 giorni. Al più si potrà arrivare a 60 sono in casi ben individuati. Lo stesso limite riguarderà anche le transazioni azienda-azienda, ma in questo caso il tetto potrà essere superato nel caso ci siano accordi tra le parti. Intese che comunque non dovranno essere inique per il creditore.
Il Governo ieri ha approvato il decreto legislativo che attua la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16.02.2011 (2011/7/UE) «relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento delle transazioni commerciali».
Il Dlgs, arrivato già martedì sul tavolo di Palazzo Chigi, è poi slittato a ieri, con il via libera arrivato a tarda sera (già domani sarà al Quirinale per la firma) dopo una lunga discussione dovuta al nodo Ponte sullo stretto (per il quale è stata prorogata di due anni la verifica di fattibilità).
Il testo è stato elaborato in tre riunioni tecniche, con il coinvolgimento di quattro ministeri: Economia, Giustizia, Sviluppo economico e il coordinamento del ministero per gli Affari europei. I tre articoli del decreto riscrivono in maniera più restrittiva il precedente Dlgs 231 del 2002.
Il Dlgs non dovrà passare per i pareri del Parlamento: in questo modo viene rispettata la data stabilita dalla legge sullo statuto di impresa (la 180/2011) che oltre a prevedere la delega ad hoc per il Governo anticipa di quattro mesi –a metà novembre (invece che a metà marzo)– l'introduzione della direttiva Ue 2011/7. Le nuove regole scatteranno per le transazioni commerciali che si concluderanno dal 01.01.2013 in poi.
Un lasso di tempo, questo, –spiega la relazione illustrativa al decreto– necessario per dare tempo a tutti, Pubblica amministrazione in primis, di adeguarsi anche per quanto riguarda la «modulistica contrattuale» e le «procedure interne di pagamento».
Quella dei ritardi nei pagamenti è da sempre un'emergenza, soprattutto in questa fase in cui le imprese sono a corto di liquidità. In particolare, a essere penalizzate sono le piccole aziende, costrette ad aspettare in media circa 180-190 giorni per essere pagate (anche la Grecia fa meglio: 174 giorni), con punte record al Sud dove si superano anche i 1.500 giorni.
E le regole già in vigore –come quelle previste ad esempio per i lavori pubblici– finora non hanno sortito effetti. Da qui l'attesa per i nuovi paletti europei che, come detto, fissano a 30 giorni il termine ordinario che la Pa deve rispettare per pagare. Anche se ci saranno delle deroghe: in particolare per asl, ospedali e imprese pubbliche che possono portare a 60 giorni il termine massimo. Ma anche tutte le altre Pa potranno accedere a questa deroga nel caso "eccezionale" in cui l'eventuale proroga sia giustificata «dalla natura o dall'oggetto del contratto» oppure dalle «circostanze esistenti al momento della sua conclusione». In ogni caso, il nuovo limite dovrà essere pattuito «in modo espresso».
Per le amministrazioni pubbliche che non rispetteranno i tempi scatterà la "sanzione" degli interessi legali di mora. Che decorreranno automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine del pagamento senza che sia necessaria la costituzione in mora (vale a dire la la richiesta scritta al debitore di adempiere all'obbligo). Gli «interessi legali di mora» si calcoleranno prevedendo una maggiorazione di 8 punti percentuali sul tasso fissato dalla Banca centrale europea: in sostanza si aggireranno intorno alla soglia del 10 per cento. Per le imprese invece ci sarà maggiore libertà contrattuale: oltre a concordare l'entità degli interessi moratori potranno decidere, pattuendolo per iscritto, anche di superare la soglia massima dei 60 giorni per pagare.
Il decreto però prevede espressamente tutta una serie di paletti per escludere automaticamente clausole vessatorie che puntino ad aggirare i tempi massimi, il pagamento degli interessi e l'eventuale risarcimento per i costi che sono necessari per recuperare i crediti (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO - VARIIl Ddl anticorruzione è legge Severino: ampia condivisione. No solo dell'Idv - Prescrizione, riparte la proposta del Pd.
IL GUARDASIGILLI/ «Non è un compromesso al ribasso. Inserire anche il falso in bilancio o il voto di scambio avrebbe bloccato il provvedimento».

L'anticorruzione è legge. Con un voto quasi unanime, fatta eccezione per l'Idv, la Camera ha approvato definitivamente le norme sulla prevenzione e la repressione della corruzione, che diventeranno operative tra 15-20 giorni.
Un successo per il governo, che dopo la fiducia del giorno prima, ha incassato 480 sì (19 i no e 25 gli astenuti) al provvedimento riscritto –rispetto al testo originario del 2010 firmato da Angelino Alfano– dai ministri Filippo Patroni Griffi e Paola Severino. Quest'ultima non nasconde la soddisfazione per «la grande condivisione del progetto» e definisce «non corretto parlare di compromesso al ribasso» come aveva detto Antonio Di Pietro.
Quanto al «si poteva fare di più» risuonato nell'aula come un mantra, il ministro ha detto che no, non si poteva fare più di così perché le norme su prescrizione, falso in bilancio, autoriciclaggio, voto di scambio, se inserite nel ddl ne «avrebbero rallentato, se non bloccato» la legge. «Sono norme su cui il Parlamento si dibatte da anni e sulle quali ora viene espressa una volontà politica che non posso non apprezzare –ha osservato il ministro–. Questo governo ha le risorse tecniche per offrire il suo contributo».
Insomma, sembra che l'approvazione della legge abbia fatto il miracolo di avvicinare posizioni da sempre inconciliabili e che nei pochi mesi che mancano alla fine della legislatura potrebbe essere approvata non solo una riforma del falso in bilancio ma persino della prescrizione, sebbene su questi temi non sia stato possibile trovare un accordo nei cinque mesi di gestazione dell'anticorruzione.
Ieri, in commissione Giustizia è stata ricalendarizzata per mercoledì prossimo la proposta di legge del Pd sulla prescrizione, «accantonata –spiega Donatella Ferranti– all'epoca in cui si parlava di prescrizione breve e processo lungo. Ci sembrava giusto riprendere in mano la questione, anche se il testo base è da migliorare, per affrontarla a tutto tondo. Abbiamo constatato la ... (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALICon il decreto del Governo le Province scendono a 51. Dal 2014 addio a 35 enti - Via le giunte già dal 2013.
CITTÀ METROPOLITANE/ Firenze apre le porte non solo a Prato ma anche a Pistoia, conferma per Milano che acquista Monza-Brianza Venezia resta da sola.

Il Governo affonda il bisturi nella carne delle Province un centimetro più in basso del previsto. E si avvia a cancellarne 35 anziché 34 come anticipato ieri su questo giornale.
Per effetto del decreto approvato durante la sessione mattutina del Consiglio dei ministri, dal 2014, gli enti di area vasta delle Regioni ordinarie passeranno da 86 a 51, incluse le 10 città metropolitane. Ma un antipasto del taglio si avrà già dal 01.01.2013 quando decadranno tutte le giunte locali. Sul risultato complessivo della riorganizzazione pesano però due interrogativi: le autonomie speciali attueranno la stretta? E il Parlamento riuscirà, in sede di conversione, a respingere le spinte campanilistiche?
Dalla risposta a questi due quesiti dipenderà l'impatto dell'intera operazione-Province. Sia economico, visto che per ora non sono cifrati i risparmi; sia in termini di equità, poiché il mancato adeguamento di alcune realtà renderebbe ancora più veementi le proteste delle altre, costrette dal Dl a stringere unioni forzate. E i segnali giunti fin qui non promettono nulla di buono. A parte la Sardegna (dove un referendum popolare ha deciso di ridurre da 8 a 4 gli "enti di mezzo") le altre "super-autonomie" non si sono ancora poste il problema di avviare l'iter che, in base alla spending, dovrà concludersi entro il 7 gennaio sulla base dei due requisiti decisi dall'Esecutivo: 350mila abitanti e 2.500 chilometri quadrati di estensione. Senza contare che, nel corso della conferenza stampa di presentazione delle misure, il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, si è limitato a dire: «Ci occuperemo in seguito delle speciali». Pur definendo «irreversibile» l'intero processo in atto.
Stesso discorso per le Camere che già a luglio hanno dovuto respingere richieste di eccezioni di ogni tipo. Ed è presumibile che il copione si ripeta identico nelle prossime settimane vista la levata di scudi già partita lungo la penisola. Con formule diverse –appelli al premier, minacce di ricorso alla Consulta, proposte di passare alla Regione limitrofa e, addirittura, interviste concesse sul water– ma un unico obiettivo: ottenere l'agognata deroga. Anche perché alcuni distinguo sono stati operati dallo stesso decreto: Sondrio e Belluno escluse perché montane al 100% e Arezzo "salvata" dai dati anagrafici in quanto superiori all'ultimo censimento Istat.
Rimandando alla cartina accanto per capire come cambierà dal 2014 l'intera geografia provinciale, qui appare opportuno sottolineare alcune novità rispetto alla bozza del giorno precedente. In primis in Lombardia, dove Lodi va con Cremona e Mantova, oppure in Toscana, dove nasce la maxi-Provincia di Lucca-Massa-Pisa-Livorno e Pistoia confluisce insieme a Prato nella città metropolitana di Firenze. E, restando alle città metropolitane, va segnalata un'altra novità rispetto ai desiderata dei territori: Padova non confluirà in Venezia ma si unirà alla Provincia di Treviso. E due conferme: Milano che acquista Monza-Brianza e Bari che non "vince" la Bat. Barletta-Andria-Trani finirà infatti con Foggia.
Tra gli altri cambiamenti rispetto al testo d'ingresso in Cdm va segnalata la retromarcia innestata sulla composizione dei futuri consigli provinciali. In attesa della sentenza della Consulta prevista per il 6 novembre, è stata eliminata la modifica all'articolo 23 del salva-Italia che li trasforma in organi di secondo livello eletti dai Comuni del circondario. Anziché salire fino a 16 per gli enti con più di 700mila abitanti, come immaginato in un primo momento, il numero massimo di membri eleggibili resta fermo a 10. E lo stesso limite varrà anche per le città metropolitane.
Passando alle altre disposizioni degne di nota spicca la conferma della previsione che vuole l'indizione delle nuove elezioni in una domenica compresa tra il 1° e il 30.11.2013. E ciò sia che l'amministrazione resti in vita sia che scompaia. Fermo restando che il mandato del presidente e dei consiglieri attualmente in carica scadrà il 31 dicembre, a meno che l'ente non venga sciolto. In quel caso arriverà il commissario ad acta governativo. Vita più breve avranno invece gli assessori che decadranno dalla carica all'inizio del 2013; al loro posto il numero uno dell'ente potrà delegare alcune funzioni a massimo tre consiglieri. Una stretta aggiuntiva che non è piaciuta all'Upi, già critica per le «forzature» operate su alcuni territori.
L'ultima curiosità riguarda i futuri capoluoghi. In teoria saranno tali gli enti più popolosi. A meno che un diverso accordo dei sindaci, preso anche a maggioranza, non porti a una soluzione alternativa. Con conseguenze non da poco anche sulla vita di consiglieri e dipendenti. Durante l'ultimo miglio a Palazzo Chigi il testo si è arricchito della precisazione che gli organi dell'ente saranno ubicati nel capoluogo e non ci saranno sedi decentrate (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.11.2012).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIContratti. Lo schema del decreto varato dal Governo. Per i pagamenti in ritardo la mora va in automatico.
ARTICOLO 1 - Modifiche al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231
   1. Al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231, recante attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, sono apportate le seguenti modificazioni:
      a) l'articolo 1 è sostituito dal seguente: «Articolo 1. – Ambito di applicazione. – 1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano a ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale.
2. Le disposizioni del presente decreto non trovano applicazione per:
a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito;
b) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore.»;
      b) l'articolo 2 è sostituito dal seguente: «Articolo 2. – Definizioni. – 1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) "transazioni commerciali": i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo;
b) "pubblica amministrazione": le amministrazioni di cui all'articolo 3, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e ogni altro soggetto, allorquando svolga attività per la quale è tenuto al rispetto della disciplina di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
c) "imprenditore": ogni soggetto esercente un'attività economica organizzata o una libera professione;
d) "interessi moratori": interessi legali di mora ovvero interessi a un tasso concordato tra imprese;
e) "interessi legali di mora": interessi semplici di mora su base giornaliera a un tasso che è pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali;
f) "tasso di riferimento": il tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali;
g) "importo dovuto": la somma che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine contrattuale o legale di pagamento, comprese le imposte, i dazi, le tasse o gli oneri applicabili indicati nella fattura o nella richiesta equivalente di pagamento.»;
      c) all'articolo 3, dopo le parole: «interessi moratori» sono inserite le seguenti: «sull'importo dovuto»;
      d) l'articolo 4 è sostituito dal seguente: «Articolo 4. – Decorrenza degli interessi moratori. – 1. Gli interessi moratori decorrono, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento.
2. Salvo quanto previsto dai commi 3, 4 e 5, ai fini della decorrenza degli interessi moratori si applicano i seguenti termini:
a) trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente. Non hanno effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento;
b) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;
c) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;
d) trenta giorni dalla data del l'accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini del l'accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.
3. Nelle transazioni commerciali tra imprese le parti possono pattuire un termine per il pagamento superiore rispetto a quello previsto dal comma 2. Termini superiori a sessanta giorni, purché non siano gravemente iniqui per il creditore ai sensi dell'articolo 7, devono essere pattuiti espressamente. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto.
4. Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma 2, quando ciò sia giustificato dalla natura o dall'oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. In ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono essere superiori a sessanta giorni. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto.
5. I termini di cui al comma 2 sono raddoppiati:
a) per le imprese pubbliche che sono tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al decreto legislativo 11 novembre 2003, n. 333;
b) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine.
6. Quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto essa non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti e previsto nella documentazione di gara e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi dell'articolo 7. L'accordo deve essere provato per iscritto.
7. Resta ferma la facoltà delle parti di concordare termini di pagamento a rate. In tali casi, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi e il risarcimento previsti dal presente decreto sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi scaduti.»;
      e) l'articolo 5 è sostituito dal seguente: «Articolo 5. – Saggio degli interessi. – 1. Gli interessi moratori sono determinati nella misura degli interessi legali di mora. Nelle transazioni commerciali tra imprese è consentito alle parti di concordare un tasso di interesse diverso, nei limiti previsti dall'articolo 7.
2. Il tasso di riferimento è così determinato:
a) per il primo semestre del l'anno cui si riferisce il ritardo, è quello in vigore il 1° gennaio di quell'anno;
b) per il secondo semestre del l'anno cui si riferisce il ritardo, è quello in vigore il 1° luglio di quell'anno.
3. Il ministero dell'Economia e delle finanze dà notizia del tasso di riferimento, curandone la pubblicazione nella «Gazzetta Ufficiale» della Repubblica italiana nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare.»;
      f) l'articolo 6 è sostituito dal seguente: «Articolo 6. – Risarcimento delle spese di recupero. – 1. Nei casi previsti dall'articolo 3, il creditore ha diritto anche al rimborso dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte.
2. Al creditore spetta, senza che sia necessaria la costituzione in mora, un importo forfettario di 40 euro a titolo di risarcimento del danno. È fatta salva la prova del maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza per il recupero del credito.»;
      g) l'articolo 7 è sostituito dal seguente: «Articolo 7. – Nullità. – 1. Le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del Codice civile.
2. Il giudice dichiara, anche d'ufficio, la nullità della clausola avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l'esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all'importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero.
3. Si considera gravemente iniqua la clausola che esclude l'applicazione di interessi di mora. Non è ammessa prova contraria.
4. Si presume che sia gravemente iniqua la clausola che esclude il risarcimento per i costi di recupero di cui all'articolo 6.
5. Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione è nulla la clausola avente a oggetto la predeterminazione o la modifica della data di ricevimento della fattura. La nullità è dichiarata d'ufficio dal giudice.»;
      h) all'articolo 8, comma 1, la lettera a) è sostituita dalla seguente:
«a) di accertare la grave iniquità, ai sensi dell'articolo 7, delle condizioni generali concernenti il termine di pagamento, il saggio degli interessi moratori o il risarcimento per i costi di recupero e di inibirne l'uso.».
ARTICOLO 2 - Modifiche alla legge 18.06.1998, n. 192
1. All'articolo 3, comma 3, della legge 18.06.1998, n. 192, le parole: «di sette punti percentuali» sono sostituite dalle seguenti: «di otto punti percentuali».
ARTICOLO 3 - Disposizioni finali
1. Le disposizioni di cui al presente decreto legislativo si applicano alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1° gennaio 2013 (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO - VARILa camera dei deputati ha approvato definitivamente il disegno di legge. Pacchetto anticorruzione. Fino a tre anni per traffico di influenze illecite.
Anticorruzione, nuove norme al via. La camera ha approvato ieri definitivamente il ddl sul quale aveva già votato il giorno prima la fiducia al governo. Il provvedimento non è stato modificato alla camera rispetto al voto del senato in terza lettura e quindi diventa legge. I voti a favore sono stati 480, 19 i contrari, 25 gli astenuti. Contrari i deputati di Idv e Luca D'Alessandro (Pdl). Tra gli astenuti 10 deputati Pdl, un leghista, 3 di Popolo e Territorio, 4 del Gruppo Misto e i Radicali. Diviso, di fatto, in due parti, il ddl contiene norme di prevenzione e norme sulla repressione. Ed è su queste che il percorso in parlamento è stato più complicato.
Tra le novità (si veda tabella in pagina) quelle che riguardano la corruzione tra privati. Si sostituisce l'articolo 2635 del codice civile: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.
Per quanto riguarda invece il traffico di influenze illecite si prevede che chi sfruttando relazioni con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente, fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Molte le novità sulla p.a. Via dagli appalti coloro che sono stati condannati con sentenza passata in giudicato per reati contro la pubblica amministrazione o per reati gravi, come il 416-bis. Pubbliche e online le informazioni sulle opere e gli appalti.
Arriva il codice etico del dipendente pubblico con sanzioni che giungono fino al licenziamento per i casi più gravi. Vietato accettare compensi, regali o altre utilità, in connessione con le proprie funzioni (articolo ItaliaOggi dell'01.11.2012).

ENTI LOCALIIl governo cancella 35 province. Da 86 a 51 enti nelle regioni ordinarie. Via le giunte dal 2013. Varato il decreto legge con gli accorpamenti. Salve in extremis Arezzo, Belluno e Sondrio.
Da 86 a 51 province. La nuova geografia dell'Italia riparte da qui e lascia per strada 35 enti di secondo livello nelle regioni a statuto ordinario. Dopo il dl Salva Italia (dl 201/2011), la spending review (dl 95/2012) e mesi di discussioni e dibattiti tra chi non voleva cambiare nulla e chi addirittura le province le avrebbe eliminate tutte, il consiglio dei ministri di ieri ha approvato il decreto legge che scrive per il momento la parola fine. Almeno per quanto riguarda il lavoro del governo che chiude la porta a qualunque ipotesi di ripensamento futuro.
«È un processo irreversibile», ha dichiarato il ministro della funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, «un restyling coerente con i modelli Ue nel solco della spending review». Ora quindi la palla passa al parlamento. E all'esecutivo non resta che augurarsi che la politica non smantelli piano piano (come sta accadendo per esempio al decreto enti locali, dl 174/2012 ndr) la trama istituzionale faticosamente costruita da Monti&Co.
Ma vediamo la mappa delle nuove province.
Come cambia la geografia italiana. Molte le novità dell'ultim'ora. Resteranno in vita Sondrio e Belluno perché bisogna «preservare la specificità delle province il cui territorio è integralmente montano». Salva anche la provincia di Arezzo che a discapito dei dati Istat dovrebbe aver raggiunto in extremis il tetto minimo di 350 mila abitanti necessario per sopravvivere. Prato riabbraccia Firenze confluendo nella città metropolitana del capoluogo assieme a Pistoia. Stessa cosa in Lombardia dove la provincia di Monza-Brianza entrerà a far parte dell'area metropolitana di Milano invece che unirsi con Varese-Como-Lecco. Una scelta, quest'ultima, presa contro il volere dei diretti interessati che ieri hanno accusato il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, di aver fatto pressioni perché la Brianza tornasse sotto Milano piuttosto che confluire nella provincia di Varese. A dispetto delle attese, Padova non confluisce nella città metropolitana di Venezia, ma si aggrega con Treviso, mentre Verona guadagna anche l'attuale provincia di Rovigo.
In Piemonte, ferme restando Torino (città metropolitana) e Cuneo, nascono tre nuove realtà composite: Alessandria-Asti, Novara-Verbania e Vercelli-Biella. In Toscana, detto di Firenze e di Arezzo, spuntano due maxi province: Siena-Grosseto e Massa Carrara-Lucca-Pisa-Livorno. In Liguria, Imperia e Savona si fondono, mentre in Emilia-Romagna, salve Bologna (città metropolitana) e Ferrara, vanno a braccetto Piacenza e Parma e Modena e Reggio Emilia. Ravenna, Forlì Cesena e Rimini si mettono insieme per costituire un'unica provincia della Romagna. Nelle Marche Ascoli, Fermo e Macerata andranno a costituire un solo ente. In Abruzzo dalle attuali 4 province si passerà a due: Pescara-Chieti e L'Aquila-Teramo. Nel Lazio, Roma diventerà città metropolitana e le altre quattro province si dimezzeranno andando a costituire Viterbo-Rieti e Latina-Frosinone. In Campania, oltre a Napoli (città metropolitana) si salvano Salerno e Caserta, mentre Avellino si unisce a Benevento. In Puglia, Foggia ingloba l'attuale provincia di Barletta-Andria-Trani, mentre Taranto si aggrega con Brindisi. In Calabria, Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia torneranno insieme. Molise, Basilicata e Umbria diventeranno regioni monoprovinciali.
La governance delle province. Le nuove province vedranno la luce dal 01.01.2014. Questo significa che le attuali amministrazioni resteranno in carica fino al 31.12.2013, ma già dall'inizio dell'anno prossimo le giunte scompariranno e gli unici organi provinciali a restare in carica saranno i consigli e i presidenti. Questi ultimi, in sostituzione delle giunte, potranno delegare l'esercizio delle funzioni di governo a non più di tre consiglieri. Non ci saranno i commissari a traghettare gli enti verso il riordino. I commissari si insedieranno solo negli enti che da oggi al 31.12.2013 vanno a scadenza (naturale o anticipata) per gestire la macchina amministrativa fino all'insediamento dei nuovi enti.
La elezioni per costituire i nuovi organi dovranno tenersi in una domenica compresa tra il 1° e il 30.11.2013. Sarà una legge dello stato a definire le modalità di elezione entro il 31.12.2012. Il consiglio provinciale non sarà più composto inderogabilmente da dieci componenti (come prevedeva il Salva Italia) ma il numero potrà salire a 12 negli enti con popolazione compresa tra 300 mila e 700 mila abitanti e a 16 negli enti con più di 700 mila abitanti.
La successione tra enti. Nelle province che avranno nuovi confini per effetto degli accorpamenti il comune capoluogo sarà o il capoluogo di regione (se rientra nel territorio della neonata provincia) oppure il comune più popoloso tra quelli già capoluogo di provincia. La denominazione delle nuove realtà locali potrà comunque essere modificata con dpr, previa delibera del consiglio dei ministri.
I nuovi enti subentreranno a quelli esistenti in tutti i rapporti giuridici. Il passaggio dei dipendenti di ruolo avverrà previa concertazione sindacale. Gli enti potranno fare da sé solo in caso di mancato accordo con i sindacati. Le dotazioni organiche saranno determinate tenendo conto dell'effettivo fabbisogno. Le regioni trasferiranno ai comuni le funzioni già conferite alle province a meno che non decidano di tenerle per sé al fine di assicurarne un esercizio unitario.
La governance delle città metropolitane. Le città metropolitane vedranno la luce dal 2014 ad eccezione di Reggio Calabria in cui il nuovo ente debutterà 90 giorni dopo il rinnovo degli organi del comune attualmente commissariato. Le nuove realtà saranno rette da un consiglio metropolitano composto da 18 membri negli enti con più di 3 milioni di abitanti, 14 in quelli con popolazione compresa tra 800 mila e 3 milioni di abitanti e 12 nelle altre città metropolitane. Saranno i sindaci e i consiglieri comunali dei municipi ricompresi nel territorio metropolitano ad eleggere i componenti del consiglio (articolo ItaliaOggi dell'01.11.2012).

APPALTIPer il codice degli appalti la riforma a getto continuo. Il ddl delega: regolamento entro 6 mesi, poi aggiustamenti successivi.
Modifiche infinite per la normativa in materia di appalti pubblici, con la delega a riordinare il Codice dei contratti pubblici e il regolamento attuativo entro 6 mesi, con ulteriori adeguamenti nell'anno successivo.
È quanto prefigura il disegno di legge in materia di infrastrutture e trasporti, che incide anche con nuove norme sulla bancabilità dei progetti, sulla riduzione dell'overdesign nel settore ferroviario, sulla consultazione pubblica per le grandi infrastrutture (il c.d. referendum o débat public).
Per quel che riguarda l'ennesima opera di rivisitazione del Codice che fu approvato nel 2006 a seguito dei lavori della Commissione De Lise, la delega per il «consolidamento del quadro normativo» in materia di contratti avrà ad oggetto anche il regolamento attuativo del decreto 163/2006 e dovrà essere esercitata entro sei mesi dall'approvazione del disegno di legge.
La formulazione della norma in realtà è stata semplificata nel passaggio da una versione all'altra del testo (è scomparsa, ad esempio, l'indicazione di suddividere la normativa primaria da quella regolamentare), ma rimane, di fondo, la scelta di intervenire in un'ottica di semplificazione, razionalizzazione e riordino della normativa vigente anche per evitare sovrapposizioni e duplicazioni. La delega dovrebbe anche servire ad adeguare le norme ai principi emersi in sede comunitaria, dove si stanno mettendo a punto le nuove direttive appalti pubblici, ma va detto che difficilmente entro sei mesi le direttive saranno approvate (le posizioni tra Consiglio e Parlamento sono molto distanti su molti punti e addirittura si parla di un ritiro della direttiva concessioni) e quindi vi sarà l'indubbia difficoltà di capire quali siano i principi effettivamente «emersi».
In ogni caso una delega così ampia con la finalità di stabilizzazione della normativa, ma con la contestuale previsione di adeguare ulteriormente i decreti delegati dopo un anno dalla loro approvazione, sembra prefigurare un quadro di modifiche perpetue, che molto difficilmente potrà creare quelle condizioni di stabilità normativa che da anni il settore invano attende (questo anno sono già 9 i provvedimenti che hanno cambiato il Codice dei contratti pubblici). Il tutto considerando che la stabilizzazione delle norme avviene con l'apparentemente contraddittoria introduzione di ulteriori nuove norme di modifica del Codice nello stesso disegno di legge.
Fra queste (oltre a quelle sullo svincolo delle cauzioni, sui raggruppamenti temporanei e sulle centrali di committenza, vedi ItaliaOggi del 23 ottobre) si segnalano quelle relative alle concessioni di lavori pubblici tese a favorire una migliore bancabilità dei progetti attraverso il coinvolgimento del settore bancario già nella fase di offerta con una manifestazione di interesse a finanziare l'opera e con la previsione di una clausola risolutiva in caso di mancata sottoscrizione del finanziamento entro un congruo termine, che potrebbe velocizzare l'iter.
Anche l'estensione alle concessioni di lavori pubblici della norma che consente di indire una consultazione preliminare sul progetto posto a base di gara (oggi previsto per appalti oltre i 20 milioni) dovrebbe favorire una maggiore certezza degli elementi sui quali formulare le offerte e ridurre l'aleatorietà sotto il profilo della bancabilità dell'intervento. L'obiettivo finale è quello di attrarre maggiormente la finanza privata, anche straniera, creando condizioni di maggiore certezza giuridica e procedurale rispetto a quanto avviene oggi.
Rilevante, soprattutto politicamente, è poi l'introduzione della consultazione pubblica (c.d. débat public o referendum) per la grandi infrastrutture previste nel DEF al fine della gestione del consenso sul territorio, che sarà gestita dai Provveditorati interregionali alle opere pubbliche e si terrà sullo studio di fattibilità o la massimo sul progetto preliminare. Prevista anche una norma che limita a trenta giorni il termine per presentare osservazioni al Ministero dell'ambiente sui progetti di opere soggette a Via (articolo ItaliaOggi dell'01.11.2012).

LAVORI PUBBLICIGrandi opere, parola ai territori. Prima di fare i lavori, il governo chiederà il parere dei cittadini. La novità nel disegno di legge delega sulle infrastrutture, approvato ieri dal Consiglio dei ministri.
Consultazione pubblica prima della realizzazione di opere di interesse strategico. Seguendo la strada del francese débat public, il governo chiederà il parere dei cittadini prima della realizzazione di importanti infrastrutture, permettendo una maggiore condivisione delle informazioni e delle finalità dei progetti con le comunità locali.
È una delle novità contenute nel disegno di legge delega approvato ieri dal consiglio dei ministri che prevede anche, sempre sul fronte infrastrutturale, nuove misure per agevolare l’utilizzo degli strumenti di partenariato pubblico-privato per la realizzazione delle opere pubbliche, anche attraverso una ulteriore semplificazione e accelerazione delle procedure.
Finanziabilità di progetti e bandi. Per assicurare che i progetti da realizzare con contratti di partenariato pubblico-privato siano idonei ad assicurare adeguati livelli di «bancabilità» fin dalla gara per l’affidamento, le amministrazioni aggiudicatrici potranno chiedere che l’offerta presentata sia corredata da una manifestazione di interesse da parte di una banca a finanziare l’operazione. Attraverso questa consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare le offerte, sarà dunque possibile far emergere, prima dell’affidamento, eventuali criticità del progetto sotto il profilo della finanziabilità da parte del settore bancario. Inoltre, vengono introdotti i «bandi-tipo» per l’affidamento di contratti di partenariato.
Subentro di un nuovo concessionario designato dagli enti finanziatori del progetto. Il ddl interviene sull’istituto del subentro, che consente di assicurare la continuità del rapporto concessorio in caso di risoluzione del rapporto stesso per motivi addebitabili al concessionario. Viene introdotto, in particolare, un termine minimo per legge (120 giorni, prorogabile di altri 60 su richiesta motivata), sostitutivo del termine rimesso al contratto tra le parti come è nella situazione vigente, per la designazione del nuovo concessionario da parte degli enti finanziatori, che hanno in questo modo maggiore tempo per effettuare le proprie scelte. Viene lasciata, inoltre, alla volontà negoziale delle parti la determinazione dei criteri e delle modalità di attuazione del diritto di subentro. Tramite questa garanzia, il finanziamento dell’opera risulta maggiormente attrattivo per il sistema bancario.
Centrale di committenza per l’affidamento delle concessioni. Per favorire l’impiego dello strumento della concessione anche da parte delle amministrazioni di medie e piccole dimensioni, le quali spesso non possiedono al loro interno le competenze necessarie per attivare le particolari procedure previste, si introduce la possibilità di fare ricorso alle centrali di committenza, istituto già sperimentato per gli appalti pubblici.
Consultazione pubblica. Per promuovere un più alto livello di partecipazione delle popolazioni e dei territori rispetto alla realizzazione di opere strategiche, viene introdotta la procedura di consultazione pubblica che permetterà di verificare preliminarmente la percorribilità di un progetto e consentirà alle popolazioni coinvolte di valutare e conoscere nel dettaglio le scelte riguardanti la realizzazione e localizzazione delle grandi opere infrastrutturali. Scopo della consultazione, che non sarà vincolante per il decisore pubblico, è aumentare in modo significativo il livello di coinvolgimento preventivo delle comunità locali nei processi di realizzazione delle opere strategiche per il sistema paese.
Semplificazione della procedura di approvazione unica del Cipe del progetto preliminare e della procedura di valutazione di impatto ambientale. La nuova procedura, introdotta dal decreto legge Salva Italia, di approvazione unica da parte del Cipe del progetto preliminare di un’opera viene ulteriormente perfezionata, inserendo una tempistica definita per il pronunciamento delle singole amministrazioni e la previsione di azioni conseguenti al mancato rispetto dei termini. Inoltre, nell’ambito dell’istruttoria sui progetti relativi alle opere soggette a procedura di valutazione di impatto ambientale, si fissa il termine di 30 giorni per la presentazione delle eventuali osservazioni rimesse al ministero dell’ambiente dai soggetti pubblici e dai privati interessati. In questo modo sarà più semplice fissare termini stabiliti per la conclusione della conferenza di servizi necessaria per l’approvazione del progetto preliminare.
Semplificazioni normative e riduzione dell’overdesign. Per ridurre il fenomeno dell’overdesign, e cioè la fissazione di requisiti tecnici progettuali più stringenti rispetto a quanto richiesto dalla normativa europea, in particolare per le opere infrastrutturali ferroviarie, e i relativi costi da esso generati, si prevede l’allineamento delle regole minime di sicurezza alle norme europee, anche già vigenti, limitando l’introduzione di ulteriori norme nazionali non fondate su standard comuni ed i relativi sovracosti.
Svincolo garanzie di buona esecuzione. Per garantire maggiore liquidità alle imprese che operano nel settore degli appalti pubblici, si prevede -per lo svincolo progressivo della garanzia in base all’avanzamento dell’esecuzione del contratto- la riduzione dal 25% al 20% della percentuale relativa all’ammontare residuo dell’importo garantito non svincolabile fino al collaudo. Nei settori speciali (energia, acqua, trasporti, poste), la messa in esercizio delle opere prima del loro collaudo, se protratta per oltre 12 mesi, darà luogo allo svincolo automatico delle garanzie di buona esecuzione. A tutela della pubblica amministrazione rimane comunque una quota del 20% delle garanzie, che possono essere svincolate solo all’emissione del certificato di collaudo, ovvero alla scadenza del termine contrattuale per l’emissione dello stesso certificato.
Recupero del patrimonio edilizio esistente. Per incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, si prevede una politica di riduzione degli oneri di costruzione relativi a ristrutturazioni e recuperi edilizi, differenziando i contributi di costruzione rispetto alle nuove opere, così da rendere più vantaggioso il recupero e la ristrutturazione del patrimonio edilizio. In questo modo si favorisce un utilizzo virtuoso degli immobili esistenti, limitando il consumo del territorio (articolo ItaliaOggi del 31.10.2012).

LAVORI PUBBLICIGrandi opere, decolla la consultazione pubblica. Al Governo la delega per rivedere i codici degli appalti e dell'edilizia.
NORME ANTI-NIMBY/ Il débat public vuole aumentare il consenso sui progetti: ma alla regìa sarà il provveditore alle opere pubbliche, non figure terze.

Il Governo manda in Parlamento la proposta di istituzione della consultazione pubblica per le grandi opere. È il confronto istituzionalizzato sul territorio di derivazione francese, il débat public, che dovrebbe aiutare a ridurre i tempi di approvazione delle infrastrutture e contrastare l'effetto Nimby, cioè la ribellione delle popolazioni locali contro la realizzazione delle infrastrutture.
La norma è contenuta nel disegno di legge di riforma complessiva degli appalti che il Consiglio dei ministri ha approvato ieri. La disciplina della consultazione pubblica esce piuttosto stravolta dai vari confronti interni al Governo: era partita, nel testo originario, come confronto istituzionalizzato guidato da una commissione «neutra» rispetto agli interessi in campo, per dare spazio a un confronto preliminare ampio e aperto; ora a fare la regìa dell'intera consultazione viene chiamato il provveditore interregionale alle opere pubbliche. Anche la modifica dell'ultima ora riduce gli spazi del débat public all'italiana, precludendo la possibilità di presentare progetti alternativi.
Le opere su cui si potrà attivare la consultazione sono quelle indicate annualmente dal Def infrastrutture del Governo, ma la consultazione potrà essere attivata anche dal soggetto aggiudicatore, dal promotore, da un consiglio regionale, da un insieme di consigli comunali o provinciali rappresentativi di almeno 150mila abitanti o da 50mila cittadini residenti nei comuni interessati all'opera.
Quello varato ieri è un disegno di legge che ora va in Parlamento per un esame che appare piuttosto difficile da concludere nei tempi restanti della legislatura. Come per le semplificazioni, una riforma fondamentale rischia seriamente di restare in mezzo al guado alla fine della legislatura.
La norma più importante per i settori interessati è probabilmente la doppia delega per il riordino dei codici degli appalti e dell'edilizia: si tratta delle due leggi fondamentali rispettivamente sul fronte pubblico e privato e devono tener conto delle molte modifiche fatte negli ultimi mesi. Solo negli ultimi 15 mesi al codice dei contratti pubblici (o appalti) sono state introdotte 120 modifiche dai decreti legge e dalle leggi approvate in Parlamento. Un terremoto continuo che spiazza gli operatori e rende necessario un nuovo punto fermo sull'intera materia.
All'interno dei criteri di delega c'è un'altra delle novità rilevanti del disegno di legge, là dove per garantire «semplificazione delle procedure e creazioni di condizioni favorevoli per il partenariato pubblico-privato e la finanza di progetto» si esclude la possibilità di varare norme che producano una reformatio in pejus dei contratti rispetto alla disciplina vigente al momento della stipula.
Per il viceministro alle Infrastrutture, Mario Ciaccia, che della riforma è il padre, anche per le consultazioni a tutto campo avute in questi mesi con associazioni delle imprese, banche e fondazioni (tra cui Astrid, Italiadecide e Respublica hanno avuto un ruolo preminente), si tratta «del necessario completamento e consolidamento della disciplina».
Ciaccia, così come il ministro delle Infrastrutture, Corrado Passera, punta soprattutto al rafforzamento delle norme agevolative dei contratti di partenariato pubblico-privato.
Per aumentare la bancabilità dei progetti –e la finanziabilità dei progetti da parte del sistema bancario– viene introdotta la cosiddetta «consultazione preliminare» anche con le imprese prequalificate in gara, da tenersi prima del termine di presentazione delle offerte. In questo modo committenti e imprese potranno «verificare l'insussistenza di criticità del progetto posto a base di gara».
Il bando di gara potrà anche prevedere la risoluzione del rapporto in caso di mancata sottoscrizione del contratto di finanziamento, il cosiddetto closing finanziario, «o di adeguati impegni al versamento delle risorse entro un congruo termine dalla data di approvazione del progetto definitivo». Per capire quanto sia delicato questo aspetto, basti ricordare che grandi opere lombarde come Tem e Brebemi, per cui sono già stati avviati da tempo i cantieri, non hanno ancora raggiunto il closing finanziario.
Un altro aspetto della riforma è la maggiore facilità del subentro nel rapporto concessorio. Il Governo dà 120 giorni al soggetto finanziatore per individuare l'impresa subentrante nei lavori dopo la risoluzione per fatti imputabili al concessionario e si elimina il decreto ministeriale che avrebbe dovuto dettare «criteri e modalità» per individuare il subentrante (articolo Il Sole 24 Ore del 31.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZII crediti delle imprese. Slitta a oggi il via libera dell'esecutivo al decreto legislativo che recepisce la direttiva europea. Pa, dal primo gennaio pagamenti in 30-60 giorni.
L'IMPATTO IN AZIENDA/ Stessi termini anche per le imprese, ma ci sarà maggiore libertà contrattuale sull'entità degli interessi moratori e sulla soglia temporale.

Il governo prova a tener fede all'impegno di sciogliere, una volta per tutte, il nodo degli eterni tempi di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, oltre a quelli tra imprese.
Approda stamattina in consiglio dei ministri il decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue sui tempi massimi per saldare le fatture. Un Dlgs, arrivato già ieri sul tavolo di Palazzo Chigi ma poi slittato alla riunione "supplementare" di oggi, sul quale il via libera sembra scontato visto che sul testo, seguito da vicino dal ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero, c'è già il consenso dei tecnici degli altri ministeri.
I tre articoli della bozza di decreto –che riscrive il precedente Dlgs 231 del 2002– prevedono che dal 01.01.2013 la Pa dovrà pagare i suoi fornitori entro 30 giorni, con deroghe a 60 giorni in particolari casi. Un tetto a cui potranno arrivare anche i pagamenti tra imprese e che potrà essere superato per le loro transazioni commerciali nel caso ci sia accordo tra le parti. Il Dlgs, che non dovrà passare per i pareri del Parlamento, dovrebbe dunque rispettare la data stabilita dalla legge sullo statuto di impresa (la 180/2011) che oltre a prevedere la delega ad hoc per il Governo anticipa di quattro mesi –a metà novembre (invece che a metà marzo)– l'introduzione della direttiva Ue 2011/7.
Un'accelerazione, dunque, che sarà molto probabilmente rispettata anche se poi le nuove regole scatteranno per le transazioni commerciali che si concluderanno dal 01.01.2013 in poi. Un lasso di tempo, questo, –spiega la relazione illustrativa al decreto– necessario per dare tempo a tutti, Pa in primis, di adeguarsi anche per quanto riguarda la «modulistica contrattuale e le procedure interne di pagamento».
Quella dei ritardi nei pagamenti è da sempre un'emergenza, come sa bene anche l'Esecutivo, perché di fatto chiude i rubinetti togliendo liquidità alle imprese e alle Pmi costrette ad aspettare in media circa 180-190 giorni per essere pagate, con punte record al Sud dove si superano anche i 1.500 giorni. E le regole già in vigore –come quelle previste ad esempio per i lavori pubblici– finora non hanno sortito effetti. Da qui l'attesa per i nuovi paletti europei che, come detto, fissano a 30 giorni il termine ordinario che la Pa deve rispettare per pagare. Anche se ci saranno delle deroghe: in particolare per asl, ospedali e imprese pubbliche che possono portare a 60 giorni il termine massimo. Ma anche tutte le altre Pa potranno accedere a questa deroga nel caso "eccezionale" in cui l'eventuale proroga sia giustificata «dalla natura o dall'oggetto del contratto» oppure dalle «circostanze esistenti al momento della sua conclusione».
Per le amministrazioni pubbliche che non rispetteranno i tempi scatterà la "sanzione" degli interessi legali di mora. Che decorreranno automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine del pagamento senza che sia necessaria la costituzione in mora. Gli «interessi legali di mora» si calcoleranno prevedendo una maggiorazione di 8 punti percentuali sul tasso fissato dalla Banca centrale europea: in sostanza si aggireranno intorno alla soglia del 10 per cento.
Per le imprese invece ci sarà maggiore libertà contrattuale: oltre a concordare l'entità degli interessi moratori potranno decidere, pattuendolo per iscritto, anche di superare la soglia massima dei 60 giorni per pagare. Il decreto però prevede espressamente tutta una serie di paletti per escludere automaticamente clausole vessatorie che puntino ad aggirare i tempi massimi, il pagamento degli interessi e l'eventuale risarcimento per i costi che sono necessari per recuperare i crediti.
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I punti chiave
I PAGAMENTI DELLA PA - Saldo entro 30 giorni
   Il decreto legislativo prevede che dal 01.01.2013 la Pubblica amministrazione provveda al saldo dei pagamenti verso i suoi fornitori entro 30 giorni che scattano dal ricevimento della fattura o dal ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi. Oppure dall'accettazione o dalla verifica (se previsto) della conformità della merce o dei servizi alla previsioni contrattuali
LE DEROGHE - Le proroghe a 60 giorni
   Sono previste delle deroghe a 2 mesi per le imprese pubbliche e per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria. Anche le altre Pa potranno pagare a 60 giorni in casi eccezionali, e cioè quando l'eventuale proroga sia giustificata «dalla natura o dall'oggetto del contratto» oppure dalle «circostanze esistenti al momento della sua conclusione»
GLI INTERESSI DI MORA - Decorrenza automatica
   Gli interessi moratori decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine del pagamento senza che sia necessaria la costituzione in mora. Nel caso il debitore sia una Pa scattano gli «interessi legali di mora» con una maggiorazione di 8 punti percentuali al tasso fissato dalla Bce. Per i pagamenti tra imprese si potrà invece concordare un tasso
LE FATTURE TRA IMPRESE - Saldo tra 30 e 60 giorni
   Anche nelle transazioni commerciali tra le imprese è prevista la regola ordinaria dei 30 giorni per il pagamento che possono allungarsi fino a 60 giorni. Un tetto, questo, che può essere a sua volta superato nel caso sia stato pattuito espressamente tra le parti un termine di pagamento superiore. La clausola relativa al nuovo termine dovrà essere però provata per iscritto e non dovrà risultare «iniqua» per il creditore
NO A CLAUSOLE INIQUE - Tutti i casi di grave iniquità
   Prevista la nullità delle clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori e al risarcimento dei costi di recupero. Sono considerate ex lege gravemente inique le clausole che escludono il diritto al pagamento degli interessi di mora e quelle relative alla data di ricevimento della fattura, mentre si presumono gravemente inique quelle che escludono il risarcimento dei costi di recupero
I RISARCIMENTI - Rimborsi automatici dei costi
   Il creditore ha diritto anche al rimborso dei costi che ha sostenuto per il recupero delle somme che non sono state tempestivamente corrisposte. Al creditore spetta, infatti, senza che sia necessaria la costituzione in mora, un importo forfettario di almeno 40 euro (come soglia minima) a titolo di risarcimento del danno. È comunque fatta salva la prova del maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza per il recupero del credito (articolo Il Sole 24 Ore del 31.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 31.10.2012

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl dl varato dal governo elimina la norma dall'origine per evitare contenziosi. Prelievo sul tfr, tabula rasa. Estinti i processi per la restituzione del contributo.
Estinti i processi per la restituzione del contributo previdenziale obbligatorio del 2,5% sulla base contributiva dei dipendenti pubblici.
Il decreto legge approvato lo scorso venerdì dal governo per attuare la sentenza della Corte costituzionale 223/2012 non si limita ad azzerare la norma considerata incostituzionale, l'articolo 12, comma 10, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, ma incide anche sulle vertenze attivate, con l'intento di eliminare il contenzioso sorto nel frattempo.
L'estinzione dei processi potrà essere anche dichiarata d'ufficio dal giudice e in ogni caso le sentenze emesse resteranno prive di effetti.
La ragione della chiusura del contenzioso è semplice: il governo, col decreto legge, non si limita ad attuare le indicazioni della Consulta, ma azzera totalmente la norma «incriminata».
La sentenza 223/2010, a ben vedere, ha considerato l'articolo 12, comma 10, del dl 78/2010 incostituzionale non in quanto tale, ma poiché mentre fino al 31.12.2010 la normativa imponeva al datore di lavoro pubblico un accantonamento complessivo del 9,60% sull'80% della retribuzione lorda, con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50%, calcolato sempre sull'80% della retribuzione, l'articolo 12, comma 10, aveva imposto la trasformazione del trattamento di fine servizio in vero e proprio tfr.
La Consulta ha rilevato che la normativa antecedente all'articolo 12, comma 10, imponeva «un accantonamento determinato su una base di computo inferiore e, a fronte di un miglior trattamento di fine rapporto, esigeva la rivalsa sul dipendente, cioè il prelievo del 2,5%».
Il passaggio a una contribuzione del 6,91% operante sull'intera retribuzione, mantenendo detto prelievo, aveva comportato, spiega la Consulta, «una diminuzione della retribuzione e, nel contempo, la diminuzione della quantità del tfr maturata nel tempo», vulnerando gli articoli 3 e 36 della Costituzione, perché si era dettata una disciplina peggiorativa dei lavoratori pubblici rispetto ai privati, a parità di retribuzione.
Il decreto legge, dunque, elimina l'articolo 12, comma 10, dal primo gennaio 2011 (esattamente la stessa data della sua entrata in vigore) facendo tornare le cose com'erano prima.
Mancano, tuttavia, indicazioni ancora più strettamente operative. È evidente che le amministrazioni dovranno restituire le somme indebitamente trattenute ai dipendenti.
Sarebbe fondamentale, però, che Inps-Inpdap chiariscano velocissimamente come le amministrazioni dovranno agire ai fini dei versamenti successivi.
Essendo stata eliminata la disposizione che portava l'aliquota contributiva al 6,91%, dovrebbe tornare l'applicazione del precedente regime normativo.
Il decreto legge, in conseguenza della cancellazione dell'articolo 12, comma 10, dispone anche di riliquidare i trattamenti di fine servizio ai dipendenti che, nel frattempo, erano cessati, nel rispetto alla disciplina normativa antecedente. La riliquidazione deve avvenire entro un anno e, comunque, si stabilisce di non recuperare nei confronti dei dipendenti somme eventualmente erogate in eccedenza (articolo ItaliaOggi del 30.10.2012).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGODelibera civit. Il sindaco nomina i valutatori.
È il sindaco l'organo comunale competente a incaricare e nominare i componenti dell'organismo indipendente di valutazione (Oiv).

Il chiarimento alla questione (per la verità piuttosto scontato) proviene dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit), che si è espressa con la delibera 23.10.2012 n. 21.
Il dubbio espresso da non pochi comuni deriva dalla formulazione dell'articolo 14, comma 3, del dlgs 150/2009 ai sensi del quale l'Organismo indipendente di valutazione è nominato, sentita la Commissione di cui all'articolo 13, dall'organo di indirizzo politico–amministrativo: negli enti locali operano tre organi di tale natura (consiglio, giunta e sindaco o presidente della provincia), sicché potrebbero darsi problemi per individuare quello al quale correttamente attribuire la competenza. Esclusa la giunta, la quale altro non è se non un supporto collegiale alle funzioni del sindaco e non ha veri e propri compiti di indirizzo politico, l'incertezza potrebbe riguardare l'alternativa tra consigli e organi di vertice monocratici.
La Civit giunge alla conclusione che la competenza è del sindaco sulla base di osservazioni trancianti. In primo luogo, la commissione ricorda che esiste una norma già risolutiva della questione: l'articolo 4, comma 2, lettera g), della legge 15/2009 (la legge delega da cui è scaturito il dlgs 150/2009) dispone che «i sindaci e i presidenti delle province nominano i componenti dei nuclei di valutazione», che poi il dlgs ha disciplinato come «Organismi indipendenti di valutazione». Di per sé questo semplice rilievo sarebbe sufficiente per escludere la competenza di ogni altro soggetto.
La delibera 21/2012, comunque, ricorda che le competenze del consiglio comunale e provinciale sono fissate dall'articolo 42 del dlgs 267/2000 in modo tassativo. I consigli possono legittimamente esercitare esclusivamente le attribuzioni elencate espressamente nell'articolo 42 e nelle altre disposizioni di legge, contenute anche in altri articoli del Testo unico degli enti locali. Tutte le altre competenze, non rientranti nelle funzioni gestionali o nella sfera del sindaco, cadono nelle competenze della giunta (articolo ItaliaOggi del 30.10.2012).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIIn consiglio dei ministri sbarca il ddl delega sui contratti pubblici. Rotta sulle asseverazioni. Meno autorizzazioni nell'edilizia. Verso procedure semplificate sui lavori di trasformazione urbana.
Eliminare i provvedimenti autorizzatori per gli interventi di trasformazione urbanistico-edilizia e di conservazione; consultazione pubblica limitata alle grandi opere; eliminata la corrispondenza fra quote di partecipazione al raggruppamento temporaneo e quote dei lavori da svolgere.

Sono queste alcune delle norme proposte dal Governo nel disegno di legge in materia di infrastrutture, edilizia e trasporti che viene esaminato oggi dal consiglio dei ministri.
Per quel che attiene all'attività edilizia e urbanistica emerge con una certa chiarezza la scelta di semplificare sempre più gli oneri procedurali, eliminando il ricorso a provvedimenti autorizzatori per interventi di trasformazione urbanistico-edilizia e di conservazione. Alla luce di questa impostazione sarà dato inevitabilmente sempre maggiore spazio alle asseverazioni dei professionisti chiamati ad assumersi responsabilità e compiti sempre più delicati rispetto a interventi che, per loro natura, investono una pluralità di normative spesso complesse articolate di cui tenere conto.
Nel disegno di legge non mancano però le novità rispetto al testo che circolava la settimana scorsa (vedi Italia Oggi del 23 ottobre).
In primo luogo scompare del tutto il Comitato dei ministri per le infrastrutture strategiche che avrebbe dovuto coordinare, unificare e rafforzare le linee di azione del Governo per la realizzazione delle infrastrutture. Viene espunta anche la norma che avrebbe consentito la costituzione di un Fondo mobiliare chiuso per la valorizzazione dei beni pubblici mobiliari e per favorire la dismissione delle partecipazioni societarie al quale avrebbero dovuto collaborare anche Anci e Upi. Sparisce anche la norma di delega per l'ennesima revisione del Codice della strada, mentre rimangono confermate le deleghe per il «consolidamento» della normativa sui contratti pubblici e per la revisione del codice della navigazione e per i servizi di trasporto su autobus.
Vengono anche ritoccate le disposizioni in materia di concessioni di costruzione e gestione, per le quali già il testo della settimana scorsa prevedeva la possibilità di indire una consultazione preliminare per verificare eventuali criticità del progetto posto a base di gara di una procedura ristretta, sul modello di alcune prassi internazionali. In particolare i bandi per queste concessioni, che in precedenza era previsto fossero predisposti dall'Unità tecnica per la finanza di progetto, saranno invece messi a punto sulla base di modelli forniti dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, previo parere del ministero delle infrastrutture. In queste operazioni le banche dovranno dare la loro «manifestazione di interesse» (non più la «disponibilità») a finanziare l'operazione di project finance.
Il nuovo testo all'esame oggi prevede poi l'abrogazione del comma 13 dell'articolo 37 del Codice dei contratti pubblici, con il risultato che neanche per il settore dei lavori sarà più applicabile il principio di corrispondenza fra quote di partecipazione nei raggruppamenti temporanei di imprese e quota dei lavori svolti (corrispondenza che da agosto non esisteva più per il settore dei servizi e delle forniture). La nuova bozza prevede quindi che i lavori possano essere svolti anche in percentuali diverse da quelle indicate nella partecipazione al raggruppamento.
Un'altra significativa modifica riguarda la consultazione pubblica (débat public) per la realizzazione di opere di rilevante impatto ambientale, sociale ed economico che non sarà più affidata a una «apposita Commissione» bensì sarà gestita dal Provveditore interregionale per le opere pubbliche competente per territorio, in coordinamento con il prefetto.
Il nuovo testo elimina anche la possibilità di indire commissioni per consultazioni pubbliche su opere di «interesse locale» su proposta di regioni, province o enti locali. Confermate le disposizioni in materia di svincolo cauzioni per opere in esercizio da almeno un anno ma non ancora collaudate e l'innalzamento all'80% della quota svincolabile (articolo ItaliaOggi del 30.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl governo ha sanato il prelievo sanzionato dalla Consulta. Trattenuta del 2,5% sulle paghe, ora è legittima.
Al personale della scuola, come a tutti i lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il trattamento di fine servizio (buonuscita) continuerà ad essere liquidato secondo le norme previste dal decreto 1032/1973 (l'80 per cento dello stipendio in godimento comprensivo della indennità integrativa speciale e della quota di tredicesima mensilità da moltiplicare per il numero degli anni utili ai fini della buonuscita) e non secondo quanto stabiliva il comma 10 dell'articolo 12 del decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122.

La legge citata prevedeva, con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 01.01.2011, che il computo dei trattamento di fine servizio fosse effettuato secondo le regole di cui all'articolo 2120 del codice civile, con l'applicazione dell'aliquota del 6,91 per cento a carico della sola amministrazione e nessun onere per il dipendente.
Il governo ha infatti abrogato, con un decreto legge approvato nella seduta dello scorso 26 ottobre, la disposizione contenuta nel comma 10. Per effetto di tale abrogazione e del conseguente ripristino delle disposizioni di cui al decreto 1032/1973 rimane in vigore e riacquista legittimità la ritenuta mensile del 2,50 per cento sull'80 per cento della retribuzione utile ai fini del calcolo della buonuscita, ritenuta che, a seconda della qualifica del personale della scuola (dirigente, docente o personale amministrativo, tecnico e ausiliario) e dell'anzianità posseduta è compresa indicativamente tra i 30 e i 50 euro al mese.
Il governo insomma ha sanato il prelievo che la consulta aveva dichiarato illegittimo. Con riferimento ai processi pendenti aventi ad oggetto la restituzione del predetto contributo previdenziale, il decreto legge precisa che si estingueranno di diritto. L'estinzione sarà dichiarata con decreto, anche d'ufficio. Le sentenze eventualmente emesse che hanno accolto le richieste di restituzione della ritenuta del 2,50 per cento, operata sugli stipendi mensili a decorrere dal 01.01.2011, resteranno quindi prive di effetti, fatta eccezione per quelle passate in giudicato.
Quanto infine ai trattamenti di fine servizio(buonuscita), liquidati prima dell'entrata in vigore del nuovo decreto legge secondo le norme del Tfr, dovranno essere riliquidati d'ufficio secondo le norme di cui al citato decreto 1032/1973. Non si provvederà, invece, al recupero a carico del dipendente di eventuali somme già erogate in eccedenza, in conseguenza dell'applicazione delle norme che regolano il trattamento di fine rapporto, trattamento che in casi particolari può essere stato più favorevole rispetto a quello del trattamento di fine servizio.
Questo in sintesi il contenuto del decreto legge che il Governo è stato costretto ad approvare in seguito alla dichiarazione di illegittimità costituzionale del citato comma 10 contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012 e anche, presumibilmente, al fine di impedire la inevitabile restituzione delle somme trattenute a decorrere dal 01.01.2011. Spetterà ora ai deputati e ai senatori trasformarlo in legge dello Stato entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (articolo ItaliaOggi del 30.10.2012).

APPALTI: Appalti, basta l'autocertificazione. Ok alla dichiarazione sostitutiva sulla responsabilità solidale.  Lo ha chiarito l'Agenzia delle entrate nella circolare n. 40. Sanzioni fino a 200 mila euro.
Nuove responsabilità per committenti e appaltatori. Il regime di solidarietà introdotto dal dl 223/2006, modificato dall'art. 13-ter del dl 83/2012 (decreto sviluppo), ha dettato ulteriori regole in materia di responsabilità fiscale nell'ambito dei contratti di appalto e subappalto di opere e servizi.
A decorrere dai contratti stipulati il 12.08.2012, è stato introdotto il principio della responsabilità dell'appaltatore e del committente per il versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto.
La responsabilità viene meno laddove l'appaltatore/committente acquisisca la documentazione attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore/appaltatore.
In assenza della documentazione il committente (verso l'appaltatore) e l'appaltatore (verso il subappaltatore) devono sospendere il pagamento dei corrispettivi.
L'attuale normativa ammette che la documentazione possa consistere in una asseverazione rilasciata da Caf o da professionisti abilitati oppure, come recentemente affermato dalla circolare 08.10.2012 n. 40/E dell'Agenzia delle entrate, anche nell'autocertificazione dell'impresa. In caso di violazione della norma scattano le sanzioni che possono variare da un minimo di 5 mila a un massimo di 200 mila euro.
La normativa. Il comma 28 dell'art. 35 del dl 223/2006 è stato integralmente sostituito dall'art. 13-ter del dl 83/2012 convertito. Sulla materia è intervenuta la circolare 08.10.2012 n. 40/E dell'Agenzia delle entrate, che ha precisato che gli adempimenti da porre in essere per evitare la corresponsabilità negli appalti si riferiscono ai pagamenti effettuati a partire dall'11 ottobre, in relazione ai contratti di appalto o subappalto stipulati a decorrere dal 12.08.2012.
L'adempimento al quale gli appaltatori devono fare riferimento è la verifica del corretto versamento all'Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva dovuta dal subappaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di subappalto.
In mancanza di tale controllo, l'appaltatore diviene solidalmente responsabile con il subappaltatore, nei limiti del corrispettivo dovuto, per i versamenti omessi. Inoltre in mancanza della documentazione attestante la correttezza dei versamenti dell'Iva e delle ritenute dell'appaltatore e del subappaltatore, il committente, pur non essendo corresponsabile, viene sanzionato, in caso di omissione del versamento, con una sanzione amministrativa pecuniaria da 5 mila a 200 mila euro.
I soggetti interessati. L'ambito di applicazione della nuova disposizione è ampio e abbraccia tutti i settori. La disciplina infatti si applica alle obbligazioni nascenti dai contratti di appalto e subappalto, di opere, forniture e servizi, stipulati da soggetti nell'ambito di attività rilevanti ai fini dell'Iva e, in ogni caso, dai soggetti indicati agli artt. 73 e 74 del dpr n. 917/1986 («Testo unico delle imposte sui redditi»). Rientrano pertanto nella disciplina, ad esempio, i contratti aventi a oggetto la costruzione di immobili e di impianti particolari, ma anche quelli aventi a oggetto la pulizia periodica di uffici e fabbriche.
Sono espressamente escluse dall'applicazione della disposizione le (sole) stazioni appaltanti, di cui all'art. 3, comma 33, del dlgs n. 163/2006 («Codice degli appalti pubblici»).
Le attestazioni. Il subappaltatore e l'appaltatore possono attestare l'avvenuto adempimento degli obblighi fiscali anche attraverso l'asseverazione rilasciata dai dottori commercialisti, consulenti del lavoro, responsabili dei Caf-imprese. La circ. 40/2012 ha inoltre introdotto la possibilità di rilasciare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio (dpr 445/2000), con cui l'appaltatore/subappaltatore attesta l'avvenuto adempimento degli obblighi richiesti dalla disposizione.
Il contenuto delle attestazioni. Per quanto riguarda la dichiarazione sostitutiva (o l'attestazione da parte del professionista o del Caf), tale documento deve contenere l'indicazione:
- del periodo nel quale l'Iva relativa alle fatture concernenti i lavori eseguiti è stata liquidata, specificando se dalla liquidazione è scaturito un versamento di imposta, ovvero se in relazione alle fatture oggetto del contratto è stato applicato il regime dell'Iva per cassa oppure la disciplina del reverse charge;
- del periodo nel quale le ritenute sui redditi di lavoro dipendente sono state versate, mediante scomputo totale o parziale; degli estremi del modello F24 con il quale i versamenti dell'Iva e delle ritenute non scomputate, totalmente o parzialmente, sono stati effettuati;
- dell'affermazione che l'Iva e le ritenute versate includono quelle riferibili al contratto di appalto/subappalto per il quale la dichiarazione viene resa.
I termini per i versamenti erariali. La circ. 40 ha precisato che nell'autocertificazione deve essere indicato «il periodo nel quale l'Iva relativa alle fatture concernenti i lavori eseguiti è stata liquidata» e «il periodo nel quale le ritenute sui redditi di lavoro dipendente sono state versate», dando per certo che i versamenti debbano già essere avvenuti alla data della liquidazione del corrispettivo.
È indubbio che in assenza di correttivi futuri, se la direttiva verrà applicata in base all'attuale versione, molte imprese non potranno mai rispettare tali adempimenti, dovendo incassare il corrispettivo per poter fare fronte agli obblighi fiscali (articolo ItaliaOggi Sette del 29.10.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATABurocrazia verde in versione light. Alleggerimenti per la gestione di rifiuti e procedure Via e Aia. Dai siti inquinanti alle terre da scavo: le misure del ddl semplificazioni in materia di ambiente.
Nuovi alleggerimenti per la gestione di materiali da scavo e rifiuti agricoli, rimodulazione del confine tra acque e rifiuti, autorizzazione alla bonifica dei siti inquinati in «silenzio-assenso», velocizzazione delle procedure «Via» e «Aia». Promette di intervenire su tutte le principali tematiche ambientali il disegno di legge in materia di semplificazione (meglio noto come «Semplificazioni-bis») licenziato lo scorso 16.10.2012 dal governo e ora all'esame del parlamento.
«Materiali di riporto». La prima delle novità in materia di gestione di terre e rocce da scavo riguarda la riformulazione della nozione di «materiali di riporto» contenuta nel dl 2/2012, ossia dei materiali paragonati dallo stesso decreto legge al suolo dal punto di vista della gestione ambientale.
Pur conservando la definizione base dell'articolo 3 del dl 2/2012 che li individua «quali materiali eterogenei (...) utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche (...) al terreno (...) all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei» il ddl in itinere interviene su diversi aspetti nodali della loro gestione modificando direttamente il citato dl 2/2012. In primo luogo il «Semplificazioni-bis» rende autonoma la definizione generale di «materiali di riporto» eliminando ogni rinvio al dm ambiente 161/2012 (il nuovo provvedimento sull'utilizzo delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti, che appare dunque entrare in gioco solo nel caso di gestione di detti materiali in deroga al regime ordinario sui rifiuti).
Ancora, il ddl in esame specifica a monte il novero dei materiali «estranei» che identificano i «materiali di riporto» come tali, individuandoli come residui di lavorazione industriale e residui generali, e indicandoli (a titolo esemplificativo) quali materiali di demolizione, litoidi, pietrisco tolto d'opera, conglomerati bituminosi e non, scorie spente, loppe di fonderia, detriti e fanghi di lavorazione e lavaggio di inerti. Lo stesso ddl prevede l'obbligo, in caso di potenziale contaminazione del suolo contenente «materiali di riporto» di procedere alla sua caratterizzazione con le modalità previste dall'allegato V al dlgs 152/2006 e, in caso di superamento di determinate concentrazioni, di effettuare ulteriori approfondimento mediante test di cessione.
Le novità previste dal ddl governativo si innestano nel restyling normativo sulla gestione delle terre e rocce da scavo avviato dal citato dl 2/2012 (mediante la parificazione dei «materiali di riporto» al suolo) e portato avanti dal dm ambiente 161/2012 (che dallo scorso 6 ottobre costituisce la nuova disciplina di riferimento per la gestione delle stesse come sottoprodotti in sostituzione delle regole ex articolo 186 del «Codice ambientale»). In base all'attuale e vigente disciplina, è utile ricordarlo, il suolo «non scavato» (contaminato o meno, salvo gli obblighi di bonifica e anche se contenente i citati «materiali di riporto» ex dl 2/2012) non rientra nel campo di applicazione delle norme sui rifiuti, quello «scavato» è invece suscettibile di diversa valutazione.
In particolare, il suolo scavato contaminato deve essere gestito come rifiuto; quello scavato non contaminato può essere considerato non rifiuto, rifiuto o sottoprodotto. Precisamente, non è rifiuto se è riutilizzato in attività di costruzione nello stesso sito. È invece rifiuto (salvo riabilitazione all'esito del successivo recupero) se il detentore decide a monte di «disfarsene» o se, pur volendolo avviare a reimpiego in sito diverso da quello di origine, non rispetta i parametri per i sottoprodotti dettati dal dm 161/2012. È, infine, sottoprodotto se reimpiegabile (e poi realmente reimpiegato) in altro sito nell'osservanza delle condizioni dettate dal citato dm 161/2012.
Gestione «semplificata» delle terre da piccoli cantieri. Nell'ambito del descritto quadro normativo si inserisce l'altra novità prevista dal ddl «Semplificazioni-bis», ossia l'insieme delle regole che permette di gestire sempre come sottoprodotti, ma con ulteriori semplificazioni, i materiali da scavo provenienti da cantieri la cui produzione non superi in totale i 6 mila metri cubi di materiale. Per gestire tali materiali come sottoprodotti in deroga al dm 161/2012 (ma salva l'osservanza delle regole generali dettate dall'articolo 184-bis del dlgs 152/2006) i relativi produttori dovranno dimostrare (anche mediante autodichiarazione alla provincia competente): che la destinazione all'utilizzo sia certa e diretta in un determinato sito o ciclo produttivo; che i materiali derivanti dallo scavo non superano le concentrazioni soglia di contaminazione (ex colonne «A» e «B», tabella 1, allegato 5 al Titolo V, Parte IV del Codice ambientale); che l'utilizzo non comporta rischi per la salute né variazioni di emissioni rispetto al normale utilizzo di materie prime.
Il deposito dei materiali destinati al riutilizzo non dovrà però superare un anno e l'avvenuta reimmissione nel ciclo produttivo dovrà esser comunicata alla provincia. Ancora, il trasporto dovrà esser accompagnato dal relativo documento, dalla copia del contratto di trasporto o dalla scheda prevista dal dlgs 286/2005 (autotrasporto per conto terzi). Nella logica del «Semplificazioni-bis» tali regole costituiscono attuazione dell'articolo 266, comma 7 del dlgs 152/2006 che prevede la facoltà per il legislatore (individuato dall'articolo in parola nel Minambiente, ma ora sostituito dal consiglio dei ministri) di stabilire deroghe al regime dei rifiuti per i materiali dai suddetti cantieri di piccole dimensioni. A tal proposito è altresì utile ricordare che il Minambiente aveva già dato attuazione al dettato del «Codice ambientale» mediante dm 02.05.2006, decreto poi dichiararlo in autotutela privo di ogni effetto per un difetto di registrazione presso la Corte dei conti.
Gestione acque. Il confine tra regime delle acque e quello dei rifiuti viene dal «Semplificazioni-bis» rivisitato mediante un intervento sulla gestione delle acque sotterranee emunte, ossia delle acque di falda estratte nell'ambito di interventi di bonifica. Il ddl chiarisce, attraverso la riformulazione del dlgs 152/2006, che sono assimilate alle acque reflue industriali (e dunque sottoposte al relativo regime delle «acque» previsto dalla parte III del dlgs 152/2006) le acque sotterranee emunte e convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo delle stesse con il punto di immissione (previa depurazione) nel corpo ricettore. Ragionando a contrario la disposizione appare dunque ricondurre al regime dei rifiuti (liquidi) le sole acque emunte non convogliate direttamente tramite tubatura dal prelievo al corpo ricettore.
Bonifica siti inquinati. In base al «Semplificazioni-bis» (che sul punto prevede la modifica diretta del dlgs 152/2006) l'operatore interessato all'intervento può iniziare la bonifica trascorsi 90 giorni dalla presentazione del progetto completo di «crono programma» all'Amministrazione competente ove nello stesso termine non sia intervenuto il rigetto dell'istanza. Ancora, ultimati gli interventi, effettuata la caratterizzazione e comunicata la stessa all'Agenzia ambientale regionale e all'Autorità competente di cui sopra, l'operatore potrà autocertificare l'avvenuta bonifica se entro 45 giorni da detta comunicazione non interviene atto amministrativo contrario.
Dandone successiva comunicazione alla stessa Amministrazione competente l'operatore acquisirà altresì la disponibilità dell'area per gli usi legittimi. Altra novità è la limitazione ai soli siti industriali dello strumento di «messa in sicurezza operativa», riservando agli altri siti (come i residenziali, commerciali e verdi) le meno grevi procedure previste dal titolo V del dlgs 152/2006 (articolo ItaliaOggi Sette del 29.10.2012).

CONDOMINIOImmobili. Difettosa realizzazione delle parti comuni. Danni da infiltrazioni, risponde il condominio.
LA DECISIONE/ Si tratta di responsabilità del custode che deve eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria.

Se i danni lamentati dal singolo condomino sui beni di proprietà esclusiva derivano da difettosa realizzazione delle parti comuni dell'edificio, nei confronti del condomino è responsabile –in via autonoma in base all'articolo 2051 del Codice civile– il condominio. Quest'ultimo, infatti, come custode, deve eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria.
Lo ha ribadito la II Sez. civile della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 17268/2012, ha affrontato il caso di due coniugi che, per le infiltrazioni d'acqua nella loro cantina, avevano chiesto al tribunale la condanna del condominio a eseguire le opere necessarie per eliminare gli inconvenienti e a risarcire i danni.
La domanda del condomino, respinta dal tribunale, è stata invece accolta dalla Corte d'appello, che ha condannato il condominio a eseguire le opere descritte nella consulenza tecnica d'ufficio. La Corte ha infatti evidenziato che, pur avendo la Ctu appurato che a generare il danno erano stati i vizi di progettazione e di esecuzione imputabili al costruttore, doveva comunque essere ravvisata la responsabilità del condominio in base all'articolo 2051 del Codice civile: il danno era stato causato non da un comportamento del custode, ma dalla cosa in custodia; e la responsabilità era superabile solo dalla prova liberatoria del superamento della presunzione di colpa o del caso fortuito.
La Cassazione, a sua volta, nel respingere il ricorso del condominio, ha precisato che se il fenomeno dannoso lamentato dal singolo condomino sui beni di proprietà esclusiva è originato da difettosa realizzazione delle parti comuni dell'edificio (nella specie precaria situazione della muratura perimetrale adiacente il giardino condominiale e dei pozzetti), nei confronti di questi è responsabile, in via autonoma, il condominio, che è tenuto, quale custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria.
Non si tratta di una responsabilità a titolo derivativo: il condominio, pur successore a titolo particolare del costruttore-venditore, non subentra nella sua personale responsabilità, legata alla sua attività e fondata sull'articolo 1669 del Codice civile. Ma si tratta di autonoma fonte di responsabilità in base all'articolo 2051 del Codice civile, che non preclude, però, al condominio la possibilità di agire nei confronti della società costruttrice in base all'articolo 1669 del Codice civile se sussistano i presupposti (articolo Il Sole 24 Ore del 29.10.2012).

aggiornamento al 29.10.2012

PUBBLICO IMPIEGOCONSIGLIO DEI MINISTRI/ Un decreto legge dà attuazione alla sentenza della Consulta. Dipendenti pubblici, Tfr al 100%. Stop al prelievo forzoso del 2,50% sull'80% delle somme.
Ripristinato il trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici. Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri un decreto legge che, in attuazione della recente sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012, ripristina la disciplina del trattamento di fine servizio nei riguardi del personale interessato dalla pronuncia.
Per quanto riguarda le altre parti della sentenza della Consulta, il Consiglio ha stabilito che si procederà in via amministrativa attraverso un dpcm ai sensi della legislazione vigente.
La Consulta, con la pronuncia citata, ha azzerato gli effetti della legge 122/2010 intervenendo su due punti.
In primo luogo ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il prelievo del 2,5% sull'80% della retribuzione fissato dall'articolo 12, comma 10, nella parte in cui non era stata esclusa l'applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,5% della base contributiva. Una disposizione che aveva, in sostanza, modificato i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, scaricando su di questo oneri tipici del primo.
Sul piano finanziario, l'annullamento della norma dichiarata costituzionalmente illegittima vale circa 3,8 miliardi di euro, che dovranno essere restituiti al personale pubblico, a carico delle casse dell'Inpdap.
Il decreto legge si è reso necessario sia per attuare le indicazioni della Consulta, sia, soprattutto per uniformare i comportamenti delle amministrazioni, che si sono trovate disorientate su come operare e sono fin qui andate in ordine sparso, anche perché i singoli dipendenti stanno richiedendo ciascuno la restituzione delle trattenute.
Il Consiglio dei ministri, col decreto legge, agisce sull'articolo 9, comma 10, della legge 122/2010, dichiarato costituzionalmente illegittimo, allo scopo di cancellarlo definitivamente.
La sentenza 223/2012 della Corte costituzionale ha inoltre dichiarato l'illegittimità costituzionale del «contributo di solidarietà» posto a carico dei dirigenti pubblici e del blocco degli incrementi stipendiali dei magistrati.
L'articolo 9, comma 2, della legge 122/2012, dichiarato incostituzionale, aveva posto a carico degli stipendi dei dirigenti pubblici un prelievo del 5% sui redditi superiori ai 90 mila euro; prelievo che andava al 10% per i redditi superiori ai 150 mila euro.
Per quanto riguarda i magistrati, a saltare è il blocco dell'avanzamento stipendiale automatico, blocco considerato incompatibile con l'indipendenza della magistratura.
Per questo secondo aspetto, non parrebbe necessario un intervento di natura normativa. In effetti, la sentenza della Corte costituzionale produce automaticamente l'effetto di ripristinare lo stato antecedente alla norma dichiarata illegittima. Infatti, le sentenze che dichiarano l'illegittimità costituzionale delle norme hanno efficacia retroattiva, in modo da eliminare dall'ordinamento giuridico sin dall'inizio una norma contrastante con l'ordinamento stesso.
Il Consiglio dei ministri come detto ha comunque deciso di dare corso all'attuazione delle ricadute della pronuncia della Consulta per via amministrativa, mediante un decreto del presidente del Consiglio dei ministri.
Anche in questo caso lo scopo è fornire alle amministrazioni un sistema univoco per fare fronte alle richieste di restituzione degli arretrati, che intanto i singoli dipendenti stanno muovendo alle amministrazioni (articolo ItaliaOggi del 27.10.2012).

PUBBLICO IMPIEGOLa Polizia anticipa i tempi, trattenuta addio.
Già nel prossimo stipendio di novembre, il personale della Polizia di stato non troverà più la trattenuta del 2,5% sull'80% della retribuzione, oggetto della dichiarata illegittimità da parte della Corte costituzionale con la recente sentenza n. 223/2012. Sul versante opposto, però, si registra il grido d'allarme lanciato dall'Associazione nazionale dei comuni italiani sugli effetti di tale pronuncia, in quanto potrebbe avere effetti devastanti sui bilanci dei comuni che rischierebbero seriamente il dissesto finanziario. Preoccupazioni che hanno portato il presidente Anci, Graziano Delrio, a inviare una lettera al ministro dell'economia, Vittorio Grilli, chiedendo un parere in merito alle determinazioni da assumere.
Gli effetti della citata decisione della Consulta (si veda ItaliaOggi del 12 e 16.10.2012), come si vede, stanno lasciando lo spazio a non pochi strascichi. Ma andiamo con ordine.
La prima amministrazione centrale che si adegua alla decisione della Consulta è senza dubbio il Dipartimento della sicurezza del ministero dell'interno che, con la circolare 24.10.2012 n. 333 di prot., ha informato il personale amministrato che sul trattamento stipendiale di novembre non sarà più operata la trattenuta dichiarata illegittima dalla Consulta, oltre a non effettuare più le decurtazioni della trattenuta nella misura del 5 o 10%, sui trattamenti economici complessivi superiori, rispettivamente, a 90 mila e 150 mila euro (anche queste oggetto della bocciatura della Consulta nella stessa sentenza).
Quindi, oltre a rendere più «pesante» la paga del personale della Polizia di stato dal prossimo mese, il Viminale rassicura anche sulla corresponsione delle illegittime trattenute sino ad oggi operate. Infatti, si legge nella circolare, non appena perverranno le assegnazioni finanziarie e le relative istruzioni da parte del Mineconomia, sarà cura del dicastero retto da Annamaria Cancellieri provvedere alla restituzione degli importi per il periodo gennaio 2011-ottobre 2012.
Ma è proprio sotto il profilo della restituzione che si registra la preoccupazione dei vertici Anci. Una lettera inviata nei giorni scorsi dal presidente dell'Associazione dei comuni, Graziano Delrio, al titolare di via XX Settembre, Vittorio Grilli, evidenzia il fatto che sia indiscutibile che «gli effetti di tale pronuncia hanno un impatto fortissimo sui bilanci dei comuni».
Delrio quantifica in 200 milioni di euro l'esborso complessivo cui saranno chiamate le amministrazioni comunali nei confronti dei propri dipendenti. Una somma considerevole, si legge, che rischia di portare al dissesto i piccoli comuni e la cui restituzione, a ben vedere, «si scontra con i limiti oggi vigenti in materia di spese di personale e con quelli relativi al Patto di stabilità». La lettera, pertanto, si conclude con l'espresso invito a «volersi esprimere in merito alle conseguenti determinazioni da assumere, data la rilevanza della situazione e i profili di responsabilità ad essa connessi» (articolo ItaliaOggi del 27.10.2012).

PUBBLICO IMPIEGOLiquidazione statali, ritorno al passato Il Governo si allinea alla Consulta e rispolvera il Tfs - Gli arretrati arriveranno con un Dpcm.
CONTRIBUTO DI SOLIDARIETÀ/ Restituzione anche per la «tassa» sulle retribuzioni superiori a 90mila euro, pure dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale.

Per le liquidazioni dei dipendenti pubblici il Governo torna all'antico e rispolvera il «trattamento di fine servizio». È quanto prevede il decreto legge approvato ieri a Palazzo Chigi per dare piena attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale (n. 223/2012) che ha dichiarato incostituzionale sia il prelievo contributivo del 2,5% sul Tfr dei dipendenti pubblici, sia il contributo di solidarietà del 5 e del 10% sulla parte di retribuzione che eccede, rispettivamente, i 90 e i 150mila euro lordi annui.
A introdurre le misure che la Consulta ha bocciato era stato il decreto 78 del 2010 quando a Palazzo Chigi c'era Silvio Berlusconi e a via Venti settembre Giulio Tremonti. Ma il compito di correre ai ripari è toccato al Governo Monti. Per gestire gli effetti della sentenza, il Consiglio dei ministri di ieri ha deciso di imboccare due strade distinte. Per l'abolizione della trattenuta del 2,5% sulle liquidazioni è stato utilizzato il decreto legge. Per la ripresa delle trattenute e le restituzioni delle somme indebitamente prelevate ai dipendenti si procederà in via amministrativa con un decreto del presidente del Consiglio (Dpcm). E questo facendo leva sulla legislazione vigente, applicando una sorta di clausola di salvaguardia secondo cui, se in determinate circostanze dovessero venire meno le entrate della manovra (da leggere anche con possibile pronunce giurisdizionali), il Governo può procedere con un taglio lineare sulle spese delle pubbliche amministrazioni. Al Dpcm sarà demandata anche la definizione delle modalità operative di erogazione dei rimborsi dovuti.
La partita più delicata resta comunque quella relative alle liquidazioni dei dipendenti pubblici. Il decreto legge di un solo articolo, inviato al Capo dello Stato, prevede che l'articolo 12, comma 10, del Dl anticrisi del 2010 venga abrogato a decorrere dal 01.01.2011. Per salvaguardare la tenuta dei conti pubblici, lo stesso testo prevede il ritorno al trattamento di fine servizio (Tfs) che –in virtù della quota trattenuta direttamente sul dipendente– per il datore di lavoro (pubbliche amministrazioni centrali e locali) è meno oneroso rispetto al trattamento di fine rapporto.
Sempre secondo il decreto legge approvato ieri gli oneri che dovrà sostenere lo Stato per la riliquidazione dei "Tfs" ammontano a 21 milioni complessivi per il 2012 (1 milione), 2103 (7 milioni) e 2014 (13 milioni), e in 20 milioni a decorrere dal 2015.
Per le riliquidazioni dei trattamenti di fine servizio il Governo si dà ora un anno di tempo. Infatti viene previsto che i Tfs «comunque denominati», che sono stati liquidati prima dell'entrata in vigore del nuovo Dl secondo quando prevedeva il decreto 78, saranno riliquidati d'ufficio entro un anno dall'entrata in vigore del decreto legge approvato ieri. Si applicheranno cioè le regole in vigore prima della stretta sugli statali introdotta dal Governo Berlusconi. E, comunque sia, la rideterminazione delle liquidazioni spettanti non potrà dare luogo ad alcun recupero delle somme erogate in precedenza nei confronti del dipendente.
Per quanto riguarda, infine, le cause pendenti avviate dai dipendenti pubblici per ottenere la restituzione del contributo previdenziale obbligatorio del 2,5%, il provvedimento messo a punto dall'Esecutivo ne dispone l'estinzione di diritto. Un'estinzione che potrà essere dichiarata anche d'ufficio. Al tempo stesso vengono sterilizzati del tutto gli effetti di eventuali sentenze già emesse, fatta eccezione per quelle nel frattempo passate in giudicato (articolo Il Sole 24 Ore del 27.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOPer i dipendenti la busta paga sale di oltre 300 euro.
IL PASSO SUCCESSIVO/ Per la restituzione del maxi-arretrato del 2011 e 2012 si dovrà aspettare il Dpcm annunciato sempre ieri dal Governo.

Il decreto legge lampo varato ieri dal Governo comincia a fare ordine nel polverone degli stipendi pubblici sollevato dalla bocciatura inferta dalla Consulta ai pilastri dell'austerità in busta paga innalzati dalla manovra estiva del 2010. Il trattamento economico, in sostanza, dovrebbe tornare in formula piena a partire dal prossimo mese, senza più la trattenuta del 2,5% relativa al Tfr dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale.
Questo primo tassello risolve soprattutto i problemi ai responsabili degli uffici paghe, disorientati dopo che la sentenza costituzionale aveva tolto base normativa alla trattenuta: per disciplinare il nodo vero, cioè quello relativo alla restituzione del maxi-arretrato accumulato con le trattenute del 2011 e 2012, bisognerà aspettare il Dpcm annunciato sempre ieri dal Governo per affrontare «le altre parti della sentenza della Consulta».
L'intervento riporta dunque gli stipendi dei dipendenti pubblici ai livelli pre-trattenuta. Le somme recuperate sono a conti fatti più interessanti di un rinnovo contrattuale: per un impiegato di un ente locale si tratta di 307 euro netti all'anno, mentre per un dirigente si arriva a mille euro. Il beneficio è naturalmente proporzionale ai livelli stipendiali dell'interessato, e di conseguenza cresce nell'amministrazione centrale dove gli stipendi sono un po' più alti: un funzionario si attende il ritorno di quasi 340 euro all'anno se lavora nei ministeri e di quasi 370 se il suo ufficio è in un ente pubblico non economico (Inps, Aci e così via), per un dirigente di seconda fascia la partita vale circa 690 euro all'anno mentre chi occupa i vertici della scala gerarchica può contare su quasi 1.050 euro in più.
L'arretrato da restituire, invece, ammonta a due volte abbondanti le cifre annue appena citate; questo perché nel 2011 il Tfr era soggetto a tassazione separata, più leggera di quella ordinaria, e di conseguenza la somma relativa al 2011 di cui gli interessati attendono il ritorno è più alta del «netto in busta» del 2012. La partita degli arretrati, però, mette a dura prova i bilanci degli enti pubblici, e in particolare quelli dei piccoli Comuni dove la partita può mandare in crisi i conti. Giovedì lo stesso presidente dell'Anci Graziano Delrio ha parlato espressamente di «rischio dissesto» nei Comuni più piccoli, chiedendo al Governo di studiare modalità applicative in grado di garantire i diritti dei dipendenti interessati senza mettere a rischio gli equilibri dei conti. Un rompicapo, ma non è l'unico.
Le «altre parti della sentenza» citate dal comunicato stampa del Governo riguardano anche la restituzione del contributo di solidarietà che ha tagliato del 5% le quote di stipendio superiore a 90mila euro e del 10% quelle sopra i 150mila. La platea interessata è in questo caso molto più piccola, composta dalle 26mila persone (divise a metà fra Stato ed enti territoriali). Il problema, però, non è la copertura finanziaria (29 milioni di euro all'anno): la trattenuta riduceva il reddito degli interessati, per cui la sua restituzione impone di ricostruire il vecchio imponibile Irpef e chiedere le quote d'imposta che non sono state pagate a causa della tagliola. Una ricostruzione della storia fiscale recente da attuare caso per caso, senza dimenticare gli effetti sulle addizionali regionali e locali (articolo ItaliaOggi del 27.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI comuni devono convenzionarsi col Mef per pagare gli stipendi.
Anche i comuni sono soggetti all'obbligo di convenzionarsi con il Mef per la gestione degli stipendi ovvero, in alternativa, di utilizzare i parametri di qualità e di prezzo da esso stabiliti per l'acquisizione dei medesimi servizi sul mercato di riferimento.
Con la nota 12.10.2012, infatti, Via XX Settembre, rispondendo a una richiesta dell'Anci, ha confermato che l'art. 5, comma 10, del dl 95/2012 si applica anche agli enti locali. La formulazione della norma, in effetti, non è chiarissima: essa rinvia ad altre precedenti disposizioni (art. 1, comma 447, della legge 296/2006 e art. 2, comma 197, della legge 191/2009) che riguardavano le sole amministrazioni statali.
Il Mef, tuttavia, ha ritenuto che «sotto il profilo soggettivo, i comuni sono sottoposti alla disciplina in quanto inclusi tra le pubbliche amministrazioni (art. 1, comma 2, del dlgs 165/2001), diverse da quelle statali già obbligate dalla previgente normativa». La nota ha anche chiarito che lo schema di convenzione per ora reso disponibile costituisce «uno standard, da adattare e utilizzare in relazione alle specificità e caratteristiche delle singole amministrazioni».
Come evidenziato da ItaliaOggi del 7 settembre, in effetti, tale convenzione non include alcune tipologie di servizi normalmente gestiti in forma integrata con quelli prettamente riferiti agli stipendi. Si tratta, in primo luogo, delle attività svolte tipicamente dagli uffici del personale degli enti, o, presso quelli più piccoli, da esperti/service esterni come, per esempio, l'immissione di giustificativi di assenza, l'aggiornamento degli anagrafici o le comunicazioni ai centri per l'impiego. Rimangono fuori, inoltre, le attività relative ad alcune tipologie di reddito quali quelli assimilati, autonomi e diversi (dipendenti altra p.a., amministratori locali, collaboratori coordinati e continuativi, Lsu, cantieri di lavoro, borse di lavoro, borse di studio, forestali, professionisti, indennità di esproprio, contributi ad enti e associazioni ecc.).
Un problema ulteriore nasce dal fatto che, nella maggior parte dei casi, gli enti hanno acquistato sul mercato un «pacchetto» onnicomprensivo, il che rende non sempre agevole il confronto di convenienza con i servizi offerti dal Mef. Tali fattori inizialmente avevano disorientato molti enti, spingendo l'Anci a richiedere una revisione della normativa. Anche le difficoltà tecniche legate all'esigenza di far dialogare le procedure gestionali in essere con quelle in uso presso il Mef non sembrerebbero insuperabili.
Criticità maggiori sembrano porsi per i piccoli comuni, anche a causa dell'obbligo imposto dalla convezione del Mef di nominare un referente tecnico-informatico e di un referente tecnico amministrativo. Gli enti di minori dimensioni, infatti, sono sprovvisti di simili figure, in quanto si avvalgono perlopiù di consulenti esterni, né potrebbero agevolmente procurarsele, visti i limiti al turnover (articolo ItaliaOggi del 26.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALIUna valanga di controlli si abbatte sugli enti locali.
Una valanga di controlli si abbatte sugli enti locali in seguito all'entrata in vigore del decreto-legge 174 del 10 ottobre.
Con riferimento ai comuni e alle province vengono introdotte numerose e sostanziali modifiche alle disposizioni vigenti in materia contenute nel testo unico 267/2000 estendendo la gamma dei controlli interni alle seguenti forme: controllo di regolarità amministrativa e contabile, controllo degli equilibri finanziari della gestione e dell'osservanza del patto di stabilità interno, controllo di gestione, controllo strategico e, negli enti con popolazione superiore a 10 mila abitanti, controllo dello stato di attuazione di indirizzi e degli obiettivi da parte degli organismi gestionali esterni, controllo della qualità dei servizi erogati e controllo sulle società partecipate. A tali controlli occorre poi aggiungere quelli esercitati dai servizi finanziari e dagli organi di revisione degli enti locali. Non tutte le indicate forme di controllo sono nuove nell'ordinamento degli enti locali.
Il decreto-legge 174, inoltre, potenzia i controlli esterni sugli enti locali e, in primo luogo, quelli della Corte dei conti. La verifica semestrale da parte delle sezioni regionali della Corte riguarderà: la legittimità e la regolarità delle gestioni, il funzionamento dei controlli interni, il rispetto delle regole contabili e del pareggio di bilancio, il piano esecutivo di gestione, i regolamenti e gli atti di programmazione e pianificazione. Un area vasta che si estende anche a documenti privi di efficacia esterna e di grande rilevanza interna come il Peg che è un budget operativo della gestione.
Per l'esercizio di tale forma di controllo, il sindaco dei comuni con più di 10 mila abitanti è tenuto a trasmettere ogni sei mesi alla Corte un referto sulla regolarità della gestione e sull'efficacia e adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato. Addirittura il referto non è libero, ma va compilato secondo linee-guida deliberate dalla Corte medesima. Per gli stessi fini, la Corte potrà disporre, oltre a tale informativa, di altri strumenti e in particolare degli accertamenti e delle verifiche del Corpo della Guardia di finanza che potrà agire con gli stessi poteri ad esso attribuiti ai fini degli accertamenti relativi all'Iva e alle imposte sui redditi.
Sono inoltre previste verifiche da parte dei Servizi ispettivi di finanza pubblica del Mef che si aggiungono ai controlli del ministero della funzione pubblica. La norma è accompagnata da una sanzione che va da cinque a venti volte la retribuzione mensile. È questa una novità che conferma il carattere centralista della riforma (articolo ItaliaOggi del 26.10.2012 - link a www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Commissioni come consigli. Vanno rappresentate tutte le forze politiche. Il sindaco è ricompreso nel computo per la determinazione degli organi.
È possibile ricomprendere il sindaco nella compagine delle forze politiche presenti nel consiglio comunale ai fini della composizione delle commissioni consiliari, considerato che il consiglio è composto da due soli gruppi con lo stesso numero di consiglieri?

In base a quanto disposto dall'articolo 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000, le commissioni consiliari, una volta istituite sulla base di una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate dall'apposito regolamento comunale con l'inderogabile limite, posto dal legislatore, relativo al rispetto del criterio proporzionale nella composizione. Ciò significa che le forze politiche presenti in consiglio devono essere il più possibile rappresentate anche nelle commissioni, in modo che in ciascuna di esse sia riprodotto il peso numerico e di voto.
Il legislatore non precisa come debba essere applicato tale criterio di proporzionalità. È da ritenersi che spetti al regolamento, cui sono demandate la determinazione dei poteri delle commissioni nonché la disciplina dell'organizzazione e delle forme di pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi idonei a garantirne il rispetto.
In merito, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 44/1997, ha precisato che il sindaco «viene computato ad ogni fine tra i componenti del consiglio stesso», con diritto di voto, e pertanto va ricompreso nel computo per la determinazione dei rappresentanti consiliari nelle commissioni nel rispetto, ovviamente, del criterio proporzionale recato dal citato art. 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 26.10.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Composizione commissioni.
Qual è la procedura da applicare per la sostituzione, nelle commissioni consiliari, di un consigliere uscito da un gruppo e transitato ad un altro?

In base a quanto disposto dall'articolo 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000, le commissioni consiliari, una volta istituite sulla base di una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate dall'apposito regolamento comunale con l'inderogabile limite, posto dal legislatore, riguardante il rispetto del criterio proporzionale nella composizione. Ciò significa che le forze politiche presenti in consiglio devono essere il più possibile rispecchiate anche nelle commissioni, in modo che in ciascuna di esse sia riprodotto il peso numerico e di voto.
Il legislatore non precisa come debba essere applicato tale criterio di proporzionalità. È da ritenersi che spetti al regolamento, cui sono demandate la determinazione dei poteri delle commissioni nonché la disciplina dell'organizzazione e delle forme di pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi idonei a garantirne il rispetto. Secondo l'univoco e consolidato indirizzo giurisprudenziale, il criterio proporzionale può dirsi rispettato ove sia assicurata, in ogni commissione, la presenza di ciascun gruppo presente in consiglio in modo che, se una lista è rappresentata da un solo consigliere, questi deve essere presente in tutte le commissioni costituite assicurando una composizione delle commissioni proporzionata all'entità di ciascun gruppo consiliare.
Nel caso di specie, se lo statuto, nel disciplinare le commissioni, stabilisce che queste debbano essere costituite con criterio proporzionale e il regolamento comunale fissa la determinazione numerica dei commissari, demanda ai gruppi consiliari la designazione dei consiglieri incaricati di far parte delle commissioni consiliari in rappresentanza dei singoli gruppi -in modo da garantire adeguata rappresentanza a ciascuno di essi- e stabilisce il diritto di ogni consigliere a far parte di almeno una commissione, ne consegue che gli eventuali mutamenti in corso di consiliatura nel rapporto tra maggioranza e minoranza consiliare, ovvero nella consistenza numerica dei gruppi, dovrebbero implicare una revisione, a cura del consiglio comunale, degli assetti preesistenti nelle commissioni consiliari, al fine di ripristinare il rispetto dei criteri a cui le stesse devono essere conformate.
In tale prospettiva, l'ipotesi del distacco di uno o più consiglieri dal gruppo di appartenenza originaria per aderire o formare altro gruppo, va inquadrata nell'ambito di un riequilibrio generale degli assetti presenti nelle commissioni, e non già di mera sostituzione degli stessi. Resta rimessa all'autonomia organizzativa dell'ente locale l'individuazione, anche mediante opportune integrazioni del regolamento comunale, del meccanismo tecnico -quale voto plurimo, voto ponderato o altro- reputato maggiormente idoneo ad assicurare a ciascun commissario un peso corrispondente a quello del gruppo che rappresenta.
Come rilevato dal Tar Lombardia nella sentenza n. 567/1996, infatti, il criterio proporzionale «è posto dal legislatore come direttiva suscettibile di svariate opzioni applicative, egualmente legittime purché coerenti con la ratio che quel principio sottende, e che consiste nell'assicurare in seno alle commissioni la maggiore rappresentatività possibile» (articolo ItaliaOggi del 26.10.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOEnti locali. Dopo lo stop della Consulta. I sindaci: «Dal Tfr rischi di dissesto»
L'ALLARME/ Il presidente dell'Anci chiede l'intervento di Grilli per chiarire come restituire le trattenute senza far saltare i conti.

La restituzione ai dipendenti pubblici delle trattenute del 2,5% per il trattamento di fine servizio dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale rischia di far saltare i conti dei Comuni, soprattutto quelli medio-piccoli. La partita, ha scritto ieri il presidente del l'Anci Graziano Delrio al ministro dell'Economia Vittorio Grilli, vale almeno 200 milioni di euro, e per evitare ai sindaci uno "sforamento obbligato" del Patto di stabilità e dei vincoli di spesa sul personale bisogna subito mettere mano a una soluzione. Anche perché, si legge nella lettera, «la rilevanza della situazione e i profili di responsabilità a essa connessi» non consentono ritardi, tanto più che nei piccoli Comuni l'obbligo di restituzione può addirittura «portare al dissesto».
Il problema è quello sollevato dalla sentenza 223/2012, con cui la Corte costituzionale ha bocciato «per evidenti ragioni di equità» una serie sacrifici imposti solo ai dipendenti pubblici e non a quelli privati. Tra le regole cadute sotto le forbici della Consulta, il «contributo di solidarietà» (taglio del 5% della quota di stipendio superiore ai 90mila euro annui e del 10% di quella superiore a 150mila euro) interessa soprattutto i vertici di Stato e Regioni, mentre la trattenuta del 2,5% per il Tfr si fa sentire parecchio anche dalla parte dei Comuni. A un impiegato di un ente locale, la cancellazione della trattenuta offre circa 24 euro netti al mese in più, e impone la restituzione di 670 euro prelevati fra 2011 e 2012: nel caso di un dirigente, gli euro al mese in più possono salire a 78 e gli arretrati netti a 2.238 (si veda Il Sole 24 Ore del 22 ottobre).
Gli amministratori locali naturalmente non contestano il merito della sentenza, ma lanciano l'allarme sulle conseguenze contabili dell'obbligo di restituzione. Oltre al rischio-dissesto dei piccoli enti, dove i bilanci sono più tirati, l'aumento di spesa impatta ovviamente anche sui limiti alle uscite per il personale e sui vincoli del Patto di stabilità.
Intanto, nonostante le obiezioni parlamentari (si vedano gli articoli in primo piano), si stringe la maglia dei controlli aggiuntivi introdotti dal Dl 174/2012. La sezione Autonomie della Corte dei conti ieri ha fissato il calendario e i primi indirizzi attuativi delle nuove norme: in particolare, sono state definite le modalità applicative sull'esame dei bilanci preventivi delle Regioni e sul controllo preventivo di regolarità degli atti regionali, mentre per i Comuni le verifiche puntano soprattutto sugli appuntamenti semestrali di controllo delle gestioni sulla base delle relazioni inviate dai sindaci (articolo Il Sole 24 Ore del 26.10.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTIResponsabilità negli appalti dopo il decreto sviluppo 83/2012.
Responsabilità in solido: così la difesa L'impresa può tutelarsi dall'obbligo che coinvolge versamenti fiscali, paghe, contributi e sicurezza.

Lo scenario normativo che disciplina gli appalti è in continua evoluzione ed è costituito da un puzzle di disposizioni di difficile raccordo tra loro: un groviglio di regole tra le quali i soggetti coinvolti sono costretti a districarsi, rischiando pesanti conseguenze in tema di responsabilità solidale e sotto il profilo sanzionatorio. La mancanza di un testo unitario che faccia da contenitore delle diverse norme intervenute in questo ambito ha spesso avuto come risultato l'aumento dei vincoli solidaristici della filiera dell'appalto, senza adeguati strumenti che possano manlevare –in maniera agevole– il responsabile in solido.
La finalità di questa Guida è proprio quella di mettere ordine nella recente evoluzione legislativa e di fornire a committenti e appaltatori gli spunti operativi per evitare il coinvolgimento nel regime di solidarietà, che si estende ormai a 360 gradi ai profili retributivi, contributivi, fiscali e di sicurezza sul lavoro: un'esigenza sempre più sentita dal momento che le aziende ricorrono con frequenza all'outsourcing di processi produttivi o di servizi, attraverso contratti di appalto.
Il fronte fiscale
Sono essenzialmente due i fronti interessati dalle recenti modifiche. Il primo, sugli aspetti fiscali, è quello che riguarda l'obbligazione in solido, in caso di appalto di opere o di servizi, che lega l'appaltatore e il subappaltatore, nei limiti dell'ammontare del corrispettivo dovuto, a versare le ritenute sui redditi di lavoro dipendente e l'Iva riferite alle prestazioni effettuate nell'ambito dell'appalto: dopo il vero e proprio vuoto legislativo che si era creato con la modifica al comma 28 dell'articolo 35 del Dl 223/2006 a opera del decreto sulle semplificazioni fiscali (Dl 16/2012), è intervenuto il primo decreto sullo sviluppo (Dl 83/2012). Infatti, la versione previgente del testo consentiva –attraverso una formulazione alquanto generica– l'esonero dal regime della solidarietà solo nel caso in cui l'appaltatore avesse dimostrato «di aver messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento».
Il Dl 83/2012 ha in parte corretto questa criticità con l'indicazione di alcuni strumenti di verifica (attestazione/asseverazione) propedeutici al pagamento del corrispettivo, sebbene – all'atto pratico – presentino delle difficoltà di attuazione, con il rischio di inciampi nei pagamenti.
Il fronte del lavoro
La seconda modifica alla materia della responsabilità solidale (articolo 29 della legge Biagi) è invece avvenuta con il decreto sulle semplificazioni varato a inizio anno (Dl 5/2012), poi ridisegnato dalla riforma del lavoro (comma 31, articolo 4, della legge 92/2012). In primo luogo, il legislatore ha puntato a precisare che il vincolo della solidarietà sui profili retributivi (comprese le quote di Tfr), previdenziali e assicurativi si riferisce al periodo di esecuzione dell'appalto.
Sono state introdotte poi alcune esimenti dall'alveo della responsabilità, escludendo le sanzioni civili che possono essere ascritte al solo responsabile dell'adempimento e infine attenuando con qualche garanzia il previgente regime, secondo il quale il mero affidamento di un appalto comporta la responsabilità in capo al committente, sebbene non abbia commesso alcuna irregolarità. Queste tutele consistono nell'attribuzione ai Ccnl del compito di individuare procedure ad hoc di verifica della regolarità degli appalti, e nel coinvolgimento dei soggetti chiamati a rispondere per incapienza dei beni di chi esegue l'opera, in caso di contenzioso nella materia.
Secondo questa disposizione, il debitore solidale (committente imprenditore o datore di lavoro), chiamato a rispondere in sede giudiziale del pagamento con l'appaltatore e con gli eventuali subappaltatori, può proporre un'eccezione con la quale chiede che sia preventivamente escusso il patrimonio di questi ultimi.
In queste ipotesi, anche se il giudice accerta la responsabilità solidale, l'azione esecutiva può essere promossa nei confronti del committente solo dopo che l'esecuzione verso il patrimonio del responsabile ha dato esito infruttuoso. Inoltre, la norma conferma una procedura già esperibile nei casi di responsabilità solidale, che consiste nella possibilità da parte del committente, chiamato a rispondere al posto del responsabile, di richiedere la restituzione di quanto pagato attraverso l'azione di regresso.
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I risvolti fiscali.
Pagamenti vincolati alla regolarità. Salta il corrispettivo del subappaltatore che non dimostra di aver versato le imposte.
Il regime della responsabilità solidale tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori per le ritenute Irpef e Iva relative ai contratti di appalto o di subappalto di opere, forniture e servizi è stato modificato dal decreto legge 83/2012 che ha sostituito il comma 28 dell'articolo 35 del Dl 223/2006.
Con le nuove disposizioni, in vigore dal 12 agosto scorso, viene meno la responsabilità in solido del committente con l'appaltatore e gli eventuali subappaltatori, legata al versamento all'erario delle ritenute fiscali sul lavoro dipendente dovute dall'appaltatore o dal subappaltatore in relazione all'appalto.
La responsabilità solidale per gli obblighi fiscali, è bene precisarlo, si applica nei contratti di appalto e di subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti Iva e, in ogni caso, dai contribuenti Ires indicati dagli articoli 73 e 74 del Tuir (enti non commerciali), mentre da questo fronte sono escluse le stazioni appaltanti dei contratti pubblici (Dlgs 163/2006).
Questa responsabilità, che rimane circoscritta al solo rapporto tra appaltatore e subappaltatore, è limitata all'«ammontare del corrispettivo dovuto» e non ha più il limite temporale dei «due anni dalla cessazione dell'appalto», precedentemente fissato dal Dl 16/2012.
Nello specifico, le modifiche al comma 28 stabiliscono che i soggetti responsabili in solido dei versamenti sono l'appaltatore e il subappaltatore e prevedono che la responsabilità riguardi, oltre alle ritenute sul lavoro dipendente, l'Iva dovuta dal subappaltatore per le prestazioni effettuate nel rapporto di subappalto.
Il vincolo solidale in capo all'appaltatore viene meno se questi verifica, prima del pagamento del corrispettivo, che il subappaltatore ha correttamente adempiuto gli obblighi fiscali scaduti alla data del pagamento del compenso.
Anziché controllare materialmente i versamenti, l'appaltatore può richiedere al subappaltatore un'attestazione dell'avvenuto adempimento degli obblighi, anche tramite un'asseverazione rilasciata da un professionista abilitato o da un Caf Imprese. Nel frattempo, può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all'esibizione della documentazione da parte del subappaltatore.
Il ruolo del committente
 Il committente è invece vincolato al solo controllo degli adempimenti fiscali: pertanto, deve richiedere all'appaltatore, sempre prima del pagamento del corrispettivo, l'esibizione della documentazione citata che attesta l'assolvimento degli obblighi fiscali sia da parte di quest'ultimo sia dagli eventuali subappaltatori, scaduti alla data del pagamento del compenso. Se l'appaltatore non produce i documenti che provano gli avvenuti versamenti, il committente può sospendere il pagamento di quanto dovuto per gli avvenuti lavori. Per effetto della nuova disciplina, il committente diventa destinatario di una sanzione amministrativa che va da un minimo di 5mila euro a un massimo di 200mila euro, che scatta qualora questi abbia provveduto al pagamento del corrispettivo all'appaltatore senza aver prima eseguito i necessari controlli sulla regolarità dei versamenti fiscali, che risultino poi irregolari.
I chiarimenti delle Entrate
Con la circolare 40/2012, l'agenzia delle Entrate ha fornito i chiarimenti sugli aspetti più critici delle nuove disposizioni, come la decorrenza dei relativi effetti e la certificazione idonea ad attestare la regolarità dei versamenti delle ritenute e dell'Iva.
La circolare specifica che le disposizioni relative alla verifica da parte del committente/appaltatore sull'esecuzione dei corretti obblighi fiscali trovano applicazione solo per i contratti di appalto/subappalto stipulati dal 12 agosto 2012 e per i pagamenti effettuati a partire dall'11 ottobre 2012.
Sulla documentazione che l'appaltatore/subappaltatore deve produrre per dimostrare la regolarità dei versamenti, la circolare afferma che, in alternativa alle asseverazioni rilasciate dai professionisti e dai Caf, è valida anche una dichiarazione sostitutiva (in base al Dpr 445/2000) con cui l'appaltatore/subappaltatore attesta l'avvenuto adempimento degli obblighi richiesti (si veda la pagina a fianco) (articolo Il Sole 24 Ore del 26.10.2012).

ENTI LOCALIP.a., ecco i costi da tagliare. Fuori dal paniere le indennità e i buoni pasto. Nota Rgs spiega cosa sono i consumi su cui si abbatterà la spending review.
Dentro le spese per missioni, le manutenzioni ordinarie degli immobili istituzionali, le consulenze legali, le spese per il servizio mensa e i costi sostenuti per mantenere in piedi il parco macchine. Fuori le spese per indennità e i compensi agli organi di amministrazione e controllo, le manutenzioni ordinarie sugli immobili messi a reddito e le manutenzioni straordinarie, le spese per la tutela legale dell'ente e quelle per i buoni pasto.
A fare chiarezza sulle voci che rientreranno nella categoria dei consumi intermedi su cui si abbatterà la scure della spending review è la circolare n. 31/2012 firmata ieri dal ragioniere generale dello stato Mario Canzio.
La nota, indirizzata alle amministrazioni centrali dello stato (palazzo Chigi e ministeri) e per conoscenza alla Corte dei conti, circoscrive il parametro di spesa preso in considerazione dal dl 95. I consumi intermedi, secondo quanto già chiarito dal Mef in una circolare del 2009 (n. 5), «rappresentano il valore dei beni e servizi consumati quali input di un processo di produzione, escluso il capitale fisso, il cui consumo è registrato come ammortamento». Che per i non esperti di economia significa che saranno considerati consumi intermedi «tutti i beni e servizi consumati o ulteriormente trasformati nel processo produttivo» della p.a.
Se questa è la regola generale, le declinazioni particolari sono quelle viste sopra. Andranno quindi escluse dal paniere le spese per indennità, i compensi degli organi di amministrazione e controllo, gli oneri tributari, le manutenzioni straordinarie e pure quelle ordinarie se riguardano immobili messi a reddito da cui l'ente proprietario acquisisce una rendita. Fuori anche le spese per la tutela legale dell'amministrazione e i costi sostenuti per i buoni pasto, mentre vanno incluse le spese per il servizio mensa. Rientrano nella base di calcolo (che terrà conto dei dati 2010) anche quelle spese, per esempio per l'esercizio di autovetture, che siano già oggetto di precise riduzioni.
Infine, si precisa che gli enti costituiti dopo il 2010 dovranno prendere in considerazione i dati contabili risultanti dal primo bilancio approvato (articolo ItaliaOggi del 24.10.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTIVerso il Cdm. In arrivo un pacchetto di interventi destinati a rivedere le regole sui contratti.
Appalti, operazione riordino. Dalla delega per la revisione del codice alla consultazione pubblica.
IL QUADRO/ Il disegno di legge punta su semplificazione, anticipazione delle regole Ue e partenariato fra pubblico e privato.

Non c'è soltanto la delega al riordino del codice appalti nel disegno di legge del ministero delle Infrastrutture che ieri è passato in pre-Consiglio dei ministri e oggi avrà un'ulteriore messa a punto a Palazzo Chigi.
Nel testo diretto verso il Consiglio dei ministri di domani o venerdì ci sono anche altre innovazioni di cui si è parlato in questi ultimi mesi e che non avevano trovato ancora posto in alcun provvedimento. È il caso dell'introduzione in Italia del debat public, «la consultazione pubblica –si legge nella relazione illustrativa del Ddl– con gli attori locali che ha la finalità di elevare il grado di tempestività e accuratezza dell'informazione pubblica sugli interventi infrastrutturali e di promuovere un più alto livello di consenso sociale e di partecipazione delle popolazioni interessate alle scelte progettuali e insediative effettuate dall'organo politico».
Una commissione composta di tre esperti avvierà e gestirà i procedimenti e sarà «organismo di natura tecnica dotato di alto grado di indipendenza, in quanto non deve essere percepito come portatore di interesse di parte».
Il procedimento dovrà sempre prendere in considerazione anche la «opzione zero» e dovrà concludersi in 120 giorni con un documento non vincolante della commissione che darà conto con oggettività di tutte le posizioni e potrà contenere proposte di integrazione, modifica o accompagnamento dell'opera.
Nel Ddl appalti ci sarà anche la gara di appalto «modello World bank» proposta a suo tempo dal presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, come modello di efficienza e di oggettività nella selezione dell'appaltatore. Tra le innovazioni di cui si dibatte da mesi e anni c'è anche la consultazione preliminare delle imprese invitate a partecipare a una gara per l'affidamento in concessione di un'opera. Oppure una norma per le Ati (associazioni temporanee di imprese) che impone la corrispondenza delle quote di partecipazione e quelle di effettiva esecuzione dei lavori.
Per quel che riguarda il riordino del codice appalti, tre sono i principi contenuti nella delega al Governo: semplificazione, anticipazione degli orientamenti comunitari e creazione di «condizioni favorevoli per il partenariato pubblico-privato e la finanza di progetto, anche attraverso disposizioni volte a dare certezza al quadro regolatorio vigente alla stipula del contratto».
Il disegno di legge prevede anche tre altre deleghe per il riordino dei codici dell'edilizia, della strada e della navigazione.
In pre-Consiglio dei ministri ieri è arrivato anche il decreto correttivo del codice antimafia (150/2011) che prevede due novità: la stretta sugli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari e le informative atipiche. Per il resto, i suoi dieci articoli hanno il merito di mandare finalmente in vigore tutta la sezione del codice dedicata alle comunicazioni antimafia e alla banca dati ad esse dedicata.
Solo il vertice di oggi a Palazzo Chigi permetterà di capire se effettivamente questo pacchetto di provvedimenti andrà all'esame del prossimo Consiglio dei ministri (articolo Il Sole 24 Ore del 24.10.2012 - link a www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICI: Grandi opere con consultazione. Le popolazioni locali saranno sentite per evitare effetti Tav. In arrivo in Consiglio dei ministri un ddl che punta a ridisegnare tutti i contratti pubblici.
Al via le consultazioni pubbliche sulle opere infrastrutturali per gestire il consenso a livello locale, sulla scia del «débat public» francese con oggetto lo studio di fattibilità; deleghe per riordinare entro 180 giorni la normativa sui contratti pubblici (Codice e regolamento), sull'edilizia, sui trasporti pubblici e sulla navigazione; bandi- tipo dell'Utfp per le concessioni di lavori pubblici; consultazione sul progetto preliminare anche per le concessioni; svincolo delle cauzioni anche sulle opere in esercizio.
È quanto previsto nello schema di disegno di legge esaminato che viene esaminato oggi dal pre-Consiglio dei ministri.
Nella bozza che viene illustrata e discussa oggi è contenuta anche una corposa e impegnativa norma di delega che tocca l'intera disciplina in materia di contratti pubblici; difficile però immaginare che possa essere portata a termine prima della fine della legislatura. In particolare si prevede che entro sei mesi si porti a compimento il «consolidamento delle disposizioni nella materia dei contratti pubblici» e «l'assestamento del quadro normativo di riferimento». Ne dovrebbe uscire un nuovo Codice dei contratti diviso in due parti, una legislativa e l'altra regolamentare, evitando la dispersione in diverse fonti normative, nonché la sovrapposizione e la duplicazione tra disposizioni di rango legislativo e regolamentare.
L'operazione dovrà servire anche ad adeguare il quadro regolatorio ai principi e agli orientamenti comunitari emersi in sede di aggiornamento delle direttive in materia di appalti pubblici e concessioni, ma anche a semplificare le procedure e creare le condizioni favorevoli per il partenariato pubblico-privato e la finanza di progetto. Altre deleghe, peraltro, riguardano la materia della circolazione stradale. Analoga operazione viene prevista per la materia edilizia puntando, fra le altre cose, a toccare i diritti edificatori, la semplificazione delle procedure, la premialità fiscale e finanziaria.
Ma non basta, perché sono previste deleghe per riordinare anche le norme sulla circolazione stradale, la navigazione e il trasporto pubblico su autobus.
Nell'attesa dell'attuazione delle deleghe, intanto, si propongono ulteriori norme di modifica dell'attuale Codice dei contratti pubblici che in passato non erano poi entrate nei diversi decreti-legge proposti dal governo e convertiti dal parlamento. Fra queste spicca l'introduzione della Consultazione pubblica per gestire il consenso relativo alla realizzazione delle opere infrastrutturali di rilevante impatto ambientale, sociale ed economico indicate nel Def infrastrutture, una proposta già in passato avanzata dalle Fondazioni Astrid, Italiadecide e Respublica e tesa ad adattare l'istituto del «débat public» francese, una sorta di referendum, limitato alle grandi opere, per gestire il consenso sul territorio. La consultazione, prevista nella fase iniziale dell'iter di individuazione delle caratteristiche dell'infrastruttura con oggetto, di regola, lo studio di fattibilità dell'opera, potrà essere richiesta dal soggetto aggiudicatore, dal promotore o da un consiglio regionale, o da un numero di consigli comunali o provinciali rappresentativi di almeno 150 mila abitanti, ovvero 50 mila cittadini residenti nel comune o nei comuni interessati dalla realizzazione dell'opera.
Sarà una commissione istituita presso il Provveditorato interregionale alle opere pubbliche a gestire la consultazione che non potrà avere durata, prefissata, superiore a 120 giorni; al termine della consultazione sarà predisposto un documento che darà conto delle ipotesi alternative emerse e del grado di consenso raggiunto e potrà prevedere l'istituzione di un meccanismo permanente di comunicazione e dialogo pubblico.
Sul fronte della disciplina delle concessioni si prevede la possibilità che l'ente finanziatore, entro 180 giorni, indichi un subentrante (nuovo concessionario) al posto del concessionario affidatario a seguito della gara; si prevede anche che sia attivabile anche per le concessioni la consultazione preliminare sul progetto (prevista finora solo per gli appalti) e che i bandi e i relativi allegati (da definire sulla base di modelli che dovrà mettere a punto l'Unità tecnica per la finanza di progetto) siano predisposti in modo da prevedere il preventivo e graduale coinvolgimento del sistema bancario nell'operazione e assicurare la massima «bancabilità» del progetto. Ridotti ulteriormente i tempi per l'approvazione dei progetti da parte del Cipe, il testo promuove anche un maggiore ricorso alle centrali di committenza che potranno riguardare anche le concessioni e i contratti di Ppp (partenariato pubblico-privato).
Modificando l'articolo 92 del dpr 207/2010, si consente poi alle imprese di costruzioni che partecipano in raggruppamento temporaneo di eseguire i lavori anche in percentuali diverse da quelle previste a condizione che siano qualificate per i singoli lavori da eseguire. Riproposte le norme sullo svincolo delle cauzioni per opere in esercizio da un anno e l'innalzamento all'80% della quota svincolabile. Infine, fra le altre cose, si prevede un Fondo mobiliare chiuso, da costituirsi da Cassa depositi e prestiti, con la collaborazione dell'Anci e dell'Upi, per la valorizzazione dei beni pubblici mobiliari (articolo ItaliaOggi del 23.10.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTI: Il ricorso all'arbitrato va limitato. Passera avverte: amministrazioni quasi sempre soccombenti. La direttiva del ministro alle infrastrutture. Clausole compromissorie solo se funzionali all'appalto.
Limitare il ricorso agli arbitrati, che vedono quasi sempre soccombenti le amministrazioni, inserendo la clausola compromissoria soltanto se funzionale alla specificità dell'appalto e se è opportuno il ricorso alla giustizia arbitrale; i limiti devono essere tenuti presenti anche per i contratti già affidati in cui è possibile, in base alle vecchie norme, optare a controversia in corso, per l'arbitrato.
È questo l'invito contenuto nella nota 27.06.2012 n. 24189 di prot. del ministro delle infrastrutture e trasporti, Corrado Passera, registrata dalla Corte dei conti il 02.08.2012 e resa nota in questi giorni.
L'atto ministeriale, indirizzato ai dipartimenti del dicastero di Porta Pia, ai provveditorati interregionali alle opere pubbliche e alle Capitanerie di porto, assume una sua rilevanza di carattere generale per l'azione amministrativa e per la gestione degli appalti pubblici. La direttiva di Passera prende le mosse dalle considerazioni che ormai da anni formula l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici rispetto alle risultanze dell'impiego degli arbitrati nel settore degli appalti pubblici. I
n base a questi dati è stato introdotto ad opera dell'articolo 3, comma 19, della legge 244/2007 il divieto di fare ricorso alla procedura arbitrale, più volte rinviato nella sua entrata in vigore, fino a che il decreto legislativo 53/2010, eliminando la norma-divieto del 2007, ha ammesso l'arbitrabilità delle controversie, vietando, relativamente ai contratti pubblici, il compromesso (art. 807 cpc) una volta insorta la controversia.
Sono pertanto arbitrabili solo le controversie relative a contratti già contenenti la clausola compromissoria. Nella direttiva si ricorda, quindi, che nella relazione del 2009 l'Autorità oggi presieduta da Sergio Santoro, aveva stigmatizzato il fatto che i giudizi arbitrali «comportano costi elevati per le pubbliche amministrazioni, anche in ragione delle alte percentuali di soccombenza rilevate». In particolare il dato diffuso all'epoca dall'Autorità vedeva una soccombenza, con riferimento complessivo agli arbitrati liberi e amministrati, pari a circa il 94%, mentre soltanto nel 6% dei casi le domande delle imprese erano state rigettate. Anche con la relazione del 2010 l'organismo di vigilanza, come si legge nella direttiva del ministero delle infrastrutture, avevano avuto modo di evidenziare che negli arbitrati liberi le stazioni appaltanti, nella quasi totalità, sono risultate in tutto o in parte soccombenti.
A ciò si deve aggiungere il fatto, sempre riportato nella direttiva, che «solo una minoranza dei procedimenti si conclude entro il termine ordinatorio previsto per l'emissione del lodo» (240 giorni). Da qui l'invito, contenuto nella direttiva di «limitare al massimo la previsione della clausola compromissoria in considerazione della specifica natura e delle caratteristiche dell'appalto e dell'opportunità rispetto alla singola fattispecie, del ricorso alla giustizia arbitrale.
Il ministro chiede alle stazioni appaltanti di regolarsi nei termini descritti anche per le fattispecie regolate dalla normativa precedente al 2010, quando era prevista la facoltà di declinare la competenza arbitrale (articolo ItaliaOggi del 23.10.2012 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Maggiore tutela al responsabile servizi finanziari.
LA QUALIFICAZIONE/ Da valutare l'ipotesi di prevedere un albo di soggetti idonei a ricoprire questo delicato ruolo.

Già nei primi mesi del 2008, su questo giornale, erano usciti alcuni articoli che segnalavano i rischi insiti nella debolezza del responsabile dei servizi finanziari e, per questo, proponevano alcune soluzioni. Le norme introdotte nel decreto enti locali (174/2012) vanno in quella direzione e non possono che essere apprezzate.
Il ragioniere vede arricchirsi i suoi compiti, acquisendo un ruolo di fatto sempre più di tutela della Repubblica prima che di servizio al sindaco. Era già, certo, responsabile della veridicità dei conti e tutore degli equilibri; oggi diventa anche e soprattutto un importante presidio di finanza pubblica. Da qui un aumento dei poteri (e delle responsabilità). Il ragioniere dovrà apporre il suo visto su ogni atto dell'ente locale che «comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente». Praticamente su tutto.
È chiaro che, che a fronte di ciò, è necessario prevedere una maggiore tutela di questa figura, che ha spesso rischiato di diventare il vaso di coccio tra la prepotenza di politici irresponsabili e la rigidità delle norme di finanza pubblica.
Grazie al decreto, l'incarico di responsabile dei servizi finanziari può essere revocato esclusivamente in caso di gravi irregolarità nell'esercizio delle funzioni assegnate. Non solo, la revoca può essere disposta solo previo parere obbligatorio del ministero dell'Interno e della Ragioneria generale dello Stato.
Non si può che essere d'accordo con una norma coraggiosa e incisiva. Però tutto ciò non è ancora sufficiente: resta comunque possibile, per limitarne l'effettività, disporre un incarico a contratto a tempo determinato annuale (l'articolo 110 del Tuel prevede un tempo massimo pari a quello di mandato, ma non uno minimo), così da poter tenere comunque il dirigente sotto scacco.
Ancora si pensi all'assurdità (per altro non poco frequente) del fatto che il comma 4 dell'articolo 110, preveda che il contratto a tempo determinato è risolto di diritto nel caso in cui l'ente locale dichiari il dissesto o venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie. In questo caso, in pratica, è il ragioniere stesso, dopo aver avuto il coraggio di denunciare la cosa a determinare il proprio "licenziamento". Un evidente paradosso, che ha come conseguenza il lasciare scoperta una posizione cruciale proprio negli enti più in difficoltà.
Sarebbe giusto, piuttosto, prevedere una sanzione che punisca tutti i dirigenti che hanno condotto l'ente in tale stato, vietando l'inserimento di risorse aggiuntive nei fondi per il trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, in modo da punire l'intero gruppo dirigente del comune in crisi (e non solo il personale a tempo determinato) e da rendere chiaro ai dipendenti per primi i costi di una politica irresponsabile. Ancora, dovrebbe essere assicurata una posizione di apicalità al responsabile dei servizi finanziari. Oggi spesso si trovano collocazioni strane e si ritrovano perfino interim a dirigenti che fanno tutt'altro.
Infine occorre affrontare il tema della qualificazione professionale dei ragionieri. A oggi, infatti, la scelta del responsabile finanziario può essere fatta a completa discrezione dell'ente, con il rischio di trovarsi in questa posizione dentisti ed architetti. È dunque necessario riflettere sulla opportunità di predisporre un registro di idonei alla funzione, da cui i sindaci debbano attingere al momento della nomina. Occorre gradualità, certo, ma il nodo va affrontato.
Lo si è fatto per i revisori dei Comuni, i quali devono avere una qualificazione professionale e frequentare dei corsi di aggiornamento. Non si comprende perché non si possa fare per i ragionieri degli enti locali (articolo Il Sole 24 Ore del 22.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAumenti (a sorpresa) per gli stipendi della Pa.
La Consulta boccia anche la trattenuta del 2,5% sul Tfr: da 20 a 80 euro netti in più al mese, oltre agli arretrati
LA MOTIVAZIONE/ Ingiustificata la disparità di trattamento tra i lavoratori di enti e amministrazioni e quelli del settore privato.

Gli stipendi pubblici e i rinnovi contrattuali sono congelati da più di due anni, ma mentre il Governo lavora per prolungare il blocco totale (indennità di vacanza contrattuale compresa) almeno fino al 2015, arriva una stecca pesante nel coro dell'austerità: a farla è la Corte costituzionale, che nella sentenza 223/2012 non si è limitata a cancellare il "contributo di solidarietà" a carico degli statali e a tagliare le indennità speciali dei magistrati, ma ha bocciato anche la trattenuta del 2,5% sul Tfr dei dipendenti pubblici, non imposta, invece, ai lavoratori del settore privato. Con un duplice risultato: l'obbligo di restituzione degli arretrati, e un aumento in busta paga rispetto ai livelli previsti dalla manovra estiva del 2010 che aveva ingabbiato gli stipendi pubblici.
Il 2,5% caduto sotto le forbici dei giudici delle leggi si calcola infatti sulla retribuzione del dipendente, comprese le indennità di posizione, e non sul solo accantonamento per il trattamento di fine rapporto o di fine servizio, per cui la novità può valere per i 3,3 milioni di dipendenti pubblici più di molti rinnovi contrattuali anche siglati in tempi più generosi degli attuali.
Per rendersene conto basta dare un'occhiata alle tabelle pubblicate qui a fianco, che fanno i conti in tasca alle figure-tipo che lavorano negli uffici dell'amministrazione centrale o negli enti locali. Per un impiegato di un ente territoriale, per esempio, la pronuncia costituzionale vale 332 euro netti di arretrati del 2011, 307 di competenza 2012 (i due valori sono diversi perché nel 2011 il Tfr era soggetto a tassazione separata, più leggera di quella ordinaria) e un incremento netto in busta paga da quasi 24 euro al mese. Le cifre, naturalmente, salgono insieme alla posizione occupata dall'interessato nella gerarchia dell'amministrazione, e non solo per l'aumento dello stipendio di base. Se il dipendente è anche titolare di «posizione organizzativa», cioè in pratica ha la responsabilità di un ufficio, pur non essendo un dirigente, nel calcolo entrano anche i 12.911 euro dell'indennità di posizione, e il conto si gonfia: tra 2011 e 2012 l'arretrato vale mille euro, e l'aumento netto in busta si attesta poco sopra i 34 euro al mese.
Per un dirigente, la cifra in gioco raddoppia abbondantemente. Gli stessi calcoli si replicano nell'amministrazione centrale, dove a parità di qualifica gli stipendi sono più alti di quelli che si incassano nel territorio. Al vertice della piramide si incontrano i dirigenti di prima fascia, che dalla novità attendono 2.300 euro di arretrati e 80 euro al mese in più rispetto alla retribuzione ricevuta fino al mese scorso. Un'ottima notizia, che soprattutto per questa categoria si accompagna all'addio, anch'esso retroattivo, al contributo di solidarietà che chiedeva il 5% della quota di retribuzione superiore a 90mila euro e il 10% di quella che supera quota 150mila euro. Pessima, invece, è la notizia letta con gli occhi delle amministrazioni e dei conti pubblici (si veda anche l'altro articolo in pagina): negli uffici si è già avviata la macchina delle richieste di restituzione delle trattenute diventate illegittime ex post, le amministrazioni in genere prendono tempo in attesa di istruzioni ministeriali ma presto occorrerà mettere mano alla cassa.
A motivare la presa di posizione dei giudici costituzionali, che in un colpo solo hanno abbattuto tre pilastri centrali nella gabbia con cui la manovra estiva 2010 ha provato a imbrigliare i costi del pubblico impiego, ci sono ovvie ragioni di equità. La Corte ha richiamato gli articoli 3 e 53 della Costituzione, che tutelano la parità dei cittadini davanti alla legge e la proporzionalità fra le richieste fiscali e la capacità contributiva del singolo. Un euro, spiegano i giudici, Costituzione alla mano, ha lo stesso valore sia quando va in tasca a uno statale sia quando finisce a un lavoratore privato, per cui deve essere sottoposto a una tassazione identica. Un principio chiaro, che ora impone al Governo di trovare strade nuove se vuole recuperare i risparmi caduti sotto i colpi della Corte (articolo Il Sole 24 Ore del 22.10.2012 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOBusta più pesante da novembre. Occorre riconoscere anche il pregresso.
La sentenza della Corte Costituzionale 223/2012 che ha dichiarato illegittima la norma del Dl 78/2010 relativa alla trattenuta sul Tfr rischia di far saltare i conti delle amministrazioni pubbliche in materia di personale. I giudici costituzionali non hanno portato solo vantaggi nelle tasche dei dipendenti pubblici, ma hanno anche inflitto un duro colpo alle casse comunali.
La norma bocciata
Da dove nasce il pasticcio? Nasce dall'obiettivo di togliere un beneficio di cui i dipendenti pubblici godevano in materia di trattamento di fine servizio, se assunti prima del 2001, estendendo anche a questi lavoratori il regime del Tfr previsto nel Codice civile. In sostanza, fino al 2010, la normativa imponeva al datore di lavoro un accantonamento sull'80% della retribuzione lorda (che è la base su cui si calcola l'accantonamento del Tfr), con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,5%, calcolata sempre sul l'80% della retribuzione. La normativa pregressa prevedeva dunque un accantonamento determinato su una base di computo ridotta, e, a fronte di un miglior Tfr, esigeva la rivalsa sul dipendente.
Nell'assetto che si è determinato in seguito alla norma impugnata (Dl 78/2010, articolo 12, comma 10), la percentuale di accantonamento opera sull'intera retribuzione, con la conseguenza che il mantenimento della rivalsa sul dipendente, solo per i dipendenti pubblici, in assenza della «
fascia esente», determina in un sol colpo una riduzione della retribuzione e la riduzione della quantità di Tfr maturata nel tempo.
Il legislatore aveva dunque dimenticato che, nel privato, tutti gli oneri sono a carico del datore di lavoro, mentre nei regimi pubblicistici era prevista appunto la ritenuta a carico del dipendente (il 2,5% sull'80% della retribuzione). L'illegittimità costituzionale si fonda sul principio di parità di trattamento fra i dipendenti pubblici e quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro.
L'impatto della sentenza
Che cosa succede a questo punto? Le pubbliche amministrazioni non sono più legittimate a trattenere ai dipendenti la trattenuta ex Enpas, ex Inadel, e così via. Inoltre, dovranno restituire le stesse ritenute effettuate dal 01.01.2011 fino a oggi. Infatti, l'articolo 136 della Costituzione prevede che la norma dichiarata incostituzionale cessa di avere effetto dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Considerando che la sentenza è stata pubblicata il 17.10.2012 (Gazzetta ufficiale, prima serie speciale, n. 41), l'applicazione inizierà con gli stipendi del mese di novembre, poiché gli stipendi di ottobre sono già stati elaborati.
Peraltro, sembra non si possa sfuggire nemmeno al riconoscimento degli arretrati, poiché le sentenze hanno efficacia anche nei confronti dei rapporti sorti prima della dichiarazione di illegittimità, con la sola eccezione dei rapporti esauriti. Gli enti dovranno dunque fare una variazione di bilancio per far fronte a questi oneri sopravvenuti, che sono quantificabili in una quota pari al 2% delle retribuzioni annue utili ai fini Tfr (che equivale al 2,5% dell'80% della retribuzione).
Questo vuol dire che, nel 2012, dovranno essere reperite le risorse per rimborsare le trattenute effettuate nel 2011, quelle già trattenute nella prima parte del 2012 e quelle non più recuperabili nel 2012 a fronte della sentenza. In pratica si tratta di circa il 4%, da calcolare non solo sullo stipendio tabellare ma anche sulle altre voci utili (come indennità di amministrazione e retribuzione di posizione). Gli enti si troveranno in enorme difficoltà o, più probabilmente, nella impossibilità di rispettare i vincoli sul contenimento della spesa di personale (articolo Il Sole 24 Ore del 22.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

aggiornamento al 22.10.2012

APPALTIVerifica antimafia per i revisori. Controlli estesi ai professionisti dei collegi e organi vigilanti. Lo prevede un decreto correttivo del codice del 2011, pronto per il Consiglio dei ministri.
Verifica antimafia per i revisori e per i componenti dell'organo di vigilanza.
Lo prevede lo schema di decreto legislativo correttivo del codice delle leggi antimafia (dlgs 159/2011) che sarà il 23 ottobre prossimo in Consiglio dei ministri e che ItaliaOggi è in grado di anticipare. Lo schema stabilisce, infatti, che i controlli antimafia devono essere espletati nei confronti dei membri dei collegi sindacali di associazioni e società e anche dei componenti dell'organo di vigilanza previsto dall'articolo 6 del decreto legislativo 231/2001 (sulla responsabilità amministrativa delle imprese).
CERTIFICAZIONI E INFORMAZIONI ANTIMAFIA. La documentazione antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia e dall'informazione antimafia. La comunicazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto quali misure di prevenzione (articolo 67 del codice antimafia). L'informazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 citato, e anche nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.
CATALOGO DEI SOGGETTI COINVOLTI. Il decreto correttivo completa il catalogo dei soggetti da sottoporre a verifica ai fini del rilascio della documentazione antimafia. In materia si sono registrati dubbi applicativi, risolti con il decreto in esame. In particolare viene definito espressamente il regime dei controlli da effettuarsi nei confronti dei gruppi europei di interesse economico (Geie): è assimilato a quello previsto per i consorzi disciplinati dall'articolo ex articolo 2602 codice civile. Trovano un raccordo, quindi, il codice antimafia e il dlgs 240/1991, che prevede l'applicabilità ai Geie delle normative antimafia.
Viene inoltre stabilito che i controlli antimafia devono essere espletati nei confronti dei membri dei collegi sindacali di associazioni e società nonché dei componenti dell'organo di vigilanza previsto dall'articolo 6, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 231/2001. Sono assoggettate alle verifiche antimafia anche le imprese prive di sede principale o secondaria in Italia. Il correttivo colma una lacuna: il codice attualmente, consente di effettuare tali verifiche soltanto nei confronti degli operatori economici con sede legale o secondaria nel territorio dello stato.
Vengono introdotte nel codice specifiche disposizioni riguardanti i particolari controlli antimafia da svolgersi nei confronti delle società concessionarie di giochi pubblici. La documentazione antimafia deve riferirsi anche ai soci persone fisiche che detengono, anche indirettamente, una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 2%. Medesimo obbligo è esteso ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
VALIDITÀ DEI CERTIFICATI. Il codice, come riscritto dal decreto correttivo, stabilisce che la comunicazione antimafia ha una validità di sei mesi dalla data dell'acquisizione, mentre l'informazione antimafia ha, di regola, una validità di dodici mesi dalla data dell'acquisizione.
DECERTIFICAZIONE. Vengono soppresse le previsioni che permettono al privato di utilizzare la copia autentica della documentazione antimafia rilasciata. Inoltre vengono soppresse, all'art. 87, le previsioni che consentono al privato di richiedere il rilascio della comunicazione antimafia. Quest'ultima ha una natura certificativa e può essere prodotta esclusivamente nei confronti dei soggetti pubblici (elencati all'articolo 83, commi 1 e 2, del codice).
RILASCIO AUTOMATICO. Il provvedimento modifica, inoltre, l'articolo 88 del codice, precisando che il rilascio automatico della comunicazione antimafia può avvenire solo se il soggetto interessato è già stato censito nella apposita banca dati. Diversamente, il prefetto provvede a effettuare i controlli antimafia secondo le modalità ordinarie già previste per i soggetti nei cui confronti sono emersi riscontri informativi indicativi dell'esistenza di controindicazioni all'emissione del provvedimento.
TRACCIABILITÀ. Arricchito l'elenco delle circostanze dalle quali il prefetto può desumere l'esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa: sono ricomprese anche le violazioni agli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari derivanti da appalti pubblici, commesse con la condizione della reiterazione.
INFORMAZIONI INTERDITTIVE. Le informazioni antimafia interdittive devono essere comunicate sempre ai vari soggetti istituzionali interessati e non solo nella specifica ipotesi di provvedimenti inibitori emessi a seguito di accesso in cantiere. Inoltre si prevede che il prefetto trasmetta i provvedimenti inibitori anche alla Direzione nazionale antimafia, ai soggetti titolari del potere di proposta di applicazione delle misure di prevenzione, agli uffici dell'Agenzia delle entrate competenti per il luogo di sede legale del soggetto destinatario della misura interdittiva all'Autorità garante della concorrenza (ai fini dell'attribuzione del rating d'impresa) e all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici per l'inserimento nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici (articolo ItaliaOggi del 20.10.2012).

ENTI LOCALIForniture alle p.a., fattura elettronica vicina.
Più vicina la fatturazione elettronica delle forniture alla pubblica amministrazione.

Con il parere 12.10.2012 n. 4267, il Consiglio di Stato, preso atto delle modifiche apportate al testo inizialmente predisposto dal ministero dell'economia, ha dato infatti semaforo verde al provvedimento attuativo delle disposizioni dell'art. 1, commi 209-214, della legge n. 244/2007. In particolare, osserva l'organo legale, risultano superate le criticità che il consiglio aveva rilevato nel parere interlocutorio del 27.10.2011, concernenti la coerenza con l'art. 117 della costituzione in relazione all'impatto della procedura di fatturazione elettronica sulle autonomie locali.
In proposito, infatti, il ministero dell'economia, nel trasmettere la nuova versione dello schema di regolamento, ha osservato che l'art. 10, comma 13, del dl 201/2011 ha modificato le predette disposizioni, riferendo l'obbligo della fattura elettronica ai rapporti con le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, della legge 196/2009 e alle amministrazioni autonome (articolo ItaliaOggi del 19.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALIAgenzia per la gestione dei segretari. Gli enti continueranno a pagare.
I comuni e le province dovranno continuare a versare i contributi dovuti alla vecchia Agenzia per la gestione dell'albo dei segretari non più fino alla fine del 2012 ma fino alla fine del mese di luglio del 2013; la Scuola superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale, cioè la Scuola dei segretari, conosciuta anche come Sspal, viene soppressa; viene istituito il consiglio direttivo per l'Albo dei segretari comunali e provinciali presso il ministero dell'interno: sono queste le principali novità dettate dall'articolo 10 del dl n. 174/2012.

Viene per l'ennesima volta prorogato (si veda ItaliaOggi di giovedì 4 ottobre) l'obbligo per gli enti locali di versare al ministero dell'interno i contributi provenienti dalla riscossione dei diritti di segreteria già dovuti alla disciolta Agenzia per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, contributi che servono per la corresponsione del trattamento economico ai segretari in disponibilità e per il funzionamento dell'Agenzia e della Scuola dei segretari.
Tale termine era previsto per la fine del 2010, ma di proroga in proroga (con questa disposizioni si sposta la scadenza fissata dal dl 95/2012, cosiddetta spending review, per la fine del 2012) si è arrivati alla fine del mese di luglio del 2013. Da ricordare che, nel momento in cui questo obbligo verrà meno, i trasferimenti ai comuni e alle province saranno ridotti di una cifra complessiva analoga: con le nuove regole si dovrebbe avere una ripartizione più equa tra i singoli enti locali.
Viene chiusa la Scuola dei segretari, che gestisce sia i corsi per l'accesso all'Albo dei segretari, sia quelli per avanzare in tale carriera, sia l'aggiornamento; le sue attività, nonché il suo personale, vengono assegnati al ministero dell'interno. Con un regolamento da emanare entro il termine del 31.07.2013, saranno dettate le modalità attraverso cui il ministero dell'interno dovrà gestire le attività svolte in precedenza dalla Agenzia per la gestione dell'albo e quelle della Scuola.
È stato infine istituito, a far data dalla entrata in vigore del decreto, il Comitato direttivo per l'Albo nazionale dei segretari comunali e provinciali. Esso viene presieduto dal ministro dell'interno ed è composto da rappresentanti del Viminale, dell'Anci e dell'Upi: a differenza del vecchio consiglio di amministrazione dell'Agenzia non vi sono i rappresentanti dei segretari comunali e provinciali. Per la partecipazione a tale organismo non è prevista la erogazione di alcun compenso.
I suoi compiti sono fissati direttamente dalla disposizione: definire le modalità di gestione dell'albo dei segretari, ivi compresi i beni di proprietà della disciolta Agenzia; fissare il fabbisogno di segretari comunali e provinciali (ricordando al riguardo che il dl n. 95/2012 fissa nello 80% dei cessati il tetto per le nuove assunzioni di segretari); adottare gli indirizzi per la programmazione dell'attività didattica e il piano generale annuale delle iniziative di formazione e di assistenza, svolgendo altresì i compiti di controllo; ripartire le risorse necessarie per la gestione dell'albo, per i corsi concorso per l'accesso, per la formazione e l'aggiornamento professionale dei segretari, dei dirigenti degli enti locali e degli amministratori (articolo ItaliaOggi del 19.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOControlli preventivi e dirigenti svincolati. Due ricette anti-sprechi.
Solo i controlli preventivi di legittimità e merito possono scongiurare il proliferare di spese incontrollate come quelle del consiglio regionale del Lazio. E, contestualmente, l'eliminazione definitiva del potere degli organi di governo di incaricare i dirigenti.

Al di là dei rimborsi ai gruppi consiliari, sono emerse spese davvero difficili da giustificare, legate al semplice funzionamento degli uffici. Sono stati acquistati tablet per i consiglieri a prezzi più che doppi rispetto ai listini, così come altre attrezzature informatiche molto più care dell'ordinario.
Di utilizzare la Consip, evidentemente, nemmeno ci si è pensato. Come di responsabilizzare sull'utilità dei beni, la congruità dei prezzi e del sistema di individuazione del contraente.
Inutile pensare che questo modo di operare sia limitato e circoscritto. La giusta necessità di assicurare autonomia alle organizzazioni politiche e agli organi di governo viene troppo spesso, però, scambiata per potere assoluto di scegliere come, cosa, a quale prezzo e da chi spendere. Senza troppa cura di procedure e sistemi, che, invece valgono per tutti gli organi pubblici, politici o tecnici che siano.
Il che dimostra come prevedere norme poste a regolare, per esempio, le modalità di approvvigionamento di beni e servizi, come da ultimo l'articolo 1 della legge 135/2012 che nella logica della spending review mira a potenziare l'utilizzo delle convenzioni Consip, non sia di per sé sufficiente.
Occorre al più presto a tutti i livelli di organizzazione reintrodurre controlli esterni di legittimità, se non di merito, imprudentemente e frettolosamente eliminati dalle riforme-Bassanini, all'epoca della costruzione di un «federalismo» in provetta, che oggi mostra tutta la sua dannosità.
Controlli che sarebbe opportuno svolgessero organi amministrativi, in modo da permettere alle amministrazioni controllate di ricorrervi se erronei. Ma, l'organo di controllo dovrebbe essere funzionalmente posto alle dipendenze della Corte dei conti e a essa rispondere della sua azione.
Un altro elemento di criticità è il cordone ombelicale che lega la dirigenza agli organi politici, per effetto delle norme che attribuiscono a questi ultimi il potere di incaricarli, premiarli, assicurare loro «carriera», in nome di una «fiduciarietà» che, per altro, la Consulta ha più volte considerato contraria alla Costituzione, in quanto l'apparato amministrativo deve assicurare efficienza alla macchina e non fedeltà a questo o quel colore politico.
Lo stretto legame, molte volte accentuato dal potere degli organi di governo di cooptare dirigenti esterni senza nemmeno concorsi, può indurre gli alti funzionari ad agire per assicurare, appunto, l'acquisto di beni o servizi fuori mercato, per «compiacere».
Tanto strategico è il potere di «nomina» dei dirigenti, che la presidente del Lazio ormai a fine mandato ne ha comunque nominati 10. Allo scopo forse di assicurare una continuità quanto meno nei gangli amministrativi o ad altri fini non è dato saperlo. Il fatto che si possa porre il dubbio, tuttavia, fa comprendere come la disciplina degli incarichi dirigenziali e lo spoil system possano consentire a dirigenti e funzionari di non vedere, non parlare, eseguire. Sebbene non sia questo il loro ruolo (articolo ItaliaOggi del 19.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ I possibili paletti al diritto di accesso da parte dei consiglieri dell'ente. Rilascio copie con giudizio. Anche l'informatica può soddisfare le richieste.
Un ente locale può determinare, in relazione al diritto di accesso da parte dei consiglieri, un limite al rilascio di copie di documenti oltre il quale imporre un costo del servizio?

In linea generale, per i consiglieri, vale il principio di gratuità del diritto di prendere visione e di estrarre copia di atti e documenti, che trova fondamento nell'esercizio del munus agli stessi affidato, «_ perché l'esercizio del diritto di accesso attiene alla funzione pubblica di cui il richiedente è investito e non al soddisfacimento di un interesse privato ed attuale_».
Pertanto «al consigliere che chieda copia di atti utili per l'esercizio del proprio mandato non può essere addebitato il costo», sia «perché l'esercizio del diritto di accesso attiene alla funzione pubblica di cui il richiedente è investito _», sia perché «in nessun caso il consigliere può fare uso privato_ dei documenti così acquisiti». (Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi parere del 05.10.2004).
Con il parere del 05.10.2010, la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, esprimendosi sull'esercizio di tale diritto, ha ribadito che è illegittimo prevedere, per le richieste da parte dei consiglieri comunali, il pagamento dell'imposta di bollo, dei diritti di segreteria e dei costi di riproduzione.
La stessa Commissione ha richiamato il consolidato principio giurisprudenziale (ex multis Consiglio di Stato, sez. V. n. 929/2007) secondo cui il diritto di accesso del consigliere agli atti «non può subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell'ente con l'unico limite di poter esaudire la richiesta, qualora sia di una certa gravosità, secondo i tempi necessari per non determinare interruzione delle altre attività di tipo corrente_» .
Sotto tale profilo il consigliere deve, quindi, contemperare il diritto di accesso con l'esigenza di non intralciare lo svolgimento dell'attività amministrativa ed il regolare funzionamento degli uffici comunali, comportando ad essi il minor aggravio possibile, sia dal punto di vista organizzativo che economico (Corte dei conti, sez. Liguria n. 1/2004).
Al riguardo, la Commissione per l'accesso, sulla base principio di economicità che incombe sia sugli uffici tenuti a provvedere sia sui soggetti che chiedono prestazioni amministrative, ha riconosciuto «la possibilità per il consigliere di avere accesso diretto al sistema informatico interno, anche contabile, dell'ente attraverso l'uso della password di servizio _ proprio al fine di evitare che le continue richieste di accesso si trasformino in un aggravio dell'ordinaria attività amministrativa dell'ente locale» (cfr. parere 29.11.2009).
In tale contesto anche il giudice amministrativo ha ritenuto legittime norme regolamentari contenenti accorgimenti finalizzati a ridurre i costi. In particolare, il Consiglio di stato, V, con la sent. n. 6742/2007 ha condiviso l'avviso del Ministero dell'interno in merito alla possibilità di riprodurre planimetrie su cd-rom qualora il consigliere chieda l'estrazione di copie di atti la cui fotoriproduzione comporti costi elevati .
Peraltro il Tar Puglia (sent. n. 115 del 21.01.2011) ha affermato che «gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali si rinvengono, per un verso, nel fatto che esso debba avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e, per altro verso, che non debba sostanziarsi in richieste assolutamente generiche_, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri debba essere attentamente_ vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso».
Se quindi, da un lato, l'imposizione di costi di riproduzione non appare di per sé in linea con gli orientamenti espressi, per altro verso, ove sia valutato che la richiesta di rilascio di copie comporti in concreto particolare aggravio per gli uffici, l'ente potrà, di volta in volta, trovare una soluzione organizzativa, anche in chiave informatica, utile ad ovviare a tale inconveniente (articolo ItaliaOggi del 19.10.2012).

PUBBLICO IMPIEGODdl corruzione, per i pubblici dipendenti arriva il divieto di ricevere regali.
È una rivoluzione anche per la pubblica amministrazione quella che metterà in moto il disegno di legge approvato ieri al Senato. Il provvedimento, che tornerà alla Camera per la quarta lettura, rimanda al governo le deleghe ad adottare i decreti legislativi anche in materia di prevenzione. Ed è proprio su questo terreno, secondo i tecnici che hanno lavorato al testo del ddl, che la sfida contro la corruzione sarà più impegnativa.
Segretari anti-corruzione. L’Autorità nazionale detterà le linee guida. Amministrazioni pubbliche ed enti locali dovranno a loro volta darsi un piano per assicurare il massimo della trasparenza. Il responsabile del piano verrà individuato tra i dirigenti amministrativi di prima fascia. In nessun caso comunque potranno essere coinvolti soggetti estranei all’amministrazione. Negli enti locali, «salvo altra motivata determinazione», il ruolo verrà ricoperto dal segretario comunale (o provinciale). Dovrà elaborare un piano triennale e trasmetterlo al Dipartimento della funzione pubblica.
Parenti e redditi sul web. Oltre a definire i criteri per la rotazione dei dirigenti nei settori classificati a rischio, le amministrazioni saranno chiamate a monitorare i tempi della burocrazia interna sul loro sito istituzionale. Chi non lo farà sarà passibile di sanzioni. È un punto, questo dei tempi di lavorazione delle pratiche, ritenuto molto delicato e importante.
Spesso proprio nella dilazione all’infinito dei tempi di concessione di permessi, licenze o di qualsiasi altra documentazione, si rileva l’indizio di un rischio-corruzione. Semplicità e velocità delle procedure assicurano viceversa livelli di trasparenza più elevati negli uffici pubblici. Il governo dovrà poi adottare, senza ulteriori costi, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, un decreto legislativo per riordinare gli obblighi di pubblicità e di trasparenza.
Tra le novità che dovranno essere introdotte ci sarà anche l’obbligo «per i titolari di incarichi pubblici di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri» di pubblicare su Internet la situazione patrimoniale. Case, terreni, redditi, situazione all’inizio e alla fine del mandato, titolarità in imprese, partecipazioni azionarie proprie, del coniuge, persino dei congiunti entro il 2° grado di parentela. Per i segretari comunali o chi per loro insomma il lavoro non mancherà.
Le attività a rischio. Viene elencato anche il core business della malavita organizzata, i settori più sensibili alle infiltrazioni mafiose: trasporto di materiale a discarica per conto terzi; smaltimento rifiuti; estrazione, fornitura e trasporto di materiali inerti e terra; guardianìa dei cantieri; fornitura di ferro lavorato e autotrasporto per conto terzi.
Denunce on-line. La commissione anti-corruzione, coordinata dal capo di gabinetto Roberto Garofoli, si è ispirata a modelli europei, fermo restando la forte tipicità italiana. Dove per «tipicità» si intende ’ndrangheta, camorra e ogni genere di infiltrazione mafiosa. Il documento parla chiaro: per tornare ad essere un Paese «normale» il nostro dovrà sottoporsi a dosi massicce di trasparenza.
Non potrà accollarsi in futuro i costi della corruzione, secondo un calcolo della Corte dei Conti, circa 60 miliardi di euro l’anno. Ogni amministrazione dovrà dunque dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificato al quale i cittadini potranno segnalare eventuali anomalie.
No regali. I rapporti tra l’amministrazione e i soggetti che stipulano contratti andranno monitorati per verificare eventuali relazioni di parentela fra titolari, amministratori e soci. Ai dipendenti sarà fatto divieto di chiedere o di accettare «a qualsiasi titolo compensi o altre utilità in connessione con l’espletamento delle proprie funzioni», «fatti salvi si spiega regali d’uso purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia».
Andranno indicate anche durata e misura dei compensi; un’attestazione verificherà «l’insussistenza» di eventuali conflitti di interessi. E non è finita: ai magistrati ordinari, contabili e amministrativi ma anche agli avvocati e ai procuratori dello Stato e ai componenti delle commissioni tributarie, sarà vietata la partecipazione a collegi arbitrali. Pena la decadenza (articolo Il Messaggero del 18.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: La lotta alla corruzione. LE MISURE DI PREVENZIONE.
Per gli appalti pubblici trasparenza online e «white list» antimafia. Le imprese nell'elenco eviteranno l'obbligo di certificato.
LE ALTRE MISURE/ In arrivo nuove ipotesi di risoluzione dei contratti: sanzionate tra l'altro le sentenze per associazione mafiosa e traffico di rifiuti.

Oltre alla repressione dei reati, attraverso le misure penali, nella legge anticorruzione c'è la prevenzione che si rivolge soprattutto ai settori economici più esposti al rischio, come quello degli appalti pubblici (lavori, servizi e forniture). Il Ddl approvato al Senato prevede numerose norme che mirano a dare maggiore trasparenza, e in alcuni casi anche più efficienza nella vigilanza, sia alla fase della gara sia all'esecuzione contrattuale.
Sul primo fronte, ci sono soprattutto nuovi obblighi di trasparenza per le pubbliche amministrazioni che dovranno pubblicare sui propri siti web istituzionali una serie di informazioni relative al bando, come l'oggetto, l'elenco degli operatori invitati a presentare offerte, l'aggiudicatario, i tempi di completamento dell'opera.
Sull'obbligo vigilerà l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici che già oggi riceve dalle stazioni appaltanti analoga comunicazione. Si tratta, in sostanza, di un rafforzamento -attraverso l'uso di tecnologie informatiche- degli attuali obblighi che non di rado vengono disattesi. La banca dati dell'Autorità dovrebbe, in questo modo, risultare più completa di quanto lo sia oggi.
D'altra parte le nuove norme si raccordano anche a quanto già sta facendo la stessa Autorità che proprio martedì ha varato il bando-tipo per uniformare le regole a cui tutte le stazioni appaltanti dovranno attenersi nel fare i bandi di gara e nell'escludere le imprese partecipanti dalle gare (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). «È una norma anticorruzione -spiega il presidente dell'Autorità, Sergio Santoro- che punta a evitare uno dei comportamenti più gravi delle stazioni appaltanti, quello di gare mirate a favorire un soggetto specifico attraverso l'inserimento di requisiti anomali». Se si aggiunge poi, il nuovo servizio che da gennaio dovrebbe semplificare a imprese e stazioni appaltante la presentazione di tutte le certificazioni e documentazioni di gara, ecco che il cerchio si chiude.
Tra le certificazioni che dovrebbero essere semplificate c'è anche quella antimafia che però nella legge approvata ieri al Senato subisce un'ulteriore modifica, anche essa nel senso di garantire maggiore efficacia nel contrasto alla mafia e al tempo stesso alla tutela delle imprese oneste. Il meccanismo, già più volte previsto in via sperimentale, è quello delle «white list», vale a dire elenchi di «fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori» al riparo da qualsiasi sospetto di infiltrazione mafiosa. A individuare le «imprese buone» dovranno essere le prefetture che dovranno poi tenere e aggiornare le liste. Una volta inserita nella lista, l'impresa non dovrà più presentare la documentazione antimafia prevista dalla legge.
Viene rimaneggiata la disciplina degli arbitrati, con un divieto di partecipazione ai collegi arbitrali che diventa assoluto per i magistrati «ordinari, amministrativi, contabili e militari». È una norma proposta molte volte che ora sembra trovare un suo compimento (si veda anche l'articolo nella pagina a fianco).
Cambia anche l'articolo 135 del Codice appalti con una serie di nuove ipotesi di risoluzione del contratto. Saranno sanzionate le sentenze passate in giudicato per reati come l'associazione mafiosa,traffico di droga, contrabbando, traffico di rifiuti, delitti con finalità di terrorismo, oltre ai più classici reati di corruzione, concussione, peculato e malversazione a danno dello Stato. Infine non potranno fare parte delle commissioni giudicatrici i condannati con sentenza passata i giudicato per delitti contro la Pa come peculato, malversazione, corruzione, abuso d'ufficio o interruzione di pubblico servizio (articolo Il Sole 24 Ore del 18.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Adempimenti/ Alla Pa solo fatture online. Forma elettronica obbligatoria per tutti ma con decorrenza graduale. Il Consiglio di Stato ha dato il via libera al decreto che sancisce le modalità attuative.
Via libera al secondo decreto attuativo del sistema di fatturazione elettronica verso le pubbliche amministrazioni: col parere 12.10.2012 n. 4267 il Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, ha espresso infatti parere favorevole allo schema di regolamento ministeriale che individua regole tecniche e linee guida per la gestione dei processi di fattura elettronica verso le amministrazioni statali.
Il decreto, alla cui approvazione definitiva manca solo il passaggio formale in Consiglio dei ministri, costituisce l'ultimo tassello necessario all'avvio degli obblighi dettati dall'articolo 1, commi da 209 a 214, della Legge 244 del 2007. Per le amministrazioni destinatarie vige infatti il divieto di accettare le fatture emesse o trasmesse in forma cartacea e di procedere al pagamento, anche parziale, sino all'invio del documento in forma elettronica. I fornitori delle amministrazioni pubbliche dovranno invece gestire il proprio ciclo di fatturazione esclusivamente in modalità elettronica, non solo nelle fasi di emissione e trasmissione ma anche in quella di conservazione.
Gli impatti operativi saranno molti e rilevanti: da un lato, gli enti pubblici dovranno adeguare infrastrutture informatiche, sistemi contabili e procedure interne per la ricezione e la contabilizzazione dei flussi elettronici di fatturazione. Dall'altro, i fornitori privati sono invece chiamati a sviluppare modalità di gestione elettronica dei flussi documentali riorganizzando l'intero ciclo attivo di fatturazione. Il tutto in un contesto normativo ormai maturo e in linea con le indicazioni fornite dall'Unione Europea, da ultimo con la Direttiva 2010/45/UE, di cui è in corso di pubblicazione lo schema di decreto legislativo di recepimento.
Perimetro soggettivo
L'articolo 10 del Dl 201/2011 ha delineato con precisione il perimetro soggettivo delle pubbliche amministrazioni destinatarie di fatture elettroniche. Si tratta di tutti i soggetti, anche autonomi che, a norma dell'articolo 1, comma 2 della legge 196/2009, concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale e che sono inseriti nel conto economico consolidato e individuati entro il 30 settembre di ciascun anno nell'elenco Istat.
Prima delle modifiche i confini delle amministrazioni destinatarie erano meno definiti, in quanto l'obbligo riguardava genericamente le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici nazionali.
Anche le amministrazioni locali sono state vincolate al rispetto delle medesime regole applicabili a quelle centrali introducendo così una regolamentazione unitaria a livello nazionale.
Il contenuto
Per favorire il rapido passaggio al nuovo sistema in sintonia con l'evoluzione dello scenario europeo, dovrebbe essere adottato il formato fattura xml compatibile con gli standard comunitari. La trasmissione delle fatture, anche per il tramite di intermediari, avverrà attraverso il sistema di interscambio (Sdi), la cui gestione è stata assegnata, con decreto del 07.03.2008, all'agenzia delle Entrate, che ha individuato in Sogei il soggetto tecnologico deputato alla sua realizzazione.
Oltre alle informazioni obbligatorie per legge, sulla fattura trasmessa attraverso lo Sdi dovranno comparire le indicazioni sul soggetto trasmittente, con identificativo fiscale, progressivo di invio e numero di trasmissione, nonché sull'amministrazione destinataria, identificata con un apposito codice. Quanto alla tempistica di decorrenza dell'obbligo di fatturazione elettronica, è fissata in dodici mesi dall'entrata in vigore del regolamento per ministeri, agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza e assistenza sociale; in 24 mesi per le altre amministrazioni incluse nell'elenco Istat, a eccezione delle amministrazioni locali, per le quali la data di decorrenza sarà determinata con Dm dell'Economia, di concerto con il l'Innovazione e d'intesa con la Conferenza Unificata (articolo Il Sole 24 Ore del 18.10.2012).

VARI: La legge di stabilità arrivata alla camera esclude la spesa dalla nuova soglia dei 250 euro. Deduzioni e detrazioni definite. Limature alle franchigie. In salvo l'assistenza medica.
Via la franchigia di 250 euro per le spese mediche e di assistenza specifica dei disabili. Tolta la franchigia di detrazione e la concorrenza al tetto dei 3 mila euro su base annua per le spese sostenute per l'utilizzo dei cani guida da parte dei soggetti non vedenti. Via le limitazioni e ripristino dell'originario regime di detraibilità anche per le spese per i servizi di interpretariato dei sordomuti.
Fuori dalle limitazioni anche le spese per gli addetti all'assistenza personale delle persone non autosufficienti (badanti) che tornano ad essere detraibili, senza alcuna franchigia e senza concorrenza al tetto dei 3 mila euro, nel limite originario di spesa su base annua pari a euro 2.100.

Sono queste le modifiche apportate al testo definito dell'articolo 12 del disegno di legge di stabilità in materia di detrazioni e deduzioni d'imposta.
Nella versione definitiva dell'articolo 12 del testo del disegno di legge compare anche un nuovo paragrafo nel quale si specifica che subiranno le nuove franchigie di 250 e il tetto massimo di detrazione di 3 mila euro su base annuale anche le altre tipologie di oneri deducibili e detraibili dal redditi previsti da altre disposizioni normative diverse dal Tuir ma comunque riconducibili agli articoli 10 e 15 del Testo unico delle imposte sui redditi.
Alcune delle modifiche sopra riportate tendono a evitare alcune storture evidenziate dalla lettura della prima bozza del provvedimento. È il caso ad esempio delle spese mediche e di assistenza specifica dei soggetti disabili per i quali inizialmente si prevedeva l'introduzione della franchigia di deducibilità di 250 euro o quelle relative alle detrazioni per le spese dei cani guida o per le badanti.
Si tratta di modifiche con le quali si tende a ripristinare una sostanziale equità ed uniformità fra tipologie di spese aventi natura similare.
Resta invece confermata, nonostante le polemiche sollevate da più parti, la retroattività delle nuove limitazioni alla deduzione e detrazione dal reddito che si applicheranno già con riferimento all'anno 2012 (articolo ItaliaOggi del 18.10.2012).

PUBBLICO IMPIEGOCORRUZIONE/ Via libera con fiducia dal Senato al disegno di legge che ora va alla Camera. Pugno duro sugli illeciti anti-p.a.. Arriva un codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
Via libera con fiducia nell'aula del Senato (228 sì, 33 no e due astenuti) al maxi-emendamento del governo al disegno di legge anticorruzione (2156-B), che inasprisce le pene per illeciti a danno della pubblica amministrazione, predispone un codice di comportamento per i dipendenti e contiene una delega per l'incandidabilità dei condannati alle cariche elettive.
Il testo del ministro della giustizia Paola Severino che sarà, dichiara il premier Mario Monti, «un fattore di crescita per il paese», si compone di 84 commi e passa all'esame della Camera. Di seguito e nella tabella le novità principali.
Corruzione. Giro di vite per corruzione in atti giudiziari (da tre–otto anni a quattro-dieci, per quella aggravata la pena minima sale da quattro a cinque), corruzione propria (da quattro a otto anni, non più due–cinque), peculato (la pena minima cresce da tre a quattro anni) e abuso d'ufficio (da sei mesi–tre anni aumenta da uno a quattro anni).
Concussione. Modifiche al codice penale (art. 317) con un innalzamento della pena («reclusione da 6 a 12 anni») per il pubblico ufficiale che, «abusando della sua qualità e dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità».
Traffico di influenze illecite e corruzione fra privati. Il testo di Severino comprende anche le formulazioni sui reati di traffico di influenze e corruzione tra privati introdotti alla Camera: nel primo caso, si viene puniti sempre con la reclusione da uno a tre anni, ma solo in relazione «al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, o all'omissione, o al ritardo di un atto».
Quanto alla corruzione fra privati, arriva la procedibilità a querela di parte, però con un'eccezione che consentirà interventi d'ufficio alla magistratura inquirente, nel caso in cui «dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nell'acquisizione di beni e servizi».
Incandidabilità. Il governo s'impegna per adottare una norma sull'incandidabilità «alla carica di membro del Parlamento Ue, di deputato e senatore della Repubblica, alle elezioni regionali, provinciali comunali e circoscrizionali» dei condannati per reati contro la p.a. entro un anno, tuttavia il Guardasigilli promette di definire la delega in tempi brevi, «entro un mese».
Giudici fuori ruolo. Le toghe che vorranno assumere funzioni nell'apparato statale dovranno mettersi in «fuori ruolo» per tutta la durata dell'attività. E il periodo non potrà superare i dieci anni consecutivi.
La versione governativa che sostituisce l'art. 18 del ddl, prevede la regola valga per «tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'ufficio di gabinetto», affidati a «magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello stato»; e le mansioni in corso all'entrata in vigore della normativa «cessano di diritto se, nei 180 giorni successivi, non viene adottato il collocamento in fuori ruolo».
Il governo fisserà altri paletti: emanerà «entro 4 mesi» un dlgs per l'individuazione di ulteriori incarichi da non assegnare. Sotto la lente d'ingrandimento del legislatore «situazioni di conflitto di interesse tra funzioni esercitate presso l'Amministrazione di appartenenza e quelle in ragione del ruolo ricoperto fuori ruolo». Il limite dei dieci anni non si applicherà ai membri del governo, alle cariche elettive (Parlamento e Authority) e ai componenti delle Corti internazionali.
Codice etico. L'esecutivo stilerà un codice di condotta dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche per «assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse» collettivo.
Amministrazioni trasparenti. Sui siti istituzionali degli enti dovranno comparire i bilanci e i conti consuntivi, oltre ai costi di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi (articolo ItaliaOggi del 18.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISEMPLIFICAZIONI/ Il disegno di legge modifica il codice del processo amministrativo. Danni alla p.a. chiesti in un anno. Al giudice ordinario le opposizioni alle sanzioni Bankitalia.
Più tempo per chiedere i danni alle pubbliche amministrazioni; al giudice ordinario le opposizioni alle sanzioni di Bankitalia e Consob.

Il disegno di legge di semplificazione approvato martedì dal Consiglio dei ministri modifica, in questi due punti, il codice del processo amministrativo: porta a un anno il termine per proporre l'azione autonoma di danni e esclude la giurisdizione amministrativa per le controversie sui provvedimenti sanzionatori dell'istituto di via Nazionale. Il termine di decadenza della speciale azione di danni viene dunque triplicato (oggi è di 120 giorni). Ma vediamo dettagli degli interventi che toccano il settore della giustizia.
AZIONE DI DANNI CONTRO LA P.A.
Il ddl semplificazioni, spiega la relazione al provvedimento, rimodula l'azione risarcitoria, ampliando il termine per la proposizione dell'azione autonoma o diretta di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno.
Si tratta dell'azione con cui si chiede il risarcimento del danno all'amministrazione, senza impugnare un atto amministrativo o dopo avere impugnato, in un separato giudizio, un atto amministrativo lesivo.
Il cittadino ha, infatti, la possibilità di chiedere i danni subito insieme alla richiesta di annullamento di un atto lesivo oppure con un separato ricorso.
Questo separato ricorso può essere attivato subito (senza avere impugnato l'atto) oppure a conclusione del processo di annullamento.
Le regole attuali stabiliscono in entrambi questi ultimi due casi il termine di 120 giorni. Il disegno di legge di semplificazione sposta il termine rispettivamente a un anno e a sei mesi. Vediamo come.
La domanda di risarcimento autonoma (senza avere impugnato un atto) per lesione di interessi legittimi dovrà essere proposta entro il termine di decadenza di un anno decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato o comunque dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.
Nell'altra ipotesi (e cioè quella in cui sia stata proposta prima l'azione di annullamento dell'atto) la norma (articolo 30 del codice del processo amministrativo) prevede che la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a un certo termine dal passaggio in giudicato della relativa sentenza (che annulla l'atto). Il termine attuale è di 120 giorni, ma il disegno di legge di semplificazione lo allunga a sei mesi.
SANZIONI AMMINISTRATIVE
Secondo l'impianto attuale (articolo 133, comma 1, lettera l) del codice del processo amministrativo) appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca d'Italia, dagli Organismi regolati dal Testo unico bancario, dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, e dalle altre Autorità, dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dalla Commissione vigilanza fondi pensione, dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità della pubblica amministrazione, dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private.
Il disegno di legge sulle semplificazioni toglie alla giurisdizione amministrativa i provvedimenti sanzionatori, che invece ora sono inclusi.
La norma tiene conto della sentenza n. 162 del 20-27.06.2012, della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del processo amministrativo nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con cognizione estesa al merito, e alla competenza funzionale del Tar Lazio – sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Consob.
Analoghi profili di legittimità costituzionale riguardano la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Banca d'Italia.
Il disegno di legge sulle semplificazioni, dunque, ripristina la giurisdizione del giudice ordinario anche per le controversie aventi ad oggetto l'opposizione avverso i provvedimenti a contenuto sanzionatorio emanati dalla Banca d'Italia. Di conseguenza viene disciplinato il giudizio di opposizione contro i provvedimenti sanzionatori della Consob e della Banca d'Italia.
In proposito si segnala che il procedimento di opposizione, verrà regolato dall'articolo 6 del dlgs 150/2011, usando il rito del lavoro, anche se resta esclusa l'appellabilità delle decisioni, in quanto i giudizi sono affidati alla Corte d'appello.
CONFERENZA DEI SERVIZI
Il ddl semplificazione modifica l'articolo 14-quater, comma 3, della legge 241/1990, prevedendo un allungamento a 90 giorni del termine attualmente previsto di trenta giorni, per svolgere idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze tra stato e regioni: rimane ferma la possibilità per il governo, nel caso in cui l'intesa non sia comunque raggiunta, di deliberare unilateralmente. La modifica recepisce la sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 2012 (articolo ItaliaOggi del 18.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 18.10.2012

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICICONSIGLIO DEI MINISTRI/ Edilizia, il silenzio non ha valore. Se ci sono vincoli l'inerzia del comune non vale come rifiuto. Approvato il ddl con nuove semplificazioni per cittadini e imprese.
Eliminato il silenzio rifiuto sul permesso di costruire in caso di vincoli; semplificata la procedura per l'adeguamento degli strumenti urbanistici; ammesse agli appalti le imprese che hanno sottoscritto un contratto di rete, ridotta al 20% la quota delle garanzie non svincolabili fino al collaudo dell'opera pubblica; possibile lo svincolo delle garanzie di buona esecuzione rese dalla imprese di costruzioni per le opere in esercizio da almeno un anno e non ancora collaudate.
Sono queste alcune delle novità previste nel disegno di legge sulla semplificazione approvato dal Consiglio dei ministri di ieri, che conferma molte delle norme che erano state messe a punto nelle scorse settimane. Fra le modifiche apportate nell'ultima versione si segnala la scomparsa della norma sulla qualificazione delle imprese di costruzioni operanti nell'ambito della categoria Og 11 (impianti tecnologici) che avrebbe ridotto le percentuali di possesso dei requisiti nelle categorie Os 3, impianti idrici, Os 28, impianti termici e Os 30, impianti elettrici e telefonici, rendendo più facile la qualificazione.
Viene invece confermata la norma sull'eliminazione del silenzio rifiuto sul permesso di costruire per inerzia del comune in relazione all'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento di rilascio del permesso di costruire, quando esiste un vincolo ambientale, paesaggistico o culturale. Con la modifica apportata dal disegno di legge il governo richiede comunque che vi sia un provvedimento espresso, derubricando il «silenzio» dell'amministrazione a silenzio non avente valore di provvedimento di diniego. Viene anche chiarito che sia per immobile sottoposto a vincolo la cui tutela competa, anche in via di delega, all'amministrazione comunale, sia per immobile oggetto di vincolo che non compete al comune, non vi sia differenza di procedura: nel secondo caso occorre indire una conferenza di servizi che, con la novella del disegno di legge, diventa invece facoltativa.
Per quel che riguarda l'adeguamento degli strumenti urbanistici alle prescrizioni dei piani paesaggistici, il disegno di legge restituisce all'amministrazione competente il potere di provvedere sulla domanda di autorizzazione decorsi inutilmente i termini indicati per l'espressione del parere del soprintendente, senza la presunzione di parere favorevole del soprintendente decorsi 90 giorni dalla ricezione degli atti.
Viene confermata anche la modifica al Codice dei contratti pubblici che consentirà alle le aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete ai sensi del comma 4-ter, dell'articolo 3, del decreto legge 10.02.2009, n. 5 di partecipare alle gare di appalto, con l'applicazione delle regole previste per i raggruppamenti temporanei di imprese.
Così facendo si recepisce la richiesta formulata dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (segnalazione n. 2 del 27.09.2012) anche se il mero rinvio alla disciplina dei raggruppamenti non sembra idoneo a fare completa chiarezza sulle modalità di partecipazione. Eliminato anche l'obbligo di allegazione delle copie delle procure quando le stesse siano iscritte nel registro delle imprese.
Per quel che concerne le garanzie di buona esecuzione, si tocca l'articolo 113 del Codice dei contratti pubblici prevedendo che la quota dell'importo della garanzia non svincolabile in corso di esecuzione del contratto, passi dal 25 al 20% dell'iniziale importo garantito, consentendo quindi alle imprese di avere un livello minore di impegni.
Si introduce poi una norma sulle opere in esercizio stabilendo che, anche prima del collaudo, l'esercizio protratto per oltre un anno produca, a determinate condizioni, lo svincolo automatico delle garanzie di buona esecuzione prestate a favore dell'ente aggiudicatore, senza necessità di alcun benestare, ferma restando una quota massima del 20% da svincolare all'emissione del certificato di collaudo.
Per gli appalti affidati alla data di entrata in vigore della disposizione, le cui opere siano state in tutto o in parte poste in esercizio prima dell'entrata in vigore della legge nei termini indicati dalla norma, il termine per lo svincolo automatico avviene a decorrere da tale data e ha durata di 180 giorni.
Infine si interviene per semplificare e accelerare le procedure per il rilascio dei provvedimenti di Via (valutazione impatto ambientale) e di parere di Vas (valutazione ambientale strategica) sopprimendo l'obbligo di acquisire il parere dei ministeri diversi da quelli concertanti (articolo ItaliaOggi del 17.10.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGOLE SEMPLIFICAZIONI/ I contenuti del Ddl. Nelle semplificazioni-bis stop al «silenzio-rifiuto» e Durc valido 180 giorni. Il Governo non accelera: niente decreto, avanti con il Ddl.
LE MISURE PER I CITTADINI/ I certificati di malattia professionale vanno inviati solo online, la documentazione Tarsu va rilasciata insieme al cambio di residenza e arrivano i titoli di studio in inglese.

Con una settimana di ritardo rispetto alla tabella di marcia originaria arrivano le semplificazioni bis. I sette giorni trascorsi tra il Consiglio dei ministri di martedì scorso, che doveva vararle, e quello di ieri, che le ha approvate, non sono serviti a cambiare "pelle" al provvedimento, da disegno di legge a decreto, come chiedevano le imprese e il Garante per le Pmi, Giuseppe Tripoli. Ddl era e tale è rimasto.
Le speranze di una sua introduzione in tempi stretti è ora affidata alla possibilità di approvarlo in almeno una delle due Camere in commissione in sede deliberante. Pressoché immutati anche i pilastri del testo: Durc valido 180 giorni; addio al "silenzio-rifiuto" per il permesso di costruire sui beni vincolati; imprese individuali esonerato dal Codice della privacy; invio on-line del certificato di malattia. Mentre è scomparso all'ultima curva il taglio del 2% sugli interessi da versare sui crediti contributivi dilazionati.
I 33 articoli del Ddl proseguono nello snellimento della burocrazia avviato con il Dl "Semplifica-Italia" di febbraio. Agli 8,14 miliardi di oneri amministrativi su cui si è intervenuti all'epoca si aggiungono ora altri 4,6 miliardi. Molti dei quali (circa 3,7) concentrati nel pacchetto sulla sicurezza lavoro. Tra gli adempimenti destinati a sparire vanno segnalati quelli sui lavoratori assunti per meno di 50 giorni l'anno, che toccherà a un decreto di Lavoro e Salute individuare. I datori di lavoro si vedranno ridotti anche gli obblighi di comunicazione dei dati sanitari che da soli costano 372 milioni. Confermata inoltre la sostituzione del documento di valutazione dei rischi da interferenze (il cosiddetto Duvri) con la nomina di un incaricato ad hoc. Un adempimento che pesa per 390 milioni a cui vanno aggiunti i 308 milioni prodotti dall'obbligo di presentare il Duvri nelle attività a basso rischio.
Ancora più cospicua la massa di spesa "aggredibile" nei piccoli cantieri: 2,6 miliardi dovuti ai vari piani di sicurezza che un decreto attuativo snellirà. Completano il quadro delle semplificazioni sulla sicurezza le verifiche più rapide delle attrezzature da lavoro e l'obbligo del datore di inviare on-line all'Inail le denunce di infortunio. E, sempre in zona Inail, va segnalata la necessità per il medico di trasmettere per via telematica i certificati di malattia professionale e non solo quelli di malattia semplice. Una misura che, insieme alla possibilità di ottenere la certificazione ai Tarsu in abbinata al cambio di residenza e ai titoli di studio in lingua inglese, completa il mini-pacchetto per i cittadini.
Più di una norma è dedicata invece all'edilizia. A cominciare dall'eliminazione del silenzio-rifiuto per i permessi di costruire in presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali: la Pa dovrà pronunciarsi in maniera espressa. Senza dimenticare la fissazione a 45 giorni del termine di conclusione del procedimento di autorizzazione paesaggistica.
Tra le misure più attese dalle aziende vanno segnalate le semplificazioni per autorizzazione (Aia) e valutazione d'impatto ambientale (Via) e l'estensione a 180 giorni della durata del documento unico di regolarità contributiva (Durc) per partecipare agli appalti. Oltre alla possibilità di ottenere il Durc pure in presenza di debiti contributivi purché abbia crediti vero la Pa certi ed esigibili. Ma anche l'esonero delle imprese individuali dal Codice della privacy. Degne di nota infine la chance degli hotel dotati di bar o ristoranti di somministrare cibi e bevande senza richiedere l'apposita autorizzazione e quella delle reti di impresa di accedere alle gare di appalto (articolo Il Sole 24 Ore del 17.10.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATASEMPLIFICAZIONI/ Lavoro più facile nei cantieri. Imprese e autonomi non dovranno più produrre il Durc. Oggi il disegno di legge approda all'esame del consiglio dei ministri.
Accesso al lavoro più facile nei cantieri. Imprese e lavoratori autonomi, infatti, non dovranno più produrre il Durc per la propria regolarità contributiva: basterà una dichiarazione sostitutiva da parte del legale rappresentante o dello stesso lavoratore autonomo.
Lo stabilisce, tra l'altro, il pacchetto semplificazioni oggi all'esame del consiglio dei ministri. Pacchetto costretto a dura cura dimagrante con la scomparsa delle norme di semplificazione relative a collocamento obbligatorio, estensione della prosecuzione volontaria ai lavoratori parasubordinati, armonizzazione base di calcolo delle prestazioni non pensionistiche dell'Inps e alla comunicazione (Co) sui rapporti di lavoro (si veda ItaliaOggi del 18 e 19 settembre). Confermate, invece, le disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro.
Stop al Durc nei cantieri. La modifica riguarda l'articolo 90 del T.u. sicurezza (dlgs n. 81/2008), relativo agli obblighi per il committente o responsabile dei lavori nei cantieri.
La norma stabilisce che il committente o il responsabile dei lavori, nelle fasi di progettazione dell'opera, devono attenersi ai principi e misure generali di tutela, nonché, nel caso di affidamento dei lavori, a: a) verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa o del lavoratore autonomo a cui vengono affidati i lavori; b) chiedere alle imprese esecutrici una dichiarazione sull'organico medio annuo; c) trasmettere all'amministrazione concedente, prima dell'inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività, tra l'altro, il Durc.
Il pacchetto semplificazioni abroga quest'ultima previsione (consegna del Durc) e la sostituisce con l'obbligo di consegnare «in luogo del documento unico di regolarità contributiva, una dichiarazione sostitutiva del legale rappresentante dell'impresa o del lavoratore autonomo_ che l'amministrazione concedente è tenuta a verificare_».
Un solo Durc. Sempre in materia di Durc, il pacchetto semplificazioni estende la vigente previsione della misura «compensativa» per chi ha crediti nei confronti dello stato per il Durc richiesto per fruire di benefici normativi e contributivi a ogni tipologia di Durc.
Infatti, è oggi previsto il rilascio del Durc, anche in presenza di debiti contributivi, qualora l'impresa sia in possesso di una certificazione che attesti la sussistenza e l'ammontare di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati (che darebbero esito ad un Durc negativo).
Tuttavia, la norma fa riferimento esclusivo al Durc rilasciato per la fruizione di benefici «normativi e contributivi», per cui restano fuori i Durc richiesti per gli appalti pubblici e nell'ambito degli appalti privati in edilizia. Il pacchetto semplificazioni elimina questa disparità.
Sicurezza più facile. Il pacchetto semplificazioni conferma, invece, le novità sulla valutazione rischi con la previsione di una semplificazioni del documento per le piccole e medie imprese, addirittura con un procedimento più semplice.
La fissazione di tale disciplina semplificata viene rimessa a un decreto del ministro del lavoro, da adottarsi sentita la commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, entro 60 giorni dalla conversione in legge di quello che sarà il decreto legge semplificazioni (pacchetto).
Compiti fondamentali affidati al decreto sono: a) l'individuazione dei settori di attività a basso rischio infortunistico, per i quali sarà possibile effettuare la valutazione dei rischi standard; b) la predisposizione del modello ad hoc che servirà per attestare di avere effettuato la valutazione rischi (articolo ItaliaOggi del 16.10.2012).

PUBBLICO IMPIEGOLEGGE DI STABILITA'/ Assistere i genitori costerà caro. Retribuzione dimezzata per chi utilizza i permessi della 104. La valutazione della diagnosi funzionale passa dall'Asl all'Inps.
Dal 01.01.2013 avrà un costo anche la fruizione dei tre giorni di permesso mensile consentiti, per assistere i parenti disabili in situazione di gravità, previsti dall'articolo 33 della legge-quadro 05.02.1992, n. 104 e successive modificazioni e integrazioni. In particolare, se bisognosi di aiuto saranno i genitori del lavoratore pubblico.
É una delle modifiche alla legge 104 che sarebbero state inserite, il condizionale è d'obbligo fino a quando non sarà depositato in Parlamento il testo firmato dal presidente del consiglio dei ministri), nel disegno di legge di Stabilità.
L'altra attiene alla indicazione delle commissioni mediche a cui affidare le funzioni di valutazione della diagnosi funzionale propedeutica all'assegnazione del docente di sostegno all'alunno disabile. Delle due modifiche quella che avrà maggiore impatto sul personale della scuola è certamente quella relativa alla fruizione dei permessi previsti dall'articolo 33 della legge 104.
Il comma 3 dell'articolo 7 del disegno di legge dispone infatti che, a partire dal 01.01.2013 i permessi previsti dal predetto articolo 33 fruiti dai dipendenti pubblici, ivi compreso il personale direttivo, docente, amministrativo, tecnico ed ausiliario, dovranno essere retribuiti al 50 per cento anziché al 100 per cento come dispongono il comma 3-ter dell'articolo 2 del decreto legge 324/1993 e il comma 6 dell'articolo 15 del contratto collettivo nazionale del comparto scuola 27.11.2007.
Ai solo fini previdenziali tre giorni di permesso, da chiunque fruiti continueranno, invece, ad essere coperti da contribuzione figurativa. La penalizzazione non si applica, si legge sempre nel comma 3, se i tre giorni di permesso sono fruite direttamente dal personale disabile, dai genitori per assistere i figli o l'altro coniuge disabili in situazione di gravità.
I permessi indicati nell'articolo 33 in vigore sono:
a) quelli cui hanno diritto i genitori di minore con handicap in situazione di gravità (due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino) in alternativa al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa;
b) quelli cui hanno diritto i lavoratori che assistono il coniuge, un parente o affine entro il secondo grado handicappato in situazione di gravità( tre giorni mensili retribuiti coperti da contribuzione figurativa).
Se il contenuto del predetto comma 3 dovesse essere integralmente recepito nella legge che dovrà essere approvata dal Parlamento entro la fine del 2012, la prevista riduzione dello stipendio giornaliero dovrebbe riguardare esclusivamente i permessi di cui alla precedente lettera b), fatta eccezione per quelli previsti dal predetto comma 3) essendo impensabile che possa riguardare anche quelli di cui alla lettera a).
Per ognuno dei tre giorni di permesso eventualmente fruiti lo stipendio dovuto subirebbe una riduzione nella misura del 50 per cento di quello spettante al lordo. Al netto la riduzione potrebbe essere compresa, a seconda della qualifica ricoperta e della misura dello stipendio di anzianità in godimento, tra il 30 e il 40 per cento della retribuzione giornaliera netta.
La seconda modifica riguarda l'articolo 4 della legge 104. Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale, unitamente alle funzioni di valutazione della diagnosi funzionale propedeutica all'assegnazione del docente di sostegno all'alunno disabile previste dall'articolo 19, comma 11, del decreto legge 98/2011, saranno affidate non più, come disponeva l'articolo 4, alle commissioni mediche di cui all'articolo 1 della legge 295/1990 (unità sanitarie locali) ma a quelle dell'Inps (articolo ItaliaOggi del 16.10.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIConsip in campo per gli acquisti. Torna la Consip e gli acquisiti in e-commerce per le scuole.
La novità è contenuta nella bozza di legge di stabilità varata dal governo martedì scorso. Il provvedimento estende alle istituzioni scolastiche ed educative l'obbligo di approvvigionarsi facendo riferimento alle cosiddette convenzioni quadro. Vale a dire giovandosi degli accordi secondo i quali imprese fornitrici, aggiudicatarie di gare indette dalla Consip su singole categorie merceologiche, s'impegnano ad accettare (alle condizioni e ai prezzi stabiliti in gara e in base agli standard di qualità previsti nei capitolati) ordinativi di fornitura da parte delle pubbliche amministrazioni, fino al limite massimo previsto (il cosiddetto massimale).
Le convenzioni attivate dalla Consip riguardano una spesa standard, cioè l'acquisto di quei beni e servizi che vengono largamente utilizzati da tutte le amministrazioni: computer, stampanti, gasolio per il riscaldamento degli edifici, ma anche pulizie. Acquistando attraverso la convenzione Consip, tutte le amministrazioni possono evitare di sostenere i costi di una gara d'appalto, anche nel caso in cui l'acquisto superi le soglie previste dalla legge (la soglia comunitaria che è di 206mila euro) e possono ottenere notevoli risparmi di processo oltre che sul prezzo dei beni. Infatti, aggregando la domanda delle amministrazioni, la Consip riesce ad abbattere i costi unitari d'acquisto (in media il 15-20% in meno, secondo rilevazioni dell'Istat), mantenendo al contempo standard qualitativi elevati nelle forniture.
Il provvedimento dispone anche che le scuole procedano agli acquisti utilizzando l'e-commerce. E a questo proposito è prevista anche l'emanazione di linee guida indirizzate per coordinare gli acquisti, suddivisi per natura merceologica, tra più istituzioni (articolo ItaliaOggi del 16.10.201).

PUBBLICO IMPIEGOLEGGE DI STABILITA'/ Il contratto non scatta fino al 2014. Congelate tutte le retribuzioni, a rischio pure i gradoni. Norma stralciata dal ddl, ricompare identica in decreto ad hoc.
Retribuzioni bloccate fino al 2014 e gradoni fermi per un altro anno. Il blocco era inizialmente previsto nella bozza della legge di stabilità varata dal governo martedì scorso. Ma poi è stato stralciato e sarà oggetto di un provvedimento a parte.
Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, il governo può procedere attraverso un semplice decreto, già in fase di ultimazione da parte del Tesoro, visto che una proroga era già ipotizzata dall'ultima manovra del precedente governo.
Resta il fatto che l'esecutivo Monti è fermo nella volontà di procedere alla riduzione delle retribuzioni di fatto degli operatori scolastici agendo in due direzioni: il blocco dei rinnovi contrattuali fino al 2014, con contestuale eliminazione anche dell'indennità di vacanza contrattuale, e il blocco dei gradoni fino al 2013. Timida apertura sulla monetizzazione delle ferie: sarà consentita in via residuale solo per i periodi non coperti dalle vacanze.
La mossa sulla contrattazione collettiva è in continuità con quanto previsto dalla legge 15/2009 e dal decreto Brunetta (dlgs 150/2009). Fermo restando che quest'ultimo, almeno nelle premesse, afferma comunque il primato della contrattazione ai fini della regolazione dei diritti e dei doveri dei lavoratori pubblici e della pubblica amministrazione in qualità di datore di lavoro.
In modo particolare per quanto riguarda le retribuzioni. Precisazione doverosa da parte del legislatore, dopo che le Sezioni unite, con la sentenza n. 21744 del 14.10.2009, avevano individuato nel contratto collettivo la fonte primaria del rapporto di lavoro. Ma c'è dell'altro.
La Corte di cassazione, infatti, è costante nel ritenere che la retribuzione sufficiente, di cui parla l'articolo 36 della Costituzione, sia da rinvenirsi negli importi determinati dalla contrattazione collettiva e non dal datore di lavoro. E quindi le disposizioni varate dal governo, per ridurre unilateralmente l'importo delle retribuzioni potrebbero addirittura essere «in odore di incostituzionalità».
I contratti
Quanto alle disposizioni nello specifico, va anzitutto segnalato il blocco delle retribuzioni per altri due anni. Il decreto legge 78/2010, infatti, aveva previsto tale blocco solo fino al 2012. E quindi, il governo ha ritenuto di bloccare la contrattazione per altri due anni, fino al 2014 incluso. Giova ricordare che l'ultimo contratto è stato sottoscritto il 29.11.2007.
Tra l'altro si prevede che non ci sia neanche il pagamento dell'indennità di vacanza contrattuale, e che questa potrà essere pagata nel triennio 2015-2017 facendo riferimento all'inflazione programmata e non più all'Ipca, il tasso europeo, più pesante di quasi mezzo punto percentuale rispetto alla vecchia inflazione.
I gradoni
Da allora le retribuzioni sono ferme. Anzi, sono diminuite. Da una parte per la perdita del potere di acquisto che ogni anno, nella migliore delle ipotesi, si mangia quasi il 3%. E dall'altra parte perché il governo Berlusconi ha bloccato i gradoni per tre anni, dal 2010 al 2013. Il 2010 è stato salvato in extremis con un accordo sindacale, traendo i fondi da un terzo dei risparmi derivanti dal taglio di circa 135mila posti di lavoro nella scuola, inizialmente destinati a finanziare il merito.
Ma sul 2011 si stava ancora trattando, sebbene senza esito, al punto che Cisl, Uil, Gilda e Snals hanno già avviato le procedure per lo sciopero ( la Cgil ha scioperato il 12 ottobre scorso). E mentre la tensione tra governo e sindacati era già arrivata al punto di non ritorno, l'esecutivo ha previsto la proroga di un altro anno del blocco dei gradoni: fino al 2013.
Torna la monetizzazione
Nella bozza di legge di stabilità è contenuta anche una disposizione che reintroduce la monetizzazione parziale delle ferie per i precari che, a causa della ridotta durata del contratto, non abbiano potuto fruirne nei periodi di sospensione delle lezioni.
In particolare, il dispositivo prevede una deroga al divieto previsto dall'articolo 5, comma 8, del decreto legge 06.07.2012, n. 95. E dispone che il divieto non si applichi al personale docente supplente breve e saltuario o docente con contratto sino al termine delle lezioni o delle attività didattiche, limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione fruire delle ferie (articolo ItaliaOggi del 16.10.2012).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Legge di stabilità/ LE NOVITÀ PER LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA.
Appalti, liti a costo variabile. Il contributo unificato è calcolato in proporzione al valore della causa.
RICHIAMO DELLA UE/ La modifica è stata indotta da una lettera dell'Unione a Palazzo Chigi nella quale si prefigura l'infrazione comunitaria.

Dissuadere i ricorsi ma anche incentivarli. È la linea su cui si muove il disegno di legge di Stabilità approvato dal Governo nella notte tra martedì e mercoledì. Quello che sembra all'apparenza un comportamento schizofrenico, in realtà ha obiettivi ben precisi. Da un lato, infatti, si è calcata la mano sul contributo unificato da pagare in caso di impugnazione quando le controversie si rivelano, alla fine, pretestuose, cioè portate avanti con evidenti scopi dilatori: sulle cause di appello respinte integralmente, dichiarate inammissibili o improcedibili, gli importi, infatti, raddoppiano. L'intento è di evitare che le aule delle corti vengano affollate di ricorsi destinati fin dall'origine a bocciatura certa, che distolgono il personale togato e non dal lavoro su altri fronti del contenzioso.
Dall'altro lato, il contributo unificato è stato differenziato per permettere un accesso meno restrittivo alla giustizia. È il caso degli importi versati per le cause in materia di appalti e per quelle relative ai provvedimenti delle Autorità di garanzia. Ricorsi, dunque, di competenza dei giudici amministrativi. Il Dl 98 del 2011, convertito dalla legge 111, ha ritoccato verso l'alto il contributo unificato e ha raddoppiato gli importi per il contenzioso sulle opere pubbliche, portandolo da 2mila a 4mila euro. Spesa che non ha eguali fra quelle che, in tutte le giurisdizioni, si devono versare per chiedere giustizia.
È pur vero che le cause di appalti hanno un valore molto alto, che facilmente supera i milioni di euro. Esistono, però, anche ricorsi il cui valore ha molti meno zeri, sui quali un contributo unificato di 4mila euro diventa un peso significativo, inducendo la parte a rinunciare, per questioni economiche, al processo.
È una riflessione a cui il nostro Governo è stato indotto dalla Commissione europea, che ha scritto una lettera a Palazzo Chigi e al ministero dell'Economia per chiedere ragguagli sugli effetti dell'aumento del contributo unificato, in particolare di quello relativo ai ricorsi sugli appalti pubblici. La Ue ha domandato come mai quest'ultimo importo sia stato stabilito in misura fissa e non proporzionale rispetto al valore della causa.
Le delucidazioni chieste dall'Europa non sono mosse da semplice curiosità. Alle spalle c'è il rischio da parte dell'Italia dell'ennesima infrazione comunitaria, perché l'aumento del contributo unificato sugli appalti si porrebbe in contrasto con la direttiva 89/665/Ue, modificata dalla direttiva 2007/66/Ce, entrambe in materia di appalti pubblici, e sarebbe non in linea anche con i principi fondamentali del Trattato. Ciò che si potrebbe configurare è, infatti, una compressione del diritto alla concorrenza attraverso vincoli eccessivi al diritto di giustizia.
La lettera ha innescato un confronto tra Palazzo Chigi, Mef e giudici amministrativi, sfociato, appunto, nella norma contenuta nel Ddl di stabilità. Disposizione che ha scaglionato il contributo unificato dovuto per i ricorsi sugli appalti pubblici, diminuendo l'importo da versare per le cause di minor valore e aumentando, fino a 6mila euro, quello per le controversie più ricche.
Per riequilibrare i conti, il Governo ha però aumentato il contributo unificato per i ricorsi in cui si applica il rito abbreviato comune (l'importo è passato da 1.500 a 1.800 euro) e quello per tutte le altre cause, compresi i ricorsi al presidente della Repubblica, che è cresciuto di 50 euro, da 600 a 650. Inoltre, il contributo unificato aumenta del 50% per le controversie che dal Tar vanno all'appello del Consiglio di Stato.
Il nuovo impianto trova d'accordo i giudici amministrativi. Secondo il presidente del Consiglio di Stato, Giancarlo Coraggio, in questo modo si è riequilibrato il carico delle spese di giustizia per chi deve fare ricorso e si è allontanato il rischio dell'apertura di un caso da parte del l'Unione europea (articolo Il Sole 24 Ore del 15.10.2012).

APPALTI: Obblighi fiscali. L'intermediario o il Caf possono certificare il versamento delle ritenute e dell'Iva relative ad appaltatore e subappaltatore.
Appalti solidali, professionisti in guardia. Nella circolare 40/E niente modello standard di asseverazione né chiarimenti sui rischi.

La nuova disciplina sulla responsabilità fiscale «solidale» tra appaltatore e subappaltatore per il versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva nell'ambito dei contratti di appalto e subappalto di opere e servizi, prevista dal Dl 83/2012, chiama in causa non soltanto i soggetti della "catena" (committente, appaltatore e subappaltatore), ma anche i professionisti e i Caf che li assistono.
Come talvolta accade, anche con riferimento alla verifica degli adempimenti in materia tributaria prevista dal Dl 83/2012, il legislatore "scarica" agli operatori in materia lavoristica e fiscale la responsabilità di attestare la regolarità degli stessi.
Infatti, secondo quanto previsto dalla norma e in parte chiarito dalla circolare delle Entrate 40 dell'08.10.2012 (si veda Il Sole 24 Ore del 9 ottobre), oltre alla soluzione «fai da te», gli appaltatori e i subappaltatori potranno rivolgersi ai professionisti abilitati per richiedere l'asseverazione dell'attestazione dell'avvenuto adempimento degli obblighi fiscali, utile a dimostrare il regolare versamento dell'Iva e delle ritenute sui redditi da lavoro dipendente (Irpef e addizionali regionali e comunali), scaduti alla data del pagamento del corrispettivo.
Il rilascio dell'attestazione
La circolare delle Entrate non illustra, però, le conseguenze che si potrebbero verificare se l'attestazione rilasciata dovesse risultare non corretta: in particolare, non spiega in quali rischi potrebbe incorrere il professionista.
Peraltro, non essendo stata fissata una validità dell'asseverazione, questi dovrà prestare molta attenzione alle tempistiche del rilascio, eventualmente indicando che il controllo comprende i versamenti effettuati fino a una certa data: in caso contrario, il rischio è quello di produrre una dichiarazione non allineata.
Sarebbe stata comunque auspicabile l'adozione di una modulistica standard da adottare sia in caso di asseverazione, sia in caso di dichiarazione sostitutiva, così da garantire una maggiore chiarezza.
La verifica dei dati
Il professionista, se non già in possesso dei dati necessari, potrebbe chiedere al cliente l'elenco dei lavoratori adibiti all'appalto-subappalto e delle relative buste paga, per verificare la rispondenza delle ritenute operate rispetto a quelle versate con il modello F24.
Questo aspetto si rivela molto complicato, soprattutto nel caso di imprese di dimensioni elevate e con diversi contratti di appalto-subappalto in atto: in queste ipotesi, solo un controllo capillare (su tutto il complesso aziendale) può garantire -per esclusione- che siano stati assolti anche gli obblighi riferiti al contratto in questione.
L'altro aspetto dai contorni ancora nebulosi riguarda proprio quale tipologia di controlli sia chiamato a svolgere l'intermediario: in caso contrario, difficilmente quest'ultimo si sentirà di rilasciare un'asseverazione di regolarità. A meno che non disponga di una conoscenza approfondita della situazione del cliente.
Dal tenore della circolare emerge altresì che il contenuto dell'attestazione deve comprendere anche i riferimenti inerenti l'Iva e le ritenute sui redditi da lavoro dipendente non versate, perché ad esempio l'obbligo di versamento non è mai sorto (reverse charge) o perché il tributo è stato compensato.
Infine, rimane da chiarire se nel controllo dei versamenti debbano essere comprese anche le ritenute sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente quali -ad esempio- quelle operate sui compensi di eventuali lavoratori parasubordinati impiegati nelle prestazioni in appalto-subappalto.
Poiché, come è stato anche chiarito dalla circolare del Lavoro n. 5/2011, questi soggetti possono godere delle tutele derivanti dalla solidarietà, è possibile che vi rientrino anche le ritenute sui relativi compensi.
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Gli altri adempimenti. Sanzione da 5mila a 200mila euro. Il committente paga se omette il controllo.
La circolare delle Entrate 40/2012 non ha risolto la totalità dei dubbi sul tema della responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore per il versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva (dettata dal Dl 223/06, articolo 35, comma 28, come riscritto dall'articolo 13-ter del Dl 83/2012) ma ha offerto un primo importante chiarimento: i nuovi obblighi operano solo per i contratti di appalto-subappalto stipulati a partire dal 12.08.2012 e in relazione ai pagamenti dei corrispettivi effettuati dall'11 ottobre scorso.
La materia è complessa, non solo per la mancanza di un Codice che raccolga tutte le norme, ma anche per le modifiche che, nel 2012, hanno interessato il quadro legislativo. Peraltro, le conseguenze per gli "attori" del contratto di appalto possono essere molto pesanti, sia per il coinvolgimento nel meccanismo solidaristico, sia per le sanzioni previste.
Il Dl sulle semplificazioni fiscali, varato a marzo (Dl 16/2012, comma 5-bis dell'articolo 2) aveva disposto la responsabilità solidale tra i soggetti della filiera dell'appalto per il versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva riferite all'appalto, nel limite di due anni dalla cessazione dell'appalto stesso.
Il regime della solidarietà tracciato da questa disposizione sarebbe scattato se il soggetto coinvolto non avesse dimostrato di aver messo in atto tutte le cautele possibili: era una formulazione talmente ampia e priva di parametri di riferimento da non lasciare -in pratica– alcun "paracadute" per salvarsi dalle nuove regole sulla solidarietà (in vigore, peraltro, dal 29 aprile all'11.08.2012).
Nel sistema in vigore oggi, dopo le modifiche del Dl 83/2012, sebbene il campo di applicazione sia lo stesso, ci sono due diversi livelli di coinvolgimento per i soggetti interessati nell'appalto, a cui corrispondono specifici oneri amministrativi.
L'appaltatore risponde in solido con il subappaltatore, nei limiti dell'ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente e dell'Iva dovuta dal subappaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito dell'appalto. Nell'attuale versione della norma, la solidarietà non è più limitata a una scadenza temporale ma alla prescrizione ordinaria riferita alle ritenute in questione.
Il committente invece, pur non essendo chiamato a rispondere dei mancati versamenti all'erario da parte dei soggetti della filiera, è obbligato a una stringente azione di controllo sulla regolarità degli stessi che –in caso di mancata attuazione– può comportare una sanzione amministrativa da 5mila a 200mila euro.
Infine, la circolare 40/2012 sembra estendere la responsabilità anche al committente, fattispecie che la norma non prevede
(articolo Il Sole 24 Ore del 15.10.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Procedure amministrative. Le semplificazioni introdotte dal decreto 83/2012.
Permessi edilizi più veloci in conferenza dei servizi. Gli assenti possono inviare il parere favorevole.

Con le novità dettate dal decreto sviluppo –il Dl 83/2012– lo sportello unico per l'edilizia (Sue) costituisce l'unico punto di accesso per il privato interessato in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti il titolo abilitativo e l'intervento edilizio, che risponde al posto di tutte le Pa coinvolte.
Tra i compiti dello sportello c'è anche quello di acquisire – anche mediante conferenza dei servizi – gli atti di assenso delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità (articolo 5, comma 1-bis, del Dpr 380/2001) nonché gli altri pareri di autorità eventualmente coinvolte nel procedimento, come ad esempio il parere vincolante della Commissione per la salvaguardia di Venezia per gli interventi in quell'area. E proprio all'accelerazione della conferenza dei servizi è dedicata un'altra delle modifiche del Dl 83.
La conferenza dei servizi è uno strumento di semplificazione procedimentale disciplinato in via generale dagli articoli 14 e seguenti della legge 241/1990. Esistono due tipi di conferenza dei servizi. Quella istruttoria, prevista dal comma 1 dell'articolo 14 della legge, può essere indetta quando è opportuno che l'attività istruttoria relativa a un certo procedimento si svolga con la collaborazione di più soggetti pubblici variamente interessati.
La riunione «decisoria»
Più complessa è la disciplina del l'altro tipo di conferenza dei servizi, quella decisoria. L'adozione di un determinato provvedimento amministrativo è sempre competenza di una specifica amministrazione (per i titoli edilizi, il Comune). Tuttavia, nei procedimenti più complessi, la competenza dell'amministrazione procedente si integra con quella di altre amministrazioni a tutela di determinati interessi superiori. E così, ad esempio, l'attività dei permessi edilizi è sempre soggetta al parere delle Pa poste a tutela del paesaggio, dell'ambiente, della salute pubblica, del patrimonio storico e archeologico.
Quando ciò avvenga, ciascuna di queste amministrazioni è chiamata a dare il proprio assenso. Quando queste amministrazioni siano più d'una e le valutazioni da compiere siano particolarmente complesse, l'esercizio dei loro poteri potrebbe rallentare notevolmente il procedimento. La conferenza dei servizi, obbligatoria ormai per la stragrande maggioranza dei procedimenti, consente la valutazione, in un'unica sede di tutti gli interessi variamente coinvolti nel procedimento. Tutte le amministrazioni sono convocate in un'unica sede secondo le forme previste dall'articolo 14-ter della legge 241 perché esprimano nella medesima sede il proprio assenso o dissenso all'interno della conferenza dei servizi entro un dato termine.
La conferenza e gli assenti
La regola è che le determinazioni in sede di conferenza dei servizi vengano prese a maggioranza degli enti coinvolti: meglio, l'amministrazione che ha la competenza ad adottare il provvedimento finale può provvedere se ha l'assenso della maggioranza degli enti interessati. In alcuni casi, tuttavia, esigenze di tutela di interessi superiori giustificano dei correttivi. E così, ad esempio, se il procedimento ha ad oggetto permessi relativi ad opere soggette a valutazione di impatto ambientale, la decisione finale non può essere assunta prescindendone, mentre il dissenso di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, o del patrimonio storico e artistico può essere superato solo con la remissione della decisione alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
In ogni caso le amministrazioni coinvolte hanno l'onere di intervenire in conferenza dei servizi manifestando la propria posizione. Qualora ciò non avvenga, salvo per i provvedimenti in materia di Via e Vas, si considera assunto l'assenso dell'amministrazione, anche se preposta alla tutela paesaggistico territoriale e ambientale, il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata.
Da ultimo, dopo le modifiche del Dl 83/2012, le amministrazioni che intendono esprimere parere positivo possono non intervenire alla conferenza di servizi e trasmettere i propri atti di assenso. Non sarà necessario, pertanto, che le amministrazioni volta per volta interessate al procedimento partecipino fisicamente alle riunioni della conferenza dei servizi inviando un loro rappresentante autorizzato a esprimere la volontà per l'ente, essendo sufficiente l'invio tempestivo di un atto d'assenso allo sportello. Infine la determinazione adottata dalla conferenza di servizi è, ad ogni effetto, titolo per la realizzazione dell'intervento.
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La giurisprudenza. Gli orientamenti del Consiglio di Stato. L'atto finale va impugnato verso tutte le Pa coinvolte.
I PIANI DI SVILUPPO/ In caso di ristrutturazione degli impianti industriali l'assenso adottato dagli enti si traduce in una variante da sottoporre al Comune.

La conferenza dei servizi è uno strumento procedimentale di semplificazione. Ha lo scopo di far riunire in un unico luogo, fisico o anche virtuale (conferenza dei servizi telematica), tutte le amministrazioni che possono essere interessate, per la tutela degli interessi alla quale sono preposte, ad esprimere il proprio parere su un procedimento.
Quello che occorre sempre tenere a mente è che, anche quando viene utilizzato lo strumento della conferenza dei servizi, da un lato l'amministrazione competente a emettere il procedimento finale è sempre una, dall'altro che il modulo procedimentale della conferenza dei servizi non supera la soggettività delle singole amministrazioni coinvolte nel procedimento.
La conferenza dei servizi non è pertanto un organo nuovo e diverso rispetto ai soggetti che vi partecipano, ma rappresenta solamente un modo operativo col quale queste prendono coscienza del procedimento in corso ed esprimono il loro parere sul progetto. E così, nel caso di procedimenti complessi per il rilascio di titoli edilizi l'autorità competente sarà sempre una, ossia il Comune, mentre tutte le altre amministrazioni preposte alla tutela di interessi diversi hanno l'onere di esprimere il proprio parere sul progetto per il quale è richiesto il permesso di costruire nell'ambito della conferenza dei servizi.
Questa è l'impostazione ribadita recentemente dal Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza del 02.05.2012, n. 2488, secondo il quale «l'utilizzo del modulo procedimentale della conferenza di servizi, che come tale non configura un ufficio speciale della pubblica amministrazione, autonomo rispetto ai soggetti che vi partecipano, non altera le regole che presiedono, in via ordinaria e generale, all'individuazione delle autorità emananti».
Con questa decisione il Consiglio di Stato, oltre a precisare ancora una volta i caratteri della conferenza dei servizi, si preoccupa di ribadire che l'impugnazione del provvedimento finale di assenso o dissenso deliberato in sede di conferenza dei servizi deve essere impugnato non nei confronti della «conferenza dei servizi», non costituendo questa un organo nuovo e distinto dai suoi partecipanti, bensì nei confronti di tutte le singole amministrazioni coinvolte.
I caratteri della conferenza dei servizi sono confermati anche dalla sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 2170 del 16.04.2012, in materia di piani di sviluppo industriale ex Dpr 447 del 1998, secondo la quale la ristrutturazione o l'ampliamento degli impianti industriali sono soggetti a un iter semplificato che si risolve in un procedimento che, mediante la conferenza di servizi indetta dal responsabile del procedimento, porta alla formazione di una proposta di variante sulla quale il consiglio comunale si pronuncia definitivamente per giungere, con una variante urbanistica adottata nell'ambito della conferenza di servizi, alla rapida realizzazione di tali iniziative, anche quando esse siano in contrasto con gli strumenti urbanistici in vigore, purché il relativo progetto sia conforme alle norme in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro e lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi o queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato.
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Il caso della Dia. È ancora possibile rivolgersi all'ufficio.
Allo sportello unico per l'edilizia, del quale si discuteva l'abolizione visto l'insuccesso relativo che l'istituto aveva avuto sul piano pratico –specie se paragonato con lo sportello per le attività produttive– sono ora attribuiti poteri e competenze che appaiono idonei a garantire un buon impulso procedimentale. Questo, pertanto, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe essere lo strumento di accertamento di tutte le attività di competenza comunale relative alle pratiche edilizie, oltre che l'ufficio deputato a dare impulso al procedimento edilizio.
Tant'è vero che le comunicazioni al richiedente sono trasmesse esclusivamente dallo sportello unico per l'edilizia; gli altri uffici comunali e le amministrazioni pubbliche diverse dal Comune, che sono interessati al procedimento, non possono trasmettere al richiedente atti autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche a contenuto negativo, comunque denominati e sono tenuti a trasmettere immediatamente allo sportello unico per l'edilizia le denunce, le domande, le segnalazioni, gli atti e la documentazione ad esse eventualmente presentati, dandone comunicazione al richiedente.
Viene da chiedersi, a questo punto, se sia ancora possibile, come avviene oggi nella prassi, che gli interessati si facciano parte diligente e si rivolgano direttamente alle amministrazioni interessate per risolvere i profili di tutela dei valori vincolati, prima di presentare al Comune il progetto edilizio. A giudicare dalle nuove disposizioni parrebbe di no, e che il Sue accentri e assorba ogni competenza. Anche perché secondo il nuovo comma 7-bis dell'articolo 5 del Dpr 380/2001 «le amministrazioni pubbliche diverse dal Comune, che sono interessate al procedimento sono tenute a trasmettere immediatamente allo sportello unico per l'edilizia le denunce, le domande, le segnalazioni, gli atti e la documentazione ad esse eventualmente presentati, dandone comunicazione al richiedente», con la conseguenza che la domanda di nulla osta presentata direttamente all'ente competente sarebbe destinata a tornare in Comune prima ancora di essere istruita nel merito.
Eppure un'attività preventiva del privato che scegliesse di rivolgersi alle amministrazioni interessate per ottenerne l'assenso prima della presentazione del progetto parrebbe consentita, almeno per gli interventi soggetti a Dia, dall'articolo 23, Dpr 380/2001, non modificato in parte qua, laddove consente l'allegazione alla Dia del parere favorevole dell'amministrazione preposta, ad esempio, alla tutela paesaggistica e ambientale.
Sempre in termini di accelerazione e semplificazione, il decreto sviluppo è intervenuto anche sul procedimento di rilascio del permesso di costruire (articolo 20 Dpr 380/2001) prevedendo che, se entro i 60 giorni non siano intervenute tutte le intese, i concerti, i nulla osta o gli assensi, il responsabile dello sportello unico indice la conferenza di servizi
(articolo Il Sole 24 Ore del 15.10.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI: Decreto enti locali/1. Moltiplicate le forme di monitoraggio: sono definiti contenuto minimo, responsabili e tipologie.
Controlli interni, si riparte da sei. Le nuove verifiche si aggiungono alla valutazione prevista dalla legge Brunetta.

I controlli interni passano da quattro a sei, o meglio a sette se consideriamo che la valutazione è disciplinata dalla legge Brunetta, anche se due di questi non si applicano agli enti locali con meno di 10mila abitanti. Il loro contenuto minimo viene per la prima volta definito in modo preciso dallo stesso legislatore nel D.L. 10.10.2012 n. 174.
A queste regole si devono aggiungere le forme di controllo interno previste da altre disposizioni: basta ricordare oltre alla valutazione dei dirigenti, dei responsabili e del personale, anche le relazioni sulla performance e sulla trasparenza imposte dal Dlgs 150/2009, oltre all'intensificazione del ruolo della Corte dei conti prevista dallo stesso Dl, il monitoraggio della spesa del personale e della contrattazione integrativa e le verifiche che ogni ente locale dovrà attivare una volta che le norme anticorruzione diventeranno legge.
Dal primo esame delle norme si può concludere che da una condizione di sostanziale assenza di controlli, e dalla loro sostituzione in modo assai limitato e spesso casuale con gli interventi censori delle magistrature penali, civili, contabili e amministrative e dalle visite ispettive, si passi a una condizione di eccesso di controlli. E, inoltre, non è affatto detto che le nuove regole permettano di raggiungere lo scopo di migliorare la qualità dell'attività amministrativa e il tasso di legittimità dell'attività degli enti locali.
Il vecchio testo del Dlgs 267/2000 prevedeva, in analogia a quanto dettato per tutte le amministrazioni statali dai Dlgs 286/1999 e 165/2001, quattro forme di controllo interno, lasciando un'amplissima autonomia di regolamentazione alle singole amministrazioni: regolarità amministrativa e contabile, di gestione, valutazione dei dirigenti e realizzazione dei programmi politico amministrativi. Forme di controllo che non sono sostanzialmente decollate nella gran parte delle amministrazioni. Con le modifiche introdotte dal Dl si introduce il pacchetto dei sei nuovi controlli: di regolarità amministrativa e contabile, di gestione, strategico, di verifica degli equilibri finanziari della gestione, della gestione degli organismi esterni, della qualità dei servizi erogati.
Gli enti locali che hanno una popolazione inferiore a 10mila abitanti (quindi non solo i comuni, ma anche le unioni, le superstite comunità montane eccetera) non devono attivare i controlli della gestione degli organismi esterni (cioè in primo luogo le società partecipate o controllate) e della qualità dei servizi erogati, anche attraverso la customer satisfaction. Viene prevista la possibilità di realizzare questi controlli in forma associata attraverso lo strumento della convenzione.
L'altro elemento che più caratterizza queste disposizioni è costituito dalla previsione del contenuto minimo che le varie forme di controllo interno devono soddisfare. Infatti vengono individuati i soggetti chiamati a svolgere tali attività, il contenuto ed il flusso delle informazioni con gli organi di governo dell'ente. La norma si preoccupa di garantire che lo svolgimento di queste attività non determini oneri aggiuntivi, preoccupazione sicuramente assai importante, ma non tiene conto della possibilità di prevedere forme di migliore utilizzazione degli organismi di valutazione, di recente potenziati, senza costi aggiuntivi, dalla legge Brunetta (articolo Il Sole 24 Ore del 15.10.2012 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALIPer la regolarità amministrativa direzione affidata al segretario.
Il marcato potenziamento dei compiti di controllo successivo assegnati ai segretari è uno degli effetti di maggiore rilievo contenuti nel D.L. 10.10.2012 n. 174. Questo effetto si farà ancor più sentire con l'approvazione della legge anticorruzione, che responsabilizza direttamente i segretari nel coordinamento delle iniziative che le singole amministrazioni devono assumere sul versante della prevenzione di questo fenomeno.
Il risultato combinato di queste disposizioni non potrà che determinare conseguenze anche sullo status dei segretari, a partire dall'accelerazione del processo di convenzionamento di questa figura nella gran parte dei piccoli Comuni, oltre che dalla necessità di differenziare le attribuzioni di controllo e garanzia da quelle che sono più intimamente collegate alla gestione e di rafforzare la sua indipendenza.
Il decreto responsabilizza direttamente i segretari nella direzione del controllo di regolarità amministrativa e contabile nella fase successiva allo svolgimento della attività amministrativa; va ricordato che nella fase preventiva questo controllo è rimesso ai pareri tecnici dei singoli dirigenti e a quello del dirigente finanziario. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile nella fase successiva si deve dirigere sulle determinazioni, sugli impegni di spesa, sui contratti e non sulle deliberazioni, visto che nel procedimento di loro formazione il segretario interviene già direttamente partecipando alle riunioni dei consigli e delle giunte e avendo in quelle sedi il potere e il dovere di evidenziare i profili di illegittimità.
Il segretario viene inoltre responsabilizzato direttamente a garantire la trasmissione delle risultanze di questa forma di controllo interno agli organi di governo, ai dirigenti, ai revisori dei conti e agli organismi di valutazione. Nel rispetto di questi principi, le singole amministrazioni avranno un'ampia autonomia regolamentare, ad esempio per la scelta delle modalità con cui decidere gli atti da controllare e con cui supportare il ruolo del segretario.
Una seconda importante scelta contenuta nel provvedimento è quella di imporre alle singole amministrazioni l'obbligo di garantire comunque uno ruolo specifico del segretario nella «organizzazione del sistema dei controlli interni».
Si deve inoltre segnalare il vincolo che i segretari siano direttamente coinvolti, anche se non con un ruolo di direzione, nel controllo degli equilibri finanziari. Il che sottolinea la crescente funzione di garanzia che il segretario viene a svolgere in tale forma di controllo interno.
Inoltre nelle province e nei comuni con popolazione superiore a 10mila abitanti, i direttori generali o i segretari sono impegnati a trasmettere, per conto del vertice politico dell'ente, con cadenza semestrale alla Corte dei conti il referto della regolarità della gestione e dell'efficacia e adeguatezza dei sistemi di controllo interno, informando anche il Presidente del Consiglio comunale o provinciale (articolo Il Sole 24 Ore del 15.10.2012 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVISubito al via gli esami preventivi agli atti. Il parere tecnico «vincola» tutte le delibere.
L'immediata operatività di alcune disposizioni del D.L. 10.10.2012 n. 174 determina la riorganizzazione di molte fasi dei processi decisionali.
Le nuove norme relative ai pareri sulle deliberazioni e a quelli dell'organo di revisione sono in vigore dal 10 ottobre, con l'inserimento nel Tuel: di conseguenza, le amministrazioni devono adeguare le procedure per la formazione degli atti di giunta e consiglio al nuovo quadro di regole, a pena di illegittimità degli stessi.
In base alla nuova formulazione dell'articolo 49 del Dlgs 267/2000, per le deliberazioni di giunta e di consiglio va richiesto il parere di regolarità tecnica del responsabile di servizio, ma, se esse comportano riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, va acquisito anche il parere del responsabile del servizio finanziario in ordine alla regolarità contabile (comma 1).
La resa dei pareri deve avvenire in relazione alla proposta di deliberazione formata e sottoposta all'organo collegiale per l'adozione, con il loro inserimento nel testo della stessa. Giunta e Consiglio possono discostarsene in sede di approvazione dell'atto, ma devono darne adeguata motivazione nel testo della deliberazione (comma 4). La norma ha contenuto analogo a quello dell'articolo 6, comma 1, lettera e), della legge 241/1990 in linea generale per i provvedimenti amministrativi.
La disposizione consente comunque ai due organi collegiali di adottare altre decisioni, che potranno assumere la configurazione di meri atti di indirizzo, tuttavia restringendo di fatto l'ambito di utilizzo degli stessi.
Nel caso in cui l'ente non abbia i responsabili dei servizi (quindi nelle ipotesi di Comuni di ridotte dimensioni), i pareri sono espressi dal segretario dell'ente, in relazione alle sue competenze.
In tema di pareri incide anche la nuova formulazione dell'articolo 239 del Tuel, che riporta all'organo di revisione la resa di una serie di pareri obbligatori su alcune delle decisioni di massima rilevanza per la situazione economico-finanziaria e organizzativa dell'ente locale. La norma prevede, peraltro, che la resa dei pareri sia disciplinata da un regolamento, che non potrà essere che quello di contabilità, creando un singolare paradosso, poiché i revisori devono svolgere la loro azione consultiva anche sulle proposte di regolamenti relativi alla contabilità (come pure quelli in materia di economato, patrimonio e applicazione dei tributi locali). Le valutazioni dell'organo di revisione sugli oggetti specifici indicati nell'articolo 239 sono obbligatorie e vanno formulate con un giudizio articolato su congruità, coerenza e attendibilità contabile in rapporto alle previsioni di bilancio.
Anche l'integrazione apportata all'articolo 109 del Tuel, sui presupposti per la revoca del responsabile del servizio finanziario e sul percorso per la formalizzazione della stessa (comprensivo del parere obbligatorio del ministero dell'Interno e del Mef-Rgs), comporta l'immediata operatività della procedura. Di conseguenza, un atto di revoca da parte del sindaco o del presidente della Provincia (in forma di ordinanza) non sostenuto dal presupposto di gravi irregolarità nell'esercizio delle funzioni assegnate, e senza il parere obbligatorio dei due ministeri, sarebbe illegittimo (articolo Il Sole 24 Ore del 15.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

LAVORI PUBBLICIControlli immediati del Consiglio. La stretta coinvolge anche i lavori urgenti.
Sempre al fine di mettere un freno alle spese degli enti locali, il Dl 174/2012 è particolarmente restrittivo anche sui lavori pubblici di somma urgenza dovuti a eventi eccezionali o imprevedibili, che spesso, anche per la notevole frequenza cui vi si ricorre e per gli elevati importi connessi, hanno ripercussione di notevole entità sugli equilibri finanziari dell'ente.
Si supera il precedente ordinamento più "blando”, che prevedeva una regolarizzazione dei lavori ordinati –a cura del responsabile del procedimento– a pena di decadenza entro 30 giorni, e comunque entro il 31 dicembre dell'anno, e la comunicazione al terzo interessato (appaltatore/fornitore) contestualmente alla regolarizzazione. I lavori di somma urgenza vengono ricondotti nell'ambito della casistica dei debiti fuori bilancio, come tali soggetti alla relativa procedura, coinvolgendo il responsabile del procedimento, la giunta e il consiglio comunale. A quest'ultimo viene di fatto demandato il compito di verificare la sussistenza dei presupposti normativi e contabili in ordine alla legittimità della procedura intrapresa e di apprestare la relativa copertura finanziaria.
Infatti, nel sostituire l'articolo 191, comma 3, del Dl 267/2000, il D.L. 10.10.2012 n. 174 prevede che, «per i lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento eccezionale o imprevedibile, la giunta, entro dieci giorni dall'ordinazione fatta a terzi, su proposta del responsabile del procedimento, sottopone all'organo consiliare il provvedimento di riconoscimento della spesa con le modalità previste dall'articolo 194, prevedendo la relativa copertura finanziaria nei limiti delle accertate necessità per la rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica incolumità. Il provvedimento di riconoscimento è adottato entro 30 giorni dalla data di deliberazione della proposta da parte della giunta, e comunque entro il 31 dicembre dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine. La comunicazione al terzo interessato è data contestualmente all'adozione della deliberazione consiliare».
Si tratta, quindi, di un controllo consiliare immediato (con funzione di ratifica dell'operato del responsabile del procedimento che ha ordinato i lavori). Una novità che potrebbe limitare i lavori di somma urgenza ai casi in cui l'intervento è assolutamente indifferibile e condivisibile (articolo Il Sole 24 Ore del 15.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

aggiornamento al 15.10.2012

INCARICHI PROFESSIONALILEGGE DI STABILITÀ/ Un freno alle parcelle dei legali. Il giudice non può liquidare per valori superiori alla causa. Chi vince non potrà ribaltare su chi perde somme maggiori della controversia.
Parcelle degli avvocati calmierate in giudizio. La legge di stabilità stabilisce che il giudice non può liquidare compensi giudiziali in misura maggiore del valore della causa. Se il giudizio riguarda una controversia del valore di 2 mila euro, chi vince non potrà ribaltare su chi perde una somma maggiore.
E se il compenso pattuito con il proprio avvocato fosse più alto, la parte eccedente rimarrà a carico del cliente, anche se ha vinto la causa.

Vediamo i dettagli della questione.
La legge di stabilità propone di sostituire il quarto comma dell'articolo 91 del codice di procedura civile. La nuova versione, come scritta nel disegno di legge, prevede che i compensi liquidati dal giudice e posti carico del soccombente non possono superare il valore effettivo della causa.
L'attuale quarto comma dell'articolo 91 del codice di procedura civile formula la stessa regola, ma limitatamente alle cause previste dall'articolo 82 del medesimo codice: si tratta delle cause il cui valore non eccede i 1.100 euro, di competenza del giudice di pace.
Peraltro nella versione vigente il tetto riguarda non solo i compensi per l'avvocato, ma ogni possibile voce: «spese, competenze e onorari».
Nella modifica proposta dalla legge di stabilità il tetto riguarda qualunque causa, anche se si precisa che i compensi non comprendono le spese. Quindi il giudice potrà liquidare i compensi con il tetto dell'importo del valore della causa, mentre le spese si aggiungono. Si tratta di un criterio di liquidazione delle spese di giudizio che si aggiunge a quelli previsti dal decreto 140/2012 sui cosiddetti parametri, sostitutivi delle tariffe forensi.
L'effetto di questa disposizione è un possibile vantaggio per chi perde la causa e uno svantaggio per chi vince la causa. Questo si verifica soprattutto quando il valore della causa è basso e il compenso stabilito dal giudice (che deve rispettare il tetto) è più probabile che sia minore della cifra che l'interessato e l'avvocato hanno inserito nel contratto stipulato tra di loro.
Inoltre la quantità e la qualità della prestazione professionale può essere rilevante, anche per cause di importo piccolo. Altro possibile effetto è quello di disincentivare il ricorso alla giustizia, considerata la prospettiva di non poter recuperare i soldi che si spenderanno. Si deve aggiungere che l'avvocato dovrà informare il cliente di questa regola, consentendo al cliente di agire con consapevolezza dei costi.
Il disegno di legge di stabilità interviene anche sulle entrate dei tribunali e in particolare sul contributo unificato e cioè il balzello da pagare ogni volta che ci si rivolge al sistema giustizia. Si tratta di aumenti del contributo, soprattutto nel settore della giustizia amministrativa.
Gli incrementi riguardano tutti i tipi di procedimento, anche se rispetto a una prima versione del disegno di legge c'è qualche differenza. Nella versione originaria aumentava da 300 a 350 euro il contributo per ricorsi in materia di accesso ai documenti amministrativi e quelli avverso il silenzio dell'amministrazione: l'ultimo testo disponibile non contempla più queste ipotesi.
Una ritocco (confrontando testo originario e ultimo testo disponibile) riguarda anche gli appalti.
Nel disegno di legge sulla stabilità, per queste controversie di competenza del Tar e del Consiglio di stato, si individua una scaletta in base al valore della causa: il contributo dovuto è di euro 2 mila (contro i 3 mila della prima versione) quando il valore della controversia è pari o inferiore a euro 200 mila; per quelle di importo compreso tra 200 mila e 1.000.000 euro il contributo dovuto è di euro 4.000, mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro è pari ad euro 6 mila (era 5 mila nella versione originaria). Aumenta il contributo unificato anche per tutti i processi amministrativi in materie diverse da quelle sopra elencate: si passa, infatti, da 600 a 650 euro.
Incremento sensibile si deve registrare per tutti i giudizi in cui si applica il rito abbreviato con termini ridotti a metà (materie previste dal libro IV, titolo V, del codice del processo amministrativo e altre disposizioni speciali): il contributo unificato passa da 1.500 euro a 1.800 euro.
Inoltre si pagherà un contributo doppio per i giudizi di impugnazione avanti al consiglio di stato e si paga un secondo contributo nel caso in cui le impugnazioni anche civili siano respinte o dichiarate improcedibili o inammissibili (articolo ItaliaOggi del 13.10.2012).

APPALTIContratti pubblici, alla Sogei la gestione della banca dati.
La gestione della Banca dati nazionale sui contratti pubblici sarà affidata in house a una società del ministero dell'economia (la Sogei), ma c'è il rischio di uno slittamento della scadenza del primo gennaio 2013, data di attivazione del sistema di verifica online dei requisiti di ammissione alle gare; vietato alle autorità indipendenti il conferimento di incarichi di consulenza informatica, salvo casi eccezionali.

È quanto prevede una norma del disegno di legge di stabilità che, per promuovere la razionalizzazione della spesa pubblica in materia informatica, obbliga l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture a stipula una convenzione ad hoc con il ministero dell'economia e delle finanze per la gestione, anche attraverso «propria società in house» (e la scelta parrebbe cadere sulla Sogei), della Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 6-bis del Codice dei contratti pubblici.
Si tratta della Banca dati che dovrebbe partire il 01.01.2013 (anche se si parla già di una possibile proroga), che consentirà alle stazioni appaltanti di effettuare online la verifica dei requisiti di partecipazione alle gare di appalto di lavori, forniture e servizi, snellendo e semplificando le procedure, con una riduzione rilevante del contenzioso. Il governo sembra quindi indicare un percorso diverso (la gestione in house) da quello, finalizzato all'esternalizzazione della gestione dei servizi informatici, che al momento l'Autorità sembra avere seguito, con le gare di questi ultimi mesi.
La norma prevede che la convezione regoli la durata, i compiti, le modalità operative e gestionali del servizio e assicuri la copertura dei relativi costi (che è probabile verranno «ribaltati» sull'utenza, cioè sui partecipanti alle gare). L'Autorità manterrà vigilanza e controllo sulle attività di gestione della Bdncp.
Peraltro l'Autorità sembra essere destinataria, indirettamente, anche di un'altra norma del disegno di legge che riguarda i servizi informatici e fa divieto alle autorità indipendenti e alla Consob di conferire incarichi di consulenza in materia informatica salvo casi eccezionali, adeguatamente motivati, in cui occorra provvedere alla soluzione di problemi specifici connessi al funzionamento dei sistemi informatici. Se le Autorità e le altre amministrazioni violeranno il divieto scatterà la responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti (articolo ItaliaOggi del 13.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALILEGGE DI STABILITÀ/ Partecipate nel mirino. Saltano blocco contratti e contributo di solidarietà. P.a., consulenze non rinnovabili. Proroga solo in via eccezionale. E il compenso resta lo stesso.
Tempi duri per l'esercito di consulenti degli enti pubblici. Gli incarichi (per forza di cose temporanei e altamente qualificati come prevede il Testo unico del pubblico impiego) non potranno essere rinnovati e sarà ammessa la proroga solo in via eccezionale se il progetto per cui sono state conferite le consulenze non è ancora stato completato a causa di ritardi non imputabili al collaboratore. E, particolare non di poco conto, anche in caso di proroga, il compenso resterà quello pattuito al momento del conferimento dell'incarico. Il giro di vite sulle consulenze si estenderà anche alle partecipate, ossia alla galassia delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni, su cui si era già abbattuta la scure della spending review. Oltre a essere soggette al tetto del 50% della spesa 2009 per co.co.co. e contratti a termine, saranno soggette ai limiti e agli obblighi di trasparenza nel conferimento degli incarichi vigenti per tutta la pubblica amministrazione.

Ancora una volta il taglio delle spese della p.a. passa attraverso la messa a dieta delle consulenze. Il ddl di stabilità 2013 non sfugge a questa regola ormai consolidata, stabilendo un generale divieto di rinnovo degli incarichi, salvo le eccezioni di cui si è detto.
Chi invece può sorridere sono i grand commis di stato per il dietrofront sulla proroga a tutto il 2014 del contributo di solidarietà (5% sopra i 90 mila euro lordi annui di stipendio, 10% sopra i 150 mila) introdotto dalla manovra 2010 di Giulio Tremonti. Salta anche il blocco del rinnovo dei contratti pubblici per il 2014.
Il doppio passo indietro è stato imposto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 223/2012 che giovedì ha dichiarato incostituzionale il prelievo (si veda ItaliaOggi di ieri). Stessa sorte è toccata alla trattenuta del 2,5% sul tfr degli statali, anche questa prevista dal dl 78/2010 e spazzata via dalla Consulta. Con la conseguenza che ora le p.a. dovranno restituire le somme illegittimamente trattenute a decorrere dal 1° gennaio 2011. Secondo la Uil-Fpl nelle tasche degli statali dovrebbero tornare in media 600 euro l'anno per un lavoratore di fascia C. «Una grande soddisfazione» che il sindacato guidato da Giovanni Torluccio rivendica rimarcando la differenza con le altre sigle sindacali le quali, ricorda, «non hanno dimostrato alcun interesse in proposito, ma anzi hanno fatto proprie le tesi dell'Inpdap sulla correttezza della trattenuta del 2,50%».
«Sin dall'approvazione della norma, abbiamo sempre sostenuto che fosse illegittima in quanto violava il principio di eguaglianza e quello di parità di trattamento retributivo rispetto al settore privato», ha proseguito.
Tornando al ddl di stabilità, l'unica novità confermata rispetto all'impianto originario, riguarda il dimezzamento della retribuzione (non sarà toccata invece la contribuzione figurativa) dei permessi fruiti per assistere familiari disabili (per esempio i genitori). Continueranno a essere pagati al 100% i permessi richiesti per patologie dello stesso dipendente o per l'assistenza ai figli o al coniuge.
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Giro di vite sugli acquisti di auto e immobili.
Scatta subito il divieto per le pubbliche amministrazioni di acquistare o prendere in leasing autovetture. Divieto che, però, non si applica per gli acquisti effettuati dalle amministrazioni che ricadono nel cosiddetto comparto sicurezza e per quelle che devono garantire i livelli essenziali di assistenza sociale e sanitaria. Dal prossimo Capodanno, le stesse p.a. non possono acquistare immobili né stipulare contratti di locazione passiva, salvo che non si tratti di rinnovi di contratti già in essere. Dal 2014, invece, gli enti territoriali e quello del Servizio sanitario nazionale potranno effettuare operazioni di acquisto di immobili solo se sarà documentata e certificata l'assoluta indispensabilità del predetto immobile ai fini istituzionali.
Stretta, invece, per il biennio 2013-2014, sull'acquisto di mobili e arredi. Le p.a. a tal fine, non dovranno sforare il 20% della spesa sostenuta nel 2011. Infine, anche le scuole e le università dovranno attingere alle convenzioni presenti sul mercato telematico per l'acquisto di beni e servizi. È quanto contenuto all'interno della legge di stabilità varata dall'esecutivo nella serata di mercoledì scorso e che, in pratica, fa stringere ancora di più la cinghia al comparto della pubblica amministrazione.
Auto nuove addio. Un divieto senza precedenti quello che si abbatte sul parco auto della p.a. La legge di stabilità, infatti, dispone che le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico Istat (anche gli enti territoriali, pertanto) a decorrere dalla data di entrata in vigore della stessa, non possono acquistare autovetture né possono acquisirle mediante la stipula di contratti di leasing.
E per evitare qualche «furbetto», la norma tiene a precisare che si intendono revocate anche le procedure di acquisto iniziate dal 9 ottobre scorso. Da questo taglio netto con il passato, escluse espressamente le amministrazioni del comparto sicurezza e quelle che sono tenute a garantire servizi sociali e sanitari. La norma, infine, sancisce che per le regioni il divieto costituisce una condizione inderogabile ai fini dell'erogazione dei trasferimenti erariali.
Stretta sugli immobili. Per il prossimo anno, tutte le p.a. e le authority non potranno acquistare immobili né stipulare contratti di locazione passiva. Divieto che non opera nel caso di rinnovi contrattuali ovvero nei casi in cui la «nuova» locazione sia economicamente più vantaggiosa per acquisire disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi.
Dal gennaio 2014, invece, scatterà il divieto per gli enti territoriali e per quelli del Ssn di acquistare immobili. Tranne nei casi in cui il responsabile del procedimento attesti «l'indispensabilità e l'indilazionabilità» dell'operazione. Quest'ultima, inoltre, dovrà essere connotata dalla massima trasparenza in quanto, sia il prezzo pattuito (che dovrà essere preliminarmente definito congruo dall'Agenzia del demanio) che il soggetto alienante, dovranno essere resi noti sul sito internet dell'ente.
A dieta su mobili e arredi. Per il prossimo biennio, l'esecutivo intende sforbiciare anche la spesa sostenuta dalle p.a. per mobili e arredi. Si dispone, infatti che tutte le p.a., le authority e la Consob (ma non gli enti e gli organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome e dagli enti locali) non potranno sostenere spese a tali fini di ammontare superiore al 20% della spesa sostenuta nel 2011. I dirigenti responsabili dell'eventuale violazione ne risponderanno sotto il profilo amministrativo e disciplinare. I risparmi conseguiti dovranno essere versati entro il 30 giugno al bilancio statale.
Scuola e mercato telematico. Operando una modifica all'articolo 1, comma 449, della legge finanziaria 2007 (la legge n. 296/2006), l'esecutivo ha disposto che anche gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e quelle universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi dei beni e servizi disponibili sul mercato telematico, utilizzando le cosiddette convezioni-quadro (articolo taliaOggi del 13.10.2012).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Giunte provinciali a dieta. Possibile nominare meno assessori del minimo. Sì ai tagli se c'è la volontà politica. Ma bisogna modificare lo statuto.
È possibile nominare un numero di assessori provinciali inferiore al minimo fissato dallo statuto?

Ai sensi del comma 2 dell'art. 47 del Tuel, «gli statuti, nel rispetto di quanto previsto dal comma 1, possono fissare il numero degli assessori ovvero il numero massimo degli stessi»; il comma 1 prevede il numero massimo nella misura di un terzo e comunque non superiore a dodici unità.
Nel demandare all'autonomia statutaria la determinazione numerica degli assessori, il legislatore statale ha legittimato la possibilità di prevedere un numero «fisso» ovvero «flessibile», senza fissare il numero minimo, ma stabilendo un limite massimo inderogabile.
Prevedendo «che lo statuto possa stabilire il numero effettivo degli assessori nominabili», lo stesso legislatore impone «una verifica in sede locale dell'individuazione del numero ottimale di componenti della giunta» (Consiglio di stato V, 31/12/2003, n. 9315), che, presupponendo una ponderata valutazione politico-amministrativa delle esigenze dell'ente, consente la nomina del numero di assessori reputato ottimale .
Nell'ambito del delineato criterio di riferimento definito nel citato articolo 47, si deduce che la norma dello statuto che stabilisce il numero dei componenti della giunta diviene vincolante per l'ente locale e può essere derogata solo attraverso una modifica della medesima disposizione.
A tal fine giova il riferimento alla sentenza n. 3357/2009, con la quale il Consiglio di stato, pronunziatosi sul quorum di maggioranza necessario per modificare il regolamento per il funzionamento del consiglio comunale, ha affermato il principio che «una volta adottato il regolamento contenente una specifica previsione in ordine alle maggioranze occorrenti per le proprie modifiche, l'adozione di queste non può che trovare disciplina in quelle norme di cui il consiglio stesso si è dotato, alle quali l'ente deve attenersi essendo ben noto come una pubblica amministrazione non possa disapplicare le regole da essa poste, se non previo ritiro ed ancorché illegittime».
Ove, quindi, si delinei la volontà politica di ridurre la compagine degli assessori occorrerà procedere, preliminarmente, ad una apposita modifica della disposizione statutaria inerente la quantificazione degli stessi, nel senso ritenuto (articolo ItaliaOggi del 12.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Numero assessori.
Un comune può nominare due assessori in più rispetto al numero massimo previsto dalla vigente normativa, se la norma statutaria tuttora vigente prevede un limite massimo superiore?
La determinazione numerica degli assessori rientra nella materia «organi di governo» dei comuni rimessa, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lett. p), della Costituzione, alla potestà legislativa esclusiva dello stato.
Quest'ultima, invero, per il profilo considerato riconosce a comuni e province, quale unico spazio di autonomia, la possibilità di individuare nello statuto una misura «fissa» ovvero «flessibile» di assessori, purché, in entrambi i casi, entro il limite massimo prescritto, che non può mai essere superato.
Peraltro, secondo l'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 267, «l'entrata in vigore di nuove leggi che enunciano espressamente i principi che costituiscono limite inderogabile per l'autonomia normativa dei comuni e delle province abroga le norme statutarie con essi incompatibili. I consigli comunali e provinciali adeguano gli statuti entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore delle leggi suddette».
Pertanto l'eventuale disposizione statutaria incompatibile con le intervenute modifiche normative non può trovare applicazione.
Inoltre, come ha evidenziato la circolare del ministero dell'interno prot. n. 2915 del 18.02.2011, a decorrere dal 2011, in occasione del successivo rinnovo elettorale, il numero dei consiglieri sarà ridotto del 20% e di conseguenza, nel caso dei comuni con più di 30 mila abitanti, il numero massimo degli assessori dovrà essere calcolato su 25 unità (24 consiglieri più il sindaco).
Nel caso di specie, pertanto, non è possibile la nomina di ulteriori assessori (articolo ItaliaOggi del 12.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: DECRETO SALVA ENTI/ Spending review sterilizzata solo per i comuni soggetti al Patto. Fondo anti-dissesto ricco nel 2012. Dotazione extra di 500 mln per pagare stipendi e fornitori.
Previsione di un'extra dote per il fondo anti-dissesto 2012. Correzione del decreto «Semplifica Italia» per superare i rilievi del Consiglio di stato sul regolamento in materia di Imu degli enti non commerciali. Obbligo di rendere pubblici gli stati patrimoniali degli amministratori. Sterilizzazione dei tagli della spending review solo per i comuni soggetti al Patto.

Sono queste le principali novità per gli enti locali contenute nel dl 174/2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 237 di mercoledì e quindi in vigore da ieri.
Rispetto alle bozze esaminate in consiglio dei ministri la settimana scorsa, il testo finale del provvedimento innanzitutto quantifica l'ammontare del «Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali». Il nuovo strumento (destinato agli enti che presentano pesanti squilibri strutturali di bilancio e che richiederanno di aderire alla «procedura di riequilibrio finanziario pluriennale» disegnata dai nuovi artt. 243-bis, 243-ter e 243-quater del Tuel.) potrà contare per quest'anno su 30 milioni di euro, che diventeranno 100 il prossimo e 200 per ciascuno degli anni dal 2014 e 2020.
Per il solo 2012, la dotazione finanziaria base sarà incrementata di ulteriori 500 milioni destinati esclusivamente al pagamento delle spese di parte corrente relative al personale, alla produzione di servizi in economia ed all'acquisizione di servizi e forniture, già impegnate e comunque non derivanti dal riconoscimento di debiti fuori bilancio. Una parte della copertura finanziaria è stata trovata utilizzando i 60 milioni stanziati dall'art. 1, commi 59 e 60, della legge 220/2010 (e mai utilizzati) per far fronte al pagamento degli interessi passivi maturati dai comuni per il ritardato pagamento dei fornitori, nonché una quota parte delle risorse (1 miliardo) al medesimo fine appostate dall'art. 35 del dl 1/2012.
Il Fondo, precisa la norma, sarà altresì alimentato dalle somme via via rimborsate dagli enti locali beneficiari. Questi, infatti, potranno ricevere anticipazioni fino ad un massimo di 100 euro per abitante ma dovranno restituirle entro 10 anni. I criteri per la determinazione dell'importo massimo dell'anticipazione, nonché le modalità per la concessione e per la restituzione saranno definiti con un decreto del ministero dell'interno da emanare entro il prossimo 30 novembre. Al riguardo, si conferma che dal beneficio sono esclusi gli enti per i quali è già stato dichiarato il dissesto (è il caso del comune di Alessandria) o è già stato fissato dalla Corte dei conti il termine per l'adozione delle misure correttive (casi di Reggio Calabria e Ancona). Agli altri enti, invece, potrà essere anche concessa, sussistendo motivi di urgenza, una boccata d'ossigeno immediata, da riassorbire in sede di predisposizione e attuazione del piano di riequilibrio finanziario.
La seconda novità rilevante riguarda l'inserimento nel testo di una norma che integra l'art. 91-bis del dl 1/2012, relativo all'applicazione dell'Imu agli enti non commerciali. La novella estende il potere regolamentare del governo alla definizione di tutti gli elementi necessari all'applicazione dell'imposta, con particolare riguardo agli immobili a uso promiscuo. In tal modo, vengono superati i rilievi mossi dal Consiglio di stato alla proposta di regolamento applicativo già elaborato dal Mef.
Ancora, va segnalata la previsione di un obbligo per gli enti locali con popolazione superiore a 10.000 abitanti di disciplinare le modalità di pubblicità e trasparenza dello stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche elettive e di governo di loro competenza. Dovranno essere resi pubblici i dati di reddito e di patrimonio, con particolare riferimento alle dichiarazioni annuali, ai beni immobili e mobili registrati posseduti, alle partecipazioni in società quotate e non quotate, alla consistenza degli investimenti in titoli obbligazionari, titoli di stato, o in altre utilità finanziarie detenute anche tramite fondi di investimento, sicav o intestazioni fiduciarie.
Infine, viene precisato che la parziale sterilizzazione dei tagli (500 milioni in tutto) previsti per il 2012 dall'art. 16 del dl 95/2012 a carico dei comuni riguarda solo quelli soggetti al Patto, i quali potranno evitare la mannaia destinando l'importo corrispondente alle riduzioni «teoriche» (che saranno comunque calcolate entro fine mese) all'estinzione anticipata dei debiti. Le relative somme, tuttavia, non saranno valide ai fini del Patto e quindi dovranno essere detratte dagli accertamenti delle entrate correnti ai fini del calcolo del relativo saldo. Coloro che non riusciranno a utilizzare tutto l'importo per ridurre il «rosso» si vedranno decurtata la differenza nel 2013. Una beffa ulteriore per gli enti virtuosi che avessero già ridotto o addirittura estinto i mutui a loro carico e che in tal caso subiranno il taglio per intero (articolo ItaliaOggi del 12.10.2012).

LAVORI PUBBLICI: Opere incompiute al test. Entro il 31 marzo elenchi dalle p.a. appaltanti. Lo prevede la nuova bozza di regolamento del ministero infrastrutture.
Entro il 31 marzo di ogni anno le stazioni appaltanti dovranno comunicare quali opere possono considerarsi «incompiute»; al Ministero delle infrastrutture e alle regioni spetterà il compito di mettere in linea l'elenco-anagrafe delle opere incompiute al fine di valutarne l'eventuale diversa destinazione d'uso o un utilizzo parziale rispetto a quanto programmato e progettato.
È quanto prevede la nuova bozza di regolamento ministeriale (predisposta dal dicastero delle infrastrutture e dei trasporti) sull'anagrafe delle opere incompiute, dopo la riunione tecnica che si è svoltasi il 12 settembre che ha consentito alle regioni e all'Anci di proporre diverse modifiche allo schema trasmesso in questi giorni alla Conferenza Unificata per il parere.
Lo schema attua l'articolo 44-bis, comma 6, della legge 214/2011 di conversione del decreto-legge «Salva Italia» (201/2011) che affida al ministro delle infrastrutture e dei trasporti il compito di emanare un regolamento che detti le modalità di redazione dell'elenco-anagrafe delle opere incompiute, nonché le modalità di formazione della graduatoria e dei criteri in base ai quali le opere pubbliche incompiute sono iscritte nell'elenco-anagrafe, tenendo conto dello stato di avanzamento dei lavori ed evidenziando le opere prossime al completamento.
Nel nuovo testo rimangono invariate le situazioni in presenza delle quali si può definire «incompiuta» un'opera pubblica: mancanza di fondi, cause tecniche che ne impediscano l'ultimazione, sopravvenienza di nuove norme tecniche o disposizioni di legge, fallimento dell'impresa esecutrice o, ancora recesso dal contratto per motivi legati a infiltrazioni malavitose, o infine «mancato interesse al completamento da parte del gestore».
Cambiano invece sia i soggetti tenuti alla pubblicazione dell'elenco, sia le modalità di pubblicazione.
Le regioni e le province autonome, per le opere di interesse regionale e locale, dovranno direttamente pubblicare i dati sui siti di cui al dm 06.04.2001, n. 20: sul sito regionale per lavori di interesse regionale; laddove il sito regionale non sia istituito, la pubblicazione deve invece avvenire sul sito del Ministero delle infrastrutture.
Anche per le attività di raccolta, redazione, monitoraggio e aggiornamento dei dati si modifica il testo precedente stabilendo che siano il Dipartimento per le infrastrutture e gli affari generali del Ministero (per le opere nazionali) e gli Osservatori regionali dei contratti pubblici o altri uffici regionali a ciò preposti (per le opere regionali e di interesse locale), a svolgere le attività di controllo.
Novità anche per la tempistica: entro il 31 marzo di ogni anno le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori tenuti ad applicare il Codice dei contratti pubblici, dovranno trasmettere i dati e le informazioni sulle opere incompiute al Ministero delle infrastrutture o alle regioni, o province autonome. Le stazioni appaltanti, una volta trasmessi i dati dell'opera incompiuta, potranno pubblicarli anche sul proprio sito istituzionale. Per quel che riguarda l'elenco delle informazioni da fornire per ogni opera dichiarata «incompiuta» il testo prevede anche l'inserimento del Codice unico di progetto (Cup) e la denominazione della stazione appaltante.
Entro il 30 giugno di ogni anno ministero e regioni (e le province autonome) pubblicano i dati nelle due sezioni dell'elenco-anagrafe. Nella prima fase di attuazione del regolamento si prevede, come norma transitoria) che le stazioni appaltanti trasmettano i dati entro 90 giorni dalla pubblicazione del regolamento e nei180 giorni Ministero e regioni provvedano alla pubblicazione sulle sezioni dell'elenco (articolo ItaliaOggi del 12.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Pa. Dopo la sentenza della Corte saltano i tagli del 5 e 10% sui superstipendi. Congelati i contratti pubblici.
BLOCCO PER IL 2014/ Confermata la sospensione della vacanza contrattuale e il dimezzamento dei salari per i giorni destinati alla cura dei familiari disabili.

Esce dal testo della legge di stabilità in via di perfezionamento la norma che congela il rinnovo dei contratti pubblici anche per il 2014. Per confermare lo stop si procederà con un atto amministrativo, esattamente come si è già fatto l'anno scorso, in attuazione di quanto previsto dal decreto legge 78/2010. E con quel provvedimento verrà confermata pure la sospensione della vacanza contrattuale, che potrà tornare solo in riferimento al biennio 2015-2017 con riferimento all'inflazione programmata (non al nuovo indice Ipca, visto che non è mai stato raggiunta un'intesa sindacale). Dalla legge di stabilità uscirà pure la proroga del «contribuito di solidarietà» che era stato introdotto sempre dal dl 78 (articolo 9) visto che quella norma è stata giudicata incostituzionale dal giudice delle leggi (si veda a pagina 13).
Nella versione del testo disponibile ieri resta invariata, invece, la norma che prevede il dimezzamento della retribuzione per i giorni utilizzati dai dipendenti pubblici per l'assistenza a familiari con disabilità. La retribuzione, secondo il provvedimento nella versione attuale, rimarrà piena solo se il permesso ex lege 104/1992 è dovuto a patologie del dipendente o all'assistenza a figli e coniuge: se l'assistito è un altro familiare (i permessi possono essere ottenuti per assistere parenti o affini entro il secondo grado, o entro il terzo grado se i genitori dell'assistito sono over 65 o portatori di handicap), lo stipendio della giornata sarà dimezzato, e si manterrà intera solo la contribuzione figurativa.
Si tratta di una norma molto delicata, che ha già acceso reazioni molto forti. L'obiettivo del Governo è tentare di aggredire una spesa significativa, visto che nel 2010 (sono gli ultimi dati disponibili) per garantire i permessi a 244.997 beneficiari (7,4% del totale dei dipendenti) è stata sostenuta una spesa superiore ai 725 milioni di euro (articolo Il Sole 24 Ore del 12.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Enti locali. Il decreto legge 174/2012 in vigore da ieri. Il ragioniere «vista» tutte le delibere di spesa.
LA FIGURA/ Il responsabile dei servizi finanziari opera in piena autonomia può essere revocato solo in caso di gravi irregolarità.

Con la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» 237 del 10.10.2012 del decreto legge 174, in vigore da ieri, è ridisegnato il ruolo del responsabile dei servizi finanziari degli enti locali.
Tale figura, in quattro modifiche apportate al Testo Unico degli enti locali, si delinea come un "baluardo" della tenuta della finanza locale. La prima riguarda il visto di regolarità contabile. La nuova formulazione dell'art. 49 del Tu prevede che ogni proposta di delibera che "comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente" deve obbligatoriamente ottenere il visto del ragioniere.
Le altre modifiche riguardano "status" e competenze del responsabile finanziario. La rivisitazione del Tu degli enti locali rende inamovibile il responsabile dei conti degli enti. Attraverso una modifica all'articolo 109 l'incarico del responsabile finanziario può essere revocato solo in caso di "gravi irregolarità riscontrate nell'esercizio delle funzioni". L'ordinanza del legale rappresentante dell'ente (sindaco o presidente della Provincia), per essere esecutiva, deve ottenere previamente un parere obbligatorio sia del Viminale che di via XX settembre.
Questa "inamovibilità" assume ancor più rilevanza se letta in modo coordinato, sia alle nuove tipologie di controlli affidate a tale figura, sia alle disposizioni contenute nel disegno di legge di stabilità 2013.
Rispetto alla mappatura dei controlli interni, il nuovo articolo 147 dispone che spetta al responsabile finanziario la funzione di garantire la gestione del bilancio e il rispetto degli obiettivi e dei vincoli di finanza pubblica determinati dal patto di stabilità interno. Per svolgere tali funzioni, il responsabile deve agire in piena autonomia e tenendo "conto degli indirizzi della Ragioneria generale dello Stato".
La garanzia e la salvaguardia dei vincoli di finanza pubblica sono esaltate dalla nuova normativa del Ddl stabilità. Il Ddl impone alle pubbliche amministrazioni una rigida programmazione finanziaria nell'esecuzione degli investimenti. Dal 2013, gli enti locali possono avviare le procedure per l'esecuzione dei lavori pubblici solo se sono in grado di garantire i termini di pagamento previsti dalla normativa, ossia, solo se sono è in grado di rispettare i vincoli imposti dal patto di stabilità interno già in sede di programmazione delle opere pubbliche e non, come accaduto in passato, rinviando all'esercizio successivo i pagamenti.
La norma prosegue dando la facoltà alle amministrazioni appaltanti di sospendere l'efficacia dei contratti già sottoscritti, senza diritto ad alcun indennizzo delle parti, nel caso in cui la prosecuzione del contratto non consenta il rispetto dei vincoli di finanza pubblica.
Il responsabile "in autonomia" e tenendo conto degli indirizzi che gli derivano dalla Ragioneria generale dello Stato, dovrà garantire che i lavori già finanziati e da programmare siano in linea con le norme relative alla tempestività dei pagamenti e il rispetto del patto di stabilità interno (articolo Il Sole 24 Ore del 12.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 12.10.2012

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGODECRETO SALVA-ENTI/ Più peso ai dirigenti nei comuni. I politici devono giustificarsi se si discostano dai pareri. Il provvedimento è stato pubblicato ieri in G.U. (dl 174/2012).
Giunte e consigli di comuni e province dovranno esplicitare le ragioni in base alle quali le delibere da essi approvate risultino difformi dai contenuti del parere di regolarità tecnica.
Il decreto legge sui controlli e gli equilibri finanziari di regioni ed enti locali (dl 174 del 10/10/2012, pubblicato sulla G.U. n. 137 di ieri) modifica l'articolo 49 del dlgs 267/2000, inserendo un nuovo comma 4, ai sensi del quale: «Ove la giunta o il consiglio non intendano conformarsi ai pareri di cui al presente articolo, devono darne adeguata motivazione nel testo della deliberazione». Lo scopo della disposizione è, ovviamente, rafforzare il valore consultivo del parere espresso dai dirigenti o responsabili di servizio sugli atti deliberativi.
Da sempre, dall'entrata in vigore della legge 142/1990, sulle deliberazioni di consigli e giunte è richiesto il parere di regolarità tecnica (un tempo, era previsto anche quello di legittimità da parte del segretario comunale, improvvidamente abolito dalle riforme Bassanini). Tale parere è obbligatorio, salvo che per gli atti di mero indirizzo politico (atti ispettivi, mozioni), ma non vincolante.
Dunque, gli organi collegiali di governo possono adottare una decisione che vada in una linea diversa, sul piano dell'opportunità, del merito e anche della disciplina normativa da seguire, da quella indicata dal parere. Fin qui, impropriamente, in molte amministrazioni laddove il responsabile esprimesse o intendesse esprimere un parere non favorevole alla regolarità della proposta di deliberazione accadeva che organi politici e tecnici andassero allo scontro o che si facesse in modo di ricondurre il parere alle indicazioni degli organi di governo, per evitare di manifestare contrasti tra decisione adottata e parere in merito.
Un sistema di aggiramento della norma, che invece intende proprio evidenziare le eventuali alterità di visione e di responsabilità nel procedimento di adozione delle delibere. Non si deve dimenticare che i responsabili dei servizi, ai sensi del comma 3 dell'articolo 49 del Tuel «rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi»: essi hanno il dovere di rilevare ogni aspetto di irregolarità che possa ledere la corretta esplicazione del potere amministrativo, essendo il parere l'estremo momento nel quale rendere consapevoli gli organi di governo di eventuali possibili danni o, appunto, irregolarità discendenti dalle deliberazioni.
Con la modifica apportata dal decreto legge, non sarà più possibile nascondere eventuali diverse visioni tra organi di governo e responsabili di servizio. Il procedimento di formazione delle deliberazioni si arricchisce di una fase in più, eventuale: all'istruttoria e formulazione del testo della proposta, si affianca la fase, eventuale, della modifica della proposta in conseguenza del parere di regolarità tecnica eventualmente negativo rispetto ai contenuti della proposta. Gli organi collegiali sono obbligati a spiegare perché non ritengono di conformarsi alle indicazioni tecniche di chi è chiamato a illustrare loro le strade più corrette e legittime per perseguire gli interessi pubblici.
In questo modo, in analogia a quanto accade nel rapporto tra responsabile del procedimento e autorità decidente ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera f), della legge 241/1990, si distinguono necessariamente le responsabilità tecniche, da quelle politico-amministrative. Indirettamente, il parere finisce per essere uno strumento finalizzato a ponderare molto bene le scelte dell'organo di governo. E i dirigenti o responsabili di servizio non potranno più nascondersi dietro un dito e non esprimere apertamente rilievi, nei confronti di provvedimenti che contengono delle criticità (articolo ItaliaOggi dell'11.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: No al confinamento di kebab, money transfer e phone center.
No alla localizzazione di Kebab, money transfer e centri di telefonia fissa solo in specifiche zone urbane del territorio comunale. In quanto sono in contrasto con i principi di concorrenza e con la disciplina nazionale della liberalizzazione. L'ingresso di nuovi operatori non deve incontrare ostacoli di tipo normativo o amministrativo, diretti a predeterminare rigidamente limiti quantitativi alle possibilità di entrata nel mercato.
Questo è quanto espresso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato all'interno del bollettino settimanale 17.09.2012 n. 35 – in ordine agli effetti distorsivi della concorrenza derivanti dalle disposizioni che regolano l'insediamento delle attività di «Kebap e simili, compresi gli esercizi ove vi è asporto e consumazione in loco di alimenti e bevande, centri di telefonia internazionale e simili, centri di trasferimento del denaro». Sotto osservazioni sono quattro delibere comunali degli anni 2009 e 2010 aventi ad oggetto la «Definizione di programma di localizzazione di particolari attività suscettibili di determinare situazioni di disagio sociale, viabilistico e di quiete pubblica ai fini del loro insediamento sul territorio di...».
Le richiamate deliberazioni introducono il divieto di insediamento delle attività sopra indicate in tutto il territorio comunale, ad eccezione di alcuni ambiti identificati, nei quali eventuali richieste di insediamento saranno valutate nell'ambito di una apposita procedura negoziale volta ad individuare «se la zona urbanistica può accogliere l'insediamento richiesto; le particolari prescrizioni a tutela della collettività insediata nella zona; gli eventuali standard qualitativi dettati dalla particolare attività in relazione alla situazione viabilistica ed urbana consolidata nella zona d'insediamento».
Le delibere, prevedendo un divieto di insediamento di esercizi di vendita di kebab, di telefonia in sede fissa e trasferimento del denaro e simili, ovvero limitandolo a specifiche zone, introducono un elemento di rigidità del sistema tale da tradursi, nei diversi mercati interessati, in una programmazione quantitativa dell'offerta, in contrasto con le esigenze di salvaguardia della concorrenza (articolo ItaliaOggi dell'11.10.2012).

PUBBLICO IMPIEGOStatali, costa cara l'assenza per assistere parenti.
LE CONFERME/ Blocco per un altro anno dei rinnovi. Mentre la cancellazione della vacanza contrattuale era già stata adottata dal vecchio governo.

Con la legge di stabilità 2013 arriva solo la conferma del blocco per un altro anno del rinnovo dei contratti, uno stop partito nel 2011 con il decreto 78/2010, perché la cancellazione della vacanza contrattuale era già stata adottata dal vecchio Governo.
Come ha precisato ieri il ministro Filippo Patroni Griffi per ripristinare la vacanza contrattuale sarebbe stato necessario un nuovo intervento legislativo con tanto di risorse aggiuntive e copertura finanziaria. Dopo la lunga notte del varo della legge di stabilità e in attesa di poterne leggere il testo definitivo, è nella risposta del ministro alle reazioni sindacali di giornata l'unico elemento di novità.
«Certe dichiarazioni di esponenti sindacali dovrebbero tener conto delle reali disponibilità delle casse dello Stato», ha detto Patroni Griffi dopo aver letto i commenti critici di tutte le organizzazioni e i numeri diffusi dalla Fp Cgil, secondo cui il blocco dei contratti e dell'indennità di vacanza contrattuale comporterà tra il 2010 e il 2014 una perdita di salario complessiva di oltre 6 mila euro per gli statali, che si ritroveranno una busta paga alleggerita in media di 240 euro. Ieri è anche circolata l'ipotesi che la norma del blocco dei contratti venga stralciata per scriverla in via amministrativa (come del resto era già stato fatto in passato). Si vedrà.
Tutte confermate invece le altre misure del "pacchetto statali", con la proroga, sempre a tutto il 2014, dei tagli del 5 e 10% delle quote di stipendio superiori a 90 e 150mila euro (misura su cui pendono ricorsi alla Corte costituzionale) e il dimezzamento della retribuzione nei giorni di permesso per l'assistenza a parenti disabili che non siano coniugi o figli riconosciuto dalla legge 104/1992.
Sui permessi ex legge 104 i tecnici della Funzione pubblica stanno per diffondere i dati relativi al 2011, con qualche mese di ritardo rispetto all'anno scorso per qualche problema tecnico dovuto alla migrazione di banche dati dal vecchio sistema al nuovo sistema Perla PA. Gli ultimi numeri ufficiali, relativi al 2010, sintetizzano il ricorso a questo permesso con le seguenti cifre: 244.997 beneficiari (7,4% del totale dei dipendenti) per un totale di 4.835.263 giornate di permesso e un costo stimato (calcolato considerando pari a 33mila euro lo stipendio medio annuo di un dipendente pubblico, per un costo giornaliero di 150 euro su 220 giornate lavorative) di 725milioni e 280mila euro. È questo l'aggregato di spesa che si intende aggredire con la nuova norma.
In attesa dell'invio alle Camere della Stabilità, a palazzo Vidoni si lavora intanto sulle schede prodotte da tutte le amministrazioni centrali, gli enti pubblici non economici e le agenzie sulle dotazioni organiche. Si deve chiudere l'istruttoria in tempo utile per il varo, entro fine mese, dei Dpcm che definiscono i criteri per il taglio delle dotazioni deciso con la spending review: il 20% del personale dirigente e il 10% di funzionari e dipendenti. Secondo le indiscrezioni trapelate, la ricognizione finora condotta conferma che problemi di soprannumeri ci sarebbero in Inps e Inail, dove per effetto dei piani industriali in corso, le dotazioni organiche sono pressoché coincidenti con il personale in servizio. Obiettivo del ministro è trovare possibili compensazioni.
Secondo la Fp Cgil proprio i dipendenti di questi enti sarebbero i più colpiti dal blocco dei contratti: se per i dipendenti dei ministeri la perdita media in busta a regime sarà di 210 euro e per i lavoratori delle agenzie fiscali di 270 euro, per quelli degli enti pubblici non economici (Inps e Inail) sarà invece di 290 euro (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOParere tecnico obbligatorio su ogni delibera del Comune.
L'ALLARGAMENTO/ Il responsabile del servizio interessato dovrà esprimersi su ogni atto con riflessi diretti o indiretti sulla situazione finanziaria.

Ogni delibera di Giunta o Consiglio deve essere accompagnata dal parere tecnico del responsabile del servizio interessato e dal via libera del responsabile dei servizi finanziari in tutti i casi in cui comporti «riflessi diretti e indiretti» sulla situazione economico-finanziaria o anche sul patrimonio dell'ente.
È questo il primo cambio di rotta nell'attività dei Comuni determinato dall'entrata in vigore, oggi, del decreto enti locali approvato giovedì scorso, che fa scattare anche il conto alla rovescia per l'attuazione dei costi della politica nelle Regioni. Con le regole pubblicate sulla «Gazzetta Ufficiale» di ieri diventano operativi anche i rafforzamenti dei controlli esterni, sia sulle Regioni sia sugli enti locali, che però cominceranno a mostrare le loro ricadute operative solo nei prossimi mesi.
I primi effetti concreti, da questo punto di vista, sono sulle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, investite di nuovi compiti e che, in base al decreto, potranno utilizzare anche uomini della Guardia di finanza (d'intesa con il ministero dell'Economia) e di magistrati delle sezioni giurisdizionali della stessa Corte.
Il primo dato applicativo con l'entrata in vigore del decreto si concentra sui controlli interni e continui nell'attività dei Comuni. I politici locali, in pratica, potranno dribblare i pareri dei responsabili tecnici solo con «adeguate motivazioni espresse», mentre il responsabile dei servizi finanziari vede crescere drasticamente il numero di atti su cui dovrà vigilare in via preventiva.
Fino a ieri il passaggio sulla sua scrivania era obbligatorio solo per gli atti che comportassero «impegno di spesa o diminuzione di entrata», mentre ora il riferimento a qualsiasi effetto diretto o indiretto su conti o patrimonio lo porterà a mettere gli occhi preventivamente su quasi tutte le scelte (sono esclusi solo gli «atti di mero indirizzo»). Insieme al responsabile dei servizi finanziari, di cui viene sancita meglio l'autonomia dagli organi politici, si vedono ampliati i compiti di controllo anche il segretario, il direttore generale (dove c'è) e i revisori dei conti, che dovranno estendere per legge il loro monitoraggio anche alle società partecipate.
In vigore da oggi anche il fondo rotativo anti-dissesto: la dotazione finanziaria iniziale non è elevata (30 milioni di euro per il 2012, 100 milioni per il 2013 e 200 milioni all'anno dal 2014 al 2020), ma per il 2012 è accompagnato a un maxi-assegno da 500 milioni per pagare spese correnti e di personale negli enti in difficoltà. Il primo destinatario dell'incentivo appare il Comune di Napoli, dove però nei giorni scorsi il sindaco Luigi De Magistris ha avuto parole molto dure nei confronti del nuovo strumento, anche perché l'attivazione del fondo è subordinata al taglio di spese e all'avvio di controlli stringenti sul piano di rientro quinquennale che può prevedere anche l'aumento al massimo di tasse e tariffe.
Manca poco, infine, alla scadenza per attuare le norme sui costi della politica regionale: entro il 30 novembre le Regioni dovranno tagliare posti, indennità e fondi ai gruppi, e avranno sei mesi di tempo da oggi solo se la sforbiciata dovrà passare da modifiche statutarie.
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In vigore da oggi
01 | LE DELIBERE
   Il parere tecnico del responsabile del servizio interessato e, in molti casi, il via libera del responsabile dei servizi finanziari dovranno accompagnare ogni delibera di Giunta o Consiglio in tutti i casi in cui comporti «riflessi diretti e indiretti» sulla situazione economico-finanziaria o anche sul patrimonio dell'ente
02 | L'ALLARGAMENTO
   Finora il parere del responsabile del servizio era obbligatorio solo per gli atti che comportassero «impegno di spesa o diminuzione di entrata». Adesso il riferimento a qualsiasi effetto diretto o indiretto su conti o patrimonio porterà il responsabile tecnico a esprimere un parere preventivo su quasi tutte le scelte
03 | FONDO ROTATIVO
   In vigore anche il fondo rotativo anti-dissesto (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento all'11.10.2012

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGODECRETO SALVA ENTI/ Salta l'approdo in Gazzetta. Monti pensa a blindare il dl.
Era stato tutto prenotato, con tanto di numero da assegnare al decreto legge (si veda ItaliaOggi di ieri). Ma il decreto con cui il governo taglia i costi di regioni ed enti locali, dopo le abbuffate dei vari batman, oggi non è in Gazzetta Ufficiale.
Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, la presidenza del consiglio dei ministri ha preferito frenare sulla pubblicazione per ragioni di merito ma anche di opportunità e potrebbe addirittura decidere di rinunciare al decreto legge per far confluire le norme direttamente nel disegno di legge di stabilità. Una mossa un po' inconsueta dal punto di vista della tecnica legislativa, ma non impossibile, e su cui Palazzo Chigi dovrà sciogliere la riserva nel giro di 24 ore. L'intervento per decretazione d'urgenza sulle regioni avrebbe più di un profilo di sospetta incostituzionalità che, è il ragionamento, costringerebbe l'esecutivo, una volta approdato il testo in parlamento, a mettersi sulle barricate per difendersi dagli attacchi dei parlamentari, già allertati dalle caste della politica locale affinché anestetizzino i tagli.
E comunque il testo andrebbe poi modificato, con tutto quello che ne consegue in termini di ricorso al voto di fiducia. Tanto vale allora inserire i tagli all'interno del ddl di Stabilità, che ha tempi più distesi per l'approvazione e che già ci sa dovrà essere nei punti più ostici modificato, ma nei limiti di un'invarianza di obiettivi finanziari invalicabili. Tra l'altro, il governo potrebbe così tenere aperto un solo provvedimento di fuoco su cui concentrarsi in questo scorcio di legislatura. E su cui porre la fiducia (articolo ItaliaOggi del 10.10.2012).

ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICILEGGE DI STABILITÀ/ Lavori pubblici? Se ci sono soldi. E gli enti locali dovranno anche tenere conto del Patto. Le principali misure del ddl approvato ieri dal consiglio dei ministri.
Lavori pubblici solo se ci sono soldi in cassa. Le amministrazioni pubbliche potranno avviare le procedure per l'esecuzione di lavori pubblici solo in presenza delle risorse finanziarie, anche in termini di cassa, necessarie al fine di rispettare i termini di pagamento previsti dalla vigente normativa, anche attuativa delle direttive dell'Unione europea.
Gli enti territoriali, inoltre, dovranno verificare la compatibilità dei pagamenti con il rispetto dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno.

È una delle previsioni contenute nella bozza del disegno di legge di stabilità approvato ieri dal consiglio dei ministri (le principali novità sono riassunte nella tabella in pagina).
La norma prosegue stabilendo che l'efficacia dei contratti per l'affidamento di lavori sottoscritti dalle amministrazioni è sospesa, senza che le parti del contratto abbiano diritto ad alcun indennizzo, nei casi in cui non sia possibile rispettare le condizioni previste.
La sospensione cessa però nel caso in cui, anche a seguito di eventuale rinegoziazione del contratto, l'organo competente, su proposta del responsabile del procedimento, attesta il rispetto delle condizioni, cioè la presenza delle necessarie risorse finanziarie. Le disposizioni non si applicano ad alcune tipologie di lavori, quali ad esempio quelli relativi agli istituti scolastici e ospedalieri.
Da segnalare, a proposito di lavori pubblici, lo stop di fatto al Ponte sullo Stretto di Messina. Per la «mancata realizzazione» del Ponte sullo Stretto di Messina sono stanziati 300 milioni di euro. Al Fondo per lo sviluppo e la coesione, si legge nella norma, è assegnata una dotazione finanziaria aggiuntiva di 300 milioni di euro per l'anno 2013 per far fronte agli oneri derivanti dalla mancata realizzazione di interventi per i quali sussistano titoli giuridici perfezionati alla data di entrata in vigore della legge (articolo ItaliaOggi del 10.10.2012).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: LEGGE DI STABILITÀ/ Nel civile contributo unificato raddoppiato in caso di soccombenza. Salasso nel processo al Tar e Cds. Un appello al Consiglio di stato sugli appalti costerà 8 mila.
Salasso sul processo amministrativo e sulle impugnazioni civili. Il disegno di legge sulla stabilità mette le mani nelle tasche di chi si rivolge ai Tar e al Consiglio di stato e anche di chi propone un'impugnazione civile. La giustizia, soprattutto amministrativa, costerà molto caro: si pensi, ad esempio, che un appello al consiglio di stato in materia di appalti, se il disegno di legge andrà in porto, costerà 8 mila euro, da versarsi subito. Contemporaneamente fissa un tetto alle liquidazione giudiziale delle spese di soccombenza, che penalizza gli avvocati e i clienti vittoriosi in giudizio.
Per le impugnazioni civili (appelli e ricorsi in cassazione) il ddl prevede un contributo unificato raddoppiato in caso di soccombenza o di impugnazione dichiarata improcedibile o inammissibile. In particolare viene proposta la modificazione dell'articolo 13 del T.u. spese di giustizia, disponendo che quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente, è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale. Il versamento alla fine assume un carattere sanzionatorio teso a punire chi ha fatto perdere tempo alle corti.
La norma non prevede alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice, al fine di tenere conto della eventuale buona fede dell'interessato. La scure è automatica in caso di sconfitta piena, ma anche in caso di pronuncia sul rito (inammissibilità o improcedibilità). Si tratta di un altro tassello che disincentiva le parti a farsi le proprie ragioni nei gradi di giudizio successivi al primo. Solo di recente è stato inserito il filtro di ammissibilità all'appello e ora con la prospettiva del raddoppio del balzello, l'impugnazione diventa una pericolosissima corsa a ostacoli.
Processo amministrativo. Un aumento a tappeto, per primo e secondo grado, è proposto per il processo amministrativo. Qui gli aumenti si spalmano su tutti i tipi di procedimento. Aumenta il contributo unificato per i ricorsi in materia di accesso ai documenti amministrativi (articolo 116 del codice del processo amministrativo, dlgs 104/2010) e di ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione (articolo 117 del codice del processo amministrativo, dlgs 104/2010): passa da 300 euro a 350 euro. Stesso aumento (a 350 euro) è previsto per i giudizi aventi ad oggetto il diritto di cittadinanza, di residenza, di soggiorno e di ingresso nel territorio dello stato e per i ricorsi di esecuzione nella sentenza o di ottemperanza del giudicato.
Incremento sensibile si deve registrare per tutti i giudizi in cui si applica il rito abbreviato con termini ridotti a metà ( materie previste dal libro IV, titolo V, del codice del processo amministrativo e altre disposizioni speciali): il contributo unificato passa da 1.500 euro a 1.800 euro. Ci sono poi due materie speciali in cui si applica il rito abbreviato, per cui la manovra del disegno di legge di stabilità prospetta aumenti molto più pesanti. Si tratta delle controversie in materia di provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture e di provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti, con esclusione di quelli relativi al rapporto di servizio con i propri dipendenti Ora il contributo previsto è di 4 mila euro.
Nel disegno di legge sulla stabilità si individua una scaletta in base al valore della causa: il contributo dovuto è di euro 3 mila quando il valore della controversia è pari o inferiore a euro 200 mila; per quelle di importo compreso tra 200 mila e 1.000.000 euro il contributo dovuto è di euro 4.000 mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro è pari ad euro 5 mila. Aumenta il contributo unificato anche per tutti i processi amministrativi in materie diverse da quelle sopra elencate: si passa, infatti, da 600 a 650 euro.
Ad esempio costerà 650 euro impugnare un permesso di costruire. Gli importi del contributo unificato per i ricorsi amministrativi sono raddoppiati per l'impugnazione: se si va in consiglio di stato per ottenere la riforma di una sentenza del Tar l'esborso si moltiplica per due. Il ddl, comunque, con una ragionevole disposizione transitoria, attribuisce i nuovi balzelli ai ricorsi notificati successivamente all'entrata in vigore della presente legge.
Spese di lite. Altra novità in tema di giustizia riguarda la determinazione delle spese di soccombenza da caricare a chi perde la causa. Il ddl stabilisce un tetto massimo: i compensi liquidati dal giudice e posti carico del soccombente non possono superare il valore effettivo della causa. I compensi, però, almeno non comprendono le spese. Si generalizza una regola che riguarda ora le cause di modesto valore: si tratta di un taglio ai compensi degli avvocati che potrà distogliere gli interessati dal proporre le cause (visto che pur vincendo devono pagare l'eventuale compenso aggiuntivo al proprio legale) (articolo ItaliaOggi del 10.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: DECRETO SALVA-ENTI/ Enti, on-line i redditi dei politici. Pubblicazione sul sito web nei comuni sopra i 10 mila abitanti. Monti rispolvera una norma già prevista da una legge del 1982.
On-line i redditi e i patrimoni dei politici locali. Negli ultimi ritocchi al decreto salva-enti, Mario Monti rispolvera un'altra norma mai attuata del nostro ordinamento. Si tratta dell'anagrafe degli eletti, prevista da una legge vecchia ormai di 30 anni (n. 441/1982) e poco o nulla applicata nei comuni a differenza di quanto avviene da qualche anno a questa parte nella pubblica amministrazione centrale anche per merito dell'ex ministro Renato Brunetta. Ma chi di anagrafe degli eletti non ha proprio voluto saperne sono stati i sindaci che, a parte qualche eccezione (Milano, Roma, Bari), hanno sempre glissato sul punto o adempiuto all'obbligo informativo in modo molto incompleto.
A rinfrescare la memoria ai primi cittadini ci ha pensato il decreto salva-enti approvato giovedì scorso dall'esecutivo che introduce una norma ad hoc (art. 41-bis) nel Tuel. Gli enti locali con popolazione superiore a 10 mila abitanti dovranno «disciplinare, nell'ambito della propria autonomia regolamentare, le modalità di pubblicità e trasparenza dello stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche elettive e di governo di loro competenza».
I dossier su sindaci, presidenti di provincia, consiglieri e assessori dovranno essere pubblicati annualmente, all'inizio e alla fine del mandato, e dovranno contenere: i dati di reddito e di patrimonio con particolare riferimento ai redditi annualmente dichiarati; i beni immobili e mobili registrati posseduti; le partecipazioni in società quotate e non quotate; la consistenza degli investimenti in titoli obbligazionari, titoli di stato, o in altre utilità finanziarie detenute anche tramite fondi di investimento, Sicav o intestazioni fiduciarie.
Per rendere più dissuasivo l'obbligo di trasparenza la novella legislativa si appella agli enti locali affinché introducano con regolamento un sistema di sanzioni verso chi continuerà a fare orecchie da mercante: le multe per la mancata o parziale ottemperanza andranno da un minimo di 2 mila euro a un massimo di 20 mila.
Fondo anti-dissesto. Con gli ultimi ritocchi al testo del decreto il governo ha alzato il velo sulla dotazione finanziaria del fondo rotativo anti-dissesto che dovrà servire a evitare il default di molti comuni prossimi al tracollo (Napoli, Palermo, Reggio Calabria). Il fondo prevede una dotazione di 90 milioni di euro per il 2012, 100 milioni per il 2013 e 200 milioni all'anno a partire dal 2014 e fino al 2020.
Solo per quest'anno la dotazione del fondo potrà contare su ulteriori 500 milioni di euro destinati al pagamento delle spese di personale, alla produzione di servizi in economia e all'acquisizione di servizi e forniture, già impegnate e comunque non derivanti da riconoscimento di debiti fuori bilancio (articolo ItaliaOggi del 10.10.2012).

PUBBLICO IMPIEGOPubblico impiego. Via l'indennità di vacanza contrattuale. Statali, anche nel 2014 stipendi e rinnovi bloccati.
IL NUOVO TAGLIO/ Retribuzione dimezzata nei giorni di permesso per l'assistenza a disabili che non siano i coniugi o i figli dei dipendenti.
Il congelamento dei salari dei dipendenti pubblici proseguirà anche nel 2014, ma si perderà anche l'indennità di vacanza contrattuale e si dovrà dire ufficialmente addio ai recuperi delle tornate contrattuali perse.

La bozza del disegno di legge di stabilità entrata ieri in consiglio dei ministri prosegue sui binari già preannunciati dalla prima manovra estiva del 2011, ma aggiunge un ingrediente che rischia di essere indigesto: il dimezzamento della retribuzione per i giorni utilizzati dai dipendenti pubblici per l'assistenza a familiari con disabilità. La retribuzione, secondo la bozza del provvedimento, rimarrà piena solo se il permesso ex lege 104/1992 è dovuto a patologie del dipendente o all'assistenza a figli e coniuge: se l'assistito è un altro familiare (i permessi possono essere ottenuti per assistere parenti o affini entro il secondo grado, o entro il terzo grado se i genitori dell'assistito sono over 65 o portatori di handicap), lo stipendio della giornata sarà dimezzato, e si manterrà intera solo la contribuzione figurativa.
Sul resto del pacchetto, che ieri ha registrato la secca contrarietà da parte dei sindacati, il disegno di legge non si scosta più di tanto dalle previsioni di fatto annunciate fin dalla prima manovra estiva del 2011, quando il Governo Berlusconi mise in agenda come «eventuali» una serie di proroghe alle misure che bloccano le assunzioni e congelano gli stipendi nel pubblico impiego.
Anche nel 2014, di conseguenza, si continueranno ad applicare i tetti agli stipendi individuali, che non potranno superare i livelli raggiunti nel 2010, i limiti ai fondi per i trattamenti accessori, anch'essi vincolati alle somme del 2010, e il contributo di solidarietà che taglia del 5% la quota di retribuzione superiore a 90mila euro e del 10% quella che supera i 150mila euro. A queste regole, le nuove regole scritte nel nome dell'austerità aggiungono lo stop all'indennità di vacanza contrattuale, che tornerà ad affacciarsi solo a partire dal 2015 e sarà regolata dai parametri scritti nel protocollo sul costo del lavoro del 23.07.1993.
Proseguirà nel 2014, naturalmente, anche il blocco delle retribuzioni per insegnanti e tecnici della scuola e per il personale non contrattualizzato, cioè docenti universitari, esercito e magistrati: per questi ultimi, l'indennità speciale di categoria sarà ridotta del 32% sia nel 2013 sia nel 2014, dopo il taglio del 25% subito per il 2012 (senza però effetti previdenziali). Per chi lavora in ambasciate e istituti di cultura all'estero, viene tagliata del 10% l'indennità speciale (anche per gli ambasciatori). In ambito militare, dovranno dire addio ai loro incentivi gli ufficiali piloti in servizio permanente effettivo e i controllori del traffico aereo. Per forze armate e polizia, inoltre, scompare l'indennità di trasferimento per chi viene spostato in sedi limitrofe per la soppressione del reparto in cui lavora oggi.
L'ennesimo colpo di freno alla spesa per retribuzioni non trascura le consulenze. Gli attuali incarichi non potranno essere rinnovati, e un'eventuale proroga potrà essere disposta solo per completare un progetto non ancora arrivato al traguardo per colpe non imputabili al collaboratore. Anche in questo caso, comunque, il compenso rimarrà quello stabilito all'inizio. Le consulenze in materia informatica sono invece abolite, tranne che in «casi eccezionali adeguatamente motivati» e legati alla «soluzione di problemi specifici».
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LE RIDUZIONI
Blocco dei contratti
   Niente rinnovi contrattuali e aumenti di stipendio individuale nemmeno nel 2014; scompare l'indennità di vacanza contrattuale, che potrà tornare solo in riferimento al 2015-2017. Proseguono anche nel 2014 i tagli del 5% e del 10% alle quote di stipendio superiori a 90mila e 150mila euro annui
Permessi
   Taglio del 50% ai permessi per assistenza ai disabili quando non dovuti a patologie del dipendente, del coniuge o dei figli. Rimane la contribuzione figurativa (articolo Il Sole 24 Ore del 10.10.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIProfessioni. Alla Camera Governo battuto sulle modalità di determinazione dei compensi: passa la linea della Commissione.
Avvocati, preventivi solo su richiesta. Mazzamuto: «escluso il ritorno alle tariffe» - Buongiorno: «indipendenza salvata».

Preventivo solo su richiesta, possibilità per il Consiglio nazionale forense di esprimere pareri sulla congruità del compenso, niente socio di capitale e riserva di consulenza stragiudiziale.
La riforma dell'ordinamento forense fa un passo avanti alla Camera, con l'esame dei primi 16 articoli e regge senza perdere pezzi sui punti fondamentali e controversi. A cominciare dall'articolo 13 sul conferimento dell'incarico e le tariffe professionali. Sul tema più caldo della riforma l'avvocatura vince il braccio di ferro con il Governo, battuto con una votazione che ha bocciato l'emendamento presentato dall'Esecutivo per chiedere l'abolizione dell'intero articolo 13.
Un parere contrario che ha indotto il sottosegretario alla Giustizia Salvatore Mazzamuto a un compromesso per salvare il salvabile. La scelta, dopo il no all'emendamento del ministero è stata quella di rimettersi all'Aula, aderendo di fatto al lavoro fatto dalla Commissione che, se da una parte esclude il ritorno delle tariffe facendo salvo il principio della libera determinazione del compenso, dall'altra concede molto ai desiderata dei legali.
«Dopo la bocciatura del nostro emendamento -spiega il sottosegretario alla Giustizia Salvatore Mazzamuto- abbiamo scelto il male minore e deciso di rimetterci all'Aula per far passare almeno le modifiche fatte dalla Commissione. Diversamente c'era il rischio che l'articolo 13 restasse com'era e che venissero ripristinate la tariffe. Il Governo aveva chiesto la soppressione dell'articolo 13 perché si tratta di una norma che non si armonizza né con il Dl professioni né con il decreto parametri. Oggi -conclude il sottosegretario- è passato "lo statuto speciale" degli avvocati. Alla categoria sono riconosciute possibilità non previste per altre professioni».
Dopo il voto della Camera, che molto difficilmente verrà ribaltato dal Senato, gli avvocati faranno il preventivo solo su richiesta e potranno usare i parametri come criterio orientativo nei rapporti con il cliente. Inoltre al Consiglio nazionale forense sarà consentito esprimere pareri sulla congruità dei compensi mentre il consiglio dell'ordine potrà tentare una conciliazione in caso di controversia .
Via libera anche alla riserva di consulenza legale stragiudiziale, purché vengano rispettate due condizioni: che si tratti di materie connesse all'attività giurisdizionale e che venga esercitata in maniera sistematica, organizzata e continuativa.
Pollice verso dell'aula anche per il socio di puro capitale. «Il Governo aveva preso atto che la governance non poteva essere in mano al socio capitalista, ma sono state respinte anche le altre soluzioni -sottolinea Salvatore Mazzamuto- per questo ci siamo rimessi all'Aula. Ora i tempi della delega sono stati ridotti da un anno a sei mesi per restare dentro la legislatura».
Tempi a cui pensa anche il presidente della commissione giustizia della Camera Giulia Bongiorno, che respinge al mittente le accuse di sostenere una legge che tutela interessi di parte. «La riforma degli avvocati ha un solo obiettivo: quello di assicurare l'indipendenza della categoria. L'iter è ancora lungo -spiega Giulia Bongiorno- ma lavoriamo per portare a casa lo statuto entro la legislatura».
Soddisfatto ma scaramantico il presidente dell'Oua Maurizio de Tilla. «Ora c'è il sole speriamo che non piova domani». Ma sul domani non c'è certezza. Almeno per quanto riguarda la data per completare l'esame del testo e passare al voto degli altri emendamenti, fermi per ora all'articolo 16 (articolo Il Sole 24 Ore del 10.10.2012).

ENTI LOCALIPubblica amministrazione. La spesa per i mobili ridotta dell'80%. Luci spente per le strade e stop all'acquisto di auto.
IMMOBILI/ Nuovo giro di vite: dal 2014 gli acquisti saranno possibili solo se indispensabili e al «giusto prezzo» deciso dal Demanio.

La crisi della finanza pubblica arriva a spegnere l'illuminazione pubblica, almeno a giudicare dalla bozza della legge di stabilità entrata ieri in Consiglio dei ministri. Per risparmiare, Regioni e Comuni (ma anche lo Stato per le aree di sua competenza) dovranno decidere in quali strade spegnere le luci di notte, in quali prevedere un'illuminazione «affievolita» e dove invece mantenere il livello di luce normale.
L'operazione «cieli bui» si inserisce in un nuovo capitolo di spending review concentrato ancora una volta sul tema dei «consumi intermedi», già protagonista del decreto di luglio. Oltre ai lampioni, finiscono nel mirino gli acquisti e i leasing delle auto (vietati da ieri), le acquisizioni di immobili, le spese per arredamento (taglio dell'80%).
L'ennesima stretta si applica a tutte le pubbliche amministrazioni centrali e periferiche e, più in generale, a tutti gli enti inseriti nell'elenco Istat per il conto economico consolidato della Pa. Una platea in cui, ancora una volta, rischiano di essere coinvolte anche le casse previdenziali professionali, proprio in queste settimane impegnate in un braccio di ferro con il Governo sull'applicabilità delle misure contenute nel decreto estivo sulla revisione di spesa. In fatto di autovetture di servizio, la norma è drastica: fino al 31.12.2014, le pubbliche amministrazioni non potranno più acquistare automobili o sottoscrivere contratti di leasing.
Le procedure di acquisto avviate fino a ieri, ma non ancora arrivate al traguardo, sono revocate per legge, e negli enti territoriali il rispetto di questa regola è condizione indispensabile per accedere alle risorse del fondo anti-dissesto appena introdotto dal decreto enti locali. Esclusi dallo stop alle auto solo forze dell'ordine, vigili del fuoco e servizi sociali e sanitari (ma in questo caso solo se l'acquisto riguarda attività necessarie a garantire i livelli essenziali di assistenza).
Anche sugli immobili, il blocco è quasi totale ma, almeno secondo le bozze disponibili fino alla tarda serata di ieri, partirà dal 01.01.2014. Nel nuovo regime, le pubbliche amministrazioni potranno investire nel mattone solo se il responsabile del procedimento mette la firma in fondo a un atto in cui si attesta che l'acquisto è indispensabile e non può essere differito, e l'agenzia del Demanio certifica (dietro rimborso spese) che la il prezzo è giusto: nel caso delle amministrazioni centrali, queste saranno condizioni indispensabili per ottenere il via libera per decreto da parte del ministero dell'Economia (introdotto dalla prima manovra estiva del 2011).
La regola nasce per fermare il gigantismo immobiliare che ha caratterizzato alcune amministrazioni centrali e non, ma anche per evitare il ripetersi di vicende controverse come il «caso di Via della Stamperia», un immobile venduto per 44 milioni alla cassa psicologi da una società immobiliare che l'aveva acquistato poche ore prima per 26 milioni.
Sempre nell'ottica di razionalizzazione del patrimonio, un fondo da 500 milioni nel 2013 e un miliardo dal 2014 servirà all'Economia per pagare gli affitti di immobili statali conferiti a fondi immobiliari. La cura non dimentica poi l'arredamento, che nel 2013 e nel 2014 non potrà assorbire più del 20% delle risorse dedicate allo stesso scopo nel 2011. I risparmi così ottenuti andranno conferiti al bilancio dello Stato: salvi da quest'ultimo obbligo enti vigilati dalle Regioni e dalle Province autonome (ma non le casse previdenziali).
Chiude il capitolo il rafforzamento dei parametri Consip, che per gli acquisti di beni e servizi da parte dello Stato potranno essere derogati solo per contratto (articolo Il Sole 24 Ore del 10.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGODECRETO SALVA ENTI/ Ragionieri in una botte di ferro. Per revocarli il sindaco dovrà avere l'ok di Viminale e Rgs. Tecnici garantiti rispetto al potere politico. Dl oggi in Gazzetta Ufficiale.
Ragionieri degli enti locali in una botte di ferro. Non saranno più soggetti alle bizze del sindaco di turno e potranno così sorvegliare la corretta tenuta dei conti senza temere ritorsioni. Passa anche dal rafforzamento delle prerogative dei responsabili finanziari di comuni e province il giro di vite sui controlli contabili introdotto dal decreto legge n. 173/2012 (c.d. salva-enti) approvato giovedì scorso dal consiglio dei ministri e che sarà pubblicato oggi in Gazzetta Ufficiale (n. 236 del 09.10.2012).
Con una norma nuova di zecca che modifica l'art. 109 del Tuel, il decreto prevede che l'incarico di responsabile finanziario possa essere revocato esclusivamente in caso di gravi irregolarità riscontrate nell'esercizio delle funzioni assegnate. Per mandar via il proprio ragioniere, il sindaco dovrà emanare un'apposita ordinanza ma solo dopo aver acquisito il parere obbligatorio del ministero dell'interno e della Ragioneria generale dello stato. Senza l'ok del Viminale e di Via XX Settembre i responsabili finanziari saranno inamovibili e questo consentirà loro una maggiore serenità nell'esercizio delle proprie funzioni rafforzandone l'autonomia dal potere politico.
I ragionieri avranno così più voce in capitolo sugli atti della giunta e del consiglio. D'ora in avanti la regola generale sarà che su ogni proposta di deliberazione che non sia mero atto di indirizzo debba essere richiesto il parere di regolarità tecnica del responsabile del servizio. Ma, qualora la delibera comporti «riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente», dovrà essere acquisito anche il parere di regolarità contabile del responsabile del servizio di ragioneria.
Se l'ente non ha in organico i responsabili dei servizi, gli adempimenti potranno essere svolti dal segretario comunale. Se intendono discostarsi dal parere, consiglio e giunta dovranno spiegare il perché dandone «adeguata motivazione nel testo della deliberazione» (articolo ItaliaOggi del 09.10.2012).

APPALTII chiarimenti delle Entrate. Al debutto la disciplina sulla responsabilità comune per appaltatore e subappaltatore. Al via gli appalti «solidali». Le nuove regole applicate ai pagamenti effettuati da giovedì prossimo
LA NOVITÀ/ Tra la documentazione da fornire alla controparte per ottenere lo sblocco dei pagamenti ammessa anche l'autocertificazione.

Arrivano le prime risposte dell'agenzia delle Entrate sulle disposizioni che prevedono la responsabilità solidale dell'appaltatore con il subappaltatore in caso di omesso versamento dell'Iva e delle ritenute fiscali da parte di quest'ultimo, oltre a una pesante sanzione per il committente (si veda Il Sole 24 Ore del 24 settembre scorso).
Con la circolare 08.10.2012 n. 40/E le Entrate affrontano i temi della decorrenza dei nuovi adempimenti e delle modalità con cui essi possono essere concretizzati.
L'articolo 13-ter del Dl 83/2012 ha riscritto il comma 28 dell'articolo 35 del Dl 223/2006, prevedendo, in caso di appalti di opere e servizi la responsabilità solidale dell'appaltatore con il subappaltatore, con riferimento al versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva dovuta dal subappaltatore nell'ambito del rapporto di subappalto. Questa responsabilità è limitata all'ammontare del corrispettivo dovuto e, può essere evitata ottenendo, anteriormente al pagamento del corrispettivo, la documentazione attestante che i versamenti scaduti sono stati correttamente eseguiti.
Inoltre, il Dl 83 ha previsto una sanzione amministrativa da 5mila a 200mila euro in capo al committente, nel caso in cui paghi l'appaltatore che non sia in possesso di questa stessa documentazione (relativa sia all'appaltatore che a tutti i subappaltatori). Peraltro, la circolare accenna a una responsabilità solidale anche di questo soggetto che non emerge dalla norma.
L'Agenzia riconosce che la disposizione sta generando difficoltà applicative al punto che, essendo il pagamento delle prestazioni il momento rilevante ai fini della responsabilità, il risultato pratico è che "nessuno paga nessuno".
Il primo punto chiarito è che le nuove disposizioni trovano applicazione solo per i contratti di appalto o subappalto stipulati a decorrere dal 12 agosto scorso, relativamente ai soli pagamenti effettuati a partire dall'11 ottobre prossimo (60 giorni dall'entrata in vigore, in applicazione dello Statuto del contribuente). Incidendo sul pagamento del corrispettivo, la norma potrebbe infatti alterare il rapporto sinallagmatico relativo ai contratti già stipulati, che vengono quindi posti fuori dal campo applicativo di queste disposizioni. L'Agenzia sembra sottovalutare il fatto che il comma 28 dell'articolo 35 era già stato sostituito (con una disposizione in parte diversa dall'attuale) dall'articolo 2, comma 5-bis, del Dl 16/2012, per cui occorre in qualche modo "sterilizzare" anche il periodo di vigenza di quella formulazione normativa, altrimenti in vigore dal 29 aprile all'11 agosto.
Il secondo (e ultimo) aspetto affrontato dalla circolare riguarda la documentazione da fornire alla propria controparte per ottenere lo sblocco dei pagamenti, che "può" (non "deve") consistere nell'asseverazione rilasciata da uno dei soggetti abilitati previsti dalla norma (commercialisti, consulenti del lavoro, responsabili Caf). Per cui, suggerisce la circolare, «si può ammettere il ricorso ad ulteriori forme di documentazione idonee a tale fine», come, ad esempio, «una dichiarazione sostitutiva –resa ai sensi del Dpr 445/2000– con cui l'appaltatore/subappaltatore attesta l'avvenuto adempimento degli obblighi richiesti dalla disposizione». Il problema sarà comprendere in che misura appaltatori e committenti saranno disposti ad accettare queste autocertificazioni, poiché si ha notizia che molti contratti sono già stati modificati obbligando espressamente la controparte alla attestazione resa da terzi.
Circa il contenuto della dichiarazione sostitutiva (e, quindi, di riflesso, anche dell'attestazione da parte del professionista o responsabile Caf), essa deve contenere l'indicazione: del periodo nel quale l'Iva relativa alle fatture concernenti i lavori eseguiti è stata liquidata, specificando se dalla liquidazione è scaturito un versamento di imposta, ovvero se in relazione alle fatture oggetto del contratto è stato applicato il regime dell'Iva per cassa oppure la disciplina del reverse charge; del periodo nel quale le ritenute sui redditi di lavoro dipendente sono state versate, mediante scomputo totale o parziale; degli estremi del modello F24 con il quale i versamenti dell'Iva e delle ritenute non scomputate, totalmente o parzialmente, sono stati effettuati; infine, dell'affermazione che l'Iva e le ritenute versate includono quelle riferibili al contratto di appalto/subappalto per il quale la dichiarazione viene resa.
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Le questioni aperte
01 | L'AMBITO OGGETTIVO
  
Sulle nuove disposizioni che prevedono la responsabilità solidale dell'appaltatore con il subappaltatore in caso di omesso versamento dell'Iva e delle ritenute fiscali dovrà essere chiarito l'ambito oggettivo, che, oltre all'appalto di opere e servizi, coinvolge anche quelli "di forniture", accezione che necessita di un approfondimento
02 | IL PROFESSIONISTA
   Se è chiaro che la mendace attestazione del subappaltatore (o dell'appaltatore) determina l'applicazione delle sanzioni previste dal Dpr 445/2000, occorre comprendere quando e cosa rischia il professionista che rilascia una attestazione che poi si rivela non corretta. Quali sono i controlli che vanno esercitati? Come può essere assicurato il rischio derivante da questa prestazione?
   Va sottolineato che dalla circolare si comprende come l'attestazione vada rilasciata anche quando l'obbligo dei versamenti Iva non è mai sorto (reverse charge o Iva per cassa), con una specie di "attestazione in negativo", che potrebbe forse essere utilizzata anche quando si tratta del primo pagamento non preceduto da fattura.
03 | LA LISTA DEI DIPENDENTI
   Infine, la circolare, analizzando il contenuto della dichiarazione da rilasciare, non fa menzione degli estremi dei dipendenti che hanno lavorato nell'appalto/subappalto considerato, ma è chiaro che una qualche forma di verifica sulla lista nominativa da parte di chi deve rendere l'attestazione è del tutto prevedibile (articolo Il Sole 24 Ore del 09.10.2012).

APPALTI SERVIZIStop nelle Regioni prive dei bacini. Servizi pubblici, affidamenti solo in ambiti ottimali.
ENTRO FINE ANNO/ Le gestioni in house devono essere motivate da una relazione pubblicata su Internet con le ragioni della scelta.

Rischio-blocco per gli affidamenti di servizi pubblici nelle Regioni che non hanno ancora costruito gli ambiti territoriali ottimali chiesti dalla manovra-bis del 2011.
Il decreto crescita approvato la scorsa settimana al Consiglio dei ministri torna a intervenire sui servizi pubblici locali, rilanciando le "liberalizzazioni" sopravvissute alla sentenza 199/2012 con cui la Corte costituzionale ha cancellato a luglio le norme-fotocopia (articolo 4 del Dl 138/2011) di quelle bocciate dai referendum nel giugno 2011.
Per raggiungere l'obiettivo, il decreto prevede che nel caso di servizi a rete a rilevanza economica gli affidamenti siano «effettuati unicamente» dagli enti di governo istituiti per gestire i bacini territoriali ottimali. Problema: enti locali e Regioni avrebbero dovuto disegnare i confini degli ambiti fin dal 30 giugno scorso, come indicato dall'articolo 3-bis dello stesso Dl 138, ma in molti territori l'individuazione dei bacini è lontana dal traguardo, e in qualche caso non è nemmeno partita. In questi casi, di conseguenza, diventerebbe impossibile effettuare gli affidamenti, sia con gara sia in house.
Il quadro è articolato: tra le Regioni più avanti va citata l'Emilia Romagna, che ha riunito i nove vecchi Ato provinciali in un'agenzia unica, o il Veneto che a fine settembre ha ridisegnato l'igiene urbana. In altre realtà è stata avviata la costruzione degli ambiti, ma gli enti di governance non sono ancora pronti (è il caso del Piemonte), mentre altre Regioni non hanno nemmeno avviato la macchina. La prospettiva, quindi, rischia di essere quella di un blocco generalizzato degli affidamenti, superabile solo se si tagliano drasticamente i tempi per la creazione degli ambiti e dei loro organi di governo.
Sul fronte vero e proprio delle liberalizzazioni, invece, il nuovo decreto non esce dai binari tracciati dalla Consulta nella sentenza che ha cancellato i limiti all'in house. La bussola per gli affidamenti diretti resta quella delle regole Ue, che aprono questa strada solo se la società affidataria è interamente pubblica, lavora in prevalenza con l'ente affidante ed è soggetta a un controllo analogo a quello che l'ente garantisce sui propri uffici.
Il decreto si limita ad aggiungere il tassello della trasparenza, prevedendo che tutti gli affidamenti di questo tipo siano accompagnati da una relazione da pubblicare sul sito Internet dell'ente affidante in cui si dia conto delle ragioni della scelta per l'in house e di eventuali compensazioni economiche. Per gli affidamenti già attivi la relazione va pubblicata entro fine anno.
Un'ultima novità riguarda gli affidamenti diretti a società già quotate in Borsa al 01.10.2003: se i contratti non hanno scadenza, decadranno automaticamente dal 31.12.2020 (articolo Il Sole 24 Ore del 09.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

VARIIL DECRETO CRESCITA/ Il decreto varato dal Consiglio dei ministri. Le comunicazioni giudiziarie viaggiano solo online. Start up, p.a. digitale, fallimenti Ecco la ricetta per la crescita.
Infrastrutture e servizi digitali, agevolazioni per le nuove imprese innovative, interventi di liberalizzazione in particolare in campo assicurativo sulla responsabilità civile auto, fallimenti telematici, procedura ad hoc per risolvere la situazione di sovraindebitamento del consumatore meritevole.
Queste le principali misure introdotte dal decreto crescita, approvato giovedì scorso dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti. Vediamo le norme nel dettaglio.
Agenda digitale. Con l'applicazione dell'agenda digitale, il governo punta ad aumentare i servizi on-line per i cittadini, che potranno avere un unico documento elettronico, valido anche come tessera sanitaria, attraverso il quale rapportarsi con la p.a. Via libera anche alle ricette mediche digitali, al fascicolo universitario elettronico, all'obbligo per la p.a. di comunicare attraverso la posta elettronica certificata e di pubblicare online i dati in formato aperto e riutilizzabile da tutti. Viene inoltre integrato il piano finanziario necessario all'azzeramento del divario digitale per quanto riguarda la banda larga (150 milioni stanziati per il centro nord, che vanno ad aggiungersi alle risorse già disponibili per il Mezzogiorno per banda larga e ultralarga, per un totale di 750 milioni di euro).
È introdotto poi l'obbligo per le amministrazioni pubbliche di accettare pagamenti in formato elettronico, a prescindere dall'importo della singola transazione. I soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, saranno inoltre tenuti, dal 01.01.2014, ad accettare pagamenti con carta di debito (per esempio, bancomat).
Giustizia digitale. Il decreto crescita introduce poi delle disposizioni per snellire modi e tempi delle comunicazioni e notificazioni giudiziarie. In particolare, nei procedimenti civili tutte le comunicazioni e notificazioni a cura delle cancellerie o delle segreterie degli uffici giudiziari verranno effettuate esclusivamente per via telematica. Modificata poi la legge fallimentare. Attraverso l'uso della pec e di tecnologie online, le comunicazioni dei momenti essenziali della procedura fallimentare avverranno per via telematica.
Tra questi: a) la presentazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento; b) le comunicazioni ai creditori da parte del curatore; c) la presentazione della domanda di ammissione al passivo da parte dei creditori. Per quanto riguarda l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, la disposizione concernerà il flusso di comunicazioni tra curatore e creditori (nel fallimento) e tra commissario giudiziale o liquidatore e creditori (nel concordato preventivo) e tra commissario liquidatore e creditori (nella liquidazione coatta amministrativa).
Impresa innovativa. Per le start up vengono messi subito a disposizione circa 200 milioni di euro, tra i fondi stanziati dal decreto sotto forma di incentivi e fondi per investimento messi a disposizione dalla Fondo italiano investimenti della Cassa depositi e prestiti. Il decreto definisce anche l'incubatore certificato di imprese start up innovative, qualificandolo come una società di capitali di diritto italiano, o di una societas europaea, residente in Italia, che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start up innovative.
Viene infine istituita un'apposita sezione del registro delle imprese con l'iscrizione obbligatoria per le start up innovative e gli incubatori certificati così da garantirne la massima pubblicità e trasparenza (articolo ItaliaOggi Sette dell'08.10.2012).

ENTI LOCALI - VARIDoppia mossa sui pagamenti tracciabili.
Con due mosse il Governo mette sotto scacco l'uso del contante e incentiva il ricorso a strumenti elettronici per monitorare il regolamento delle transazioni commerciali.
I provvedimenti emanati nelle ultime settimane, infatti, intervengono in modo sempre più deciso per imporre la tracciabilità dei pagamenti, da una parte, razionalizzando e inasprendo il sistema sanzionatorio connesso all'uso del contante, degli assegni e dei libretti al portatore e, dall'altra, imponendo specifici obblighi a pubbliche amministrazioni, a gestori di servizi pubblici e, più in generale, a imprese e professionisti per consentire ai cittadini l'utilizzo di carte di debito, di credito e di altri strumenti elettronici di pagamento. Tutto questo allo scopo chiaramente dichiarato di rafforzare i presidi di lotta all'evasione fiscale e di monitorare in modo tempestivo la formazione della spesa pubblica e privata.
Limiti e sanzioni
Il quadro normativo sull'utilizzo del contante, degli assegni bancari e postali e dei libretti al portatore si arricchisce di un ulteriore tassello che prevede per i cambiavalute una nuova soglia e rivisita il sistema sanzionatorio collegato all'articolo 49 del Dlgs 231/2007 (si veda la tabella pubblicata sotto). In particolare, con il Dlgs 169 del 19 settembre 2012 (pubblicato sulla Gazzeta n. 230 del 2 ottobre 2012), che integra le regole imposte nel 2010 al credito al consumo, relativamente ai cambiavalute, prevede che la negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta abbia, in luogo del limite ordinario di mille euro previsto per il trasferimento in contanti tra privati, la soglia di 2.500 €.
Al contrario, per quanto riguarda le sanzioni l'articolo 18 il decreto legislativo prevede una razionalizzazione del sistema e un innalzamento delle sanzioni pecuniarie per i libretti di deposito bancari o postali al portatore con importo saldo pari o superiore ad euro mille la nuova soglia va da un minimo del 30 a un massimo del 40% (tale sanzione per i libretti al portatore si applica anche per la mancata estinzione al 31 marzo 2012 o per la mancata riduzione del saldo o nel caso di trasferimento dei libretti qualora sia stata omessa la comunicazione da parte del cedente alla banca o alle Poste italiane entro il termine di 30 giorni).
Ulteriore intervento ha riguardo alla determinazione dell'importo della sanzione amministrativa pecuniaria minima applicabile che viene determinato in 3mila euro per tutte le violazioni relative a contante, assegni e libretti al portatore. Solo per i libretti al portatore se il saldo è inferiore a 3mila euro la sanzione è pari al saldo.
Pagamenti elettronici
Sul versante dei pagamenti il Governo propone un'estensione del ricorso a strumenti tracciabili rendendo obbligatori per le pubbliche amministrazioni, per gli enti erogatori di servizi pubblici, per imprese e professionisti l'adozione di procedure che consentano all'utenza di regolare le singole transazioni, almeno con la carta di debito. Sotto questo profilo la prima misura messa in campo dal Governo è prevista nel Dl 158/2012 ("Decreto Sanità") con cui si impone che il pagamento di prestazioni sanitarie di qualsiasi importo a enti o aziende del sevizio sanitario debba essere fatto con mezzi di pagamento tracciabili. A questo si aggiunga che per le stesse prestazioni sanitarie erogate da studi professionali in rete il titolare dello studio deve acquisire la necessaria strumentazione (a esempio collegamento Pos) entro il 30.04.2013.
Sempre in materia di pagamenti tracciabili, altre novità vengono ora dal Decreto sviluppo con cui il governo impone alle pubbliche amministrazioni, alle società interamente partecipate da enti pubblici o con prevalente capitale pubblico, nonché ai gestori di servizi pubblici l'obbligo nei confronti dell'utenza di accettare i pagamenti ad essi spettanti anche con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. In pratica, la nuova norma dispone che i predetti soggetti debbano consentire all'utenza di utilizzare per i pagamenti, oltre al bonifico bancario o postale, anche le carte di debito, di credito, le carte prepagate ovvero, anche se questa possibilità è condizionata all'emissione di un apposito decreto, telefoni cellulari o altri supporti elettronici mobili. Per quanto riguarda, infine, le imprese e i professionisti lo stesso decreto dispone che dal 01.01.2014 tutti i soggetti che effettuano la vendita di prodotti o l'erogazione di servizi anche professionali, sono tenuti a accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito (Bancomat) (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.10.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAAmbiente. Le novità previste dal Dm 161/2012
Via libera al riutilizzo delle terre da scavo derivanti dai cantieri. In vigore il regolamento che consente di impiegare i residui come «sottoprodotti».

Dopo la pausa del fine settimana, oggi la riapertura dei cantieri si svolge all'insegna di una grande novità: l'applicazione del Dm 10.08.2012, n. 161 (in vigore da sabato 6 ottobre). Si tratta del regolamento che detta la disciplina dell'utilizzo delle terre e rocce da scavo che –se gestite a particolari condizioni- sono considerate sottoprodotti da riutilizzare anziché semplici rifiuti da portare in discarica. Una disciplina attesa da molto tempo.
Da sabato scorso è abrogato l'articolo 186 del Codice ambientale, come previsto dall'articolo 49, legge 27/2012. Tuttavia, per i progetti con una procedura in corso ai sensi dell'articolo 186, entro il 4 aprile 2013, sarà possibile presentare il piano di utilizzo previsto dal nuovo regolamento, al fine di poter godere del particolare regime di favore ora introdotto (articolo 15). Altrimenti, senza il piano, i progetti saranno terminati secondo la procedura prevista dall'abrogato articolo 186. L'autorità competente è quella che autorizza la realizzazione dell'opera o, a seconda dei casi, quella che concede la Via o l'Aia.
Anche se nel titolo si riferisce alle terre e rocce da scavo, il regolamento ha una portata ben più vasta poiché (articolo 3) si applica alla gestione dei materiali da scavo cioè suolo o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto, derivanti dalla realizzazione di un'opera. Ad esempio, il decreto cita: scavi in genere (sbancamento, fondazioni, eccetera); perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento; opere infrastrutturali in generale (galleria, diga, strada, eccetera); rimozione e livellamento di opere in terra; materiali litoidi in genere provenienti da escavazioni effettuate negli alvei, sia dei corpi idrici superficiali che del reticolo idrico scolante, in zone golenali dei corsi d'acqua, spiagge, fondali lacustri e marini; residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre, eccetera) anche non connessi alla realizzazione di un'opera e non contenenti sostanze pericolose (quali ad esempio flocculanti con acrilamide o poliacrilamide).
I materiali da scavo possono contenere, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti massimi previsti dal presente regolamento, anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (Pvc), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato. Il regolamento, invece, non si applica ai rifiuti provenienti dalla demolizione degli edifici o di altri manufatti preesistenti.
Il materiale da scavo può essere un sottoprodotto solo se rispetta una serie di condizioni, tra le quali:
- deve essere generato durante la realizzazione dell'opera;
- deve essere riutilizzato nel l'esecuzione della stessa o di un'altra opera.
In ogni caso, il materiale non deve subire alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale (i criteri sono indicati nell'allegato III) e deve soddisfare i requisiti di qualità ambientale presenti nell'allegato IV.
Il piano di utilizzo del materiale da scavo è fondamentale poiché è il documento che prova la sussistenza delle condizioni che il nuovo regolamento richiede affinché il materiale passi dallo status giuridico di rifiuto a quello di sottoprodotto. L'allegato VI reca lo schema dello specifico documento di trasporto mentre l'avvenuto utilizzo del materiale è attestato con la dichiarazione di cui l'allegato VII.
La nuova disciplina è sicuramente più favorevole alle imprese rispetto al pregresso sistema. La corte di Cassazione, però, con sentenza 31.08.2012, n. 33577 ha ritenuto che l'articolo 186 Codice ambientale ha natura di «norma temporanea»; quindi, ai sensi dell'articolo 2 del Codice penale, la relativa disciplina si applica «in ogni caso» ai fatti commessi nella vigenza della normativa in materia di terre e rocce da scavo. Per la Cassazione «non sarebbe, infatti, possibile attribuire la qualifica di sottoprodotto a determinati materiali sulla base di disposizioni amministrative» che erano inesistenti all'epoca della loro produzione.
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I riporti. Semplificazione da potenziare. Alle Pmi conviene trattare i materiali come «rifiuti».
Il regolamento 161/2012 era atteso da tempo in molti grandi cantieri italiani: dalla variante di valico all'Expo milanese, dall'alta velocità di Firenze alla Torino-Lione e così via. Tuttavia, se per i grandi cantieri il complesso sistema che ne deriva può essere attuato abbastanza facilmente, le piccole imprese potrebbero, invece, avere più di un problema (anche per il trasporto) e potrebbero ritenere più conveniente continuare a trattare i materiali come rifiuti.
Il Dm 161/2012 abbozza anche una disciplina dei materiali di riporto di origine antropica –derivanti da scavo, da demolizioni e così via– che si possono presentare frammisti a suolo e sottosuolo. È quello dei riporti, dall'avvento del Codice ambientale, uno dei principali problemi dei cantieri italiani. La recente interpretazione autentica di cui all'articolo 3, legge 28/2012 li qualifica come matrici ambientali al pari del suolo.
Secondo il nuovo regolamento i riporti, se frammisti al terreno naturale in quantità fino al 20% in massa (ma il decreto nulla dispone in ordine a come debbano essere effettuate le misurazioni, rendendosi sul punto quasi inutile) sono considerati alla stregua del terreno naturale e gestiti con il piano di utilizzo. Invece, la quota di riporti in esubero rispetto al 20%, in assenza di una precisa indicazione in tal senso nell'ambito del nuovo Dm, potrebbe essere considerata come rifiuto; semmai, gestibile come sottoprodotto nel rispetto dell'articolo 184-ter, comma 1, Codice ambientale (assai più gravoso e incerto rispetto al sistema del piano di utilizzo). Ferma restando la singolarità di tale disposizione, resta comunque il problema di capire se essa si applichi solo ai riporti che escono dal cantiere oppure anche a quelli che rimangono al suo interno (articolo 185, comma 1, lettere b) e c) del Codice ambientale), i quali, a rigore, in quanto assimilati al "suolo", ove contaminati, sono oggetto di bonifica.
Tale distinzione sarebbe quantomai opportuna per evitare un inutile quanto dannoso spostamento di tali materiali in giro per l'Italia (e non solo) nei casi in cui i materiali di riporto siano destinati, ove necessario previa bonifica, a rimanere in sito e in tal caso (in quanto assimilati al suolo) già esclusi dalla definizione di rifiuto. Di entrambe le problematiche, il Governo sembra essersi reso conto; e infatti, nel disegno di legge sulle semplificazioni che l'Esecutivo sta predisponendo sono previsti appositi articoli per risolvere oltre al problema dei cantieri di piccola dimensione (cioè quelli ove la produzione di materiale non superi i 6mila metri cubi) anche quello della corretta disciplina dei riporti.
Quelli che restano nel cantiere (articolo 185, comma 1, lettere b) e c) Codice ambientale con ciò superando anche il nuovo regolamento) sarebbero da considerare come "suolo" a prescindere dalle percentuali di materiale frammisto, mentre la soglia del 20% prevista dal nuovo Dm 161/2012 continuerebbe ad applicarsi solo ai materiali di riporto destinati a essere recapitati fuori dal cantiere (articolo 185, comma 4, Codice ambientale) (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.10.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOServizi finanziari, più poteri al «capo».
LE SANZIONI/ La mancata approvazione del bilancio nei termini fa scattare lo scioglimento automatico del Consiglio comunale.

L'incarico di responsabile del servizio finanziario può essere revocato esclusivamente per gravi irregolarità e previo parere obbligatorio dei ministeri dell'Interno e dell'Economia.
A riportare al centro dell'attenzione questa figura è il decreto legge salva-enti locali, che fa rientrare il suo rafforzamento nell'ampia girandola di modifiche, mosse soprattutto dalla preoccupazione di garantire la tenuta degli equilibri del bilancio di tipo contabile. Tutto ciò va ad aggiungersi alle novità inizialmente annunciate per il provvedimento relative alla correzione del taglio di risorse di 500 milioni per l'anno 2012 e alla nuova scadenza del riequilibrio.
I compiti del responsabile del servizio finanziario (articolo 153 del Dlgs 267/2000) sono estesi alla salvaguardia degli equilibri finanziari e dei vincoli di finanza pubblica, rispetto ai quali è ribadito che agisce in autonomia. Qualora la gestione sia tale da pregiudicare gli equilibri di bilancio, la segnalazione obbligatoria andrà indirizzata anche alla Corte dei conti.
Il parere di regolarità contabile del responsabile di ragioneria (articolo 49 del Tuel) diventa necessario su tutti gli atti che comportano «riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio del l'ente» (non più solo per atti con impegno di spesa o diminuzione di entrata). Sempre in tema di pareri, è introdotto l'obbligo di motivazione per la Giunta e il Consiglio nei casi in cui la delibera non si conformi agli stessi.
Nell'ambito della riscrittura dei controlli interni è inoltre assegnato alla direzione e al coordinamento del responsabile del servizio finanziario il nuovo «controllo sugli equilibri finanziari», che deve abbracciare anche la valutazione degli effetti generati, sul bilancio finanziario dell'ente locale, dagli andamenti economico-finanziari degli organismi gestionali esterni.
Le ulteriori novità all'ordinamento contabile introducono vincoli aggiuntivi per gli enti che si trovano in anticipazione di cassa o che utilizzano entrate vincolate: devono prevedere un fondo di riserva pari almeno allo 0,45% (invece che lo 0,30%) delle spese correnti e non possono utilizzare l'avanzo di amministrazione.
Tutti gli enti locali devono riservare la metà della quota minima del fondo di riserva alla copertura di eventuali spese non prevedibili. I lavori pubblici di somma urgenza passano all'approvazione del Consiglio con le modalità previste dall'articolo 194 del Tuel.
Finalmente è introdotta la sanzione dello scioglimento del Consiglio per la mancata approvazione del rendiconto nei termini di legge, correggendo il diverso trattamento rispetto al preventivo. Inoltre, la tabella dei parametri di deficitarietà va allegata al rendiconto e non al certificato.
Per il 2012, infine, arrivano la rivisitazione del taglio delle risorse e il posticipo al 30 novembre del termine per la salvaguardia degli equilibri, insieme all'assestamento (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALITrasparenza. Risultati e indicatori on-line. Nasce il «Pira»: i bilanci diventano più leggibili.
Le amministrazioni pubbliche devono rappresentare in modo più semplice e comprensibile i risultati della propria attività, anche quella contabile. Il Dpcm 18.09.2012 detta le linee guida per individuare criteri e metodologie per costruire un sistema d'indicatori e misurare i risultati attesi dai programmi di bilancio. Il Dpcm si applica alle Pa di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 196/2009 (il cosiddetto elenco Istat) con l'esclusione di Regioni, enti locali e loro enti strumentali ed enti del servizio sanitario.
Il «Piano degli indicatori e risultati attesi di bilancio» (Pira) deve essere elaborato dalle Pa diverse dalle amministrazioni statali. L'articolo 5, comma 4, del Dpcm prevede che il Pira, per lo Stato, corrisponda alle note integrative ex articolo 21, comma 11, e 35, comma 2, della legge 196/2009.
Il Pira deve illustrare sia gli obiettivi perseguiti dai programmi di spesa in termini di livello, copertura e qualità dei servizi, sia le finalità ultime che gli stessi perseguono per la collettività ed il sistema economico di riferimento.
I programmi di spesa sono le unità di bilancio che identificano in modo sintetico gli aggregati omogenei di attività realizzate dalla Pa per il perseguimento delle finalità di ciascuna missione. La struttura per missioni e programmi (unità di voto della parte spesa del bilancio di tutte le Pa, a seguito dell'armonizzazione dei sistemi contabili) è propedeutica all'attuazione del Dpcm.
Il Pira deve indicare per ogni programma una descrizione sintetica degli obiettivi, il periodo di riferimento per la sua realizzazione e gli indicatori che consentano di misurare e monitorare la realizzazione di ciascun obiettivo.
Oltre ai programmi, i principali elementi del Pira (articolo 4), sono:
- gli obiettivi che la Pa si prefigge;
- i portatori di interesse, ossia gli individui e i gruppi che possono influenzare o essere influenzati dal raggiungimento o meno degli obiettivi della Pa, distinti in cittadini, utenti e contribuenti;
- i valori preventivi (attesi) degli indicatori e quelli effettivamente conseguiti;
- le risorse finanziarie impiegate;
- la fonte dei dati del sistema;
- le unità di misura utilizzate per gli indicatori.
Il Pira deve essere annualmente elaborato in via programmatica e allegato al bilancio di previsione e deve esporre il contenuto dei programmi di spesa insieme a informazioni sintetiche sui principali obiettivi da realizzare.
A consuntivo deve essere redatto il rapporto sui risultati, allegato al rendiconto, che deve illustrare il conseguimento o meno dei risultati e le cause di eventuali scostamenti.
Il Pira e il rapporto consuntivo devono avere la massima pubblicità anche mediante pubblicazione sul sito della Pa (articolo 7). Il fine del Dpcm è chiaro, condivisibile e coerente con il percorso di omogeneizzazione dei bilanci pubblici, che tende a rendere fruibili anche a soggetti esterni al sistema le relative informazioni. Si è voluto affiancare ai bilanci classici dei documenti sintetici che li rendano comprensibili, in termini di obiettivi e risorse anche a un pubblico ampio (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI:  Il passaggio. Uffici sotto pressione per le necessarie verifiche incrociate con il Catasto.
Gestione più difficile rispetto a Tia e Tarsu.
LE LACUNE/ Disciplinati solo i pagamenti non la riscossione Enti al bivio tra la gestione interna e l'affidamento in appalto.

Tra meno di tre mesi entra in vigore il nuovo tributo sui rifiuti e sui servizi previsto dall'articolo 14 del Dlgs 201/2011, in attuazione della normativa sul federalismo fiscale. La Tares è destinata a sostituire definitivamente la Tarsu, la Tia 1 e la Tia 2, ma prevede anche, per la copertura dei costi dei servizi indivisi dei Comuni, una maggiorazione di 0,30 centesimi per mq. di superficie imponibile. La tariffa della maggiorazione può essere aumentata dal Comune sino a 0,40 centesimi, ma l'entrata relativa, a tariffa base, viene incamerata dallo Stato con una riduzione equivalente del Fsr (fondo sperimentale di riequilibrio).
L'aspetto più critico del nuovo tributo è tuttavia costituito da alcune prescrizioni che ne rendono difficile l'applicazione e che dovrebbero essere corrette per tempo per evitare una partenza caotica.
Ad esempio, la superficie imponibile della Tares, per gli immobili a destinazione ordinaria (categorie catastali A, B e C) è costituita dall'80% della superficie catastale (anche se questa dovesse essere superiore a quella accertata), mentre per gli altri fabbricati (categorie D ed E) e le aree è costituita dalla superficie calpestabile. Questo fatto, oltre a creare una evidente disparità di trattamento, crea notevoli problemi gestionali.
Infatti la norma costringe tutti i Comuni a incrociare con i dati catastali quelli relativi alla Tarsu/Tia, con esiti facilmente ipotizzabili, sia sul carico di lavoro che sul contenzioso. Tra l'altro la norma prevede che in assenza, nella banca dati catastale, del dato della superficie, si applichi una superficie convenzionale (comunque calcolata dall'agenzia del Territorio), con pagamento del tributo in acconto, con un conguaglio non appena il dato relativo alla superficie sarà acquisito. In questo modo si costringerebbero i Comuni a gestire per anni pagamenti in acconto e saldo.
La norma non prevede poi le modalità di riscossione della Tares, limitandosi a regolare i versamenti. Il fatto che vengano previste quattro rate e fissate le date di scadenza, modificabili sia nel numero che nella scadenza da parte del regolamento comunale, sembrerebbe ipotizzare una riscossione con autoliquidazione, con una modifica sostanziale rispetto a Tarsu e Tia, che si basavano sull'iscrizione a ruolo volontario che si estrinsecava nell'invio di un avviso bonario con la liquidazione del tributo e solo una successiva notifica della cartella. I Comuni dovranno comunque prevedere nel loro regolamento come intendono riscuotere il nuovo tributo. L'attività di accertamento e riscossione non potrà comunque, tranne forse nel caso di azienda in house, essere affidata al soggetto gestore del servizio di nettezza urbana. I Comuni dovranno, entro il primo gennaio 2013, reinternalizzare il servizio, con tutti i problemi di personale e di risorse, o riaffidarlo all'esterno. E i gestori si troveranno con personale e un'organizzazione inutilizzati.
Un'altra criticità è che le tariffe sono determinate in base al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal gestore «ed approvato dall'autorità competente». Ma nessuna altra norma fissa quale sia questa autorità competente con il rischio di un ampio contenzioso (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento all'08.10.2012

ENTI LOCALIDECRETO SALVA ENTI/ Non soltanto sindaci, presidenti e assessori nel mirino del dl. La tagliola anche sui revisori. Niente incarichi per 10 anni a chi contribuisce al dissesto.
Anche i revisori che contribuiranno al dissesto degli enti sui quali avrebbero dovuto vigilare incapperanno in pesanti conseguenze, che nei casi estremi potranno arrivare a un divieto decennale di assumere nuovi incarichi.
Non ci sono solo sindaci, presidenti e assessori nel mirino delle misure anti-dissesto varate dal governo nel decreto sulla finanza locale.
Certo, a fare notizia sono soprattutto le sanzioni previste per i politici, ma la mannaia potrebbe colpire duro anche i professionisti.
Qualora, infatti, a seguito della dichiarazione di dissesto, la Corte dei conti accerti gravi responsabilità nello svolgimento dell'attività del collegio dei revisori, o ritardata o mancata comunicazione, secondo le normative vigenti, delle informazioni, i relativi componenti riconosciuti responsabili in sede di giudizio contabile non potranno più essere nominati nel collegio dei revisori degli enti locali e degli enti e organismi agli stessi riconducibili fino a dieci anni, in funzione della gravità accertata.
La Corte dei conti, inoltre, trasmetterà l'esito dell'accertamento anche all'ordine professionale di appartenenza per valutazioni inerenti all'eventuale avvio di procedimenti disciplinari, nonché al ministero dell'interno per la conseguente sospensione dall'elenco di cui all'articolo 16, comma 25, del dl 138/2011. Ai revisori distratti, infine, le sezioni giurisdizionali regionali della magistratura contabile potranno irrogare una sanzione pecuniaria pari a un minimo di cinque e fino a un massimo di 20 volte la retribuzione dovuta al momento di commissione della violazione.
Sanzioni analoghe colpiranno i politici che verranno riconosciuti dalla Corte dei conti, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto. Essi non potranno ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni e organismi pubblici e privati.
I sindaci e i presidenti di provincia, inoltre, non saranno candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo. Essi non potranno neppure ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale, né alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Anche per loro, infine, è prevista una sanzione pecuniaria pari a un minimo di cinque e fino a un massimo di 20 volte la retribuzione dovuta al momento di commissione della violazione.
A ben vedere, misure analoghe erano già contenute nel decreto «premi e sanzioni» (dlgs 149/2011), adottato nell'ambito del federalismo fiscale.
Le nuove disposizioni, tuttavia, si inseriscono in un contesto normativo decisamente cambiato. Il legislatore, infatti, ha previsto nuovi strumenti volti a prevenire l'emersione di nuovi casi di dissesto. In particolare, verrà attivato un fondo rotativo a favore degli enti locali alle prese con gravi criticità finanziarie, purché si impegnino a definire un rigoroso piano pluriennale di riequilibrio, da implementare sotto la stretta vigilanza di Viminale e (soprattutto) della magistratura contabile.
Il piano dovrà essere accompagnato da un parere dell'organo di revisione economico-finanziaria.
L'introduzione di simili meccanismi, ovviamente, non potrà che aggravare la posizione di coloro che (amministratori o revisori) continueranno a chiudere gli occhi sulle problematiche contabili e finanziarie più rilevanti, nel momento in cui queste esploderanno, come recentemente avvenuto in non pochi comuni. In tali casi, il rischio di incappare nelle pesanti sanzioni sopra ricordate diventa sempre più elevato
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Regioni, controlli più duri che in comune.
Si stringe la morsa intorno alle regioni, che vengono a assoggettate ad obblighi e controlli persino più stringenti di quelli imposti agli enti locali.
Il dl approvato dal governo rafforza decisamente le prerogative della Corte dei conti e impone una dieta sostanzialmente obbligatoria per i costi della politica, con il recupero delle misure già previste dal dl 138/2011 (quasi tutte rimaste inattuale malgrado una pronuncia favorevole della Consulta) e la previsione di ulteriori potature.
I controlli
Sul primo versante, viene reintrodotto il controllo preventivo di legittimità sui principali atti regionali di spesa, affidandolo alle sezione regionali di controllo della magistratura contabile. Ma soprattutto, si prevede che queste ultime verifichino ex ante l'attendibilità dei bilanci di previsione proposti dalle giunte ai consigli, in relazione alla salvaguardia degli equilibri contabili, al rispetto del Patto di stabilità interno e alla sostenibilità dell'indebitamento. Qualora siano accertati comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi di Patto, le sezioni regionali adottano specifica pronuncia e vigilano sull'adozione, da parte della regione, delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni ad essa imposte. A completare il cerchio, viene disposto che i rendiconti generali delle regioni siano sottoposti a giudizio di parifica con modalità analoghe a quelle previste per il bilancio consuntivo statale.
Previsti, poi, controlli semestrali, rispettivamente, sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate dalle leggi regionali, sulla legittimità e regolarità delle gestioni, nonché sul funzionamento dei controlli interni.
Laddove vengano accertati casi di squilibri economico-finanziari, mancata copertura di spese o in generale violazioni di norme a tutela della sana gestione, scatta l'obbligo per le regioni di adottare, entro 60 giorni, gli opportuni provvedimenti. Nel frattempo, è preclusa l'attuazione dei programmi di spesa oggetto di rilievi.
L'occhio della Corte dei conti viene puntato anche sulle assemblee e sui gruppi consiliari, che dovranno trasmettere alle Sezioni Riunite un rendiconto annuale che attesti (attraverso l'allegazione dei relativi giustificativi) il regolare utilizzo dei finanziamenti ricevuti. Le eventuali irregolarità dovranno essere sanate entro un termine perentorio, a pena di decadenza dal diritto all'erogazione (che fa scattare anche l'obbligo di restituire le somme ricevute). Idem in caso di ritardo, inadempimento o di violazioni palesi.
I costi della politica
A quanto già previsto dall'art. 14 del dl 138, si aggiungono nuovi obblighi (si veda la tabella).
Questa volta, però, il legislatore sceglie una strada diversa dal passato per garantire che tali misure vengano recepire dalle regioni. Oltre a fissare a queste ultime un termine (30.11.2012, ovvero entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del dl, laddove sia necessario modificare lo statuto), esso ha previsto che una quota dei trasferimenti erariali a favore dei governatori (l'80% di quelli non destinati a sanità e tpl e il 5% di quelli che finanziano il Ssn) sarà riservata a chi farà i compiti a casa. Gli atri resteranno a secco, ma non solo: alle regioni inadempienti verrà fissato un termine di 90 giorni per provvedere, decorso il quale potrà essere disposto lo scioglimento del consiglio regionale ai sensi dell'art. 126 Cost.
Tali disposizioni, si cura di precisare la norma, vale anche per le regioni speciali (sia pure con le modalità di cui all'art. 27 della l. 42/2009), nonché per quelle nelle quali il presidente «abbia presentato le dimissioni» ovvero si debba andare ad elezioni (vedi Lazio). In tal caso, i termini decorrono dall'insediamento dei nuovi consigli (articolo ItaliaOggi del 06.10.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALIDECRETO SALVA ENTI/ Comuni, il controllato è controllore. Il dirigente sarà chiamato a dare un parere sui propri atti. Visto di regolarità contabile e copertura finanziaria ex ante.
Un'invasione di burocrazia, con limitati effetti concreti. Il «nuovo» sistema dei controlli interni previsto dal decreto sulla finanza e il funzionamento degli enti locali suscita più di una perplessità sul piano del funzionamento pratico.
Ne costituisce esempio concreto il principale tra i controlli disciplinati, quello di regolarità amministrativa e contabile, che più si avvicina alla tipologia dei controlli preventivi di legittimità troppo disinvoltamente a suo tempo aboliti dalle riforme Bassanini.
Tale tipologia di controllo, prevede il nuovo articolo 147-bis del dlgs 267/2000 va svolto, dispone la norma, «nella fase preventiva della formazione dell'atto, da ogni responsabile di servizio ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità tecnica attestante la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa».
La norma è scritta come se vi fosse alterità tra il soggetto che adotta i provvedimenti amministrativi ed il responsabile di servizio, chiamato a controllarli. È un errore di prospettiva e di concezione del procedimento di formazione delle determine.
La maggior parte dei provvedimenti decisionali degli enti locali sono le determine, adottate dal dirigente o dal responsabile di servizio, cioè il medesimo soggetto che il regime dei controlli chiama ad esprimere un parere, paradossalmente rivolto, nella sostanza, a se stesso.
Il controllo di regolarità amministrativa è sempre stato da considerare insito nella stessa sottoscrizione del provvedimento da parte del vertice amministrativo, che nel momento in cui lo sottoscrive lo adotta, implicitamente dichiarandolo regolare.
Di fatto, dunque, il parere diviene un passaggio burocratico in più, da gestire in una fase precedente la materiale adozione del provvedimento, che andrà regolamentata con una proposta di provvedimento o una relazione istruttoria, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera e), della legge 241/1990.
L'articolo assegna anche al responsabile del servizio finanziario un ruolo rilevante nel controllo di regolarità amministrativa, confermando che esso vada esercitato «attraverso il rilascio del parere di regolarità contabile e del visto attestante la copertura finanziaria», ma stabilendo che tale parere vada rilasciato a sua volta nella fase preventiva all'adozione dell'atto. Mentre sin qui, al contrario, il visto del responsabile è sempre intervenuto successivamente alla fase di formazione, anche allo scopo di attribuire al provvedimento di spesa l'efficacia.
Un bel bailamme, involontariamente, tuttavia, coordinabile, almeno per quanto riguarda le determinazioni a contrattare precedenti la stipulazione dei contratti, con le previsioni dell'articolo 18 della legge 134/2012, che rimette l'efficacia concreta del titolo giuridico per erogare legittimamente somme ai contraenti la pubblicazione sul sito delle amministrazioni dei dati previsti dal medesimo articolo 18. Il quale, dunque, aveva già indirettamente privato il visto del responsabile del servizio finanziario della piena efficacia.
Il sistema, in ogni caso, assegna al responsabile dei servizi finanziari funzioni di controllo di particolare rilievo. Tale soggetto sarà chiamato in causa per il consolidamento dei conti dell'ente con le società partecipate, ma, soprattutto sarà diretto protagonista del controllo degli equilibri finanziari, fondamentale per il rispetto dei vincoli di pareggio del bilancio statale (al quale gli enti locali concorreranno).
Proprio con riferimento al responsabile dei servizi finanziari, la riforma al dlgs operata dal decreto introduce una sorta di forma di «garanzia» nella permanenza delle funzioni, ma limitatamente agli enti privi di dirigenza. Un rimedio allo spoils system troppo limitato per essere considerato davvero efficace (articolo ItaliaOggi del 06.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIDECRETO CRESCITA/ Utility con affidamenti a tempo. Termine entro il 2020 a meno di scadenze precedenti. Approvate nuove regole sulla gestione del servizio pubblico locale.
Gli affidamenti diretti di servizi pubblici locali disposti prima dell'01.10.2003 termineranno entro il 2020, salvo che non siano previste scadenze precedenti; se un ente locale decide di procedere con affidamento diretto per la gestione di un servizio pubblico ha l'obbligo di pubblicare sul sito internet le ragioni della scelta e la sussistenza dei presupposti.
Sono questi alcuni dei contenuti delle norme del decreto-legge sulla crescita varato dal Consiglio dei ministri di giovedì in materia di servizi pubblici locali Si tratta dei commi da 13 a 16 dell'articolo 34 che si pongono l'obiettivo, in questo nuovo intervento sulla materia, di assicurare il rispetto del diritto comunitario, sotto il profilo della concorrenza e della tutela del mercato e di introdurre ulteriori elementi di trasparenza.
In particolare il comma 13 riguarda i servizi pubblici locali di rilevanza economica e prevede in primo luogo che gli enti competenti predispongano e rendano pubblica sul sito istituzionale una relazione che spieghi le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento comunitario in ordine alla scelta dell'affidamento individuato per la gestione del servizio. L'obbligo di rendere pubblica la relazione viene messo in rapporto alla necessità di assicurare la trasparenza delle scelte di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, il rispetto delle regole europee per il mercato interno e la concorrenza ovvero la sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per l'affidamento diretto, implicitamente recependo anche le indicazioni della recente sentenza della Corte costituzionale (la 119 di quest'anno).
Non si tratta di una particolare novità, dal momento che tutti i provvedimenti amministrativi devono essere ovviamente motivati in rapporto ai vincoli normativi previsti dalla disciplina nella quale si collocano; semmai la novità è rappresentata dal fatto che la relazione sia resa pubblica sul sito internet dell'ente. Gli enti locali sono destinatari di un divieto generale di istituire organismi, aziende ed enti comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative attribuite ai sensi dell'art. 118 della Costituzione.
Diversi i tempi per la pubblicazione della relazione: per gli affidamenti in essere, entro il 31.12.2013; per gli affidamenti per i quali non è prevista una data di scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento, pena la cessazione dell'affidamento medesimo alla data del 31.12.2013.
Viene poi fissata alla fine del 2020 (salvo data anteriore a fine 2020), la data limite per la cessazione degli affidamenti diretti assentiti alla data del primo ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, laddove non sia prevista una data di scadenza In altre parole è come se si prevedesse l'obbligo di inserire la scadenza del 2020 nei contratti affidati prima del 2003 che non prevedono alcuna scadenza.
Infine il comma 16 dell'articolo 34 del decreto-legge prevede un intervento sul comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14.09.2011, n. 148, e successive modificazioni,
La norma sulla quale si interviene è quella che stabilisce che i servizi pubblici locali di rilevanza economica abbiamo come territorio di riferimento bacini ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio.
La novella apportata dal decreto chiarisce che anche “le procedure per il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei e che tale onere spetta agli enti di governo istituiti o designati dalla regioni o province le quali, a loro volta, hanno definito «il perimetro» degli ambiti e i bacini ottimali".
La norma, in sostanza, in coerenza con la necessità di favorire le unioni fra enti locali per la gestione dei servizi pubblici, rende applicabile il riferimento ai bacini ottimali per tutte le fasi procedurali, dall'individuazione dei bacini ad opera della regioni, alla programmazione, alle procedure di affidamento e alla gestione del servizio (articolo ItaliaOggi del 06.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOResponsabilità per il dirigente che non usa strumenti informatici.
Un nuovo carico di responsabilità per i dirigenti pubblici. Il decreto sviluppo-bis allo scopo di assicurare la completa attuazione della digitalizzazione della pubblica amministrazione introduce specifiche sanzioni a carico dei dirigenti che non operino in modo da estendere gli strumenti informatici.
Una prima tipologia di responsabilità è connessa alle modalità di trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica tra le pubbliche amministrazioni.
Il decreto prevede ipotesi di responsabilità dirigenziale e disciplinare nei confronti dei dirigenti, nel caso in cui si violi il disposto dell'articolo 47, comma 1, del dlgs 82/2005. Tale norma dispone che «le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono mediante l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza».
Compito specifico della dirigenza, dunque, è organizzare gli uffici in modo che si prestino a gestire le comunicazioni con cittadini ed imprese senza più impedimenti. Lo strumento della posta elettronica certificata, in particolare, deve essere quello privilegiato.
La responsabilità a carico dei dirigenti è, tuttavia, piuttosto delicata e al limite delle caratteristiche della responsabilità oggettiva. È evidente, infatti, che la dirigenza potrà assicurare la piena operatività delle comunicazioni online solo ricorrendo una serie di condizioni. In particolare, occorre ovviamente che gli enti abbiano correttamente predisposto gli strumenti telematici necessari. La responsabilità dirigenziale scatta laddove non si assicuri ai dipendenti la necessaria formazione sull'utilizzo di questi strumenti e non vengano adottate chiare e specifiche direttive operative, per iscritto, finalizzate all'attuazione della norma, come ad esempio la previsione del divieto assoluto di inviare documenti ad altre pubbliche amministrazioni se non mediante gli strumenti telematici.
Simmetriche responsabilità, sempre di tipo «dirigenziale» (dunque connessa alla valutazione e alla retribuzione di risultato) e di carattere disciplinare deriva dalla mancata attivazione del procedimento amministrativo in conseguenza della ricezione di istanze telematiche.
Da tempo la legislazione ha preso la strada di favorire la comunicazione telematica con le pubbliche amministrazione. Non bisogna nascondere che non di rado proprio le strutture amministrative costituiscano un ostacolo alla piena esplicazione delle comunicazioni telematiche, in quanto gli uffici non vengono organizzati in modo corretto.
Per questo, il decreto sviluppo-bis stabilisce che «il mancato avvio del procedimento da parte del titolare dell'ufficio competente a seguito di istanza o dichiarazione inviate» con gli strumenti digitali fa scattare le responsabilità evidenziate sopra.
La norma, dunque, introduce l'obbligo di avviare i procedimenti amministrativi laddove i cittadini e le imprese, chiamate, per altro, dal decreto sviluppo a dotarsi della posta elettronica certificata (che addirittura diverrà elemento delle schede della nuova anagrafe) o degli altri mezzi previsti.
Anche in questo caso, la responsabilità dei dirigenti, per non essere configurata come oggettiva, deve essere commisurata alla capacità delle strumentazioni in dotazione agli enti di dialogare mediante strumenti digitali.
Il protocollo informatico capace di registrare le istanze pervenute con strumenti digitali costituisce non tanto un dovere, ma anche solo un presupposto, affinché si attivino una volta e per sempre modalità di gestione dei procedimenti amministrativi di tipo informatico, che quanto meno siano in grado di gestire, se non tutte le fasi dell'iter, almeno quello dell'avvio del procedimento.
I dirigenti sono chiamati anche in questo caso ad aggiornare e formare i dipendenti addetti ai procedimenti amministrativi all'uso corretto degli strumenti e a impartire indicazioni di dettaglio, volte a un chiaro favore verso l'acquisizione senza alcun ostacolo alle comunicazioni mediante strumenti telematici, come presupposto per attivare i procedimenti (articolo ItaliaOggi del 06.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARIDECRETO CRESCITA/ Le disposizioni sull'agenda digitale. Pec per le ditte individuali. Versamenti alla p.a., info via web. Iban e conti correnti nei siti. Per facilitare i pagamenti.
Iban e conti correnti nei siti delle p.a. per facilitare i pagamenti dei cittadini. Certificati di malattia dei bambini, ai fini della fruizione del congedo parentale, da inoltrare telematicamente. I cittadini potranno comunicare alla p.a. il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, con cui potrà «interfacciarsi» con le altre amministrazioni pubbliche. Via libera al fascicolo degli studenti universitari. Conterrà i dati a partire dall'immatricolazione sino al conseguimento del titolo. Anche le imprese individuali dovranno dotarsi della Pec.
Questo in sintesi il pacchetto Agenda digitale contenuto nel decreto crescita entrato ieri all'esame del Consiglio dei ministri.
P.a. con l'Iban. Nei siti istituzionali delle p.a., ma anche in quelli di gestori di pubblici servizi che operano con utenti, dovranno essere indicati i codici Iban identificativi del conto di pagamento, ovvero i dati relativi al conto corrente postale cui i cittadini potranno effettuare i pagamenti mediante bollettino postale. Possibile altresì per le p.a. di avvalersi di prestatori di servizi di pagamento, da individuare attraverso Consip, cosicché i cittadini potranno effettuare i pagamenti con strumenti quali le carte di credito, di debito e le prepagate. Da queste previsioni restano espressamente escluse le operazioni di competenza delle Agenzie fiscali.
Domicilio digitale del cittadino. Ogni cittadino potrà comunicare alla pubblica amministrazione un proprio indirizzo di posta elettronica certificata, quale suo domicilio digitale. Tale indirizzo verrà inserito nell'anagrafe nazionale della popolazione residente e reso così disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni e ai gestori di pubblici servizi. Un successivo decreto del Mininterno metterà nero su bianco le relative modalità di comunicazione. Il decreto prevede che, a partire dall'01/01/2013, la p.a. comunicherà con i cittadini esclusivamente attraverso il suo domicilio digitale, tranne i casi in cui la normativa vigente prevede una diversa modalità di comunicazione.
Fascicolo elettronico degli studenti. Dall'anno accademico 2013-2014, le università statali e non statali, legalmente riconosciute, sono tenute a costituire il fascicolo elettronico dello studente. Un documento che, nelle intenzioni dell'esecutivo, ridurrà i costi e migliorerà i servizi per gli stessi studenti. Il fascicolo conterrà tutte le informazioni della carriera universitaria, a partire dall'immatricolazione fino al conseguimento del titolo.
Libri digitali. Dall'anno scolastico 2013-2014, il collegio dei docenti dovrà adottare libri esclusivamente nella forma digitale o mista, costituita da un testo digitale o cartaceo e da supporti digitali integrativi. Per le scuole del primo ciclo, tale obbligo scatterà dal 2014. Il decreto prevede che le regioni e gli enti locali potranno stipulare convenzioni con il Miur, al fine di garantire l'offerta formativa nei confronti di nuclei familiari in situazioni svantaggiate. Tra queste, anche la possibilità di fornire attività didattiche attraverso strumenti di e-learning.
Fascicolo sanitario elettronico. Tutti i dati di tipo sanitario e socio sanitario saranno inseriti nel Fascicolo sanitario elettronico. Ad istituirlo penseranno le regioni, con fini di prevenzione, cura e diagnosi, ma anche di sorveglianza sanitaria e di valutazione dell'assistenza sanitaria.
Ricette elettroniche. Le regioni, entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto crescita, dovranno accelerare la conversione delle prescrizioni mediche in formato cartaceo con quelle elettroniche. Anzi, dal prossimo anno le percentuali e non dovranno essere inferiori al 60% del totale delle prescrizioni emesse. Rapporto che nel 2014 sale all'80% e al 90% nel 2015. Anche i medici dovranno adeguarsi a questi standard, pena l'applicazione di sanzioni disciplinari previste dall'articolo 55-septies del dlgs 165/2001.
Malattia bimbi online. Anche la certificazione di malattia necessaria al genitore per fruire dei congedi dovrà essere effettuata per via telematica, al pari di quanto oggi avviene per i lavoratori dipendenti dei settori pubblici e privati. Sarà il medico convenzionato Ssn a inoltrare l'istanza all'Inps e il lavoratore avrà l'obbligo, al momento della comunicazione di indicare le generalità del genitore che usufruirà di tale congedo.
Imprese individuali. Chi si iscrive al registro imprese, entro il 31 dicembre 2013 dovrà comunicare il proprio indirizzo Pec. In caso di inosservanza, iscrizione sospesa per tre mesi in attesa di regolarizzazione.
Bus e metro. Il biglietto si acquisterà anche via pc e smartphone.
Giustizia. Nei procedimenti civili, le comunicazioni e le notifiche saranno effettuate per via telematica. In particolare, le notifiche nei confronti dei soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo Pec e che non abbiano ancora ottemperato a tali prescrizioni, saranno eseguite solo con il deposito in cancelleria (articolo ItaliaOggi del 05.10.2012).

LAVORI PUBBLICIDECRETO CRESCITA/ Project financing defiscalizzato. Alleggerimento per finanza di progetto superiore a 500 mln. Misura per le opere da realizzare e per quelle già programmate.
Defiscalizzazione per le nuove opere da realizzare in finanza di progetto di valore superiore a 500 milioni e per le opere già programmate, in corso di realizzazione o in gestione, se il piano economico-finanziario non è in equilibrio; 400 milioni per i pagamenti dei debiti Anas per appalti di lavori e forniture; attribuzione delle funzioni dalla soppressa Agenzia stare e autostrade al ministero delle infrastrutture; previste risorse per i comuni attraversati dalla Livorno - Civitavecchia.
È quanto prevede per le infrastrutture la bozza di decreto-legge sulla crescita approvato ieri in consiglio dei ministri.
Defiscalizzazione per infrastrutture in finanza di progetto. Il decreto legge da il via libera alla defiscalizzazione, a favore del soggetto realizzatore in partenariato pubblico privato di nuove opere pubbliche infrastrutturali di importo superiore a 500 milioni di euro per le quali non siano previsti contributi pubblici a fondo perduto e per le quali sia certa la non sostenibilità del piano economico finanziario. Si tratta di un credito di imposta a valere sull'Ires e sull'Irap direttamente generate dalla costruzione e gestione dell'opera, nel limite del 50% del costo dell'investimento, che dovrebbe consentire il riequilibrio del Pef.
Sarà possibile utilizzare questa misura sia per la fase della costruzione dell'opera, sia in alcun casi, anche per la gestione dell'opera stessa. Il credito di imposta è posto a base di gara per l'individuazione dell'affidatario del contratto di partenariato pubblico privato e successivamente riportate nel contratto. L'ammissibilità dei benefici richiesti avviene a valle della verifica da parte del Cipe -su proposta del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze. La valutazione riguarda la capacità dei piani economico-finanziari, proprio per effetto del credito di imposta, di conseguire, anche attraverso il mercato, la sostenibilità necessaria per la realizzabilità degli obiettivi programmati.
La defiscalizzazione sarà possibile anche per le opere già affidate già programmate, affidate o in corso di affidamento, il cui piano economico finanziario non sia più in equilibrio. Il governo stima che la misura possa interessare la Brebemi, la Pedemontana lombarda e veneta, l'Autostrada tirrenica, il Porto di Ancona e la Strada dei parchi.
Pagamenti appalti Anas. Il decreto legge affronta il tema, più volte denunciato in queste ultime settimane anche dall'Ance, delle difficoltà finanziarie di Anas, soprattutto per quel che concerne l'esposizione debitoria nei confronti delle imprese. Si interviene consentendo di utilizzare, in via transitoria e a titolo di anticipazione, 400 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo centrale di garanzia per provvedere al pagamento di lavori e forniture già eseguite. In un'altra norma si fa anche in modo che siano destinate a Anas altri 100 milioni per le esigenze relative ai contratti di programma 2010 e 2011, nelle more del completamento delle procedure contabili.
Funzioni della soppressa Agenzia nazionale strade e autostrade. Il decreto legge si occupa anche di risolvere il problema delle attribuzioni di funzioni che erano state affidate all'Agenzia strade e autostrade che, dal 30.09.2012, è soppressa ex lege a causa della mancata nomina dei commissari.
Scaduto il termine occorreva quindi consentire l'effettiva operatività del trasferimento delle funzioni di concedente della rete stradale e autostradale di interesse nazionale da parte di Anas, prevedendo che unitamente alle predette funzioni transitino nell'amministrazione (ministero delle infrastrutture), oltre alle risorse strumentali, umane e finanziarie relative a Ivca (struttura di Anas deputata a compiti di ispezione e vigilanza sulle concessionarie autostradali), anche le risorse delle strutture di Anas attualmente impiegate nelle funzioni proprie del concedente che consistono in compiti e attività ulteriori rispetto a quelli di vigilanza.
Si tratta, fra le altre, delle funzioni concernenti la selezione dei concessionari, l'approvazione dei progetti relativi ai lavori inerenti la rete stradale ed autostradale di interesse nazionale, la proposta di programmazione del progressivo miglioramento e adeguamento della rete delle strade e delle autostrade statali; le proposte sulla regolazioni e variazioni tariffarie per le concessioni autostradali.
Autostrada Livorno-Civitavecchia. Al fine di reperire risorse da destinare ai comuni che verranno attraversati dalla nuova infrastruttura autostradale in corso di progettazione di realizzazione (per agevolazioni tariffarie ai residenti), il decreto-legge stabilisce che per i primi dieci anni di gestione della nuova tratta Cecina - Civitavecchia si proceda a un trasferimento alla Regione Toscana di una quota fino al 75% del canone annuo versato dal concessionario (pari al 2,4% dei proventi netti da pedaggio). Dovrebbe trattarsi di circa 15 milioni l'anno per dieci anni dal momento che il piano economico finanziario stima proventi per 20 milioni annui (articolo ItaliaOggi del 05.10.2012).

ENTI LOCALIDECRETO SALVA ENTI/ Il governo imbriglia le regioni. Chi non taglia i costi della politica perderà l'80% dei fondi. Tornano i controlli preventivi di legittimità e si rafforzano quelli interni.
Rafforzamento dei controlli interni negli enti locali e ritorno dei controlli preventivi di legittimità sugli atti delle regioni.
È un accerchiamento a tenaglia quello che il governo intende realizzare con il decreto legge sulla trasparenza e la riduzione dei costi degli apparati politici regionali approvato ieri, per evitare il ripetersi di casi di corruzione e malaffare come quello che ha travolto la regione Lazio.
Con argomenti che si annunciano molto «dissuasivi» per le regioni che non accetteranno di ridurre i costi della politica. Perderà il 5% dei fondi destinati alla sanità e l'80% di tutti gli altri finanziamenti (non saranno toccati invece i contributi al trasporto pubblico locale) chi entro sei mesi non avrà: ridotto il numero dei consiglieri, introdotto il divieto di cumulo di indennità e emolumenti, imposto la partecipazione gratuita alle commissioni, pubblicizzato i redditi dei politici regionali e soprattutto adeguato i contributi ai gruppi consiliari e le indennità di funzione e di carica a quelli della regione più virtuosa (che dovrà essere individuata entro fine ottobre).
Nel caso in cui l'inadempienza persista è prevista una diffida da parte del Governo e la successiva procedura per lo scioglimento del consiglio. Stretta anche su pensioni e vitalizi. Potranno essere erogati agli ex governatori, consiglieri e assessori solo se hanno compiuto 65 anni di età e ricoperto le cariche per non meno di 15 anni (non continuativi).
Il taglio del numero di consiglieri e assessori regionali dovrà essere realizzato entro 6 mesi dall'entrata in vigore del provvedimento, ad esclusione delle regioni in cui è prevista una tornata elettorale (per le quali il limite verrà applicato dopo le elezioni). Il decreto obbliga anche le regioni ad attenersi alle regole statali in materia di riduzione di consulenze e convegni, auto blu, sponsorizzazioni, compensi degli amministratori delle società partecipate, ecc.
Passando dai costi della politica al controllo finanziario, si segnala, come detto, una vera e propria entrata a gamba tesa della Corte dei conti sull'autonomia regionale. Saranno sottoposti al controllo preventivo di legittimità dei giudici contabili il piano di riparto delle risorse ai dirigenti titolari di centri di costo e tutti gli atti emanati dal governo regionale aventi rilevanza esterna e riflessi finanziari. Le regioni a statuto speciale e le province autonome non potranno sfuggire alla stretta dovendo recepire le novità del decreto legge entro sei mesi.
La Corte dei conti inoltre controllerà l'attendibilità dei bilanci di previsione regionali. Le proposte di preventivi dovranno essere trasmesse alle sezioni regionali che avranno 20 giorni di tempo per verificare che non mettano in pericolo gli equilibri di bilancio, il rispetto del patto di stabilità e la sostenibilità dell'indebitamento. Qualora la Corte accerti spese senza copertura, le regioni dovranno rimediare entro 60 giorni. Nel frattempo non potranno dare seguito alle spese.
Province e comuni. Negli enti locali si rafforzano invece i controlli interni. Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta e al consiglio dovrà essere richiesto il parere del responsabile del servizio e del responsabile di ragioneria qualora comporti riflessi economico-finanziari. La norma fa parte di un corposo pacchetto di disposizioni contenute nella Carta delle autonomie da tempo ferma su un binario morto al senato. Il governo Monti ha deciso di estrapolarle dal testo e inserirle nel decreto legge per renderle immediatamente operative. Del pacchetto fanno parte anche l'introduzione del controllo strategico per la verifica dello stato di attuazione dei programmi e l'obbligo del controllo sulle società partecipate.
Ma nemmeno le amministrazioni locali saranno immuni dai controlli della Corte conti. Ogni tre mesi i giudici dovranno verificare la regolarità delle gestioni e il funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto del pareggio di bilancio.
Confermata l'ulteriore stretta sui conti dei comuni anticipata ieri da ItaliaOggi. Gli enti che utilizzano entrate a specifica destinazione o chiedono ai propri tesorieri anticipazioni di cassa non potranno utilizzare gli avanzi di amministrazione. E dovranno iscrivere in bilancio un fondo di riserva per far fronte a spese non prevedibili più sostanzioso rispetto ad oggi. Perché il limite minimo del fondo da inserire nel preventivo passerà dall'attuale 0,30 allo 0,45% del totale delle spese correnti.
Non solo incandidabilità per chi porta gli enti al dissesto. Gli amministratori locali riconosciuti responsabili dalla Corte conti di aver portato gli enti al dissesto con dolo o colpa grave (conteranno anche le condotte omissive) non potranno ricandidarsi per 10 anni. E non è una novità perché la norma è già prevista nel decreto legislativo su premi e sanzioni (dlgs n. 149/2011) attuativo del federalismo fiscale. Ciò che cambia invece è che, oltre a restare a casa, il politico sprecone, se riconosciuto responsabile del default, dovrà pagare una multa che andrà da un minimo di 5 fino a un massimo di 20 volte la retribuzione percepite al momento della violazione.
Sterilizzati i tagli della spending review. Come anticipato da ItaliaOggi (si veda il numero del 3/10/2012) sui comuni non si abbatteranno più le decurtazioni «cieche» del fondo di riequilibrio (pari in totale a 500 milioni per quest'anno, 2 miliardi nel 2013 e 2014 e 2,1 miliardi dal 2015) previste dalla spending review. Le amministrazioni eviteranno i tagli ma saranno obbligate a dirottare una cifra di pari importo sulla riduzione del livello di indebitamento. In pratica dovranno alleggerire la propria esposizione in mutui e prestiti.
Riscossione. Il provvedimento intervenendo sul tema dell'attività di gestione e riscossione delle entrate degli enti territoriali, ne annuncia una prossima riforma. Per favorirla viene sostanzialmente stabilito il mantenimento dell'attuale assetto (e quindi sostanzialmente la presenza di Equitalia), ma non oltre il 30.06.2013.
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L'analisi/ Riforma giusta, ma va cambiata la Costituzione.
Un sistema di controlli a forte sospetto di illegittimità costituzionale. Il ddl sugli equilibri finanziari degli enti locali punta alla reintroduzione dei controlli preventivi di regolarità amministrativa (in parte coincidenti con i vecchi controlli di legittimità) scriteriatamente aboliti dalle leggi-Bassanini, ma realizza un ibrido poco convincente sul piano degli assetti istituzionali, nonché della concreta efficacia.
Da un lato, il disegno di legge estrapola dalla bozza di «Carta delle autonomie» ancora giacente in Parlamento il Capo relativo ai controlli interni e dall'altro lo arricchisce con una disposizione relativa a controlli trimestrali della Corte dei conti.
Già di per sé la scelta di anticipare per decretazione d'urgenza una riforma che interessa autonomie costituzionalmente garantite come quelle locali suscita più di una perplessità. La sede propria per una riforma dell'ordinamento locale è una norma organica, di iniziativa parlamentare.
In ogni caso, l'assegnazione alla Corte dei conti di un sostanziale ruolo di controllore esterno si coordina con estrema difficoltà con l'attuale assetto del Titolo V della Costituzione. Non si può fare a meno di evidenziare che la legge costituzionale 3/2001 ha abolito l'articolo 130 della Costituzione, che precedeva espressamente controlli preventivi sugli atti di regioni ed enti locali operati da organi esterni.
Pensare a reintrodurre i controlli è certamente meritorio e necessario. Ma, a questo scopo, onde evitare qualsiasi rischio di illegittimità costituzionale, sarebbe altrettanto necessario modificare la Costituzione stessa, in modo che essa ponga direttamente la possibilità di controlli affidati a soggetti esterni.
Si può obiettare che il disegno di legge non assegna alla Corte dei conti compiti di controllo preventivo. In effetti, si prevede che «il sindaco, relativamente ai comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti, o il Presidente della provincia, avvalendosi del direttore generale, quando presente, o del segretario negli enti in cui non è prevista la figura del direttore generale, trasmette trimestralmente alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti un referto sulla regolarità della gestione e sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato, sulla base delle Linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti; il referto è altresì inviato al presidente del consiglio comunale o provinciale». La magistratura contabile si pronuncia entro 15 giorni su tale documentazione.
Per quanto non si tratti di controllo preventivo sui singoli atti, in ogni caso l'ingerenza pervasiva della Corte dei conti è forte ed evidente. Non si tratta più del solo «controllo collaborativo» previsto dall'articolo 8 della legge 131/2003, tanto è vero che la Corte irrogherebbe pesanti sanzioni amministrative nel caso di mancato invio sei referti o laddove rilevasse l'assenza o l'inadeguatezza degli strumenti di controllo interno.
In ogni caso, al di là del forte problema di costituzionalità che si pone, ancor più grave appare la questione connessa all'efficacia di tali controlli. Essi restano prevalentemente interni ed affidati alla regia di soggetti come i segretari comunali o i direttori generali i quali, essendo incaricati dai sindaci o presidenti della provincia, non possono disporre della terzietà che, invece, dovrebbe caratterizzare un controllore. A sua volta, la Corte dei conti esamina non singoli atti, bensì un referto complessivo.
Lo scopo vero dei controlli, prevenire atti e spese illegittimi, nella sostanza non viene conseguito.
La strada più lineare resta un'urgente modifica alla Costituzione tale da reintrodurre controlli preventivi, da affidare ad autorità amministrative terze, da sottoporre alla dipendenza funzionale della Corte dei conti. La quale potrebbe, così, fissare gli indirizzi cui attenersi ed intervenire per risolvere eventuali contenziosi sugli atti di controllo (articolo ItaliaOggi del 05.10.2012).

ENTI LOCALIDECRETO SALVA-ENTI/ Comuni, ecco il fondo anti-dissesto. Gli enti dovranno presentare un piano di riequilibrio di 5 anni. I sindaci saranno costretti a tagliare la spese. Vigilerà la Corte dei conti.
Un fondo rotativo a favore degli enti locali alle prese con gravi criticità finanziarie che si impegnano a definire un rigoroso piano pluriennale di riequilibrio, da implementare sotto la stretta vigilanza di Viminale e (soprattutto) della magistratura contabile.
Confermando le anticipazioni delle scorse settimane, il decreto legge in materia di finanza locale approvato ieri dal governo introduce il nuovo meccanismo di «pre-dissesto» destinato alle province ed ai comuni che presentano pesanti «squilibri strutturali di bilancio». Obiettivo di tale misura è garantire la tempestiva adozione delle misure correttive, scongiurando il rischio che la dichiarazione formale di «default» arrivi quando la situazione dei conti è ormai deteriorata.
Il provvedimento licenziato dal consiglio dei ministri introduce tre nuovi articoli (243-bis, 243-ter e 243-quater) nel Tuel.
Per avviare la nuova «procedura di riequilibrio finanziario pluriennale», gli enti locali interessati devono adottare un'apposta deliberazione consiliare, che entro cinque giorni dalla data di esecutività va trasmessa alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed al ministero dell'interno.
Tale iniziativa ha un duplice effetto sospensivo: da un lato, essa congela la possibilità per i giudici contabili di assegnare un termine per l'adozione delle misure correttive, ai sensi dell'art. 6, comma 2, del dlgs 149/2011 (ma se il termine è già stato fissato il ricorso alla nuova procedura è precluso); dall'altro, mette temporaneamente in naftalina le procedure esecutive già intraprese nei confronti dei medesimi enti.
In entrambi i casi, la sospensione dura fino alla data di approvazione o di diniego di approvazione del piano di riequilibrio pluriennale, che il consiglio degli enti che ambiscono al «pre-dissesto» deve deliberare nel termine (perentorio) di 60 giorni dall'esecutività della precedente deliberazione di adesione alla procedura di riequilibrio.
Il piano (che va accompagnato da un parere dell'organo di revisione) può avere una durata massima di cinque anni, deve operare una dettagliata analisi dei fattori di squilibrio rilevati (anche alla luce dell'eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall'ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio) e indicare precisare le conseguenti misure correttive (tenendo conto di quella già eventualmente adottate), con puntuale «quantificazione e previsione dell'anno di effettivo realizzo».
Fra queste, il legislatore indica una «rigorosa revisione della spesa» (con tanto di obiettivi dettagliati di riduzione), l'incremento delle aliquote e delle tariffe fino al massimo consentito e le dismissioni patrimoniali, che aprono la strada all'assunzione di mutui per la copertura di debiti fuori bilancio per investimenti e soprattutto al nuovo «Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali».
Quest'ultimo potrà erogare anticipazioni fino ad un massimo di 100 euro per abitante, che andranno restituiti entro cinque anni (prorogabili fino a 10), sulla base di criteri e modalità che verranno definiti con un decreto del Viminale atteso entro il prossimo 30 novembre.
Le erogazioni del fondo, tuttavia, sono subordinate a una duplice condizione. In primo luogo, occorre la preventiva approvazione del piano di riequilibrio da parte della Sezione regionale della Corte dei conti, sulla base di un'istruttoria condotta da un'apposita commissione composta da rappresentanti del Mef e dell'Interno. La Corte è chiamata anche a vigilare sull'attuazione del piano, in stretto raccordo con i revisori interni e con l'interno. I provvedimenti di accoglimento e diniego potranno essere impugnati davanti alle sezioni riunite, cosi come quelli relativi all'ammissione al fondo rotativo.
La seconda condizione è legata ai meccanismi di condizionalità imposti agli enti beneficiari. Essi dovranno tagliare la spesa di personale, le spese correnti per utilizzo di beni di terzi (almeno del 10% in tre anni), e quelle per interessi passivi e oneri finanziari diversi finanziate con risorse proprie (-25%). Essi, inoltre, non potranno contrarre nuovi debiti (salvo i mutui di cui sopra).
Per gli enti non ammessi alla nuova procedura e per quelli che non rispettano le relative regole, scatta la procedura di dichiarazione esterna del dissesto ai sensi del citato dlgs 149 (articolo ItaliaOggi del 05.10.2012).

ENTI LOCALITaglio province in ordine sparso. Regioni aggrappate a cavilli e deroghe per evitare sforbiciate. Sono pochi i Consigli delle autonomie locali (Cal) che hanno approvato il piano di restyling.
Il taglio delle province, sulla carta, è deciso: via le 64 con meno di 350 mila abitanti, e che si estendono su una superficie inferiore ai 2 mila 500 chilometri quadrati. E sì alle città metropolitane (da Milano a Palermo ecc). Tuttavia, incuranti della «spending review» (legge 135/2012), le regioni procedono in ordine sparso.
E si servono di cavilli, ricorsi e deroghe per fermare «la mano del boia». La scorsa settimana si sono pronunciati i Cal, i Consigli delle autonomie locali (o, dove non presenti, altri organismi), ma in pochi hanno approvato il piano di restyling, che spetterà all'amministrazione regionale inoltrare al governo nei successivi 20 giorni (entro il 23 ottobre), senza rivolgersi alla Corte costituzionale segnalando, in considerazione delle specificità del territorio, incongruenze.
La ricognizione di ItaliaOggi Sette restituisce l'immagine di una penisola che, da Nord a Sud, oppone resistenza alla sforbiciata imposta dall'esecutivo Monti. Cominciando dal Piemonte, la riduzione (da 8 a 4) è definita così: non si tocca Cuneo, però Asti viene unita ad Alessandria e nasce la provincia del Piemonte Orientale, i cui confini sono quelli di Novara, Verbania Cusio Ossola, Biella e Vercelli, in più Torino diviene città metropolitana. La Lombardia ne ha 12, rinuncia a 4 (c'è Milano città metropolitana), ovvero Pavia, Lodi - Cremona, Mantova, Brescia, Bergamo, Sondrio, Como - Lecco - Varese, Monza Brianza, mentre la Liguria passa da 4 a 2, più Genova città metropolitana (insieme Savona e Imperia ed è salva La Spezia).
Rimanendo nel Settentrione, verso Est, il Friuli-Venezia Giulia non cede nulla, poiché vota lascia le province di Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine (il legislatore impone di fondere le prime due), cercando un «escamotage»: si pensa, infatti, di delegare le funzioni amministrative a regione e comuni, affidando ai 4 enti mansioni onorifiche e consultive. Niente di nuovo in terra veneta: si opta per la conservazione di tutte e 6 le amministrazioni (Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Verona e Vicenza), oltre a Venezia città metropolitana; si mette in moto ... (articolo ItaliaOggi del 05.10.2012).

ATTI AMMINISTRATIVIOSSERVATORIO VIMINALE/ L'albo pretorio va in soffitta. Delibere e determine da pubblicare sul sito web. Ma gli obblighi a carico delle amministrazioni locali rimangono inalterati.
Quali sono gli adempimenti che il comune deve espletare in ordine alla pubblicazione delle determinazioni dirigenziali sui siti informatici, a seguito dell'emanazione dell'art. 32 della legge 28.06.2009, n. 69, recante norme per l'eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea?

L'art. 32, comma 1, della legge 28.06.2009, n. 69 dispone che «gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati», e il successivo comma 5 prevede che a decorrere dall'01.01.2011 le pubblicità effettuate in forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale.
La disciplina ha implicitamente modificato l'art. 124 del dlgs n. 267/2000 nella parte in cui dispone che la pubblicazione avvenga «mediante affissione all'albo pretorio nella sede dell'ente», sostituita dalla pubblicazione sul sito istituzionale dell'ente, fermo restando il termine di 15 giorni consecutivi salvo specifiche disposizioni di legge.
In merito il Consiglio di stato, con sentenza n. 1370 del 15.03.2006, ha stabilito che «la pubblicazione all'albo pretorio del comune è prescritta dall'art. 124 T.u. n. 267/2000 per tutte le deliberazioni del comune e della provincia ed essa riguarda non solo le deliberazioni degli organi di governo (consiglio e giunta municipali) ma anche le determinazioni dirigenziali».
Lo strumento informatico ha sostituito, dunque, il tradizionale albo pretorio, rimanendo inalterati, sotto la nuova forma, gli obblighi di pubblicazione.
L'ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione - Digit P.a., nelle due linee guida per i siti web della pubblica amministrazione ed in particolare nel «Vademecum sulle Modalità di pubblicazione dei documenti nell'albo on-line», predisposto sulla base della direttiva n. 8 del 26.11.2009 del ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, ha specificato che «per gli enti locali l'attività dell'albo consiste nella pubblicazione di tutti quegli atti sui quali viene apposto il referto di pubblicazione», includendo tra tali atti le deliberazioni ed altri provvedimenti comunali tra cui anche le determinazioni in argomento (articolo ItaliaOggi del 05.10.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Nomina capogruppo.
Come viene disciplinata la nomina di un capogruppo consiliare nel caso in cui all'interno di un gruppo consiliare composto da due consiglieri, pur in presenza di regolare designazione del capogruppo consiliare con presa d'atto del consiglio comunale, il secondo consigliere ha rivendicato il proprio diritto alla designazione di capogruppo avendo riportato il maggior numero di voti nella lista?

L'esistenza dei gruppi consiliari non è espressamente prevista dalla legge, ma si desume implicitamente da quelle disposizioni normative che contemplano diritti e prerogative in capo ai gruppi o ai capigruppo (in particolare, art. 38, comma 3 – art. 39, comma 4 e art. 125 del dlgs n. 267/2000). Pertanto, la materia dei «gruppi consiliari» è regolata primariamente dalle norme statutarie e regolamentari proprie di ogni singolo ente locale, per cui è alla stregua di tali norme che occorre valutare e risolvere le questioni ad essa afferenti.
Se, nel caso di specie, lo statuto comunale prevede che il capogruppo è «eletto dagli appartenenti al Gruppo», rinviando al regolamento la disciplina della formazione, del funzionamento e delle attribuzioni dei gruppi consiliari e questo prevede che «i singoli gruppi devono comunicare, per iscritto, al presidente ed al segretario comunale il nome del proprio capogruppo alla prima riunione del consiglio neo eletto»; che «con la stessa procedura dovranno segnalarsi le successive variazioni della persona del capogruppo»; che «in mancanza di tali comunicazioni viene considerato capogruppo ad ogni effetto il consigliere del gruppo che abbia riportato il maggior numero di voti nelle liste di appartenenza», appare evidente che le variazioni della persona del capogruppo debbano essere comunicate con nota sottoscritta «dai singoli gruppi», stante la necessità di seguire «la stessa procedura» utilizzata per la prima designazione.
L'automatica individuazione del capogruppo nel consigliere che abbia riportato il maggior numero di voti nelle liste di appartenenza è un criterio residuale che può essere utilizzato solo all'atto dell'insediamento del consiglio comunale e in mancanza di comunicazioni (articolo ItaliaOggi del 05.10.2012).

TRIBUTI - VARIRifiuti e servizi, arriva la Tares. Con l'avvio del nuovo tributo saranno soppressi quelli attuali. Tutto quello che c'è da sapere per prepararsi al debutto previsto per l'01.01.2013.
Dal 1° gennaio 2013 arriva la Tares.
Vale la pena di esaminare le principali novità che riguardano il nuovo tributo comunale sui rifiuti e sui servizi. Iniziamo a precisare che con l'introduzione della Tares, a decorrere dall'01.01.2013, saranno soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale che di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza.
La fonte normativa della Tares è l'art. 14 del dl 06.12.2011 n. 201 (salva Italia).
Il nuovo tributo è posto a copertura dei:
a) costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto mediante l'attribuzione di diritti di esclusiva;
b) costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.
Il comune, nel territorio del quale insistono le aree oggetto dell'imposta, è delegato all'accertamento, alla riscossione e alla liquidazione della Tares.
Il tributo in questione è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani: non sono soggette all'imposta però le aree comuni scoperte e le aree pertinenziali e accessorie delle civili abitazioni.
Nel caso di locali in multiproprietà e di centri commerciali integrati, il soggetto che gestisce i servizi comuni è responsabile del versamento del tributo.
Ricordiamo che la Tares è dovuta per anno solare.
La tariffa è commisurata alle quantità e qualità delle medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base dei criteri determinati con regolamento.
Per le unità immobiliari a destinazione ordinaria iscritte o iscrivibili nel catasto edilizio urbano, la superficie assoggettabile al tributo è pari all'80% della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al dpr 23.03.1998, n. 138.
Si noti che la superficie assoggettabile al tributo è costituita da quella calpestabile.
Particolari regole, su cui non entriamo per esigenze di sintesi, sono stabilite per gli immobili privi di accatastamento o se si riscontri, da parte dell'ente locale, la non corrispondenza della superficie con gli atti a disposizione dei comuni.
Se vi sono aree promiscue in un locale, sono state previste specifiche disposizioni per la determinazione della superficie assoggettabile al tributo: non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente.
La tariffa è composta: 1) da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli investimenti per le opere e ai relativi ammortamenti; 2) da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
Con regolamento da emanarsi entro il 31.10.2012, su proposta dei ministri competenti e delle altre autorità indicate, sono stabiliti i criteri per l'individuazione del costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la determinazione della tariffa.
Il regolamento cennato si applica a decorrere dall'anno successivo alla data della sua entrata in vigore.
Alla tariffa determinata in base alle disposizioni precedenti, si applica una maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni, i quali possono, con deliberazione del consiglio comunale, modificare in aumento la misura della maggiorazione fino a 0,40 euro, anche graduandola in ragione della tipologia dell'immobile e della zona ove è ubicato.
Per il primo anno, in luogo di questa, la fonte normativa precisa che si continuerà ad applicare la tariffa già esistente e prevista dalle disposizioni di cui al decreto del presidente della repubblica 27.04.1999, n. 158.
La legge n. 201/2011 ha previsto una potestà regolamentare in capo al comune, il quale con l'emanazione dell'apposito strumento giuridico può prevedere riduzioni tariffarie, nella misura massima del trenta per cento, nel caso di:
a) abitazioni con unico occupante;
b) abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo;
c) locali, diversi dalle abitazioni, e aree scoperte adibiti a uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente;
d) abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero;
e) fabbricati rurali a uso abitativo.
Si devono prevedere anche riduzioni per la raccolta differenziata riferibile alle utenze domestiche.
Il consiglio comunale, in aggiunta a quelle già menzionate, può deliberare anche ulteriori riduzioni ed esenzioni.
Tali agevolazioni sono iscritte in bilancio come autorizzazioni di spesa e la relativa copertura è assicurata da risorse diverse dai proventi del tributo di competenza dell'esercizio al quale si riferisce l'iscrizione stessa.
Inoltre con regolamento da adottarsi ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, il consiglio comunale determina la disciplina per l'applicazione del tributo, concernente tra l'altro i seguenti punti:
a) la classificazione delle categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti;
b) la disciplina delle riduzioni tariffarie;
c) la disciplina delle eventuali riduzioni ed esenzioni;
d) l'individuazione di categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare, nell'obiettiva difficoltà di delimitare le superfici ove tali rifiuti si formano, percentuali di riduzione rispetto all'intera superficie su cui l'attività viene svolta;
e) i termini di presentazione della dichiarazione e di versamento del tributo.
Il consiglio comunale deve approvare le tariffe del tributo entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione del bilancio di previsione, in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio stesso ed approvato dall'autorità competente.
Una regolamentazione specifica e separata è prevista per i comuni che hanno realizzato (o realizzeranno dato che ancora la norma non è vigente), sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico: gli enti locali pertanto, possono, con regolamento, prevedere l'applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo del tributo (comma 29, art. 14).
Il costo del servizio da coprire con la tariffa già accennata è determinato sulla base dei criteri da stabilirsi con specifico regolamento.
Una particolarità del nuovo tributo risiede nel fatto che il legislatore non ha previsto, ma anzi sembra escludere, la possibilità che sia l'ente erogatore del servizio e non il comune, a gestire le fasi di riscossione, accertamento e liquidazione del tributo.
Al contrario, solo e soltanto nei confronti dei comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, si rende applicabile la deroga per l'affidamento di tali fasi alla società che gestisce il servizio di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti.
In questo caso, anche la tariffa determinata è applicata e riscossa dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani. In tutti gli altri casi, e cioè la stragrande maggioranza, sarà il comune a gestire l'applicazione e la riscossione della Tares.
I comuni che misurano la quantità dei tributi, applicano il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi limitatamente alla componente diretta alla copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni determinata come cennato.
Per quanto attiene alla dichiarazione, i soggetti passivi del tributo presentano la dichiarazione entro il termine stabilito dal comune nel regolamento, fissato in relazione alla data di inizio del possesso, dell'occupazione o della detenzione dei locali e delle aree assoggettabili a tributo. Nel caso di occupazione in comune di un fabbricato, la dichiarazione può essere presentata anche da uno solo degli occupanti.
La dichiarazione, redatta su modello messo a disposizione dal comune, ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati dichiarati; in tal caso, la dichiarazione va presentata entro il termine stabilito dal comune nel regolamento.
Come dianzi riferito, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, in deroga all'articolo 52 dlgs n. 446/1997, è versato esclusivamente al comune.
Infine, il versamento del tributo comunale per l'anno di riferimento è effettuato, in mancanza di diversa deliberazione comunale, in quattro rate trimestrali, scadenti nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre, mediante bollettino di conto corrente postale ovvero modello di pagamento unificato. È consentito il pagamento in unica soluzione entro il mese di giugno di ciascun anno.
Per quanto inerisce la fase di accertamento invece, ai fini della verifica del corretto assolvimento degli obblighi tributari, il funzionario responsabile può inviare questionari al contribuente, richiedere dati e notizie a uffici pubblici ovvero a enti di gestione di servizi pubblici, in esenzione da spese e diritti, e disporre l'accesso ai locali e aree assoggettabili a tributo, mediante personale debitamente autorizzato e con preavviso di almeno sette giorni.
In caso di mancata collaborazione del contribuente o altro impedimento alla diretta rilevazione, l'accertamento può essere effettuato in base a presunzioni semplici di cui all'articolo 2729 c.c.; quest'ultima costituisce un'ulteriore novità del nuovo tributo, che non mancherà di essere oggetto di interesse da parte dei giuristi.
In caso di omesso o insufficiente versamento del tributo risultante dalla dichiarazione, si applica l'articolo 13 del decreto legislativo 18.12.1997, n. 471.
In caso di omessa presentazione della dichiarazione, si applica la sanzione dal 100 al 200% del tributo non versato, con un minimo di 50 euro. In caso di infedele dichiarazione, si applica la sanzione dal 50 per cento al 100 per cento del tributo non versato, con un minimo di 50 euro. In caso di mancata, incompleta o infedele risposta al questionario, entro il termine di legge, si applica la sanzione da euro 100 a euro 500. Le sanzioni previste sono ridotte ad un terzo se, entro il termine per la proposizione del ricorso, interviene acquiescenza del contribuente, con pagamento del dovuto.
Concludendo, facendo un rapido commento generale sulla Tares, si nota lo sforzo che il legislatore ha fatto disciplinando più nel dettaglio la nuova imposta, anche se saranno necessari, sui punti applicativi più controversi, ulteriori approfondimenti in merito. Non è da escludersi, infatti, l'introduzione di ulteriori modifiche, anche sostanziali, nelle norme che disciplinano la Tares (articolo ItaliaOggi del 05.10.2012).

ATTI AMMINISTRATIVIIl giudice spieghi le spese compensate. La mancata motivazione è una violazione di legge.
Commette una violazione di legge il giudice che compensa le spese giudiziali senza motivare le ragioni poste a base della decisione. Alla regione, infatti, devono essere addebitati i costi sostenuti dal contribuente se notifica in ritardo la cartella con la quale richiede il pagamento della tassa automobilistica. L'errore dell'amministrazione pubblica non può ricadere sul contribuente. Il giudice tributario, dunque, non può compensare le spese processuali ritenendo legittimo il provvedimento con un generico e insignificante riferimento a giusti motivi.
È quanto affermato dalla Commissione tributaria regionale di Roma, sezione XIV, con la sentenza 11.07.2012 n. 488.
Nel caso in esame, la regione Lazio aveva richiesto il pagamento della tassa auto nonostante la cartella fosse stata notificata oltre il termine di legge. Quindi, aveva preteso un credito già prescritto, imponendo al contribuente di sostenere dei costi per la difesa in giudizio. Per i giudici capitolini, però, «la decisione di compensazione delle spese del giudizio giustificata dal generico ed insignificante riferimento a «giusti motivi» o addirittura senza alcun riferimento causale come nel caso in esame, integra gli estremi della violazione di legge».
Del resto, anche la Cassazione (sentenza 14563/2008) ha sostenuto che qualora l'azione giudiziaria intrapresa dal contribuente risulti totalmente fondata, la sua difesa sarebbe compromessa se fosse tenuto a pagare le spese di giustizia (legali e fiscali). In effetti, con la riforma del processo civile (legge 69/2009) è stato imposto al giudice di porre a carico della parte soccombente l'onere di pagare le spese processuali, salvo casi eccezionali che devono essere motivati.
La regola è stata introdotta anche per deflazionare il contenzioso. Secondo la commissione tributaria regionale di Catanzaro (sentenza 495/2009), la condanna alle spese di giudizio costituisce l'ipotesi ordinaria, legata al fatto stesso della soccombenza, a maggior ragione dopo la modifica dell'articolo 92 del codice di procedura civile che ammette la compensazione delle spese solo per ragioni o eventi eccezionali. Ma che esigono un'adeguata motivazione. Peraltro, nonostante non via sia alcun automatismo che comporti la condanna dell'amministrazione, anche l'adozione del provvedimento di autotutela in corso di causa non è privo di conseguenze.
Sempre la Ctr Roma, sezione XXIX, con la sentenza 43/2011, ha stabilito che nel processo tributario il fisco deve essere condannato a pagare le spese processuali anche nei casi in cui gli atti di accertamento vengano annullati in seguito all'attività di riesame. Tuttavia, non è così semplice per l'amministrazione finanziaria scegliere il comportamento da adottare. La giurisprudenza recente esclude che gli errori possano ricadere sui soggetti accertati.
Se vengono annullati gli atti impositivi nel corso del processo, la soccombenza è virtuale e l'amministrazione va condannata a pagare le spese. Il rimedio, però, in alcuni casi si è rivelato peggiore del male, perché dopo l'adozione del provvedimento di autotutela il fisco è stato condannato anche a risarcire i danni al contribuente (articolo ItaliaOggi del 04.10.2012 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVIÈ impossibile eludere il Tar. E neppure i procedimenti d'urgenza fanno eccezione. In vigore il dlgs 160/2012, secondo correttivo del codice del processo amministrativo.
Non si elude la competenza territoriale del Tar. Neanche nei procedimenti di urgenza. Il giudice amministrativo, cui si chiede un provvedimento cautelare, deve controllare se è competente per territorio. E se non lo è, deve passare la mano.
Lo prevede il decreto legislativo n. 160/2012 (pubblicato sulla G.U. 18.09.2012 n. 218) noto come secondo correttivo del codice processo amministrativo (dlgs 104/2010).
Il decreto correttivo è entrato in vigore ieri 03.10.2012 e si occupa anche di spese legali e condizioni di ammissibilità del ricorso.
Vediamo le principali novità.
Competenza territoriale. Due le novità. La prima obbliga il giudice a pronunciarsi sulla competenza anche rispetto a richieste di sospensive.
Se dichiara la propria incompetenza, il Tar deve indicare quale sia il tribunale ritenuto competente e le parti hanno trenta giorni di tempo per riproporre la causa al giudice individuato.
Se non c'è richiesta di provvedimento di urgenza, la parte interessata deve eccepire l'incompetenza territoriale entro il termine di costituzione, ma il giudice può sempre rilevarla d'ufficio. Sulla competenza viene anche specificato che la competenza territoriale relativa al provvedimento da cui deriva l'interesse a ricorrere attrae anche quella relativa agli atti presupposti dallo stesso provvedimento (tranne atti normativi o generali).
Spese di giudizio. Il giudice, nell'adottare il provvedimento sulle spese di giudizio, da accollare in via di principio al soccombente, deve tenere conto dell'osservanza dei principi di chiarezza e sinteticità nella stesura degli atti. Atti troppo lunghi oppure oscuri compromettono il rimborso delle spese legali.
Azione di adempimento. Viene codificata l'azione di condanna al rilascio da parte dell'amministrazione di un determinato provvedimento. Il Tar in ogni caso non può intervenire quando l'atto da adottare sia riservato alla piena discrezionalità dell'amministrazione, mentre può farlo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione. L'azione va proposta contestualmente al ricorso introduttivo con cui si chiede l'annullamento di un atto oppure si impugna l'inerzia dell'ente pubblico.
Ricorso. Diventa inammissibile, se i motivi di ricorso non sono specifici. E i contenuti del ricorso (giudice, parti, fatto, diritto, conclusioni, sottoscrizione) devono essere tenuti ben distinti (articolo ItaliaOggi del 04.10.2012).

aggiornamento al 04.10.2012

ENTI LOCALIPareggio di bilancio per gli enti locali. Il vincolo previsto dalla legge di attuazione della riforma costituzionale in arrivo al Senato.
COSTI DELLA POLITICA/ Per i consigli regionali che non riducono nei tempi previsti il numero dei componenti possibile lo scoglimento anticipato.

Enti locali e Regioni tra incudine (Governo) e martello (Parlamento). Mentre l'Esecutivo Monti si appresta a varare il decreto sui costi della politica, le Camere stanno ultimando la messa a punto del Ddl per l'attuazione del pareggio di bilancio in Costituzione.
Nel testo –su cui prosegue il confronto tra i tecnici di Palazzo Madama, Montecitorio e Via XX settembre per definire il disegno di legge da presentare al Senato– il Titolo IV è espressamente dedicato all'equilibrio di bilanci delle Regioni e degli enti locali, nonché al loro concorso alla sostenibilità del debito pubblico. I loro bilanci faranno, dunque, parte con quello dello Stato centrale di un «bilancio consolidato nazionale», che dovrà centrare «gli obiettivi di finanza pubblica».
Questo implica non solo i controlli ex post sulla legittimità delle spese, da parte della Corte dei Conti, ma anche ex ante. Il monitoraggio sui conti pubblici al fine di blindare il pareggio di bilancio sarà affidato a un organismo indipendente. Per assicurare l'equilibrio finanziario l'articolo 10 prevede che, sia nella fase di previsione che in quella di rendiconto, i bilanci registrino un saldo non negativo in termini di cassa e di competenza tra entrate finali e spese finali, nonché un saldo non negativo (anche qui sia per cassa che per competenza) tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti.
Paletti più rigidi con l'articolo 11 anche sul ricorso all'indebitamento da parte di Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni. Il ricorso al debito potrà avvenire solo con la contestuale adozione di uno specifico piano di ammortamento di durata non superiore alla vita del'investimento. Inoltre le operazioni di indebitamento potranno essere effettuate solo sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale e dovranno garantire per l'anno di riferimento l'equilibrio della gestione di cassa finale del complesso degli enti della Regione interessata. Oltre all'obbligo dell'equilibrio dei conti le Pa locali saranno chiamati a contribuire alla «sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni». E nelle fasi favorevoli del ciclo economico dovranno partecipare al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.
Dal canto suo il Governo sta chiudendo sui tagli dei costi della politica da introdurre nel Dl che potrebbe varare già domani. Il punto di partenza è la piena operatività delle disposizioni sul taglio delle poltrone già previste nella manovra estiva di Berlusconi (Dl 138/2001) attraverso una nuova tempistica e specifiche sanzioni per chi non si adegua. Sanzioni che potrebbero essere pecuniarie con un taglio ai trasferimenti oppure ordinamentali come lo scioglimento del consiglio o l'esclusione dal circolo dei "virtuosi".
Sul fronte dei controlli, che per i Comuni saranno rafforzati per scongiurare i dissesti finanziari e per i quali verrà costituito un apposito Fondo anti-crisi, verranno ampliati i poteri dei giudici contabili, che per le Regioni si concentreranno soprattutto proprio sui costi della politica.
Sullo sfondo infine, una nuova riforma del Titolo V della Costituzione. Il ministro Filippo Patroni Griffi lo ha già annunciato: il federalismo va rivisto e l'Esecutivo entro qualche settimana metterà a punto un Ddl costituzionale per rivedere l'intero assetto dei poteri delle Regioni (articolo Il Sole 24 Ore del 03.10.2012 - link a www.corteconti.it).

CONDOMINIO: LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ La riforma approvata alla Camera. Basta la maggioranza per sorvegliare le parti comuni. Video, riscaldamento, animali. Nuove regole per il condominio.
Via libera a maggioranza alla videosorveglianza condominiale. La ripresa di spazi e aree comuni raggiunge così certezza normativa, all'interno di una grande confusione giurisprudenziale.
È una delle novità introdotte dalla riforma del condominio approvata alla camera venerdì scorso in seconda lettura e ora al senato per l'ormai sicuro sì definitivo (si veda ItaliaOggi del 28 settembre). Ma vediamo le principali novità.
La videosorveglianza. L'installazione di sistemi di videosorveglianza viene sovente effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali. In tali ipotesi possono rientrare, a titolo esemplificativo, strumenti di videosorveglianza idonei a identificare coloro che si accingono a entrare in luoghi privati (videocitofoni ovvero altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione), oltre a sistemi di ripresa installati nei pressi di immobili privati e all'interno di condomini e loro pertinenze (quali posti auto e box). In tal caso la disciplina del Codice non trova applicazione qualora i dati non siano comunicati sistematicamente a terzi ovvero diffusi.
Si ricorda però che, seppure non trovi applicazione la disciplina del Codice, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata, l'angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio antistanti l'accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l'abitazione di altri condomini.
Per le aree condominiali, invece, nel provvedimento dell'8 aprile 2010 sulla videosorveglianza il garante ha appurato una lacuna normativa. In quella sede per i trattamenti effettuati dal condominio (anche per il tramite della relativa amministrazione), il garante ha evidenziato l'assenza di una puntuale disciplina che permettesse di risolvere alcuni problemi applicativi evidenziati nell'esperienza di questi ultimi anni. Il garante evidenziava, infatti, che non era chiaro se l'installazione di sistemi di videosorveglianza possa essere effettuata in base alla sola volontà dei comproprietari, o se rilevi anche la qualità di conduttori; ancora non era chiaro quale fosse il numero di voti necessario per la deliberazione condominiale in materia (se occorra cioè l'unanimità oppure una determinata maggioranza).
La legge di riforma del condominio affronta direttamente la questione e stabilisce che le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del codice civile.
Vediamo dunque cosa prevede l'articolo 1136 del codice civile, che è stato modificato. In prima convocazione per l'approvazione di una delibera ci vuole il quorum di 2/3 del valore e maggioranza per teste, e voto favorevole della maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore dell'edificio. In seconda convocazione basta, invece, la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.
Una volta rispettate queste maggioranze si può passare a installare le telecamere. Ma senza dimenticare che si devono osservare le precauzioni previste dal provvedimento generale del garante della privacy.
In particolare si devono osservare le seguenti cautele.
Informativa. Le persone che transitano nelle aree sorvegliate devono essere informati con cartelli della presenza delle telecamere, i cartelli devono essere resi visibili anche quando il sistema di videosorveglianza è attivo in orario notturno. Nel caso in cui i sistemi di videosorveglianza installati siano collegati alle forze di polizia è necessario apporre uno specifico cartello che lo evidenzi.
Conservazione. Le immagini registrate possono essere conservate per periodo limitato e fino ad un massimo di 24 ore, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a indagini.
Consenso. Contro possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, prevenzione incendi, sicurezza del lavoro ecc. si possono installare telecamere senza il consenso dei soggetti ripresi, ma sempre sulla base delle prescrizioni indicate dal Garante.
Addio riscaldamento centralizzato. La riforma modifica l'articolo 1118 del codice civile per precisare che il singolo condomino può distaccarsi dall'impianto centralizzato di riscaldamento, ma solo in presenza di due condizioni. La prima è che l'unità abitativa non gode della normale erogazione di calore, per problemi tecnici all'impianto condominiale, che non vengono risolti nel corso di una intera stagione di riscaldamento. La seconda è che il distacco non comporti squilibri tali da compromettere la normale erogazione di calore agli altri condomini o aggravi di spesa.
Più in dettaglio la norma prevede che il condomino, se viene oggettivamente constatato che il proprio immobile non gode della normale erogazione di calore, a causa di problemi tecnici dell'impianto condominiale, e questi, nell'arco di una intera stagione di riscaldamento, non sono risolti dal condominio, può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, a condizione che dal suo distacco non derivino squilibri tali da compromettere la normale erogazione di calore agli altri condomini o aggravi di spesa.
Chi si è distaccato non rimane esente da spese: è sempre tenuto a concorrere esclusivamente al pagamento delle spese di manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma.
Si tratta questa di una specificazione dell'articolo 1118 del codice civile, nella parte in cui prescrive che il condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose anzidette, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione.
Inoltre il nuovo articolo 1122 del codice civile, in generale, esclude che il condomino possa eseguire opere che rechino danno alle parti comuni o pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e al decoro architettonico dell'edificio. L'amministratore deve in ogni caso essere avvisato prima dell'avvio dei lavori ai fini della relativa comunicazione in assemblea (articolo ItaliaOggi Sette dell'01.10.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATATerre e rocce hanno gestione a sé. Dal 6 ottobre la disciplina è fuori dal regime dei rifiuti. Il dm ambiente 161/2012 ridisegna le regole per il riutilizzo di sottoprodotti e materiali da scavo.
Dal 06.10.2012 la gestione dei materiali da scavo come sottoprodotti sarà disciplinata dalle nuove regole dettate dal dm ambiente 10.08.2012 n. 161 (G.U. del 21.09.2012, n. 221). La nuova disciplina, destinata a sostituire quella prevista dall'attuale articolo 186 del dlgs 152/2006 (in virtù della delegificazione disposta dallo stesso «Codice ambientale») stabilisce criteri qualitativi e adempimenti burocratici per gestire terre e rocce da scavo fuori dall'oneroso regime dei rifiuti, prevedendo un controllo degli operatori lungo tutta la filiera delle sostanze: dalla loro produzione al riutilizzo.
Il dm 161/2012 consentirà la «gestione in deroga» (al regime sui rifiuti) anche delle terre e rocce da scavo contenenti «materiali di riporto» così come il trattamento compatibile con la «normale pratica industriale» prevista dal dlgs 152/2006, ma pretenderà una analitica pianificazione delle operazioni di riutilizzo e il rispetto di precise scadenze temporali.
Le novità e il «Codice ambientale». Il dlgs 152/2006 prevede in termini generali due tipologie di materiali da scavo, disciplinandone diversamente la gestione: da un lato vi è il suolo non contaminato e il materiale allo stato naturale riutilizzato nello stesso sito; dall'altro vi sono i materiali da scavo non rientranti nella prima categoria.
I materiali inclusi nella prima categoria (unitamente al terreno) non sono considerati rifiuti «ex lege» (in forza dell'articolo 185 dello stesso Codice, che li esclude dal campo di applicazione della relativa disciplina); tutti gli altri materiali possono non essere considerati rifiuti solo in due casi: a) perché rispettano a monte i requisiti propri dei sottoprodotti; b) perché hanno riacquistano, a valle, a seguito dunque di operazioni di recupero, lo status di veri e propri beni.
I materiali da scavo come «sottoprodotti». Il nuovo dm 161/2012 si inserisce nel quadro generale disegnato dal dlgs 152/2006 così come sopra delineato, stabilendo i nuovi requisiti che le terre e rocce da scavo devono soddisfare per essere gestiti come sottoprodotti. Le nuove regole recate dal dm in esame riguarderanno i «materiali da scavo», ossia il suolo e il sottosuolo (compresi eventuali «materiali di riporto» in essi presenti) derivanti dalla realizzazione di opere di costruzione, demolizione (a esclusione dell'abbattimento di edifici), recupero, restauro, ristrutturazione manutenzione. A titolo esemplificativo, il nuovo dm 161/202 elenca tra le opere in parola gli scavi in generale (sbancamenti, fondazioni), le perforazioni e trivellazioni, le opere infrastrutturali (come gallerie, dighe, strade), la rimozione e il livellamento di opere in terra.
Il nuovo dm 161/2012 ammette altresì tra i «materiali da scavo» potenzialmente gestibili come sottoprodotti quelli contenenti «materiali di riporto», ossia le miscele eterogenee di materiali di origine antropica utilizzati nel corso del tempo per riempimenti del terreno e sedimentatisi nel suolo, purché nella quantità massima del 20%. Tale previsione, lo ricordiamo, è la diretta conseguenza della norma recata dall'articolo 3 del dl 2/2012, la quale (mediante un'operazione di «interpretazione autentica») ha stabilito che la nozione di «suolo» recata dall'articolo 185 del dlgs 152/2006 deve essere riferita anche alle «matrici materiali di riporto».
Come accennato, non rientrano invece nel campo di applicazione del nuovo dm 161/2012 i rifiuti provenienti direttamente dall'esecuzione dei lavori di demolizione degli edifici o di altri manufatti, per i quali il regolamento in parola rinvia all'applicazione delle generali regole previste dalla parte IV del dlgs 152/2006.
I requisiti tecnici. Il dm 161/2012 legittima la gestione come sottoprodotti dei materiali da scavo a condizione che siano osservati due ordini di condizioni, ossia: il rispetto di precisi criteri tecnici e gestionali delle sostanze in parola; l'adempimento di particolari obblighi formali (sia da parte dei loro produttori che da parte dei successivi soggetti della filiera).
In primo luogo, i materiali dovranno rispondere ai seguenti requisiti (analoghi a quelli previsti dall'articolo 184-bis del dlgs 152/2006 per i sottoprodotti in generale), ossia: essere generati durante la realizzazione di un'opera di cui costituiscono parte integrante ma il cui scopo primario non è la loro produzione; essere riutilizzati nel corso dell'esecuzione della stessa opera dalla quale deriva, (oppure) in una diversa opera per reinterri, rimodellazioni, miglioramenti fondiari o viari, altri ripristini e miglioramenti ambientali, (o, ancora) in processi produttivi, quale sostituto di materiali di cava; essere riutilizzati «direttamente», ossia senza subire preventivi trattamenti diversi dalla «normale pratica industriale»; essere detti materiali in linea con i parametri di qualità ambientale previsti dall'allegato 4 al decreto ministeriale in parola (parametri relativi ai livelli massimi di concentrazione di sostanze inquinanti ammissibili).
Nel tenore del dm 161/2012 costituiscono, in particolare, «normale pratica industriale» le operazioni di miglioramento delle caratteristiche merceologiche dei materiali, finalizzate a renderne il riutilizzo maggiormente produttivo e tecnicamente efficace. Tra queste operazioni il dm 161/2012 richiama, a titolo esemplificativo, quelle più comunemente adottate, come la selezione granulometrica, la riduzione volumetrica, la stabilizzazione, la stesa a suolo l'asciugatura, la riduzione della presenza di materiale da scavo.
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Va rispettato il piano di utilizzo.
Dal punto di vista formale, invece, gli obblighi sono legati all'intera filiera del riutilizzo. Infatti, sempre che rispondano i suddetti requisiti, i materiali potranno essere gestiti come sottoprodotti solo ove: vengano governati nel rispetto del «piano di utilizzo» concordato con l'autorità pubblica responsabile dell'autorizzazione dell'opera dalla quale i materiali provengono (o a quella responsabile della valutazione di impatto ambientale o autorizzazione integrata, ove necessarie); siano depositati (nelle more del riutilizzo) secondo le regole particolari dettate dal dm 161/2012; siano trasportati insieme al peculiare «documento di trasporto»; siano certificati nel loro riutilizzo da una apposita «dichiarazione di avvenuto utilizzo» rilasciata dall'esecutore del medesimo. In caso di inosservanza delle regole relative anche a un singolo anello della catena, i materiali saranno considerati non più sottoprodotti, ma rifiuti, con l'obbligo di doverli gestire come tali.
Il «piano di utilizzo», in particolare, dovrà essere presentato dal soggetto che intende gestire i materiali da scavo come sottoprodotti alla Autorità competente almeno 90 giorni prima dell'inizio dei lavori per la realizzazione dell'opera da cui potranno derivare i materiali da scavo, dimostrando, tramite lo stesso documento, la sussistenza di tutti i citati requisiti oggettivi dei materiali, e indicando altresì tempi, modi e luoghi di realizzazione delle opere (o delle attività manutentive).
La gestione del materiale come sottoprodotto potrà iniziare decorsi 90 giorni dalla presentazione del suddetto piano e previa comunicazione della data di inizio lavori alla stessa autorità competente ma comunque non oltre i 2 anni dalla presentazione dello stesso. Lo stoccaggio del materiale escavato in attesa di utilizzo potrà invece avvenire esclusivamente all'interno del sito di produzione, dei siti di deposito intermedio o dei siti di destinazione finale.
Il deposito dovrà altresì avvenire nel rispetto delle indicazioni e della tempistica del citato piano di utilizzo, separato dal deposito temporaneo di eventuali rifiuti presenti in loco ed appositamente segnalato. In tutte le fasi successive all'uscita dal sito di produzione il materiale escavato dovrà essere accompagnato dal citato «documento di trasporto» previsto dal dm 161/2012 (sulla falsariga del formulario di trasporto ex dlgs 152/2006), predisposto in tre copie e conservato per cinque anni.
Nuovo quadro normativo e regime transitorio. Dalla sua entrata in vigore (coincidente con il 06.10.2012) le nuove norme recate dal dm 161/2012 sostituiranno, come accennato, le analoghe regole per la gestione delle terre e rocce da scavo recate dall'articolo 186 del dlgs 152/2006. E ciò in forza (a monte) dell'articolo 184-bis dello stesso Codice ambientale che legittima il relativo dicastero a stabilire con proprio decreto particolari regole sui sottoprodotti per particolari tipologie di sostanze e (a valle) dall'articolo 39 del dlgs 205/2010 che prevede l'abrogazione del citato articolo 186 a partire dall'entrata in vigore del nuovo decreto ministeriale (oggi decreto 161/2012).
Al fine di garantire una gestione dei sottoprodotti in parola senza soluzione di continuità, il nuovo dm riconosce però ai soggetti interessati a progetti di riutilizzo in corso la facoltà di passare dal vecchio (quello previsto dall'articolo 186 del dlgs 152/2006) al nuovo regime di gestione tramite la presentazione del previsto «piano di utilizzo» entro la metà del prossimo aprile 2012.
In difetto, i progetti in itinere dovranno invece essere portati a termine secondo le uscenti regole del dlgs 152/2006 (articolo ItaliaOggi Sette dell'01.10.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Proprietà. Intervento a metà tra la manutenzione straordinaria e la ristrutturazione.
Più semplice frazionare le unità immobiliari. Ma l'esclusione dagli oneri urbanistici non è automatica.
IL TITOLO ABILITATIVO/ Permesso di costruire o Dia rafforzata nelle Regioni in cui l'operazione non è ancora stata alleggerita.

Ville familiari ormai troppo grandi per i nuclei moderni, crisi economica e necessità di sfruttare al massimo gli immobili: sono tante le ragioni che spingono i proprietari di casa a dividere il proprio immobile e a ricavarne più unità.
Il frazionamento di immobili è in crescita e lo dimostra anche la recente legge del Veneto che ha deciso di favorirlo.
Ma diverse sono le procedure da seguire per questo tipo di intervento edilizio, anche a seconda della disciplina regionale. Se si abita in Lombardia o in Veneto l'intervento sarà considerato di manutenzione straordinaria: basterà presentare una Scia (segnalazione certificata di inizio attività) e, senza alcun onere o tassa, si potrà procedere ai lavori di frazionamento.
Se invece si abita in un'altra regione questo intervento sarà classificato come una ristrutturazione e, di conseguenza, sarà assoggettato a permesso di costruire (o alla cosiddetta Super-Dia e persino alla Scia in Toscana) e al pagamento di un contributo simile a quello del totale rifacimento di un intero edificio.
Perché questa differenza? Per comprendere la discrepanza bisogna considerare la definizione di manutenzione straordinaria introdotta dalla legge 457/78 e confermata dal Testo unico per l'edilizia del 2001. Quest'ultimo impone che la manutenzione straordinaria non alteri le superfici delle singole unità immobiliari, senza perciò possibilità di aumentarne o diminuirne il numero.
Secondo la legge nazionale, frazionare non è quindi un intervento classificabile come manutenzione straordinaria (fatte salve le diverse discipline regionali).
Resta da stabilire se la modifica delle unità immobiliari è sottoposta ad autorizzazione gratuita, qualora sia considerata come risanamento conservativo, o al pagamento di oneri, se considerata ristrutturazione. A questo proposito entra in gioco il concetto di «carico urbanistico», ovvero bisogna valutare se il frazionamento comporta un aumento delle spese per servizi da parte dei Comuni. Secondo quasi tutte le leggi regionali ed una giurisprudenza abbastanza consolidata il carico urbanistico aumenta, quindi frazionare un appartamento comporta il pagamento di oneri ed una procedura più complessa di una mera opera interna, anche quando per dividere l'immobile è sufficiente chiudere una porta o un piccolo tratto di muro. La ratio di tale posizione è che l'aumento dei nuclei familiari comporta maggiori servizi, ma ad essa si potrebbe obiettare che il numero di persone insediabili in un grande appartamento può essere superiore a quello degli abitanti nella somma dei monolocali corrispondenti alla stessa superficie e che il calcolo dello standard è sempre stato fatto a superficie invece che a numero delle unità.
Per riparare a tali contraddizioni, la regione Emilia Romagna ha previsto, con l'articolo 28 della legge regionale 31/02, la possibile gratuità del frazionamento in caso di opere ridotte o di minimo aumento del carico, ma la sua applicazione è controversa (si veda Tar Emilia Romagna n. 352/2008).
Anche la Lombardia, con la legge regionale 12/2005, prevede fusioni e frazionamenti compresi nella manutenzione straordinaria. Ma alcuni Comuni non demordono e richiedono comunque il pagamento di oneri per compensare il maggior carico.
In conclusione, salvo Lombardia e Veneto, il frazionamento è trattato come un intervento edilizio rilevante a prescindere dal fatto che esso riguardi un intero fabbricato o un singolo appartamento. Anche in Lombardia e Veneto, però, il frazionamento non deve comportare una sostanziale modifica dell'intero edificio ed in particolare delle parti comuni, in tal caso si rientra nella ristrutturazione, a prescindere dalla modifica del numero delle unità immobiliari.
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Leggi regionali. Le norme a regime - Lombardia apripista Ora tocca al Veneto
La spinta alla semplificazione dei frazionamenti immobiliari viene soprattutto dalle leggi regionali. Da ultimo è arrivato il Veneto con la legge 34/2012, nata da un'esigenza del territorio: di famiglie, imprese, associazioni industriali e della proprietà edilizia.
La norma modifica l'articolo 76 della legge 61/1985 e consente ai cittadini di frazionare in più unità (o accorpare, al contrario) una casa, senza dover pagare ai comuni pesanti oneri di urbanizzazione.
Tutto dipende dalla nuova classificazione attribuita ai frazionamenti. La legge, in un solo articolo, precisa, infatti, che questi interventi non sono ristrutturazioni, ma manutenzioni straordinarie e possono, perciò, essere eseguiti senza che ciò comporti l'aumento di un carico urbanistico. La norma vale per locali che mantengono "la destinazione d'uso residenziale": nulla viene invece detto per immobili terziari o industriali.
«La legge –spiega il consigliere Dario Bond, primo firmatario– risponde a una domanda reale. In Veneto le proprietà immobiliari individuali sono numerose. Ma oggi, a fronte dei cambiamenti che investono i nuclei familiari, le case troppo grandi non rispondono ai bisogni delle famiglie, che invece spesso hanno necessità di avere due appartamenti vicini e autonomi, da condividere con genitori anziani o figli indipendenti».
Prima del Veneto, la strada innovativa era già stata percorsa, e da parecchio, dalla Lombardia. Del tutto diverso è, invece, il caso dei frazionamenti consentiti dai piani casa regionali, ma come interventi straordinari in deroga ai Prg, a tempo limitato e, soprattutto, a fronte spesso di pesanti restyling dell'edificio. «Il frazionamento senza oneri –tira le somme Camillo Bertocchi, funzionario del settore Urbanistica della Lombardia– è stato inserito all'articolo 27 della legge 12 dell'11 marzo 2005, che disciplina il governo del territorio. Si tratta di una possibilità che è stata utilizzata sul territorio ed è molto attuale. Anche perché è realizzabile presentando in Comune una semplice Scia o addirittura una comunicazione libera».
Positivo il riscontro delle associazioni che tutelano la proprietà edilizia. «La legge veneta –commenta Michele Vigne, presidente della sezione regionale di Confedilizia– recepisce nel migliore dei modi una proposta che noi stessi avevamo avanzato. Del resto, se un'unità viene frazionata senza variare superficie, volume o destinazione d'uso, non ha senso il pagamento di oneri molto gravosi». L'unica incertezza aperta è sul fronte delle imposte sulla casa. Il frazionamento comporta un aggiornamento della situazione catastale e la definizione di una nuova rendita indispensabile per il calcolo di tasse e Imu (si veda l'articolo a fianco). «C'è da augurarsi –conclude Vigne– che l'ostacolo non arrivi da qui».
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Il Territorio. L'aggiornamento dei dati - Cambia anche la rendita catastale
Ultimati i lavori di frazionamento di unità immobiliari, va completata la pratica sotto il profilo catastale. Il proprietario dovrà rivolgersi a un tecnico professionista –autorizzato a operare negli atti catastali, iscritto all'albo degli ingegneri, architetti, geometri, dottori agronomi, periti edili e agrari, agrotecnici diplomati e laureati– che, esaminata la porzione di fabbricato su cui operare, dovrà richiedere la visura catastale, contenente tutti i dati relativi ai possessori, alla consistenza, categoria, classe e rendita, oltre alla copia della planimetria originale, previa autorizzazione scritta del proprietario, sulla quale sono rappresentate le eventuali pertinenze (cantina, soffitta, eccetera), oltre alle dipendenze (giardini, terrazzi, orticelli e così via).
Disponendo di questi elementi, il tecnico dovrà individuare le porzioni in cui è suddivisa l'unità, generalmente due nel caso di un appartamento di media grandezza, ma anche diverse nel caso di ville di grande consistenza, o dei grandi negozi, capannoni e depositi.
Individuate le porzioni di fabbricato, da ricavare dall'unità originale, il tecnico dovrà delineare le nuove planimetrie, alle quali annettere eventuali pertinenze e, quindi,utilizzando il programma Docfa, dovrà attribuire a ciascuna nuova unità ricavata, un nuovo subalterno identificativo, una rendita proposta, e quindi trasmetterle per via telematica all'ufficio provinciale dell'Agenzia competente. Con lo stesso mezzo l'ufficio, verificata la correttezza formale di ogni unità dichiarata, trasmette in automatico la ricevuta di presentazione e, da quel momento, il possessore potrà utilizzare i nuovi dati catastali per ogni necessità, sia civilistica (trasferimento di proprietà, divisone, conferimenti, successione) che fiscale (denuncia dei redditi, Imu).
Tuttavia, qualora l'ufficio ritenga non congrua la rendita, potrà modificarla, notificando al possessore la nuova rendita, che risulterà efficace dalla data di presentazione della denuncia, se la notifica verrà effettuata entro 12 mesi, mentre se sarà notificata dopo la sua efficacia decorrerà dalla data della notifica (Cassazione, sentenza 17818/2007).
Il costo delle denunce, oltre al tributo speciale catastale di 35 euro per ogni unità denunciata, e il bollo, richiede il pagamento del professionista, sulla base delle vacazioni orarie impiegate, che per un appartamento di 10o metri quadrati può variare da 300 a 500 euro.
Se la variazione dovesse riguardare l'ampliamento del sedime del fabbricato, è necessario effettuare l'aggiornamento della mappa, mediate il rilievo del fabbricato e l'utilizzo del programma Pregeo, fornito dalla stessa Agenzia.
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Semplificazioni. Nessun via libera preventivo per chi accorpa - La fusione è sempre ammessa
La manutenzione straordinaria, come definita dalla legge 457/1978, non può alterare le superfici delle singole unità immobiliari e non permette, perciò, di aumentarne o diminuirne il numero. Cosa fare quindi nel caso in cui si intenda unire due appartamenti o semplicemente spostare una stanza da uno all'altro? In realtà il divieto di modificare la superficie delle unità immobiliari ha sempre riguardato solo il caso del frazionamento e non la fusione.
Malgrado, infatti, la definizione di manutenzione straordinaria non ammetta modifiche alla superficie delle unità immobiliari, la fusione tra due o più unità è sempre stata trattata in modo diverso, rispetto al frazionamento, ed ammessa anche quando non erano in vigore le leggi che lo consentivano, in ragione del minore carico urbanistico e della conseguente impossibilità di richiedere oneri per i Comuni.
Dopo la legge 457/78, la legge 47/1985, all'articolo 26, ha consentito di asseverare opere interne senza aumento del numero delle unità immobiliari, (consentendone quindi la diminuzione). Essa ha chiarito altresì che non è considerato aumento delle superfici utili l'eliminazione o lo spostamento di pareti. Era quindi possibile accorpare appartamenti ma non frazionarli. A partire dal 1996 la situazione si è complicata, infatti la legge 662/1996, istituendo la Dia (denuncia di inizio attività), ha assoggettato ad essa le opere interne di singole unità immobiliari, contraddicendo quindi l'articolo 26, ma senza abrogarlo.
Dall'entrata in vigore del Testo unico per l'edilizia nel 2003, l'articolo 26 è scomparso, rendendo impossibile modificare il numero delle unità immobiliari. Ma la legge 73/2010 (di conversione del Dl 40/2010) intervenendo ancora sul Testo unico, ha compreso tra gli interventi che non richiedono titolo edilizio le opere di manutenzione straordinaria che non comportino aumento del numero delle unità immobiliari, per le quali è sufficiente presentare un'asseverazione di un tecnico, senza alcuna procedura comunale, rendendo di nuovo possibile modificare il numero delle unità e ritornando, in pratica, all'articolo 26 del 1985.
Bisogna però sempre ricordare che l'intervento non deve modificare la destinazione d'uso o, secondo la norma più recente, comportare incremento dei parametri urbanistici, passando da una destinazione con minore ad una con maggiore richiesta di infrastrutture (ad esempio da residenza a terziario).
Al contrario, se il frazionamento comporta oneri, può anche, se ammissibile per il Piano regolatore cambiare la destinazione.
Un'ultima verifica che deve essere fatta è quella della presenza di vincoli: in caso di vincolo paesaggistico, se le opere da eseguire sono solo interne, non è necessaria alcuna autorizzazione; se invece l'immobile è gravato da un vincolo monumentale la modifica delle unità è sottoposta a preventivo nullaosta della Soprintendenza
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.10.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Spending review. Contenzioso. Obbligo di appello sulle promozioni decise dal giudice.
LA DIRETTIVA/ Le amministrazioni pubbliche devono proporre ricorso contro gli aumenti e le progressioni di carriera riconosciuti ai dipendenti.

Le amministrazioni pubbliche devono proporre ricorso contro le sentenze con cui sono condannate a riconoscere miglioramenti economici e progressioni di carriera ai propri dipendenti. Questo vincolo si aggiunge al divieto di estensione del giudicato, all'obbligo di realizzare in ogni ente un ufficio per gestire il contenzioso con il personale, all'obbligo di segnalare alla Funzione Pubblica e al ministero dell'Economia tutte le cause di lavoro da cui potrebbero risultare oneri rilevanti per il complesso delle amministrazioni pubbliche.
L'Aran può infine intervenire nei processi di lavoro pubblico. Sono questi gli strumenti attraverso cui si cerca di evitare che gli enti pubblici sostengano oneri aggiuntivi derivanti dalla conclusione con esito negativo dei contenziosi di lavoro pubblico. Si deve inoltre aggiungere la necessità, non sempre rispettata, che le Pa si costituiscano nei processi del lavoro in cui sono parte.
L'obbligo più recente è quello della proposizione dell'appello, introdotto dalla direttiva del presidente del Consiglio dei ministri «Indirizzi operativi ai fini del contenimento della spesa pubblica», pubblicata sulla «Gazzetta ufficiale» del 23 luglio scorso. Nell'ambito delle misure di spending review, la disposizione è dettata per le amministrazioni statali ma è un principio di carattere generale che vale per tutte le Pa, compresi gli enti locali. Lo scopo è «evitare che le sentenze di primo grado che riconoscono miglioramenti economici, progressioni di carriera per dipendenti pubblici passino in giudicato».
Le amministrazioni pubbliche hanno, a tempo indeterminato (in base all'articolo 41, comma 6, del Dl 207/2008) il divieto «di adottare provvedimenti per l'estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, o comunque divenute esecutive, in materia di personale delle amministrazioni pubbliche». Né un'altra pubblica amministrazione, né lo stesso ente, possono estendere il giudicato in materia di lavoro al di là del caso che è stato oggetto di sentenza sfavorevole per il soggetto pubblico. È evidente la sfiducia con cui il legislatore guarda alla giurisprudenza del lavoro, anche nei casi in cui essa sia definitiva.
Un insieme di previsioni del Dlgs 165/2001 mirano a rafforzare la posizione delle Pa nel contenzioso del lavoro. In primo luogo, si richiede la maturazione di professionalità specifiche, con l'attivazione, anche in forma associata, dell'ufficio per la gestione del contenzioso del lavoro. Si impone poi a tutte le Pa di segnalare alla Funzione pubblica e al ministero dell'Economia tutti i contenziosi che possono determinare il maturare di oneri significativi.
Questi enti possono intervenire nei processi (in base all'articolo 105 del Codice di procedura civile). Anche l'Aran, per garantire l'omogeneità nell'interpretazione dei Ccnl, può intervenire nei contenziosi sul lavoro pubblico (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.10.2012).

aggiornamento all'01.10.2012

INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALIIntegrativo 4% anche con le p.a.. La risposta del Lavoro ai professionisti.
Anche le pubbliche amministrazioni sono tenute a pagare al professionista il contributo integrativo al 4% e non al 2%.
Questo il senso della risposta fornita dal viceministro al Lavoro Michel Martone a un'interrogazione proposta alla camera dal deputato Antonino lo Presti. Un'apertura di credito nel senso dalla possibilità di applicazione a pieno titolo anche nel caso delle pubbliche amministrazioni, che coinvolge e interessa tutti i liberi professionisti iscritti alle Casse di nuova generazione finora penalizzati da un'interpretazione in senso contrario del ministero dell'economia.
La legge «Lo Presti», dal luglio 2011, ha fornito la possibilità ai liberi professionisti di aumentare la loro pensione attraverso l'utilizzo di una parte del contributo integrativo riconosciuto in fattura dal cliente al momento di liquidare una prestazione professionale. Ma a una condizione: che il contributo fosse debitamente aumentato dal 2 al 4%. Questo principio, però, era stato circoscritto dal ministero dell'economia che metteva al riparo le pubbliche amministrazioni dal riconoscere la possibilità di applicare il 4% al posto del 2, coinvolgendo i professionisti iscritti alle Casse del 103: biologi, infermieri, psicologi, periti industriali e le quattro professioni legate alla Cassa pluricategoriale (attuari, chimici, dottori agronomi e forestali, geologi).
Insomma, il ministero dell'economia introduceva il principio del doppio binario: quando lavori per un privato, il contributo integrativo si applica al 4%, quando lavori per il pubblico, quel contributo resta fermo al 2%. In questo caso, per i liberi professionisti avrebbe significato niente possibilità di mettere da parte più denari per la futura pensione.
Il viceministro Martone, però, ha aperto a una revisione dell'interpretazione, rispondendo all'interrogazione parlamentare presentata dallo stesso onorevole Lo Presti (seduta 20.09.2012 n. 689). Martone ha riconosciuto che sono intervenuti due fattori che meritano un ripensamento della lettura limitativa della legge 133/2011: anzitutto sono stati aboliti i minimi tariffari e, in secondo luogo, è palese come sia incostituzionale discriminare alcune categorie professionali rispetto ad altre, spesso coinvolte in lavori sostanzialmente simili (articolo ItaliaOggi del 28.09.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONDOMINIOAmministratori, revoca più facile. Basta una sola firma. Arrivano il registro e l'assicurazione. Ok della Camera al ddl, ora l'ultimo sì del Senato. Animali in libertà.
L'amministratore del condominio dovrà avere una polizza di responsabilità civile e basterà la firma anche di un solo condomino per chiederne la revoca. L'amministratore dovrà inoltre iscriversi al registro gestito dall'Agenzia del territorio e seguire corsi di formazione. Nessun divieto a chi vuole tenere cani o gatti. Possibilità per il condominio di aprire un sito Internet dove scambiarsi rendiconti e delibere, e per il condomino di distaccarsi dal riscaldamento centralizzato, anche se dovrà continuare a pagare le spese di manutenzione straordinaria dell'impianto. Chi acquista è responsabile delle spese condominiali non pagate alla data del subentro senza limiti.
Sono queste alcune delle novità del ddl C-4041 di riforma del condominio, approvato ieri dalla Camera in seconda lettura e che adesso passa al Senato per il sì definitivo.
Riscaldamento. Riprendendo un orientamento della cassazione, da un lato si consente al singolo condomino di staccarsi dall'impianto di riscaldamento centralizzato: il presupposto è che abbia riscontrato un malfunzionamento per un anno e sempre che li disservizio sia da imputare all'impianto condominiale; dall'altro lato il singolo condomino dovrà continuare a partecipare alle spese straordinario dell'impianto comune.
Animali da compagnia. Il regolamento condominiale non può porre limiti alle destinazioni d'uso delle unità di proprietà esclusiva e non può vietare di possedere o detenere animali da compagnia.
Videosorveglianza. Il garante della privacy più volte ha sollevato il problema della mancanza di una disposizione specifica sulla maggioranza relativa all'installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni. La riforma specifica che basta la maggioranza (articolo 1136, secondo comma, codice civile) e non ci vuole l'unanimità.
Maggioranze. Viene riscritto articolo 1136 del codice civile. In prima convocazione per l'approvazione di una delibera ci vuole il quorum di 2/3 del valore e maggioranza per teste, e voto favorevole della maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore dell'edificio. In seconda convocazione basta, invece, la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.
Amministratore dimezzato. L'amministratore non potrà accedere nei singoli alloggi per verificare se sono stati fatti lavoro che mettono in pericolo la sicurezza degli edifici. La prerogativa prevista nel testo originario è stata annullata durante l'iter parlamentare.
Polizza dell'amministratore. L'amministratore deve prestare una polizza di responsabilità civile; anche se il premio è caricato sul bilancio condominiale.
Revoca dell'amministratore. Basta la firma di un solo condomino per chiedere la convocazione dell'assemblea per revocare l'amministratore infedele.
Subentro nell'alloggio. Chi acquista un alloggio diventa responsabile di tutte le spese condominiali non pagate alla data del subentro senza limiti di tempo. Occorre, quindi, che la situazione venga messa in chiaro per evitare un decreto ingiuntivo del condominio. Sempre in materia di spese si segnala che il nudo proprietario e l'usufruttuario diventano responsabili in solido per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiali.
Assemblee. La riforma stabilisce il divieto di tenerle nei giorni di feste religiose.
Millesimi. La possibilità di rettifica a maggioranza dei millesimi sbagliati riguarda tutti i casi di errore e non solo quello (unico originariamente previsto) di errore di calcolo materiale.
Repertorio dei condomini. Viene istituito presso l'agenzia del territorio il repertorio dei condomini. Saranno annotate le deliberazioni delle assemblee, i bilanci, le modifiche di destinazioni di uso, contratti, le ordinanze e sentenze riguardanti il condominio.
Registro degli amministratori. Sempre presso l'Agenzia del territorio (e non preso le camere di commercio) è istituito il registro degli amministratori, in cui possono iscriversi anche le società. Potranno iscriversi da subito coloro che hanno un triennio di attività; poi è richiesta la frequenza a un corso di formazione.
Sito web. Il condominio potrà aprirsi un sito internet on la maggioranza dell'articolo 1136 codice civile: servirà a scambiare rendiconti e delibere.
Conciliazione. Per le mediazioni, precedenti una causa, si deve andare ad un organismo di conciliazione nella circoscrizione del tribunale in cui ha sede il condominio (articolo ItaliaOggi del 28.09.2012).

APPALTIAppalti incagliati sull'asseverazione.
Il giallo su come e chi deve redigere il documento di asseverazione obbligatorio per liquidare le fatture negli appalti di lavori, forniture e servizi, sta di fatto bloccando i pagamenti tra la p.a. e le imprese e tra appaltatore e subappaltatore.
La nuova difficoltà è stata segnalata ieri dall'associazione nazionale dei costruttori edili (Ance) che ha chiesto al governo di sospendere la norma entrata in vigore ad agosto con il decreto Sviluppo fino a quando non saranno chiarite le specifiche attuative.
Il documento di asseverazione è previsto dall'articolo 13-ter: stabilisce la responsabilità solidale fiscale dell'appaltatore con il suo subappaltatore e il suo committente e certifica che il subappaltatore è in regola con l'erario sulle ritenute fiscali sui dipendenti e il pagamento dell'Iva relativa all'appalto. Diversamente, in mancanza del documento di asseverazione, scatta il meccanismo della responsabilità fiscale e delle sanzioni.
Il risultato, ha denunciato ieri l'Ance, è che la poca chiarezza sui contenuti del documento e su chi è autorizzato a redigerlo, di fatto sta portando al blocco dei pagamenti per mancanza dell'asseverazione (articolo ItaliaOggi del 28.09.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATASEMPLIFICAZIONI/ Il silenzio rifiuto finisce in soffitta. Provvedimento espresso sulle costruzioni in caso di vincoli. Le disposizioni della bozza di decreto in materia di contratti pubblici.
Ammesse alle gare di appalto le imprese che hanno sottoscritto un contratto di rete, ma con le regole dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi; agevolato lo svincolo delle garanzie di buona esecuzione rese dalla imprese di costruzioni, anche per le opere in esercizio non ancora collaudate; eliminato il silenzio rifiuto sul permesso di costruire in caso di vincoli; più agevole la qualificazione delle imprese che operano nel settore impiantistico.
Sono queste alcune delle novità previste nella bozza di decreto legge sulla semplificazione che dovrebbe andare oggi in Consiglio dei ministri.
Diverse le modifiche apportate al Codice dei contratti pubblici, in primis per quel che riguarda la qualificazione delle imprese di costruzioni operanti nell'ambito della categoria OG11 (impianti tecnologici), la bozza di decreto legge prevede (anche se sono possibili ancora riformulazioni da parte del ministero delle infrastrutture) che siano modificate le percentuali previste dal regolamento del Codice dei contratti pubblici di possesso di requisiti speciali previsti per tre categorie specialistiche (OS3, impianti idrici, OS28, impianti termici e OS30, impianti elettrici e telefonici). In particolare le percentuali passano dal 40% al 20% per la OS3, dal 70% al 40% per la OS28 e per la OS30.
Un'ulteriore novità è rappresentata dall'inserimento fra i partecipanti alle gare di appalto possano esservi anche le aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete ai sensi del comma 4-ter, dell'articolo 3, del decreto legge 10.02.2009, n. 5. Si tratta di imprese appartenenti a un network ma che mantengono la propria individualità regolando i rapporti giuridici derivanti da una collaborazione stabile basata su obiettivi strategici. Il decreto prevede che alle aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete si applichino le disposizioni dell'articolo 37 del Codice dei contratti pubblici, che a sua volta detta le regole per la costituzione e il funzionamento dei raggruppamenti temporanei di imprese e dei consorzi ordinari di concorrenti. Ciò dovrebbe significa che le imprese che abbiano sottoscritto il contratto di rete dovranno configurare la propria «aggregazione» secondo le regole proprie di queste due tipologie di soggetti raggruppati.
Va anche rilevato, però, che il decreto prevede comunque che qualche problema di adeguamento e coordinamento vi possa essere, dal momento che si premura di precisare che le disposizioni dell'articolo 37 trovano applicazione alla partecipazione alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete, «in quanto compatibili». Con ulteriori modifiche al Codice dei contratti pubblici vengono anche modificate le percentuali per lo svincolo delle garanzie di buona esecuzione (la cauzione definitiva) La norma toccata è l'articolo 113 del Codice dei contratti che stabilisce che la cauzione prestata sia progressivamente svincolata, a misura dell'avanzamento dell'esecuzione, nel limite massimo del 75 per cento dell'iniziale importo garantito.
Il decreto alza del 5% questa percentuale, arrivando fino all'80%, consentendo quindi alle imprese di avere un livello minore di impegni. Si introduce poi una norma sulle opere in esercizio stabilendo che, anche prima del collaudo, l'esercizio protratto per oltre un anno produca, a determinate condizioni, lo svincolo automatico delle garanzie di buona esecuzione prestate a favore dell'ente aggiudicatore, senza necessità di alcun benestare, ferma restando una quota massima del 20% da svincolare all'emissione del certificato di collaudo.
Viene poi modificata la norma del codice dei beni culturali che disciplina l'autorizzazione paesaggistica su immobili e aree vincolate rilasciata dalla regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente eliminando il silenzio assenso decorsi 90 giorni. Si prevede inoltre che l'autorizzazione paesaggistica sia resa nel rispetto delle previsioni e delle prescrizioni del piano paesaggistico, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, decorsi i quali l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione.
Una seconda modifica viene introdotta al comma 9 dello stesso articolo 146, ove si prevede che decorsi inutilmente venti giorni senza che il soprintendente abbia reso il prescritto parere, è direttamente l'amministrazione a provvedere sulla domanda di autorizzazione. Viene quindi eliminata la parte della precedente disposizione che prevedeva la facoltà di richiedere l'autorizzazione alla regione anche attraverso un commissario ad acta.
Viene anche prevista l'eliminazione del silenzio rifiuto sul permesso di costruire in caso di vincoli prevedendosi che il procedimento sia comunque concluso con l'adozione di un provvedimento espresso, seguendo le regole previste dall'articolo 2 della legge sul procedimento amministrativo. Importante notare che viene soppressa la norma che consentiva di applicare le regole del procedimento per il rilascio del permesso di costruire anche ad interventi in deroga agli strumenti urbanistici, a seguito dell'approvazione della deliberazione del Consiglio comunale (articolo ItaliaOggi del 28.09.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Surroga solo ai consiglieri. L'istituto non si estende al sindaco sospeso. L'articolo 45 del decreto 267/2000 non si applica al primo cittadino.
L'istituto della surroga provvisoria del consigliere comunale, disciplinato dall'art. 45 del dlgs n. 267/2000, è applicabile anche all' ipotesi della sospensione del Sindaco disposta ai sensi dell' art. 59 del dlgs citato?
L'art. 45 del dlgs n. 267/2000, al comma 2, dispone che «nel caso di sospensione di un consigliere ai sensi dell'art. 59, il consiglio (_) procede alla temporanea sostituzione affidando la supplenza per l'esercizio delle funzioni di consigliere al candidato della stessa lista che ha riportato, dopo gli eletti, il maggior numero di voti».
Tuttavia, la fattispecie in questione, relativa alla sospensione del Sindaco, non ricade nell'ambito applicativo dell'art. 45, ma in quello dell'art. 53, il quale, inequivocabilmente, prevede che il vicesindaco sostituisce il sindaco «in caso di assenza o impedimento temporaneo, nonché nel caso di sospensione dall'esercizio della funzione ai sensi dell'art. 59»
Pertanto, la disciplina dell'art. 45, che si riferisce unicamente ai consiglieri comunali, non può trovare applicazione in caso di sospensione dall'esercizio delle funzioni del sindaco, il quale è sicuramente componente del consiglio comunale, ma non consigliere comunale (articolo ItaliaOggi del 28.09.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consigliere decaduto.
Quesito: Può considerarsi decaduto un consigliere comunale per mancata partecipazione alle sedute del consiglio? È applicabile la disciplina statutaria -ai sensi della quale sono dichiarati decaduti i consiglieri che, senza giustificato motivo, siano assenti dal consiglio per tre sedute consecutive- in caso di autosospensione, da parte di consiglieri comunali di minoranza, effettuata allo scopo di evidenziare il proprio dissenso?
L'istituto della decadenza per mancata partecipazione alle sedute è previsto dall'art. 43, comma 4, del dlgs n. 267/2000 che demanda allo statuto comunale la relativa disciplina, «garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative».
La giurisprudenza ha chiarito che la decadenza dalla carica di consigliere appartiene alla categoria di quelle limitazioni all'esercizio di un diritto al munus publicum che devono essere interpretate restrittivamente.
Di conseguenza la decadenza non può riguardare il deliberato astensionismo di un gruppo politico che rientra nel novero delle facoltà ordinariamente a disposizione delle forze di opposizione, ma piuttosto sanziona comportamenti negligenti dei consiglieri dai quali possano derivare disagi all'attività dell'organo la cui valutazione, meramente discrezionale e di esclusiva competenza del solo consiglio comunale , costituisce il fondamento giuridico del provvedimento.
Il Tar Lombardia, Brescia sez. II, con la sentenza del 28.04.2011 n. 638, nell'accogliere un ricorso avverso una deliberazione di decadenza di un consigliere per mancata partecipazione alle sedute del consiglio, ha ribadito che l'astensionismo ingiustificato di un consigliere comunale costituisce legittima causa di decadenza sul presupposto del disinteresse e della negligenza che l'amministratore mostra nell'adempiere il proprio mandato e che rientra nel diritto del consigliere comunale l'impiego di tutti gli strumenti giuridici offerti dall'ordinamento per opporsi a decisioni non condivise (quali, ad esempio, l'espressione di voto contrario, l'astensione dal voto o l'omessa partecipazione alla seduta anche al fine di impedire il formarsi del quorum strutturale).
Pertanto, tali principi giurisprudenziali dovrebbero costituire paradigma di riferimento di un'eventuale deliberazione del consiglio del comune ai sensi del proprio statuto comunale, pur rientrando nella discrezionalità del suddetto organo assembleare la valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti dalla citata fonte normativa.
Si soggiunge che l'art. 43 del dlgs n. 267/2000 demanda allo statuto dell'ente di stabilire i casi di decadenza per mancata partecipazione alle sedute, fermo restando il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative delle assenze nonché fornire eventuali documenti probatori (ex multis Tar Sicilia sent. 14.03.2011, n. 464) (articolo ItaliaOggi del 28.09.2012).

APPALTIAdempimenti. Sono in vigore dal 12 agosto le disposizioni che disciplinano il meccanismo di solidarietà che coinvolge anche il subappaltatore.
Appalti, timbro taglia-responsabilità. L'attestato del professionista sblocca i pagamenti dei committenti ma la strada è in salita.
Scatta la responsabilità solidale dell'appaltatore con il subappaltatore e il rischio di una pesante sanzione per il committente in caso di omesso versamento dell'Iva e delle ritenute fiscali. Con la conversione in legge del Dl 83/2012 è stato nuovamente modificato il testo dell'articolo 28, comma 35, del Dl 223/2006, già oggetto di un primo intervento (articolo 2, comma 5-bis, del Dl 16/2012). Le novità attuali sono state introdotte dall'articolo 13-ter del Dl 83/2012.
L'appaltatore
Viene prevista la sua responsabilità solidale con il subappaltatore con riferimento «al versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore all'erario in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di subappalto». Questa responsabilità è limitata all'ammontare del corrispettivo dovuto e, contrariamente alla precedente versione della disposizione, non ha più il limite temporale dei due anni dalla cessazione dell'appalto.
La possibilità dell'appaltatore di liberarsi dalla responsabilità non è più legata a una generica (e, come tale, pericolosamente indefinita) dimostrazione «di aver messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento», quanto all'aver ottenuto, anteriormente al pagamento del corrispettivo, la documentazione attestante che i versamenti di ritenute e Iva scaduti sono stati correttamente eseguiti.
Tale documentazione "può" (non "deve") consistere nell'asseverazione rilasciata da uno dei soggetti abilitati previsti dalla norma (commercialisti, consulenti del lavoro, responsabili Caf, eccetera). Nell'attesa della documentazione, l'appaltatore può sospendere il pagamento delle prestazioni. In caso di pagamento senza verifica scatta la responsabilità solidale verso l'erario.
Il committente
Analoga solidarietà è prevista a carico del committente se paga l'appaltatore senza aver prima preteso l'esibizione della stessa documentazione (relativa sia all'appaltatore che a tutti i subappaltatori), ma tale rischio non consiste nella responsabilità solidale con gli altri "attori" quanto nella sanzione amministrativa da 5.000 a 200.000 euro, che gli verrà comminata se qualche soggetto della "catena" dell'appalto non ha correttamente eseguito i versamenti di ritenute e Iva. Il legislatore precisa che queste regole si applicano agli appalti conclusi da soggetti Iva e, in ogni caso, dai soggetti degli articoli 73 e 74 Ires (società, enti commerciali e non, pubbliche amministrazioni, eccetera) con l'esclusione delle stazioni appaltanti dei contratti pubblici (decreto legislativo 163/2006).
Le conseguenze
Attualmente, in settori che già soffrono di liquidità (l'edilizia in particolare), il committente ha una valida ragione per ritardare i pagamenti in attesa che appaltatori e subappaltatori consegnino alla propria controparte la documentazione prescritta a discarico della responsabilità del destinatario della prestazione. Un professionista incontra difficoltà per rilasciare una asseverazione se non ha idea di quali verifiche è tenuto a effettuare per poter serenamente apporre il "visto" (check list o simili), di quali situazioni possono determinare un visto "infedelmente" rilasciato e quali sanzioni sono previste, senza dimenticare l'aspetto dell'eventuale "assicurabilità" di queste attestazioni.
Non mancano i dubbi applicativi: per esempio, come può il soggetto abilitato attestare che i lavoratori che hanno prestato la propria opera in quel determinato appalto sono proprio quelli per cui sono state versate le ritenute? Come regolarsi con il pagamento degli acconti che precedono l'inizio lavori? Come attestare il versamento dell'imposta sulle fatture relative all'appalto nell'ambito di una posizione che globalmente chiude a credito? È sufficiente attestare che la fattura ha regolarmente concorso alla liquidazione di periodo? E come regolarsi nei casi di reverse charge (senza Iva esposta in fattura) o di "Iva per cassa"?
Il vero problema è che prima si scrive la norma (che non avendo disposizioni transitorie, è già in vigore dal 12 agosto) e solo dopo si riflette sul suo funzionamento. Nel frattempo, i pagamenti delle prestazioni si bloccano (ora anche con una giustificazione "legale"), e chi (in ritardo nei versamenti fiscali) confidava in questi incassi e nel ravvedimento operoso per mettersi in pari, deve drammaticamente rivedere i propri conti.
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Compensi e previdenza. L'obbligazione tutela i lavoratori che eseguono l'opera o prestano il servizio. Un vincolo biennale per gli obblighi contributivi.
TEMPI STRETTI/ In questi casi c'è il termine di due anni dalla fine dell'appalto per la chiamata in causa.
La norma riformulata sulla solidarietà per ritenute e Iva negli appalti si affianca a quella che disciplina la responsabilità (altrettanto solidale) di committente, appaltatore e subappaltatori per retribuzioni, Tfr, contributi previdenziali e premi assicurativi dei lavoratori, già in essere da anni e recentemente modificata dalla "riforma Fornero" (articolo 4, comma 31, della legge 92/2012).
La disposizione in parola (che si affianca al più generale obbligo previsto dall'articolo 1676 del Codice civile) è l'articolo 29 del Dlgs 276/2003 e prevede che (fatta salva una diversa regolamentazione a livello di contratto nazionale), in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro (diverso dalla persona fisica che non esercita attività d'impresa o professionale) «è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento». La disposizione è stata oggetto della circolare Inps n. 106 del 10 agosto scorso.
Risultano alcune differenze con la norma che regola la responsabilità per Iva e ritenute:
- è previsto un limite temporale alla "chiamata in causa" del committente o dell'appaltatore (due anni da fine appalto);
- non è previsto un limite quantitativo al rischio, che invece l'articolo 35, comma 28, del Dl 223/2006 individua nell'ammontare del corrispettivo;
- non è prevista alcuna attestazione "liberatoria", anche se, almeno per i contributi, la disciplina in merito al rilascio del Durc è sicuramente meglio formulata rispetto a quella relativa all'Iva e alle ritenute;
- non viene attribuito alcun ruolo al pagamento della prestazione, che, invece, costituisce il momento qualificante per la responsabilità solidale sui versamenti fiscali;
- viene assimilata la posizione di committente e appaltatore, i quali, invece, nel sistema ora delineato dal Dl 83/2012, hanno un grado di rischio molto differente.
Per completezza, ricordiamo che l'articolo 4, comma 2, del Dl 207/2010 prevede che nelle ipotesi previste dal legislatore «in caso di ottenimento da parte del responsabile del procedimento del documento unico di regolarità contributiva che segnali un'inadempienza contributiva relativa a uno o più soggetti impiegati nell'esecuzione del contratto, il medesimo trattiene dal certificato di pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza» (articolo Il Sole 24 Ore del 26.09.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOStatali, in arrivo nuovi sistemi di valutazione dell'attività.
LA QUESTIONE INCENTIVI/ Palazzo Vidoni pensa a premi di produttività selettivi ed «elastici» ma solo quando saranno disponibili altre risorse.

Un'operazione in tre tappe. È quella che si sta congegnando al ministero della Pubblica amministrazione per alzare gli standard di produttività dei dipendenti pubblici.
La prima fase sarà imperniata sulla creazione di nuovo sistema di valutazione degli statali in raccordo con l'operazione spending review. Dovrebbe poi prendere il via un dispositivo innovativo di misurazione di tutta l'attività svolta dagli uffici anche per verificare sovracosti interni e oneri impropri. Il terzo e ultimo step dovrebbe essere quello per introdurre un meccanismo di incentivi selettivi per premiare la produttività. Meccanismo che però potrà essere attivato solo nel momento in cui saranno utilizzabili risorse di cui attualmente il Governo non dispone, come ieri ha nuovamente lasciato intendere lo stesso ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi.
Per il momento il percorso è solo abbozzato. Ma il lavoro sui nuovi sistemi di valutazione dei dipendenti e di misurazione dell'attività svolta dagli uffici è in fase avanzata. E una conferma arriva indirettamente da Patroni Griffi: «Siamo impegnati nell'assicurare una migliore performance organizzativa più che individuale, perché quello che interessa è ciò che la pubblica amministrazione produce, non tanto chi produce e come si lavora al suo interno», ha detto ieri mattina a Bologna il ministro.
Patroni Griffi ha sottolineato che «la produttività nel pubblico è importante» ma anche evidenziato che quando il datore di lavoro è lo Stato è difficile, soprattutto nella situazione attuale, reperire le risorse per incentivarla. In ogni caso la priorità resta il dimagrimento degli organici e la riduzione dei costi della pubblica amministrazione. Concetti espressi nel pomeriggio dal ministro nell'incontro con i sindacati in cui è stata presentata la direttiva sull'attuazione della prima fase di spending review (si veda altro articolo in questa pagina).
I nuovi criteri di valutazione e di misurazione dovrebbero vedere la luce entro la fine dell'anno, anche se non è escluso che le linee guida possano essere delineate dalla "fase due" della spending review che scatterà a metà ottobre insieme alla legge di stabilità. Sul fronte della misurazione Palazzo Vidoni sta valutando anche l'ipotesi di ricorrere a un dispositivo simile a quello dei costi standard anche per individuare le eventuali sacche di spreco nell'attività di funzionamento degli uffici pubblici.
Nonostante la carenza di risorse a palazzo Vidoni si sta anche cominciando a ipotizzare un nuovo sistema per premiare i dipendenti maggiormente produttivi. L'idea sarebbe quella di attribuire gli incentivi di produttività sulla base di criteri di selettività ed elasticità superando il sistema delle quote congegnato dall'ex ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, che prevedeva l'esclusione certa dai premi di una fetta di personale pari al 25 per cento.
Nella stessa agenda per la crescita stilata dal premier Mario Monti il 24 agosto scorso si parla, del resto, in relazione alle azioni da attivare nel pubblico impiego, di «sistemi di performance per gestire in modo efficiente le risorse assegnate, premiare il merito, orientare le priorità» (articolo Il Sole 24 Ore del 26.09.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZINuovi acquisti solo con la Consip. Cellulari e telefoni fissi. E presto anche pulizie, energia e gas. Debutta il mercato unico per l'istruzione: sanzionato il dirigente che non si attiene alle convenzioni.
Cellulari e telefoni fissi a carico delle scuole da acquistare solo tramite Consip spa, acronimo di concessionaria servizi informativi pubblici, società pubblica il cui azionista unico è il ministero dell'economia e delle finanze e che proprio in questi giorni, comunicato del 18 settembre, ha annunciato l'avvio del progetto MePi, mercato elettronico della pubblica istruzione.
E sanzioni di carattere disciplinare e amministrativo per i responsabili degli acquisti di altri beni e servizi nelle pubbliche amministrazioni, scuole comprese, che non ricorrano agli strumenti messi a disposizione da Consip. Non solo, ma contratti nulli, se stipulati in violazione dell'obbligo di servirsi di tali strumenti. I quali strumenti sono rappresentati dalle convenzioni che Consip stipula con ditte fornitrici di beni e servizi, alle quali quindi ci si deve rivolgere per chiederne la fornitura e, ai prezzi concordati nelle convenzioni, stipulare contratti di acquisto.
Una convenzione sarà presto stipulata, dopo il 25 ottobre, quando scadranno i termini di gara, indetta l'11 luglio scorso, per l'aggiudicazione dei servizi di pulizia per le scuole di ogni ordine e grado e per i centri di formazione della pubblica amministrazione, per un importo complessivo di un milione e ottocentomila euro. Per questa come per le altre forniture di beni e servizi, le amministrazioni pubbliche, scuole comprese, possono anche rivolgersi ad altri fornitori, ma in tal caso devono assumere i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, individuati nelle stesse convenzioni Consip, purché ovviamente si tratti di beni e servizi comparabili.
Insomma, gli imperativi sono: maggiore attenzione nel disporre gli acquisti e realizzazione di risparmi di gestione e di spesa. Che è poi lo scopo contenuto nei provvedimenti legislativi comunemente definiti di spending review, in particolare, per lo specifico caso degli acquisti, l'art. 1, primo e settimo comma, del decreto legge 06.07.2012, n. 95, convertito nella legge n. 135/2012. Con il progetto MePi, citato all'inizio e specificatamente dedicato agli istituti scolastici di ogni ordine e grado, Consip intende proporre e presentare beni e servizi a destinazione didattica secondo ambiti omogenei, con la conseguenza che potranno essere personalizzati i requisiti tecnici, tecnologici e di servizio dei singoli prodotti e delle relative soluzioni.
Le procedure di acquisto saranno rese così più semplici e rapide e consentiranno alle scuole di accedere a soluzioni più idonee alle loro esigenze di approvvigionamento. Con tale iniziativa Consip continua la collaborazione con il Miur, avviata gli anni scorsi con il Piano nazionale scuola digitale, progetto Lim (Lavagne interattive multimediali) e iniziativa Editoria digitale scolastica.
Va ricordato poi che Consip nel mese di maggio ha aggiudicato la gara per la fornitura di personal computer a basso impatto ambientale e di servizi connessi per le pubbliche amministrazioni, la durata della convenzione è tuttora in corso e le scuole se ne possono così avvalere.
L'obbligo di servirsi degli strumenti messi a disposizione da Consip era per altro già in vigore, essendo stato sancito dalla finanziaria del 2000 (art. 26, terzo comma, della legge 23.12.1999, n. 488), esplicitamente richiamata dalle norme predisposte dal supertecnico Enrico Bondi ed emanate dal governo presieduto da Mario Monti.
Forse la norma del 1999 non era molto incisiva o non è stata applicata con il dovuto rigore, e allora si è dovuti intervenire nuovamente, aggravando le conseguenze della sua violazione e aggiungendo l'obbligo di servirsi in ogni caso delle convenzioni per l'acquisto di “energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile”, solo queste ultime due, tuttavia, di stretta pertinenza delle scuole.
A dire il vero, anche per queste categorie merceologiche è possibile esperire autonome procedure ma in tal caso bisognerà comunque utilizzare «i sistemi telematici di negoziazione sul mercato elettronico e sul sistema dinamico di acquisizione messi a disposizione» da Consip S.p.A. o dalle analoghe strutture regionali di riferimento, costituite ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27.12.2006, n. 296 (articolo ItaliaOggi del 25.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALISpending review. Entro l'anno vanno avviata la gestione in forma unita di tre funzioni fondamentali.
Rischio prefetti sui mini-enti. Intervento «statale» per chi non rispetta gli obblighi di associazione.
L'ALTERNATIVA/ Possibile attivare anche le convenzioni che per sopravvivere dovranno superare la verifica di efficienza dopo tre anni.

L'articolo 19 del decreto legge 95/2012 sulla spending review interviene sulla normativa in materia di gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali fondamentali e recepisce alcune puntuali sollecitazioni pervenute dalle rappresentanze delle autonomie locali, cogliendo l'occasione per cercare di fare chiarezza sul l'intera disciplina.
Pur dovendo sottolineare l'assoluta inadeguatezza della decretazione d'urgenza in tema di riforme, va riconosciuto tuttavia che il decreto pone rimedio ad una lunga, colpevole inerzia del legislatore.
La principale novità, inserita in sede di conversione del decreto, consiste nella perentorietà dei nuovi termini di legge per l'avvio del processo associazionista, con un ruolo determinante assegnato al prefetto.
Le scadenze da rispettare sono: il 01.01.2013, per associare almeno tre delle funzioni fondamentali di cui al comma 28, e il 01.01.2014 per le restanti funzioni fondamentali. In caso di decorso dei termini, il prefetto assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente anche questo termine, trova applicazione l'articolo 8 della legge 131 del 05.06.2003: nell'ambito dei poteri sostitutivi previsti dall'articolo 120 della Costituzione viene nominato un commissario il quale provvede in senso conforme alla norma, sentito il Consiglio delle autonomie locali, tenuto conto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione tra i vari livelli istituzionali
Le unioni ordinarie sono regolate dall'articolo 14, comma 28, del Dl 78/2010; a differenza della precedente disciplina, l'ambito applicativo comprende ora anche i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, in precedenza esclusi in quanto soggetti all'obbligo specifico previsto dall'articolo 16, commi 1-16 del Dl 138/2011 (unioni "speciali" o "micro-unioni" nelle quali si associano tutte le funzioni).
Ora la disciplina dell'articolo 16 costituisce una mera facoltà per questi enti : per tutti i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti valgono gli stessi obblighi (articolo 14 Dl 78/2010; articolo 32 del Testo unico enti locali).
I Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti devono esercitare le loro funzioni fondamentali in forma associata, ma possono farlo anche mediante una semplice convenzione; il nuovo comma 31-bis dell'articolo 14, del Dl 78/2010, rimanda all'articolo 30 del Tuel in materia di convenzioni, prescrivendo una durata almeno triennale.
Si dispone, tuttavia, l'obbligo di verificare il raggiungimento –entro il triennio– di «significativi livelli di efficacia e di efficienza» subentrando, in caso contrario, l'obbligo di costituire l'unione, analogamente a quanto prescritto dal l'articolo 16 del Dl 138/2011 per le micro unioni. In altri termini, o si dimostrano gli effettivi risultati raggiunti o si deve fare l'unione.
In definitiva, ora si fa sul serio. La riforma è stata progressivamente bilanciata e resa flessibile nei suoi contenuti, ma diventano più stringenti e tassativi i tempi di attuazione. La riduzione della spesa pubblica non può più attendere.
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Le due strade
COMUNI FINO A 5MILA ABITANTI
Obbligo di gestione associata delle funzioni fondamentali, tramite:
- unione ordinaria (articolo 14 Dl 78/2010; articolo 32 Tuel);
- oppure convenzione (articolo 14 Dl 78/2010; articolo 30 Tuel), con dimostrazione dei risultati raggiunti nei tre anni
COMUNI FINO A MILLE ABITANTI
- possono partecipare alle unioni ordinarie o alle convenzioni;
- in alternativa, possono costituire unioni speciali solo con altri Comuni sotto i mille abitanti (articolo 16, Dl 138/2011) (articolo Il Sole 24 Ore del 24.09.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Centrale unica per bandire le gare d' appalto. Le procedure. I servizi da accorpare.
L'articolo 19 del decreto legge sulla spending review (Dl 95/2012) riformula la normativa in materia di esercizio associato delle funzioni, secondo modalità più graduali ed equilibrate. Mentre si continua ad arricchire la normativa speciale sulle micro-unioni (articolo 16 Dl 138/2011), che difficilmente prenderanno piede, la disciplina dettata per le unioni "ordinarie" di Comuni appare tuttora piuttosto lacunosa.
Viene ridefinito e leggermente ampliato l'elenco delle funzioni fondamentali che i Comuni fino a 5mila abitanti devono gestire in forma associata, tramite unione o convenzione. Con un parziale passo indietro relativo ai servizi demografici, inclusi tra le funzioni fondamentali ma esclusi espressamente dall'ambito di quelle da gestire obbligatoriamente in forma associata; resta peraltro a nostro avviso la possibilità di un loro accentramento, alla luce anche dell'articolo 16 del Dl 138/2011 che qualora applicato prevede l'unificazione di tutte le funzioni - compresa dunque l'anagrafe, lo stato civile, la materia elettorale e statistica.
La terminologia utilizzata nell'elenco non è sempre chiara e univoca: si ritiene in particolare che le funzioni di amministrazione generale comprendano la globalità dei servizi interni, sia amministrativi che finanziari, ferma restando la facoltà di considerare in modo specifico le segreterie comunali e di mantenere in essere le relative convenzioni. Tra i servizi interni da associare vi è certamente quello informatico: il comma 7 dell'articolo 19 dispone l'abrogazione dei commi da 3-bis a 3-octies dell'articolo 15 del Dlgs 82/2005, superando cosi l'antinomia dovuta alla sovrapposizione delle due diverse normative sulla gestione associata delle funzioni Ict.
Altro servizio interno è quello che si occupa di appalti, da accentrare secondo lo schema della centrale unica di committenza (articolo 33 del Dlgs 163/2006) dal 01.04.2013. L'obbligo riguarda solo le procedure di gara; ogni ente rimane responsabile delle fasi a monte (programmazione) e a valle (esecuzione) e provvede autonomamente agli affidamenti diretti nei casi consentiti (si veda Corte dei conti sezione Piemonte, parere n. 271/2012).
Nulla dice, infine, l'articolo 32 del testo unico enti locali sul trasferimento delle competenze, politiche e gestionali, dagli organi comunali a quelli del l'unione; l'articolo 16 del Dl 138 rappresenta un utile punto di riferimento ma sarebbe opportuno recepire il principio nella disciplina generale delle unioni.

Con riferimento alle funzioni conferite, tutte le competenze gestionali spettano agli organi tecnici dell'unione. Lo stesso principio sembra applicabile sul piano politico, pur dovendosi individuare alcune fattispecie riservate agli organi di governo del singolo comune (ad esempio, gli atti del sindaco come ufficiale di governo citati dall'articolo 16, comma 8). In attesa di ulteriori sviluppi in fase legislativa è necessario delimitare in sede interpretativa tali fattispecie. Dovremmo cercare di creare un quadro giuridico chiaro ed esaustivo prima dell'avvio della riforma, senza demandare decisioni fondamentali al l'improvvisazione e, quindi, al diritto vivente.
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Le materie
01 | APPALTI
   Va centralizzata con il meccanismo della centrale di committenza la fase delle gare, mentre resta di competenza esclusiva dell'ente locale sia la programmazione degli appalti, che la fase di esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture
02 | INFORMATICA
   Sono da mettere in comune anche i servizi informatici. La spending review ha abolito la norma (articolo 15 Dlgs 82/2005) che indicava altre strade per la gestione dei servizi di Ict nei piccoli comuni
03 | AMMINISTRAZIONE
   La gestione associata può riguardare tutti i servizi interni, amministrativi e finanziari, con la possibilità di esonerare le segreterie comunali (articolo Il Sole 24 Ore del 24.09.2012 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAUna domanda e permessi multipli. Accorpate 7 abilitazioni nell'autorizzazione unica ambientale. Introdotta l'Aua che toccherà micro, piccole, medie imprese e attività a basso rischio.
Sarà un singolo provvedimento amministrativo rilasciato dallo sportello unico per le attività produttive, sull'esito di una sola e cumulativa domanda, ad autorizzare emissioni di inquinanti in aria, acqua, suolo e gestione dei rifiuti per micro, piccole e medie imprese così come per le altre imprese a basso impatto ambientale.
Con l'approvazione, avvenuta lo scorso 14 settembre, in prima lettura da parte del governo del decreto istitutivo della «autorizzazione unica ambientale» (già battezzato come «Aua») si avvicina lo snellimento della burocrazia verde previsto a monte dal dl 5/2012 (c.d. «decreto semplificazioni»).
Il decreto in itinere, formalizzato come dpr e ora in attesa dei rituali pareri del parlamento e della conferenza unificata, introdurrà la nuova figura di autorizzazione unica tra l'istituto della (analoga ma più complessa) «autorizzazione integrata ambientale» (obbligatoria per gli impianti ad alto potenziale di inquinamento) e il novero delle singole procedure previste dalle diverse norme per il rilascio dei necessari e plurimi titoli a inquinare.
Cos'è l'Aua. L'autorizzazione unica ambientale sarà il provvedimento rilasciato dal c.d. «Suap» (Sportello unico per le attività produttive) che, nel tenore del decreto in corso di approvazione, sostituirà numerosi atti di comunicazione, notifica e autorizzazioni in materia ambientale previsti a livello statale e locale.
Per quali imprese. Due le categorie di imprese che saranno ammesse all'autorizzazione unica ambientale. La prima è costituita dalle micro, piccole e medie imprese, ossia dalle imprese rientranti nei parametri dimensionali e di fatturato previsti dall'articolo 2 del dm 18.04.2005 del ministero delle attività produttive. La seconda è invece costituita dagli impianti non soggetti alle disposizioni sulla autorizzazione integrata ambientale (c.d. «Aia») recate dal dlgs 152/2006.
Sono soggette all'Aia, le grandi industrie elencate dall'allegato VIII alla parte seconda del «Codice ambientale» che svolgono particolari attività, come quella energetica (combustioni a elevate potenze termiche, raffinerie), della produzione (a elevata capacità) dei metalli, della fabbricazione di alcuni prodotti chimici (tra cui idrocarburi e coloranti), dello smaltimento o recupero di elevate quantità di rifiuti.
Per quali titoli. L'Aua sostituirà tutti gli atti abilitativi previsti dal dpr in itinere più quelli che stabiliranno localmente le singole regioni e le province autonome (nel rispetto dei criteri generali del decreto statale).
In base allo schema di dpr licenziato dal governo, potranno essere fin da subito sostituiti dalla Aua: l'autorizzazione allo scarico nelle acque ex dlgs 152/2006; la comunicazione preventiva ex articolo 112 del dlgs 152/2006 per utilizzo agronomico di effluenti di allevamento, acque di vegetazione di frantoi oleari, acque reflue da parte di aziende del settore; l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti produttivi ex articolo 269, dlgs 152/2006; l'autorizzazione generale per le emissioni «scarsamente rilevanti» in aria ex articolo 272, dlgs 152/2006; il nulla osta alle emissioni sonore ex articolo 8, legge 447/1995 da parte degli impianti produttivi, sportivi, ricreativi commerciali; l'autorizzazione ex articolo 9, dlgs 99/1992 per utilizzo fanghi da depurazione in agricoltura; le comunicazioni per auto smaltimento e/o recupero rifiuti in procedura semplificata ex articoli 215 e 216, dlgs 152/2006.
Saranno poi eventualmente, come accennato, gli enti locali a individuare ulteriori atti di comunicazione, notifica e autorizzazione ambientale che potranno essere ricompresi dell'Aua.
Obbligo o facoltà? L'Aua costituirà la via autorizzatoria obbligatoria per le imprese che intendono acquisire l'intero novero dei titoli elencati dal dpr, mentre costituirà una mera facoltà sia per le imprese che agiranno per ottenere un singolo titolo sia per quelle tenute a presentare semplici comunicazioni ai sensi delle vigenti norme ambientali.
Rilascio, procedura. La domanda per il rilascio dell'Aua andrà presentata al Suap (comunale) di competenza unitamente ai documenti, alle dichiarazioni e alle altre attestazioni necessarie (a tal riguardo, il dpr prevede la possibilità per il Minambiente di adottare un modello di domanda semplificato e unificato). Verificatane la completezza, il Suap li trasmetterà all'autorità competente (ossia alla regione, alla provincia autonoma o all'ente da essi indicato come competente in relazione alla autorizzazione unica ambientale) chiedendo poi al soggetto istante (entro 30 giorni) l'eventuale integrazione della domanda con documenti richiesti dall'autorità. Subordinatamente all'assenso da parte della autorità competente, il Suap rilascerà l'autorizzazione unica ambientale entro un termine «standard» compreso tra 90 e 150 giorni dalla presentazione della domanda (in base alla complessità dell'istruttoria prevista dalla legge).
Durata. L'Aua avrà una durata di 15 anni dalla data di rilascio, fatti salvi gli obblighi di comunicazione intermedi alla citata autorità competente da parte delle imprese a più alto rischio di inquinamento (es: scarichi di reflui contenenti sostanze pericolose) o in caso modifiche di attività o variazioni agli impianti.
Rinnovo, procedura. Il rinnovo dell'autorizzazione unica dovrà essere richiesto (sempre tramite Suap) almeno sei mesi prima della scadenza (a pena della sospensione dell'attività), secondo una delle due procedure (ordinaria e semplificata) previste dal decreto.
La procedura ordinaria (che prevede una domanda pedissequa a quella di primo rilascio) dovrà essere adottata: dagli impianti che pur non superando le soglie dimensionali del dlgs 152/2006 per l'assoggettamento all'Aia svolgono comunque le attività inerenti; dai titolari di scarichi idrici con sostanze pericolose ex articolo 108 del dlgs 152/2006; i soggetti che emettono in atmosfera alcune sostanze pericolose previste dal dlgs 152/2006; gli impianti che utilizzano le sostanze pericolose disciplinate dal dlgs 52/1997.
Per tutte le altre e diverse imprese, sempre che non siano intervenute modifiche di attività e impianti rispetto alla autorizzazione in scadenza, il rinnovo avverrà invece tramite la presentazione di una istanza in autodichiarazione (dpr 445/2000 e successive modifiche) che attesterà l'immutata condizione di esercizio. Il rispetto del termine di sei mesi dalla scadenza dell'autorizzazione consentirà all'istante di proseguire l'attività fino al provvedimento di rinnovo.
Modifiche impianti, procedura. Come accennato, le variazioni di attività o impianti necessiteranno di una nuova procedura amministrativa che ne formalizzi la liceità.
A tal proposito il dpr in esame distingue le «semplici modifiche», legittimate da una semplice comunicazione indirizzata (direttamente) all'Autorità competente (e in assenza di una sua opposizione nei successivi 60 giorni) dalle «modifiche sostanziali» (ossia variazioni considerate tali dalle norme ambientali di riferimento) per le quali dovrà essere invece presentata una domanda pedissequa a quella di prima autorizzazione. Tale ultima e più rigida procedura ordinaria dovrà altresì essere sempre utilizzata dagli impianti a più alto rischio (ossia quelli sottoposti a alla citata procedura ordinaria di rinnovo) anche per le «semplici modifiche».
Oneri. Le spese per il procedimento relativo all'Aua saranno a carico del richiedente, ma esse non potranno comunque superare quelle complessivamente previste per i singoli titoli abilitativi disciplinati dalla normativa di riferimento.
Regime transitorio. I procedimenti autorizzatori in itinere alla data di entrata in vigore della nuova disciplina Aua proseguiranno in base alla pregressa normativa, ossia sfoceranno negli eventuali titoli abilitativi già previsti. Le imprese, invece, già titolari di autorizzazioni rilasciate in base al «vecchio» regime dovranno attendere la scadenza di queste per poterle rinnovare secondo il nuovo meccanismo dell'Aua (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ Dagli ordini i facsimile delle lettere di incarico. Prima regola: mettere tutto per iscritto. Niente tariffe e infinite clausole È il nuovo contratto professionale.
Fra professionista e cliente patti chiari e amicizia lunga. Sembra essere questo lo spirito che sta animando gli ordini in questi giorni che, pur non essendo previsto l'obbligo di preventivo scritto, si stanno dando da fare per dare istruzioni ai propri iscritti su come rendere chiari, e quindi evitare problemi in futuro, gli accordi sul conferimento dell'incarico.
Ed ecco quali sono i punti che non possono mai mancare in un contratto-tipo: l'oggetto e il grado di complessità dell'incarico, da esplicitare il più possibile, il compenso e gli oneri ipotizzabili, il recesso, gli estremi della polizza professionale, la clausola di mediazione. Ma comunque l'indicazione unanime degli ordini è: mettere tutto per iscritto e non lasciare nulla di sottinteso al cliente.
Riguardo la determinazione del compenso, invece, se da un lato i minimi tariffari sono stati aboliti, dall'altro, con tutta probabilità, i nuovi parametri elaborati dal ministero della giustizia per la liquidazione dei compensi da parte del giudice (dm n. 140/2012) saranno presi a riferimento dai professionisti per quantificare la propria prestazione professionale. E metterla al riparo da eventuali contenziosi. Il resto è lasciato al libero mercato. Ma vediamo meglio le indicazioni degli ordini ai professionisti alla luce del dl liberalizzazioni, del dpr di riforma delle professioni e del dm parametri.
Gli ordini giuridico-economico-contabili. Il Consiglio nazionale forense, da ultimo, ha elaborato un modello di contratto per gli iscritti (si veda ItaliaOggi del 20 settembre). Le clausole più importanti riguardano la privacy, la conciliazione, l'antiriciclaggio, la difficoltà dell'incarico, eventuali imprevisti, la quantificazione del compenso, o per fasi o per ore di attività.
Anche il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha messo a disposizione il facsimile di lettera di incarico professionale. Dove non devono mai mancare le clausole riferibili a: oggetto e grado di complessità dell'incarico, compenso e oneri ipotizzabili, recesso, estremi della polizza professionale.
«La principale indicazione da dare ai professionisti è che il conferimento dell'incarico venga fatto per iscritto», afferma Massimo Mellacina, consigliere delegato alle tariffe, «lo stesso decreto sui parametri prevede che il professionista debba dare prova del preventivo onorario pre-concordato. Quanto ai parametri, lo consideriamo uno strumento a uso esclusivo dell'organo giudiziale. Detto ciò, che poi possa essere assunto dal professionista come base di riferimento la considero un'opzione possibile e ragionevole. Chiaramente, non è più vincolante come lo era la tariffa minima».
Pure i consulenti del lavoro hanno diramato un facsimile di conferimento di incarico professionale. Gli elementi chiave sono: l'oggetto e grado di complessità del mandato, il compenso, durata e recesso, obblighi del professionista e del mandante. «In seguito all'abolizione delle tariffe è sorta l'esigenza di predisporre un facsimile di conferimento di incarico professionale», afferma il presidente, Marina Calderone, «uno strumento utile, visto che il mandato è diventato un elemento basilare del rapporto tra il professionista e il proprio cliente».
Le professioni tecniche. Il Consiglio nazionale degli ingegneri ha elaborato, tramite il proprio Centro studi, un documento con una serie di linee guida per ogni fattispecie di contratto: dall'incarico professionale con committenti privati, ai mansionari, agli incarichi per i lavori pubblici. «Ora la difficoltà, per il professionista, è individuare il compenso senza potersi riferire alle tariffe», afferma il presidente del Cni, Armando Zambrano, «si tratta di una contraddizione perché l'utente ha un'informazione in meno. Con i nuovi parametri, poi, siamo al paradosso, perché le indicazioni che utilizza il giudice alla fine del procedimento diventano il compenso del professionista, mentre non possono essere utilizzate dal professionista prima del contenzioso».
Il Consiglio nazionale dei periti industriali sta lavorando in questi giorni per predisporre un contratto tipo «che sarà molto complesso», assicura il presidente, Giuseppe Jogna, «perché abbiamo parecchie specializzazioni. Cercheremo di mettere a disposizione una sorta di scrittura privata di contratto di incarico lasciando poi ampio spazio a quella che è l'attività vera propria. Detto ciò, l'importante, per il professionista, è che il contratto sia molto chiaro ed esplicito perché le attività professionali tecniche, come quella di progettazione, hanno la particolarità di poter subire modifiche in corso d'opera. È necessario quindi che il committente ne sia ampiamente informato, perché spesso ci si nasconde dietro l'asimmetria delle conoscenze».
«Per quello che riguarda i parametri», continua Jogna, «è chiaro che il professionista non può utilizzarli. Però dico anche che se il cliente si lamenta del prezzo e non ha la capacità di individuare qual sia il meccanismo utilizzato dal professionista per determinare quella cifra, se si fa riferimento ai parametri non si sbaglia. Anche perché in un eventuale contenzioso il giudice può trovare coerente questo comportamento. In altre parole: come si fa a definire una prestazione complessa se non dando un'occhiata ai parametri, in modo tale che il contratto sia salvo in caso di contenzioso».
Anche il Consiglio nazionale degli agrotecnici sta mettendo a punto un facsimile. «Non è una semplice lettera di incarico», afferma il presidente, Roberto Orlandi, «vogliamo chiarire come costruire il contratto per evitare eventuali contenziosi. Anche perché, per quanto riguarda la determinazione del compenso, i nuovi parametri escludono molte nostre competenze. Il punto principale da chiarire, comunque, è la descrizione puntuale della prestazione» (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ L'eliminazione delle tariffe affida alle parti la negoziazione. Unico riferimento i nuovi parametri. Il prezzo lo fa il libero mercato.
Un contratto con il professionista: l'abbandono delle tariffe affida al mercato e, quindi, alle parti di negoziare il compenso. Anche se si rischia di lasciare nell'indefinito una materia che prima era regolata da decreti ministeriali. In mancanza delle tariffe, però, l'unico punto di riferimento è rappresentato dai parametri stabiliti con il decreto ministeriale n. 140/2012. Anche se non bisogna cadere in un equivoco.
I parametri del decreto 140/2012 non sono un tariffario sopravvissuto finalizzato a regolare i rapporti con la clientela; i parametri sono linee guida per il magistrato, chiamato a decidere quale sia il giusto compenso per il professionista, in una controversia con il cliente o, per gli avvocati, in sede di liquidazione giudiziale dei compensi. Non sono invece una griglia obbligatoria nei rapporti interni tra professionista e cliente. Anzi la legge vorrebbe eliminare qualsiasi griglia cogente per la determinazione delle tariffe e lasciare tutto alla libera negoziazione tra le parti.
D'altro canto c'è una ragione che incentiva il professionista a stendere il contratto vincolante per il cliente: il contratto stipulato e accettato dal cliente, infatti, è intoccabile anche dal magistrato. L'articolo 1 del decreto 140/2012 prevede che l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti applica i parametri, ma solo in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso.
Questo significa che il giudice deve valutare innanzitutto se sia stato stipulato un contratto valido tra le parti; in questo caso deve applicare il contratto e non può passare alla applicazione dei parametri.
Naturalmente il cliente potrà contestare la validità del contratto e sostenerne la nullità totale o parziale; tuttavia si parte dal contratto; mentre se il contratto non c'è, allora il professionista non può che affidarsi alla discrezionalità giudiziale.
L'interesse del professionista a bloccare la discrezionalità giudiziale nella determinazione del compenso è molto alto. Si noti, infatti, che i parametri stabiliti dal decreto 140/2012 innanzitutto non sono vincolanti nemmeno per il giudice, che può discostarsene nei casi concreti; in secondo luogo i parametri sono fissati con una forbice molto ampia tra il valore più basso e il valore del maggiore incremento.
Non essendoci più un tariffario unico, seppure modulabile, considerata la forbice minimo-massimo per singole prestazioni, il professionista, per regolare i rapporti economici con la propria clientela, è, dunque, incentivato a costruire un proprio tariffario di studio.
Anzi il cliente che entra in uno studio professionale e assegna un incarico si vedrà consegnare il contratto, magari a seguito di un preventivo di massima, oltre che alcune specifiche informazioni previste da leggi di settore (dalla privacy alla conciliazione).
Secondo il disegno del legislatore l'abolizione delle tariffe e la riconduzione dei compensi ai rapporti contrattuali dovrebbe incentivare la concorrenza tra professionisti, singoli e associati, e tra società professionali.
Non a caso i compensi possono essere oggetto della pubblicità informativa (su cui si veda il dpr 07/08/2012 n. 137, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14.08.2012, regolamento di attuazione dei principi dettati dall'articolo 3, comma 5, del decreto legge n. 138 del 2011 in materia di professioni regolamentate).
Quindi lo studio professionale potrà preparare una brochure informativa con il proprio preziario e magari diffonderlo tramite il sito internet. Così sarà data al cliente la possibilità di scelta del professionista anche sulla base del fattore compenso praticato.
A questo proposito va richiamato il decreto ministeriale n. 137/2012 sulla disciplina delle professioni regolamentate, che dedica un apposito articolo alla libera concorrenza e alla pubblicità informativa. Innanzi tutto la pubblicità informativa è ammessa con ogni mezzo purché attinente l'attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e anche i compensi richiesti per le prestazioni.
La pubblicità informativa deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo del segreto professionale e non dev'essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
Infine, così si chiude l'articolo 4 del decreto 137, la violazione della disposizione sui principi della pubblicità informativa costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni previste dal codice del consumo e dalle norme sulla pubblicità ingannevole.
Questi ultimi riferimenti potrebbero però mettere in dubbio la qualifica del professionista e spostarla sul versante imprenditoriale, esito questo fortemente avversato dagli ordini. A parte queste considerazioni generali, va sottolineato che la possibilità di mettere a confronto le tariffe pratiche attraverso le forme lecite di pubblicità comparativa è ulteriore elemento che spinge alla individuazione di un tariffario di studio e di una contrattualistica standard a uso del singolo professionista, dello studio associato e della società tra professionisti (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALII COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ Gli avvocati potranno esporre i prezzi. Via la distinzione tra diritti e onorari in nota spese. Tariffario pubblico per i legali.
Gli avvocati potranno costruirsi il tariffario di studio e pubblicizzarlo. I parametri stabiliti con il decreto 140/2012 sono certo un punto di riferimento, ma il professionista potrà discostarsene nel contratto con il cliente. La struttura della nota spese presentata al cliente non prevede più la distinzione tra diritti e onorari, come nel vecchio tariffario. Sussiste, quindi, libertà sia nella modulazione delle voci di spesa sia nella quantificazione degli importi.
Le voci di spesa potranno essere individuate per fasi di attività con un importo onnicomprensivo per singola fase; oppure si potrà ricorrere al compenso orario. Altre possibilità sono quelle del patto di quota lite o del palmario. Con il palmario il cliente attribuisce all'avvocato un compenso aggiuntivo per la favorevole conclusione della pratica. Con il patto di quota lite l'avvocato viene pagato solo in caso di esito favorevole con una quota su quanto percepito dal cliente.
Lo schema di contratto elaborato dal Consiglio nazionale forense prevede il sistema del compenso per fasi in alternativa al compenso su base oraria. Il modello contiene, poi, una limitata forma di palmario in caso di conciliazione della controversia. Il modello del consiglio nazionale forense non disciplina, invece, una forma di quota lite. La liquidazione del compenso per fasi rispecchia l'impostazione del decreto sui parametri per la liquidazione giudiziale, anche se le fasi individuate nel modello di contratto proposto dal Consiglio nazionale forense sono diverse da quelle inserite nel decreto ministeriale sui parametri. Il modello di contratto prevede queste fasi: mediazione, studio, cautelare, fase introduttiva, istruttoria, decisoria ed esecutiva.
Peraltro è possibile articolare le fasi in maniera differente, senza essere vincolati a uno schema predefinito. Una questione particolare riguarda il rapporto tra il compenso stabilito nel contratto e le spese liquidate dal giudice al termine della causa. Ad esempio Tizio accetta di pagare all'avvocato Caio la somma di 100 per la rappresentanza in un determinato giudizio; la causa va bene, ma il giudice riconosce a Tizio la somma di 50 da chiedere all'avversario che ha perso; nel modello del Cnf in questo caso Tizio rimane obbligato a pagare all'avvocato a somma di 100 e recupererà 50 da controparte (rimane, quindi, a carico di Tizio la differenza di 50).
Altra ipotesi è quella in cui il giudice liquidi spese legali per un importo superiore a quello contrattuale: la somma eccedente viene assegnata nello schema di contratto all'avvocato, che la recupererà dalla controparte soccombente. Si tratta di una clausola per la quale si prevede una doppia sottoscrizione (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI: Atti difensivi sintetici e chiari. Processo amministrativo, la p.a. non avrà più vie di fuga. Le novità del correttivo al dlgs 104/2010 (sulla Gu n. 218).
P.a. condannata al rilascio del provvedimento utile al cittadino. Il processo amministrativo è un giudizio in cui la pubblica amministrazione non può sfruttare vie di fuga. Una volta il processo amministrativo era solo un processo finalizzato a ottenere l'annullamento di un atto illegittimo.
Ma questo non necessariamente corrispondeva agli interessi concreti del cittadino. Magari l'amministrazione rifaceva l'atto con un'altra motivazione o comunque, annullato l'atto, non ne seguiva in positivo una determinazione in grado di soddisfare chi aveva vinto la causa.
Il codice del processo amministrativo (dlgs 104/2010), invece, si preoccupa ora della effettiva tutela del cittadino e ha dedicato un apposito articolo alle domande che si possono formulare in giudizio.
Una di queste domande è in grado di soddisfare le esigenze effettive del cittadino: si tratta della domanda di condanna dell'amministrazione all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio (articolo 34, comma 1, lettera c).
Questo significa che al Tar si può chiedere non solo una pronuncia di annullamento di un atto, ma anche una pronuncia con cui si ordina all'ente pubblico di fare qualcosa per corrispondere ai diritti e agli interessi di chi fa il ricorso. L'oggetto della domanda è molto ampio (qualunque pronuncia idonea) e gli avvocati possono elaborare le richieste più consone.
Il secondo decreto correttivo del codice del processo amministrativo (decreto legislativo n. 160 del 14.09.2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 218 del 18.09.2012) ha aggiunto una prescrizione di carattere procedurale, che però spingerà a mettere l'amministrazione da subito di fronte alle sue responsabilità.
La novella legislativa integra l'articolo 34 prescrivendo che l'azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata contestualmente all'azione di annullamento del provvedimento di diniego o all'azione avverso il silenzio.
Questo significa anticipare la richiesta di condanna dell'amministrazione e, anziché un trabocchetto per gli avvocati (che non devono dimenticarsi di inserire la domanda specifica), potrà diventare un pungolo in più verso le amministrazioni riottose.
Naturalmente il giudice non può sostituirsi all'amministrazione: il Tar avrà ampio spazio di azione quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione. In questo caso nella sentenza c'è già l'ordine all'amministrazione di adeguarsi.
Negli altri casi sarà l'amministrazione a dover emettere un nuovo provvedimento, esercitando la sua discrezionalità, ma nel rispetto della sentenza.
Il secondo correttivo interviene anche sulla formulazione degli atti rafforzando la regola per cui gli atti difensivi devono essere sintetici e chiari. Il codice del processo amministrativo detta, infatti, una disposizione rigorosa quanto a rispetto del principio di sinteticità degli atti. Richiamando il codice di procedura civile, l'articolo 26 del codice del processo amministrativo dispone che il giudice deve provvedere alla condanna alle spese del giudizio. La regola è che chi perde paga e le spese, anche per i giudici amministrativi, sono liquidate in base ai parametri del decreto del ministero della giustizia n. 140/2012. Il secondo correttivo prevede che la decisione sulle spese deve essere presa tenendo conto dell'obbligo che le parti hanno di redigere atti sintetici e chiari (articolo 3, comma 2 del cpa). Questo significa che gli atti difensivi troppo lunghi o troppo oscuri aumentano il rischio di dovere pagare un conto salato di spese di soccombenza.
Si tratta di una regola per giudice, che va ad aggiungersi ai parametri previsti dal decreto n. 140/2012, sulla liquidazione giudiziale dei compensi professionali.
Il decreto 140/2012 contiene la regola per cui costituisce elemento di valutazione negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso, l'adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli. E la prolissità degli atti difensivi potrebbe avere anche questo scopo: si pensi al fatto che la controparte possa essere indotta a chiedere un rinvio per poter analizzare e replicare a un atto lunghissimo.
La novella sul processo amministrativo prescinde da un intento dilatorio e colpisce la prolissità in sé degli atti e aggiunge un parametro non scritto nel decreto 140/2012, ma è direttamente applicabile. Dunque le difese troppo prolisse, con riferimento alle spese di lite sono un azzardo. Anche se si ritiene che i giudici distingueranno i casi in cui la prolissità è irragionevole, da quelli in cui la complessità della questione merita un approfondimento.
Gli atti, infine, dovranno essere informatizzati in un processo amministrativo telematico, che è ormai alle porte. Il decreto correttivo, infatti, stabilisce che tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti potranno essere sottoscritti con firma digitale (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012).

VARI: Autovelox solo a debita distanza. Almeno un chilometro tra il dispositivo e la segnalazione. Tre risoluzioni per allargare l'obbligo anche all'accertamento da parte di una pattuglia.
Almeno un chilometro tra autovelox e segnale che impone il limite di velocità. Presegnalamento e visibilità delle postazioni. Sono di grande rilievo e impatto le disposizioni introdotte dal legislatore negli ultimi anni per regolamentare l'uso dei dispositivi che controllano la velocità dei veicoli.
Ma in questi giorni le interpretazioni ministeriali su alcuni specifici aspetti dell'impiego degli autovelox, in particolare quelle sulla distanza dal segnale di velocità, sono state oggetto di critiche dagli organi parlamentari.
La commissione trasporti della camera nella seduta del 13.09.2012 ha infatti approvato tre risoluzioni che impegnano il governo a riconsiderare le indicazioni contenute nella circolare del 12.08.2010, nel senso di chiarire che la disposizione di cui all'art. 25 della legge n. 120/2010 relativa alla distanza non inferiore a un chilometro dei dispositivi di controllo rispetto al segnale che impone il limite di velocità è applicabile anche ai casi in cui l'accertamento dell'illecito è effettuato con la presenza di un organo di polizia stradale.
Distanza dal segnale di velocità. L'ultima modifica introdotta dall'art. 25 della legge 120/2010 prevede che con decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, devono essere definite le modalità di collocazione e uso dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui all'art. 142 del codice della strada, che fuori dei centri abitati non possono comunque essere utilizzati o installati a una distanza inferiore a un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità.
Ma con la circolare prot. n. 300/A/11310/10/10/101/3/3/9 del 12.08.2010, il ministero dell'interno, discostandosi dal dettato normativo e sostituendosi di fatto al previsto decreto attuativo mai emanato, ha affermato che fuori dai centri abitati solo gli autovelox fissi devono essere posizionati ad almeno un chilometro dal segnale stradale che impone il limiti di velocità.
L'obbligo di rispettare la distanza minima non riguarda invece i casi in cui l'accertamento dell'illecito è effettuato dalla polizia stradale. Di fronte a questa discrasia fra il dettato normativo e l'interpretazione del ministero dell'interno, la commissione trasporti della camera ha approvato le tre risoluzioni.
Presegnalamento e visibilità. Ai sensi dell'art. 3 del decreto legge n. 117 del 03.08.2007 tutti i dispositivi per il controllo elettronico della velocità in funzione sulla rete stradale devono essere ben visibili e segnalati. In attuazione di tale disposto, il decreto del ministero dei trasporti del 15.08.2007 ha specificato che le postazioni di controllo possono essere segnalate con cartelli stradali di indicazione temporanei o permanenti, con segnali stradali luminosi a messaggio variabile o con dispositivi di segnalazione luminosi installati su veicoli.
I segnali stradali di indicazione devono essere realizzati con un pannello rettangolare, di dimensioni e colore di fondo propri del tipo di strada sul quale sono installati. Sul pannello deve essere riportata l'iscrizione «controllo elettronico della velocità» oppure «rilevamento elettronico della velocità», eventualmente integrata con il simbolo o la denominazione dell'organo di polizia stradale che attua il controllo. I segnali stradali e i dispositivi di segnalazione luminosi devono essere installati con adeguato anticipo rispetto al luogo in cui viene effettuato il rilevamento della velocità, e in modo da garantirne il tempestivo avvistamento, in relazione alla velocità locale predominante.
La distanza fra i segnali o i dispositivi e la postazione di rilevamento della velocità deve essere valutata in relazione allo stato dei luoghi; in particolare è necessario che non vi siano tra il segnale e il luogo di effettivo rilevamento intersezioni stradali che comporterebbero la ripetizione del messaggio dopo le stesse, e comunque non superiore a 4 km. Come indicato dalla direttiva ministeriale del 14.08.2009, salvo casi particolari in cui l'andamento plano-altimetrico della strada o altre circostanze contingenti rendono consigliabile collocarlo a una distanza maggiore, come distanza minima adeguata fra il segnale e la postazione di controllo si può considerare quella indicata, per ciascun tipo di strada, dall'art. 79, c. 3, del regolamento di esecuzione e attuazione del codice della strada per la collocazione dei segnali di prescrizione. Questa distanza minima, infatti, consente di garantire il corretto avvistamento del segnale da parte degli utenti in transito.
Circa l'obbligo di piena visibilità delle postazioni di controllo, comunque, il riferimento deve essere fatto sempre solo alle strumentazioni e non anche agli agenti operanti. Questo aspetto è già stato chiarito anche dal ministero dei trasporti con un parere del 6 ottobre 2009. L'art. 183 del regolamento stradale, infatti, richiede che gli agenti del traffico siano ben percepibili quando effettuano segnalazioni in mezzo alla strada o si trovino ad operare in condizioni di scarsa visibilità, serali o notturne. L'obbligo di conoscibilità del controllo autovelox riguarda la sola postazione, e dunque gli agenti non sono tenuti a rendersi visibili.
E se l'accertamento della velocità viene effettuato utilizzando il telelaser? Con una circolare del 15.03.2010 il Ministero dell'interno ha chiarito che in caso di utilizzo di dispositivi che rilevano la velocità dei veicoli in avvicinamento, la distanza minima di posizionamento della segnaletica di preavviso va riferita alla distanza che deve almeno intercorrere fra il luogo di posizionamento della segnaletica e il punto di rilevamento delle infrazioni, senza dunque fare riferimento al punto in cui è collocata la strumentazione. Questo perché la distanza deve essere adeguata per garantire il tempestivo avvistamento della postazione (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012).

aggiornamento al 24.09.2012

EDILIZIA PRIVATAPronto il dm. Edifici, fine dell'energia autocertificata.
Precluso in caso di vendita al proprietario degli immobili di poter optare per un'autodichiarazione sull'appartenenza alla classe energetica più bassa, evitando così la certificazione energetica del tecnico abilitato.

Come anticipato da ItaliaOggi il 14/09/2012, sono in arrivo modifiche al dm 26/06/2009 «Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici» da parte di un provvedimento interministeriale (Mise, Trasporti e Ambiente) diffuso nei giorni scorsi e trasmesso alla Conferenza delle Regioni per l'approvazione. Si deve ricordare che la certificazione energetica è obbligatoria nel caso di richiesta di incentivi o agevolazioni pubbliche per la riqualificazione degli edifici esistenti (detrazioni del 55% e premio conto energia impianti fotovoltaici).
Il dm si è reso necessario dopo il deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia Ue del 26.04.2012 per l'incompleto recepimento della direttiva 2002/91/Ce. La direttiva 2002/91/Ce è stata recepita nel nostro ordinamento con dlgs 19.08.2005 n. 192 (e successive modifiche). Il provvedimento, definisce chiaramente gli edifici esentati dall'obbligo di certificazione energetica, escludendo dagli stessi solo quegli edifici per cui risulta tecnicamente non possibile o non significativo procedere alla certificazione energetica.
Tra gli edifici esentati risultano: box, cantine, autorimesse, parcheggi multipiano, depositi, strutture stagionali a protezione degli impianti sportivi e altri edifici a questi equiparabili; nonché ruderi e immobili venduti nello stato di «scheletro strutturale». Inoltre vengono meglio specificati i ruoli degli enti tecnici, Cti, Enea e Cnr, per la qualificazione dei software commerciali per il calcolo della prestazione energetica nel caso si utilizzino i metodi più rigorosi o quelli semplificati.
È stata inoltre dettagliata la forma dei sistemi di calcolo di riferimento nazionale che gli enti devono rendere disponibili, tra questi raccolte di casi di studio e fogli di calcolo (articolo ItaliaOggi del 21.09.2012).

APPALTI - ENTI LOCALI: L'impatto inatteso della norma sulla trasparenza via web dei benefici concessi dalle p.a.. Trappola amministrazione aperta. Dietro l'angolo nuovi adempimenti. E spese incontrollate.
La norma sull'amministrazione «aperta» introdotta col decreto sviluppo potrebbe essere fonte di una valanga di nuovi adempimenti burocratici.
Esattamente al contrario dell'intento enunciato dal governo, semplificare e rendere più trasparente l'azione amministrativa, l'articolo 18 del dl 83/2012, convertito in legge 123/2012, si rivela una fonte di problemi e adempimenti burocratici difficili da attuare.
E una pericolosa spesa per le amministrazioni pubbliche.
Oggetto delle pubblicazioni. L'articolo 18 elenca dettagliatamente tutti gli elementi che debbono essere pubblicati sui portali delle amministrazioni, in conseguenza dell'assegnazione a persone fisiche o giuridiche di benefici economici di qualsiasi natura, dai contributi ai contratti di appalto.
Nell'elencazione, tuttavia, manca la previsione dei provvedimenti di liquidazione o pagamento delle spettanze ai terzi. Oggettivamente, essendo questi aspetti dell'esecuzione delle obbligazioni contratte, forse con le esigenze di trasparenza non avrebbero molto a che vedere.
Tuttavia i commi 1 e 6 fanno, con maggiore o minore chiarezza, riferimento proprio anche ai pagamenti. Infatti, al comma 1 si parla di pubblicizzare l'«attribuzione dei corrispettivi e dei compensi»; al comma 6 si rinvia ad un regolamento per «disciplinare le modalità di attuazione del presente articolo in relazione ai pagamenti periodici e per quelli diretti ad una pluralità di soggetti sulla base del medesimo titolo».
Nell'incertezza, allora, nonostante la voce «pagamento» non sia compresa tra quelle obbligatoriamente oggetto della pubblicazione, è bene inserirle. Questo renderebbe, però, la pubblicizzazione delle informazioni un'operazione di aggiornamento progressiva, per ovvie ragioni. Non si vede, allora, come possa operare la sanzione della responsabilità amministrativa, che ai sensi del comma 5 dell'articolo 18 deriverebbe dall'incompletezza delle informazioni, posto che esse non saranno mai del tutto complete.
Rischi di spese incontrollate. Il comma 5 stabilisce che la pubblicità delle informazioni previste dall'articolo 18 costituisce «condizione legale di efficacia del titolo legittimamente delle concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore ai mille euro». Contestualmente, si dà ai privati beneficiari la possibilità di controllare la mancata, incompleta o ritardata pubblicazione e, sulla base di ciò, di richiedere il risarcimento per il danno da ritardo che deriverebbe, evidentemente, dalla ritardata attivazione dei contratti o, è da ritenere, anche dei pagamenti.
Un adempimento meramente informativo, insomma, viene trasformato in condizione di efficacia delle erogazioni, incidendo, per altro, indirettamente sulla disciplina dell'efficacia non tanto degli atti amministrativi, ma addirittura delle negoziazioni tra privati. Infatti, il titolo legittimante per gli appalti, gli incarichi di collaborazione, ma anche le concessioni dei contributi, non sono i provvedimenti amministrativi di aggiudicazione e impegno di spesa, che hanno rilevanza, come noto, solo interna, bensì i contratti o le convenzioni che regolano, poi, i rapporti obbligatori tra le parti.
Il rischio è che per inadempimenti formali, l'intero rapporto negoziale risulti attivato illegittimamente, con spostamento degli oneri obbligatori dall'amministrazione pubblica al funzionario competente, a tutto danno della posizione del privato. Ma, ulteriore rischio, è il proliferare di vertenze per il risarcimento del danno da ritardo, col rischio dell'esplosione di nuove ed incontrollabili spese per l'amministrazione pubblica. Il tutto, lo si ribadisce, per la scelta non ben meditata di attribuire ad un adempimento formale, una pubblicazione, addirittura valore della condizione di efficacia dei contratti e persino dei pagamenti.
Per i pagamenti occorre già una trafila complicatissima, tra acquisizione del Durc e verifiche ad Equitalia, per effetto delle quali il termine dei 30 giorni previsto dalle direttive europee è una chimera. In più si aggiunge un nuovo adempimento. Senza per altro sapere cosa occorra pubblicare per il pagamento: il provvedimento di liquidazione, oppure il mandato? E senza tenere conto che, in ogni caso, il titolo per i pagamenti resta sempre e solo il contratto o la convenzione, sicché la pubblicizzazione dei provvedimenti di materiale erogazione della spesa appare un eccesso burocratico difficilmente giustificabile (articolo ItaliaOggi del 21.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Numero legale blindato. Chi manca all'appello non si calcola presente. Il caso del consigliere assente dall'aula dopo aver richiesto la verifica.
Deve essere computato tra i presenti il consigliere che, dopo aver chiesto la verifica del numero legale del consiglio comunale, si sia assentato?

Le modalità di determinazione del numero legale per la validità delle sedute sono demandate all'autonomia normativa degli enti locali. È importante, pertanto, che i medesimi si dotino di una disciplina chiara ed esaustiva in materia.
Ciò anche al fine di sottrarre l'ente a possibili contestazioni. Numerose fonti regolamentari recanti la disciplina di organi collegiali prevedono che i richiedenti la verifica del numero legale debbano essere considerati presenti (cfr art. 46, comma 6, regolamento della Camera dei deputati e art. 108 del Senato) ancorché siano assenti dall'aula al momento del conteggio.
Tuttavia, se tale criterio non è stato recepito dal regolamento del consiglio comunale ovvero nello stesso viene previsto che la verifica dei presenti sia compiuta tramite appello nominale, o apparecchiatura elettronica e che i consiglieri che si astengono dal votare sono computati nel numero dei presenti, sembrerebbe evincersi che i consiglieri assenti dall'aula al momento dell'appello non possano essere considerati presenti ai fini del numero legale della seduta (articolo ItaliaOggi del 21.09.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Giunta a ridotta composizione.
Quesito: La giunta provinciale può deliberare in una composizione ridotta, nel caso in cui sia stato revocato e non ancora sostituito uno degli assessori della sua compagine?

È necessario che la sostituzione dell'assessore revocato avvenga in tempi brevi, allo scopo di ricostituire il plenum dell'organo collegiale qualora la composizione dello stesso sia determinata in modo rigido dallo statuto dell'ente. Infatti tale fonte può individuare il numero degli assessori in modo fisso oppure, in alternativa, in modo “flessibile” entro il limite massimo consentito dalla legge statale (v. art. 47, comma 2, del Tuel n. 267/2000); nel caso sia stata prescelta dall'ente locale la prima opzione, lo stesso è vincolato all'osservanza della prescritta composizione numerica, senza margini di discrezionalità, per tale profilo, da parte del Presidente. Per quanto concerne la tempistica riguardante la sostituzione dell'assessore revocato, nulla stabilisce sul punto l'art. 46, comma 4 del Tuel.
È appena il caso di rammentare che l'istituto della revoca dell'incarico assessorile, nella previgente legislatura, prevedeva la contestualità della sostituzione; più precisamente, revoca e sostituzione dell'assessore erano configurati quali adempimenti di competenza del consiglio –adottati su proposta del sindaco ovvero del presidente della provincia– che dovevano avere luogo «nella stessa seduta». Nell'attuale sistema, conformato a tutt'altre modalità di elezione della giunta ed alla sua configurazione di organo fiduciario del sindaco ovvero del presidente della provincia, ora eletto a suffragio diretto, mancano riferimenti espressi a un termine entro il quale l'organo di vertice deve provvedere alla sostituzione dell'assessore revocato.
Ciò non impedisce che sia insita nel sistema la necessità che l'adempimento in questione debba essere effettuato tempestivamente, al fine di rendere conforme alle prescrizioni statutarie la composizione numerica della giunta. Per quanto concerne l'evenienza che l'incompleta composizione dell'organo collegiale comporti, nelle more della sostituzione, l'impossibilità di deliberare validamente, si rileva che l'indirizzo giurisprudenziale formatosi sul punto è impostato sul principio per cui la completezza dell'organo collegiale è indispensabile ai fini della sua operatività soltanto all'atto della costituzione originaria.
Pertanto, se qualcuno dei componenti viene a mancare successivamente deve ritenersi che il collegio possa continuare legittimamente a svolgere le sue funzioni, nelle more della reintegrazione del plenum, purché sia sussistente il quorum strutturale (così Cons. St., Sez. V, 08.07.1977 n. 767); la giurisprudenza in parola motiva tale soluzione con la necessità di impedire la paralisi dell'organo, privilegiando l'efficienza rispetto alla rappresentatività (articolo ItaliaOggi del 21.09.2012).

INCARICHI PROFESSIONALIDal Consiglio nazionale forense il modello di contratto dopo lo stop definitivo alle tariffe. Patti chiari tra avvocato e cliente. Per iscritto il compenso fissato a ore o per fasi di attività.
Compenso orario o compenso per fasi di attività. La struttura a due vie del compenso da pattuire nel conferimento di incarico all'avvocato è prevista dal modello di contratto, elaborato dal Consiglio nazionale forense. Il contratto tra cliente e avvocato, a seguito dell'abolizione delle tariffe, è necessario per stabilire l'onorario del professionista. Il compenso va determinato per iscritto in una apposita scrittura privata, che segue il preventivo di massima.
Tra l'altro il contratto scritto produce effetti vincolanti (nei rapporti avvocato-cliente) per la determinazione del compenso da parte del giudice (decreto ministeriale n. 140/2012), e può rappresentare un punto di riferimento per la determinazione, sempre giudiziale, delle spese di soccombenza. A quest'ultimo proposito va ricordato che non potendosi più elaborare una nota spese da produrre al giudice, è opportuno produrre copia del contratto, previa prudenziale autorizzazione del cliente. Il giudice, nella liquidazione delle spese, potrà tenere conto del livello del compenso pattuito documentato con il contratto.
Vediamo le clausole più rilevanti.
Privacy. Il contratto di incarico professionale è la sede in cui il cliente dichiara di avere ricevuto l'informativa prevista dall'articolo 13 del codice della privacy e di avere prestato il consenso di cui all'articolo 23 dello stesso codice. Peraltro va ricordato che il modello di contratto presuppone una separata informativa, che può essere consegnata su foglio a parte o inserita come allegato del contratto stesso.
Conciliazione. Nel modello di contratto si trova anche l'informativa sulla media-conciliazione, con espresso riferimento ai benefici fiscali conseguibili dal ricorso a questo sistema stragiudiziale di soluzione delle controversie. Peraltro va segnalato che l'informativa va allegata al primo atto difensivo (articolo 4 dlgs 28/2010), e questo significa che il contratto va depositato in tribunale.
Antiriciclaggio. Il modello di contratto del Cnf contiene l'informativa relativa agli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette previsto dal decreto legislativo 56/2004.
Difficoltà dell'incarico. Una clausola specifica del contratto riguarda l'informazione da dare al cliente, anche per obblighi deontologici, sul grado di difficoltà dell'incarico. Viene stabilita la seguente scaletta: questione ordinaria; questione difficile; questione complessa.
Imprevisti. L'iter del giudizio potrebbe presentare sviluppi non prevedibili. Il modello di contratto, da un lato, obbliga l'avvocato a fare una prognosi delle attività e dei connessi costi prevedibili; dall'altro consente all'avvocato di far presente le circostanze non prevedibili al momento della stipulazione del contratto, che determinano un aumento dei costi. Si tratta di una valvola aperta alla possibile integrazione del contratto.
Importi. Il modello di contratto offre alcune strade alternative per la quantificazione del compenso.
In primo luogo si sceglie una strada simile a quella adottata dal decreto 140/2012 sulla liquidazione giudiziale dei compensi e cioè una quantificazione per fasi (mediazione, studio, cautelare, fase introduttiva, istruttoria, decisoria ed esecutiva). In alternativa si propone un modello di calcolo in base alle ore di attività. Questa modalità era riservata, dalle «vecchie» tariffe, solo all'attività stragiudiziale, ma ora può essere esteso anche all'attività giudiziale.
Spese. Le spese, secondo il modello, possono essere determinate in modo forfettario oppure in base alla documentazione che verrà prodotta successivamente: in questo caso il modello indica di inserire al momento della conclusione del contratto di conferimento di incarico professionale, un tetto massimo oppure dei riferimenti al tipo di mezzo di trasporto che sarà utilizzato (treno, aereo, autovettura), classe del treno o dell'aereo, categoria alberghiera per il pernottamento.
Transazione. Analogamente a quanto previsto dal decreto 140/2012 sulla liquidazione giudiziale, il contratto premia l'avvocato che favorisce una soluzione bonaria con un surplus di compenso. Il modello non offre una clausola tipo, invece, sul patto di quota lite (compenso legato al risultato, come quota di quanto incassato).
Acconti e saldo. Il modello di contratto contiene la specifica indicazione dei tempi di pagamento di acconti e saldo. Se il cliente non paga nei termini, il contratto viene dichiarato risolto.
Liquidazione del giudice. All'esito della causa il giudice potrà riconoscere alla parte vittoriosa il recupero delle spese legali, ma eventualmente in misura inferiore a quella pattuita dal cliente con il proprio legale. Per questi casi il contratto stabilisce la prevalenza dell'accordo rispetto alla liquidazione del giudice. La parte eccedente rimane a carico del cliente. Se il giudice riconoscesse di più, il modello di contratto riserva all'avvocato questa somma ulteriore.
Clausole vessatorie. Il modello di contratto prevede la doppia firma del cliente sulle clausole vessatorie (integrazione del contratto per cause imprevedibili, clausola risolutiva espressa in caso di mancato pagamento, riconoscimento al legale della cifra maggiore tra quella prevista dal contratto e quella liquidata dal giudice ecc.). Il modello precisa che non si è ritenuto opportuno prevedere il riferimento alla disciplina del contratto con il consumatore e, quindi, alla trattativa individuale delle clausole vessatorie: questo per evitare che la qualificazione di contratto con il consumatore sia lo strumento per l'applicazione al professionista dello «statuto» dell'imprenditore (articolo ItaliaOggi del 20.09.2012).

EDILIZIA PRIVATAPACCHETTO SEMPLIFICAZIONI/ Lo stop a costruire va dichiarato. Sugli immobili vincolati il diniego del permesso va esplicitato. Provvedimento presto al vaglio del Consiglio dei ministri.
Diniego espresso del permesso di costruire su immobili vincolati. Se il comune non adotta il provvedimento conclusivo entro il termine previsto, l'istanza non si considera automaticamente rigettata, ma l'ente locale deve comunicare in maniera esplicita la sua decisione.

È quanto prevede la bozza di decreto sulle semplificazioni, presto all'esame del Governo. Ma vediamo di illustrare tutte le novità, anche in materia di privacy.
Immobili vincolati. Il decreto chiarisce le conseguenze dell'inerzia del comune nell'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento di rilascio del permesso di costruire, in caso di esistenza di un vincolo ambientale, paesaggistico o culturale e di diniego del relativo atto ampliativo. Nella formulazione vigente è previsto il «silenzio-rifiuto»: questo significa che la risposta del comune è negativa. La novità cambia la natura del silenzio in silenzio non significativo, cioè non avente valore di provvedimento di diniego. La relazione di accompagnamento precisa che rimane ferma, anche a seguito dell'esito negativo del procedimento di rilascio del titolo abilitativo reso necessario dalla presenza di un vincolo, la necessità che il comune concluda il procedimento di rilascio del permesso di costruire con un provvedimento espresso.
Questo significa, anche, che in caso di ulteriore inerzia l'interessato potrà rivolgersi al Tar contro il silenzio dell'amministrazione.
Con un secondo intervento viene semplificata la procedura di conferenza dei servizi nel caso in cui l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto a un vincolo la cui tutela non compete, anche in via di delega, alla amministrazione comunale. Le regole attuali obbligano il comune a indire necessariamente la conferenza di servizi. Questo anche nell'ipotesi in cui sussista un solo vincolo e, quindi, la conferenza si risolva nella convocazione di un tavolo cui partecipa una sola amministrazione, oltre a quella procedente. Peraltro la relazione al decreto spiega che ciò non preclude al comune, se ne ravvisa l'opportunità (in particolare quando coesistano più vincoli sul medesimo immobile) la facoltà di convocare una conferenza di servizi.
Parere del soprintendente. Il decreto restituisce all'amministrazione competente il potere di provvedere sulla domanda di autorizzazione, prevista dall'articolo 146 del codice del paesaggio, decorsi inutilmente i termini indicati per l'espressione del parere del soprintendente. L'articolo 146, infatti, in caso di avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici alle prescrizioni dei piani paesaggistici, il parere del soprintendente assume natura obbligatoria non vincolante e si considera favorevole se non sia stato reso entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti.
Inoltre, il medesimo articolo prevede che, in caso di mancata pronuncia da parte della Soprintendenza entro il termine di 45 giorni dalla ricezione degli atti, l'amministrazione competente può indire una conferenza di servizi che si pronuncia entro 15 giorni.
Appalti. Il decreto modifica le percentuali di qualificazione denominata OG11. Per effetto delle modifiche le imprese attualmente svantaggiate possono partecipare alle gare di appalto per la loro potenzialità complessiva in OG11, oppure di partecipare alle gare di appalto indette nelle categorie specialistiche (principio di assorbenza), nei limiti delle percentuali relativamente corrispondenti.
Il decreto prevede poi la disciplina espressa del contratto di rete per favorire l'aggregazione tra imprese e la loro partecipazione alle gare di appalto. Con il contratto di rete viene instaurato un rapporto di collaborazione duraturo e continuativo, non limitato a una specifica gara, ma, al contrario, finalizzato al perseguimento di un programma di sviluppo di ampia portata. Per la partecipazione alle gare gli operatori economici devono pattiziamente regolare la partecipazione congiunta alle procedure di gara nell'oggetto del contratto di rete. Il mandato, in fase di partecipazione, potrebbe essere sostituito dall'impegno scritto al conferimento dello stesso a valle dell'aggiudicazione o avere, alternativamente, la forma della scrittura privata autenticata ovvero dell'atto sottoscritto digitalmente.
Distanze. Vengono modificate le distanze tra edifici, limitatamente ai territori interessati da eventi sismici e da calamità naturali, per gli interventi di ristrutturazione edilizia, anche con sopraelevazioni e aumenti di volume. Il decreto prevede il rispetto delle distanze vigenti all'epoca della costruzione originaria, salvo deroga, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati qualora rientrino in piani di recupero e riconversione urbana.
Privacy. Il decreto estende al concetto più ampio di impresa, anche se esercitata in forma individuale (cioè da una persona fisica), l'esclusione dal campo di applicazione del Codice della privacy già prevista per il trattamento di informazioni relative alle persone giuridiche e, quindi, sostanzialmente alle società (cioè ad imprese gestite in forma societaria).
Con una eccezione: viene fatta salva la speciale disciplina nazionale Capo II, Tit. X, Codice e comunitaria (direttiva 58/2002/CE) posta a tutela degli interessi giuridici di persone giuridiche e imprese contraenti di servizi di comunicazioni elettronica (articolo ItaliaOggi del 18.09.2012).

APPALTI: La solidarietà non blocca il Durc. Sì alla regolarità in presenza di corresponsabilità nei debiti. Il quadro della disciplina vigente negli appalti privati dopo le novità del decreto semplificazioni.
La solidarietà non pregiudica il Durc (Documento unico di regolarità contributiva). La presenza di debiti contributivi scaturenti da un regime di solidarietà di un appalto, infatti, non compromette la regolarità contributiva dell'impresa ai fini del rilascio del documento unico (Durc regolare).

La precisazione è dell'Inps che, con circolare 10.08.2012 n. 106/2012, ha illustrato le novità della legge n. 44/2012 (conversione del dl n. 16/2012) in materia di responsabilità solidale che lega committenti e appaltatori negli appalti del settore privato.
La responsabilità solidale. Con questa espressione viene indicato il vincolo che lega, negli appalti, la ditta che affida un lavoro e quella che tale lavoro esegue. Un vincolo che ha efficacia relativamente ai diritti retributivi, fiscali e contributivi dei lavoratori che sono impiegati nell'esecuzione dei lavori di quell'appalto.
Ai sensi degli articoli 1292 e seguenti del codice civile, in particolare, si ha obbligazione solidale passiva quando «più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la totalità e l'adempimento da parte di uno di loro libera gli altri (_)».
Per l'Inps, dunque, la solidarietà passiva nasce per rafforzare il credito, in quanto attribuisce al creditore (proprio l'Inps nel caso di obbligazioni contributive) la facoltà di chiedere l'adempimento dell'esatta prestazione a uno qualunque dei debitori.
Le regole oggi vigenti. Le norme di riferimento in materia di responsabilità solidale per i trattamenti contributivi nel contratto di appalto privato sono state soggette, nel tempo, a diverse modifiche (si veda tabella). Dall'analisi complessiva della normativa ne deriva che:
a) il committente è chiamato a rispondere in solido con l'appaltatore, nonché con gli eventuali subappaltatori, per l'intero importo della contribuzione previdenziale nonché della retribuzione dovuta, con esclusione (dal 10.02.2012), delle sanzioni civili. Il ministero del lavoro, in merito alle somme per le quali il committente viene chiamato a rispondere in solidarietà, ha precisato che, anche a seguito della modifica legislativa intervenuta (dal 10.02.2012), il regime di solidarietà permane sulle somme dovute a titolo di interesse moratorio sui debiti previdenziali (sia contributivi e assistenziali che assicurativi), nascenti sul debito contributivo una volta raggiunta l'entità massima prevista della sanzione civile, considerata la portata generale dell'articolo 1294 del codice civile e in mancanza, sul punto, di una previsione contraria della legge.
Inoltre, ha chiarito che il dies a quo a partire dal quale il committente, ex articolo 21 del dl semplificazioni, non risponde dell'obbligo relativo alle somme aggiuntive, coincide con tutti gli obblighi contributivi la cui scadenza del versamento è successiva al 10.02.2012, data di entrata in vigore del predetto decreto. Il vincolo della solidarietà viene meno dopo due anni dalla cessazione dell'appalto (ovvero, in presenza di subappaltatori, dopo due anni dalla cessazione del subappalto).
Sono tutelati tutti i lavoratori, ovvero non solo i lavoratori subordinati ma anche quelli impiegati nell'appalto con altre tipologie contrattuali (per esempio i collaboratori a progetto), nonché quelli in nero, purché impiegati direttamente nell'opera o nel servizio oggetto dell'appalto;
b) l'appaltatore è chiamato a rispondere in solido con il subappaltatore:
     1) ex articolo 35, comma 28, (fino al 28.04.2012), oltre che senza limiti economici, anche senza termine di decadenza, con la conseguente applicazione del termine di prescrizione previsto ex lege per i contributi. Sono tutelati i lavoratori regolarmente iscritti al Lul o per i quali è stata effettuata la comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro (Unilav);
     2) ex articolo 29, comma 2, (dal 29.04.2012) in virtù di consolidata giurisprudenza che considera il contratto di subappalto null'altro che un vero e proprio appalto (che si caratterizza, rispetto al contratto-tipo, solo per essere un contratto derivato da altro contratto stipulato a monte, che ne costituisce il presupposto).
Insomma, a partire dal 29.04.2012, il regime di solidarietà complessivamente previsto per il committente obbligato in solido è da ritenersi esteso anche all'appaltatore chiamato in solidarietà (articolo ItaliaOggi Sette del 17.09.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Permessi light e sportello unico per i cantieri. Ampliato il ricorso all'autocertificazione. Comuni attesi alla sfida dei tempi brevi.
Puntuale come ormai succede da un paio d'anni, con l'ultimo decreto sviluppo arriva anche un pacchetto di semplificazioni edilizie. Questa volta, però, accanto al consueto ritocco delle procedure, il Governo gioca la carta dell'attività amministrativa: lo sportello unico dell'edilizia, infatti, è destinato a diventare un front-office universale per cittadini, imprese e professionisti. Di fatto, i funzionari comunali dovranno dialogare con tutte le amministrazioni coinvolte –dalle soprintendenze al genio civile– raccogliendo gli atti e permessi necessari. E convocando, quando serve, una conferenza di servizi per accelerare la decisione.
L'attuazione
Tra le righe del Dl 83/2012 (convertito dalla legge 134) si annida una rivoluzione che potrebbe spazzare via in un solo colpo tutte le frasi come «non è di nostra competenza» e «si rivolga a un altro ufficio». Ma tutto dipenderà dall'attuazione concreta delle nuove regole, che pongono una sfida organizzativa molto impegnativa a Comuni già sotto pressione per il blocco del turn-over e il patto di stabilità.
Il rischio, quindi, è che l'accentramento delle pratiche in un unico ufficio si traduca in un allungamento dei tempi. Senza che i cittadini possano rivolgersi alle altre amministrazioni per procurarsi gli atti o accelerare l'iter. Proprio per scongiurare questi inconvenienti è stato assegnato ai Comuni un termine di sei mesi per implementare le nuove procedure, ed è stato previsto anche un meccanismo che –in caso di inerzia– consentirà ai cittadini di far intervenire un funzionario che si "sostituirà" a quello inadempiente.
Un possibile effetto a doppio taglio è contenuto anche in un'altra delle novità inserite nel decreto sviluppo, e cioè l'estensione alla Dia di tutte le autocertificazioni previste dalla Scia. Il vantaggio è evidente: il professionista certifica il possesso di tutta una serie di requisiti e non serve reperire alcuna documentazione. Ma, di contro, dove le norme sostanziali non sono chiarissime –e spesso succede– il tecnico è chiamato ad assumersi una grande responsabilità, sia nei confronti dell'amministrazione (che potrebbe bloccare i lavori anche dopo i canonici 30 giorni azionando il potere di autotutela) sia nei confronti del committente (che potrebbe chiedere il risarcimento dei danni derivanti da eventuali errori). Non è un caso, a ben vedere, che poche imprese abbiano scelto il permesso di costruire con il silenzio-assenso (introdotto un anno fa dal Dl 70/2011) preferendo invece avere un via libera esplicito ai lavori.
I vincoli
Tutta da sperimentare è anche la semplificazione nei casi di interventi in zone vincolate: finora il dialogo preventivo e informale tra professionista e tecnici della soprintendenza è servito in molti casi ad avvicinare le parti, a plasmare i progetti in modo da rendere più facile il parere favorevole dell'organo di tutela.
Cosa succederà ora che di fatto tecnici e privati saranno "scavalcati" dallo sportello? L'accentramento riuscirà a garantire la stessa flessibilità anche di fonte a soprintendenze in perenne deficit di organico?
Dubbi di non poco conto se si pensa che in alcune regioni italiane metà del territorio italiano è coperta da un vincolo, ambientale o paesaggistico. E che dunque conquistare anche attraverso il dialogo e la flessibilità il via libera degli enti incaricati della tutela è un passaggio cruciale per molti interventi edilizi. Insomma: anche per quest'ultima innovazione normativa occorre quanto meno un primo periodo di sperimentazione, e magari qualche chiarimento interpretativo, un po' come è capitato con la Scia.
Del resto sulle procedure edilizie –dopo le modifiche normative degli ultimi due anni– resta poco da semplificare: è ormai notevolmente ampliata l'area dell'edilizia libera, con il nuovo strumento della comunicazione di inizio attività che assomiglia da vicino alla Dia ma consente di iniziare subito i lavori anche per la manutenzione starordinaria (Dl 40/2011), fino all'ultima deregulation contenuta proprio nel decreto sviluppo che ha portato in edilizia libera le modifiche interne e il cambio di destinazione d'uso dei fabbricati di impresa.
Il tutto in nome di un effetto anticrisi attribuito da sempre ai lavori edili. Ma al di là delle semplificazioni di procedure e organizzative, una forte spinta adesso è attesa dai robusti incentivi fiscali, cioè da quel 50% di detrazione sulle spese di ristrutturazione fino a 96mila euro che proprio il decreto sviluppo ha portato con sé, a partire dal 26 giugno scorso e fino al 30.06.2013 (articolo Il Sole 24 Ore del 17.09.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Il nuovo front-office accentra le pratiche di tutti gli altri enti. Lo sportello comunale «dialoga» con le amministrazioni pubbliche.
PRO E CONTRO/ I cittadini ora hanno un solo referente ma se servono i pareri di soggetti diversi i tempi si allungano.

Lo sportello unico per l'edilizia (Sue) accentra tutti i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione in merito a permessi e assensi edili, senza che sia più possibile con le modifiche introdotte dal Dl 83/2012 bypassarlo, ottenendo da altri uffici documentazione, informazioni o permessi, comunque definiti.
Con «tutti i rapporti» si intende davvero tutti, fatta l'unica eccezione di quelli di competenza di un altro sportello unico, quello delle attività produttive (Suap), che può a buon diritto entrare in gioco quando, insieme a opere edili propriamente dette, occorre ottenere assensi in merito all'apertura, alla cessazione, localizzazione, trasformazione, ristrutturazione, riconversione, ampliamento, trasferimento di un'attività produttiva o di servizi.
Gli sportelli unici –da attivare entro il 12.02.2013– posso essere aperti dai Comuni, soprattutto se di piccole dimensioni, anche in forma associata, per diminuire i costi e razionalizzare il servizio.
Le funzioni dello sportello unico, così come ridisegnato dal Dl 83 sono le seguenti:
- ricevere tutte le comunicazioni o le domande relative al l'attività edilizia (comunicazioni con o senza relazione asseverata, segnalazioni di inizio attività, denunce di inizio attività, permessi di costruire, certificati di agibilità) ivi comprese quella relative alle opere per le fonti rinnovabili di energia (fatta eccezione per l'autorizzazione unica che è curata dalla Regione o dalle province da essa delegate con procedimenti assai simili a quelli previsti per gli sportelli unici comunali);
- rilasciare tutti i permessi e gli assensi relativi;
- fornire informazioni del tutto gratuite in merito al l'iter delle pratiche, alle normative d riferimento, ai documenti e provvedimenti amministrativi;
- essere tramite obbligatorio tra il privato e tutte le amministrazioni pubbliche chiamate a pronunciarsi sull'intervento edilizio, richiedendo a tali amministrazioni gli atti di assenso, comunque denominati, necessari per realizzare le opere, direttamente (se possibile) o anche tramite le cosiddette conferenze di servizi (si veda l'articolo in pagina).
Il tipo e il numero di assensi integrativi che possono essere necessari sono riportati nella tabella pubblicata a fianco: si tratta di un elenco molto nutrito, più dettagliato di quello riportato nel Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2011), ma che non esaurisce tutte le possibilità.
In buona sostanza gli sportelli unici sono nati per offrire un solo referente al cittadino, dando un colpo di spugna alla vecchia prassi dello "scaricabarile" tra le diverse amministrazioni coinvolte in un intervento edile e fornendo tempi certi per l'esame delle pratiche. Ai sensi della legge 241/1990, anzi, il cittadino deve essere informato di chi, al l'interno del Sue, è «responsabile del procedimento», fornendo le informazioni base per potersi mettere in contatto (per esempio, telefono,indirizzo ed e-mail): quindi il rapporto non è con un'entità astratta (il Sue) ma con una persona ben definita.
Il Testo unico privilegia comunque espressamente sia l'invio delle domande da parte dei cittadini che l'acquisizione di pareri e assensi per via telematica. Qualora sia possibile, lo sportello unico raccoglie pareri, autorizzazioni o documenti direttamente dalla diversa amministrazione competente. Se non riesce a riceverli entro 30 giorni, oppure entro lo stesso termine una della amministrazioni esprime il suo dissenso, o il tipo di opere lo prevede comunque (interventi di particolare complessità, opere pubbliche, necessità della valutazione di impatto ambientale), lo sportello convoca la conferenza di servizi. Anch'essa può svolgersi per via telematica, ma, ovviamente, l'iter della pratica finirà per prolungarsi.
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IN PRATICA
Il divieto di chiedere atti già in possesso della Pa
In base all'articolo 9-bis del Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001), introdotto dalla legge di conversione del Dl 83/2012, ai fini della presentazione, rilascio o formazione dei titoli abilitativi previsti dal Testo unico, la pubblica amministrazione è tenuta «ad acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni», senza possibilità di «richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull'autenticità di tali documenti, informazioni e dati».
L'acquisizione del nulla-osta paesaggistico
I compiti di acquisizione indicati in precedenza sono riferibili allo sportello unico per l'edilizia (Sue), al quale
l'attuale formulazione dell'articolo 5 del Testo unico assegna anche il compito di acquisire –direttamente o tramite conferenza di servizi– tutti gli atti di assenso, comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione dell'intervento, tra cui quelli per eseguire interventi edilizi su immobili assoggettati a vincolo storico-artistico o paesaggistico ai sensi del Dlgs 42/2004, «fermo restando che, in caso di dissenso manifestato dall'amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali, si procede ai sensi del medesimo codice».
Il rinvio, quindi, è all'articolo 25 del codice del 2004 –che a sua volta richiama l'istituto della conferenza di servizi– e riguarda unicamente quelli assoggettati a vincolo storico-artistico, poiché la norma utilizza il termine «beni culturali» e non «patrimonio culturale», così escludendo i «beni paesaggistici», che ne sono una delle due distinte componenti, ai sensi dell'articolo 2 del medesimo codice. La sostanza, tuttavia, non cambia, poiché anche nel caso del nulla-osta paesaggistico, se non direttamente acquisito dal Sue, dovrà farsi ricorso alla conferenza di servizi, che questo ufficio, come in passato, è tenuto ad indire.
L'orientamento del Consiglio di Stato
Sul punto va peraltro segnalata la recente sentenza del Consiglio di Stato 4312/2012, contenente specifici rilievi sui poteri del Sue. La pronuncia richiama innanzitutto il consolidato indirizzo giurisprudenziale (tra le tante, Consiglio di Stato, 6878/2011) secondo cui il procedimento per il rilascio del permesso di costruire e quello per il nulla-osta di compatibilità paesaggistica dell'intervento, ancorché connessi, sono due procedimenti distinti, avendo a oggetto la tutela di beni diversi ed essendo articolati sulla base di competenze diverse.
Se ne fa conseguire che l'articolo 5 del Dpr 380/2001, nell'assegnare al Sue l'acquisizione di tutti gli «atti di assenso, comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione dell'intervento edilizio», si riferisce ai soli pareri e nulla-osta endoprocedimentali volti al rilascio del permesso di costruire, ma non può estendersi anche a un'autorizzazione diversa ed esterna rispetto a tale procedimento, quale è l'autorizzazione paesaggistica eventualmente richiesta per l'esecuzione dell'intervento.
Tale orientamento, espresso dai giudici di Palazzo Spada pochi giorni prima della pubblicazione della legge 134/2012, andrà oggi rimeditato, alla luce della esclusività delle funzioni assegnate al Sue  (articolo Il Sole 24 Ore del 17.09.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Il catalogo degli interventi/ L'edilizia libera guadagna spazio. Senza titoli abilitativi anche i lavori interni e i cambi d'uso sui capannoni.
TEMPI RAPIDI/ In tutti i casi diversi da permesso di costruire e denuncia d'inizio attività il proprietario può avviare subito il cantiere.

All'insegna della semplificazione, la disciplina dei titoli edilizi cambia ancora nello sforzo di agevolare la ripresa economica. In sede di conversione del decreto legge 83/2012 (da parte della legge 134) sono stati ulteriormente modificati l'iter per il rilascio del permesso di costruire e il novero degli interventi realizzabili con comunicazione di inizio attività (Cia), ai sensi dell'articolo 6 del Testo unico in materia edilizia, Dpr 380/2001.
Per quanto attiene al permesso di costruire, è ora previsto che se entro 60 giorni dalla presentazione della domanda non siano intervenuti gli assensi eventualmente necessari da parte delle altre amministrazioni (o se sia intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni), il responsabile dello sportello unico indica una conferenza di servizi.
In tema di Cia, sono invece state assoggettate a comunicazione anche le «modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, ovvero le modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa».
Anche per queste opere, così come per gli interventi di manutenzione straordinaria, l'interessato, insieme alla comunicazione, dovrà però trasmettere i dati dell'impresa e una relazione tecnica che attesti la conformità agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi, oltre a una dichiarazione riguardo alla non necessità di titolo abilitativo.
La riforma si pone del solco delle precedenti che hanno complessivamente delineato cinque distinti modelli abilitativi, ciascuno corrispondente a determinate categorie di interventi edilizi:
- l'attività edilizia libera, attuabile senza alcuna formalità;
- l'attività soggetta a Cia (asseverata in caso di manutenzione straordinaria e modifiche interne o funzionali a fabbricati d'impresa), realizzabile previa comunicazione;
- l'attività soggetta a segnalazione certificata di inizio attività (Scia), anch'essa eseguibile contestualmente alla presentazione della prevista documentazione e soggetta ad eventuale inibitoria comunale entro 30 giorni;
- l'attività soggetta a denuncia di inizio attività (Dia), realizzabile decorsi 30 giorni dalla presentazione del relativo modello;
- le opere subordinate a rilascio di permesso di costruire, espresso o ottenuto mediante silenzio-assenso.
Nel novero dell'attività edilizia libera ricadono la manutenzione ordinaria, gli interventi per l'eliminazione di barriere architettoniche che non alterino la sagoma dell'edificio, le opere temporanee per ricerca nel sottosuolo, i movimenti di terra pertinenti all'attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali ed, infine, le serre mobili stagionali, non in muratura.
Sono, invece, soggetti a Cia gli interventi di manutenzione straordinaria (sempre che non riguardino parti strutturali, non comportino aumento delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici); le opere per esigenze contingenti (destinate ad esser rimosse comunque entro novanta giorni); le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni; l'installazione di pannelli solari, fotovoltaici, al di fuori delle zona omogenee A); le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali ed infine, come visto, le modifiche edilizie interne e quelle funzionali dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa.
Il rilascio del permesso di costruire permane per le attività edilizie più rilevanti ed, in particolare per:
- interventi di nuova costruzione;
- interventi di ristrutturazione urbanistica;
- interventi di ristrutturazione edilizia "maggiori", cioè che portino a un organismo edilizio diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, o che –solo per gli immobili compresi nelle zone A (centri storici)– comportino cambi d'uso.
Infine, quali modelli residuali restano la Scia e la Dia. La Scia è prevista in relazione agli interventi non qualificabili né come attività edilizia libera, né come attività soggetta a permesso di costruire o a Cia (come, ad esempio, per gli interventi di restauro o di risanamento conservativo e le ristrutturazioni cosiddette "minori") e per le varianti a permessi di costruire che non incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modifichino la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterino la sagoma e non violino le prescrizioni del permesso di costruire.
La Dia è ancora prevista (come chiarito all'articolo 5, comma 2, lettera c) del Dl 70/2011) nelle fattispecie in cui essa si configuri quale alternativa al permesso di costruire –la cosiddetta Super-Dia– cioè relativamente alle ristrutturazioni edilizie maggiori, agli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica disciplinati da piani attuativi con precise disposizioni plano-volumetriche e per le nuove costruzioni in esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche. Rimangono altresì soggetti a Dia, gli interventi per i quali tale strumento sia stato previsto dalle Regioni in base all'articolo 22, comma 4 del Testo unico dell'edilizia.
Un'altra novità (si veda l'articolo a fianco in basso) è l'estensione alla Dia del principio di "autocertificazione" già previsto con l'introduzione della Scia. Il Governo, in particolare, rilevando che le leggi regionali prevedono per analoghi interventi Dia o Scia in termini spesso confusi e alternativi, ha espressamente inteso rimettere ordine quantomeno procedimentale, dettando regole di semplificazione analoghe.
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LE RICADUTE
1 - REGIONI E COMUNI - La Consulta boccia le modifiche locali
Il quadro normativo statale può dirsi definito, ma quale spazio resta alle Regioni e ai Comuni per differenziare la disciplina delle costruzioni rispetto alle nuove semplificazioni? Davvero poco a detta della Corte Costituzionale che, con la decisione n. 164 dello scorso 4 luglio, ha stabilito che la Pa presta un "servizio" ai cittadini mentre evade le pratiche edilizie (attraverso l'istruttoria, il rilascio o il diniego dei titoli edificatori, l'esercizio o il mancato esercizio della potestà inibitoria rispetto alle Dia e alle Scia degli interessati).
Secondo la Corte, il legislatore statale può legittimamente ritenere opportuno che il servizio, ora di esclusiva competenza dello sportello unico sia assicurato in termini omogenei su tutto il territorio nazionale, determinando i livelli essenziali delle prestazioni in relazione ai diritti civili e sociali (articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione).
Se dunque il legislatore nazionale ritiene –come ha fatto– che le nuove semplificazioni edilizie siano necessarie per assicurare a tutti il godimento di prestazioni garantite, ecco che per la Consulta la legislazione regionale non può introdurre limitazioni o condizioni che possano appesantire l'esercizio dello ius aedificandi (si vedano le sentenze 322/2009 e 282/2002). Alle Regioni non resta dunque che prendere atto delle nuove disposizioni in materia di formazione dei titoli edilizi.
Discorso solo leggermente diverso va fatto rispetto alla documentazione da allegare a Dia, Scia, comunicazioni e domande in genere. Le amministrazioni sono ora tenute ad acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati che siano in possesso della Pa. Mentre resta fermo che le Regioni e, a maggior ragione, i Comuni non possono stabilire regole differenti rispetto alle modalità di reperimento e messa a disposizione degli allegati progettuali, i regolamenti comunali restano pienamente titolati a stabilire quali atti e rappresentazioni (tavole progettuali, tabelle quantificative, rendering architettonici, relazioni illustrative) debbano essere prodotti o acquisiti. Certo, le richieste non possono mai essere ingiustificatamente onerose o illogiche, nel qual caso l'interessato può rivolgersi al Tar per impugnare le indebite richieste, le norme regolamentari che le prevedessero e l'eventuale diniego del titolo edilizio o l'ordine di fermare i lavori.
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2 - RAPPORTI CON LA PA - Più oneri ai privati con la nuova Dia
La Dia come la Scia, almeno dal punto di vista delle autocertificazioni. Il nuovo comma 1-bis dell'articolo 23 del Testo unico prevede che –anche per la Dia– quando è prevista l'acquisizione di «atti o pareri» di organi o enti o l'esecuzione di «verifiche preventive», tali atti, pareri e verifiche siano sostituiti da autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di tecnici abilitati. Resta fermo il potere della Pa di verificare la correttezza delle valutazioni dei tecnici. La misura –che non si applica a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e agli atti delle amministrazioni preposte alla tutela di altri interessi preminenti– se rafforza la posizione del privato nella dialettica con la Pa in qualche misura ne appesantisce la posizione, in quanto l'interessato deve ora farsi carico dell'assunzione di ulteriori responsabilità e spese tecnico-professionali.
Per contro, la nuova funzione di controllo rispetto alle attestazioni del privato può essere più rischiosa per la Pa in termini di danni da risarcire qualora, nonostante le attestazioni di conformità predisposte dal privato, sia disposto un ordine di non eseguire i lavori, poi ritenuto illegittimo dal Tar.
La giustizia amministrativa ha già evidenziato che, a seguito dell'annullamento di un provvedimento inibitorio, la Pa ha il potere di verificare di nuovo la sussistenza dei requisiti per l'esercizio dell'attività costruttiva, ma è responsabile dei danni causati dalla sospensione illegittima dei lavori (Tar Milano Lombardia, sez. II, 5901/2011 e 1092/2010).
Per ottenere la condanna della Pa, il danneggiato può limitarsi a invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo di colpa. Spetterà, per contro, alla Pa dimostrare che si è trattato di un «errore scusabile» o che comunque non fosse esigibile una alternativa condotta lecita (Consiglio di Stato, sez. IV, 483/2012). A fronte di un provvedimento inibitorio illegittimo, mediante il quale siano state confutate considerazioni tecniche, poi giudicate corrette e conformi alla legge, il Comune difficilmente potrà sostenere di essere ricaduto in un errore scusabile e che una diversa valutazione non fosse possibile (articolo Il Sole 24 Ore del 17.09.2012).

EDILIZIA PRIVATA: La vigilanza/ Al Comune 30 giorni per bloccare i lavori. Ma lo stop è sempre possibile per gravi motivi.
L'AUTOTUTELA/ Scaduto il termine per le verifiche l'ente può intervenire per garantire il bene primario della tutela del territorio.

Anche di fronte a interventi realizzati in edilizia libera o con una semplice comunicazione o segnalazione di inizio attività, senza quindi un esplicito controllo e assenso del Comune, all'ente locale restano dei poteri di intervento di fronte a opere illegittime. Ma come può il Comune intervenire quando l'intervento edilizio è già partito?
Una risposta si può certamente ricavare dalla sentenza 188/2012, con cui la Corte costituzionale, dando una interpretazione autentica del l'articolo 19 della legge 241/1990, ha definito l'ambito dei poteri di intervento delle amministrazioni.
La Regione Emilia Romagna aveva paventato l'illegittimità costituzionale della norma se interpretata nel senso che, decorso il termine di 30 giorni concesso dal comma 3 per inibire la prosecuzione dell'attività e non ricorrendo nessuna delle ipotesi tassative indicate dal comma 4, all'amministrazione fosse preclusa la repressione di abusi edilizi esercitando il potere di autotutela.
Secondo la Consulta, l'articolo 19 può e deve essere letto nel senso che il decorso del termine di legge non esclude affatto il ricorso all'autotutela previsto dal comma 3, il quale si aggiunge alla ulteriore potestà di intervento configurata dal comma 4, esercitabile «in caso di pericolo di danno per gli interessi ivi indicati».
L'esame della disposizione, infatti, deve essere effettuato inserendola «nel più ampio contesto costituito dalla configurazione normativa dei poteri amministrativi di repressione dell'abuso edilizio con cui il legislatore ha inteso accompagnare e completare la riforma dei titoli abilitativi all'edificazione, culminata con l'introduzione della segnalazione certificata di inizio attività».
La sentenza evidenzia come proprio il rilevante interesse costituzionale di garantire un armonico sviluppo del territorio e preservarne l'integrità, abbia indotto il legislatore ad introdurre «un rimedio che, per i casi di più grave sacrificio del bene pubblico, possa consentire di superare l'affidamento ingenerato dalla Scia».
Negli stessi termini si è espressa di recente anche la giurisprudenza di merito. Il Tar Emilia Romagna (sezione di Bologna sentenza 272/2912), ha evidenziato come indipendentemente dalla natura giuridica della Dia (o della Scia), il mancato rispetto del termine di legge di 30 giorni «comporta la definitiva preclusione dell'esercizio del potere vincolato di controllo inibitorio potendo venire in rilievo soltanto il discrezionale potere di autotutela».
Questo sarebbe «l'unico concreto vantaggio per il privato, in termini di tempestività del l'azione amministrativa e conseguentemente di certezza e di affidamento, che ha indotto il legislatore a sottoporre alcuni interventi edilizi alla più snella disciplina della Dia in luogo del procedimento necessario, per altri interventi edilizi più rilevanti, di un titolo abilitativo espresso».
Alla luce di tali pronunce è quindi possibile individuare distinte possibilità di intervento per la Dia e per la Scia in materia edilizia:
- il potere inibitorio di carattere generale, esercitabile nel termine di 30 giorni (articolo 19, commi 3 e 6-bis, legge 241/1990, e articolo 23, comma 6, del Testo unico), in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per l'avvio dell'attività, salva la possibilità per il privato di conformarsi alle previsioni di legge;
- la specifica potestà di intervento contemplata dall'articolo 19, comma 4, esercitabile anche dopo il decorso del termine di 30 giorni, ma unicamente nel caso di pericolo di danno per:
- il patrimonio artistico e culturale;
- l'ambiente;
- la salute ;
- la sicurezza pubblica;
- la difesa nazionale;
sempre con possibilità di conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente;
- il generale potere di autotutela, anche questo esercitabile dopo lo scadere dei 30 giorni e nel rispetto dei presupposti indicati agli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge 241/1990, quindi, nel caso di annullamento di ufficio, comunque entro un termine ragionevole.
A tali poteri, inoltre, andrebbero aggiunte le possibilità di intervento previste dall'articolo 27 del Testo unico, visto l'esplicito richiamo dell'articolo 19, comma 6-bis alle disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni di cui al Dpr 380/2001 e alle leggi regionali in materia.
La vigilanza e il potere di autotutela sono senz'altro esercitabili anche nelle ipotesi di attività di edilizia libera, laddove questa non risulti rispettosa dei parametri indicati dall'articolo 6 del Testo unico.
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LE SANZIONI
1 - I TERZI - Il vicino può chiedere alla Pa di fermare la Scia o la Dia
Contro la presentazione di una Dia o una Scia, ritenute dal terzo contrarie alla legge, il regime della tutela giurisdizionale è oggi contenuto nell'articolo 19, legge 241/1990. La norma, al comma 6-ter, esclude innanzitutto che la Dia e la Scia siano provvedimenti amministrativi taciti direttamente impugnabili, aderendo in tal modo alle conclusioni cui era giunta l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 15/2011, salvo poi discostarsene per ciò che attiene alle forme di tutela giurisdizionale.
Il secondo periodo dello stesso comma stabilisce infatti che i terzi possano solo sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, sia loro consentita «esclusivamente», la proposizione dell'azione prevista dall'articolo 31 del Dlgs 104/2010, cioè l'azione contro il silenzio della Pa.
Secondo la giurisprudenza (da ultimo Tar Lombardia-Milano 1075/2012), la "sollecitazione" dei poteri di verifica della Pa da parte del terzo non può essere una generica denuncia di eventuali abusi edilizi e, anche se non necessita di formule specifiche, deve comunque possedere alcuni requisiti minimi, atti a garantire la serietà dell'istanza e a delineare un obbligo di provvedere. Tra questi la forma scritta, l'indicazione, almeno sommaria, della lamentata illegittimità delle opere edilizie e la richiesta di esercizio del potere/dovere di verifica e di eventuale repressione dell'abuso. Se questo tipo di istanza rimane inascoltata potrà configurarsi il silenzio-inadempimento impugnabile.
A fronte della più restrittiva ipotesi normativa, il Consiglio di Stato (Sez. IV, 4255/2012 e 6614/2011) ammette più ampie forme di tutela del terzo, sempre traendo spunto dalla pronuncia 15/2011, secondo cui Scia e Dia sono dichiarazioni imputabili a manifestazione di volontà privata dalla quale scaturisce un procedimento doveroso di verifica che, in assenza di requisiti per l'avvio o la continuazione dell'attività, si conclude con un diniego espresso o tacito di adozione del provvedimento inibitorio.
Il terzo, a tutela del proprio interesse pretensivo al corretto esercizio della potestà di verifica e controllo, potrà proporre l'azione di annullamento dell'atto (espresso o tacito) di diniego di adozione del provvedimento inibitorio, entro l'usuale termine di impugnazione, decorrente dalla piena conoscenza dell'atto lesivo (cioè la percezione dell'esistenza di un provvedimento e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l'attualità dell'interesse ad agire). Inoltre, congiuntamente o separatamente, potrà proporre l'azione di adempimento dell'obbligo dell'amministrazione di adottare i provvedimenti interdittivi o restrittivi, da esercitare comunque nel termine di un anno previsto dall'articolo 31, comma 3, Dlgs 104/2010, per l'azione avverso il silenzio.
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2 - I PROFESSIONISTI  - Per i tecnici aumentano responsabilità e sanzioni
Procedure snelle aggravano la responsabilità dei professionisti. Con lo sportello unico dell'edilizia ai tecnici è chiesta una collaborazione di tipo sostitutivo nei confronti della Pa, ma è una collaborazione rischiosa. In materia edilizia, chi costruisce deve asseverare (cioè dichiarare, assumendosene la responsabilità) che le opere da realizzare siano conformi agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi e alle leggi.
In caso di errore, il professionista risponde al committente (se emergono danni o ritardi), verso l'amministrazione (per i reati di falso, in base agli articoli 359 e 481 del Codice penale), nonché verso l'ordine professionale (per le sanzioni disciplinari).
Tutto ciò secondo un principio di gradualità che oscilla dalla colpa lieve a quella grave, secondo una scansione che valuta le difficoltà di accesso e comprensione dei dati (norme di piano, circolari, prassi), la prestazione richiesta (di routine oppure originale), i tempi e modi di esecuzione dell'incarico. I casi più gravi sono quelli in cui il tecnico espone una dolosa rappresentazione della realtà (ad esempio, non rappresenta una distanza che andava rispettata). È invece esclusa la responsabilità del professionista che, non avendo una conoscenza diretta, è indotto in errore dal comportamento del privato (ad esempio, circa l'epoca di costruzione di un manufatto): in tal caso è il privato a rispondere della stessa pena cui andrebbe incontro il professionista nell'attività di attestazione. L'errore professionale (commesso cioè senza dolo) genera responsabilità se non è scusabile: il tecnico risponde, come tutti i professionisti, anche per colpa lieve cioè per errori dovuti a leggerezza o generica trascuratezza. Solo nel caso in cui emergano particolari difficoltà nell'espletamento dell'incarico, il professionista vede alleviata la propria responsabilità, rispondendo solo per colpa grave, cioè per grave ed inescusabile violazione di principi o prassi consolidate.
È in ogni caso dovere del professionista rivolgersi a uno specialista se emergono speciali difficoltà. Se il professionista di media capacità non lo fa, risponde per colpa lieve anche se la prestazione da lui svolta è di particolare difficoltà.
La lettura dei piani urbanistici non è ritenuta di elevata difficoltà e nei casi dubbi il tecnico potrà allegare all'asseverazione un foglio illustrativo che chiarisca il ragionamento adottato.
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3 - IMPIEGATI PUBBLICI - I funzionari in ritardo rischiano di pagare i danni
Se lo sportello unico non ritiene che le dichiarazioni indirizzategli siano utili o sufficientemente chiare, può chiedere integrazioni, e nei casi più rilevanti inviare una comunicazione di preavviso di archiviazione della pratica: questo è previsto dall'articolo 10-bis della legge 241/1990, affinché il privato interessato possa effettuare rettifica o cercare di convincere della validità della propria dichiarazione.
Se lo sportello dubita del contenuto della dichiarazione non può chiedere ulteriori attestazioni o perizie (articolo 9-bis, Dpr 380/2001) ma se ritiene che la dichiarazione non sia corrispondente al vero, può segnalare la circostanza all'autorità giudiziaria (articolo 19, comma 6, legge 241/1990, articoli 359 e 481 del Codice penale).
Se il funzionario incaricato della pratica presso lo sportello ritarda indebitamente la procedura, vi sono rischi di risarcimento danni e conseguenze di carriera a carico del funzionario stesso.
Ma perché il privato ottenga il risarcimento danni occorre dimostrare che il ritardo ha frenato un procedimento che sicuramente sarebbe giunto a risultati favorevoli. Se, al contrario, una procedura tempestiva sarebbe stata inutile perché non avrebbe comunque condotto ad un provvedimento favorevole per il privato, non è possibile chiedere il risarcimento per i danni causati dal mero ritardo (Consiglio di Stato sentenza 2535/2012). Se il ritardo non è giustificato, si possono chiedere i danni sia commerciali (il ritardo nella vendita di un bene, la perdita di occasioni) sia i danni biologici (affanni, ansia, depressione, problemi neurologici): ad esempio, il Consiglio di Stato (sentenza 1271/2011) ha riconosciuto un indennizzo di 11mila euro per danni biologici e 44mila per danni economici conseguenti ad un ritardo di due anni nel rilascio di un permesso di costruire.
In proprio, il pubblico dipendente che omette o ritarda atti rischia danni alla carriera (articolo 2, comma 9, della legge 241/1990, articolo 72, comma 3, Dpr 445/2000) cioè valutazioni negative di performance, oltre a responsabilità disciplinari e amministrativo contabili.
In particolare il decreto sviluppo (Dl 83/2012) impone al Comune, in caso di inerzia del responsabile del procedimento di individuare (e pubblicare sul sito) il soggetto a cui attribuire poteri sostitutivi che dovrà sbloccare la pratica nella metà del tempo originariamente previsto e segnalare il dipendente inadempiente all'ufficio per i provvedimenti disciplinari.
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DOMANDE E RISPOSTE
1 - Documenti dal privato
   Il professionista può raccogliere i pareri di varie amministrazioni prima di rivolgersi allo sportello unico comunale, oppure deve attender che la raccolta dei vari pareri avvenga attraverso il Comune?
   Se il privato ha interesse ad ottenere una Dia invece di una Scia, o un permesso di costruire invece di una Dia, può scegliere la strada più articolata (ad esempio, per meglio presentarsi a terzi acquirenti o a banche finanziatrici). Chiedendo una Dia, si rinuncia ai vantaggi di rapidità della Scia ma si riesce ad evitare l'obbligo di utilizzare lo sportello unico comunale e quindi si possono raccogliere dalla Soprintendenza o dalla Regione i pareri ambientali o, ad esempio, sulla normativa antisismica (articolo 23, comma 4, Dpr 380/2001).
2 - Il «no» come ultima ratio
   Lo sportello unico del Comune può rifiutare alcuni documenti forniti dal cittadino o dal professionista?
   Un rifiuto immotivato, un respingimento dell'utente per incompletezza della domanda, non è previsto, né, tutto sommato, necessario. Domande incomplete o incomprensibili possono essere archiviate dopo aver informato l'utente con un motivato preavviso di archiviazione a norma dell'articolo 10-bis della legge 241/1990, dando cioè un termine per regolarizzare.
   L'accentramento di varie attività nello sportello unico consentirà ai professionisti di seguire la pratica all'interno dell'ufficio con maggiore facilità. Anzi è auspicabile che lo sportello adotti protocolli di buona prassi, unificando la trattazione di domande analoghe
(articolo Il Sole 24 Ore del 17.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 17.09.2012

URBANISTICACONSIGLIO DEI MINISTRI/ Il governo vara il ddl contro il consumo di suolo agricolo. Terreni agevolati, 5 anni di vincolo. Dimezzato il tempo di blocco per i cambi di destinazione d'uso.
Scende da 10 a 5 anni l'obbligo per i terreni agricoli che hanno beneficiato di aiuti di stato o aiuti comunitari di mantenere la stessa destinazione d'uso. Sarà, però, possibile realizzare sul terreno interventi e costruzioni strumentali alla attività agricola. Niente più incentivi per i comuni e le province che recuperano i nuclei abitati rurali, che mantengono però la priorità nella concessione dei finanziamenti statali e regionali previsti in materia edilizia. Priorità che viene estesa anche ai privati.
Sono essenzialmente queste le novità presenti nel testo del disegno di legge sulla valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo, proposto dal ministro delle politiche agricole Mario Catania e approvato ieri dal consiglio dei ministri. Relativamente al suo iter parlamentare proprio Catania ha detto: «Non escludo che il ddl possa essere approvato entro questa legislatura. Potrebbe avvenire se il testo venisse esaminato in sede deliberante».
Rispetto alla versione iniziale illustrata a luglio (si veda ItaliaOggi 25/07/2012), il testo presenta alcune limature e risulta più flessibile, in seguito ad una serie di consultazioni avvenute in questi mesi. La novità più rilevante riguarda il limite temporale per il divieto di mutamento di destinazione dei terreni. Il ministro ha spiegato che, fermo restando l'obiettivo di bloccare il progredire dell'urbanizzazione in luoghi agricoli, la riduzione a 5 anni dall'ultima erogazione di aiuto statale o europeo è stata introdotta per non irrigidire troppo il vincolo. Vengono però fatte salve eventuali disposizioni esistenti più restrittive e, ad ogni modo, il vincolo dovrà essere espressamente richiamato negli atti di compravendita dei terreni, a pena di nullità dell'atto.
È stata inoltre prevista la possibilità di realizzare, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti, interventi strumentali alla coltivazione del fondo, all'allevamento del bestiame, alla silvicoltura, nonché quelli funzionali alla conduzione dell'impresa agricola e alle attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.
Per quanto riguarda le misure di incentivazione, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, per evitare che la Ragioneria di Stato muovesse eccezioni sulla copertura economico-finanziaria, è stata eliminata la previsione degli incentivi per i comuni e le province che procedono al recupero dei nuclei abitati rurali. Tuttavia, resta per le amministrazioni locali che effettuano opere di manutenzione, ristrutturazione, restauro, risanamento conservativo di edifici esistenti e conservazione ambientale del territorio, la priorità nella concessione di finanziamenti statali e regionali previsti in materia edilizia. Beneficio che viene esteso anche ai privati singoli o associati, che intendano realizzare il recupero di edifici nei nuclei abitati rurali.
Invariato il cuore del provvedimento, sul cui testo sarà acquisito il parere della Conferenza unificata. Viene creato un meccanismo di identificazione, a livello nazionale, dell'estensione massima di terreni agricoli edificabili che tiene conto dell'estensione e della localizzazione dei terreni agricoli rispetto alle aree urbane, dell'estensione del suolo che risulta già edificato, dell'esistenza di edifici inutilizzati, dell'esigenza di realizzare infrastrutture e opere pubbliche. L'estensione massima viene determinata con decreto del ministro delle politiche agricole d'intesa con quello dell'ambiente e delle infrastrutture e la quota viene ripartita tra le Regioni che, a loro volta, la ripartiscono tra i comuni.
Il provvedimento interviene infine sugli oneri di urbanizzazione dei comuni abrogando la norma che consente che i contributi di costruzione siano distolti dal finanziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria e che consente agli enti locali di utilizzare una percentuale dei proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni per il finanziamento delle spese correnti (articolo ItaliaOggi del 15.09.2012).

ATTI AMMINISTRATIVICONSIGLIO DEI MINISTRI/ Approvato in via definitiva il correttivo al dlgs 104/2010. Codice amministrativo, atti short. Condanna alle spese per i ricorsi lunghi. Competenze rigide.
Condanna alle spese se l'atto è troppo lungo e incompetenza per territorio sollevata d'ufficio dal Tar.

Queste le novità più importanti del decreto correttivo al decreto legislativo 104/2010 (cpa, codice del processo amministrativo) approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri di ieri 14.09.2012. Il provvedimento si propone di ridurre i tempi dei processi e di migliorare la funzionalità di alcuni istituti processuali.
Competenza del giudice amministrativo. Il difetto di competenza territoriale può sempre essere rilevato d'ufficio dal giudice amministrativo. La misura è finalizzata a ridurre la durata del giudizio. Inoltre si argina un malcostume della prassi giudiziaria, per cui le parti si rivolgevano al Tar più propenso a concedere provvedimenti cautelari favorevoli, violando le regole sulla competenza territoriale. Il secondo correttivo (con modifica all'articolo 13) prescrive che l'inderogabilità della competenza territoriale del Tar (regola generale) vale anche in ordine alle misure cautelari.
Anzi il giudice deve decidere sulla competenza prima di provvedere sulla domanda cautelare e, se non riconosce la propria competenza, non deve nemmeno pronunciarsi sulla sospensiva. La domanda cautelare può, peraltro, essere riproposta al giudice dichiarato competente. Le parti hanno comunque la possibilità di eccepire il difetto di competenza con una richiesta espressa rivolta al giudice entro un tempo determinato. In mancanza di domanda cautelare, infatti, il difetto di competenza, può essere eccepito entro il termine previsto per la costituzione in giudizio; a quel punto il presidente fissa la camera di consiglio per la pronuncia immediata sulla questione di competenza.
Atti difensivi sintetici e chiari. Il codice del processo amministrativo detta una disposizione rigorosa quanto a rispetto del principio di sinteticità degli atti. Richiamando il codice di procedura civile, l'articolo 26 del codice del processo amministrativo dispone che il giudice deve provvedere alla condanna alle spese del giudizio. La regola è che chi perde paga e le spese, anche per i giudici amministrativi, sono liquidati in base ai parametri del decreto del ministero della giustizia n. 140/2012. Il secondo correttivo prevede che la decisione sulle spese deve essere presa tenendo conto dell'obbligo che le parti hanno di redigere atti sintetici e chiari (articolo 3, comma 2 del cpa).
Questo significa che gli atti difensivi troppo lunghi o troppo oscuri aumentano il rischio di dovere pagare un conto salato di spese di soccombenza. Questo parametro non è scritto nel decreto 140/2012, ma è direttamente applicabile. Dunque le difese troppo prolisse, con riferimento alle spese di lite sono un azzardo.
Ricorso. Le singoli parti del ricorso devono essere indicate distintamente. L'atto deve essere scritto separando in maniera netta sette parti: 1) indicazione parti; 2) oggetto della domanda; 3) fatti di causa; 4) motivi di ricorso; 5) mezzi di prova; 6) provvedimenti chiesti al giudice; 7) firme. Il decreto, poi, prevede una specifica causa di inammissibilità in caso di violazione della regola della indicazione di motivi specifici; il giudizio si chiuderà con una pronuncia sul rito, senza passare alla valutazione di merito.
Condanna ad adottare un provvedimento. Il decreto correttivo interviene, anche, sulle azioni proponibili al giudice amministrativo (modifiche all'articolo 34 cpa). In particolare si specifica che l'azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto deve essere proposta contestualmente all'azione di annullamento del provvedimento di diniego o all'azione avverso il silenzio. Quindi nell'atto di ricorso contro l'inerzia della pubblica amministrazione o contro un provvedimento che respinge una istanza si deve inserire la domanda di condanna specifica dell'amministrazione resistente.
Il secondo correttivo, sul punto, richiama l'articolo 31 del cpa: questo significa che il giudice potrà pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione. In caso di attività discrezionale il giudice condannerà la p.a. a emanare un provvedimento.
Processo amministrativo telematico. Tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti potranno essere sottoscritti con firma digitale. Fa un passo avanti, quindi, il processo amministrativo telematico.
Processo elettorale. In materia elettorale (articolo 129 cpa) il correttivo precisa che i provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni sono impugnabili innanzi al tribunale amministrativo regionale competente nel termine di tre giorni; mentre gli altri atti sono impugnati alla conclusione del procedimento unitamente all'atto di proclamazione degli eletti (articolo ItaliaOggi del 15.09.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAAmbiente, un'autorizzazione al posto di sette.
Al posto di sette diverse autorizzazioni ambientali le Pmi dovranno presentarne una sola. Utilizzando tutte lo stesso interlocutore: lo sportello unico per le attività produttive (il cosiddetto Suap).
A prevederlo è il regolamento di attuazione dell'articolo 23 del decreto «Semplifica Italia», che il Governo ha approvato ieri in via preliminare e che comincerà ora la trafila di rito (Conferenza unificata, Consiglio di Stato, commissioni parlamentari), prima di tornare a Palazzo Chigi per l'ok definitivo.
Per la soddisfazione del premier Mario Monti: questa misura, ha detto, «renderà più semplice la vita delle imprese, particolarmente per quelle piccole e medie» e «sarà di grande aiuto per la crescita». Mentre il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, ha insistito sugli 1,3 miliardi di risparmi che il provvedimento consentirà al nostro sistema produttivo.
Che l'argomento gli stesse a cuore il presidente del Consiglio lo aveva già dimostrato nell'intervista in esclusiva al Sole 24 Ore del 29 agosto scorso quando aveva indicato nella «certificazione unica ambientale» il primo tassello attuativo da emanare dopo la pausa estiva. E così è stato. Ma l'attuazione delle norme varate sin qui sta a cuore anche a questo giornale che, con l'iniziativa «rating 24», ha deciso di monitorare passo passo il follow up delle singole riforme.
Una circostanza a cui sembra essersi riferito lo stesso Monti nella conferenza stampa post Cdm di ieri quando ha dichiarato che «in quest'ultimo periodo si è molto discusso della necessità di attuare fino in fondo nella concretezza i provvedimenti di riforma che questo Governo ha assunto». Nel ricordare che il visto unico ambientale è stato introdotto dal «Semplifica-Italia», il premier ha poi assicurato: «Sono passati tre o quattro mesi, cerchiamo di abbreviare il tempo tra il varo delle riforme e il loro impianto nel terreno».
Il Dpr messo a punto dall'Unità per la Semplificazione amministrativa di Palazzo Vidoni, in coordinamento con l'Ambiente e lo Sviluppo, ricalca quello anticipato sul Sole 24 ore di mercoledì. I 12 articoli che lo compongono consentono alle Pmi di richiedere al Suap –al posto dei sette «titoli abilitativi» attualmente rilasciati da Pa diverse– la nuova autorizzazione unica ambientale (Aua). Che affiancherà l'Aia per le grandi imprese e la Via.
Salvo modifiche dell'ultim'ora, i sette documenti dovrebbero riguardare gli scarichi, l'utilizzo di acque reflue, le emissioni in atmosfera (anche di ... (articolo Il Sole 24 Ore del 15.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Diagnosi energetica sugli immobili. Nelle compravendite qualità testata da tecnici. Stop al fai-da-te.  In arrivo un decreto interministeriale sulle autodichiarazioni e un sistema omogeneo di certificazione.
Stop all'autodichiarazione dei proprietari di immobili di cattiva qualità energetica al momento della compravendita. Al suo posto arriverà una procedura semplificata, che prevede una diagnosi energetica svolta da un tecnico. La certificazione energetica sarà anche più omogenea ed estesa a tutti gli edifici; ad eccezione di quelli per cui risulta tecnicamente impossibile effettuarla.
Inoltre, verrà dato maggior ruolo ai tecnici di Cti, Enea e Cnr per la qualificazione dei software commerciali volti al calcolo della prestazione energetica.

È quanto prevede uno schema di decreto interministeriale di modifica del dm 26.06.2009 sulle «Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici», proposto dal ministero dello sviluppo economico di concerto con quello delle infrastrutture e dell'ambiente.
Composto da quattro articoli, il decreto, che non comporterà maggiori oneri per l'erario, intende estendere in modo omogeneo a tutti gli edifici del territorio nazionale la certificazione energetica. Che diventa dunque obbligatoria al momento dei trasferimenti di proprietà (non in caso di locazione) per tutti gli immobili ad eccezione di box, cantine, autorimesse, parcheggi multipiano, depositi, strutture stagionali a protezione degli impianti sportivi. Restano esclusi dall'obbligo di certificazione energetica anche i ruderi, ma solo previa dichiarazione di tale stato nell'atto notarile di trasferimento, e gli immobili venduti nella stati di scheletro strutturale, privi cioè di pareti verticali esterne, o al rustico. Vengono poi definite specifiche indicazioni per il calcolo della prestazione energetica di edifici sprovvisti di impianto di climatizzazione invernale e di produzione di acqua calda.
La possibilità per il proprietario di utilizzare, al momento del trasferimento immobiliare, un'autodichiarazione in caso di immobili di cattiva qualità energetica verrà sostituita da una diagnosi energetica svolta da un tecnico. Inoltre, lo schema di decreto specifica meglio i ruoli degli enti tecnici Cti, Enea e Cnr per la qualificazione dei software commerciali per il calcolo della prestazione energetica nel caso utilizzino i metodi più rigorosi o quelli semplificati.
Gli strumenti di calcolo, secondo il dettato normativo, dovranno garantire che i valori degli indici di prestazione energetica abbiano uno scostamento massimo di più o meno il 5% rispetto ai corrispondenti parametri determinati con l'applicazione dei sistemi di riferimento nazionali. Va detto che il decreto risponde alla necessità di ovviare alla procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia per incompleta e non conforme attuazione della direttiva 2002/91/Ce sul rendimento energetico in edilizia.
Tre gli obblighi disattesi secondo il parere motivato del 29.09.2011 della Commissione europea: la deroga concessa nella legislazione nazionale all'obbligo di rendere disponibile l'attestato di certificazione energetica al momento della stipula del contratto nel caso di edifici non ancora in possesso del certificato; la possibilità, inserita nel dm 26.06.2009, dei proprietari di determinati immobili di emettere un'autodichiarazione sulla classe energetica più bassa; la mancata notifica alla Commissione delle misure attuative riguardanti le ispezioni sugli impianti di climatizzazione estiva (articolo ItaliaOggi del 14.09.2012).

ENTI LOCALIPiccoli enti e servizi. La gestione associata non è una panacea per i comuni. Vanno raggiunti elevati livelli di efficienza, efficacia ed economicità. Sennò si passa all'unione.
I piccoli comuni possono utilizzare le convenzioni per la gestione associata, uno strumento che offre occasioni di flessibilità molto più ampi delle unioni, ma devono preoccuparsi che esse raggiungano elevati livelli di efficienza, efficacia ed economicità della gestione dei servizi. Il mancato raggiungimento di tali risultati viene sanzionato con il superamento della convenzione in favore della unione.
In altri termini, il legislatore è preoccupato di impedire che i comuni utilizzino questo strumento per aggirare i vincoli stringenti dettati dalla normativa alla attivazione delle gestioni associate, ma devono operare una scelta consapevole che assuma comunque come proprio elemento caratterizzante il raggiungimento di risultati di miglioramento della qualità dei servizi e/o di riduzione dei costi.
Occorre sottolineare che questo rischio, alla luce delle disposizioni dettate dal dl n. 95/2012, è ancora maggiore poiché i vincoli alla stipula di convenzioni sono molto minori rispetto a quelli dettati per le unioni, per cui i comuni sono più «stimolati» a preferire le convenzioni. A favore del ricorso alle convenzioni si deve ricordare che i municipi con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, soglia che scende a 3.000 nei territori delle comunità montane, devono raggiungere la cifra minima di 10.000 abitanti per le unioni, mentre il legislatore non pone alcuna soglia minima obbligatoria di popolazione da raggiungere nel caso di convenzioni. Ed ancora, si deve ricordare che nel caso del conferimento della gestione di una funzione amministrativa alle convenzioni non vi sono obblighi di trasferimento del personale, mentre nel caso in cui il destinatario sia una unione, diventa obbligatorio il trasferimento del personale.
Il che costituisce un forte incentivo a dare corso alle convenzioni, visto che il personale dipendente ha una forte ostilità al trasferimento alle dipendenze di altri soggetti, sia per il variare delle condizioni di lavoro sia per la condizione di aumento della incertezza del rapporto che si determina. E inoltre, si deve sottolineare che i comuni mantengono una capacità di controllo e di influenza molto maggiore verso le convenzioni rispetto alle unioni: basta considerare che non nasce una nuova amministrazione e che nel contenuto della intesa devono essere necessariamente previste le forme di coinvolgimento dei sindaci.
Ed infine, i margini di flessibilità nella gestione sono molto maggiori nelle convenzioni, sia per la durata sia per la possibilità di dare vita alla istituzione di uffici unitari o alla delega o all'avvalimento, nonché per la possibilità di limitazione alla individuazione del solo responsabile. Si deve inoltre ricordare che l'esperienza degli ultimi anni ci dice che il numero delle convenzioni è molto più elevato delle altre forme di gestione associata, sia come valore assoluto che come rilievo delle funzioni.
Nella scelta che i comuni andranno ad effettuare entro la fine del 2012 per la gestione associata di almeno tre funzioni fondamentali e, entro la fine del 2013, delle altre sei funzioni fondamentali, occorre scegliere con oculatezza tra le convenzioni e le unioni. Senza farsi prendere dalla «pancia», che va nella direzione della convenzione perché gli amministratori dei singoli comuni contano di continuare comunque ad avere una capacità di influenza maggiore, perché i dipendenti si sentono più tutelati in quanto il loro datore di lavoro continua a essere il municipio e in quanto il «campanile» si può dire soddisfatto dal permanere della titolarità della gestione di funzioni e servizi. La eventuale scelta della convenzione per la gestione associata di una o più funzioni fondamentali deve essere ancorata alla realizzazione di un preciso e cadenzato programma di obiettivi da raggiungere.
Tale programma deve caratterizzarsi sul terreno della qualità dei servizi nuovi, innovativi e/o aggiuntivi che ci si propone di attivare, indicando i tempi di attuazione e descrivendo in modo preciso le loro caratteristiche. Ma, per molti versi soprattutto, essa deve indicare gli obiettivi di contenimento della spesa ovvero del numero dei dipendenti addetti che si conta di raggiungere. E questi obiettivi devono essere strutturati in termini operativi, cioè con la indicazione delle modalità e la fissazione delle scadenze (articolo ItaliaOggi del 14.09.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Registrazioni senza segreti. Accesso garantito alla sbobinatura della seduta. C'è trasparenza in consiglio comunale ai sensi della legge 241 del 1990.
Quesito: L'ente locale è tenuto a dare positivo riscontro alla richiesta di accesso al c.d. «sbobinamento» della registrazione sonora di una seduta di consiglio comunale?

Ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241/1990, deve intendersi per «documento amministrativo» di cui può essere chiesto l'accesso «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale».
A tale proposito, la giurisprudenza amministrativa si è più volte pronunciata nel senso di ritenere che semplici appunti, come devono essere considerate le registrazioni effettuate dal segretario comunale a proprio uso, non ancora tradotti in atti, «_ non assurgono alla qualificazione di documento amministrativo». (Tar Veneto n. 60 del 2002, Tar Lombardia, Milano, n. 1914 del 2009).
In senso contrario si è espresso recentemente il Tar Piemonte ritenendo che «_ la registrazione sonora delle sedute consiliari è suscettibile di essere inclusa nella nozione di «documento amministrativo» rilevante, ai sensi dell'art. 22, comma 1, lettera d), della legge n.241/90, ai fini dell'esercizio del diritto di accesso_». (Tar Piemonte sentenza 27/05/2011, n. 563).
Con parere reso in data 22 ottobre 2002 in riferimento alla medesima problematica, la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, istituita nell'ambito della presidenza del Consiglio dei ministri, ha precisato che occorre «_ distinguere il caso in cui il segretario comunale raccolga per proprio uso personale dei meri appunti informali dell'adunanza consiliare, anche eventualmente su supporto magnetico per la redazione del successivo verbale, dall'ipotesi in cui la registrazione dello svolgimento della seduta consiliare costituisca adempimento di una mansione d'ufficio.
Nel primo caso, gli appunti raccolti dal segretario sono da considerarsi alla stregua di una bozza strettamente personale, che potendo essere liberamente modificata non ha alcun carattere di documento amministrativo. Nel secondo caso, invece, la registrazione non è modificabile, ed il segretario o il personale espressamente incaricato di essa rispondono della sua genuinità; sicché la registrazione, dovendosi ritenere fedele riproduzione del dibattito consiliare, costituisce documento amministrativo, come tale accessibile da parte degli interessati

Nel parere del 25.11.2008, la medesima Commissione ha ritenuto ostensibile la registrazione della seduta di un consiglio comunale confermandone la natura di «documento amministrativo» al quale è garantito il diritto di accesso degli interessati, «_ senza che sia necessario fare richiamo alla normativa di speciale favore prevista per i consiglieri comunali».
Pertanto, nel caso in cui il comune si avvalga, in via istituzionale, di un apposito servizio di trascrizione da nastro di interventi delle sedute consiliari, sussistono i presupposti oggettivi circa la natura di «documento amministrativo» delle registrazioni in discorso, richiesti dall'art. 22, comma 1, lett. d) della legge n. 241/1990 ai fini dell'esercizio del diritto di accesso.
Per quanto concerne il requisito soggettivo previsto dalla normativa in commento, si rammenta che ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. b), della legge n. 241/1990 si definiscono «interessati» tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso.
Tale nozione è stata interpretata in giurisprudenza in senso più ampio rispetto all'interesse all'impugnativa qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo. «La legittimazione all'accesso, conseguentemente, viene riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell'accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l'autonomia del diritto d'accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante alla impugnativa dell'atto» (Cds, sez. VI, sent. n. 6440 del 27/10/2006, Tar Lazio, n. 3115 del 2008).
La sussistenza dell'interesse, quale requisito soggettivo ex art. 22, comma 1, lett. b), citato, del soggetto richiedente l'accesso dovrà essere valutata alla luce dei principi giurisprudenziali sopra evidenziati ed in base alle disposizioni regolamentari recanti la disciplina del diritto di accesso adottate dall'ente locale (articolo ItaliaOggi del 14.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIGli impianti installati sugli edifici p.a. accedono agli incentivi. Fotovoltaico, tariffe facili sui tetti dei pubblici uffici.
Accesso diretto alle tariffe incentivanti del Quinto Conto energia senza obbligo di iscrizione al Registro per gli impianti fotovoltaici realizzati sugli edifici e sulle aree della pubblica amministrazione (art. 1, 2 comma, dlgs 165/01). Non sono soggetti all'obbligo di iscrizione al Registro e accedono direttamente alle tariffe incentivanti (dm 05.05.2011) gli impianti realizzati sugli edifici pubblici e sulle aree delle amministrazioni pubbliche, a condizione che: l'edificio o l'area ove sono ubicati gli impianti siano di proprietà delle p.a. già alla data di entrata in esercizio dell'impianto e per tutta la durata del periodo di incentivazione; gli impianti entrino in esercizio entro il 31.12.2012.
Questa è una delle risposte fornite dal Gestore dei Servizi energetici (Gse), in merito ai quesiti ricevuti per le modalità procedurali da seguire per l'iscrizione al Registro. Il Gse fornisce inoltre un secondo chiarimento sulle cause di esclusione della graduatoria. La graduatoria degli impianti rientranti nel limite di costo è formata applicando i criteri di priorità previsti dal dm 05.07.2012, utilizzando i dati e le informazioni di cui alle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà (dpr 445/2000), della cui correttezza e veridicità il dichiarante si assume piena ed esclusiva responsabilità.
Come previsto dal dm 05.07.2012, il mancato inserimento dei documenti previsti ai fini dell'iscrizione comporta l'esclusione dalla graduatoria. Il Gse, al fine di sensibilizzare gli operatori al caricamento corretto dei dati e dei documenti necessari, ritiene utile segnalare di seguito le cause più frequenti di possibile esclusione dalla graduatoria riscontrate nei precedenti registri:
- mancata allegazione del documento di identità del sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, in corso di validità;
- assenza della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà;
- mancata sottoscrizione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà;
- presenza di modifiche, integrazioni e/o alterazioni apportate manualmente alla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà;
- incertezza sul contenuto o sulla provenienza della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà o del documento di identità del sottoscrittore della dichiarazione, per difetto di elementi essenziali o per presenza di parti non leggibili.
Il Gse ricorda che l'applicazione informatica consente di verificare i documenti inseriti e, se necessario, di annullare la richiesta di iscrizione al Registro già inviata e di ripresentarne una nuova purché tali operazioni avvengano durante il periodo di apertura del Registro. Il Gse ha inoltre redatto un documento nel quale vengono forniti agli operatori alcuni chiarimenti da tenere in considerazione per l'ammissione alle tariffe incentivanti, relativi alla definizione di edificio energeticamente certificabile e alle certificazioni/attestazioni richieste per i moduli e gli inverter ai sensi del quinto Conto energia (articolo ItaliaOggi dell'11.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOTrasferimenti bloccati anche con una disabilità non grave. La sentenza della cassazione potrebbe richiedere la revisione del contratto sulla mobilità.
Trasferimenti bloccati per chi assiste un parente disabile anche se la disabilità non è grave.
Una recente sentenza in materia di assistenza ai soggetti dichiarati disabili dalle commissioni mediche dell'Asl, pronunciata dai giudici della sezione lavoro della Corte di cassazione e depositata in cancelleria lo scorso 7 giugno, se dovesse essere confermata da altre sentenze della medesima Suprema Corte, renderebbe necessaria una importante modifica della disposizione contenuta nell'articolo 33, comma 5, della legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappata n. 104/1992 e successive modificazioni,
Il predetto comma 5, nella formulazione attualmente in vigore dispone che il lavoratore che assiste un parente con handicap in situazione di gravità (coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti) ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso in altra sede.
Ad avviso dei giudici il diritto del lavoratore a non essere trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso non può, invece, subire limitazioni neppure allorquando la disabilità del familiare non si configuri come grave.
L'inamovibilità del lavoratore è giustificata dalla cura e dall'assistenza del familiare disabile, sempre che non risultino provate da parte del datore di lavoro –a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare– specifiche esigenze datoriali che, in equilibrato bilanciamento tra interessi, risultino effettive, urgenti e comunque suscettibili di essere diversamente soddisfatte.
Sempre ad avviso dei giudici della sezione lavoro della Suprema Corte, la limitazione contenuta nel comma 5, producendo l'effetto di privare i disabili di una assistenza indispensabile alla loro esistenza e finalizzata alla tutela psico-fisica e all'integrazione nella famiglia e nella collettività, contrasterebbe anche con quanto dispone la Convenzione Onu del 13.12.2006 sui diritti delle persone con disabilità recepita dalla legge 15/2009. Fin qui la tesi dei predetti giudici. Una estensione del diritto alla inamovibilità alle condizioni e con le finalità indicate nella sentenza appare, tuttavia, improbabile a meno che non si definiscano preliminarmente e con chiarezza le cause che possono determinare lo stato di disabilità e soprattutto il tipo di assistenza di cui il disabile avrebbe bisogno.
Una eventuale modifica legislativa del comma 5, nel senso ipotizzato dai giudici della Corte di Cassazione, costringerebbe l'amministrazione scolastica e, per quanto di competenza, anche le organizzazioni sindacali del comparto scuola, a rivedere le norme sulla mobilità e soprattutto quelle che disciplinano la formazione delle graduatorie d'istituto da compilare annualmente per l'individuazione del personale eventualmente in soprannumero che dovrà essere trasferito ad altra sede.
La modifica, in particolare, di queste ultime norme avrebbe peraltro conseguenze devastanti tra il personale di ruolo sia docente che Ata il cui mantenimento della sede di titolarità verrebbe ad essere condizionato dalla presenza in tutte le scuole di numeroso personale, anche di prima nomina, che assiste un parente disabile non in situazione di gravità (articolo ItaliaOggi dell'11.09.2012).

CONDOMINIO: Fotovoltaico, il condomino è spa. Con impianti oltre 20 kw o vendita scatta la società di fatto. I chiarimenti delle Entrate a un quesito del Gse. Nessuna rilevanza fiscale agli incentivi.
Sconta l'Iva e la ritenuta alla fonte del 4% la cessione di energia da fotovoltaico effettuata dai condomini a favore del Gse (Gestore dei servizi energetici). Ciò perché, ove vengano superati i limiti di potenza previsti per l'autoconsumo, si è in presenza di una vera e propria società di fatto tra i soggetti (condomini) che di comune accordo intraprendono l'attività; resta invece del tutto esclusa qualsiasi rilevanza per il condominio, inteso come soggetto autonomo che non può mai esercitare attività d'impresa.
È la soluzione che l'Agenzia delle entrate ha adottato, con risoluzione 03.08.2012 n. 84/E, in merito a un quesito avanzato dallo stesso Gse.
Il punto di partenza, condiviso, è che le somme percepite a titolo di tariffa incentivante in relazione all'energia prodotta con impianti di potenza fino a 20 kw asserviti al condomino, non assumono rilevanza fiscale, al pari di quella percepita dalle persone fisiche e dagli enti non commerciali che gestiscono impianti fotovoltaici della stessa potenza per soddisfare principalmente le esigenze domestiche.
Ma cosa succede quando il condominio utilizza un impianto, di potenza superiore a 20 kw o in relazione al quale opti per la cessione integrale o parziale alla rete dell'energia prodotta?
Il problema attiene all'individuazione del soggetto che, in sostanza, esercita l'attività imprenditoriale.
Il Gse, nella propria soluzione interpretativa aveva individuato nel condominio il soggetto cui attribuire l'attività e i relativi obblighi tributari.
Per l'Agenzia delle entrate, però, il condominio resta estraneo, in ogni caso, all'attività di produzione di energia, in quanto, gli effetti economici (percezione dei proventi) e fiscali (tassazione dei proventi) conseguenti allo svolgimento di questa attività, si producono direttamente sui condòmini. Il condominio, infatti, disciplinato dagli articoli 1117 e seguenti del codice civile, rappresenta una particolare forma di comunione che riguarda le parti comuni dell'edificio che necessita di essere amministrata o dall'assemblea dei condòmini, che decide in base al principio di prevalenza della maggioranza, nel bene degli interessi comuni, oppure, per gli edifici condominiali con più di quattro condòmini, dall'amministratore, avente compiti di carattere amministrativo, esecutivo e rappresentativo che permettono al condominio di agire in modo unitario nei rapporti con i terzi (fornitori, utenze, amministrazione finanziaria, eccetera). In sostanza il condominio è un ente di gestione che opera per conto dei condòmini limitatamente all'amministrazione e al buon uso della cosa comune senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condòmino.
Nell'ipotesi in cui negli spazi condominiali venga realizzato un impianto fotovoltaico che configura lo svolgimento di un'attività commerciale abituale, il condominio non può mai configurarsi come soggetto che svolge l'attività di produzione e vendita dell'energia.
Ebbene, secondo l'Agenzia l'accordo tra i condomini per la realizzazione dell'impianto individua una società di fatto tra gli stessi. Più precisamente, poiché la realizzazione dell'impianto fotovoltaico per fini commerciali rientra tra le «Innovazioni» che i condomini possono disporre ai sensi dell'art. 1120 del codice civile «(_) dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni» sono considerati soci della società di fatto i condòmini che hanno deliberato con la maggioranza richiesta dall'art. 1136 del codice civile, la realizzazione dell'investimento. Restano esclusi, dalla società di fatto i condòmini che non hanno approvato la decisione e che non intendono trarre vantaggio dall'investimento. In questo caso gli stessi, sulla base di quanto disposto dall'art. 1121, primo comma, ultima parte, del codice civile «sono esonerati da qualsiasi contributo di spesa».
Cosicché da un lato la società di fatto tra condòmini che gestisce un impianto fotovoltaico è commerciale e deve emettere fattura nei confronti del Gse, in relazione all'energia che immette in rete e dall'altro il Gse che eroga la tariffa incentivante deve operare nei confronti della società di fatto la ritenuta del 4% di cui all'art. 28 del dpr n. 600 del 1973 sulla tariffa relativa alla parte di energia immessa in rete (articolo ItaliaOggi Sette del 10.09.2012).

ENTI LOCALI - VARI: Pass disabili, conto alla rovescia. Entro tre anni sostituiti contrassegni arancioni e segnaletica.  Pubblicato sulla G.U. il decreto n. 151 del 30 luglio, che disciplina il rilascio del permesso Ue.
Entro tre anni dovrà essere rilasciato il nuovo contrassegno per disabili conforme al modello europeo, che consentirà la sosta nei paesi dell'Unione europea che si sono conformati alla raccomandazione del consiglio dell'Unione europea n. 98/376/Ce del 04.06.1998. E dovrà essere adattata la corrispondente segnaletica verticale. Per i titolari scatterà l'obbligo di esporre il permesso in modo visibile nella parte anteriore del veicolo.
Lo prevede il decreto del presidente della repubblica n. 151 del 30.07.2012 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 203 del 31.08.2012.
Il contrassegno comunitario è già stato adottato da tempo da molti stati dell'Unione europea in adesione alla raccomandazione n. 98/376/Ce del 04.06.1998 del consiglio, modificata dalla raccomandazione n. 2008/205/Ce del 03.03.2008. Sul modello di colore azzurro chiaro, con il simbolo bianco della sedia a rotelle su fondo azzurro scuro, saranno trascritti e apposti la data di scadenza, il numero di serie e il nome e il timbro dell'autorità nazionale che rilascia il contrassegno e nella parte retrostante, non visibile, il nominativo e la fotografia del soggetto autorizzato.
Il titolare può fruire delle facilitazioni di sosta in tutti gli stati membri dell'unione europea che hanno aderito alla raccomandazione, comunque con l'obbligo di rispettare le specifiche disposizioni di ogni singolo paese. L'Italia non aveva finora dato seguito alla raccomandazione 98/376/Ce. Tuttavia, grazie alla riforma stradale del 2010, si erano poste le basi per adottare il contrassegno uniforme europeo per la sosta dei disabili. Infatti, l'art. 58 della legge n. 120 del 29.07.2010 aveva modificato l'art. 74 del decreto legislativo n. 196 del 30.06.2003 (codice in materia di protezione dei dati personali), sopprimendo il divieto di usare diciture o simboli, dai quali si possa desumere la speciale natura dell'autorizzazione per effetto della sola visione del contrassegno.
Queste nuove disposizioni, in vigore dal 13.08.2010, avevano eliminato gli ostacoli normativi all'adozione in Italia del contrassegno europeo per invalidi. Restava da compiere però un ultimo passo, ovvero l'emanazione di un decreto del presidente della repubblica, che, modificando l'art. 381 del regolamento di esecuzione e attuazione del codice della strada, recepisca la raccomandazione 98/376/Ce. Ora, il decreto del presidente della repubblica n. 151/2012, in vigore dal 15.09.2012, oltre a introdurre nell'ordinamento interno il contrassegno invalidi comunitario, prevede altre importanti novità per i veicoli al servizio di persone invalide, apportando modifiche all'art. 381 del regolamento di esecuzione e attuazione del codice della strada).
Il nuovo «contrassegno di parcheggio per disabili» (denominazione diversa da quella finora usata di «contrassegno invalidi»), dovrà essere conforme al modello previsto dalla raccomandazione del consiglio dell'Unione europea del 04.06.1998, e sarà rilasciato a chi abbia capacita di deambulazione sensibilmente ridotta o (e questa è la novità) impedita. La sostituzione del vecchio contrassegno con quello nuovo dovrà avvenire entro tre anni dalla data di entrata in vigore del regolamento. I comuni potranno però fissare tempi inferiori. Durante il periodo transitorio di tre anni i permessi già rilasciati resteranno validi, ma in sede di rinnovo dovrà essere rilasciato il nuovo modello.
Nell'ambito dell'art. 381 viene inserito l'obbligo di esporre il permesso in originale nella parte anteriore del veicolo in modo che sia chiaramente visibile per i controlli. L'esposizione nella parte anteriore del mezzo è già imposta dall'art. 12 del decreto del presidente della repubblica n. 503 del 24.07.1996; viene però specificato che si deve esporre l'originale in modo visibile. Resta isolato e ampiamente contraddetto il parere prot. n. 300/A42756/103/48 del 05.05.1999 con il quale il ministero dell'interno aveva affermato che la mancata esposizione del contrassegno per disabili, dovuta a dimenticanza o caso fortuito, non era sanzionabile.
Con la modifica del comma 4 dell'art. 381 viene chiarito che, scaduto il periodo di validità del contrassegno a tempo determinato, potrà esserne emesso uno nuovo previa ulteriore certificazione medica rilasciata dall'ufficio medico legale dell'azienda sanitaria locale di appartenenza con la quale si attesti che le condizioni della persona invalida danno diritto all'ulteriore rilascio.
Viene introdotta un'importante condizione per l'assegnazione a titolo gratuito di uno spazio di sosta nei casi di particolare invalidità, nelle zone ad alta densità di traffico. Infatti, non occorre più che il titolare del contrassegno sia abilitato alla guida e disponga di un autoveicolo, ma è necessario che l'interessato dimostri di non avere la disponibilità di uno spazio di sosta privato accessibile e fruibile. Il comune potrà prevedere la gratuità della sosta per gli invalidi nei parcheggi a pagamento, qualora risultino già occupati o indisponibili gli stalli a loro riservati.
Pur essendo pregevole l'intento del legislatore, non sarà del tutto agevole per gli organi di polizia stradale accertare se tali posti, a una certa ora e in un dato momento, erano occupati da altri veicoli. Il comune potrà stabilire, anche nelle aree a pagamento gestite in concessione, un numero di posti destinati alla sosta gratuita degli invalidi muniti di contrassegno superiore al limite minimo di un posto ogni cinquanta o frazione di cinquanta posti disponibili, previsto dal decreto del presidente della repubblica n. 503 del 24.07.1996. L'introduzione del nuovo modello di contrassegno invalidi sarà accompagnata dall'aggiornamento della corrispondente segnaletica stradale.
Entro tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto del presidente della repubblica n. 151 del 30.07.2012 la segnaletica riguardante la mobilità delle persone disabili dovrà essere adatta recependo la rappresentazione grafica del nuovo contrassegno. In dettaglio, per quanto riguarda la segnaletica orizzontale, le strisce che delimitano lo stallo di sosta restano gialle, ma il simbolo della carrozzella diventa blu.
Con riferimento alla segnaletica verticale vengono modificati il cartello che individua lo stallo di sosta e i segnali di area pedonale e di zona a traffico limitato, nella parte relativa alle eccezioni (articolo ItaliaOggi Sette del 10.09.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: Mandato professionale, mai più senza l'accordo sul compenso. Gli effetti del regolamento del Mingiustizia. Parametri applicati solo in caso di dissenso.
Per il professionista è ormai indispensabile che il mandato professionale contenga anche l'accordo sul compenso.
I parametri previsti dal regolamento emanato dal ministero della giustizia verranno applicati dal giudice solo in caso di mancato accordo tra le parti sul compenso stesso. Qualora il professionista sia in grado di dimostrare che tra le parti era stato raggiunto un accordo sul compenso il giudice non potrà che prenderne atto e liquidare il compenso sulla base dell'accordo sottoscritto.
Nell'ambito delle regole generali dettate dal regolamento, viene precisato come nel compenso determinato con l'applicazione dei parametri non siano ricomprese le spese da rimborsare, «secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario», né tantomeno non vi sono ricompresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo per lo svolgimento dell'incarico. Sono a carico del professionista i costi per le prestazioni rese dai suoi collaboratori.
Il compenso così liquidato comprende l'intero corrispettivo dovuto per la prestazione resa, ivi comprese le attività accessorie alla stessa.
In caso di incarichi collegiali il compenso, che rimane sempre unico, può essere aumentato fino al doppio; l'unicità del compenso nel caso di incarico conferito a una società tra professionisti, anche se la prestazione è stata resa da più soci.
Per gli incarichi non portati a compimento ovvero per quelli che sono prosecuzione di incarichi precedentemente affidati ad altri si dovrà tener conto dell'opera effettivamente svolta.
L'assenza di prova del preventivo di massima costituisce elemento di valutazione negativa da parte del giudice per la liquidazione del compenso.
In nessun caso le soglie numeriche indicate, sia come minimi che come massimi, sono elementi vincolanti per la liquidazione stessa: cioè i parametri costituiscono un mero riferimento per il giudice, e quindi possono essere anche disattesi.
Secondo quanto riportato dalla relazione ministeriale, quest'ultima disposizione, si è resa necessaria, per evitare che i parametri assurgessero al ruolo di tariffa.
Rimangono sul punto delle perplessità, soprattutto alla luce delle prassi che sembrano ormai prevalere da alcuni anni in alcuni tribunali, di liquidare sempre e comunque i compensi minimi, quando non addirittura sotto i minimi, per gli incarichi di ausiliario del giudice (ctu) o nelle procedure concorsuali, e ciò indipendentemente dal lavoro effettivamente svolto e dalle singole circostanze che possono aver interessato lo svolgimento dell'incarico stesso.
Sarà pertanto opportuno che l'accordo sul compenso sia trasfuso nel mandato professionale, divenuto oramai sempre più uno strumento indispensabile per il professionista e per l'organizzazione del proprio lavoro.
Rileggendo con attenzione il 4 comma dell'art. 9, dl 1/2012, nella parte che riguarda il preventivo di massima, si rileva come l'attenzione della norma sia posta alla «misura» del compenso, e non al compenso stesso inteso quale puntuale riferimento a un univoca misura di valore: oggetto della pattuizione tra il cliente ed il professionista è quindi la modalità di determinazione del compenso, cioè rendere noto al cliente come verrà determinato il compenso per la prestazione richiesta, esplicitando tutte le voci di costo relative alle singole prestazioni che si rendono necessarie o, per meglio dire, che si presume si rendano necessarie per l'adempimento dell'incarico conferito (articolo ItaliaOggi Sette del 10.09.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Lavori in edilizia semplificati. Prevalgono le autocertificazioni al posto dei pareri degli enti. Alcune delle misure contenute nel decreto crescita. Meno adempimenti per presentare la Scia.
Ancora più semplificazione in edilizia. L'autocertificazione la fa da padrona, diventano libere le opere interne e i mutamenti di destinazione d'uso per gli edifici non abitativi. Lo sportello unico deve liberare da incombenza di presentazione di certificati e nulla osta. E la Dia somiglia sempre di più alla Scia.
Il decreto legge 83/2012, convertito nella legge 134/2012, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11.08.2012 modifica alcune norme del T.u. dell'edilizia (dpr 380/2001) relative alla disciplina dei procedimenti amministrativi relativi alla Scia e prevede che, nei casi ordinari, per iniziare i lavori sarà sufficiente accompagnare i due titoli abilitativi con autocertificazioni o certificazioni di tecnici abilitati, anziché con i pareri tecnici e gli altri atti preliminari.
Il comma 1 dell'articolo 13 del decreto 83/2012 semplifica ulteriormente le modalità di presentazione della Scia.
Prevalgono l'autocertificazione e le attestazioni e le asseverazioni di tecnici: sono sostitutivi dei pareri degli enti o organi preposti e delle verifiche previsti non solo dalla normativa di rango legislativo, ma anche di rango regolamentare, salve le verifiche successive degli organi o amministrazioni competenti. A livello regionale e locale, continuano a essere in vigore passaggi procedimentali previsti da atti regolamentari, formalmente non intaccati dall'articolo 19 della legge 241/1990 (dedicato alla Scia), che, nella versione ante dl 83/2012, dichiarava la possibilità di sostituire pareri e nulla osta previsti dalla «legge», lasciando in piedi quelli previsti da regolamenti. Dell'allargamento dell'autocertificazione beneficeranno non solo i procedimenti edilizi, ma anche l'attività imprenditoriale, commerciale e artigianale.
Per completezza va ricordato che non possono essere sostituiti dalla Scia e, rimangono, pertanto, soggetti a pareri e verifiche preventive tutti gli interventi che interferiscono con vincoli ambientali, paesaggistici, culturali, di pubblica sicurezza, difesa nazionale, costruzioni in zone sismiche, normativa comunitaria e gli altri elencati nel primo periodo del comma 1 dell'articolo 19 della legge 241/1990.
La Scia consente di iniziare l'attività immediatamente e senza necessità di attendere la scadenza di alcun termine; mentre per la Dia bisogna attendere un termine iniziale, entro il quale l'amministrazione può bloccare l'avvio dell'attività.
Già con circolare del 16.09.2010 il ministero per la semplificazione normativa ha chiarito che la Scia non si applica solo all'avvio dell'attività di impresa, ma sostituisce anche la Dia in edilizia, eccetto la Dia alternativa al permesso di costruire (cosiddetta superDia) e nei casi in cui le leggi regionali abbiano previsto l'utilizzo della Dia per ulteriori tipi di intervento rispetto a quelle previste dal T.u. dell'edilizia. La Scia consente di avviare i lavori il giorno stesso della sua presentazione, mentre con la Dia occorre attendere 30 giorni.
L'articolo 5 del decreto legge n. 70/2011 ha precisato che la Scia deve essere corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni dei relativi elaborati tecnici a cura del professionista abilitato. Per il settore edilizio sono stati esclusi dalla Scia i casi relativi alla normativa antisismica e quelli in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali. L'articolo 6 del decreto legge n. 138/2011 ha previsto che la Scia venga corredata dalle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati non più in via generale, ma solo se previsto dalle norme di settore.
Il decreto 83/2012 estende alla Dia le semplificazioni procedimentali prevista per la Scia, in relazione alla possibilità di sostituire atti o pareri di enti o organi con autocertificazioni o certificazioni di tecnici abilitati.
Anche per la Dia, analogamente alla Scia, le autocertificazioni, attestazioni, asseverazioni o certificazioni di tecnici abilitati sostituiscono gli atti o pareri di organi o enti appositi o le verifiche preventive, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.
Conseguentemente i pareri preliminari di stampo tecnico saranno sostituiti da attestazioni e asseverazioni di professionisti abilitati, andandosi ad ampliare il sistema delle autocertificazioni sostitutive del controllo pubblico preventivo. Il controllo preventivo rimane sempre obbligatorio nel caso di vincoli ambientali, paesaggistici, pubblica sicurezza e negli altri casi previsti nello stesso comma 1-bis dell'articolo 23 del Testo unico per l'edilizia. Le certificazioni devono essere prodotte da tecnici abilitati e attestare la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge, dagli strumenti urbanistici approvati o adottati e dai regolamenti edilizi. Esse devono essere prodotte a corredo della documentazione richiesta nel momento della presentazione della Dia.
Con il dl 83/2012 Dia e Scia si somigliano sempre di più, anche per le modalità di presentazione. Innanzi tutto è prevista l'emanazione di un regolamento per la presentazione della Dia con strumenti telematici. Fino all'emanazione del regolamento, la Dia, corredata dalle dichiarazioni e asseverazioni nonché dai relativi elaborati tecnici, può essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento, a eccezione dei procedimenti per cui è previsto l'utilizzo esclusivo della modalità telematica e, in tal caso, essa si considera presentata al momento della ricezione da parte dell'amministrazione.
Altri ritocchi apportati dal dl 83/2012 riguardano il caso in cui l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto a un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale: il termine di 30 giorni per l'effettivo inizio dei lavori decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Se tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti. Qualora l'immobile sia, invece, sottoposto a un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione comunale, se il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, l'ufficio comunale deve convocare una conferenza di servizi e il termine di 30 giorni decorre dall'esito della conferenza. Le nuove disposizioni si applicano entro il 12.02.2013.
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Imprese, la modifica interna è senza vincoli.
L'attività edilizia conquista spazi di libertà. Il decreto 83/2012 introduce un'ulteriore tipo di interventi per i quali non è necessario alcun titolo abilitativo: le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti a esercizio di impresa e le modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti a esercizio d'impresa (nuova lettera e-bis dell'articolo 6, comma 2, del Testo unico per l'edilizia).
Inoltre, viene eliminato l'obbligo generalizzato di allegare alla comunicazione di inizio dei lavori le autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore. Viene mantenuto, per gli interventi di manutenzione straordinaria e per la nuova categoria di interventi introdotti con la lettera e-bis), l'obbligo di allegare alla comunicazione di inizio dei lavori i dati identificativi dell'impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori, nonché una relazione tecnica con la quale un tecnico abilitato asseveri che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo.
Il tecnico deve inoltre dichiarare di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente. Viene introdotta una disposizione per i nuovi interventi di cui alla lett. e-bis) per i quali si prevede la trasmissione delle dichiarazioni di conformità, che attestino la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, da parte delle agenzie per le imprese.
L'articolo 6 del c.d. T.u. dell'edilizia elenca gli interventi rientranti nell'attività edilizia libera che include la manutenzione ordinaria, l'eliminazione di barriere architettoniche e le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo, interventi di manutenzione straordinaria, opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, pannelli solari, fotovoltaici e termici, aree ludiche senza fini di lucro ed elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici. Questi interventi sono realizzabili senza alcun titolo abilitativo anziché mediante segnalazione certificata di inizio attività (Scia).
La norma differenzia le tipologie di intervento in due categorie, a seconda che occorra una previa comunicazione all'amministrazione comunale dell'inizio dei lavori, anche per via telematica, da parte dell'interessato, insieme con le autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore.
Esclusivamente per i lavori di manutenzione straordinaria e per le nuove categorie di intervento introdotte dal decreto legge 83/2012 è prevista comunicazione e allegazione documentale.
La mancata segnalazione di inizio attività o la mancata trasmissione della relazione tecnica comportano la sanzione pecuniaria di 258 euro, che può essere ridotta a due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione. L'articolo 6 del T.u. edilizia, infine, prevede che le regioni a statuto ordinario possono estendere la semplificazione a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti, individuare ulteriori interventi edilizi per i quali è necessario trasmettere al comune la relazione tecnica o stabilire ulteriori contenuti per la medesima relazione tecnica (articolo ItaliaOggi Sette del 10.09.2012).

aggiornamento al 10.09.2012

INCARICHI PROGETTUALI: Appalti, stop ai ribassi selvaggi. Il compenso del progettista deve salvaguardare l'interesse pubblico.  In arrivo un dm giustizia-infrastrutture che rivede le liberalizzazioni in materia di tariffe.
Appalti con tariffe professionali in chiaro. Si avvia al tramonto l'era in cui le stazioni appaltanti si presentavano alle gare offrendo progettazione ed esecuzione delle opere a prezzi stracciati (con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo iniziali) svilendo così il ruolo del professionista. Sta, infatti, per arrivare un decreto con nuovi parametri precisi: il corrispettivo del tecnico dovrà, infatti, essere composto da compenso, spese ed oneri accessori, essere congruo, salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la qualità delle opere.
Dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la liquidazione dei corrispettivi in caso di contenzioso, un altro provvedimento si occuperà di comporre lo scenario complessivo di riforma delle professioni che, tra i suoi capisaldi ha visto l'abolizione delle tariffe professionali e un nuovo sistema per la definizione dei compensi: si tratta del decreto interministeriale giustizia-infrastrutture (ora all'attenzione di quest'ultimo) che dovrà definire i parametri da utilizzare per la determinazione dell'importo da porre a base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria e architettura.
Un passaggio necessario dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le procedure per l'affidamento. Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle professioni tecniche che, tra le altre cose, rischiava di alimentare un'eccessiva discrezionalità delle stazioni appaltanti che, invece, con il nuovo regolamento avranno a disposizione un riferimento sulla base del quale impostare le gare. Ma l'assenza di riferimenti tariffari per i servizi di ingegneria e di architettura non è uno scenario nuovo per il settore già colpito in questo senso da modifiche significative nel 2006 con l'eliminazione delle tariffe minime obbligatorie, introdotta dalle lenzuolate Bersani.
Questa abolizione pur con delle eccezioni (giacché il ricorso alle tariffe non era vietato del tutto se utilizzate come parametri di riferimento) non contemplava comunque più l'obbligo per le stazioni appaltanti di applicare tariffe fisse o minime con il risultato di avere ribassi delle offerte nelle gare pubbliche anche del 90% del loro valore iniziale. Una situazione che il decreto in questione punta a correggere, pur avendo dall'altra parte abolito le tariffe per i compensi.
Il corrispettivo, si legge infatti nel dm, composto da compenso, spese ed oneri accessori, deve essere congruo, salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la qualità delle opere. Il provvedimento richiama nella valutazione del compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e del grado di complessità. All'interno della stessa categoria d'opera sono qualificanti «le destinazioni funzionali delle opere con grado di complessità uguale o maggiore a quello di base di gara».
Si ottiene così un metodo che quantifica il prezzo in base alla complessità dell'incarico, all'importanza dell'opera e alle voci di costo. L'importo delle spese e degli oneri accessori, invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente» in una percentuale del compenso pari al 25% per importo delle opere fino a 1 milione di euro e pari al 10% per importo di opere pari o superiore a 25 mila euro; per gli importi intermedi infine dicono i ministeri le percentuali si applicano per interpolazione lineare» (articolo ItaliaOggi dell'08.09.2012).

VARIPatenti al compleanno, la Motorizzazione si adegua.
Dal 17 settembre chi otterrà la patente o ne richiederà il rinnovo in tempo si vedrà allungare la scadenza normale fino al giorno del compleanno. Ma questo riordino generale varrà solo per le patenti di categoria A e B con scadenza ordinaria.
Lo ha confermato il Ministero dei trasporti con la nota 07.09.2012 n. 23907 di prot. che abroga la precedente disposizione contraria 05.03.2012 n. 6193 (si veda ItaliaOggi del 21/08/2012).
L'art. 7 del dl 5/2012 dispone che i documenti di identità e di riconoscimento di cui all'art. 1 del dpr n. 445 del 28.12.2000 sono rilasciati o rinnovati con validità allungata fino alla data del compleanno del titolare immediatamente successiva alla scadenza che sarebbe altrimenti prevista per il documento stesso.
Da subito erano stati avanzati dubbi sulla possibilità di ricomprendere le patenti fra i documenti soggetti alla semplificazione imposta dalla novella (ItaliaOggi del 21/02/2012). E immediatamente il ministero dei trasporti, con la circolare n. 6193 del 05.03.2012 aveva precisato che alla patente di guida non si applica l'allineamento della scadenza al compleanno dell'interessato (ItaliaOggi del 07/03/2012) trattandosi di normativa speciale.
Con la circolare n. 7 del 20.07.2012 (pubblicata sulla G.U. n. 207 del 05/09/2012) la presidenza del consiglio di ministri interpreta invece in senso estensivo la portata dell'art. 7 del dl 5/2012, affermando che la nuova regola che fissa la scadenza dei documenti in coincidenza con la data del compleanno si applica anche alle patenti di guida. Peraltro la novella non si applica alle patenti rilasciate per le categorie superiori C e D, a quelle la cui durata è fissata in misura ridotta, rispetto alla durata ordinaria, dalla commissione medica legale, e alla carta di qualificazione del conducente.
Per correre ai ripari la motorizzazione ha quindi diramato le istruzioni operative di ieri. Le nuove procedure informatiche che consentiranno l'adeguamento entreranno in linea dal 17.09.2012. In pratica da quella data in occasione del primo rilascio o del primo rinnovo tempestivo della patente di guida AM, A1, A2, A, B1, B e BE con scadenza ordinaria «la scadenza di validità della stessa è prorogata alla data del compleanno del titolare». Restano escluse dalla riforma le patenti superiori (C, D ecc.) e quelle rilasciate con limitazioni mediche (articolo ItaliaOggi dell'08.09.2012).

TRIBUTI - VARITarsu, lo spettro dell'illegittimità. Ctp grosseto: prelievo non dovuto dal 2010 in avanti.
A partire dal 31.12.2009, la Tassa sui rifiuti solidi urbani non esiste più e, pertanto, la pretesa avanzata dai comuni per gli anni 2010 e seguenti è illegittima; la conseguenza è che i comuni che non sono ancora passati alla Tia (attualmente la maggior parte) potrebbero trovarsi alle prese con richieste di rimborso di quanto versato dai cittadini per il 2010 e seguenti, e contestazioni relative agli atti di riscossione per questi stessi anni.
Con la sentenza 19.04.2012 n. 124/4/12, solo ora resa nota, la Ctp Grosseto ha disposto la non legittimità della Tarsu dopo il 31.12.2009, rendendo di fatto illegittima la richiesta del Comune di Castiglione della Pescaia. Questi effetti derivano dalla soppressione della Tarsu, disposta dal primo comma dell'art. 49 del dlgs 22/1997 (decreto Ronchi), efficace, in mancanza di ulteriori proroghe, sin dal 31/12/2009.
Lo stesso art. 49 prevedeva un regime transitorio da disciplinarsi mediante un regolamento attuativo (dpr 158/1999), in base al quale i comuni avrebbero dovuto raggiungere la piena copertura dei costi di gestione del servizio rifiuti urbani introducendo la Tariffa di igiene ambientale (cosiddetta Tia/1) in sostituzione della Tarsu, in un lasso temporale di 8 anni (termine poi esteso sino al 01.01.2010).
Col successivo dlgs 152/2006, art. 238, la stessa Tia/1 è stata soppressa e sostituita dalla Tariffa integrata ambientale (Tia/2); tuttavia, la disciplina della nuova tariffa resta sospesa sino all'emanazione di un regolamento ministeriale (che avrebbe dovuto essere emanato entro il 30.06.2010), in mancanza del quale «continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti» (comma 10 dell'art. 238 cit.), ossia le disposizioni previste dal dpr 158/99 (regolamento attuativo della Tia/1).
Al momento, dunque, a prescindere dalle difficoltà interpretative legate all'applicazione della nuova Tia, il prelievo che la maggior parte dei comuni opera per la copertura del servizio di gestione dei rifiuti è ancora basato sulla vecchia Tarsu; ed è proprio qui che si prospetta il problema, in quanto non esiste più dal 2010 una normativa primaria a sostegno di questa tassa, che i comuni continuano a richiedere sulla base dei regolamenti (normativa secondaria).
Per cui, ogni pretesa avanzata dai comuni a titolo di Tarsu, non trovando riscontro in alcuna normativa primaria attualmente vigente, potrebbe ritenersi illegittima anche in ragione dell'art. 23 della Costituzione, secondo cui «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Il tutto assume una rilevanza ancora maggiore se si considera che i comuni continuano a vedere nella Tarsu l'unico strumento chiaramente applicabile e idoneo a garantire quell'entrata necessaria alla copertura del servizio rifiuti, in assenza di una disciplina ben delineata della nuova Tia (ed è anche per questo che circa l'80% di essi rimane ancorato alla vecchia tassa).
La risposta dei comuni potrebbe volgere nel senso che, a prescindere dalla tipologia di strumento di riscossione adottato, il servizio di gestione rifiuti è obbligatorio e deve obbligatoriamente essere coperto (in parte o in tutto) mediante tassa o tariffa; per cui, a fronte della obbligatorietà ed esecutività del servizio fornito, l'eventuale illegittimità del tributo potrebbe avere natura meramente formale, non potendo essere messa in discussione la piena debenza dei versamenti da parte dei cittadini. Tale interpretazione troverebbe però un preciso limite proprio nel precitato art. 23 della Costituzione.
La stessa posizione della Cassazione sul punto verte in una direzione poco favorevole alle amministrazioni: per esempio, nella sentenza n. 23583/2009 (ItaliaOggi del 17.11.2009), gli ermellini, esprimendosi circa la legittimità della Tarsu nelle aree portuali, ne affermavano la non debenza anche in considerazione del fatto che «il potere impositivo deve trovare la sua fonte necessariamente nella legge e non può pertanto rinvenirsi in ragione dello svolgimento di una mera attività di fatto da parte di un soggetto» (articolo ItaliaOggi dell'08.09.2012).

ENTI LOCALI - VARISe il semaforo è rotto responsabilità al 50%. In caso di incidenti il comune risponde col gestore.
Sono responsabili in egual misura dell'incidente stradale provocato dal semaforo mal funzionante il comune e la società che gestisce la manutenzione stradale.
Lo ha sancito la Corte di Cassazione che, con sentenza 06.09.2012 n. 14927, ha respinto il ricorso della società di manutenzione che rivendicava l'esclusione da ogni responsabilità per il sinistro.
Sulla base del rapporto della polizia stradale, al momento dell'incidente, l'impianto semaforico comunale posto all'incrocio era mal funzionante: mostrava contemporaneamente la luce verde nei confronti della direzione di marcia di entrambi i conducenti coinvolti. Dunque in sentenza è stato ricostruito che il malfunzionamento del semaforo è stata la causa esclusiva dell'incidente. Questa circostanza è stata anche confermata nella testimonianza di uno degli agenti che, raggiunto il luogo del sinistro, ha redatto il verbale.
Il giudice di pace, cui gli automobilisti hanno presentato ricorso i primo grado, aveva escluso la corresponsabilità di comune e società. Poi il Tribunale di Roma ha ribaltato il verdetto. La terza sezione civile, in linea con il Tribunale di Roma, ha sancito la responsabilità concorrente e solidale della società e del comune, accogliendo la richiesta di risarcimento dei danni riportati dopo lo scontro tra due veicoli perché il semaforo segnalava costantemente la luce verde verso entrambe le direzioni opposte.
Piazza Cavour ha ritenuto erronea la linea sostenuta dalla difesa dell'ente locale e della società aggiudicataria dell'appalto di manutenzione secondo cui solo l'ente proprietario ha l'obbligo del controllo del funzionamento degli impianti semaforici e tale obbligo non è estensibile alla società cui affidata i lavori, non incombendo alcun obbligo di vigilanza in capo all'impresa manutentrice.
La Suprema corte, invece, ha riconosciuto contestualmente la responsabilità del comune quale proprietario dell'impianto semaforico e della società in quanto contrattualmente responsabile a provvedere alla manutenzione e al controllo dell'efficienza tecnica dei dispositivi di accensione a fasi alterne delle lanterne semaforiche veicolari. Quindi all'azienda non resta che risarcire i due automobilisti rimasti coinvolti nell'incidente (articolo ItaliaOggi del 07.09.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOSPENDING REVIEW/ Caos stipendi nei comuni. Convenzioni Mef obbligatorie. Ma incomplete. Gli enti brancolano nel buio. Rischio danno erariale.
C'è grande incertezza, fra i comuni, sulla portata dell'art. 5, comma 10, del dl 95/2012. Tale disposizione impone a tutte le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1 del dlgs 165/2001 (ivi compresi, quindi, gli enti locali) di stipulare convenzioni con il ministero dell'economia e delle finanze per la fruizione dei servizi connessi al pagamento delle retribuzioni ai dipendenti, ovvero, in alternativa, di utilizzare i parametri di qualità e di prezzo stabiliti dallo stesso Mef per l'acquisizione dei medesimi servizi sul mercato di riferimento. Ove non si ricorra alle convenzioni, il mancato rispetto di tali standard determina nullità dei contratti, illecito disciplinare e responsabilità erariale. Per i contratti già in essere, inoltre, è previsto un obbligo di rinegoziazione che garantisca un abbattimento degli attuali costi non inferiore al 15%.
A ben vedere, la formulazione di tali norme non è chiarissima: i servizi cui esse fanno riferimento, infatti, sono individuati mediante un rinvio ad altre precedenti disposizioni (art. 1, comma 447, della l. 296/2006 e art. 2, comma 197, della legge 191/2009) che riguardavano le sole amministrazioni statali. Ma al di là di tali aspetti formali, la questione è di merito. La «Convenzione per l'utilizzo dei servizi stipendiali», resa disponibile sul sito del Mef nello scorso mese di luglio, infatti, non contempla tutta una serie di servizi indispensabili che per gli enti locali sono gestiti in forma integrata con quelli (gestione dipendenti a tempo determinato e indeterminato, cedolini paga, versamenti contributivi ed erariali, altri adempimenti contributivi, fiscali e normativi, cessioni del quinto, riscatti e ricongiunzioni, monitoraggio assenze mensile, dichiarativi annuali) prettamente riferiti alla corresponsione degli emolumenti. I servizi non inclusi riguardano tutte le attività svolte tipicamente dagli uffici del personale degli enti, o, presso quelli più piccoli, da esperti/service esterni (per esempio, immissione di giustificativi di assenza, aggiornamenti anagrafici, comunicazione ai centri per l'impiego).
Rimangono fuori, inoltre, tutte le attività relative alle tipologie di reddito non elaborate dal Mef quali redditi assimilati, autonomi e diversi (dipendenti altra p.a., amministratori locali, collaboratori coordinati e continuativi, Lsu cantieri di lavoro, borse di lavoro, borse di studio, forestali, professionisti, indennità di esproprio, contributi ad enti e associazioni ecc.). Un problema ulteriore nasce dal fatto che, nella maggior parte dei casi, gli enti hanno acquistato sul mercato un «pacchetto» onnicomprensivo, il che rende assai complessa la comparazione fra i relativi prezzi e quelli fissati dal Mef. Non è chiaro, inoltre, come si possa garantire il collegamento fra il programma paghe del Mef e i diversi programmi di contabilità in uso presso i singoli comuni, né è precisato come avverrà l'interscambio di dati fra il nuovo sistema e gli attuali rilevatori (che sono centinaia, di cui alcuni fuori commercio).
Più in generale, l'adesione alla convenzione imporrebbe di adeguare la struttura procedurale di ogni ente ai tempi e modi per l'invio dei dati utili all'elaborazione delle retribuzioni, e per la ricezione degli elaborati imposti dal Mef, con complessità e costi tutti da stimare e tutti a carico delle singole amministrazioni.
Infine, per la gestione del sistema, la convezione quadro richiede la nomina, da parte di ciascuna amministrazione, di un referente tecnico-informatico e di un referente tecnico amministrativo. È evidente che molti enti, e specialmente i piccoli comuni, sono sprovvisti di simili figure, in quanto si avvalgono perlopiù di consulenti esterni, ne potrebbero agevolmente procurarsele, visti i limiti al turnover e alle spese per la formazione specialistica (articolo ItaliaOggi del 07.09.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Referendum non vincolanti. L'ente resta autonomo e può discostarsi dall'esito. Secondo la giurisprudenza la consultazione non incide sull'azione di governo.
È possibile indire un referendum popolare al fine di annullare le scelte adottate dall'amministrazione comunale con deliberazione avente per oggetto una variante a un piano particolareggiato?

L'istituto dei referendum locali, contemplato dall'art. 8, comma 3 del Tuel, costituisce un tipico istituto di democrazia diretta, una forma di partecipazione popolare di carattere opzionale, in quanto si configura quale elemento meramente eventuale e facoltativo dello statuto comunale.
Rispetto alla normativa previgente è stata ampliata la valenza dell'istituto del referendum popolare, attualmente configurabile non solo più come consultivo (unica tipologia prevista nell'originale formulazione della legge n. 142 del 1990 e volta a consentire la consultazione della popolazione su rilevanti questione di interesse locale), ma anche come abrogativo (di provvedimenti a carattere generale degli organi istituzionali e burocratici dell'ente), propositivo (per approvare proposte di atti avanzate dalla stessa amministrazione o da altri soggetti), confermativo, di indirizzo e oppositivo-sospensivo.
Come sottolineato dalla prevalente dottrina, il dlgs n. 267/2000 nulla dice circa l'effetto dell'esito del referendum consultivo e gli statuti comunali tendono a escludere che l'esito sia vincolante per l'amministrazione, preferendo precisare che l'ente locale possa discostarsi dallo stesso, con adeguata motivazione, al fine di tutelare la piena autonomia politica del consiglio.
In tal senso, si è anche affermato che il potere statutario in materia resta ampio con riguardo all'oggetto del referendum (che è sufficiente che rientri tra le materie di competenza esclusiva dell'ente), alla determinazione del numero dei partecipanti per la sua validità, alla possibilità di prevedere effetti consequenziali per l'amministrazione locale legati all'esito del referendum con il solo limite della conservazione del potere decisionale in capo agli organi di governo.
La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha affermato che «il referendum consultivo impone solo all'amministrazione che l'ha indetto di tener conto della volontà popolare, ma non esplica alcun effetto sull'azione amministrativa che ne è stato oggetto, né tanto meno su vicende successive o di altre amministrazioni, né la volontà popolare espressa con il referendum è idonea ad attribuire all'ente locale poteri estranei alla sfera di attribuzione fissate con legge» (Consiglio di stato, sez. VI, 20.05.2004, n. 3263 e Tar Puglia, Bari, sez II, 10.03.2003, n. 1098).
Tale orientamento è stato confermato da successive pronunce (Consiglio di stato, sez IV, 29.07.2008, n. 3769 e Tar Veneto, Venezia, sez. II 21.03.2007, n. 807), nelle quali si legge che «le consultazioni costituiscono strumento di partecipazione popolare all'elaborazione delle scelte amministrative, non strumento di verifica a posteriori da parte dei cittadini di scelte già definite con formali provvedimenti amministrativi (_). L'attività consultiva, per propria natura, deve precedere l'attività decisionale, non seguirla» (articolo ItaliaOggi del 07.09.2012).

APPALTI SERVIZIAlle cooperative sociali affidamenti senza gara. L'authority di vigilanza sui contratti pubblici detta i chiarimenti sulla procedura.
Pubblicate dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture le linee guida per gli affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991.
Con la determinazione 01.08.2012 n. 3 l'Authority, a conclusione del procedimento di consultazione avviato nell'aprile scorso, fornisce chiarimenti riguardo alle deroghe applicabili alle procedure di affidamento ex dlgs 163/2006 per gli appalti di importo sotto soglia comunitaria in caso di convenzioni stipulate con cooperative sociali di tipo B.
L'art. 5 della legge 381/1991, contenente la disciplina delle cooperative sociali, dispone, infatti, che gli enti pubblici, inclusi quelli economici, e le società a partecipazione pubblica possono stipulare, in deroga al principio generale della gara, direttamente con le cooperative sociali convenzioni per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari e educativi al verificarsi di determinate condizioni.
Per prima cosa ai fini dell'applicabilità della disposizione, come ricorda l'Autorità, i soggetti beneficiari delle convenzioni devono essere ascrivibili alla tipologia delle cooperative sociali di tipo B, vale a dire quelle che, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera b) della legge 381/1991, svolgono attività diverse (agricole, industriali, commerciali o di servizi) finalizzate all'inserimento lavorativo di «persone svantaggiate» così come definite dall'art. 4 della stessa legge 381/1991; in tali cooperative, inoltre, le «persone svantaggiate», sempre come previsto dal predetto art. 4, devono costituire almeno il 30% dei lavoratori.
È necessario, inoltre, per la stipula delle convenzioni che le cooperative sociali risultino iscritte all'albo regionale introdotto dallo stesso articolo 5. In caso di mancata istituzione dell'albo da parte delle regioni le cooperative sociali devono, comunque, attestare il possesso dei requisiti previsti dai citati articoli 1 e 4 della legge n. 381/1991. Le convenzioni, inoltre, potranno essere stipulate anche con operatori avente sede in altri stati dell'Unione europea a condizione che siano in possesso dei requisiti equivalenti per l'iscrizione all'albo e siano iscritte nelle liste regionali dei soggetti idonei per la stipula delle stesse (art. 5, commi 2 e 3, legge 381/1991).
Le convenzioni in esame dovranno avere ad oggetto, come disciplinato dallo stesso articolo 5, la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari e educativi il cui importo contrattuale al netto dell'Iva sia inferiore alle soglie comunitarie previste per gli appalti pubblici e dovranno essere finalizzate a creare opportunità di lavoro per «le persone svantaggiate».
Come sottolineato dall'Autorità, per la deroga alle regole previste dal dlgs 163/2006 per gli appalti sotto soglia, «l'oggetto della convenzione non si esaurisce nella mera fornitura di beni e servizi, ma è qualificato dal perseguimento di una peculiare finalità di carattere sociale, consistente nel reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Occorre, pertanto, che il profilo del reinserimento lavorativo, unitamente al successivo monitoraggio dello stesso in termini quantitativi e qualitativi, sia posto al centro della convenzione e, a monte, della determina a contrarre adottata dalla stazione appaltante ex art. 11, comma 2, del Codice dei contratti».
Sempre dal punto di vista dell'oggetto contrattuale l'organo di vigilanza rileva come l'ambito di operatività delle convenzioni riguardi in linea generale la fornitura di beni e servizi strumentali agli enti affidanti; non è ammissibile il ricorso alle convenzioni per l'esecuzione di lavori pubblici o per la gestione di servizi pubblici locali a rilevanza economica.
Sotto il profilo temporale, le amministrazioni dovranno definire «adeguatamente la durata delle convenzioni, affinché non sia di fatto preclusa ad altre cooperative la possibilità di presentare domanda di convenzionamento, nonché verificare che gli obiettivi stabiliti siano effettivamente perseguiti ed attuati».
Sul fronte delle modalità di affidamento l'Autorità, richiamandosi all'orientamento della giurisprudenza amministrativa (Tar Lazio Roma, sez. III-quater, 09.12.2008, n. 11093; n. 3767 del 26.04.2012), «secondo cui non può ammettersi che l'utilizzo dello strumento convenzionale si traduca in una deroga completa al generale obbligo di confronto concorrenziale», suggerisce alle stazioni appaltanti di procedere all'individuazione delle forniture di beni e servizi che possono essere oggetto di convenzioni ex art. 5 e, conseguentemente, alla pubblicazione di un avviso pubblico volto a comunicare la volontà di ricorrere per tali appalti alle cooperative sociali in questione per la finalità di reinserimento lavorativo di «persone svantaggiate»; in caso di più soggetti interessati consiglia all'ente di promuovere una procedura competitiva di tipo negoziato specificando nella lettera di invito «gli obiettivi di inserimento sociale e lavorativo che intende perseguire mediante la stipula della convenzione e i criteri in base ai quali verranno comparate le diverse soluzioni tecniche presentate da parte delle cooperative».
L'organo di vigilanza precisa, poi, che la deroga al Codice dei contratti è relativa soltanto alle procedure di aggiudicazione restando, quindi, applicabili la disciplina in materia di requisiti di partecipazione, comunicazioni all'Autorità, specifiche tecniche per l'esecuzione delle prestazioni e tutte le altre disposizioni normative previste per gli appalti sotto soglia.
Si sofferma anche sui controlli da compiere in sede di esecuzione delle prestazioni volti a verificare la permanenza delle condizioni necessarie per la stipula delle convenzioni e il perseguimento della finalità di reinserimento lavorativo (articolo ItaliaOggi del 07.09.2012).

EDILIZIA PRIVATAPmi, arriva a fine mese il visto unico ambientale. La banca dati per gli appalti attiva entro l'anno.
Attuazione delle semplificazioni. È il dossier più corposo nel fascicolo del ministero della Pa che sta ancora limando la griglia dei provvedimenti da portare al Cdm di oggi pomeriggio. Uno dei primi regolamenti in agenda è l'autorizzazione unica ambientale per le Pmi. Il nuovo visto (da adottare insieme ai ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo) eviterà le sovrapposizioni di passaggi tra comuni, province e altre strutture pubbliche, con un'unica autorizzazione per acque reflue, emissioni inquinanti e impatto acustico, da parte dello sportello unico per le imprese.
Doveva essere approvato entro il 10 agosto, in attuazione del Dl Semplifica Italia. Arriverà entro fine mese. Così come la direttiva che sancisce l'obbligo di pubblicare la modulistica di tutte le autorizzazioni amministrative, con l'indicazione del responsabile del procedimento. Atteso entro settembre anche il decreto sullo scambio di pratiche per via telematica da parte delle pubbliche amministrazioni (in questo caso palazzo Vidoni ha un ruolo di concerto con il Viminale) che garantirà tempi più rapidi nella trascrizione degli atti di stato civile, nella cancellazione e iscrizione alle liste elettorali e nei cambi di residenza.
Nell'agenda del ministero guidato da Filippo Patroni Griffi è fissato a ottobre il via libera ai decreti di semplificazione in materia di autorizzazioni per l'esercizio delle attività economiche e di controlli sulle imprese. Entro fine anno sarà invece avviata la banca dati sugli appalti. Mentre, sul fronte della spending review, entro il 31 ottobre sarà approvata la direttiva sul riordino delle province. A seguire (entro il 2012) il trasferimento delle risorse e delle funzioni dalla province soppresse.
Non ci sono però solo i regolamenti attuativi di leggi già entrate in vigore. Sono in cantiere anche nuove misure, da realizzare soprattutto insieme con il ministero dello Sviluppo. A partire dal provvedimento finalizzato alla nascita della Isrl (dove la "i" sta per innovazione): una società semplificata, che potrà adottare uno statuto standard e costituirsi online con una comunicazione direttamente alla Camera di commercio. E dalla creazione di un "Desk investitori esteri" presso uffici dell'Ice nelle principali piazze internazionali. Insieme ai Beni culturali si lavora invece alla semplificazione delle procedure per i via libera paesaggistici.
Mentre nell'ambito del processo collegato all'Agenda digitale, appannaggio dello Sviluppo economico, i tecnici di palazzo Vidoni lavorano al lancio della nuova carta di identità elettronica: documento unificato in cui far confluire carta d'identità, carta nazionale dei servizi, compreso il codice fiscale, e tessera sanitaria. Una card che entrerà in vigore non appena saranno sciolti i nodi sulla copertura finanziaria e sull'eventuale contributo da chiedere ai cittadini (articolo Il Sole 24 Ore del 05.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATANon disturbano le farmacie con insegne vivaci e bizzarre.
Le insegne luminose delle farmacie possono anche essere di colore vivace e bizzarro ma quando sono posizionate vicino ai segnali non devono creare interferenze. In ogni caso vanno sempre rispettate le distanze minime previste dal regolamento e il comune può imporre agli esercenti il rispetto di particolari prescrizioni finalizzate a elevare la sicurezza della circolazione.

Lo ha evidenziato il Ministero dei trasporti con il parere 27.08.2012 n. 4761 di prot..
Un comune ha richiesto chiarimenti circa il corretto posizionamento di insegne luminose sulla strada statale, in prossimità di impianti semaforici, stante la particolare tecnologia a led che rende molto brillanti le nuove insegne farmaceutiche. A parere del ministero oltre all'art. 23 del codice della strada occorre prestare particolare attenzione al regolamento comunale e agli artt. 50 e 51 del regolamento stradale. In particolare l'art. 23 del codice specifica che qualsiasi insegna non deve arrecare disturbo alla circolazione ovvero deve essere evitata qualsiasi interferenza con la guida.
Stante l'obbligatorietà dell'insegna farmaceutica da un lato e la necessità di salvaguardare la sicurezza della circolazione stradale dall'altro il comune ha richiesto istruzioni di dettaglio. L'art. 50 del regolamento del codice stradale, specifica la nota centrale, prevede che dentro ai centri abitati trovi applicazione il locale regolamento anche in riferimento all'apposizione delle insegne farmaceutiche.
In buona sostanza è nella piena facoltà del comune adottare provvedimenti che limitino l'intensità e la direzionalità dei fasci luminosi emessi dall'impianto pubblicitario. In pratica per garantire la sicurezza della circolazione il primo cittadino può sempre imporre ulteriori restrizioni all'esercente anche in considerazione della resa cromatica degli impianti. Ma prima di tutto andrà verificata la corrispondenza delle installazioni con le previsioni del codice stradale e in particolare con le distanze minime previste dall'art. 51 del regolamento stradale.
Queste distanze, prosegue il parere ministeriale, potranno essere derogate solo nel caso in cui l'insegna di esercizio sia collocata parallelamente al senso di marcia e in aderenza a un fabbricato esistente. In buona sostanza se l'insegna è perpendicolare al traffico la sua posizione è strettamente vincolata alle distanze (articolo ItaliaOggi del 04.09.2012).

VARIDpr in Gazzetta. Si parte il 15/09. Al via il restyling dei pass invalidi.
Dal 15 settembre gli interessati al rilascio o al rinnovo del nuovo contrassegno invalidi europeo possono rivolgersi al comune che però ha tre anni di tempo per regolarizzare tutta la modulistica e la segnaletica stradale in circolazione. Di certo però i vecchi tagliandi arancioni in scadenza dovranno essere sostituiti in fretta mentre per adeguare i segnali e gli stalli di sosta è comprensibile che gli enti impiegheranno più tempo.

Sono queste le conseguenze immediate con ricadute anche sui bilanci degli enti derivanti dall'avvenuta pubblicazione sulla G.U. n. 203 del 31.08.2012 del dpr 151/2012 «regolamento recente modifiche al decreto del presidente della repubblica 16.12.1992, n. 495, concernente il regolamento di esecuzione e attuazione del nuovo codice della strada, in materia di strutture, contrassegno e segnaletica per facilitare la mobilità delle persone invalide» (si veda ItaliaOggi del 01/09/2012).
Con un semplice colpo di penna che modifica quasi integralmente l'art. 381 del regolamento stradale l'Italia entra in Europa anche per quanto riguarda i permessi invalidi, con un ritardo clamoroso di tanti anni.
Anni complicati per gli utenti titolari del pasticciato contrassegno arancione a causa dell'avvento delle regole sulla privacy che invece di favorire hanno finito per penalizzare le persone disabili.
Torna, finalmente, il simbolo della carrozzella su sfondo azzurro, con un nuovo modulo standard europeo che sul retro ospiterà la fotografia dell'interessato e tutti i suoi dati. Questa autorizzazione dovrà essere sempre apposta in originale nella parte anteriore del veicolo per non incorrere in sanzioni.
Non cambiano sostanzialmente le istruttorie per accedere al titolo ma muta aspetto oltre al contrassegno anche la segnaletica. Innanzitutto per quanto riguarda la sostituzione del vecchio contrassegno invalidi con il nuovo «contrassegno di parcheggio per disabili» europeo, l'art. 3 del dpr 151 prevede un termine massimo di tre anni, salvo che i comuni ritengano di accelerare. Alla progressiva scadenza dei titoli però i comuni dovranno garantire il rinnovo dei tagliandi con il nuovo modello. Almeno nelle intenzioni del legislatore quindi per la sostituzione massiva dei tagliandi in circolazione il comune ha a disposizione un lasso di tempo lungo ma in caso di rinnovo singolo sembra che sia opportuno procedere con il rilascio dei nuovi permessi già dal 15.09.2012, data di entrata in vigore della novella.
Per quanto riguarda la segnaletica stradale i comuni potranno prevedere la gratuità della sosta per gli invalidi nei parcheggi a pagamento, qualora risultino già occupati o indisponibili gli stalli a loro riservati. Inoltre, i medesimi enti locali potranno stabilire, anche nelle aree a pagamento gestite in concessione, un numero di posti destinati alla sosta gratuita degli invalidi muniti di contrassegno superiore al limite minimo di un posto ogni cinquanta o frazione di cinquanta posti disponibili, previsto dal dpr 503 del 24.07.1996.
Mentre queste disposizioni però sono innovative e quindi andranno evidenziate con la nuova segnaletica resta sul tappeto il problema dell'adeguamento della segnaletica ai nuovi simboli grafici. Anche per questa sistemazione i comuni hanno a disposizione un periodo transitorio di tre anni ma, specifica il dpr, se nel frattempo verrà sostituito qualche segnale le nuove installazioni dovranno già essere a norma di legge (articolo ItaliaOggi del 04.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARIParere Autovelox, box liberi nelle città.
I diffusi armadietti porta autovelox possono essere posizionati anche in centro abitato per svolgere attività preventiva e all'occorrenza ospitare i severi controllori elettronici della velocità con la presenza dei vigili.

Lo ha ribadito il Ministero dei trasporti con il parere 27.07.2012 n. 4295 di prot..
Molti comuni hanno disseminato sul territorio gli armadietti colorati porta autovelox con evidenti finalità dissuasive. Questa pratica però non risulta molto gradita a tutti e per questo motivo una prefettura ha richiesto chiarimenti al ministero.
I manufatti porta autovelox, specifica la nota, «non sono inquadrabili in alcuna delle categorie previste dal nuovo codice della strada e dal connesso regolamento di esecuzione e di attuazione e dunque per essi non risulta concessa alcuna approvazione ai sensi dell'art. 45, comma 6, del codice e dell'art. 193, comma 3, del regolamento».
Neppure la nuova direttiva in corso di approvazione se ne occuperà, prosegue il ministero, trattandosi di manufatti non classificabili né come impianti né come segnaletica. L'unico impiego consentito è quindi quello di ospitare i vigili elettronici in sede fissa o saltuaria (articolo ItaliaOggi del 04.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sospensione feriale agli sgoccioli. Termini processuali ancora congelati fino al 17 settembre. Come cambia l'agenda per gli atti della giustizia civile, tributaria e amministrativa.
Ancora due settimane di stop per i termini processuali, in stand by fino al 17 settembre prossimo (il 16 è domenica). La sospensione feriale dei termini (articolo 1, legge 742/1969) opera dal 1° agosto al 15 settembre e interessa tutti gli atti relativi a processi civili, amministrativi e tributari. Durante la pausa i termini processuali restano sospesi e il conto dei giorni entro i quali le parti in causa possono procedere al deposito di atti e documenti, previsti dai singoli riti, riparte, appunto, dal 17 settembre. Se poi i suddetti termini dovessero iniziare nel periodo di sospensione, gli stessi vengono differiti direttamente alla fine del periodo di sospensione.
In particolare, la pausa determina un allungamento delle scadenze entro le quali le parti possono procedere al deposito di atti e documenti. I termini così congelati riprendono a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Se l'inizio del decorso dei termini processuali cade durante il periodo di sospensione feriale, i termini iniziano a decorrere alla fine del periodo di sospensione.
Così, con riferimento al 2012, se il termine iniziale di decorrenza processuale cade prima del 01.08.2012: si ha la sospensione feriale dei termini processuali dal 1° agosto al 15.09.2012, con ripresa della decorrenza dei termini dal 16 settembre compreso anche se il 15 cade di sabato e il 16 di domenica (periodo di sospensione di 46 giorni); se invece il termine iniziale di decorrenza processuale cade all'interno del periodo 1° agosto - 15.09.2012: il decorso dei termini parte dal 16 settembre, anche se il 15 cade di sabato e il 16 di domenica (periodo di sospensione di 46 giorni), salvo che il 16 rappresenti l'ultimo giorno per il compimento di un atto processuale; in quest'ultimo caso, infatti, il termine per il compimento dell'atto slitta dal 16 settembre al 17.09.2012 (periodo di sospensione di 47 giorni).
Nell'ordinamento tributario, la sospensione interessa, in primis, le scadenze relative alla presentazione del ricorso contro gli atti impositivi, sia introduttivo sia costitutivo, in tutti i gradi di giudizio, dal primo alla Cassazione, ma anche, per esempio, i depositi di documenti e/o memorie illustrative.
Ne deriva, per esempio, che nel caso in cui la notifica dell'atto di accertamento sia intervenuta prima del periodo di sospensione feriale, ossia prima del 01.08.2012, il computo dei 60 giorni utili per la proposizione del ricorso si ottiene sommando il periodo decorso anteriormente al 1° agosto a quello successivo al 15.09.2012.
Nel caso, invece, in cui la notifica dell'atto di accertamento sia intervenuta tra il 01.08.2012 e il 15.09.2012, ossia durante il periodo feriale, il computo del termine di 60 giorni inizierà dal 16.09.2012, salvo che il 16 rappresenti l'ultimo giorno per il compimento di un atto processuale; in quest'ultimo caso, infatti, il termine per il compimento dell'atto slitta dal 16 settembre al 17.09.2012 (il periodo di sospensione diventa di 47 giorni). Particolare attenzione deve essere posta alla gestione degli strumenti deflattivi del contenzioso; in generale i termini previsti per la definizione con adesione godono della sospensione feriale. Così si cumulano i giorni previsti per il perfezionamento dell'adesione con quelli relativi alla sospensione feriale.
In generale lo stop si applica a tutti quegli atti avverso i quali le parti possono proporre ricorso (o resistere) entro un certo termine; in determinate circostanze la sospensione interessa anche i termini per il pagamento degli importi indicati negli atti impositivi; ciò avviene quando gli stessi atti fanno riferimento, per il versamento, al termine per la proposizione del ricorso. È il caso dei nuovi accertamenti esecutivi (articolo 29, dl 78/2010) per i quali si prevede che l'avviso contenga anche l'intimazione ad adempiere «entro il termine di presentazione del ricorso, all'obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso e a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall'articolo 15 del dpr 29.09.1973, n. 602».
Al di là dei casi appena visti, la sospensione feriale non riguarda gli altri adempimenti previsti dalla disciplina tributaria, primi fra tutti i termini di versamento delle imposte. E la sospensione non si applica per i procedimenti cautelari, relativi alla concessione di ipoteca o sequestro conservativo (articolo ItaliaOggi Sette del 03.09.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, in autunno si cambia. Nuove regole su Sistri, sottoprodotti e sostanze pericolose. Con tre provvedimenti il legislatore di agosto ha riformulato le principali norme ambientali.
Conferma dell'attuale sospensione del Sistri, ma con parallelo rinnovo delle regole operative in vista del suo futuro funzionamento e «querelle» sul pagamento del contributo per l'anno 2012. Queste, insieme alla rivisitazione delle norme su sottoprodotti, rifiuti agricoli, export di sostanze pericolose e recupero dei vapori di benzina nei distributori di carburanti, le novità ambientali che caratterizzeranno l'autunno di imprese e operatori del settore.
A veicolare le numerose novità tre provvedimenti: la legge 134/2012 di conversione del cd. «dl crescita» (in tema di sospensione Sistri, sottoprodotti, rifiuti agricoli, export di «Cov»), il dm Minambiente 141/2012 (di riformulazione delle regole Sistri), il dlgs 125/2012 (sul recupero dei vapori di benzina).
Sistri. La legge 134/2012 (Supplemento ordinario n. 171 alla G.U. 11.08.2012 n. 187) di conversione del dl 83/2012 ha confermato la sospensione del sistema di tracciamento telematico dei rifiuti così come prevista dall'originaria formulazione del decreto d'urgenza, ossia fino al nuovo termine iniziale di operatività che sarà stabilito dal Minambiente con proprio decreto all'esito delle verifiche amministrative e funzionali del sistema (verifiche affidate allo stesso dicastero dal precedente dl 138/2011) e comunque non oltre il 30.06.2013.
La stessa legge 134/2012 ha confermato la sospensione dell'obbligo di pagamento del contributo Sistri per l'anno 2012 prevista dal dl 83/2012. Ma il dm ambiente 25.05.2012, n. 141 recante modifiche al Tu Sistri (G.U. 23.08.2012 n. 196) ne ha invece previsto il suo ripristino, mediante una disposizione che fissa quale termine ultimo per il pagamento quello del prossimo 30.11.2012. Disposizione che, allo stato attuale, appare priva di un fondamento di legittimità, per essere veicolata da un provvedimento (il decreto ministeriale in parola) in contrasto con l'opposta e citata disposizione recata invece da fonte di diritto gerarchicamente superiore (la legge 134/2012).
Obblighi e responsabilità operatori Sistri. Il nuovo e citato dm ambiente 141/2012 opera la rivisitazione di alcuni punti nodali del dm ambiente 18.02.2011, n. 52 (c.d. Testo unico Sistri) relativi a procedure di iscrizione al sistema, responsabilità dei produttori dei rifiuti, adempimenti procedurali nella gestione dei medesimi.
In relazione all'obbligo di iscrizione viene introdotta la facoltà per gli enti titolari dell'autorizzazione di impianti pubblici di trattamento di rifiuti di delegare, in attesa della voltura dell'autorizzazione, iscrizione e procedure Sistri a terzi soggetti in possesso dei requisiti per la gestione impianti in conto terzi, ai quali è affidata la gestione dell'impianto, dandone comunicazione al Sistri. In relazione, invece, alla responsabilità dei produttori di rifiuti, il nuovo dm 141/2012 prevede un ulteriore onere a loro carico per evitare la diretta responsabilità in caso di mala gestione dei rifiuti operata a valle.
I produttori di rifiuti operanti in regime telematico Sistri che consegneranno a terzi i rifiuti per la loro gestione, nel caso in cui non riceveranno dal cervellone Sistri la (già) prevista email che conferma la ricezione dei rifiuti da parte dell'impianto di destinazione, dovranno infatti, per essere esentati da ogni responsabilità, darne immediata comunicazione al Sistri e alla provincia territorialmente competente.
Il nuovo dm di riformulazione del T.u. Sistri ritocca infine, e per l'ennesima volta, le regole procedurali relativa all'interazione tra operatori e cervellone informatico dello stato in relazione alla gestione di rifiuti pericolosi, sanitari, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Nuovi sottoprodotti. Per effetto della citata legge 134/2012 di conversione del «dl crescita» esordisce nel novero dei sottoprodotti (ossia delle materie non sottoposte alle regole sui rifiuti ex dlgs 152/2006) il digestato ottenuto da effluenti di allevamento o residui vegetali in impianti aziendali e utilizzato per fini agronomici secondo, però, i parametri che saranno individuati da un futuro Minambiente.
Gestione rifiuti agricoli. Non solo il trasporto verso una cooperativa agricola, ma dal 12.08.2012 (data di entrata in vigore della legge di conversione del dl crescita) anche quello verso il consorzio agrario effettuato dall'imprenditore agricolo socio e finalizzato al raggiungimento del deposito temporaneo non è più considerato tecnicamente un «trasporto di rifiuti».
La legge 134/2012 allarga, infatti, il novero delle ipotesi (già) previste dal dlgs 152/2006 per le quali non è giuridicamente «trasporto di rifiuti» (con il conseguente venir meno degli obblighi di tenuta del formulario di trasporto e del tracciamento telematico Sistri, ove previsto) la movimentazione dei rifiuti agricoli.
Export extra Ue di «Cov». È diventata definitiva dal 12.08.2012 la deroga al divieto di vendita a paesi extra Ue di pitture, vernici e prodotti per carrozzeria con limiti di composti organici volatili (c.d. «Cov») superiori a quelli previsti nell'allegato II del dlgs 27.03.2006, n. 161. Mediante la diretta modifica del decreto legislativo in parola, la legge 134/2012 ha infatti eliminato ogni termine finale alla deroga in parola, rendendo lecita l'esportazione verso Paesi diversi da quelli Ue pitture, vernici e prodotti per carrozzeria con concentrazioni di sostanze pericolose superiori ai limiti citati.
Recupero vapori benzina. Scattato, invece, il 21.08.2012 per i grandi impianti di distribuzione di benzina l'obbligo di dotarsi dei nuovi sistemi di recupero dei vapori dei carburanti emessi in atmosfera durante il rifornimento dei veicoli.
L'adeguamento ai nuovi sistemi di cd. «Fase II» (che consentono un recupero dell'85% degli inquinanti) è imposto attraverso la modifica del dlgs 152/2006 (cd. «Codice ambientale») dal nuovo dlgs 30.07.2012 n. 125 (G.U. 06.08.2012 n. 182) sia agli impianti autorizzati dopo 01/01/2012 (c.d. impianti «nuovi») che a quelli preesistenti ma ristrutturati dopo tale data che hanno un flusso anno di erogazione di carburante superiore a 500 metri cubi annui (100 se localizzati in prossimità di edifici residenziali o lavorativi).
L'adeguamento ai sistemi di «Fase II» sarà obbligatorio (entro però il più lontano termine finale del 31/12/2018) anche per i vecchi impianti con flusso superiore a 3000 metri cubi annui. Per tutti gli altri e diversi impianti di distribuzione è invece sufficiente un allineamento dei sistemi di recupero esistenti ai nuovi requisiti di efficienza stabiliti dallo stesso dlgs 125/2012 (articolo ItaliaOggi Sette del 03.09.2012).

VARI: La telefonata viaggia via internet. I vantaggi: niente canone e costi al minuto molto ridotti. Crescono gli utenti che ricorrono a Google, Messagenet e Skype per chiamare verso fissi e cellulari.
Telefonare a basso costo sfruttando la connessione a internet. Sono in costante aumento gli utenti che per chiamare o ricevere telefonate verso fissi e cellulari ricorrono a piattaforme come Skype, Google o Messagenet. Costi al minuto decisamente inferiori rispetto agli operatori tradizionali e l'assenza del canone rendono, infatti, il Voip (Voice over internet protocol) molto vantaggioso in numerose situazioni come, per esempio, la necessità di effettuare lunghe telefonate di lavoro o chiamate all'estero.
Vediamo le offerte degli operatori.
Chiamate Voip in aumento. Secondo una ricerca di TeleGeography, osservatorio di ricerca specializzato nel mercato delle telecomunicazioni, nel 2011 il traffico delle chiamate internazionali effettuate attraverso il servizio Skype to Skype è aumentato del 48% rispetto all'anno precedente, contro il 4% registrato dagli operatori telefonici tradizionali. Un fenomeno che, secondo gli analisti, è destinato a prendere sempre più piede e che nell'immediato futuro potrebbe soppiantare definitivamente le chiamate telefoniche tradizionali.
Per questo, gli operatori si stanno muovendo nel tentativo di limitare i danni: entro fine anno dovrebbe, infatti, essere lanciata Joyn, una nuova piattaforma per chiamate via internet e messaggistica istantanea, sponsorizzata dalle maggiori compagnie telefoniche europee, tra cui Vodafone e Deutsche telekom.
Le offerte degli operatori. Uno dei maggiori programmi per parlare via internet è Skype che può essere scaricato gratuitamente. La compagnia offre diversi pacchetti tariffari: a consumo in cui il prezzo per una chiamata verso fissi e cellulari parte da 2,2 centesimi di euro al minuto oppure con abbonamento mensile che permette di effettuare chiamate illimitate a partire da 1,02 euro al mese.
Le chiamate vengono arrotondate al minuto successivo ed è previsto un costo aggiuntivo legato allo scatto alla risposta. Skype propone, inoltre, i pacchetti «Senza Limiti Europa», che prevede chiamate illimitate verso i fissi di 20 paesi europei (articolo ItaliaOggi Sette del 03.09.2012).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Le forniture. Spetta al responsabile della spesa il monitoraggio sugli appalti.
Contratti da aggiornare dopo i limiti agli acquisti.

I decreti sulla spending review comportano per i responsabili di servizio degli enti locali un percorso con alcuni passaggi preliminari obbligatori per la corretta formalizzazione degli acquisti di beni e servizi.
Il soggetto che ha i poteri di spesa deve anzitutto verificare che il bene o il servizio da acquisire non rientri tra queste categorie merceologiche: energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile. Perché se vi rientra l'amministrazione deve approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip e dalle centrali di committenza regionali di riferimento.
L'ente può comunque esperire proprie procedure di acquisto utilizzando i mercati elettronici di Consip o delle centrali regionali.
Il responsabile di servizio può sviluppare anche una procedura di gara «in proprio», secondo modalità tradizionali o ricorrendo ad altre centrali di committenza pubbliche, ma l'affidamento dovrà avvenire a prezzi inferiori a quelli delle convenzioni di Consip e delle centrali regionali. E i contratti dovranno contenere una clausola risolutiva che scatta se sopravvengono convenzioni centralizzate con prezzi più convenienti.
Per tutte le altre tipologie di beni e servizi, il responsabile di servizio di un ente locale può sviluppare un'autonoma procedura di acquisto (sia con gara sia in economia), ma deve utilizzare i parametri di qualità e prezzo delle convenzioni Consip come basi d'asta e di riferimento, in prospettiva migliorativa.
In base al comma 13 dell'articolo 1 del Dl 95/2012 il responsabile di servizio può recedere da un appalto per beni o servizi con contratto in essere, se sopravvengono convenzioni Consip o delle centrali regionali con prezzi più vantaggiosi (tenendo conto di quanto già eseguito e di quanto da eseguire) e se l'appaltatore non vuole adeguarsi a questi prezzi.
La clausola di recesso (che si inserisce automaticamente nei contratti in corso in base all'articolo 1339 del Codice civile) deve essere specificata in tutti i contratti di appalto e ogni patto contrario è nullo.
Il responsabile delle procedure di acquisto deve ricorrere invece al mercato elettronico della Pa (Mepa), sia di Consip che delle altre centrali o di altre amministrazioni, per beni o servizi di valore inferiore alla soglia comunitaria, in base a quanto previsto dall'articolo 1, comma 450 della legge 296/2006.
Se l'amministrazione ha strutturato un proprio mercato elettronico questo diventa lo strumento prioritario di acquisto per beni e servizi sotto la soglia comunitaria.
Lo sviluppo di procedure di gara sottosoglia o l'affidamento mediante procedure in economia sono possibili solo per i beni e i servizi non acquisibili mediante il Mepa (articolo Il Sole 24 Ore del 03.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 03.09.2012

VARIInvalidi, contrassegno europeo. Permessi già rilasciati validi per tre anni, poi nuovo modello. Lo prevede un dpr pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Segnaletica stradale da modificare.
Via libera al nuovo contrassegno invalidi europeo e alla conseguente necessaria modifica della segnaletica stradale.
Lo prevede il dpr n. 151 del 30.07.2012 pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 203 del 31.08.2012.
Il contrassegno per invalidi comunitario è già stato adottato da tempo da molti stati dell'Unione europea. Con la riforma stradale del 2010 sono stati eliminati gli ostacoli normativi all'adozione anche in Italia del nuovo tagliando. Ora, con il dpr n. 151/2012 (che entrerà in vigore il 15 settembre), viene finalmente disposta la modifica dell'art. 381 del regolamento stradale e l'Italia darà attuazione alla raccomandazione del consiglio dell'Unione n. 98/376/Ce del 04.06.1998.
Per un periodo transitorio di tre anni i permessi già rilasciati resteranno validi ma in sede di rinnovo dovrà essere rilasciato il nuovo modello. I comuni potranno però fissare tempi inferiori. Sempre entro 3 anni la segnaletica stradale orizzontale e verticale riguardante la mobilità delle persone disabili dovrà essere adatta recependo la rappresentazione grafica e cromatica del nuovo contrassegno.
Sul modello, di colore azzurro chiaro (con il simbolo bianco della sedia a rotelle su fondo azzurro scuro), saranno trascritti e apposti la data di scadenza, il numero di serie e il nome e il timbro dell'autorità nazionale che rilascia il contrassegno e nella parte retrostante, non visibile, il nominativo e la fotografia del soggetto autorizzato. Il nuovo contrassegno di parcheggio per disabili sarà rilasciato a chi abbia capacita di deambulazione sensibilmente ridotta o (e questa è una delle novità) impedita. Dovrà essere esposto in originale nella parte anteriore del veicolo in modo che sia chiaramente visibile per i controlli.
Scaduto il periodo di validità del contrassegno a tempo determinato potrà esserne emesso uno nuovo previa ulteriore certificazione medica rilasciata dall'ufficio medico legale dell'azienda sanitaria locale di appartenenza con la quale si attesti che le condizioni della persona invalida danno diritto all'ulteriore rilascio. Per quanto concerne l'assegnazione a titolo gratuito di uno spazio di sosta nei casi di particolare invalidità, nelle zone ad alta densità di traffico, non occorre più che il titolare del contrassegno sia abilitato alla guida e disponga di un autoveicolo, ma è necessario che l'interessato dimostri di non avere la disponibilità di uno spazio di sosta privato accessibile e fruibile.
I comuni potranno prevedere la gratuità della sosta per gli invalidi nei parcheggi a pagamento, qualora risultino già occupati o indisponibili gli stalli a loro riservati. Inoltre, i comuni potranno stabilire, anche nelle aree a pagamento gestite in concessione, un numero di posti destinati alla sosta gratuita degli invalidi muniti di contrassegno superiore al limite minimo di un posto ogni cinquanta o frazione di cinquanta posti disponibili, previsto dal decreto del presidente della repubblica n. 503 del 24 luglio 1996 (articolo ItaliaOggi dell'01.09.2012).

CONDOMINIOResto apostrofare condòmini con epiteti poco edificanti.
Apostrofare qualcuno con epiteti poco edificanti durante una riunione condominiale può configurare ipotesi di reato (nello specifico il delitto di cui all'art. 594 c.p.): è quanto emerso nella sentenza n. 33221/2012 della Corte di Cassazione.
La V Sez. penale ha, infatti, confermato il ragionamento del giudice di merito, secondo il quale «l'espressione “architetto del c_.” era stata pronunciata all'indirizzo della persona offesa [_] in un atteggiamento gratuitamente astioso e senza che vi fosse stato alcun previo tentativo di relazionarsi con la controparte in modo da preservarne la dignità».
È vero –afferma il collegio giudicante– che l'espressione “che c_.” è entrata nell'uso comune e non ha rilevanza penale «quando è proferita in posizione di parità rispetto all'interlocutore»; ciò non toglie, però, che il linguaggio ingiurioso con il quale l'imputato si era rivolto alla persona offesa (etichettandolo, nell'ordine, “architetto del c_", “mafioso” ed “evasore fiscale”) veniva esternato durante una seduta condominiale nella quale il malcapitato, in rappresentanza del proprio genitore, aveva «soltanto» insistito per effettuare dei lavori condominiali.
A nulla sono valse le deduzioni del difensore: nullità del processo di primo grado e degli atti successivi, stante la ripetuta assenza dell'imputato; vizio di motivazione sul mancato proscioglimento, essendo state valutate come elemento di prova di responsabilità anche le dichiarazioni della persona offesa; mancata applicazione della causa di non punibilità prevista ex art. 599 c.p..
Per i giudici di legittimità, in realtà, «la presenza di una situazione patologica cronica legata all'età dell'imputato [_] non costituisce legittima causa né della sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato, né di rinvio del dibattimento per legittimo impedimento a comparire di quest'ultimo». In merito, poi, all'inidoneità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa a «costituire prova di responsabilità», hanno precisato che quest'ultima «anche costituita parte civile, partecipa al processo, di regola, in qualità di testimone e, in tale veste, è tenuta a prestare giuramento sicché le sue dichiarazioni sono idonee ad essere valutate come elemento di prova anche a prescindere dalla ricerca e dalla sussistenza di elementi di prova». Con queste motivazioni hanno, quindi, dichiarato inammissibile il ricorso (articolo ItaliaOggi del 31.08.2012).

ENTI LOCALIUnioni, tempi stretti per le regioni. Per modificare le soglie demografiche c'è tempo fino al 30/09. Per le aggregazioni dei comuni fino a 1.000 abitanti il termine scade già il 7 settembre.
Tempi stretti per le regioni che intendono ridefinire le soglie demografiche minime per le gestioni associate obbligatorie dei piccoli comuni. In base a quanto previsto dal dl sulla spending review, infatti, la partita dovrà chiudersi entro la fine di settembre. Ma per le unioni «speciali», riservate ai municipi fino a 1.000 abitanti, il termine scade addirittura fra una settimana.
Come noto, l'art. 19 del dl 95/2012 ha profondamente modificato la disciplina sull'obbligo di gestione in forma associata delle funzioni da parte dei comuni di minori dimensioni (fino a 5.000 abitanti, che scendono a 3.000 per quelli appartenenti o appartenuti a comunità montane).
In base alle nuove norme, per quanto concerne le funzioni fondamentali (il cui elenco è stato ridefinito ed ampliato dal comma 1) l'obbligo riguarda tutti i municipi senza più la rigida distinzione fra quelli sopra e quelli sotto i 1.000 abitanti.
I primi (1.001-5.000 abitanti) dovranno scegliere fra l'unione «classica» ex art. 32 del Tuel (anch'esso parzialmente novellato) e la convenzione (art. 30 del Tuel), che però dovrà avere durata almeno triennale e conseguire «significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione» certificati dal Viminale (in mancanza dovrà essere sciolta ed i comuni interessati dovranno confluire in una unione).
Per i secondi (fino a 1.000 abitanti), oltre alle precedenti, rimane aperta anche la strada dell'unione ex art. 16 del dl 138/2011, che di fatto rappresenta una sorta di «fusione a freddo» obbligando chi ne fa parte a mettere insieme tutte le funzioni (non solo quelle fondamentali) e soprattutto il bilancio. Tuttavia, non si tratta più (come in precedenza) di un obbligo, ma di una mera facoltà.
Per chi opta per i primi due modelli (unione «classica» e convenzione), la soglia demografica minima è fissata a 10.000 abitanti, salvo diverso limite individuato dalla regione «entro i tre mesi antecedenti il primo termine di esercizio associato obbligatorio delle funzioni fondamentali» (art. 19, comma 31).
Poiché quest'ultimo è fissato dal successivo comma 31-ter all'01.01.2013 (per almeno 3 delle 9 funzioni fondamentali da associare, mentre per le altre 6 l'obbligo scatterà un anno dopo), la dead line per le regioni che vorranno (è una facoltà e non un obbligo) alzare o abbassare la soglia è fissata al 30 settembre.
Per i mini-comuni che, invece, opteranno per l'unione «speciale», il minimo scende a 5.000 abitanti, che diventano 3.000 per quelli montani. Tale limite (che peraltro non pare così perentorio, dato che il nuovo art. 16, comma 4, del dl 138 prevede che esso valga solo «di norma»), può essere rivisto dalle regioni entro 2 mesi dalla data di entrata in vigore del dl 95 (7 luglio), ovvero entro il 7 settembre (art. 19, comma 5).
I governatori interessati ad avversi di tale prerogativa dovranno, quindi, affrettarsi a decidere. Va detto, peraltro, che saranno ben pochi i comuni che sceglieranno la seconda strada, giacché essa comporterà, oltre allo svuotamento della loro autonomia, anche l'assoggettamento (dal 2014) al Patto di stabilità interno.
Più importante la scadenza di fine mese, che riguarda una platea ben più vasta di municipi e che potrebbe interessare anche quelle regioni (come, ad esempio, la Lombardia e l'Abruzzo) che hanno già ridefinito le soglie sulla base della disciplina previgente: il nuovo quadro normativo, in effetti, potrebbe anche suggerire di rivedere le scelte fatte in precedenza.
Dopo che le regioni avranno (eventualmente) ridefinito le soglie (oltre che determinato la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica ed il termine per l'esercizio in forma associata delle funzioni relative alle materie di propria competenza), la palla passerà ai comuni, i quali (se già fanno parte di un'unione) dovranno optare per una delle soluzioni organizzative illustrate in precedenza a seconda della fascia demografica di appartenenza (art. 19, comma 4). Quelli che sceglieranno l'unione «speciale», inoltre, dovranno, entro il 07.01.2013, formulare una proposta di aggregazione alle regione di appartenenza.
Stavolta il legislatore sembra fare sul serio: per chi non rispetterà il timing imposto potranno scattare i poteri statali sostitutivi (articolo ItaliaOggi del 31.08.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOComuni, pagelle a due velocità. Criteri vincolanti solo per gli enti privi di sistemi di verifica.  La spending review ha un impatto limitato per le amministrazioni in regola con la valutazione.
I criteri per la valutazione della performance previsti dall'articolo 5, comma 11 e seguenti, della legge 135/2012 (spending review) sono da considerare vincolanti solo per le amministrazioni prive di un sistema di verifica dei risultati aventi caratteristiche analoghe a quelle disposte dalla legge. Le altre amministrazioni dovranno adeguare i sistemi vigenti ai principi desumibili.
Nonostante l'articolo 5, comma 11, della legge 135/2012 sia formulato con tenore prescrittivi, è evidente la sua funzione suppletiva e sostitutiva nei confronti delle amministrazioni inadempienti, che, nonostante le già preesistenti disposizioni normative e contrattuali, non si siano ancora dotate di un funzionate sistema di valutazione.
D'altra parte, la previsione contenuta nella spending review è destinata anche a decadere, perché operante solo «nelle more dei rinnovi contrattuali» nazionali collettivi e in attesa dell'applicazione del sistema delle fasce di valutazione previsto dall'articolo 19 della legge 150/2009.
Per altro, le indicazioni contenute nell'articolo 5, comma 11, non appaiono particolarmente innovative, per gli enti già in regola coi sistemi di valutazione.
Infatti, per quanto riguarda i dirigenti si lega la valutazione «al raggiungimento degli obiettivi individuali e relativi all'unità organizzativa di diretta responsabilità, nonché al contributo assicurato alla performance complessiva dell'amministrazione» e anche «ai comportamenti organizzativi posti in essere e alla capacità di valutazione differenziata dei propri collaboratori, tenuto conto delle diverse performance degli stessi». I criteri fissati dalla spending review sono in tutto e per tutto sovrapponibili a quelli stabiliti dall'articolo 9, comma 1, lettere da a) a d) del dlgs 150/2009, che legano la valutazione dei dirigenti.
La misurazione e la valutazione della performance individuale dei dirigenti e del personale responsabile di una unità organizzativa in posizione di autonomia e responsabilità è collegata «agli indicatori di performance relativi all'ambito organizzativo di diretta responsabilità», al «raggiungimento di specifici obiettivi individuali», alla «qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate» e, infine «alla capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi».
Non è innovativa nemmeno l'indicazione secondo la quale gli obiettivi dei dirigenti debbano essere «predeterminati all'atto del conferimento dell'incarico» in modo che siano «specifici, misurabili, ripetibili, ragionevolmente realizzabili e collegati a precise scadenze temporali». Identica previsione è contenuta nel combinato disposto dell'articolo 19, comma 2, del dlgs 165/2001 e nelle disposizioni dei contratti nazionali collettivi dei diversi comparti.
Non diversa è la questione relativa alla misurazione e valutazione della performance individuale del personale non dirigenziale. La legge 135/2011 conferma che la valutazione è di competenza dei dirigenti, affermando che essa va messa in relazione «al raggiungimento di specifici obiettivi di gruppo o individuali» nonché «al contributo assicurato alla performance dell'unità organizzativa di appartenenza e ai comportamenti organizzativi dimostrati». Si tratta, quasi letteralmente, degli stessi parametri previsti dall'articolo 9, comma 2, lettere a) e b), del dlgs 150/2009.
La previsione realmente innovativa dell'articolo 5 della legge 135/2001 resta il comma 11-quinquies, che prova a introdurre una differenziazione nei premi per il risultato. Infatti, si prevede di assegnare ai dirigenti e al personale non dirigenziale più meritevoli, in misura comunque non inferiore al 10% della totalità dei dipendenti oggetto della valutazione «un trattamento accessorio maggiorato. La maggiorazione, per un importo compreso tra il 10 e il 30% del trattamento accessorio medio per categoria di dipendenti, trova il suo finanziamento nel dividendo di efficienza», previsto dall'articolo 16, commi 4 e 5, del dl 138/2011, convertito in legge 148/2011.
Dunque, il tentativo di introdurre un sistema per «fasce» o, comunque, una premialità maggiore per una limitata parte dei dipendenti, passa necessariamente attraverso le misure di ulteriore risparmio oltre a quelle imposte dalle leggi, che consentono di investirle per il 50% nel sistema di valutazione. Solo presso quei pochissimi enti che si siano avventurati in tagli e risparmi aggiuntivi a quelli draconiani imposti dalla stessa legge 135/2012, dunque, potrebbe dipanare pienamente i suoi concreti effetti innovativi l'articolo 5, comma 11 e seguenti, che, in caso contrario, resta solo una norma tesa ad obbligare gli enti inadempienti a dotarsi di un sistema di valutazione (articolo ItaliaOggi del 31.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGONei contratti decentrati relazioni su qualità dei servizi e performance.
La legittimità rispetto alle indicazioni dettate dai contratti nazionali e la prospettazione delle conseguenze che si vogliono raggiungere in termini di qualità dei servizi sulla base delle scelte contenute nel piano delle performance: sono questi gli elementi che devono essere inseriti nelle relazioni illustrative e tecnico-finanziarie da allegare ai contratti collettivi decentrati integrativi e da pubblicare sul sito internet, nella pagina dedicata alla trasparenza. Una particolare attenzione nella compilazione di queste documenti deve inoltre essere dedicata alla costituzione e ripartizione fondo per la contrattazione decentrata.
La circolare della ragioneria generale dello stato n. 25, redatta d'intesa con il dipartimento della funzione pubblica, riassume gli elementi essenziali che devono essere contenuti in tale documento. Siamo in presenza, occorre subito premetterlo, di un vincolo diretto a tutte le p.a. e che si applica ai contratti decentrati che sono stati stipulati, anche solo come pre-intesa, a partire dalla fine dello scorso mese di luglio, cioè dalla pubblicazione delle circolare.
Le relazioni devono essere redatte dagli uffici dell'ente, la soluzione migliore è senza dubbio che i dirigenti del personale preparino quella illustrativa e i dirigenti del settore finanziario quella tecnico-finanziaria. Tali documenti devono essere attestati dal collegio dei revisori dei conti prima della pubblicazione: ovviamente questo organismo può richiedere tutte le integrazioni e modificazioni che ritiene opportuno e ha il potere/dovere di segnalare le eventuali anomalie che riscontra. Le informazioni sono per molti aspetti sovrapponibili tra le due relazioni, in particolare per le parti riguardanti la costituzione del fondo e la sua ripartizione.
È evidente l'attenzione che si è voluto così dedicare a questo aspetto: esso viene monitorato sia per dimostrare che la composizione è avvenuta in modo da rispettare le regole dettate dai contratti nazionali e, quindi, così da evitare l'inserimento di risorse in modo aggiuntivo, sia per dare conto della sua ripartizione e del volume delle risorse considerate. Attraverso l'illustrazione dell'utilizzazione del fondo si persegue un duplice obiettivo, da un lato dimostrare il rispetto delle regole dettate dai contratti nazionali e dall'altro spiegare ai cittadini le finalità che si vogliono perseguire in termini di miglioramento della qualità dei servizi.
È questo un elemento del tutto innovativo: fino a oggi i dipendenti e i dirigenti delle p.a. si sono infatti mossi sulla base di una logica autoreferenziale. La pubblicazione sul sito internet di queste informazioni apre invece la porta a una forma di controllo diffuso, mirata a verificare l'effettivo impatto dei contratti sulla qualità dei servizi. Per cui lo stanziamento di risorse per il turno dovrà essere spiegato con l'esigenza di garantire che un dato servizio possa essere erogato per un orario più lungo, senza interruzioni e in modo da comprendere anche le giornate festive.
L'erogazione della reperibilità serve così alla remunerazione dell'impegno aggiuntivo richiesto ai lavoratori per garantire la possibilità di interventi immediati nei casi un cui ve ne fosse la necessità. E, in modo ancora più significativo, l'erogazione delle incentivazioni per la produttività dovrà essere accompagnata dalla indicazione degli obiettivi assegnati e del loro grado di raggiungimento (articolo ItaliaOggi del 31.08.2012).

PUBBLICO IMPIEGOVigili, sì al cumulo dei compensi nei festivi infrasettimanali.
L'operatore di polizia municipale che presta servizio in turno ha diritto a un riconoscimento aggiuntivo in caso di prestazione effettuata in un giorno festivo infrasettimanale, al di fuori del normale orario di lavoro. Nessuna disposizione di legge vieta infatti la cumulabilità dei compensi previsti dagli articoli 22 e 24 del contratto.

Lo ha chiarito il Sindacato autonomo della polizia locale (Siapol) con una nota datata agosto 2012.
La questione del turno festivo infrasettimanale dei vigili è controversa e gli orientamenti comunali non univoci. In caso di organizzazione in turni, infatti, secondo un consolidato orientamento l'agente di pm non potrebbe percepire alcun emolumento ulteriore rispetto all'indennità di turnazione. Ma in caso di prestazione lavorativa effettuata in turno in un giorno festivo infrasettimanale la questione è ancora più complessa.
Alcuni comuni valutano infatti tale attività non come una prestazione ordinaria ma come una diversa fattispecie che dà luogo alla possibilità per il lavoratore di fruire, al pari di ogni altro dipendente, del riposo compensativo corrispondente alla festività non goduta o del trattamento alternativo, ossia il compenso per lavoro straordinario festivo. Altri enti, invece, riconoscono in questa ipotesi la possibilità di fruire del riposo compensativo e della maggiorazione prevista dall'art. 24 del Ccnl 2000.
Diverse amministrazioni, infine, considerano il servizio svolto in un turno ricadente in una festività infrasettimanale alla stessa stregua di quello svolto in una qualsiasi domenica in cui sia previsto il turno e quindi riconoscendo una piccola maggiorazione oraria ma senza l'applicazione del riposo compensativo e dello straordinario. Per cercare di fare chiarezza sulla delicata materia il Siapol ha diramato in questi giorni un'interessante circolare. Innanzitutto i due istituti, ovvero turno e riposo compensativo, si riferiscono a due fattispecie diverse, disciplinate rispettivamente dagli artt. 22 e 24 del Ccnl, e nessuna disposizione normativa ne vieta la cumulabilità.
Secondo la Cassazione, specifica il sindacato, nel caso di lavoro in turni la mancata fruizione del riposo compensativo determina automaticamente l'applicazione della maggiorazione prevista dall'art. 24 del contratto. In buona sostanza tutto si gioca su un fraintendimento di base. Nel caso di festività infrasettimanale il debito orario di tutti i dipendenti comunali viene ridotto di una giornata. Questa regola deve valere anche per i vigili che sono inseriti in turni di servizio programmati.
Per il personale in divisa che lavora nella giornata festiva infrasettimanale andrà quindi previsto un giorno di riposo compensativo da aggiungere al riposo settimanale. Spetterà al lavoratore rinunciare eventualmente al riposo per usufruire di un compenso straordinario. Fermo restando che anche il lavoratore che decide di effettuare il recupero compensativo ha diritto comunque a una maggiorazione per lavoro festivo (articolo ItaliaOggi del 31.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consigli con odg diversi. Argomenti differenti per le due convocazioni. Il numero legale può mancare in corso di seduta dopo aver esaminato alcuni punti.
È regolare lo svolgimento di una seduta consiliare, il cui ordine del giorno includeva argomenti di prima e di seconda convocazione se, a seguito di accertata mancanza del numero legale, i lavori venivano fatti proseguire per la trattazione dei soli argomenti di seconda convocazione?

L'art. 38, comma 2, del Tuel n. 267/2000 demanda la disciplina del funzionamento del consiglio comunale al regolamento consiliare che, nell'ambito dei principi stabiliti dallo statuto, stabilisce anche le modalità per la convocazione e per la presentazione e la discussione delle proposte. Lo stesso comma 2 del citato art. 38 prevede che il regolamento indichi il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prescrivendo come unico limite la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all'ente.
Nella fattispecie, il regolamento consiliare del comune disciplina le sedute di prima e seconda convocazione prevedendo, per la validità della seduta di prima convocazione, la presenza di almeno la metà dei consiglieri assegnati al comune e stabilendo che, qualora in corso di seduta si accerti che il numero dei consiglieri sia inferiore a quello necessario, il presidente dichiara deserta la stessa «per gli argomenti a quel momento rimasti da trattare».
La norma regolamentare richiede inoltre, per la validità della seduta di seconda convocazione, che intervengano almeno un terzo dei membri del consiglio e prevede che «la seduta che segue ad una prima iniziatasi col numero legale dei presenti ed interrotta nel suo corso per essere venuto meno il numero minimo dei consiglieri, è pure di seconda convocazione per gli affari rimasti da trattare nella prima».
Le richiamate disposizioni regolamentari, in particolare per quel che concerne il numero minimo di consiglieri presenti alle sedute, sono coerenti con le previsioni di legge.
Sulla problematica sollevata il Tar Campania, seppur con una risalente sentenza del 12.12.1985, n. 397, ha ritenuto che «perché possa parlarsi di seduta di seconda convocazione, non è necessario che la mancanza del numero legale si sia verificata a inizio di seduta ma può anche constatarsi in corso di seduta. In tali casi occorrerà tener presente che non si avrà seduta di seconda convocazione per quegli oggetti che siano stati rinviati oppure discussi ma non deliberati, mentre si avrà seduta di seconda convocazione per quei punti dell'ordine del giorno che non è stato possibile trattare a causa della sopravvenuta mancanza del numero legale».
Pertanto, si ritiene che la procedura adottata dall'ente sia conforme alle previsioni regolamentari (articolo ItaliaOggi del 31.08.2012).

VARI: Autovelox, bacchettati i comuni con troppi box.
Negli armadietti posizionati a bordo delle strade possono essere posizionati solo misuratori di velocità omologati e compatibili con i manufatti di contenimento. Ma senza il decreto del prefetto serve sempre la presenza della pattuglia per accendere l'autovelox e fermare i trasgressori che sfrecciano davanti ai vigili.
Lo ha chiarito la prefettura di Bergamo con la circolare 26.04.2012 n. 733 di prot., solo ora resa nota.
La questione dei box porta autovelox sta diventando molto comune nei tratti stradali urbani. I sindaci hanno infatti preso alla lettera le ultime modifiche del codice stradale e disseminato le loro strade di armadietti che effettivamente inducono i conducenti a moderare la velocità almeno in prossimità dei misuratori.
L'uso effettivo dell'autovelox però nella generalità dei casi deve avvenire con la presenza costante della pattuglia che a parere dell'ufficio territoriale del governo di Bergamo deve essere composta da almeno due operatori di polizia stradale “che devono procedere alla contestazione immediata delle violazioni”.
A dire il vero questo obbligo di fatto risulta ampiamente superato dalla previsione normativa che ammette tra le cause della mancata contestazione l'impiego di strumenti di controllo in grado di immortalare il trasgressore troppo tardi, a veicolo già transitato.
E anche la cassazione si è decisamente allineata a questa indicazione lasciando intendere che la contestazione immediata delle infrazioni per eccesso di velocità ormai appartiene al passato. La prefettura evidenzia anche che all'interno di questi manufatti devono “essere collocati esclusivamente misuratori di velocità omologati e compatibili, sulla base delle caratteristiche tecniche descritte nel manuale d'uso, con il particolare tipo di box di contenimento” (articolo ItaliaOggi del 30.08.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Passi carrabili, deroghe limitate. Distanze inferiori ai 12 metri solo per gli accessi ante 1993.  Parere del ministero delle infrastrutture e trasporti sui margini d'intervento dei comuni.
Per i passi carrabili i Comuni possono stabilire distanze inferiori ai dodici metri dalle intersezioni solo per gli accessi già esistenti prima del 1993. E non per tutti gli accessi vige l'obbligo di posizionare il segnale con il divieto di sosta.

Lo ha precisato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con un parere del 20.03.2012, da poco reso noto.
Il nuovo codice della strada e il regolamento di esecuzione e attuazione, entrati in vigore l'01.01.1993, hanno previsto per la realizzazione e l'apertura dei passi carrabili regole differenti rispetto a quelle contenute nel vecchio testo unico sulla circolazione stradale del 1959. L'art. 46, comma 2, del regolamento stabilisce per la realizzazione dei passi carrabili una distanza di almeno dodici metri dalle intersezioni.
Però, il successivo comma 6 prevede che i Comuni hanno la facoltà di autorizzare distanze inferiori per i passi carrabili già esistenti prima del 1993, qualora sia tecnicamente impossibile procedere all'adeguamento imposto dall'art. 22, comma 2, del codice della strada. Al riguardo, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il parere del 20.03.2012, fa alcune importanti precisazioni.
La prescrizione relativa alla distanza dall'intersezione ha carattere generale, senza specifiche relative al tipo di strada, alla densità di traffico e alla geometria del passo carrabile. La distanza deve essere calcolata a partire dall'area di intersezione fino al margine più vicino del manufatto che costituisce il passo carrabile e non dalla mezzeria o da latri punti del manufatto stesso.
Fra i passi carrabili preesistenti rientrano anche le aperture con regolare autorizzazione edilizia; ma non tutti gli accessi sono anche passi carrabili. Secondo il Ministero, infatti, sono da considerare passi carrabili quelli definiti dall'art. 44, comma 4, del decreto legislativo n. 507 del 15.11.1993, cioè i manufatti costituiti generalmente da listoni di pietra od altro materiale o da appositi intervalli lasciati nei marciapiedi o, comunque, da una modifica del piano stradale intesa a facilitare l'accesso dei veicoli alla proprietà privata.
Invece, vanno annoverati fra gli accessi carrabili i varchi che, pur assolvendo alla stessa funzione dei passi carrabili, sono posti al livello della strada e sono realizzati senza un'opera visibile che renda concreta l'occupazione e certa la superficie sottratta all'uso pubblico. E solo per i passi carrabili vige l'obbligo di apporre il segnale con il divieto di sosta.
Altro chiarimento infine con riferimento specifico ai passi carrabili realizzati dopo l'01.01.1993; infatti, il Ministero evidenzia che la distanza dalle intersezioni non è derogabile con regolamento comunale, fatti salvi i casi previsti dall'art. 22, comma 9, del codice della strada, in sostanza nel caso di modifiche stradali intervenute per costruzione di opere di pubblica utilità e realizzazione di nuove intersezioni (articolo ItaliaOggi del 30.08.2012).

VARI:  Autovelox ok se visibili e segnalati.
Gli strumenti autovelox presidiati dalla polizia municipale possono essere utilizzati su qualunque tratto stradale anche senza necessità di contestazione immediata. Purché gli impianti siano ben visibili, preventivamente segnalati e gli agenti operino nell'ambito del territorio di competenza.

Lo ha ribadito il Ministero dei trasporti con il parere n. 734/2012.
Un comune ha richiesto chiarimenti sulle modalità operative da adottare per l'espletamento dei servizi di controllo elettronico della velocità. Qualora presidiati dagli organi di polizia stradale, specifica la nota centrale, «i dispositivi misuratori di velocità debitamente approvati possono essere installati e impiegati su strade di qualunque tipo nell'ambito del territorio comunale di competenza, senza ulteriori formalità».
Come specificato anche dalla più recente giurisprudenza (Corte di cassazione, sez. II civ., sentenza n. 484/2012) il dl 121/2002, convertito nella legge 168/2002, non pone una generalizzata esclusione dell'uso delle apparecchiature elettroniche di rilevamento al di fuori delle strade prese in considerazione «ma lascia, per contro, in vigore, relativamente alle strade diverse da esse, le disposizioni che consentono tale utilizzazione ma con l'obbligo della contestazione immediata, salve le eccezioni espressamente previste dall'art. 201, comma 1-bis, cod. strada».
In pratica la polizia municipale può tranquillamente installare gli strumenti autovelox dove ritiene opportuno e attivarli sotto il suo controllo, anche senza fermo del veicolo, semplicemente evidenziando nel verbale una delle ragioni che renda ammissibile la contestazione differita dell'infrazione. Tra queste giustificazioni spicca quella dell'impiego di uno strumento elettronico che permetta l'accertamento solo contestualmente al passaggio del trasgressore.
Circa la capacità di intervento dei vigili urbani su una strada statale fuori centro abitato non c'è nessun dubbio. La polizia municipale ha competenza estesa a tutte le strade del territorio comunale con la sola eccezione delle autostrade. Per questo motivo valgono gli accertamenti svolti dai vigili in materia di circolazione stradale fuori e dentro al centro abitato. Ma attenzione alla segnalazione e alla visibilità dell'autovelox. Conclude infatti il ministero evidenziando la necessità della massima trasparenza (articolo ItaliaOggi del 28.08.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIAUn rebus normativo sul Sistri. Alla fine, contributo sospeso.
Il decreto con le semplificazioni alle procedure Sistri (25.05.2012, n. 141, Gazzetta Ufficiale 196 del 23.08.2012) stabilisce che «per l'anno 2012 il pagamento del contributo deve essere effettuato entro il 30 novembre» (si veda ItaliaOggi del 25/08/2012). Ma nel leggere il decreto (firmato dal ministro dell'ambiente a maggio) bisogna tener conto di quanto del dl 83/2012, convertito nella legge 134/2012, che dispone la sospensione del termine di operatività del Sistri e dei conseguenti adempimenti per le imprese.
L'art. 52, comma 1, della legge n. 134 prevede, infatti, che il termine di entrata in operatività del Sistri è sospeso (...) non oltre il 30.06.2013, unitamente a ogni adempimento informatico relativo. Il successivo comma 2 dispone, che «con decreto del ministro dell'ambiente è fissato il nuovo termine per l'entrata in operatività del Sistri e, sino a tale termine (...) è altresì sospeso il pagamento dei contributi dovuti dagli utenti per l'anno 2012».
In base al dl, la sospensione del Sistri va a braccetto con la sospensione del pagamento del contributo.
Ma perché il decreto ministeriale del 25.05.2011 introduce inutilmente il termine del 30 novembre? La ragione è in un comunicato stampa del 20 aprile del ministero dell'ambiente che annuncia che lo stesso «sta procedendo a una revisione del sistema Sistri in modo da semplificare e rendere più efficienti le procedure» e «nell'ambito di questo lavoro (_) è stato concordato un differimento al 30.11.2012 del termine per il pagamento dei contributi per l'anno in corso, che scadeva il 30 aprile prossimo».
Il termine del 30 novembre è stato, quindi, inserito nel dm del 25 maggio. Per effetto però dell'art. 52, comma 2 della legge n. 134, l'entrata in operatività del Sistri sarà affidata a un nuovo decreto ministeriale, che rimuoverà anche la sospensione del pagamento del contributo. A meno che non intervenga in materia una nuova legge che possa superare quanto disposto dall'art. 52, comma 2 citato (articolo ItaliaOggi del 28.08.2012).

VARI: Fotovoltaico, bonus con distinguo. Incentivi differenziati per kWh ceduti o autoconsumati. Ai blocchi di partenza la tariffa relativa al quinto conto energia: serve la preiscrizione ai registri.
Nuova tariffa incentivante per gli impianti fotovoltaici allacciati con differenze a seconda che l'energia prodotta venga autoconsumata o ceduta in rete, necessaria preiscrizione in appositi registri a eccezione di impianti con potenza inferiore a 12 kW, quelli oltre i 12 kW ma non oltre i 20 kW seppur con una riduzione dell'incentivo del 20% o quelli fino a 50 kW laddove sostituiscano tetti in amianto.
Tariffe migliorative, infine, per impianti con determinate caratteristiche innovative e premi aggiuntivi sulla tariffa incentivante per impianti con moduli e gruppi di conversione prodotti in paesi Ue o che abbiano sostituito tetti in eternit o amianto.

Sono le principali novità del quinto conto energia così come da decreto ministeriale del 5 luglio entrate, in vigore dal 27.08.2012.
Resta l'incognita delle risorse messe a disposizione dal governo (6,7 miliardi di euro di incentivi) che potrebbero terminare molto prima dei cinque semestri previsti dal decreto: la corsa contro il tempo è appena iniziata.
La nuova tariffa: omincomprensiva o premiale. A partire dalla data odierna, il meccanismo della tariffa incentivante subirà forti cambia-menti rispetto al passato. Il decreto ministeriale del 5 luglio infatti ha diviso la stessa in due grandi blocchi: la omnicomprensiva e la premiale. Mentre nel primo caso trattasi di una tariffa comprensiva della rivendita dell'energia prodotta a un prezzo fisso oltre che della tariffa incentivante, nel secondo si fa riferimento a un premio per l'energia prodotta consumata dall'utente alla quale si dovrà evidentemente sommare il risparmio per il mancato acquisto della stessa (si veda la tabella in pagina).
Da ciò deriva un chiaro vantaggio per tutti coloro che intendano consumare l'energia prodotta vale a dire per i piccoli impianti domestici o per quelli sopra i fabbricati di imprese industriali il cui fine ultimo non è certo quello di rivendere energia quanto di consumarla. Tenendo a mente che acquistare energia ha un costo medio che si aggira intorno ai 20 centesimi per KWh e che l'incentivo di un impianto di 5 kW è pari a 11,4 centesimi, si avrebbe un beneficio totale di 31,4 centesimi, somma quest'ultima ben maggiore rispetto ai 19,6 centesimi previsti dalla tariffa omnicomprensiva.
Va da sé dunque che, per impianti non eccessivamente grandi il periodo di payback dell'impianto sarà molto più basso nel primo piuttosto che nel secondo caso: la realizzazione di un grande impianto fotovoltaico invece, seppur vanterà una tariffa incentivante più bassa, godrà di un prezzo di realizzazione per kW molto più conveniente il che renderebbe l'investimento ugualmente attraente o, addirittura, di maggior appeal.
L'iscrizione in appositi registri. L'altra importante novità del quinto conto energia riguarda la preiscrizione in appositi registri per l'installazione di nuovi impianti fotovoltaici. Anche sotto tale aspetto, il nuovo conto energia sembrerebbe agevolare fortemente gli impianti di piccola taglia a discapito di quelli più grandi: al fine dell'ottenimento degli incentivi infatti, la prescrizione non sarà obbligatoria solamente per coloro che intendano allacciare un impianto con potenza minore di 12 kW, per coloro il cui impianto abbia una potenza maggiore di 12 kW ma non superiore a 20 kW e che, allo stesso tempo, rinuncino al 20% degli incentivi previsti e in ultimo, per coloro i cui impianti raggiungano una potenza fino a 50 kW ma che vadano a sostituire tetti in amianto.
Coloro invece che dovranno effettuare la suddetta preiscrizione, si troveranno di fronte a delle importanti limitazioni. Il decreto evidenzia infatti un limite quantitativo ed uno temporale: quello quantitativo prevede che il primo registro avrà un limite di costo di 140 milioni di euro, il secondo di 120 milioni ed i successivi di 80 milioni sino al limite di costo del quinto conto energia (700 milioni). Il limite temporale invece fa riferimento al fatto che ciascun registro potrà essere aperto non prima di sei mesi dall'apertura del precedente.
Sulla base di tali limitazioni, diventerà dunque fondamentale conoscere i criteri di priorità con cui accedere alle graduatorie. Nell'ordine, impianti su edifici con classe energetica D o superiore in sostituzione di coperture in eternit o amianto, impianti su edifici con classe energetica D o superiore, impianti su edifici in sostituzione di coperture in eternit o amianto, impianti che utilizzino componentistica Ue/See, impianti realizzati in siti contaminati, impianti realizzati su terreni del demanio militare, impianti realizzati in discariche esaurite, in cave dismesse, su miniere esaurite, impianti con potenza sino a 200 kW asserviti ad attività produttive, impianti realizzati nell'ordine su edifici, su serre, su pergole, su tettoie, su pensiline e su barriere acustiche (articolo ItaliaOggi Sette del 27.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

SICUREZZA LAVORO: La cartella sanitaria è d'obbligo. Rischia l'arresto il medico che non inserisce e aggiorna i dati. Lo prevede il T.u. sicurezza per i lavoratori esposti a rischio. Prima scadenza il 30.06.2013.
Rischia l'arresto il medico competente che non istituisce, aggiorna e custodisce la cartella sanitaria e di rischio con riferimento ai singoli lavoratori. È entrato in vigore il 25 agosto il decreto 09.07.2012 che individua i contenuti della cartella sanitaria e le modalità di trasmissione annuale al servizio sanitario da parte dei medici competenti, come previsto dall'articolo 40 del Tu sicurezza (dlgs n. 81/2008).
Per un anno, tuttavia, vigerà un periodo transitorio che sposta la scadenza del termine della prima trasmissione dei dati (relativi al 2012) dal 31 marzo (termine ordinario) al 30 giugno 2013, e sospende la sanzione a carico dei medici inadempienti (da 1.000 a 4 mila euro).
Il medico competente. Il T.u. sicurezza definisce «medico competente» il medico in possesso di uno di titoli e requisiti, formativi e professionali indicati dallo stesso T.u., nominato dal datore di lavoro per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti previsti dalla disciplina della sicurezza sul lavoro; nonché per collaborare (sempre con il datore di lavoro) ai fini della valutazione dei rischi.
In primo luogo, dunque, il medico competente è tenuto a collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, se necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute ed integrità psico-fisica dei lavoratori, all'attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e all'organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e peculiari modalità organizzative del lavoro.
La sorveglianza sanitaria. Il medico competente, inoltre, deve programmare ed effettuare la sorveglianza sanitaria in azienda, attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati. A tal fine, deve istituire, aggiornare e custodire, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria.
Tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l'esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico competente. Alla cessazione dell'incarico professionale, è tenuto a consegnare al datore di lavoro la documentazione sanitaria in suo possesso, nel rispetto delle disposizioni sulla privacy (dlgs n. 196/2003), e con salvaguardia del segreto professionale.
Mentre alla cessazione del rapporto di lavoro deve consegnare al lavoratore copia della cartella sanitaria e di rischio, e deve fornirgli le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima. L'originale della cartella di rischio e sanitaria va conservata, nel rispetto della privacy, da parte del datore di lavoro, per almeno dieci anni, salvo il diverso termine previsto da altre disposizioni del T.u. ... (articolo ItaliaOggi Sette del 27.08.2012).

aggiornamento al 27.08.2012

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Nell'agenda di Palazzo Chigi. Previsto anche il rafforzamento della valutazione.
Statali, arriva la nuova stretta con riforma Fornero e mobilità
SINDACATI IN ALLARME/ Le organizzazioni chiedono al Governo di chiarire se nell'agenda per la crescita c'è un altro giro di vite sul pubblico impiego.

Mobilità, rafforzamento dei sistemi di valutazione delle performance. E, soprattutto, armonizzazione della riforma Fornero sul lavoro con quella del pubblico impiego entro la fine del'anno. Su queste coordinate, in parte tracciate dalla prima fase di spending review, dovrà essere orientata la partita sul pubblico impiego. Che è già considerata una delle più delicate d'autunno. Anche se il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, continua a garantire che non sarà alcun intervento invasivo. Ma la riorganizzazione degli statali resta un punto fermo anche nell'agenda del governo, che è stata stilata venerdì dal premier Mario Monti, alla fine di un lungo Consiglio dei ministri. E i sindacati sono in allarme.
«Nell'agenda sulla crescita c'è un'ulteriore stretta sugli statali che non comprendiamo bene», afferma il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Che aggiunge: l'armonizzazione della riforma del mercato del lavoro privato con quella del lavoro pubblico, ribadita dal Consiglio dei ministri di venerdì, «va chiarita fino in fondo nel confronto tra governo e sindacati». La tensione, insomma, sale. Fp-Cgil, Uil-Fpl, Uil-Pa e Ugl hanno già indetto per il 28 settembre lo sciopero generale nel pubblico impiego (al quale non aderisce la Cisl) contro le misure contenute nella prima spending review. Che, tra l'altro, prevedono la riduzione degli organici (-20% per i dirigenti e -10% per gli altri dipendenti) con la creazione, secondo le stime del governo, di 24mila esuberi.
Ma secondo la Cgil il numero degli esuberi sarà sensibilmente superiore ... (articolo Il Sole 24 Ore del 26.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: P.a., trasparenza solo a cose fatte. Per contributi sopra i 1.000 dati online a contratto siglato. L'obbligo non sembra potersi applicare prima che il provvedimento amministrativo sia formato.
Le pubbliche amministrazioni che erogano somme superiori a 1.000 euro a titolo di contratti o contributi di qualunque tipo, devono far precedere queste erogazioni dalla pubblicazione sul proprio sito internet di una serie di informazioni tra le quali il nome del beneficiario e i suoi dati fiscali; la norma o il titolo a base dell'attribuzione; l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del relativo procedimento amministrativo.
Se non vengono rispettate queste regole, le erogazioni sono illegittime e ne va di mezzo, a titolo di responsabilità patrimoniale, il funzionario che non le ha fatte rispettare. Le nuove regole previste dal decreto sviluppo scatteranno dall'01.01.2013. Ma le amministrazioni ancora non sanno se la pubblicazione va effettuata prima ancora di formare il provvedimento amministrativo alla base dell'erogazione del contributo o subito dopo.

A partire dall'01.01.2013, la norma sulla cosiddetta «amministrazione aperta» introdotta dal dl 83/2012, convertito in legge 134/2012 introduce un nuovo adempimento burocratico (nonostante sia qualificata come norma di semplificazione) di fondamentale importanza per la legittimità dei procedimenti amministrativi. Il primo periodo del comma 5 dell'articolo 18 del «decreto sviluppo» stabilisce infatti che «a decorrere dall'01.01.2013, per le concessioni di vantaggi economici successivi all'entrata in vigore del presente decreto-legge, la pubblicazione ai sensi del presente articolo costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante delle concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a 1.000 euro nel corso dell'anno solare previste dal comma 1, e la sua eventuale omissione o incompletezza è rilevata d'ufficio dagli organi dirigenziali e di controllo, sotto la propria diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per l'indebita concessione o attribuzione del beneficio economico».
Quanto stabilisce la norma apparentemente è chiaro. Ma si pone, invece, il problema di stabilire quando, in realtà, la pubblicazione vada effettuata, se cioè prima ancora di formare il provvedimento amministrativo alla base della stipulazione del contratto o dell'erogazione del contributo o dopo.
Non è una questione di poco conto, perché i dati da inserire nel portale delle amministrazioni, ai sensi del comma 2 dell'articolo 18 sono parecchi: a) il nome dell'impresa o altro soggetto beneficiario e i suoi dati fiscali; b) l'importo; c) la norma o il titolo a base dell'attribuzione; d) l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del relativo procedimento amministrativo; e) la modalità seguita per l'individuazione del beneficiario; f) il link al progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato, nonché al contratto e capitolato della prestazione, fornitura o servizio.
Molti degli elementi richiesti sono ricavabili dal provvedimento a contrattare o finalizzato alla concessione del contributo, ma ovviamente il contratto sarà disponibile solo una volta conclusa la fase di individuazione del contraente.
Letteralmente, la disposizione prevede che la pubblicazione prevista sia condizione legale di efficacia del titolo legittimante. Si deve intendere per titolo legittimante appunto il contratto o l'atto di regolazione del contributo concesso.
Pare necessario, allora, concludere che l'amministrazione possa legittimamente andare avanti con la procedura di gara o di selezione del destinatario del contributo senza pubblicare alcun dato fino alla stipulazione del contratto o dell'atto convenzionale che legittima l'erogazione (si ricorda che i provvedimenti a contrattare o che acconsentano all'erogazione costituiscono meri atti interni e non sono titoli validi per far suscitare il rapporto obbligatorio col destinatario).
L'adempimento della pubblicazione, dunque, appare potersi e doversi effettuare subito dopo la stipulazione del contratto o la formazione di altro titolo per l'erogazione (convenzione che disciplini l'erogazione di contributi, ad esempio). Solo una volta formatosi il «titolo», infatti, la sua efficacia può risultare «condizionata».
Poiché la pubblicazione prevista dall'articolo 18 del decreto sviluppo è una condizione di efficacia, il dirigente o il responsabile del procedimento materialmente non potrà, nel caso di contratti ad esempio, ordinare l'avvio della prestazione, se non si sia provveduto alla pubblicazione.
Si comprende, dunque, che l'onere burocratico ricadrà prevalentemente, a seconda di come sono organizzati gli enti, o sugli uffici che gestiscono in modo accentrato l'attività contrattuale; oppure su ciascun responsabile del procedimento, se la scelta organizzativa è quella di decentrare la gestione (articolo ItaliaOggi del 25.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Stretta Ue sulla raccolta dei rifiuti elettrici.
Aumentato l'obiettivo di raccolta dei Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee): entro l'anno 2016 bisognerà raccogliere 45 tonnellate di Raee per ogni 100 di nuovi apparecchi elettronici immessi sul mercato. Dal 2019, l'obiettivo verrà ulteriormente innalzato a 65 tonnellate su 100.
Questo è quanto prevede, la DIRETTIVA 2012/19/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 04.07.2012 pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea L 197/38 del 24.07.2012. Il provvedimento è entrato in vigore dal 13 agosto. Le nuove regole europee hanno presentato un nuovo modo di calcolare i tassi di raccolta, non più basati sui classici chilogrammi per abitante.
È invece valida la quantità di rifiuti raccolti considerando la media delle apparecchiature nei tre anni precedenti. Altra novità introdotta dalla direttiva comunitaria, il cosiddetto ritiro «uno contro zero» per i rifiuti elettronici di piccole dimensioni. I vari distributori devono in sostanza provvedere al ritiro gratuito degli apparecchi anche in assenza di un prodotto nuovo equivalente (ritiro «uno contro uno»).
Gli stati membri avranno 16 mesi di tempo per adeguarsi alle novità, che dovranno essere recepite entro il 14.02.2014 allorquando scatterà l'abrogazione della direttiva 2002/96/CE del 27.01.2003, recepita in Italia -congiuntamente alla direttiva 2002/95/CE sulla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche- attraverso il dlgs 25.07.2005, n. 151 (articolo ItaliaOggi del 25.08.2012).

CONDOMINIOI condomini fotovoltaici? Come i commercianti.
I condomini che realizzano negli spazi condominiali un impianto fotovoltaico di potenza superiore a 20 kw o che cedono, a fini commerciali, tutta l'energia prodotta con impianti fino a 20 kw, si configurano dal punto di vista fiscale come società di fatto e come tali realizzano un reddito d'impresa.
Più precisamente, poiché la realizzazione dell'impianto fotovoltaico per fini commerciali rientra tra le «Innovazioni» che i condomini possono disporre ai sensi dell'art. 1120 del codice civile «(_) dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni» sono considerati soci della società di fatto i condomini che hanno deliberato con la maggioranza richiesta dall'art. 1136 del codice civile, la realizzazione dell'investimento. Restano esclusi dalla società di fatto i condomini che non hanno approvato la decisione e che non intendono trarre vantaggio dall'investimento.
In questo caso gli stessi, sulla base di quanto disposto dall'art. 1121, primo comma, ultima parte, del codice civile «sono esonerati da qualsiasi contributo di spesa». La società di fatto tra condomini che gestisce un impianto fotovoltaico è commerciale e deve emettere fattura nei confronti del Gse, in relazione all'energia che immette in rete. Il Gse che eroga la tariffa incentivante deve operare nei confronti della società di fatto la ritenuta del 4% (art. 28 del dpr n. 600 del 1973) sulla tariffa relativa alla parte di energia immessa in rete. Ai fini delle imposte dirette e dell'Iva, la società di fatto tra condomini diventa, dunque, soggetto d'imposta autonomo e quindi è tenuto a redigere un'autonoma dichiarazione dei redditi e un'autonoma dichiarazione Iva.

Sono questi i principali chiarimenti forniti dai tecnici delle Entrate con la risoluzione 10.08.2012 n. 84/E.
Si ha una società di fatto in presenza di una intesa verbale oppure quando si ha un comportamento concludente idoneo a dimostrare l'intento collettivo delle parti di stipulare un accordo per l'esercizio di un'attività imprenditoriale. La sussistenza di un elemento oggettivo, rappresentato dal conferimento di beni o servizi finalizzato alla formazione di un fondo comune, e di un elemento soggettivo, costituito dalla comune intenzione dei contraenti di vincolarsi e di collaborare allo scopo di conseguire risultati patrimoniali comuni, identifica, infatti, un contratto sociale.
Pertanto, a prescindere dalla modalità con cui si perfeziona il contratto sociale, che può anche risultare esclusivamente da manifestazioni esteriori dell'attività di gruppo, la presenza della contemporanea sussistenza dei suddetti presupposti oggettivo e soggettivo presuppone l'esistenza di una qualunque società.
Nella fattispecie in esame sottolineano i tecnici delle Entrate, si è in presenza di un accordo che interviene tra i condomini caratterizzato da un elemento oggettivo, rappresentato dal conferimento di beni e servizi, vale a dire dall'impianto fotovoltaico e dagli spazi comuni, e da un elemento soggettivo, dato dalla comune intenzione di voler conseguire dei proventi (articolo ItaliaOggi del 25.08.2012).

CONDOMINIO: Cassazione. Quando le auto rendono difficoltoso il passaggio. Vietato il parcheggio nel viale del condominio.
La sosta nella stradina condominiale è vietata: anche se lo spazio la consentirebbe senza impedire il transito. Il parcheggio da parte di alcuni abitanti del palazzo ha l'effetto di rendere meno agevole la manovra per entrare e uscire dalle autorimesse per i condomini più ligi che usano la stradina solo per entrare o uscire dai box.

La Corte di cassazione, con la sentenza 14633, torna a censurare le abitudini e le consuetudini che hanno come effetto quello di limitare «
il pari diritto di godimento del bene comune da parte degli altri condomini».
La Suprema corte si schiera dalla parte dei condomini più disciplinati e respinge le proteste di quelli più permissivi, secondo i quali «il vialetto veniva da anni pacificamente utilizzato sia per la sosta che per il transito delle vetture, in quanto la sua larghezza consentiva entrambi gli usi». Per gli appartenenti alla "fazione" della sosta libera non si trattava di un'occupazione stabile degli spazi comuni ma solo di un uso «eventuale e temporaneo».
Ma la Corte di cassazione dirime la lite di condominio in punta di codice affermando che, in base all'articolo 1102 del codice civile, «il singolo condomino può servirsi della cosa comune a patto che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto».
Una limitazione che per la Suprema corte è provata sulla base di un sopralluogo sul luogo del "crimine", disposto dal Tribunale nel corso del primo grado di giudizio. Con l'indagine in loco si era, infatti, appurato che la manovra per entrare e uscire dal garage era meno agevole, ed era inoltre indispensabile mettere le macchine "a filo" per evitare i problemi che potevano sorgere in caso di affiancamento di due vetture.
Per i giudici solo la restituzione del bene alla sua destinazione naturale (il passaggio), consente il pari godimento a tutti gli abitanti (articolo Il Sole 24 Ore del 25.08.2012).

ENTI LOCALI - VARI: Piano «bis» anti-burocrazia. Controlli semplificati sulle imprese, taglio degli oneri del 30-40%.
VIA I VISTI «LOCALI» - Regioni e Comuni dovranno ridurre le autorizzazioni per le attività produttive sotto la sorveglianza diretta di Palazzo Chigi.
STRETTA SUGLI STATALI - Si punta all'armonizzazione della riforma Fornero con quella del pubblico impiego. Maggiore spinta alla mobilità per i dipendenti in esubero.

Un nuovo sistema semplificato di controlli sulle imprese, fondato sulla "proporzionalità". Completamento anche a livello regionale, comunale e provinciale del processo di liberalizzazione delle attività produttive, con la soppressione di visti, nulla-osta e autorizzazioni, su cui vigilerà direttamente la presidenza del Consiglio. Rivisitazione della Scia e riduzione dei costi per la costituzione di Srl. Taglio degli oneri burocratici e di almeno il 30-40% degli adempimenti a carico di cittadini e, soprattutto, imprese. Ulteriore accelerazione della fase attuativa del decreto Semplifica-Italia e varo in tempi rapidi del regolamento sull'autorizzazione ambientale unica per le Pmi. Sono questi gli assi portanti della fase 2 delle semplificazioni amministrative, che dovrà contribuire a dare una significativa spinta alla crescita.
Il pacchetto è stato messo a punto dal ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, in collaborazione con i titolari di altri dicasteri, a cominciare dal ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera. L'obiettivo è velocizzare il più possibile la macchina burocratica, fissando tempi certi per le procedure, e diminuire gli adempimenti e gli oneri a carico degli utenti, a partire dalle imprese. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 25.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARI: Anagrafi via pec, in tribunale per le false dichiarazioni.
Dal 9 maggio scorso è più facile effettuare una pratica anagrafica anche per via telematica con pec e firma digitale. Ma è anche possibile finire in tribunale per false dichiarazioni se l'interessato dichiara situazioni dolosamente artificiali per eludere i controlli del comune in materia di iscrizioni anagrafiche.

Lo ha ribadito la polizia municipale di Torino con la circolare 12.07.2012 n. 83.
La sbandierata semplificazione in materia di iscrizione anagrafica interferisce anche con i compiti della polizia municipale, da sempre tradizionalmente dedicata ad approfondire la conoscenza dei nuovi residenti con sopralluoghi dedicati al reperimento sul campo delle informazioni necessarie. Con il dl 5/2012, convertito nella legge 35/2012, a decorrere dal 9 maggio si sono però invertiti i termini dell'intervento dei vigili. Non più sopralluoghi preventivi per verificare la reale compatibilità della richiesta con lo stato dei fatti ma successivi. L'ufficiale d'anagrafe ha infatti a disposizione 45 giorni per procedere alle verifiche del caso da effettuarsi, d'ora in poi, successivamente alla registrazione anagrafica.
In buona sostanza mentre prima l'anagrafe attendeva il resoconto degli informatori per procedere con la registrazione anagrafica dal 9 maggio la procedura è stata invertita. Per meglio dettagliare le incombenze della polizia locale il comando torinese ha quindi diramato una circolare ad hoc. I cittadini possono inoltrare la richiesta anche a mezzo fax o per via telematica mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata e della firma digitale.
L'ufficiale d'anagrafe entro due giorni lavorativi registra le dichiarazioni e richiede alla polizia municipale gli opportuni accertamenti. All'esito di queste verifiche potranno però nascere delle brutte sorprese per i furbi. Specifica infatti la nota torinese che in caso di dichiarazioni mendaci scatterà la denuncia dell'interessato alla procura della repubblica per i reati previsti dall'art. 76 del dpr 445/2000 ovvero falsa attestazione a pubblico ufficiale ex art. 495 cp.
Attenzione a farsi trovare in casa dai vigili per evitare il rigetto delle richieste. Spiega infatti la circolare che dopo tre passaggi negativi della polizia urbana la pratica sarà rigettata. Ma prima sarà inviato all'interessato un preavviso di rigetto (articolo ItaliaOggi del 24.08.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Esuberi indolore negli enti locali. Polillo: puntare sui prepensionamenti. Bilanci locali oscuri. Il sottosegretario al Mef mette in guardia: molti comuni stanno diventando la Grecia d'Italia.
Esuberi senza «macelleria sociale» negli enti locali. I 13 mila dipendenti di troppo che andranno sfoltiti dagli organici di regioni, comuni e province saranno per gran parte («oltre la metà») individuati tra coloro che stanno per maturare i requisiti per il prepensionamento.
I conti comunque si faranno a fine anno, quando il governo con dpcm individuerà il «giusto» livello medio delle dotazioni organiche degli enti territoriali e chiederà alle amministrazioni che si pongono al di sopra di questa asticella di virtuosità di non assumere più personale (se lo sforamento supera il 20%) o dare corso ai tagli (se lo sforamento supera il 40%). In attesa di conoscere come verranno spalmati i 24 mila esuberi preventivati dall'esecutivo per tutto il pubblico impiego, il consiglio ai comuni è di «limitare il più possibile le assunzioni, soprattutto quelle fatte in modo surrettizio attraverso le partecipate».
La reale tenuta dei bilanci locali preoccupa, e non poco, il sottosegretario all'economia, Gianfranco Polillo, secondo cui la ricetta per accendere i riflettori su alcune «gestioni allegre al limite del default» è solo una: istituire un organismo indipendente di certificazione dei bilanci. Perché l'idea, lanciata in un'intervista a ItaliaOggi (il 13 luglio scorso) dal presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, di ripristinare i controlli preventivi di legittimità, pur essendo «sacrosanta», è di difficile attuazione «in quanto richiederebbe una modifica costituzionale». Mentre un freno va posto subito visto che «molti enti locali sono diventati la Grecia d'Italia» ... (articolo ItaliaOggi del 24.08.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Dividendi di efficienza congelati. Impossibile investire le risorse nei fondi per la produttività. La legge 135 tenta di rilanciare i premi individuali. Ma per gli enti non ci sono molti margini.
La spending review rende sostanzialmente impossibile investire nei fondi contrattuali per la produttività le risorse ottenute da misure di risparmio adottate dalle pubbliche amministra ai sensi dell'articolo 16, comma 5, del dl 98/2011.
La disposizione prevede che per effetto di piani triennali di riorganizzazione e riqualificazione della spesa «eventuali economie aggiuntive effettivamente realizzate rispetto a quelle già previste dalla normativa vigente», possano utilizzarsi annualmente, per non oltre il 50% destinandole alla contrattazione integrativa, a condizione che per almeno il 50% siano destinate ai premi di produttività, secondo le fasce regolate dall'articolo 19 del dlgs 150/2009. Aggiunge l'articolo 16, comma 5 che, tali risorse «sono utilizzabili solo se a consuntivo è accertato, con riferimento a ciascun esercizio, dalle amministrazioni interessate, il raggiungimento degli obiettivi fissati per ciascuna delle singole voci di spesa previste nei piani di cui al comma 4 e i conseguenti risparmi. I risparmi sono certificati, ai sensi della normativa vigente, dai competenti organi di controllo».
Il dl 95/2012, convertito in legge 135/2012 tenta di rilanciare la possibilità di incrementare le risorse del bilancio destinandole a premi individuali, all'articolo 5, comma 11-quinquies, che costituisce una sorta di sperimentazione per ripristinare la mai attuata valutazione per fasce.
Il problema, tuttavia, consiste nel fatto che non vi sono sostanzialmente margini per dare corso ai piani di riorganizzazione e riqualificazione della spesa, in modo da ricavare economie da riversare in parte alla contrattazione. Non deve sfuggire che tali economie debbono essere «aggiuntive» rispetto a quelle fissate dalla legislazione vigente. Per fare solo due esempi, ciò significa che il piano dovrebbe prevedere una riduzione della spesa per il parco macchine superiore al 50% rispetto al 2011, oppure una riduzione dei buoni pasto a una cifra inferiore ai 7 euro, due tra le misure di recente introdotte dalla spending review.
Fin qui, l'applicazione dell'articolo 16, comma 5, del dl98/2011 non pare abbia avuto molta fortuna, sia perché richiede l'attivazione delle fasce di valutazione (invise ai sindacati), sia perché l'operazione di recupero di risparmi ulteriori a quelli già imposti dalla legge è molto complicata. Ma, la spending review rende i piani di riqualificazione della spesa ancora più complessi. Infatti, al di là di puntuali interventi, come nell'esempio dei buoni pasto, la legge 135/2012 prevede per gli enti locali tagli rilevantissimi ai servizi intermedi. Per le province, per esempio, si parla di 1,5 miliardi di tagli tra il 2012 e il 2013, una media di 10 milioni di taglio a provincia, mediamente il 15% del totale dei loro bilanci.
Si comprende che tra i tagli puntuali a singole voci di spesa previsti dalla legge e ancor maggiori limitazioni alle spese per servizi intermedi dovute ai fortissimi tagli ai trasferimenti ai fondi statali, margini per ulteriori risparmi di spesa da riversare alla contrattazione sostanzialmente non ve ne sono o sarebbero soltanto simbolici.
Insomma, la differenziazione delle retribuzioni di risultato di dirigenti e dipendenti privi di qualifica dirigenziale che il legislatore vorrebbe attivare con l'articolo 5, comma 11-quinquies, del dl 95/2012, convertito in legge 135/2012 pare da subito un'arma spuntata, destinata a restare solo enunciazione di principio (articolo ItaliaOggi del 24.08.2012).

ENTI LOCALI: Superbiciclette per i comuni. Pronto uno stock di 1.000 esemplari a pedalata assistita. Un bando del ministero dell'ambiente punta a incentivare la mobilità sostenibile negli enti.
Parte la sperimentazione del prototipo di bicicletta a pedalata assistita ad alto rendimento e a emissioni zero, denominato «e-bike zero» e sviluppato da Ducati Energia.
L'avviso del ministero dell'ambiente consente ai comuni di beneficiare di uno stock di 1.000 prototipi di bicicletta e di fondi per sperimentarne l'utilizzo.
Obiettivo del bando è rafforzare e integrare le azioni di mobilità sostenibile già adottate dai comuni per ridurre l'inquinamento atmosferico e la congestione derivante dal traffico veicolare, diffondere la cultura della mobilità sostenibile e l'utilizzo di mezzi di trasporto a impatto ambientale nullo per gli spostamenti quotidiani dei cittadini nonché aggiornare gli strumenti di pianificazione della mobilità nelle città. I comuni dovranno manifestare il proprio interesse alla sperimentazione entro il 30.09.2012
Fino a 100 bici per ciascun comune. Per attuare la sperimentazione, il ministero mette a disposizione dei comuni un totale di 1.000 biciclette a pedalata assistita, le quali saranno assegnate in lotti da dieci unità. Il numero minimo di biciclette assegnabili a ciascun comune è pari a 10, mentre il numero massimo è pari a 100.
Fondi per 1,2 milioni di euro a sostegno della sperimentazione. Oltre ad assegnare i prototipi di bicicletta, il ministero stanzia fondi per 1,2 milioni di euro destinati a cofinanziare i costi direttamente legati alle attività di sperimentazione e sviluppo di servizi che utilizzano il prototipo di bicicletta a pedalata assistita. I fondi saranno assegnati nella misura di 1.200 euro per ciascuna bicicletta assegnata.
Il contributo servirà a coprire i costi per la realizzazione degli info points, costi del personale dei comuni impiegato nella sperimentazione, costi delle attrezzature, dei materiali, delle strumentazioni anche tecnologiche utilizzate per la realizzazione a livello locale della sperimentazione. Inoltre potrà coprire i costi di comunicazione e disseminazione anche via web, costi del personale per le attività amministrative e di supporto tecnico, costi del personale per le attività di analisi, ricerca e monitoraggio delle azioni per tutta la fase di sperimentazione. Infine finanzierà i costi del personale per le attività di formazione tecnica specialistica e i costi di assicurazione dei prototipi.
Beneficiari i comuni sopra 30 mila abitanti. Possono presentare manifestazione di interesse i comuni con una popolazione pari o superiore a 30 mila abitanti che siano riconosciuti come comuni capoluogo di aree metropolitane ai sensi dell'art. 22 del dlgs 18.08.2000, n. 267 oppure non siano riconosciuti come comuni capoluogo di aree metropolitane ai sensi dell'art. 22 del dlgs 18.08.2000, n. 267 ma siano comunque individuati dalle regioni e dalle province autonome nelle liste di zona e di agglomerati nelle quali il livello di uno o più inquinanti eccedano il valore limite aumentato del margine di tolleranza.
Inoltre, i comuni devono aver già partecipato ai progetti predisposti dal ministero e da Anci per il monitoraggio degli interventi di tipo ambientale e in favore della mobilità sostenibile sul territorio nazionale. La manifestazione di interesse deve essere corredata dalla delibera di giunta comunale con la quale il comune delibera l'interesse a partecipare alla sperimentazione.
Possibile destinare le bici al personale comunale o a servizi di bike sharing. Nella manifestazione di interesse i comuni dovranno indicare i servizi, i soggetti o le figure professionali cui saranno assegnate le biciclette. Si potrà scegliere tra area politico-istituzionale quali sindaci, assessori, agenti di polizia municipale, dipendenti comunali; area socio-culturale quali rappresentanti delle associazioni, fondazioni, organizzazioni; area professionale quali manager, direttori di banca, rappresentanti delle associazioni di categoria; area istruzione quali direttori, presidi, rettori, professori; area servizi inteso come servizio di bike sharing; altro (articolo ItaliaOggi del 24.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Paletti ai gruppi unipersonali. Ammessi solo se il consigliere è l'unico eletto di una lista. La materia è regolata dal Tuel che però lascia spazio all'autonomia organizzativa degli enti.
Quali norme regolano la costituzione dei gruppi consiliari?

La materia dei gruppi consiliari è regolata dalle apposite norme statutarie e regolamentari, adottate dai singoli enti locali nell'ambito dell'autonomia organizzativa dei consigli, riconosciuta espressamente agli stessi dall'art. 38, comma 3, del Tuel n. 267/2000. In linea di principio sono ammissibili i mutamenti che possono sopravvenire all'interno delle forze politiche presenti in consiglio comunale, per effetto di dissociazioni dall'originario gruppo di appartenenza, comportanti la costituzione di nuovi gruppi consiliari, ovvero l'adesione a diversi gruppi esistenti.
Tuttavia, sono i singoli enti locali, nell'ambito della propria potestà di organizzazione, i titolari della competenza a dettare norme, statutarie e regolamentari, nella materia e le relative problematiche dovrebbero trovare adeguata soluzione nella specifica disciplina di cui l'ente stesso si è dotato.
Nel caso di specie, la questione riguarda la possibilità di un consigliere di tornare ad appartenere ad un gruppo i cui tre componenti, compreso lo stesso, dopo averlo regolarmente costituito ai sensi delle norme statutarie, «entro dieci giorni dalla data di convalida degli eletti», si sono determinati a costituire un gruppo diverso. Sembrerebbe, pertanto, venuto a cessare, all'interno del consiglio comunale, il gruppo originale in quanto tutti i componenti hanno costituito il nuovo gruppo consiliare.
Peraltro, nella fattispecie, lo statuto del comune prevede che, successivamente al termine su indicato, sia possibile esclusivamente «la costituzione di nuovi gruppi quando non meno di tre consiglieri si dissociano dal o dai gruppi cui avevano originariamente aderito e dichiarino di voler costituire il nuovo gruppo». Secondo le norme statutarie e regolamentari richiamate, invece, i gruppi unipersonali, per quanto riguarda l'ipotesi del consigliere che solo si è distaccato dal gruppo ultimo costituito, sarebbero ammessi solo se coincidenti con l'unico consigliere eletto in una lista, mentre non potrebbe costituire un gruppo l'unico consigliere che rappresenti la lista dopo il distacco degli altri componenti.
Non è, invece, consentita, nel corso della consiliatura, come nel caso di specie, la costituzione di un gruppo formato da una sola persona, qualora lo statuto preveda che «è consentita la costituzione di un gruppo misto, se a comporlo siano almeno tre consiglieri».
In tal caso «il singolo consigliere che fuoriesca dal gruppo di appartenenza ha una sola alternativa: confluire in altro gruppo costituito, ma non può autonomamente formare un nuovo gruppo consiliare» (Tar Sicilia–Palermo sentenza n. 1462 del 2003).
Peraltro, in relazione alla mancata previsione di costituire gruppi c.d. unipersonali, la giurisprudenza ha ritenuto legittima la norma regolamentare che prevede un numero minimo di componenti per la formazione di un gruppo nell'ambito del consiglio comunale, rientrando dunque, nella scelta discrezionale dello stesso consiglio stabilire il minimum necessario per la costituzione del gruppo (Tar Sicilia ult.cit.).
Solo il consiglio comunale, nella sua autonomia e in quanto titolare della competenza a dettare le norme cui conformarsi in tale materia, è abilitato a fornire un'interpretazione autentica delle proprie norme statutarie e regolamentari (articolo ItaliaOggi del 24.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

VARI: Grupponi in bici solo in sicurezza. I Trasporti: servono le luci e i campanelli.
Sono fuori legge i gruppi di ciclisti in tenuta sportiva che circolano affiancati sulle strade carrabili con biciclette da corsa e mountain bike senza dispositivi di segnalazione visiva e campanelli. Una deroga particolare è infatti prevista dal codice stradale solo in caso di competizioni agonistiche ma non certo per le passeggiate domenicali turistiche.

Lo ha chiarito il Mintrasporti con il parere 01.08.2012 n. 4447 di prot..
È una doccia fredda per gli appassionati delle due ruote a pedali che specialmente nei fine settimana scorazzano in lungo e in largo su tutte le strade della Penisola non sempre con comportamenti molto corretti. L'associazione nazionale camperisti di Firenze ha infatti richiesto chiarimenti circa la legittimità di queste pedalate e in particolare sulle dotazioni minime che devono essere applicate alle biciclette e alle regole di comportamento da osservare.
Ai sensi dell'art. 68 del codice stradale, specifica innanzitutto il ministero, i velocipedi devono essere muniti anteriormente e posteriormente di luci. Ma anche di catadiottri posteriori, laterali e sui pedali anch'essi debitamente omologati ai sensi dell'art. 224 del regolamento stradale. Solo quando i velocipedi sono utilizzati durante competizioni sportive non trova applicazione questa disposizione, prosegue la nota. E con strade chiuse al traffico ben vengano pure i gruppi dei ciclisti in fuga verso il traguardo.
Attenzione però al corretto comportamento sulle strade aperte al traffico. L'art. 182 del codice specifica che i ciclisti in questo caso devono procedere su unica fila in tutti i casi in cui le condizioni della circolazione lo richiedano e comunque mai affiancati in numero superiore a due. Quando circolano fuori dai centri abitati i ciclisti devono sempre procedere su unica fila, prosegue la nota, «salvo che uno di essi sia minore di anni dieci e proceda sulla destra dell'altro».
In ogni caso i ciclisti quando circolano in promiscuo con altri veicoli sono tenuti a rispettare le norme di comportamento previste dal titolo V del codice, in quanto applicabili. Ovvero fermarsi ai semafori, agli incroci e dare la precedenza dove previsto. Per cambiare direzione o corsia, conclude la nota ministeriale, anche i ciclisti devono assicurarsi di non creare pericolo segnalando in anticipo le proprie intenzioni (articolo ItaliaOggi del 22.08.2012).

ENTI LOCALI: Lucro sulle sanzioni stradali. Porta chiusa per i privati.
L'importo che può essere erogato dai comuni per il noleggio di sistemi autovelox non può mai essere collegato al numero delle sanzioni accertate e neppure a quello delle multe riscosse.

Lo ha ribadito il ministero dei trasporti con il parere 25.06.2012 n. 3639 di prot..
La questione dell'ingerenza dei privati nella gestione dei proventi sanzionatori è ancora molto dibattuta a causa delle frequenti irregolarità riscontrate sul campo con contratti capestro a percentuale decisamente vietati dalla legge.
Nonostante le sonore e ripetute bocciature di questa pratica ci sono ancora dubbi tra gli operatori di settore e per questo il ministero dei trasporti ha divulgato ulteriori istruzioni. Con la direttiva del Viminale del 14.08.2009 la questione delle modalità di intervento dei privati nelle pratiche autovelox è già stata chiaramente trattata. L'esercizio dell'attività di controllo spetta esclusivamente alla polizia stradale che deve avere la gestione e la disponibilità anche dei sistemi elettronici per il controllo del traffico.
Al paragrafo 5.3 della nota 14.08.2009, viene inoltre specificamente trattata anche la questione del corrispettivo da erogare in caso di locazione degli strumenti. Questo importo deve essere sempre commisurato al costo delle operazioni effettuate o in funzione del tempo di utilizzo delle apparecchiature e non alle sanzioni eventualmente riscosse.
Del resto la stessa legge 120/2010, in vigore definitivamente dal 13.08.2010, specifica all'art. 61 che agli enti locali è consentita l'attività di accertamento strumentale delle violazioni al decreto legislativo n. 285 del 1992 soltanto mediante strumenti di loro proprietà o da essi acquisiti con contratto di locazione finanziaria o di noleggio a canone fisso, da utilizzare ai fini dell'accertamento delle violazioni esclusivamente con l'impiego del personale dei corpi e dei servizi di polizia locale.
Da quanto sopra, conclude la nota in commento, «appare evidente come il legislatore, nel richiamare il noleggio a canone fisso quale modalità di acquisizione degli strumenti da utilizzare ai fini degli accertamenti delle violazioni al codice della strada, abbia volutamente escluso la possibilità di utilizzare il sistema a percentuale applicata ai proventi sanzionatori, a fronte del corrispettivo da elargire per il noleggio dei medesimi strumenti» (articolo ItaliaOggi del 21.08.2012).

APPALTI: L'impresa bara? Un sito lo scopre. Le p.a. verificano le autocertificazioni. Con un sito internet.  Il portale, realizzato da InfoCamere, consente l'accesso diretto ai dati del Registro Imprese.
Il servizio per la verifica delle autocertificazioni delle imprese da parte delle pubbliche amministrazioni è attivo. Le amministrazioni pubbliche hanno a disposizione un nuovo portale https://verifichepa.infocamere.it, che consente loro di controllare la veridicità delle dichiarazioni sostitutive ricevute dalle imprese e dalle persone, relativamente ai dati contenuti nel registro delle imprese.
Le p.a. che necessitano di verificare, a campione o sistematicamente, le autocertificazioni prodotte dalle imprese e dai cittadini, possono trovare immediata risposta tramite questo servizio telematico anziché rivolgersi alla Camera di commercio competente. Il sito VerifichePA è stato realizzato da InfoCamere per conto delle Cciaa per rispondere a quanto stabilito dall'art. 15 della legge n. 183/2011 (legge di Stabilità 2012), che ha sancito il principio della «decertificazione».
Questa norma ha previsto che dall'01.01.2012 i certificati rilasciati dalla pubbliche amministrazioni, relativi a stati, qualità personali e fatti siano validi ed utilizzabili solo nei rapporti tra privati e, pertanto, le stesse p.a. devono acquisire d'ufficio tutti i dati in possesso delle altre amministrazioni pubbliche, senza chiederle direttamente all'interessato.
Il servizio, oltre a fornire documenti che attestano la veridicità delle dichiarazioni sostitutive fornisce elenchi di caselle Pec delle società di persone e di capitale, secondo quanto previsto dall'art. 6, comma 1-bis, del dlgs n. 82/2005 (Codice dell'amministrazione digitale). In particolare, il sito «verifichepa.infocamere.it» consente agli utenti abilitati, di ottenere due tipologie di informazioni:
- documento di verifica autocertificazione;
- elenchi di Pec.
Tra i documenti disponibili non è compreso quello antimafia. Per accedere al sito occorre registrarsi fornendo gli estremi della propria p.a. (il codice Ipa e posta elettronica certificata, Pec). Le p.a. che vorranno accedere ai dati delle Camere di commercio in cooperazione applicativa, in base a quanto previsto dal Cad, dovranno sottoscrivere con InfoCamere una diversa Convenzione.
Per usufruire del servizio, completamente gratuito, bisogna:
- essere iscritti all'Indice delle pubbliche amministrazioni (Ipa);
- inserire, tramite le pagine del sito, i dati anagrafici del soggetto incaricato, l'ente di riferimento e l'indirizzo Pec depositato all'Ipa;
- trasmettere al Call Center, via fax, il modulo cartaceo scaricato dal sito, compilato e sottoscritto, accompagnato dalla copia di un documento di identità valido dopo aver ricevuto, alla propria casella Pec, le credenziali per l'accesso, accettare via web le condizioni di utilizzo specifiche del servizio (articolo ItaliaOggi del 21.08.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Pubblico impiego. Per invertire la rotta si punta sulla flessibilità dei meccanismi di valutazione prevista dalla spending review.
Produttività e premi, sfida d'autunno per la Pa.
ADDETTI IN CALO/ La Corte dei conti certifica la diminuzione di 124.700 unità tra il 2007 e il 2010 A ottobre via al confronto sui 24mila esuberi in agenda.

Il Governo sarà probabilmente celebrato per tanti obiettivi che verranno raggiunti con il primo ciclo di spending review ma non passerà alla storia per i nuovi interventi sul pubblico impiego. Semplicemente perché, in questo campo, i "risultati storici" sarebbero già stati acquisiti anche senza l'ultimo decreto. Parlano i numeri messi in fila dalla Corte dei conti in maggio: tra il 2007 e il 2010 i dipendenti pubblici sono calati di 124.700 unità (-3,4%). In quei quattro anni in Germania sono aumentati del 3% e in Spagna dell'11%, mentre in Francia e Regno Unito la flessione dello 0,5% è arrivata dopo anni di incrementi consistenti.
Se si allunga lo sguardo al decennio 2001-2010, con l'ausilio delle statistiche Ocse si scopre che solo in Italia e Portogallo il numero dei dipendenti pubblici si è ridotto (da noi del 4,4%, da 3,67 milioni a 3,51). Mentre in Irlanda, Grecia e Spagna la crescita è stata attorno al 30%, del 10% nel Regno Unito e in Belgio, del 5,1% in Francia e del 2,5% in Germania. Che cosa succederà entro fine legislatura? Nell'ultima Relazione annuale al Parlamento sullo stato della Pa dello scorso novembre, Renato Brunetta ha indicato un calo di addetti di oltre 300mila unità tra il 2008 e il 2013 (-8,4%). Si vedrà.
Tavolo d'autunno
Il tavolo che si aprirà in autunno per la gestione dei tagli alle dotazioni organiche è naturalmente molto importante. E la partita che su quel tavolo dovrà giocare il ministro Filippo Patroni Griffi sarà cruciale. Secondo i calcoli -prudenziali per i sindacati- della relazione tecnica alla spending review, in ballo ci sarebbero 24mila addetti (11mila delle Pa centrali e 13 mila degli enti territoriali) da avviare al pensionamento anticipato oppure alla mobilità collettiva in vista di un possibile trasferimento ad amministrazioni in penuria di personale.
Ma la stessa relazione non stima i risparmi conseguibili, preferendo rinviare la verifica a cosa fatte, vale a dire al 2014-2015. Anche qui, però, non c'è da aspettarsi più di un miglioramento al margine. Perché gli obiettivi più grandi sono già stati colti. È sempre la Corte dei conti a rilevarlo: nel 2011 la spesa per redditi da lavoro dipendente è scesa dell'1,2% (-0,8% in termini di cassa) a 170,05 miliardi, facendo segnare la prima inversione di tendenza dal 1998.
Contratti e turn over
La spesa per stipendi è passata dall'11,1 al 10,8% del Pil. Il perché è noto: il blocco del turn over e della contrattazione, i limiti alla crescita dei trattamenti individuali e la stretta sui fondi unici di amministrazione che hanno di fatto azzerato lo slittamento salariale. Questi motori, a legislazione invariata, continueranno a funzionare fino al 2014 –anno del sostanziale allineamento tra la dinamica delle retribuzioni pubbliche con quelle private– con cali di spesa dello 0,6% quest'anno, dello 0,5% nel 2013 e dello 0,1% l'anno dopo. Se i contratti verranno sbloccati si prevede un rialzo dello 0,5% nel 2015, anno in cui la massa salariale dell'intera Pa scenderebbe però sotto il 10% del Pil.
Dobbiamo credere in queste previsioni, contenute nel Documento di economia e finanza firmato da Mario Monti lo scorso aprile? L'Istat dice di sì, visto che negli ultimi dieci anni lo scostamento tra le previsioni del governo con i suoi dati a consuntivo ha avuto oscillazioni comprese tra gli 8 e i 2 milioni, su un aggregato di 170 miliardi di euro. E come siamo messi nelle classifiche europee sulla spesa per i dipendenti pubblici? Ai primi posti, con un incidenza pari al 23,2% del totale della spesa corrente del 2010, solo la Germania e i Paesi Bassi hanno fatto meglio nell'Ue a 27, con un 17,8% e un 21,6 per cento.
La produttività perduta
Il gap che resta da colmare con gli altri Paesi riguarda la produttività. Calcolata in termini di costo del lavoro per unità di prodotto (clup), è in costante calo dal 2003, passata dal 4 all'1,5% sul Pil, e dopo la ripresina del 2009 (4,1%) è precipitata sotto il 2 per cento. Una Pa efficiente ovviamente eleva la produttività totale dei fattori e il Pil potenziale. Su questo terreno le classifiche internazionali (Ocse, Eurostat, Banca mondiale) si sprecano.
Tutte fotografano il ritardo italiano e la convergenza è unanime nelle indicazioni di policy: serve una premialità selettiva basata su merito e performance e serve più formazione. Anche qui siamo indietro: l'ultimo Rapporto sulla formazione fatto dalla Scuola superiore della Pa –ha ricordato recentemente Luciano Hinna, ex membro della Commissione indipendente per la valutazione e la trasparenza (Civit)– dice che nel 2009, per le sole Pa centrali, sono stati investiti 141 milioni (lo 0,65% della massa salariale), in Francia si investe circa il 6% e in Germania il 4,4.
In questo contesto non bisogna abbassare la guarda sul fronte della valutazione delle performance degli uffici, obiettivo che la spending review ha rilanciato: «Noi in giugno avevamo allertato il governo che in troppe amministrazioni centrali non erano state effettuate le valutazioni individuali previste dalla riforma Brunetta», spiega Romilda Rizzo, presidente della Civit. Lo stop, oltre alla mancanza di risorse da redistribuire, era legato alla rigidità della vecchia norma, che prevedeva una premialità su tre fasce, con l'ultima di fatto costretta a rinunciare a risorse accessorie.
«Ora la previsione normativa è che non meno del 10% del personale, dirigente e non, se supera gli obiettivi di performance potrà contare su un trattamento accessorio maggiorato del 10-30% –ricorda Rizzo–. C'è maggiore flessibilità e semplicità per la misurazione degli obiettivi, che devono essere specifici, ripetibili, ragionevolmente realizzabili e collegati a scadenze temporali. Ora vediamo come andrà ma mi sembra la strada giusta» (articolo Il Sole 24 Ore del 21.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO - VARI: La Suprema corte sulla giusta causa. Licenziato l'impiegato maleducato di carattere.
Rischia il licenziamento il dipendente che con il suo comportamento danneggia l'immagine dell'azienda presso i clienti esterni.

La Corte di Cassazione, con la sentenza 14575, si allinea ai giudici di merito che avevano considerato legittima la massima punizione nei confronti dell'impiegata di una società che forniva servizi in materia di proprietà intellettuale per l'Ufficio italiano brevetti e marchi di Roma.
A far scattare il licenziamento erano state in primo luogo le "dimenticanze" della ricorrente che, sistematicamente, ometteva di riferire al suo datore di lavoro le segnalazioni che l'Ufficio brevetti faceva sulle imprecisioni riscontrate nelle pratiche eseguite dalla Spa.
Non paga della sua "reticenza" la dipendente aveva un comportamento «scorretto e imbarazzante, offensivo nei confronti di dirigenti e impiegati»: un pessimo carattere che la portava a non fare discriminazioni e a essere maleducata sia con i colleghi sia con i clienti.
Inevitabile il licenziamento, disposto soprattutto per il danno all'immagine provocato alla società dalle inadempeinze e dalle intemperanze dell'impiegata, accusata anche di essere poco collaborativa con i colleghi, tanto da deteriorare il clima lavorativo.
La sezione lavoro avalla il licenziamento ampliando così la casistica di quello che si può o non si può fare all'interno del posto di lavoro.
Con la sentenza 10426, del luglio scorso, gli stessi giudici della Suprema corte erano stati più clementi verso un lavoratore a cui era sfuggito un "vaffa" al capo, liquidato come «mera intemperanza verbale, non seguita da altri comportamenti scorretti e inidonea a dimostrare una volontà di insubordinazione o di aperta insofferenza nei confronti del potere disciplinare e organizzativo del datore di lavoro».
Nel marzo 2011 (sentenza 6500) la sezione lavoro aveva deciso di farla passare liscia anche a due colleghi che si erano azzuffati. Troppo severa la misura del licenziamento per «un diverbio litigioso che, seppur acceso, non aveva degenerato né aveva dato luogo ad un blocco della produzione» (articolo Il Sole 24 Ore del 21.08.2012).

ENTI LOCALI - VARI: Semafori laser ancora in stand by. Mancano le norme attuative alla legge 120/2010. Ferme le tabelle countdown e i pannelli velocità.
Regolarizzazione dei semafori laser, delle tabelle countdown e dei pannelli luminosi installati a lato della strada per indicare la velocità dei veicoli. Accertamenti relativi alla guida con droghe.
Sono questi gli aspetti più rilevanti della riforma del codice stradale persi nel cammino ovvero che a distanza di due anni dall'entrata in vigore della legge n. 120 del 29.07.2010 attendono disposizioni di attuazione per diventare concretamente operativi.
Semafori laser e tabelle countdown. Doveva essere adottato entro il 12.10.2010 ma non è ancora stato emanato il decreto ministeriale per definire le caratteristiche per l'omologazione e l'installazione degli impianti di regolazione della velocità, degli impianti che si attivano al rilevamento della velocità dei veicoli in arrivo e dei dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici.
Quindi, per la regolarizzazione si dovrà attendere quanto meno il 2013, considerato che le disposizioni di cui all'art. 60 della legge n. 120/2010 si applicheranno decorsi sei mesi dalla data di adozione del decreto ministeriale.
Recentemente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il parere 04.07.2012 n. 3925 di prot., ha ribadito che, in assenza del decreto attuativo, tutte le postazioni attive e troppo creative non sono conformi alla normativa stradale e pertanto vanno spente.
Pannelli luminosi della velocità. Anche se l'art. 7 della legge n. 120/2010 ha ammesso la regolamentazione dei pannelli luminosi che segnalano all'utenza la velocità dei veicoli in transito, questi strumenti restano tuttora fuori legge. Infatti, in assenza delle regole tecniche necessarie all'omologazione dei modelli, queste installazioni risultano essere al momento ancora non conformi al codice della strada. Ciò è stato ribadito più volte nel corso degli ultimi mesi dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti. E non è detto che gli impianti esistenti possano poi essere regolarizzati. Gli enti che impiegano i tabelloni possono incorrere in responsabilità amministrative e civili e ingenerare inutili contenziosi con l'utenza stradale.
Guida con droghe. La riforma stradale introdotta dalle legge n. 120 del 29.07.2010 ha voluto potenziare l'utilizzo dei precursori, ovvero strumenti portatili non invasivi facilmente manovrabili, per l'accertamento della guida con droghe. Le disposizioni dell'art. 187 del codice della strada, come modificato dalla legge n. 120/2010, prevedono che se l'accertamento preliminare ha dato esito positivo ovvero la polizia ha comunque ragionevole motivo di ritenere che il conducente è alterato dalla droga, il personale medico può procedere ad accertamenti clinico-tossicologici ovvero a prelievo di campioni di mucosa del cavo orale.
Però manca ancora all'appello il decreto ministeriale che deve definire le modalità di effettuazione degli accertamenti e le caratteristiche degli strumenti da impiegare. Lo stesso decreto potrà prevedere e disciplinare gli accertamenti sulla guida drogata anche su campioni di fluido del cavo orale, anziché su campioni di mucosa.
Il ministero dell'interno con la circolare 16.03.2012 n. 300/A/1959/12/109/56, ha confermato che il prelievo veloce in strada della saliva all'automobilista sospettato di guida alterata dalla droga non è ancora stato approvato dal ministero e pertanto non ha pieno valore legale. Ma ora tutte le procedure di accertamento potrebbero essere rimesse in discussione dai disegni di legge C 4662 e C 5361 all'esame della camera.
Multe a rate. Per quanto riguarda il pagamento rateizzato delle sanzioni per le multe stradali, pur non essendo stato ancora emanato il decreto ministeriale di attuazione, il ministero dell'interno con la circolare n. 6535 del 22.04.2011 ha precisato che l'art. 202-bis è già direttamente applicabile. Pertanto, per le sanzioni di importo superiore a 200 euro l'interessato può chiedere, entro 30 giorni, la ripartizione del pagamento in rate mensili, qualora si trovi in condizioni economiche disagiate.
La presentazione dell'istanza preclude la facoltà di ricorrere al prefetto o al giudice di pace. Entro novanta giorni l'autorità deve adottare un provvedimento di accoglimento o di rigetto. In caso di accoglimento della richiesta il pagamento può essere ripartito fino a 60 rate, con l'applicazione di interessi. L'ammontare di ciascuna rata comunque non può essere inferiore a 100 euro.
Il beneficio decade in caso di mancato pagamento della prima rata o successivamente di due rate.
Contrassegno invalidi. Grazie alla riforma stradale del 2010, si erano poste le basi per adottare il contrassegno uniforme europeo per la sosta dei disabili. Infatti, l'art. 58 della legge n. 120 del 29.07.2010 aveva modificato l'art. 74 del decreto legislativo n. 196 del 30.06.2003 (codice in materia di protezione dei dati personali), sopprimendo il divieto di usare diciture o simboli, dai quali si possa desumere la speciale natura dell'autorizzazione per effetto della sola visione del contrassegno.
Queste nuove disposizioni, in vigore dal 13.08.2010, avevano eliminato gli ostacoli normativi all'adozione in Italia del contrassegno europeo per invalidi. Finalmente, a distanza di due anni, è stato recentissimamente firmato il decreto del presidente della repubblica che introduce nell'ordinamento interno il contrassegno invalidi comunitario, apportando modifiche all'art. 381 del regolamento di esecuzione e attuazione del codice della strada. Il nuovo «contrassegno di parcheggio per disabili» sarà conforme al modello previsto dalla raccomandazione del consiglio dell'Unione europea del 04.06.1998.
Sul modello di colore azzurro chiaro, con il simbolo bianco della sedia a rotelle su fondo azzurro scuro, saranno trascritti e apposti la data di scadenza, il numero di serie e il nome e il timbro dell'autorità nazionale che rilascia il contrassegno e nella parte retrostante, non visibile, il nominativo e la fotografia del soggetto autorizzato.
Entro tre anni dall'entrata in vigore del dpr i vecchi modelli di contrassegno invalidi dovranno essere sostituiti dal nuovo contrassegno salvo che i comuni stabiliscano un periodo inferiore a tre anni. Durante il periodo transitorio i permessi invalidi già rilasciati resteranno validi. Si attende ora solo la pubblicazione del dpr sulla Gazzetta Ufficiale.
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Dal 2013 proventi autovelox da ripartire.
Scatterà dal 2013 l'obbligo dell'attesa ripartizione dei proventi autovelox con tutta la filiera burocratica connessa. Il comma 16 dell'art. 4-ter del decreto legge n. 16/2012, inserito in sede di conversione dalla legge n. 44/2012, in vigore dal 29.04.2012, ha introdotto un automatismo specificando che anche in mancanza dell'atteso decreto necessario per avviare la ripartizione e la rendicontazione dei proventi (frutto della riforma stradale di agosto 2010) il meccanismo antiabusi entrerà ugualmente in vigore.
La ripartizione dei proventi autovelox riguarderà gli accertamenti alle violazioni dei limiti di velocità rilevati dagli organi di polizia stradale sulle strade appartenenti a enti diversi da quelli dai quali dipendono gli organi accertatori.
Le somme derivanti dalla ripartizione dei proventi delle sanzioni dovranno essere destinate alla realizzazione di interventi mirati, preventivamente individuati dalla legge.
Inoltre, sarà necessario relazionare annualmente al ministero, entro il 31 maggio, tutte le infrazioni stradali accertate nel corso dell'anno precedente, con particolare attenzione all'autovelox. Una criticità dell'impianto normativo riguarda la data esatta dalla quale decorrono questi nuovi obblighi.
L'Anci, con una nota interpretativa, ha affermato che il dies a quo per il calcolo dei novanta giorni che daranno il via all'automatismo si calcola dal 29.04.2012, data di entrata in vigore della legge n. 44/2012. In tal caso, dunque, l'obbligo di ripartizione dei proventi e tutta la burocrazia connessa decorrono dal 29.07.2012. O meglio a partire dall'esercizio finanziario immediatamente successivo, cioè dall'01.01.2013. Infatti, secondo l'Anci la novella non ha abrogato il comma 3° dell'art. 25 della legge 120/2010.
Questa disposizione consente di rinviare all'esercizio finanziario dell'anno 2012 tutte le novità in materia di autovelox con conseguente obbligo di relazione annuale procrastinato al 31.05.2014 (articolo ItaliaOggi Sette del 20.08.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Decreto sviluppo. L'obiettivo delle nuove norme è creare un'interfaccia «globale» che dialoghi con cittadini e professionisti.
Front-office unico per l'edilizia. Lo sportello comunale dovrà ottenere tutti gli assensi dalle altre Pa coinvolte.
LE CRITICITÀ/ L'allargamento delle competenze pone una sfida organizzativa non trascurabile a molte realtà locali.

Varie sono le novità, formali e sostanziali, che l'articolo 13 della legge 134/2012, di conversione del decreto sviluppo 83/2012, ha apportato alla disciplina dello sportello unico per l'edilizia (Sue), del quale sono ridefinite e rafforzate le funzioni, sia nei confronti del cittadino, che delle altre amministrazioni. Il fatto che lo sportello debba acquisire direttamente gli atti di assenso dalle altre amministrazioni, comunque, porrà anche una sfida organizzativa di non poco conto per molti uffici, chiamati ad attrezzarsi per affrontare le nuove incombenze, senza però poter contare su maggiori risorse.
All'articolo 5 del Dpr 380/2001 viene innanzitutto aggiunto il comma 1-bis, in forza del quale il Sue costituisce da oggi il solo front-office per il privato, essendo «l'unico punto di accesso» al quale il soggetto interessato da una pratica dovrà rivolgersi «in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti il titolo abilitativo e l'intervento edilizio oggetto dello stesso».
A rimarcare la peculiarità della funzione svolta dal Sue, lo stesso comma stabilisce inoltre che sia questo l'ufficio tenuto a fornire al cittadino una «tempestiva risposta» alle sue istanze «in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni», che possono essere a vario titolo coinvolte nel procedimento. A questo fine, ricalcando le previsioni relative al responsabile del procedimento (articolo 6, legge 241/1990), la norma dispone che il Sue, anche attraverso l'indizione di conferenza di servizi, debba acquisire gli atti di assenso eventualmente necessari e che debbano essere rilasciati dalle Pa preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e storico-artistica o alla tutela della salute e della pubblica incolumità.
Il comma lascia comunque espressamente inalterate le competenze dello sportello unico per le attività produttive, così come definite dal regolamento approvato col Dpr 160/2010.
Viene aggiunto anche il comma 1-ter, che ribadisce l'unicità delle attribuzioni del Sue, che diviene l'unico ufficio competente a intrattenere rapporti col soggetto interessato e a trasmettergli qualunque comunicazione.
Ogni altro ufficio comunale o Pa interessata dal procedimento dovrà inoltrare «immediatamente» al Sue eventuali atti autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche a contenuto negativo, comunque denominati, senza avere rapporti diretti col cittadino, al quale dovrà in ogni caso comunicare di avere trasmesso allo sportello la documentazione che lo interessa.
Ulteriori modifiche riguardano l'abrogazione del comma 4, i cui contenuti vengono in parte trasfusi nel nuovo comma 3, che ridefinisce l'attività istruttoria dell'ufficio e tende a escludere qualunque obbligo di produzione di certificati da parte del cittadino, in coerenza con le disposizioni in tema di decertificazione; finalità rimarcata anche dalle modifiche introdotte all'articolo 20, comma 3, ove non si prevede più che il richiedente possa autonomamente allegare alla domanda per il rilascio del permesso di costruire pareri o altri atti di assenso.
Spetta dunque unicamente allo sportello l'acquisizione –diretta o tramite conferenza di servizi– degli atti di assenso, comunque denominati, necessari alla realizzazione dell'intervento edilizio.
Tra questi, oltre ai pareri della Asl e dei Vigili del fuoco, già previsti dalle lettere a) e b) dell'originario comma 3, vengono ricompresi quelli delle nuove lettere da c) a m), che ricalcano le previsioni contenute nelle lettere da a) a i) del soppresso quarto comma.
In particolare, sarà compito del Sue acquisire: dagli uffici tecnici regionali le autorizzazioni relative alle costruzioni in zone sismiche di cui agli articoli 61, 62 e 94 del Testo unico e dall'amministrazione militare quelle relative alle costruzioni nelle zone di salvaguardia contigue a opere di difesa dello Stato o a stabilimenti militari, nei Comuni militarmente importanti, ai sensi dell'articolo 333 del Dlgs 66/2010.
Le ulteriori autorizzazioni che il Sue, ove necessario, è tenuto ad acquisire sono quelle del direttore della circoscrizione doganale, nei casi di costruzione, spostamento o modifica di edifici posti nelle zone di salvaguardia in prossimità della linea doganale e del mare territoriale (articolo 19, Dlgs 374/1990), nonché quelle dell'autorità competente per le costruzioni su terreni confinanti con il demanio marittimo (articolo 55, Codice della navigazione).
Lo sportello unico dovrà inoltre acquisire gli atti di assenso necessari per l'esecuzione di interventi edilizi su immobili assoggettati a vincoli da parte del Codice dei beni culturali e del paesaggio –fermo restando che, in caso di dissenso manifestato dall'amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali, si procede ai sensi del medesimo Codice (articolo 25, Dlgs 42/2004)– nonché il parere vincolante della Commissione per la salvaguardia di Venezia, ai sensi dell'articolo 6, legge 171/1973.
Di competenza dello sportello è infine l'acquisizione di:
- parere dell'autorità competente in materia di assetti e vincoli idrogeologici;
- assensi in materia di servitù viarie, ferroviarie, portuali e aeroportuali;
- nulla osta dell'autorità competente in materia di aree naturali protette, ai sensi dell'articolo 13 della legge quadro 394/1991 ... (
articolo Il Sole 24 Ore del 20.08.2012).

aggiornamento al 20.08.2012

PUBBLICO IMPIEGOPermessi disabili, le ferie non riducono i tre giorni. Il Welfare: nessun riproporzionamento in caso di assenze giustificate.
La malattia (o la maternità o il permesso sindacale o le ferie o le festività) non riduce il diritto ai tre giorni di permesso mensili per assistenza a familiari disabili (legge n. 104/1992). Infatti, qualora in uno stesso mese si trovi a fruire anche di altre assenze «giustificate» perché riconosciute per legge, il lavoratore ha comunque diritto a fruire dei tre giorni di permesso mensili in quanto aventi natura, funzione e caratteri diversi.

Lo precisa il Ministero del lavoro nell'interpello 01.08.2012 n. 24/2012, spiegando che il riproporzionamento dei giorni di permesso scatta invece in caso di prima richiesta nel corso del mese.
Interpello. L'interpello, presentato da Federambiente (federazione italiana servizi pubblici igiene ambientale), concerne le modalità di fruizione dei tre giorni mensili di permesso retribuiti previsti dall'articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992. Si tratta, spiega il ministero, del diritto spettante al coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. In particolare, è stato chiesto al ministero del lavoro:
● se sia legittimo un eventuale riproporzionamento del diritto ai tre giorni di permesso in base alla prestazione lavorativa effettivamente svolta, qualora il dipendente fruitore dei permessi abbia legittimamente beneficiato di altre tipologie di permessi o di congedi a lui spettanti (quali, per esempio, permesso sindacale, maternità facoltativa, maternità obbligatoria, malattia, congedo straordinario invalidi ecc.) e si sia, pertanto, assentato dal lavoro durante il mese di riferimento;
● se il dipendente che inoltri domanda di riconoscimento del diritto ai tre giorni di permesso per la prima volta nel corso del mese (ad esempio, il giorno 19) abbia diritto al riproporzionamento o il diritto ai tre giorni spetti comunque in misura intera.
Quando non c'è riproporzionamento. Nelle ipotesi in cui il dipendente, nel corso del mese, fruisca di altri permessi, quali ad esempio permesso sindacale, maternità, malattia, il ministero non ritiene giustificabile il riproporzionamento del diritto, in quanto trattasi comunque di assenze «giustificate», riconosciute per legge come diritti spettanti al lavoratore.
L'intento di garantire alla persona con disabilità grave una assistenza morale e materiale adeguata, anche attraverso la fruizione, da parte di colui che la assiste, dei permessi mensili, spiega il ministero, non sembra possa subire una menomazione a causa della fruizione di istituti aventi funzione, natura e caratteri diversi.
Quando c'è il riproporzionamento. Viceversa, aggiunge il ministero, nella diversa ipotesi in cui il dipendente presenti istanza per la prima volta nel corso del mese (per esempio nel giorno 19), appare evidentemente possibile operare un riproporzionamento del numero dei giorni mensili di permesso spettanti.
In tal caso, aggiunge il ministero, il riproporzionamento avviene in base ai criteri indicati dall'Inps (circolare n. 128/2003 si veda ItaliaOggi del 12.07.2003), secondo cui viene concesso un giorno di permesso ogni dieci giorni di assistenza continuativa e, per periodi inferiori a dieci giorni, non si ha diritto a nessuna giornata (articolo ItaliaOggi del 18.08.2012).

ENTI LOCALI:  Autunno caldo per gli enti locali. Bonus Patto, poi riordino province e tagli a consumi e organici. Pubblicata in G.U. la spending review, scatta la fase attuativa con un fitto calendario di scadenze.
Sarà un autunno caldo quello che attende gli enti locali. Dopo la pubblicazione della legge n. 135/2012 di conversione del dl 95 sulla spending review, sta per scattare la fase attuativa delle numerose disposizioni che toccano l'assetto organizzativo, la finanza e le funzioni di province e comuni.
I primi provvedimenti sono attesi subito dopo la pausa estiva.
Entro il 10 settembre, infatti, le regioni dovranno ripartire i bonus destinati ad alleggerire gli obiettivi del Patto di stabilità interno. Sul piatto ci sono 800 milioni di euro di incentivi, per aggiudicarsi i quali i governatori dovranno mettere a disposizione di sindaci e presidenti almeno 960 milioni di spazi finanziari.
C'è tempo fino al 30 settembre, invece, per raggiungere in Conferenza stato-città e autonomie locali un accordo sulla ripartizione dei nuovi tagli al fondo sperimentale di riequilibrio ed ai residui trasferimenti erariali, che per il 2012 valgono complessivamente 500 milioni per i comuni e altrettanti per le province. A tal fine, si dovrà tenere conto delle analisi della spesa effettuate dal commissario Bondi, nonché (solo per i comuni) degli elementi di costo nei singoli settori merceologici, dei dati raccolti nell'ambito della procedura per la determinazione dei fabbisogni standard e dei conseguenti risparmi potenziali di ciascun ente.
Se non si troverà una quadra, la ripartizione verrà operata entro il 15 ottobre da un decreto del ministero dell'interno in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l'anno 2011, dal Siope.
Tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre entrerà nel vivo anche la complessa partita relativa al riordino delle province, che dovrà essere operato sulla base dei due criteri (popolazione non inferiore a 350 mila abitanti e superficie non inferiore a 2.500 kmq) fissati dalla deliberazione del consiglio dei ministri del 20 luglio scorso. E proprio la data di pubblicazione di tale provvedimento sulla G.U., ovvero il 24 luglio, rappresenta il riferimento per le successive scadenze.
Entro 70 giorni, quindi entro il 2 ottobre, i Consigli delle autonomie locali (o, in mancanza dei Cal, gli altri organi regionali di raccordo tra regioni ed enti locali) dovranno approvare un'ipotesi di riordino relativa alle province ubicate nel territorio della rispettiva regione, inviandola alla regione medesima entro il giorno successivo. Entro i 20 giorni successivi (quindi, al più tardi entro il 23 ottobre), le regioni dovranno trasmettere al governo una proposta di riordino, formulata sulla base dell'ipotesi elaborata dal competente cal; in mancanza di quest'ultima, le regioni dovranno comunque provvedere autonomamente entro il 24 ottobre. Infine, toccherà all'esecutivo, al quale è imposto un termine di 60 giorni dalla data di entrata in vigore della l 135 (8 agosto), che scade il 7 ottobre e che, non essendo coordinato con gli altri momenti procedurali, va inteso come ordinatorio (si veda ItaliaOggi del 7/8/2012).
Non è chiaro, inoltre, che forma avrà l'«atto legislativo di iniziativa governativa» che dovrà chiudere il procedimento: se, come pare, si tratterà di un disegno di legge, servirà anche un passaggio parlamentare (per questo il governo starebbe pensando a un decreto legge, ma si tratta di una soluzione problematica dal punto di vista costituzionale, si veda ItaliaOggi dell'11/08/2012).
Completato il riordino, occorrerà procedere alla redistribuzione delle funzioni (che in gran parte passeranno ai comuni) e di beni e risorse umane, strumentali e finanziarie: a tal fine, si procederà con una serie di dpcm da adottare entro 60 e 180 giorni dall'entrata in vigore del dl 95 (avvenuta, lo ricordiamo, il 6 luglio): anche in tal caso, pertanto, si ritiene trattarsi di termini ordinatori.
Sempre con dpcm, ma entro il 31 dicembre, si procederà, invece, a definire i parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, sulla base dei quali dovranno essere definiti i margini di manovra di ogni amministrazione sulla gestione del rispettivo personale.
Ha invece effetto immediato l'obbligo di attenersi alle convenzioni Consip o a quelle stipulate dalle centrali di committenza regionali, anche se sono fatte salve le procedure di gara il cui bando sia stato pubblicato precedentemente alla data di entrata in vigore del dl 95.
La stretta sulle spese per le locazioni passive (con riduzione del 15% dei canoni attuali) andrà a regime dall'01.01.2015, ma scatta fin da subito il blocco degli adeguamenti Istat, che durerà fino al 2014 compreso.
Tempi più lunghi per gli interventi sulle società strumentali, ma occorre mettersi al lavoro fin da subito perché quelle che non riusciranno a beneficiare delle deroghe previste in sede di conversione del dl 95 dovranno essere dimesse entro il 30.06.2013 con alienazione delle partecipazioni da parte degli enti controllanti o, in mancanza, sciolte entro il successivo 31 dicembre.
Dal 1° ottobre, infine, è operativo il tetto ai buoni pasto, che non potranno superare il valore giornaliero di 7 euro, mentre il nuovo taglio alle spese per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi diverrà operativo nel 2013 (articolo ItaliaOggi del 17.08.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOConcertazione sugli esuberi. Torna il confronto amministrazione-sindacati. La legge 135 porta a 30 giorni il tempo per definire le modalità di reimpiego.
È da considerare di trenta e non dieci giorni dall'informazione alle organizzazioni sindacali il tempo a disposizione delle amministrazioni pubbliche per definire le modalità per reimpiegare il personale in esubero.
Le relazioni sindacali sulle procedure per la rilevazione degli esuberi del personale alle dipendenze della pubblica amministrazione sono rese particolarmente incerte dalla «spending review» (il dl 95/2012 convertito nella legge 135/2012 pubblicata nel Supplemento ordinario n. 173 allegato alla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14.08.2012) che gioca un cattivo scherzo alle amministrazioni, complicando non di poco il sistema per giungere alla determinazione dei casi di eccedenza dei dipendenti, a causa della classica modifica normativa non coordinata con disposizioni precedenti.
Il cortocircuito procedimentale è dovuto all'articolo 2, comma 18, lettera b), della legge 135/2012, che inserisce nell'articolo 6, comma 1, del dlgs 165/2001, il seguente periodo: «Nei casi in cui processi di riorganizzazione degli uffici comportano l'individuazione di esuberi o l'avvio di processi di mobilità, al fine di assicurare obiettività e trasparenza, le pubbliche amministrazioni sono tenute a darne informazione, ai sensi dell'articolo 33, alle organizzazioni sindacali rappresentative del settore interessato e ad avviare con le stesse un esame sui criteri per l'individuazione degli esuberi o sulle modalità per i processi di mobilità. Decorsi trenta giorni dall'avvio dell'esame, in assenza dell'individuazione di criteri e modalità condivisi, la pubblica amministrazione procede alla dichiarazione di esubero e alla messa in mobilità».
La norma, come si vede, richiama l'articolo 33 del dlgs 165/2001, ma non si coordina con esso. La spending review, nella sostanza, reintroduce nel citato articolo 33 una fase di confronto tra amministrazioni pubbliche e sindacati che la legge 183/2011, modificando appunto l'articolo 33, aveva eliminato.
Infatti, il testo vigente dell'articolo 33, commi 4 e 5, dispone che laddove sia individuato personale in esubero, il dirigente responsabile deve dare un'informativa preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto o area; trascorsi dieci giorni da detta informativa, scattano le azioni per ricollocare il personale all'interno del medesimo ente o in altre amministrazioni.
La modifica all'articolo 6, comma 1, del dlgs 165/2001 rende, però, di fatto inoperante la previsione del comma 5 dell'articolo 33. Infatti, aggiunge indirettamente alla procedura ivi descritta l'obbligo, conseguente all'informazione preventiva, di attivare un esame congiunto, per concordare, laddove possibile, come individuare gli esuberi e come attivare la mobilità (cioè i trasferimenti) del personale interessato.
Trattandosi di una disposizione tendente a valorizzare la funzione dei sindacati, la novellazione dell'articolo 6, comma 1, del dlgs 165/2001 deve essere intesa come prevalente sull'articolo 33, comma 5. Insomma, la sola informazione preventiva ed il decorso dei dieci giorni non possono più bastare per legittimare le azioni di ricollocazione del personale in esubero. I sindacati hanno un diritto pieno all'esame congiunto, anche se non possono pretendere di avere l'ultima parola.
L'esame congiunto è nella sostanza una procedura di concertazione della durata di 30 giorni, al termine della quale se sindacati ed amministrazione non concordino con criteri per gli esuberi e modalità per porvi rimedio, comunque il potere decisionale ultimo resta all'amministrazione, che potrà agire in via unilaterale (articolo ItaliaOggi del 17.08.2012 - link a www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ La rinuncia anticipata da parte del primo dei non eletti è inefficace. Dimissioni subito operative. Ma per il subentro serve la delibera di surroga.
Qual è il presupposto giuridico per l'adozione del provvedimento di surrogazione?

L'articolo 38, comma 8, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, prevede che le dimissioni dalla carica di consigliere devono essere presentate personalmente ed assunte immediatamente al protocollo dell'ente nell'ordine temporale di presentazione. In alternativa, le dimissioni non presentate personalmente devono essere autenticate ed inoltrate al protocollo per il tramite di persona delegata con atto autenticato in data non anteriore a cinque giorni.
Esse sono irrevocabili, non necessitano di presa d'atto e sono immediatamente efficaci. Il consiglio, entro e non oltre dieci giorni, deve procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari, con separate deliberazioni, seguendo l'ordine di presentazione delle dimissioni quale risulta dal protocollo.
Ad avviso del Tar Lombardia (sentenza 28.02.2006, n. 245), «l'abdicazione dalla carica di consigliere comunale, seppure immediatamente operativa, è logicamente e cronologicamente distinta dal subentro del primo dei candidati non eletti, che si realizza con l'adozione di un atto consequenziale e subordinato entro il termine di legge», rappresentando il presupposto giuridico per l'adozione dell'ulteriore provvedimento di surrogazione.
Dunque, la lettera dell'art. 38 del Tuel è sufficientemente chiara nel disporre che «lo status di consigliere si acquista, in caso di dimissioni, quale effetto immediato della deliberazione di surrogazione da parte dell'organo consiliare, la cui adozione è peraltro preceduta dalla verifica, normativamente prevista, dell'assenza di eventuali cause di ineleggibilità e di incompatibilità alla carica» (Tar ult. cit.).
Tale premessa permette di comprendere meglio e di condividere quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui, la dichiarazione di indisponibilità resa dal primo dei non eletti anticipatamente rispetto all'adozione della delibera di surrogazione deve ritenersi priva di ogni effetto, non potendo egli disporre di un munus di cui ancora non è investito. Pertanto, ogni anticipata rinuncia a quel diritto non può che essere radicalmente inefficace (Tar Lazio, Latina, 05.05.2006, n. 651).
Per quanto riguarda la surroga del consigliere dimessosi, si fa rilevare che dalla lettura dell'art. 45 del dlgs n. 267/2000 non si evincono dubbi interpretativi sull'individuazione del successore, in quanto la norma stabilisce che «il seggio che rimanga vacante è attribuito al candidato che nella medesima lista segue immediatamente l'ultimo eletto».
Si soggiunge che il vigente ordinamento non prevede poteri di controllo di legittimità sugli atti degli enti locali in capo all'amministrazione dell'interno, pertanto gli eventuali vizi di legittimità degli atti adottati, potranno essere fatti valere solo nelle competenti sedi giurisdizionali, secondo le consuete regole vigenti in materia (articolo ItaliaOggi del 17.08.2012).

aggiornamento al 16.08.2012

VARISenza pista ciclabile occhio al semaforo.
Se il ciclista pedala fuori dalla sede stradale ordinaria deve omologare il suo comportamento a quello degli altri utenti deboli presenti sul tracciato. In particolare nel caso di piste ciclopedonali agli incroci dovrà osservare le lanterne semaforiche dedicate ai pedoni oppure quelle riservate alle biciclette sulle piste ciclabili, se installate. In mancanza di piste e tracciati riservati agli utenti a pedali anche il ciclista osserverà le normali regole del traffico veicolare e dovrà quindi fermarsi al semaforo a fianco dei mezzi a motore.
Lo ha chiarito il Ministero dei Trasporti con il parere 04.07.2012 n. 3936 di prot..
La questione dell'arresto dei ciclisti ai semafori pedonali è stata oggetto di interpretazioni contrastanti a seguito di un precedente parere del ministero dell'01.06.2012. In pratica in questa nota d'inizio estate l'organo centrale di coordinamento tecnico del codice stradale evidenziava la necessità per tutti i ciclisti di osservare agli incroci (senza piste ciclabili con semafori ad hoc) le indicazioni delle lanterne semaforiche pedonali.
La questione ha subito suscitato clamore tra gli addetti ai lavori e per questo il ministero è tornato sul punto articolando meglio la precedente risposta. Nel caso di piste ciclabili con tanto di attraversamento dedicato possono essere impiegate lanterne semaforiche speciali per velocipedi. Ma si tratta di esperienze ancora poco diffuse sul territorio nazionale.
Più comunemente in Italia i velocipedi circolano in promiscuo con gli altri veicoli oppure sulle piste ciclopedonali assieme ai pedoni. Solo in questo caso i ciclisti sono tenuti ad attraversare gli incroci sugli attraversamenti pedonali, anche in sella alla bicicletta, osservando le indicazioni delle lanterne semaforiche (articolo ItaliaOggi del 15.08.2012).

CONDOMINIOGiardino, area destinata a parcheggio.
«La delibera assembleare di destinazione a parcheggio di un'area di giardino condominiale, interessata solo in piccola parte da alberi di alto fusto e di ridotta estensione rispetto alla superficie complessiva, non dà luogo a una innovazione vietata dall'art. 1120 cod. civ., non comportando tale destinazione alcun apprezzabile deterioramento del decoro architettonico, né alcuna significativa menomazione del godimento e dell'uso del bene comune, e anzi, da essa derivando una valorizzazione economica di ciascuna unità abitativa e una maggiore utilità per i condòmini».
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sent. n. 15319/2011, inedita) (articolo ItaliaOggi del 15.08.2012).

ATTI AMMINISTRATIVIUna frenata ai documenti inutili. In ogni atto pubblico lista degli oneri per cittadini e imprese. Dopo l'ok del Consiglio di stato il dpcm è in dirittura. Obbligatorio il referente dei reclami.
Un responsabile a cui i cittadini possano inoltrare i reclami contro provvedimenti amministrativi, circolari e regolamenti ministeriali. I quali dovranno essere sempre pubblicati sui siti internet delle p.a. allo scopo di rendere trasparenti tutti gli oneri informativi gravanti sui cittadini e sulle imprese, introdotti o eliminati con gli atti medesimi.
È ormai in dirittura il dpcm attuativo dell'articolo 7, comma 2, della legge 11.11.2011, n. 180, vale a dire lo Statuto delle imprese, che punta a responsabilizzare le amministrazioni dello Stato per evitare oneri sproporzionati rispetto alle esigenze di tutela degli interessi pubblici e a rendere immediatamente conoscibili ai cittadini e alle imprese questi adempimenti.
Il Consiglio di stato, con il parere 19.07.2012 n. 3326, ha dato il via libera al decreto, con una serie di spunti e suggerimenti di integrazione del testo. Gli oneri informativi toccati dal provvedimento sono tutti quegli adempimenti che comportino la raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione.
In parole povere, carte e documenti da girare agli uffici. Con riferimento, dunque, a ogni regolamento o provvedimento amministrativo, il cittadino dovrà sapere se tali atti introducono o riducono gli oneri in questione, mentre in relazione alle modalità di presentazione dei reclami, la legge 180 e il dpcm specificano che si tratta di un tassello essenziale ai fini della valutazione degli eventuali profili di responsabilità dei dirigenti preposti agli uffici interessati. Insomma, chi non risponde, paga.
Nei quattro articoli del decreto si stabiliscono i criteri e le modalità di pubblicazione delle informazioni sui siti istituzionali, grazie a una apposita sezione denominata «oneri informativi» introdotti ed eliminati e individuando i soggetti responsabili dell'allegazione, dell'istruttoria e della pubblicazione. L'articolo 3 riguarda invece le modalità di presentazione dei reclami, e prescrive la pubblicazione sul sito dei riferimenti del responsabile del trattamento reclami, nonché la casella di posta elettronica a cui scrivere, e l'obbligo di inoltrare i reclami anche all'Ispettorato della funzione pubblica per il previsto monitoraggio.
Entro nove mesi dell'entrata in vigore del regolamento scatterà una valutazione sulle modalità di attuazione delle disposizioni, dopo aver sentito le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale, allo scopo eventualmente di rivedere e integrare lo stesso regolamento. Il giudizio di palazzo Spada sul dpcm è «sostanzialmente positivo», ma non mancano osservazioni sullo schema di regolamento, e non solo di forma. Il parere suggerisce ad esempio di fare riferimento alla pubblicazione dei regolamenti ministeriali o interministeriali, dei provvedimenti amministrativi a carattere generale ma anche di circolari e atti di indirizzo, ai quali allegare l'elenco degli oneri informativi introdotti o eliminati.
Altro suggerimento, precisare che il regolamento si applica soltanto alle amministrazioni dello Stato e specificare meglio la natura di «onere informativo», intendendo con esso qualunque adempimento previsto per determinate categorie di cittadini o imprese o per le generalità degli stessi, di raccogliere, elaborare, conservare, produrre e trasmettere dati, notizie, comunicazioni, relazioni, dichiarazioni, istanze e documenti alle p.a., anche su richiesta di queste ultime, a determinate scadenze o con periodiche cadenze.
Ovviamente non rientrano tra gli oneri informativi gli obblighi di natura fiscale, né quelli che discendono dall'adeguamento di comportamenti, di processi produttivi o di prodotti. Da sottolineare infine come ai giudici di palazzo Spada sembrino non piacere gli anglicismi. E così, il termine checklist andrebbe sostituito con «lista di controllo», «box» con «quadro» ed help desk con «ufficio per la semplificazione amministrativa del Dipartimento della funzione pubblica» (articolo ItaliaOggi del 14.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI:  Comunità montane salve come unioni. Dopo anni di tentativi di soppressione la spending review ribalta tutto. E le regioni si adeguano.
Le comunità montane cambiano pelle, ma si salvano di fatto dall'abrogazione. Anche grazie al taglio delle province. Gli enti montani potranno continuare a sopravvivere, trasformati in unioni di comuni, e avranno pure più poteri perché, sotto questa nuova veste, svolgeranno le funzioni che i minienti dovranno obbligatoriamente gestire in forma associata a partire dal 2013.
Ci ha pensato Mario Monti con la spending review a mettere in cassaforte gli enti di montagna, bersaglio cinque anni or sono del primo tentativo di riduzione dei costi della politica.
Con la Finanziaria 2008 il governo Prodi ha provato a sopprimere gli enti di montagna, ma poi la Corte costituzionale (sentenza n. 237/2009) ha affidato la competenza in materia alle regioni stabilendo che lo Stato non avesse il potere di eliminare le comunità ma tutt'al più di decretarne una morte lenta e graduale non finanziando il fondo che le alimenta.
La patata bollente è passata così ai governatori che in questi anni hanno fatto poco o nulla. A parte qualche eccezione (Basilicata, Liguria, Molise, Puglia, Toscana e Friuli-Venezia Giulia) le regioni hanno progressivamente ridotto i trasferimenti alle comunità montane senza però avere il coraggio di eliminarle del tutto o trasformarle in unioni. Tanto che, ad oggi, se ne contano ancora 161.
E mentre in alcune regioni (Piemonte e Veneto), senza l'intervento salvifico della spending review, gli enti sarebbero dovuti scomparire entro fine anno, in altre, come la Lombardia, prendere tempo alla fine ha giovato. In tutti questi anni l'assessore al bilancio del Pirellone, Romano Colozzi, non ha mai voluto saperne di staccare la spina alle comunità montane, anzi ha puntualmente compensato con 9 milioni di euro di finanziamenti regionali i contributi erariali soppressi.
C'è stato anche chi, come il Molise, è arrivato a commissariare gli enti attribuendo le loro funzioni all'ennesima agenzia regionale costituita ad hoc (con conseguente aggravio di spesa pubblica) o chi, come la Calabria, ha provato a fare lo stesso ma non ha avuto abbastanza tempo. Perché, come detto, la spending review (art. 19 del dl 95/2012 atteso oggi in G.U.) ha rimesso le cose a posto. Tanto che ieri le comunità montane hanno celebrato una loro, particolarissima, ricorrenza.
Esattamente un anno fa, il 13.08.2011, la manovra d'estate del governo Berlusconi (dl 138/2011), con una norma molto discussa (art. 16), aveva imposto ai comuni con meno di mille abitanti di mettersi insieme fondendo bilanci e funzioni. Una forzatura che secondo il presidente di Uncem Piemonte, Lido Riba, «avrebbe distrutto la montagna» e con essa «i territori marginali dove il comune è un punto fermo e gli amministratori locali sono volontari» al servizio dei cittadini.
A un anno di distanza tutto è cambiato perché il decreto sulla riduzione della spesa pubblica, pur obbligando gli enti sotto i 5.000 abitanti (o sotto i 3.000 se montani) a esercitare le funzioni fondamentali in forma associata a partire dall'anno prossimo (cominciando con tre su nove fino ad arrivare a metterle insieme tutte dal 2014, si veda tabelle in pagina), ha lasciato ampia libertà di scelta sulla forma associativa da scegliere tra unione e convenzione. Non solo. Potrebbe sembrare un paradosso, ma un punto a favore della sopravvivenza delle comunità montane potrebbe proprio arrivare dal riordino delle province. «Se con il taglio degli enti intermedi si stabilisce per esempio che le competenze in materia di risorse idrogeologiche passano ai comuni, si dovranno costituire unioni di dimensioni tali da ricomprendere un intero bacino», spiega a ItaliaOggi Enrico Borghi, presidente della commissione montagna dell'Anci.
«In questa nuova prospettiva l'esperienza di governo del territorio delle comunità montane sarà fondamentale. Ecco perché la nascita delle unioni montane rappresenta un momento storico per far mantenere nelle mani delle popolazioni locali le redini di un destino che sembra sempre più deciso da soggetti esterni». E così, a tempo di record, le regioni, anche quelle che avevano deciso di fare sul serio, tornano sui loro passi. Lo farà il Piemonte che a settembre porterà in consiglio un correttivo del ddl sulla messa in liquidazione delle comunità montane dal 31/12/2012.
E lo farà il Veneto che ha presentato un progetto di legge bipartisan che trasforma le comunità montane in unioni. Tirando le somme, cinque anni di riforme annunciate per un nulla di fatto. Un precedente che non induce all'ottimismo quando il riordino delle province entrerà nel vivo. Anche perché l'iniziativa dovrà nuovamente partire dalle regioni (articolo ItaliaOggi del 14.08.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti elettrici, non tutto si butta. Verifica pre-smaltimento per salvare ciò che si può riusare. In vigore la direttiva europea che spinge verso il riciclaggio dei materiali per pc, tv e cellulari.
Gli esportatori dovranno verificare il funzionamento degli apparecchi, per evitare che si tratti di rifiuti da smaltire invece che materiale usato da riutilizzare. Tuttavia, saranno anche semplificati gli adempimenti previsti per la raccolta ed il trattamento dei rifiuti elettronici.
Queste, alcune delle novità contenute nella
DIRETTIVA 2012/19/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 04.07.2012, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, entrata in vigore ieri con l'obiettivo di aumentare la protezione dell'ambiente perché riguarda articoli che rientrano tra i rifiuti dal tasso di crescita più elevato ma presentano anche un grande potenziale in termini di commercializzazione di materie prime secondarie.
La raccolta sistematica, quindi, unitamente al corretto trattamento sono indispensabili per il riciclaggio di materiali come l'oro, l'argento, il rame e i metalli rari usati per la produzione, tanto per citarne alcuni, di televisori, computer portatili e telefoni cellulari. La normativa, che è stata pubblicata sulla Gazzetta dell'Ue lo scorso 24 luglio, si colloca nell'ambito della direttiva Raee (direttiva 2002/96/Ce), entrata in vigore nel febbraio 2003 e che prevedeva la restituzione gratuita dei rifiuti elettronici da parte dei consumatori.
Oggi, l'obiettivo del nuovo provvedimento è quello di prevenire danni alla salute umana e all'ambiente dovuti alle sostanze pericolose contenute nei rifiuti elettronici aumentando il riciclaggio e il riutilizzo di prodotti e materiali. Ma l'intento della direttiva è quello anche di pervenire, a decorrere dal 2016, alla raccolta pari al 45% delle apparecchiature elettroniche.
In un secondo tempo, dal 2019, l'obiettivo salirà al 65% delle apparecchiature vendute, oppure all'85% dei rifiuti elettronici prodotti e gli Stati membri potranno scegliere liberamente quale sistema adottare per la misurazione dello scopo raggiunto. La direttiva comunque entrerà in vigore, a regime, a partire dal 2018. Ciò in quanto, fino al 14.08.2018, l'ambito di applicazione è limitato ai prodotti espressamente individuati negli allegati alla direttiva stessa. Solo per questi, in pratica, fin da subito vige l'obbligo del loro conferimento presso i centri autorizzati.
Si tratta, in particolare, dei grandi e piccoli elettrodomestici, delle apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni, dei pannelli fotovoltaici, delle apparecchiature di illuminazione, degli strumenti elettrici ed elettronici (ad eccezione degli utensili industriali fissi di grandi dimensioni), dei giocattoli elettronici e dei distributori automatici.
I consumatori potranno restituire i rifiuti elettronici di piccole dimensioni presso i negozi al dettaglio, eccetto nei casi in cui sistemi alternativi già in uso diano prova di essere almeno di pari efficacia. Al più tardi entro il 14.02.2014 gli stati membri saranno tenuti a modificare la legislazione nazionale in vigore in materia di Raee per conformarsi alle disposizioni della nuova direttiva e ai relativi obiettivi (articolo ItaliaOggi del 14.08.2012).

APPALTI: Appalti. Istruzioni anche sugli affidamenti alle cooperative sociali.
Gare, l'Autorità frena sul prestito dei requisiti. No all'avvalimento per certificazioni di qualità e iscrizioni all'albo.

L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha tradotto in due determinazioni i risultati delle consultazioni sull'istituto dell'avvalimento e sui rapporti delle amministrazioni pubbliche con le cooperative sociali coinvolgenti nelle attività soggetti svantaggiati, che assumono notevole rilevanza per le stazioni appaltanti, soprattutto in relazione ai percorsi (con gara o derogatori) per l'acquisizione di beni o servizi.
L'avvalimento
Secondo la determinazione 01.08.2012 n. 2 le prospettive di ampio utilizzo del l'avvalimento non possono permettere l'elusione del dato normativo contenuto nell'articolo 49 del Codice dei contratti pubblici, il cui comma 2 è preordinato a garantire la certezza del rapporto tra concorrente e impresa ausiliaria in relazione al prestito dei requisiti.
I documenti elencati nella disposizione devono quindi essere allegati alla domanda di partecipazione a pena di esclusione. Secondo l'Autorità l'avvalimento non può essere utilizzato per la certificazione di qualità tranne nell'ipotesi in cui la stessa sia compresa nell'attestazione Soa, in quanto essa è assimilabile a un requisito soggettivo, poiché attinente a uno specifico "status" dell'imprenditore.
In simile prospettiva, l'Autorità non ritiene assoggettabili al l'avvalimento molti requisiti di idoneità professionale, come l'iscrizione ad albi specifici o il possesso di particolari licenze legate all'esercizio dell'attività.
L'istituto può trovare applicazione nelle gare per servizi di architettura e ingegneria, ma solo in relazione ai requisiti di partecipazione e non anche per i tre servizi analoghi da considerare nella parte tecnico-qualitativa dell'offerta. Inoltre, l'avvalimento può aversi tra due imprese che facciano parte dello stesso raggruppamento temporaneo partecipante a una gara. In ogni caso, il rapporto tra operatore economico concorrente e impresa ausiliaria deve essere documentato da un contratto molto dettagliato, nel quale devono essere specificamente indicati i requisiti prestati.
Le cooperative
Per gli acquisti di beni e servizi di valore inferiore alla soglia comunitaria l'Avcp evidenzia invece nella determinazione 01.08.2012 n. 3 i presupposti che possono permettere il ricorso ad affidamenti alle cooperative sociali di tipo B, specificando anzitutto che questi organismi devono avere in organico almeno il 30 per cento dei lavoratori (soci o non) costituito da persone svantaggiate (nell'accezione dell'articolo 4 della legge n. 381/1991) e che devono essere iscritte all'apposito albo regionale (condizione necessaria per la stipula delle convenzioni).
Focalizzando l'attenzione sui limiti per il ricorso a tali affidamenti derogatori, individuati dall'articolo 5 della stessa legge n. 381/1991 nel valore inferiore alla soglia comunitaria e nella riconduzione a forniture di beni e di servizi non sociali, l'Autorità richiede che essi avvengano in base a un confronto concorrenziale.
Nella determinazione si evidenzia infatti la necessità di procedere alla pubblicazione, sul profilo committente, di un avviso pubblico, per rendere nota la volontà di riservare parte degli appalti di determinati servizi e forniture alle cooperative sociali di tipo B, per le finalità di reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. L'ente locale, se rileva che sussistono più cooperative interessate alla convenzione, nel rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario è chiamato a promuovere una procedura competitiva di tipo negoziato tra tali soggetti (articolo Il Sole 24 Ore del 13.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Decreto sviluppo. Cambi d'uso e manutenzione straordinaria senza permessi.
Per gli immobili d'impresa si amplia l'edilizia libera. Le incertezze interpretative frenano però l'applicazione.
I DUBBI/ Le modifiche urbanistiche non possono interessare i fabbricati che non sono ancora adibiti alle attività produttive.

Il legislatore nazionale torna a occuparsi dell'attività edilizia libera, con l'articolo 13-bis del Dl 83/2012, introdotto dalla legge di conversione in attesa di pubblicazione sulla «Gazzetta»). Dopo le significative modificazioni già apportate alla materia dal Dl 40/2010, la nuova norma amplia ulteriormente il novero degli interventi per la cui esecuzione non è necessario un titolo abilitativo, inserendo al secondo comma dell'articolo 6 del Dpr 380/2001 la lettera e-bis), specificamente rivolta agli immobili utilizzati per lo svolgimento di attività imprenditoriali, nel cui ambito, stante la generalità (o genericità) del termine, possono ragionevolmente ricomprendersi di fatto tutti gli immobili non destinati alla residenza (capannoni e negozi, ad esempio).
Da domani, quindi, sarebbe sufficiente una semplice comunicazione al Comune sia per realizzare «le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa», sia per effettuare «le modifiche della destinazione d'uso» di questi locali.
La disposizione solleva varie perplessità, innanzitutto per il ricorso alla locuzione "modifiche interne" senza alcuna ulteriore specificazione tipologica. Appare azzardato ipotizzare che il legislatore abbia inteso consentire cambiamenti anche di tipo strutturale, oppure interventi riconducibili al novero della ristrutturazione o del restauro e risanamento conservativo, poiché in tal caso verrebbe a delinearsi una incongrua disparità di trattamento e il sospetto di incostituzionalità della previsione. Infatti, solo i proprietari di immobili adibiti ad attività imprenditoriali risulterebbero esentati dalla necessità di un titolo abilitativo per queste categorie di interventi.
È quindi preferibile una lettura costituzionalmente orientata, che riconduca le modifiche interne nel novero degli interventi di manutenzione straordinaria ammessi dal comma 2, lettera a), che già contempla «l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne»; anche in questo caso con ovvia esclusione delle opere di tipo strutturale –per le quali è richiesto in via generale il titolo abilitativo– e senza alcun mutamento di destinazione d'uso, trattandosi di modifiche edilizie relative a fabbricati comunque già adibiti a esercizio di impresa. Ma con questa più prudente chiave interpretativa, la previsione finisce con lo svuotarsi di contenuto sostanziale.
Anche la seconda parte della disposizione desta incertezze, nella misura in cui prevede la possibilità di effettuare «modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa». Trattandosi di misure teoricamente volte a favorire le iniziative produttive, la norma avrebbe forse dovuto adoperare il termine "da adibirsi", così sancendo la possibilità di utilizzare a esercizio di impresa spazi in precedenza destinati ad altro uso. Inoltre, se i locali sono (già) adibiti ad attività imprenditoriale, la modifica d'uso non potrà che avvenire nell'ambito della stessa tipologia ed essere di tipo funzionale, quindi senza l'esecuzione di opere. Diversamente si ricadrebbe in un'ipotesi interpretativa sperequata e di dubbia costituzionalità, esentando i soli proprietari imprenditori dall'obbligo del previo titolo abilitativo (che nelle zone omogenee "A" è il permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, primo comma, lettera c), Testo unico).
Secondo la giurisprudenza (si veda ad esempio Consiglio di Stato, Sezione V, 1650/2010, 498/2009; Tar Lazio-Roma, 4622/2011; Cassazione penale, Sezione III, 20350/2010) il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell'ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico costruttivi, stante le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell'ambito della medesima categoria. Peraltro, in questo caso, la modifica d'uso non dovrebbe comportare il pagamento di un ulteriore contributo di costruzione.
La previsione, dunque, dovrebbe essere letta e interpretata tenendo presente le possibili ripercussioni del mutamento d'uso sui parametri urbanistici e sulle volumetrie massime assentibili in relazione agli indici della zona, così come individuati dai piani regolatori generali, nonché i limiti di carattere generale posti per l'attività edilizia che può essere eseguita in assenza di pianificazione urbanistica, specie per ciò che attiene alle destinazioni produttive (articolo 9, testo unico).
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Le nuove definizioni
Le tipologie di attività edilizia libera dopo l'intervento del decreto sviluppo nell'articolo 6 del Testo unico dell'edilizia
ARTICOLO 6, COMMA 1 - Attività edilizia totalmente libera
● lettera a) - manutenzione ordinaria;
● lettera b) - eliminazione di barriere architettoniche senza realizzazione di rampe, di ascensori esterni o altri manufatti che alterino la sagoma dell'edificio;
● lettera c) - opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo, eseguite in aree esterne al centro edificato, di carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi;
● lettera d) - movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola e delle pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari;
● lettera e) - serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola
ARTICOLO 6, COMMA 2 - Attività edilizia libera previa comunicazione inizio lavori
● lettera a) - manutenzione straordinaria, compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, che non riguardi parti strutturali dell'edificio, non aumenti il numero delle unità immobiliari e non incrementi i parametri urbanistici;
● lettera b) - opere dirette a soddisfare esigenze contingenti e temporanee e da rimuovere al cessare della necessità, comunque, entro novanta giorni;
● lettera c) - pavimentazione e finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati;
● lettera d) - pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori delle zone A (centri storici);
● lettera e) - aree ludiche senza fini di lucro ed elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici;
● lettera e-bis) - modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa e modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa
ARTICOLO 6, COMMA 4, PRIMO E SECONDO PERIODO - Attività edilizia libera previa comunicazione inizio lavori, trasmissione dati identificativi dell'impresa esecutrice dei lavori e relazione tecnica, con elaborati progettuali, asseverante la conformità a strumenti urbanistici e regolamenti edilizie e non necessità di titolo abilitativo
● interventi articolo 6, comma 2, lettera a) - manutenzione straordinaria, compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, che non riguardi parti strutturali dell'edificio, non aumenti il numero delle unità immobiliari e non incrementi i parametri urbanistici;
● lettera e-bis) - modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa e modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa (con dichiarazione di conformità da parte dell'Agenzia per le imprese, su sussistenza requisiti)
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SEMPLIFICAZIONI/ Via anche i nullaosta da allegare
L'articolo 13-bis abroga l'intero comma 3 dell'articolo 6 del Dpr 380/2001, facendo venire meno l'obbligo generalizzato di allegare alla comunicazione di inizio dei lavori «le autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore», per tutti gli interventi di cui al comma 2.
Con le contestuali modifiche apportate al comma 4, questo onere permane solo nel caso degli interventi di cui alla lettera a) e alla nuova lettera e-bis), per i quali andranno comunicati i dati identificativi dell'impresa cui si intende affidare la realizzazione dei lavori, nonché una relazione, redatta da un tecnico abilitato. Questi dovrà prima dichiarare di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa, né con il committente, quindi asseverare, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi e che non è necessario il titolo abilitativo.
Infine, per i soli interventi di cui alla lettera e-bis), dovranno essere trasmesse le dichiarazioni di conformità da parte dell'Agenzia per le imprese concernenti la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell'esercizio del l'attività di impresa.
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INTERVENTO/ Sui tecnici gravano oneri impropri
Per comprendere appieno la portata delle ultime modifiche in tema di attività edilizia libera introdotte dall'articolo 13-bis della legge di conversione del decreto-sviluppo occorrerà attendere un chiarimento giurisprudenziale, se non legislativo. Sino ad allora la complessità delle questioni dovrebbe suggerire ai professionisti di agire con la massima prudenza e di interpretare in senso restrittivo le nuove disposizioni.
Essi vengono chiamati dall'articolo 6, comma 4, del Testo unico dell'edilizia non solo ad asseverare che i lavori progettati siano conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti (e sin qui il compito sarebbe relativamente facile, potendosi fare affidamento su fonti certe e provenienti dalla stessa amministrazione), ma anche a certificare al Comune -e a garantire al committente- che la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo per l'intervento che si intende eseguire.
In tal modo, ai tecnici abilitati risulta assegnato un compito esegetico della portata applicativa della norma che non solo li espone a rilevanti responsabilità di natura civile, penale e professionale, ma, soprattutto, che istituzionalmente non compete loro. La funzione interpretativa della norma, infatti, non può che spettare al giudice chiamato ad applicarla, oppure al legislatore che l'ha formulata, operando un chiarimento quando incerta si presenta l'enunciazione normativa o il suo ambito di operatività.
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Le competenze. La Consulta ha chiarito che è il legislatore nazionale a fissare il regime delle autorizzazioni.
Alle Regioni spazi limitati per incidere sui titoli abilitativi.
LA RIPARTIZIONE/ Sulla materia del governo del territorio ancora incerti i confini della potestà normativa suddivisa tra Stato e governi locali.

L'articolo 6, comma 6, lettera a), del Testo unico dell'edilizia stabilisce che le Regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina dell'attività edilizia libera a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2. La previsione ripropone la tematica dei rapporti tra il Dpr 380/2001 e le leggi regionali in materia, dopo le modifiche del titolo V della Costituzione e solleva dubbi che non vengono sedati –ma semmai ampliati– dal decreto sviluppo di quest'anno.
Norma di riferimento è l'articolo 2 del Testo unico, il cui comma 1 dispone che le Regioni a statuto ordinario «esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel Testo unico». Inoltre (comma 3) le disposizioni, anche di dettaglio, del Testo unico, e attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle medesime Regioni, fino a quando queste non adeguino la propria legislazione a tali principi.
La prima difficoltà, quindi, è quella di circoscrivere la categoria dei principi di riordino e capire in cosa si differenzino dai principi fondamentali. Il Consiglio di Stato (adunanza plenaria del 07.04.2008, n. 2) ha rilevato come il legislatore nazionale, attraverso il Testo unico, ha proceduto al complessivo riordino della materia, assegnando alle disposizioni in esso contenute carattere di norme di principio, con la conseguente abrogazione delle disposizioni regionali con esse confliggenti. Pertanto «fino al l'adeguamento delle Regioni a statuto ordinario alle norme di principio recate nel Testo unico, le norme aventi tale portata in questo contenute sono destinate a prevalere sulle prime».
Anche l'adeguamento del legislatore regionale dovrà però comunque avvenire nel rispetto dei principi fondamentali, che, a loro volta, non sono chiaramente indicati dal Dpr 380/2001, bensì solo desumibili dal Testo unico. Sul punto la Corte costituzionale, con la sentenza 309/2011 ha ribadito che nella normativa di principio in materia di governo del territorio vanno ricondotte tutte le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi. Con l'ulteriore conseguenza che «a fortiori sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali».
Per la Consulta, quindi, l'intero corpo normativo statale si fonda sulla definizione degli interventi edilizi e l'individuazione delle relative categorie spetta al legislatore nazionale. Sarà quindi arduo il compito del legislatore regionale che volesse estendere la disciplina dell'attività edilizia libera a interventi tipologicamente diversi da quelli previsti dalla norma statale, poiché l'esclusione per un intervento dalla necessità del titolo abilitativo potrebbe incorrere nella violazione dell'articolo 117, comma 3 della Costituzione e dei limiti posti alla legislazione concorrente nella materia del governo del territorio (articolo Il Sole 24 Ore del 13.08.2012).

aggiornamento al 13.08.2012

ENTI LOCALI - VARII comuni possono installare i box porta-autovelox.
I comuni possono installare box porta-sistemi autovelox anche in centro abitato senza necessità di alcuna autorizzazione particolare da parte di organi terzi. Il loro uso però sarà limitato a una attività dissuasiva e preventiva oppure all'accertamento non automatico dell'eccesso di velocità con la presenza costante dei vigili urbani.
Lo ha chiarito il ministero dei trasporti con il parere 04.07.2012 n. 3937 di prot.
I box colorati dissuasori dell'eccesso di velocità stanno spuntando come funghi specialmente nei centri abitati dove la normativa stradale limita fortemente l'uso degli autovelox fissi senza presidio. Per questo motivo una provincia ha richiesto chiarimenti al ministero dei trasporti che ha confermato la legittimità sostanziale di queste installazioni. I manufatti in oggetto, specifica il parere centrale, «non sono inquadrabili in alcuna delle categorie previste dal nuovo codice della strada e dal connesso regolamento di esecuzione e attuazione e dunque per essi non risulta concessa alcuna approvazione, ai sensi dell'art. 45, comma 6, del codice e dell'art. 192, comma 3, del regolamento da parte di questa direzione».
In pratica, gli armadietti non sono classificabili come segnaletica e nemmeno come sua componente. Ma non si tratta neppure di impianti, prosegue il Mit e «in quanto privi di qualsivoglia dispositivo deputato alla specifica funzione essi probabilmente non potranno neppure essere ricondotti alla futura nuova disciplina che sarà introdotta in attuazione dell'art. 60 della legge n. 120/2010».
Il riferimento ministeriale è al decreto che dovrà definire compiutamente le caratteristiche e le modalità di impiego di tutti gli impianti da utilizzare per il controllo elettronico della velocità. In buona sostanza, i manufatti porta-autovelox possono essere utilizzati con misuratori omologati, ma sempre con la presenza della pattuglia se l'accertamento viene effettuato in un tratto di strada non ricompreso tra quelli autorizzati dal prefetto per il controllo automatico (articolo ItaliaOggi dell'11.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGODipendenti in fuga dalle province. Boom di richieste di mobilità volontaria per evitare gli esuberi. A preoccupare i lavoratori anche l'incertezza sulla nuova destinazione. Enti in imbarazzo.
Fuga dalle province. È caos sulla normativa e sulle modalità con le quali guidare e regolare i processi di trasferimento dei dipendenti delle amministrazioni provinciali verso i comuni o le regioni, che dovranno subentrare alle province nell'esercizio delle loro competenze, per effetto dell'articolo 17 del dl 95/2012.
La condizione di incertezza rispetto al destino delle province, sta inducendo circa 4/5 mila dipendenti provinciali ad anticipare decisamente i tempi ed a cercare da subito una nuova attività lavorativa, attraverso la «mobilità volontaria» prevista dall'articolo 30 del dlgs 165/2001, cioè il trasferimento verso altre amministrazioni.
Non c'è, in effetti, dubbio che il complicatissimo processo del passaggio delle funzioni provinciali ai comuni o alle regioni ponga almeno due elementi problematici.
Il primo, è il rischio di essere coinvolti negli «esuberi»: i dipendenti provinciali potrebbero, cioè, trovarsi senza una utile collocazione lavorativa e rischiare di essere inseriti nelle liste di «disponibilità» per 24 mesi, con stipendio ridotto all'80%.
Tale evenienza dovrebbe essere scongiurata, perché l'articolo 17, comma 9, del dl 95/2012 condiziona la decorrenza dell'esercizio delle funzioni provinciali trasferite a comuni o regioni al contestuale ed effettivo trasferimento di beni, risorse finanziarie, strumentali e di personale. In linea teorica, dunque, dovrebbe esserci una traslazione totale: le competenze provinciali passano agli enti subentranti in blocco col personale provinciale impiegato.
Il secondo elemento problematico, più concreto, è dato dall'incertezza della sede di nuova destinazione. In assenza di criteri su come ripartire le funzioni provinciali e su quali potranno essere degli 8.100 comuni destinatari quelli che subentreranno (lo stesso vale per l'eventuale subentro delle regioni), i lavoratori impiegati nelle province non sanno quale potrà essere il nuovo lavoro, il nuovo ente di appartenenza, la distanza, le condizioni di lavoro, contrattuali ed organizzative.
Nulla di sorprendente, allora, che molti cerchino di anticipare i tempi e di guidare il proprio passaggio lavorativo dalla provincia a un'altra amministrazione (eventualmente anche non del comparto regioni-autonomie locali) che possano in qualche modo scegliere.
Le altre amministrazioni sanno bene di questa situazione. E cercano di trarne vantaggio, in particolare i comuni. Infatti, le assunzioni per mobilità sostanzialmente si ritiene non incidano sui tetti al turnover e sui saldi finanziari, in quanto neutrali. Per rimpinguare la dotazione organica, dunque, la mobilità è una buona opportunità. Del resto, l'articolo 30, comma 2, del dlgs 165/2001 obbliga tutte le amministrazioni ad esperire una procedura finalizzata ad attivare la mobilità volontaria prima di espletare i concorsi.
A fronte del chiaro interesse dei dipendenti delle province a partecipare alle procedure di mobilità per cercare il trasferimento, le amministrazioni provinciali si trovano in un evidente imbarazzo.
L'articolo 16, comma 9, sempre del dl 95/2012 vieta alle province di assumere nuovo personale a tempo indeterminato nelle more dell'attuazione delle disposizioni finalizzate alla loro riduzione e razionalizzazione. Un divieto che si deve intendere esteso anche alle assunzioni mediante mobilità, per quanto ad oggi l'ipotesi di dipendenti pubblici che chiedano di trasferirsi presso una provincia appare piuttosto improbabile.
In conseguenza del divieto assoluto di assumere, se le province lasciassero andare in mobilità il personale non potrebbero sostituirlo.
Per questa ragione, alcune province, come per esempio Siena, hanno disposto una sorta di blocco totale alle mobilità in uscita, riservandosi di non esprimere il «nulla osta» alle domande di mobilità presentate dai propri dipendenti.
La mobilità verso altri enti non costituisce, per i dipendenti, un diritto soggettivo, dunque ogni amministrazione, comprese le province, possono negarla.
Di fatto, tuttavia, porte totalmente chiuse alla mobilità non sembrano una scelta corretta, considerando l'evidente favor del legislatore per questa forma di razionalizzazione della distribuzione dei dipendenti tra amministrazioni.
La difficile gestione del personale provinciale, circa 56 mila dipendenti, potrebbe risultare più agevole se il dipartimento della Funzione pubblica pubblicasse con urgenza l'elenco dei posti vacanti delle pubbliche amministrazioni e indicasse regole specifiche sulla mobilità dei dipendenti provinciali. Esiste, infatti, un interesse indiretto ma sostanziale, nell'organizzazione degli assetti del personale, alla migliore distribuzione dei dipendenti pubblici tra enti.
Processi di riordino come quelli previsti dal legislatore richiedono come necessità la regolazione dei trasferimenti da enti che vanno verso il depotenziamento, ad altri enti che, invece, risultino carenti di personale. Un blocco totale, pertanto, delle mobilità dalle province verso altri enti si rivela contrario ai principi di corretta amministrazione (articolo ItaliaOggi del 10.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIGestioni unitarie solo per le competenze fondamentali. Per le funzioni di Ict non serve associarsi.
I piccoli comuni non devono gestire in forma associata le attività di Ict in modo da raggiungere la soglia minima di 30 mila abitanti.

È quanto prevede la legge di conversione del dl n. 95/2012, cd spending review, che limita le gestioni associate esclusivamente alle sole funzioni fondamentali. In tal modo viene superata una antinomia che si era determinata nella sovrapposizione delle previsioni normative, vincolando i piccoli comuni in modo duplice alla unificazione sia della gestione delle attività fondamentali, sia delle tecnologie, ma prevedendo anche soglie minime completamente diverse: per le funzioni fondamentali essa è fissata in 10 mila abitanti, che per scelta regionale possono anche essere inferiori, mentre per le attività di Ict veniva fissata nella soglia inderogabile di 30 mila abitanti.
Sulla base delle nuove disposizioni il dato prevalente, ai fini della individuazione delle attività da svolgere necessariamente in modo associato è costituito dalle funzioni fondamentali, che ricordiamo essere le seguenti: organizzazione generale della amministrazione, gestione, contabilità e controllo; organizzazione dei servizi pubblici di interesse comunale, ivi compresi i trasporti pubblici comunali; catasto; pianificazione urbanistica ed edilizia comunale e partecipazione a quella sovraccomunale; pianificazione della protezione civile e coordinamento dei primi soccorsi; organizzazione e gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti e dei relativi tributi; progettazione del sistema di servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini; edilizia scolastica e organizzazione e gestione dei servizi scolastici; polizia municipale e polizia amministrativa locale; tenuta dei registri di stato civile ed anagrafe, servizi anagrafici, elettorali e statistici.
Ciò che conta sono tali attività e non più le modalità di svolgimento; infatti per espressa previsione del dl n. 95/2012, cd spending review, «se l'esercizio di tali funzioni è legato alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, i comuni le esercitano obbligatoriamente in forma associata secondo le modalità stabilite dal presente articolo, fermo restando che tali funzioni comprendono la realizzazione e la gestione di infrastrutture tecnologiche, rete dati, fonia, apparati, di banche dati, di applicativi software, l'approvvigionamento di licenze per il software, la formazione informatica e la consulenza nel settore dell'informatica».
Di conseguenza, la gestione associata comprende unicamente materie specifiche e cessa di comprendere modalità di esercizio di tali attività, cioè di essere «trasversale». L'unica eccezione è costituita dall'obbligo delle centrali uniche di committenza per ogni tipo di acquisto, a prescindere dalla destinazione a questa o a quella funzione. Siamo cioè in presenza di un chiarimento quanto mai opportuno, sul terreno concretamente operativo, perché permette di superare tutti i dubbi applicativi e di evitare la sovrapposizione di modalità diverse di gestione (articolo ItaliaOggi del 10.08.2012).

ENTI LOCALII consorzi locali si salvano ancora. Ma la deroga può incentivare tentativi di elusione del Patto. La spending review mette il welfare al riparo dai tagli. E alcuni enti subito ne approfittano.
A sorpresa, la spending review salva i consorzi socio-assistenziali. Si tratta di una deroga all'obbligo di sfoltire enti e società strumentali, che tuttavia rischia di dare la stura a nuovi tentativi di elusione dei vincoli di finanza pubblica.
Facciamo un passo indietro. Correva l'anno 2009 quando il legislatore statale decise di sopprimere tutti i consorzi di funzioni tra gli enti locali. L'art. 2, comma 186, lett. e), della legge 191/2009 non contemplava eccezioni di sorta (una venne prevista successivamente, dalla legge 42/2010, per salvare i bacini imbriferi montani), sicché la mannaia (come chiarito da varie pronunce della Corte dei conti) avrebbe dovuto colpire, fra gli altri, anche i consorzi socio-assistenziali, a decorrere dal primo rinnovo del rispettivo consiglio di amministrazione successivo al 2011. Ben pochi, in realtà, i consorzi fin qui davvero sciolti e ora, con il decreto sulla spending review (dl 95/2012), arriva per tutti un inaspettato salvagente.
A fronte di un art. 9, comma 1, del dl 95 –che in modo draconiano prevede l'obbligo per regioni ed enti locali di sopprimere «enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica» che esercitino, anche in via strumentale, funzioni amministrative anche fondamentali– il successivo comma 1-bis (introdotto in sede di conversione) precisa che la tagliola non si applica «alle aziende speciali, agli enti ed alle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali».
Quindi anche ai consorzi da sopprimere in base alla disciplina pregressa? Parrebbe di sì, almeno stando all'ordine del giorno presentato dall'on.le Luigi Bobba (Pd) e approvato dalla camera (con l'ok del governo) in occasione del voto di fiducia al provvedimento di revisione della spesa proprio al fine di chiarire l'ambito di applicazione del comma 1-bis. Del resto, non è la prima volta che l'esecutivo si mostra disponibile ad allentare la stretta sugli organismi che operano nel sociale.
Già con l'art. 25, comma 2, del decreto «Cresci Italia» (dl 1/2012), infatti, era stata prevista (anche qui in sede di conversione) una deroga a favore di aziende speciali ed istituzioni (non per i consorzi) «che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, culturali e farmacie», che vennero salvate dall'assoggettamento al Patto e alle limitazioni sul personale che per tutte le altre scatteranno nel 2013. Non stupisce, quindi, che molti comuni si stiano interrogando sull'opportunità di costituire nuovi enti strumentali cui assegnare le funzioni «protette» . Il rischio, però, è che, in tal modo, si incentivino nuovi tentativi di elusione dei vincoli di finanza pubblica, tanto faticosamente combattuti in questi anni.
Senza voler essere maligni, fa certamente riflettere il fatto che il comune di Alessandria, che recentemente ha dovuto dichiarare il dissesto, abbia deciso di costituire un'azienda speciale per la gestione dei servizi per l'infanzia. Colpisce, soprattutto, il fatto che a presiedere il cda sia, di diritto, il sindaco malgrado la chiara causa di ineleggibilità/incompatibilità sancita per gli amministratori locali dal Tuel (articolo ItaliaOggi del 10.08.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOsservatorio Viminale. Il sindaco non fa gruppo.
Se le disposizioni regolamentari di un comune consentono la costituzione di gruppi consiliari unipersonali, un sindaco, eletto in una lista, può costituire e fare parte di un nuovo gruppo consiliare?

La disciplina della materia relativa alla costituzione dei gruppi consiliari è demandata allo statuto e al regolamento del consiglio, nell'esercizio della propria autonomia funzionale ed organizzativa. Ne deriva che le problematiche relative alla costituzione e al funzionamento dei gruppi consiliari dovrebbero essere valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui l'ente locale si è dotato, competendo al consiglio comunale l'eventuale interpretazione autentica delle predette norme.
Tuttavia, l'attività interpretativa non può essere disgiunta dall'osservanza dei principi di buona amministrazione, né possono essere utilizzate, a sostegno di tale attività, massime giurisprudenziali che non si adattino perfettamente alla fattispecie esaminata. Occorre tenere presente che la candidatura del sindaco, per espressa previsione contenuta nell'art. 71 del Tuel, non è compresa ma «è collegata alla lista di candidati alla carica di consigliere comunale», unitamente alla quale è presentato il relativo nominativo del candidato. Il sindaco, pur se membro del consiglio comunale ai sensi dell'art. 46 Tuel, ha, in effetti, una posizione differenziata rispetto ai singoli consiglieri comunali.
Il sindaco e il consiglio comunale, di cui i gruppi consiliari sono organismi strumentali e funzionali, svolgono ruoli distinti; il primo, di organo responsabile dell'amministrazione dell'ente, il secondo, di organo di indirizzo e controllo dell'operato del sindaco e della giunta, con le specifiche competenze declinate dall'art. 42 del Tuel. Per lo svolgimento di siffatte attribuzioni il consiglio si avvale dei gruppi consiliari che rappresentano la proiezione dei partiti politici all'interno dell'ente.
Ne deriva che l'iscrizione del sindaco ad un gruppo, e a maggior ragione la costituzione di un gruppo unipersonale nel corso della consiliatura da parte dello stesso sindaco, può incidere sul corretto e bilanciato esercizio delle funzioni di governo dell'ente. Tale sbilanciamento può influire anche sull'esercizio del fondamentale diritto di iniziativa, nonché sull'attività di sindacato ispettivo dei consiglieri, ovvero, in casi estremi, venendo meno il rapporto fiduciario, sulla presentazione della mozione di sfiducia (articolo ItaliaOggi del 10.08.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOFunzione pubblica. Le vecchie ferie si possono monetizzare.
Il divieto di monetizzare le ferie non godute al termine del rapporto di lavoro si applica a partire dal 7 luglio, cioè dall'entrata in vigore del Dl 95/2012. Le ferie non godute dai dipendenti pubblici cessati dal servizio in precedenza possono continuare a essere monetizzate e, scelta ancora più rilevante, anche le ferie non godute fino a quella data dai dipendenti potranno essere monetizzate alla cessazione anche se questa interverrà dopo l'entrata in vigore della norma.
Lo sostiene la Funzione Pubblica in una risposta all'Anci. Il dipartimento giunge a questa conclusione per l'assenza di norme transitorie e l'applicazione dei principi generali di interpretazione delle leggi, che dispongono solo per il futuro. Appare come frutto di un'interpretazione "creativa" l'esclusione dei casi in cui il divieto di monetizzazione «risulti incompatibile con la fruizione delle ferie a causa della ridotta durata del rapporto o a causa della situazione di sospensione del rapporto cui segua la sua cessazione».
Per cui rimarranno per sempre al di fuori dell'ambito di applicazione della norma i casi eccezionali di sospensione del rapporto seguiti da cessazioni, ma anche buona parte delle assunzioni flessibili (articolo Il Sole 24 Ore del 10.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Addio ai superstipendi nella p.a.. Taglio della retribuzione per chi sfora il tetto dei 293.656 €.
La funzione pubblica promette tolleranza zero. E arriva un odg per estendere la stretta alle regioni.
Tolleranza zero per chi riceve a carico delle pubbliche finanze emolumenti che, in virtù del disposto previsto dall'articolo 23-ter del decreto salva Italia, superano il trattamento economico percepito dal primo presidente della Cassazione.
Infatti, i soggetti che sforeranno il limite oggi fissato a 293.656 euro, subiranno il taglio tra la retribuzione in godimento fino a concorrenza di quanto sopra.
Tale decurtazione non concorrerà a formare l'imponibile fiscale e sarà evidenziata in apposita nota nel cedolino delle spettanze quale «trattenuta ex articolo 23-ter del dl n. 201/2011».
Il trattamento da considerare, inoltre, sconterà il criterio di competenza e non di cassa e comprende anche il trattamento accessorio, anche se questo, di norma, viene erogato successivamente allo svolgimento della prestazione lavorativa. Restano comunque fuori da tale ambito applicativo coloro che hanno in corso rapporti di lavoro con amministrazioni regionali e locali.
Queste alcune delle indicazioni che il dipartimento della funzione pubblica ha ritenuto necessarie diffondere con la circolare n. 8 del 6 agosto, in ordine alla disciplina sui limiti retributivi operata dalla norma richiamata e alla luce delle indicazioni operative fissate dal relativo dpcm 23.03.2012 che è divenuto operativo il 17 aprile scorso, ovvero il giorno dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Ma il giro di vite sui super stipendi potrebbe essere ancora più rigoroso ed estendersi anche agli enti locali (in primis ai governatori regionali) o ai presidenti degli enti pubblici. In pratica non solo a coloro che hanno un rapporto di lavoro subordinato o autonomo con la p.a., ma anche a tutti quelli che sono a carico delle finanze pubbliche a vario titolo.
Il governo si è impegnato a non fare eccezioni. E lo ha fatto accogliendo un ordine del giorno alla spending review a firma del deputato Pd Simonetta Rubinato. La proposta punta proprio a rafforzare le disposizioni del decreto Salva Italia che potrebbero presentare più di un punto debole. A cominciare dall'inadeguatezza di un provvedimento come il dpcm a ridurre un trattamento economico fissato con legge ordinaria. Ecco perché l'odg Rubinato prevede che l'adeguamento dei compensi debba avvenire con un provvedimento avente forza di legge e non con un dcpm che, per inciso, non potrebbe obbligare una regione ad adeguare i compensi dei propri amministratori o dirigenti.
Un'altra falla nel sistema risiede nel fatto che il dpcm del 23 marzo non esclude che trattamenti inferiori al trattamento economico del primo presidente della Cassazione possano essere elevati a tale limite. Basta leggere l'art. 5 del dpcm per rendersene conto: «Per il personale con qualifica dirigenziale cui non si applica la disposizione di cui all'art. 3, a causa del mancato raggiungimento del limite massimo retributivo ivi previsto, le pubbliche amministrazioni provvedono, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico».
«Ridefinizione», fa notare Rubinato, «è un termine assai generico che non necessariamente significa riduzione e che non esclude la possibilità di un ritocco verso l'alto degli stipendi inferiori a 293.656 euro». Cosa che puntualmente si è verificata in qualche Authority negli ultimi mesi. Di qui l'impegno al governo a evitare che il limite di stipendio di cui sopra finisca per produrre un effetto paradossale elevando tutti gli altri stipendi e quindi contribuendo a incrementare la spesa pubblica invece di ridurla.
Tornando alla circolare della funzione pubblica, il dipartimento guidato da Filippo Patroni Griffi chiarisce che il limite di stipendio si applica a coloro che sono titolari di rapporti con amministrazioni «attratte» all'ambito statale. Per esempio la presidenza del consiglio dei ministri, la Corte dei conti, le agenzie fiscali, gli enti pubblici non economici, nonché i componenti e i presidenti delle Authority.
Vigilanza affidata ai diretti interessati.
Le operazioni di controllo sul corretto rispetto del limite partono dagli stessi interessati. Infatti, questi devono rendere all'amministrazione di appartenenza, sotto forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, l'elenco dell'incarico o degli incarichi conferiti con il relativo importo. Nel caso di soggetti che sono titolari di uno o più incarichi di lavoro autonomo, questi dovranno trasmettere la documentazione all'amministrazione «con la quale è in corso l'incarico prevalente dal punto di vista economico».
L'inoltro delle dichiarazioni (se non già effettuato dai soggetti obbligati per effetto della pubblicazione del citato dpcm 23.3.2012), dovrà avvenire entro il 30 novembre di ciascun anno. Il controllo delle amministrazioni riceventi è la parte più delicata dell'intero iter di verifica. Queste dovranno operare secondo il criterio di competenza delle somme (e quindi non per quello di cassa), accertando quanto spetti al dipendente nel complesso «in ragione d'anno». A tal fine, la circolare precisa che deve essere incluso in tale ammontare anche la parte di trattamento accessorio, anche se, di regola, questo viene corrisposto nell'anno successivo all'espletamento della prestazione lavorativa (è il caso, per esempio, della retribuzione di risultato dei dirigenti). Il taglio non avrà effetti sugli atti già sottoscritti, nel senso che, come ammette la circolare di Palazzo Vidoni, non sarà necessario nei casi di sforamento sottoscrivere un nuovo contratto o un nuovo incarico.
Pertanto, i soggetti che sforeranno dal limite di 293.656 euro, subiranno una decurtazione pari alla differenza tra il trattamento complessivo goduto e il predetto limite. Quest'importo non sarà incluso nella massa imponibile (ovvero non si pagheranno le tasse) e sarà indicato separatamente nel cedolino delle spettanze stipendiali. In termini operativi, l'amministrazione comunicherà al soggetto che sta procedendo alla riduzione e, nell'anno successivo, operare la decurtazione vera e propria.
Occorre considerare che il trattamento del primo presidente della Cassazione varia di anno in anno, per cui le riduzioni dei trattamenti devono essere effettuati sulla base del dato disponibile relativo all'anno precedente. Per quanto riguarda i limiti per i soggetti che prestano servizio presso altre amministrazioni pubbliche, mantenendo il trattamento economico previsto dall'amministrazione di appartenenza (per esempio, i fuori ruolo), la circolare di Patroni Griffi ricorda che anche per tali soggetti vige il limite di cui sopra, con la precisazione che per l'incarico ricoperto, questi non possono percepire più del 25% dell'ammontare complessivo del trattamento riconosciuto dalla propria amministrazione (articolo ItaliaOggi dell'08.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATAProcedure edilizie. Il caso in cui il collegio è integrato con esperti esterni.
Vincolo paesaggistico, serve la commissione. Per il Consiglio di Stato l'organismo è «indispensabile».
L'ALTRO ORIENTAMENTO/ Secondo i giudici di merito è possibile affidare le valutazioni a un soggetto tecnico con atto dirigenziale.

Il Comune può sempre fare a meno della commissione edilizia? Due recenti pronunce del Consiglio di Stato danno risposte differenti, mentre per la legge da oltre un decennio le commissioni edilizie comunali non sono più un organo consultivo di natura obbligatoria nell'ambito dei procedimenti edilizi.
L'articolo 4 del Dpr 380/2001 –innovando le disposizioni contenute nell'articolo 33 della legge urbanistica fondamentale 1150/1942– ha infatti lasciato ai Comuni, nell'ambito del regolamento edilizio, la potestà di prevederne o meno l'istituzione e precisare le relative attribuzioni.
Nella prima pronuncia (Sezione IV, 975/2012), a conferma dell'orientamento già espresso in passato dalla stessa sezione (4793/2008), si ribadisce che l'articolo 4 del Dpr 380/2001, nel rendere per i Comuni facoltativa l'istituzione della commissione edilizia, ha introdotto un principio fondamentale in materia di governo del territorio, al quale il legislatore regionale deve sottostare, ai sensi dell'articolo 117, comma 3, della costituzione.
Ne deriva che una norma regionale che preveda l'obbligatorietà del parere della commissione edilizia, deve ritenersi implicitamente soppressa ai sensi dell'articolo 10 della legge 62/1953, in base al quale le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse.
Di segno opposto è invece la sentenza 05.04.2012 n. 2013 della VI Sez. del Consiglio di Stato, che ha ritenuto illegittima la delibera con cui l'Unione di due Comuni aveva soppresso la commissione edilizia, poiché, in questo caso, si trattava di una commissione integrata con due esperti in materia di bellezze naturali e di tutela dell'ambiente, che aveva il compito di esprimere un parere nell'ambito dei procedimenti di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche (articolo 146 del Dlgs 42/2004).
I giudici di Palazzo Spada affermano che un organo così costituito non può essere ritenuto «non indispensabile» ai sensi e per gli effetti dell'articolo 96, Dlgs 267/2000, poiché, a differenza della commissione edilizia prevista dall'articolo 4, si tratterebbe di un organismo diverso e «direttamente istituito da una legge regionale e portatore di competenze già delegate dallo Stato alla Regione e che solo l'autorità delegante (o sub-delegante) avrebbe potuto sopprimere avocando a sé le relative funzioni, con atto normativo primario o sub-primario».
Quest'ultima tesi, tuttavia, solleva alcune perplessità e non sembra offrire una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento, finendo per incidere sulla capacità organizzatoria e regolamentare dell'ente locale, oltreché sui principi in tema di attribuzione di funzioni, così come attualmente disegnati dagli articoli 117 e 118 della costituzione. Ai Comuni, infatti, il nostro ordinamento riconosce piena potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, potendo quindi scegliere le modalità con cui le stesse saranno espletate, pur nel rispetto dei principi stabiliti dalla legge. Questa, peraltro, non impone che il parere in materia paesaggistica sia reso da un organo collegiale e tantomeno ne definisce una specifica composizione.
Appare quindi più convincente quel diverso orientamento giurisprudenziale in base al quale, in caso di soppressione della commissione edilizia, il compito di esprimere pareri in ordine agli interventi in zone soggette a vincolo paesaggistico venga riassegnato ad un organo tecnico interno, con provvedimento dirigenziale assunto sulla base di un atto di indirizzo dell'organo politico dell'ente locale (Tar Toscana, sezione III, 480/2004). Laddove quest'ultimo non proceda all'autonoma individuazione di un diverso ufficio in sostituzione della commissione, le funzioni di tutela saranno automaticamente riportate all'organo regionale cui compete la gestione del vincolo (Cassazione penale, sezione III, 42102/2006), senza necessità di un atto avocazione da parte della Regione. Infatti, la soppressione degli organismi non identificati come indispensabili per la realizzazione dei fini istituzionali dell'amministrazione è una conseguenza automatica che discende direttamente dalla legge statale (Tar Calabria, Sezione Reggio Calabria, 48/1999).
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Le pronunce
01|PARERE NON OBBLIGATORIO SE NON C'È LA COMMISSIONE
La legge regionale Piemonte 08.07.1999 n. 19 (norme in materia edilizia) deve essere interpretata in senso costituzionalmente coerente con i principi generali introdotti in materia dal Dpr 380/2011. La scelta comunale di non istituire la commissione edilizia, conformemente all'articolo 4, comma 2, del Dpr 380, implica necessariamente la non obbligatorietà dell'acquisizione del relativo parere.
Consiglio di Stato, sezione IV, 4793/2008
02|GLI ENTI LOCALI POSSONO SEMPRE SOPPRIMERE LA COMMISSIONE
A seguito delle innovazioni introdotte dal Dpr 380/2001, la commissione edilizia ha perso il suo carattere di organo necessario ex lege (articolo 4, comma 2), dal momento che alla concessione si sostituisce il permesso di costruire, secondo procedimenti strutturati sul modulo dello sportello unico comunale e dell'eventuale intervento sostitutivo del competente organo regionale con la conseguenza che, data la natura attualmente facoltativa della commissione edilizia, gli enti locali potranno scegliere se conservarla, adeguandone la composizione e indicando nel regolamento edilizio gli interventi sottoposti al suo preventivo parere, oppure sopprimerla.
Consiglio di Stato, commiss. spec., n. 492/99/2003
03|UNA COMMISSIONE TECNICA VALUTA IL VINCOLO PAESAGGISTICO
Ai sensi dell'articolo 96, Dlgs 267/2000, direttamente applicabile alle Regioni a statuto ordinario, spetta ai consigli e alle giunte comunali, secondo le rispettive competenze, individuare non solo gli organi collegiali ritenuti indispensabili per la realizzazione dei fini istituzionali dell'amministrazione, con conseguente soppressione di tutti gli altri, ma anche l'ufficio che rivesta maggiore competenza in materia, al quale –per legge– le relative funzioni siano poi attribuite; deve perciò ritenersi legittima, in caso di soppressione della commissione edilizia, l'attribuzione del compito di esprimere pareri in ordine agli interventi in zone soggette a vincolo paesaggistico ad una commissione tecnica interna, individuata a mezzo provvedimento dirigenziale.
Tar Toscana, sezione III, 480/2004
04|LE FUNZIONI DI TUTELA AMBIENTALE SPETTANO ALL'ORGANO REGIONALE
In materia edilizia, a seguito dell'entrata
in vigore del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali
(Dlgs 267/2000) le funzioni edilizie, precedentemente esercitate a titolo consultivo dalla commissione edilizia comunale integrata, sono state trasferite, ove non individuato come indispensabile ex articolo 96 dello stesso Testo unico, al competente ufficio comunale, mentre le funzioni di tutela ambientale sono state riportate all'organo regionale cui compete la gestione del vincolo ambientale.
Cassazione penale, sezione III, 42102/2006
05|ORGANISMI NON INDISPENSABILI, LA SOPPRESSIONE È UN ATTO DOVUTO
Dall'articolo 41, comma 1, legge 449/1997 si desume che la soppressione di taluni organismi non identificati come indispensabili per la realizzazione dei fini istituzionali dell'amministrazione o dell'ente è una conseguenza che discende direttamente dalla legge: mancando, al riguardo, qualsiasi potestà di scelta dell'amministrazione la soppressione si configura, pertanto, come un atto dovuto.
Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 48/1999
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L'obiettivo è il risparmio
Il Testo unico dell'edilizia, definendo la «non obbligatorietà» delle commissioni edilizie, riflette le più generali e incisive previsioni dell'articolo 96 del Testo unico degli enti locali, che lascia alle singole amministrazioni il compito di individuare con cadenza annuale ed entro sei mesi dall'inizio di ogni esercizio finanziario, «i comitati, le commissioni, i consigli e ogni altro organo collegiale con funzioni amministrative ritenuti indispensabili per la realizzazione dei fini istituzionali». Alla mancata individuazione degli organi non identificati come indispensabili consegue la loro automatica soppressione e l'attribuzione delle relative funzioni «all'ufficio che riveste preminente competenza nella materia».
Il fine dichiarato della norma –che ripropone i contenuti dell'articolo 41, comma 1, della legge 449/1997– è quello di conseguire un recupero di efficienza nei tempi dei procedimenti amministrativi e, soprattutto, un risparmio della spesa pubblica per organi collegiali; obiettivo che è stato perseguito da successive previsioni normative e che anche oggi è di massima attualità.
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Le ricadute. Le implicazioni delle pronunce di Palazzo Spada. A rischio le sub-deleghe regionali.
La pronuncia 2013/2012 del Consiglio di Stato suscita un'altra riflessione di carattere generale, quella relativa al permanere della possibilità per le Regioni di sub-delegare ai Comuni funzioni in materia paesaggistica, dopo le modifiche introdotte nel 2001 al titolo V della Costituzione; dubbio che riguarda non solo le norme regionali, ma le stesse previsioni del Dlgs 42/2004 in tale materia.
La funzione autorizzatoria, con l'articolo 146 del Codice del 2004, è stata conferita dallo Stato alle Regioni, che possono delegarla ad altri soggetti, tra cui i Comuni, purché essi dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche e possano garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia.
Tuttavia, in forza dell'articolo 118 della Costituzione, comma 2, i Comuni sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite loro con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La tutela dei beni culturali, tra cui rientrano quelli paesaggistici, è materia di legislazione esclusiva statale (ex articolo 117, comma 2, lettera s, della costituzione), per cui è solo la legge statale che può attribuire direttamente la funzione amministrativa.
Nel caso dell'articolo 146, la scelta del legislatore nazionale ha direttamente riguardato la sola amministrazione regionale e alle Regioni manca uno strumento costituzionalmente valido per delegare ai Comuni (o ad altri soggetti) le funzioni in materia paesaggistica: non con legge regionale, essendo del tutto priva di competenza legislativa in materia; non con atto provvedimentale (quale una delibera di giunta), poiché le funzioni amministrative possono essere assegnate ai Comuni solo con legge e solo da parte del soggetto che ne ha la corrispondente competenza, secondo il riparto per materie sancito dalla Costituzione. Tantomeno una legge regionale potrebbe legittimamente imporre a un Comune il modello organizzativo con cui esercitare una funzione, laddove questa fosse effettivamente delegabile, pena la violazione della richiamata potestà organizzatoria e regolamentare degli enti locali.
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Organizzazione. La riduzione dei rimborsi. Ai componenti compensi limitati.
La riduzione dei costi degli organismi collegiali è un obiettivo che il legislatore statale persegue ormai da anni e che è oggetto di particolare attenzione anche da parte del Governo Monti. Dopo le indicazioni della prima Bassanini (articolo 12, comma 1, lettera p), legge 59/1997) il primo intervento è l'articolo 41 della legge 449/1997, che ha sancito l'automatica soppressione degli organismi non individuati come indispensabili da parte degli organi di direzione politica delle varie amministrazioni. Previsione è stata poi ripresa dall'articolo 96 del Tuel. L'articolo 18 della finanziaria per il 2002 (448/2001) ha poi fatto divieto a tutte le pubbliche amministrazioni, con l'esclusione delle Regioni e degli enti locali, «di istituire comitati, commissioni, consigli e altri organismi collegiali, a eccezione di quelli di carattere tecnico e a elevata specializzazione».
Ulteriore intervento è contenuto nell'articolo 26 del Dl 223/2006, che ha disposto la riduzione del 30% rispetto, a quella sostenuta nel 2005, della spesa per organi collegiali e altri organismi, anche monocratici, comunque denominati, operanti in tutte le amministrazioni; riduzione che andava ad aggiungersi a quella del 10% già sancita dall'articolo 1, comma 58 della finanziaria per il 2005 (266/2005) per le «indennità, compensi, gettoni, retribuzioni o altre utilità comunque denominate».
Il programma è stato poi proseguito dall'articolo 68 del Dl 112/2008, che ha sancito la necessità che nei trattamenti economici da versare ai componenti di tali organi fossero «privilegiati i compensi collegati alla presenza rispetto a quelli forfettari od omnicomprensivi». Questo principio è stato reso cogente dall'articolo 6 del Dl 78/2010, che ha sancito la natura onorifica dei componenti degli organi collegiali, disponendo che la partecipazione può dar luogo solo al rimborso delle spese e che eventuali gettoni di presenza non possono superare i 30 euro per ogni seduta giornaliera. La presidenza del Consiglio, con direttiva del 04.08.2010, ha fornito indirizzi interpretativi sul riordino degli organismi collegiali e la riduzione dei costi degli apparati amministrativi.
Nella stessa direzione, peraltro, si muove l'articolo 9 del Dl 95/2012 (spending review) ove si prevede che anche i Comuni debbano sopprimere –o accorpare, riducendo i relativi oneri finanziari– gli enti, le agenzie e gli organismi comunque denominati e che svolgano compiti di amministrazione attiva (articolo Il Sole 24 Ore del 06.08.2012).

APPALTI FORNITURESpending review. Canale centrale «aperto» anche ai Comuni fino a mille abitanti (5mila in montagna).
Acquisti Consip per tutti. Esteso agli enti locali l'obbligo di ricorrere alle convenzioni.
ADEGUAMENTI «AUTOMATICI»/ Se le convenzioni offrono prezzi inferiori a quelli degli appalti già in corso si può recedere dai contratti con preavviso di 15 giorni.

Le disposizioni del Dl 95/2012 che attende ora il via libera definitivo della Camera rafforzano il sistema delle convenzioni Consip e obbligano anche gli enti locali a farvi ricorso per alcune tipologie di beni e servizi. Il quadro è stato ridefinito dall'articolo 1 nella formulazione scaturita dal maxiemendamento.
Il comma 3 evidenzia l'obbligatorietà del ricorso a questa procedura in forza di quanto stabilito dalla norma-chiave, individuata nell'articolo 26, comma 3, della legge 488/1999 e dall'articolo 1, comma 499, della legge 296/2006 (recentemente modificato dalla legge 94/2012).
Quest'ultima disposizione prevede l'obbligo di adesione alle convenzioni Consip per le amministrazioni statali (tranne scuole e università) e l'obbligo di utilizzo delle convenzioni stipulate dalle centrali regionali da parte del servizio sanitario nazionale.
La stessa norma delinea come facoltativo l'utilizzo del sistema da parte delle altre amministrazioni pubbliche (ad esempio gli enti locali e le Camere di commercio), stabilendo tuttavia che esse sono tenute a utilizzare i parametri di qualità e prezzo, sia delle convenzioni stipulate dalla centrale di committenza statale che da quelle regionali, come limiti massimi per la stipulazione dei contratti (quindi come dato massimo per le basi d'asta nelle gare e negli affidamenti in economia).
L'articolo 26 della legge 488/1999 prevede peraltro una specifica esclusione, evidenziando come il meccanismo previsto dal comma 3 non si applichi comunque ai Comuni con popolazione fino a mille abitanti (5mila abitanti in montagna). Rispetto alla fascia degli enti di minori dimensioni, comunque, l'articolo 1, comma 4, del Dl 95/2012 delinea in alternativa alle gare aggregate, previste dall'articolo 33 del codice dei contratti, il ricorso agli strumenti di acquisto in forma telematica gestiti da Consip e dalle centrali di committenza regionali.
Tuttavia il comma 7 dello stesso articolo 1 del decreto spending review sancisce un obbligo specifico per tutte le amministrazioni pubbliche e per tutte le società inserite nel «consolidato Istat», stabilendo che tali soggetti devono fare ricorso alle convenzioni Consip o a quelle delle centrali regionali per l'acquisto di una serie di beni e servizi a consumo intensivo: energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile.
Il comma 13 prevede anche un interessante meccanismo, finalizzato ad assicurare vantaggi economici alle amministrazioni pubbliche, quando la Consip stipuli una convenzione per l'acquisto di determinate tipologie di beni o servizi e queste abbiano prezzi inferiori a quelli dei contratti di appalto che le stesse amministrazioni hanno in corso per i medesimi beni o servizi con altri operatori economici. In tal caso le stazioni appaltanti possono recedere dal contratto (pagando le prestazioni eseguite oltre al decimo delle prestazioni non eseguite) con un preavviso breve (quindici giorni) qualora l'appaltatore non accetti la proposta migliorativa formulata da Consip rispetto ai parametri della propria convenzione.
Questa modulazione del diritto di recesso si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell'articolo 1339 del Codice civile, anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti. Inoltre, nei futuri contratti le clausole di recesso dovranno essere rese conformi, in quanto ogni patto contrario alla disposizione sarà nulla.
Un meccanismo particolare è reso regola generale dall'articolo 1, comma 16-bis, del Dl 95/2012, il quale integra l'articolo 26 della legge 488/1999 con una disposizione in base alla quale le convenzioni centralizzate possono essere stipulate con una o più imprese alle condizioni contrattuali migliorative rispetto a quelle proposte dal miglior offerente.
Tale disposizione costituisce il primo dato normativo in materia di contratti pubblici che consente l'affidamento multiplo a più operatori economici in base al risultato di una gara.
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Beni e servizi. Le clausole. Appalti divisi in più lotti per aprirsi alle Pmi
VINCOLI ALLE DEROGHE/ Per i requisiti di fatturato con valori significativi serve la motivazione economica e organizzativa nel bando o nel disciplinare.

Le gare di appalto per beni e servizi devono essere impostate in modo tale da garantire l'accesso al confronto anche alle Pmi, anche quando gestite in forma aggregata.
L'articolo 1 del Dl 95/2012 introduce ulteriori elementi di salvaguardia per le piccole e medie imprese, rafforzando il sistema impostato dalla legge 180/2011 e sancito nel Codice Appalti, con il principio della necessaria suddivisione in lotti degli appalti, salve valutazioni (esplicite) di convenienza economica (articolo 2, comma 1-bis).
La norma integra l'articolo 41 del DLgs 163/2006, specificando che sono illegittimi i criteri che fissano, senza congrua motivazione, limiti di accesso connessi al fatturato aziendale.
Nelle gare di appalto per l'acquisizione di beni e servizi, le stazioni appaltanti devono motivare nel bando o nel disciplinare le ragioni operative e di convenienza economica che hanno indotto a realizzare una procedura con lotto unico e i motivi che hanno determinato i requisiti di capacità economico-finanziaria fondati sul fatturato secondo valori significativi.
Particolare attenzione è posta anche all'ammontare della cauzione provvisoria e definitiva, che nelle gare in forma aggregata effettuate da centrali di committenza è prevista rispettivamente nei termini massimi del 2 e del 10 per cento. Questo dato sembra compensare le linee di massima razionalizzazione introdotte per gli acquisti di beni e servizi di valore inferiore alla soglia comunitaria dall'articolo 7 della legge 94/2012 (di conversione del primo decreto spending review, il 52/2012).
La norma, infatti, riformulando l'articolo 1, comma 450, della legge 296/2006 stabilisce che tutte le amministrazioni pubbliche (compresi gli enti locali, le Camere di commercio, le Asl, le aziende speciali) sono tenute ad acquistare beni e servizi in tale fascia di valore ricorrendo al mercato elettronico della pubblica amministrazione gestito da Consip o ad altri mercati elettronici, gestiti ad altre amministrazioni.
La disposizione vale peraltro per tutte le tipologie di beni e servizi per i quali sia presente un catalogo attivo, con fornitori abilitati, ma comporta la necessaria verifica da parte delle stazioni appaltanti, le quali, in caso di rinvenimento della tipologia di prodotto o di attività che devono acquisire, hanno l'obbligo di fare ricorso al Mepa.
Per i beni e servizi non rinvenibili nei mercati elettronici della Consip, delle centrali di committenza regionali o di altre amministrazioni, gli enti locali possono continuare ad acquisire con gare sottosoglia o con procedure in economia.
La disposizione, peraltro, costituisce uno stimolo per le singole amministrazioni a costituire un proprio Mepa, facendo riferimento all'articolo 328 del Dpr 207/2010, in modo tale da poter gestire con lo questo sistema sia tipologie di beni e servizi pienamente corrispondenti alle proprie esigenze sia interazioni di mercato più favorevoli rispetto a quelle nazionali o regionali (articolo Il Sole 24 Ore del 06.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPersonale. Sulle ferie monetizzazione con rischi. Dirigenti, incarichi solo con l'obiettivo.
Individuazione degli obiettivi già al conferimento dell'incarico dirigenziale. Divieto di conferimento di incarichi di consulenza ai dipendenti collocati in quiescenza nelle materie di cui si sono occupati nell'ultimo anno. Divieto di monetizzazione delle ferie non godute e, dal prossimo ottobre, fissazione del tetto massimo di 7 euro per i buoni pasto dei dipendenti pubblici.

Sono queste alcune importanti novità contenute nella legge di conversione del Dl 95/2012.
Gli obiettivi su cui i dirigenti sono valutati per il trattamento accessorio collegato alle performance devono essere «predeterminati all'atto del conferimento dell'incarico dirigenziale». Si estende così a tutti i dirigenti pubblici una previsione fino a oggi limitata allo Stato; gli obiettivi dovranno avere una durata per lo meno triennale, e saranno assegnati dal sindaco, che conferisce l'incarico. Negli enti locali questa norma andrà raccordata con il piano degli obiettivi annualmente approvato dalla Giunta; si può ritenere che la novità si applichi ai titolari di posizione organizzativa nei Comuni sprovvisti di dirigenti.
I dipendenti collocati in quiescenza non potranno ricevere incarichi di consulenza, studio e ricerca dalla propria amministrazione nelle materie di cui si sono occupati nell'ultimo anno. Tale vincolo si aggiunge a quello (legge 724/1994) che vieta l'uso da parte delle Pa dei dipendenti collocati in quiescenza per ragioni diverse dalla maturazione del limite massimo di età, nei 5 anni successivi. La nuova norma vale solo per l'amministrazione con cui si è avuto l'ultimo rapporto di lavoro e ha natura permanente.
I buoni pasto da ottobre dovranno rientrare entro il tetto di 7 euro. I risparmi saranno acquisiti al bilancio degli enti e non potranno incrementare il fondo per le risorse decentrate. I problemi con i fornitori sono stati risolti attraverso la garanzia, che si realizza con l'allungamento della durata del contratto, dell'invarianza del valore della fornitura.
Dallo scorso 7 luglio, è poi vietata la monetizzazione delle ferie non godute e viene ribadito il principio per cui esse devono essere godute come previsto dal Dlgs 66/2003 e, ove contengano norme più favorevoli per i dipendenti, dai contratti nazionali. Tali disposizioni si applicano al personale e ai dirigenti di tutte le Pa. La monetizzazione delle ferie non godute era fin qui consentita nel pubblico impiego solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro. La concreta applicazione di questa disposizione, per la mancanza di norme transitorie, solleva numerosi problemi.
Peraltro, la disposizione induce ad una lettura assai rigida visto che la sua violazione determina per i dirigenti il maturare di responsabilità amministrativa e disciplinare ed obbliga le amministrazioni al recupero a carico dei dipendenti (articolo Il Sole 24 Ore del 06.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIMini-comuni, commissario per chi non si associa.
La norme (art. 19) del dl 95 sulla gestione associata obbligatoria delle funzioni fondamentali da parte dei piccoli comuni subiscono una sola, ma assai rilevante modifica.
È stato previsto che gli enti che risulteranno inadempienti alle scadenze fissate dal legislatore (31.01.2013 per almeno 3 funzioni, 01.01.2014 per le altre) subiranno un «richiamo» da parte del prefetto, che fisserà loro un termine perentorio per provvedere.
Decorso inutilmente tale termine, scatterà il potere sostitutivo del governo ex art. 8 della l 131/2003, con possibilità anche di nomina di un commissario ad acta.
Si tratta di una modifica importante, che completa una disciplina che, malgrado le numerose modifiche, risultava ancora monca proprio sul versante «sanzionatorio». Per il resto, viene confermato il testo originario del decreto, che ridefinisce il «core business» dei comuni, obbligando quelli di minori dimensioni (fino a 5 mila abitanti, senza più rigide distinzioni fra quelli sopra e sotto i mille) a dare vita a unioni o convenzioni (articolo ItaliaOggi Sette del 06.08.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIAPubblicate in Guue le direttive su gestione dei rifiuti elettronici e controllo delle sostanze pericolose. Raee e Seveso III, al via i cantieri. È conto alla rovescia per adeguarsi ai nuovi adempimenti.
Scatta il conto alla rovescia per l'adeguamento nazionale alle nuove regole comunitarie sui rifiuti elettronici e sulle sostanze pericolose. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea (Guue) dello scorso 24.07.2012 (n. L/197) delle due attese direttive «Raee» (2012/19/Ue) e «Seveso III» (2012/18/Ue) assumono date certe (rispettivamente: 14.02.2014 e 01.06.2015) i termini entro i quali gli stati dovranno far rispettare sul piano interno le nuove regole Ue su gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e controllo delle industrie a rischio di incidenti rilevanti. Le nuove scadenze si aggiungono alla già nota deadline del prossimo gennaio 2013, data a partire dalla quale la direttiva 2011/65/Ce imporrà una stretta sulla fabbricazione ecocompatibile delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (cd. «Aee»).
La gestione dei Raee. Le novità in arrivo con la direttiva 2012/19/Ue sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) riguardano sostanzialmente distributori di nuove apparecchiature e gestori a valle dei relativi rifiuti. Per i distributori di nuove apparecchiature Aee si profila l'estensione dell'obbligo del ritiro gratuito dei Raee conferiti dagli utenti finali.
Il ritiro sarà, infatti, obbligatorio per i negozi al dettaglio con superficie di vendita di Aee uguale o superiore ai 400 metri quadrati e avrà a oggetto i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche provenienti da nuclei domestici di «piccolissime dimensioni» (inferiori a 25 centimetri esterni) e conferiti dagli utenti finali, senza obbligo per questi di acquistare all'atto del conferimento una Aee di tipo equivalente.
L'obbligo potrà essere evitato dai distributori solo ove sia pubblicamente dimostrato che i regimi di raccolta alternativa esistenti siano altrettanto efficaci. Sul fronte della gestione a valle dei Raee, ci sarà invece l'aumento delle percentuali di raccolta differenziata e di recupero che ogni stato dovrà assicurare sul suo territorio nazionale, percentuali che dagli attuali volumi del 70/80% dovranno salire (a pieno regime) fino all'85%.
Dal punto di vista tecnico, l'adeguamento alla nuova direttiva 2012/19/Ue, destinata a sostituire la 2002/96/Ce, renderà necessario da parte del legislatore l'aggiornamento entro il 2014 della disciplina prevista dall'attuale dlgs 151/2005.
Le parallele novità sugli Aee. Entro l'inizio del 2013, come accennato, dovrà inoltre essere messa a regime dallo stesso legislatore nazionale l'operatività della nuova disciplina Ue sulla fabbricazione delle Aee contenuta nella direttiva 2011/65/Ce (Guue dell'01.07.2011, n. L/174), direttiva che riformulando l'intera materia (con parallela rottamazione della direttiva 2002/96/Ce, recepita tramite il citato dlgs 151/2005) prevede un allargamento del divieto di commercializzazione delle apparecchiature contenenti sostanze pericolose insieme a una restrizione delle attuali deroghe e all'aumento degli obblighi per fabbricanti, importatori e distributori.
L'estensione del divieto poggerà in particolare sull'allargamento della definizione di «Aee», estesa a qualsiasi apparecchiatura che dipende da correnti elettriche o campi elettromagnetici per espletare «almeno una» delle funzioni previste e ai relativi «pezzi di ricambio». L'utilizzo in deroga di determinate sostanze sarà invece permesso solo in condizioni di compatibilità con il regolamento Ce n. 1907/2006 (cd. «regolamento Reach» su fabbricazione e commercializzazione delle sostanze chimiche).
La stretta sugli operatori arriverà infine con l'obbligo per i fabbricanti di corredare le Aee prodotte con documentazione tecnica, dichiarazione di conformità e identificazione seriale, con l'onere per gli importatori di integrare i prodotti con propri dati identificativi; con il dovere per i distributori di effettuare a valle un controllo sugli adempimenti di fabbricanti e importatori.
La «Seveso III». Al centro delle novità previste dalla direttiva 2012/18/Ue sul «controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose» vi saranno l'allargamento del novero degli impianti rientranti nel campo di applicazione della disciplina «Seveso» e l'ampliamento degli adempimenti a carico dei relativi gestori.
In particolare, a provocare l'allargamento delle industrie rientranti nel sistema «Seveso» è l'inclusione di 14 nuove sostanze nell'elenco di quelle che fanno scattare gli obblighi previsti dalla disciplina. Ad ampliare, invece, gli obblighi a carico dei responsabili delle strutture è la maggiore analiticità richiesta dalla nuova direttiva alla documentazione comprovante l'avvenuta attività preventiva degli incidenti. Una stretta arriverà, infine, sui controlli esterni, con l'obbligo per le Autorità nazionali competenti di procedere a ispezioni semestrali negli stabilimenti a più elevato rischio.
L'adeguamento alla nuova direttiva 2012/18/Ue renderà necessaria la rivisitazione entro il 2015 dell'impianto normativo previsto dal dlgs 334/1999, provvedimento nazionale di recepimento dell'uscente direttiva 96/82/Ce (cd. «Seveso II») (articolo ItaliaOggi Sette del 06.08.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIAPneumatici usati, la Cassazione chiarisce il confine con i beni ordinari.
Solo gli pneumatici usati non giacenti in evidente stato di abbandono e obiettivamente riutilizzabili (sia «tal quali» che tramite ricostruzione) possono essere considerati ordinari beni. Tutti gli altri sono invece rifiuti, e come tali vanno gestiti.

A chiarire a gommisti, demolitori di veicoli e ricostruttori di pneumatici le due condizioni che consentono di operare senza sottostare alla gravosa disciplina sui rifiuti dettata dal Codice ambientale (dlgs 152/2006) sono due sentenze della Corte di cassazione dello scorso giugno. Con i due provvedimenti della III Sez. penale, rubricati come 25207/2012 e 25385/2012, la Corte ha armonizzato e sintetizzato i diversi principi espressi dalle pronunce di legittimità stratificatesi fino a oggi.
Pneumatici, tra rifiuti e beni. Due i dati normativi sui quali sono fondate le pronunce della Cassazione: la fondamentale definizione di «rifiuto», secondo l'articolo 183, comma 1, lettera a), del dlgs 152/2006 (in base alla quale è tale «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi») e la voce «pneumatici fuori uso» contenuta sotto il codice «16.01.03» dell'allegato «D» dello stesso decreto (allegato recante l'elenco dei rifiuti di matrice comunitaria).
Sotto il primo profilo la Cassazione, abbracciando l'interpretazione estensiva della nozione di «rifiuto» adottata dalla Corte Ue di giustizia (fin dalla sentenza 15.06.2000 n. C-418/97), ritiene integrata la volontà del «disfarsi» ogni qualvolta le circostanze provino l'intenzione di abbandonare l'oggetto, che deve di conseguenza essere ritenuto un rifiuto con tutte le conseguenti responsabilità per il suo produttore o detentore. Sotto questo aspetto, ricorda la Corte, qualsiasi pneumatico può essere potenzialmente un rifiuto.
Sotto il secondo profilo, lo stesso giudice sottolinea invece come, anche in assenza di abbandono (fatto che di per se qualificherebbe a monte l'oggetto come rifiuto) gli «pneumatici fuori uso», ossia gli pneumatici che per condizioni di decadimento o per altre ragioni non risultano ricostruibili, sono comunque da considerarsi rifiuto quando appaiono nella disponibilità degli operatori in parola e devono dunque essere gestiti di conseguenza. Escono invece sicuramente dal novero dei rifiuti, precisano le due sentenze, gli «pneumatici usati», ossia quelli passibili di ricostruzione o riutilizzabili tal quali.
Il ragionamento della Cassazione è fondato sulla duplice classificazione degli pneumatici che si evince dall'attuale assetto normativo nazionale, assetto generato dalla legge 179/2002 che (in attuazione della decisione comunitaria 2000/532/Ce) ha provveduto a mutare il contenuto della voce «16.01.03» del Catalogo europeo dei rifiuti (attualmente riprodotto nel Codice ambientale) da «pneumatici usati» a «pneumatici fuori uso», sancendo di conseguenza una fuoriuscita dal novero dei rifiuti (sempre che non si versino in stato di abbandono) degli pneumatici ricostruibili.
Il tutto però, conclude la Corte, con l'onere della prova (della ricostruibilità) a carico dell'operatore che li detiene, e ciò per il fatto che trattasi di una disciplina (quella degli «pneumatici usati») eccezionale rispetto a quella ordinaria in tema di rifiuti (ossia di «pneumatici fuori uso»).
Gli obblighi degli operatori. La corretta condotta che la Cassazione suggerisce con le pronunce a gommisti e riparatori varia in funzione dello «status» dello pneumatico detenuto ed è sostanzialmente la seguente: nel caso in cui sia manifestamente evidente l'impossibilità di procedere a una ricostruzione dello pneumatico, il gommista ha l'onere di conferirlo come rifiuto (con codice «16.01.03: pneumatico fuori uso») a un operatore autorizzato, ponendo nelle more tutti gli accorgimenti stabiliti dal Codice ambientale in materia (limiti quantitativi e temporali del deposito temporaneo; tenuta dei registri e dei formulari per il tracciamento della loro gestione); nel caso in cui invece lo pneumatico appaia ricostruibile (sia dunque uno «pneumatico usato»), il gommista può conferirlo come merce ad un ricostruttore.
In quest'ultimo caso, sottolinea la Cassazione, il procedimento di ricostruzione va qualificato come una operazione di «trattamento di risanamento di un bene» e non come una operazione di recupero di rifiuto, per cui non soggiace agli adempimenti previsti dal Codice ambientale per quest'ultimo (articolo ItaliaOggi Sette del 06.08.2012).

aggiornamento al 06.08.2012

EDILIZIA PRIVATASemplificato il percorso per i permessi edilizi. Niente copie di documenti già in possesso dell'amministrazione.
Le novità introdotte dal decreto sviluppo incidono profondamente sull'attività edilizia, liberalizzando le procedure soprattutto se i lavori si svolgono all'interno delle unità produttive. Vediamole in sintesi.
Sportello unico
Lo sportello unico per l'edilizia diventa il punto di riferimento obbligato per tutti gli atti «riguardanti il titolo abitativo e l'intervento edilizio oggetto dello stesso». Lo sportello fornisce una risposta tempestiva in luogo di tutte le Pa comunque coinvolte.
Tutti gli atti dovranno essere gestiti da questa struttura, e altri uffici comunali o altre amministrazioni coinvolte dal procedimento non potranno trasmettere autonomamente «ai richiedenti» atti autorizzatori, pareri, nulla osta o consensi.
Dia e Scia
Viene stabilito che, nei casi in cui per la Dia è prevista l'acquisizione di atti o pareri di organi o enti, essi sono sempre sostituiti dalle autocertificazioni o dalle asseverazioni di tecnici abilitati che potranno essere prodotte insieme alla denuncia. Con alcune eccezioni, come i casi di vincoli ambientali o di limiti dovuti alla sismicità. Le amministrazioni avranno la possibilità di effettuare le loro verifiche in un secondo momento.
Permesso di costruire
Per il rilascio del permesso di costruire, rientra nelle competenze dello sportello unico l'acquisizione, diretta o tramite conferenza di servizi, di pareri di amministrazioni finora escluse. Tra queste, Regione, Difesa e autorità sui vincoli idrogeologici.
Il responsabile dello sportello unico ha l'obbligo di indire la conferenza di servizi se entro sessanta giorni dalla domanda manca ancora qualche nulla osta o c'è il dissenso di qualche amministrazione.
Documenti inutili
Scatta un taglio consistente della documentazione richiesta per tutti gli interventi, compresi quelli minori fatti in casa, grazie all'acquisizione d'ufficio dei documenti già in possesso degli uffici pubblici, come documenti catastali o variazioni di mappa.
In base alle nuove disposizioni contenute nella versione definitiva del Dl Sviluppo le amministrazioni «non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie, sulla veridicità e l'autenticità di tali documenti, informazioni e dati».
Lavori nelle imprese
Novità importanti nei fabbricati adibiti a esercizio d'impresa, nei quali possono essere realizzate modifiche interne di carattere edilizio o mutamenti di destinazione d'uso senza alcun titolo abilitativo. Lo consente l'articolo 13-bis del Dl Sviluppo.
Dal giugno 2012 tutti gli interventi edilizi interni sono sottratti al passaggio burocratico del Comune, perché sono equiparati alle opere libere, che non esigono titoli edilizi. Prima erano esclusi solo manutenzione straordinaria, pannelli solari e aree ludiche.
Cambi di destinazione d'uso
Vengono regolati anche i mutamenti di destinazione d'uso dei locali adibiti a esercizio di impresa: all'interno di un immobile d'impresa i singoli locali (uffici, magazzini, depositi, servizi) possono trasmigrare da una destinazione all'altra.
Le nuove libertà riguardano non solo le aree produttive, ma in generale tutte le destinazioni a esercizio di impresa, quindi anche qualsiasi intervento di tipo produttivo purché interno all'attività (articolo Il Sole 24 Ore del 04.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

LAVORI PUBBLICIEdilizia. Uno scatto procedurale nel nuovo accordo Abi-Ance. Sconto dei crediti Pa: basta il certificato lavori.
Le imprese appaltatrici di lavori pubblici non avranno bisogno di seguire la complessa procedura di certificazione dei crediti con la Pa prevista dalla legge per attivare presso gli sportelli bancari gli strumenti di smobilizzo o di anticipazione finanziaria previsti dai protocolli Abi del 28 febbraio e del 22.05.2012: sarà sufficiente presentare invece il certificato lavori emesso dall'amministrazione debitrice.
È quanto afferma l'addendum firmato ieri fra Abi (associazione bancaria italiana) e Ance (associazione nazionale costruttori edili) per recepire le specificità del settore edilizio nell'ambito degli accordi sottoscritti nel corso dell'anno fra l'associazione bancaria e il mondo imprenditoriale. Di fatto, la procedura di certificazione si azzera per le imprese edili perché il certificato lavori è un documento ordinario all'interno delle procedure di appalto.
Le uniche integrazioni che le imprese di costruzioni dovranno presentare sono un «estratto conto elenco documenti di Equitalia relativo alla presenza di inadempienze all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento», le fatture quietanzate per i subappalti, la dichiarazione del l'amministrazione debitrice in caso di anticipazione con cessione del credito.
L'addendum Abi-Ance contiene una seconda disposizione che prevede la possibilità per l'impresa di ricevere dalla banca un'anticipazione pari almeno al 70% del credito certificato «al netto di eventuali debiti verso la Pa». La condizione è ovviamente che il fondo di garanzia per le Pmi rilasci la propria copertura con garanzia o controgaranzia, secondo quanto previsto dall'accordo generale.
«L'addendum con l'Abi -commenta il presidente del l'Ance, Paolo Buzzetti- è un importante passo avanti ottenuto grazie al forte appoggio dell'associazione bancaria. Questa intesa non soltanto evita procedure di certificazione che sarebbero state molto lunghe e pesanti, ma consente, per la stessa ragione, di anticipare l'applicazione degli accordi, rendendola di fatto quasi immediata».
Anche questo passaggio, tuttavia, non basta affatto rispetto a un problema generale che per il 30-40% colpisce proprio le imprese di costruzioni. «Anche questa intesa –dice Buzzetti– non risolve il problema del pagamento dei crediti che per il settore è diventato drammatico» e l'Ance stima in 19 miliardi.
Per l'associazione dei costruttori «non è con le anticipazioni bancarie che il problema può essere risolto perché l'unica vera soluzione è che lo Stato cominci a pagare i suoi debiti. Il Governo non può sfuggire questo passaggio obbligatorio». Questo non soltanto perché «l'anticipazione costa, andando quindi a ridurre i margini dell'impresa sull'appalto, e perché l'anticipazione andrà comunque restituita. Ma anche perché –aggiunge il presidente dell'Ance– l'anticipazione, così come i decreti ingiuntivi che pure noi abbiamo promosso, rischiano di risolversi in altri palliativi in cui ci avvitiamo, se poi lo Stato non paga».
Buzzetti lancia quindi un segnale chiaro al Governo. «Sono state fatte cose importanti –dice– con il decreto sviluppo e noi lo abbiamo riconosciuto. Ma tutti devono capire che senza una forte iniezione di liquidità il settore non si rimette in moto. Se lo Stato non paga i suoi debiti, anche le misure positive del decreto sviluppo saranno vanificate» (articolo Il Sole 24 Ore del 04.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCorte conti: no a limiti di spesa sui dirigenti a termine.
Negli enti locali da oggi meno paletti sugli incarichi dirigenziali con contratto a tempo determinato.
La disposizione contenuta nei primi due periodi dell'articolo 19, comma 6-quater, del dlgs 165/2001, secondo cui negli enti locali il limite massimo degli incarichi è conferito in base alla dimensione demografica dell'ente, è norma assunzionale speciale e parzialmente derogatoria al regime oggi vigente. ... (articolo ItaliaOggi del 03.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOP.a., niente soldi dalle ferie residue. I giorni di riposo non goduti non possono essere monetizzati.
Dallo scorso 7 luglio le ferie non fruite da parte dei dirigenti e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche non possono essere monetizzate. Tale divieto sembra applicarsi anche alle specifiche istanze avanzate prima di tale data e che non hanno avuto una risposta positiva. Si raccomanda ai dirigenti e ai responsabili di prestare particolare attenzione al rispetto di questa disposizione. La sua violazione determina infatti sia il maturare di responsabilità disciplinare ed amministrativa sia l'obbligo di restituzione da parte del dipendente.
Sono queste le principali indicazioni contenute nel comma 8 dell'articolo 5 del dl n. 95/2012, la cosiddetta spending review, per come licenziato dal senato. Da sottolineare che sul punto non si sono avute variazioni di rilievo nel corso dell'esame parlamentare.
Questa misura si inserisce nel quadro delle iniziative per conseguire risparmi di spesa nel pubblico impiego. Essa vuole inoltre sanare una condizione di anomalia presente in molte amministrazioni pubbliche in cui i dipendenti e/o i dirigenti non godono dei periodi di ferie fissati dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Ricordiamo che le ferie sono un diritto «non disponibile», che deve quindi essere goduto da parte dei dipendenti perché servono a garantirgli il recupero delle energie psicofisiche: in questo senso vanno i principi dettati nella nostra Costituzione.
In applicazione di questi principi, i dirigenti in quanto dotati dei poteri e delle capacità del privato datore di lavoro possono o, per molti aspetti, devono collocare d'autorità in quiescenza i dipendenti che non chiedono le ferie. La normativa contrattuale, in particolare quella del personale ... (articolo ItaliaOggi del 03.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici punto e a capo. La Corte costituzionale ha spazzato via la stretta sull'in house. La decisione porta a riflettere sull'opportunità di continuare a osteggiare gli affidamenti.
Merita un approfondimento particolare lo scenario dei servizi pubblici a esito dell'ennesimo accadimento che ha riguardato la materia, ovvero la sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012. Il termine non è utilizzato per errore, poiché di reali accadimenti occorre ormai parlare in relazione a una materia, quella dei servizi pubblici locali, oggetto da ormai più di un decennio, a più livelli e a più riprese, di tentativi di riforme organiche, di correttivi in grado di modificare il precedente assetto, di una cospicua evoluzione delle discipline settoriali e regionali e, come nell'ipotesi di specie, di interventi della stessa Corte costituzionale.
Ciò che deriva è un quadro desolante. Certamente non sono in dubbio i moduli gestionali dei servizi. Infatti, al di là del tentativo del nostro legislatore di limitare il ricorso alle forme dell'in house providing, non si può disconoscere che tale modello gestionale, unitamente a quelli della concessione a terzi con gara e al partenariato pubblico-privato, rappresentino tutti dei modelli la cui validità e vigenza è un dato ormai acquisito. Ciò che, tuttavia, appare dubbio è il problematico contorno ... (articolo ItaliaOggi del 03.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - EDILIZIA PRIVATA: La pubblicità sulle gru si paga se eccede i limiti. Un decreto del Mef fissa i paletti.
L'imposta sulla pubblicità non è dovuta per il marchio di fabbrica apposto sulle gru mobili, sulle gru a torre adoperate nei cantieri edili e sulle macchine da cantiere, purché la superficie complessiva non ecceda i limiti disposti da un recente decreto dal ministero dell'economia e delle finanze.
Il provvedimento datato 26.07.2012, in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e anticipato ... (articolo ItaliaOggi del 02.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Illegittimità provata allegando l'atto. Agevolato il percorso del cittadino contro la p.a..
Per dimostrare la colpa dell'amministrazione, il privato, danneggiato da un provvedimento illegittimo, può anche limitarsi ad allegare la sola illegittimità dell'atto: è quanto si evince nella sentenza 12.06.2012 n. 3444 della V Sez. del Consiglio di Stato. ... (articolo ItaliaOggi del 02.08.2012 - tratto da www.ecostampa.it).
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Osserva la Sezione che la pronuncia in scrutinio correla il sorgere della responsabilità dell’Amministrazione direttamente all’illegittimità provvedimentale emersa, senza svolgere particolari argomentazioni circa l’elemento della colpa.
Una simile impostazione, peraltro, si inserisce nell’alveo di un preciso ordine concettuale più volte condiviso anche da questa Sezione, la quale ha avuto modo di osservare che ai fini della configurazione del diritto al risarcimento del danno derivante dalla lesione di interessi legittimi l'illegittimità dell'atto amministrativo costituisce un indice presuntivo della colpa della P.A., sulla quale semmai incombe l'onere di provare la sussistenza di un proprio errore scusabile (C.d.S., V, 31.10.2008, n. 5453).
Più ampiamente, la giurisprudenza ha sottolineato (cfr. ad es. C.d.S., VI, 09.03.2007 n. 1114 e 09.06.2008 n. 2751) che al privato danneggiato da un provvedimento illegittimo non è richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’Amministrazione. Il privato può limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto, potendosi ben fare applicazione, al fine della prova dell'elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all'art. 2727 del codice civile. E spetta a quel punto all'Amministrazione dimostrare, se del caso, che si è verificato un errore scusabile, il quale è configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, o di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (cfr., tra le tante, C.d.S., IV, 12.02.2010, n. 785; V, 20.07. 2009, n. 4527).
Nel caso di specie, però, nessuno dei predetti fattori giustificativi è stato fatto riscontrare, non avendo la parte onerata addotto alcuna precisa e significativa incertezza interpretativa che potesse giustificare il suo operato dannoso.
Senza dire che la Corte di Giustizia dell’U.E. ha recentemente chiarito che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici, da parte di un'Amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione. E questo anche nel caso in cui l'applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all'Amministrazione suddetta, nonché sull'impossibilità per quest'ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un ipotetico difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata (Corte giustizia CE, sez. III, 30.09.2010, proc. C-314/09) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOP.a., i tagli non bloccano i concorsi. Assunzioni ok anche negli enti oggetto di riorganizzazione. Il maxiemendamento al dl 9.5 consente l'immissione in servizio dei vincitori rimasti al palo.
Nonostante i tagli agli organici, la p.a. non smetterà di assumere là dove necessario. Il maxiemendamento alla spending review (dl 95/2012) introduce nell'articolo 14 un comma 4-bis, che consente alle amministrazioni interessate ai processi di riorganizzazione previsti dall'articolo 2 del medesimo decreto di attivare l'immissione in servizio dei vincitori di concorso rimasti al palo, a causa dei vari blocchi e tetti delle assunzioni, anche avvalendosi delle graduatorie di altre amministrazioni, utilizzando quanto prevede l'articolo 3, comma 61, della legge 350/2003, previo accordo tra le amministrazioni.
L'emendamento sblocca le assunzioni dei vincitori di concorso per rispondere «all'esigenza di ottimizzare l'allocazione del personale presso le amministrazioni soggette agli interventi di riduzione organizzativa» nonché «al fine di consentire ai vincitori di concorso una più rapida immissione in servizio» e consente le assunzioni per il triennio 2012-2014.
Dette assunzioni potranno essere effettuate ... (articolo ItaliaOggi dell'01.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: SPENDING REVIEW VERSO IL TRAGUARDO/ Sanità, statali, enti locali: tutti i tagli. Estensione del modello Consip, tasse universitarie, limiti ai compensi dei manager.
Tasse universitarie, prescrizioni dei farmaci e tagli alle Spa pubbliche sono le novità che hanno contrassegnato il rush finale dell'esame a Palazzo Madama. Ma particolarmente intenso è stato tutto il lavoro svolto nelle ultime due settimane in Commissione Bilancio, dove sono stati numerosi gli interventi di modifica al testo del Governo.
A partire dall'aumento dell'addizionale regionale Irpef nelle otto Regioni in disavanzo sanitario, fino al tetto per gli stipendi dei manager delle società non quotate partecipate dallo Stato. O come la mancata deroga al taglio delle province e il salvataggio di Covip, del Centro sperimentale di cinematografia e della Cineteca nazionale. Modifiche che, come ha sottolineato ieri il ministro della Cooperazione e l'Integrazione, Andrea Riccardi, «non mettono in discussione l'architettura fondamentale del provvedimento».
Il decreto, che entra ora nella sua complessa fase attuativa era nato con l'obiettivo primario di scongiurare l'aumento delle due aliquote principali dell'Iva del 10 e del 21% garantendo minori spese per 3,7 miliardi quest'anno, 10,23 l'anno venturo e 11,17 miliardi nel 2014. A questo obiettivo s'è aggiunto l'intervento per la salvaguardia di una seconda platea di esodati (55mila con una maggiore spesa prevista nei prossimi sette anni di 4,1 miliardi) e gli stanziamenti per la ricostruzione nelle zone colpite dal terremoto in Emilia.
Norme non previste nel primo disegno del decreto alle quali, come detto, si sono poi aggiunti gli interventi di riordino delle province, che verranno dimezzate, il decreto dismissioni (con il trasferimento alla Cassa depositi e prestiti di Sace, Simest e Fintecna), il riordino delle Agenzie fiscali e, altro provvedimento aggiunto, l'intervento straordinario del ministero dell'Economia per il rafforzamento patrimoniale del Monte del Paschi di Siena (3,9 miliardi). ... (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALISpa pubbliche, colpito solo l'in house. Salta l'estensione della riduzione di cda e personale a tutte le società controllate dalla Pa.
LIMITI AL METODO CONSIP/ Gli acquisti della Pa non saranno vincolati alle regole se i contratti saranno stati conclusi con uno sconto del 20%.

Arriverà soltanto nella mattinata di oggi il primo via libera dell'Aula del Senato al decreto sulla spending review. Dopo una giornata iniziata con la mancanza del numero legale e proseguita in attesa che il Governo mettesse a punto il maxiemendamento, soltanto nella serata è giunta la richiesta di fiducia da parte del ministro Piero Giarda. Il che ha spinto la conferenza dei capigruppo a far slittare a oggi il via libera al provvedimento d'urgenza.
Nel maxiemendamento depositato ieri sono state recepite le modifiche apportate dalla commissione Bilancio del Senato e soprattutto è stato "imbarcato" il cosiddetto decreto legge sulle dismissioni con l'accorpamento delle agenzie fiscali nel testo licenziato dalle commissioni Finanze e Bilancio sempre di Palazzo Madama. Operazione che ha obbligato il Governo a ritornare in commissione Bilancio per un veloce esame e far iniziare
soltanto dopo le 20 di ieri la discussione sulla fiducia. Soltanto alle 9,00 di questa mattina si partirà con le dichiarazioni di voto e dopo le 10,20 avranno inizio le votazioni.
Il testo, ricomposto in forma di maxi-emendamento, conferma innanzitutto il via libera al contributo via convenzione con Abi per l'attivazione di un plafond di 6 miliardi per la ricostruzione nella zone colpite dal terremoto in Emilia. Avrà la forma del credito d'imposta con un costo di 450 milioni l'anno per l'Erario; minori entrate che, dal 2015, troveranno compensazione con i tagli di spesa ai ministeri. Sul fronte sanitario, confermati gli sconti a carico delle farmacie e delle aziende farmaceutiche, arriva la norma composta con la mediazione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Antonio Catricalà, che impone ai medici di indicare nella ricetta del Servizio sanitario nazionale la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco. Il Tesoro ha sottolineato che «non c'è alcun passo indietro» visto che permane «l'obbligatorietà» per il medico di indicare il principio attivo. Mentre è una «facoltà» quella di prescrivere il «medicinale specifico».
Per una delle misure più importanti del decreto, vale a dire il ricorso al metodo Consip per gli acquisti di beni e servizi di tutte le amministrazioni, fa discutere la scelta di lasciare libertà dal vincolo in caso di contratti sottoscritti direttamente con i fornitori a sconto rispetto ai valori Consip. «La riduzione dei costi della Amministrazione Pubblica –ha segnalato ieri in una nota il presidente di Confindustria digitale, Stefano Parisi– non si ottiene con il “massimo ribasso”, ma procedendo alla digitalizzazione “end to end” dei servizi, alla razionalizzazione e interoperabilità delle banche dati fino all'erogazione dei servizi al cittadino e alle imprese via web». Confermate le misure sul pubblico impiego (si veda articolo in pagina) con due novità: l'estensione dell'esame congiunto con i sindacati dei processi di mobilità che si apriranno con i tagli sulle dotazioni organiche e il rilancio dei piani di valutazione delle performance di dirigenti e dipendenti, cui legare la distribuzione selettiva dei trattamenti accessori in vista dei rinnovi dei contratti collettivi (2015).
Passo indietro, invece, sul l'estensione dei tagli alle società pubbliche controllate (riduzione dei Cda e interventi sul personale). Il Governo ha infatti stralciato dal maxiemendamento, con disappunto dei relatori e dei senatori della Commissione Bilancio, la norma che estendeva l'intervento inizialmente previsto per le sole società che nel 2011 avevano fatturato oltre il 90% con prestazione e servizi offerti alle sole pubbliche amministrazioni.
Novità dell'ultima ora anche per gli studenti universitari con redditi familiari ridotti. Per i prossimi tre anni accademici a decorrere dall'anno accademico 2013/2014, l'aumento della contribuzione per gli studenti in regola con i rispettivi corsi di studio di primo e secondo livello, il cui Isee familiare non sia superiore a 40mila euro, non potrà essere superiore all'indice dei prezzi al consumo dell'intera collettività. Scatterà invece il forte incremento per tutti i fuori corso: più 25% per i ragazzi con un Isee familiare fino a 90.000 Euro; più 50% per chi ha un Isee familiare tra i 90.000 e i 150.000 euro; addirittura il 100% per i redditi oltre i 150.000.
Nel testo coordinato entra, come detto, l'articolato del decreto legge sulle dismissioni e l'accorpamento delle agenzie fiscali. Si prevede il passaggio di Sace, Simest e Fintecna sotto il controllo della Cassa depositi e prestiti. Un'operazione che verrà perfezionata entro l'autunno e che determinerà maggiori entrate per il bilanci dello Stato dell'ordine di 9-10 miliardi di euro, secondo le ultime stime della Relazione tecnica. Confermata infine la decorrenza della soppressione dell'Agenzia del Territorio e dei Monopoli di Stato a partire dall'01.12.2012, come indicato dalla Commissione Finanze. Inoltre con il maxi-emendamento viene confermata la possibilità di attivare 380 nuove posizioni non dirigenziali all'interno delle Agenzie per garantirne la piena funzionalità dopo il riordino (articolo Il Sole 24 Ore del 31.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGODirigenti messi al bando nella p.a.. I manager pubblici tagliati saranno rimpiazzati da quadri. Gli emendamenti approvati al senato riducono l'autonomia organizzativa in materia di personale.
Stretta agli incarichi dirigenziali nelle amministrazioni dello stato e nelle agenzie. Gli emendamenti dei relatori all'articolo 2 della spending review (dl 95/2012), approvati venerdì scorso in commissione al senato, irrigidiscono ulteriormente la possibilità delle amministrazioni di assumere e incaricare i dirigenti.
Per le amministrazioni dello stato, anche a ordinamento autonomo, delle agenzie, degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca, nonché degli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del dLgs 165/2001, si emenda l'articolo 2, nel quale si inserisce un comma 10-bis, finalizzato a sottrarre alle varie amministrazioni una forte parte dell'autonomia organizzativa e normativa.
Infatti, dette amministrazioni non potranno più incrementare il numero degli uffici di livello dirigenziale generale e non generale con i regolamenti di organizzazione, perché occorrerà, invece, una -disposizione legislativa di rango primario-. Il legislatore mostra poca fiducia sull'autonomia organizzativa delle amministrazioni anche con il nuovo comma 10-ter dell'articolo 2. Esso, allo scopo di semplificare ed accelerare il riordino organizzativo disposto dal comma 10, prevede che i regolamenti di organizzazione dei ministeri siano adottati con decreto del presidente del consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente, di concerto con il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il ministro dell'economia e delle finanze.
E sui dpcm si impone il controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti. Una volta vigenti i decreti del presidente del consiglio, si disapplicheranno i regolamenti di organizzazione vigenti. Per quanto ... (articolo ItaliaOggi del 31.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Gestione delle attività. La disciplina dei casi in cui non si può ricorrere al mercato.
Società strumentali in salvo con l'ok dell'Authority.
I CRITERI/ Le norme sullo scioglimento non riguardano realtà che svolgono servizi pubblici o che gestiscono banche dati strategiche.

Le amministrazioni pubbliche possono mantenere le società per la gestione di servizi strumentali, se particolari condizioni non consentono il ricorso al mercato, ma devono acquisire il parere vincolante dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm).
Il maxiemendamento alla legge di conversione del Dl 95/2012 (spending review) introduce importanti innovazioni e integrazioni alle regole per lo scioglimento delle società che realizzano, a favore delle amministrazioni socie, almeno il 90% del proprio fatturato, contenute nell'articolo 4 dello stesso decreto sulla revisione della spesa.
La completa riformulazione del comma 3 precisa le esclusioni dall'ambito applicativo della disposizione.
Le norme sullo scioglimento non riguardano anzitutto le società che svolgono servizi di interesse generale (quindi servizi pubblici) sia con rilevanza economica che privi di tale caratteristica. L'esclusione riguarda anche le società che svolgono prevalentemente attività di centrali di committenza, la Consip e la Sogei, le società finanziarie delle Regioni, nonché quelle che gestiscono banche dati strategiche per il conseguimento di obiettivi economico-finanziari (e questa formulazione dovrebbe finalmente determinare la non sottoposizione alle norme di scioglimento per le società di gestione delle attività di accertamento e di riscossione dei tributi).
Nel novero delle società strumentali escluse sono destinate a rientrare anche molte realtà che saranno individuate con un apposito decreto interministeriale, sulla base della necessità di mantenimento determinata dalla gestione (da parte delle stesse) di dati riservati.
Il profilo di maggiore innovazione è dato dalla possibilità, per le amministrazioni pubbliche, di sottrarre le società che gestiscono per esse servizi strumentali quando particolari caratteristiche del contesto territoriale e socioeconomico di riferimento non rendano possibile un efficace e utile ricorso al mercato.
Tuttavia, queste situazioni dovranno essere dimostrate mediante un'analisi del mercato, che dovrà essere trasmessa all'Agcm per l'acquisizione di un parere, da parte della stessa autorità, definito come vincolante. Una volta reso, il parere sarà trasmesso alla presidenza del Consiglio dei ministri. La stessa disposizione precisa, però, che anche alle società escluse dalla disciplina sullo scioglimento, al pari di tutte le società a totale partecipazione pubblica (indipendentemente dall'attività esercitata e dai servizi gestititi) si applicano le norme che regolano la composizione dei consigli di amministrazione (contenute nel comma 5).
Il maxiemendamento introduce novità importanti anche in ordine al procedimento alternativo allo scioglimento delle società, che prevede (comma 1, lettera b dell'articolo 4) l'alienazione delle partecipazioni del l'amministrazione nel l'organismo gestore dei servizi strumentali. Le nuove disposizioni integrano il quadro esistente, specificando che l'alienazione deve riguardare l'intera partecipazione del soggetto pubblico controllante: pertanto, un ente locale che decida di vendere le proprie quote o azioni (anche il 100%) della società strumentale dovrà porle tutte sul mercato, non potendo conservare nemmeno una partecipazione simbolica.
Nella gara per l'alienazione il bando considera, tra gli elementi di valutazione dell'offerta, quello costituito dal l'adozione di strumenti di tutela dell'occupazione da parte del soggetto privato acquirente. Il conseguente affidamento del servizio alla società così "privatizzata" viene mantenuto nel termine di cinque anni, ma nella norma viene a essere espressamente prevista l'esclusione del rinnovo alla scadenza del quinquennio.
In relazione al comma 6 dell'articolo 4 del decreto spending review, il maxiemendamento alla legge di conversione precisa che i limiti nei rapporti con organismi non societari non si applicano alle relazioni con le aziende speciali e le istituzioni che gestiscono servizi sociali e culturali oppure farmacie, nonché a un'ampia serie di soggetti appartenenti all'area non profit (vale a dire associazioni di promozione sociale, cooperative sociali, associazioni sportive dilettantistiche, associazioni rappresentative degli enti locali, come Anci e Upi) (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

SEGRETARI COMUNALI: Interrogazioni. Tra Unioni e municipi.
Niente segreteria in convenzione
IL DIVIETO/ Il ministro Giarda ha motivato la sua risposta in base al Tuel, auspicando però un ripensamento.

Non possono essere stipulate convenzioni di segreteria tra i Comuni e le Unioni: è quanto ha chiarito il ministro per i Rapporti con il parlamento, Piero Giarda, in risposta a una interrogazione che era stata presentata dall'onorevole Daniela Melchiorre.
Per il ministro è necessario ripensare tale divieto per arrivare a risultati di «razionalizzazione delle risorse e di ottimizzazione dell'esercizio delle funzioni degli enti locali». Questa esigenza è ulteriormente rafforzata dall'accelerazione impressa dal legislatore alla gestione associata tra i piccoli Comuni e dalla progressiva riduzione del numero dei segretari in servizio. Tanto più che quasi dappertutto, ai vertici delle Unioni, vi sono proprio segretari dei Comuni aderenti, sulla base di disposizioni dettate dagli statuti e della possibilità offerta dalla ex Agenzia di ricevere questo come un incarico aggiuntivo.
Il ministro ha detto "no" alla stipula di convenzioni di segreteria tra Unioni e Comuni perché «il segretario comunale e provinciale, come figura professionale, esercita le proprie attribuzioni, in conformità con quanto previsto dal proprio ordinamento e dal testo unico degli enti locali, solo presso i Comuni e le Province, o presso le convenzioni di segreteria, le quali tuttavia non riguardano né le Unioni di Comuni né le Comunità montane. Queste ultime, infatti, hanno facoltà di avvalersi per i servizi di segreteria di personale non iscritto all'apposito albo. Il quadro normativo di riferimento non contempla dunque la possibilità di stipulare una convenzione con l'Unione per il servizio di segreteria».
Giarda ha citato, a sostegno della propria tesi, la deliberazione della soppressa Agenzia nazionale dei segretari comunali e provinciali del 02.05.2001. Implicitamente ha confermato che queste disposizioni continuano ad applicarsi anche dopo che –con il Dl 95/2012, la cosiddetta spending review– è stato previsto che i Comuni possano stipulare in generale convenzioni con le Unioni.
Ma il blocco alle convenzioni per la segreteria non ha impedito che i segretari, previa autorizzazione dei sindaci, possano svolgere l'incarico di segretari dell'Unione. Tale incarico è da considerare (secondo la deliberazione 200/2001 della disciolta Agenzia) come extra-istituzionale, quindi disciplinato dall'articolo 53 del Dlgs 165/2001, e remunerato come tale.
Con la gestione associata tra i piccoli Comuni si viene a modificare in modo significativo il ruolo dei segretari nei piccoli centri, stimolando ulteriormente l'utilizzazione dello strumento convenzioni. Nella stessa direzione va anche la tendenza, consacrata da ultimo dal Dl 95/2012 con il tetto alle nuove assunzioni, alla progressiva riduzione dei segretari in servizio. Tutte queste ragioni spingono verso l'utilizzazione delle convenzioni di segreteria tra Comuni e Unioni.
Peraltro, sulla base della riscrittura delle funzioni fondamentali dei Comuni contenuta in tale provvedimento, non è più necessario che esse siano inserite nelle forme associate scelte dall'ente, potendo continuare a mantenere la loro specificità, anche per la individuazione dei Comuni (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Personale. Intervento sul trattamento accessorio. Si ripresentano le fasce di merito.
Rispuntano le fasce di merito nel decreto sulla spending review. In realtà, si tratta di ben poca cosa rispetto all'idea originaria, ma la filosofia è la stessa: programmazione degli obiettivi, sistema di misurazione e valutazione della performance e sistema premiale selettivo e meritocratico. Gli ingredienti di questa ricetta, che potrà essere utilizzata fino alla prossima tornata contrattuale, sono due: il sistema di valutazione e la differenziazione. Su questi due aspetti si concentra il decreto 95/2012 (forse dimenticando che manca l'ingrediente principe: le risorse).
Per quanto attiene ai sistemi di misurazione e valutazione della performance, vengono ridefinite le direttrici per il riconoscimento del relativo trattamento accessorio. Per i dirigenti andranno considerati due elementi: da una parte il grado di raggiungimento degli obiettivi individuali e dell'unità organizzativa di diretta responsabilità nonché il contributo alla performance complessiva, e dall'altra il comportamento organizzativo e la capacità di differenziare la valutazione dei propri collaboratori. Per il restante personale si considereranno, oltre al comportamento organizzativo, il raggiungimento degli obiettivi individuali, di gruppo e il contributo alla performance dell'unità organizzativa.
Nella sostanza, cambia poco o nulla. Il quadro complessivo continua a basarsi su tre fattori: obiettivi, comportamento e capacità di valutare. Rimane confermato che non sono considerati i periodi di congedo di maternità, di paternità e parentale. L'elemento, forse, più interessante sono le nuove fasce di merito. Ai dipendenti classificati ai vertici della graduatoria della performance individuale dovrà essere garantito un trattamento accessorio più elevato di una percentuale tra il 10 e il 30% del trattamento accessorio medio riconosciuto ai colleghi di pari categoria. La percentuale dei dipendenti virtuosi che attingeranno a questo "superpremio" non potrà essere inferiore al 10% del totale dei dipendenti oggetto di valutazione.
Quali risorse verranno destinate a questo meccanismo? Si sta parlando di quelle previste dall'articolo 6, comma 1, del Dl 141/2011, che richiama l'articolo 16, comma 5, del Dl 98/2011, ovvero dei «piani triennali di razionalizzazione e riqualificazione della spesa», i cui risparmi devono essere destinati per almeno il 50% a questo nuovo meccanismo premiale. Norma che, secondo la Corte dei conti Lombardia (deliberazione 299/2012/Par), non troverebbe applicazione agli enti locali (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 30.07.2012

APPALTI FORNITURE: Forniture. Le nuove regole si applicheranno solo agli acquisti conclusi dopo la conversione del decreto.
Metodo Consip solo sui nuovi contratti.

I contratti di acquisto di beni e servizi già stipulati dalla Pa, anche se non conformi al metodo Consip –cioè alla standardizzazione dei parametri di valore– sono salvi. Le regole contenute nel testo sulla spending review si applicheranno solo ai nuovi accordi, in particolare a quelli successivi all'entrata in vigore del decreto di conversione.
È questa una delle due modifiche di sostanza uscite dal passaggio del testo alla Commissione bilancio del Senato, alla vigilia dell'approdo in Aula per la conversione, attesa per lunedì e che sarà probabilmente accorpata al provvedimento sulle dismissioni. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 29.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Processo amministrativo a dieta. Atti brevi e chiari. Ne va dell'ammissibilità del ricorso. Il consiglio dei ministri ha approvato il secondo decreto correttivo della riforma del Cpa.
Atti brevi e chiari. Davanti al giudice amministrativo la prolissità e la confusione nell'esposizione può costare caro in termini rispettivamente ... (articolo ItaliaOggi del 28.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI PUBBLICO IMPIEGO: Nella p.a. ritornano le pagelle. Dirigenti, contano obiettivi individuali e capacità organizzative. Gli emendamenti al dl 95 rispolverano il tormentone della valutazione delle performance.
Tornano le fasce di valutazione, sia pure edulcorate e semplificate. Si ripresenta, dunque, ... (articolo ItaliaOggi del 28.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Contrattazione decentrata doc. Relazioni illustrative complete e certificazione dei revisori. Circolare della Ragioneria dello Stato dà attuazione alle norme della legge Brunetta.
Le amministrazioni possono procedere unilateralmente nelle materie relative alla organizzazione interna che sono state sottratte alla contrattazione dalla legge Brunetta. ... (articolo ItaliaOggi del 27.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI FORNITURE: Nulli i contratti stipulati senza la Consip. Ma la sanzione vale solo per il futuro.
I contratti di appalto stipulati senza ricorrere alla Consip e alle centrali di acquisto regionali saranno considerati nulli, ma soltanto dopo la conversione in legge del decreto 95 sulla spending review; sono quindi salvi i contratti ... (articolo ItaliaOggi del 27.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI: P.a., più certezza sul danno all'immagine.
Fra i tanti effetti della crisi finanziaria che scuote un'Eurozona ormai in forte sofferenza e ingenera una diffusa sensazione ... (articolo ItaliaOggi del 27.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Interrogazioni ai politici. Ai quesiti rispondono solo il sindaco o l'assessore.
Esistono disposizioni che consentono ai responsabili d'area di rispondere, in luogo degli organi politici, alle interrogazioni presentate dai consiglieri ex art. 43 del dlgs 267/2000?
L'art. 43 del dlgs n. 267/2000, al comma 3, riconosce ai consiglieri comunali ... (articolo ItaliaOggi del 27.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Quorum.
Qual'è il quorum deliberativo ai fini della votazione delle deliberazioni del consiglio comunale, con particolare riferimento alla problematica del computo degli astenuti?

L'art. 38, comma 2, dlgs 267/2000 demanda al regolamento comunale ... (articolo ItaliaOggi del 27.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATAFisco, edilizia e lavoro: primo sì al Dl sviluppo. La Camera approva le misure dopo la trentesima fiducia.
Con la trentesima fiducia in 8 mesi il Governo Monti mette in sicurezza il decreto sviluppo e "ipoteca" la sua conversione in legge. La Camera ha dato ieri il via libera in prima lettura al provvedimento che riforma gli incentivi alle imprese e punta a sostenere alcuni settori chiave come infrastrutture ed energia. Approvando il Dl nella versione uscita lunedì sera dalle commissioni competenti, che molto probabilmente sarà anche quella finale. L'Esecutivo conta infatti di far passare a Palazzo Madama, se possibile già la settimana prossima, lo stesso testo. Che a Montecitorio si è arricchito di due nuovi capitoli: le semplificazioni in edilizia e la correzione della riforma Fornero sul lavoro.
Incassare il disco verde dei deputati è stato forse più complicato del previsto per il Governo. Che è andato sotto per tre voti di scarto su un ordine del giorno del pidiellino Manlio Contento sull'udienza filtro per le cause in appello. Anche se il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha successivamente ridimensionato l'episodio, dicendo di condividerne il contenuto ma non la premessa che non era stata stralciata dall'odg.
Nessuna sorpresa invece sulle votazioni che hanno aperto e chiuso la giornata di ieri. Sia in occasione del voto di fiducia mattutino –che è passato con 475 sì, 80 no e 9 astenuti– sia nell'ok serale sull'intero Dl  che ha avuto 382 voti a favore, 80 contrari e 4 astenuti. Complice l'assenza dai banchi di quasi metà Pdl.
Come dimostrano le schede in basso, dalla Camera è uscito un provvedimento ancora più ampio e articolato rispetto a quello d'ingresso, di per sé voluminoso. I capisaldi principali del decreto sono rimasti gli stessi. Si va dall'addio a 43 norme settoriali di incentivazione alle imprese con la contestuale nascita di un unico Fondo per la crescita alla possibilità di finanziare la realizzazione di opere pubbliche in partenariato pubblico-privato con l'emissione di project bond tassati al 12,5% per tre anni. Fino alla proroga al 30 giugno 2013 di due dei bonus fiscali più "amati" dagli italiani: quello sulle ristrutturazioni edilizie che sale dal 36% al 50% con un tetto di spesa di 96mila euro anziché 48mila; quello del 55% sull'efficienza energetica.
Strada facendo il Dl si è arricchito di altre misure. È il caso del lavoro (su cui si veda la pagina accanto) e delle costruzioni, che vedono uscire decisamente rafforzato lo sportello unico per l'edilizia. Senza dimenticare le norme sull'emergenza terremoto. Tanto in Abruzzo quanto in Emilia. Anche se, su quest'ultimo punto, gran parte dei fondi arriverà dall'altro decreto in odore di approvazione (stavolta al Senato): quello sulla spending review (articolo Il Sole 24 Ore del 26.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATADECRETO SVILUPPO/ In azienda opere edili senza vincoli. Ammesso anche il cambio di destinazione d'uso dei locali adibiti alle attività.
VIA I PALETTI/ Gli interventi edilizi interni (sia in muratura che prefabbricati) sono sottratti al passaggio burocratico in Comune.

Novità per i fabbricati adibiti a esercizio d'impresa, nei quali possono essere realizzate modifiche interne di carattere edilizio o mutamenti di destinazione d'uso senza alcun titolo abilitativo.
Lo consente l'articolo 13-bis del decreto legge «sviluppo» (n. 83 del 22.06.2012), che amplia una previsione valida in precedenza solo per la manutenzione straordinaria, le pavimentazioni, i pannelli solari, le aree ludiche e le opere temporanee.
Dal giugno 2012, quindi, gli interventi edilizi interni (sia in muratura che prefabbricati) sono sottratti al passaggio burocratico del Comune, perché sono equiparati alle opere libere, che non esigono titoli edilizi. L'innovazione non riguarda le aree produttive scoperte, né quelle (quali le tettoie) che ricadono in zone prive di delimitazioni e che quindi non presentano caratteristiche di zone «interne».
In aggiunta alle opere di carattere edilizio, sono disciplinati in modo innovativo anche i mutamenti di destinazione d'uso dei locali adibiti a esercizio di impresa: ciò significa che all'interno di un immobile di impresa i singoli locali (uffici, magazzini, depositi, servizi) possono trasmigrare da una destinazione all'altra.
Le nuove libertà riguardano non solo le aree produttive, ma in generale le destinazioni ad esercizio di impresa, quindi qualsiasi intervento di tipo produttivo purché interno all'attività.
Sino a oggi la materia era regolata dalla circolare del ministero Lavori pubblici n. 1918 del 16.11.1977 in tema di opere da realizzare all'interno di stabilimenti industriali. Questa circolare riguardava tuttavia soprattutto gli elementi tecnologici, quali cabine, canalizzazioni, serbatoi baracche, palloni pressostatici chioschi, pali, passerelle basamenti e tettoie di protezione.
Si tratta di elementi di libera realizzazione purché non in contrasto con aspetti ambientali igienico sanitari e comunque senza incremento di densità (aumento di addetti).
Solo in casi particolari (come stabilito dal Tar Parma 537/2003) si riusciva a superare le previsioni dei Comuni, ottenendo la suddivisione di un ampio capannone attraverso tramezzature interne e l'ampliamento del numero degli accessi; spesso poi la modifica interna era, per il Comune, un'occasione per esigere il pagamento di oneri di concessione, quanto meno su una delle due frazioni di capannone ottenuta sezionando la precedente unità.
Questi problemi sembrano ora superati dal decreto legge del 2012, norma che va oltre gli aspetti della tecnica produttiva (le innovazioni necessarie per esigenze tecnologiche e di sicurezza), poiché vengono agevolate anche le modifiche di stampo edilizio e le destinazioni d'uso.
Un limite all'agevolazione può tuttavia desumersi dal comma 4 dell'articolo 6 del Dpr 380/2001, introdotto dal l'articolo 13-bis del decreto legge 83/2012: subito dopo aver reso liberi gli interventi nei luoghi produttivi, il legislatore prevede che l'interessato debba comunicare al Comune l'inizio dei lavori, i dati dell'impresa esecutrice e una relazione tecnica di data certa, con elaborati progettuali, a firma di un professionista abilitato.
Il tecnico deve asseverare, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo.
Sembra quindi che il nuovo comma 4 dell'articolo 6 del Dpr 380/2001 (richiedendo l'asseverazione) contrasti con il precedente comma 2, lettera e-bis (che parla di esecuzione senza alcun titolo abilitativo). Ciò accade proprio ora che la Corte costituzionale (164 del 27.06.2012) ha sancito la supremazia della legislazione nazionale in materia di Scia rispetto alle più severe norme locali.
In ogni caso, la liberalizzazione delle opere interne in edifici produttivi e quella dei cambi di destinazione vede entrare in azione le agenzie per le Imprese (regolate dalla legge 112/2008, articolo 38, comma 3), le quali devono certificare (su richiesta degli interessati) la sussistenza dei requisiti e i presupposti per considerare le modifiche interne e quelle di destinazione d'uso conformi al decreto legge 83/2012.
Anche in tal caso, quindi, la maggiore snellezza della procedura è attuata chiedendo un ausilio ai privati.
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Tutte le misure di snellimento antiburocrazia
Le novità introdotte dal decreto sviluppo incidono profondamente sull'attività edilizia, liberalizzando
le procedure soprattutto se i lavori si svolgono all'interno delle unità produttive
SPORTELLO UNICO
Lo sportello unico per l'edilizia diventa il punto di riferimento obbligato per tutti gli atti «riguardanti il titolo abitativo e l'intervento edilizio oggetto dello stesso». Lo sportello fornisce una risposta tempestiva in luogo di tutte le Pa comunque coinvolte.
Tutti gli atti dovranno essere gestiti da questa struttura, e altri uffici comunali o altre amministrazioni coinvolte dal procedimento non potranno trasmettere autonomamente «ai richiedenti» atti autorizzatori, pareri, nulla osta o consensi.
PERMESSO DI COSTRUIRE
Per il rilascio del permesso di costruire, rientra nelle competenze dello sportello unico l'acquisizione, diretta o tramite conferenza di servizi, di pareri di amministrazioni finora escluse. Tra queste, Regione, Difesa e autorità sui vincoli idrogeologici.
Il responsabile dello sportello unico ha l'obbligo di indire la conferenza di servizi se entro sessanta giorni dalla domanda manca ancora qualche nulla osta o c'è il dissenso di qualche amministrazione.
STOP ALLA DUPLICAZIONE DI DOCUMENTI
Scatta un taglio consistente della documentazione richiesta per tutti gli interventi, compresi quelli minori fatti in casa, grazie all'acquisizione d'ufficio dei documenti già in possesso degli uffici pubblici, come documenti catastali o variazioni di mappa.
In base alle nuove disposizioni contenute nella versione definitiva del Dl Sviluppo le amministrazioni «non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie, sulla veridicità e l'autenticità di tali documenti, informazioni e dati».
LAVORI NELLE IMPRESE
Novità importanti nei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, nei quali possono essere realizzate modifiche interne di carattere edilizio o mutamenti di destinazione d'uso senza alcun titolo abilitativo. Lo consente l'articolo 13-bis del Dl "sviluppo".
Dal giugno 2012 tutti gli interventi edilizi interni sono sottratti al passaggio burocratico del Comune, perché sono equiparati alle opere libere, che non esigono titoli edilizi. Prima erano esclusi solo manutenzione straordinaria, pannelli solari e aree ludiche.
CAMBI DI DESTINAZIONI D'USO IN AZIENDA
Vengono regolati anche i mutamenti di destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio di impresa: all'interno di un immobile d'impresa i singoli locali (uffici, magazzini, depositi, servizi) possono trasmigrare da una destinazione all'altra.
Le nuove libertà riguardano non solo le aree produttive, ma in generale tutte le destinazioni ad esercizio di impresa, quindi anche qualsiasi intervento di tipo produttivo purché interno all'attività (articolo Il Sole 24 Ore del 26.07.2012).

ATTI AMMINISTRATIVILa conferenza di servizi detta legge. Le indicazioni possono essere disattese solo in casi eccezionali.
Molte le novità in materia di finanza di progetto. E arriva il contratto di disponibilità.

Per i project financing la conferenza dei servizi preliminare sarà svolta sulla base dello studio di fattibilità o del progetto preliminare; ridotte le possibilità di modificare successivamente quanto deciso in conferenza di servizi. Lo studio di fattibilità necessario a promuovere un'opera in finanza di progetto dovrà essere predisposto da tecnici delle amministrazioni in possesso di adeguati requisiti tecnici o affidati a terzi. Precisate le responsabilità e i rischi dei soggetti che intervengono nei contratti di disponibilità.
Sono queste alcune delle novità che il decreto legge n. 83 sulla crescita approvato ieri dall'aula della camera prevedono per la finanza di progetto e il contratto di disponibilità, innovativa tipologia contrattuale da poco inserita nel nostro ordinamento.
Project financing. Un primo intervento di rilievo del provvedimento attiene allo snellimento e alla semplificazione delle procedure autorizzative per interventi in materia di finanza di progetto. In particolare si prevede che in relazione alle procedure disposte per la opere realizzate con finanza di progetto sia comunque indetta la conferenza dei servizi e che questa si esprima sulla base dello studio di fattibilità oppure sulla base del progetto preliminare.
Una importante precisazione riguarda poi la possibilità di modificare le indicazioni fornite in sede di conferenza dei servizi: ciò sarà possibile soltanto -in presenza di elementi significativi emersi nelle fasi successive del procedimento.
Studi di fattibilità. Il provvedimento interviene poi ... (articolo ItaliaOggi del 26.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIPartecipate, il Governo ci ripensa. Niente dismissioni delle società in house controllate dalle P.a..
Il dietrofront dell'esecutivo Monti arriva con un emendamento alla Spending review.

Sulle dismissioni delle partecipate il governo Monti ha scherzato. E così la mannaia, che nel testo originale della spending review avrebbe dovuto portare allo scioglimento entro il 31.12.2013 di tutte le società in house -controllate direttamente o indirettamente- da pubbliche amministrazioni centrali e locali (compresi i colossi Consip e Sogei controllati dal Met), diventerà un intervento di micro-chirurgia. Perché scamperanno ai tagli non solo le società «che svolgono servizi di interesse generale» o «compiti di centrali di committenza» (la Consip appunto) o «che gestiscono banche dati strategiche per il conseguimento di obiettivi economico-finanziari» (la Sogei), ma anche quelle degli enti locali. I comuni potranno infatti sempre dimostrare di essere costretti agli affidamenti diretti tutte le volte in cui -per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento, non sia possibile per l'amministrazione pubblica controllante un efficace e utile ricorso al mercato.
Basterà inviare una relazione all'Antitrust per poter proseguire nelle gestioni. Come anticipato da ItaliaOggi il 17/7/2012, il capitolo delle dismissioni, su cui evidentemente il governo si è reso conto di aver scritto una norma potenzialmente esplosiva (perché, tra le altre, avrebbe travolto anche la società per la gestione dell'Expo 2015 di Milano) è stato uno dei primi sui cui si sono concentrati gli interventi correttivi dei relatori al decreto legge di riduzione della spesa pubblica (dl 95/2012).
Ma negli emendamenti di Gilberto Pichetto Fratin e Paolo Giaretta, approvati ieri dalla commissione bilancio del senato, vi sono molti altri dietrofront rispetto al testo iniziale e anche qualche sorpresa. Tra i ripensamenti si segnala lo stop ... (articolo ItaliaOggi del 26.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALISPENDING REVIEW/ «In house», salta il taglio automatico. Braccio di ferro su Province e pubblico impiego - Ipotesi ritocchi al patto di stabilità.
I NODI/ Sugli statali possibile ritorno alla concertazione con vincolo di 30 giorni. Maggiori risparmi dalle Prefetture e ufficio per garantire i cittadini.

Salvataggio di una grande fetta delle società pubbliche in house con lo stop al meccanismo della chiusura automatica. Eliminazione dell'obbligo di sopprimere o accorpare enti strumentali e agenzie delle autonomie locali a patto che venga comunque garantita una riduzione di spesa del 20% nella loro gestione. Raddoppio dei risparmi previsti, dal 10% al 20% delle uscite sostenute, dal riordino delle Prefetture e nascita di un nuovo ufficio unico di garanzia tra rapporti tra cittadini e Stato.
Su questo primo pacchetto di modifiche dei relatori alla spending review ieri è arrivato il via libera della commissione Bilancio del Senato, dove fino a notte fonda è andato avanti un serrato braccio di ferro tra maggioranza e Governo sul taglio del Province ed è proseguita una sorta di trattativa a oltranza sugli altri nodi del decreto: ricerca, pubblico impiego, sanità ed enti locali.
Proprio sugli enti locali si è giocata una partita nella partita per effetto del pressing del Pd e dei comuni, con il Governo che ha cominciato a valutare un alleggerimento della stretta o ritocchi al patto di stabilità mantenendo comunque invariati i saldi del decreto. Dopo l'incontro del leader del Pd, Pier Luigi Bersani con Mario Monti e i successivi contatti tra il premier e il ministro dell'Economia Vittorio Grilli, un intervento sugli enti locali veniva considerato probabile.
Emendamento che potrebbe vedere la luce oggi. Dopo i numerosi stop and go della giornata di ieri con più di un momento di tensione, uno slittamento della conclusione dei lavori della Commissione veniva considerato quasi scontato nonostante la maratona notturna. Il testo, quindi, non approderà più in Aula al Senato in giornata ma domani.
Nel primo pacchetto modifiche dei relatori, Paolo Giaretta (Pd) e Gilberto Pichetto Fratin (Pdl), spicca la rivisitazione, quasi integrale, del dispositivo previsto dal decreto per tagliare le società pubbliche in house, ovvero quelle che erogano servizi alla Pa. Anzitutto viene precisato che la soppressione non interessa le società che svolgono servizi di interesse generale, «anche aventi rilevanza economica», e quelle che svolgono prevalentemente compiti di centrali di committenza come Consip e Sogei.
Salve anche tutte le società finanziarie regionali e quelle che gestiscono banche dati necessarie per ottenere fondi Ue e per la tutela della privacy. Salvataggio anche per le società in house costituite nell'ambito della realizzazione di Expo Milano 2015. Soppressione evitabile, seppure con un parere vincolante dell'Authority per la concorrenza, anche quando «per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto non sia possibile per la Pa controllante un utile e efficace ricorso al mercato».
Sempre per evitare il taglio automatico è stata data la possibilità alle amministrazioni di predisporre entro i prossimi tre mesi piani di ristrutturazione delle società controllate, che dovranno essere approvati dopo il parere favorevole del super-commissario Enrico Bondi.
Salta, con un altro emendamento dei relatori, anche l'obbligo di abolizione di agenzie ed enti strumentali degli enti locali (dalle aziende speciali alle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali) a patto che questi ultimi garantiscano la prevista riduzione di spesa del 20%. Via libera anche all'immediata istituzione di una Conferenza metropolitana nelle nuove 10 città metropolitane.
Ma la vera partita si è giocata sulle Province con Pdl e Pdl a spingere per tutto il giorno per un alleggerimento del tagli, a partire dal salvataggio di Terni, Matera e Isernia (con conseguenti frizioni con Coesione nazionale) e il ministro Filippo Patroni Griffi ad opporsi fino a tarda sera.
Tensioni nella maggioranza anche sugli statali. Con il Pd in pressing per tornare a una concertazione vincolante per il riassetto del pubblico impiego, su cui il Pdl però ha mostrato più di una perplessità. In serata l'ipotesi di mediazione, anche sulla base del lavoro di tessitura di Patroni Griffi, era di inserire un termine di 30 giorni per la consultazione dei sindacati.
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Le ultime modifiche
SOCIETÀ IN HOUSE
Dai relatori è arrivata ieri la riscrittura delle norme sulle società in house: non saranno chiuse automaticamente, ma ci sarà la possibilità di una selezione. L'articolo in questione prevede la privatizzazione delle società pubbliche e il ricorso al mercato
SPA LOCALI
Salta l'obbligo per Regioni, Province e Comuni di sopprimere o accorpare i propri enti o agenzie, a patto che realizzino comunque un risparmio del 20% per la loro gestione. La norma è stata votata ieri in Commissione al Senato
PROVINCE
Altra questione spinosa è quella delle province, per cui il testo del governo prevedeva un sostanziale dimezzamento, con un taglio dei piccoli enti. Terni, Matera e Isernia sono attualmente al centro di un braccio di ferro tra il Governo e la maggioranza.
SANITÀ
Gli interventi sui farmaci riguardano in particolare gli sconti più leggeri richiesti a farmacisti e industrie. Quelli sui beni e servizi soprattutto i tagli ai contratti in essere. Sul taglio dei posti letto negli ospedali si è ragionato fino all'ultimo sulla necessità di evitare automatismi
PUBBLICO IMPIEGO
Tensioni nella maggioranza sul pubblico impiego. Con il Pd in pressing per tornare a una concertazione vincolante per il riassetto, su cui il Pdl però ha mostrato perplessità. In serata l'ipotesi mediazione di inserire un termine di 30 giorni per la consultazione dei sindacati
PREFETTURE
I risparmi che dovrà assicurare la trasformazione delle Prefetture da Ufficio territoriale del Governo ad Ufficio territoriale dello Stato, dovranno essere del 20% e non più solo del 10%. Prevista la nascita di un nuovo ufficio unico di garanzia tra rapporti tra cittadini e Stato (articolo Il Sole 24 Ore del 26.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOLinea dura sugli statali "inefficienti". Sanzioni per chi non rispetta i tempi.
L'emendamento al decreto Sviluppo. Oggi il voto di fiducia.

Tempi duri per il pubblico dipendente che non completi un procedimento nei tempi prescritti.
Un emendamento al decreto Sviluppo, presentato dai relatori Alberto Fluvi (Pd) e Raffaello Vignali (Pdl) con il parere favorevole del governo ... (articolo Corriere della Sera del 25.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIAppalti del settore pubblico senza responsabilità solidale.
LE PREVISIONI/ L'esonero riguarda anche le società partecipate e i privati che appaltano i lavori a scomputo.
Stazioni appaltanti pubbliche escluse dalla responsabilità solidale, che in tutti gli altri casi si applica nell'ambito degli appalti di lavori, servizi e forniture. In questi casi, prima di effettuare il pagamento, il committente deve prendere visione dei documenti che attestano da parte dell'appaltatore e di eventuali subappaltatori il rispetto degli obblighi fiscali. Se non vede i documenti, il committente può sospendere i versamenti, anche perché un pagamento che non passi da questa verifica comporta una sanzione fino a 200mila euro.

Viene corretta in questi termini la materia della responsabilità solidale degli appalti nel nuovo articolo 13-ter del decreto sviluppo, inserito nel maxiemendamento alla legge di conversione.
La novità principale è l'esclusione del mondo pubblico, rappresentato dagli enti ma anche dalle società partecipate: le definizioni di riferimento sono quelle contenute all'articolo 32 del Codice dei contratti (decreto legislativo 163/2006), e di conseguenza l'esclusione riguarda anche i soggetti privati quando appaltino i lavori a scomputo (lo prevede la lettera d dell'articolo 32). Con il nuovo ambito applicativo, la norma viene incontro in particolare alle difficoltà degli enti locali, che nell'ultima versione della regola scritta nella legge di conversione al decreto sulle «semplificazioni fiscali» (Dl 16/2012) si erano visti arruolare nelle verifiche sulla «fedeltà» fiscale e contributiva delle imprese esecutrici o fornitrici.
Sull'oggetto dei controlli, la nuova regola conferma l'estensione della responsabilità al versante fiscale, concentrata in particolare sulle ritenute e sull'Iva, e rafforza le procedure di controllo: essenziale, in questa chiave, è il blocco dei pagamenti da parte del committente a cui non viene consegnata la documentazione che attesta il rispetto degli adempimenti. Molto alte, come accennato, le sanzioni per chi effettua pagamenti senza seguire questo passaggio.
Sempre in tema di Pa, il maxiemendamento al decreto Sviluppo torna sul tema dell'«amministrazione aperta» estendendo alle società partecipate l'obbligo di pubblicare su Internet la radiografia di tutti i pagamenti superiori a mille euro, con nome del beneficiario, curriculum, contratto e somma erogata. Stretta drastica, invece, sugli acquisti di software proprietari con licenza: le Pubbliche amministrazioni potranno imboccare questa strada solo dopo aver verificato che è impossibile scegliere un software sviluppato per conto di altre amministrazioni oppure a sorgente aperta (articolo Il Sole 24 Ore del 25.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 23.07.2012

APPALTI SERVIZI: Corte costituzionale. Accolto il ricorso di sei regioni su affidamenti in house, diritti di esclusiva e società partecipate.
Servizi, liberalizzazioni bocciate. Illegittime le nuove regole: sono la copia di quelle abrogate dal referendum.
LA DECISIONE/ Con la manovra di Ferragosto 2011 è stato «tradito» il risultato delle consultazioni di appena due mesi prima.

Le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali scritte nella manovra-bis del Ferragosto 2011 sono la copia, ancor più decisa rispetto all'originale, di quelle abrogate per referendum solo due mesi prima, quindi sono illegittime.
Sulla base di questo ragionamento, tanto attendibile nei contenuti quanto deflagrante negli effetti, la Corte costituzionale ha assestato ieri (sentenza 199/2012: presidente Quaranta, relatore Tesauro) la bordata più dura all'ultima manovra anti-spread dell'estate scorsa (l'altro colpo arriva sui costi della politica: si veda l'articolo sotto), dando ragione al gruppo di sei Regioni (Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna) che erano partite all'attacco della nuova normativa.
A salvare l'intervento non è bastata l'esclusione espressa del «servizio idrico integrato», perché i referendum abrogativi di giugno si erano concentrati sull'acqua solo per la propaganda, ma in realtà avevano cancellato tutte le liberalizzazioni contenute nel primo tentativo del 2008. Ancor meno utile è stata la rubrica della norma, che parlava di «adeguamento al referendum popolare». Riproporre norme appena cancellate dal voto, per di più a soli 23 giorni dal decreto di abrogazione, non si può.
Anche per questa ragione, la sentenza agisce di machete più che di bisturi, e dichiara l'illegittimità dell'articolo 4 del Dl 138/2011 «sia nel testo originario che in quello risultante dalle successive modificazioni», compresi i ritocchi apportati da ultimo con il «Cresci-Italia» del Governo Monti (articolo 53 del Dl 83/2012). Addio, quindi, ai limiti economici per gli affidamenti in house, preclusi per servizi di valore superiore ai 900mila euro annui (diventati poi 200mila con il decreto liberalizzazioni 1/2012 del Governo Monti), all'obbligo per gli enti locali di effettuare analisi di mercato entro il 13 agosto prossimo per giustificare l'attribuzione di diritti di esclusiva (già si parlava di una proroga da inserire nella legge di conversione al decreto di revisione della spesa) e, ovviamente, a tutte le norme dei provvedimenti attuativi. Ancora una volta, quindi, cadono le regole che provavano a chiudere le porte girevoli fra la politica e le società partecipate, impedendo agli ex amministratori locali di sedere nei consigli di amministrazione delle società.
Immediata l'esultanza della sinistra referendaria, a partire dal presidente della Puglia, Nichi Vendola, che sull'onda della sentenza chiede di cancellare subito anche la tagliola prevista dal decreto legge sulla revisione di spesa per le società strumentali della Pubblica amministrazione. Secondo gli operatori, come spiega il direttore generale di Federutility, Adolfo Spaziani, la sentenza è l'occasione per «cambiare rotta e pensare a normative serie di settore, come si è fatto con energia e gas, per premiare chi è efficiente e colpire chi non lo è: bisogna smetterla con questi continui tira e molla normativi, con i quali si vuole fare di più ma si finisce per fare di meno». Anche l'associazione dei Comuni, per bocca del suo vicepresidente Alessandro Cattaneo, chiede «regole certe subito», mentre a livello locale la pronuncia rinfocola le polemiche contro i processi di cessione di quote, a partire dalla romana Acea che si era appena incagliata al Consiglio di Stato.
Cancellata tutta l'architettura legislativa che si era accumulata con gli ultimi provvedimenti, la bussola torna per ora a essere la normativa europea (richiamata dagli stessi giudici costituzionali), che permette l'affidamento in house a tre condizioni: la società affidataria deve avere capitale interamente pubblico e svolgere la quota prevalente della propria attività con l'ente affidante, che a sua volta deve esercitare su questa un controllo «analogo» a quello assicurato sui propri uffici. Naturalmente nulla vieta nuove leggi, anche perché la stessa Corte costituzionale in passato ha chiarito che «il legislatore conserva il potere di intervenire nella materia oggetto del referendum», a patto che l'intento non sia di «far rivivere la normativa abrogata».
Prima di tutto, però, occorrerà chiarire bene alcuni punti rimasti aperti, come la sottoposizione delle società in house ai vincoli del Patto di stabilità (si attende il regolamento attuativo), prevista sia all'articolo 4 (abrogato) sia al 3-bis (sopravvissuto) della manovra estiva (articolo Il Sole 24 Ore del 21.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Via allo sportello unico obbligatorio. Per edilizia e casa rafforzata la struttura antiburocrazia comunale per tutti i pareri.
IL PACCHETTO/ Semplificate le procedure per il permesso di costruire e ridotta la documentazione con il meccanismo dell'acquisizione d'ufficio.

Sportello unico per l'edilizia rafforzato, senza più passaggi frammentati tra varie amministrazioni per costruzioni e lavori. Semplificazione delle procedure per il permesso di costruire facendo leva su una sorta di gestione unificata. E –per tutti gli interventi, compresi quelli minori fatti in casa– divieto per gli uffici pubblici di continuare a chiedere documenti catastali, variazioni di mappa e altri certificati già in possesso della pubblica amministrazione.
A far scattare la "fase due" del piano di semplificazioni congegnato dal Governo è il via libera arrivato dalle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera, seppure in extremis e non senza qualche tensione tra maggioranza ed Esecutivo, a un emendamento al decreto sviluppo firmato dai relatori del provvedimento.
Alla fine di una lunga maratona, tutti i gruppi parlamentari, di maggioranza e d'opposizione, hanno dato l'ok al correttivo che era stato congelato per qualche ora per consentire di avere sul testo dell'emendamento anche il parere del ministero per i Beni ambientali e culturali su alcuni aspetti relativi ai vincoli paesaggistici. A far notare che nel testo abbozzato dal Governo mancava l'assenso del Mibac è stato uno dei relatori, Alberto Fluvi (Pd), peraltro assolutamente d'accordo con i contenuti del correttivo così come il suo partito.
Di qui l'impasse in commissione con il congelamento del testo, il cui via libera era atteso giovedì. Questa mattina poco prima della conclusione dei lavori in commissione il parere è arrivato, e con una sorta di procedura "straordinaria" di recupero, grazie anche al lavoro di tessitura svolto dal sottosegretario ai rapporti con il Parlamento, Giampaolo D'Andrea. Il correttivo, firmato da Fluvi e dall'altro relatore Raffaello Vignali (Pdl) è stato alla fine approvato. Anche se Fluvi e altri parlamentari, dopo aver sottolineato la necessità di rispettare sempre l'autonomia del Parlamento, hanno mosso qualche critica al Governo per la ristrettezza dei tempi a disposizione delle Commissioni per la gestione di alcuni testi.
Un ruolo decisivo nell'elaborazione dell'emendamento l'ha avuto il ministero della Pubblica amministrazione che, d'intesa con quello delle Infrastrutture, ha contribuito a mettere nero su bianco l'accordo raggiunto nei giorni scorsi sul pacchetto edilizia con Regioni, enti locali e parti sociali. Non a caso il ministro Filippo Patroni Griffi ha espresso grande soddisfazione per il via libera delle Commissioni.
«Le semplificazioni si fanno soprattutto sul campo. Questa norma –ha affermato Patroni Griffi– si affianca al lavoro che stiamo facendo al tavolo tecnico della conferenza unificata con le autonomie per migliorare in concreto i servizi a cittadini e imprese sull'intero territorio». Il ministro ha poi voluto ringraziare i relatori e le forze politiche: «Il Parlamento –ha detto– sta svolgendo un ruolo fondamentale nel miglioramento del provvedimento, in particolare in materia di semplificazione per le imprese».
Il cardine del pacchetto è lo sportello unico per l'edilizia rafforzato. Tutti gli atti dovranno essere gestiti da questa struttura, e altri uffici comunali o altre amministrazioni non potranno in alcun modo trasmettere autonomamente «ai richiedenti» pareri, nulla-osta o documenti di consenso. Anche tutti gli atti collegati al rilascio del permesso di costruire (dal parere della asl, a quelli dei Vigili del fuoco o le certificazioni degli uffici tecnici delle Regioni) dovranno essere acquisiti dallo sportello unico «direttamente o tramite Conferenza dei servizi». Scatterà poi un taglio consistente della documentazione oggi richiesta per effetto dell'acquisizione d'ufficio dei documenti già in possesso degli uffici pubblici.
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Le novità nel settore costruzioni
SPORTELLO PER L'EDILIZIA - Competenze accentrate
Lo sportello unico per l'edilizia diventa il punto di riferimento obbligato per tutti gli atti «riguardanti il titolo abitativo e l'intervento edilizio oggetto dello stesso». Lo sportello fornisce una risposta tempestiva in luogo di tutte le Pa comunque coinvolte.
Tutti gli atti dovranno essere gestiti da questa struttura, e altri uffici comunali o altre amministrazioni coinvolte dal procedimento non potranno trasmettere autonomamente «ai richiedenti» atti autorizzatori, pareri, nulla-osta o documenti di consenso
CONFERENZA DEI SERVIZI - Più pareri acquisibili
Ai fini del rilascio del permesso di costruire, rientra nelle competenze dello sportello unico l'acquisizione, diretta o tramite conferenza di servizi, di pareri di amministrazioni finora escluse. Tra queste, gli uffici tecnici della Regione, la Difesa, le Dogane, le autorità competenti in materia di vincoli idrogeologici.
Il responsabile dello sportello unico indice la conferenza di servizi se entro sessanta giorni dalla domanda manca ancora qualche nulla osta o c'è il dissenso di qualche amministrazione
DOCUMENTAZIONE - Meno certificati richiesti
Scatta un taglio consistente della documentazione richiesta per tutti gli interventi, compresi quelli minori fatti in casa, grazie all'acquisizione d'ufficio dei documenti già in possesso degli uffici pubblici, come documenti catastali, variazioni di mappa e altri certificati già a disposizione della pubblica amministrazione.
In base alle nuove disposizioni le amministrazioni «non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie, sulla veridicità e l'autenticità di tali documenti, informazioni e dati» (articolo Il Sole 24 Ore del 21.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI FORNITURESPENDING REVIEW/ Senza Consip approvigionamenti nulli. Non c'è una norma di diritto transitorio.
Acquisti p.a., procedure a rischio. Nessuna certezza sulla sorte delle gare già in corso.

Nella spending review manca una norma di diritto transitorio per regolamentare le acquisizioni di beni e servizi al di fuori del sistema Consip, che rischia di mettere fortemente in crisi le amministrazioni. l'articolo 1 del dl 95/2012, nel regolamentare l'obbligo per tutte le amministrazioni di avvalersi della Consip o delle centrali di committenza regionali per i contratti di beni e servizi, non ha minimamente tenuto conto delle procedure di gara avviate e non ancora concluse al momento dell'entrata in vigore del decreto.
Le disposizioni in merito agli acquisti sono sin troppo drastiche: «I contratti stipulati in violazione dell'articolo 26, comma 3, della legge 23.12.1999, n. 488 e i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip spa sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa. Ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e quello indicato nel contratto. Non sono comunque nulli i contratti stipulati tramite altra centrale di committenza a condizioni economiche più favorevoli».
Si sanziona con la nullità, che è insanabile, non solo e non tanto l'approvvigionamento che avvenga a costi maggiori di quelli rilevabili dal sistema Consip-centrali di committenza, ma specificamente qualsiasi procedura di acquisizione al di fuori del sistema. Il legislatore, ... (articolo ItaliaOggi del 20.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALITagli ai comuni ma più funzioni. Rispetto al federalismo cresce la lista delle competenze. Ridisegnati i poteri dei sindaci. Si complicano i fabbisogni standard.
La nuova mappa delle funzioni fondamentali dei comuni tracciata dal decreto sulla spending review ricalca solo in parte quella contenuta nella legge sul federalismo fiscale. Nel complesso, il nuovo elenco pare più ampio di quello preesistente. E quindi lecito attendersi un ulteriore allungamento dei tempi per l'individuazione dei fabbisogni standard di spesa.
L'art. 19, comma 1, del dl 95/2012, nel quadro della complessiva revisione della disciplina sull'obbligo di gestione associata da parte dei piccoli comuni, provvede a ridefinire il core business dei municipi, «ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. p), Cost.». Proprio tale riferimento alla Carta fondamentale rivela la portata generale della disposizione, che sembra destinata ad applicarsi (a differenza dei commi successivi) anche agli enti di maggiori dimensioni, sostituendo quella di cui all'art. 21, comma 3, della legge 42/2009.
Quest'ultimo, come noto, aveva operato una prima cernita delle funzioni fondamentali comunali, al fine di avviare la determinazione dei fabbisogni standard relativi alle connesse spese, cui agganciare i nuovi meccanismi di finanziamento previsti dal federalismo fiscale. A completare il quadro, era poi intervenuto il digs 85/2010, che aveva affidato tale compito a Sose ed Anci-Ifel, che lo stanno (faticosamente) svolgendo.
Ora, la novella legislativa spariglia nuovamente le carte. In effetti, mentre la legge 42 aveva mutuato l'articolazione delle funzioni (e relativi servizi) prevista dal dpr 194/1996 sui modelli di bilancio, «scremando. (per così dire) quelle (ritenute) fondamentali, il dl 95 introduce una classificazione meno «familiare ... (articolo ItaliaOggi del 20.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATAAbusivismo, fondi alle demolizioni. La Cdp anticiperà ai comuni le spese per gli interventi. Le amministrazioni possono agire più velocemente grazie alla Cassa depositi e prestiti.
La Cassa depositi e prestiti mette a disposizione finanziamenti senza interessi, per anticipare ai comuni i fondi per la copertura di spese per la demolizione di opere abusive. Tutti i comuni italiani possono accedere a sportello al finanziamento previsto dl n. 269/2003.
Il Fondo rotativo ha un importo massimo pari a 50 milioni. Questi possono essere erogati, per concedere ai comuni anticipazioni senza interessi sui costi da sostenere. Tra questi, sono ammissibili anche le spese giudiziarie, tecniche e amministrative, relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive, anche disposti dall'autorità giudiziaria. Il capitale anticipato, unitamente alle spese di gestione del Fondo, pari allo 0,1% annuo sul capitale erogato, deve essere restituito entro 5 anni, utilizzando le somme riscosse a carico degli esecutori degli abusi.
Gli enti locali possono quindi contare su una maggior rapidità nell'esecuzione delle demolizioni grazie alla possibilità di ottenere liquidità dalla Cassa depositi e prestiti, senza dover attendere il pagamento dei lavori da parte di chi ha realizzato gli abusi edilizi.
Necessario il provvedimento di demolizione.
Possono accedere alle anticipazioni esclusivamente i comuni nel cui ambito territoriale si è realizzata l'opera abusiva, oggetto di un provvedimento di demolizione. Sono oggetto delle anticipazioni esclusivamente i costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive.
Il finanziamento può essere accordato esclusivamente per spese per le quali il soggetto competente alla demolizione, non abbia concluso la fase contabile dell'impegno in data anteriore a 90 giorni. Non sono previste soglie minime o massime di accesso al Fondo. Ogni domanda di anticipazione può far riferimento ad un solo intervento di demolizione. ... (articolo ItaliaOggi del 20.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATAIn bilico le semplificazioni in edilizia. Confronto fino a notte sul Dl sviluppo ma il Pd frena – Iva per cassa, il tetto sale a 2 milioni.
IN COMMISSIONE/ Via libera con tensioni alla modifica sull'Abruzzo Ostruzionismo della Lega superato con un'apertura sui Comuni dell'Emilia.

Pacchetto sulle semplificazioni edilizie in bilico alla Camera fino a tarda notte. Con il Pd a frenare sull'intesa raggiunta mercoledì tra Governo, Regioni, enti locali e le parti sociali. Nel pomeriggio inaspettatamente è stato uno dei due relatori, Alberto Fluvi (Pd), a non sottoscrivere l'emendamento che era stato affinato dai ministeri delle Infrastrutture e della Pubblica amministrazione, mentre l'altro relatore, Raffaele Vignali (Pdl) confermava la sua adesione. L'ossatura del correttivo era quella ormai nota (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), con lo sportello unico per l'edilizia "rafforzato", la semplificazione del permesso di costruire e l'acquisizione d'ufficio della documentazione già in possesso della pubblica amministrazione.
Misure anti-burocrazia soprattutto per l'edilizia con cui il Governo punta a dare la via alla "fase due" delle semplificazioni. E proprio per accelerare il più possibile l'Esecutivo aveva deciso di sfruttare subito il veicolo del decreto sviluppo, che la prossima settimana dovrà essere approvato dalla Camera per poi passare al Senato per l'ok definitivo, facendo leva su un emendamento ad hoc. Emendamento che nella mattinata di ieri era stato discusso con i relatori senza grosse obiezioni.
Nel pomeriggio però a sorpresa, il correttivo è rimasto fuori dall'ultimo pacchetto di correttivi dei relatori per lo stop di Fluvi, motivato con perplessità su alcuni aspetti del testo alla tutela dell'ambiente, ma in gran parte collegato alla giornata di tensione vissuta ieri alla Camera tra maggioranza e Governo. A quel punto è scattata la trattativa fino a tarda notte per recuperare l'emendamento.
Era stato presentato già nel pomeriggio quello dei relatori sull'estensione dell'opzione Iva per cassa a imprese con volume d'affari fino a 2 milioni (oggi il limite è a 200mila euro). L'imposta diviene, comunque, esigibile dopo il decorso di un anno dal momento di effettuazione dell'operazione. Per Vignali si libera «ossigeno per le imprese più strutturate che operano nella subfornitura del manifatturiero». A firma dei relatori anche l'emendamento che, i fini della bonifica, include tra i siti di interesse nazionale quelli interessati da raffinerie, impianti chimici, raffinerie, e quello che stabilisce la responsabilità degli impiegati pubblici che determinano ritardi nel rilascio di autorizzazioni.
Via libera, con momenti di tensione, all'emendamento del Governo che dà il via alla gestione ordinaria della ricostruzione post-terremoto in Abruzzo. L'Esecutivo è stato battuto su una subemendamento Pd-Pdl-Idv relativo a procedure amministrative e ha dovuto accettare la cancellazione della norma che sopprimeva diversi nuclei di valutazione attivi nell'amministrazione. L'ostruzionismo della Lega sull'emendamento del Governo si è interrotto solo quando, con il sostegno del Pd, è passata la norma che estende il numero dei comuni che riceveranno gli aiuti dopo il sisma dell'Emilia. Approvato l'emendamento Pd e Pdl che importa nel Dl un disegno di legge già in esame in commissione con incentivi all'acquisto dei veicoli elettrici da 3.000 a 5.000 euro e agevolazioni per diffondere i punti di ricarica. Lo stanziamento triennale, non senza polemiche tra Governo e maggioranza, è stato però dimezzato a 210 milioni.
Il decreto, al quale tra l'altro sono stati presentati da deputati Pdl emendamenti sul patto di famiglia ribattezzati «anti-Veronica Lario», imbarca novità sul fronte energetico. La durata delle concessioni idroelettriche si riallunga per un periodo «da venti anni fino ad un massimo di trenta anni, rapportato all'entità degli investimenti ritenuti necessari». Le Regioni potranno destinare una quota dei canoni alla riduzione dei costi dell'energia. Una svolta per il settore, secondo Stefano Saglia (Pdl) che aveva proposto la prima versione dell'emendamento. Lo stesso Saglia difende l'emendamento sulla remunerazione della generazione elettrica di riserva, criticato da Confindustria. L'emendamento «intende rendere meno onerosa la crescita delle fonti rinnovabili».
«Si è cercato inoltre di rendere operativo il principio del Dl liberalizzazioni che ha previsto l'introduzione del servizio di flessibilità per garantire la sicurezza e la qualità delle forniture» (articolo Il Sole 24 Ore del 20.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).
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Sportello unico, nessuna Pa esclusa.
IL PROJECT BOND/ Ciaccia lancia l'ipotesi di una super-obbligazione che tenga insieme più società di progetto in un piano integrato.

Contiene una norma di forte impatto, che potrebbe cambiare la velocità di marcia di un pezzo dell'economia italiana, l'emendamento al decreto sviluppo che rafforza lo sportello unico per l'edilizia e la conferenza di servizi connessa, attribuendogli competenze non solo istruttorie, ma anche decisorie.
In sostanza, l'emendamento -messo a punto con una lunga riunione notturna fra Funzione pubblica e Infrastrutture con il consenso di Regioni, enti locali e parti sociali- fa rientrare nel perimetro di competenza dello sportello unico pareri di amministrazioni fino a oggi escluse: dagli uffici tecnici della Regione alla Difesa, dalle dogane al demanio marittimo, dalle tutele dei beni culturali e paesaggistiche alle autorità competenti sui vincoli idrogeologici.
Nel testo unico per l'edilizia finora erano ricompresi nell'attività dello sportello unico solo i pareri delle Asl e dei vigili del fuoco. L'emendamento prevede inoltre che lo sportello unico per l'edilizia «costituisce l'unico punto di accesso per il privato interessato in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti il titolo abilitativo e l'intervento edilizio oggetto dello stesso che fornisce una risposta tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni, comunque coinvolte». Tra queste sono ricomprese le amministrazioni «preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità».
Ieri, intanto, il viceministro alle Infrastrutture, Mario Ciaccia, ha rilanciato in un seminario organizzato dall'Ance il tema del «project bond italiano», il cui decollo è garantito dalle recenti innovazioni introdotte nel decreto sviluppo. Ciaccia ha confermato che entro fine mese sarà emanato il decreto Economia-Infrastrutture che regola le garanzie prestate sui bond e i soggetti che possono prestare queste garanzie. Il viceministro ha anche ipotizzato un super project bond emesso congiuntamente da più società di progetto, «non solo al fine di trarre beneficio dalle condizioni finanziarie più favorevoli derivanti dal merito di credito complessivo, ma spinti anche dal forte grado di appetibilità del progetto integrato».
Un ruolo importante nell'avvio dei project bond in Italia sembra destinato ad averlo Cassa Depositi e prestiti. Lo ha spiegato Matteo Del Fante, direttore generale di Cdp: «Siamo pronti a valutare –ha detto al convegno Ance- la sottoscrizione di una parte importante di titoli nella prima emissione di project bond made in Italy, ferma restando ovviamente la valutazione sulla bontà del progetto». Cassa depositi valuta anche l'ipotesi di lanciare emissioni di project bond dove già è in pista per il finanziamento di infrastrutture (articolo Il Sole 24 Ore del 20.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Appalti, la p.a. non paga in solido. Amministrazioni escluse dalla responsabilità verso il fisco. Lo prevede un emendamento dei relatori al dl crescita. Cause di esonero certe per l'appaltatore.
Stazioni appaltanti escluse dalla responsabilità solidale verso il fisco per ritenute di acconto e Iva. Un emendamento, presentato dai relatori ... (articolo Il Sole 24 Ore del 20.07.2012 - tratto da www.ecostrampa.it).

EDILIZIA PRIVATAUno sportello unico per l'edilizia. In arrivo misure per semplificare i lavori: procedura snella sulla licenza per costruire.
Il Governo è pronto ad avviare subito la "fase due" delle semplificazioni. Un nuovo pacchetto di misure, tarate soprattutto sull'edilizia, è in avanzato stato di definizione. E tra oggi e domani potrebbe essere inserito con un emendamento ad hoc nel decreto sviluppo, all'esame delle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera. Anche se resta aperta l'ipotesi di un provvedimento mirato da varare nei prossimi giorni.
Tre i pilastri su cui poggiano gli interventi su cui sta lavorando da diversi giorni il Governo d'intesa con Regioni, enti locali e parti sociali: sportello unico per l'edilizia rafforzato, semplificazione del permesso di costruire e acquisizione d'ufficio della documentazione amministrativa già in possesso degli uffici pubblici.
A queste misure si aggiungerebbero altri interventi di sburocratizzazione per facilitare la definizione dei contratti nel settore delle costruzioni e per ridurre i passaggi amministrativi nell'intero settore dell'edilizia. Il ministero della Pubblica amministrazione, che ha gestito il grosso del l'operazione, e quello delle Infrastrutture starebbe apportando gli ultimi ritocchi prima di dare l'ok definitivo all'intervento.
Ma appare già chiaro che se il pacchetto sarà presentato dal Governo nell'attuale configurazione, il cuore della nuova fase di semplificazione sarà rappresentato dallo sportello unico per l'edilizia che funzionerebbe quasi a 360 gradi. Attualmente questo strumento anti-burocrazia funziona solo per un numero limitato di atti. Con le nuove misure la gamma di procedure, adempimenti e autorizzazioni gestita verrebbe sensibilmente ampliata. Tra le ipotesi allo studio c'è anche quello della Valutazione di impatto ambientale (Via) "standardizzata", senza più distinzioni tra livello nazionale e regionale. Ma nelle ultime ore questa opzione sembra aver perso quota.
Il lavoro compiuto dall'Esecutivo in sinergia con i governatori, anche sulla base delle indicazioni provenienti dalle imprese, ha comunque consentito di mettere a punto altri interventi. A cominciare dalla semplificazione del permesso di costruire cui si aggiungerebbe un'altra sburocratizzazione delle procedure sulla demolizione delle costruzioni. Un sensibile cambiamento di rotta ci sarebbe sul fronte documentazione: gli atti già in possesso della Pa verrebbero considerati acquisiti d'ufficio.
Già ieri sembrava che il nuovo pacchetto di semplificazioni fosse pronto ad entrare nel decreto sviluppo. Ma alla fine è stato deciso di valutare se ricorrere oggi o domani a un emendamento ad hoc dei relatori del provvedimento alla Camera, Raffaele Vignali (Pdl) e Alberto Fluvi (Pd). Sempre oggi dovrebbe essere presentato dai relatori l'emendamento sul rafforzamento dell'Iva per cassa.
Intanto ieri le commissioni hanno lavorato fino a tarda notte ma con diversi stop and go per un lungo braccio di ferro tra Lega e maggioranza sulle misure sul terremoto per l'Abruzzo. Per effetto del l'approvazione di due sub-emendamenti (presentati rispettivamente da Udc e Pd e Pdl e Idv) all'emendamento originario del ministro Fabrizio Barca sono stati esclusi dal patto di stabilità interno i fondi che i Comuni del l'Abruzzo spenderanno per la ricostruzione post terremoto, con il passaggio dalla gestione commissariale a quella ordinaria. Ma il Carroccio ha continuato a fare ostruzionismo chiedendo che venissero discussi anche gli emendamenti sul sisma in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto.
Prima della maratona notturna le commissioni hanno comunque approvato qualche altro ritocco: la velocizzazione delle procedure per realizzare le opere di Expo 2015; la remunerazione dei servizi di flessibilità energetica offerti dagli impianti appositi che entrano in funzione quando quelli a energia rinnovabile "staccano"; l'istituzione a Palazzo Chigi del Comitato per le politiche urbane (Cipu) che coordinerà l'azione delle amministrazioni centrali e di quelle locali. La commissione Giustizia, nel suo parere al Dl, ha chiesto di «riscrivere» la norma sull'udienza filtro in appello, voluta dal ministro Severino per accorciare la definizione dei processi civili.
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Le quattro misure per le costruzioni. Tempi certi e costi ridotti per imprese e cittadini
LE CORREZIONI/ Modifiche al silenzio-assenso per il permesso di costruire, riduzione dei documenti e modifica della sagoma nelle demolizioni e ricostruzioni.

Quattro misure per rilanciare e velocizzare l'edilizia. È quello che ha proposto ieri il nuovo tavolo istituzionale composto da Governo, Regioni, enti locali e parti sociali, riunitosi per la prima volta chiedendo, in nome della crescita del Pil, di varare un pacchetto di semplificazioni buone soprattutto per il settore delle costruzioni.
La prima misura è l'affidamento allo «sportello unico» per l'edilizia di competenze decisorie che possano velocizzare le procedure amministrative e ridurre gli oneri a capo dei privati. In questo modo si semplifica il front office per l'impresa: il procedimento diventa unico e tutti gli adempimenti passano per lo stesso ufficio.
Su questa misura il ministero delle Infrastrutture non muove rilievi di fondo, ma chiede che sia previsto un regime transitorio di sei mesi su cui, peraltro, non sembra esserci opposizione da parte di nessuno. La probabilità che la norma entri nel decreto sembrano quindi buone.
Anche sulla seconda proposta non sembrano esserci ostacoli particolari. È quella che prevede l'introduzione del principio generale dell'acquisizione d'ufficio dei documenti già in possesso della pubblica amministrazione. Che senso ha che in una domanda per una Dia presentata al comune si debba allegare anche la mappa catastale che è stata prodotta dal comune stesso? L'obiettivo è anche in questo caso la riduzione dei tempi e degli oneri amministrativi in capo ai privati.
Più difficoltoso sembra il percorso della terza norma proposta dal tavolo istituzionale: l'eliminazione del limite della sagoma nelle ristrutturazioni edilizie svolte mediante demolizione e ricostruzione.
È una questione su cui hanno già legiferato recentemente alcune Regioni, come la Lombardia: una questione che si dibatte da tempo e che ormai sembra matura, soprattutto perché non viene meno l'obbligo di rispettare né le norme sulla sicurezza né le prescrizioni in materia architettonica. Perché, se si demolisce e ricostruisce un edificio con una ristrutturazione edilizia, necessariamente la sagoma deve restare la stessa, anche se si parla di un brutto edificio?
Le innovazioni legislative regionali sono state bloccate dalla Consulta che, con la sentenza 309/2011, ha dichiarato illegittima la legge della Lombardia, ribadendo la titolarità esclusiva dello Stato a legiferare sulla materia.
Su questa norma, forse proprio per un presunto rispetto della sentenza della Corte costituzionale, le obiezioni del ministero delle Infrastrutture erano ieri più consistenti, al punto che sembrava difficile l'inserimento nel decreto legge sviluppo.
L'ultima modifica riguarda la correzione di alcune criticità esistenti nella disciplina del rilascio del permesso di costruire previsto dall'articolo 20 del testo unico per l'edilizia.
In sostanza si precisa che il termine per la formazione del silenzio-assenso decorre soltanto dalla presentazione della domanda di permesso di costruire e non dalla precedente fase istruttoria. La correzione riguarda soltanto gli interventi non soggetti a vincoli ambientali e paesaggistici. Anche su questa norma sembra esserci qualche difficoltà e la discussione in seno al Governo è andata avanti fino a tarda serata.
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MODIFICA ALLO STUDIO
Pa, sanzioni per chi non rispetta i tempi.
Per i responsabili di procedimenti pubblici la mancata osservanza dei termini relativi a permessi, autorizzazioni, licenze potrebbe portare come sanzione alla riduzione pari a un terzo della normale retribuzione giornaliera per ogni giornata di ritardo.
«I contratti di lavoro prevedono sanzioni disciplinari più gravi per i casi in cui l'inadempienza sia reiterata dai medesimi soggetti». Lo prevede un emendamento all'articolo 13 che, una volta superata l'ultima valutazione del governo, dovrebbe essere presentato oggi dal relatore Raffaello Vignali (Pdl) (articolo Il Sole 24 Ore del 19.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIPrende piede la proposta del presidente della Corte dei conti, Giampaolino, a ItaliaOggi.
Controlli preventivi sugli enti locali. Solo così si può mettere il morso alla spesa pubblica impazzita.

Martedì prossimo i comuni italiani protesteranno davanti a palazzo Madama contro i tagli alla spesa pubblica. Senza distinzione di colore politico, i sindaci, organizzati dall'Anci, faranno sentire ai senatori le proprie doglianze. E chiaro a tutti, meno che agli amministratori comunali, che se la spesa pubblica va bastonata, gli enti locali debbono pagare come e più degli altri enti.
Se i comuni ottenessero di essere esenti o quasi dalla diminuzione delle spese loro imputate, è evidente che resteremmo ancora fermi alla partenza, come siamo fermi da mesi, perché le manovre (svolte prima dal governo Berlusconi, poi dal governo Monti) hanno sostanzialmente riguardato l'incremento del carico fiscale, non la decapitazione della spesa pubblica.
 L'ascesa incontrollata della spesa periferica si può far risalire al progressivo decadere dei controlli sugli enti locali. In età liberale, nel ventennio, successivamente fino all'istituzione delle regioni, la cosiddetta tutela sui comuni (ma non solo: pure sulle province, sui consorzi, sulle ex opere pie, istituzioni di assistenza e beneficenza, ospedali) era svolta dalla giunta provinciale amministrativa.
La presenza in essa del prefetto e di alti funzionari di prefettura (c'erano poi membri elettivi) era garanzia che il controllo, non solo di legittimità, ma altresì nel ... (articolo ItaliaOggi del 19.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALISocietà pubbliche in house al bivio. Uscita di scena per chi riceve l'affidamento diretto di servizi dalla p.a.. Escluse le quotate.
Società pubbliche in house al tramonto. Il decreto sulla spending review (95/2012), all'articolo 4, programma l'uscita di scena delle società che ricevono l'affidamento diretto di servizi da parte della pubblica amministrazione e ridimensiona i consigli di amministrazione.
Si chiude qualche rubinetto della spesa pubblica (i compensi degli amministratori, da scegliere in prevalenza tra dipendenti pubblici) e si apre al mercato. Le novità non si applicano, però, alle società quotate e alle loro controllate. Il primo obiettivo è, dunque, ridurre il numero delle società in house esistenti, quando le stesse non prestino almeno il 10% (in termini di fatturato) delle proprie attività a favore di soggetti diversi dalla pubblica amministrazione, con alcune eccezioni individuate dalla legge o da successivo dpcm, motivate da particolare esigenze di interesse pubblico.
Le società in house se non stanno sul mercato devono eclissarsi e i servizi devono essere gestiti da soggetti scelti su base concorrenziale. Così si prevedono effetti finanziari positivi, che potranno essere accertati a seguito dell'avvenuto scioglimento delle società in house con conseguente affidamento del servizio a terzi nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria, ovvero della alienazione delle partecipazioni. Vediamo dunque le misure previste per il settore delle public company.
Nel dettaglio l'ipotesi è quella delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni istituzionali (articolo 1, dlgs 165/2001), che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento.
Queste società, che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico, vanno incontro a una delle seguenti alternative: sono sciolte entro il 31.12.2013; oppure le partecipazioni devono essere ... (articolo ItaliaOggi Sette del 16.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

SEGRETARI COMUNALI: Personale. Ricambio fermo all'80% delle uscite dell'anno precedente. Un tetto ai nuovi ingressi per i segretari comunali.
Una disposizione a sorpresa che si ritrova nella bozza del decreto spending review riguarda i segretari comunali laddove si prevede (all'articolo 14, comma 6, del Dl 95/2012) che: «A decorrere dal 2012 le assunzioni dei segretari comunali e provinciali sono autorizzate con le modalità di cui all'articolo 66, comma 10, del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.06.2008, n. 133 per un numero di unità non superiore all'80 per cento a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente».
Si tratta di fatto di una norma che limita il turn-over dei segretari nella misura dell'ottanta per cento, norma che si ricollega a quelle in materia di personale statale .
Una norma tuttavia che, se convertita in legge, avrà effetti sia a breve che a lungo termine sulla categoria ma anche sull'organizzazione degli enti locali .
A breve termine, la disposizione andando a limitare la possibilità di scelta dei sindaci non potrà che determinare un ampliamento delle convenzioni di segreteria già esistenti. Convenzioni che, spesso costituite da tre o quattro comuni, già oggi con enorme difficoltà assicurano un servizio ottimale ed efficiente anche se tale forma associativa comunque per sua natura non può consentire di ovviare alla carenza ormai atavica della figura in determinate aree del territorio nazionale.
A lungo termine la norma sancisce, di fatto, la configurazione della categoria dei segretari, come categoria ad esaurimento con la conseguenza che per gli enti locali si porrà, quanto prima, il problema del vertice organizzativo atteso che la dotazione dei segretari, via via, sarà sempre più numericamente insufficiente a garantire il servizio.
Questa scelta, infine, appare in contrasto con la rivalutazione della figura del segretario che sembrava emergere dal disegno di legge anti-corruzione recentemente licenziato dalla Camera che attribuisce maggiori funzioni ai segretari.
In realtà, a ben vedere, la scelta di ridurre il turn-over dei segretari comunali si spiega con il collegamento con la disciplina sempre prevista dal decreto sulla spending review.
Il decreto legge sempre in materia di gestioni associate, sostanzialmente lascia presagire un aumento delle unioni e delle convenzioni che di fatto determinerà una riduzione di sedi di segreteria, almeno quelle singole, nei piccoli comuni.
Questo nonostante sia noto che le convenzioni di segreteria sono oggetto di disciplina speciale che deve essere derogata espressamente dalla normativa generale.
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L'operazione
01 | IL TAGLIO
Già da quest'anno il decreto sulla spending review n. 2 (Dl 95/2012) ha messo un tetto alle assunzioni di segretari comunali.
I nuovi ingressi non devono superare l'80% di quelli fuoriusciti nell'anno precedente
02 | GLI EFFETTI
A breve termine i sindaci saranno spinti ad ampliare il ricorso alle convenzioni di segreteria già esistenti, di solito costituite fra tre-quattro comuni.
A lungo andare potrebbero sorgere problemi nel reperimento di questa figura professionale (articolo Il Sole 24 Ore del 16.07.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Decreto Sviluppo. Ora è possibile sostituire pareri e nullaosta con le dichiarazioni dei professionisti.
Dia con autocertificazione. Restano escluse le autorizzazioni per paesaggio, ambiente e sicurezza.

Semplificare, snellire, velocizzare. Con il decreto legge 83 del 22 giugno (il decreto sviluppo), il Governo ritorna sulla disciplina dei titoli edilizi nel tentativo di dare nuovo impulso alle costruzioni e all'economia.
In buona sostanza, si tratta di estendere alla Dia la possibilità, già prevista per la Scia, di autocertificare il ricorso dei presupposti e delle condizioni per lo svolgimento dell'attività edilizia che la legge (e ora anche i regolamenti) demandano al parere o all'esecuzione di verifiche preventive di organi o enti appositi (si veda anche l'articolo a fianco).
Se la modifica è di poco conto per la Scia (sono ora autocertificabili anche le verifiche previste dai regolamenti, quali il piano regolatore e il regolamento edilizio) perché si limita a chiarire quanto poteva essere fonte di dubbio, per la Dia (cui sono soggette anche le opere di ristrutturazione e che in alcune Regioni consente la realizzazione di tutti gli interventi edilizi) l'innovazione è rilevante e non è detto che sia a tutta vantaggio del privato.
La novella dell'articolo 23, comma 1-bis, del testo unico dell'edilizia, stabilisce dunque che «nel caso in cui la normativa vigente preveda l'acquisizione di atti o pareri di organi e enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive... essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di tecnici abilitati relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti».
Con l'eccezione dei pareri relativi ai vincoli e ai vari profili della sicurezza pubblica, la cui assunzione preventiva continua a essere necessaria per l'avvio dei lavori, la nuova disciplina modifica il rapporto pubblico-privato. Mentre prima l'interessato poteva limitarsi a presentare la Dia demandando all'amministrazione di assumere –nei 30 giorni entro cui il comune può diffidare l'inizio dei lavori– i pareri e le verifiche previste, ora di queste attività (alcune con una forte componente discrezionale, si pensi ad esempio, al parere della commissione edilizia) deve farsi comunque carico il privato, assumendosi ulteriori responsabilità e spese tecnico-professionali.
La semplificazione parrebbe così forse più a vantaggio della Pa, anche se la nuova funzione di controllo rispetto alle attestazioni del privato può essere più rischiosa in termini di danni da risarcire qualora sia disposto un ordine di non eseguire i lavori che sia riconosciuto illegittimo dal Tar (si veda l'articolo a fianco).
Scia promossa
La nuova previsione, che comunque rafforza il ruolo del privato nella dialettica con l'amministrazione, giunge in un momento in cui si sono diradati i dubbi sulla legittimità dell'intervento statale nella disciplina dell'edilizia. La Corte costituzionale, con la decisione 164 depositata lo scorso 27 giugno, ha infatti chiarito che la Scia attiene ai livelli essenziali delle prestazioni che un cittadino vanta nei confronti della Pa ed è dunque materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato. La sentenza ha così rigettato i ricorsi promossi da Valle d'Aosta, Toscana, Liguria, Emilia Romagna e Puglia per l'illegittimità del Dl 78/2010 che aveva introdotto la Scia.
Di conseguenza, le diverse leggi regionali che disciplinano compiutamente la procedura della Dia in modo difforme dalla novella statale sono da quest'ultima integrate, dovendosi ritenere che la possibilità di autocertificare i pareri, gli atti e le verifiche è prevista in relazione ai «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
Resta il rammarico che interventi non secondari rispetto alla disciplina edilizia vengano disposti attraverso la decretazione d'urgenza, mettendo a rischio la coerenza interna del sistema e creando -come accade ora- l'incertezza che si sviluppa nei 60 giorni che vanno dalla pubblicazione del decreto alla sua conversione in legge .
Senza peraltro che da questa innovazione si possa ragionevolmente attendere un contributo al rilancio dell'economia.
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Dalla domanda ai controlli
01 | LA DIA
La denuncia di inizio attività è una comunicazione che il proprietario dell'immobile o chi ne ha titolo presenta al Comune almeno 30 giorni prima dell'inizio dei lavori, corredata da una relazione dettagliata delle opere da eseguire e dagli elaborati grafici sottoscritti da un progettista abilitato
02 | I LAVORI
La Dia è necessaria per le opere di ristrutturazione. La sua applicazione è definita a livello regionale. In alcune Regioni la Dia è necessaria per tutti gli interventi edilizi, anche in sostituzione del permesso di costruire. Sono esclusi quelli liberi quali la manutenzione ordinaria.
03 | LA PROCEDURA
Nella relazione di accompagnamento il progettista deve asseverare la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.
04 | LA SEMPLIFICAZIONE
Il decreto sviluppo
(Dl 83/2012, ora in fase di conversione alla Camera) ha esteso alla Dia la possibilità già prevista per la Scia di autocertificare nella relazione del tecnico l'esistenza dei presupposti che legittimano l'intervento edilizio, ovvero i pareri e i nullaosta non legati a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.
05 | I CONTROLLI
Resta al Comune il compito di controllare le autocertificazioni, con l'onere di risarcire i danni in caso di stop illegittimi.
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Gli oneri
01|I TECNICI
I professionisti abilitati che autocertificano, attestano o asseverano gli atti e i pareri a corredo di una Scia o di una Dia si assumono l'onere con proprie valutazioni anche discrezionali di valutare la compatibilità dell'intervento sostituendosi ai giudizi degli enti preposti.
02|I COMUNI
L'ente pubblico non può più limitarsi a evidenziare eventuali contrasti con la normativa vigente. Deve individuare con precisioni eventuali errori. Se sbaglia, può essere condannato a pagare un indennizzo per aver bloccato i lavori in modo illegittimo.
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Sui progettisti ora gravano più responsabilità. L'impatto. Devono verificare la compatibilità
I COMUNI/ Più attenzione alla vigilanza: l'ente rischia di dover pagare un risarcimento se blocca in modo illegittimo i lavori già avviati.
Forse per il Comune è più comodo verificare la correttezza delle autocertificazioni del privato anziché attestare la rispondenza del progetto alle indicazioni di leggi e regolamenti, ma in questo modo aumenta per l'ente la responsabilità nel caso in cui il punto di vista del privato sia erroneamente disatteso bloccando la realizzazione di lavori che invece erano in regola.
Il decreto sviluppo estende alla Dia il principio di semplificazione già previsto per la Scia, secondo cui gli atti, i pareri e le verifiche preventive di organi o di enti appositi da acquisire sono sostituiti da autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di tecnici abilitati.
I tecnici devono così garantire la sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, dagli strumenti urbanistici approvati o adottati e dai regolamenti edilizi, sostituendo, responsabilmente, le proprie valutazioni a quelle dell'amministrazione.
Il Dl 83/2012, in ogni caso, fa salve le verifiche successive delle amministrazioni competenti, le quali, se riscontrano errori nelle valutazioni dei tecnici, possono diffidare dal realizzare l'intervento.
Ebbene, il nuovo procedimento certamente fa ricadere sui tecnici importanti responsabilità ma, a ben vedere, consente all'interessato di avere qualche garanzia in più sull'attuabilità dell'intervento e maggiori certezze riguardo al risarcimento del danno correlato a provvedimenti inibitori illegittimi della pubblica amministrazione.
L'amministrazione, infatti, non potrà diffidare un intervento limitandosi ad evidenziare un presunto contrasto con la normativa vigente, ma dovrà argomentare riguardo all'errata valutazione da parte del tecnico del privato.
A fronte di ciò, in sede giudiziale, una volta che è stato annullato un provvedimento di inibitoria illegittimo, sarà più semplice ottenere la condanna dell'ente a risarcire il danno dovuto per l'ingiustificata sospensione dei lavori.
La giustizia amministrativa ha già evidenziato che, a seguito dell'annullamento di un provvedimento di inibitoria, l'amministrazione può verificare nuovamente la sussistenza dei requisiti per l'attività costruttiva, ma è responsabile dei danni causati dall'illegittima sospensione dei lavori (Tar Milano-Lombardia sezione II, 05.04.2011, n. 901; Tar Milano-Lombardia, sezione II, 15.04.2010, n. 1092).
Per ottenere la condanna dell'amministrazione, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, nemmeno è richiesto un particolare impegno probatorio: l'interessato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo di colpa. Spetterà, per contro, all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un "errore scusabile" o che comunque non fosse esigibile una alternativa condotta lecita (Consiglio di Stato, sezione IV, 31.01.2012, n. 483; Consiglio di Stato, sezione V, 06.12.2010, n. 8549).
A fronte di un provvedimento inibitorio illegittimo, mediante il quale siano state confutate considerazioni tecniche, poi giudicate corrette e conformi alla legge, è evidente che l'amministrazione difficilmente potrà sostenere di essere ricaduta in un errore scusabile e che una diversa valutazione non fosse possibile.
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L'iter. Esclusi gli atti legati a beni vincolati. Resta ancora necessario l'ok del sovrintendente.
La semplificazione che consente anche nella Dia di sostituire i pareri o le verifiche preventive necessarie con un'autocertificazione del tecnico abilitato prevista dal decreto sviluppo ha un limite: non si applica a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e agli atti delle amministrazioni preposte alla tutela di altri interessi preminenti, specificamente identificati dalla disposizione.
Con questa operazione il legislatore, rilevando che le leggi regionali prevedono per analoghi interventi Dia o Scia in termini spesso confusi ed alternativi, ha espressamente inteso rimettere ordine quantomeno procedimentale, dettando regole di semplificazione analoghe per i due istituti.
Il nuovo comma 1-bis dell'articolo 23 del Dpr 380/2001, introdotto dall'articolo 13 del decreto legge, prevede dunque che anche per la Dia i tecnici abilitati debbano, con la propria attestazione, garantire la sussistenza dei requisiti e presupposti previsti dalla legge, dagli strumenti urbanistici approvati o adottati e dai regolamenti edilizi. Resta fermo il potere dell'amministrazione di verificare la correttezza delle valutazioni dei tecnici.
La modifica del Testo unico edilizia prevede, inoltre, che le denunce, corredate da tutti gli elaborati previsti, possano essere presentate mediante raccomandata con avviso di ricevimento, fatti salvi i procedimenti per i quali è previsto l'utilizzo esclusivo della modalità telematica, modalità che, sulla base di un regolamento da adottare su proposta del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, dovrebbe diventare la via esclusiva per la presentazione delle denunce.
Il Governo ha, infine, modificato la disciplina della Scia, precisando che sono sostituiti da autocertificazioni, attestazioni, asseverazioni o certificazioni, non solo gli atti, i pareri e le verifiche preventive previsti da legge, ma anche quelli imposti da regolamenti.
Continua dunque il processo di semplificazione dei procedimenti amministrativi, basato sulla limitazione dell'obbligo di ottenere un'autorizzazione preliminare ai soli casi indispensabili e sull'introduzione del principio comunitario di tacita autorizzazione (direttiva 2006/123/CE, attuata con Dlgs 59/2010) (articolo Il Sole 24 Ore del 16.07.2012).

aggiornamento al 16.07.2012

ENTI LOCALI - ATTI AMMINISTRATIVIPARLA IL PRESIDENTE DELLA CORTE CONTI LUIGI GIAMPAOLINO/ Tornare ai controlli preventivi di legittimità. Più poteri di indagine alla Corte.
Tornare ai controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali. E' questa, secondo il presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, l'unica strada da seguire per coniugare autonomia e legalità. Aboliti nel 2001 per effetto della riforma del titolo V della Costituzione (che ha cancellato i Coreco), i controlli andrebbero ripristinati sotto l'egida della Corte dei conti «organo terzo e imparziale» che consentirebbe di orientare ex ante i sindaci verso comportamenti improntati alla legalità e all'economicità.
Sulla riforma del 2009, che impone un elevato grado di determinatezza delle denunce, Giampaolino ammette: «è un principio di civiltà giuridica» anche se non tiene conto di due fattori. Primo, le procure contabili non godono degli stessi ampi poteri di indagine attribuiti alle procure presso i tribunali ordinari. Secondo, la ritrosia dei pubblici dipendenti nel denunciare. Ecco perché sul punto «sarebbe opportuna una riflessione». A ItaliaOggi il presidente della Corte conti propone la sua ricetta: più controlli sulle società partecipate e più poteri inibitori «in modo da intervenire quando il danno erariale è in atto».
Domanda. I dati della relazione 2012 sul costo del lavoro pubblico evidenziano una flessione tutto sommato modesta del numero di dipendenti del comparto regioni-autonomie locali. E questo nonostante le politiche restrittive di contenimento dei costi delle ultime manovre. Il sospetto, dunque, è che i sindaci continuino a fare assunzioni per così dire -allegre- anche se, a giudicare dal numero limitato di sentenze di condanna della Corte conti sembrerebbe il contrario. I sindaci sono diventati improvvisamente virtuosi o questo tipo di illecito fa fatica a venire a galla?
Risposta. Credo che sarebbe errato attribuire alle sentenze di condanna emesse dalla Corte dei conti il valore di strumento di misurazione della virtuosità o meno degli amministratori. L'attività giurisdizionale, ivi compresa quella che si svolge innanzi alla magistratura contabile, ha valenza episodica, in quanto legata alla singola e specifica fattispecie portata all'esame del giudice che, peraltro, è spesso chiamato a valutarne solo gli aspetti patologici ... (articolo Il Sole 24 Ore del 13.07.2012 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Enti parco, nomine doc. Direttore scelto con concorso o contratto. La decisione spetta all'assemblea in base alla legislazione regionale.
Qual'è la procedura di nomina del direttore di un parco naturale regionale?

La legge quadro sulle aree protette n. 394 del 06.12.1991 disciplina direttamente la materia dei parchi nazionali ... (articolo Il Sole 24 Ore del 13.07.2012 - link a www.ecostampa.it).

APPALTILavoro. Le modifiche della legge Fornero alle disposizioni sulla responsabilità.
Solidarietà negli appalti, committenti più tutelati. Coinvolgimento per incapienza dei beni di chi esegue l'opera.

Una giungla di norme sulla responsabilità solidale prive di coerenza giuridica che hanno la conseguenza di generare incertezza applicativa sia per le imprese sia per le amministrazioni pubbliche.
È questo lo scenario in seguito all'ennesima modifica apportata all'articolo 29 del decreto legislativo 276/2003 da parte della riforma del mercato del lavoro (legge 92/2012). A questo punto non è più procrastinabile una riforma complessiva del tema che si ponga anche l'obiettivo di fornire al responsabile in solido (il committente o l'appaltatore) gli strumenti idonei e snelli ad esercitare il ruolo di "controllori" della filiera.
Di fatto, l'articolo 4 della legge 92/2012 elimina le modifiche introdotte dalla legge 296/2006, attribuendo di nuovo alla contrattazione collettiva un ruolo decisivo e vincolante per le imprese in ordine al controllo e alla verifica della regolarità complessiva degli appalti che invece la norma del 2006 aveva eliminato.
Inoltre, in caso di contenzioso nella materia degli appalti il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento non solo con l'appaltatore ma anche con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il coinvolgimento di tutta la filiera dell'appalto non è subordinata alla richiesta del ricorrente ma è stabilito dalla legge. In altri termini la legge 92 mira ad estendere, nei fatti, la responsabilità solidale ai committenti solo nel caso in cui gli appaltatori o ciascuno dei subappaltatori non soddisfino con il proprio patrimonio i crediti vantati dai terzi interessati.
L'articolo 29 del decreto legislativo 276/2003 costituisce la norma di riferimento in tema di responsabilità solidale, ma la disciplina è stata oggetto di ripetute modifiche. L'articolo 35 del Dl 223/2006 ha avuto l'obiettivo di coinvolgere i soggetti che intervengono nel contratto di appalto (committente, appaltatore, subappaltatore) nel controllo sul versamento dei contributi previdenziali, assicurativi, nonché delle ritenute fiscali, riferibili ai lavoratori che sono utilizzati nell'appalto stesso. Successivamente, l'articolo 1, comma 911, della legge 296/2006, ha sostituito l'articolo 29, comma 2, con effetto dall'01.01.2007. Questa modifica ha apportato le seguenti novità:
- la responsabilità solidale, oltre al committente e all'appaltatore, è estesa anche al subappaltatore;
- si è esteso a due anni il termine di decadenza per l'attivazione del meccanismo della responsabilità solidale (precedentemente limitata a un anno);
- i Ccnl, su base contrattuale, non possono più rimuovere la responsabilità solidale tra i soggetti coinvolti.
L'articolo 3, comma 8, del Dl 97/2008 ha poi abrogato i commi da 29 a 34 dell'articolo 35 eliminando, tra l'altro, la responsabilità solidale sulle ritenute fiscali. A questo si aggiunga che l'articolo 8 del Dl 138/2011 ha stabilito che accordi collettivi aziendali o territoriali possono derogare alle norme di legge e avere efficacia per tutti i lavoratori dell'azienda, anche con riguardo "al regime della solidarietà negli appalti".
Sono poi seguiti altri due interventi:
- l'articolo 21, comma 1, del decreto legge 5/2012 ha ulteriormente modificato l'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 276/2003 estendendo la responsabilità solidale anche alle quote di Tfr ma eliminandola per le sanzioni amministrative;
- l'articolo 2, comma 5-bis, del Dl 16/2012 ha sostituito l'articolo 35, comma 28, del Dl 223/2006 e reinserito la responsabilità solidale sul versamento all'erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente, ha esteso l'istituto all'Iva scaturente dalle fatture inerenti alle prestazioni effettuate nell'ambito dell'appalto, laddove il committente o l'appaltatore non dimostri di avere messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento (articolo Il Sole 24 Ore del 12.07.2012).

PUBBLICO IMPIEGOP.a., una terza via per gli esuberi. Dopo prepensionamenti e mobilità c'è il part-time obbligatorio. Potrà accedervi solo il personale non dirigenziale che ha più anzianità contributiva.
Part-time obbligatorio per gli impiegati pubblici in esubero. Se non collocabile a riposo con la nuova procedura di prepensionamento o in disponibilità per due anni all'80% di stipendio, il rapporto di lavoro del personale non dirigente in soprannumero e non riassorbibile entro il 31.12.2015, andrà trasformato a tempo parziale sulla base di criteri e modalità che la pubblica amministrazione dovrà definire con i sindacati.
Il part-time andrà definito in proporzione alle eccedenze, con graduale riassorbimento all'atto delle cessazioni dei rapporti di lavoro (a qualunque titolo) e compensazione dei contratti a tempo parziale del restante personale.
Riduzione organico. La novità arriva dalle disposizioni relative alla riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni (articolo 2 del dl sulla spending review) e interesserà i dipendenti pubblici che vengano dichiarati in esubero. Tale dichiarazione di esubero da parte della pa rappresenterà, perciò, condizione necessaria e propedeutica per l'applicazione del part-time obbligatorio.
In realtà, la norma stabilisce che, per il personale eventualmente risultante in soprannumero all'esito della riduzione (fissata, in via ordinaria, in misura del 20% per gli uffici dirigenziali e per le relative dotazioni organiche, nonché un ulteriore 10% o più della spesa relativa al numero dei posti di organico di tale personale ... (articolo ItaliaOggi del 11.07.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Nulli i contratti fuori dal perimetro Consip.
Si fa sempre più pressante la stretta sugli acquisti di beni e servizi nella Pubblica Amministrazione. Tutti i contratti stipulati in violazione dell'obbligo di adesione agli strumenti messi a disposizione dalla Consip sono da considerarsi nulli e determinano responsabilità erariale. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 10.07.2012 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALITagli anche alle società in house. Sul personale stesso trattamento di chi detiene il capitale. Ai dipendenti saranno applicate come tutela soltanto le regole sui licenziamenti collettivi.
Le società in house, a totale partecipazione pubblica, saranno sottoposte a tagli organizzativi e al personale simmetrici a quelli previsti dalla spending review per gli enti che ne detengono il capitale. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 10.07.2012 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI: La spending review.
Regioni e Comuni, nel mirino dei tagli chi spende di più. Beni e servizi: costi procapite al setaccio.

Penne carta, fotocopiatrici, e ovviamente monitor e tastiere. Sono l'arredamento tipico di tutti gli uffici, privati o pubblici: il problema, messo a fuoco dal decreto sulla spending review approvato dal Governo nella notte fra giovedì e venerdì riguarda questi ultimi, e si può riassumere con un paio di numeri.
Per la «cancelleria e materiale tecnico-informatico», per fare un esempio, la Lombardia ha speso nel 2011 9 euro ogni 100 abitanti, il Piemonte 55 e la Sicilia 102, vale a dire 11,3 volte di più del Pirellone. Cambiamo voce, e passiamo a «studi, consulenze, indagini e gettoni di presenza»: in Abruzzo sono costati l'anno scorso 40 euro ogni 100 abitanti, in Sardegna 683. Per far conoscere la propria attività, poi, le Regioni (e i loro politici) si trasformano in "editori", anche qui con impegno diverso: pubblicare giornali e riviste nel Lazio costa 3 euro all'anno ogni 100 cittadini, in Lombardia il doppio (6,2 euro) e in Calabria 33 volte tanto (11,3 euro).
È il mondo multiforme dei «consumi intermedi», vale a dire le spese che le amministrazioni pubbliche sostengono ogni giorno per funzionare. A fotografarli è il Siope, il sistema informatico del ministero dell'Economia che monitora in tempo reale i flussi di cassa degli enti pubblici locali e non. Il decreto sulla revisione di spesa varato dal Governo li mette nel mirino, con lo scopo di superare la logica dei tagli lineari finora sempre utilizzata per graduare in modo "meritocratico" i sacrifici, in base al principio secondo cui «chi più spende più deve tagliare».
La spesa nel mirino è appunto quella dei «consumi intermedi», che nei bilanci locali individua sostanzialmente tre voci: le uscite per l'acquisto di beni (dalla carta al carburante delle auto di servizio), quelle per le prestazioni di servizi (come quelli per la manutenzione ordinaria o per avviare nuovi strumenti informatici) e l'utilizzo di beni di terzi (immobili in affitto, auto a noleggio o in leasing e così via).
A individuare chi spende di più, sempre secondo il provvedimento, è proprio il censimento telematico dei flussi di cassa realizzato dal ministero dell'Economia.
Il meccanismo è chiamato a governare la sforbiciata da 7,5 miliardi assestata agli enti locali e alle Regioni: Governo e amministratori locali hanno tempo fino al 30 settembre per affinare il tutto, ma la linea è tracciata dalla stessa norma che prevede -in caso di mancato accordo nelle Conferenze Stato-Regioni e Stato-Città- l'applicazione automatica dal 15 ottobre della stretta proporzionale alla spesa per i consumi intermedi.
Con un sistema delineato così seccamente, del resto, anche il lavoro delle Conferenze non potrà spostarsi più di tanto dalla linea tracciata per decreto.
Fra le Regioni, a temere di più sono soprattutto quelle del Centro-Sud: nei territori a Statuto ordinario, a primeggiare nella spesa è la Basilicata, che nel 2011 ha dedicato a queste voci 147,5 euro ad abitante, seguita dalla Campania (113 euro) e dalla Puglia (96,6), mentre la Liguria, con 27,3 euro a residente, si ferma cinque volte sotto la Regione in testa.
Naturalmente, nell'attuazione l'analisi andrà "pesata" in base alle dimensioni e alle caratteristiche della Regione, come mostrano anche le graduatorie degli enti a Statuto speciale per le quali si prevede un meccanismo del tutto analogo. Questo tipo di "pesatura", poi, diventa ancora più urgente nei Comuni, essendo ovviamente impossibile paragonare le spese di Balme (54 abitanti in provincia di Torino) con quelle di Milano o di Roma.
Proprio la graduatoria dei Comuni (qui a fianco è pubblicata quella relativa ai capoluoghi di Regione) mostra però qualche sorpresa. Dietro il primato dell'Aquila (3.068,8 euro ad abitante nel 2011, dovuto però in buona parte alla gestione del post-terremoto di cui si dovrà tenere conto), sugli scalini occupati da chi spende di più si incontra Milano (1.146,3 euro pro capite) e Venezia (1.061,6), mentre per esempio Palermo, nonostante lo stato di quasi-dissesto dovuto alle patologie storiche dei suoi conti, è nelle parti basse della classifica, Napoli fa ancora meglio e Catanzaro (fotografata come super-virtuosa anche dal debutto dei fabbisogni standard dedicato alle spese per la Polizia locale) primeggia. Come mai?
L'efficienza della gestione c'entra solo in parte. Il problema nasce dal fatto che nei bilanci locali anche i «consumi intermedi» rappresentano una realtà molto diversificata al proprio interno, che insieme alle penne abbraccia per esempio i contratti di servizio per i trasporti o lo smaltimento dei rifiuti. La stortura si vede di più nei bilanci dei Comuni, che sono più piccoli di quelli delle Regioni, ma è presente in tutti i livelli di Governo e va corretta. Il confronto fra Esecutivo ed enti locali ha meno di tre mesi per farlo (articolo Il Sole 24 Ore del 09.07.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTI FORNITURE: Forniture. Sconti più alti nelle gare d'appalto.
Con gli acquisti centralizzati risparmi del 25%.
L'AUTORITÀ/ Nelle gare c'è ancora poca competizione: spesso i requisiti sono tagliati su misura per un concorrente.

Ora è certificato: la pubblica amministrazione che per i propri acquisti si affida a una centrale unica, ovvero a un ente che acquista all'ingrosso accorpando le forniture, risparmia. E non poco: almeno otto punti in percentuale. I numeri e le cifre sono, nero su bianco, nella Relazione dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici per il 2011, presentata il 4 luglio.
Ebbene l'anno scorso il campione di ribassi (e quindi di risparmio) negli appalti di fornitura è stata proprio la centrale di committenza (per intenderci la Consip, più la decina di realtà regionali, le cosiddette mini-Consip). Sono loro ad aver spuntato dai fornitori privati uno sconto medio del 24,9% (si veda la tabella qui sotto) battendo, appunto di otto punti lo sconto medio complessivo, fermo al 16,8 per cento.
Appena meglio in realtà hanno fatto le Camere di commercio con un 25,4% di ribasso medio, ma su un importo poco significativo dal punto di vista statistico (1,8 milioni).
All'altro lato della scala di risparmi si collocano invece gli enti locali quando, appunto, scelgono di approvvigiornarsi da soli sul mercato. I Comuni ad esempio non riescono ad andare oltre il 14% di ribasso, 11 punti in meno rispetto alle centrali di committenza, mentre i ministeri salgono appena al 16,5. Dietro a queste aride percentuali c'è la realtà della spesa pubblica, proprio quella che in questi giorni il Governo sta tentando di aggredire con le politiche di spending review.
Proviamo quindi a tradurre in «soldoni», sempre con l'aiuto dei dati forniti dall'Authority, le percentuali di ribasso. Nel 2011, ad esempio, i Comuni hanno acquistato con gara beni per un totale di 81,2 milioni. Ebbene se per lo stesso importo si fossero affidati alle centrali di committenza, il risparmio totale sarebbe stato di 8,9 milioni di euro (l'11% medio di differenza con i prezzi centralizzati). Certo, non tutte le forniture e gli appalti sono intercambiabili, ma una buona fetta sì. Economie ancora più grandi le avrebbero potute realizzare (sempre con lo stesso principio teorico) i ministeri che l'anno scorso hanno speso ben 670 milioni in forniture e hanno un distacco di 8,5 punti in termini di ribassi ottenuti che, appunto, significa circa 56 milioni pagati in più.
In questa direzione in effetti si è già mosso il Governo. Già nel primo decreto legge con i tagli alla spesa (il Dl 52/2012 alle ultime battute in Parlamento) ha allargato il raggio d'azione della Consip. A breve quindi le amministrazioni centrali saranno obbligate ad acquistare tutti i propri prodotti tramite Consip (oggi solo otto categorie di beni). Con un risparmio che nel caso record delle centrali telefoniche può arrivare anche al 77% (si veda il Sole 24 ore del 7 maggio). Il secondo decreto varato la settimana scorsa si spinge oltre e arriva a obbligare anche gli enti locali a servirsi della Consip o delle centrali territoriali per un elenco ristretto di otto categorie: energia elettrica, gas, carburanti, combustibili per riscaldamento, telefonia.
E le sanzioni per chi viola questi nuovi obblighi sono pesanti: non solo i contratti sono considerati automaticamente nulli ma per i funzionari che li firmano scatta l'illecito disciplinare.
Il mercato delle forniture resta comunque ristretto: «Abbiamo rilevato -spiega il presidente dell'Autorità, Sergio Santoro- che a queste gare riescono a partecipare due o tre concorrenti al massimo, mentre per i lavori pubblici la media è di 25 offerte».
A pesare sono i requisiti richiesti ai fornitori dalle stazioni appaltanti: «I criteri stabiliti -si legge nella Relazione- risultano talmente selettivi da estromettere di fatto gli ipotetici partecipanti alla gara ad eccezione del concorrente che si intende favorire». Insomma bandi su misura: chissà se il metodo Consip in questo caso potrà funzionare (articolo Il Sole 24 Ore del 09.07.2012 - link a www.corteconti.it).

aggiornamento al 09.07.2012

ENTI LOCALI: Il riordino dei municipi. Gestione associata delle funzioni fondamentali per i centri fra mille e 5mila abitanti. Tornano le unioni di piccoli Comuni.
SOTTO QUOTA MILLE/ Viene azzerata la Giunta, i sindaci vanno a formare il consiglio dell'Unione, che gestisce anche bilancio e programmazione economica.

Gestione associata delle funzioni fondamentali per i Comuni fra mille e 5mila abitanti (in Italia sono 3.738), e Unioni di Comuni "riformate" per quelli che non arrivano a mille residenti (sono 1.948).
Insieme alla sfoltita delle Province e al rilancio delle Città metropolitane, torna nel testo finale del decreto 95/2012 sulla spending review anche il riordino dei piccoli Comuni (anticipato sul Sole 24 Ore del 4 luglio).
Anche in questo caso, non si tratta di un inedito, perché il tentativo di mettere insieme le funzioni nei mini-enti era già stato scritto nella manovra estiva del 2010, ma era naufragato in un mare di proroghe dettate dai problemi applicativi.
La riforma dell'amministrazione scritta nel nuovo provvedimento prova a trarre insegnamento proprio dagli errori iniziali, e in questa chiave riscrive le regole. Prima di tutto, si evolve l'elenco delle funzioni fondamentali (questo aspetto riguarda anche gli enti più grandi), che vengono articolate in 10 punti anziché in 6. Ad allungare all'elenco ci sono nuovi ingressi, dal Catasto (con l'eccezione delle funzioni statali) alla protezione civile, oltre a voci scorporate da quelli che nel vecchio elenco erano capitoli più generali (per esempio la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, con la riscossione dei tributi collegati, viene separata dalla gestione dei servizi pubblici: si veda la scheda qui a fianco).
Su questa base di regole, la famiglia dei mini-enti si divide ancora una volta in due: quelli sotto i mille abitanti, per i quali si torna a prevedere l'affidamento obbligatorio di tutte le funzioni all'Unione, che si fa carico anche della programmazione economico-finanziaria e della gestione del bilancio sulla base della delibera programmatica votata da ogni ente entro il 30 novembre dell'anno prima). I mini-Comuni perdono la Giunta, e i loro sindaci vanno a formare il consiglio dell'Unione, ma si evita il meccanismo cervellotico scritto nel Dl 78/2010 in base al quale il primo Comune dell'Unione che fosse arrivato al voto avrebbe fatto decadere in automatico anche le Giunte dei municipi vicini. Le Unioni dovranno contare almeno 5mila abitanti (3mila in montagna), e costituirsi entro la fine del 2013: dal 2014 saranno soggette al Patto di stabilità.
Fin qui, la regola, ma la nuova norma porta con sé anche l'eccezione: si apre infatti anche ai Comuni fino a mille abitanti la via alternativa della convenzione, meno vincolante, che probabilmente sarà sfruttata da molti gelosi di non veder sciogliere la propria «individualità istituzionale» nell'Unione.
Per gli enti fra mille e 5mila abitanti, invece, cambia il calendario della gestione associata: le prime tre funzioni andranno messe insieme entro l'01.01.2013 (la vecchia scadenza, dopo la girandola di proroghe, si era attestata al 30 settembre prossimo), e il quadro dovrà completarsi entro l'01.01.2014 con le altre funzioni. Le gestioni associate dovranno abbracciare almeno 10mila abitanti, ma le Regioni avranno tempo fino al 30 settembre per rivedere i limiti demografici (qualcuna l'aveva già fatto in relazione alla vecchia normativa).
Il riordino degli obblighi gestionali per i piccoli enti era atteso dagli amministratori locali, alle prese con gli inciampi applicativi delle norme del 2010, anche se è presto per capire se le novità sono sufficienti a migliorare il giudizio dei diretti interessati. Il tema sarà al centro oggi dell'Assemblea nazionale dell'Anci piccoli Comuni, in corso a Roma.
Nella giornata inaugurale di ieri (quando ancora non era noto il testo finale del decreto), il presidente dell'Anci Graziano Delrio ha rivendicato che il riordino degli enti locali deve essere uno dei «pilastri dell'autonomia», aggiungendo l'esigenza che sia «evitato il rischio di fusioni» che farebbero scomparire «il presidio rappresentato dal sistema dei piccoli Comuni». Il riferimento critico era alla vecchia normativa: ora si vedrà se la riscrittura rilanciata dal decreto è in grado di attenuare l'ostilità degli amministratori locali.
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FUNZIONI E OBBLIGHI
Le funzioni
L'articolo 19 del decreto 95/2012 sulla spending review riscrive l'elenco delle funzioni fondamentali dei Comuni, che diventano:
a) Organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e controllo
b) Organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, compreso il trasporto pubblico locale
c) Catasto, ad eccezione delle funzioni dello Stato
d) Pianificazione urbanistica ed edilizia
e) Attività in ambito comunale di pianificazione di protezione civile e coordinamento dei primi soccorsi
f) Organizzazione e gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e riscossione dei relativi tributi
g) Progettazione e gestione dl sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle prestazioni
h) Edilizia scolastica, organizzazione e gestione dei servizi scolastici
i) Polizia municipale e amministrativa locale
l) Tenuta dei registri di stato civile e di popolazione, servizi anagrafici ed elettorali e statistici
Gli obblighi
Comuni fino a mille abitanti: Gestione di tutte le funzioni in Unioni o convenzioni di almeno 5mila abitanti (3mila in montagna) entro l'01.01.2014.
Comuni fra mille e 5mila abitanti: gestione associata di 3 funzioni entro l'01.01.2013 e delle altre entro l'01.01.2014 (articolo Il Sole 24 Ore del 07.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - VARI: La cura dimagrante inizia dalla Pa. Per il personale scatta la procedura di mobilità.
Iniziamo la pubblicazione del testo del decreto legge 06.07.2012, n. 95 con le «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini».
Il provvedimento è stato pubblicato sul supplemento 141/L alla «Gazzetta Ufficiale» 156 del 06.06.2012. Sul Sole 24 Ore di domani la seconda parte. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 07.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGODipendenti pubblici messi a dieta. Dal 1° ottobre buono pasto per gli statali ridotto a 7 euro.
Dal prossimo anno si ridurranno del 50% le spese sostenute dalla pubblica amministrazione per l'acquisto o il noleggio delle auto di servizio. Inoltre, il buono pasto per gli statali, dal prossimo 1° ottobre, non potrà superare il valore nominale di 7 euro, ... (articolo ItaliaOggi del 07.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI: Piccoli comuni, unioni in libertà. Gestione associate obbligatorie. Si riparte del 1° gennaio 2013. Ma gli enti potranno scegliere le modalità più opportune per svolgere insieme le funzioni fondamentali.
Obbligo di dare vita ad unioni o convenzioni per gestire la gran parte delle proprie funzioni, oggetto di una mappatura più precisa di quella contenuta nella legge delega sul federalismo fiscale. ... (articolo ItaliaOggi del 07.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALIAncora sacrifici per gli enti locali. Attesi 7,2 mld di tagli in 24 mesi. Indebitamento su base annua. Le assunzioni di segretari non potranno superare l'80% delle cessazioni.
Nuovi tagli per più di 2 miliardi nel 2012 e per oltre 5 miliardi a regime. E un conto piuttosto salato quello che il decreto legge sulla spending review, varato ieri dal governo, presenta a regioni, province e comuni. Tanto salato da far dubitare che il titolo del provvedimento (-Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica, a invarianza dei servizi ai cittadini-) rappresenti un auspicio, più che una certezza.
In effetti, un impatto sulla quantità e qualità delle prestazioni erogate non può essere escluso in partenza, anche perché le nuove sforbiciate si aggiungono a quelle già previste dalle pesanti manovre correttive varate negli ultimi due anni. A calare ancora una volta la mannaia sulle spettanze regionali e locali è l'art. 16 della bozza di decreto, che impone agli enti territoriali un nuovo, consistente contributo alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, da garantire -anche mediante riduzione delle spese per consumi intermedi-.
Il comma 2 agisce sulle risorse a qualunque titolo dovute dallo stato alle regioni ordinarie, escluse quelle destinate al finanziamento corrente del servizio sanitario nazionale, riducendole di 700 milioni per il 2012 e di 1 miliardo a decorrere dal 2013. Ancora più pesante la decurtazione imposta a regioni speciali e province autonome, cui il comma 3 taglia 500 milioni per quest'anno, 1 miliardo per il prossimo e 1.500 milioni a decorrere dal 2014.
Brutte notizie anche per gli enti locali. Il comma 4 fa nuovamente dimagrire il fondo sperimentale di riequilibrio dei comuni (destinato a essere sostituito dal fondo perequativo, se e quando il federalismo fiscale sarà pienamente attuato), nonché i residui trasferimenti erariali erogati ai municipi di Sicilia e Sardegna: meno 500 milioni per il 2012 e meno 2 miliardi dal 2013. Misure analoghe sono ... (articolo ItaliaOggi del 06.07.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTI FORNITUREForniture, nulli i contratti non centralizzati. Metodo Consip vincolante per gas, carburanti e telefoni - Canoni di affitto della Pa ridotti subito del 15%.
L'OBIETTIVO/ Si punta a far salire la spesa trattata con il metodo Consip da 30 a 35 miliardi già nel 2012 per arrivare a 47 miliardi nel 2013.

Decadenza immediata di tutti i contratti di acquisizione di beni e servizi stipulati senza il ricorso al metodo adottato da Consip e dalle Centrali di committenza territoriale. Che diventa vincolante per tutte le amministrazioni e gli enti territoriali per le forniture di energia elettrica, gas, carburanti, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e mobile. Riduzione del 15%, altrettanto immediata, dei contratti di locazione a carico della pubblica amministrazione per l'affitto di immobili destinati a uffici.
È un giro di vite significativo quello impresso dal piano del commissario straordinario Enrico Bondi al doppio capitolo delle spese per acquisti di beni e servizi e per gli affitti delle amministrazioni pubbliche.
Nel primo caso l'obiettivo è far salire subito, già nel 2012, da quasi 30 miliardi a quota 35 miliardi l'asticella della spesa per approvvigionamenti affrontata con il metodo Consip. E poi arrivare nel 2013 a 47 miliardi (circa un terzo dei 136 miliardi di spesa complessiva per beni e servizi). Per avere la garanzia di ottenere da questa stretta risparmi certi il testo d'ingresso del decreto sulla spending review prevede anche una misura rafforzativa, con configurazione da taglio lineare: la riduzione del 5% nel 2012 e del 10% nel 2013 dei trasferimenti dal bilancio dello stato a una lunga serie di enti intermedi, Authority incluse, utilizzati per coprire le uscite per consumi intermedi.
Uno dei pilastri del piano Bondi resta l'estensione a vasto raggio del metodo Consip facendo anche leva su una sorta di raccordo "a rete" con le centrali di committenza territoriali. Tutti i contratti fuori da questo perimetro e non in linea con il parametro qualità-prezzo fissato dalla Finanziaria del 2000 vengono considerati nulli, ad esclusione di quelli stipulati tramite le centrali di committenza territoriali a condizioni più favorevoli. La bozza del decreto prevede che i contratti fuori dal perimetro Consip «costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa».
E altrettanto è previsto per quelli sulle forniture di carburante, riscaldamento e telefonia. Confermata la nascita, sotto l'input del commissario Bondi, del nuovo Albo delle centrali di committenza. Previsto anche un ricorso più massiccio al Mercato elettronico della pubblica amministrazione: in alcune amministrazioni centrali sarà istituita una sezione speciale. E anche i piccoli Comuni potranno effettuare i loro acquisti utilizzando gli strumenti elettronici a disposizione.
Nel testo è inserita pure una misura ad hoc per favorire il processo di dismissione dei beni mobili anche attraverso l'utilizzo di strumenti telematici: il ministero dell'Economia, con il supporto di Consip, avrà il compito di stilare un apposito programma per centrare questo obiettivo.
Sul taglio degli affitti il governo fa un altro giro di vite: la riduzione del 15% dei canoni attualmente corrisposti avrà un impatto diretto sui contratti in corso. E questo anche in deroga alle eventuali clausole presenti nel contratto. Inoltre il rinnovo dei contratti di locazione saranno vincolati a due specifiche condizioni che se venissero a mancare consentirebbero alle amministrazioni di risolvere di diritto i contratti di locazione alla loro scadenza.
In questo senso i contratti di locazione diventano rinnovabili solo se c'è disponibilità delle risorse finanziarie per il pagamento di canoni, costi d'uso e oneri per la durata dell'intero contratto, nonché la presenza di esigenze "allocative" delle amministrazioni legate al raggiungimento di piani di razionalizzazione, riorganizzazione e accorpamento delle strutture.
Confermato, infine, il blocco triennale 2012-2014 degli adeguamenti Istat dei canoni di affitto pagati dalle amministrazioni per l'uso di immobili in locazione passiva (articolo Il Sole 24 Ore del 06.07.2012 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALIAziende partecipate. Stop entro il 2013 per le attività strumentali alle amministrazioni.
Da vendere o sciogliere le società di servizi alla Pa
IN SINTESI/ Incerto il destino dei dipendenti Subito al via i limiti alle spese.

Data di scadenza fissata al 31.12.2013 per tutte le società che «svolgono prevalentemente» servizi a favore delle Pubbliche amministrazioni proprietarie. Si allarga ancora, rispetto alle versioni del decreto circolate mercoledì (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), lo stop alle società «strumentali» dello Stato e degli enti territoriali.
Nelle prime bozze del testo a decretare lo scioglimento del l'azienda sarebbe stata la presenza nell'oggetto sociale della «prestazione di servizi a favore della Pa», mentre il testo circolato ieri mette gli occhi sull'attività «prevalente». A salvarle, in questo caso, può essere solo il fatto che nel portafoglio della loro attività si trovino anche «servizi in favore dei cittadini».
Formulazione a parte, la ratio della norma è chiara: le società strumentali, che lavorano solo in appoggio all'amministrazione a cui appartengono, e che in tante occasioni possono aver rappresentato una strada aperta per l'elusione dei vincoli di bilancio o dei limiti alle assunzioni che regolano gli enti proprietari, vanno alienate o sciolte entro il prossimo anno.
Per il momento, alle Pubbliche amministrazioni è vietato costruirne di nuove, mentre quelle già esistenti, per il tempo residuo che resta loro da vivere, devono veder dimagrire le spese gestionali a partire dai consigli di amministrazione: massimo tre membri (per quelle degli enti locali era già così), di cui due devono essere però scelti fra i dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o controllante. A loro, non può essere offerto nessun emolumento, perché la Finanziaria 2007 e la manovra estiva 2010 impedisce di pagare ai dipendenti incarichi in organismi partecipati.
Le società strumentali, in questa chiave, diventano l'unico oggetto della norma taglia-posti nei consigli di amministrazione, che nelle prime versioni aveva un raggio d'azione più ampio e mirava direttamente alle grandi aziende di Stato.
Il meccanismo, almeno nelle versioni presenti nelle bozze che finora è stato possibile esaminare, lascia interamente aperta la partita del personale. Non esiste al momento un censimento ufficiale delle società strumentali, ma i dati della Corte dei conti sulle partecipate degli enti locali e i database disponibili sulle società di Regioni e Stato permettono di stimare (prudenzialmente) in almeno 4-500 le realtà interessate dalla nuova regola. Ipotizzando per queste aziende una dimensione media pari alla metà di quella censita per il totale delle partecipate locali, si arriverebbe a un numero di dipendenti intorno ai 20mila. Che fine faranno? La norma, per ora, non lo dice, ma è naturalmente impensabile un loro assorbimento all'interno degli enti proprietari.
Negli altri casi, le norme approvate finora nel tentativo di sfoltire la ramificazione societaria intorno agli enti pubblici si sono sempre occupate delle sorti del personale, per esempio inserendo la tutela dell'occupazione fra i parametri di valutazione nelle gare per l'acquisto da parte dei privati delle società in via di dismissione. Oltre al personale, resta da capire la sorte dell'indebitamento che eventualmente si sia formato in capo a queste società, e quella dei loro obblighi fiscali. L'alienazione, tramite gara, è una delle possibilità offerte oggi alle strumentali, entro il 30.06.2013. Se la procedura dovesse fallire, l'unica alternativa è lo scioglimento della società, da chiudere non più tardi della fine del prossimo anno.
Salve, per espressa previsione, solo la Sogei, che cura l'infrastruttura informatica su cui vive l'amministrazione finanziaria, e la Consip, impegnata nel mercato unico degli acquisti rilanciato proprio dal decreto sulla revisione di spesa (nulla si dice di altre realtà importanti come per esempio la Sose, la società per gli studi di settore ora attiva anche nella definizione dei fabbisogni standard di Comuni e Province).
Anche per i servizi oggi garantiti dalle società strumentali, la norma propone due soluzioni: o riportarli direttamente all'interno dell'amministrazione, ovviamente senza deroghe ai vincoli sull'assunzione di personale, oppure l'acquisto sul mercato (articolo Il Sole 24 Ore del 06.07.2012 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOResta la possibilità del turn-over.
LA RIFORMA/ Entro fine anno nuovi parametri di virtuosità sul numero di dipendenti. Stop agli ingressi se si supera del 20% la media nazionale.

Salta la stretta sul turn-over degli enti locali, ai quali viene riservata una più generale revisione meritocratica degli organici, sulla base di parametri da individuare entro fine anno.
Stando alle ultime bozze, insomma, per i Comuni (non per le Province, alle quali viene impedito del tutto, in via transitoria, di effettuare assunzioni a tempo indeterminato), rimangono per il momento in vigore le regole riviste a marzo dalla legge di conversione del decreto sulle «semplificazioni fiscali»: turn-over al 40% (si può spendere in nuove assunzioni il 40% dei risparmi ottenuti con le uscite del servizio negli anni precedenti), disciplina di favore per i contratti relativi ad educatori, insegnanti delle scuole comunali e Polizia locale, il cui costo viene conteggiato al 50% nel calcolo delle facoltà assunzionali.
L'allineamento ai parametri in vigore per il resto delle amministrazioni pubbliche (turn-over al 20%) è stato infatti sostituito nelle versioni del decreto circolate ieri da una riscrittura più generale. In pratica, stando al testo, il Governo e gli amministratori locali dovranno stabilire entro fine anno all'interno della Conferenza Stato-Città i «parametri di virtuosità» sulla base dei quali determinare le dotazioni organiche degli enti locali. Il primo criterio di riferimento è già scritto nella norma, e punta sul rapporto fra dipendenti dell'ente e cittadini amministrati.
Il primo passaggio, spiega la bozza, sarà la determinazione della «media nazionale» (verosimilmente differenziata per fasce demografiche), calcolando oltre al personale dell'ente anche quello impiegato nelle società strumentali e nelle affidatarie dirette di servizi pubblici locali. Chi si troverà a un livello del 20% superiore alla media si vedrà bloccata ogni possibilità di assumere (come accade oggi a chi dedica al personale più di metà della spesa corrente), e chi starà ancora più in alto subirà un trattamento ancora più duro (da definire). Confermato l'ingresso nel turn-over (con parametro all'80%) dei segretari comunali (articolo Il Sole 24 Ore del 06.07.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Enti, gli organici scampano ai tagli. Un dpcm definirà la dotazione ottimale in rapporto ai residenti. Nel calcolo saranno compresi anche i dipendenti delle società partecipate dalle p.a..
Gli enti locali sono, per ora, fuori dai tagli sostanzialmente lineari alle dotazioni organiche previste dal decreto sulla spending review in via espressa solo per le amministrazioni statali.
Tuttavia, una cura dimagrante è egualmente prevista anche per comuni e province ... (articolo ItaliaOggi del 06.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Indennità non cumulabili. Ai consiglieri gettone di presenza onnicomprensivo. Le commissioni vanno considerate un'articolazione dell'organo consiliare.
Sussiste la possibilità di cumulare i gettoni di presenza spettanti ai consiglieri comunali per la partecipazione, nell'ambito della stessa giornata, alle sedute del consiglio comunale, delle commissioni consiliari permanenti e delle commissioni comunali istituite da leggi statali, regionali o da norme statutarie?
Le regole generali inerenti al riconoscimento e alla corresponsione dell'indennità collegata alla funzione svolta dagli amministratori locali nonché dei gettoni di presenza sono fissate agli artt. ... (articolo ItaliaOggi del 06.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazioni edilizie, tetto annuale a 96mila euro. La risposta del sottosegretario Ceriani al question-time.
Il limite di 96mila euro per la detrazione Irpef del 50% sulle spese di ristrutturazione edilizia sostenute dal 26.06.2012 al 30.06.2013, oltre ad essere riferito allo stesso intervento (anche pluriennale) effettuato nella stessa abitazione (comprensiva di pertinenze), è anche il limite massimo per il 2012 e il 2013 quali anni civili.
Se vi sono due interventi diversi nello stesso immobile, il limite massimo per quest'anno non potrà superare i 96mila euro (per quell'immobile), neanche se il pagamento di 48mila euro per il primo intervento è avvenuto entro il 25.06.2012 e il bonifico di 96mila euro per il secondo intervento è stato effettuato successivamente ed entro quest'anno.

Sono queste le conseguenze della risposta 04.07.2012 del sottosegretario al ministero dell'Economia Vieri Ceriani, per conto dell'agenzia delle Entrate, a un'interrogazione parlamentare.
Per il 2012 spetta la detrazione del 36% per le spese pagate fino al 25.06.2012 con un limite massimo di 48mila euro e la detrazione del 50% per quanto pagato «dal 26.06.2012 al termine del periodo di imposta per un ammontare massimo di 96mila euro, al netto delle spese già sostenute alla predetta data, comunque nei limiti di 48mila euro, per le quali resta ferma la detrazione del 36 per cento».
In questo passaggio, le Entrate non specificano se si tratti o meno di mera prosecuzione dell'intervento, quindi, deve ritenersi che la regola sostenuta valga indipendentemente dal fatto che vi sia o meno una mera prosecuzione dell'intervento. Ad esempio, se alla data del 20 giugno sono stati pagati, con bonifico “parlante” (che riporta causale e relativi codici fiscali), 50mila euro per un intervento e al 30 giugno ne sono stati pagati 100mila per un altro, per il primo pagamento si potrà detrarre il 36% di 48mila euro (non recuperando i 2mila euro, che eccedono il limite di 48mila euro del primo periodo), mentre per il secondo pagamento si potrà recuperare il 50% di 48mila euro, non recuperando i 52mila euro che eccedono i 48mila euro agevolati nel primo periodo (96mila euro del secondo periodo, meno i 48mila euro già agevolati).
La risposta non dice nulla circa la possibilità del contribuente di considerare rilevanti in Unico 2013 o nel 730, relativi al 2012, solo i bonifici effettuati dopo il 25.06.2012 (nel limite di 96mila euro e detraibili al 50%), ma si ritiene non possibile questa scelta. Non si possono cioè utilizzare solo i bonifici relativi a interventi con detrazione del 50% escludendo quelli con detrazione al 36 per cento. Vanno riportati tutti in ordine cronologico.
Per il periodo d'imposta 2013, spetta la detrazione del 50% per le spese sostenute dall'inizio dell'anno fino al 30.06.2013, «per un ammontare massimo di 96mila euro, tenendo conto –in caso di mera prosecuzione dei lavori– delle spese sostenute negli anni precedenti. Se alla data del 30.06.2013 sono state sostenute spese per un ammontare pari o superiore a 48mila euro, le ulteriori spesse sostenute nel periodo di imposta non consentiranno alcuna ulteriore detrazione del 36 per cento».
Si ritiene, però, che se non vi sia una mera prosecuzione dell'intervento, debba valere la regola dettata per il 2012, cioè che il limite massimo di spesa annuale sia di 96mila euro anche per il 2013 (articolo Il Sole 24 Ore del 05.07.2012).

APPALTILavori pubblici. La bozza dell'Autorità di vigilanza: modelli base uniformi per le stazioni appaltanti.
Gare d'appalto con bandi-tipo. L'obiettivo è tipizzare le esclusioni per evitare contenziosi.

Ridurre l'arbitrarietà delle amministrazioni nel decidere l'esclusione delle imprese dalle gare d'appalto e di conseguenza anche la guerra di carte bollate che in genere scoppia in coda ad ogni aggiudicazione.
È un progetto ambizioso quello che sta dietro al lavoro della Autorità di vigilanza per definire i bandi-tipo cui dovranno attenersi le oltre 12mila stazioni appaltanti attive in Italia alle prese con la pubblicazione di un avviso di gara.
Il documento -che prenderà la forma di una determinazione- dettaglia in circa 49 pagine tutte le possibili «cause tassative di esclusione» da inserire nei bandi di gara. In pratica stabilisce i paletti entro i quali le Pa possono e devono muoversi, senza andare incontro al rischio di innescare una nuova forma di contenzioso per non aver rispettato le indicazioni di Via Ripetta e riducendo la prassi delle esclusioni legate a violazioni «meramente formali».
La determinazione, ancora in bozza, è stata inviata dall'Authority alle associazioni di imprese per un nuovo giro di consultazioni prima del via libera finale che dovrebbe arrivare prima delle ferie estive. Almeno questa è l'intenzione del presidente Sergio Santoro che proprio domani presenterà a Roma presso la Camera dei Deputati la relazione annuale 2011 al Parlamento.
I bandi-tipo prendono le mosse dal Dl 70/2011 che ha dato all'Autorità il compito di predisporre le regole quadro per le gare. La determinazione -cui i tecnici di Via Ripetta lavorano ormai da tempo rincorrendo le circa 100 modifiche introdotte per decreto al Codice degli appalti (Dlgs 163/2006)- servirà da base per elaborare i successivi bandi tipo distinti in base all'oggetto del contratto (lavori, servizi e forniture).
L'Authority individua tre tipologie di cause di esclusione «tassativa». Primo: gli adempimenti previsti da Codice e regolamento. Secondo: l'incertezza sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta «per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali». Terzo: la non integrità del plico con l'offerta o la domanda di partecipazione alla gara «o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere che sia stato violato il principio di segretezza».
L'obiettivo è dare alle Pa una bussola indicando quali irregolarità devono essere sanzionate con l'esclusione. E, per contro, quali prescrizioni siano da considerare nulle, nonostante l'amministrazione ne chieda, con il bando, il rispetto «a pena di esclusione».
Nella categorie delle prescrizioni imposte dalle norme, via Ripetta individua sette cause di esclusione. Si va dal possesso dei requisiti di partecipazione ai termini di presentazione delle offerte, fino al mancato versamento del contributo all'Autorità.
In particolare, l'Autorità si sofferma sui «requisiti speciali» e cioè quelle caratteristiche di professionalità necessarie richieste dalle stazioni appaltanti per garantirsi la buona esecuzione del contratto, che invece spesso si traducono in un percorso a ostacoli, ideato ad hoc per ridurre al minimo gli spazi di partecipazione. In materia di offerta, invece, si stabilisce che le domande devono essere «debitamente sottoscritte da parte del titolare dell'impresa o del legale rappresentante».
Seguono l'accettazione delle condizioni contrattuali, il divieto di offerte condizionate o plurime, la presentazione della cauzione, l'obbligo di sopralluogo contenute nella documentazione di gara. Infine un focus sulle irregolarità formali dell'offerta con l'indicazione delle carenze «veniali» che rendono illegittimo il cartellino rosso.
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Il quadro
01 | I BANDI TIPO
Previsti dal Dl 70/2011, i bandi tipo sono predisposti dall'Autorità per dare un bussola di orientamento uniforme alle circa 12mila stazioni appaltanti italiane. La bozza del bando quadro si concentra sulle cause di esclusione dalle gare che sono da considerare «tassative».
02 | A CHE PUNTO SONO
L'Authority ha predisposto uno schema di provvedimento che attualmente è stato mandato in consultazione alle categorie interessate. Prima del via libera definitivo bisognerà sentire anche il parere del ministero delle Infrastrutture (articolo Il Sole 24 Ore del 03.07.2012 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATADecreto sviluppo/ GLI INCENTIVI SULLE RISTRUTTURAZIONI.
Il bonus del 50% scatta anche senza cantiere. Sicurezza in casa e antifurto tra i lavori agevolati.

Per brevità chiamato «bonus sulle ristrutturazioni», il nuovo 50% riguarda in realtà tutta una serie di lavori che non richiedono sempre l'intervento del muratore. E che possono essere avviati molto più rapidamente di un cantiere edile. La detrazione maggiorata al 50%, infatti, si applica anche alle opere per prevenire furti e atti illeciti, come l'installazione di una porta blindata, o a quelle per la sicurezza domestica, come l'applicazione dei rilevatori per le fughe di gas.
Il 26 giugno data chiave
L'elenco degli interventi agevolati è lo stesso dettato dall'articolo 16-bis del Tuir (Dpr 917/1986), che dal 1° gennaio di quest'anno disciplina la detrazione del 36 per cento. Il decreto sviluppo varato dal Governo, di fatto, non fa altro che stabilire che per le spese sostenute dal 26 giugno di quest'anno fino al 30.06.2013 la detrazione è maggiorata al 50% e l'importo massimo su cui calcolarla sale da 48 a 96mila euro.
Chi ha già un cantiere in corso, semplicemente, beneficerà del bonus del 50% per i bonifici effettuati dal 26 giugno in poi. Anche se la fattura ha una data anteriore e anche se sono già stati pagati acconti in precedenza (acconti che avranno la detrazione del 36 per cento). L'unica condizione da non mancare –ma questa non è certo una novità– è che il bonifico sia "parlante", e cioè indichi:
- la causale del pagamento (il riferimento all'articolo 16-bis del Tuir);
- il codice fiscale del soggetto che paga (o dei soggetti, se le persone che sostengono la spesa e vogliono ottenere la detrazione sono più di una);
- il codice fiscale o la partita Iva del beneficiario del pagamento.
Chi non ha ancora avviato i lavori, invece, potrà scegliere cosa fare pescando nel catalogo delle opere ammesse al bonus. Ed è evidente –considerati i tempi necessari a pianificare e avviare una ristrutturazione– che chi decide di rifare il tetto o di modificare la distribuzione interna delle stanze ben difficilmente sarà pronto a partire prima dell'estate.
La prevenzione infortuni
Al di fuori delle opere edili, gli interventi agevolati al 50% non si limitano a quelli per la sicurezza e la prevenzione degli atti illeciti, ma comprendono anche l'eliminazione delle barriere architettoniche, le opere per favorire la mobilità dei disabili e la cablatura degli edifici (si veda il grafico a destra). Ci sarebbero anche gli interventi per il risparmio energetico, ma in questo caso il discorso è un po' più complesso, perché quando non rientrano già in una categoria di opere edilizie –come ad esempio la manutenzione straordinaria del tetto che include anche la coibentazione– la legge impone di rispettare la «normativa vigente» e acquisire l'«idonea documentazione». Due concetti che le Entrate dovranno meglio chiarire.
L'iter per la detrazione
Per beneficiare del 50% su interventi "non edilizi", la procedura non cambia. E in questo senso diventa sicuramente un vantaggio l'eliminazione della comunicazione di inizio lavori al centro operativo delle Entrate di Pescara, che in passato era dettata a pena di decadenza e che spesso bloccava le piccole spese per le quali il contribuente si accorgeva in ritardo di poter beneficiare della detrazione. Idem per l'obbligo di indicare la manodopera in fattura, cancellato con effetto retroattivo.
In pratica, se le opere effettuate non richiedono assensi edilizi (come nel caso dell'installazione di una porta blindata) basta che il proprietario prepari un'autocertificazione in cui indica la data di inizio lavori e attesta che gli interventi realizzati rientrano tra quelli agevolabili. Addirittura, se il pagamento fosse già stato effettuato prima dell'entrata in vigore del decreto sviluppo con un bonifico non parlante (o con un bonifico parlante, ma sbagliato) si potrebbe rifare il pagamento con un bonifico tracciabile, e a quel punto si avrebbe diritto alla detrazione del 50 per cento.
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IN SINTESI
50% - La nuova detrazione
I lavori agevolati con la classica detrazione del 36% (così come disciplinata dall'articolo 16-bis del Tuir) beneficiano della detrazione del 50% per le spese sostenute tra il 26.06.2012 e il 30.06.2013. Per i bonifici con data anteriore o successiva a questa finestra temporale, la detrazione era e resta del 36%
96mila euro - La spesa massima
Di pari passo con la detrazione, aumenta anche l'importo massimo su cui può essere applicata, che sale da 48mila a 96mila euro, per lo stesso periodo in cui sono stati effettuati i lavori
10 rate - La suddivisione
La nuova detrazione del 50% segue tutte le regole del 36%, a parte l'innalzamento del limite massimo di spesa per unità immobiliare, compreso il recupero, che dal 1° gennaio di quest'anno avviene in dieci anni per tutti i contribuenti, compresi quelli di età superiore a 75 anni
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La lista degli interventi
Il dettaglio dei lavori agevolati al 50% che non richiedono l'effettuazione di opere edilizie, così come indicati nella Guida fiscale dell'agenzia delle Entrate
ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE
LE OPERE
Lavori per l'eliminazione delle barriere architettoniche riguardanti ascensori e montacarichi
GLI ESEMPI
Realizzazione di un elevatore esterno all'abitazioni
MOBILITÀ DEI PORTATORI DI HANDICAP
LE OPERE
Interventi per realizzare strumenti atti a favorire la mobilità di persone con handicap gravi
GLI ESEMPI
Installazione di un servoscala.
Motorini elettrici per tapparelle
Non agevolati: telefoni vivavoce, computer con touch screen
OPERE CONTRO GLI INFORTUNI DOMESTICI
LE OPERE
Esecuzione di opere volte a evitare gli infortuni domestici
GLI ESEMPI
Installazione di rilevatori di gas. Cambio del tubo del gas.
Riparazione di una presa malfunzionante. Installazione di un corrimano. Installazione del salvavita
Non agevolato: acquisto di elettrodomestici con dispositivi di sicurezza
INTERVENTI  CONTRO GLI ATTI ILLECITI
LE OPERE
Adozione di misure che prevengono il rischio di atti illeciti da parte di estranei
GLI ESEMPI
Installazione o cambio di una porta blindata. Installazione o cambio di serrature, lucchetti, eccetera. Installazione di saracinesche antisfondamento. Vetri antisfondamento. Sistemi antifurto. Installazione di telecamere. Cassaforti a muro. Trasformazione del citofono in videocitofono
CABLATURA DEGLI EDIFICI
LE OPERE
Interventi per la cablatura degli edifici
GLI ESEMPI
Installazione di cavi o fibre ottiche che interconnettano tutte le unità immobiliari residenziali.
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«Scontate» anche le spese professionali.
Il perimetro delle spese che possono avere la detrazione del 50% è un po' più ampio del costo "nudo e crudo" dei lavori. L'importo su cui applicare il bonus fiscale include l'Iva, ma anche l'imposta di bollo e i diritti pagati per eventuali concessioni, autorizzazioni, Dia, Scia o comunicazioni, oltre agli oneri di urbanizzazione.
Se queste sono voci di spesa che entrano in gioco quasi solo quando si effettuano lavori edilizi rilevanti (ma non sempre, basti pensare agli oneri per il cambio d'uso) è pur vero che si può avere il 50% anche sulle spese per la messa in regola degli edifici in relazione alle norme sugli impianti elettrici e a metano, oltre che su tutta una serie di spese in senso lato professionali: per la progettazione, per le certificazioni, per la relazione di conformità dei lavori alle leggi vigenti, per le perizie e i sopralluoghi.
Quanto alla documentazione da conservare, nella maggior parte dei lavori che non implicano opere edilizie ci si limiterà all'autocertificazione del proprietario (si veda l'articolo a fianco), corredata dalle fatture o ricevute fiscali e dalle ricevute dei bonifici di pagamento, oltre che dalle ricevute Ici, che il provvedimento del direttore delle Entrate del 2 novembre scorso continua a richiedere (articolo Il Sole 24 Ore del 02.07.2012).

aggiornamento al 02.07.2012

PUBBLICO IMPIEGOI dipendenti comunali che non fanno il loro dovere si possono licenziare. Un sindaco del Veronese ne ha già mandati a casa sei. E spiega come.
Lo chiamano SuperMario ma Ballotelli, il bomber azzurro, non c'entra. L'accostamento giusto è appunto al personaggio dei videogiochi Nintendo, l'idraulico tuttofare inarrestabile nell'aggiustare tutto. È Mario Faccioli, sindaco di Villafranca di Verona che licenzia i dipendenti comunali e non fa pagare l'Imu.
SuperMario, classe 1964, da Nagrar (Verona), perito in telecomunicazioni e impiegato nella vita, guida il municipio a capo di una lista civica ma è pidiellino lato An, come molti da quelle parti, tanto che sotto quelle insegne ha già fatto il consigliere provinciale. SuperMario è diventato tale agli occhi dei suoi 34mila amministrati da quando s'è messo a usare il pugno duro nel suo municipio. Non discorsi ma lettere di richiamo ai dipendenti fannulloni e, in casi di infedeltà clamorosa, licenziamenti veri e propri. Un Renato Brunetta della Bassa veronese che, a differenza dell'ex-ministro veneziano, non scherza affatto: di travet furbetti ne ha già cacciati ben sei. Fra loro, un impiegato che prendeva soldi indebitamente per pratiche funerarie, un altro che aveva chiesto e ottenuto una tangente da 10mila euro e un'altra ancora che godeva permessi per assistere familiari e che, al contrario, se ne andava all'università. Con buona pace di chi ritiene che i dipendenti statali godano dell'impunità totale, anche i presenza di mancanze gravi.
«Le norme per poterlo fare ci sono. Eccome», ha spiegato giorni fa al Corriere Veneto, «e siccome sono un pignolo le conosco. È lo stesso contratto nazionale che ti permette di agire. E devi farlo subito, altrimenti diventa tutto più difficile...». Il segreto? Il puntiglio. «Sono una zecca fastidiosa e mi controllo tutti gli atti amministrativi», ha chiarito, «non dico che sia facile ma è probabile trovare anomalie in certi comportamenti. Sono un pignolo, ripeto, controllo tutto, faccio rifare. Basta fare degli incroci e, se c'è qualcosa che non va, lo scopri...».
Ma non basta essere vigili, non è sufficienti essere attenti, SuperMario sindaco ha svelato che occorre anche la prontezza: «Bisogna anticipare l'atto penale», ha teorizzato, «perché, quando inizia l'iter in tribunale, sei fregato, devi aspettare i tre gradi di giudizio prima di licenziare. Ma se lo fai prima, avendo tutte le carte che dimostrano la bontà del tuo provvedimento, è fatta» Come? «Verifico gli atti con i miei legali e applico il licenziamento senza preavviso. Lo dico anche ai miei colleghi sindaci: se conosci le norme puoi fare».
Lui le norme dice di averle imparate nientemeno che nel vecchio Movimento sociale italiano, in cui militava sin da ragazzo, tanto che amici e nemici ormai lo chiamano «il Dux di Villaffranca», in omaggio alle sue capacità di leadership certo, ma anche al Capo cui il Msi si richiamava: Benito Mussolini. «Un partito che faceva formazione, che ti preparava», ha sospirato e, sulla scorta di quel ricordo un po' nostalgico, s'è dichiarato piuttosto pessimista sulle sorti della politica attuale: «A tutti i livelli, regionale, provinciale o locale, molti non hanno una preparazione politico-amministrativa», ha osservato mestamente, «oggi si pensa alle preferenze, alle lobby, non al buongoverno». Critiche che valgono anche per il suo partito, il Pdl: «È una storia che mi piace poco», aveva già ammesso ai microfoni di Radio Padova, «e sarebbe errato dire che è una brutta cosa perché ha nei suoi principi cose belle, ma non siamo stati all'altezza come classe dirigente, a tutti livelli. Abbiamo perso il senso dell'appartenenza».
Lui appartiene ai suoi amministrati e, nel suo piccolo, fa cose importanti: per esempio ha rinunciato alla quota di Imu di spettanza municipale, alleggerendo di molto il prelievo sul cittadino. «Come ho fatto? Da quando hanno tolto l'Ici abbiamo ristrutturato le nostre finanze: via mutui, costi ridotti, nessuna auto di servizio, niente telefonini, niente mazzette dei giornali», ha chiarito, «siamo riusciti a mantenere i servizi essenziali o ora possiamo anche non chiedere l'Imu». Un duro che però i suoi collaboratori li difende: «Ho dei dipendenti di prim'ordine e non voglio che, per il mal agire di qualcuno, si pensi che tutti sono dei lavativi. Io li voglio sul pezzo. E gli faccio la posta». A suo modo gli vuol bene, SuperMario.
Con lui l'antipolitica non avrebbe vita facile. Su YouTube circola ancora un video dei grillini che lo ritrae mentre li ringrazia per le riprese dei lavori in consiglio comunale: una prassi contro cui più di un suo collega, a destra e a sinistra, s'era ribellato. Lui, invece, sorrideva lieve. O forse sfotteva (articolo ItaliaOggi del 30.06.2012 - link a www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Numero legale fai-da-te. Il regolamento indica il quorum per le sedute. Per l'elezione del presidente alla terza votazione basta la maggioranza assoluta.
Può ritenersi validamente costituito, ai fini dell'elezione del presidente, un consiglio comunale con un numero di consiglieri inferiore a quello dei due terzi prescritto per l'elezione in questione?

La disciplina del numero legale per la validità delle adunanze, «quorum strutturale», e delle votazioni, «quorum funzionale o deliberativo», di cui all'art. 38 del dlgs n. 267/2000, si limita a disporre che «il regolamento indica il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all'ente, senza computare a tal fine il sindaco».
Nel caso di specie, per quanto riguarda il quorum strutturale, lo statuto comunale prevede che «le sedute del consiglio comunale sono valide con la presenza di 16 consiglieri, o in seconda convocazione, con almeno undici di essi, computando a tal fine anche il sindaco», facendo salvi i casi in cui la legge o lo stesso Statuto «richiedano una maggioranza qualificata o dispongano particolari modalità di votazione».
Per lo specifico quorum funzionale, invece, lo statuto prevede che «il presidente è eletto tra i consiglieri con il voto favorevole dei due terzi dei componenti il consiglio comunale. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, si procederà a una nuova votazione con le stesse modalità della prima. In caso di ulteriore esito negativo, si procederà a una terza votazione, nella quale sarà sufficiente raggiungere il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il consiglio».
Il regolamento consiliare, peraltro, ribadisce sostanzialmente il contenuto delle norme statutarie senza apportare ulteriori integrazioni alle modalità di elezione del presidente.
Pertanto, in base alle disposizioni sopra richiamate, per la validità della seduta sarà necessario il raggiungimento del quorum strutturale indicato, ovvero la presenza di 16 consiglieri.
Ne consegue che, accertata la validità della seduta con la presenza del numero dei consiglieri prescritto dallo statuto, qualora le prime due votazioni, che necessitano del voto favorevole di due terzi dei componenti, dovessero risultare infruttuose, si potrà procedere alla terza votazione per la quale è richiesta la maggioranza assoluta.
Diversamente, qualora si accogliesse la tesi secondo cui il quorum funzionale iniziale dei due terzi dei componenti del consiglio rende necessitato il raggiungimento del medesimo quorum ai fini della validità della seduta, ne deriverebbe l'oggettiva impossibilità, in carenza del suddetto quorum, di procedere alla terza votazione. Tale conclusione è incongruente con il meccanismo contemplato dalla norma statutaria in argomento, mirante a pervenire necessariamente all'elezione del presidente.
Si soggiunge, infatti, che il presidente è un organo obbligatorio previsto dal nostro ordinamento che svolge funzioni fondamentali per l'attività del consiglio comunale e ne garantisce l'ordinato svolgimento dei lavori a tutela e garanzia della vita democratica dell'ente stesso (articolo ItaliaOggi del 29.06.2012 - link a www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO - VARILa malattia in vacanza non mina le ferie retribuite.
Le ferie annuali retribuite sono un diritto inviolabile. E come tali, non possono essere sottratte al lavoratore nemmeno se l'incapacità lavorativa dovesse sopravvenire proprio durante il periodo di vacanza.

Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea confermando il diritto a recuperare le ferie non godute. Il ricorso è arrivato su istanza del Tribunal supremo spagnolo (Corte suprema) chiamato a dirimere la causa intentata dai sindacati dei lavoratori dei grandi magazzini contro l'Associazione nazionale delle grandi imprese di distribuzione (Anged). I primi miravano a far riconoscere il diritto dei lavoratori di beneficiare delle ferie annuali retribuite anche quando fossero coincise con periodi di congedo per incapacità lavorativa.
Di parere contrario l'Anged secondo cui «i lavoratori che si trovano in una situazione di incapacità lavorativa -prima dell'inizio di un periodo di ferie previamente stabilito, o nel corso di tale periodo- non hanno alcun diritto di beneficiare delle ferie». Ebbene, la Corte di giustizia europea ha sottolineato come il diritto alle ferie annuali retribuite debba essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Ue. E come tale non può essere interpretato in senso restrittivo.
Secondo i giudici europei, lo scopo del diritto alle ferie annuali è quello di consentire al lavoratore di riposarsi e di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione. Le finalità sono quindi diverse da quelle del diritto al congedo per malattia, volto a consentire al lavoratore di ristabilirsi da una malattia che dà luogo a incapacità lavorativa. La Corte Ue ha così rigettato le motivazioni dell'Anged dichiarando che «un lavoratore che si trovi in una situazione d'incapacità lavorativa prima dell'inizio di un periodo di ferie retribuite ha diritto di beneficiarne in un periodo diverso da quello coincidente con il periodo di congedo per malattia. Il momento in cui l'incapacità sopravviene è irrilevante».
Pertanto, il lavoratore ha diritto a fruire delle ferie annuali retribuite coincidenti con un periodo di congedo di malattia in un periodo successivo. E ciò indipendentemente dal momento in cui è sopravvenuta l'incapacità lavorativa. Sarebbe infatti aleatorio riconoscere questo diritto al lavoratore soltanto a condizione che questi si trovi già in una situazione di incapacità lavorativa all'inizio del periodo di ferie annuali retribuite (articolo ItaliaOggi del 27.06.2012).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICALavori senza gara, Italia a rischio.
Il decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto salva Italia) ha modificato le norme sull'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria, ammettendo che quelle d'importo inferiore alla soglia comunitaria (5 milioni di euro) possano essere realizzate dal titolare del permesso di costruire, senza applicare il codice dei contratti.
La disposizione è, di tutta evidenza, in contrasto con l'orientamento comunitario, in base al quale l'esecuzione delle opere di urbanizzazione, indipendentemente dalla natura del soggetto che realizza, costituisce un «appalto pubblico di lavori» e come tale dev'essere trattato all'interno degli ordinamenti nazionali.
La disciplina antecedente faceva salva questa impostazione, prevedendo che, a scomputo totale o parziale degli oneri concessori dovuti, il titolare del permesso potesse obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto del codice dei contratti. Limitatamente alle opere d'importo inferiore alla cosiddetta soglia comunitaria il medesimo codice ammetteva il ricorso a una procedura di evidenza pubblica, seppure semplificata e meno gravosa, rappresentata dalla cosiddetta procedura negoziata.
L'operazione correttiva del governo Monti non soltanto espone lo stato italiano all'ennesima censura comunitaria, ma pone problemi interpretativi, determinando il rischio che la ricercata semplificazione dia luogo a incertezza e stallo, visti gli interrogativi cui le amministrazioni locali dovrebbero dare una risposta prima di applicare le nuove disposizioni.
L'interrogativo principale è: perché il legislatore ha qualificato l'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria d'importo inferiore alla soglia comunitaria come «a carico del titolare del permesso di costruire» e non ha precisato, invece, che si tratta di una prestazione obbligatoria, effettuata dal titolare del permesso, in alternativa al versamento degli oneri concessori comunque dovuti e dunque a scomputo di questi ultimi?
Nel caso in cui il governo (eludendo pure due distinte interrogazioni presentate da parlamentari radicali sull'argomento) ritenga che la norma non abbia modificato sostanzialmente il regime delle prestazioni obbligatorie a carico del titolare del permesso di costruire e dunque che le opere di urbanizzazione primaria vengono comunque effettuate «a scomputo» degli oneri concessori dovuti, si pone comunque la necessità di precisare la norma e di fornire indicazioni operative.
Per questa ragione, in sede di conversione in legge del decreto-legge per la crescita, che contiene anche norme correttive del testo unico per l'edilizia, sarebbe opportuno un intervento del parlamento per abrogare il comma 2-bis dell'art. 16 del dpr n. 380 del 2001(modificato dal «salva Italia») ed evitare all'Italia una probabile procedura d'infrazione.
In via subordinata, nel caso in cui non ci fossero le condizioni per cancellare la norma, bisognerebbe emendare tale disposizione, precisando in che modo debba essere fissato il valore economico delle opere di urbanizzazione, realizzate senza applicare il codice dei contratti, al fine di determinare l'importo delle somme (il cosiddetto scomputo) che il privato detrae da quanto dovuto a titolo di oneri concessori.
Bisognerebbe altresì individuare la procedura per assicurare un'appropriata e corretta destinazione delle eventuali economie che il privato (anche e soprattutto grazie alla mancata applicazione del codice dei contratti) può perseguire nell'esecuzione delle opere (articolo ItaliaOggi del 26.06.2012).

PUBBLICO IMPIEGO: Se la scuola è chiusa per neve o per altre calamità naturali l'assenza non si recupera.  Così la Fornero sulle assenze negli uffici pubblici. Chiusi per neve, non c'è recupero.
É quanto si evince da
ll'interpello 07.06.2012 n. 15/2012 emanato dal ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Il dicastero guidato da Elsa Fornero, è intervenuto in risposta a un interpello concernente la chiusura degli uffici pubblici a Roma, durante la nevicata del febbraio scorso.
E ha chiarito che, nel settore pubblico, la mancata effettuazione della prestazione lavorativa nelle giornate di chiusura può considerarsi ascrivibile alle ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al lavoratore.
«Nello specifico» si legge nella nota «la fattispecie prospettata sembrerebbe afferire al c.d. factum principis, inteso quale provvedimento autoritativo –ordinanza di chiusura degli uffici pubblici causa neve– che impedisce in modo oggettivo ed assoluto l'adempimento della prestazione, ossia l'espletamento dell'attività lavorativa, fermo restando l'obbligo datoriale di corrispondere la retribuzione nelle giornate indicate». Insomma se la scuola è chiusa i docenti e i non docenti sono impossibilitati materialmente ad erogare la prestazione. E ciò non dipende dalla loro volontà, ma da fatti impeditivi non rimuovibili o modificabili dagli stessi.
Pertanto, la prestazione non è dovuta e, soprattutto, non deve essere recuperata. Il chiarimento del minlavoro fa il paio con la nota 1000 del 22.02.2012 del ministero dell'istruzione. In quell'occasione il dicastero di viale Trastevere era intervenuto per spiegare ai dirigenti scolastici che l'anno scolastico vale lo stesso, anche se si scende al di sotto dei 200 giorni di lezione, quando la riduzione avviene per il verificarsi di «eventi imprevedibili e straordinari (ad esempio gravi calamità naturali, eccezionali eventi atmosferici) che inducano i sindaci ad adottare ordinanze di chiusura delle sedi scolastiche.».
Tale conclusione era già stata anticipata dall'ufficio scolastico regionale per l'Abruzzo che, in merito alle assenze dovute alla chiusura delle scuole per neve, nel 2005 (prot. 1700) aveva fatto presente che: «Per quanto riguarda la questione dell' obbligo o meno al recupero delle giornate di lavoro non prestate» si legge nella nota «lo scrivente ritiene che in caso di blocco totale delle attività didattiche ed amministrative delle istituzioni scolastiche detto obbligo non esista, avuto riguardo alle cause di forza maggiore non imputabili al personale» (articolo ItaliaOggi del 26.06.2012 - link a www.ecostampa.it).

APPALTI - ENTI LOCALIPAGAMENTI P.A./ Riscossione dei crediti anticipata. Con la certificazione l'impresa può avere liquidità immediata. Pubblicati in GU due decreti del Mef. È possibile anche cedere l'operazione alla banca.
È possibile accelerare i pagamenti dei crediti verso le pubbliche amministrazioni, grazie a due misure ad hoc messe in campo dal ministero dell'economia e delle finanze. La prima misura riguarda la possibilità di richiedere la certificazione dei crediti verso le pubbliche amministrazioni, la seconda di ottenere l'estinzione del credito mediante il rilascio dei titoli di stato.
La certificazione dei crediti permetterà di ottenere l'anticipazione del credito dalla banca e avere quindi subito liquidità, oppure di effettuare la cessione del credito in banca o in alternativa la compensazione dei crediti verso le p.a. con le somme iscritte a ruolo.
Certificazione dei crediti per accelerare i pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni. Con decreto del 22 maggio, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 143 del 21 giugno scorso (si veda ItaliaOggi del 22 giugno) il ministero dell'economia e delle Finanze ha definito le modalità per richiedere la certificazione del credito di somme per somministrazione, forniture e appalti da parte delle Amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali. La certificazione dei crediti può essere richiesta solo per crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili.
Con la certificazione l'amministrazione o ente debitore accetta preventivamente la possibilità che il credito venga ceduto a banche o intermediari finanziari abilitati ai sensi della legislazione vigente. Gli obbiettivi di questa misura, possono essere così riassunti: fornire liquidità alle imprese, rendere semplice per fornitori e debitori il meccanismo della certificazione, superando la frammentazione sul territorio, ridurre il rischio di inerzia della pubblica amministrazione ed infine favorire una risoluzione per i debiti iscritti a ruolo.
Come presentare l'istanza di certificazione del credito. La certificazione del credito può essere richiesta in maniera ordinaria (cartacea), oppure in maniera telematica. Al momento la possibilità di presentare l'istanza cartacea è già operativa, mentre per la modalità telematica sarà necessario attendere qualche mese affinché la piattaforma telematica sia attivata.
Nel caso della procedura cartacea il procedimento è il seguente: i titolari dei crediti possono presentare all'amministrazione o ente debitore l'istanza di certificazione del credito utilizzando il modello allegato 1 disponibile sul sito web del Mef. Entro 60 giorni dalla ricezione dell'istanza l'amministrazione o ente debitore, certifica che il credito è certo, liquido ed esigibile, oppure ne rileva l'insussistenza o l'inesigibilità, anche parziale del credito. La certificazione non può essere rilasciata qualora risultino procedimenti giurisdizionali pendenti, per la medesima ragione di credito.
Prima di rilasciare la certificazione, per i crediti di importo superiore a diecimila euro, l'amministrazione o ente debitore procede, ricorrendone i presupposti, alla verifica prescritta dall'art. 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602. Nel caso di accertata inadempienza all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento, la certificazione ne da' atto e viene resa al lordo delle somme ancora dovute, il cui importo viene comunque indicato nella certificazione medesima.
Possibile la compensazione dei crediti vs le p.a. con le somme iscritte a ruolo. Nel caso di esposizione debitoria del creditore nei confronti della stessa amministrazione, il credito può essere certificato, e conseguentemente ceduto o oggetto di anticipazione, al netto della compensazione tra debiti e crediti del creditore istante opponibile esclusivamente da parte dell'amministrazione debitrice.
Come procedere se entro la scadenza prevista la p.a. non certifica il credito. Se entro 60 giorni dalla presentazione dell'istanza di certificazione l'Amministrazione debitrice non rilascia la certificazione ne rileva l'inammissibilità del credito, il creditore può presentare istanza di nomina di un commissario ad acta alla competente Ragioneria territoriale dello Stato utilizzando l'apposito allegato 1-bis, disponibile sul sito del Mef. Il direttore della competente Ragioneria territoriale dello Stato, entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell'istanza nomina un commissario ad acta.
Il commissario ad acta provvede al rilascio della certificazione, entro i successivi cinquanta giorni dalla nomina, e ne da' contestuale comunicazione. Nel caso in cui la domanda di certificazione sia stata fatta mediante piattaforma elettronica, anche l'istanza di nomina di un commissario ad acta deve essere fatta mediante la procedura informatica. Il commissario ad acta provvede al rilascio della certificazione in forme telematiche utilizzando il modello generato dal sistema, conforme all'allegato 2-bis entro i successivi cinquanta giorni dalla nomina, e ne dà contestuale comunicazione all'ente debitore (articolo ItaliaOggi Sette del 25.06.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALIDecreto sviluppo. Le «determine». Dirigenti: decisioni da pubblicare on-line.
Gli enti locali sono tenuti a pubblicare le determine, cioè le decisioni dei dirigenti, sull'albo pretorio online.
A chiudere l'incertezza sull'esistenza o no dell'obbligo è il decreto legge sviluppo, approvato il 15 giugno dal Consiglio dei ministri.
Il provvedimento, infatti, punta sulla trasparenza nei rapporti economici tra Pa, imprese e cittadini e introduce una disposizione (dal titolo significativo «amministrazione aperta») che prevede la pubblicità obbligatoria su internet delle spese superiori a 1.000 euro: sovvenzioni, contributi, sussidi e compensi per servizi, incarichi e consulenze. La pubblicazione costituirebbe condizione legale di efficacia del titolo legittimante le concessioni e delle attribuzioni, vale a dire compensi per prestazioni, appalti, contributi, sussidi eccetera.
La norma ha ricadute sugli enti locali. In primo luogo, ha l'effetto, implicitamente, di porre fine in via definitiva alla problematica della sussistenza o no dell'obbligo di pubblicare i provvedimenti gestionali, come le determine, che costituiscono, di fatto, il titolo per lo svolgimento di incarichi, prestazioni e forniture nell'ambito dell'ente locale e il titolo per percepire i compensi.
Finora, infatti, vi è stata incertezza sull'obbligo di pubblicare le determine sull'albo pretorio informatico comunale: alcuni enti ritengono che questo obbligo normativo non sussista, non ritenendo di portata generale la sentenza del Consiglio di Stato 1370 del 2006 secondo la quale «la pubblicazione all'albo pretorio del Comune è prescritta dall'articolo 124 del Testo unico 267/2000 per tutte le deliberazioni del comune e della provincia ed essa riguarda non solo le deliberazioni degli organi di governo (consiglio e giunta municipali) ma anche le determinazioni dirigenziali, esprimendo la parola "deliberazione" ab antiquo sia risoluzioni adottate da organi collegiali che da organi monocratici ed essendo l'intento quello di rendere pubblici tutti gli atti degli enti locali di esercizio del potere deliberativo, indipendentemente dalla natura collegiale o meno dell'organo emanante».
In base al decreto sviluppo, quindi, le determine che comportano impegni di spesa e in specifico quelle di liquidazione, vedrebbero al loro interno un ulteriore elemento costitutivo, ossia la necessaria pubblicazione del loro contenuto sul sito web del comune. Di conseguenza, l'ufficio di ragioneria, prima di emettere il mandato, dovrebbe verificare l'esecuzione di questo adempimento per evitare di incorrere in responsabilità (articolo Il Sole 24 Ore del 25.06.2012).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici sotto esame. Ridefinizione per attribuire in esclusiva o liberalizzare le gestioni. Concorrenza. Le indicazioni dell'Antitrust sull'attuazione del percorso delineato dalla legge 148/2011.
La verifica per l'attribuzione dei diritti di esclusiva serve per una complessiva ridefinizione del servizio pubblico locale, consentendo anche di rilevare le criticità più significative. Lo ha chiarito l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che, per voce di Arduino D'Anna, funzionario della Direzione servizi pubblici locali e promozione concorrenza, durante un convegno organizzato il 20 giugno a Bologna, ha fornito alcune indicazioni sul percorso previsto dall'articolo 4 della legge 148/2011: in base al quale, entro il 13 agosto, gli enti territoriali con più di 10mila abitanti devono inviare all'Authority per il parere obbligatorio le delibere con cui devono decidere se liberalizzare o attribuire diritti di esclusiva sulle gestioni.
La legge 148 riguarda i servizi pubblici di rilevanza economica. D'Anna ha evidenziato come la rilevanza economica derivi dalla possibilità del gestore di realizzare ricavi in grado di coprire i costi, a prescindere dalla circostanza che i primi siano frutto di sussidi pubblici. È quindi irrilevante che il servizio possa essere reso alla collettività senza oneri diretti a carico degli utenti, determinando quindi uno spettro molto ampio di servizi qualificabili come a rilevanza economica. Da questi, tuttavia, l'Autorità sembra escludere quelli sociali, per il loro carattere non profit. Viene evidenziato come l'obbligo di servizio pubblico sia direttamente legato all'esigenza di assicurare l'universalità e l'accessibilità dei servizi pubblici e corrisponda a quella parte di servizi che qualsiasi operatore, se dovesse avere a riguardo solo il proprio interesse commerciale, non assumerebbe o assumerebbe solo se adeguatamente compensato.
L'Autorità rileva come nella verifica per l'attribuzione dei diritti di esclusiva sia necessario analizzare il profilo economico connesso. Infatti le compensazioni per gli obblighi del servizio, che gli enti possono prevedere se necessario, possono celare inefficienze del gestore uscente, ma possono anche violare (in caso di eccesso) le norme comunitarie sugli aiuti di stato. In base a questa valutazione, la scelta tra affidamento in esclusiva dell'intero servizio o la sperimentazione di una concorrenza nel mercato su porzioni di questo (con la liberalizzazione) è legata ai possibili benefici delle due alternative sull'ammontare complessivo delle compensazioni e sulle tariffe pagate dall'utenza.
Rispetto al percorso previsto dall'articolo 4 della legge 148/2011, l'Agcm focalizza vari aspetti critici, a partire dalla definizione degli ambiti territoriali ottimali: sul punto l'Antitrust fornisce un input alle Regioni, evidenziando come l'operazione dovrebbe avvenire non su profili amministrativi, ma in modo da ottenere economie di scala e di differenziazione (con peculiarità per ogni settore). Per l'Autorità l'elemento-chiave è individuato nella definizione dei servizi minimi e degli obblighi di servizio pubblico: occorre aggiornare i dati relativi alla domanda di servizio pubblico e arrivare a una nuova decisione politica in merito alla quantità e qualità di questa domanda che si intende soddisfare con l'intervento pubblico, anche per eliminare sovrapposizioni tra servizi.
Una volta ridefinito il servizio pubblico, l'amministrazione dovrebbe elaborare i dati a disposizione per tracciare una stima della redditività reale o potenziale del servizio o di sue singole parti. Questi dati dovrebbero essere quindi ricondotti a un confronto con gli operatori economici (pubblici e privati), anche per far emergere le attività più redditive e quelle più critiche. A fronte dei dati elaborati e dei riscontri del mercato, secondo l'Agcm, l'amministrazione dovrebbe verificare l'esistenza degli eventuali benefici che deriverebbe dal mantenimento della gestione in esclusiva e quindi liberalizzare tutte le attività per le quali questi benefici non ci sono: come le attività risultanti da sovrapposizioni di servizi, a loro volta desumibili dalla pianificazione.
D'Anna ha proposto, interpretando la norma, che l'obbligatorietà della verifica dovrebbe essere esclusa in tutti quei casi in cui la struttura dei mercati coinvolti sia tale da anticipare ragionevolmente l'assoluta impossibilità di sperimentare forme di concorrenza «nel mercato», ossia nei casi di monopolio naturale.
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le indicazioni sulle gare
01 | I LEGAMI
L'Antitrust raccomanda agli enti locali anzitutto di evitare che la procedura concorsuale possa risentire dell'intreccio tra amministrazione appaltante e impresa controllata. Attenzione quindi alle disposizioni contenute nel bando e nel capitolato di gara: soprattutto alla delimitazione del servizio oggetto dell'appalto, alla ripartizione in lotti, ai requisiti richiesti alle imprese e ai criteri di aggiudicazione.
02 | LE ASSOCIAZIONI TEMPORANEE
Nella gara devono essere inserite clausole per evitare che le associazioni temporanee di operatori economici si configurino non come strumenti di partecipazione, ma come soluzioni per formare intese anticoncorrenziali.
03 | I DIPENDENTI
Sulla clausola di tutela del personale del gestore uscente, l'Agcm precisa che, dato l'obiettivo principale del legislatore di favorire la protezione dei lavoratori, tuttavia l'obbligo di rispettare la clausola sociale non impone un determinato modello di contrattazione collettiva. L'Autorità ha anzi evidenziato più volte le distorsioni legate al fatto che un soggetto pubblico affidante imponga un contratto per i profili economici: la previsione riduce la concorrenza, costituendo una barriera all'entrata o innalzando i costi degli operatori già presenti che adottano un contratto di lavoro diverso.
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Obblighi verso i cittadini, compensazioni eque.
LA PRECISAZIONE/ Nei mercati «aperti» la Pa deve permettere a tutti gli imprenditori di settore di operare contemporaneamente.

Sono in fase di completamento le regole per la verifica finalizzata all'attribuzione dei diritti di esclusiva nei servizi pubblici locali. E alcune modifiche sono state introdotte dal Consiglio di Stato. La sezione consultiva per gli atti normativi ha infatti dato parere favorevole, con il documento 2805 dell'11 giugno, allo schema di decreto ministeriale che definisce il percorso dell'istruttoria e dei contenuti della delibera quadro, previsto dall'articolo 4, comma 33-ter, della legge 148/2011, e ha proposto la riformulazione di numerose disposizioni: modifiche destinate a essere recepite. Inoltre, il Consiglio di Stato ha fornito chiarimenti e alcune definizioni essenziali.
In particolare, il Consiglio di Stato ha spiegato che nei mercati non ancora completamente liberalizzati (nei quali, cioè, non possono operare tutti i soggetti interessati), la pubblica amministrazione si limita a rispettare la concorrenza per il mercato: vale a dire che deve scegliere l'imprenditore cui affidare l'erogazione di un determinato servizio mediante procedure a evidenza pubblica, in modo da assicurare che vengano individuati l'operatore più idoneo a effettuare il servizio e gli investimenti alle migliori condizioni possibili.
In un ambito di servizi liberalizzato, invece, deve essere assicurata la concorrenza nel mercato, che consente agli imprenditori del settore di operare contemporaneamente nel mercato rilevante ad armi pari, riuscendo a soddisfare le esigenze della comunità amministrata, con accesso allo stesso mercato libero o, al più, subordinato al rilascio di autorizzazioni vincolate.
Nel parere si chiarisce anche che in situazioni di monopolio naturale (come nel caso di unicità dell'impianto da gestire), la verifica deve essere anticipata rispetto a quella relativa alla possibilità di procedere a una liberalizzazione, per non appesantire inutilmente l'attività degli enti locali.
Gli enti affidanti, inoltre, dovranno porre attenzione particolare nell'analisi delle compensazioni corrisposte per gli obblighi di servizio pubblico, verificando che non siano eccessive e che non vadano a violare, quindi, la normativa comunitaria in materia (Comunicazioni e decisioni della commissione del 20.12.2011), in quanto verrebbero a configurarsi come aiuti di Stato.
Il Consiglio di Stato evidenzia anche l'obbligatorietà della consultazione degli operatori economici quando non sia possibile stimare la redditività del servizio o non emerga con chiarezza la possibilità di liberalizzare il servizio, o singole fasi di esso.
Per evitare elusioni delle finalità principali della nuova disciplina, il Consiglio di Stato chiede che nel decreto ministeriale sia precisato che l'affidamento in esclusiva dei servizi non deve essere esteso o abbinato ad attività che possono essere svolte in regime di concorrenza.
L'importanza della verifica ai fini del riassetto strategico e dell'affidamento di un servizio pubblico locale è dimostrata, peraltro, da alcune esperienze, come quella del Comune di Torino, che con la deliberazione 78 dell'11 giugno ha approvato il quadro per l'attribuzione dei diritti di esclusiva in relazione ai servizi ambientali (gestione del ciclo integrato dei rifiuti) (articolo Il Sole 24 Ore del 25.06.2012 - link a www.corteconti.it).

aggiornamento al 25.06.2012

INCARICHI PROGETTUALIParcelle più leggere per i tecnici. Spese e oneri dell'attività fuori dalla liquidazione dei compensi. Il decreto con i parametri di riferimento riduce gli onorari dei professionisti fino al 30%.
Parcelle più leggere fino al 30% per le prestazioni professionali di area tecnica. Per lo meno nel calcolo degli onorari giudiziari. Anche se, a detta di molti, i nuovi parametri per la liquidazione dei compensi diventeranno implicitamente i nuovi riferimenti tariffari nella contrattazione con i clienti.
Secondo l'atteso decreto che contiene i criteri per la liquidazione degli onorari per le professioni regolamentate (si veda ItaliaOggi di ieri), infatti, sul calcolo dovuto per esempio a un'opera di progettazione o direzione lavori, di verifica o collaudo di un impianto elettrico scompare qualsiasi rimborso delle spese e degli oneri sostenuti per svolgere l'attività. Il che significa una media di circa il 20-30% in meno dei compensi professionali dovuti fino ad ora, quando queste spese venivano calcolate a piè di lista o su base forfettaria fino a un massimo del 60% degli onorari. In sostanza se, per esempio, per una ristrutturazione edilizia del valore di 100 mila euro il professionista fino ad ora avrebbe incassato circa 13 mila euro e a queste, poi, aggiunto tutti i rimborsi e spese sostenute per l'attività, ora queste voci saranno ricomprese nel calcolo totale.
Un passaggio che ha fatto andare su tutte le furie le diverse rappresentanze delle professioni tecniche. Basti pensare, spiega Pasquale Caprio, presidente del dipartimento competenze e compensi professionale del Consiglio nazionale degli architetti, «che secondo le nostre simulazioni effettuate sulla base di questi parametri il compenso, per esempio, su una progettazione di un edificio scolastico, sarà decurtato ancora di più rispetto al criterio tariffario risalente a una vecchia legge del 1949 il cui ultimo aggiornamento risale a oltre 30 anni fa, nel 1987». Ma non solo, perché il regolamento messo a punto dal ministro della giustizia, Paola Severino, lascia anche un margine di discrezionalità nella mani del giudice che, si legge nell'articolo 36 del testo, «in considerazione della natura dell'opera, del pregio della prestazione, dei risultati e dei vantaggi anche economici, può aumentare o diminuire il compenso di regola fino al 60%».
Una norma questa che sono in molti a ritenere addirittura frutto di un svista: «mi sembra un passaggio incongruo», spiega il numero degli ingegneri Armando Zambrano, «perché se c'è una complessità specifica che nel testo è stata ricompresa in una determinata forbice di valore, allora non si capisce questo abbattimento o questa maggiorazione a cosa serva. Se, poi, si tratta di considerare l'eventuale urgenza della prestazione allora la diminuzione non ha alcun senso».
Dito puntato anche per la scomparsa di qualsiasi riferimento di un parametro legato alla prestazione a ora, quella che nei vecchi tariffari era detta a vacazione: «Il mio tempo, in sostanza non vale nulla», tuona ancora Capria, «perché qualora non si possa far riferimento ai parametri ma si debba considerare il fattore tempo, il professionista non potrà essere pagato». In tutto questo i professionisti di area tecnica, dunque, salvano solo un principio: il regolamento in questione una volta entrato in vigore diventerà il nuovo punto di riferimento per le stazioni appaltanti da utilizzare per le gare di progettazione.
«Un passaggio importante», spiega il numero uno dei periti industriali Giuseppe Jogna, «che finalmente porrà fino all'arbitrio delle amministrazioni pubbliche nel calcolo degli onorari dovuto all'assenza di riferimenti per la cancellazione delle tariffe e soprattutto alla tentazione di sottostimarne gli importi. D'ora in poi, quindi, chi determinerà il bando farà importi compatibili con tali parametri e soprattutto con la logica del lavoro» (articolo ItaliaOggi del 23.06.2012).

EDILIZIA PRIVATADECRETO CRESCITA/ Ristrutturazioni legate ai bonifici. Detrazione del 50%: conta il pagamento entro giugno 2013. Il nuovo beneficio scatterà dalla pubblicazione del dl in Gazzetta.
Detrazione al 50% sulle ristrutturazioni edilizie ancorata alla data di pagamento che deve avvenire necessariamente mediante bonifico bancario e/o postale, nell'intervallo tra la data di entrata in vigore del «dl crescita» e il 30.06.2013.
Con l'articolo 11, del decreto citato (si veda ItaliaOggi 16/06/2012), il legislatore è intervenuto a innalzare le soglie di detrazione ai fini Irpef delle ristrutturazioni, in un tempo limitato di circa un anno, prevedendo una nuova percentuale di detrazione (50%) e una nuova soglia (96 mila euro) per ciascuna unità abitativa.La disposizione, come indicato nella relazione illustrativa, tende a favorire le imprese operanti nel comparto edile, attualmente in forte crisi, innescando un maggior interesse da parte dei contribuenti a eseguire interventi di ristrutturazione edilizia; la contrapposizione di interessi tra il committente e il prestatore comporta, inevitabilmente, un incremento di fatturato (e di maggiori imposte) per il prestatore e il contenimento della pressione fiscale a cura del contribuente (detrazione spendibile in un decennio che abbatte, fino a concorrenza, l'Irpef dovuta).
In pratica, dal momento in cui il decreto in commento entra in vigore (la pubblicazione è attesa per i primi giorni della prossima settimana), nonostante la presenza dell'articolo 16-bis, dpr n. 917/1986 che prevede la detrazione del 36% da calcolarsi su un tetto ridotto pari a 48 mila euro, il committente potrà ottenere maggiori benefici. Innanzitutto, la disposizione fissa un criterio di «cassa» per l'applicazione della nuova detrazione (50% su 96 mila euro di spesa), facendo riferimento alle spese «sostenute» dalla data di entrata in vigore del decreto fino al 30.06.2013, per gli interventi di ristrutturazione indicati nel citato art. 16-bis del Tuir (manutenzione, restauro, risanamento conservativo e quant'altro), a prescindere dalla categoria catastale attribuita all'unità abitativa, comprese le rurali, di cui al comma 3, art. 9, dl n. 557/1993.
Se l'unità immobiliare è cointestata, il nuovo limite deve essere suddiviso tra i proprietari, tenendo conto che può utilizzare il bonus anche solo il contribuente che detiene l'unità abitativa, a prescindere dalla proprietà che può essere di altro soggetto (si parla di promittente acquirente, di locatario e di comodatario).
Inoltre, il comma 4, del citato art. 16-bis del Tuir dispone che se gli interventi sono una mera prosecuzione di interventi iniziati in anni precedenti, si deve tenere conto, ai fini del computo della soglia, anche delle spese sostenute nei medesimi (precedenti) anni (Agenzia delle entrate, circ. 9/E/2002 § 7.3 e n. 15/E/2002) mentre il tetto può essere «sbancato» quando i lavori eseguiti in un determinato anno consistono in nuovi interventi di recupero (Agenzia delle entrate, circ. 9/E/2012 § 7.4), con riferimento ai contenuti di ogni concessione, autorizzazione o comunicazione di inizio lavori.
Di conseguenza, se il contribuente nel corso del 2012 ha già iniziato una ristrutturazione, raggiungendo nel corso del mese di maggio la soglia di 48 mila, dopo l'emanazione del decreto in commento potrà arrivare sino a 96 mila euro, detraendo sull'ulteriore quota (48 mila euro) il 50%, in luogo del 36%. Pertanto, il limite di spesa, per il medesimo intervento eseguito nel corso del 2012, passa da 48 mila a 96 mila anche se riferibili alla stessa concessione o autorizzazione, mentre il contribuente dovrà solo preoccuparsi, salvo diverse precisazioni ministeriali, di eseguire il pagamento (bonifico) in data successiva all'entrata in vigore del decreto sviluppo.
Infatti, il beneficiario del bonus, oltre che ottenere la fattura del prestatore emessa nel rispetto delle disposizioni di cui all'art. 6, dpr n. 633/1972 (momento del pagamento o, se in data anteriore, dell'emissione della fattura o del pagamento dell'acconto) deve fare attenzione che i pagamenti siano eseguiti nell'intervallo tra la data di entrata in vigore del decreto sviluppo e quella del 30/06/2013. È necessario, inoltre, eseguire il pagamento mediante bonifico bancario e/o postale, contenente la causale di pagamento, nonché il codice fiscale del destinatario della detrazione e il codice fiscale o la partita Iva del beneficiario del bonifico (Agenzia delle entrate, ris. n. 55/E/2012).
La procedura in commento si rende applicabile, per espressa previsione legislativa (comma 2, dell'art. 11 dl sviluppo) anche alle spese destinate al risparmio energetico (55%) e, pertanto, per quelle sostenute nel corso dell'anno 2012 si avranno due distinte entità di detrazione: sino alla data di entrata in vigore del decreto, infatti, ai bonifici eseguiti per il pagamento delle fatture ricevute sino a tale data, si rende applicabile la detrazione del 36%, mentre per le spese sostenute da tale data sino al 30/06/2013 si renderà applicabile la detrazione del 50%. Ciò in conseguenza della modifica introdotta dal decreto in commento che anticipa l'assorbimento di tali spese tra quelle indicate nell'art. 16-bis del Tuir, a decorrere dall'01/01/2012, anziché dall'01/01/2013 (articolo ItaliaOggi del 22.06.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Pensionati, indennità piena. Metà somma se il lavoratore non chiede aspettativa. L'amministratore comunale ha diritto a percepirla nella misura intera.
Qual è l'esatta corresponsione dell' indennità di funzione dovuta ad un amministratore comunale in quiescenza?
L'art. 82 del decreto legislativo n. 267/2000, al comma 1, prevede il dimezzamento dell'indennità di funzione per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto di essere collocati in aspettativa non retribuita.
La ratio di tale disposizione è di differenziare il trattamento economico tra i soggetti che si trovano in situazioni diverse, ossia tra quelli cui la legge riconosce il diritto di porsi in aspettativa non retribuita e quelli che non possono avvalersi di tale facoltà, quali i lavoratori autonomi, i disoccupati, gli studenti e, come nel caso di specie, i pensionati.
Pertanto, l'amministratore comunale avrà diritto a percepire l'indennità di funzione nella misura intera (articolo ItaliaOggi del 22.06.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 1, a carico di un consigliere ed assessore di un comune, che riveste la carica di presidente di una società sportiva legata all'ente da una convenzione triennale, dal quale riceve un contributo per la promozione dell'attività sportiva, svolta in ambito comunale, che non supera il 10% del bilancio dell'ente beneficiario?

L'art. 63, comma 1, n. 1 del decreto legislativo n. 267/2000 prevede due ipotesi di incompatibilità con la carica di consigliere alternative fra loro: l'una relativa alla posizione dell'amministratore di un ente soggetto a vigilanza del comune, in cui vi sia almeno il 20% di partecipazione da parte dello stesso; l'altra connessa, invece, alla posizione dell'amministratore di un ente che riceva dal comune, in via continuativa, sovvenzioni facoltative che superino nell'anno il 10% del totale delle proprie entrate.
Il caso in esame ricade nella seconda delle ipotesi sopra indicate, dato che la società sportiva, legata all'ente da una convenzione triennale, riceve un contributo per la promozione dell'attività sportiva svolta nell'ambito comunale; considerato che la sovvenzione non supera il 10% del bilancio dell'ente beneficiario, non sembrerebbero sussistere forme di ingerenza dell'ente nell'attività del sodalizio, tali da consentire al comune di concorrere alla formazione della volontà della società. Una causa ostativa all'esercizio del mandato potrebbe, invece, configurarsi in base all'ipotesi di cui al n. 2 del comma 1 del citato art. 63, qualora la società avesse parte, direttamente o indirettamente, in servizi nell'interesse del comune.
In proposito occorrerebbe accertare se il consiglio comunale si fosse già espresso sulla posizione dell'interessato in sede di convalida degli eletti o, successivamente, in esito alla procedura prevista dall'art. 69 del Tuel. Se il consiglio non si fosse pronunciato, la questione dovrebbe essere posta alla sua attenzione in ottemperanza al principio generale per cui ogni organo collegiale delibera circa la regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti.
Pertanto, le eventuali determinazioni autonomamente assunte dal consiglio comunale possono formare oggetto di ricorso innanzi all'autorità giudiziaria (articolo ItaliaOggi del 22.06.2012).

APPALTIDurc a norma con l'invito. In caso di irregolarità 15 giorni per rimediare. L'Inail ricorda alle proprie sedi che l'avviso è parte integrante dell'iter.
L'irregolarità contributiva ai fini del Durc non può essere dichiarata se prima l'impresa non è stata invitata alla regolarizzazione, assegnando un termine di 15 giorni. Infatti, l'invito è parte integrante del procedimento amministrativo e, come tale, non può essere omesso senza inficiare la regolarità e la legittimità del conseguente certificato unico di regolarità contributivo (Durc) emesso.
Lo precisa, tra l'altro, l'Inail nella nota 14.06.2012 n. 3760 di prot..
Durc e regolarità. I chiarimenti dell'Inail arrivano in seguito a segnalazioni circa il non corretto operato di alcune sedi territoriali dell'istituto le quali, appunto, rilascerebbero l'irregolarità contributiva senza aver prima invitato l'impresa alla regolarizzazione. Quest'ultimo passaggio, invece, come previsto dalle norme vigenti e come ribadito dallo stesso istituto (tra l'altro nella circolare n. 22/2011, si veda ItaliaOggi del 25.03.2011).
Infatti, l'articolo 7, comma 3, del decreto ministeriale 24.10.2007 stabilisce che, nel caso in cui l'impresa, in sede istruttoria, risulti inadempiente, gli enti previdenziali prima di emettere il certificato attestante l'irregolarità hanno l'obbligo di invitarla a regolarizzare la posizione contributiva, assegnando un termine di 15 giorni. In tal caso, l'invito alla regolarizzazione sospende i termini di rilascio del Durc.
I chiarimenti. Alla luce della normativa vigente, precisa l'Inail, tranne le ipotesi di richiesta di Durc per verifica di autodichiarazione, l'invito alla regolarizzazione è un atto dovuto per la correttezza del procedimento amministrativo e la successiva legittimità del certificato emesso. Peraltro, aggiunge l'Inail, l'eventuale rilascio di un Durc irregolare ha delle conseguenze rilevanti, soprattutto nel settore degli appalti, in quanto può essere anche causa di risoluzione del contratto e, dunque, è importante che le sedi territoriali seguano scrupolosamente l'iter previsto per il suo rilascio (per evitare, evidentemente, di essere chiamate direttamente in causa sulla responsabilità di un'eventuale perdita dell'appalto da parte dell'impresa).
Ancora, l'Inail conferma l'opportunità che, in fase di lavorazione dei Durc, le sedi territoriali procedano preliminarmente alle eventuali sistemazioni contabili (quali i giroconto eccedenze, le sistemazione scarti ecc.) in modo da mantenere costantemente aggiornata e monitorata la situazione contributiva delle aziende e così facilitare le relative verifiche di regolarità.
Infine, l'Inail ricorda che, nel caso di Durc richiesto dalla stazione appaltante o dall'amministrazione procedente per verifica dell'autodichiarazione prodotta dall'impresa, la regolarità deve sussistere alla data della stessa dichiarazione sostitutiva (con conseguenze, anche penali, in ordine alla falsità di quanto auto dichiarato dalla ditta) e quindi non può ammettersi la regolarizzazione (articolo ItaliaOggi del 19.06.2012).

EDILIZIA PRIVATA: DECRETO CRESCITA/ Permessi agevolati con le autocertificazioni.
Permessi edilizi più facili. Laddove la normativa richieda l'acquisizione di atti o pareri di enti appositi, oppure l'esecuzione di verifiche preventive, sarà possibile produrre delle autocertificazioni con l'ausilio di un professionista e velocizzare così la procedura. Naturalmente resta salva la possibilità di operare successivamente la verifica da parte delle amministrazioni competenti. Ma tanto nel caso della denuncia di inizio attività (Dia) tanto in quello della segnalazione certificata di inizio attività (Scia) sarà sufficiente, in via generale, l'asseverazione di tecnici abilitati che attestino il rispetto di tutti i requisiti di legge.

È quanto prevede il pacchetto sviluppo con lo scopo di rimuovere gli ostacoli burocratici che spesso rallentano gli interventi edilizi. Lo snellimento, precisa tuttavia il provvedimento, non opererà laddove sull'immobile «sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali» oppure qualora siano interessati edifici preposti «alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia o delle finanze».
In arrivo con il decreto anche il Piano nazionale per le città. Dedicato sia alla riqualificazione delle aree urbane, in particolare quelle più degradate, sia alla realizzazione di nuove infrastrutture. Sarà il ministro Corrado Passera a definire con decreto la cabina di regia del progetto, che sarà composta da rappresentanti dei vari ministeri interessati, ma anche, tra gli altri, dell'Agenzia del demanio, della Cdp, della Conferenza delle regioni e delle province autonome e dell'Anci.
Saranno proprio i comuni a dover mettere a punto appositi «contratti di valorizzazione urbana», recanti l'insieme degli interventi da effettuare nelle aree degradate, i finanziamenti necessari (sia pubblici sia privati), i soggetti coinvolti e il cronoprogramma. La cabina di regia selezionerà le opere da effettuare sulla base di criteri quali l'immediata cantierabilità, la capacità di far convergere fondi pubblici e privati, la riduzione di fenomeni di tensione abitativa e l'efficientamento dei trasporti urbani.
Per alimentare il Piano nazionale per le città viene attivato un apposito fondo di spesa, che sarà operativo per gli anni dal 2012 al 2017. Complessivamente, gli importi messi subito a disposizione dal governo ammontano a 224 milioni di euro. Uno dei compiti principali della cabina di regia, si legge nella relazione al pacchetto sviluppo, sarà quello di «coordinare i diversi soggetti istituzionali interessati, al fine di ridurre al massimo possibili impedimenti che rallentino l'attuazione degli stessi».
Previste pure norme per consentire la razionalizzazione degli interventi riguardanti i programmi integrati disciplinati dall'articolo 18 del dl n. 152/1991, relativi alla costruzione di alloggi di edilizia sovvenzionata ed agevolata da concedere in locazione al personale delle amministrazioni statali impegnato nella lotta alla criminalità organizzata (articolo ItaliaOggi Sette del 18.06.2012).

EDILIZIA PRIVATA: DECRETO CRESCITA/ Gli interventi in materia di costruzioni varate dal Cdm. Iva e Imu per dare ossigeno alle imprese. Maxidetrazione sui lavori edili. Ristrutturare casa conviene di più.
Iva e Imu per aiutare le imprese edili a uscire dalla crisi. Conferma delle detrazioni Irpef per ristrutturazioni e risparmio energetico per alleggerire le spese delle famiglie e stimolare la domanda.
Sono questi gli interventi in materia di costruzioni varati dal governo con il pacchetto sviluppo approvato venerdì (si veda ItaliaOggi del 16 giugno). Misure che non si limitano all'ambito fiscale, ma che includono anche semplificazioni amministrative in tema di autorizzazioni e pareri per le attività edilizie.
Senza dimenticare il Piano nazionale per le città, finalizzato a riqualificare le aree urbane (specie quelle maggiormente degradate) e a sviluppare una sinergia trasparente ed efficiente tra sistema pubblico e imprese private.
Iva. Una prima importante boccata d'ossigeno per le imprese di costruzione arriva dalla modifica dell'articolo 10, comma 1, numeri 8), 8-bis) e 8-ter) del dpr n. 633/1972. Per effetto della normativa vigente finora, infatti, le cessioni di immobili destinati ad uso abitativo effettuate dalle imprese dopo cinque anni dalla costruzione restavano esenti da Iva. Allo stesso modo la maggior parte delle locazioni effettuate direttamente dal soggetto edificatore oltre il predetto termine quinquennale. In tali ipotesi, gli imprenditori edili non potevano perciò compensare l'Iva pagata per l'acquisto di beni e servizi relativi all'immobile, dovendo semmai restituire all'erario l'Iva a credito portata provvisoriamente in detrazione. Con la modifica introdotta dal pacchetto sviluppo, invece, l'Iva sarà applicata anche decorsi i cinque anni, riportando l'imposta a una condizione di neutralità nei confronti degli imprenditori edili.
Secondo l'Ance, ipotizzando una percentuale di immobili invenduti (o non locati) entro cinque anni dalla costruzione pari al 6%, le risorse economiche che potranno essere «liberate», e quindi reinvestite dalle imprese, ammontano a circa 840 milioni di euro annui, capaci di innescare una ricaduta positiva sul sistema economico di circa 2,8 miliardi, con un aumento dei livelli occupazionali di 14 mila unità.
Imu. Un altro salvagente lanciato da palazzo Chigi a un settore in forte crisi come quello dell'edilizia è rappresentato dall'esenzione Imu sugli immobili invenduti. La norma prevede l'esclusione, per un periodo non superiore a tre anni dall'ultimazione dei lavori, dei fabbricati di nuova costruzione ancora in cerca di un acquirente. La relazione governativa al provvedimento stima in circa 35 milioni di euro all'anno le somme risparmiate dalle imprese. Risorse che potranno essere reinvestite nel sistema produttivo, con una ricaduta complessiva che i calcoli dell'esecutivo quantificano in circa 100 milioni di euro.
Ristrutturazioni edilizie. Il terzo intervento del governo va nella direzione di aiutare sia le famiglie, che potranno beneficiare di uno sgravio maggiore, sia le imprese edili, che saranno investite da una crescente richiesta di interventi di ristrutturazione. Il pacchetto sviluppo, infatti, prevede di elevare le detrazioni Irpef dal 36% al 50%. Aumenta anche il limite massimo di spesa agevolabile per ciascuna unità immobiliare, che raddoppia passando da 48 mila a 96 mila euro.
I costi dovranno essere documentati e sostenuti nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del dl e il 30.06.2013. L'agevolazione sarà ripartita in dieci annualità. Le minori entrate per lo Stato, determinate dall'incremento delle detrazioni, «sono parzialmente compensate dal maggior gettito di imposte che si determinerebbe grazie all'aumento di entrate connesse all'aumento del numero di interventi che si prevede la norma possa generare per l'Iva e Irpef/Ires/Irap», spiega la relazione. L'esecutivo ricorda che l'introduzione di tale tax expenditure nel periodo 1998-2006 ha generato un incremento annuo degli investimenti in ristrutturazioni stimabile in circa 1.150 milioni di euro.
Riqualificazione energetica. Attraverso una novella al testo dell'articolo 1, comma 48, della legge n. 220/2010, viene ammessa anche nel periodo 01.01.2013-30.06.2013 una detrazione d'imposta per le spese per interventi di riqualificazione energetica degli edifici.
La misura dell'aiuto sarà pari al del 50% dei costi sostenuti. Fino al 31.12.2012, tuttavia, resterà valida la detrazione Irpef attualmente in vigore e pari al 55%. Si ricorda che, come già sottolineato dalla relazione tecnica al dl n. 201/2011, lo sconto fiscale concesso dallo stato a chi effettua interventi di risparmio energetico pesa nel complesso per circa 1,1 miliardi di euro all'anno (articolo ItaliaOggi Sette del 18.06.2012).

aggiornamento al 18.06.2012

EDILIZIA PRIVATADECRETO CRESCITA/ L'esecutivo ha allargato la detrazione per lavori entro il 30/06/2013.
Ristrutturazione con tetto ampio. Sconto del 50% su spese fino a 96 mila euro. Ma a tempo.
Detrazione del 50% su un ammontare raddoppiato delle spese per il recupero del patrimonio edilizio (da 48 mila a 96 mila euro), ma a tempo (fino al 30/06/2013).
Questo ciò che emerge dal tenore letterale dell'articolo 11, dello schema di decreto crescita, come approvato dal consiglio dei ministri (si veda ItaliaOggi dell'08 e 15.06.2012).
Le disposizioni sono da considerare fuori sistema in quanto, per espressa previsione normativa, le stesse non modificano i contenuti dell'articolo 16-bis, dpr 917/1986 (Tuir) che ha messo a regime il bonus del 36% (e dal 2013 quello del 55% che sarà assorbito dal 36%), ma intervengono in modo straordinario sulla detrazione, innalzandola al 50% e fissando un tetto maggiore (96 mila euro).
Infatti, la conseguenza è che, fatti salvi altri interventi su tali disposizioni, il 36% non sparirà dall'01.07.2013, ma tornerà a regime con la soglia delle spese fissata a 48 mila euro e con la percentuale di detrazione al 36%, mentre dalla data di entrata in vigore del decreto legge in commento fino alla data del 30.06.2013, il bonus sarà determinato applicando la percentuale del 50% all'ammontare raddoppiato e pari a 96 mila delle spese sostenute per ogni unità immobiliare.
Inoltre, per il semplice fatto che la detrazione per la riqualificazione energetica degli edifici, fissata attualmente nella misura del 55%, a partire dall'01.01.2013 sarà assorbita da quella sulla ristrutturazione edilizia, la percentuale scende a regime al 36% da calcolarsi su un tetto di spesa di euro 48 mila, con il contemporaneo innalzamento al 50% e su un ammontare di 96 mila a partire dall'inizio del prossimo anno e sino al 30.06.2013.
La detrazione, inoltre, si rende applicabile anche alle spese destinate agli interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scalda acqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria.
In pratica, il contribuente che vorrà beneficiare della detrazione maggiorata dovrà velocizzare i tempi per l'ottenimento delle autorizzazioni, se necessarie e se si tratta di un nuovo intervento, procedendo altrettanto celermente a disporre i bonifici, in modo tale da eseguire i pagamenti nell'intervallo indicato, compreso tra la data di emanazione del decreto legge in commento e il 30.06.2013.
Pertanto, i contribuenti, stante la soppressione dell'obbligo di preventiva comunicazione al Centro operativo di Pescara (Agenzia delle entrate, circolare 19/E/2012 § 1), dovranno ottenere e tenere a disposizione, se necessario, il titolo autorizzativo all'esecuzione dei lavori (concessione, autorizzazione o comunicazione inizio lavori), eseguire i lavori nel rispetto del tetto complessivo di euro 96 mila con acquisizione delle relative fatture dei prestatori al momento del pagamento (art. 6, dpr n. 633/1972) nel periodo in cui vale l'innalzamento del tetto, eseguendo i relativi bonifici dai quali risultino, in modo inequivocabile, la causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione e il numero di partita Iva o il codice fiscale del soggetto cui il bonifico è destinato (Agenzia delle entrate, risoluzione n. 55/E/2012).
Sul punto è utile evidenziare, inoltre, che il comma 3 dell'articolo 11 in commento ha abrogato il tetto «complessivo» per unità immobiliare, con la conseguenza che a decorrere dall'01/01/2012, in presenza di lavori che proseguono in più periodi d'imposta sulla medesima unità e fatto salvo che si tratti di un nuovo intervento, si potrà replicare il bonus fino alla concorrenza di 48 mila euro a regime, di cui all'art. 16-bis del Tuir, per ogni annualità.
Al contrario e stante il tenore letterale delle disposizioni in commento, tale situazione non può essere confermata per quanto riguarda le spese sostenute (pagate) nel periodo tra la data di entrata in vigore del decreto e il 30/06/2013 giacché il legislatore ha disposto che la detrazione del 50% spetta «_ fino a un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 96 mila euro per unità immobiliare_»; di conseguenza, salve diverse precisazioni, si ritiene che nell'intervallo indicato il massimo bonus ottenibile è pari a euro 48 mila euro (50% di 96 mila), da spalmare in dieci annualità (4.800 euro per anno), sia che l'ammontare sia sostenuto in due esercizi distinti o tutto in un solo esercizio.
Si ponga, per esempio, che il contribuente dopo l'entrata in vigore del decreto e nel corso del 2012, sostenga 50 mila euro di spese e ne sostenga altrettante nel corso del 2013, sino al 30 giugno: con Unico PF 2013, potrà iniziare a dedurre la prima quota di dieci, pari a euro 2.500 (50.000 x 50% = 25.000 : 10) e con la dichiarazione dell'anno successivo la prima quota pari a euro 2.300 (46.000 x 50% = 23.000 : 10), per un bonus complessivo, a fine del decennio, pari a euro 48 mila (articolo ItaliaOggi del 16.06.2012).

ENTI LOCALIENTI LOCALI/ In G.U. l'avviso per le candidature. Revisori, ora si parte. Domande al Viminale entro il 15/7.
Al via l'elenco dei revisori degli enti locali. L'avviso per presentare le domande di inserimento nella lista degli aspiranti controllori dei bilanci è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (serie speciale) di ieri n. 138/2012. E con la pubblicazione in G.U. parte ufficialmente il timing di 30 giorni per l'invio delle candidature al ministero dell'interno. Ci sarà dunque tempo fino al 15 luglio per trasmettere le domande al dipartimento finanza locale del Viminale.
L'invio dovrà avvenire esclusivamente per via telematica attraverso una procedura messa a disposizione degli utenti a tempo di record già dalla giornata di ieri. Sul sito www.finanzalocale.interno.it i revisori troveranno la procedura di iscrizione cliccando sul link «elenco revisori enti locali». Qui, utilizzando come identificativo il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, dopo aver seguito tutti gli step di registrazione, riceveranno una password con cui accedere alla propria domanda.
Sul sito della direzione guidata da Giancarlo Verde i revisori possono anche trovare un utile elenco di Faq per fugare i dubbi più ricorrenti. Tra questi c'è sicuramente la precisazione, ribadita anche dal Viminale, che iscriversi all'albo non è essenziale per le cariche in atto, ma se si vuole partecipare ai sorteggi per altre cariche future è necessario iscriversi.
Quanto ai requisiti di formazione, si precisa che potranno essere inseriti solo corsi sostenuti nel triennio 2009-2011. Il ministero ha predisposto un servizio assistenza attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 8,00 alle ore 16,00. Le informazioni di natura amministrativa potranno essere richieste a supporto.revisori@interno.it (articolo ItaliaOggi del 16.06.2012).

PUBBLICO IMPIEGOOSSERVATORIO VIMINALE/ Permessi di studio doc. Serve il certificato d'iscrizione all'università. La dichiarazione sostitutiva utile solo per i titoli e gli esami sostenuti.
Un dipendente comunale, per ottenere la concessione dei permessi studio, deve produrre obbligatoriamente il certificato di iscrizione all'università, se il comune presso cui presta servizio ha ritenuto non idonea la dichiarazione sostitutiva di tale certificazione?

L'art. 15 del Ccnl 14/09/2000 prevede una particolare e dettagliata disciplina del diritto allo studio.
In particolare, il comma 2 dispone che i permessi straordinari retribuiti, nella misura massima di 150 ore annue di cui al comma 1 del medesimo articolo, sono concessi per la partecipazione a corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari, post-universitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale ecc., e per sostenere i relativi esami. Il successivo comma 7 disciplina, altresì, le condizioni per la concessione dei predetti permessi.
Invero, ai sensi di detto comma i dipendenti interessati debbono presentare, prima dell'inizio dei corsi, il certificato di iscrizione e quello degli esami sostenuti e, al termine degli stessi, l'attestato di partecipazione e quello degli esami sostenuti, anche se con esito negativo. In mancanza di dette certificazioni, ai sensi del medesimo comma 7, i permessi già utilizzati vengono considerati come aspettative per motivi personali. Dal tenore letterale della richiamata normativa si evince che condizione necessaria per essere ammessi al beneficio dei permessi per studio è quella di presentare in primis il certificato di iscrizione.
Conseguentemente, non sembra possibile produrre la certificazione sostitutiva dello stesso. Peraltro, il dpr 445/2000, come modificato da ultimo dalla legge 12/11/2011 n. 183, all'art. 46, nel disciplinare le ipotesi per le quali è possibile ricorrere alle dichiarazioni sostitutive delle certificazioni, prevede alla lettera m) solamente il titolo di studio e gli esami sostenuti (articolo ItaliaOggi del 15.06.2012).

PUBBLICO IMPIEGOOSSERVATORIO VIMINALE/ Modifiche al profilo.
Il personale con il profilo di educatore di asilo nido, al quale è stato modificato il profilo professionale in istruttore amministrativo, ha diritto alla corresponsione dell'indennità di cui all'art. 37, comma 1, lett. c), del Ccnl 06/07/1995 e dell'indennità di cui all'art. 31, comma 7, del Ccnl 14/09/2000?

L'art. 52 del dlgs 165/2001 prevede che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento. Analoga previsione è contenuta nell'art. 3 del Ccnl 31/03/1999. L'assegnazione a nuove mansioni equivalenti, che secondo l'interpretazione giurisprudenziale devono salvaguardare la professionalità del dipendente, non può comportare una diminuzione del livello di retribuzione che le mansioni in precedenza svolte garantivano al lavoratore. In particolare devono essere mantenuti quei compensi che sono collegati a particolari capacità professionali del dipendente, come avviene nel caso in cui allo stesso vengano riconosciute determinate indennità professionali.
Conseguentemente, poiché al personale educativo degli asili nido il citato art. 37, comma 1, riconosce una indennità professionale, la stessa può essere mantenuta anche nel caso di mutamento di profilo, tenuto conto che il cambiamento di mansioni è avvenuto, nel caso in esame, nell'ambito della stessa categoria di appartenenza.
Non sembra, invece, possibile corrispondere l'indennità prevista dal richiamato art. 31, comma 7, del Ccnl 14/09/2000, in quanto detto compenso non si riconnette alla professionalità, essendo riferito espressamente alla durata del calendario scolastico, e quindi alle modalità temporali e all'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa presso l'asilo nido (articolo ItaliaOggi del 15.06.2012).

ENTI LOCALI: Mini-enti, matrimoni senza strappi. Fusioni gestionali optional. Accanto a unioni e convenzioni.  Le novità del prossimo dl sull'associazionismo che darà anche il via alle città metropolitane.
Unioni facoltative nei comuni fino a 1.000 abitanti e via libera dopo oltre 20 anni di attesa all'istituzione delle città metropolitane. La strada verso l'esercizio associato di tutte le funzioni e i servizi pubblici tracciata dall'art.16 della manovra di Ferragosto 2011 (che secondo molti avrebbe realizzato una fusione di fatto dei piccoli centri) diventa meno vincolante. La micro-unione infatti sarà solo un'opzione per gli enti fino a 1.000 abitanti. Un'opzione che si affianca alle altre forme associative previste dal Testo unico enti locali, ossia la convenzione e l'unione, per così dire, «tradizionale» nella quale i comuni si mettono insieme mantenendo la propria individualità gestionale.
I nuovi enti dovranno avere almeno 5.000 abitanti (3.000 nelle zone montane) ma le regioni potranno stabilire limiti demografici diversi, anche inferiori. Per i comuni tra 1.000 e 5.000 abitanti l'obbligo di esercizio delle funzioni in forma associata, che sarebbe dovuto scattare dal prossimo 30 settembre per almeno due funzioni su sei, slitterà ancora. Gli enti dovranno svolgerne insieme tre entro il 01.01.2013 e altre tre entro il 01.01.2014.

Sono queste le principali novità del decreto legge sull'associazionismo comunale che il governo porterà nei prossimi giorni sul tavolo del consiglio dei ministri.
L'esecutivo ha preso un impegno preciso con l'Anci in tal senso (si veda a fianco l'intervista al presidente Graziano Delrio) nell'incontro di lunedì a palazzo Chigi. L'utilizzo della decretazione d'urgenza, del resto, è imposto dalla necessità di far presto. Lo slittamento di nove mesi della marcia forzata verso l'associazionismo (disposto dal decreto milleproroghe) sta infatti per esaurirsi a fine settembre e i piccoli comuni necessitano subito di un quadro normativo chiaro.
Tale non può essere certamente considerato quello attuale in cui le regole del dl 138/2011 si sovrappongono a quelle (art. 14, commi 25-31) del dl 78/2010 generando confusione. Per questo il governo Monti ha abbandonato l'idea di disciplinare la materia all'interno della Carta delle autonomie ferma da anni al senato e con scarse chance di approvazione in tempi brevi.
Le nuove norme sui piccoli comuni (inserite come emendamenti alla Carta dai relatori Enzo Bianco e Andrea Pastore) sono state stralciate assieme a quelle sulle città metropolitane. Confluiranno tutte nel decreto legge «di rapidissima emanazione» che consentirà il varo dei nuovi 10 macro-enti (Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Torino, Reggio Calabria, Roma e Venezia) che porteranno alla scomparsa delle rispettive province. In attesa che il decreto prenda forma, le novità in arrivo non dispiacciono agli operatori.
«E' una soluzione ragionevole che supera una situazione di impasse. Viene stabilita una disciplina delle unioni uniforme e rispettosa dell'autonomia degli enti», ha commentato a ItaliaOggi Maurizio Delfino, esperto di finanza locale e consulente di molti piccoli comuni (articolo ItaliaOggi del 13.06.2012).

ENTI LOCALI - URBANISTICA - VARIIMU FACILE/ Le amministrazioni comunali devono informare il contribuente dei cambi di destinazione. Aree edificabili, conta il mercato. Il pagamento dell'imposta avviene in base al valore venale.
Le aree edificabili sono soggette al pagamento dell'Imu in base al loro valore di mercato. I contribuenti, però, devono essere informati delle variazioni apportate agli strumenti urbanistici. Spetta infatti alle amministrazioni comunali comunicare agli interessati i cambi di destinazione dei beni da terreni ad aree edificabili. La mancata comunicazione impedisce che l'amministrazione possa applicare sanzioni e interessi al contribuente per omesso pagamento del tributo.
Per pagare l'Imu su un'area edificabile occorre stabilire il suo valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell'anno di imposizione, vale a dire il suo valore di mercato. In sede di acconto, entro il 18 giugno, deve essere pagato il 50% del tributo che va calcolato applicando l'aliquota del 7,6 per mille. A saldo, invece, dovrà essere versata l'imposta dovuta per l'intero anno prendendo a base l'aliquota deliberata dal comune.
L'articolo 5 del decreto legislativo 504/1992 fissa dei criteri ai quali è necessario fare riferimento per determinare la base imponibile. In particolare: zona territoriale di ubicazione dell'area, indice di edificabilità, destinazione d'uso consentita e oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione. Vanno presi in considerazione, inoltre, anche i prezzi medi rilevati sul mercato di aree aventi le stesse caratteristiche. I valori possono essere deliberati anche dalla giunta, sulla base di una perizia redatta dall'ufficio tecnico. Questi valori sono meramente indicativi.
Come per l'Ici, per la qualificazione delle aree è necessario fare riferimento al piano regolatore generale. In base all'articolo 2 del decreto legislativo 504/1992, disposizione che viene espressamente richiamata dall'articolo 13 del dl Monti (201/2011), per area fabbricabile si intende quella utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi oppure in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti delle indennità di espropriazione per pubblica utilità.
Nelle ipotesi di edificazione di un fabbricato, la base imponibile è data dal valore dell'area (non viene computato il valore del fabbricato in corso d'opera) dalla data di inizio dei lavori di costruzione fino a quella di ultimazione, oppure fino al momento in cui il fabbricato è comunque utilizzato, se questo momento è antecedente a quello di ultimazione. Durante il periodo di effettiva utilizzazione edificatoria, anche per demolizione o esecuzione di lavori di recupero edilizio, il suolo va considerato area fabbricabile, anche nel caso in cui questa natura non sia riconosciuta dagli strumenti urbanistici.
L'Imu è dovuta se l'area è inserita in un piano regolatore generale adottato dal consiglio comunale, ma non approvato dalla regione. L'articolo 36, comma 2 del decreto-legge legge 223/2006 ha chiarito che un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico deliberato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi. Quindi, un'area è edificabile quando è inserita nel piano regolatore generale ed è soggetta all'imposta a prescindere dalla successiva lottizzazione del suolo.
Naturalmente, se per la caratteristica dell'edificabilità è sufficiente che essa risulti da un piano regolatore generale, la potenzialità di edificazione è maggiore quando l'area è ricompresa in un piano particolareggiato e ciò ha effetti nella determinazione del valore dell'area e della quantificazione della base imponibile. La potenzialità del suolo tanto più è attenuata quanto maggiori sono le incertezze sull'effettiva possibilità di poterlo utilizzare a scopo edificatorio.
Nonostante la questione sia dibattuta, sono soggette al tributo le aree vincolate destinate a essere espropriate. Anche se i limiti incidono sul valore del bene. Secondo la Cassazione (ordinanza 16562/2011), la qualifica di area fabbricabile non può ritenersi esclusa se esistono particolari limiti che condizionano le possibilità di edificazione del suolo. Anzi, i limiti imposti a un terreno presuppongono la sua vocazione edificatoria.
Il contribuente va informato delle variazioni apportate agli strumenti urbanistici. In caso contrario, il tributo sull'area è comunque dovuto, ma non possono essere chiesti sanzioni e interessi (articolo ItaliaOggi del 13.06.2012).

APPALTI SERVIZI: Dopo la pioggia di deroghe arriva l'ingorgo.
QUADRO CONFUSO/ Entro fine anno vanno attuate le dismissioni nei Comuni fino a 50mila abitanti e l'apertura al mercato ma manca il regolamento.

L'ultimo piccolo colpo al faticoso processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali è arrivato con il decreto sviluppo, che trasforma in silenzio-assenso il parere obbligatorio che l'Antitrust dovrebbe dare sulle delibere-quadro con cui i Comuni devono indicare i settori in cui non è possibile il ricorso al mercato.
A bloccare l'intero meccanismo, comunque, finora è stato l'incrocio fra un calendario ambizioso e un ritardo cronico nell'applicazione delle misure previste dalle varie manovre. Gli enti locali, per esempio, dovrebbero individuare entro metà agosto gli ambiti territoriali ottimali in cui suddividere i servizi a rete (dai trasporti all'idrico), ma ad oggi manca ancora il decreto attuativo principale, cioè quello che dovrebbe dire alle amministrazioni locali come si fa la delibera quadro chiamata a individuare quali servizi affidare al mercato e in quali mantenere diritti di esclusiva.
Anche ipotizzando che gli enti locali e gli enti affidanti per i servizi di rete riescano a rispettare il termine del 13 agosto, e anche nel caso in cui la novità del silenzio-assenso dovesse essere approvata, l'adozione della delibera difficilmente potrà avvenire prima della fine di novembre.
Da quella data al 31 dicembre, gli enti locali dovrebbero quindi avviare i percorsi per i nuovi affidamenti dei servizi pubblici locali prima gestiti da società in house (se incoerenti con i parametri comunitari e, soprattutto, se di valore annuo superiore ai 200mila euro), scegliendo tra la gara a spettro ampio e la costituzione di società mista, con individuazione tramite gara del socio privato a cui affidare anche compiti operativi.
L'avvio delle procedure richiede un passaggio in consiglio comunale (per la definizione del modello organizzativo), ma costituisce anche il presupposto essenziale per permettere a una società interamente partecipata dall'ente locale di prendere parte alla gara per il servizio sino ad oggi gestito.
In questa fase è inoltre necessario che sia dettagliatamente analizzata la situazione delle reti e delle dotazioni infrastrutturali, passo essenziale per avviare le gare.
Sempre entro fine anno, i Comuni fino a 30mila abitanti, poi, devono decidere se dismettere le loro partecipazioni o sfruttare una delle deroghe previste per le aziende che vantano bilanci in utile o riescono ad aggregarsi. La stessa Corte segnala che più del 60% delle partecipazioni sono in mano a Comuni medio-piccoli, a conferma del l'enormità del processo che dovrebbe partire.
La possibilità di evitare le dismissioni, come accennato, è legata allo stato di salute dei bilanci o alle possibilità di aggregazione per superare la soglia dei 30mila abitanti serviti. Potrebbero quindi realizzarsi situazioni nelle quali una società di un Comune con popolazione inferiore, ma con bilanci in pareggio anziché in utile, debba essere assoggettata alla liquidazione da parte dell'ente socio. Per il servizio pubblico gestito non vi sarebbe altra via che quella della gara tra operatori, essendo inibita al Comune la possibilità di costituire (almeno da solo) società.
Ad accrescere ulteriormente il processo c'è la situazione dei Comuni compresi tra i 30mila e i 50mila abitanti, che devono ridurre le loro partecipazioni societarie ad una sola. Il termine entro cui arrivare a questa condizione, in realtà, secondo il dato legislativo sarebbe già scaduto (il 31.12.2011), ma alcune interpretazioni di sezioni regionali della Corte dei conti lo hanno collegato al termine dell'adempimento principale (la dismissione per i Comuni di minori dimensioni), quindi alla fine del 2012 (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.06.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI FORNITUREAcquisti della Pa: c'è per tutti l'obbligo di passare da Consip. Su spese di Asl, comuni e ministeri cresce l'utilizzo della centrale statale.
Shopping obbligato allo sportello Consip per Ministeri, Asl e Comuni. Il decreto sulla spending review, approvato in prima lettura il giovedì scorso dal Senato, prova a «forzare» le abitudini di acquisto di beni e servizi per migliaia di enti pubblici con l'obiettivo di tagliare in fretta tempi e costi.
Tutto ruota intorno alla Consip: la centrale acquisti del ministero dell'Economia, una sorta di E-bay della pubblica amministrazione, diventa l'unica via per gli acquisti di beni e servizi dei ministeri. Anche Asl e ospedali non avranno scelta: se non trovano un bene nelle convenzioni delle centrali acquisti regionali non possono più cercarlo sul mercato, ma devono rivolgersi alla Consip. E infine, tutte le amministrazioni pubbliche (Comuni compresi) devono pescare dal catalogo centralizzato per i loro piccoli acquisti sotto la soglia comunitaria (130mila per le amministrazioni statali, 200mila per quelle locali).
Insomma niente più scuse: la spesa della Pa si sposta in gran parte verso il «maxisupermercato» Consip, non più con forme di persuasione volontaria, ma con un obbligo di legge. Del resto, con il «metodo Consip» (si veda la scheda a lato) il risparmio sui prezzi ottenibile è in media del 19 per cento. Un taglio notevole su un mercato delle forniture pubbliche che nel 2011 valeva 136 miliardi totali, di cui però solo 29 transitati attraverso la Consip (si veda il Sole 24 ore del 03.05.2012). L'ultima correzione al decreto (varata con un emendamento del Pd) va proprio nel senso indicato dal Governo di allargare il raggio d'azione della centrale nazionale, passando in breve dai 29 miliardi ad almeno 39 e ottenendo così un risparmio stimato di almeno due miliardi.
Ma quanto tempo ci vorrà prima che il nuovo meccanismo entri a regime? Gli obblighi scatteranno dall'entrata in vigore della legge di conversione del Dl 52, che ora deve essere confermata dalla Camera. In ogni caso al massimo entro il 7 luglio, pena la decadenza di tutto il decreto. Di fatto la Consip è pronta: sono già 65 le convenzioni attive che coprono praticamente tutte le esigenze di forniture. Qualche sforzo in più potrebbe essere necessario per implementare i prodotti destinati alla sanità, finora poco richiesti. Mentre il mercato elettronico (Mepa) oggi è già esteso a circa 3.500 fornitori per un catalogo di 1,3 milioni di articoli.
È difficile, invece, ipotizzare con le nuove convenzioni una ulteriore diminuzione del prezzo unitario dei beni (che già oggi tocca punte del 70%, sulle stampanti ad esempio, come documentato dal Sole 24 ore del 7 maggio). Le convenzioni hanno ormai raggiunto una massa critica sul mercato. In più già oggi il 50% delle richieste di acquisto arriva da amministrazioni non obbligate.
Il vero risparmio sarà per quegli acquirenti finora poco propensi a rifornirsi da Consip. Ma il problema saranno i controlli. Certo il decreto abbassa da 150mila euro a 50mila la soglia per segnalare gli appalti all'Autorità di vigilanza e permette verifiche anche sulle piccole forniture. Ma il Dl ribadisce anche che la stessa Authority deve rendere pubbliche le informazioni sulle amministrazioni aggiudicatrici, l'operatore economico aggiudicatario e sulla fornitura. Insomma, i primi controllori saranno i contribuenti che quando l'Autorità offrirà le informazioni potranno finalmente sapere come il proprio Comune o la propria Asl investe i soldi pubblici.
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Il perimetro
I SOGGETTI OBBLIGATI
01 | MINISTERI E AMMINISTRAZIONI STATALI PERIFERICHE (ESCLUSE SCUOLE)
Le amministrazioni statali e le loro organizzazioni periferiche dovranno rivolgersi alle convenzioni Consip per ogni acquisto di beni e servizi, a condizione che esista una convenzione attiva per quel bene. Solo se la convenzione è esaurita potranno acquistare sul libero mercato. Oggi invece sono solo otto le categorie merceologiche per le quali la Consip è la strada obbligata. Vengono individuate con un decreto annuale, che da domani però, è cancellato
02 | ASL E OSPEDALI
Oggi sono obbligati in prima battuta a cercare di approvvigionarsi tramite le centrali di acquisto regionali e, in mancanza del prodotto richiesto, possono bandire una propria gara. Con la nuova versione del Dl spending review, non potranno più fare da soli: dovranno, in seconda battuta, rifornirsi dalla Consip
03 | TUTTE LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE STATALI E TERRITORIALI
Per le piccole forniture sotto le soglie europee dei 200mila euro (per le amministrazioni statali) o i 133mila euro (per quelle locali) tutti gli enti pubblici saranno obbligati a rivolgersi al Mepa (mercato elettronico della pubblica amministrazione) o altri mercati elettronici esistenti in futuro.
GLI STRUMENTI
01 | LE CONVENZIONI
Sono contratti quadro stipulati da Consip con i quali il fornitore vincitore di una gara si impegna ad accettare richieste di beni da parte delle singole amministrazioni, fino a un tetto fissato dalla convenzione stessa. Oltre al risparmio di prezzo dovuto all'acquisto in grandi stock, le amministrazioni tagliano sui costi e i tempi di gestione della gara.
02 | MERCATO ELETTRONICO
Il Mepa (mercato elettronico della pubblica amministrazione) è lo strumento di Consip, pensato per i piccoli ordinativi, sotto la soglia comunitaria di 133mila euro (enti locali) o 200mila euro (Stato). Sulla piattaforma elettronica (www.acquistiinretepa.it) è disponibile un catalogo di 1,3 milioni di articoli. Gli enti registrati possono consultare i cataloghi delle offerte ed emettere direttamente ordini d'acquisto o richieste d'offerta
03 | ACCORDO QUADRO
Consip conclude accordi quadro a cui le amministrazioni possono ricorrere per beni e servizi. Nell'accordo Consip stabilisce condizioni base (prezzi, qualità, quantità) dei successivi appalti (specifici) che saranno aggiudicati dalle singole amministrazioni durante un dato periodo. I parametri prezzo-qualità Consip valgono da benchmarking per le amministrazioni (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.06.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento all'11.06.2012

ENTI LOCALIEnti, ecco i soldi per le visite fiscali. Fondo di 70 mln ripartito in base al numero degli accertamenti. Decreto Viminale con i criteri per assegnare le risorse. Per il 2010 conterà anche il numero di abitanti.
In arrivo i contributi per le visite fiscali degli enti locali. Il fondo di 70 milioni di euro l'anno, che il ministero dell'economia e delle finanze eroga complessivamente a regioni, province, comuni, comunità montane e unioni di comuni per finanziare i costi delle visite fiscali ai dipendenti, dovrà essere attribuito agli enti locali in proporzione al numero degli accertamenti medico-legali sui lavoratori assenti per malattia. Per assegnare le spettanze a cui le singole amministrazioni hanno diritto per il 2011 e 2012 (il sistema andrà a regime nel 2013) il Mef farà riferimento agli ultimi dati disponibili sulle visite fiscali forniti dalla Ragioneria generale dello stato.
È questo l'accordo raggiunto tra governo ed enti locali in Conferenza stato-città sul decreto del ministero dell'interno (di concerto con il Mef) attuativo della manovra di luglio 2011 (dl 98).
Il provvedimento si è reso necessario perché il dl 98 non specificava le modalità di ripartizione (all'interno del comparto enti locali) del fondo da destinare alla copertura finanziaria delle visite fiscali.
In Stato-città Anci e Upi hanno espresso parere favorevole sul testo, ma l'Associazione dei comuni, nella seduta del 22 maggio, ha posto una condizione al governo, impegnandolo ad individuare per il 2010 (anno di prima erogazione del contributo) un criterio di calcolo alternativo per gli enti che non abbiano compilato il conto annuale.
La previsione che il riparto dei fondi venga effettuato sulla base del numero di visite fiscali desumibile dalla relazione allegata al conto annuale potrebbe infatti penalizzare gli enti che non lo hanno compilato. Per questo, in Conferenza stato-città il presidente dell'Anci, Graziano Delrio, ha raccomandato al governo di tenere conto di parametri diversi. Solo per il 2010, l'Anci ha chiesto che i fondi vengano assegnati prendendo in considerazione il numero di abitanti del comune e il valore medio delle visite fiscali effettuate nel territorio di riferimento in modo da erogare a tali enti un rimborso forfettario medio.
Secondo l'Anci, questo criterio ulteriore si rende necessario in quanto, si legge nella nota depositata in conferenza stato-città, «l'art. 17, comma 5, del dl 98/2011 non àncora l'erogazione del contributo alla compilazione del conto annuale e dunque, in assenza di un'espressa previsione normativa, la mancata compilazione del conto non può diventare una causa ostativa all'erogazione del contributo».
Come detto, l'ammontare del fondo è di 70 milioni l'anno per il biennio 2011-2012 e poi a regime dal 2013. Per il 2011-2012 il governo troverà le risorse per coprire i costi delle visite fiscali dalle disponibilità finanziarie non utilizzate dal Servizio sanitario nazionale. Dal 2013 la legge di bilancio conterrà ogni anno una dotazione non inferiore a 70 milioni di euro (articolo ItaliaOggi del 09.06.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

SICUREZZA LAVOROIl ministero sulla sicurezza nei cantieri edili. Formazione agli enti doc.
Organismi paritetici doc per la formazione dei lavoratori edili sulla sicurezza lavoro. Ossia, gli enti bilaterali emanati dalle parti sociali con maggiore rappresentatività in termini comparativi che hanno sottoscritto i ccnl dei settori industria, artigianato, cooperazione e industria pmi.
Lo stabilisce il Ministero del Lavoro nella circolare 06.06.2012 n. 13/2012, con cui individua le associazioni sindacali e di categoria corrispondenti al predetto requisito e, dunque, abilitate all'emanazione degli organismi paritetici.
Il ministero risponde alle richieste di chiarimento del personale ispettivo, circa le problematiche della formazione dei lavoratori nel settore edile e, specificatamente, in merito al coinvolgimento nell'attività formativa degli «organismi paritetici», previsti dall'articolo 2, lettera ee), del dlgs n. 81/2008 (T.u. sicurezza). In particolare, è stato chiesto di conoscere quali organismi del settore siano da ritenersi costituiti da «una o più associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale». Circostanza questa, spiega il ministero, essenziale in quanto possono definirsi tali solo gli enti bilaterali emanazione delle parti sociali dotate del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi, e non tutti gli organismi genericamente frutto di qualsivoglia contrattazione collettiva in ambito edile.
Per ora, precisa dunque il ministero, nel settore dell'edilizia, i contratti collettivi nazionali (ccnl) sottoscritti dalla organizzazioni sindacati e datoriali comparativamente più rappresentative sempre a livello nazionale sono: industria (Ance; Feneal-Uil; Filca-Cisl; Fillea-Cgil); artigianato (Anaepa; Cna-costruzioni; Fiae-Casartigiani; Claai; Feneal-Uil; Filca-Cisl; Fillea-Cgil); Cooperazione (Ancpl-Legacoop; Federlavoro e servizi-Confcooperative; Pls Agci; Feneal-Uil; Filca-Cisl; Fillea-Cgil); Piccola e media industria (Anieme; Feneal-Uil; Filca-Cisl; Fillea-Cgil).
In conclusione, il ministero precisa che soltanto gli organismi bilaterali costituiti a iniziativa di una o di più associazioni dei datori di lavoro o dei prestatori di lavoro firmatarie dei predetti contratti (sigle in parentesi) possono definirsi «organismi paritetici» ai sensi del T.u. sicurezza e, pertanto, legittimati a svolgere l'attività di formazione, in collaborazione con i datori di lavoro, come previsto sempre dal T.u. sicurezza (articolo 37) (articolo ItaliaOggi del 09.06.2012).

EDILIZIA PRIVATAIL DECRETO INFRASTRUTTURE/ Ristrutturazioni, allargato il 36%. Il tetto è annuale: non si cumulano le spese già sostenute. Provvedimento in dirittura: ecco le novità tributarie.
A decorrere dall'01.01.2012, per la detrazione del 36% per le ristrutturazioni il limite massimo delle spese ammesse deve essere considerato per periodo d'imposta, senza tenere conto dall'ammontare delle spese sostenute negli anni precedenti.
La bozza di decreto «infrastrutture», al vaglio di uno dei prossimi consigli dei ministri, si aggiunge all'innalzamento provvisorio del tetto di spesa (da 48 mila a 96 mila euro) e alla percentuale di detrazione (dal 36% al 50%).
Innanzitutto, la modifica dispone che per le spese documentate sostenute dalla data di entrata in vigore del provvedimento in commento fino al 30 giugno del prossimo anno (2013), relativamente a tutti gli interventi elencati nel nuovo art. 16-bis, dpr n. 917/1986 (Tuir), il contribuente potrà tenere conto della soglia di spesa massima di 96 mila euro, in luogo di quella prevista a regime (48 mila) per singola unità immobiliare, beneficiando di una detrazione del 50% in luogo di quella del 36%. Stante il fatto che dal 1° gennaio prossimo anche il bonus sul risparmio energetico viene ricondotto nell'ambito della detrazione sulle ristrutturazioni, in luogo di un abbattimento dal 55% al 36%, fino alla metà del medesimo anno (30/06/2013) la detrazione su tali spese sarà possibile nella nuova misura (50%).
La detrazione in commento, ai sensi del comma 48, dell'art. 1, della legge n. 220/2010 si applica anche alle spese per interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria, con ripartizione della stessa in dieci quote annuali di pari importo; il decreto in commento, con una modifica al comma appena indicato, rende applicabile, fermo restando i tetti di spesa fissati, la detrazione nella misura del 50%, limitatamente alle spese di questo genere sostenute dall'01/01/2013 fino al 30 giugno del medesimo anno.
Inoltre, l'ultimo comma sopprime il comma 4, dell'art. 4 della legge n. 201/2011 che disponeva sulla soglia di spese su cui calcolare il bonus 36%, in presenza di una «mera prosecuzione» di interventi iniziati in anni precedenti; detta disposizione non permetteva, in tal caso, di andare oltre il tetto di 48 mila per i lavori relativi alla medesima unità anche se realizzati (e sostenuti) in periodi d'imposta diversi (per esempio, 2010 euro 40 mila, 2011 euro 10 mila, massima detrazione ottenibile per entrambi i periodi sarà pari al 36% su 48.000 per un ammontare di euro 17.280).
Come detto, infatti, il limite di spesa di 48 mila euro è fissato per ogni intervento sulla stessa abitazione, pertinenze incluse, e il limite è annuale e per immobile e per tipo di intervento (anche se pluriennale). Tale limite non è presente, però, se un contribuente è in possesso di più abitazioni in quanto, allo stato attuale, le spese agevolate sono di 48 mila euro per ciascuna unità (legge 266/2005) e, stante il fatto che il limite deve essere riferito all'abitazione, se l'unità risulta cointestata e le spese per ristrutturazione sono sostenute da tutti i cointestatari, il limite (48 mila euro) deve essere suddiviso tra i contribuenti proprietari.
Nel caso in cui, invece, per l'intervento di ristrutturazione si renda necessario l'ottenimento di una nuova e ulteriore autorizzazione, magari per interventi diversi da quelli già eseguiti, si configura la presenza di un «nuovo» intervento edilizio, con la conseguenza che il contribuente potrà utilizzare un nuovo e intero limite di spesa per l'ammontare attuale pari a 48 mila euro; si è in presenza di un nuovo intervento, come chiarito anche dall'Agenzia delle entrate (circolare n. 13/E/2001), anche nel caso in cui non sia necessario chiedere una specifica autorizzazione.
Con la novella inserita nel provvedimento in commento, pertanto, si prevede l'abrogazione di tale comma, a decorrere dal 1° gennaio scorso (2012), con l'inevitabile possibilità per il contribuente di sostenere, per ogni periodo d'imposta, un limite di spesa «autonomo» nei limiti previsti (48 mila o 96 mila) dalle disposizioni vigenti.
Sul tema si ricorda che, in relazione «_ al computo del limite massimo di spesa, le spese riferibili ai lavori sulle parti in comune dell'edificio, essendo oggetto di un'autonoma previsione legislativa, debbono essere considerate in modo autonomo _» (Agenzia delle entrate, risoluzione 19/E/2008), mentre l'attuale limite dei 48 mila euro, come detto, deve essere considerato con riferimento all'abitazione e alle relative pertinenze (Agenzia delle entrate, risoluzioni n. 124/E/2007 e n. 181/E/2008) (articolo ItaliaOggi dell'08.06.2012).

PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Per i dipendenti p.a. stipendio pieno. La neve scusa i lavoratori. L'assenza è giustificata, ma l'azienda non paga. I chiarimenti del ministero del lavoro.
La «neve» grazia gli impiegati pubblici. Quale causa di mancata prestazione lavorativa, infatti, giustifica in pieno i dipendenti statali, che per il giorno in cui saltano il lavoro (come è successo per cinque giorni a febbraio, nel Lazio), conservano comunque il diritto alla retribuzione. Nel settore privato, invece, la neve giustifica sia i lavoratori (per l'assenza sul lavoro) che le imprese (per la mancata erogazione della retribuzione).
Lo precisa il Ministero del Lavoro nell'interpello 07.06.2012 n. 15/2012.
La «causa neve». I chiarimenti arrivano in risposta all'Ugl che ha chiesto al ministero di sapere se ricorre l'obbligo sul datore di lavoro di corrispondere la retribuzione ai lavoratori che non hanno potuto raggiungere il posto di lavoro, «causa neve», nell'ambito territoriale di Roma Capitale e delle altre province del Lazio (giornate del 3, 4, 6, 10 e 11.02.2012).
Settore pubblico. Con riferimento al settore pubblico, il ministero precisa che la mancata prestazione lavorativa può considerarsi ascrivibile alle ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al lavoratore. Nello specifico, la fattispecie afferisce al cosiddetto factum principis inteso quale provvedimento autoritativo (ossia l'ordinanza di chiusura degli uffici pubblici causa neve) che impedisce in modo oggettivo e assoluto l'adempimento della prestazione, ossia l'espletamento dell'attività lavorativa; in tal caso, pertanto, resta fermo l'obbligo per la parte datoriale di corrispondere la retribuzione. Peraltro, aggiunge il ministero, l'interpretazione è sostenuta anche dalla contrattazione collettiva, comparto ministeri, laddove indica tra le motivazioni per cui possono essere concessi i permessi retribuiti, anche l'ipotesi di assenza motivata da gravi calamità naturali che rendano oggettivamente impossibile il raggiungimento della sede di servizio.
Settore privato. Completamente diverso il discorso per il settore privato dove, invece, il provvedimento autoritativo concernente il divieto di circolazione dei mezzi privati sprovvisti di apposite catene non costituisce impedimento di carattere assoluto all'effettuazione della prestazione lavorativa, in quanto non preclude la libera scelta del datore di lavoro di continuare a svolgere le attività connesse al settore di appartenenza.
In tali casi, tuttavia, precisa il ministero, il mancato raggiungimento del posto di lavoro potrebbe risultare comunque estraneo alla volontà del lavoratore; di conseguenza, la mancata prestazione lavorativa, in presenza di tempestiva comunicazione del lavoratore all'azienda, qualora supportata da idonea motivazione, non è qualificabile in termini di inadempimento imputabile al lavoratore.
In conclusione, in tali fattispecie l'impossibilità sopravvenuta libera entrambe le parti del rapporto di lavoro: il lavoratore dall'obbligo di effettuare la prestazione e il datore dall'obbligo di erogare la corrispondente retribuzione. Restano ferme, in ogni caso, le disposizioni dei contratti collettivi che, generalmente, contemplano la possibilità per il lavoratore di fruire di titoli di assenza retribuiti al verificarsi di eventi eccezionali (articolo ItaliaOggi dell'08.06.2012 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALILa p.a. diventa una casa di vetro. On-line i pagamenti sopra i 1.000 a professionisti e imprese. Nel decreto crescita il governo punta sulla trasparenza della spesa pubblica come volàno di sviluppo.
La via maestra per la crescita? La massima trasparenza su come la pubblica amministrazione e gli enti locali spendono i propri soldi. Ministeri, regioni, province e comuni, nessuno escluso, dovranno pubblicare sul proprio sito internet i dati relativi ai finanziamenti pubblici e agli incentivi erogati alle imprese, nonché le somme pagate per prestazioni, consulenze, servizi e appalti quando l'importo supera i 1.000 euro. E dal 2013 la pubblicazione sul web costituirà un requisito essenziale delle prestazioni.
L'obiettivo che il governo Monti persegue nel decreto crescita, atteso oggi in consiglio dei ministri, è ambizioso: realizzare quella trasparenza delle spesa (open government) che è una realtà consolidata nei paesi scandinavi, negli Usa e nel Regno Unito e che «permette ai cittadini un controllo generale e continuo nella gestione dei fondi pubblici». Per questo diventerà obbligatorio per le p.a. pubblicare su internet tutte le somme erogate a imprese e professionisti.
Come spiega la relazione tecnica al decreto legge, l'obbligo riguarda la concessione di vantaggi economici in senso lato e dunque sovvenzioni, contributi, sussidi finanziari, ma anche corrispettivi e compensi a persone per forniture, servizi, incarichi e consulenze. I dati dovranno essere caricati su internet in formato tabellare accessibile in modo semplice ai motori di ricerca. Le amministrazioni dovranno indicare il nome del soggetto beneficiario e i suoi dati fiscali, l'importo, la norma o il titolo a base dell'attribuzione, l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del relativo procedimento amministrativo e le modalità seguite per l'individuazione del beneficiario.
Dovrà inoltre essere indicato un link al progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato, nonché al contratto e capitolato della prestazione, fornitura o servizio. Come detto, la pubblicazione dei dati su internet costituirà condizione legale di efficacia del beneficio. L'inadempimento dovrà essere rilevato d'ufficio dagli organi dirigenziali e di controllo sotto la propria diretta responsabilità. Non solo. La mancata pubblicazione potrà essere denunciata anche dal beneficiario del contributo o del pagamento e anche da chiunque altro vi abbia interesse «ai fini del risarcimento del danno da parte dell'amministrazione, mediante azione davanti al tribunale amministrativo regionale».
Servizi pubblici locali. Il decreto crescita (si veda ItaliaOggi del 06/06/2012) alleggerisce gli adempimenti burocratici per facilitare la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Ma a farne le spese è l'Antitrust che vede sensibilmente ridotti i propri poteri. La delibera quadro con cui i comuni devono giustificare la mancata apertura al mercato e il mantenimento di diritti di esclusiva andrà trasmessa all'Authority solo se il valore del servizio da assegnare senza gara supera i 200 mila euro (la stessa soglia per gli affidamenti diretti in house).
Il parere dell'Antitrust, inoltre, non costituirà più una condicio sine qua non per l'adozione della delibera. E varrà il principio del silenzio-assenso: in caso di mancata risposta entro il termine di 60 giorni, il parere dell'organismo presieduto da Giovanni Pitruzzella si intenderà favorevolmente acquisito. La delibera quadro potrà comunque essere adottata trascorsi 90 giorni dalla trasmissione all'Antitrust.
Le novità intervengono a modificare la disciplina delle liberalizzazioni delle utility riscritta dal governo Berlusconi con la manovra di Ferragosto 2011 (l'intervento si rese necessario a seguito dell'abrogazione delle norme previgenti a opera dei referendum). E puntano, come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, a «semplificare le procedure relative all'approvazione della delibera quadro, quando non strettamente necessaria ai fini della promozione della concorrenza».
Federalismo demaniale, le miniere dalle province alle regioni. Lo schema di decreto interviene anche a correggere il dlgs sul federalismo demaniale (n. 85/2010) rimasto finora sulla carta per la mancata approvazione dei dpcm attuativi. Le miniere, originariamente attribuite alle province anche se queste non hanno alcuna competenza in materia, vengono trasferite al patrimonio indisponibile delle regioni a cui la riforma del Titolo V ha attribuito la competenza legislativa e gestionale in materia (articolo ItaliaOggi dell'08.06.2012 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIElenco dei revisori, tutto pronto per l'invio delle domande. Via alle istanze quando l'avviso pubblico sarà approdato in gazzetta ufficiale.
Tutto pronto per la presentazione delle domande di inserimento nell'elenco dei revisori dei conti degli enti locali. Infatti, a breve sarà pubblicato in G.U. l'avviso pubblico contenente le indicazioni per poter richiedere l'inserimento nel predetto elenco, al momento riservato agli enti locali ricadenti nei territori delle regioni a statuto ordinario. Le domande dovranno essere presentate esclusivamente per via telematica, entro trenta giorni dalla predetta pubblicazione e sottoscritte con firma digitale.
È quanto contenuto nell'avviso pubblico per la presentazione delle domande di inserimento nell'elenco dei revisori dei conti (solo per la fase di prima applicazione), che è stato approvato dal recente decreto Mininterno 05/06/2012.
I requisiti. Alla data di scadenza del termine utile per la presentazione, ovvero trenta giorni decorrenti dalla pubblicazione dell'avviso in Gazzetta Ufficiale (termine questo perentorio), l'avviso rende noto che i soggetti richiedenti dovranno essere in possesso dei requisiti indicati all'articolo 4 del citato dm 15/02/2012.
In pratica, per i comuni fino a 5.000 abitanti (fascia 1 del dm) è necessaria l'iscrizione da almeno due anni nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, l'aver già avanzato richiesta di svolgere la funzione quale organo di revisione di ente locale e aver conseguito almeno 15 crediti formativi, acquisiti nel triennio 2009-2011 e riconosciuti dai competenti ordini professionali.
Per gli enti locali tra 5.000 e 15.000 abitanti (fascia 2), occorrerà l'iscrizione da almeno 5 anni nel registro dei revisori legali, l'aver già svolto un incarico di revisore per almeno tre anni e il conseguimento di almeno 15 crediti formativi. Per gli enti con maggiore dimensione (fascia 3) sono inseriti i richiedenti con almeno dieci anni di iscrizione, l'aver svolto almeno due incarichi di revisore dei conti, ciascuno per la durata di tre anni e il conseguimento di almeno 15 crediti formativi.
L'iter di presentazione. L'avviso specifica che le domande vanno presentate al dipartimento per gli affari interni e territoriali del Viminale esclusivamente per via telematica, tramite apposito modello contenente i dati anagrafici e la dichiarazione del possesso dei requisiti. A tal fine, sul sito www.finanzalocale.interno.it, sarà attivato il link «elenco revisori enti locali». Al termine della compilazione, sarà generato un file che il richiedente dovrà sottoscrivere con firma digitale e trasmettere alla casella di posta elettronica certificata indicata al momento dell'accesso nel portale.
Al fine di supportare i richiedenti nella compilazione del modello, l'avviso rende noto che sul sito sopra indicato saranno messe a disposizione degli utenti, apposite istruzioni anche in forma audio-video. Nell'istanza, i richiedenti dovranno altresì autocertificare il possesso dei requisiti, fermo restando che il mininterno potrà esercitare i poteri di controllo sulla loro veridicità.
Precisazioni. Dall'elenco formato al termine della procedura, saranno estratti (a sorte) i nominativi dei revisori in fase di prima applicazione, ovvero sino al 28.02.2013. Saranno nominati, per ciascun organo di revisione da rinnovare sia i soggetti designati che eventuali subentranti in ordine di estrazione.
In breve, nel caso di organo di revisione collegiale i primi tre nominativi estratti saranno designati per la nomina e, in caso di rinuncia o impedimento ad assumere l'incarico, subentreranno gli altri nominativi estratti in rigoroso ordine dal quarto sino al nono (articolo ItaliaOggi dell'08.06.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOOSSERVATORIO VIMINALE/ Enti liberi sugli organici. Dai dirigenti incarichi ai dipendenti di categoria D. I manager possono delegare il potere di emanare i pareri di propria competenza.
Un comune che ha nella dotazione organica n. 11 posizioni dirigenziali, di cui n. 9 coperte da dirigenti assunti a tempo determinato, con contratto in scadenza, e n. 2 da dirigenti a tempo indeterminato –che non può rinnovare i predetti contratti in quanto il rapporto tra la spesa di personale e la spesa corrente supera il 40%- può istituire le posizioni organizzative e attribuire ai titolari delle stesse, con delega del dirigente, le attività di cui all'art. 107 del dlgs 267/2000, nonché i pareri di cui all'art. 49 del medesimo decreto legislativo? È necessario, al termine del procedimento, il visto ovvero la firma del dirigente?
La struttura organizzativa è tipica manifestazione dell'autonomia di cui gode ogni singolo ente che, attraverso lo strumento del regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, stabilisce le modalità di conferimento dei compiti ai dirigenti ovvero ai responsabili degli uffici, dettando, altresì, i criteri secondo i quali gli stessi devono dirigere gli uffici.
Il citato regolamento provvede, inoltre, all'individuazione delle posizioni organizzative e, al fine di assicurare l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa, a collocare nell'ambito di ciascuna unità organizzativa, i vari procedimenti amministrativi.
A tal proposito si rammenta che l'art. 5 della legge 241/1990 (e successive modificazioni e integrazioni) prevede espressamente che il dirigente di ciascuna unità organizzativa possa assegnare a sé, o ad altro dipendente addetto all'unità, la responsabilità dell'istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché l'adozione del provvedimento finale, compatibilmente con le vigenti norme in materia di competenza nell'emanazione dei vari atti.
In merito, l'istituzione dell'area delle posizioni organizzative, ai sensi dell'art. 8 del Ccnl 31/03/1999, è caratterizzata proprio dall'assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato per lo svolgimento anche di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità e caratterizzate da elevato grado di autonomia, sia gestionale che organizzativa.
Conseguentemente, il comune potrebbe procedere a una nuova organizzazione amministrativa creando due macrostrutture al vertice delle quali porre i due dirigenti assunti a tempo indeterminato.
All'interno di dette strutture potrebbero essere previsti i vari servizi o settori con l'istituzione delle posizioni organizzative, secondo la disciplina del richiamato art. 8.
Gli incarichi di posizione organizzativa dovranno essere conferiti dai dirigenti, ai dipendenti di categoria D, previa determinazione di criteri generali fissati dall'ente.
Con il meccanismo della delega potranno, quindi, essere delegate ai predetti dipendenti talune particolari funzioni o attività, ivi compresa la possibilità di emanare i pareri di propria competenza.
Pertanto, fermo restando che il conferimento delle funzioni dirigenziali ex art. 107 del dlgs 267/2000 ai responsabili degli uffici e dei servizi è previsto dal comma 2 dell'art. 109 del medesimo dlgs 267/2000 solo per i comuni privi di personale di qualifica dirigenziale, devono essere mantenuti in ogni caso in capo al dirigente i poteri di indirizzo, di coordinamento e di controllo dell'attività svolta dai titolari di posizione organizzativa (articolo ItaliaOggi dell'08.06.2012 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATADal 31 maggio fonti rinnovabili nei titoli edilizi.
Dal 31.05.2012 la presentazione dei titoli edilizi dovrà obbligatoriamente essere integrata dalle fonti energetiche rinnovabili negli edifici.

È l'articolo 11 del dlgs 03.03.2011, n. 28 a prevede che le fonti rinnovabili debbano coprire i «consumi di calore, di elettricità e per il raffrescamento secondo i principi minimi di integrazione e le decorrenze di cui all'allegato 3». È l'allegato 3 al dlgs 03.03.2011, n. 28 a stabilire che gli obblighi sono previsti solo a partire dal 31.05.2012 e sono crescenti nel tempo.
Nel caso di edifici nuovi o edifici sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, gli impianti di produzione di energia termica devono essere progettati e realizzati in modo da garantire il contemporaneo rispetto della copertura, tramite il ricorso a energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, del 50% dei consumi previsti per l'acqua calda sanitaria più una percentuale variabile calcolata sulla somma dei consumi previsti per l'acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento.
Le percentuali variabili, secondo i tempi delle relative costruzioni sono: 20% se la richiesta del titolo edilizio è presentata dal 31.05.2012 al 31.12.2013; 35% se la richiesta del titolo edilizio è presentata dall'01.01.2014 al 31.12.2016; il 50% quando la richiesta del pertinente titolo edilizio è rilasciato dall'01.01.2017. Questi obblighi non si applicano qualora l'edificio sia allacciato ad una rete di teleriscaldamento che ne copra l'intero fabbisogno di calore per il riscaldamento degli ambienti e la fornitura di acqua calda sanitaria. Il dlgs 28/2001 ha ridefinito la tempistica e i criteri di integrazione delle energie rinnovabili negli edifici di nuova costruzione e negli edifici «sottoposti a ristrutturazione rilevante».
È l'articolo 2, comma 1, lettera m), del dlgs 28/2011 che contiene la definizione di «edificio sottoposto a ristrutturazione rilevante». Definendolo come un «edificio che ricade in una delle due seguenti categorie: edificio esistente avente superficie utile superiore a 1000 metri quadrati, soggetto a ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l'involucro; edificio esistente soggetto a demolizione e ricostruzione anche in manutenzione straordinaria».
L'articolo 11, 2 comma, del dlgs 28/2011 prevede che le disposizioni suindicate non vengono applicate agli edifici protetti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (dlgs 22.01.2004, n. 42) e a quelli specificamente individuati come tali negli strumenti urbanistici, qualora il progettista evidenzi che il rispetto delle prescrizioni implica un'alterazione incompatibile con il loro carattere o aspetto, con particolare riferimento ai caratteri storici e artistici.
Per gli edifici pubblici gli obblighi di integrazione sono incrementati del 10%. Le regioni possono stabilire anche valori di integrazione superiori a quelli stabiliti dal dlgs 28/2011 (articolo ItaliaOggi del 07.06.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCorte dei conti. La sezione Puglia ha riconosciuto le somme incentivanti destinate ai dipendenti comunali che svolgono controlli nel 2012.
Restano i compensi per chi accerta l'Ici.

Via libera ai compensi incentivanti al personale comunale dell'ufficio tributi, commisurati al gettito Ici. La previsione contenuta nell'articolo 59, lettera p), Dlgs 446/1997, non è stata infatti abrogata.
La conferma giunge dal parere reso in questi giorni, in sede consultiva, dalla Corte dei Conti della Puglia.
Il dubbio nasceva dal fatto che la legge 44/2012 ha eliminato l'articolo 59 suddetto dalle norme richiamate ai fini dell'Imu. Ciò ha reso inapplicabile la disposizione in oggetto nell'ambito del nuovo tributo comunale. Per il 2012, tuttavia, i progetti di recupero dell'evasione non hanno a oggetto l'Imu ma l'attività di controllo dell'Ici. Da qui il quesito rivolto da un Comune in ordine alla possibilità di deliberare, in via regolamentare, anche quest'anno programmi che prevedano l'erogazione di compensi parametrati al gettito dell'Ici.
La Corte dei Conti della Puglia ha risposto positivamente, osservando come nessuna disposizione abbia abrogato l'articolo 59, del Dlgs 446/1997. Tale articolo, essendo specificamente rivolto all'Ici, non appare altresì in alcun modo incompatibile con l'ordinamento attuale.
Va inoltre evidenziato che anche la circolare n. 3 del 2012 del Dipartimento delle politiche fiscali, sul punto, si è limitata a rilevare che il medesimo articolo 59 «non può trovare applicazione per l'Imu». Nulla è invece precisato in ordine alla sua vigenza nel contesto della gestione dell'Ici. Il problema si porrà non appena inizieranno i controlli dell'Imu. E appare incoerente promuovere la lotta all'evasione con la collaborazione dei Comuni, eliminando uno strumento che si è già rivelato di indubbia utilità allo scopo (articolo Il Sole 24 Ore 07.06.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAAnche la Funzione Pubblica conferma: spetta alla P.A. richiedere il DURC.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica ricorda che nei pubblici appalti e nei lavori privati in edilizia, spetta alla P.A. richiedere il rilascio del DURC alle Amministrazioni preposte al rilascio ed alle Cassa Edili le quali, a loro volta, dovranno inviarlo per PEC.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con
circolare 31.05.2012 n. 6/2012, conferma che, in virtù del D.L. n. 5/2012, convertito con modificazioni dalla Legge n. 35/2012, è escluso che un privato possa consegnare il DURC all’Amministrazione nei pubblici appalti e nei lavori privati in edilizia, perché spetta alla P.A. richiedere il rilascio dello stesso alle Amministrazioni preposte al rilascio ed alle Cassa Edili.
Tuttavia il privato può richiedere il rilascio del DURC -su cui dovrà essere apposta a pena di nullità la dicitura: “Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della P.A. o ai privati gestori di servizi pubblici”- da consegnare ad altro privato.
Unico caso in cui le Amministrazioni procedenti potranno accettare una dichiarazione sostitutiva è quello in cui sia la normativa di settore ad ammetterlo ma, in tal caso, le Amministrazioni dovranno verificare la veridicità di quanto dichiarato dal privato.
In relazione ai lavori pubblici, sottolinea inoltre la circolare, è necessario che il DURC sia acquisito d’ufficio in tempi rapidi, sia nella fase di gara che in quella successiva in cui il controllo sulla regolarità contributiva è condizione necessaria per il pagamento degli stati avanzamento lavori e per il pagamento del saldo finale.
In conclusione, la Funzione Pubblica invita le Amministrazioni ad utilizzare, per l’inoltro della richiesta del DURC, il servizio on-line disponibile all’indirizzo www.sportellounicoprevidenziale.it, mentre gli Istituti previdenziali e le Casse edili dovranno utilizzare, per la trasmissione del certificato, la PEC.
Nel caso in cui il certificato sia rilasciato d’ufficio, sullo stesso deve essere apposta la dicitura: “rilasciato ai fini dell’acquisizione d’ufficio” (06.06.2012 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl Durc sopravvive su carta. Le indicazioni del ministero del lavoro.
Il Durc sopravvive alla decertificazione. Per i rapporti tra privati, infatti, resta ancora richiedibile in formato cartaceo (per esempio per la verifica da parte del committente o del responsabile dei lavori dell'idoneità tecnico professionale delle imprese affidatarie, come impone il T.u. sicurezza); in tutti i rapporti tra le p.a., invece, l'obiettivo è la sua completa dematerializzazione con ricorso alla Pec, canale obbligatorio di consegna del Durc a partire dall'01.07.2013.
È quanto precisa, tra l'altro, il Ministero del lavoro nella
circolare 01.06.2012 n. 12/2012.
Il ministero sottolinea, in primo luogo, che le stazioni appaltanti sono tenute ad acquisire d'ufficio il Durc non soltanto nell'ambito dei lavori pubblici (in tutti i contratti pubblici), ma anche nei lavori privati dell'edilizia. In quest'ultimo ambito, tuttavia, sopravvive la possibilità di emissione del Durc a privati, ai fini dell'utilizzo esclusivo nei rapporti fra privati.
Ciò è previsto, precisa il ministero, dal T.u. sicurezza laddove richiede, a carico del committente o del responsabile dei lavori privati, alcuni adempimenti concernenti la verifica dell'idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi anche attraverso il Durc (adempimenti peraltro sanzionati penalmente).
In secondo luogo, il ministero ribadisce quanto già affermato in precedenza circa l'impossibilità di sostituire il Durc con un'autocertificazione, in quanto la regolarità contributiva non può essere «oggetto di sicura conoscenza». Rispetto a quanto avviene per stati, qualità personali e fatti, è cosa del tutto diversa, spiega il ministero, la certificazione relativa al regolare versamento dei contributi obbligatori, poiché non costituisce una mera certificazione del versamento di una somma a titolo di contribuzione, ma è un'attestazione di istituti previdenziali e casse edili circa la «correttezza della posizione contributiva di una realtà aziendale».
Tuttavia, aggiunge il ministero, resta possibile per l'impresa presentare la dichiarazione in luogo del Durc nelle specifiche ipotesi previste dalla legge (nei contratti di forniture e servizi fino a 20 mila euro tra p.a. e società in house). Il ministero, ancora, spiega che, per il necessario risparmio di risorse economiche e amministrative, gli istituti previdenziali e le pubbliche amministrazioni sono tenute ad adottare ogni accorgimento utile per la dematerializzazione del Durc.
In particolare, il ministero ritiene che la sua acquisizione non possa più operarsi attraverso i canali della posta cartacea che, oltre a dare luogo a costi elevati, non garantiscono certezza dei tempi di consegna materiale del certificato. Pertanto, gli istituti sono tenuti ad attivare ogni iniziativa utile alla progressiva diffusione dell'utilizzo della Pec per la consegna del Durc, fermo restando l'obbligatorietà dell'invio esclusivo a partire dall'01.07.2013.
Infine, nel ribadire l'esclusività delle casse edili abilitate alla competenza e al rilascio del Durc nel settore edile, il ministero precisa che eventuali certificazioni di regolarità rilasciate da casse edili non abilitate, pur se accompagnate da certificazioni di regolarità separate da parte degli istituti di previdenza, non potranno in alcun modo sostituirsi al Durc, ancorché le predette casse abbiano in passato sottoscritto accordi a livello locale e abbiano in corso contenzioso sul loro riconoscimento.
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Un garbuglio infinito. Indicazioni contrastanti sul documento.
Il garbuglio infinito del Durc si arricchisce di un nuovo filone. La circolare 01.06.2012 n. 12/2012 del ministero del lavoro posta a risolvere alcune questioni concernenti il Durc dopo la disciplina della cosiddetta decertificazione, si pone indirettamente in contraddizione con precedenti note dello stesso ministero e di Inps e Inail.
Si tratta della nota ministeriale 16.01.2012, n. 619 e della nota congiunta di 513/2012, con le quali si è sostenuta la tesi secondo la quale il Durc sfuggirebbe all'applicazione delle nuove regole sui certificati (che ne determinano l'invalidità se scambiati tra amministrazioni pubbliche) disposte dall'articolo 15 della legge 183/2012.
Secondo tali note, il Durc come certificato continuerebbe a sopravvivere, per la semplice ragione che i suoi contenuti, caratterizzati da una rilevante attività di tipo tecnico, non sono del tutto conoscibili dai privati. Che, di conseguenza, non potrebbero presentare dichiarazioni sostitutive del documento, il quale, del resto, deve essere acquisito d'ufficio dalle amministrazioni appaltanti.
Molti hanno fatto notare che tale tesi non regge per una serie di motivi, il principale dei quali consiste nell'espressa previsione contenuta nell'articolo 38, comma 2, del dlgs 163/2006 da cui discende la piena autocertificabilità del Durc, a sua volta qualificato espressamente come certificato dall'articolo 6, comma 1, del dpr 207/2010.
Ora, la circolare 37/2012 del ministero del lavoro indirettamente contribuisce a privare ulteriormente di pregio le indicazioni precedenti. Nel paragrafo dedicato alla validità trimestrale del Durc, detta circolare indica: «Ha validità trimestrale il Durc emesso ai fini del controllo delle autocertificazioni presentate ai sensi del dpr n. 445/2000 che attesta la regolarità alla data dell'autocertificazione che è stata indicata nella richiesta». Smentendo totalmente i precedenti assunti, dunque, il ministero considera perfettamente legittimo che le imprese, nell'ambito degli appalti pubblici, presentino autocertificazioni, precisando la validità trimestrale del Durc emesso, poi, in risposta alle richieste delle amministrazioni appaltanti in merito alla verifica della veridicità di quanto dichiarato dalle imprese.
La circolare, per altro, si pone a sua volta in contrasto con la decertificazione. Scopo primo e fondamentale dell'articolo 15 della legge 183/2011 è vietare in via assoluta che le amministrazioni tra loro dialoghino mediante scambio di certificati. Ammettere che la verifica del contenuto delle autocertificazioni in merito alla posizione contributiva e previdenziale degli appaltatori si svolga mediante il rilascio del Durc, significa legittimare la violazione frontale e irrimediabile della disciplina della decertificazione e indicare indirettamente, ma senza alcun fondamento legislativo, che sul Durc non vada inserita la dicitura prevista dall'articolo 40, comma 02, del dpr 445/2000.
In senso diametralmente opposto al pronunciamento del ministero del lavoro è, invece, la
circolare 31.05.2012 n. 6/2012 della funzione pubblica, secondo la quale il Durc ricade pienamente nella disciplina dell'articolo 15 della legge 183/2011. Un contrasto di opinioni che disorienterà non poco operatori e imprese, tale da meritare un urgente ripensamento della normativa sulla semplificazione che, a ben vedere, come si dimostra, di semplificazione ha ben poco (articolo ItaliaOggi del 06.06.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl richiamo di Patroni Griffi alle p.a.. Durc da acquisire solo on-line.
L'acquisizione d'ufficio del Durc (il documento unico di regolarità contributiva) da parte delle p.a. deve avvenire in tempi rapidi in modo da non provocare ritardi nei pagamenti che possono far scattare responsabilità erariale a carico del dipendente pubblico. Per questo le pubbliche amministrazioni per richiedere il certificato dovranno utilizzare, «salvo motivati casi eccezionali», i servizi on-line offerti dal portale www.sportellounicoprevidenziale.it. Gli istituti di previdenza e le casse edili dal canto loro dovranno trasmettere il Durc esclusivamente tramite Pec (posta elettronica certificata).
A richiamare l'attenzione delle p.a. sulle novità in materia di decertificazione contenute nella legge di stabilità 2012 (legge n.183/2011) è il ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione nella
circolare 31.05.2012 n. 6/2012.
Nella nota, il ministro Filippo Patroni Griffi, ricorda che negli appalti pubblici e nei lavori privati di edilizia il Durc non può più essere consegnato dal privato all'amministrazione, ma sarà la p.a. a doverlo chiedere agli enti preposti al suo rilascio.
Se la normativa di settore lo prevede, al posto del Durc il privato potrà presentare una dichiarazione sostitutiva, la cui attendibilità andrà attentamente valutata dall'amministrazione. Il privato potrà richiedere il rilascio del Durc se intende consegnarlo ad altro privato, ma sul documento dovrà essere apposta la dicitura «il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi».
Ribaditi i paletti normativi imposti dalla legge di stabilità e dal decreto semplificazioni di Mario Monti (dl n. 5/2012), la nota di Patroni Griffi raccomanda che l'acquisizione d'ufficio del documento avvenga in tempi rapidi «sia nella fase di gara che in quella successiva nella quale il controllo della regolarità contributiva è condizione necessaria per il pagamento degli stati di avanzamento lavori o delle prestazioni relative a servizi e forniture o per il pagamento del saldo finale».
«In queste ultime ipotesi», scrive il ministro, «un eventuale ritardo nella richiesta del Durc può tradursi in uno slittamento dei pagamenti con conseguente maggiore onerosità degli stessi e responsabilità erariale del dipendente incaricato». Per questo va usato il portale di cui sopra che attraverso un apposito applicativo consente di verificare in tempo reale l'inoltro della richiesta di Durc da parte delle p.a. (articolo ItaliaOggi del 05.06.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATALe PP.AA. devono acquisire il DURC d’ufficio.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali fornisce chiarimenti sul rilascio del DURC, con riferimento ai lavori edili pubblici e privati, in relazione alla possibilità di sostituire il DURC con l’autocertificazione e sulla sua validità, sulla dematerializzazione e consultazione dello stesso ed infine sulle Casse Edili abilitate al rilascio.
Con la
circolare 01.06.2012 n. 12/2012, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito indicazioni sul rilascio del DURC per gli operatori del settore e per uniformare il comportamento del personale ispettivo.
DURC per lavori edili pubblici e privati
Innanzitutto la circolare ministeriale chiarisce che nell’ambito dei lavori pubblici le stazioni appaltanti sono tenute ad acquisire d’ufficio il DURC, sia in forza dell’art. 16-bis, c. 10, del D.L. n. 185/2008, convertito dalla Legge n. 2/2009, sia in forza dell’art. 44-bis del DPR n. 445/2000. Inoltre, anche l’art. 14, c. 6-bis, D.L. n. 5/2012, le Amministrazioni pubbliche devono acquisire d’ufficio il DURC sia nell’ambito dei lavori pubblici che nei lavori privati dell’edilizia.
Nell’ambito dei lavori privati in edilizia è comunque possibile, da parte dei privati richiedere il Documento ai fini di un suo utilizzo nei rapporti fra privati ma, in tal caso, gli Istituti e le Casse Edili devono apporre sulla certificazione, a pena di nullità, la dicitura “il presente certificato non può essere prodotto agli organi della P.A. o ai privati gestori di servizi pubblici" (art. 40, c. 2, DPR n. 445/2000).
Per quanto concerne, invece, l’acquisizione del DURC da parte dell’Amministrazione concedente, l’acquisizione del DURC relativo alle imprese affidatarie, alle imprese esecutrici ed ai lavoratori autonomi interessati deve essere effettuata d’ufficio dalla medesima amministrazione.
Sostituzione del DURC con autocertificazione
Come già chiarito in altre occasioni, il Ministero del Lavoro conferma che la regolarità contributiva non può essere autocertificabile. Cosa diversa è la certificazione relativa al regolare versamento della contribuzione obbligatoria che non costituisce mera certificazione del versamento di una somma a titolo di contribuzione, per cui l’impresa può presentare una dichiarazione in luogo del DURC in specifiche ipotesi previste dal Legislatore, come nel caso dell’art. 38, c. 1, lett. i), del D.Lgs. n. 163/2006 e l’art. 14-bis del D.L. n. 70/2011, convertito dalla Legge n. 106/2011 (contratti di forniture e servizi fino a 20.000 € stipulati con la P.A. e con le società in house)
Validità del DURC
La circolare n. 12/2012, costituisce occasione per il Ministero per ricordare che il DURC, anche nell’ambito pubblico ha validità trimestrale, inoltre:
- nell’ambito delle procedure di selezione del contraente, va acquisito un DURC per ciascuna procedura e lo stesso ha validità trimestrale; analogamente ha validità trimestrale il DURC emesso ai fini del controllo delle autocertificazioni presentate ex DPR n. 445/2000 che attesta la regolarità alla data dell’autocertificazione che è stata indicata nella richiesta. In entrambi i casi il DURC può essere utilizzato dalla stazione appaltante all’interno della medesima procedura di selezione, anche ai fini dell’aggiudicazione e sottoscrizione del contratto, purché ancora in corso di validità.
- per le fasi di stato avanzamento lavori o stato finale/regolare esecuzione - fermo restando l’obbligo di richiedere un nuovo DURC per ciascun SAL o stato finale riferiti ad ogni singolo contratto
- il DURC ha validità trimestrale.
- il DURC deve essere richiesto anche nel caso di appalti relativi all’acquisizione di beni, servizi e lavori effettuati in economia ex art. 125, c. 1, lett. b), D.Lgs. n 163/2006 ed ha validità trimestrale con riferimento allo specifico contratto.
Dematerializzazione e consultazione del DURC
Gli Istituti e le PP.AA. devono adottare ogni possibile misura per dematerializzare il DURC e quindi per diffonde l’uso della PEC per la consegna. Gli Istituti, inoltre, potranno adottare misure tecniche per rendere accessibili via web, a chi abbia un interesse qualificato (Casse edili abilitate comprese), le informazioni concernenti richieste e contenuti dei DURC già rilasciati. DURC e Casse Edili abilitate. Infine, la circolare n. 12/2012 ribadisce che le stazioni appaltanti debbono tenere in conto solo le certificazioni rilasciate dalle Casse Edili abilitate al rilascio del DURC.
Eventuali certificazioni rilasciate da Casse edili non abilitate non possono sostituire il DURC anche se le Casse abbiano in passato sottoscritto accordi a livello locale o abbiano in corso contenziosi relativi alla possibilità di rilasciare attestazioni di regolarità (04.06.2012 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI SERVIZILiberalizzazioni. Ancora fermo lo schema di delibera-quadro per l'analisi di mercato.
La burocrazia sposta al 2013 la riforma dei servizi pubblici. L'impasse sui decreti rende impossibile rispettare i tempi.
VUOTI NORMATIVI/ Mancano anche le misure per assoggettare al Patto di stabilità le imprese in house e le aziende speciali.

Il processo per i nuovi affidamenti dei servizi pubblici locali è partito, ma i ritardi nell'emanazione di alcuni decreti attuativi rischiano di rendere impossibile il rispetto delle scadenze nel corso per 2012, per l'attribuzione dei diritti di esclusiva e in relazione alla cessione delle gestioni esistenti.
Il 31 maggio era l'ultima data utile per i Comuni che volevano definire proposte per Ato con dimensionamento diverso da quello provinciale, da presentare alle Regioni per la revisione di ambiti e bacini per i servizi a rete, che dovrà essere adottata entro il 30 giugno di quest'anno.
Lo sviluppo di questa fase, strategica per servizi come il ciclo integrato dei rifiuti, è stato però fortemente penalizzato dalla mancanza di un riferimento certo per la verifica istruttoria che gli enti locali devono fare sull'attribuzione dei diritti di esclusiva: le particolarità rilevabili in un Ato possono infatti risultare decisive per orientare gli enti affidanti sull'opzione della gestione unitaria.
Il decreto ministeriale che doveva essere adottato entro il 31 marzo è, invece, ancora in itinere (dopo un passaggio nella Conferenza unificata del 19 aprile, al quale non ha avuto seguito la produzione di un nuovo testo ufficiale) e il ritardo compromette l'avvio dei processi di affidamento entro l'anno.
Come rilevato da Federutility (si veda anche il grafico a fianco) la mancanza del decreto ministeriale e, quindi, l'assenza di parametri certi per la definizione della delibera-quadro, incidono sulla possibilità degli enti affidanti di rispettare la prima scadenza fondamentale, individuata nella data del 13.08.2012, entro la quale dovranno trasmettere all'Antitrust l'istruttoria complessiva sui servizi pubblici liberalizzabili o riconducibili a un unico gestore.
La situazione rischia di condurre a una corsa contro il tempo, ma, soprattutto, di produrre il congestionamento del l'Authority per i troppi pareri da rendere. L'autorità, una volta investita della richiesta di parere, deve rendere la sua valutazione entro 60 giorni, con una proiezione che permetterebbe agli enti affidanti di avere solo alla metà di ottobre (nella migliore e più teorica delle ipotesi) il quadro di analisi dei servizi da liberalizzare e di quelli da affidare in base al l'articolo 4 della legge 148/2011, per poter definire la delibera-quadro.
Il passaggio è, peraltro, obbligatorio per poter procedere almeno all'avvio dei nuovi affidamenti entro la prima scadenza del 31.12.2012, prevista per gli affidamenti in house non più compatibili con i riferimenti normativi.
Lo slittamento della verifica istruttoria per l'attribuzione dei diritti di esclusiva renderebbe impossibile il rispetto della tempistica prevista per il periodo transitorio, mentre l'ipotesi di un meccanismo di silenzio-assenso rispetto al parere dell'Agcm rischierebbe di vanificare il significato stesso della verifica.
Il decreto ministeriale, inoltre, dovrebbe risolvere alcuni punti oscuri del quadro normativo generale, primo tra tutti lo scioglimento del dubbio circa la necessità o meno che la verifica per l'attribuzione dei diritti di esclusiva debba essere fatta anche in relazione agli affidamenti in house (compresi quelli alle potenziali società uniche d'ambito). Oltre al Dm sulla delibera-quadro mancano, tuttavia, altri decreti attuativi di norme cruciali per il sistema dei servizi pubblici locali.
Il più rilevante è senza dubbio quello che deve definire i criteri per l'applicazione del Patto di stabilità alle società in house, previsto sia dall'articolo 18 della legge 133/2008 sia dallo stesso articolo 4 della legge 148/2011. Altrettanto critica risulta la mancata adozione, ad oggi, del decreto per l'assoggettamento al Patto di stabilità delle aziende speciali (articolo Il Sole 24 Ore del 04.06.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTIAppalti e gare pubbliche. Tutte le novità per gli affidamenti della PA.
Iter più snello per «conquistare» un contratto. Oggi è possibile accedere alle procedure utilizzando sempre l'autocertificazione.

La valanga di ben 70 modifiche correttive del Codice dei contratti pubblici disperse nel l'ultimo anno in 15 provvedimenti (dal decreto sviluppo di maggio 2011 a quello sulla spending review di pochi giorni fa) ha avuto almeno il merito di introdurre strumenti e soluzioni che semplificano l'accesso alla gara degli operatori economici, in particolar modo delle Pmi.
Le Pmi
Per le micro, piccole e medie imprese le norme contenute nel l'articolo 13 della legge 180/2011 (Statuto delle imprese) facilitano la partecipazione alle procedure selettive, con l'introduzione di un principio di suddivisione in lotti funzionali degli appalti, trasformato in obbligo vero e proprio dal decreto salva Italia (Dl 201/2011), con una specifica previsione, condizionata a una valutazione di economicità e convenienza da parte delle amministrazioni.
Lo Statuto delle imprese sollecita le stazioni appaltanti a semplificare le regole di gara, per consentire la maggiore partecipazione di raggruppamenti temporanei tra micro, piccole e medie imprese, ma prevede anche ottimizzazioni della procedura, attraverso requisiti di capacità non sproporzionati rispetto all'appalto, oppure limitando il controllo dei requisiti all'aggiudicataria e consentendo l'autocertificazione di tutti i requisiti.
L'autocertificazione
Questo aspetto è stato esteso a tutte le tipologie di gara con le disposizioni sulla "decertificazione", introdotte nel Testo unico sulla documentazione amministrativa (Dpr 445/2000) dalla legge di stabilità (legge 183/2011) dal primo gennaio di quest'anno.
Con tali disposizioni, infatti, le dichiarazioni sostitutive di certificazione e di atto di notorietà diventano definitive, in quanto i certificati emessi da pubbliche amministrazioni (ad esempio un certificato del casellario giudiziale) non possono più essere utilizzati nei confronti di soggetti pubblici. Le stazioni appaltanti, quindi, non possono più chiedere certificati ai concorrenti e sono tenute ad acquisire i riscontri per le dichiarazioni sostitutive rese, mediante verifiche d'ufficio. Così come d'ufficio sarà l'acquisizione della documentazione antimafia presso le Prefetture, secondo quanto sta per chiarire il decreto che anticipa l'entrata in vigore del Codice antimafia, approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri il 25 maggio.
Ma c'è un risvolto della medaglia: le imprese e gli operatori devono essere molto attenti a preparare le autocertificazioni. Devono verificare, ad esempio, se tutti gli amministratori e i vertici della società non abbiano, ad esempio, magari cartelle esattoriali in sospeso o condanne per reati che incidono sulla moralità professionale. La sanzione per le false dichiarazioni rese con dolo o colpa grave è stata di recente graduata (Dl 5/2012, in vigore dal 10 febbraio) e consiste nell'esclusione dal mercato fino a un anno, a giudizio dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
Le imprese possono comunque richiedere i certificati attestanti lavori, forniture o servizi eseguiti presso il committente pubblico. Questi documenti, meglio se aggiornati, possono risultare utilissimi per controllare tutte le informazioni da rendere in sede di partecipazione alla gara. Una delle modifiche più significative al Codice dei contratti è l'introduzione del principio della tassatività delle cause di esclusione, i cui termini applicativi sono definiti nel comma 1-bis dell'articolo 46 del Dl sviluppo (Dl 70/2011).
Ora le stazioni appaltanti possono inserire nei bandi clausole che prevedano l'esclusione solo in rapporto a obblighi prescritti dal Codice, dal regolamento attuativo o da norme di legge (ad esempio il pagamento del contributo all'Autorità contratti), nonché per ragioni legate alla completezza o alla segretezza delle offerte (ad esempio in caso di lesione del plico). Se il bando o il disciplinare prevedono clausole non rispondenti a questo principio, queste sono nulle. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici sta elaborando dei bandi-tipo, che conterranno le clausole di esclusione specifiche.
I requisiti
Un'impresa che voglia partecipare a una gara di lavori, servizi o forniture deve comunque possedere un'ampia serie di requisiti di ordine generale, che dimostrano l'insussistenza di cause ostative a contrattare con le pubbliche amministrazioni. Il catalogo di questi requisiti è delineato dall'articolo 38 del Codice dei contratti pubblici, più volte integrato negli ultimi mesi (articolo Il Sole 24 Ore del 04.06.2012 - link a www.ecostampa.it).

aggiornamento al 04.06.2012

VARIMail selvaggia, imprese senza tutela.
Imprese ed enti pubblici senza tutela contro telefonate, fax e mail selvaggi. La modifica dell'articolo 4 del codice della privacy lascia sguarnite persone giuridiche, enti e associazioni. E non basta sostenere che le tutele sono appannaggio del contraente o dell'utente del servizio di comunicazioni. Dunque difficile sanzionare per trattamento illecito dei dati delle persone giuridiche.

Queste le conseguenze da trarre anche a seguito dei decreti legislativi 69 e 70/2012, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 31.05.2012.
A questo punto si rischia che venga contestato all'Italia un procedimento di infrazione per violazione della direttiva 2000/58, che tutela l'abbonato, anche se è persona giuridica.
Nel frattempo il Garante interviene in materia di telemarketing e precisa che chi acquista dati deve verificare che gli abbonati contattati abbiano espresso il loro consenso (provvedimento 136 del 05.04.2012).
IMPRESE E P.A. INDIFESE
L'articolo 121 del dlgs 196/2003 (codice sulla protezione dei dati), apre la sezione dedicata alla privacy nei servizi di telecomunicazione e descrive l'ambito di applicazione delle norme lì contenute (tra cui l'articolo 130 sulle forme di tutela contro le comunicazioni indesiderate). L'articolo 121 limita, dunque, l'ambito d'applicazione al trattamento di «dati personali» connesso ai servizi telecomunicazioni. Se si confronta questa disposizione con l'articolo 4 del codice della privacy (dopo le modifiche apportate dal dl 201/2011) si scopre che per «dato personale» si intende qualunque informazione relativa alla sola persona fisica.
In sostanza rimangono fuori persone giuridiche, enti e associazioni. Rimane, quindi, almeno, un'ambiguità legislativa, con la conseguenza che il trattamento dei dati relativi a enti collettivi sarebbe sfornito di tutela e potrebbe essere utilizzato e conservato addirittura senza limiti di tempo. Inoltre diventa difficile applicare sanzioni penali o amministrative per trattamento illecito dei dati degli enti collettivi. Eppure la direttiva 2000/58 prevede tutele per gli abbonati (sia persone fisiche sia persone giuridiche, si veda il «considerando» n. 12 della direttiva): di qui il rischio di sanzioni europee all'Italia per inosservanza della direttiva.
TELEMARKETING
L'azienda che per attività di telemarketing acquisisce da società specializzate banche dati con numeri telefonici, deve accertarsi che gli abbonati abbiano espresso il loro consenso a ricevere telefonate pubblicitarie. La responsabilità sull'uso illecito dei dati potrebbe infatti ricadere non solo sulla società che li ha venduti, ma anche sull'azienda che li ha acquistati, che è da considerare titolare di trattamento, con le conseguenti responsabilità connesse al ruolo.
Il Garante privacy è intervenuto, con il provvedimento n. 136/2012, non ha tra l'altro ritenuto valida la clausola di garanzia del fornitore dei dati, che pure ha dichiarato di tenere indenne la società acquirente da sanzioni o condanne: si tratta di clausole ritenute illecite, in quanto elusive delle norme imperative del Codice che disciplinano, appunto, obblighi, oneri e responsabilità del titolare del trattamento.
Il Garante, in conclusione, non solo ha vietato alla società fornitrice l'ulteriore utilizzo di numeri telefonici senza un valido consenso, ma ha anche dichiarato illecito il trattamento dei dati effettuato dalla società acquirente, disponendo per entrambe l'avvio di procedimenti sanzionatori (articolo ItaliaOggi del 02.06.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATARegolarità contributiva sul web. Gli uffici possono rendere pubblico il Durc che (per ora) ha validità trimestrale.
Le pubbliche amministrazioni acquisiscono d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva (Durc), sia per i contratti pubblici che per i lavori nel privato. Questa semplificazione deriva dalla decreto legge 5/2012, articolo 14, comma 6. Tuttavia i privati possono sempre chiedere il documento unico di regolarità contributiva per verificare, per esempio, l'idoneità professionale di un'impresa.
Il chiarimento arriva dal Ministero del Lavoro, con la circolare 01.06.2012 n. 12/2012. Alla stessa conclusione arriva, peraltro, la circolare 31.05.2012 n. 6/2012 del ministro per la Pubblica amministrazione.
Il documento destinato ai privati dovrà essere contrassegnato –a pena di nullità– dalla dicitura «il presente certificato non può essere prodotto agli organi della Pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi».
Nella circolare del ministero del Welfare non hanno trovato risposta le criticità sollevate durante il Forum lavoro, organizzato mercoledì dal Sole 24 Ore, dal Consiglio nazionale dei consulenti e dalla Fondazione studi di categoria (si veda Il Sole 24 Ore di giovedì). In particolare, resta confermato il periodo di validità del Durc circoscritto a tre mesi. I consulenti del lavoro, invece, chiedono l'estensione temporale in modo che le aziende abbiano a disposizione un periodo maggiore per regolarizzare in modo spontaneo eventuali irregolarità nei versamenti, dovute per esempio a scarsa liquidità o ad altre difficoltà temporanee. Il direttore generale per l'Attività ispettiva, Paolo Pennesi, che ha partecipato al Forum insieme con il collega Fabrizio Nativi, ha condiviso la richiesta dei consulenti.
Tuttavia, la circolare di ieri ha scelto di confermare l'orientamento già espresso dal ministero nel 2010. Probabilmente si è arrivati alla conclusione che un documento dell'amministrazione non è adeguato a prolungare la validità del Durc. Per altro, già durante il Forum era emersa l'impossibilità di modificare per circolare l'importo oltre il quale il documento di regolarità contributiva è negativo: oggi il limite è 100 euro. La cifra –per consulenti e aziende– è troppo contenuta; un limite un po' più alto cancellerebbe probabilmente i documenti di irregolarità collegati a piccole mancanze o distrazioni.
Quanto al periodo di validità, il ministero del Lavoro, sulla base della circolare 35/2010, ha ribadito che per le procedure di selezione del contraente il Durc attesta la regolarità al momento del rilascio e ha validità trimestrale rispetto alla gara: è possibile far riferimento allo stesso documento anche per aggiudicazione e firma del contratto purché la certificazione non sia anteriore a tre mesi. Per ogni fase di avanzamento lavori o per lo stato finale di regolare esecuzione occorre il relativo Durc: su questo si può "appoggiare" il pagamento, purché nell'arco dei tre mesi.
Nella circolare firmata ieri un capitolo è dedicato alla «dematerializzazione»: per risparmiare, ma anche per rendere più efficiente la comunicazione tra amministrazioni si dovrà utilizzare sempre più la posta elettronica certificata, che comunque diventerà obbligatoria dal 2013.
Infine, la circolare del ministero del Lavoro spiega come le richieste e i contenuti del Durc possano essere «accessibili via web a chiunque abbia un interesse qualificato, ivi comprese le Casse edili abilitate». Dunque le amministrazioni potranno organizzarsi per pubblicare sul web le verifiche di regolarità contributiva. Il presupposto è costituito da una previsione contenuta nel decreto legge 201/2011, che ha escluso (articolo 40, comma 2) le persone giuridiche dal campo di applicazione della privacy. La "pubblicità" riferita a chiunque abbia un interesse qualificato potrebbe preludere a una consultazione del Durc anche da parte di aziende private (articolo Il Sole 24 Ore del 02.06.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOStop regali e più etica nella p.a..
Niente regali agli statali («in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni»), e disco verde al codice comportamentale per dirigenti e impiegati che, in caso di violazioni, rischiano sanzioni fino al licenziamento. Congelato, invece, lo stop di tre anni a ex politici e candidati che aspirano a ricoprire incarichi di vertice nelle amministrazioni pubbliche.
Fa due passi avanti e uno indietro il disegno di legge per la lotta alla corruzione (C 4434-A e abb.), in votazione nell'aula della camera, dove tornerà lunedì 4 giugno, malgrado il Pdl, in disaccordo con alcune norme governative, avesse chiesto un rinvio.
Via libera ieri a un emendamento del ministro della funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, che impone l'adozione di un regolamento ispirato ai principi costituzionali di «diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse» generale, secondo cui se verrà arrecato un danno economico per condotta scorretta, sarà il dipendente a doverlo rimborsare di tasca sua; codice valido anche per le magistrature, toccherà alle associazioni di categoria o, in caso di loro inerzia, agli organi di autogoverno varare le norme di condotta, la cui violazione comporterà responsabilità disciplinare. Sì, poi, a dati su opere e appalti raccolti in file «aperti» ai cittadini, ma l'esecutivo finisce sotto quando passa con i voti di Pd, Idv, Lega, Api e Mpa una proposta che prevede che un pubblico impiegato che abbia percepito soldi in maniera indebita sia sottoposto al giudizio sulla responsabilità erariale da parte della Corte dei conti.
Stand-by sul divieto di ricorso agli arbitrati, sulle regole antimafia nelle gare pubbliche, sul veto di conferire ruoli dirigenziali per un triennio a chi ha svolto incarichi politici, o è stato in lizza per cariche elettive: il governo, riferisce a ItaliaOggi uno dei relatori Angela Napoli (Fli) «sta tentando una mediazione coi partiti, soprattutto con il Pdl. Capisco la posizione dell'esecutivo, che vuole approvare un testo così importante con un'ampia maggioranza, ma il pericolo è che possa essere annacquato». Lunedì nuovo vertice con i ministri Patroni Griffi e Paola Severino (Giustizia) e i rappresentanti dei partiti, per cercare di superare lo stallo (articolo ItaliaOggi dell'01.06.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - VARISì al cedolino elettronico. Possibile la consegna per e-mail, anche senza Pec. Le precisazioni del ministero in risposta a un interpello dei consulenti.
Sì al cedolino elettronico. Può essere consegnato per e-mail, e non necessariamente posta elettronica certificata (Pec), e può anche essere reso disponibile in un'area riservata di un sito web a cui i lavoratori hanno accesso con password.
Lo precisa il Ministero del Lavoro nell'interpello 30.05.2012 n. 13/2012.
Il cedolino elettronico. Il ministero risponde ai consulenti del lavoro che hanno chiesto di sapere se è possibile, per il datore di lavoro privato (nella p.a. il cedolino elettronico è già una realtà), assolvere agli obblighi della legge n. 4/1953 in merito alla consegna del prospetto paga, oltre che mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata (soluzione che ha già ottenuto l'ok del ministero nell'interpello n. 1/2008, si veda ItaliaOggi del 12.02.2008), anche attraverso un sito web, dotato di un'area riservata con accesso consentito al proprio personale mediante password individuale.
In particolare, i consulenti chiedono se possa ritenersi sufficiente la semplice collocazione dei prospetti di paga di volta in volta elaborati (contestuale al pagamento mensile della retribuzione con bonifico bancario e/o con altro mezzo), nell'apposita area riservata del sito web, prospetti consultabili e scaricabili esclusivamente da parte del lavoratore interessato con una password individuale.
I chiarimenti. La risposta è affermativa. Il ministero richiama i chiarimenti forniti nell'interpello n. 1/2008 prima di tutto per ribadirli ma soprattutto per precisare la «legittimità della consegna del documento anche mediante posta elettronica non certificata», cioè a un comune indirizzo e-mail. Analogamente a quanto avviene in tema di obblighi di certificazione fiscale del sostituto d'imposta, spiega il ministero, la legge n. 4/1953 fa riferimento a un obbligo di «consegnare» il prospetto paga senza alcun richiamo alla necessità che sia consegnata in forma cartacea, con la conseguenza che non si ravvisa uno specifico divieto di trasmettere al lavoratore il documento per posta elettronica anche non certificata.
Ciò, aggiunge il ministero, a condizione che sia garantita al dipendente la possibilità di entrare nella disponibilità del prospetto e di poterlo materializzare. Il ministero precisa poi di «ritenere possibile l'assolvimento degli obblighi di cui agli articoli 1 e 3, della legge n. 4/1953 da parte del datore di lavoro privato anche mediante la collocazione dei prospetti di paga su sito web dotato di un'area riservata con accesso consentito al solo lavoratore interessato, mediante utilizzabilità di postazione internet dotata di stampante e l'assegnazione di apposita password o codice segreto personale».
Il ministero, inoltre, per garantire la verifica immediata da parte del lavoratore, ritiene necessario che della collocazione mensile dei cedolini risulti traccia nello stesso sito (articolo ItaliaOggi dell'01.06.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Simboli, sì alle variazioni. Mani libere al gruppo consiliare sulla modifica. La linea da seguire in assenza di disciplina statutaria o regolamentare.
In assenza di una specifica disciplina statutaria e regolamentare, un gruppo consiliare di opposizione può modificare o sostituire il simbolo col quale la lista si era presentata al corpo elettorale?

La materia concernente la costituzione dei gruppi consiliari è interamente demandata allo statuto e al regolamento del consiglio, nell'ambito della propria autonomia funzionale ed organizzativa (art. 38, comma 3, dlgs n. 267/2000).
Ne deriva che le problematiche relative alla costituzione e al funzionamento dei gruppi consiliari dovrebbero essere valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui l'ente locale si è dotato. Pertanto soltanto il consiglio comunale, nella sua sovranità ed in quanto titolare della competenza a dettare le norme cui uniformarsi in tale materia, è abilitato a fornire un'interpretazione autentica delle norme statutarie e regolamentari, pronunciandosi in merito a quanto richiesto.
Nel caso di specie, se lo statuto comunale e il regolamento non dettano specifiche disposizioni in materia ma prevedono che i consiglieri si costituiscano «di regola» nei Gruppi individuati nelle liste che si sono presentate alle elezioni e stabiliscono che i consiglieri possano costituire gruppi non corrispondenti alle liste elettorali nelle quali sono stati eletti, sembra di poter ritenere ammissibile la facoltà di operare variazioni all'interno degli schieramenti che possono, dunque, non corrispondere alla composizione scaturente dalle elezioni.
Il principio generale del divieto di mandato imperativo sancito dall'art. 67 della Costituzione, pacificamente applicabile ad ogni assemblea elettiva, assicura ad ogni consigliere l'esercizio del mandato ricevuto dagli elettori, pur conservando verso gli stessi la responsabilità politica, con assoluta libertà, ivi compresa quella di far venir meno l'appartenenza dell'eletto alla lista od alla coalizione di originaria appartenenza (Tar Trentino-Alto Adige, sez. di Trento sent. n. 75 del 2009)
In linea con il principio generale secondo cui, all'elemento «statico» dell'elezione in una lista si sovrappone quello «dinamico», fondato sull'autonomia politica dei consiglieri, sono da ritenere in genere ammissibili anche eventuali mutamenti, all'interno delle forze politiche, che comportano altrettanti cambiamenti nei gruppi consiliari.
Pertanto, la denominazione dei gruppi consiliari, con eventuale variazione dei simboli (contrassegni) a cui tali gruppi fanno riferimento, in assenza di una specifica disposizione statutaria o regolamentare, appare rientrare nelle scelte proprie delle formazioni politiche presenti in consiglio (articolo ItaliaOggi dell'01.06.2012).

COMPETENZE GESTIONALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Ordinanza del comandante.
Quesito: il comandante della polizia municipale può adottare un'ordinanza con la quale vengono apportate modifiche alla viabilità urbana?

Il Piano urbano del traffico (Put) –da cui dovrebbero derivare le eventuali modificazioni alla viabilità- secondo quanto previsto dall'art. 36, comma 5, del Cds viene aggiornato ogni due anni. Il predetto Put, essendo uno strumento di programmazione e, dunque, a valenza generale, è demandato all'approvazione degli organi collegiali del Comune.
Occorre tenere presente, tuttavia, che l'art. 107, comma 5 del dlgs n. 267/2000 prevede che «le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III (consiglio, giunta e sindaco) l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54» dello stesso decreto legislativo.
Talché, le competenze assegnate, in particolare dal codice della strada, al sindaco (fuori dei casi di cui ai citati articoli 50 e 54 del dlgs n. 267/2000) si intendono oggi demandate al dirigente. Sul punto la giurisprudenza (Tar Lombardia, sentenza 13/01/2003, n. 904) ha specificato che «al di fuori dei provvedimenti contingibili e urgenti, il sindaco non può adottare un'ordinanza in materia di viabilità ordinaria, esercitando altrimenti un atto di gestione che compete in via esclusiva al dirigente».
In particolare il Tar Lombardia –sezione di Brescia- con la sentenza 08.01.2011, n. 10 ha ribadito tale principio affermando che l'art. 7 del codice della strada, che assegna al sindaco il potere di regolamentare la circolazione dei veicoli, va coordinato con la posteriore norma del già citato art. 107. La competenza del sindaco in tema di limitazioni della circolazione deve, quindi, ritenersi attratta nella competenza propria del dirigente di settore, in quanto si tratta di funzioni di gestione ordinaria (articolo ItaliaOggi dell'01.06.2012).

ENTI LOCALIPatto solo per le società in house. Obiettivo: evitare aggiramenti delle norme sulle assunzioni. La recente disciplina dei servizi pubblici locali palesa una spinta verso logiche di mercato.
La recente disciplina in materia di servizi pubblici locali (artt. 3-bis e 4 dl n. 138/2011 convertito in legge n. 148/2011) pone un tema di estremo interesse e viva preoccupazione, non soltanto dal punto di vista teorico e concettuale ma prim'ancora sotto il profilo pratico e operativo, per tutto il mondo delle società pubbliche operanti nelle public utilities: quello relativo all'assoggettamento delle «società cosiddette in house affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali (_) al patto di stabilità interno (...)» nonché alle «disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per le consulenze anche degli amministratori»
Senza voler entrare nel merito della scelta legislativa, riteniamo tuttavia opportuna una riflessione circa la portata della disposizione in commento, anche a fronte di alcuni orientamenti volti a estenderne l'applicazione anche al di là del dato letterale.
Non sfugge, infatti, che la norma in commento riferisce la sua portata precettiva, non già genericamente alle società a capitale pubblico (totalitario e/o maggioritario), bensì solo a una particolare e specifica categoria di esse: le cosiddette società in house, in quanto tali affidatarie dirette di servizi pubblici locali.
Al di là delle valutazioni di merito, ci sembra piuttosto chiara la ratio antielusiva della norma: evitare che gli enti locali, per il tramite della costituzione delle cosiddette società in house alle quali affidino direttamente i relativi servizi, possano aggirare i limiti posti dal Patto di stabilità e/o dalle norme relative al cosiddetto blocco delle assunzioni.
Sennonché in taluni casi, è stata prospettata l'applicazione della disposizione in commento anche al di là dei limiti letterali della norma: dunque, alle società a totale capitale pubblico che operano non già in via di affidamento diretto bensì a seguito dell'aggiudicazione di gare pubbliche ovvero alle società miste pubblico-private il cui socio privato sia stato selezionato a seguito di una regolare procedura di evidenza pubblica.
Ebbene, tale interpretazione non convince affatto: vuoi perché contrasta con il dato letterale della norma; vuoi perché i citati artt. 3-bis e 4 distinguono in modo molto attento le disposizioni applicabili alle sole società in house da quelle che invece hanno una portata più ampia, riferendosi in generale alle società a partecipazione pubblica (totalitaria e/o maggioritaria).
Non sfugge, infatti, che lo stesso art. 4 mentre, da un lato, limita l'assoggettamento al Patto di stabilità alle sole società in house, dall'altro lato prevede che «le società a partecipazione pubbliche che gestiscono servizi pubblici locali (_)», indipendentemente dalla natura giuridica e dal titolo di affidamento, «(_) adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui all'art. 35, 3°, dlgs 165/2001» o ancora estende l'obbligo di applicazione del Codice dei contratti pubblici, oltreché alle società in house anche «alle società a partecipazione mista pubblica/privata».
Al di là delle predette, non v'è dubbio che con l'intervento riformatore in commento, il legislatore abbia inteso traguardare il sistema delle società pubbliche verso logiche di mercato e concorrenziali (costringendole, sostanzialmente, ad abbandonare il vecchio alveo delle gestioni esclusive e protette degli affidamenti diretti secondo il modulo in house providing): sul punto basta pensare al favor legislativo verso la liberalizzazione dei spl e dunque per la concorrenza nel mercato (in luogo di quella per il mercato); alla scadenza anticipata ope legis degli affidamenti non conformi ai nuovi modelli; al regime dei divieti per le società affidatarie dirette di spl.
In questo contesto sarebbe oltremodo contraddittorio e persino discriminatorio porre tali vincoli nei confronti di quelle società la cui stessa sopravvivenza dipenderà dalla capacità di confrontarsi sul mercato concorrenziale con tutti gli altri operatori (pubblici e/o privati).
Sarà, dunque, il mercato l'arbitro ultimo della virtuosità dell'intero sistema e della capacità delle attuali società pubbliche di cambiare passo, abbandonando logiche ormai anacronistiche per adeguarsi a un assetto nuovo che tuttavia potrebbe, nell'attuale panorama delle public utilities italiane, offrire loro significative prospettive di crescita industriale.
Una strada, per quanto opinabile (come tutte le cose della vita), è stata tracciata in modo abbastanza netto e preciso: sarà necessario mantenerla e verificare la capacità di risposta del sistema pubblico (articolo ItaliaOggi dell'01.06.2012).

PUBBLICO IMPIEGOAl bando i regali ai dipendenti pubblici.
Niente regali ai dipendenti pubblici se connessi all'espletamento delle loro funzioni, a meno che non siano di valore modesto e rientrino nei limiti di cortesia.
Lo prevede un emendamento al ddl corruzione delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera, stabilendo di inserire nel codice etico previsto dal governo «il divieto per tutti i dipendenti pubblici di chiedere o accettare a qualsiasi titolo, compensi regali o altre utilità in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purché di modico valore e nei limiti delle relazioni di cortesia».
La Camera ha approvato l'art. 1 con cui si stabilisce la nascita dell'autorità nazionale anticorruzione. Disco verde anche all'emendamento che prevede che «ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, agli avvocati e procuratori dello Stato e ai componenti delle commissioni tributarie è vietata, pena la decadenza dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti, la partecipazione a collegi arbitrali o l'assunzione di arbitro unico».
Un altro emendamento del governo prevede di disciplinare i casi di non conferibilità di incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni che, per un adeguato periodo di tempo, non inferiore ai tre anni, antecedente al conferimento, abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico, abbiano rivestito incarichi pubblici elettivi o siano stati candidati agli stessi incarichi, escludendo in ogni caso il conferimento di incarichi dirigenziali a coloro che presso le medesime amministrazioni abbiano svolto incarichi di indirizzo politico o incarichi pubblici elettivi, nel periodo immediatamente precedente al conferimento dell'incarico, comunque non inferiore ai tre anni (articolo ItaliaOggi del 31.05.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - VARIScarichi, bollino blu fuorigioco.
Dal 10 febbraio scorso il tradizionale bollino blu è andato definitivamente fuorigioco. Non può più essere ne richiesto ne rilasciato agli utenti stradali in quanto il controllo obbligatorio dei dispositivi di combustione e scarico degli autoveicoli e motoveicoli è effettuato esclusivamente al momento della revisione periodica del mezzo. Sono state infatti abrogate dal dl 5/2012 tutte le diverse disposizioni locali che impongono operazioni tecniche ulteriori sul controllo dello smog dei veicoli.
Lo ha messo nero su bianco il Ministero dei Trasporti con la circolare 30.05.2012 n. 15241 di prot..
L'art. 11, comma 8, del decreto legge 09.02.2012, n. 5, convertito nella legge 04.04.2012, n. 35, ha specificato chiaramente che a decorrere dall'anno 2012 «il controllo obbligatorio delle emissioni dei gas di scarico degli autoveicoli e dei motoveicoli è effettuato esclusivamente al momento della revisione obbligatoria periodica del mezzo».
Per chiarire definitivamente la portata della semplificazione in relazione alla vigenza delle diverse e a volte contrastanti indicazioni locali è però dovuto intervenire il ministero dei trasporti. La formulazione della disposizione a parere dell'organo tecnico centrale lascia spazio a poche incertezze applicative. Dal 10.02.2012, data di entrata in vigore del dl semplificazione, l'unica verifica obbligatoria relativa al rispetto delle emissioni dei gas di scarico dei veicoli a motore è quella che si effettua in occasione della revisione periodica dei mezzi in conformità all'art. 80 del codice stradale.
In buona sostanza la novella ha tacitamente abrogato ogni diversa disposizione comunale, provinciale o regionale inerente al controllo programmato dello smog prodotto dai veicoli a combustione. La verifica periodica del rispetto dei limiti di emissione, prosegue la circolare a firma del direttore generale del dipartimento per i trasporti terrestri, Maurizio Vitelli, si effettua solo in occasione della revisione periodica del veicolo.
Qualsiasi operazione tecnica, diversa da quella di revisione, finalizzata al controllo delle emissioni di scarico a parere del ministero deve considerarsi arbitraria. E pure inefficace il relativo titolo. In buona sostanza il bollino blu non ha neppure alcun valore in caso di controllo stradale (articolo ItaliaOggi del 31.05.2012).

PUBBLICO IMPIEGODipendenti pubblici, codice etico. Previsto anche il licenziamento per chi non rispetta i doveri. Emendamenti del governo al ddl sulla corruzione. Condannati fuori dalle commissioni d'esame.
Sanzioni che vanno fino al licenziamento per il dipendente statale che non rispetterà i doveri costituzionali di «diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse» collettivo. E, se arrecherà danni patrimoniali all'amministrazione, li risarcirà di tasca sua.
Una vera e propria rivoluzione il codice etico per i lavoratori della p.a. contenuto negli emendamenti del governo al disegno di legge contro la corruzione (C. 4434-A e abb.) presentati ieri, e in votazione da questo pomeriggio nell'aula della Camera.
Il regolamento, depositato dal ministro per la Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, si rivolge a impiegati e dirigenti, individuando norme improntate all'onestà di carattere generale, ma anche doveri «articolati in relazione alle funzioni attribuite» alla persona. L'insieme di principi dovrà essere approvato con decreto del presidente della repubblica (previa deliberazione di palazzo Chigi, e d'intesa con la conferenza Stato-Regioni), pubblicato in Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente, tenuto a sottoscriverlo all'atto dell'assunzione.
Una violazione delle norme rappresenterà «fonte di responsabilità disciplinare», ma sarà «altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogni volta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti» di cui i lavoratori statali saranno tenuti all'osservanza. Inoltre, violazioni gravi o reiterate comporteranno «l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 55-quater, comma 1» (del dlgs n. 165 del 2001 sull'ordinamento del lavoro pubblico), ossia il licenziamento disciplinare; ci sarà anche un codice per gli appartenenti alla magistratura, e all'avvocatura dello stato, predisposto dagli organi di categoria.
E non è tutto. Un'altra norma redatta dal ministro fissa paletti importanti, poiché non potranno fare parte, anche con compiti di segreteria, delle commissioni per l'accesso o la selezione di pubblici impieghi, i condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per reati contro la pubblica amministrazione (peculato, malversazione a danno dello stato, concussione, corruzione, abuso d'ufficio ecc). Altolà, poi, al loro ingresso negli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari.
Per Angela Napoli (Fli), relatore del ddl, sono iniziative «utilissime soprattutto sul versante della prevenzione dei fenomeni. Mi auguro il parlamento le approvi, così la politica potrebbe finalmente segnare una pagina positiva, dimostrando al paese di avere senso di responsabilità», dice a ItaliaOggi. Il Pdl chiede che sulla corruzione per atto contrario al dovere d'ufficio si torni all'idea governativa di pena da 3 a 7 anni (in commissione è stata alzata da 4 a 8) e ripresenta la «salva-Ruby» (c'è concussione solo se vi è passaggio di denaro, o altra utilità patrimoniale), poi ritirata in serata. L'Udc, invece, «ammorbidisce» il testo di Roberto Giachetti (Pd) sui limiti ai «fuori ruoli» (ItaliaOggi di ieri) dei giudici, escludendo incarichi presso presidenza della Repubblica, Camera, Senato e Consulta (articolo ItaliaOggi del 30.05.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa firma elettronica diventa avanzata. Le novità del Codice dell'amministrazione digitale.
Chi avrebbe mai pensato che con quegli stessi tablet che oramai «piovono dal cielo» (come ci ha suggestivamente mostrato la pubblicità di un importante gestore telefonico) fosse possibile firmare «a mano libera» i documenti informatici, con pieno valore legale ai sensi dell'art. 2702 del codice civile, senza più vincoli di smart-cart, certificati che scadono, pin dimenticati, rischi di furti o smarrimenti, e utilizzi impropri da parte di terzi contro i quali sarebbe ben difficile fare opposizione?
È una delle novità più importanti contenute nel codice dell'amministrazione digitale (Cad), disciplinato dal decreto legislativo n. 82 del 07/03/2005, recentemente modificato dal dlgs n. 235 del 30/12/2010, che ha uniformato il sistema della sottoscrizione elettronica al quadro comunitario per le firme elettroniche tracciato dalla direttiva 1999/93/CE, introducendo la nuova tipologia di Firma elettronica avanzata.
Le nuove soluzioni di firma «a mano libera», che prende il nome di firma «grafometrica», sono già in fase avanzata di sperimentazione. Alcuni Caf e professionisti, con il supporto tecnico di software house associate ad Assosoftware, stanno utilizzando in questi mesi tablet con standard di sicurezza molto elevati (per esempio con certificato digitale integrato) per far apporre ai contribuenti la propria firma autografa a video direttamente sui pdf dei modelli 730 e Unico.
Le soluzioni saranno disponibili sul mercato dopo la pubblicazione del decreto contenente le regole tecniche del Cad (atteso per fine giugno) a prezzi assolutamente accessibili. Per far chiarezza su questa e sulle altre importanti novità contenute nel nuovo Cad, sugli scenari che si prospettano anche in relazione agli adempimenti nei confronti della pubblica amministrazione, in particolare dell'Agenzia delle entrate e del ministero del lavoro, Assosoftware ha organizzato un convegno dal taglio tecnico che si terrà a Bologna il 22.06.2012, presso l'Hotel NH Bologna De La Gare, dal titolo «Il nuovo cad e le regole tecniche per la formazione del documento informatico e per la gestione documentale: analisi dell'impatto del provvedimento sui sistemi di conservazione sostitutiva e gestione documentale. Il confronto con DigitPA, Agenzia delle entrate e gli esperti del settore».
Tipologie di firma e valenza probatoria. Nell'attuale scenario normativo sono previste quattro tipologie di firma del documento informatico, che assicurano diversi livelli sicurezza, cui sono riconosciuti differenti effetti giuridici la cui valenza probatoria è espressamente disciplinata dall'art. 21 del Cad.
Firma elettronica. È la cosiddetta «firma debole», permette l'identificazione informatica dell'autore senza l'utilizzo di un dispositivo fisico di firma.
Valore giuridico: il valore probatorio è basso ed è liberamente valutabile dal giudice in fase di giudizio in base a caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza. I casi di applicazione pratica sono pochissimi e di solito correlati a specifiche realtà aziendali.
Firma elettronica avanzata. È un particolare tipo di firma costituita da un insieme di dati che, connessi o allegati ad un documento informatico (es. Pdf), permettono di garantire l'autenticità del documento, l'integrità rispetto a successive modifiche e che assicura il controllo esclusivo dello strumento fisico di firma e quindi la paternità giuridica del documento. Valore giuridico: è quello previsto dall'art. 2702 del codice civile per la scrittura privata. A livello probatorio l'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria.
Firma elettronica qualificata. È un particolare tipo di Firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato, realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma (SSCD), che garantisce l'identificazione univoca del titolare. Valore giuridico: il documento è riconosciuto valido a tutti gli effetti di legge e soddisfa sia i requisiti dall'art. 2702 del codice civile per la scrittura privata, che quelli dell'art. 1350, comma 1, nn. 1-12, del codice civile, per la forma scritta. È prevista l'inversione dell'onere della prova, per cui chi intende disconoscere la sottoscrizione di un documento deve provare che l'apposizione della firma è riconducibile ad altri e che detta apposizione non è imputabile a sua colpa. Firma digitale.
La Firma digitale è anch'essa un particolare tipo di Firma elettronica avanzata, che garantisce l'identificazione univoca del titolare. Si basa su un certificato qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, di garantire e verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici. Grazie a questa caratteristica il Cad non prevede espressamente l'utilizzo di un dispositivo sicuro (art. 1, comma 1, lettera s).
Valore giuridico: è il medesimo della Firma elettronica qualificata (articolo ItaliaOggi del 30.05.201).

PUBBLICO IMPIEGOGiustizia. Emendamento presentato da Patroni Griffi. Corruzione, anonimato garantito al dipendente-spia.
PROCESSO RUBY/ Il Pd punta il dito contro la norma ad personam del Pdl che ribatte: voi vi siete rimangiati l'abrogazione della concussione.

L'un contro l'altro armati, ma con un obiettivo comune: non arretrare (o avanzare, secondo i punti di vista) rispetto alla mediazione-Severino. Così si presenta la «strana» maggioranza alla vigilia del voto in aula sul ddl anticorruzione: il Pd presenta emendamenti per aumentare le pene e la prescrizione, il Pdl per diminuirle e cancellare alcuni reati, come il traffico di influenze illecite e la (ex) concussione per induzione (o per restringerne il campo).
Il Pd accusa il Pdl di «non perdere il vizio di norme ad personam» a causa dell'emendamento-Sisto sulla concussione "patrimoniale" e delle sue ricadute sul processo-Ruby; il Pdl accusa il Pd di «incoerenza» perché si è rimangiato un emendamento «soppressivo» della concussione che era «in linea con le esigenze europee». L'opposizione, con Federico Palomba (Idv), dice che l'emendamento-Sisto è «indecente» ma «strumentale» perché mira a «deviare l'attenzione dell'opinione pubblica dal vero obiettivo: alzare una cortina fumogena sulla scomparsa della concussione per induzione e sulla sua trasformazione in un reato meno grave che porterà all'estinzione molti processi, compresi quelli a carico di imputati eccellenti dei partiti di governo (Berlusconi, Penati ecc. - ndr). Aspettiamo ancora una risposta del ministro Severino».
Da oggi l'aula della Camera comincia a votare: i primi 12 articoli riguardano la -non meno importante- prevenzione della corruzione e (articolo 12) il delicato tema del rientro in servizio dei magistrati "fuori ruolo", su cui l'Udc propone di correggere l'emendamento Giachetti (Pd) passato in commissione, così da escludere le toghe in servizio presso il Quirinale, il Csm e la Consulta dai vincoli sul doppio mandato.
La vera novità di ieri sono stati gli 8 emendamenti del governo, più volte annunciati dal ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi per rafforzare la prevenzione. Tra questi, quello sulla garanzia di anonimato riconosciuta al dipendente pubblico che segnalerà gli illeciti consumati nella Pa (sempre che sia in grado di fornire una prova inconfutabile).
Patroni Griffi propone poi varie deleghe al governo, per esempio sui criteri di incompatibilità di dirigenti e dipendenti con altri incarichi e sul codice di comportamento dei dipendenti. Prevede che i bilanci delle diverse istituzioni e i costi unitari di realizzazione delle varie opere siano pubblicati on-line, comprese le informazioni sui titolari degli incarichi dirigenziali della pa; l'attuazione del «Piano di prevenzione della corruzione»; l'esclusione dei condannati (anche se non definitivi) da commissioni per l'accesso o la selezione a posti di pubblico impiego.
Sui primi 11 articoli dovrebbe andare tutto liscio. Sul 12 potrebbe già sorgere qualche problema. Ma le scintille sono in programma sull'articolo 13 (reati e pene). E con il voto segreto (se richiesto) potrebbero esserci sorprese per tutti. Di qui l'ipotesi-fiducia. Gli emendamenti sono meno numerosi di quelli presentati in commissione, ma sulla carta molto distanti, anche dalle posizioni del ministro Severino.
Ieri l'attenzione si è focalizzata sul Pdl, poiché Francesco Sisto ha ripresentato la "norma-Ruby" che restringe la nuova concussione per induzione (creata dal governo in contrapposizione alla concussione per costrizione) ai casi in cui vi sia un «vantaggio» o «un'utilità patrimoniale». Sisto, però, propone prima di «sopprimere» la nuova «induzione».
E a chi gli fa notare che così il colpo di spugna sarebbe garantito, risponde: «È solo una provocazione politica, un pretesto per dimostrare in aula l'incoerenza del Pd che, con un emendamento poi ritirato, cancellava del tutto la concussione. Io voglio parlare di come si è arrivati alla norma-Severino e mettere in risalto le contraddizioni politiche rispetto alle esigenze tecniche e europee. Ma sia chiaro: nessun sabotaggio». Insomma, per difendere il testo Severino, bisogna attaccarlo.
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GLI EMENDAMENTI
L'anonimato
Tra gli emendamenti depositati dal ministro per la Pa Patroni Griffi al Ddl anticorruzione, quello che prevede la garanzia del totale anonimato per il dipendente pubblico che segnalerà gli illeciti che accadono nella pubblica amministrazione
Il codice di comportamento
Tra le proposte di modifica di Patroni Griffi, da segnalare le deleghe al Governo ad adottare, tra l'altro, un decreto legislativo sulla Trasparenza nella Pa o per la creazione di un codice di comportamento dei dipendenti pubblici
Bilanci online
Tutti i bilanci delle diverse istituzioni e i costi unitari di realizzazione delle varie opere dovranno essere pubblicati online. Comprese le informazioni sui titolari degli incarichi dirigenziali nelle Pa (articolo Il Sole 24 Ore del 30.05.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 30.05.2012

ENTI LOCALIPAGAMENTI P.A. - Procedura semplificata: il riconoscimento dei crediti verso la p.a. avviene tramite moduli. La certificazione è standardizzata.
Certificazione semplificata per i crediti relativi a somministrazioni, forniture e appalti vantati dalle imprese nei confronti di amministrazioni statali, regioni, enti locali ed enti del Servizio sanitario nazionale da utilizzare per compensare debiti contributivi, assistenziali, previdenziali e assicurativi iscritti a ruolo alla data del 30.04.2012, o per ottenere un'anticipazione bancaria (eventualmente anche assistita dalla garanzia del Fondo centrale di garanzia), o per cedere il proprio credito.
Sono le novità del pacchetto di misure annunciato dal governo il 22 maggio scorso, che si compone di quattro decreti ministeriali e un accordo Abi-Imprese. Si tratta di un primo tassello di un progetto riformatore del governo.
Le prossime fasi, stando alle dichiarazioni dei giorni scorsi, riguarderanno l'obiettivo di trovare spazio nel bilancio per pagare i debiti pregressi (fase 2) e la necessità di dare completa attuazione alla direttiva sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali (fase 3).
La certificazione. La novità della standardizzazione del procedimento consiste in questo: la certificazione si ottiene mandando un semplice modulo standard all'ente debitore. Con tale istanza, il creditore fornisce fatture ed estremi della prestazione, precisando se intende utilizzare il credito in compensazione con somme iscritte a ruolo e si impegna a non attivare procedimenti in sede giurisdizionale fino alla data indicata per il pagamento (o 12 mesi se la data non è indicata).
L'ente ha 60 giorni di tempo per rispondere, riconoscendo il debito oppure argomentandone l'inesigibilità totale o parziale. Per rispondere utilizza anche in questo caso un modulo standard. Se la p.a. non risponde in tempo, viene nominato un commissario ad acta che nei successivi 60 giorni risponderà al debitore, utilizzando un altro modulo standard. La semplificazione che si ottiene tramite l'utilizzo delle modalità elettroniche è di rilevante importanza per i soggetti interessati, in quanto si evitano così gli obblighi di redazione di atto pubblico e di notificazione nel caso di cessione.
La compensazione. Con la certificazione l'amministrazione debitrice accetta preventivamente la possibilità che il credito venga ceduto a banche o intermediari finanziari abilitati. In alternativa alla cessione, una volta seguito il procedimento della certificazione, il fornitore potrà scegliere di optare per l'istituto della compensazione avvalendosi di un processo semplice e rapido (con comunicazioni in Pec e termini molto stretti).
La compensazione può essere operata solo in caso di imposte iscritte a ruolo entro il 30/04/2012 sia erariali sia locali, anche per crediti verso gli enti del Servizio sanitario nazionale, nonché per contributi sociali e premi assicurativi Inail. L'estensione ad altre entrate riscosse mediante ruolo potrà essere estesa con successivo decreto del Mef.
Il procedimento è il seguente:
1. Il creditore presenta la certificazione del credito all'agente di riscossione e indica le posizioni debitorie che intende estinguere;
2. L'agente (entro 3 gg. con Pec) invia richiesta all'ente debitore per verificare la veridicità della certificazione;
3. L'ente debitore risponde entro dieci gg.;
4. In caso di esito positivo, il debito si compensa con il credito e l'agente comunica all'ente entro cinque gg. con Pec l'avvenuta compensazione. L'ente debitore è tenuto al pagamento dell'importo compensato entro 12 mesi dalla certificazione. In caso di mancato pagamento spontaneo da parte dell'ente debitore dell'importo certificato utilizzato in compensazione, questo viene recuperato mediante riduzione delle somme dovute dallo stato all'ente territoriale a qualsiasi titolo (eccezione per le risorse destinate al finanziamento corrente del Ssn).
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Cessione con procedura semplificata.
Il pacchetto di decreti presentato dal governo in tema di certificazione dei crediti commerciali promette di semplificare e favorire l'accelerazione dei pagamenti dei fornitori di beni e servizi della pubblica amministrazione. Ciò potrà avvenire in modi e forme diversi, a scelta del creditore, che potrà optare per la compensazione dei propri crediti con debiti iscritti a ruolo, per l'assegnazione di titoli di stato in luogo dell'adempimento del proprio credito da parte della p.a. ovvero per l'anticipazione o la cessione dei crediti a banche o intermediari finanziari.
Ciascuna di queste opzioni presuppone che il credito sia stato certificato attraverso la procedura prevista nei decreti. I crediti oggetto della certificazione sono crediti connessi a transazioni commerciali vantati per l'acquisizione di servizi, forniture, che siano certi, liquidi ed esigibili. La certificazione sarà, tra l'altro, funzionale alla cessione del credito a istituti bancari o finanziari e prevederà modalità semplificate di stipula e notifica della cessione, per cui verrebbe meno il requisito della forma dell'atto pubblico o scrittura autenticata per la cessione, e quello della notifica sarebbe assolto attraverso la piattaforma telematica.
Con la certificazione, inoltre, la cessione del credito sarebbe preventivamente accettata dall'amministrazione. Occorrerà attendere la formalizzazione degli accordi tra l'Abi e le associazioni imprenditoriali per comprendere meglio le modalità di attuazione per lo smobilizzo dei crediti delle imprese. Al momento della certificazione di crediti superiori a 10 mila euro verrà effettuata anche la verifica di eventuali inadempienze all'obbligo di versamento derivanti da cartelle di pagamento ai sensi dell'art. 48-bis del dpr 602/1973.
Non è chiaro, allo stato, se una volta che il credito sia stato ceduto, e la cessione accettata nelle forme semplificate, tale verifica non verrà poi più ripetuta dall'amministrazione sul cedente/fornitore, ma soltanto sul cessionario del credito, al momento del pagamento. Con l'istanza di certificazione, si richiederà al creditore di impegnarsi a non attivare procedimenti in sede giurisdizionale per un certo periodo di tempo, fino a un massimo di 12 mesi. La certificazione tuttavia, non dovrebbe pregiudicare i diritti dei creditori a percepire gli interessi dovuti in relazione ai crediti certificati.
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Compensazione, i sette step.
La compensazione tra crediti commerciali verso stato, regioni ed enti locali e debiti iscritti a ruolo non è di per sé una novità.
Chi ha rapporti commerciali con gli enti pubblici ben conosce l'operatività dell'art. 48-bis del dpr 602/1973 che prevede già oggi l'obbligo per ogni debitore pubblico di verificare, prima di procedere al pagamento di importi eccedenti 10 mila euro, che non vi siano iscrizioni a ruolo a carico del beneficiario, ciò al fine di consentire a Equitalia la compensazione del credito con il debito d'imposta iscritto a ruolo.
Con i decreti ministeriali alla firma di Monti si introduce tuttavia un'importante novità: si consente cioè anche all'imprenditore/creditore dello stato di prendere l'iniziativa e di anticipare il pagamento del proprio credito commerciale attraverso la compensazione con un debito iscritto a ruolo relativamente a imposte o contributi previdenziali e assistenziali. Prima di attivare la compensazione è necessario avere ben presente sia lo stato dei debiti iscritti a ruolo che alcuni elementi della procedura, che possiamo così riassumere:
1) sarà opportuno chiedere all'ufficio di Equitalia una visura aggiornata delle iscrizioni a ruolo;
2) individuare l'ammontare delle iscrizioni a ruolo relative ai tributi erariali, locali e ai contributi previdenziali e assistenziali comprensive di sanzioni e interessi. Non tutti gli importi iscritti a ruolo sembrano oggetto di compensazione;
3) verificare con il proprio consulente fiscale lo stato di eventuali contenziosi fiscali, l'eventuale iscrizione di ipoteca su immobili o fermo amministrativo su mezzi di trasporto a garanzia di specifiche cartelle esattoriali o l'inizio di procedure esecutive, ciò al fine di compensare per primi i debiti iscritti a ruolo potenzialmente più onerosi;
4) acquisire dal creditore pubblico la certificazione del credito che potrebbe non costituire riconoscimento di debito, ma esclusivamente un'attestazione dell'esistenza del credito ai soli fini di consentire la compensazione;
5) recarsi con la certificazione del credito presso Equitalia con la lista dei debiti iscritti a ruolo che si vuole compensare con il credito commerciale;
6) ottenere (in 2/3 settimane) la comunicazione di Equitalia di avvenuta compensazione del credito a seguito dei controlli con l'ente pubblico debitore;
7) ritirare l'attestazione di avvenuta compensazione (articolo ItaliaOggi Sette del 28.05.2012).

ENTI LOCALI - VARIIl notaio non si può considerare organo della p.a..
Lo
studio 16.02.2012 n. 21-2012/C del Consiglio nazionale del notariato dedicato alle novità introdotte dalla legge numero 183 del 2011 ha limitato l'applicazione delle legge 183 nell'attività dei notai.
Nel dettaglio lo studio del Cnn arriva alla conclusione che non è possibile estendere l'autocertificazione anche nei rapporti che si svolgono tra il privato e il notaio. Non si può, infatti, considerare il notaio come un organo della pubblica amministrazione. La conseguenza di questa impostazione è che non devono essere sostituiti dalle dichiarazioni sostitutive sia i certificati da prodursi al notaio e sia i certificati allegati agli atti notarili, come ad esempio l'estratto dell'atto di morte di cui all'articolo 620, comma 3, codice civile, necessario per la pubblicazione di un testamento olografo. Il notaio, anzi, per ragioni di opportunità, deve controllare che i certificati che gli sono presentati, contengano la dicitura sulla inutilizzabilità dello stesso presso organi della pubblica amministrazione. Si potrebbe sostenere che la mancanza della dicitura sia un vizio solo formale, ma questa interpretazione non è pacifica, e quindi è meglio essere prudenti.
Inoltre l'articolo 40 citato non riguarda tutti i certificati rilasciati dalla Pubblica amministrazione, ma solo quelli che si riferiscono a stati, qualità personali e fatti: è escluso, quindi, il certificato di destinazione urbanistica di cui all'articolo 30 del Testo unico per l'edilizia, dpr n. 380/2001. Altro aspetto è se la normativa sia applicabile alle certificazioni che i notai debbono utilizzare nei rapporti con organi della pubblica amministrazione. La risposta dello studio è affermativa. In seguito alle novità, pertanto, non si possono più presentare i certificati: alla dichiarazione di successione sicuramente potrà essere allegata la dichiarazione sostitutiva di certificazione (come peraltro già previsto dall'articolo 30, comma 3, del dlgs 346/1990).
Tuttavia va ricordato che l'articolo 6, comma 5, del dl 16/2012, in tema di attività e certificazioni in materia catastale, ha stabilito una deroga all'articolo 40: le disposizioni sulla decertificazione non si applicano ai certificati e alle attestazioni da produrre al conservatore dei registri immobiliari per l'esecuzione di formalità ipotecarie, nonché ai certificati ipotecari e catastali rilasciati dall'Agenzia del territorio.
In conclusione i certificati continuano a essere utilizzabili nei confronti dei notai, del resto così come nei confronti dei tribunali (articolo ItaliaOggi Sette del 28.05.2012).

PUBBLICO IMPIEGO - VARILavoratori invalidi con più tutele. Un mese di congedo se la disabilità è superiore al 50%. La novità introdotta dal dlgs 119/2011. Ecco tutte le mosse per avvalersi delle prerogative.
Un mese di congedo ai lavoratori invalidi. Se superiore al 50%, infatti, l'invalidità dà diritto a un congedo di 30 giorni all'anno per cure mediche connesse con lo stato d'invalidità, da fruire anche in maniera frazionata.
La novità, introdotta dalla riforma dei congedi dello scorso anno (articolo 7 del dlgs n. 119/2011) è una delle prerogative offerte ai lavoratori in caso di disabilità.
Ecco quelle principali e i passi da fare per avvalersene, sulla base delle indicazioni del ministero del lavoro.
Il congedo per cura. Il lavoratore a cui venga riconosciuta un'invalidità civile superiore al 50% hai diritto a un periodo di congedo retribuito per cure mediche connesse con lo stato d'invalidità della durata massima di 30 giorni all'anno, da fruire anche in maniera frazionata. Il datore di lavoro riconosce il congedo dietro domanda del lavoratore interessato, accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale o appartenente a una struttura sanitaria pubblica, dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all'infermità invalidante riconosciuta.
Il congedo è retribuito e il relativo onere, calcolato secondo il regime delle assenze per malattia, è a carico del datore di lavoro. Qualora si tratti di trattamenti terapeutici continuativi, il lavoratore può produrre un'unica domanda e giustificazione dell'assenza, valevole come attestazione cumulativa.
I permessi. Il lavoratore che abbia ottenuto il riconoscimento dello «stato di handicap in situazione di gravità», ha diritto a usufruire, a sua scelta, di un permesso retribuito di due ore al giorno oppure di tre giorni mensili (articolo 33, comma 6, legge n. 104/1992). A tal fine è tenuto a presentare un'apposita domanda all'Inps che rilascerà una copia timbrata e firmata da consegnare al tuo datore di lavoro.
La disciplina nei contratti collettivi. Ogni contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) fissa la durata massima del periodo di malattia. È questo il «periodo di comporto» durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. Nelle ipotesi di specifiche malattia invalidanti (come, per esempio, per le patologie oncologiche), oltre al prolungamento del periodo di comporto alcuni contratti prevedono ulteriori agevolazioni come ad esempio, sul passaggio al lavoro part-time o sui periodi di aspettativa non retribuita.
Altri contratti collettivi escludono dal calcolo del periodo di comporto i giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital e i giorni di assenza dovuti alle conseguenze delle terapie antitumorali, purché debitamente certificati.
La conversione a part-time. In caso di patologia oncologica, il lavoratore ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale o orizzontale, qualora residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti delle terapie salvavita.
Successivamente, inoltre, il lavoratore ha diritto a trasformare nuovamente il rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto di lavoro a tempo pieno. Infine, il lavoratore ha diritto, ove possibile, a scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio; inoltre, in caso di necessità del suo trasferimento in un'altra sede, ciò può avvenire solamente previo il suo consenso.
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Malattie professionali, come dimostrarle.
La patologia oncologica può rappresentare anche una «malattia professionale», cioè connessa al proprio lavoro e come tale assicurata presso l'Inail. A tal fine, esistono tabelle dell'Inail, approvate con decreto ministeriale, che contengono l'elenco di malattia professionali contratte nell'esercizio e/o a causa di alcune specifiche lavorazioni. Se la malattia professionale e il proprio lavoro rientrano in queste tabelle, si può attivare con il proprio medico anche la procedura per richiedere il riconoscimento di prestazioni economiche a carico dell'Inail. Se, invece, la patologia non rientra tra quelle contemplate nelle tabelle, ma si è comunque convinti che possa esserci un nesso, allora si rende necessario dimostrare l'origine lavorativa mediante idonea documentazione sanitaria.
In ogni caso, bisogna comunicare al proprio datore di lavoro il sospeso carattere professionale della malattia mediante produzione di un certificato medico, entro 15 giorni dall'avvenuta conoscenza o prima manifestazione della patologia; se il termine non viene rispettato, si decade dal diritto all'indennizzo per il periodo precedente la denuncia (trascorsi 15 giorni, in altre parole, l'eventuale indennizzo a carico Inail decorrerà dalla data di presentazione della denuncia). Il datore di lavoro di conseguenza è tenuto a denunciare all'Inail la malattia professionale del proprio dipendente entro cinque giorni dalla data di ricevimento del certificato medico.
Le ultime «tabelle delle malattia professionali nell'industria e nell'agricoltura» sono state approvate con dm 09.04.2008, pubblicato in gazzetta ufficiale n. 169 del 21.07.2008, e sono entrate in vigore il giorno seguente. Le tabelle sono state oggetto di revisione delle precedenti, il cui ultimo aggiornamento risaliva al 1994.
Le nuove tabelle prevedono 85 voci per l'industria (prima erano 58) e 24 per l'agricoltura (in precedenza 27) essendo stati esclusi alcuni agenti chimici per i quali vige ormai da tempo espresso divieto di utilizzo.
Conservano la stessa struttura delle precedenti con suddivisione in tre colonne (malattie, lavorazioni e periodo massimo di indennizzabilità) e, in ordine, sono elencate le malattie da agenti chimici, quelle dell'apparato respiratorio, della pelle non descritte in altre voci e quelle da agenti fisici. Per ciascuna voce di tabella è stata inserita l'indicazione nosologica delle malattie correlate ai diversi agenti, con la relativa codifica Icd10. Tra le diverse patologie hanno trovato collocazione numerose forme neoplastiche con l'indicazione dell'organo bersaglio.
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Permessi di tre giorni per i familiari.
I familiari di disabili hanno diritto a un permesso retribuito di tre giorni mensili a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno. Inoltre hanno diritto: a un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all'anno (articolo 4, comma 1, della legge n. 53/2000); alla priorità della trasformazione del contratto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale in caso di patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i figli o i genitori della/del lavoratrice/tore, nonché nel caso in cui la lavoratrice o il lavoratore assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, che assuma connotazione di gravità; a un periodo di congedo straordinario retribuito, continuativo o frazionato, fino a un massimo di due anni, a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza di colui che presta assistenza.
Quest'ultimo congedo può essere usufruito dai familiari secondo il seguente ordine di preferenza: coniuge convivente del malato (non ricoverato) portatore di handicap in situazione di gravità; genitori (naturali, adottivi e affidatari) anche non conviventi, in caso di mancanza o decesso del coniuge o in presenza di altre cause impeditive; figlio convivente, sempre che gli altri familiari siano impossibilitati a fruire del congedo per fornire assistenza; fratello o sorella conviventi con il portatore di handicap grave, in caso di decesso o di impossibilità delle altre categorie di familiari sopra indicate (articolo ItaliaOggi Sette del 28.05.2012).

ATTI AMMINISTRATIVISemplificazione. Senza regolamento. Il Dg o il segretario tagliano i tempi.
L'OBBLIGO/ I vertici apicali sono le figure chiamate a commissariare gli uffici che ritardano nella risposta alle istanze dei cittadini.

Il direttore generale e, negli enti locali che ne sono sprovvisti, il segretario, da aprile (e fino a quando l'amministrazione non si sarà data una norma regolamentare) sostituiscono gli uffici in caso di mancata risposta entro i termini alle istanze presentate dai cittadini.
È il principale e immediato effetto dell'entrata in vigore della legge 35/2012, di conversione del Dl 5/2012 sulla semplificazione. Con questa norma il legislatore offre ai privati uno strumento aggiuntivo di tutela nei casi di silenzio-rigetto delle amministrazioni che si aggiunge alla possibilità di ricorso al Tar.
La nuova regola chiede alle amministrazioni di individuare il dirigente, o i dirigenti, che si sostituiscono a quelli competenti nel caso di mancata risposta. Fino a quel momento la norma si applica comunque e prevede l'automatica individuazione del dirigente-sostituto nel dirigente generale o, in mancanza, nel dirigente competente o, in mancanza, nel funzionario più elevato. Negli enti locali, in cui la dirigenza non è articolata su due ruoli, i compiti di coordinamento affidati a direttori generali e segretari possono essere considerati per molti versi analoghi a quelli affidati nelle amministrazioni statali al dirigente generale. Questa opportunità si applica a tutti i procedimenti avviati a istanza di parte, salvo quelli tributari o relativi ai giochi. Occorre chiarire se questa esclusione si può estendere anche ai procedimenti che riguardano entrate extra tributarie, quali ad esempio i canoni e le tariffe.
Per attivare il nuovo istituto occorre una richiesta proveniente dal privato interessato. Il dirigente-sostituto deve garantire la risposta entro un termine massimo pari alla metà della scadenza ordinaria: manca una specifica sanzione in caso di suo inadempimento. Egli può provvedere direttamente, avvalersi degli uffici o nominare un commissario ad acta.
La norma determina un trasferimento di competenza e individua una sorta di organo straordinario. La possibilità di nomina di un commissario ad acta è una previsione inedita. Solleva qualche perplessità, quanto meno in termini di opportunità e di costi aggiuntivi, la possibilità di individuare come commissario ad acta un soggetto esterno all'ente. Il dirigente individuato come sostituto deve inoltre annualmente informare l'ente dei procedimenti in cui si è sostituito: ovviamente se ne deve tener conto nella valutazione dei dirigenti.
La norma prevede due vincoli ulteriori. In tutti i provvedimenti adottati occorre indicare il termine previsto dall'ordinamento e quello effettivo, e le sentenze che condannano le Pa in caso di silenzio rigetto devono essere trasmesse telematicamente alla Corte dei Conti: non è individuato il destinatario, ma si deve ritenere che sia la Procura in quanto la comunicazione serve a verificare l'esistenza di possibili profili di responsabilità amministrativa (articolo Il Sole 24 Ore del 28.05.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALII debiti della Pa. Con il decreto la liquidazione dei debiti dovrebbe superare il rischio che la cessione sia «elusiva».
Pagamenti ancora legati dal Patto. Il meccanismo della certificazione non aggira i vincoli di finanza pubblica.

I decreti sulla certificazione dei crediti delle imprese non alleggeriscono i vincoli di finanza pubblica.
Il decreto ministeriale sugli enti locali –che dovrà passare al vaglio della Conferenza Stato-Regioni prima di concludere l'iter- stabilisce infatti (articolo 2) che i pagamenti in conto capitale degli enti locali conseguenti alle certificazioni concorrono al perseguimento degli obiettivi del Patto. I pagamenti degli investimenti continuano dunque a rappresentare uscite rilevanti (si veda il Sole 24 Ore di lunedì 21 maggio).
La regolamentazione del procedimento di certificazione, e il commissariamento in caso di inerzia degli enti, consentono semmai un'accelerazione della fase propedeutica alla cessione del credito alle banche, a cui spetta tuttavia la sottoscrizione degli atti di cessione. La certificazione non pregiudica inoltre il diritto del creditore agli interessi sulle somme dovute.
Il ritardo nel pagamento di somme certificate comporta dunque il potenziale sostenimento di oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, con evidenti ripercussioni anche in tema di responsabilità amministrativa ed erariale.
Secondo l'articolo 3, comma 3, del Dm, la certificazione non può essere rilasciata in caso di procedimenti giurisdizionali pendenti per la medesima ragione di credito. La norma poco aggiunge alle disposizioni precedenti, secondo le quali la certificazione è dovuta solo in caso di certezza, liquidità ed esigibilità del credito.
La liquidazione infatti (articolo 184 Tuel) è la fase del procedimento di spesa attraverso la quale, in base ai documenti e ai titoli atti a comprovare il diritto, il responsabile del procedimento determina la somma certa e liquida da pagare nei limiti dell'impegno definitivo assunto. Poiché il decreto stabilisce l'obbligo a carico della Pa di accettare sin dal momento della certificazione la possibile cessione del credito a banche o intermediari finanziari, è necessario che si proceda alla verifica di eventuali debiti fiscali (articolo 48-bis del Dpr 602/1973). Questa indagine non mette però al sicuro da potenziali situazioni moratorie che potrebbero sussistere in data successiva, cioè al momento della formalizzazione dell'atto di cessione.
Come chiarito dall'Economia anche con circolari 22/2008 e 29/2009, la Pa è infatti tenuta a operare all'atto della cessione la verifica a carico del cedente per tutti i pagamenti superiori a 10mila euro.
Per evitare l'insorgere di casi potenzialmente idonei a integrare la fattispecie elusiva del Patto, il modello di certificazione allegato al decreto prevede la possibilità di rinviare il pagamento a carico della Pa per un periodo non superiore ai 12 mesi dalla data dell'istanza di certificazione.
La norma, in linea con le decisioni Eurostat sulla durata dei debiti di funzionamento, contribuisce a chiarire alcune perplessità sorte da interpretazioni della giurisprudenza contabile, secondo cui le operazioni finanziarie per esternalizzare a terzi (compresi gli istituti finanziari) la procedura di pagamento, rinviandone l'imputazione a bilancio, potrebbero configurare ipotesi elusive. Con la cessione del credito, sostengono infatti alcuni magistrati, la liquidità di tesoreria non sarebbe rappresentativa delle reali condizioni dell'ente locale.
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I punti controversi
1 - Patto di stabilità
I versamenti relativi a impegni in conto capitale continuano a essere considerati rilevanti ai fini del Patto, per cui non possono in ogni caso portare allo sforamento degli obiettivi di saldo dell'ente
2 - Cessioni
La cessione va accettata fin dal momento della certificazione.
La verifica ex articolo 48-bis effettuata al momento della cessione non mette quindi al sicuro dalle situazioni successive
3 - Elusioni
Alcuni magistrati contabili hanno considerato «elusive» alcune forme di cessione del credito. Il decreto permette un rinvio di 12 mesi dalla certificazione al pagamento per evitare problemi
4 - Contenzioso
Non sono certificabili (e quindi cedibili) crediti oggetti di contenzioso. Questo era già previsto dalla normativa precedente, perché mancano i requisiti di certezza ed esigibilità (articolo Il Sole 24 Ore del 28.05.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 28.05.2012

ENTI LOCALI - VARILA CIRCOLARE SULL'IMU/ Terreni, variazioni da comunicare. Niente sanzioni se l'ente non informa sui cambi di destinazione. Se il comune è inadempiente esclusi anche gli interessi moratori.
Anche per l'Imu, i comuni sono tenuti a fornire informazioni ai contribuenti sulle variazioni urbanistiche e i cambi di destinazione dei terreni in aree edificabili. Nel caso in cui non venga inviata la comunicazione, non devono essere irrogate al titolare dell'area né sanzioni né interessi moratori sul tributo dovuto.

Lo ha chiarito il dipartimento delle finanze del ministero dell'Economia, con la
circolare 18.05.2012 n. 3/DF.
Dunque, la regola imposta dall'articolo 31, comma 20, della legge 289/2002 (Finanziaria 2003) vale anche per l'Imu. Questa norma prevede che debba essere informato il contribuente delle variazioni apportate agli strumenti urbanistici. Quando i comuni attribuiscono a un terreno la natura di area fabbricabile sono obbligati a darne comunicazione al contribuente, a mezzo posta, con modalità idonee a garantire l'effettiva conoscenza.
Per il dipartimento, spetta ai comuni «disciplinare autonomamente la procedura adottando lo schema più confacente alla propria organizzazione». Il mancato rispetto dell'adempimento non comporta alcuna conseguenza in ordine agli obblighi che incombono sul contribuente: il tributo sull'area è comunque dovuto. Tuttavia, precisa la circolare, in base all'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000), non possono essere richieste sanzioni e interessi. Del resto «la norma ha il fine di fornire le garanzie procedimentali poste a tutela del contribuente assurte a principio generale dell'ordinamento tributario».
Il ministero, correttamente, va oltre quanto affermato dalla giurisprudenza che in passato si è limitata ad annullare le sanzioni irrogate dai comuni, riconoscendo solo la causa di non punibilità stabilita dall'articolo 6 del decreto legislativo 472/1997. Mentre lo Statuto esclude anche la richiesta degli interessi quando il comportamento del contribuente risulti posto in essere in seguito a errori o omissioni dell'amministrazione. In effetti, il contribuente è tenuto a pagare le imposte su un'area edificabile anche se il comune non lo abbia informato delle variazioni apportate allo strumento urbanistico e non abbia comunicato il cambio di destinazione del terreno.
La Corte di cassazione, con la sentenza 15558/2009, ha ritenuto ininfluente la mancata comunicazione al proprietario, non essendo specificamente prevista una sanzione ad hoc dalla norma che ne ha imposto l'obbligo. La mancata comunicazione del cambiamento urbanistico non può avere un'incidenza sugli obblighi di dichiarazione e versamento dell'imposta, che sono autonomamente disciplinati dalla legge. Se il comune non ha provveduto a comunicare, formalmente, il cambio di destinazione del terreno, e il contribuente violi l'obbligo di dichiarazione e di versamento, si può ritenere che ricorra una causa di non punibilità.
Occorre precisare che l'articolo 31 non ha alcuna efficacia retroattiva. Pertanto, l'obbligo di comunicazione riguarda solo i cambi di destinazione dei terreni attuati a decorrere dall'01.01.2003. L'Imu è dovuta dal momento i cui l'area è inserita in un piano regolatore generale adottato dal consiglio comunale, anche se non approvato dalla regione. L'articolo 36, comma 2, della legge 248/2006 dispone che un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale deliberato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'emanazione di strumenti attuativi (articolo ItaliaOggi del 26.05.2012 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIEvasione, l'Inps arruola i comuni. Controlli su edilizia, ambulanti, commercio e artigianato. Un messaggio dell'Istituto di previdenza detta le istruzioni sulle segnalazioni qualificate.
Comuni in campo contro l'evasione contributiva. Edilizia, commercio ambulante e attività artigiane e commerciali «fantasma» sono gli ambiti rilevanti ai fini Inps per i quali, per ogni segnalazione qualificata effettuata, i comuni riceveranno una quota (33%) delle sanzioni eventualmente riscosse. Ma, come detto, deve trattarsi di «segnalazioni qualificate», ossia segnalazioni evidenti di posizioni soggettive irregolari, per evasione o elusione, che non richiedono ulteriori elaborazioni dell'Inps.
A precisarlo, tra l'altro, è lo stesso ente di previdenza che, nel messaggio n. 8798/2012, detta le prime istruzioni per la collaborazione con i comuni alle attività di accertamento tributari e contributivi, anticipando il provvedimento dell'Agenzia delle entrate, di prossima pubblicazione, attuativo dell'articolo 18 del dl n. 78/2010.
Comuni in campo.
Il dl n. 78/2010, come modificato dal dl n. 201/2011, al fine di potenziare l'azione di contrasto all'evasione fiscale e contributiva, incentiva la partecipazione dei comuni all'accertamento fiscale e contributivo con il riconoscimento di una quota pari al 33% dei maggiori tributi statali riscossi e delle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi riscossi a titolo definitivo.
Al fine di realizzare questa collaborazione, spiega l'Inps, le amministrazioni interessate (Agenzia entrate, Inps, Agenzia del territorio, Conferenza unificata), con il supporto dell'Anci, hanno avviato un percorso per definire gli ambiti di collaborazione e le modalità tecniche di accesso alle banche dati e l'invio delle «segnalazioni qualificate» da parte dei comuni. Per segnalazioni qualificate, precisa il messaggio, «si intendono quelle posizioni soggettive che a seguito di rilievi svolti dai comuni devono evidenziare comportamenti evasivi e/o elusivi senza ulteriori elaborazioni logiche da parte dell'istituto».
Gli ambiti rilevanti.
L'attuazione dell'articolo 18 è rimessa al provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate che, spiega l'Inps, sarà pubblicato a breve dopo il recepimento di alcune modifiche del Garante privacy. Il provvedimento definisce le modalità di accesso alle banche dati e di trasmissione delle informazioni utilizzabili ai fini dell'accertamento fiscale e contributivo.
Inoltre, per quanto riguarda l'Inps, determina gli ambiti rilevanti ai fini dell'accertamento dei contributi non dichiarati. I predetti ambiti, in particolare, riguardano i soggetti che:
- effettuano attività edilizia omettendo la denunzia contributiva relativa all'impresa;
- svolgono attività «fantasma» di commercio ambulante o su area pubblica omettendo la comunicazione Unica ai fini fiscali, amministrativi e previdenziali e/o la denunzia contributiva relativa alla impresa;
- svolgono attività commerciale o artigiana «fantasma» omettendo sia la Comunicazione Unica ai fini fiscali, amministrativi e previdenziali, che la denunzia contributiva relativa all'impresa.
Le convenzioni.
L'Inps, spiega ancora il messaggio, ha avviato un tavolo di lavoro con l'Unione dei comuni e con il supporto dell'Anci, per definire un processo operativo di partecipazione dei comuni all'attività di accertamento. Il processo, in particolare, prevede la messa a disposizione dei comuni interessati, a seguito di sottoscrizione di specifica convenzione (l'Inps sta predisponendo una bozza di convenzione-quadro), di una procedura che consente di inviare all'Inps soltanto le informazioni considerate «segnalazioni qualificate».
Il processo sarà supportato da una procedura telematica che consentirà anche di operare le ulteriori verifiche amministrative e/o ispettive da parte dell'Inps, nonché di quantificare le somme per sanzioni civili destinate ai comuni (articolo ItaliaOggi del 25.05.2012 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIAutovelox, multe subito in bilancio. L'obbligo scatta dal 1° giugno. Dal 2013 relazione al ministero. I municipi navigano a vista sulla ripartizione dei proventi. Serve una delibera di giunta.
Scatterà potenzialmente già dal prossimo mese di giugno l'obbligo di ripartire con l'ente proprietario della strada i proventi derivanti delle multe accertate con autovelox e telelaser. Ma al momento sarà sufficiente accantonare le risorse e variare i bilanci. Solo dal prossimo anno infatti gli enti locali dovranno inviare al ministero la relazione indicante l'importo dei proventi autovelox ripartiti e l'ammontare di tutte le multe stradali con le spese effettuate. E procedere alla materiale destinazione delle risorse.
Sono questi gli importanti effetti contabili e gestionali introdotti automaticamente dall'01.01.2012 (in mancanza di un decreto ad hoc da adottare entro il 31 maggio e di cui non vi è traccia) dal comma 16 dell'art. 4-ter del dl 16/2012, inserito in fretta e furia in sede di conversione dalla legge n. 44/2012, in vigore dal 29.04.2012. Sull'intera questione la prudenza è d'obbligo anche in considerazione dell'assoluta mancanza di indicazioni ministeriali, peraltro molto attese dai comuni.
L'unica certezza al momento è che la ripartizione dei proventi autovelox riguarderà gli accertamenti alle violazioni dei limiti massimi di velocità rilevati dagli organi di polizia stradale sulle strade appartenenti a enti diversi da quelli dai quali dipendono gli organi accertatori, con esclusione delle strade Anas. Le somme derivanti dalla ripartizione dei proventi delle sanzioni dovranno essere destinate alla realizzazione di interventi mirati, preventivamente individuati dalla legge. E sarà necessario relazionare annualmente al ministero, a partire dal 31.05.2013, tutte le infrazioni stradali accertate nel corso dell'anno precedente, con particolare attenzione all'autovelox.
Sono molte però le criticità da risolvere. Innanzitutto la data esatta dalla quale decorre questo nuovo obbligo. Stando a una lettura formale della norma i 90 giorni concessi per l'emanazione del dm fantasma decorrono dal 02.03.2012, data di entrata in vigore del decreto legge n. 16/2012. Pertanto se il decreto, come risulta a ItaliaOggi, non sarà emanato entro il 31 maggio, dall'01.06.2012 ai sensi della novella di aprile troveranno immediata applicazione formale le disposizioni del codice della strada di cui all'art. 142, commi 12-bis (obbligo di ripartizione dei proventi), 12-ter (destinazione delle somme derivanti dai proventi ripartiti) e 12-quater (relazione da inviare entro il 31 maggio di ogni anno al ministero dei trasporti e al ministero dell'interno).
Non mancano però interpretazioni dottrinarie che, disancorandosi dalla lettura formale della disposizione introdotta in malo modo nella conversione in legge del dl 16/2012, individuano il dies a quo per il calcolo dei novanta giorni non nel 2 marzo, ma nel 29.04.2012, data di entrata in vigore della legge di conversione n. 44/2012. In tal caso, dunque, l'obbligo di ripartizione dei proventi e tutta la burocrazia connessa decorrerebbero dal 29.07.2012.
Altri considerano infine rinviato comunque ogni effetto dell'automatismo all'01.01.2013 in virtù della disposizione prevista dall'art. 25/3° della legge 120/2010.
Aderendo a una valutazione prudente è corretto ritenere operativa già da quest'anno la nuova destinazione dei proventi autovelox da suddividere con l'ente proprietario della strada e variare prima possibile il bilancio di previsione iscrivendo anche gli importi di spettanza di altri enti. Ma anche adottare una nuova delibera di giunta sulla destinazione degli importi (articolo ItaliaOggi del 25.05.2012).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Commissioni come consigli. Devono rispecchiare la composizione dei gruppi. In caso di cambio di casacca va garantita una rappresentanza proporzionale.
È necessario provvedere a un riequilibrio generale delle commissioni consiliari permanenti originariamente costituite se, a fronte dei molteplici mutamenti politici intervenuti nel tempo, si è modificata la compagine dei consiglieri e, quindi, la composizione dei gruppi? Il consigliere che ha cambiato gruppo, se riveste le funzioni di presidente di una commissione consiliare, deve continuare a svolgere tali funzioni fino al termine del mandato oppure si deve procedere alla sua sostituzione?
Le commissioni consiliari previste dall'articolo 38, comma 6 del dlgs n. 267/2000, una volta istituite sulla base di una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate dall'apposito regolamento comunale con l'unico limite, posto dal legislatore, riguardante il rispetto del criterio proporzionale nella composizione. Ciò significa che le forze politiche presenti in consiglio devono essere il più possibile rispecchiate anche nelle commissioni, in modo che in ciascuna di esse ne sia riprodotto il peso numerico e di voto.
Il caso prospettato si inquadra nell'ambito dei possibili mutamenti che possono sopravvenire all'interno delle forze politiche presenti in consiglio comunale per effetto di dissociazioni dall'originario gruppo di appartenenza, comportanti la costituzione di nuovi gruppi consiliari ovvero l'adesione a diversi gruppi esistenti. Il principio generale del divieto di mandato imperativo, sancito dall'articolo 67 della Costituzione, assicura ad ogni consigliere l'esercizio del mandato ricevuto dagli elettori -pur conservando verso gli stessi la responsabilità politica- con assoluta libertà, ivi compresa quella di far venir meno l'appartenenza dell'eletto alla lista o alla coalizione di originaria appartenenza. (cfr. Tar, Trentino-Alto Adige, Trento n. 75 del 2009)
Va da sé che i mutamenti in parola modificano i rapporti tra le forze politiche presenti in consiglio, incidendo sul numero dei gruppi ovvero sulla consistenza numerica degli stessi, e ciò non può non influire sulla composizione delle commissioni consiliari che deve, pertanto, adeguarsi ai nuovi assetti. La fattispecie prospettata va, pertanto, inquadrata nell'ambito di un riequilibrio generale degli assetti presenti nelle commissioni. Quanto al rispetto del criterio proporzionale previsto dal citato articolo 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000, il legislatore non precisa come lo stesso debba essere declinato in concreto. Spetta al regolamento, cui sono demandate la determinazione dei poteri delle commissioni nonché la disciplina dell'organizzazione e delle forme di pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi idonei a garantirne il rispetto.
Secondo quanto osservato dal Tar Lombardia, nella sentenza n. 567/1996, il criterio proporzionale è posto dal legislatore come direttiva suscettibile di svariate opzioni applicative, egualmente legittime purché coerenti con la ratio che quel principio sottende, e che consiste nell'assicurare in seno alle commissioni la maggiore rappresentatività possibile. Al raggiungimento di questo risultato concorrono, come esperienza e prassi dimostrano, non soltanto la rappresentanza individuale proporzionata alla consistenza delle forze politiche presenti nell'organo elettivo, ma anche –quando la varietà di consistenza e di numero dei gruppi non consenta di conseguire l'obiettivo con precisione aritmetica, per quozienti interi– meccanismi tecnici (quali il voto ponderato, il voto plurimo e simili) idonei ad assicurare a ciascun commissario un peso corrispondente a quello della forza politica che rappresenta.
Nel caso di specie se, in materia di commissioni consiliari, il regolamento sul funzionamento del consiglio comunale prevede che la ripartizione dei membri delle commissioni da parte dei singoli gruppi deve essere effettuata con un criterio di proporzionalità –garantendo, comunque a ciascun consigliere la presenza in almeno una commissione consiliare- e che nel caso di dimissioni, decadenza od altro motivo che renda necessaria la sostituzione di un Consigliere, il presidente del gruppo consiliare di appartenenza designi un altro rappresentante, è necessario provvedere, anche al fine di adeguare la composizione delle commissioni al criterio proporzionale previsto dal citato art. 38 del dlgs 267/2000, a una revisione complessiva delle stesse con una deliberazione del consiglio comunale che prenda atto della designazione dei consiglieri in rappresentanza dei gruppi neo costituiti e della sostituzione dei consiglieri.
Il disposto recato dal regolamento comunale in combinato disposto con il citato art. 38 Tuel è applicabile anche alla ipotesi prospettata del consigliere eletto presidente di una commissione in rappresentanza di un gruppo dal quale successivamente si sia dissociato (articolo ItaliaOggi del 25.05.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Edilizia, bonus sale. Ristrutturare con lo sgravio del 50%.  Nel dl infrastrutture incentivi per il risparmio energetico.
La detrazione del 36% per la ristrutturazioni edilizie potrebbe arrivare al 50% con un tetto di 96 mila euro per unità immobiliare (invece dell'attuale limite di 48 mila euro). Sarà invece prevista come stabile la detraibilità fino al 55% delle spese per interventi di riqualificazione energetica.
Sono queste alcune delle proposte che il ministero delle infrastrutture ha messo a punto e sulle quali si dovrà confrontare con il ministero dell'economia, in capo al premier Mario Monti, in vista della prossima adozione di un decreto-legge per il rilancio delle infrastrutture, parte dell'intervento sulla crescita di cui ha parlato in queste settimane il ministro per le infrastrutture e sviluppo economico, Corrado Passera. Per le detrazioni sugli interventi di ristrutturazione edilizia, la proposta del governo è quella di innalzare dal 36 al 50% la quota detraibile ai fini Irpef aumentando anche l'importo massimo della spesa per unità immobiliare da 48 mila a 96.mila euro.
L'obiettivo è quello di incentivare la ripresa del mercato delle costruzioni e, in particolare quello delle ristrutturazioni che, dalle stime in possesso del governo, nel periodo 1998-2006, attraverso l'incentivo ha potuto contare su un incremento annuo degli investimenti in ristrutturazioni stimabile in circa 1,1 miliardi di euro che, con l'aumento dal 36 al 50% dovrebbe aumentare di altri 350 milioni.
L'aumento di percentuale di detrazione di 14 punti percentuali determinerà un minor gettito Irpef complessivo pari a 1,2 miliardi in dici anni, compensato da un incremento di gettito conseguente all'effetto incentivante sugli investimenti sia con riferimento all'incremento del gettito Iva sia con riferimento all'incremento delle imposte dirette cioè Irpef-Ires-Irap. Oltre all'intervento sulle ristrutturazioni edilizie la proposta del governo prevede che sia portato a regime la detrazione del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica, anche in questo caso con la finalità di incentivare la ripresa del mercato delle costruzioni. Gli oneri che il governo stima possano determinarsi per la messa a regime dell'incentivo ammontano a 2.475 milioni di euro che ripartiti nelle dieci quote annuali (come previsto per legge) risultano 248 milioni di euro annui.
A questi interventi sulle ristrutturazioni e sulla riqualificazione energetica si aggiungono poi altri interventi che tendono ad agevolare il regime fiscale per l'invenduto a favore dei costruttori e altri che incidono sull'acquisto degli immobili (esenzione Imu biennale per le case il cui valore dichiarato sia inferiore a 200 mila euro e detrazione delle spese di registro dell'atto di acquisto) e sulla detrazione degli interessi passivi per i mutui (si arriva alla totale detraibilità degli interessi, con un costo, però per l'Erario pari a più di un miliardo di euro per il 2013).
Trattandosi di proposte che potrebbero avere ripercussioni non da poco sugli equilibri di bilancio, il confronto con il ministero dell'economia sarà evidentemente decisivo, così come lo era ai tempi dell'ex ministro Giulio Tremonti (articolo ItaliaOggi del 23.05.2012 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Box, comprare senza l'alloggio. Notai di Milano su nuove opportunità.
Nuove opportunità dalla compravendita dei box privati separatamente dagli appartamenti. Il recente dl n. 5/2012 di semplificazione e sviluppo ha consentito, a determinate condizioni, la libera circolazione dei cosiddetti parcheggi Tognoli, che fino a oggi non potevano essere venduti senza l'abitazione di pertinenza, pena la nullità del contratto. La disciplina della circolazione dei box rimane molto complessa e articolata.
Se ne parlerà oggi pomeriggio alle 18 all'Urban Center di Milano, nella Galleria Vittorio Emanuele, nell'ultimo incontro dell'iniziativa «Comprar casa senza rischi» organizzata dal Consiglio notarile del capoluogo lombardo.
Nel quadro normativo attuale si possono distinguere sostanzialmente tre categorie, in ognuna delle quali la vendita separata del box dall'appartamento è disciplinata in maniera differente: parcheggi ponte o standard (dal nome della legge ponte n. 765/1967), parcheggi Tognoli (anche in questo caso dal nome attribuito alla legge n. 122/89) e parcheggi liberi (si veda la tabella elaborata dal Consiglio notarile di Milano).
I parcheggi Tognoli si suddividono a loro volta in due categorie: pubblici (per i quali la vendita separata è legittima soltanto ove ciò sia espressamente previsto dalla convenzione originaria stipulata con il comune, perché in questi caso la costruzione dei box avviene in proprietà superficiaria su aree di proprietà pubblica) e privati (per i quali sono state previste dalla legge n. 122/1989 numerose agevolazioni urbanistiche e civilistiche: si pensi, ad esempio, alle maggioranze ridotte necessarie per autorizzare la costruzione di parcheggi interrati in ambito condominiale).
A seguito della novella del 2012, come spiegato il notaio Ugo Friedmann, i parcheggi Tognoli privati possono essere venduti separatamente dall'appartamento, nel rispetto delle norme civilistiche sulla pertinenza e delle due seguenti condizioni: la destinazione del bene deve rimanere la stessa (dal box non potrà essere ricavato un negozio o un laboratorio) e l'acquirente dovrà destinarlo a pertinenza di altra unità immobiliare sita nel medesimo comune (articolo ItaliaOggi del 23.05.2012).

ENTI LOCALI - VARI: LA CIRCOLARE SULL'IMU/ Lo sconto prima casa è uno solo. Non rileva il fatto che il contribuente utilizzi più immobili. Per usufruire del beneficio è necessario accatastare insieme le unità.
Il contribuente può fruire delle agevolazioni per abitazione principale per un solo immobile, anche se utilizzi di fatto più unità immobiliari distintamente iscritte in catasto, a meno che non abbia provveduto al loro accatastamento unitario.
Lo ha chiarito il dipartimento delle finanze del ministero dell'economia, con la circolare 3/2012.
Rispetto a quanto previsto per l'Ici, la definizione di abitazione principale presenta dei profili di novità. L'articolo 13, comma 2, del dl 201/2011 prevede che per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Dalla lettura della norma, per il dipartimento, «emerge, innanzitutto, che l'abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare».
Quindi, le singole unità vanno assoggettate separatamente a imposizione, ciascuna per la propria rendita. È il contribuente a scegliere quale destinare ad abitazione principale. Secondo la tesi ministeriale, la nuova disposizione consente di superare per l'Imu, «in maniera inequivocabile, i contrasti interpretativi tra prassi e giurisprudenza sorti in materia di Ici».
L'interpretazione ministeriale, però, non può essere condivisa, in quanto richiama nella circolare il principio affermato per la prima volta dalla Cassazione (sentenza 25902/2008) per l'Ici, poi ribadito con altre pronunce, ma lo ritiene superato dalla nuova disposizione, secondo la quale il beneficio fiscale è limitato a una sola unità immobiliare, mentre le altre, ancorché utilizzate di fatto come abitazione principale, non possono fruire del trattamento agevolato.
Invece, anche per l'Imu il contribuente dovrebbe avere diritto all'aliquota ridotta e alla detrazione, qualora utilizzi contemporaneamente diversi fabbricati come abitazione principale, visto che l'articolo 13 richiede che si tratti di un'unica unità immobiliare «iscritta o iscrivibile» come tale in catasto.
Occorre dare un senso alla formulazione letterale della norma che fa riferimento ai diversi immobili che sono potenzialmente «iscrivibili» come un'unica unità immobiliare. In questi casi, dunque, è sufficiente che sussistano due requisiti: uno soggettivo e l'altro oggettivo.
In particolare, le diverse unità immobiliari devono essere possedute dallo stesso titolare (o dagli stessi titolari) e devono essere contigue. E l'Agenzia del territorio dovrebbe certificare l'iscrivibilità come unica unita immobiliare.
Del resto, la Cassazione più volte ha chiarito che ciò che conta è l'effettiva utilizzazione come abitazione principale dell'immobile complessivamente considerato, a prescindere dal numero delle unità catastali.
Peraltro, per i giudici di legittimità, gli immobili distintamente iscritti in catasto non importa che siano di proprietà di un solo coniuge o di ciascuno dei due in regime di separazione dei beni. A patto che il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono.
Secondo la Cassazione, un'interpretazione contraria non sarebbe rispettosa della finalità legislativa di ridurre il carico fiscale sugli immobili adibiti a «prima casa». La tesi della Cassazione, però, si pone in contrasto con quanto affermato dal dipartimento delle finanze del ministero, con la risoluzione 6/2002, richiamata anch'essa nella recente circolare, sui presupposti richiesti per usufruire dei benefici fiscali.
Infatti il ministero già in passato, anche per l'Ici, aveva precisato che due o più unità immobiliari vanno singolarmente e separatamente soggette a imposizione, «ciascuna per la propria rendita». Il contribuente, per avere diritto all'agevolazione, era tenuto a richiedere l'accatastamento unitario degli immobili, per i quali fosse stata attribuita una distinta rendita, presentando all'ente una denuncia di variazione (articolo ItaliaOggi del 23.05.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPubblico impiego. Un disegno di legge delega per armonizzare l'ordinamento degli statali con la riforma Fornero. Più autonomia ai dirigenti, premi legati alla produttività.
REGIONI E SINDACATI/ Cambia la contrattazione con il coinvolgimento di tutti gli attori nella gestione della mobilità e della riorganizzazione.

L'allineamento delle regole del pubblico impiego al riassetto del mercato del lavoro privato verrà garantito con l'attuazione di una delega piena e non tramite nuove norme subito operative.
Lo prevede il disegno di legge che il ministro della Pa e la Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, presenterà domani in Consiglio dei ministri. Sette articoli in tutto e il rimando a decreti legislativi da adottare entro nove mesi dall'entrata in vigore della legge per completare un percorso di privatizzazione del lavoro pubblico introdotto all'inizio degli anni Novanta e correggere alcuni aspetti della riforma Brunetta che non hanno superato la prova dell'attuazione.
Il testo parte dai principi fissati nel protocollo d'intesa sottoscritto da Regioni, enti locali e da tutti i sindacati il 4 maggio scorso. Si spazia dalla disciplina del rapporto di lavoro nella Pa, con il riconoscimento del contratto a tempo indeterminato come forma dominante per rispondere al fabbisogno di personale, alle regole sui licenziamenti, con l'introduzione di tipizzazioni di ipotesi legali per i casi disciplinari, fino a misure di semplificazione per favorire la mobilità «volontaria e guidata» dei dipendenti, con la previsione di ipotesi da definire in sede di contrattazione di utilizzo del part time e della mobilità professionale. Sui contratti flessibili si prevede un loro ridimensionamento con il rispetto della specificità di comparti come l'istruzione e gli enti di ricerca, mentre nei concorsi pubblici (unico canale di accesso alla Pa) verranno valorizzate le esperienze professionali acquisite proprio con i contratti flessibili.
Ma il testo va ben oltre e punta al riordino del sistema della contrattazione collettiva e delle relazioni sindacali con il riconoscimento di una maggiore rappresentanza di Regioni ed enti territoriali e forme di partecipazione dei sindacati ai processi di riorganizzazione della Pa. È uno dei passaggi del Ddl che ritocca la riforma Brunetta laddove si prevedono possibilità di esame congiunto con i sindacati dei processi di riassetto delle amministrazioni nell'ambito di un riordino dei comparti di contrattazione che rimane con l'obiettivo di una loro forte riduzione.
Si metterà poi mano, con i decreti delegati, anche al sistema di valutazione delle performance, e qui l'obiettivo è di misurare i meriti individuali partendo però dal contesto organizzativo e dai diversi livelli di responsabilità dei singoli. È questo l'altro ritocco alla riforma Brunetta ma non si prevede affatto di cancellare il principio della premialità selettiva, che dovrà rimanere «differenziata in relazione ai risultati conseguiti fermo il divieto di corresponsione di trattamenti uniformi, automatici o a rotazione».
Un ampio capitolo, raccolto nell'articolo 5, riguarda la dirigenza di cui si vogliono ampliare e rafforzare i poteri assicurandone una maggiore autonomia dagli organi di indirizzo politico ma puntando, nel contempo, a promuovere una maggiore flessibilità e mobilità anche tra comparti diversi. Cambieranno anche i conferimenti di incarichi ai dirigenti e si prevede una stretta sugli incarichi esterni. Confermato, poi, il riordino delle scuole di formazione, sempre con l'obiettivo di promuovere l'interdisciplinarietà. Ulteriore delega, infine, è stata aggiunta per rafforzare e rendere più cogente tutta la normativa che regola gli obblighi di trasparenza e accessibilità alle informazioni di tutte le amministrazioni (articolo Il Sole 24 Ore del 23.05.2012 - link a www.corteconti.it).

aggiornamento al 23.05.2012

EDILIZIA PRIVATALA CIRCOLARE SULL'IMU/ Pertinenze, comuni senza poteri. I sindaci non possono più intervenire con regolamento. Chi affitta parte della prima casa paga solo l'Imu se il canone è basso.
I comuni non possono individuare con regolamento le pertinenze da considerare parti integranti dell'abitazione principale. Il dl Salva Italia, infatti, ha abrogato tale facoltà riconosciuta agli enti locali dall'art. 59 del dlgs n. 446/1997. Chi affitta una camera dell'abitazione principale (per esempio a uno studente) paga solo l'Imu se il canone di locazione è inferiore alla rendita catastale rivalutata. Diversamente, oltre all'Imu va versata anche l'Irpef.
I chiarimenti sono contenuti nella
circolare 18.05.2012 n. 3/DF del dipartimento delle finanze.
Pertinenze. Il dl 201 individua con precisione le unità immobiliari che possono essere considerate pertinenze. Tali sono gli immobili appartenenti alle categorie catastali C/2 (magazzini, cantine, soffitte se non unite all'abitazione), C/6 (stalle, scuderie, rimesse, autorimesse), C/7 (tettoie). Il contribuente potrà considerare come pertinenza della prima casa (e così applicare ad esse l'aliquota del 4 per mille) una unità immobiliare per ciascuna categoria catastale fino a un massimo di tre (in pratica una per categoria).
Ciò significa che chi possiede per esempio una cantina (accatastata come C/2) e due box (C/6) dovrà scegliere quale dei due garage collegare all'abitazione principale. Ma se la cantina risulta già iscritta in catasto congiuntamente alla prima casa, il contribuente potrà applicare le agevolazioni solo a pertinenze di categoria catastale diversa da C/2. Questo perché, chiarisce la nota del Mef, nel limite massimo di tre pertinenze rientra anche quella iscritta in catasto insieme all'abitazione principale.
Un altro caso particolare riguarda l'ipotesi in cui due pertinenze della stessa categoria (di solito la soffitta e la cantina, entrambe C/2) siano accatastate insieme all'abitazione principale. In questa ipotesi il contribuente non dovrà rinunciare a una delle due, ma per rispettare la regola del tre potrà usufruire delle agevolazioni per l'abitazione principale solo per un'altra pertinenza di categoria C/6 o C/7.
Abitazione parzialmente locata. Si tratta di un'ipotesi assai diffusa (soprattutto nelle città universitarie) a cui la nota del Mef dedica particolare attenzione all'interno del capitolo dedicato ai rapporti tra Imu e imposte sui redditi. Com'è noto, l'Imu ingloba l'Irpef fondiaria e le relative addizionali comunali e regionali. Ragion per cui regola generale vuole che se un immobile non è locato (e tali vanno considerati anche quelli concessi in comodato d'uso gratuito o utilizzati a uso promiscuo dal professionista) si paga solo l'Imu, mentre se è locato si paga l'Imu e anche l'Irpef sul reddito da locazione.
Un caso particolare è proprio quello dell'abitazione principale «parzialmente locata». Ossia la prima casa occupata dal proprietario per la parte principale e data in affitto per la parte rimanente. Le Finanze hanno chiarito che, per capire se oltre all'Imu vada o meno pagata anche l'Irpef sull'affitto, si debba guardare al canone. Se è inferiore alla rendita catastale rivalutata del 5% si paga solo l'Imu. Se è più alto della rendita rivalutata bisognerà pagare l'Imu e l'Irpef (articolo ItaliaOggi del 22.05.2012).

ENTI LOCALI - VARILA CIRCOLARE SULL'IMU/ La dichiarazione Ici vale ancora. Il contribuente che ha assolto l'obbligo non deve ripresentarla. Se il presupposto è sorto dal 1° gennaio c'è tempo fino al 1° ottobre.
La dichiarazione Ici vale anche per l'Imu. I contribuenti che hanno già assolto all'obbligo non sono tenuti a ripresentare la dichiarazione, nonostante si tratti di un tributo diverso. Con la nuova imposta locale viene ridotto a 90 giorni il termine per dichiarare gli immobili posseduti. Tuttavia, per quelli per i quali l'obbligo è sorto dall'01.01.2012, la dichiarazione deve essere presentata entro il 1° ottobre di quest'anno.
Sono alcuni chiarimenti che ha fornito il dipartimento delle finanze del ministero dell'economia, con la
circolare 18.05.2012 n. 3/DF.
Secondo il dipartimento, il termine del 1° ottobre va rispettato da tutti i contribuenti (proprietari, usufruttuari e titolari di altri diritti reali) per i quali l'obbligo è sorto dall'inizio dell'anno. Naturalmente, occorre comunque garantire agli interessati il rispetto del termine minimo di 90 giorni. «Pertanto, se l'obbligo dichiarativo è sorto, per esempio, il 31 agosto il contribuente potrà presentare la dichiarazione Imu entro il 29.11.2012». Mentre per i titolari di fabbricati rurali non censiti in catasto, i 90 giorni decorrono dal 30.11.2012, che è il termine ultimo fissato dall'articolo 13 del dl Salva Italia (201/2011) entro il quale i fabbricati iscritti al catasto terreni devono transitare in quello urbano.
Per semplificare la vita ai contribuenti, non è disposto per la nuova imposta municipale un autonomo obbligo di ripresentare una tantum la dichiarazione. Cosa che invece sarebbe stata auspicabile, per consentire alle amministrazioni locali di acquisire le informazioni necessarie alla gestione dell'imposta e per aggiornare le banche dati. Il problema riguarda, per esempio, gli immobili adibiti dal contribuente a pertinenze dell'abitazione principale, nel caso in cui ne possieda più di una della stessa tipologia (due garage inquadrati catastalmente nella categoria C/6). Essendo limitato il beneficio solo a uno dei due garage, il contribuente dovrebbe dichiarare quale dei due intende destinare al servizio dell'abitazione, mentre sull'altro il tributo va pagato in via ordinaria, con l'aliquota del 7,6 per mille. Invece è più semplice per il comune accertare, attraverso l'anagrafe, se il contribuente abbia diritto all'ulteriore detrazione di 50 euro per ogni figlio, di età non superiore a 26 anni.
Nella circolare viene posto in evidenza che la lettura coordinata delle varie disposizioni di legge che disciplinano l'Imu fa ritenere che probabilmente verranno ulteriormente ridotte le ipotesi in cui è richiesto di presentare la dichiarazione. L'articolo 13 del decreto Monti, infatti, rinvia a un apposito decreto del ministero dell'economia e delle finanze sia l'approvazione del nuovo modello di dichiarazione sia l'individuazione dei casi in cui ancora persiste l'obbligo.
Del resto, già il decreto ministeriale del 23.04.2008 aveva esteso l'esclusione dell'obbligo dichiarativo oltre i casi previsti dall'articolo 37, comma 53 del dl 223/2006.
Come per l'Ici, il contribuente non è tenuto a presentare la dichiarazione Imu se gli elementi rilevanti ai fini dell'imposta sono acquisibili dai comuni attraverso la consultazione della banca dati catastale.
Nello specifico, tra i casi più significativi, l'adempimento è richiesto quando: l'immobile viene concesso in locazione finanziaria, un terreno agricolo diventa area edificabile o, viceversa, l'area diviene edificabile in seguito alla demolizione di un fabbricato.
Quindi, va dichiarato qualsiasi atto costitutivo, modificativo o traslativo del diritto che abbia avuto a oggetto un'area fabbricabile. Il valore dell'area, che è quello di mercato, deve sempre essere dichiarato dal contribuente, poiché questa informazione non è presente nella banca dati catastale. Ecco perché l'obbligo non sussiste quando viene alienata un'area fabbricabile, se non ha subito modifiche il suo valore di mercato rispetto a quello dichiarato in precedenza.
Inoltre, le riduzioni d'imposta devono essere dichiarate sia se si acquista sia se si perde il relativo diritto. L'obbligo non è abolito neppure per gli immobili posseduti dalle imprese, che sono tenute a dichiarare il valore sulla base delle scritture contabili fino all'anno di attribuzione della rendita catastale. La dichiarazione, poi, deve essere presentata per gli immobili relativamente ai quali siano intervenute delle modifiche rilevanti ai fini della determinazione dell'imposta dovuta e del soggetto obbligato al pagamento. Dunque, vanno dichiarate le modifiche che possono riguardare la titolarità del possesso, la struttura o la destinazione dell'immobile.
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L'imposta municipale è dovuta anche per i terreni incolti. La nozione di imprenditore agricolo professionale si estende anche alle società.
Anche per i terreni incolti è dovuta l'Imu. La nozione di imprenditore agricolo professionale va estesa anche alle società di persone, cooperative e di capitale. Il gettito dell'Imu va integralmente al comune per gli immobili posseduti da anziani e disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata e dai cittadini italiani residenti all'estero.
Queste sono solo alcune delle precisazioni contenute nella
circolare 18.05.2012 n. 3/DF del dipartimento delle finanze.
Tra queste l'ampliamento del presupposto impositivo che a norma dell'art. 13, comma 2, del dl 06.12.2011, n. 201, è costituito dal possesso di qualunque immobile, ivi comprese l'abitazione principale e le pertinenze della stessa.
Pertanto devono scontare l'Imu non solo i terreni agricoli, i fabbricati e le aree fabbricabili (per i quali restano ancora ferme le definizioni stabilite dall'art. 2 del dlgs 30.12.1992, n. 504) ma anche gli immobili che non rientrano in tali categorie, come ad esempio, i terreni incolti.
Una conferma di ciò, si trova, peraltro, nel comma 5 dello stesso art. 13, il quale stabilisce che il valore dei terreni agricoli, anche non coltivati, posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25%, ai sensi dell'art. 3, comma 51, della legge n. 662 del 1996, un moltiplicatore pari a 110. La circolare, coerentemente precisa che per gli altri terreni agricoli, anche non coltivati, il moltiplicatore è, invece, pari a 135.
I coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali.
Non solo le persone fisiche, come accadeva per l'Ici, ma anche società di persone, cooperative e di capitale possono godere del trattamento agevolato Imu.
Le norme del nuovo tributo, infatti, precisano a chiare lettere che i soggetti richiamati dall'art. 2, comma 1, lettera b), secondo periodo, del dlgs n. 504 del 1992 (e cioè gli imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale) sono individuati nei «coltivatori diretti e negli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29.03.2004, n. 99, e successive modificazioni, iscritti nella previdenza agricola».
In base a tale norma è Iap colui che dedica alle attività agricole di cui all'art. 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricava dalle attività medesime almeno il 50% del reddito globale da lavoro.
Questa nuova definizione supera nettamente quella dettata dall'art. 58, comma 2, del dlgs. n. 446 del 1997, in base al quale «si considerano coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo principale le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi comunali e soggetti al corrispondente obbligo dell'assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia».
Il legislatore ha, quindi, volutamente abbandonato tale definizione a favore di un'impostazione più adeguata all'evoluzione normativa che ha caratterizzato il settore agricolo.
L'art. 13, comma 5, del dl n. 201 del 2011, come già precisato, prevede il moltiplicatore ridotto, pari a 110, va applicato anche nel caso in cui:
- il terreno deve essere lasciato a riposo, ed è quindi non coltivato, in applicazione delle tecniche agricole (c.d. set aside).
- le persone fisiche, coltivatori diretti e Iap, iscritti nella previdenza agricola, abbiano costituito una società di persone alla quale hanno concesso in affitto o in comodato il terreno di cui mantengono il possesso ma che, in qualità di soci, continuano a coltivare direttamente il terreno.
Quest'ultima conclusione deriva dall'applicazione dell'art. 9 del dlgs 18.05.2001, n. 228, il quale stabilisce che «ai soci delle società di persone esercenti attività agricole, in possesso della qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale, continuano a essere riconosciuti e si applicano i diritti e le agevolazioni tributarie e creditizie stabiliti dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso delle predette qualifiche».
L'immobile posseduto da anziani e disabili e dai cittadini italiani residenti all'estero.
La circolare ha risolto in senso favorevole per il comune una questione interpretativa sulle nuove norme introdotte dal dl n. 16 del 2012 e ha escluso che lo stato possa vantare la quota di riserva stabilita dal comma 11 dell'art. 13 del dl n. 201 del 2011. Ciò in quanto il comune, nel «considerare direttamente adibita ad abitazione principale l'unità immobiliare» posseduta dai soggetti in questione, assoggetta automaticamente tali immobili allo stesso trattamento previsto per le abitazioni principali che sono appunto escluse espressamente dall'anzidetta quota erariale.
A completamento di tale assunto la circolare precisa che ha perso di significato, relativamente alle fattispecie in esame, la disposizione presente nel comma 11, secondo cui «le detrazioni e le riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di imposta riservata allo stato» che aveva, invece, un senso con l'originaria formulazione della norma (articolo ItaliaOggi del 22.05.2012).

EDILIZIA PRIVATA: La Lombardia sana i recuperi «infedeli». Salvi Dia e permessi già rilasciati per le demolizioni e ricostruzioni con cambio di sagoma. Rimedio allo stop della Corte costituzionale alla legge che li considerava ristrutturazioni ma resta una finestra temporale a rischio.
RISPARMIO ENERGETICO/ L'obbligo di rispettare gli indici del Prg rende difficile abbattere per riqualificare e risanare i vecchi edifici.

La Lombardia stoppa gli effetti della sentenza con cui la Corte costituzionale aveva cancellato l'articolo 27, comma 1, lettera d), della legge regionale 12/2005, secondo cui erano di ristrutturazione gli interventi di integrale sostituzione edilizia con modifica della sagoma o del sedime del fabbricato.
Ora secondo l'articolo 17 della legge regionale 18.04.2012 n. 7, in relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza 30.11.2011 n. 309 della Consulta, al fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati, i permessi di costruire rilasciati o le Dia esecutive alla medesima data devono considerarsi titoli validi ed efficaci fino al momento della dichiarazione di fine lavori, a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30.04.2012.
La Regione mette così una pezza sul pasticcio della ristrutturazione edilizia lombarda a tutela di chi, sulla base della norma annullata dalla Corte -perché contraria al principio fondamentale dettato dal testo unico dell'edilizia, secondo cui le opere di ristrutturazione non possono spingersi sino all'integrale abbandono delle caratteristiche fisiche dell'edificio- sta realizzando o ha da poco ultimato interventi potenzialmente abusivi in quanto giustificati da una disposizione di legge non più applicabile.
La pezza è però più piccola dello strappo prodotto dalla Consulta, perché non mette al sicuro gli interventi già impugnati al Tar o che ancora potrebbero esserlo (si ricorda che i titoli edilizi possono essere contestati in sede amministrativa sino al decorso di 60 giorni, 120 per il ricorso straordinario al presidente della Repubblica, da quando i lavori giungono al rustico) e che dunque non possono essere considerati "rapporti esauriti", ai quali -come è noto- non si applica il principio per cui le sentenze che riconoscono l'incostituzionalità hanno efficacia retroattiva.
La portata della norma pare così limitata a evitare che i Comuni possano agire in autotutela, annullando cioè i titoli che avessero rilasciato (con permesso di costruire) o che si fossero formati (con denuncia di inizio attività) nel vigore di una norma non più esistente.
In concreto: chi in forza della norma dichiarata incostituzionale ha realizzato un intervento di demolizione e ricostruzione modificando la sagoma o il sedime dell'edificio è ora al sicuro se il titolo edilizio non è stato impugnato e l'intervento è terminato, per lo meno al rustico, da più di 60/120 giorni, mentre è ancora a rischio se il ricorso è stato appena promosso, ovvero possa ancora esserlo.
In questa ultima situazione appare trovarsi chi avvalendosi della norma in commento (in vigore dal 21.04.2012) si fosse risolto a dare avvio ai lavori entro il successivo 30 aprile.
Si ricorda che l'ampliamento della definizione di ristrutturazione edilizia agli interventi di sostituzione con modifica di sagoma o sedime, e che ora anche in Lombardia devono ritenersi a tutti gli effetti di nuova costruzione (così come riconosciuto dalla stessa legge regionale 7/2012), non è di poco conto, perché consente di mantenere la volumetria preesistente anche se superiore all'indice edificatorio assegnato dagli strumenti urbanistici vigenti (indice che a differenza della ristrutturazione la nuova costruzione deve rispettare).
Il vincolo di rispettare l'indice di piano rende pressoché impossibili (salvo espressa previsione dello strumento urbanistico locale, come disposto dal Pgt di Milano da troppo tempo in gestazione) gli interventi di riqualificazione anche energetica degli edifici meno recenti, che sovente richiedono l'integrale demolizione e la ricostruzione in difformità di sagoma.
Sul punto dovrebbe soccorrere il nuovo piano casa lombardo, secondo cui «Gli interventi di sostituzione edilizia... possono essere realizzati a mezzo di totale demolizione e ricostruzione dell'edificio». Non sfugge però che secondo l'articolo 5, comma 3, della legge regionale lombarda 4/2012, attuativa del Dl 70/2011, «la ricostruzione può avvenire con le modifiche alla sagoma necessarie per l'armonizzazione architettonica con gli edifici esistenti».
Non è agevole in architettura declinare il concetto di armonia, ma è a tale esercizio fortemente discrezionale che la sostituzione edilizia risulta in ultima istanza appesa (articolo Il Sole 24 Ore del 21.05.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Modello unico per la conformità degli impianti.
Il decreto legge 5/2012 con gli articoli 9 e 34 introduce alcune modifiche alla normativa sull'attività di installazione di impianti (elettrici, sanitari, eccetera).
La materia, regolata dal Dm 37/2008 ( che, a sua volta ha sostituito la legge 46/90), ha sempre creato difficoltà applicative non solo alla categoria (circa 170.000 aziende), ma anche agli enti pubblici e agli organi di vigilanza.
L'articolo 9 affida ad un decreto interministeriale l'approvazione di un modello di dichiarazione di conformità (dell'impianto) che sostituirà quello attuale. Per gli impianti termici la dichiarazione sostituirà anche quella prevista dall'articolo 284 del Codice dell'ambiente: da qui la nuova denominazione di dichiarazione unica.
Non è invece chiaro se le nuove prescrizioni del comma 2 dell'articolo 9 modifichino in parte o si aggiungano a quelle contenute negli articoli 7 e 11 del Dm 37. La norma attuale prevede che il modello compilato dall'impresa installatrice al termine del lavoro sia rilasciato al committente e depositato al Comune dove ha sede l'impresa, il quale invierà copia alla Camera di commercio per verificare la corretta iscrizione dell'impresa.
Il comma 2 dispone ora che la dichiarazione sia conservata «presso la sede dell'interessato» per gli eventuali controlli dell'amministrazione, espressione che sembra essere riferita a chi occupa l'edificio nel quale è stato eseguito il lavoro. Viene poi confermato che la dichiarazione è necessaria per ottenere il certificato di agibilità e l'allacciamento delle utenze.
Ben più importante è l'articolo 34 che interviene sul tema della qualificazione delle imprese installatrici, ma purtroppo con una norma considerata dagli addetti ai lavori assai oscura. Si intuisce però che si vorrebbe porre rimedio ad alcune questioni rimaste irrisolte con il Dm 37.
Il decreto non aveva previsto norme transitorie per le aziende iscritte in base alla abrogata legge 46/1990, per cui le Regioni e le Camere di commercio, in assenza di chiarimenti del Governo, hanno fornito interpretazioni non uniformi.
Le principali incertezze riguardano:
- le imprese impiantiste che fino al 2007 hanno eseguito lavori di condizionamento, elettronica, ecc. solo in edifici produttivi per i quali non era obbligatoria l'abilitazione: non è chiaro se abbiano maturato i requisiti per lavorare in qualsiasi edificio, compresi quelli residenziali. Ad una prima lettura sembra che l'articolo 34 intenda dare risposta positiva.
- Va chiarito se le imprese qualificate per i vari tipi di impianti in base alla legge 46/1990 hanno diritto o no ad ottenere d'ufficio che nell'Albo artigiani o nel Registro imprese venga precisato che sono qualificate in base al Dm 37 e non più solo in base alla legge 46.
In un primo tempo il ministero dello Sviluppo economico con la risoluzione 03.10.2011 aveva sostenuto che l'aggiornamento automatico della iscrizione non era ammissibile e che ciascuna impresa doveva presentare una Scia .
Ora lo stesso Ministero, con circolare del 19.03.2012, fa retromarcia, richiamandosi all'articolo 34 . E afferma che è legittimo riconoscere d'ufficio alle imprese operanti fino al marzo 2008 la qualificazione prevista dal Dm 37 (articolo Il Sole 24 Ore del 21.05.2012).

APPALTI SERVIZI: Rifiuti. L'azienda nata dall'integrazione entro il 31 dicembre diventerebbe a pieno titolo un'autorità d'ambito.
La maxi-società dribbla la gara. Possibile l'affidamento diretto a una realtà che aggreghi 250mila abitanti.
LIBERTÀ TOTALE/ La nuova deroga permette di aggirare anche i vincoli che impediscono l'in house per servizi superiori a 200mila euro.

La gestione dei rifiuti nell'Ato può essere affidata in house ad un'unica società che aggreghi i gestori esistenti, e gli impianti di proprietà degli enti possono essere affittati ai gestori.
La legge di modifica del Codice ambiente (Dlgs 152/2006) approvata al Senato introduce importanti innovazioni nei modelli di gestione del ciclo integrato dei rifiuti, che definiscono un'ulteriore deroga alla procedura ordinaria di affidamento con gara.
L'articolo 6 della legge (che ora deve tornare alla Camera) stabilisce che può costituire Ato (purché la popolazione servita sia di almeno 250mila abitanti, salvo che la Regione fissi un limite inferiore) un'azienda costituita da soli enti locali, derivante dalla trasformazione di aziende speciali (o di consorzi) o risultante dall'integrazione operativa, perfezionata entro il 31.12.2012, di preesistenti gestioni dirette o in house tale da configurare un unico gestore a livello di bacino.
La soluzione si inserisce nella "razionalizzazione" dei gestori ammessi in deroga all'affidamento in house dall'articolo 4, comma 32, lettera a) della legge 148/2011, secondo il modello della società unica d'ambito, affidataria in house per un periodo determinato (tre anni, sino alla scadenza massima del 31.12.2015).
Tuttavia la nuova disciplina presenta considerevoli differenze da quella generale, perché la società risultante dalla trasformazione o dall'aggregazione diventa autorità d'ambito a tutti gli effetti e va a incidere sul riassetto di questi organismi.
La nuova disposizione configura un soggetto al quale afferiscono sia le funzioni del regolatore sia i compiti di gestione del servizio. Questo aspetto è confermato dalla parte in cui si prevede che l'affidamento dei servizi del ciclo integrato dei rifiuti avviene direttamente all'azienda stessa anche in deroga all'articolo 4 della legge 148/2011, quindi a anche a superamento del limite economico di 200mila euro previsto per l'in house.
Se l'organismo "aggregante" assorbe contratti stipulati a seguito di regolare gara, questi mantengono efficacia fino alla scadenza naturale.
L'ulteriore aspetto peculiare è garantito dalla possibilità, per Comuni non facenti originariamente parte dell'azienda, di poter entrare a farne parte, se ricorrano motivate esigenze di efficacia, efficienza ed economicità.
Per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti, quindi, è possibile che si pervenga alla costituzione di una società unica d'ambito, affidataria in house del servizio per valore e durata non assoggettati ai limiti dell'articolo 4 della legge 148/2001, esercitante al contempo il ruolo di ente di governo dell'Ato stesso.
Il quadro di innovazione, tuttavia, incide anche sulle strategie di utilizzo degli impianti di smaltimento, in quanto l'articolo 7 della nuova legge (modificando l'articolo 202 del testo unico, sugli affidamenti) stabilisce che gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali o delle loro forme associate già esistenti possono essere conferiti anche a titolo oneroso ai soggetti affidatari.
Questi ultimi (sia scelti con gara, sia configurati come società mista con socio operativo o come società unica d'ambito) sono comunque chiamati a migliorare la gestione secondo un modulo operativo più evoluto dello stesso ciclo.
I gestori, sin dalla procedura selettiva, devono esplicitare un piano industriale che renda più efficiente il servizio grazie a soluzioni innovative, mediante la riduzione delle quantità di rifiuti da smaltire e il miglioramento dei fattori ambientali, proponendo un proprio piano di riduzione dei corrispettivi per la gestione al raggiungimento di obiettivi autonomamente definiti, con particolare riferimento alla separazione alla fonte e all' organizzazione della raccolta differenziata domiciliare, alla diffusione del compostaggio domestico, alla promozione di riciclaggio, recupero e selezione dei materiali ed alla sperimentazione di forme di tariffazione puntuale sulla base della produzione effettiva di rifiuti non riciclabili.
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Le caratteristiche
01|LA DIMENSIONE
L'ambito deve servire una popolazione di almeno 250mila abitanti, salvo che la Regione fissi un limite inferiore
02|LA FORMAZIONE
L'azienda deve essere costituita solo da enti locali e può derivare dalla trasformazione di aziende speciali (e consorzi) o dall'integrazione operativa, perfezionata entro il 31.12.2012, di gestioni dirette o in house
03| IL RISULTATO
La società che risulta dalla trasformazione o dall'aggregazione diventa autorità d'ambito a tutti gli effetti
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Così il nuovo gestore si controlla da solo.
Il mondo dei servizi pubblici locali continua ad arricchirsi di adempimenti e di novità normative, ed è difficile arrivare a un quadro razionale e pratico. Tutto ciò crea confusione e rischi di inefficacia.
Proviamo a riassumere quali saranno i prossimi appuntamenti: entro il 31 maggio i Comuni potranno chiedere alle Regioni di definire ambiti sub-provinciali; non oltre il 30 giugno le Regioni dovranno deliberare, per i servizi pubblici a rete (quali sono?) gli ambiti. Entro il 13 agosto, gli enti dovranno approvare la loro «delibera quadro sui servizi» come previsto dal regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 33-ter, del Dl 138/2011, che ancora non è stato pubblicato.
Tutto chiaro? Forse lo sarebbe. Curiosamente, però, il decreto milleproroghe (Dl 216/2011) all'articolo 13, comma 2, rinvia la decadenza delle autorità d'ambito al 31.12.2012 creando così una situazione potenzialmente contraddittoria: il 13 agosto potrebbero ancora esistere quelle Aato che cesseranno dopo pochi mesi (cosa deliberano a fare?) e che in alcuni casi non sono state ancora istituite, come nel caso del Lazio per i rifiuti (chi delibera in questo caso?). Il tutto, ovviamente, seguendo un regolamento che non c'è.
Bizzarrie di norme che si accavallano e non sono coordinate tra loro. Potrebbe bastare, ma non è finita qui. A breve rischiano infatti di diventare legge le modifiche al Codice dell'Ambiente, approvate dal Senato.
Scorrendo il testo si capisce subito che siamo di fronte a un capolavoro. La norma, infatti, interviene sull'articolo 200 del Dlgs 152/2006, aggiungendo una lettera f-bis in cui si prevede che la società di capitali nata da un'integrazione operativa di preesistenti gestioni in house è «tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di bacino» e «può costituire ambito territoriale ottimale, purché la popolazione servita sia pari o superiore a 250mila abitanti».
Già questo crea un conflitto di competenze con le Regioni e potrebbe generare un "buco" all'interno di un bacino tale da vanificarne la parte rimanente. In un crescendo, però, la perla viene subito dopo: «In tale caso detta azienda diventa autorità d'ambito a tutti gli effetti e l'affidamento dei servizi di raccolta e di smaltimento o comunque afferenti al ciclo integrato dei rifiuti avviene direttamente all'azienda stessa anche in deroga all'articolo 4» del dl 138/2011.
In sostanza, in un quadro che, con sbavature, sembrava avere recepito la necessità di una separazione tra regolazione e gestione (applicata perfino nel settore idrico), ecco puntuale la smentita: se due aziende di rifiuti si fondono, in altre parole, non avranno più nessun ente terzo che ne verifica le condizioni di costo, di qualità, di efficienza e di prezzo. Si controlleranno da sole -non stentiamo ad immaginare con quale rigore- e, a quanto pare, dovranno nel proprio cda (o in assemblea?) approvarsi la propria delibera quadro. Una controriforma che susciterebbe l'invidia del Concilio di Trento.
È interessante, però, sapere cosa penseranno di questa norma le Regioni e quanto la possa apprezzare l'Autorità garante della concorrenza, che si troverà ad esprimere il suo parere sulla delibera quadro che queste società dovranno sottoporre a suo giudizio (articolo Il Sole 24 Ore del 21.05.2012 - link a www.ecostampa.it).

APPALTI: Appalti, verifiche impossibili sul fisco dell'azienda vincitrice. Monitoraggi. Anche gli enti sono responsabili in solido.
Riguarda anche i Comuni la novità del Dl 16/2012 che estende la responsabilità solidale dell'appaltante ai debiti fiscali dell'appaltatore: in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, entro i due anni dalla cessazione dell'appalto, al versamento all'Erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva pagata sulle fatture inerenti l'appalto, a meno che non si dimostri che sono state attivate tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento da parte dell'appaltatore.
I primi commentatori (si veda Il Sole 24 Ore del 28 aprile) non hanno mancato di segnalare che per questa via si è ulteriormente consolidato il processo di esternalizzazione delle funzioni dia accertamento e controllo a soggetti estranei alla amministrazione finanziaria: le verifiche che quest'ultima non riesce a fare vengono così traslate su soggetti terzi, sotto pena di sanzioni e di responsabilità solidale.
Con particolare riferimento agli enti pubblici, sembra proprio che anch'essi siano interessati ai nuovi obblighi di verifica: la norma fa infatti riferimento tanto agli imprenditori quanto ai datori di lavoro, e non vi è dubbio che (anche) ai fini della normativa sugli appalti l'ente pubblico rientra in quest'ultima categoria.
L'assunto ha peraltro trovato conferma a livello giurisprudenziale: con riferimento all'articolo 29 del Dlgs 276/2003 (la legge Biagi) che utilizza -per l'individuazione dei soggetti obbligati al controllo- gli stessi identici termini del Dl 16/2012, la responsabilità dell'ente pubblico è stata ripetutamente attestata dalla giurisprudenza di merito.
Quanto all'oggetto delle verifiche, nessun problema si pone in relazione alle ritenute d'acconto. Si tratta di versamenti specifici dei quali il committente può ben chiedere all'appaltatore prova documentale (il modello F24, per esempio).
All'opposto, la verifica dei versamenti Iva risulta impossibile: poiché il versamento dell'imposta non avviene in via analitica, ma per masse (e in misura pari al saldo algebrico dell'Iva a debito e a credito afferente la complessiva gestione aziendale), non è proprio possibile individuare una correlazione tra l'Iva pagata dall'ente committente e il versamento periodico del tributo effettuato dall'appaltatore.
Vi è di più: se anche fosse possibile (e non lo è!) attivare una qualche forma di verifica dei versamenti Iva effettuati dagli appaltatori, nel caso particolare degli enti pubblici essa non potrebbe che avvenire a posteriori, quando è ormai troppo tardi. Per effetto dei meccanismi previsti dall'articolo 6 del Dpr 633/1972, in effetti, l'Iva viene a costituire -in capo all'appaltatore- un debito soltanto dopo che l'ente locale ha pagato la fattura. A pagamento avvenuto, tuttavia, quale altra cautela potrebbe mai essere posta in essere dal Comune per evitare l'inadempimento dell'appaltatore?
Con riferimento all'Iva, dunque,le procedure di controllo richieste dal Dl 16/2012 si risolvono in un adempimento impossibile (articolo Il Sole 24 Ore del 21.05.2012 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARI: Imu, vincolati i comuni. Linea più morbida verso i contribuenti. La circolare n. 3/Df sull’imposta municipale: aliquote solo entro i limiti minimi e massimi di legge.
Il ministero delle finanze, destreggiandosi nel ginepraio normativo dell’Imu, tende la mano ai contribuenti. I coniugi che per motivi di lavoro risultano avere dimora abituale e residenza anagrafica in due fabbricati distinti potranno fruire, ciascuno in ragione della propria residenza, delle agevolazioni «prima casa». Paletti rigidi invece per i comuni che non potranno fissare l’asticella delle aliquote al di sotto dei limiti minimi e massimi previsti dalla legge per ciascuna tipologia immobiliare. Non potranno neppure, con il regolamento Imu, restringere le detrazioni per i figli «under 26» oppure disciplinare le pertinenze delle abitazioni principali.
Queste alcune delle principali novità contenute nella circolare 18.05.2012 n. 3/DF, pubblicata dal Dipartimento delle finanze del ministero dell’economia e delle finanze. Eccole in dettaglio.
Abitazione principale. La circolare, dopo aver premesso che, a differenza dell’Ici, l’Imu dal 2012 attrae a tassazione anche l’abitazione principale e relative pertinenze, si sofferma sui profili di novità contenuti nella definizione legislativa:
1) l’abitazione principale non può che essere una sola unità immobiliare, così che se il contribuente dimora e risiede in una casa composta da più unità immobiliari esse vanno assoggettate separatamente a imposizione, ciascuna per la propria rendita. Per un’unità è dovuta l’Imu come abitazione principale (con applicazione delle agevolazioni e delle riduzioni per questa previste) per le altre, invece, occorrerà applicare l’aliquota deliberata dal comune abitazioni diverse da quella principale per tali tipologie di fabbricati senza alcuna detrazione;
2) è l’unica unità immobiliare in cui il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
Al riguardo il ministero precisa altresì che l’art. 13, c. 2, del dl 201/2011 stabilisce che le agevolazioni non possono che essere uniche per nucleo familiare indipendentemente dalla dimora abituale e dalla residenza anagrafica dei rispettivi componenti. Tale limitazione non troverebbe ostacoli nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in questo caso il rischio di elusione della norma sarebbe bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, per esempio, per esigenze lavorative.
Sul punto va osservato, però, che l’interpretazione ministeriale mal si concilia con l’orientamento della Cassazione (sent. n. 14389/2010) la quale, analizzando un analogo concetto contenuto nella norma Ici, dopo aver premesso che l’art. 144 c.c. prevede che «i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa», ha statuito l’incompatibilità della dimora abituale in luogo diverso da quello in cui si trova la famiglia.
Pertinenze. Le pertinenze delle abitazioni principali non possono essere quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità a uso abitativo. Il contribuente potrà quindi considerare come pertinenza dell’abitazione principale soltanto un’unità immobiliare per ciascuna categoria catastale, fino a un massimo di tre pertinenze appartenenti ciascuna a una delle tre diverse categorie espressamente indicate dalla norma.
Rientra nel limite massimo delle tre pertinenze anche quella che risulti iscritta in catasto unitamente all’abitazione principale. Se, per esempio, il contribuente ha 3 pertinenze di cui una cantina accatastata come C/2 e due garage classificati come C/6, sarà lo stesso contribuente a individuare fra questi ultimi quale collegare all’abitazione principale. Se, però, la cantina risulta iscritta congiuntamente all’abitazione principale, il contribuente deve applicare le agevolazioni previste per tale fattispecie solo ad altre due pertinenze di categoria catastale diversa da C/2. Poiché in quest’ultima rientrerebbe la cantina iscritta in catasto congiuntamente all’abitazione principale.
Sul punto va precisato che non sempre sarà agevole per il contribuente conoscere la categoria catastale delle pertinenze accatastate congiuntamente all’abitazione. Basti pensare ai posti auto che risultano iscritti in catasto sia in categoria catastale C/6 sia in C/7.
La circolare precisa, inoltre, che ai comuni non è consentito di intervenire con una disposizione regolamentare in ordine all’individuazione delle pertinenze e tale affermazione, secondo il Mef, sarebbe avvalorata dall’abrogazione dell’art. 59 del dlgs n. 446 del 1997, il quale al comma 1, lettera d), consentiva agli enti locali, nell’esercizio della potestà regolamentare, di «considerare parti integranti dell’abitazione principale le sue pertinenze, ancorché distintamente iscritte in catasto».
Aliquote. I comuni possono articolare le aliquote esclusivamente all’interno dei limiti minimi e massimi previsti dal dl n. 201/2011 (0,2-0,6% abitazione principale; 0,1-0,2% fabbricati rurali strumentali; 0,46-1,06% altri immobili), si tratta quindi, precisa il Mef, di «vincoli invalicabili da parte del comune», il quale, nell’esercizio della propria autonomia regolamentare, può esclusivamente manovrare le aliquote, differenziandole sia nell’ambito della stessa fattispecie impositiva, sia all’interno del gruppo catastale, con riferimento alle singole categorie.
Le precisazioni del ministero appaiono però contraddittorie in quanto applicare aliquote crescenti rispetto alle diverse categorie catastali, che già sono differenziate in ragione della tipologia del fabbricato, sembra violare il principio di ragionevolezza che deve contraddistinguere la decisione del comune (articolo ItaliaOggi Sette del 21.05.2012).

ENTI LOCALI - VARI: Al 100% penalizzazioni per gli ex. La circolare n. 3/Df: i coniugi assegnatari dopo la separazione pagheranno l’Imu.
L’Imu riserva una brutta sorpresa ai coniugi assegnatari a seguito di sentenza del giudice della separazione. In ogni caso saranno loro a dover pagare l’Imu. Al 100%, anche se non sono, neppure in parte proprietari. Unica, e magra, consolazione è che trattandosi, nelle generalità dei casi, dell’abitazione nella quale il non assegnatario dimora abitualmente e risiede anagraficamente, in sede di acconto fruirà dell’aliquota ridotta del 4 per mille e delle detrazioni d’imposta di 200 euro oltre a quella di 50 euro per ogni figlio con meno di ventisei anni residente anagraficamente in quella casa.
L’assegnatario entro il 30 settembre dovrà presentare la dichiarazione Imu e poi, entro il 17 dicembre, sarà tenuto al versamento del saldo dell’imposta sulla base delle aliquote e delle detrazioni che il comune avrà definitivamente adottato. Buone notizie invece per i fabbricati di anziani, anziani e disabili lungodegenti, oltre a quelle dei cittadini italiani residenti all’estero.
Il ministero delle finanze con la circolare 18.05.2012 n. 3/DF ha chiarito che se il comune ne disporrà l’assimilazione all’abitazione principale, oltre a godere di aliquota ridotta e detrazioni d’imposta, non sarà dovuta la quota Imu allo stato. Il che per il contribuente in termini sostanziali non cambia, ma siccome tutto il gettito affluirà nelle casse comunali, gli enti locali dovrebbero essere stimolati a deliberare l’equiparazione.
La novità. Con un improvviso cambio di rotta rispetto alle originarie previsioni normative, il legislatore, in sede di conversione del dl n. 16/2012, con l’articolo 4, comma 12-quinquies, ha stabilito che ai soli fini dell’applicazione dell’Imu l’assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione.
La disposizione ha innovato il precedente regime stabilito dall’art. 13, comma 10, ultimo periodo, del dl n. 201 del 2011 in base al quale le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze trovavano applicazione anche nei confronti delle fattispecie di cui all’art. 6, comma 3-bis, del dlgs n. 504 del 1992, in virtù del quale il soggetto passivo che non risultava assegnatario della casa coniugale, poteva considerare detta unità immobiliare come abitazione principale, purché non fosse titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale su un immobile destinato ad abitazione situato nello stesso comune ove era ubicata la casa coniugale.
La circolare. Il Mef, al riguardo, precisa si tratta di una novità nel panorama dell’Imu, poiché prevedendo che l’assegnazione della ex casa coniugale fa sorgere in ogni caso un diritto di abitazione nei confronti del coniuge assegnatario della stessa, ne riconosce la soggettività passiva in via esclusiva. E’, quindi, solo all’ex coniuge, in quanto soggetto passivo, che spettano le agevolazioni previste per l’abitazione principale e per le relative pertinenze, concernenti l’aliquota ridotta, la detrazione e la maggiorazione per i figli di età non superiore a 26 anni, in relazione alle quali si dovranno seguire le regole generali.
La circolare 3/DF/2012 prova a rimediare anche all’ennesimo pasticcio del legislatore. E spiega che dalla lettura delle norme «emerge inequivocabilmente» che la disposizione contenuta nel comma 12-quinquies dell’art. 4 del dl n. 16 del 2012, essendo intervenuta successivamente a quella disposta dall’ultimo periodo del comma 10 dell’art. 13 del dl n. 201/2011, e regolando in maniera diversa la soggettività passiva della fattispecie in commento, ha reso incompatibile la disposizione di cui all’art. 13, comma 10, ultimo periodo, del d.l. n. 201/2011, che, dunque, ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, risulta tacitamente abrogata.
Secondo il Mef, quindi, il nuovo assetto normativo comporta che le agevolazioni inerenti l’abitazione principale e le relative pertinenze sono riconosciute alla ex casa coniugale e alle relative pertinenze e gli obblighi tributari inerenti detto immobile devono essere assolti dal coniuge assegnatario della stessa in quanto titolare del diritto di abitazione ex art. 4, comma 12-quinquies del d.l. n 16 del 2012.
In particolare, viene precisato, che l’Imu deve essere versata per il suo intero ammontare dal coniuge assegnatario anche se non proprietario della ex casa coniugale il quale può usufruire sia dell’aliquota ridotta stabilita per l’abitazione principale sia dell’intera detrazione prevista per detto immobile nonché della maggiorazione di € 50 per ciascun figlio di età non superiore a 26 anni, a condizione che lo stesso dimori abitualmente e risieda anagraficamente nell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale.
Il riconoscimento da parte del legislatore della titolarità del diritto di abitazione in capo al coniuge assegnatario dell’immobile destinato ad ex casa coniugale, comporta che sul relativo gettito non viene computata la quota di imposta riservata allo Stato di cui al comma 11 dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 e quindi tutto il gettito spetta al Comune.
Anziani. Le case di anziani e disabili lungodegenti, oltre a quelle dei cittadini italiani residenti all’estero, se assimilate dal comune all’abitazione principale, godranno di aliquota ridotta e detrazioni d’imposta senza nulla dovere allo stato, così che i comuni siano incentivati ad operare l’equiparazione.
Benefit a maglie larghe anche nel settore agricolo: i fabbricati rurali strumentali potranno godere dell’aliquota di favore del 2 per mille (riducibile dal comune all’1 per mille) anche se prive della categoria catastale D/10; le società agricole, purché «Iap» e iscritte nelle liste previdenziali, avranno diritto a tutte le agevolazioni riconosciute a coloro che conducono terreni.
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Anziani e disabili, speranze per una tassazione ridotta in mano ai sindaci.
Le speranze di anziani, disabili e cittadini Aire per un carico Imu un po’ più sopportabile sono ora nelle mani dei sindaci. Con disposizione regolamentare, da adottare entro il 30 settembre, i comuni potranno infatti assimilare le loro case all’abitazione principale con un doppio effetto: i contribuenti fruiranno di una tassazione ridotta e i municipi si terranno tutto l’incasso, senza nulla dovere allo stato.
L’art. 13, comma 10, del dl n. 201/2011 consente ai comuni di considerare direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata, nonché l’unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata. Va da sé che qualora i consigli comunali adottino tale decisione alle unità immobiliari in questione si renderà applicabile lo stesso trattamento previsto per l’abitazione principale, vale a dire aliquota ridotta, detrazione e maggiorazione per i figli «under 26».
La circolare n. 3/Df di venerdì scorso, con riferimento ai cittadini italiani residenti all’estero, precisa che la maggiorazione di 50 euro prevista per i figli si applica solo nel caso in cui gli stessi dimorino abitualmente e risiedano anagraficamente nell’abitazione posseduta in Italia. Il Mef afferma, altresì, con argomentazioni ineccepibili, che il riconoscimento da parte del legislatore della possibilità per i comuni di disporre l’assimilazione in questione, comporta che laddove venga esercitata tale facoltà, sull’Imu da versare non deve essere computata la quota riservata allo Stato di cui al comma 11 dell’art. 13 del dl n. 201/2011, poiché quest’ultima norma esclude espressamente dalla quota erariale l’abitazione principale.
Infatti, viene spiegato nella circolare, «le modifiche intervenute ad opera dell’art. 4 del dl n. 16/2012 hanno privato di signifi cato il comma 11 dell’art. 13 secondo cui le detrazioni e le riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota riservata allo stato» poiché l’attuale comma 10 dello stesso art. 13 prevede ora la possibilità di assimilazione all’abitazione principale. Il ministero non ha tuttavia preso posizione su un punto importante, ossia se tali soggetti, laddove il comune ha già deliberato l’assimilazione, possono pagare l’Imu, tutta a favore del comune, con l’aliquota ridotta del 4 per mille anziché quella del 7,6 per mille.
È chiaro infatti che se tale possibilità venisse negata, per anziani, disabili e Aire si aprirebbe poi il problema di come, e a chi, chiedere il rimborso della quota erariale non dovuta (articolo ItaliaOggi Sette del 21.05.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Gestione rifiuti, esoneri allargati. Ampliamento dei soggetti esclusi dagli adempimenti Sistri. Ddl licenziato dal Senato. Fuori le imprese agricole a bassa produzione di materiali pericolosi.
Esclusione definitiva dagli adempimenti Sistri per le imprese agricole a bassa produzione di rifiuti pericolosi che conferiscono direttamente a circuiti organizzati ed esenzione dall'obbligo di iscrizione all'Albo gestori ambientali per i professionisti dello stesso settore che effettuano direttamente il trasporto dei loro rifiuti (sia pericolosi che non pericolosi) alle medesime strutture.
Queste le semplificazioni ambientali previste dal disegno di legge di riformulazione del «Codice ambientale» (dlgs 152/2006) e provvedimenti satellite licenziato lo scorso 09.05.2012 dal Senato e ora alla Camera in terza lettura.
Allargamento esenzione Sistri. Il ddl in corso di approvazione sancisce un ampliamento del novero degli imprenditori agricoli esclusi dall'obbligo di iscrizione al nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti (e dunque ai relativi adempimenti operativi) intervenendo direttamente su due punti nodali dell'attuale disciplina (rappresentata dal dlgs 205/2010, provvedimento satellite del dlgs 152/2006).
È innanzitutto prevista la trasformazione da temporanea a definitiva dell'esenzione dall'obbligo di iscrizione al Sistri (attualmente valida in base all'articolo 39 del dlgs 205/2010 solo fino al 02.07.2012) per gli imprenditori agricoli ex articolo 2135 del codice civile che producono e trasportano a una piattaforma di conferimento, oppure conferiscono ad un circuito organizzato di raccolta, i propri rifiuti pericolosi in modo occasionale e saltuario. In secondo luogo, viene allargata la stessa nozione di trasporto e conferimento «occasionale e saltuario» mediante l'innalzamento a 300 (dagli attuali 100) della soglia massima di chili/litri di rifiuti pericolosi annualmente sottoponibili a tali fasi di gestione da parte delle imprese in parola senza obbligo di iscrizione al Sistri.
Detti imprenditori devono comunque, in base al vigente articolo 39 del dlgs 205/2010, conservare in azienda per cinque anni sia la copia della convenzione o del contratto di servizio stipulati con il gestore della piattaforma di conferimento o del circuito organizzato di raccolta che le schede «Sistri – Area movimentazione», sottoscritte e trasmesse dal gestore della piattaforma di conferimento o dal circuito organizzato di raccolta. L'adesione al Sistri, lo ricordiamo, è già a monte solo facoltativa (in virtù dell'articolo 4, dm 52/2011 – c.d «T.u. Sistri») per gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del Codice civile che producono rifiuti speciali non pericolosi. Una parziale esclusione dagli obblighi Sistri per alcune operazioni di gestione dei rifiuti compiute dalle imprese agricole, lo si sottolinea per onor di completezza, è invece in vigore dallo scorso 10.02.2012.
Il dl 5/2012 (c.d. «dl semplificazioni») ha infatti sancito, mediante la diretta modifica dell'articolo 193 del Codice ambientale, che non è più considerato «trasporto di rifiuti» (con conseguente fuoriuscita di tale attività, ma solo di questa, dall'obbligo di tracciamento dei sia cartaceo che telematico) la movimentazione di rifiuti finalizzata al deposito temporaneo effettuata sia da aziende agricole, anche percorrendo la via pubblica, tra suoi fondi purché distanti massimo 10 km, sia da imprenditori agricoli dai propri fondi al sito delle cooperative cui aderiscono.
Deroga obbligo iscrizione Albo gestori. Lo stesso disegno di legge in itinere prevede un ulteriore alleggerimento degli adempimenti ambientali per le imprese del settore, e ciò sancendo l'esclusione dall'obbligo di iscrizione all'Albo gestori ambientali previsto e disciplinato dal dlgs 152/2006 per gli imprenditori agricoli professionali definiti dall'articolo 1 del dlgs 99/2004 (soggetti costituenti, però, un novero più ristretto degli imprenditori agricoli definiti dall'articolo 2135 del Codice civile) che effettuano direttamente il trasporto dei rifiuti (sia pericolosi che non pericolosi) da loro prodotti verso le piattaforme di conferimento o circuiti organizzati di raccolta.
Operatività del Sistri. La data attorno alla quale ruota la partenza operativa del Sistri (ossia: comunicazione online al sistema informatico gestito dallo Stato dei dati relativi ai rifiuti gestiti e tracciamento satellitare dei mezzi di trasporto degli stessi) è, in base all'ultima proroga sancita in materia dalla legge 14/2012 di conversione del dl 216/2011 (c.d. «dl Milleproroghe»), quella del 30.06.2012.
Tale data rappresenta infatti sia il termine a partire dal quale i citati adempimenti Sistri dovranno essere assolti dalla generalità dei soggetti obbligati (ossia: medio/grandi produttori di rifiuti pericolosi; commercianti ed intermediari; Consorzi di riciclaggio; trasportatori professionali) sia il termine non prima del quale gli stessi adempimenti potranno essere dal Minambiente (tramite proprio decreto) imposti ai piccoli produttori di rifiuti pericolosi (ossia: produttori di rifiuti speciali pericolosi con non più di 10 dipendenti, compresi i produttori che effettuano il trasporto dei propri rifiuti entro i 30 kg/litri al giorno) (articolo ItaliaOggi Sette del 21.05.2012).

aggiornamento al 21.05.2012

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALIRischio impasse negli enti tra 3 mila e 5 mila abitanti. I comuni andati al voto il 6 e 7 maggio devono già fare i conti con la riduzione dei consiglieri.
Rischio impasse nei consigli dei comuni fra 3.000 e 5.000 abitanti. Tutto nasce dall'art. 16, comma 17, della manovra di Ferragosto (dl 138/2011), il quale, come noto, ha rivisto la «pianta organica» degli organi consiliari nei municipi più piccoli, prevedendo riduzioni differenziate per fascia demografica.
In particolare:
   - per i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti, il consiglio è composto dal sindaco e da 6 consiglieri;
   - per i comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 5.000 abitanti, sono previsti 7 consiglieri, oltre al sindaco, per un totale di 8 membri;
   - per i comuni con popolazione superiore a 5.000 e fino a 10.000 abitanti, il numero degli scranni consiliari sale a 11 (sindaco compreso).
La nuova composizione scatta a decorrere dal primo rinnovo elettorale successivo al 14.09.2011 (data di entrata in vigore della l 148/2011, di conversione del citato dl 138/2011). Il predetto comma 17, infatti, non è stato interessato dallo slittamento temporale previsto dal decreto «milleproroghe» 2012 (dl 216/2011, convertito dalla l. 14/2012; si veda ItaliaOggi del 27.11.2011).
Quindi, i comuni reduci dalla tornata elettorale del 6-7 maggio fanno già i conti con le nuove regole, che risultano particolarmente problematiche per gli enti della fascia intermedia (3.000-5.000 abitanti).
In tal caso, infatti, i componenti del consiglio (includendo anche il sindaco) sono in numero pari (8, come già detto). Ciò aumenta decisamente le probabilità che le votazioni si concludano in pareggio. In linea generale, infatti, per l'approvazione delle deliberazioni (e di ogni altro provvedimento), è necessario il voto favorevole della metà più uno dei presenti.
È evidente, quindi, che possono presentarsi non poche difficoltà nel funzionamento degli organi dei comuni in questione, di cui il legislatore non sembra aver tenuto adeguatamente conto. È pur vero che l'art. 71, comma 8, del Tuel prevede che alla lista collegata al candidato alla carica di sindaco che ha riportato il maggior numero di voti siano attribuiti due terzi dei seggi assegnati al consiglio (con arrotondamento all'unità superiore qualora il numero dei consiglieri da assegnare alla lista contenga una cifra decimale superiore a 50 centesimi). Il che significa che ogni primo cittadino, nei comuni in questione, può contare (oltre a se stesso) su ben cinque degli altri sette consiglieri.
Ma ciò non esclude che alcuni consiglieri di maggioranza decidano di votare in senso opposto agli orientamenti del proprio gruppo consiliare.
In tali casi, se voti a favore e voti contro il provvedimento proposto dovessero equivalersi, la votazione sarebbe infruttuosa.
Infatti, a livello legislativo non sono previsti meccanismi volti a risolvere in modo strutturale una simile situazione di impasse. Anche quando la legge prevede qualcosa al riguardo (ad esempio, allorché, in caso di votazioni riguardanti le persone, sancisce la prevalenza del candidato più anziano) si tratta di eccezioni tassative alla regola generale.
È un problema serio, che rischia di compromettere il regolare funzionamento della macchina comunale. Non va trascurato, inoltre, il rischio che si creino meccanismi perversi, con l'accentuazione del potere di ricatto di singoli consiglieri nei confronti dei primi cittadini.
Una possibile via d'uscita potrebbe essere il regolamento consiliare, cui l'art. 38, comma 1, del Tuel rimette (nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto) la disciplina del funzionamento dei consigli e, fra l'altro, delle modalità per la presentazione e la discussione delle proposte. Per esempio, si potrebbe prevedere (come già avviene in molti regolamenti vigenti per la Giunta) che in caso di parità di voti prevale quello del sindaco. Ma si tratterebbe di una previsione di dubbia legittimità, solo in parte attenuata dal fatto che il regolamento deve essere approvato a maggioranza assoluta. Non a caso, la gran parte dei regolamenti vigenti prevede che in caso di parità di voti la proposta si intende non approvata (articolo ItaliaOggi del 18.05.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGORELAZIONE CORTE CONTI SUL LAVORO PUBBLICO/ Gli enti snobbano i diktat della Consulta. Un dirigente su due è a contratto. Il 45% dei manager locali non è autonomo dalla politica.
Sono circa la metà dei dirigenti di ruolo quelli a contratto del comparto regioni enti locali. Per la precisione, secondo i dati della Corte dei conti, sezioni riunite, delibera n. 13/2012/Contr/Cl contenuti nella relazione sul costo del lavoro pubblico 2012, nel 2010 su 6.884 dirigenti di ruolo, nel comparto ben 2.199 sono dirigenti a tempo determinato, per un'incidenza pari al 32%.
Ma, aggiungendo anche i 902 dirigenti extra dotazione organica, tale incidenza sale al 45%.
La Corte dei conti conferma, dunque, che regioni ed enti locali sono distantissimi dall'attuare le indicazioni ripetutamente espresse dalla Corte costituzionale sulla dirigenza a tempo determinato, considerata un elemento di debolezza del sistema, perché incide negativamente sul principio della continuità amministrativa e risulta legata eccessivamente da un rapporto fiduciario con la politica, tale da lederne l'autonomia.
Appare piuttosto evidente che comuni, province e regioni abbiano attinto a piene mani alla possibilità di assumere dirigenti di fiducia a tempo determinato, costituendo un vero e proprio «apparato parallelo» a quello di ruolo. Ciò, in particolare, soprattutto per effetto dell'articolo 110, comma 1, del dlgs 267/2000 che consentendo, prima della riforma-Brunetta, di assumere senza limitazione alcuna i dirigenti a contratto, ha permesso a moltissimi enti di insediare ai vertici amministrativi dirigenti esterni, senza porsi minimamente il problema di un tetto numerico.
L'incidenza della dirigenza a contratto pari complessivamente al 45% del totale, come si nota, è lontanissima dal tetto inizialmente posto dal dlgs 150/2009 al solo 8%.
Si spiegano, dunque, le insistenze dell'Anci e dei sindaci in particolare, per ottenere dal legislatore un ampliamento delle quote di dirigenti da assumere a contratto, nonostante le pronunce della Corte costituzionale. Come si ricorda, un primo ampliamento, fino al 18%, era stato ammesso dall'articolo 1 del dlgs 141/2011, ma solo per gli enti locali considerati virtuosi da un dpcm che ancora non ha visto la luce. Un secondo ampliamento, dunque, è stato invocato e ottenuto dalle autonomie locali con l'articolo 4, comma 13, del dl 16/2012, convertito in legge 44/2012 (il decreto fiscale), che apparentemente estende di poco la percentuale iniziale dell'8%, prevedendo un 10% per gli enti locali con oltre 250 mila abitanti, espandibile al 13% per gli enti con popolazione tra 100 mila e 250 mila e portato al 20% per gli altri enti.
Ma, in realtà, proprio perché anche il 20% (incidenza della dirigenza a contratto comunque più che doppia di quella ammessa nello stato) è lontanissimo dalla percentuale effettiva di dirigenti a contratto operanti negli enti locali, il citato articolo 4, comma 13, ha posto in essere una vera e propria mini-sanatoria: consente, infatti, agli enti locali di confermare tutti, ma proprio tutti, i dirigenti con contratti in scadenza al 31/12/2012, riproponendo la percentuale-monstre di dirigenti a contratto di matrice fiduciaria.
Per altro, esattamente come avviene presso le varie agenzie nazionali, grandissima parte della dirigenza a contratto non proviene nemmeno da selezione di particolari e spiccate competenze professionali attinte al di fuori delle dotazioni organiche, come prevederebbe l'articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001, allo scopo di integrare e arricchire la qualità e il plafond di capacità della dirigenza di ruolo. Spiegano le sezioni riunite nella relazione che «oltre la metà delle assunzioni nell'ambito della dirigenza a tempo determinato deriva dall'attribuzione di incarichi a personale interno ai singoli enti».
Insomma, delle vere e proprie progressioni verticali di fatto, realizzate senza alcuna specifica selezione, spesso occasione per premiare fedeltà e consonanza del dirigente cooptato all'organo di governo di turno (articolo ItaliaOggi del 18.05.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOContratti decentrati, atti unilaterali subito vigenti.
Gli atti unilaterali sostitutivi del mancato accordo per la stipulazione dei contratti decentrati sono da considerare da subito in vigore, per effetto dell'articolo 6 del dlgs 141/2011.
La relazione sul costo del lavoro pubblico 2012 elaborata dalle sezioni riunite della Corte dei conti interviene in modo tranciante su una delle questioni più spinose riguardanti il dlgs 150/2009, nell'ambito della profonda critica riservata all'intesa tra funzione pubblica e sindacati, che pare finalizzata a smantellare, invece, proprio l'impianto della riforma-Brunetta che ha potenziato i poteri datoriali.
Ai sensi dell'articolo 40, comma 3-ter, del dlgs 165/2001 «qualora non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, l'amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione». Si tratta di una disposizione prevista per riequilibrare le posizioni di forza nella contrattazione decentrata, tale da permettere alle amministrazioni di superare pregiudiziali sindacali ostative alla stipulazione dei contratti e permettere l'attuazione degli istituti.
Come noto, i sindacati hanno fatto ricorsi a tappeto ai giudici del lavoro avverso i provvedimenti attuativi della norma introdotta dalla riforma-Brunetta. Inizialmente, i giudici avevano considerato antisindacale il comportamento delle amministrazioni inteso ad attuare la norma, per poi cambiare interpretazione.
Le sezioni riunite, anche alla luce del dlgs 141/2011, col quale il parlamento ha interpretato autenticamente l'articolo 65 del dlgs 150/2009, nella relazione considerano immediatamente applicabili, senza alcun rinvio alla contrattazione nazionale, le norme del dlgs 150/2009 «relative all'assetto delle relazioni sindacali, compresa la possibilità per le amministrazioni di decidere unilateralmente sulla distribuzione delle risorse presenti nei fondi unici in caso di eccessivo protrarsi del confronto negoziale».
La magistratura contabile fa giustizia della legittimità piena dei provvedimenti unilaterali adottati dalle amministrazioni, atti da considerare necessitati anche alla luce del rispetto della contabilità pubblica.
L'articolo 40, comma 3-ter, è uno tra i molti che la riforma-Brunetta ha prodotto, per rafforzare la posizione dei dirigenti pubblici, così da correggere alcuni effetti distorti della «privatizzazione» del rapporto di lavoro pubblico. Per la Corte l'intesa del 3 maggio scorso nasconde il rischio «di una possibile permanenza delle criticità che hanno caratterizzato sinora la contrattazione collettiva nazionale e integrativa, non in grado di rendere effettiva la correlazione fra componenti accessorie della retribuzione e incrementi di produttività del settore pubblico».
Per questo, la Corte auspica che la riforma del lavoro pubblico mantenga norme finalizzate a rafforzare il datore pubblico «prevedendo, quanto meno, la conferma della disposizione, già contenuta nel dlgs n. 150 del 2009» (articolo ItaliaOggi del 18.05.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIPersonale, la riduzione della spesa va a rilento.
Diminuzione del numero dei dipendenti degli enti locali, avvio della messa sotto controllo della spesa del personale, mentre le criticità della contrattazione decentrata integrativa continuano a essere assai marcate, anche per colpa della funzione pubblica e del ministero dell'economia: possono essere così riassunte le principali tendenze che si sono manifestate nel lavoro pubblico nell'anno 2010 rispetto al precedente anno 2009. Da sottolineare che il trattamento economico medio del personale degli enti locali è quantificato in 29.399 euro annui: tale cifra è di poco superiore al trattamento medio dei dipendenti non dirigenti, che rappresentano oltre il 96% del personale del comparto regioni e autonomie locali.
In questo comparto il numero dei dipendenti in servizio è diminuito dell'1,6%, mentre nel complesso delle amministrazioni pubbliche è calato dell'1,9%. Assai marcata la diminuzione del numero dei lavoratori assunti con contratti flessibili (-7,2%), mentre la diminuzione del personale a tempo indeterminato è stata assai contenuta: appena -0,8%. Quindi una tendenza meno «virtuosa» rispetto a quella registrata in altri comparti pubblici, in particolare nelle amministrazioni statali.
A livello di spesa per il personale quella dei comuni, delle province e delle regioni è diminuita dello 0,9%, mentre nel complesso delle amministrazioni pubbliche la riduzione è stata dell'1,5%. Da sottolineare che si arriva a tale risultato, assai inferiore a quello del complesso delle amministrazioni statali, sulla base «di una crescita della spesa per il personale dirigente più che compensata dalla flessione della spesa del personale non dirigente».
Questa differenza è spiegata in buona parte dal fatto che nel 2010 è stato rinnovato il contratto dei dirigenti, mentre quello del personale era stato rinnovato nel 2009. Comunque, in modo per molti versi speculare rispetto all'andamento del numero dei dipendenti, si registra una gestione meno «virtuosa» rispetto ad altri comparti del pubblico impiego e in particolare alle amministrazioni statali.
Assai interessanti sono anche i dati medi sul trattamento economico complessivo del personale del comparto regioni ed enti locali: i dipendenti ricevono compensi per circa 28.389 euro annui; i dirigenti compensi per 99.004 euro, i segretari per 89.262 euro e i direttori generali per 142.418.
Le stabilizzazioni nel 2010 hanno interessato nel comparto regioni e autonomie locali 3.907 unità che in gran parte sono ex lavoratori socialmente utili. Continua a essere negativo il bilancio della contrattazione decentrata mettendo insieme i costi e gli effetti sulla qualità dell'attività amministrativa. Assai interessante è la dura bacchettata che viene per la prima volta data alla funzione pubblica e al ministero dell'economia: «Va sottolineata l'importanza strategica della predisposizione, da parte del dipartimento della funzione pubblica d'intesa con il ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'art. 40-bis del dlgs n. 165 del 2001, del previsto modello unico di riferimento per la predisposizione della relazione tecnica ai contratti integrativi.
A tale relazione, che deve essere pubblicata unicamente ai contratti integrativi sul sito istituzionale delle amministrazioni, è affidato il compito di evidenziare in modo trasparente il valore dei fondi unici in ciascun esercizio, le risorse disponibili, quelle oggetto di contrattazione e gli effetti finanziari e organizzativi connessi alle scelte contrattuali sul riparto delle risorse, anche al fine di garantire effettività al controllo diffuso previsto dal citato art. 40-bis da parte degli utenti dei servizi sull'utilizzo delle risorse destinate ai dipendenti di ciascun ent
e». Tale modello previsto dal legislatore già dal 2009 fino a oggi non è stato realizzato (articolo ItaliaOggi del 18.05.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGORiscossione Imu, incentivi a rischio. Premio cancellato dal dl fiscale, anzi no. E comuni nel caos. Preoccupazione negli uffici tributi dei municipi in vista della prima rata. L'Anutel lancia l'allarme.
È il grande rebus del momento: esiste ancora il premio incentivante per i dipendenti che si impegneranno nel contrasto all'evasione Imu?
La nuova e già contestatissima imposta nasconde tra le sue maglie anche questo problema, sicuramente secondario per gli «impositori», un po' meno impellente per gli operatori, già impegnati a gestire l'avvio delle complicate procedure relative al neoistituito tributo.
Fino a poche settimane fa non c'erano dubbi in proposito, e il ragionamento seguito faceva, grosso modo, leva su due elementi: il comma 57 dell'art. 3 della legge n. 662/1996 e l'art. 59, comma 1, lett. p), del dlgs n. 446/1997 che, non risultando modificato dall'art. 13 del dl n. 201/2011, consentiva ancora di prevedere, nell'esercizio della potestà regolamentare comunale, l'attribuzione di compensi incentivanti al personale addetto agli uffici tributari.
Si riteneva, quindi, che in assenza di abrogazioni esplicite, tale facoltà risultasse ancora legittimamente esercitabile anche in relazione alle attività connesse all'Imu. A maggior conforto dell'armonia Ici-Imu in punto di incentivi, il comma 6 dell'art. 14 dlgs n. 23/2011 diceva testualmente «è confermata la potestà regolamentare degli enti locali di cui agli artt. 52 e 59 dlgs 446/1997 anche per i nuovi tributi previsti dal presente provvedimento».
Ma a complicare terribilmente le cose arriva il dl 16/2012 come modificato dall'art.4 della legge di conversione n. 44/2012, che ha letteralmente cancellato il richiamo espresso che l'art. 14 legge n. 23/2001 faceva all'art. 59 dlgs n. 446/1997. Ci si sofferma a vario titolo sul colpo di spugna dato dalla legge di conversione del dl 16/2012 alla potestà regolamentare specifica, prevista per i comuni dall'art. 59 del dlgs 446/1997 argomentando, correttamente, che se viene abrogata la possibilità di regolamentare l'attribuzione di un compenso incentivante ad essere fortemente messo in discussione è il compenso incentivante stesso, stante, per l'ente locale la funzione normativa dello strumento regolamentare.
Su altri fronti si leggono parole più tranquillizzanti che, richiamando in causa una circolare datata ma attuale sul punto (circolare Mef 296/E del 31/12/1998), hanno concentrato l'attenzione sull'art. 52 del dlgs 446/1997, non inciso né abrogato dal dl 16 /12, e sul suo titolo legittimante generale rispetto alla potestà regolamentare dell'ente locale. Si è detto, in armonia con la citata circolare, che l'art. 52 consegna all'ente locale potestà regolamentare neutra e diffusa rispetto ai contenuti puntuali dettagliati in altre norme, quali ad esempio, proprio quelli specificati nell'abrogato articolo 59 del medesimo dlgs, che declinerebbe, senza pretese di tassatività, la potestà regolamentare del comune in alcuni esemplificativi spazi di possibile operatività. Insomma aver cancellato un ambito specifico di potestà regolamentare non inciderebbe sul potere generale dell'ente di darsi un regolamento.
Ritengo, però, che l'analisi debba spaziare ancora, spostandosi, dal potere regolamentare alla fonte di grado superiore. Insomma, al di là dell'abrogazione dell'art. 59 dlgs n. 446/2007 contenuta nella legge di conversione del dl 16/2010, un altro importante vuoto si presenta nel puzzle. Dov'è la norma di legge che con specifico riferimento all'Imu dà facoltà agli enti accertatori di riconoscere un incentivo premiante ai dipendenti? Malgrado gli evidenti segni di continuità Ici/Imu, l'Imu è comunque un nuovo tributo che ha, peraltro, una propria autonoma regolamentazione, il che unito al principio generale secondo cui le disposizioni Ici sono applicabili all'Imu solo se richiamate espressamente, genera un vuoto legislativo più che regolamentare. La previsione dell'art. 3 comma 557 del 662/1996 che consentiva esplicitamente l'utilizzo di una percentuale Ici per il potenziamento dell'Ufficio tributi non è, per le ragioni anzidette, direttamente applicabile all'Imu. Relativamente al nuovo tributo non esiste nemmeno una previsione generale, costruita sulla falsariga delle norme di chiusura, che abiliti l'interprete all'applicazione delle disposizione sull'Ici, ove non diversamente normato per l'Imu.
E le cose si complicano ulteriormente, laddove, come evidenziato anche dall'Aran in più di un autorevole parere, il meccanismo integrativo delle risorse decentrate scritto nella lett. k) dell'art. 15 Ccnl '99 che concretamente consente di corrispondere incentivi al personale come l'incentivo Ici, impone che siano «specifiche» le norme di legge che destinano in modo altrettanto «specifico ed espresso» risorse all'incentivazione del personale.
In difetto di una fonte normativa dalla quale risulti questa chiara e specifica finalizzazione ancor meno è ipotizzabile l'utilizzo, per via analogica e a fini incentivanti, di norme concepite e riferite ad ambiti differenti, benché similari, ma riguardanti espressamente l'Ici (articolo ItaliaOggi del 18.05.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Paletti ai trasferimenti. Avvicinamento al comune solo in casi tassativi. La delega da parte dell'assessore non basta a giustificare la domanda.
È possibile applicare il beneficio di cui all'articolo 78, comma 6, del decreto legislativo n. 267/2000, al personale della polizia di stato, che ha prodotto istanza di trasferimento, in quanto nominato rappresentante di un comune a supporto dell'assessore ai servizi sociali dello stesso comune, già delegato dal sindaco quale componente del Coordinamento istituzionale presso l'ambito territoriale con sede in altro ente?
L'articolo sopra citato introduce una disposizione di garanzia a favore di tutti i lavoratori dipendenti per evitare loro restrizioni o limitazioni all'esercizio delle funzioni connesse all'espletamento del proprio mandato.
In proposito, è stabilito che la richiesta dei predetti lavoratori di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità.
L'art. 77, comma 2, del Tuel, statuisce che, ai fini dell'applicazione delle norme di cui al capo IV - status degli amministratori locali (artt. 77-87), si devono intendere amministratori locali i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento.
Ciò posto, nel caso in esame risulta che l'interessato è stato designato a supportare l'attività dell'assessore ai servizi sociali e non direttamente delegato dal sindaco a rappresentare l'ente locale.
Pertanto, non rientrando lo stesso nel novero degli amministratori locali come definito dall'art. 77 del Tuel, non sono applicabili le disposizioni di cui all'art. 78 del medesimo Testo unico (articolo ItaliaOggi del 18.05.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Sospensione ferie.
Un consigliere comunale, dipendente dell'Inps, può presentare al proprio datore di lavoro istanza di «sospensione delle ferie» già richieste per la partecipazione a sedute di consiglio e commissioni presso l'ente in cui esplica il mandato elettivo?

Fermo restando il diritto, costituzionalmente garantito, dell'amministratore di disporre del tempo necessario per il mandato, l'istituto del permesso si differenzia da quello dell'aspettativa in quanto l'amministratore-lavoratore dipendente mantiene il rapporto con l'amministrazione di appartenenza con tutti i vincoli, anche di orario, che tale rapporto comporta.
Il diritto dell'amministratore a fruire dei permessi lavorativi va, pertanto, contemperato con il diritto dell'ente di appartenenza con cui l'amministratore locale ha mantenuto il rapporto lavorativo, al rispetto delle norme ordinamentali e organizzative interne.
L'ente di appartenenza può, quindi, legittimamente rifiutare l'accoglimento dell'istanza del dipendente volta alla revoca delle ferie già richieste, anche se motivate con la possibilità di fruire di altro diritto.
Per completezza del quadro normativo si soggiunge che, sulla materia dei permessi, sono intervenute le modifiche normative apportate dall'art. 16 del dl 13/08/2011, n. 138, convertito nella legge 14/09/2011, n. 148 che ha rivisitato il 1° comma dell'art. 79 Tuel (articolo ItaliaOggi del 18.05.2012).

LAVORI PUBBLICIAppalti, dall'8 giugno rischio stop. Amministrazioni in ritardo sui nuovi certificati dei lavori. Scattano le disposizioni del dpr 207/2010. E le p.a. in difficoltà stanno bloccando i bandi.
Dall'08 giugno si rischia il blocco degli appalti di lavori pubblici a causa dei ritardi nella emissione dei nuovi certificati dei lavori da parte delle stazioni appaltanti.
È questo il grido di allarme che viene lanciato dal Partito Democratico che, raccogliendo anche la forte preoccupazione del settore delle imprese di costruzioni, martedì ha presentato (a firma di Raffaella Mariani, capo gruppo in Commissione ambiente della camera) una risoluzione parlamentare volta a impegnare il governo a trovare una soluzione al possibile impasse determinato dalla cessazione di numerose attestazioni SOA per importanti categorie di lavori.
Il problema nasce con riguardo ad una norma del dpr 207/2010 (il Regolamento attuativo del Codice dei contratti pubblici) entrato in vigore l'08.06.2011 (l'articolo 357, comma 14) che stabilisce per alcune categorie di lavori (fra le quali le categorie generali OG 10 e 11, opere impiantistiche, e le categorie specializzate OS 2,7,8, 12, 18, 20 e 21) la cessazione della validità dei certificati entro 6 mesi (08.12.2011, termine poi prorogato per legge all'08.06.2012) e l'obbligo di remissione dei certificati secondo le nuove regole del dpr 207.
La questione riguarda ad esempio, la categoria OG 11 per la quale l'impresa generale è tenuta (art. 79, comma 16) a documentare almeno il 40% di lavori svolti in OS3 e il 70% sia in OS 28, sia in OS 30. Per la remissione dei certificati le stazioni appaltanti dovrebbero prendere in considerazione i dati relativi a progetti realizzati negli anni precedenti e calcolare le quote dei lavori appartenenti alle categorie specializzate, al fine di verificare se siano rispondenti ai parametri previsti nel dpr 207/2010.
Fino ad oggi, si legge nella risoluzione del Pd, la proroga di sei mesi «non è servita ad attuare la necessaria accelerazione delle procedure per il rilascio dei certificati, ancora in forte ritardo, con effetti negativi sulla capacità delle imprese a partecipare alle gare bandite con le categorie oggetto di modifica». Inoltre le stazioni appaltanti, alla luce delle difficoltà derivanti dall'aggiornamento dei certificati (evidenziate anche dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, nella sua relazione al Parlamento dell'anno scorso), sembra che stiano fermando l'emissione di nuovi bandi di gara, con le nuove categorie, in attesa di capire cosa succederà.
Nella risoluzione parlamentare si chiede un intervento del governo per accelerare la remissione dei certificati e «ogni utile iniziativa» per evitare «effetti distorsivi per la concorrenza derivanti dalla applicazione delle nuove regole del dpr 207 del 2010 a danno delle imprese nazionali a favore di quelle comunitarie». Peraltro andrebbe valutato anche il fatto che effetti distorsivi sulla concorrenza si potrebbero verificare anche all'interno del mercato nazionale se, come risulta a ItaliaOggi, alcune imprese si sarebbero già premurate di acquisire le nuove certificazioni sulla base delle nuove regole e, quindi, non avrebbero interesse, ovviamente, a una nuova proroga.
Il problema, articolato e complesso, sembra comunque essere all'attenzione dei tecnici del dicastero di Porta Pia, in attesa di soluzioni di natura politica che, a questo punto, non dovrebbero tardare. Va infatti ricordato che il governo, in un imminente decreto-legge, dovrebbe emanare una delega per riformare il sistema di qualificazione delle imprese, e quella potrebbe essere la sede appropriata per risolvere la questione. Ma occorrerebbe una proroga ulteriore per evitare il temuto blocco degli appalti. Una vera e propria corsa contro il tempo (articolo ItaliaOggi del 17.05.2012).

aggiornamento al 16.05.2012

INCARICHI PROFESSIONALICosa cambia per i legali con il dl liberalizzazioni. Il cliente deve poter confrontare i prezzi. Ora il tariffario è personalizzato.
Onorari forfettari o compenso orario; palmario o patto di quota lite: sono alcune delle possibili tecniche di definizione del compenso dell'avvocato, che, abrogate le tariffe di categoria, è chiamato a stabilire un tariffario di studio da proporre ai clienti. Con la clientela i legali sono chiamati a stipulare contratti scritti, dopo avere fornito una esaustiva informazione sul costo presumibile del processo ed eventualmente dopo avere fornito un preventivo di massima (scritto se richiesto dal cliente). E dal 13.08.2012 obbligo per gli avvocati di dotarsi di una polizza assicurativa contro i rischi professionali.
Sono queste in sintesi le novità portate da ultimo dall'articolo 9 del decreto 1/2012, a seguito delle modifiche apportate dalla legge di conversione n. 27 del 24.03.2012, in vigore dal 25.03.2012. L'obiettivo dichiarato è di favorire la concorrenza nel mercato delle professioni legali, anche se il provvedimento potrà avere l'effetto di calmierare i compensi per le toghe.
Vediamo di illustrare le ricadute pratiche delle ultime novità.
Le tariffe. Per quanto concerne le tariffe il decreto ha disposto l'abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.
Risolvendo un problema sorto a causa della formulazione originaria del decreto legge la legge di conversione ha dettato la disciplina per la liquidazione giudiziale degli onorari degli avvocati al termine di una causa. In questo caso il compenso del professionista sarà determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro della giustizia, da adottare nel termine di 120 giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Fino ad allora (23.07.2012), in virtù di una disposizione transitoria, continuano ad applicarsi le tariffe forensi, anche se limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali.
Preventivo e contratto col cliente. Cosa diversa dalla liquidazione giudiziale è il contratto tra avvocato e cliente. A questo proposito l'articolo 9 in commento disciplina due fattispecie: il preventivo e il contratto con il cliente.
Per il preventivo la legge dispone che in ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, che deve essere adeguata all'importanza dell'opera e che va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. Inoltre il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale.
Il preventivo non deve essere necessariamente fornito per iscritto e può essere «di massima»: la legge sembra chiedere al singolo avvocato di costruirsi il personale tariffario, così da fornire ai clienti la possibilità di confrontare i prezzi praticati.
Il preventivo deve essere articolato per voci di costo e quindi si potranno articolare le attività di consulenza, difensive e quelle accessorie di segreteria e di accesso agli uffici giudiziari.
Diverso dal preventivo è il contratto con il cliente, nel quale si pattuisce il compenso.
Mentre il preventivo potrebbe essere pattuito anche oralmente, ai sensi dell'articolo 2233 del codice civile, sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati e i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali.
Quindi il contratto con il cliente deve essere redatto in forma scritta.
A questo proposito l'articolo 9 prevede che il compenso per le prestazioni professionali deve essere pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento dell'incarico professionale.
Per il compenso è possibile usare anche una delle seguenti tecniche:
-forfait
-palmario
-patto di quota lite
-compenso orario (anche per le attività giudiziali).
Il compenso forfettario è quello che vincola l'avvocato a un compenso fisso, ma potrebbe dare adito a diversi problemi: se sottostimato potrebbe non essere remunerativo per l'avvocato e, quindi, essere contrario al principio di corrispondenza del compenso al decoro della professione; se troppo alto potrebbe essere disincentivante per il cliente a conferire l'incarico; d'altra parte l'avvocato potrebbe essere portato a stimare tutta la possibile attività con una lievitazione dell'importo.
Le altre fattispecie. Il palmario è il premio pattuito in aggiunta all'onorario per il caso di vittoria o di risultato positivamente valutabile per il cliente.
Il patto di quota lite è l'accordo con cui si stabilisce un compenso dell'avvocato esclusivamente in caso di vittoria (totale o parziale) ed è quantificato in una quota del risultato utile conseguito dal cliente.
Il compenso orario era già previsto dal Tariffario forense, ma solo per l'attività stragiudiziale (assistenza e pareri). Con le nuove disposizioni si può pattuire un compenso orario anche per l'attività giudiziale. Anche se questo obbliga ad una analitica registrazione del tempo impiegato. Peraltro è opportuno osservare una registrazione dettagliata delle attività svolte, qualunque sia la tecnica seguita di pattuizione del compenso.
Le tecniche di determinazione del compenso potrebbero anche essere combinate insieme: ad esempio un compenso fisso forfettario combinato con un compenso orario, oppure un compenso fisso forfettario combinato con un onorario aggiuntivo in caso di risultato favorevole o, ancora, un compenso orario ridotto con l'aggiunta di un onorario di risultato favorevole.
Quanto alle condizioni contrattuali, in relazione all'esigenza di poter tenere conto di eventi non prevedibili soprattutto dei processi, si possono inserire clausole di rinegoziazione del compenso o clausole pattizie alternative (articolo ItaliaOggi Sette del 14.05.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti, sforbiciata sugli obblighi. Semplificazioni a 360° dai Raee alla miscelazione di oli usati. Lo prevede il ddl approvato in senato che riformula Codice ambientale e provvedimenti satellite.
Esclusione dalla disciplina dei rifiuti per sfalci e potature derivanti dalla manutenzione di giardini e parchi, semplificazioni per la gestione di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche da parte dei venditori di nuovi beni, allargamento dell'autocompostaggio «light» a mense e mercati, attenuazione degli obblighi per la gestione di oli usati e terre da scavo, alleggerimento dei controlli ambientali sulle imprese ecocertificate.
Tornano in pista in parlamento, veicolate da un autonomo disegno di legge, le semplificazioni stralciate all'ultimo minuto (in sede di conversione) dal recente provvedimento d'urgenza in materia ambientale (il dl 2/2012) per evitare possibili censure di incostituzionalità legate ai presupposti di necessità e urgenza.
Il nuovo ddl, approvato il 9/5/2012 dal senato e ora di nuovo alla camera dei deputati in terza lettura, promette sia di riformulare i punti nodali della parte quarta del «Codice Ambientale» (dlgs 152/2006) in materia di rifiuti, sia di rimodulare i relativi provvedimenti satellite che disciplinano la stessa gestione dei beni a fine vita.
Biomasse da manutenzione verde pubblico. Il disegno di legge in corso di approvazione (recante, testualmente, «Modifiche al dlgs 03.04.2006, n. 152») rivede innanzitutto il confine tra rifiuti e non rifiuti, allargando il novero dei materiali esclusi dal campo di applicazione della disciplina sui beni a fine vita disegnata dal dlgs 152/2006.
In particolare, il ddl prevede che non saranno più considerati «rifiuti» paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura anche derivante dalla manutenzione del verde pubblico e privato, purché tale biomassa abbia le caratteristiche proprie dei sottoprodotti (individuate dall'articolo 184-bis del Codice ambientale) e sia destinata alla produzione di energia.
Raee. Il ddl in corsa prevede un allargamento del regime agevolato che già consente ai distributori di nuove Apparecchiature elettriche ed elettroniche (Aee), dietro il rispetto di precise condizioni, di raggruppare presso i propri locali i Raee (Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) domestici ritirati dai propri clienti e procedere in proprio al trasporto verso un centro di gestione autorizzato.
Il disegno di legge rivede infatti, allargandoli, i parametri dettati dall'attuale dm 65/2010 ed entro i quali tali soggetti possono procedere alla raccolta e al trasporto dei rifiuti adempiendo unicamente agli obblighi della tenuta di uno «schedario di carico e scarico» e di un «documento di trasporto» (in luogo dei più complessi «registri di carico e scarico» e «formulario di trasporto» previsti dal dlgs 152/2006) unitamente all'iscrizione semplificata all'Albo gestori ambientali.
L'allargamento di tale regime agevolato è effettuato mediante tre mosse: ampliando i limiti temporali e quantitativi del «deposito» massimo in situ dei Raee prima di dover obbligatoriamente procedere al loro trasporto verso i centri autorizzati; rimuovendo i limiti al novero degli automezzi utilizzabili per tale trasporto; consentendo il conferimento anche a centri autorizzati alla gestione generale dei rifiuti ex dlgs 152/2006. In particolare, il trasporto dei Raee ai centri di raccolta potrà avvenire su base trimestrale (in luogo di quella mensile) e comunque quando il quantitativo superi i 3.500 Kg in relazione, però, a ogni singolo raggruppamento per classi omogenee (quelle previste ex allegato 1, dm 185/2007) e non in relazione (come oggi previsto) al totale di tutti i Raee in deposito.
Ancora, il trasporto potrà essere effettuato (contrariamente al regime attuale) anche con automezzi di portata superiore a 3.500 kg e massa complessiva superiore a 6.000 kg. Infine, i Raee potranno essere anche conferiti a strutture che rispettano i criteri autorizzatori ex articoli 208, 213 e 216 del dlgs 152/2006 oltre che agli impianti realizzati e gestiti nel rispetto delle norme dettate dal dm ambiente 8/4/2008.
Compostaggio non domestico. È previsto l'allargamento alle utenze non domestiche della possibilità di procedere all'autocompostaggio in regime semplificato rispetto alla gestione dei rifiuti ex dlgs 152/2006.
In base al disegno di legge, non sarà infatti soggetto al regime autorizzatorio per gli impianti di gestione dei rifiuti (articolo 208 del «Codice ambientale») il trattamento tramite compostaggio aerobico o digestione anaerobica dei rifiuti urbani organici biodegradabili a condizione che: oggetto del trattamento siano rifiuti biodegradabili provenienti da cucine e mense, mercati, parchi e giardini; la quantità annua totale oggetto di trattamento non ecceda le 80 tonnellate; il prodotto ottenuto sia rispettoso del dlgs 75/2010 sui fertilizzanti e utilizzato nello stesso territorio comunale nel quale è ottenuto; lo stoccaggio che precede il trattamento duri un massimo di 72 ore per rifiuti di cucine, mense, mercati, non oltre 7 giorni per i rifiuti da giardini e parchi.
Realizzazione e gestione degli impianti di compostaggio saranno soggetti alla «denuncia di inizio attività» ex dpr 380/2001 e alle norme in materia urbanistica, ambientale, antincendio, sanitaria, antisismica, di efficienza energetica e di tutela paesaggistica. La gestione dovrà infine avvenire sotto la responsabilità di un professionista abilitato secondo le modalità stabilite dal Minambiente con proprio decreto.
Miscelazione oli usati. È previsto un ammorbidimento dei divieti di miscelazione previsti dal dlgs 152/2006 in relazione alla gestione degli oli usati. Il ddl in parola sancisce infatti (mediante la riformulazione dell'articolo 216-bis del Codice ambientale relativo a tali rifiuti) la possibilità, nel rispetto delle regole generali sancite dall'articolo 187, comma 2, lettera a), b) e c) del dlgs 152/2006, di miscelare tra di loro gli oli usati sia nelle fasi del deposito temporaneo che in quelle di gestione successive.
Terre e rocce da scavo. In deroga alla disciplina generale sulla gestione delle terre e rocce da scavo (a oggi rappresentata dagli articoli 185 e 186 del dlgs 152/2006, quest'ultimo operativo fino all'emanazione del futuro dm ambiente previsto dall'articolo 49 del dl 1/2012 che ne sostituirà le norme) la legge in corso di approvazione prevede una disciplina speciale per i materiali da scavo provenienti dalle miniere dismesse e/o esaurite collocate all'interno dei siti di interesse nazionale.
Tali materiali, nel tenore del ddl in itinere, potranno essere riutilizzati nella medesima area mineraria per riempimenti, rimodellazioni e miglioramenti ambientali a condizione che la concentrazione di inquinanti non superi i parametri ex allegato V, Parte IV del dlgs 152/2006. Le aree sulle quali insistono detti materiali saranno altresì restituite agli usi legittimi ricorrendo le medesime condizioni (di rispetto elle soglie di inquinamento) per i suoli e per le acque.
Riduzione controlli ambientali. Allargato l'elenco delle imprese che potranno godere di un alleggerimento dei controlli di compatibilità ambientale della propria attività. Mediante la diretta modifica del dl 5/2012 il ddl in itinere prevede infatti che il governo, nel disciplinare con proprio provvedimento la materia, dovrà includere tra le attività oggetto di riduzione del monitoraggio sia quelle certificate Iso 14001 sia quelle certificate in base al regolamento Ce n. 1221/2009 (cd. «regolamento Emas») (articolo ItaliaOggi Sette del 14.05.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAssunzioni, sì alle quote di turn-over non utilizzate. la Corte dei conti ammette il frazionamento.
Gli enti locali possono utilizzare per assunzioni negli anni successivi le quote di turn-over non utilizzate.
E' questo l'orientamento prevalente della maggior parte delle sezioni regionali della Corte dei conti ... (articolo Il Sole 24 Ore del 14.05.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Per le gare telematiche contratti subito operativi. Il decreto-legge sulla spesa taglia i tempi negli appalti.
Con le gare telematiche per l'acquisto di beni e servizi le amministrazioni possono stipulare immediatamente i contratti d'appalto e di non applicare i diritti di segreteria.

Le disposizioni del Dl 52/2012 sulla spending review hanno definito una serie di misure ... (articolo Il Sole 24 Ore del 14.05.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALISulle Unioni di Comuni ancora un rinvio.
Tracciare una linea sulla carta è semplice, pretendere che la realtà si adegui è esercizio più complesso.

Su questo piccolo problema si sono finora arenate quasi tutte le norme ... (articolo Il Sole 24 Ore del 14.05.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 14.05.2012

AMBIENTE-ECOLOGIAPer il T.u. ambientale le riforme non finiscono mai. Via libera al senato per il ddl con le novità in materia di rifiuti da potatura e materassi dismessi.
Non sarà considerato rifiuto il materiale derivante dalla potatura degli alberi, proveniente anche dalle attività di manutenzione delle aree verdi urbane, se utilizzato per la produzione di energia da tale biomassa, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana.
Questo l'art. 1 del disegno di legge recante «modifiche al decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, e altre disposizioni in materia ambientale» (T.u. ambientale), approvato in seconda lettura dal senato il 9 maggio scorso e ora alla camera per il via libera definitivo. Ciò dovrebbe porre fine alla «querelle» che si era originata in varie aree verdi per la gestione di questo materiale, conteso tra municipalizzate e altre organizzazioni.
Ma potremmo essere anche alla vigilia dell'istituzione di una sorta di «Assomaterasso». Infatti l'art. 19 prevede che il ministero dell'ambiente entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della leggi emani un decreto per la gestione dei materassi dismessi, specificando le modalità di recupero, prevedendo l'introduzione di meccanismi che in osservanza delle normative nazionali e comunitarie favoriscano il recupero e l'avvio al riciclaggio dei materiali impiegati.
Altra norma molto importante è quella contenuta nell'art. 2 del ddl che prevede che i materiali di scavo provenienti dalle miniere dismesse, o comunque esaurite, collocate all'interno dei siti di interesse nazionale, possono essere utilizzati nell'ambito delle medesime aree minerarie per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, miglioramenti fondiari o viari oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali, a condizione che la caratterizzazione di tali materiali, tenuto conto del valore di fondo naturale, abbia accertato concentrazioni degli inquinanti che si collochino al di sotto di una certa soglia e qualora risultino conformi al test di cessione.
Arriva, poi, la norma sulla raccolta degli indumenti e che cambierà quindi la raccolta differenziata nelle nostre città. Infatti, le associazioni di volontariato senza fine di lucro potranno effettuare raccolte di prodotti o materiali, nonché di indumenti ceduti da privati, per destinarli al riutilizzo, previa convenzione a titolo non oneroso con i comuni, fatto salvo l'obbligo del conferimento dei materiali residui a operatori autorizzati, ai fini del successivo recupero o smaltimento dei medesimi (art. 4).
Tali materiali rientreranno nelle percentuali di raccolta differenziata. Raccolta differenziata che verrà indirizzata al riciclo, considerato prioritario dalle norme e dal nuovo art. 5 che prevede che i soggetti detentori che conferiscono i rifiuti al trattamento sono tenuti a intervenire per assicurare, nel caso in cui la dinamica dei prezzi di mercato produca esiti diversi, che il prezzo riconosciuto per il conferimento al riciclo sia, per la medesima tipologia di rifiuti, superiore a quello riconosciuto per il conferimento al recupero energetico. La violazione di tale obbligo è punita con la sanzione pecuniaria di 200 euro per ogni tonnellata di rifiuti.
Non mancano disposizioni che incidono sulla realizzazione di infrastrutture (art. 15). Infatti, in tutti i casi in cui possono essere imposte, dalle autorità competenti e nei modi consentiti dalla normativa vigente, misure di compensazione e riequilibrio ambientale e territoriale in relazione alla realizzazione di attività, opere, impianti o interventi, tali misure non possono comunque avere carattere meramente monetario. Infine, cambia ancora la validità dell'autorizzazione per scarichi idrici (non contenenti sostanze pericolose) che viene portata da cinque a sei anni (art. 2-bis) (articolo ItaliaOggi del 12.05.2012).

ENTI LOCALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Servizi sociali, consorzi ko. Vanno eliminati a partire dal primo rinnovo del cda. In caso di scioglimento la divisione del patrimonio deve avvenire pro quota.
Un consorzio composto da 144 comuni, costituito al fine della gestione dei soggiorni climatici per bambini ed anziani, rientra, quale consorzio di funzioni, nelle disposizioni di legge che ne prevedono la soppressione? Nel caso affermativo, da quale data decorre la soppressione? Come va diviso il patrimonio immobiliare tra i comuni aderenti al consorzio medesimo, in assenza di una previsione statutaria?
In merito all'individuazione dei consorzi oggetto delle norme che ne prevedono la soppressione, va rilevato preliminarmente che l'art. 31, comma 1, del dlgs n. 267/2000 definisce le attività consortili, identificandole nella gestione associata di uno o più servizi e nell'esercizio di funzioni, delimitando l'ambito di operatività dell'istituto consortile e configurando due tipi di consorzi:
1) i consorzi di servizi, ossia quelli che gestiscono attività a rilevanza economica o, sulla base di una precisa opzione statutaria, servizi sociali in forma imprenditoriale;
2) i consorzi di funzioni che gestiscono servizi sociali in forma non imprenditoriale o funzioni meramente amministrative e strumentali: per tali tipi di consorzi l'acquisto della personalità giuridica si collega alla sottoscrizione dell'atto costitutivo rappresentato dalla convenzione.
In sostanza il consorzio si connota come un ente con capacità imprenditoriale istituito dall'ente locale e, quindi, soggetto da esso distinto, dotato di personalità giuridica.
Ciò considerato, si ritiene che per «consorzi di funzione» debbano intendersi quelli previsti e disciplinati dall'art. 31 del Tuel, forme associative, cioè, non aventi attività economiche e che a questi intenda riferirsi l'art. 2, comma 186, della legge n. 191 del 2009, che ne prevede la soppressione.
In proposito la Corte dei conti, sezione regionale della Campania, con il parere n. 188 del 29/07/2010 ha chiarito che un consorzio, istituito per la gestione dei servizi sociali ex legge n. 328/2000, deve essere considerato un consorzio di funzioni.
Pertanto, il consorzio costituito al fine della gestione dei soggiorni climatici per bambini ed anziani sembra potersi ricondurre tra quelli per i quali è prevista la soppressione.
Quanto alla decorrenza dello scioglimento del consorzio (posto che tra i tanti comuni aderenti vi sono scadenze differenziate per l'elezione degli organi) si rileva che sulla questione si è pronunciata la sezione regionale di controllo per il Piemonte della Corte dei conti, con delibera n. 101 del 30/12/2010.
La Corte, in relazione all'art. 1, comma 2, della legge n. 42/2010 –in cui si prevede, tra l'altro, che le disposizioni relative alla soppressione dei consorzi si applichino a decorrere dal 2011 e per tutti gli anni a seguire ai singoli enti per i quali ha luogo il primo rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo– ha affermato che il termine «enti», volutamente generico poiché riferito a più fattispecie diverse tra loro, nel caso in questione, non può che indicare, secondo una interpretazione logico-sistematica, i singoli consorzi oggetto della prescrizione.
Pertanto essa si applicherà e produrrà i suoi effetti, «a decorrere dal primo rinnovo –a partire dal 2011 e per tutti gli anni a seguire– del consiglio di amministrazione del Consorzio interessato».
Per quanto attiene alle modalità di divisione del patrimonio immobiliare tra tutti i comuni partecipanti al momento della cessazione del consorzio, ove le disposizioni statutarie non disciplinino il caso specifico, la soluzione più ragionevole si ritiene vada ricercata nelle norme che regolano il conferimento pro-quota, all'atto della costituzione della forma associativa, e, comunque, nella disciplina vigente in materia di partecipazioni associative (articolo ItaliaOggi dell'11.05.2012).

ENTI LOCALI - VARIEnti a prova di web. Comuni, accolta l'anagrafe digitale. Circolare del Viminale sull'invio delle dichiarazioni.
Da ieri i comuni devono agevolare l'invio delle dichiarazioni anagrafiche dei cittadini evidenziando sui siti web istituzionali tutti i recapiti a disposizione degli utenti. E utilizzare le nuove procedure informatiche messe a disposizione degli ufficiali d'anagrafe dal dipartimento per gli affari interni e territoriali.

Lo ha stabilito il Ministero dell'Interno con la circolare 08.05.2012 n. 10.
La legge 35/2012 ha confermato le nuove procedure anagrafiche introdotte con il dl 5/2012 che ha innovato la disciplina in materia di cambi di residenza stabilendo, tra l'altro, che gli effetti giuridici delle iscrizioni anagrafiche e delle corrispondenti cancellazioni decorrono dalla data della dichiarazione. Ciò significa che l'iscrizione anagrafica ha efficacia immediata coincidente con la data di presentazione della relativa richiesta attraverso uno dei mezzi previsti dal codice dell'amministrazione digitale.
Dalla data di presentazione decorreranno i termini (due giorni lavorativi) entro cui il comune destinatario di tale comunicazione è obbligato alla registrazione della dichiarazione. Entro i successivi 45 giorni l'ufficio registrante dovrà provvedere all'accertamento della sussistenza dei requisiti previsti per l'iscrizione. Per illustrare concretamente le procedure introdotte con il nuovo istituto, in vigore dal 9 maggio 2012, il Viminale ha diramato le prime indicazioni il 27 aprile scorso con la circolare n. 9 (si veda ItaliaOggi dell'01/05/2012).
Con le istruzioni dell'8 maggio sono state fornite ulteriori precisazioni di carattere tecnico. Innanzitutto sul portale ministeriale è stata pubblicata tutta la modulistica necessaria ad effettuare le dichiarazioni anagrafiche in conformità all'art. 13 del dpr 223/1989, specifica la nota centrale, nonché l'elenco dei documenti che devono predisporre i cittadini.
Per assecondare lo spirito di semplificazione delle procedure anagrafiche sarà però necessario che i comuni mettano immediatamente a disposizioni degli utenti «sul proprio sito istituzionale, gli indirizzi esatti ai quali inoltrare le dichiarazioni sopracitate con particolare riferimento all'indirizzo postale, di posta elettronica nonché al numero di fax».
Sul medesimo portale servizidemografici.interno.it, conclude la nota, è anche disponibile il manuale operativo dedicato agli addetti ai lavori (articolo ItaliaOggi del 10.05.2012).

ENTI LOCALI - VARILa tua IMU. Le istruzioni per l’uso dei contribuenti. Le indicazioni Ifel-Anci per sindaci e amministratori (articolo Il Sole 24 Ore del 07.05.2012 - tratto da www.anci.lombardia.it).

aggiornamento al 07.05.2012

PUBBLICO IMPIEGO: Licenziamenti disciplinari, per gli statali c’è solo il reintegro. In caso di illegittimità non c’è l’alternativa indennizzo.
Licenziamenti: per i dipendenti pubblici non cambierà nulla. Se il provvedimento viene giudicato illegittimo ci sarà sempre e comunque il reintegro.

Si chiude così la partita sulle tutele dell’articolo 18 per gli statali. Ovvero, senza modifiche. Nessuna convergenza quindi con le nuove norme previste dalla riforma del mercato del lavoro elaborata dal ministro Fornero per il settore privato. Dopo circa tre mesi di trattativa è stato raggiunto un protocollo di intesa tra il ministro della funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi, le amministrazioni locali e le organizzazioni sindacali tutte, compresa la Cgil.
Otto paginette che, dopo un passaggio formale nella riunione del 10 maggio della Conferenza unificata degli enti locali, verranno definitivamente siglate e portate in Consiglio dei ministri per il varo del relativo provvedimento: un disegno di legge delega, ma non è escluso che il premier possa optare per un emendamento al pacchetto lavoro all’esame del Senato.
La parte sui licenziamenti, naturalmente, è solo un pezzo dell’accordo. Che prevede un nuovo modello di relazioni industriali con un ruolo più significativo delle organizzazioni sindacali nei processi di mobilità e di riorganizzazione; la razionalizzazione e la semplificazione dei sistemi di valutazione e premialità; la valorizzazione del salario di produttività attraverso la contrattazione di secondo livello; una spinta alla formazione; un rafforzamento delle responsabilità dei dirigenti.
Non manca -e qui c’è il percorso di convergenza con la riforma Fornero- una nuova architettura della flessibilità in entrata. Basta con quella cattiva, basta con i co.co.co, basta con l’esercito dei duecentomila precari a vita: anche il datore di lavoro pubblico dovrà adeguarsi all’idea che «la forma ordinaria» di assunzione è «il lavoro subordinato a tempo indeterminato». Tipologie di lavoro flessibile saranno ancora utilizzabili, ma solo «per esigenze temporanee o eccezionali» e quindi per durate limitate.
Per gestire la fase di transizione entro il 30 maggio si apriranno una serie di tavoli ad hoc al ministero con i sindacati, in modo da superare gradualmente la selva di contratti di collaborazione, ma anche per consentire «la proroga e il rinnovo dei contratti esistenti nell’ambito delle risorse disponibili». Tra le idee dei sindacati c’è quella di introdurre anche nella pubblica amministrazione una sorta di concorso per gli apprendisti con contratti di 36 mesi e relativa certificazione valida ai fini di successive tornate concorsuali.
L’unica forma di licenziamento individuale prevista resta quella per motivi disciplinari. A questo proposito l’intesa, «fermo restando le competenze attribuite alla contrattazione collettiva nazionale» prevede «un rafforzamento dei doveri disciplinari dei dipendenti» e «al contempo garanzie di stabilità in caso di licenziamento illegittimo». Ovvero il reintegro.
Per quanto riguarda i processi di riorganizzazione e razionalizzazione che comportano esuberi o trasferimenti, anche in vista della spending review, i sindacati hanno chiesto la definizione di criteri trasparenti e hanno ottenuto il loro coinvolgimento nelle relative procedure.
«L’intesa sarà una buona base in vista della delega legislativa che a breve presenterò al Consiglio dei Ministri» dice Patroni Griffi. Per la Cgil «è un primo segnale di discontinuità che riapre, dopo le macerie prodotte dalla legge Brunetta, un percorso sindacale che riguarda il mondo del lavoro pubblico». Gianni Baratta, segretario confederale Cisl, parla di «importante traguardo, per la prima volta l’intesa è condivisa da tutti i pezzi della pubblica amministrazione».
Soddisfazione anche in casa Uil. Osserva il segretario confederale Paolo Pirani: «L’intesa rappresenta una positiva e importante risposta sia ai temi posti dalla Uil con lo sciopero generale delle categorie del pubblico impiego, svoltosi nei mesi scorsi, sia alla piattaforma presentata per il rilancio del valore e della qualità del lavoro pubblico» (articolo Il Messaggero del 05.05.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Licenziamenti disciplinari, l'accordo è più vicino.
Si profila un accordo sindacale articolato sul documento presentato ieri dal ministro della Pa e la Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, per la traduzione in norme valide per il pubblico impiego  dei principi e criteri generali contenuti nel ddl di riforma del mercato del lavoro. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 04.05.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Censimento, compensi fuori dal tetto della contrattazione.
I compensi che i comuni hanno corrisposto o corrisponderanno ai propri dipendenti per l'effettuazione del censimento della popolazione e che sono finanziati dall'Istat vanno al di fuori del tetto al fondo per la contrattazione decentrata.

E' questa la indicazione fornita dalla Ragioneria Generale dello Stato nel conto annuale del personale ... (articolo Il Sole 24 Ore del 04.05.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI FORNITUREAcquisti online, niente più diritti di segreteria. La novità è contenuta nel decreto legge sulla spending review.
I comuni e le province non potranno più chiedere il pagamento dei diritti di segreteria (comunemente conosciuti come diritti di rogito) per i contratti che regolino gli acquisti di beni e servizi scaturenti da modalità elettroniche.
Lo schema di decreto-legge pensato per determinare i poteri e le funzioni di Enrico Bondi ai fini della spending review sottrae alle amministrazioni locali il potere impositivo di acquisire i diritti di segreteria, previsti per la stipulazione dei contratti, nei quali intervenga il segretario comunale e provinciale, disapplicando le disposizioni dell'articolo 40 della legge 604/1962 ai casi di acquisti effettuati mediante sistemi informatici.
L'ipotesi è riferita alle forme di individuazione del contraente definite dal dlgs 163/2006 e riferibili al mercato elettronico della Consip (sia mediante confronto concorrenziale tra i beni e servizi presenti nel catalogo, sia mediante la procedura concorrenziale denominata “richiesta d'offerta"), alle aste elettroniche ed infine ai sistemi dinamici di acquisizione, e ad ogni altro sistema di selezione del contraente realizzato da centrali di committenza o da stazioni appaltanti con modalità informatiche.
La disapplicazione dell'esigibilità dei diritti di segreteria riguarda esclusivamente lo strumento selettivo, cioè la modalità di gara su basi informatiche e non è connessa al valore del contratto.
Dunque, qualunque sia l'importo del contratto, i diritti di segreteria non saranno esigibili, anche laddove la stipulazione avvenga mediante atto pubblico in forma amministrativa, redatto dal segretario comunale e provinciale.
Nel caso degli acquisti da mercato elettronico Consip, in effetti, i diritti di segreteria non potrebbero comunque essere esatti, perché la stipulazione del contratto avviene attraverso la sottoscrizione con firma digitale dell'ordine di acquisto informatico, prodotto al sistema. Da notare che il decreto estende agli acquisti da mercato elettronico il beneficio della possibilità di non attendere il termine dilatorio di 35 giorni appunto per la stipulazione del contratto. Il che consentirà di abbreviare i tempi di approvvigionamento e di pagamento.
Si tratta indubbiamente di disposizioni miranti alla semplificazione, che probabilmente avrebbero dovuto trovare il loro posto nel d.l. 5/2012, più che nella disciplina della spending review.
A ben guardare, infatti, la previsione non comporta alcun taglio della spesa per le amministrazioni locali, ma anzi implica una mancata entrata, dal momento che i diritti di segreteria costituiscono una fonte di acquisizione di risorse per comuni e province. Un po' un controsenso, controbilanciato da una maggiore speditezza delle procedure e, soprattutto, dalla riduzione degli oneri a carico delle imprese appaltatrici (articolo ItaliaOggi del 04.05.2012).

ENTI LOCALI - VARIAree edificabili, caos Imu. Il pagamento non esclude l'accertamento dell'ente. Se il comune ravvisa che il valore venale è superiore scatta l'azione di recupero.
Altra tegola sui contribuenti: anche se pagheranno l'Imu sui valori delle aree edificabili indicati dall'amministrazione comunale, non saranno comunque al riparo da possibili accertamenti. È l'effetto dell'abrogazione, disposta dalla legge di conversione del decreto fiscale, dell'art. 59 del dlgs 446/1997.
Che consentiva ai comuni di individuare i valori delle aree fabbricabili «al fine della limitazione del potere di accertamento» qualora l'imposta fosse stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato dal comune. Ciò non significa che ai municipi sia ora preclusa la possibilità di fornire dei parametri di riferimento utili a indirizzare i contribuenti nella quantificazione della base imponibile, ma qualora l'ufficio tributi reperisse elementi atti a dimostrare che il valore venale è superiore a quello a suo tempo indicato dallo stesso comune, l'azione accertatrice diventerebbe necessaria, stante il principio di irrinunciabilità del prelievo tributario di cui una parte (pari al 3,8 per mille del valore) è dovuta allo stato.
La norma abrogata. L'art. 59, c. 1 lett. g), del dlgs 446/1997, con l'intento di ridurre l'insorgenza del contenzioso in materia di Ici, riconosceva ai comuni la possibilità di predeterminare i valori presunti dei terreni edificabili. Con la conseguenza che, laddove tale potere veniva esercitato, il contribuente che versava l'imposta sulla base degli elementi forniti dall'ente non poteva essere accertato: neppure nell'ipotesi in cui l'ufficio tributi fosse entrato in possesso di riscontri oggettivi (per esempio perizie di stima o atti di compravendita) idonei confutare l'inattendibilità del parametro di riferimento.
Lo scenario attuale. Dall'art. 14, c. 6, del dlgs n. 23/2011, che in materia di Imu riconosceva ai comuni la stessa potestà regolamentare Ici di cui agli art. 52 e 59 del dlgs 446/1997, la legge (n. 44/2012) di conversione del dl 16/2012 ha espunto il richiamo all'art. 59. Cosicché l'unico riferimento normativo resta ora l'art. 52, il quale, riconoscendo ai comuni la possibilità di disciplinare le proprie entrate tributarie (salvo per quanto attiene all'individuazione e alla definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell'aliquota massima), potrebbe indurre a ritenere che quanto prima previsto dall'art. 59, c. 1, lett. g) sia, comunque, ricompreso nella più ampia portata dell'art. 52.
In realtà, oltre al rispetto del principio di riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione, occorre evidenziare che la potestà regolamentare dei comuni non può neppure travalicare i principi generali dell'ordinamento tributario, tra cui, ai fini che qui interessano, vanno ricordati quello di indisponibilità dell'obbligazione tributaria e quello di irrinunciabilità del prelievo tributario.
Il che sta a significare che i comuni potranno ancora fissare i valori presunti delle aree edificabili ai fini Imu, ma, in assenza di una specifica norma di legge, sarà precluso ai regolamenti limitare l'attività di accertamento dell'ufficio nei casi in cui la base imponibile dichiarata dal contribuente, ancorché in linea con i parametri comunali, risulti inferiore a quella effettiva di mercato determinata in ossequio all'art. 5, c. 5, del dlgs n. 504/1992.
Circolare esplicativa del Mef. Intanto, l'attesa circolare esplicativa del Mef sulla disciplina Imu prende tempo. Attesa per oggi, la nota molto probabilmente arriverà la prossima settimana (articolo ItaliaOggi del 04.05.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOsservatorio Viminale/ Trasferimento non di diritto.
È applicabile a un consigliere comunale il beneficio di cui all'art. 78, comma 6, del Tuel, in ordine alla richiesta di trasferimento temporaneo, fino al termine del mandato, in una località prossima a quella nella quale svolge il mandato stesso?

La disposizione normativa richiamata prevede che la richiesta degli amministratori lavoratori dipendenti pubblici e privati, «di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità». Priorità che tuttavia non si identifica con un dovere assoluto di provvedere in senso favorevole.
Infatti, l'articolo 78, comma 6, del citato decreto legislativo, che è norma di garanzia a favore di tutti i lavoratori dipendenti per evitare loro restrizioni o limitazioni all'esercizio delle funzioni connesse all'espletamento del proprio mandato, se garantisce agli amministratori lavoratori dipendenti l'inamovibilità dal posto di lavoro già coperto, non assicura, tuttavia, agli stessi il diritto ad essere trasferiti, su domanda, presso la sede nella quale espletano il mandato elettorale, dovendo la richiesta di avvicinamento soltanto «essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità».
In occasione della richiesta di avvicinamento, proposta ai sensi del riferito art. 78, l'amministrazione/datore di lavoro deve, pertanto, effettuare una valutazione comparativa tra le esigenze dell'amministratore/dipendente e quelle organizzative dell'azienda/l'amministrazione, quanto meno riconoscendo al lavoratore investito del mandato amministrativo il godimento di un titolo preferenziale.
Il testo della norma conferma, quindi, che si tratta di una disposizione di stretta interpretazione che non autorizza a concludere che al lavoratore, che ricopre una carica politica, sia riconosciuto il diritto al trasferimento, bensì attribuisce allo stesso il solo diritto ad un esame prioritario della sua istanza, nel rispetto della specifica disciplina recata dall''ordinamento speciale dell'amministrazione di appartenenza (articolo ItaliaOggi del 04.05.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGONiente incentivi agli uffici tributi. L'Anutel non condivide la scelta del governo.
Tra gli effetti prodotti dall'abrogazione dell'art. 59 rientra l'inapplicabilità della disposizione che consentiva ai comuni di riconoscere compensi incentivanti nell'ambito della lotta all'evasione Ici, applicabile in ambito Imu grazie al richiamo dell'art. 59 a opera del dlgs 23/2011.
È una scelta che non mancherà di produrre conseguenze negative tra gli addetti agli uffici tributi e che contraddice lo spirito iniziale che aveva portato all'istituzione di quell'incentivo, in un paese ove il fenomeno dell'evasione fiscale sembra aver raggiunto livelli altissimi.
Secondo il legislatore, il contributo che i comuni possono dare nella gestione della fiscalità locale è di fondamentale importanza. Anche la stessa Agenzia delle entrate, al fine di una maggiore lotta all'evasione, riconosce un incentivo ai comuni per le segnalazioni qualificate, quindi implicitamente viene riconosciuto un maggiore ruolo degli enti locali che sono conoscitori dei territori, ma che non hanno gli strumenti propri dell'Agenzia. Allora perché sminuire il ruolo di funzionari e operatori che s'ingegnano a costruire sistemi di controllo e incrocio di banche dati per il solo fine di conseguire l'equità fiscale?
Rincorrere un contribuente che si diletta nell'evasione o elusione fiscale non è uno sport così gratificante. La gratifica economica serviva per dare anche un briciolo di dignità professionale. Sarebbe stato più saggio regolare l'incentivo piuttosto che falciarlo. Ma, caso molto strano, l'incentivo a determinate figure operanti nella p.a. viene salvaguardato, operando così una evidente discriminazione tra i diversi settori. Se oggi, attraverso l'eliminazione degli incentivi al personale, il governo ritiene di ridurre i costi deve farlo per tutti gli appartenenti alla p.a. iniziando proprio dai ministeri, dalle Agenzie, e da tutte le figure che oggi possono usufruire di norme specifiche di tutela, in poche parole i sacrifici li fanno tutti. Non bastavano alcuni provvedimenti dell'ex ministro Brunetta, relativamente all'uso dei mezzi propri da parte dei dipendenti della p.a. per partecipare alle attività formative?
L'Anutel non può tacere davanti alla dispersione di un patrimonio accumulato dai dipendenti negli anni e dimostrerà come moltissimi comuni saranno costretti a esternalizzare le attività accertative, con rimunerazioni che a oggi raggiungono anche cifre del 40% sulle somme riscosse, con evidente danno economico (articolo ItaliaOggi del 04.05.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl Durc dalla cassa edile. Il rilascio solo se l'ente ha valenza nazionale. Il ministero chiarisce i requisiti richiesti: reciprocità e rappresentatività.
Il Durc è un'esclusiva delle casse edili. Infatti, non può essere emesso da organismi operativi al solo livello territoriale, non costituiti sulla base di ccnl comparativamente più rappresentativi e non in possesso di collegamento con la Cnce (che garantisce l'osservanza del principio di reciprocità tra le diverse casse edili provinciali).
A precisarlo è il Ministero del Lavoro nella nota 02.05.2012 n. 8367 di prot., in risposta alle richieste di chiarimenti in merito ai criteri di individuazione delle casse edili ai fini della verifica della legittimazione al rilascio del documento unico di regolarità contributiva.
Enti bilaterali. Il ministero ribadisce, prima di tutto, che ai fini della costituzione di un ente bilaterale (qual è una cassa edile) legittimato allo svolgimento dell'attività certificativa, la fonte normativa di riferimento è l'articolo 2, lettera h, del dlgs n. 276/2003 (riforma Biagi), il quale individua tali organismi come quelli «costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative»; nonché il dm 24.10.2007, attuativo della legge n. 296/2006, il quale specifica che il requisito della maggiore rappresentatività comparata deve essere posseduto da ciascuna organizzazione, sia datoriale sia sindacale, che concorre alla costituzione della cassa edile (articolo 2, comma 2).
Principio di reciprocità. In secondo luogo, aggiunge il ministero, le casse abilitate sono quelle che osservano il cosiddetto principio di reciprocità in base al quale, al fine di armonizzare le dichiarazioni di regolarità contributiva rilasciate dalle diverse casse edili operanti sul territorio nazionale, si ha un reciproco riconoscimento dei versamenti operati presso ciascuna di esse.
Si tratta, precisa il ministero, di un requisito imprescindibile poiché il dlgs n. 163/2006 stabilisce che «le casse edili che non applicano la reciprocità con altre case edili regolarmente costituite non possono rilasciare dichiarazioni liberatorie di regolarità contributiva» (articolo 252, comma 5). Tale principio, spiega il ministero, è oggi assicurato attraverso la cooperazione telematica con la commissione nazionale paritetica per le casse edili (Cnce).
L'esclusiva delle casse edili. In conclusione, il ministero spiega che il possesso dei predetti requisiti è «elemento di carattere costitutivo ai fini della possibilità per le casse di svolgere gli adempimenti certificativi» legati alla regolarità contributiva (Durc).
Ne deriva che gli organismi che non ne sono in possesso, perché operanti al solo livello territoriale, non costituiti da contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative e non in possesso del requisito della reciprocità assicurato dal collegamento con la Cnce, «non possono definirsi casse edili ai sensi del dlgs n. 276/2003 e, conseguentemente, non possono rilasciare il Durc». Pertanto, eventuali attestazioni di regolarità rilasciate da tali casse devono considerarsi giuridicamente inefficaci a tutti gli effetti di legge (articolo ItaliaOggi del 03.05.2012).

aggiornamento al 02.05.2012

ENTI LOCALI - VARIPratiche anagrafiche da casa. Basta una mail al comune. Allegando la carta d'identità. Circolare del ministero dell'interno attua il decreto semplificazioni. Si parte il 9 maggio.
Dal prossimo 9 maggio, i cittadini potranno presentare le istanze di variazione anagrafica stando comodamente seduti davanti al proprio personal computer. Sarà infatti possibile trasmetterle attraverso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, ovvero, in mancanza della Pec, attraverso la mail personale allegando la fotocopia del documento di identità. Senza dimenticare che sarà altresì possibile, a tali fini, l'utilizzo del fax o della raccomandata.
È quanto mette nero su bianco il dipartimento dei servizi demografici del Ministero dell'Interno, nel testo della circolare 27.04.2012 n. 9 che fornisce i necessari chiarimenti attuativi delle disposizioni contenute all'articolo 5 del decreto legge semplificazioni (il decreto legge del 09.02.2012, numero 5) in materia di cambio di residenza in tempo reale.
In attesa dell'imminente regolamento attuativo, pertanto, la circolare del Viminale ricorda che le disposizioni ivi contenute acquistano efficacia a decorrere da 90 giorni dalla data di pubblicazione del decreto stesso, ovvero dal 9 maggio. Ne consegue che alle dichiarazioni anagrafiche presentate da tale data, dovranno applicarsi le disposizioni semplificative che, nel caso in esame, eviteranno ai cittadini il disturbo di presentarsi agli sportelli degli uffici anagrafe del comune di residenza.
In pratica, tra otto giorni, oltre alla consueta presentazione diretta allo sportello, i cittadini avranno la possibilità di presentare le variazioni anagrafiche anche per il tramite della raccomandata, del fax e per via telematica. Quest'ultima rappresenta una vera e propria rivoluzione nel rapporto tra utente e amministrazione comunale, facendo risparmiare tempo e garantendo al tempo stesso la veridicità e la certezza dei dati che si intendono variare.
Infatti, sarà possibile variare i propri dati anagrafici per via telematica al realizzarsi di una delle seguenti condizioni. Ovvero che la dichiarazione sia sottoscritta dall'utente con firma digitale, oppure che il sottoscrittore sia identificato tramite carta d'identità elettronica, con carta nazionale dei servizi o con strumenti che consentano l'individuazione del soggetto che effettua la dichiarazione. In alternativa, sarà considerata valida anche la dichiarazione trasmessa attraverso la casella di posta elettronica certificata o, in assenza, attraverso una casella di posta elettronica semplice. In quest'ultimo caso, è necessario che la copia della dichiarazione con firma autografa e la copia della carta d'identità del soggetto dichiarante siano allegati all'istanza con l'ausilio di uno scanner.
È quindi ovvio che in questi giorni alle amministrazioni comunali verrà chiesto uno sforzo non indifferente in quanto dovranno implementare le funzioni e i contenuti dei propri siti internet istituzionali. A tal fine, la circolare in oggetto ricorda che gli enti locali dovranno obbligatoriamente indicare nei propri siti web, tutti gli indirizzi esatti ai quali inoltrare le dichiarazioni, con particolare riferimento all'indirizzo di posta, di posta elettronica, nonché al numero di fax. Adempimenti che sono considerati essenziali per i comuni, in quanto, come previsto dal dpr in corso di adozione, questi dovranno registrare le dichiarazioni entro due giorni lavorativi dal ricevimento delle stesse.
In particolare, sia a coloro che si presentano allo sportello che nei confronti di chi utilizza le altre modalità, l'ufficiale di anagrafe dovrà rilasciare all'interessato un'apposita comunicazione di avvio del procedimento con l'apposita formula «si comunica che a seguito della variazione anagrafica, quest'ufficio provvederà ad accertare la sussistenza dei requisiti previsti e che, trascorsi 45 giorni dalla dichiarazione resa in assenza di comunicazione in merito alla mancanza dei requisiti, la variazione (ovvero l'iscrizione o la registrazione) si intende confermata» (articolo ItaliaOggi del'01.05.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPersonale. Deroga ampia su scuola e polizia. Dal 2013 i vincoli sui rapporti flessibili si possono evitare per tutto il settore. In nessun caso però i Comuni possono superare la spesa sostenuta per le stesse finalità nel 2009.
APPLICAZIONE GENERALE/ Anche negli enti «minori» il via libera offerto dalla Corte dei conti non può oltrepassare i tetti relativi alle uscite.

Si ampliano le possibilità per gli enti locali di effettuare assunzioni flessibili, ma rimangono i limiti di spesa che determinano una contrazione nel ricorso a questo istituto: possono essere così sintetizzati gli effetti del delle novità contenute nell'articolo 4-ter della legge di conversione del Dl 16/2012 e nel parere delle sezioni riunite di controllo della Corte dei Conti n. 11/2012.
Le nuove regole prevedono che dal 2013 il tetto del 50% della spesa sostenuta nel 2009 non si applichi alle assunzioni con contratti flessibili del personale «strettamente necessario a garantire l'esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale». Si amplia quindi la deroga prevista dal Milleproroghe per il 2012, che riguarda solo il personale educativo e docente, la polizia municipale (non provinciale) e le stabilizzazioni di Lsu in corso.
La deroga tocca ora negli enti locali tutti i dipendenti impegnati nelle funzioni istruzione (quindi non solo i docenti), della vigilanza (e non solo la polizia municipale) e dei servizi sociali. L'applicazione è rimessa all'autonomia delle amministrazioni. A fronte dell'ampliamento delle deroghe, il legislatore ha previsto -a differenza del 2012- il divieto di superamento della spesa per le assunzioni flessibili del 2009.
Le deroghe previste dalla Sezioni unite di controllo della magistratura contabile sono limitate: si consente agli enti locali di derogare ai vincoli dettati dall'articolo 9, comma 28, del Dl 78/2010, ma questo non può evitare la riduzione del tetto alla spesa. La deroga riguarda, in particolare, gli «enti di minore dimensione per salvaguardare particolari esigenze operative». Essa può essere prevista per imporre un limite cumulativo al complesso delle assunzioni flessibili, senza la suddivisione indicata dalla norma. Il carattere limitato è dato dalla precisazione che «resta comunque ferma l'esigenza che vengano raggiunti gli obiettivi di fondo della disciplina e che venga assicurata la riduzione di spesa nell'esercizio finanziario per le forme di assunzione temporanea elencate».
Le interpretazioni fornite dalle sezioni regionali di controllo includono infine nel tetto le assunzioni di dirigenti e responsabili ex articolo 110 e del personale dell'ufficio di staff degli organi politici ex articolo, 90 sempre del Dlgs 267/2000. In modo prevalente, viene detto che la spesa necessaria per garantire l'esercizio associato tramite convenzioni ex articolo 30 del Tuel non va inclusa nel tetto. Vanno invece inclusi gli oneri per l'utilizzo di personale in modo associato tra più enti, sia che ciò avvenga attraverso l'articolo 14 del contratto del 22.01.2004, sia che si realizzi attraverso il comma 557 della Finanziaria 2005 (utilizzazione extra orario da parte dei piccoli comuni di dipendenti di altri enti locali).
Rimane da chiarire se gli oneri derivanti dalla utilizzazione di personale di altra Pa in comando debba essere compresa nel tetto alla spesa per le assunzioni flessibili. E se quelle che sono interamente finanziate da altri soggetti, pubblici o privati (ad esempio i vigili stagionali i cui oneri sono sostenuti attraverso una quota dei proventi derivanti dalle sanzioni per le inosservanze al codice della strada), siano da includere nel tetto o se si debba applicare in modo estensivo la esclusione prevista in questi casi dal tetto alla spesa del personale.
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I passaggi
01 | GLI AMBITI
   La normativa particolare riguarda i settori della Polizia locale, dell'istruzione e il settore sociale
02 | IL PROBLEMA
   In questi settori, soprattutto nell'istruzione e nei servizi sociali, l'incidenza dei contratti a termine è molto alta. Per questa ragione l'estensione ai contratti a termine dei vincoli del turn over previsti per le assunzioni stabili avrebbe determinato grossi problemi di operatività
03 | IL PRIMO INTERVENTO
   Il decreto «Milleproroghe» (articolo 1, comma 6-bis, del Dl 216/2011) aveva rimandato al 2013 l'applicazione dei vincoli di turn over al personale educativo, scolastico e di vigilanza
04 | IL DECRETO FISCALE
   Il nuovo intervento amplia le deroghe, permettendo agli enti locali di superare dal 2013 i tetti in relazione ai contratti «strettamente necessari a garantire l'esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale». In questo modo, la deroga può riguardare tutte le tipologie di personale nei settori indicati
05 | LA SPESA
   Mentre amplia i confini della deroga, la norma introduce però un nuovo limite, in virtù del quale in nessun caso, gli enti locali possono però superare la spesa registrata per le stesse finalità nel 2009 (articolo Il Sole 24 Ore del 30.04.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Niente assunzioni solo con il Patto. Nota Anci sui limiti per gli enti locali.
I limiti nell'assunzione di personale a tempo indeterminato, previsti dal decreto legge 78/2010, non riguardano gli enti non sottoposti al Patto di stabilità.
È quanto sostiene la nota 27.04.2012 dell'Anci, in cui si spiega che sebbene le sezioni riunite della Corte dei conti abbiano di recente sostenuto che i limiti alle assunzioni riguardino tutti gli enti, «a oggi la normativa vigente per gli enti non sottoposti al Patto è quella di cui alla legge 27.12.2006, n. 296», che stabilisce altre modalità di contenimento delle spese per il personale.
In particolare, all'articolo 1, comma 562, si prevede che: «Per gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno, le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'Irap, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, non devono superare il corrispondente ammontare dell'anno 2004. Gli enti di cui al primo periodo possono procedere all'assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, ivi compreso il personale di cui al comma 558».
Insomma, regole ad hoc, che secondo l'Anci la Corte dei conti non tiene in considerazione, contraddicendo peraltro, nel parere n. 11/2012 reso dalle sezioni riunite, e senza fornire alcuna motivazione, quanto precedentemente affermato in diverse pronunce in relazione al rapporto fra il comma 562 della Finanziaria 2007 ed il comma 7 dell'art. 76 del dl n. 78 del 31.05.2010. Norme che, relativamente alla parti che dispongono limitazioni alle assunzioni, non sono state modificate da alcun intervento successivo.
A tal proposito, l'Anci cita le delibere n. 3, 4 e 20 del 2011. Per giungere infine alla conclusione che ad oggi, non essendo stato modificato il quadro normativo di riferimento, relativamente alle assunzioni a tempo indeterminato negli enti non sottoposti al patto di stabilità trova appunto applicazione il comma 562 dell'articolo unico alla legge 27.12.2006, 296 (articolo ItaliaOggi del 28.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIOsservatorio Viminale/ Decadenze nell'unione in scioglimento.
Quesito.
Nel caso di un'Unione di Comuni che si scioglierà a decorrere dal 1° gennaio, e per la quale le attività di liquidazione si concluderanno oltre il 31 dicembre dell'anno precedente, gli organi di gestione dell'ente decadono alla data di cessazione dell'ente stesso o rimangono in carica fino alla conclusione delle operazioni di liquidazione?

Risposta.
L'Unione di comuni, disciplinata dall'articolo 32 del Testo unico n. 267/2000, si configura come una forma di associazione volontaria tra comuni, la quale attraverso l'adozione dell'atto costitutivo e dello statuto, dà vita ad un ente locale a tutti gli effetti, distinto dagli enti che la compongono, che gode di un'ampia potestà organizzativa e funzionale, posto che il legislatore ha delineato solo gli elementi essenziali, inderogabili dell'istituto, demandando all'autonomia statutaria e regolamentare la disciplina degli organi e della propria organizzazione (art. 32 citato, comma 4).
Se lo statuto dell'ente, in merito alle procedure di scioglimento prevede un termine entro il quale il consiglio di amministrazione deve nominare un commissario liquidatore, da tale data gli organi dell'Unione non hanno più alcuna competenza e decadono, trovandosi l'ente in fase di gestione liquidatoria, affidata al commissario appositamente nominato.
Si reputa, pertanto, che l'organo che dovrebbe essere mantenuto in vita è il consiglio di amministrazione, al quale il commissario liquidatore presenterà la proposta di bilancio e il piano di riparto delle risorse strumentali, patrimoniali e del personale, indicante la parte spettante a ciascun comune, per l'approvazione.
Nel caso in cui il termine assegnato convenzionalmente al liquidatore dalla norma statutaria per la predisposizione degli atti consenta che le operazioni si protraggano oltre la data prevista, e pertanto proseguano per tutto il tempo necessario alla loro conclusione, decorso infruttuosamente detto termine, il Prefetto valuterà, ove la normativa regionale non disponga diversamente, la sussistenza dei presupposti per avviare le procedure di cui alle disposizioni dell'articolo 141, comma 8, del Testo unico n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 27.04.2012).

APPALTIDl fiscale. Si ampliano i vincoli di solidarietà per le somme che sono dovute all'amministrazione finanziaria
Appalti, responsabilità estesa. Il committente paga Irpef e Iva se non versano appaltatore e subappaltatori.
IL PUNTO CRITICO/ Difficile dimostrare che l'irregolarità è avvenuta pur avendo preso tutte le precauzioni necessarie per evitarla.

La responsabilità solidale nei contratti di appalto fra appaltatore e subappaltatori ora si estende anche al committente per quanto riguarda i versamenti all'Erario delle ritenute Irpef sul lavoro dipendente e dell'Iva dovuta sulle prestazioni oggetto dell'appalto.
Lo prevede l'articolo 2, comma 5-bis, del decreto fiscale 16/2012 convertito in legge che sostituisce il comma 28, dell'articolo 35 del Dl 223/2006. In confronto alla norma preesistente viene estesa la solidarietà a carico del committente o datore di lavoro anche in relazione al versamento dell'Iva da parte del prestatore. La solidarietà permane anche per l'appaltatore che è committente per i contratti di subappalto. La responsabilità del committente opera per tutta la durata del contratto e ha effetto fino al secondo anno successivo alla cessazione dell'appalto.
La nuova norma è fortemente penalizzante per il committente di opere o di servizi il quale, di fatto, assume la responsabilità in ordine al versamento delle ritenute fiscali e dell'Iva sia da parte dell'appaltatore che degli eventuali subappaltatori. Però viene anche disposto che se il committente ha messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento è liberato dalle responsabilità.
Il vero problema a carico del committente, quindi, rimane la dimostrabilità del fatto che il mancato versamento dell'Iva e delle ritenute si è verificato pur avendo adottando gli opportuni accorgimenti: a noi pare una prova diabolica.
Ci si chiede, infatti, quale sia il mezzo che dovrà essere adottato dal committente per non cadere nella responsabilità solidale, alla luce del dato letterale del comma 5-bis: «che dimostri di aver messo in pratica tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento». In pratica, in un contratto di appalto, il committente dovrebbe richiedere ai propri appaltatori e ai subappaltori un documento equipollente al Documento unico di regolarità contributiva previsto per gli obblighi previdenziali. Diversamente il committente può essere chiamato al versamento all'Erario dell'Iva, peraltro già pagata al fornitore e delle ritenute Irpef sul reddito da lavoro dei dipendenti altrui.
Relativamente alle ritenute fiscali, la prova più semplice può essere l'inoltro da parte degli appaltatori e subappaltatori dei modelli F24 relativi ai suddetti versamenti. Invece la prova del versamento dell'Iva è pressoché impossibile, in quanto il versamento è il risultato della liquidazione Iva che comprende molte altre operazioni. Anche il ricorso al cassetto fiscale dell'appaltatore e del subappaltatore non è possibile essendo vietato l'accesso a soggetti non autorizzati.
Si ricorda che in materia di Iva (e non per le ritenute) il Dpr 633/1972 prevede già per alcune fattispecie la solidarietà nel pagamento dell'imposta. L'articolo 60-bis stabilisce che il cessionario è solidamente obbligato al pagamento dell'imposta non versata dal cedente. Tale regola opera solo con riferimento alle operazioni di cessione individuate dal Dm 22/12/2005 ( auto, moto e rimorchi; prodotti di telefonia e accessori; pc, componenti ed accessori; bovini, ovini e suini vivi e loro carni fresche) ma solo nel caso in cui la cessione sia avvenuta a un prezzo inferiore al valore normale.
La modifica introdotta dal decreto fiscale è molto più forte e sostituisce il committente a un obbligo dell'appaltatore o subappaltatore che potrebbe aver omesso il versamento anche per gravi difficoltà finanziarie. La nuova disposizione ricalca le regole previste per il versamento dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti a cui sono tenuti in prima linea l'appaltatore e l'eventuale subappaltatore.
Questi adempimenti sono stati più volte oggetto di chiarimenti da parte del ministero del Lavoro e dell'Inps. La certificazione del corretto adempimento previdenziale avviene mediante la presentazione da parte del subappaltatore all'appaltante del modello Durc.
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Il nuovo regime
01 | LA NORMA
   L'articolo 2 del Dl 16/2012 prevede l'estensione al committente della responsabilità solidale nei contratti di appalto fra appaltatore e subappaltatori per quanto concerne i versamenti all'Erario delle ritenute Irpef sul lavoro dipendente e dell'Iva prevista sulle prestazioni oggetto di appalto
02 | AMBITO DI APPLICAZIONE
   La responsabilità si applica ad appalti di opere e servizi per tutta la durata del contratto e fino al secondo anno successivo alla cessazione dell'appalto. L'Iva dovuta in base alla dichiarazione e le ritenute fiscali sono accertabili entro il quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dell'appaltatore e del subappaltatore
03 | ONERE DELLA PROVA
   Il committente evita la solidarietà se dimostra di aver messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento. Tuttavia tale prova appare di difficile attuazione, in particolare per quanto riguarda il versamento dell'Iva
04 | L'ANALOGIA
   La nuova norma ricalca gli obblighi in tema di versamento dei contributi previdenziali e assicurativi obbligatori per gli infortuni (articolo Il Sole 24 Ore del 27.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPa, licenziamenti disciplinari più semplici.
In arrivo la delega sull'articolo 18 per gli statali: tipizzazione dei casi che fanno scattare la sanzione
ADDIO AI CO.CO.CO/ Più autonomia per i dirigenti, taglio delle consulenze, riordino del reclutamento e cambio di politica sui contratti a termine.

Un disegno di legge con una delega per la regolazione dei licenziamenti disciplinari nelle pubbliche amministrazioni, per i quali dovrà essere razionalizzata la struttura attuale delle sanzioni e introdotta una tipizzazione delle ipotesi che possono giustificare il licenziamento per motivi soggettivi.
Parte da qui la proposta operativa che il ministro della Pa e della Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, sta mettendo a punto per la traduzione in norme dei «principi e criteri generali» contenuti nella riforma Fornero. La ri-regolazione del pubblico impiego si muoverà su un indice articolato e complesso, che i tecnici di palazzo Vidoni stanno ancora limando in vista del prossimo incontro con i sindacati (la data è da confermare ma dovrebbe essere il 4 maggio) sapendo che tutto dovrà essere pronto entro la metà di maggio.
Oltre all'armonizzazione delle norme sul mercato del lavoro, vale a dire i contratti flessibili in entrata e le regole sui licenziamenti, si punta a un nuovo insieme di misure per rafforzare la responsabilità e l'autonomia dei dirigenti; un taglio delle consulenze esterne; una nuova impostazione delle politiche di reclutamento che passa anche per il rilancio del vecchio progetto di riordino delle scuole superiori della Pa; una rivisitazione del ciclo della performance, che prevede una condivisione con i sindacati nella gestione delle scelte organizzative delle amministrazioni.
Licenziamenti disciplinari.
Se per i licenziamenti discriminatori (o nulli) non serviranno norme di equiparazione tra pubblico e privato e se per i licenziamenti per giustificati motivi oggettivi (quelli economici) la cornice regolatoria già esiste ed è l'articolo 33 del Dlgs 165/2001 con la prevista mobilità del personale in disponibilità (dichiarato in eccedenza a conclusione della relativa procedura), un intervento ad hoc servirà per i disciplinari.
Tenendo conto dei vincoli costituzionali, della diversa natura della funzione pubblica che prevede maggiori doveri e pretende diverse garanzie ai dipendenti di un'amministrazione pubblica rispetto a quelli di un'azienda privata, con la delega si punta a introdurre una serie di ipotesi di giustificato motivo soggettivo e a ricalibrare il sistema delle sanzioni conservative o espulsive che, tra l'altro, sono differenziate a seconda che si tratti di funzionari o di dirigenti.
Una delega, insomma, per rendere più certe le situazioni che fanno scattare il licenziamento in casi disciplinari. Con la prospettiva, in caso di sentenza che boccia il licenziamento, del reintegro del dipendente piuttosto che del suo indennizzo; ipotesi peraltro già bollata da incostituzionalità dal Giudice delle leggi.
Dirigenza con più autonomia.
Nel quadro della privatizzazione del contratto dei dirigenti con il Ddl Patroni Griffi si punterebbe a rafforzare l'autonomia dei dirigenti dall'indirizzo politico e la responsabilità nella gestione dell'organizzazione e delle risorse dell'amministrazione.
Probabilmente verrà proposto un meccanismo di conferma automatica a fine incarico (fatti salvi casi oggettivi di inadempienza) per mettere a riparo i direttori generali da logiche non regolate di spoil system. Misure che verrebbero affiancate da un forte giro di vite sugli incarichi esterni, da limitare esclusivamente a casi di assoluta eccellenza e per posizioni particolari.
Sempre sulla dirigenza, il ministro vuole proporre una riforma dell'attuale sistema di reclutamento che passa anche per un riordino delle cinque scuole di alta formazione: ai nuovi dirigenti dello Stato dovrebbe essere assicurata una formazione comune, come nelle esperienze di Francia e Regno Unito, in maniera da poter garantire reali possibilità di trasferimento da un'amministrazione a un'altra superando canali impropri come il reclutamento esterno o il «comando» di dirigenti fuori dai ruoli.
Contratti a termine.
L'idea è di abbandonare il contratto coordinato e continuativo con un'equiparazione stretta con il settore privato. I contratti a termine, che comunque non potranno essere trasformati in contratti a tempo indeterminato perché resta il vincolo dell'accesso per concorso nella Pa, verranno molto ricalibrati: per quelli molto brevi verrà recepita la riforma Fornero mentre per quelli fino a 36 mesi si penseranno formule tipo il corso-concorso, mirate per qualificare il più possibile questi rapporti temporanei d'impiego.
Ciclo della performance.
Per superare alcune difficoltà applicative del sistema di valutazione introdotto dalla riforma Brunetta si punta poi a un superamento delle analisi delle performance basate sulla logica dell'adempimento. L'idea è quella di favorire un maggior coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nella definizione dei criteri di valutazione e delle scelte organizzative delle amministrazioni che, dopo l'ultima riforma, dovrebbero essere invece semplicemente comunicate ai sindacati (articolo Il Sole 24 Ore del 26.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 26.04.2012

LAVORI PUBBLICIAppalti, responsabilità solidale dalla fine dei lavori.
Il termine di due anni di durata della responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore decorre dalla cessazione dei lavori del subappaltatore, non dalla cessazione dell'appalto (del contratto cioè tra committente e appaltatore).
Lo precisa il ministero del lavoro nella nota 13.04.2012 n. 7140 di prot., rispondendo a un quesito dell'associazione nazionale dei costruttori edili (Ance).
Responsabilità solidale. L'Ance, in particolare, ha chiesto chiarimenti sulla corretta applicazione del cosiddetto regime di responsabilità sociale disciplinato dall'articolo 29, comma 2, del dlg n. 276/2003 e modificato dal recente decreto semplificazioni (articolo 21 del dl n. 5/2012 convertito dalla legge n. 32/2012).
Tale regime, in sostanza, prevede che in caso di appalto di opere o servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto (tfr), nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento (quest'ultima esclusione è una delle novità introdotte dal dl n. 5/2012).
L'Ance ha chiesto se «il limite dei due anni dalla cessazione dell'appalto debba intendersi con riferimento all'appalto in generale o con riferimento, nei casi di responsabilità solidale nei confronti dei subappaltatori, anche al termine del singolo lavoro oggetto di subappalto».
I chiarimenti. Il ministero ritiene che il limite dei due anni «indica l'appalto tra committente e appaltatore, il che, trasposto nell'ambito dei rapporti tra appaltatore e subappaltatore, non può che riferirsi al contratto di appalto tra questi due soggetti». Più precisamente, aggiunge il ministero, «i due anni, nel caso di subappalto, non possono che decorrere dalla cessazione dei lavori del subappaltatore (in forza del relativo contratto di subappalto)».
Una diversa interpretazione, prosegue il ministero, porterebbe a sostenere che per gli appalti che durano molti anni, in cui si susseguono diversi subappaltatori, l'appaltatore principale rimanga legato con tutte le imprese subappaltatrici per l'intero periodo. La norma, invece, vuole porre un termine giuridico certo nei rapporti di solidarietà intercorrenti anche tra appaltatore e subappaltatore termine che non può che decorrere dalla fine dei lavori del subappaltatore.
Del resto, spiega infine il ministero, anche ai fini di una concreta operatività dell'istituto, i lavoratori del subappaltatore mentre conoscono il termine dei lavori svolti dalla propria impresa (e quindi la decorrenza dei due anni per agire in solidarietà) non conoscono il termine finale dell'intero appalto, né sono tenuti giuridicamente ad averne conoscenza (articolo ItaliaOggi del 24.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - VARI: Tra calcoli di aliquote e rate all'Imu va il record di complessità.  Le istruzioni per il versamento dell'imposta contenute nel decreto di semplificazione tributaria.
L'Imu si candida a vincere il record di complessità e, ironia della sorte, a farla atterrare sul nostro ordinamento tributario è la legge di conversione del dl 16/2012 dedicato alle semplificazioni fiscali. Ecco l'Imu, che consente il pagamento di quanto dovuto per l'abitazione principale in tre rate (giugno, settembre e dicembre). Ma se il contribuente possiede, per esempio, anche un secondo garage e, semmai, un piccolo orticello, per questi due immobili dovrà versare il tributo in due tranche (giugno e dicembre).
Poi, nel nuovo modello F24 il malcapitato contribuente dovrà indicare cinque distinti codici tributo, perché per ciascuna tipologia immobiliare occorre distinguere la quota dell'Imu riservata allo stato rispetto a quella residuale destinata al comune. La prima rata dovrà essere calcolata applicando le aliquote fissate dalle legge. Dopo di che, per il conguaglio, si navigherà a vista. Non è, infatti, possibile quantificare con esattezza l'importo complessivamente dovuto per il 2012, perché i comuni potrebbero modificare fino al 30 settembre le delibere già adottate, muovendo l'asticella delle aliquote e delle detrazioni rispetto ai limiti fissati dalla legge nazionale. Che, paradossalmente, un provvedimento del governo potrebbe modificare fino al 10 dicembre.
A ciò si aggiunga che ove i municipi dovessero stabilire trattamenti di favore per talune fattispecie immobiliari, il contribuente che effettuasse il pagamento della prima rata sulla base di tali decisioni potrebbe poi trovarsi esposto a contestazioni qualora le agevolazioni dovessero essere, entro il 30 settembre, soppresse o ridotte, con effetto retroattivo, dal comune stesso.
Esaminiamo, in sintesi, quello che dovrebbe essere l'assetto definitivo su pagamenti e dichiarazioni dopo che senato e camera, in sede di approvazione della legge di conversione del dl 16/2012, sono intervenuti sulla nuova imposta comunale.
Le rate. Dopo le modifiche apportate dalla camera, che con ogni probabilità verranno recepite senza ulteriori modifiche dal senato in seconda lettura, emerge che l'imposta si pagherà in due rate (18/6 e 17/12) che, a scelta del contribuente, possono diventare tre (18/6, 30/9 e 17/12), esclusivamente per l'imposta dovuta per il 2012 e solo sull'abitazione principale e annesse pertinenze (massimo una per ciascuna delle categorie C/2, C/6 e C/7).
Le aliquote da applicare per la prima rata sono tre: 0,2% per i fabbricati strumentali rurali, 0,4% per le abitazioni principali e relative pertinenze, 0,76% per tutti gli altri immobili. Per l'abitazione principale l'aliquota dello 0,4% si utilizzerà anche per il calcolo della seconda rata del 30 settembre riservata solo all'abitazione principale.
La detrazione di 200 euro, maggiorata di altri 50 euro per ogni figlio «under 26» che dimora e risiede in quella casa, verrà fruita proporzionalmente ai soggetti che ne hanno diritto e al periodo di riferimento. Occorrerà poi attendere la data del 30 settembre per conoscere le aliquote (e le detrazioni) che i comuni fisseranno definitivamente e, sulla base di queste ultime, si calcolerà l'imposta complessivamente dovuta per tutto l'anno, che verrà versata, entro il 17 dicembre, al netto di quanto già corrisposto con le precedenti rate.
Le modalità di pagamento. Fino a novembre l'Imu non potrà che essere pagata solo con l'F24 di recente istituzione al quale, a breve, si aggiungerà un modello semplificato, composto da un solo foglio contenente una copia per la banca e l'altra per il contribuente. A dicembre dovrebbe poi resuscitare il soppresso bollettino di c/c/p.
Comunque, a prescindere dal tipo di modello di versamento, la vera complicazione per il contribuente sarà quella di individuare i casi in cui l'imposta è in parte riservata allo stato (complessivamente pari allo 0,38% della base imponibile dell'immobile). Al riguardo, infatti, il parlamento è intervenuto più volte sulla questione creando un puzzle di non facile composizione, anche per gli addetti ai lavori (si veda la tabella).
La dichiarazione. Sull'obbligo dichiarativo la commissione finanze della camera ha rimediato, almeno in parte, alle complicazioni che sarebbero scaturite dalla versione del testo uscito dal senato.
Dopo aver ribadito l'ultrattività delle denunce Ici, in quanto compatibili (con implicito riconoscimento, che sarà formalizzato con decreto del Mef, dell'esonero in tutti i casi in cui gli eventi che danno luogo a una diversa imposta sono noti al comune) viene specificato che se l'obbligo è sorto nel primo semestre del 2012 la dichiarazione dovrà essere presentata entro il 30/09/2012.
Purtroppo, a regime il contribuente avrà 90 giorni di tempo, dal momento in cui si è verificata la variazione, per assolvere l'obbligo dichiarativo. Il che comporterà un numero rilevante di omissioni, atteso che la maggior parte di coloro che si rivolgono a professionisti e caf verranno a sapere di tale inadempimento quando ormai sarà troppo tardi anche per un ravvedimento operoso.
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La residenza anagrafica è condizione fondamentale.
Per alcune particolari tipologie immobiliari la configurazione definitiva dell'Imu porterà a rilevanti novità rispetto alla soppressa Ici. Eccole in sintesi:
Abitazione principale. Con l'intento di porre freno a tentativi di elusione (recte: evasione) viene precisato che l'abitazione principale non può che essere l'unica unità immobiliare nella quale il contribuente e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Con l'ulteriore specificazione che, nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni si applicano per un solo immobile.
Al riguardo va osservato come la commissione finanza della camera, anziché riproporre la formulazione contenuta nell'art. 8 del dlgs 504/1992 (abitazione nella quale il contribuente «e i familiari» dimorano abitualmente), che era stata letta dalla Cassazione (sent. n. 14389/2010) nel senso che al fabbricato del familiare che dimora in luogo diverso da quello della casa coniugale non può essere riconosciuta l'agevolazione in questione, ha preferito fare ricorso a un concetto, quello del «nucleo familiare», che non trovando un'univoca definizione nell'ordinamento giuridico, aprirà, con ogni probabilità, ulteriori contrasti interpretativi tra contribuenti e comuni.
Soggetti costretti a vivere fuori casa. Il trattamento di favore nei confronti delle case degli anziani e dei disabili lungodegenti, oltre che quello riguardante gli alloggi dei cittadini italiani residenti all'estero, è rimesso ai comuni che possono assimilarle alle abitazioni principali purché non siano locate. In tal caso viene meno la quota riservata allo stato. Per converso, in assenza quindi di una delibera del consiglio comunale l'imposta sarà dovuta nella misura ordinaria del 7,6 per mille e allo stato spetterà la metà.
Ex casa coniugale. Inversione di rotta rispetto all'Ici. Sarà infatti solo il coniuge assegnatario della casa coniugale disposta dal giudice della separazione a dover pagare l'Imu. E ciò a prescindere dall'eventuale quota di proprietà che quest'ultimo vanta sul fabbricato. Naturalmente troveranno applicazione aliquota e detrazione previste per l'abitazione principale oltre alla maggiorazione per i figli «under 26» (articolo ItaliaOggi Sette del 23.04.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPiù flessibilità in entrata per i dirigenti.
IL RECLUTAMENTO/ Necessario riformare l'accesso: selezioni più trasparenti, ma vanno evitate le carriere a vita
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Gli osservatori riconoscono alle amministrazioni locali una capacità di innovazione sconosciuta ad altri livelli di governo. La gran parte di questi risultati sono stati ottenuti grazie alla maggiore autonomia di cui hanno goduto i Comuni, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, e alla possibilità concreta di realizzare un forte ricambio della dirigenza in servizio.
Grazie a questa maggiore autonomia, è stato infatti possibile inserire nei Comuni dirigenti con rapporti di lavoro a tempo determinato, soggetti a valutazione, riconferma e senza più la garanzia di un posto fisso a vita.
Queste figure, cooptate a volte dall'esterno o in altri casi dall'interno dell'amministrazione, hanno assicurato tassi elevati di turn-over della dirigenza locale e una maggiore dinamicità all'azione dei Comuni.
Il rapporto a tempo determinato e l'assenza della garanzia a vita dello status di dirigente hanno inoltre rappresentato un incentivo concreto, per i dirigenti a termine, a investire per mantenere elevata la propria professionalità, pena la sostituzione alla scadenza naturale del contratto.
Il rovescio della medaglia di questo meccanismo può essere individuato nel potenziale rischio di una maggiore dipendenza della dirigenza dalla politica, chiamata a nominare o rinnovare gli incarichi dirigenziali. In alcuni casi questo rischio si è anche oggettivamente tradotto in concrete pratiche negative. A fronte di questa situazione è stata ora imboccata la strada della “ministerializzazione” della dirigenza locale: si sono ristretti in modo drastico la possibilità di accesso a tempo determinato e, nonostante alcuni spazi introdotti nel decreto fiscale in corso di approvazione, si ritorna di fatto alla tradizionale dirigenza a tempo indeterminato.
Questo comporterà una incredibile rigidità della dirigenza locale: assisteremo ad una nuova infornata di dirigenti che, una volta assunti, godranno della totale inamovibilità a prescindere dalle prestazioni effettivamente fornite, dai fabbisogni quali quantitativi futuri delle amministrazioni e dall'aggiornamento delle proprie competenze, bloccando così, per una intera generazione, le possibilità di ricambio ai vertici delle strutture dei Comuni. Questo meccanismo inoltre produrrà probabili costi aggiuntivi: molti dirigenti attualmente a contratto sono infatti già funzionari a tempo indeterminato con una differenza retributiva minima per quanto riguarda l'incarico dirigenziale. Anziché risolvere un problema si è scardinato malamente un sistema.
E' invece necessario coniugare le due esigenze: occorre da un lato garantire l'accesso alla dirigenza tramite procedure selettive e trasparenti, ma dall'altro non perdere i benefici del tempo determinato ed evitare i danni della strutturazione a vita dei posti e dei costi per la dirigenza nelle amministrazioni locali. E' necessario e possibile coniugare queste due esigenze. E per farlo occorre ripensare il sistema di accesso alla dirigenza locale in modo più sistemico e non con interventi frammentari e senza disegno.
Ad esempio si potrebbero ipotizzare forme di reclutamento su base nazionale o regionale volte a selezionare e certificare le competenze dei candidati sulla base delle esperienze maturate concretamente e di quelle riscontrate nei percorsi selettivi, lasciando poi alle amministrazioni la facoltà di scegliere, solo tra gli idonei, i soggetti ai quali conferire il rapporto a tempo determinato per la durata della legislatura.
Si potrebbe ipotizzare la necessità per i soggetti di sottoporsi ogni cinque anni a una sorta di riaccreditamento della propria idoneità e all'obbligo di maturare crediti formativi. Si potrebbe ipotizzare che solo alcune università accreditate sono titolate a svolgere i percorsi selettivi e di certificazione della idoneità e dei crediti. Insomma si può rafforzare moltissimo e rendere fortemente selettivo il meccanismo di accesso e permanenza dei soggetti agli incarichi dirigenziali, ma al contempo rendere molto più flessibile il rapporto di lavoro, i meccanismi di entrata e uscita dalle amministrazioni e la possibilità per le amministrazioni di scegliere davvero i candidati ritenuti migliori (articolo Il Sole 24 Ore del 23.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIEdilizia convenzionata. La chance. Il Comune rimuove i vincoli e incassa.
La legge 106/2011, di conversione del Dl 70/2011, ha introdotto nell'articolo 31 della legge 448/1998 i commi 49-bis e 49-ter, al fine di «agevolare il trasferimento dei diritti immobiliari», per consentire la rimozione dei vincoli relativi al prezzo massimo di cessione e/o del canone massimo di locazione delle singole unità abitative di edilizia residenziale pubblica o convenzionata.
La rimozione dei vincoli, alla luce della legge 106/2011, era subordinata al decorso di almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, alla richiesta del singolo proprietario e alla determinazione della percentuale del corrispettivo, calcolato a norma dell'articolo 31, comma 48, della legge 448/1998, da effettuare con decreto del ministro dell'Economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata. Quindi, la mancata determinazione con Dm rendeva inapplicabile la norma.
Su quest'ultimo punto una novità significativa è stata inserita dal decreto milleproroghe convertito con la legge 14 del 24.02.2012: l'articolo 29, comma 16-undecies, infatti, ha previsto che, a decorrere dall'01.01.2012, la percentuale per calcolare il corrispettivo dovuto per la rimozione dei vincoli sia stabilita dai Comuni. Gli enti dovranno tenere conto della differenza tra il costo convenzionale e il costo di mercato dell'alloggio o del canone di affitto, e della residua durata dei vincoli imposti. Si segnala in proposito il parere della Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, numero 22/CONTR/11.
Rileva, comunque, il momento del trasferimento della proprietà (piena o superficiaria), e non la data di assegnazione in godimento da parte della cooperativa edilizia, o la data di registrazione o trascrizione dell'atto. Sembrerebbe, inoltre, che il proprietario che ne faccia richiesta abbia un vero e proprio diritto soggettivo alla stipula della convenzione, il cui contenuto è, del resto, predeterminato dalla legge anche ai fini della determinazione del corrispettivo; diritto soggettivo a cui fa riscontro l'obbligo dell'ente locale di prestarsi alla stipulazione della convenzione.
La normativa, si diceva, s'incentra sulla finalità di eliminare i maggiori intralci alla circolazione giuridica dei beni immobili oggetto delle convenzioni, consentendo la rimozione dei vincoli citati, che sono spesso oggetto di elusione e di mancato controllo.
Le risorse che i Comuni possono incamerare sono significative e possono dare respiro alle loro magre finanze. Il Comune di Milano, per esempio, ha circa 9mila alloggi convenzionati: ipotizzando una media di corrispettivo di circa 7mila euro a unità abitativa, e che il 50 per cento dei proprietari faccia richiesta, l'entrata prevista sarebbe di circa 30 milioni. Gli enti potrebbero investire in interventi di manutenzione o di costruzione di nuovi alloggi, per fornire una risposta a un bisogno sempre crescente di case a giovani precari e a anziani.
Inoltre, trattandosi di oneri reali, il plusvalore realizzato può essere destinato al finanziamento di spese a carattere non permanente di cui all'articolo 187 del Tuel, e anche per il rimborso delle quote capitali delle rate di ammortamento dei mutui (articolo Il Sole 24 Ore del 23.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPubblico impiego. Dopo l'emendamento che alza la soglia delle assunzioni dal 20 al 40% delle «uscite» dell'anno prima.
Turn-over, ampliamento a metà. Ma la nuova norma si scontra con le disposizioni di contenimento della spesa.

Allentamento a metà per i vincoli al turn-over negli enti locali. Infatti l'ampliamento delle possibilità di assumere personale a tempo indeterminato (si passa dal 20% al 40% delle cessazioni dal servizio avvenute nell'anno precedente) si scontra con l'obbligo, per gli enti soggetti al patto di stabilità, di garantire la riduzione della spesa per il personale di anno in anno. Il risultato? I nuovi limiti più soft rischiano di essere vanificati se i dipendenti cessano dal servizio a inizio anno.
Soglia a rischio
La Camera, durante l'esame per la conversione in legge del decreto sulle semplificazioni fiscali 16/2012, ora in attesa del «sì» definitivo del Senato, ha approvato un emendamento che modifica l'articolo 76, comma 7, del decreto legge 112/2008: in base alla nuova disposizione, gli enti virtuosi, ovvero quelli con la spesa di personale al di sotto del 50% di quella corrente, potranno assumere personale a tempo indeterminato nel limite del 40% delle cessazioni dell'anno precedente, anziché del 20 per cento.
Ma il raddoppio del turn-over è insidiato da un'altra norma di contenimento della spesa: la Finanziaria 2007 (articolo unico, comma 557, legge 296/2006) impone agli enti soggetti al patto di stabilità di ridurre la spesa di personale da un anno all'altro. Così, nel 2012, gli enti locali non potranno spendere di più rispetto al 2011. Inoltre, il personale cessato nel 2011 non può essere sostituito nell'anno in corso, ma solo l'anno successivo. Il nodo è qui: se il dipendente è cessato dal servizio all'inizio del 2011 e non è stato sostituito per vincolo normativo, la spesa totale per il personale si riduce e questa riduzione rischia di vanificare l'aumento dal 20 al 40% del turn-over.
A conti fatti, con il tetto del 20%, perché la riduzione della spesa totale non compromettesse le possibilità di assunzione, era sufficiente che i dipendenti cessati avessero lavorato in media 2,4 mesi nel 2011 (il 20% di 12 mesi). Con il limite al 40%, invece, occorre che i dipendenti cessati rimangano in servizio almeno 4,8 mesi. È quindi probabile che gli enti si adatteranno a creare strategie alternative per compensare queste riduzioni della spesa.
Incarichi dirigenziali
L'emendamento, inoltre, introduce una deroga ai limiti agli incarichi dirigenziali conferiti (secondo l'articolo 110, comma 1, del Tuel) con contratti a termine: in base al nuovo testo del decreto legislativo 165/2001, non possono superare il 10% dei dirigenti a tempo indeterminato in organico (il 20% per i comuni fino a 100mila abitanti e il 13% fino a 250mila abitanti).
Con la nuova disposizione, gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della norma e che eccedono questi limiti potranno essere prorogati una sola volta se scadono entro fine anno. Ma il costo graverà sulle «ordinarie facoltà assunzionali a tempo indeterminato», ovvero sul 40 per cento. Quindi, gli incarichi dirigenziali a tempo determinato potranno sopravvivere solo a scapito del turn-over dei dipendenti.
Ma che cosa succederà del budget assunzionale assorbito dai dirigenti alla scadenza dell'incarico? Una interpretazione restrittiva potrebbe portare alla perdita definitiva di tali risorse. Altrimenti, le cessazioni potrebbero tornare in circolo alla stregua delle cessazioni a tempo indeterminato, ma in questo caso l'originaria cessazione, che ha finanziato il rinnovo del dirigente a termine, verrebbe sostituita solo nel limite del 16%, per la doppia applicazione del 40 per cento.
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L'ESEMPIO
I vincoli al turn-over alla prova
01 | «VECCHIO» DIPENDENTE
   Un dipendente costa a un ente locale 30mila euro l'anno e cessa dal servizio il 31.01.2011. Per quel dipendente, quindi, l'ente nel 2011 ha speso 2.500 euro (un dodicesimo di 30mila)
02 | IL VINCOLO
   La nuova soglia del turn-over al 40% delle cessazioni dell'anno precedente permetterebbe all'ente di spendere 12mila euro per nuove assunzioni nel 2012 (il 40% di 30mila). Ma l'apertura è annullata dall'obbligo di spendere meno per il personale dell'anno precedente (quindi meno di 2.500 euro) (articolo Il Sole 24 Ore del 23.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGODECRETO FISCALE/ Enti, largo ai dirigenti a contratto. E spunta la sanatoria per i manager esterni già in servizio. Gli emendamenti approvati alla camera sconfessano la Consulta.
Dirigenza a contratto degli enti locali, le percentuali di assunzioni aumentano dall'8% ad almeno il 10%, con estesissime possibilità di deroga.
Gli emendamenti presentati al decreto fiscale ampliano per comuni e province la possibilità di assumere dirigenti a tempo determinato e, soprattutto, con una disposizione «transitoria» discutibile, di confermare anche in deroga a qualsiasi limite i dirigenti esterni già in servizio.
L'esempio della sanatoria dei dirigenti a contratto presso le Agenzie delle entrate, del territorio e delle dogane, come era prevedibile, ha fatto breccia anche negli enti locali, per altro da sempre contrari alle limitazioni quantitative alle assunzioni dei dirigenti a termine, imposte prima dal dlgs 150/2009 e poi in parte ampliate dall'articolo 6 del dlgs 141/2011.
Nonostante la crisi e le difficoltà occupazionali di tutti i settori del paese, sembra che sia indispensabile per le amministrazioni pubbliche assicurarsi le prestazioni lavorative dei dirigenti fiduciari, nonostante le sentenze della Corte costituzionale, a partire dalla 103/2007, le abbiano considerato incompatibili col sistema ordinamentale.
Dunque, l'emendamento modifica il testo dell'articolo 19, comma 6-quater, del dlgs 165/2001, e «arrotonda» dall'8 al 10% della dotazione organica dirigenziale la quota di dirigenti a tempo determinato che gli enti locali possono assumere. Tuttavia, i comuni con popolazione fino a 100 mila abitanti sono beneficiati di una percentuale doppia: il 20%. I comuni con popolazione superiore a 100 mila abitanti e inferiore ai 250 mila invece, facoltativamente possono incrementare la percentuale dal 10 al 13%. L'incremento pare destinato a erodere le possibilità di assunzione a tempo indeterminato. Infatti, l'ulteriore 3% andrà «a valere sulle ordinarie facoltà per le assunzioni a tempo indeterminato». Insomma, non solo assumere dirigenti a contratto consumerà risorse per il tetto assoluto alla spesa e quello specificamente destinato alle assunzioni a tempo determinato, ma la spesa andrà considerata come se erogata per assunzioni a tempo indeterminato e, dunque, incidere sul limite del 40% della spesa delle cessazioni dell'anno precedente.
La percentuale-base del 10%, a ben vedere, varrà solo per province e comuni con popolazione superiore ai 250 mila abitanti.
L'emendamento, però, porta con sé l'aggiramento dell'intento della riforma Brunetta di contenere l'abuso oggettivo dell'utilizzo di dirigenti a contratto negli enti locali, che spesso hanno assunto dirigenti a termine per quote ben superiori al 10%, molte volte vicine al 100%, in totale contrasto con le indicazioni della Consulta. Dunque, si consente di rinnovare «per una sola volta» tutti i contratti dirigenziali a termine in scadenza entro il 31/12/2012, a condizione di adottare un provvedimento che con specifica motivazione dimostri l'indispensabilità del rinnovo per assicurare il corretto svolgimento delle funzioni essenziali.
Ancora una volta, torna il concetto di «funzioni essenziali», senza che esse però vengano definite. La deroga ai limiti percentuali consiste, nella sostanza, in una gentile concessione a tutte le amministrazioni comunali e provinciali in scadenza, nelle quali i dirigenti a contratto avrebbero dovuto lasciare gli incarichi definitivamente, se si fosse applicato rigorosamente (come richiederebbe la Consulta) il limite percentuale disposto dalla legge.
Grazie all'emendamento, tutti i comuni potranno motivare, più o meno sommariamente, l'indispensabilità di incarichi dirigenziali a contratto, che, paradossalmente, dovrebbero essere invece in ogni caso ridotti, visto che l'articolo 1, comma 557, della legge 296/2006 impone di contenere non solo il personale a tempo determinato (che ai sensi dell'articolo 9, comma 28, della legge 122/2010 comunque non possono superare, per spesa, il 50% del 2009), ma di diminuire l'incidenza percentuale dei dirigenti rispetto al rimanente personale.
Anche questi rinnovi consumeranno le risorse per assumere personale a tempo indeterminato, come unico scotto a questa sorta di sanatoria della dirigenza fiduciaria, molto ai limiti della legittimità costituzionale.
L'emendamento conclude indicando ai comuni che effettueranno i rinnovi dei dirigenti a contratto in deroga a qualsiasi limitazione percentuale di adottare atti di programmazione per assicurare a regime quello che, in realtà, da sempre la Consulta imporrebbe: il rispetto dei limiti percentuali previsti dalla legge. Poiché non è dato capire cosa si intenda per assicurazione «a regime» del rispetto dei limiti percentuali, sostanzialmente agli enti locali e ai dirigenti vicini alla politica è assicurato un altro quinquennio di incarichi. Per l'attuazione delle norme nel rispetto della Costituzione, ci sarà tempo (articolo ItaliaOggi del 20.04.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAssunzioni più facili per comuni e province. Limiti meno rigorosi per polizia locale, istruzione e servizi sociali.
Limiti meno rigorosi per le assunzioni degli enti locali. Gli emendamenti al «decreto fiscale» tornano a estendere in parte le possibilità di assunzione per comuni e province, riformulando l'articolo 76, comma 7, del dl 112/2008, convertito in legge 133/2008, l'articolo 1, comma 562, della legge 296/2006 e l'articolo 9, comma 28, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2009.
Limiti finanziari alle assunzioni.
Il contenimento delle assunzioni di personale a tempo indeterminato rispetto al costo del personale cessato l'anno precedente passerà dal 20 al 40%.
Polizia, istruzione e servizi sociali. Per il personale addetto alle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica (sia personale ausiliario, sia insegnanti) e dei servizi sociali l'onere della spesa relativa alle loro assunzioni inciderà per il 50%. Tale previsione deve intendersi, probabilmente, riferita al calcolo delle possibilità di assumere funzionale al tetto di spesa assoluto e al rapporto tra spesa di personale e totale delle spese correnti.
Invece, il costo del personale assegnato ai servizi elencati prima si continuerà a computare per intero, ai fini della determinazione del limite del 40% del costo del personale cessato l'anno precedente.
Qualora i comuni, avendo un'incidenza della spesa di personale sul totale delle spese correnti inferiore al 35%, si siano avvalsi della possibilità di coprire l'intero turnover dei dipendenti addetti alla polizia municipale, l'estensione delle assunzioni vista prima si applica solo ai dipendenti addetti ai servizi di istruzione e sociali.
Comuni non soggetti al Patto. Viene modificato l'articolo 1, comma 562, della legge 296/2006, dedicato agli enti non obbligati al rispetto del patto di stabilità.
Per loro il limite di spesa alle assunzioni viene finalmente aggiornato e spostato dal 2004 al 2008. Un beneficio, tuttavia, destinato a durare poco. Nel 2013 la gran parte degli enti, quelli con popolazione superiore a 1.000 abitanti, verrà assoggettata ai vincoli del patto di stabilità.
Assunzioni a tempo determinato. Il legislatore continua a fare confusione in merito all'articolo 9, comma 28, della legge 122/2010, ai sensi del quale si applica come «principio» agli enti locali il limite di spesa alle assunzioni flessibili pari al 50% di quella sostenuta nel 2009.
Contraddicendo se stesso e l'autonomia costituzionalmente garantita degli enti locali, il legislatore pare intendere il limite del 50% non come regola di principio e, dunque, non puntuale, bensì come disposizione cogente.
In quest'ottica, l'emendamento permette agli enti locali, a partire dal 2013, di superare il limite del 50% qualora intendano effettuare assunzioni «strettamente necessarie» a garantire le funzioni sempre nell'ambito della polizia locale, dell'istruzione pubblica e dei servizi sociali.
La possibilità di sforare il limite di spesa del 50% rispetto al 2009 non è, tuttavia, piena. Comuni e province in ogni caso non potranno spendere complessivamente per le assunzioni flessibili riguardanti polizia locale, istruzione e servizi sociali, più dei costi sostenuti per i medesimi settori nel 2009 (articolo ItaliaOggi del 20.04.2012).

ENTI LOCALIAziende speciali al posto degli attuali consorzi socio-assistenziali. È una possibilità che si fa sempre più concreta e che lo stesso legislatore sembra in qualche modo suggerire.
Il problema nasce con l'art. 2, comma 186, lett. e), della legge 191/2009, che ha disposto la soppressione di tutti i consorzi di funzioni tra gli enti locali, con la sola eccezione (prevista dall'art. 1, comma 1-quater, della legge 42/2010) dei bacini imbriferi montani. Come chiarito da varie pronunce della Corte dei conti, a dover essere sorpresi sono i consorzi costituiti, ai sensi dell'art. 31 del Tuel, per l'esercizio associato di funzioni (non importa se esclusivamente o unitamente a servizi), ivi compresi quelli socio-assistenziali, sebbene questi ultimi siano espressamente identificati da numerose leggi regionali come obbligatori.
Tale disciplina si è intrecciata con quella che impone ai piccoli comuni l'obbligo di gestione associata delle funzioni (artt. 14 del dl 78/2010 e 16 del dl 138/2011), con modalità e tempistiche differenziate a seconda della fascia demografica di appartenenza (meno di 1000 abitanti e 1.000-5.000 abitanti). Il socio-assistenziale, infatti, rientra tra le funzioni (fondamentali) di competenza comunale. Qualunque sia la modalità operativa che i comuni sceglieranno per reinternalizzare le «funzioni» relative a questo ambito (ed il personale che le svolge) –convenzione, unione di comuni «tradizionale» (ex art. 32 del Tuel) o «speciale» (ex art. del 16 dl 138/2011), gestione singola (per i municipi maggiori)– rimarrà aperta la questione relativa alla riorganizzazione dei «servizi» finora svolti dai consorzi da sopprimere e la ricollocazione del personale ad essi addetto. Al riguardo, la soluzione preferibile pare essere rappresentata dalla costituzione di un consorzio di servizi «puro» sotto forma di azienda speciale consortile ex art. 114 del Tuel.
In un certo senso è lo stesso legislatore ad indicare questa strada. Il recente decreto «Cresci Italia» (dl 1/2012, convertito dalla l. 27/2012), nel disporre l'estensione alle aziende speciali (oltre che alle istituzioni ed alle società in house) degli stessi vincoli imposti agli enti locali (soggezione al Patto di stabilità interno, limitazioni alle assunzioni di personale, obbligo di applicare il codice dei contratti pubblici e le norme di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze, limiti alle partecipazioni societarie) ha previsto una deroga a favore di quelle «che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi».
Giova ricordare che nell'ambito dei servizi pubblici privi di rilevanza economica (tipologia alla quale appartengono molte, anche se non tutte, le prestazioni socio-assistenziali) le regioni e gli enti locali hanno ampi margini di manovra, come riconosciuto dalla sentenza n. 272/2004 della Corte costituzionale, potendo optare sia per moduli più «pubblicistici» (aziende speciali, istituzioni, associazioni, fondazioni ecc.), che per moduli più «imprenditoriali» (società di capitali).
Il modulo dell'azienda speciale consortile ha il pregio di coniugare il controllo pubblico con una gestione improntata a criteri di efficacia, efficienza, ed economicità. Esso permetterebbe di conservare le dimensioni degli attuali consorzi, salvaguardando le economie di scala (articolo ItaliaOggi del 20.04.2012).

ENTI LOCALICarta autonomie, un caos. Agenzie e società locali da liquidare. E il personale? Riprende l'iter al senato. Con molte incognite legate al riparto di funzioni.
Un guazzabuglio il nuovo assetto delle competenze degli enti locali, che va delineandosi nella Carta delle autonomie. La necessità di riorganizzare l'assetto delle funzioni degli enti locali, derivata dall'articolo 23 della legge 214/2011 che ha messo in discussione le funzioni storiche delle province, ha rilanciato i lavori parlamentari per l'approvazione del disegno di legge di riforma del dlgs 267/2000 (si veda ItaliaOggi di ieri). Il risultato che ne deriva, tuttavia, non farebbe altro che accrescere la confusione già creata dal cosiddetto decreto «salva Italia», preso dall'esigenza di far vedere che si aggrediscono i costi della politica, intervenendo sulle province.
In effetti, la Carta delle autonomie finisce per correggere le storture della legge 214/2011, riassegnando alle province, oltre alla troppo fumosa funzione di indirizzo e coordinamento, anche le funzioni di programmazione, manutenzione delle strade e programmazione dei trasporti, nonché in tema di ambiente.
Tuttavia, il disegno ordinamentale risulta tutt'altro che chiaro, anche perché il disegno di legge non può entrare nel merito delle funzioni da assegnare alle regioni, che d'altra parte le regioni stesse potrebbero a loro volta attribuire sia a comuni, sia a province ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione.
Nei fatti, l'attribuzione delle competenze a comuni e province, che la Carta delle autonomie vorrebbe tassative e inderogabili, resta, invece, estremamente fluida e indeterminata. Per i comuni, ad esempio, si prevedono funzioni come le «attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi», oppure la «gestione dei beni e dei servizi culturali di cui il comune abbia la titolarità». In apparenza tali formule assegnano competenze chiare. Ma, in realtà, poiché esse genericamente si riferiscono all'«ambito comunale» o alla titolarità comunale delle competenze, risulta evidente che la linea di confine dell'esercizio di simili funzioni, rispetto ad altri enti che concorrano ad esercitarle (in particolare regioni e Stato) restano totalmente indefiniti.
L'emendamento indica che le funzioni fondamentali ed amministrative conferite a comuni, province e città metropolitane non possano essere ed esercitate da enti, società o agenzie statali, regionali e di enti locali. Si impedisce, così, la creazione di enti di servizio che svolgano in modalità privata funzioni amministrative. Il che comporterebbe la necessità di liquidare e sciogliere le molteplici società di servizio nate nel frattempo, con non indifferenti problemi occupazionali, senza una regola chiara sul personale da esse dipendente. Non essendo ammissibili clausole di rientro per il personale a suo tempo trasferito dall'ente locale alle società, né possibile assorbire personale non assunto dalle società stesse senza concorsi, si determinerebbero anche rischi di insufficienti dotazioni di risorse umane derivanti dalle reinternalizzazioni.
Il tentativo, poi, di razionalizzare i «costi della politica» induce ad una forte spinta verso l'obbligatorietà delle forme associative. Tutti i comuni con popolazione fino a 5 mila abitanti oppure fino a 3 mila se appartenenti a comunità montane dovranno necessariamente associarsi per gestire le funzioni fondamentali. Stessi obblighi per le province con meno di 300 mila abitanti (articolo ItaliaOggi del 20.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Diritto d'accesso agli atti 2.0. Sì alle nuove tecnologie ma senza discriminazioni.  I documenti possono essere messi a disposizione in formato digitale.
Un ente locale può soddisfare il diritto di accesso agli atti dei consiglieri comunali, previsto dall'art. 43, comma 2, del dlgs n. 267/2000, attraverso la messa a disposizione della documentazione in formato digitale, o attraverso l'invio diretto alle caselle di posta elettronica dei richiedenti o attraverso la consegna di cd o altro analogo supporto, contenente la riproduzione della predetta documentazione?
Il diritto di accesso dei consiglieri comunali agli atti amministrativi dell'ente locale è stato definito dal Consiglio di stato (sent. n. 4471/2005) «diritto soggettivo pubblico funzionalizzato», come tale strumentale al controllo politico-amministrativo sull'ente, nell'interesse della collettività. In considerazione di ciò, ai consiglieri comunali spetta un'ampia prerogativa di ottenere, dai competenti uffici comunali, tutte le informazioni utili all'espletamento del mandato senza che possano essere opposti profili di riservatezza, in quanto essi sono tenuti al segreto d'ufficio.
Gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, da un lato, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minore aggravio possibile per gli uffici comunali, dall'altro, nel fatto che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche o meramente emulative, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso (Consiglio di stato, sez. V, n. 6963/2010).
La stessa commissione per l'accesso ai documenti amministrativi ha richiamato il consolidato principio giurisprudenziale (ex multis Consiglio di stato, sez. V, n. 929/2007) secondo cui il diritto del consigliere di accesso agli atti «non può subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell'ente con l'unico limite di poter esaudire la richiesta, qualora sia di una certa gravosità, secondo i tempi necessari per non determinare interruzione delle attività di tipo corrente». Pertanto, il consigliere deve contemperare il diritto di accesso con l'esigenza di non intralciare lo svolgimento dell'attività amministrativa e il regolare funzionamento degli uffici comunali, comportando per essi il minor aggravio possibile, sia dal punto di vista organizzativo che economico (Corte dei conti, sez. Liguria n. 1/2004).
In ordine all'ammissibilità dell'accesso ad atti istituzionali del comune mediante l'uso di tecnologie informatiche, nonché all'acquisizione delle deliberazioni consiliari e di giunta e dei relativi atti preparatori in formato digitale (a mezzo Pec), la commissione ha ritenuto che, in base al quadro normativo vigente e alla ormai generalizzata diffusione degli strumenti informatici presso i soggetti pubblici e privati, «l'accesso telematico “deve” essere sempre consentito, soprattutto ove richiesto, non solo nei reciproci rapporti posti in essere tra le pubbliche amministrazioni medesime e in quelli da esse intrattenuti con l'utenza privata, ma anche nei rapporti tra le stesse amministrazioni locali e i componenti eletti nei loro organi consiliari. Il diritto di accesso telematico va garantito anche alla luce del generale dovere della pubblica amministrazione di ispirare la propria attività al principio di buon andamento e conseguente economicità e proficuità dell'azione (ex art. 97 Cost.) nonché del principio di leale cooperazione istituzionale tra soggetti pubblici (art. 120 Cost.)» (parere dell'11.01.2011).
Tuttavia, la Commissione ha ribadito che «l'amministrazione comunale deve garantire a tutti indistintamente i consiglieri parità di condizioni di accesso e di informazione, attesa la parità delle funzioni da ciascuno di essi esercitate. Eventuali disparità di trattamento devono, quindi, ritenersi contra legem» (parere del 10.05.2011).
Pertanto, «il mancato rilascio della chiesta copia cartacea potrebbe costituire una discriminazione dei soggetti privi di adeguata cultura informatica, con conseguente lesione sia del principio generale di uguaglianza sia dello specifico diritto di accesso, che pure attiene a quelle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti a tutti i cittadini e su tutto il territorio nazionale» (parere del 23 giugno/07.07.2011).
La scelta dell'amministrazione comunale di rilasciare la documentazione richiesta in formato digitale, sulla base del principio di economicità, deve ritenersi in linea con gli indirizzi suindicati, garantendo comunque l'accesso a tutti gli atti richiesti dai consiglieri (articolo ItaliaOggi del 20.04.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOStatali, dall'estate libertà di licenziare. L'annuncio del ministro della Funzione Pubblica Patroni Griffi.
"STATALI, SI LICENZIA"/ Il ministro Griffi: riforma del pubblico entro l'estate. Fuori dal lavoro dopo.

È di quasi tre milioni di persone l'esercito dei "senza speranza", i disoccupati che non cercano più lavoro. Il triplo della media Ue.
Nei tavoli di confronto con il sindacato, l'eventualità era finora passata solo per allusioni ma ieri, con un'intervista sul quotidiano Avvenire, il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, è stato netto: il governo licenzierà anche gli statali. Arrivando fino a dove non era arrivato Brunetta. Le forme saranno mediate, ovviamente, ma la sostanza resta e tutto quanto dovrà avvenire già entro l'estate.
Il ministro vuole varare la sua riforma entro metà maggio e del resto, la riforma del Lavoro, che è già all'esame del Parlamento, è stata fatta in modo da recepire, all'articolo 2, una legge delega. A quanto pare la riforma è già avanti nel suo punto più cruciale, quello del licenziamento del pubblico impiego. "Spero che capiscano tutti, anche i sindacati" dice il ministro al quotidiano cattolico.
"Devono accettare il meccanismo di mobilità obbligatoria per due anni che già esiste ma che ancora non è stato attuato. Devo farlo perché le amministrazioni pubbliche vanno riorganizzate anche per attuare la spending review sulla spesa pubblica". La procedura, in effetti, è già prevista nella norma attuale che prevede la messa in mobilità, per 24 mesi e all'85 per cento dello stipendio, del personale dichiarato in esubero. "Prima proveremo a vedere se quel personale, riqualificato, potrà essere utilizzato meglio in altri settori" spiega Patroni Griffi, "poi, solo se alla fine non si troveranno alternative, l'unica strada rimarrà quella del licenziamento".
NESSUNO crede, però ... (articolo Il Fatto Quotidiano del 20.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 20.04.2012

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALIToh, chi si rivede: il terzo mandato. Deroga per i mini-enti. Il difensore civico torna in provincia. Riprende al senato l'esame della Carta delle autonomie. Depositati gli emendamenti dei relatori.
Torna il terzo mandato per i sindaci dei piccoli comuni. Il tormentone, oggetto di battaglie più che decennali da parte dei primi cittadini dei municipi sotto i 5 mila abitanti, sembrava caduto nel dimenticatoio, sopravanzato da altri temi più urgenti nell'agenda dei mini-enti: dal taglio ai trasferimenti, all'obbligo di associazionismo, dai paletti alle assunzioni alla perequazione in ottica federalismo fiscale. Ma è stato rispolverato dai due relatori alla Carta delle autonomie, Andrea Pastore (Pdl) e Enzo Bianco (Pd) nel pacchetto di emendamenti al disegno di legge, ormai fermo al senato da quasi due anni.
Il testo, approvato dalla camera (anche con una certa celerità) il 30.06.2010 sembrava abbandonato al proprio destino ma Pastore e Bianco hanno deciso di resuscitarlo depositando in commissione affari costituzionali di Palazzo Madama un corposo fascicolo di emendamenti volti soprattutto ad adeguare la ripartizione di funzioni tra comuni, province, regioni e città metropolitane al restyling delle province voluto dal governo Monti (non senza qualche incongruenza, si veda altro pezzo in pagina).
Nel lungo elenco di proposte di modifica della governance locale, Pastore e Bianco hanno infilato qua e là diverse sorprese. A cominciare proprio dalla deroga al limite del doppio mandato sancito nell'art. 51 del Tuel. Dove dovrebbe trovare posto un'eccezione proprio per i sindaci dei piccoli comuni che potranno restare in carica una legislatura in più: per loro infatti il divieto di ricandidarsi si applicherà «allo scadere del terzo mandato consecutivo».
Rispolverato anche il difensore civico, seppur in versione riveduta e corretta. La figura dell'ombudsman comunale è stata eliminata nel 2010 da uno dei primi provvedimenti taglia-poltrone di Roberto Calderoli (dl n. 2/2010 convertito nella legge n. 42/2010). Ma ora ritorna dalla finestra proprio nelle province. I nuovi enti di secondo livello dovranno infatti prevedere per statuto l'istituzione di un difensore civico provinciale «con compiti di garanzia, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione». A lui il compito di segnalare «anche di propria iniziativa, abusi, disfunzioni, carenze e ritardi dell'amministrazione nei confronti dei cittadini».
Cinque sezioni per l'albo dei segretari. Non poteva mancare un cenno all'albo dei segretari comunali orfano dell'Agenzia, soppressa da Giulio Tremonti nel 2010. L'albo attualmente è articolato in sezioni regionali, mentre i relatori alla Carta delle autonomie propongono venga suddiviso in cinque macro-sezioni: Nordest, Nordovest, Centro, Sud e Isole.
L'elenco dei segretari sarà amministrato da un cda, nominato con dpcm e composto da due sindaci indicati dall'Anci, un presidente di provincia designato dall'Upi, tre segretari comunali e provinciali eletti tra gli iscritti e tre esperti designati dalla Conferenza stato-città (articolo ItaliaOggi del 19.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).
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Per saperne di più: Carta delle autonomie: il senato ha ripreso l’esame della riforma (link a www.leggioggi.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Finanza pubblica. Aperture sulle assunzioni. Turn-over doppio negli enti locali.
SOLIDARIETÀ FRA SINDACI/ Incentivo da 500 milioni per i Comuni che cedono spazi finanziari ad altri e li aiutano a rispettare il Patto di stabilità.

Una drastica apertura sulla possibilità di assumere, e l'estensione a livello nazionale della «solidarietà» fra Comuni per rispettare il Patto. Sono le due novità chiave spuntate ieri per gli enti locali negli emendamenti al Dl fiscale approvati in commissione Finanze alla Camera.
I correttivi riscrivono le regole per le assunzioni, raddoppiando dal 20% al 40% le possibilità di turn-over negli enti che dedicano al personale meno della metà delle spese correnti. Non solo: nel calcolo del turnover, le spese per assunzioni relative a polizia locale, istruzione e servizi sociali si calcolano dimezzate (ma continuano a valere per intero nel calcolo del rapporto fra spese di personale e uscite correnti).
Si allentano molto i tetti per gli incarichi dirigenziali a tempo: il limite generale è 10% dell'organico dirigenziale, ma può arrivare al 20% nei Comuni fino a 100mila abitanti e al 13% in quelli fino a 250mila: una sanatoria, poi, evita la decadenza dei contratti stipulati senza rispettare i vecchi limiti. Aggiornati anche i tetti di spesa per i Comuni fino a 5mila abitanti, che da quest'anno non dovranno superare le uscite per il personale registrate nel 2009 (il tetto precedente era relativo al 2004).
Sul versante dei bilanci, i correttivi estendono a livello nazionale il Patto di stabilità «orizzontale», con cui i sindaci che hanno un surplus possono cedere spazi finanziari ai colleghi in difficoltà nel rispetto degli obiettivi. La novità, tra le proteste delle Province, vale solo per i Comuni.
A livello regionale finora questa modalità, nata per accelerare i pagamenti alle imprese, non ha dato grandi soddisfazioni (nel 2010, per esempio, ha liberato 122 milioni, di cui 118 nel Lazio, contro i 400 milioni liberati dal Patto "verticale", cioè finanziato dalle Regioni), ma l'emendamento prova a spingere il meccanismo mettendo sul piatto un incentivo da 500 milioni di euro. In pratica, chi cede spazi finanziari riceverà un doppio premio: l'incentivo diretto, neutro per il calcolo del Patto e da destinare obbligatoriamente alla riduzione del debito, e uno sconto (pari alla metà degli spazi ceduti) sui vincoli dei due anni successivi.
Per pareggiare i conti, chi riceve spazi finanziari da altri Comuni si vedrà peggiorare il saldo obiettivo nel biennio seguente. Per partecipare a questa compravendita, ogni Comune dovrà trasmettere alla Ragioneria entro il 30 giugno gli spazi finanziari che può cedere o di cui ha bisogno (articolo Il Sole 24 Ore del 17.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Appalti, per il falso paga pure la società. Cassazione. Si sconta l'omesso controllo.
Il rappresentante della società che attesta falsamente di avere regolarmente versato i contributi previdenziali e le imposte per partecipare a una gara di appalto risponde anche di truffa e conseguentemente all'impresa si può irrogare la sanzione per l'illecito amministrativo in tema di responsabilità dell'ente in base al decreto legislativo 231/2001, per non avere adottato idonei modelli organizzativi atti a prevenire la violazione penale.
A precisarlo è la Corte di Cassazione, Sez. V penale, con la sentenza 16.04.2012 n. 14359.
Il rappresentante legale di una Sas attestava in una dichiarazione sostitutiva di atto notorio di essere in regola con gli obblighi relativi alla contribuzione sociale e con gli adempimenti fiscali. L'atto era destinato ad un ente pubblico per la partecipazione ad una gara di appalto, che veniva aggiudicata proprio dalla società in questione.
Successivamente veniva scoperta la falsità di detta attestazione e il rappresentante legale veniva condannato per i reati di cui agli articoli 483 (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) e 640 del codice penale (truffa) per aver attestato falsamente la regolarità contributiva e fiscale della società e posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre in errore i funzionari dell'ente preposti alla gara, ottenendo indebitamente l'aggiudicazione dell'appalto in pregiudizio dell'ente e delle altre ditte partecipanti Nei confronti della società, invece, veniva affermata la responsabilità per il correlato illecito amministrativo (ex Dlgs 231/2001).
Il rappresentante legale e la società ricorrevano in Cassazione evidenziando, tra l'altro, che una precedente decisione delle Sezioni Unite aveva escluso la truffa in presenza del delitto di indebita percezione di elargizioni a carico dello Stato e ritenuto assorbente le condotte di falso.
La Suprema corte ha rigettato il ricorso rilevando, in estrema sintesi, che nella vicenda in esame, non si trattava di un'indebita elargizione, ma di un'illegittima aggiudicazione di appalto. Da qui la conferma della condanna anche ai fini del Dlgs 231/2001 nei confronti alla società, per aver omesso, evidentemente, la predisposizione di idonei modelli organizzativi preventivi (articolo Il Sole 24 Ore del 17.04.2012).

ENTI LOCALI: Partecipate. Il Dl sulle liberalizzazioni obbliga le società ad adottare i criteri validi per gli enti locali.
In house, stretta sugli ingressi. Vietate nuove assunzioni se mancano i regolamenti sul reclutamento.

Le società partecipate dagli enti locali devono contenere la spesa per il personale e non possono procedere a nuove assunzioni se non hanno definito regole specifiche, né se la spesa complessiva sommata a quella dell'ente locale socio supera il 50% della spesa corrente.
Le disposizioni legislative sulla disciplina dei macroprocessi di gestione delle risorse umane nelle società con capitale a partecipazione pubblica sono state rafforzate dalle previsioni del nuovo articolo 3-bis della legge 148/2011, introdotte dalla legge 27/2012.
Il sistema, tuttavia, è articolato e complesso, con norme che sono già ora applicabili e con altre che devono essere attuate tramite decreti.
I criteri
Fra le disposizioni immediatamente operative, le più importanti sono quelle contenute nell'articolo 4, comma 17 della legge 148/2011, che rafforzano quanto già statuito dall'articolo 18, comma 1 della legge 133/2008, obbligando le società affidatarie di servizi pubblici locali in house (quindi a partecipazione interamente pubblica) ad adottare criteri e modalità per reclutare il personale nel rispetto dei principi (trasparenza, imparzialità, e così via) individuati dal comma 3 dell'articolo 35 del Dlgs 165/2001 (Testo unico del pubblico impiego).
Il dato normativo richiede peraltro una specifica regolamentazione da parte delle società, anche per affidare gli incarichi professionali, assumendo come riferimento gli indirizzi prodotti dagli enti locali soci o i regolamenti sulle collaborazioni autonome da questi prodotti in base all'articolo 3, commi 54-55 della legge 244/2007 (come evidenziato da varie sezioni regionali della Corte dei conti).
L'articolo 4, comma 17, della legge 148/2001 evidenzia peraltro le conseguenze della mancata definizione della disciplina, sancendo espressamente nell'ultimo periodo che fino all'adozione dei provvedimenti regolativi, le società in house non possono procedere al reclutamento di personale o al conferimento di incarichi.
L'articolo 18, peraltro, estende l'obbligo di regolamentazione dei criteri di assunzione anche alle società miste sotto controllo pubblico, ammettendo tuttavia in questi casi la definizione di una disciplina più flessibile.
La rilevanza di questo passaggio è stata già sancita dalla giurisprudenza (Tar Basilicata, sentenza 218 del 20.04.2011) e da numerose pronunzie interpretative (ad esempio Corte dei conti, sezione regionale controllo Lombardia, parere 350 del 13.06.2011), che esplicitano anche la necessità della vigilanza da parte degli enti locali soci.
Gli altri paletti
Il reclutamento di risorse umane da parte delle società affidatarie in house dagli enti locali è assoggettato anche al regime vincolistico stabilito dal patto di stabilità per gli enti locali soci, come chiaramente evidenziato dal comma 6 dell'articolo 3-bis della legge 148/2011 (introdotto dalla legge 27/2012).
La disposizione, infatti, oltre a ribadire la necessità di regole per il reclutamento, prevede esplicitamente che queste società rispettino le disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali (soci di riferimento) divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, nonché il contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie, con riferimento sia alle consulenze sia agli amministratori.
In questo senso rileva il recente intervento della Corte dei conti, sezione regionale di controllo Emilia Romagna, con il parere 11 dell'08.03.2012: è precisata la necessità di un'applicazione rigorosa delle norme sui compensi degli amministratori delle società partecipate previste dalla legge 296/2006 (articolo Il Sole 24 Ore del 16.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).
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Vincoli certi. Va rispettato il rapporto fra spesa corrente e costi per il personale.
Patto di stabilità: vale il limite del 50%.
Il rispetto del patto di stabilità da parte delle società affidatarie in house presenta molte problematiche interpretative e applicative, che potranno essere risolte solo con un intervento normativo.
La sottoposizione al regime vincolistico definito dal comma 557 dell'articolo 1 della legge 296/2006 e dalle disposizioni correlate (particolarmente l'articolo 76 della legge 133/2008, come modificato dalla legge 122/2010) è prevista da varie disposizioni, che configurano un sistema regolativo a portata estesa.
La combinazione delle previsioni contenute nell'articolo 18 della legge 133/2008, nell'articolo 3-bis (commi 5 e 6) e nell'articolo 4 (comma 17) della legge 148/2011 assoggettano al patto tutte le società in house, affidatarie di servizi pubblici locali con e senza rilevanza economica (comprese quelle affidatarie di servizi idrici e farmacie), ma anche di servizi strumentali.
L'applicazione delle regole del patto, tuttavia, è rimessa a un decreto ministeriale attuativo, ritenuto necessario da alcune interpretazioni (Corte dei conti sezione regionale di controllo Lombardia con il parere n. 7 del 19.01.2012) e valutato invece come solo complementare alla previsione di principio, stabilita dalle disposizioni legislative, da altre analisi interpretative (Corte dei conti Emilia Romagna, parere n. 17/2010, Corte dei conti Campania parere n. 98/2011).
In attesa che il decreto risolva il contrasto interpretativo, alcune previsioni limitative discendenti dal patto di stabilità sembrano invece risultare immediatamente applicabili anche alle società partecipate. Per esse, infatti, è stato rilevato come valga il divieto ad assumere quando, nel calcolo del rapporto tra spesa corrente e spesa del personale del sistema allargato (ente locale e società da esse partecipate), si abbia il superamento del limite del 50% (come evidenziato dalla Corte dei conti sezioni riunite Sicilia, con il parere n. 3 del 16.01.2012).
Da questo quadro emerge una linea di indirizzo operativo che gli enti locali possono sin da ora formalizzare nei confronti delle proprie società partecipate, invitandole a contenere, in via prudenziale, la spesa per il personale e per l'affidamento di incarichi professionali, anche in forza delle previsioni specifiche dettate per le società comprese nell'elenco Istat del conto consolidato, sancite nell'articolo 6, comma 11, e nell'articolo 9, comma 29, della legge 122/2010.
Questo approccio comporta anche la limitazione della spesa per assunzioni con contratti flessibili al limite di valore del 50% della spesa sostenuta nel 2009.
Altrettanto importante può risultare la formalizzazione, sempre da parte degli enti locali soci, di linee di indirizzo rivolte alle società partecipate per ridurre l'indebitamento in termini coerenti con le percentuali e le tempistiche previste per comuni e province dall'articolo 8, comma 3, della legge 183/2011.
Gli enti locali, infatti, devono vigilare anche su questo aspetto, essendo consapevoli che rientra nel quadro del consolidamento del bilancio allargato e che, in caso di liquidazione delle società partecipate, devono far fronte ai debiti della propria società in house che non sono stati soddisfatti in seguito alla liquidazione a causa dell'incapienza del capitale sociale (come evidenziato dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo Piemonte, parere n. 3 del 19.01.2012) (articolo Il Sole 24 Ore del 16.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Edilizia con Durc «d'ufficio». La Pa deve procurarsi da sé il documento per i lavori pubblici e privati.
Semplificazioni. La legge di conversione del Dl 5/2012 ha chiarito che l'azienda non può produrre l'autocertificazione.

Il decreto sulle semplificazioni (Dl 5/2012, convertito dalla legge 35/2012 in vigore dal 7 aprile scorso), ha apportato alcune novità in materia di lavoro: si tratta più che altro di "aggiustamenti" di norme esistenti o del recepimento di orientamenti derivati da prassi consolidate.
C'è innanzitutto un importante chiarimento sulla disciplina del documento unico di regolarità contributiva (Durc): la legge di conversione del Dl ha precisato che nei lavori pubblici e privati dell'edilizia le amministrazioni pubbliche devono acquisire d'ufficio il documento.
Il capitolo Durc
Il comma 6-bis dell'articolo 14 del Dl 5/2012 ha ribadito il principio della non autocertificabilità del documento unico di regolarità contributiva, nel solco delle indicazioni fornite recentemente dalle note del ministero del Lavoro e da quelle degli istituti previdenziali (si veda il grafico a lato). A partire dalla sua introduzione -con il Dl 210 del 2002- il Durc ha acquisito sempre maggiore rilevanza e si è arricchito di diverse funzioni nel campo degli appalti. La «decertificazione» introdotta con la legge di stabilità 2012, con modifiche al Dpr 445/2000 (il Testo unico sulla documentazione amministrativa), lasciava intendere che anche il Durc potesse essere sostituito da un'autocertificazione.
Il decreto sulle semplificazioni ha dissipato l'incertezza che si era creata, sancendo l'obbligo, per le amministrazioni pubbliche, di acquisire il Durc d'ufficio nell'ambito dei lavori pubblici e privati dell'edilizia. Oltre a rafforzare la non autocertificabilità, la norma elimina l'eventualità che il Durc possa essere acquisito dal soggetto interessato, estendendo anche alle ipotesi dei lavori privati in edilizia l'onere di richiesta del certificato da parte dell'amministrazione: si dovrebbe così superare la regola prevista dal comma 9 dell'articolo 90 del Dlgs 81/2008, in base alla quale il Durc deve essere trasmesso «all'amministrazione concedente, prima dell'inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di attività».
I controlli sulle imprese
L'articolo 14 del Dl 5/2012 si occupa del restyling dei controlli sulle imprese. La nuova disciplina dovrà essere delineata da regolamenti attuativi, seguendo criteri di proporzionalità e razionalizzazione, di coordinamento e programmazione dell'azione ispettiva, con l'obiettivo di ridurre o eliminare le verifiche nei confronti delle imprese in possesso di certificazione di qualità Iso. Unico neo della disposizione, l'aver escluso dal perimetro della semplificazione i controlli in materia fiscale, finanziaria e di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Assunzioni
Per le assunzioni, sono state snellite le comunicazioni riguardanti i rapporti di lavoro con gli extracomunitari (articolo 17), soprattutto per le ipotesi di svolgimento di periodi di lavoro stagionale successivi al primo (si veda anche «Il Sole 24 Ore del Lunedì» del 5 marzo).
Modificate anche le procedure delle comunicazioni obbligatorie di assunzione, nei settori dei pubblici esercizi e in quello agricolo: per il primo è stata estesa la possibilità, prima riservata alle attività del turismo, di effettuare la comunicazione preventiva con modalità semplificate nel caso in cui il datore di lavoro non sia in possesso di tutti i dati necessari, integrandoli entro il terzo giorno successivo.
In ambito agricolo è stata invece prevista una nuova fattispecie che consente di effettuare un'unica comunicazione nel caso di assunzione contestuale di due o più operai agricoli a tempo determinato, da parte dello stesso datore di lavoro.
Collocamento obbligatorio
Alleggerimento per il collocamento obbligatorio, in materia di sospensione degli obblighi occupazionali delle categorie protette: nell'ipotesi di Cigs, Cds o di procedure di mobilità, i datori di lavoro che hanno unità produttive in più province possono presentare l'istanza di sospensione al servizio provinciale per il collocamento mirato competente sul territorio dove si trova la sede legale dell'impresa.
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I chiarimenti
Gli ultimi interventi sul documento unico di regolarità contributiva
LE PA DEVONO PROCURARSI IL DURC
Il Durc nei lavori pubblici e privati dell'edilizia (Articolo 14, comma 6-bis del decreto legge 5/2012). L'onere di acquisire il Durc spetta alle amministrazioni pubbliche che devono provvedere d'ufficio. Le imprese interessate possono verificare la richiesta di Durc da parte della Pubblica amministrazione attraverso una funzione di consultazione ad hoc disponibile sul portale www.sportellounicoprevidenziale.it
IL DURC NON È AUTOCERTIFICABILE
Il chiarimento riguarda l'intervento della legge di stabilità 2012 (legge 183/2011) sul Testo unico delle norme sulla documentazione amministrativa (Nota del ministero del Lavoro del 16.01.2012 n. 619 e nota Inps/Inail del 26.01.2012)
Il Durc non è autocertificabile (si veda anche la circolare Inps 47/2012): la norma è interpretata come possibilità, da parte della Pa, di acquisire un Durc da parte del soggetto interessato. Questa previsione vale nei soli casi espressamente previsti dal legislatore: vi rientra, ad esempio, la trasmissione all'amministrazione concedente prima dell'inizio dei lavori oggetto della denuncia di attività
Questa interpretazione dovrebbe essere superata dal Dl semplificazioni, nell'ambito dei lavori pubblici e privati nell'edilizia
Resta intatta la possibilità da parte dell'impresa di presentare una dichiarazione al posto del Durc nei casi previsti espressamente, come per i contratti di forniture e servizi fino a 20mila euro stipulati con la Pa e con le società in house. Negli altri casi, sono le stazioni appaltanti pubbliche a richiedere il Durc
LA STAZIONE APPALTANTE GARANTISCE
L'intervento sostitutivo della stazione appaltante a garanzia dei contributi dei lavoratori (Circolare del ministero del Lavoro 3/2012 - messaggio Inps 3808/2012 e circolare Inps 54 del 13 aprile - nota Inail del 21/03/2012)
Nell'ipotesi di emissione di Durc con inadempienze contributive (Inps-Inail-Cassa Edile) relative a uno o più soggetti impiegati nell'appalto pubblico, la stazione appaltante trattiene dal pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza e procede a saldare i debiti contributivi (sia che il debito sia in fase amministrativa che iscritto a ruolo)
In ogni caso, il Durc deve evidenziare l'importo dell'inadempienza debitoria riscontrata (messaggio Inps 2860 del 17.02.2012) (articolo Il Sole 24 Ore del 16.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Materiali di riporto: in edilizia non sono trattati come rifiuti. Dl ambiente. Chiarimento in conversione.
Il tema dei materiali di riporto ha destato non pochi dubbi interpretativi e creato moltissimi problemi applicativi nell'ultimo anno. Con il Dlgs 205/2010, infatti, era stata riscritta gran parte della disciplina sui rifiuti di cui alla Parte III del Dlgs 152/2006 al fine di recepire la direttiva CE/98/2008.
Una parte delle questioni aperte vengono ora risolte con la conversione del decreto ambiente (Dl 2/2012), con il quale il Governo Monti aveva adottato misure straordinarie e urgenti in materia ambientale. In sede di conversione, le Camere hanno proposto ulteriori revisioni correttive, alcune delle quali manifestavano anche non pochi dubbi di costituzionalità in quanto idonee a eccedere i contenuti originari del decreto. Dopo alcuni passaggi tra Camera e Senato, in prossimità della scadenza dei 60 giorni, con legge 28 del 24.03.2012.
Il chiarimento
L'articolo 185 del Dlgs 152/2006 aveva espressamente previsto i casi di esclusione dall'ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti (terreno contaminato non escavato, edifici collegati al terreno, altri materiali allo stato naturale), ma non aveva considerato i materiali di riporto impiegati in passato per terrapieni o riempimenti. Alcuni enti locali, quindi, volendo aderire a un'interpretazione particolarmente restrittiva, avevano considerato tali materiali come rifiuti, con conseguente obbligo di rimozione e smaltimento degli stessi.
Le ricadute sui cantieri e sugli interventi edilizi erano state così gravi da spingere il Governo a prendere una formale posizione. Con il Dl 2/2012 e la sua successiva conversione in legge 28/2012, il legislatore ha provveduto a fornire un'interpretazione autentica della normativa. L'articolo 3 del Dl ambiente, dunque, chiarisce che il riferimento al concetto di suolo di cui all'articolo 185 (terreno in situ, suolo contaminato non scavato, edifici collegati permanentemente al terreno, suolo non contaminato e altro materiale naturale escavato) deve considerarsi esteso anche alle matrici materiali di riporto, ossia quei materiali eterogenei utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, contenenti anche materiali estranei.
I materiali di riporto utilizzati a fini edilizi, quindi, beneficiano in linea teorica dello stesso trattamento giuridico riservato al suolo (ossia esclusione dalla disciplina sui rifiuti). Al ministero dell'Ambiente, tuttavia, è affidato il compito di adottare uno specifico regolamento che definisca esattamente le matrici materiali di riporto. In attesa del regolamento ministeriale, i materiali di riporto presenti nel suolo possono comunque considerarsi sottoprodotti nel caso in cui soddisfino i requisiti previsti dall'articolo 184-bis del Dlgs 152/2006.
I nodi aperti
Sul punto, ci si domanda se tale equiparazione ai sottoprodotti rilevi solo nel caso in cui i materiali di riporto siano oggetto di scavo oppure se ricomprendano anche i riporti non scavati. Questi ultimi, invero, dovrebbero essere paragonati al suolo e, quindi, esclusi -come detto sopra- dalla disciplina dei rifiuti e, quindi, anche da quella dei sottoprodotti.
Se il Dl ambiente, dunque, chiarisce alcuni aspetti, permangono comunque diversi dubbi interpretativi. Si auspica, quindi, che il regolamento ministeriale sia in grado di fare definitiva chiarezza sul punto, così da fornire agli enti e agli operatori certezze sulla gestione di tali materiali (articolo Il Sole 24 Ore del 09.04.2012).

aggiornamento al 16.04.2012

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCorruzione p.a., prefetti in campo. Gli Utg vigileranno sui comuni. Più poteri ai segretari. Le proposte della commissione Patroni Griffi. Per gli enti locali un passo indietro di 15 anni.
Prefetti e segretari in campo per la lotta alla corruzione negli enti locali. Prefigura un passo indietro di almeno 15 anni l'integrazione al rapporto sulle misure anticorruzione elaborata dalla «Commissione di studio su trasparenza e corruzione nella p.a.», sotto il coordinamento del ministro Filippo Patroni Griffi.
Il documento contiene una serie di proposte che la commissione coordinata dal consigliere di stato Roberto Garofoli chiederà vengano recepite nel ddl anticorruzione su cui sta lavorando il ministro della giustizia Paola Severino (si veda ItaliaOggi del 31/3/2012).
Si tratta di una sonora bocciatura delle riforme-Bassanini che nel 1997, in un'impostazione pseudo-federalista dell'autonomia locale, modificarono radicalmente la figura del segretario comunale, sottraendogli la competenza a esprimere il parere di legittimità sugli atti degli enti locali e lasciando la sua nomina nelle mani dei sindaci e dei presidenti delle province, in applicazione di uno spoil system molto spinto.
La Commissione, a seguito di un'audizione col Viminale dello scorso 22 marzo, prefigura un sostanziale ritorno indietro su tutta la linea, travolgendo anche ogni residua velleità di «federalismo» o «policentrismo istituzionale».
Poteri del prefetto. L'idea di fondo del piano anticorruzione è costituire un'ennesima Authority. La Commissione, tuttavia, si rende conto che tale organismo avrebbe difficoltà a relazionarsi con le amministrazioni locali. Il compito, allora, di vigilare sulle misure anticorruzione da adottare da parte degli enti locali si ipotizza possa essere assegnato ai prefetti, anche nel quadro di un potenziamento degli uffici del governo.
Il peso del Viminale tornerebbe, così, a gravare fortemente su comuni e province. Le prefetture dovrebbero supportare gli enti locali per l'elaborazione dei «piani di prevenzione della corruzione», obbligatori per tutte le p.a., assicurando che siano formulati nel rispetto delle linee-guida dell'Authority, della quale sarebbero le referenti.
Poteri sostitutivi. Il rapporto suggerisce anche di attribuire ai prefetti il potere di sostituirsi alle amministrazioni locali inadempienti, che non adottino, aggiornino o attuino i piani di prevenzione della corruzione.
Ma, in alternativa o in aggiunta, lo studio della Commissione prende in considerazione anche l'ipotesi di configurare la mancata adozione del piano alla stregua della mancata approvazione del bilancio di previsione. La conseguenza, dunque, sarebbe il commissariamento e lo scioglimento dell'ente locale.
Ruolo del segretario comunale. Il piano anticorruzione prevede l'individuazione di un «dirigente responsabile della prevenzione della corruzione», che secondo la Commissione andrebbe individuato nel segretario comunale, in particolare nei comuni privi di dirigenza, nelle forme associative e nei comuni con meno di 5.000 abitanti, ove la gestione sia assegnata ai componenti della giunta, ai sensi dell'articolo 53, comma 23, della legge 388/2000. Il segretario comunale, dunque, avrebbe il compito materiale di redigere il piano e sottoporlo all'approvazione dell'organo di governo, che secondo la Commissione dovrebbe essere la giunta.
Inoltre, il segretario dovrebbe addossarsi le funzioni proprie del dirigente responsabile, procedendo, dunque, ad attuare concretamente le misure contro la corruzione. La Commissione ritiene che l'attribuzione di questo ruolo al segretario comunale risulti coerente con le sue funzioni di coordinamento dell'azione dei dirigenti e le storiche competenze in tema di regolarità amministrativa, visto che il segretario è sempre stato strumento di garanzia di legalità e imparzialità dell'azione amministrativa.
Dunque, in qualità di dirigente responsabile dell'anticorruzione, al segretario andrebbero rassegnati poteri e funzioni addirittura più ampi di quelli, come il mero parere di legittimità, che resero la figura talmente invisa alle amministrazioni locali da suscitare la proposta di un referendum abrogativo, scongiurato proprio dalle riforme-Bassanini, dalle quali derivò il depotenziamento del ruolo dei segretari.
Nomina e revoca dei segretari. Altro punto dolentissimo della riforma-Bassanini è da sempre il sistema di nomina e revoca dei segretari. La legge 127/1997 e, attualmente, il testo unico degli enti locali connota come ampiamente fiduciario l'incarico che sindaci e presidenti delle province assegnano ai segretari comunali, così da comprometterne l'autonomia e indipendenza operativa.
La Commissione, dunque, ritiene opportuno modificare radicalmente il sistema di nomina, ipotizzando che il Viminale sottoponga ai vertici monocratici degli enti locali una rosa di segretari preselezionata in base a specifici requisiti di professionalità e sulla base di autocandidature, nell'ambito della quale sindaco e presidente della provincia possano poi nominare il segretario da incaricare (articolo ItaliaOggi del 14.04.201).

APPALTIDurc sanabili per i subappaltatori. L'intervento sostitutivo del committente su tutti i partecipanti. I chiarimenti in merito alla procedura di regolarizzazione introdotta dal dpr 207 del 2010.
L'intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di Durc irregolare può riguardare anche gli eventuali subappaltatori impiegati nel contratto, nei limiti del valore del debito che l'appaltatore ha nei loro confronti. Inoltre, prima di procedere all'intervento sostitutivo, la stazione appaltante deve darne comunicazione all'Inps ed effettuare il pagamento nei successivi 30 giorni.
Lo precisa l'Inps, tra l'altro, nella circolare 13.04.2012 n. 54.
Intervento sostitutivo. Il dpr n. 207/2010 ha introdotto un particolare meccanismo attraverso cui, in presenza di Durc che evidenzi delle irregolarità nei versamenti dovuti agli istituti previdenziali (Inps e Inail) e/o alle casse edili (nel caso di imprese edili), le stazioni appaltanti hanno il potere di sostituirsi al debitore (cioè alle imprese titolari del Durc irregolare e che detengono i lavori in appalto) versando, in tutto o in parte, direttamente ai predetti istituti e casse edili le somme dovute in forza del contratto di appalto.
Subappalti. L'Inps precisa che l'intervento sostitutivo opera limitatamente ai contratti pubblici, ossia nei casi di contratti di appalto o di concessioni aventi per oggetto l'acquisizione di servizi o forniture, ovvero l'esecuzione di opere o lavori. E che può riguardare pure le eventuali irregolarità contributive dei subappaltatori impiegati nel contratto. In tal caso, la stazione appaltante potrà eseguire il pagamento a favore degli enti interessati nei limiti del valore del debito che l'appaltatore ha nei confronti del subappaltatore.
Comunicazione preventiva. In merito alla procedura dell'intervento sostitutivo l'Inps spiega che, ricevuto un Durc attestante l'irregolarità dell'esecutore o di un subappaltatore, la stazione appaltate è tenuta a comunicare, per posta elettronica certificata, alla sede Inps che ha accertato l'inadempienza, la volontà di attivare l'intervento sostitutivo.
A tal fine l'Inps ha predisposto apposito modello per facilitare la trattazione degli interventi sostitutivi, in cui la stazione appaltante indicherà tra l'altro l'importo che intende e che dovrà versare, salvo l'Inps non comunichi un minor valore in presenza di modifiche dello status debitorio del soggetto sostituito (appaltatore e/o subappaltatore), nelle more del perfezionamento del procedimento dell'intervento sostitutivo.
Il pagamento. La stazione appaltante, spiega inoltre l'Inps, effettuerà il pagamento non in proprio ma sostituendosi all'adempimento del contribuente.
Di conseguenza, il pagamento della somma oggetto d'intervento sostitutivo dovrà avvenire utilizzando le medesime modalità e le medesime specifiche previste per l'adempimento contributivo da parte dell'obbligato principale (il sostituito: l'appaltatore oppure il subappaltatore). A tal fine, nella lettera di riscontro alla comunicazione preventiva, l'Inps fornirà indicazioni alla stazione appaltante sui dati da indicare nella «sezione Inps» del modello F24 con cui eseguire il pagamento.
Per consentire il corretto svolgimento del procedimento, l'Inps precisa infine che è opportuno che il pagamento sia effettuato non oltre il termine di 30 giorni dal ricevimento della lettera di riscontro alla comunicazione preventiva e che la notizia dell'avvenuto pagamento sia inviata, sempre per Pec o per e-mail, dalla stazione appaltante, alla sede Inps di riferimento (articolo ItaliaOggi del 14.04.2012).

LAVORI PUBBLICIParcheggi fuorigioco. Il concessionario va scelto con gara. L'Antitrust boccia il sistema di affido diretto delle opere.
Nella realizzazione dei programmi urbani per i parcheggi il concessionario deve essere scelto in gara e non può essere affidatario diretto, così come avviene oggi.
E' quanto chiede l'Autorità garante della concorrenza e del mercato con la segnalazione 29.03.2012 (AS 295) indirizzata al presidente dell'Anci e al Sindaco di Roma in merito ai Programmi urbani parcheggi (Pup) di cui alla cosiddetta «Legge Tonioli» n. 122/1989.
Il problema che pone l'Autorità presieduta da Giovanni Pitruzzella attiene alle modalità con le quali il Comune di Roma ha proceduto all'affidamento delle concessioni (di progettazione, costruzione e gestione dei parcheggi) dal momento che, in base agli esposti ricevuti, vi sarebbero stati veri e propri affidamenti diretti a società a capitale privato, «in presunta violazione di quanto previsto dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e dal Codice dei contratti pubblici, oltre che, in generale, in violazione dei principi e dalle regole sulla concorrenza e sul mercato».
La particolarità degli interventi oggetto di segnalazione è che si tratta di parcheggi privati da realizzare su suolo pubblico, in cui, quindi, i fondi per realizzare l'opera sono privati, ma lo spazio ed il suolo ove si realizzano i parcheggi sono di proprietà pubblica (il comune istituisce un diritto di superficie a favore del soggetto privato, concessionario).
A tutt'oggi accade che la società proponente ottiene, senza gara, la concessione del diritto di superficie per il solo fatto di essere stata la prima a fare domanda di concessione in relazione ad una determinata area pubblica.
Il ragionamento che fa l'authority è di una semplicità estrema: dal momento che per realizzare il parcheggio «la disponibilità di spazi, terreno e suolo è un input produttivo essenziale ed imprescindibile», il ruolo che svolge il privato nella promozione dell'intervento (più o meno alla stessa stregua del promotore di un project finance così come disciplinato dal Codice dei contratti pubblici) incide soltanto su di «una prima fase di un fisiologico processo decisionale pubblico, ossia quella relativa alla valutazione dell'esistenza di significative potenzialità di mercato, mediante l'osservazione e il recepimento delle esigenze segnalate dalla domanda».
La legge, laconicamente, prevede infatti che le iniziative siano attivate «su richiesta dei privati interessati o di imprese di costruzione o di società anche cooperative». Senza il conferimento del diritto di superficie tutta l'operazione non sarebbe possibile; pertanto se il suolo (e il sottosuolo) rappresentano quello che la segnalazione qualifica come «fattore produttivo essenziale», diventa difficile sostenere la legittimità di un conferimento in via diretta, con modalità discrezionali, di una risorsa scarsa come il suolo, nei confronti di alcuni soggetti e non di altri.
Secondo l'Antitrust, invece, sarebbe bene che l'Amministrazione, «una volta valutata la convenienza, anche sociale, della realizzazione dell'opera privata su suolo pubblico, massimizzi l'interesse pubblico -anche in termini economici- ricorrendo all'applicazione dei principi concorrenziali, nella forma del ricorso a procedure di gara per l'individuazione dell'impresa concessionaria». In altre parole si tratta di una concessione come tante altre che dovrebbe essere messa in concorrenza fra tutti gli operatori del mercato sia per ottenere proposte progettuali alternative, sia per massimizzare il profitto derivante dalla cessione del diritto di superficie.
In concorrenza potrebbero quindi andare gli oneri concessori, le caratteristiche, gli elementi progettuali, la tempistica dell'opera, i successivi servizi di manutenzione ed altri elementi, così come accade nelle ordinarie concessioni di costruzione e gestione. Adesso spetterà ai Comuni (quello di Roma in primis) tenere conto delle osservazioni dell'Antitrust, anche alla luce di possibili rilievi sotto il profilo della responsabilità per danno erariale che potrebbero in futuro arrivare dalla magistratura contabile (articolo ItaliaOggi del 13.04.2012).

APPALTIDurc, l'Inps chiarisce meglio il raggio d'azione.
Il documento unico di regolarità contributiva (noto come Durc) è richiesto da tutti i committenti di appalti o subappalti alle ditte appaltatrici.
Ciò al fine di poter procedere al pagamento di quanto pattuito senza il rischio di rispondere a titolo di solidarietà per i debiti dell'appaltatore.
Andrà detto che, nonostante il Durc, restano fuori da detta certificazione alcuni debiti e in particolare quelli eventuali nei confronti dei lavoratori dipendenti a titolo di retribuzioni dirette e indirette.

L'ultima novità in tema di Durc è stata fornita dal messaggio 17.02.2012 n. 2860 dell'Inps.
Nel testo si precisa che per rendere omogenee le informazioni riportate nel Durc in caso di irregolarità anche l'Istituto dovrà rendere noto l'importo del debito contributivo accertato alla data indicata nel documento stesso.
A questo proposito viene ricordato l'obbligo derivante dall'applicazione dell'art. 7, comma 3, del dm 24.10.2007, il quale prima dell'emissione del Durc o dell'annullamento del documento già rilasciato con il meccanismo del «preavviso di accertamento negativo», impone agli enti di invitare il contribuente, la cui posizione costituisce oggetto di verifica a regolarizzare la situazione debitoria entro 15 giorni.
L'importo del debito contributivo richiesto in base alla norma citata e non regolarizzato, dovrà essere riportato nell'apposito campo del documento della sezione «Istruttoria Inps».
Detta somma costituirà il valore che le stazioni appaltanti dovranno considerare ai fini dell'applicazione dell'intervento sostitutivo disciplinato dall'art. 4 del dpr n. 207 del 05.10.2010 il quale prevede che il pagamento di quanto dovuto per le inadempienze accertate mediante il Durc è disposto dalle stazioni appaltanti direttamente agli enti previdenziali.
Se vi è iscrizione Inail la richiesta del certificato di regolarità dovrà essere effettuata tramite lo sportello unico previdenziale.
Per quanto concerne il settore agricolo dove opera il Durc Agr Cau la regolarità per ottenere agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni e autorizzazioni dovrà essere richiesta direttamente dalle stazioni appaltanti (articolo ItaliaOggi del 13.04.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Solo incompatibilità doc. Il presidente dell'Unione può lavorare per i comuni. Non è ammissibile l'analogia per le norme che limitano i diritti di status.
Sussiste l'ipotesi dell'incompatibilità, ai sensi dell'art. 63 del Tuel, nel caso del presidente di un'Unione di comuni che svolge anche incarichi tecnici nei comuni facenti parte della stessa Unione?
Secondo il Consiglio di stato «le ipotesi di incompatibilità si applicano solo nei casi ivi testualmente menzionati (art. 63 del decreto legislativo n. 267/2000), in quanto il ricorso all'analogia non è consentito dal principio interpretativo generale per cui le norme che restringono eccezionalmente diritti di status sono di stretta interpretazione». (Consiglio di stato parere n. 5862/2008 del 13-01-2008).
Trattandosi, quindi, di «principio interpretativo generale», va esclusa la sussistenza di incompatibilità nell'ipotesi in questione (articolo ItaliaOggi del 13.04.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Ineleggibilità e incompatibilità.
Sussistono le condizioni di ineleggibilità e/o incompatibilità, ai sensi degli artt. 60 e 63 del Tuel, nei confronti di un consigliere comunale in carica che risulta componente e capo della squadra antincendi boschivi della protezione civile comunale formata esclusivamente da volontari?

Nella fattispecie, non sussistono le condizioni di ineleggibilità e/o incompatibilità previste negli artt. 60 e 63 del decreto legislativo n. 267/2000, considerato che non è ammesso estendere l'ambito applicativo delle disposizioni in questione, in quanto le norme che restringono eccezionalmente diritti di status- come, nel caso di specie, il diritto di elettorato passivo riconosciuto dall'art. 51 della Costituzione- sono norme di stretta interpretazione, le cui disposizioni non possono essere estese in via analogica al di fuori dei casi ivi espressamente indicati (si veda ex multis, la sentenza del Consiglio di stato, I sezione, 22.10.2008, n. 3376) (articolo ItaliaOggi del 13.04.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Rimborso spese legali.
È possibile ottenere il rimborso delle spese legali, sostenute dagli amministratori locali, per la difesa in procedimenti civili o penali conclusisi con sentenza di assoluzione?

Non è dato rinvenire nell'ordinamento vigente norme che prevedono la possibilità di rimborsare agli amministratori locali le spese legali sostenute per giudizi instaurati in relazione a fatti asseritamente posti in essere nell'esercizio delle proprie funzioni.
Benché in passato parte della giurisprudenza abbia ritenuto di poter estendere in via analogica agli amministratori locali la normativa che consente, a determinate condizioni, tale rimborso per i dipendenti degli enti locali, secondo orientamenti ermeneutici più recenti la possibilità di tale ricorso all'analogia nella materia in questione è stata decisamente negata.
In base ai suddetti orientamenti è stato, infatti, ritenuto non pertinente il richiamo all'analogia, che risulta correttamente evocabile quando emerga un vuoto normativo nell'orientamento, vuoto che nella specie non è configurabile, atteso che il legislatore si è limitato a dettare una diversa disciplina per due situazioni non identiche fra loro, e tale diversità non appare priva di razionalità, atteso che gli amministratori pubblici non sono dipendenti dell'ente ma sono eletti dai cittadini, ai quali rispondono (e quindi non all'ente) del loro operato (cfr. sentenza Cassazione civile sez. I n. 12645 del 25.05.2010) (articolo ItaliaOggi del 13.04.2012).

APPALTI: Appalti semplificati, cosa cambia. Da istituire la banca nazionale dei contratti pubblici.  Le novità che entreranno in vigore da gennaio 2013 per effetto della legge Semplifica Italia.
Dall'01.01.2013 gare di appalto semplificate con i controlli effettuati tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Le stazioni appaltanti dovranno verificare i requisiti dei partecipanti alle gare soltanto tramite la banca dati e non potranno più chiedere documenti. Inoltre, ci sarà maggiore trasparenza e certezza nei certificati relativi ai lavori svolti all'estero e una nuova disciplina sulla scelta degli sponsor per la realizzazioni di interventi di restauro oltre che la responsabilità solidale negli appalti fra committente- datore di lavoro e appaltatore per i contributi dei lavoratori.
Sono questi alcuni dei contenuti della legge cosiddetta «Semplifica Italia» (legge 04.04.2012, n. 35, di conversione del decreto legge 09.02.2012, n. 5, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e sviluppo, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 06.04.2012) che contiene diverse modifiche al Codice dei contratti pubblici.
Banca dati nazionale dei contratti pubblici
Una delle maggiori novità è rappresentata dall'istituzione, presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici presieduta da Sergio Santoro, della Banca dati nazionale dei contratti pubblici (Bdncp) che, dall'01.01.2013, diventerà il contenitore di tutta la documentazione relativa alla prova dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico organizzativa dei partecipanti alle gare di appalto e concessioni. All'obbligo di acquisizione della documentazione da parte della Bdncp è correlato l'obbligo per i committenti di verifica dei requisiti di capacità dei concorrenti esclusivamente attraverso la banca dati, senza quindi più chiedere documenti ai partecipanti alle gare.
L'Autorità avrà il potere-dovere di mettere a punto, con propria deliberazione, i termini e le regole tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento e la consultazione dei dati contenuti nella predetta Banca dati. A quest'ultima entro l'inizio del prossimo anno, dovranno quindi affluire, da parte delle stazioni appaltanti e da parte dei soggetti privati, i dati e i documenti rilevanti ai fini della prova dei requisiti di partecipazione; si avrà quindi un sistema dinamico e costantemente aggiornato sulla situazione di ogni impresa e professionista.
Fino all'01.01.2013 si continuerà, però, con il sistema attuale in cui scatta sempre la necessità di produrre documenti in caso di aggiudicazione del contratto o di verifica a campione (sul 10% dei partecipanti). Successivamente all'attivazione della banca dati saranno i singoli operatori economici ad aggiornare la propria posizione trasmettendo, ad esempio, i certificati delle forniture o dei servizi svolti ottenuti dai committenti pubblici e privati. Per altri dati invece saranno le stazioni appaltanti a collegarsi con le altre banche dati pubbliche per acquisire i documenti o per verificarli.
Certificazione dei lavori all'estero
All'articolo 20, sostituendo l'articolo 84 del regolamento del Codice, si è previsto che i certificati, da produrre alla Soa, debbano essere redatti da «tecnico di fiducia del consolato o del Mae», con spese a carico dell'impresa, e debbano corrispondere a modelli predisposti dall'Autorità. La norma, fra le altre cose, precisa anche che, in caso di subappalto, il subappaltatore dell'impresa italiana possa utilizzare il certificato rilasciato all'appaltatore italiano o richiederlo al posto dell'appaltatore se quest'ultimo non lo ha fatto. Si prevede inoltre che se l'interessato non ha più una sede all'estero o vi siano difficoltà ad operare all'estero, si possa fare riferimento alle strutture del Mae nel paese interessato (consolati, ambasciate).
Disciplina delle sponsorizzazioni
La legge prevede una articolata disciplina sulle sponsorizzazioni (si prevede anche l'obbligo di indicare in programmazione triennale quali interventi saranno oggetto di sponsorizzazioni), con ricerca dello sponsor mediante bando pubblicato sul sito istituzionale dell'amministrazione procedente per almeno trenta giorni e richiesta di offerte in aumento sull'importo del finanziamento minimo indicato. L'amministrazione procederà, quindi, alla stipula del contratto di sponsorizzazione con il soggetto che avrà offerto il finanziamento maggiore, in caso di sponsorizzazione pura, o che avrà proposto l'offerta realizzativa giudicata migliore, in caso di sponsorizzazione tecnica.
Responsabilità in solido per appalti di opere o di servizi
La legge 35 prevede la responsabilità in solido del committente imprenditore o datore di lavoro con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, per il pagamento di trattamenti retributivi, compreso il tfr, e i contributi previdenziali dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto (articolo ItaliaOggi dell'11.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOImpugnabili le sanzioni disciplinari. In un interpello i chiarimenti sulle procedure applicabili. Arbitrato nella p.a..
Le sanzioni disciplinari irrogate ai pubblici dipendenti sono impugnabili sia mediante il tentativo di conciliazione, sia con procedure arbitrali.
Lo chiarisce il ministero del lavoro con l'interpello 10.04.2012 n. 11/2012, in risposta a un quesito del Nursind, sindacato delle professioni infermieristiche. L'interpello scioglie il dubbio interpretativo derivante dalla apparente inconciliabilità tra quanto dispone l'articolo 55, comma 3, del dlgs 165/2001 e le disposizioni del codice di procedura civile in tema di processo del lavoro, riformate dalla legge 183/2010 (il cosiddetto collegato lavoro). Ai sensi della regola speciale contenuta nel dlgs 165/2001 «la contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari. Resta salva la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento (_)».
Detta previsione, inserita nel dlgs 165/2001 dal dlgs 150/2009, cioè la riforma-Brunetta, ha introdotto nell'ambito del lavoro pubblico il divieto di ricorrere avverso i provvedimenti disciplinari emessi dai dirigenti o gli uffici delle p.a., avvalendosi di forme arbitrali fissate dai contratti collettivi o, come precisa l'interpello del ministero, ricorrendo al collegio di conciliazione operante presso le direzioni provinciale del lavoro, in applicazione dell'articolo 7, commi 6 e 7, della legge 300/1970.
Il ministero del lavoro nota, però, che successivamente alla riforma Brunetta, la legge 183/2010 ha modificato proprio la regolamentazione di conciliazione e arbitrato nell'ambito della disciplina delle controversie del lavoro, per altro al preciso scopo di ottenere un effetto deflattivo del contenzioso avanti ai giudici. L'articolo 31, comma 9, della legge 183/2010 ha stabilito espressamente che le nuove regole sull'arbitrato contenute negli articoli 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile sono applicabili direttamente alle controversie del lavoro riguardanti i dipendenti pubblici, abolendo le regole speciali sul tentativo obbligatorio di conciliazione e il collegio di conciliazione, contenute negli articoli 65 e 66 del dlgs 165/2001.
Di conseguenza, poiché le vertenze relative alle sanzioni disciplinari riguardano i rapporti di lavoro, secondo l'interpello è possibile per i dipendenti pubblici opporsi all'eventuale irrogazione di sanzioni disciplinari esperendo le procedure di conciliazione e arbitrato previste dagli articoli 410 e 412 c.p.c. Del resto, il tentativo di conciliazione, divenuto facoltativo, trova la sua fonte direttamente nella legge e non nella contrattazione collettiva; sicché non risulta applicabile il divieto posto dall'articolo 55, comma 3, del dlgs 165/2001, che non permette di avvalersi di conciliazione e arbitrati regolati da contratti collettivi.
Resta invece preclusa la possibilità del cosiddetto arbitrato irrituale previsto dall'articolo 412-ter del codice di procedura civile, in quanto tale forma di gravame è rimessa alla disciplina della contrattazione collettiva (articolo ItaliaOggi dell'11.04.2012).

COMPETENZE PROGETTUALIGeometri, competenze limitate. Professioni. Un lodo arbitrale ribadisce il divieto di incarico per opere in cemento armato. Il contratto «esorbitante» è nullo e la parcella diventa inesigibile.
IL FASCICOLO/ Al tecnico era stata commissionata la realizzazione di un chiosco nel parco municipale.

Il progetto redatto da un geometra in un campo esorbitante dalle sue prerogative professionali «è e rimane illegittimo, anche se controfirmato o vistato da un ingegnere e anche se un ingegnere esegua calcoli del cemento armato e diriga le relative opere».
Con questa motivazione, contenuta nel lodo arbitrale 14.03.2012, il Comune di Mezzegra, paese sulle sponde occidentali del Lago di Como, si è visto confermare la nullità dell'incarico di un professionista con il conseguente azzeramento di tutte le pendenze collegate.
Il geometra dal canto suo rivendicava il pagamento del compenso –circa 31 mila euro più interessi– per il progetto preliminare e poi definitivo di un chiosco ad uso commerciale all'interno del parco pubblico del paese, realizzati sulla base di due delibere conformi di Giunta risalenti al 2008. Il contenzioso era sorto dopo che il Comune aveva sospeso la progettazione esecutiva, rifiutandosi di pagare qualsiasi compenso al geometra.
La questione, come al solito, verteva sull'interpretazione dell'articolo 16 del regolamento professionale (Rd 274/1929) che limita la competenza del geometra alla progettazione, direzione e vigilanza di «modeste costruzioni civili» con esclusione di quelle che comportino l'adozione anche parziale di strutture in cemento armato; unica eccezione, la realizzazione di piccole costruzioni accessorie nell'ambito degli edifici rurali o destinati alle industrie agricole che, per la loro destinazione, non comportino pericolo per le persone.
Secondo il collegio arbitrale (presidente Claudio Bocchietti, Daniela Corengia, Sergio Sartori) il divieto di utilizzo del cemento armato per i geometri nelle costruzioni civili è confermato nel Dpr 26/08/1959 che, in accoglimento del ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto dall'Ordine degli ingegneri di Venezia, aveva annullato una circolare del ministro dei Lavori pubblici che apriva qualche spiraglio per l'attività dei geometri in questo ambito.
Il collegio ha respinto come infondata anche la comanda del professionista di salvare (il diritto al pagamento per) la progettazione di massima e quella definitiva, dovendosi ritenere illegittima la sola progettazione esecutiva dell'opera in cemento armato: il lodo taccia di nullità l'intero contratto negando «qualunque competenza progettuale» in materia di cementi.
In ultimo, la decisione del collegio respinge anche la domanda residuale di un'azione di arricchimento senza causa (del Comune) poiché il diritto al compenso nascerebbe comunque da una prestazione professionale abusiva.
La decisione del collegio arbitrale lariano si inserisce nel filone giurisprudenziale anche più recente sul punto.
La II Sez. civile della Cassazione, il 2 settembre scorso (sentenza 18038/2011), aveva statuito che il professionista non ha diritto a ottenere il compenso per prestazioni per le quali non è abilitato, anche se queste siano state inserite, non contestate, nella fattura. Stessa decisione nella sentenza 6402 del marzo 2011, che esclude il diritto al compenso se la prestazione non si attiene alla competenza stretta dei geometri, definita dal regolamento professionale.
Secondo il presidente della categoria, Fausto Savoldi, «spesso i giudici non tengono conto che il nostro ordinamento professionale è del 1929, quando il cemento armato era agli albori. I tempi sono cambiati. È diversa la progettazione e sono differenti anche i sistemi di calcolo: ora c'è il computer. Un regolamento di ottant'anni fa non può rispecchiare l'attuale professione. Dobbiamo aggiornare quelle regole. Del resto la legge di stabilità dice che tutte le attività che non sono vietate devono ritenersi libere» (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.04.2012).
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Sull'argomento, si legga anche:
  
la nota 16.04.2012 dell'Avv. Roberto Rossi, resa nei confronti dell'Ordine degli Architetti di Vercelli
   ► l'articolo 18.04.2012 del giornale LA PROVINCIA

aggiornamento al 10.04.2012

EDILIZIA PRIVATA: Semplificazioni. La legge 35, di conversione del Dl 5/2012, ha tolto i vincoli sugli spazi realizzati con le agevolazioni «Tognoli»
Parcheggi in vendita senza casa. Le aree potranno essere di pertinenza di immobili situati in altri quartieri.

Si possono vendere, con limiti, i parcheggi realizzati in attuazione della legge Tognoli del 1989: è questa la novità introdotta dall'articolo 10 del decreto legge 5/2012 (legge 35, in vigore da ieri).
In via generale, chi intende costruire deve rispettare standard di urbanizzazione e in particolare realizzare spazi per parcheggi in misura pari a un metro quadrato ogni 10 metri cubi di costruzione (articolo 41-sexies legge 1150/1942). Questi spazi per parcheggiare, nel periodo tra il 1985 e il 2005, erano considerati pertinenze necessarie delle singole costruzioni e cioè non separabili dalle stesse. Solo con l'entrata in vigore dell'articolo 12 della legge 246/2005 è stato possibile cedere il diritto a parcheggiare o affittare a terze persone o imprese.
Le agevolazioni
Questa prima liberalizzazione, però, non riguardava le aree di sosta realizzate in forza delle legge Tognoli 122/1989, che hanno continuato a essere considerate inseparabili dalle unità immobiliari di cui erano pertinenze. Il vincolo rimasto in vigore dal 1989 al 2012 sulle aree di sosta "Tognoli" era motivato dal fatto che la legge 122/1989 consentiva notevoli agevolazioni, elasticizzando le previsioni degli strumenti urbanistici (piani regolatori, regolamenti edilizi) e le maggioranze condominiali (bastava la metà del valore e maggioranza degli intervenuti), consentendo di realizzare parcheggi sotto gli edifici oppure al piano terreno nelle costruzioni "a pilotis", cioè con un piano terra vuoto, attraversato da nudi pilastri che reggono l'edifico sovrastante.
Per evitare fenomeni di accaparramento, ad esempio la vendita di tutto un piano interrato da trasformare in parcheggio, oppure la vendita di piani terra vuoti da delimitare con muri e da suddividere in spazi di sosta, il legislatore nel 1989 aveva previsto l'obbligo di cedere il parcheggio realizzato con le agevolazioni della legge 122 solo insieme all'unità immobiliare della quale costituiva pertinenza. Quindi le imprese edili che realizzavano tali parcheggi non potevano immetterli sul libero mercato ma dovevano cederli necessariamente ai proprietari delle unità immobiliari sovrastanti e solo questi ultimi potevano eventualmente cederli in affitto a terzi.
Quando si può vendere
Solo ora, quale effetto del Dl semplificazioni, è possibile che i proprietari di unità immobiliari possano cedere a terzi le aree di parcheggio realizzate (al piano terra o nell'interrato) con le agevolazioni della legge Tognoli. I terzi acquirenti, peraltro, devono mantenere il vincolo di pertinenza spostandolo su un'altra unità immobiliare (anche non loro) presente nello stesso comune. Non è necessario un rapporto di vicinanza tra pertinenza e questa diversa unità immobiliare e l'abitazione o l'ufficio, cui il parcheggio è collegato, possono essere molto distanti purché nello stesso comune.
Il decreto legge ha inteso infatti evitare che si generi un mercato di parcheggi realizzati con la legge Tognoli completamente sciolto dalle unità immobiliari, ma non ha più interesse a che l'abitazione o l'ufficio goda effettivamente della possibilità di parcheggiare nell'area di propria pertinenza. In altri termini, una casa può avere un parcheggio di pertinenza anche in un quartiere sito all'opposto del territorio comunale. Di conseguenza i proprietari dei parcheggi potranno vendere i posti auto, realizzati nel loro interrato o al piano terra con la legge 122, separatamente dalle loro unità immobiliari, magari per esigenze di liquidità oppure perché si tratta di un secondo o terzo posto auto diventato eccedente.
Aree ancora vincolate
Resistono quindi solo due categorie di posti auto che hanno concreti limiti a una separazione dalle unità immobiliari di cui sono pertinenza: la prima comprende i posti realizzati in concessione su aree (o sul sottosuolo di aree) comunali. Questi sono in genere i primi livelli dei parcheggi multipiano realizzati in concessione, che non possono essere separati dall'unità immobiliare della quale sono pertinenza.
La seconda categoria è quella dei parcheggi realizzati dai condomini o da singoli proprietari in aree pertinenziali esterne ai fabbricati (nel raggio, in genere, di poche centinaia di metri): tali aree di parcheggio devono restare a uso esclusivo dei residenti.
Poiché i "residenti" possono non identificarsi con i "proprietari", si arriva alla conclusione che gli inquilini (tecnicamente, i residenti) di un palazzo in cui i proprietari abbiano realizzato parcheggi interrati in aree pertinenziali (esterne ai fabbricati stessi) hanno diritto a fruire del parcheggio e non possono vedersi sottratto tale diritto nemmeno se l'area di parcheggio viene venduta a terzi.
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L'evoluzione delle regole
1 - Metro quadro
In base alla legge 1150/1942, chi vuole costruire un edificio deve realizzare spazi per parcheggi nella misura di un metro quadro ogni dieci metri cubi di costruzione
1985 - Vincolo
Tra il 1985 e il 2005 gli spazi per parcheggiare sono stati considerati pertinenze necessarie delle singole costruzioni e quindi non separabili dalle stesse
1989 - Iter semplificato
La legge Tognoli (122/1989) introduce diverse agevolazioni a livello urbanistico e di regolamento condominiale per la realizzazione di parcheggi al piano terra o interrati sotto i rispettivi edifici
2005 - Primo passo
La legge 246/2005 consente di cedere o affittare il diritto di parcheggiare a terzi, ma non per le aree realizzate con la legge Tognoli (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.04.2012).

ENTI LOCALI - VARIL'Imu va in onda in due puntate. Definite le aliquote per la rata da versare entro il 18 giugno. Scadenze e regole dell'imposta municipale unica contenute nel maxi-emendamento al dl 16/2012.
Finalmente i contribuenti sanno quali aliquote devono utilizzare per calcolare la prima rata dell'Imu da versare, esclusivamente con il modello F24, entro il 18 giugno (il 16 cade di sabato). Poi, per il conguaglio di dicembre, si profilano già dubbi e perplessità, atteso che i comuni devono fissare aliquote e detrazioni definitive entro il 30 settembre, prendendo come riferimento le aliquote che il governo potrebbe, paradossalmente, cambiare fino al 10 dicembre.
Sono le principali novità del maxi-emendamento al dl 16/2012, approvato nei giorni scorsi dal senato, e che ora passa alla camera per la seconda lettura (la conversione dovrà avvenire entro il 1° maggio). Il provvedimento è intervenuto anche su altre questioni che comunque rilevano ai fini dell'acconto. Si tratta degli immobili connessi all'attività agricola, delle case di interesse storico o artistico, dei fabbricati inagibili e, ancora, degli alloggi «ex Iacp».
Posto che oggi non è possibile sapere con certezza quale sarà nel 2012 il carico fiscale complessivo che graverà sui proprietari degli immobili, tenendo anche conto che gli alloggi non locati (seconde case e fabbricati a disposizione) saranno esclusi da Irpef e relative addizionali, vale la pena soffermarsi sulle regole da conoscere per calcolare correttamente la prima rata di giugno. Anche se occorre precisare che per determinate tipologie immobiliari sono sorti dubbi che gli attesi chiarimenti del ministero delle finanze potrebbero aiutare a dissipare.
Base imponibile. Rispetto a quanto originariamente previsto dall'art. 13 del dl 201/2011, le novità introdotte in tema di Imu riguardano i fabbricati inagibili e inabitabili e le case storiche. Con riguardo ai primi, viene, sostanzialmente, ripristinata la stessa riduzione prevista dall'Ici, anche se per l'Imu, anziché ridurre l'imposta del 50%, viene previsto un abbattimento del 50% della base imponibile. Viene poi precisato, anche se appare una sottolineatura pleonastica, che se il fabbricato inagibile è iscritto in catasto come unità collabente (categoria catastale F/2) continua «ad avere rendita zero».
Ciò che invece non viene chiarito (e il problema era già sorto con riguardo all'Ici) è se il fabbricato con rendita nulla, qualora ricostruibile in base agli strumenti urbanistici del comune, debba essere considerata area edificabile oppure se si tratti di un immobile irrilevante ai fini di tali imposte comunali.
Novità significative riguardano invece gli immobili dichiarati di interesse storico e artistico. Da una tassazione Ici agevolata (per effetto dell'applicazione di una rendita convenzionale determinata applicando la tariffa d'estimo più bassa) si è passati, con il decreto «salva-Italia», all'azzeramento dei benefici, per poi mediare, con il maxi-emendamento, attraverso la riduzione della metà del valore imponibile comunque calcolato sulla base della rendita risultante in catasto.
Aliquote. Per il calcolo della prima rata si dovrà applicare: l'aliquota del 4 per mille all'abitazione principale e relative pertinenze (purché accatastate in categoria C2, C/6 o C/7 e comunque nel limite massimo di un'unità immobiliare per ciascuna delle predette categorie); l'aliquota del 2 agli immobili strumentali rurali (al riguardo va segnalato che a tutt'oggi non risulta ancora adottato il decreto ministeriale con il quale dovrebbe essere chiarito se tali immobili assumeranno la categoria D/10); l'aliquota del 7,6 a tutti gli altri immobili.
Riduzioni. Per i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali (Iap), comprese le società agricole, viene ripristinato lo stesso meccanismo di riduzione dell'imposta, articolato per scaglioni, già previsto per l'Ici.
Rispetto all'art. 9 del dlgs 504/1992, oltre ai diversi limiti degli scaglioni, non viene più previsto che nel caso di terreni ubicati in più comuni, ai fini del calcolo, si assume il valore complessivo dei terreni, ripartendo poi le riduzioni proporzionalmente ai valori dei singoli fondi.
Esenzioni. I terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina di cui all'art. 7, c. 1, del dlgs 504/92 restano esenti dall'Imu anche se il ministero delle finanze, con apposito decreto, potrebbe limitare il novero dei comuni rientranti in tale condizione. In assenza di tale decreto, pare di capire, si applicheranno le stesse regole dell'Ici.
Trova ingresso, invece, l'esenzione dall'Imu dei fabbricati rurali strumentali ubicati nei comuni montani o parzialmente montani di cui all'elenco dei comuni italiani predisposti dall'Istat. Tali immobili, esenti dall'Imu, saranno però assoggettati all'Irpef e alle relative addizionali.
Quota statale e versamento. Resta immutata la regola prevista dall'art. 13, c. 11, del dl 201/2011 in virtù del quale, tranne alcune eccezioni di seguito esaminate, allo stato è riservata una quota di imposta pari alla metà dell'importo calcolato applicando alla base imponibile l'aliquota del 7,6 per mille (per l'acconto o di quella che un dpcm potrebbe modificare entro il 10/12/2012).
Restano esclusi dal prelievo statale le abitazioni principali e relative pertinenze e i fabbricati rurali strumentali. A cui il maxi-emendamento ha aggiunto i fabbricati dei comuni utilizzati per scopi non istituzionali e gli alloggi degli «ex Iacp» e delle cooperative a proprietà indivisa. Proprio in relazione a tale ultima fattispecie, la formulazione della novella lascia spazio al dubbio se l'effettiva volontà del legislatore sia andata nella direzione di ridurre l'imposizione piuttosto che verso quella della devoluzione dell'intero gettito al comune.
Il versamento del 18 giugno potrà essere eseguito solo con il modello F24, utilizzando i nuovi codici tributo che renderanno possibile l'indicazione separata della quota erariale (ove dovuta) rispetto a quella comunale. Sarà naturalmente consentito compensare altri crediti con l'Imu mentre, allo stato attuale, non appare possibile il contrario atteso che l'eventuale credito Imu non risulta da una dichiarazione bensì da un provvedimento del comune (articolo ItaliaOggi Sette dell'08.04.2012).

PUBBLICO IMPIEGO - VARIMalattia, attenzione al certificato. Lavoratore responsabile della presenza dei dati domiciliari. Indennità negata quando è impossibile svolgere la visita fiscale per scarsità di informazioni.
Attenzione a fare i furbi sul certificato medico per evitare i controlli fiscali. Fornire dati incompleti, infatti, può costare la perdita dell'indennità di malattia.
Lo ha precisato l'Inps, fornendo chiarimenti in merito ai controlli attivati da imprese e pubbliche amministrazioni (le cosiddette «visite fiscali»). L'istituto ha ribadito, in particolare, l'obbligo per il lavoratore di verificare con massima attenzione i dati riferiti al proprio indirizzo finalizzati al controllo domiciliare, in quanto la responsabilità sulla correttezza di tali informazioni ricade unicamente su se stesso che rischia di perdere l'indennità per malattia.
Entro il 30/4 vanno comunicati i dati 2011 su rifiuti, imballaggi, Aee, veicoli fuori uso, emissioni.
La malattia viaggia online. La novità scaturisce dal processo di uniformazione dei regimi previsti per i dipendenti pubblici e quelli privati in ordine alle certificazioni di malattia. Unificazione che ha portato dal 14 settembre all'entrata in vigore di un'unica disciplina (cioè applicabile sia al settore privato che pubblico) sulla trasmissione in via telematica dei certificati medici all'Inps. E ha portato pure alla telematizzazione delle richieste di controllo (le cosiddette visite fiscali), a regime dal 1° dicembre.
Oggi, dunque, è vigente un regime unico «per la certificazione di malattia dei lavoratori», a seguito della legge n. 183/2010 (collegato lavoro), con riferimento principale all'articolo 55-septies del dlgs n. 165/2001, ossia al T.u. pubblico impiego. Ciò ha comportato, inoltre, l'unificazione del regime anche per ciò che concerne gli aspetti sanzionatori riferiti ai medici del Ssn o convenzionati.
Vale la pena ricordare, infine, che dal 06.07.2011 (entrata in vigore del dl n. 98/2011) è arrivata un'ulteriore innovazione, sempre in tema di assenze per malattia, per cui «nel caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici l'assenza è giustificata mediante la presentazione di attestazione rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione» (unica ipotesi, insomma, per cui resta possibile la modalità cartacea di giustificazione dell'assenza).
La visita fiscale si chiede online. A decorrere dall'01.10.2011, come accennato, anche le richieste di visita medica di controllo (le cosiddette «visite fiscali») devono essere inoltrate all'Inps mediante canale telematico. La novità fa parte del piano di «estensione e potenziamento dei servizi telematici offerti dall'Inps ai cittadini», in costruzione progressiva dal 1° gennaio di quest'anno e che prevede l'utilizzo graduale del canale telematico per la presentazione delle principali domande di prestazioni/servizi.
Con riferimento alle segnalazioni da parte di alcune sedi dell'Inps di imprese che continuano ad inviare le richieste di visite mediche mediante fax, l'Inps ha precisato che tali richieste (per fax) possono essere accolte solo in eventuali casi di interruzione del servizio telematico connessi a problematiche di tipo tecnico. In via ordinaria, invece l'Inps non dà seguito alle richieste non pervenute in via telematica.
Modalità operative. Il servizio telematico di richiesta di visita fiscale è a disposizione dei datori di lavoro sia pubblici che privati, compresi i datori i cui dipendenti non sono tenuti al pagamento della contribuzione per l'indennità economica di malattia all'Inps. Per l'utilizzo del servizio occorre essere abilitati all'accesso. Tutti i soggetti già dotati di Pin e attualmente in grado di consultare gli attestati di malattia sono abilitati al servizio automaticamente.
Invece i datori di lavoro o loro incaricati non ancora abilitati ai servizi di consultazione degli attestati di malattia, per poter accedere al servizio, devono presentare presso una sede dell'Inps i seguenti documenti: modulo di richiesta, compilato e sottoscritto dallo stesso datore di lavoro privato o dal legale rappresentante (ove il datore di lavoro sia pubblico o organizzato in forma associata o societaria), con l'elenco dei dipendenti per i quali si chiede il rilascio del Pin per l'accesso agli attestati di malattia del personale con allegata copia del documento d'identità del sottoscrittore; modulo di richiesta «individuale» compilato e firmato da ogni dipendente autorizzato, con allegata una fotocopia del documento d'identità del sottoscrittore.
I datori di lavoro o loro incaricati che intendano affidare il servizio di richiesta visita medica di controllo a un soggetto diverso da quello attualmente dotato di abilitazione per la consultazione degli attestati di malattia, devono comunicarlo all'Inps, che provvederà a modificare i relativi profili autorizzativi. Inoltre, gli stessi datori di lavoro o loro incaricati in possesso di Pin sono tenuti a chiedere tempestivamente la revoca dell'autorizzazione all'Inps (che provvederà a cessare, con effetto immediato, l'abilitazione), al verificarsi della cessazione dell'attività, della sospensione o del trasferimento in altra struttura dell'intestatario del Pin.
La richiesta di visita medica di controllo, che viene indirizzata in automatico alla sede competente dell'Inps per residenza/domicilio o per reperibilità del lavoratore, può essere effettuata per un solo lavoratore e per una sola visita alla volta. È possibile, inoltre, richiedere anche la visita di controllo ambulatoriale Inps, per casi eccezionali e motivati, cui fa seguito una verifica di fattibilità, da un punto di vista organizzativo-temporale, da parte della sede territoriale dell'Inps destinataria.
Ogni visita può essere richiesta 24 ore su 24; tuttavia l'effettuazione del controllo nello stesso giorno di richiesta è garantita dall'Inps soltanto per le istanze inviate entro le ore 12. Infatti, i datori di lavoro possono inviare in qualsiasi momento della giornata la richiesta di controllo essendo attivo il canale telematico; lo smistamento delle richieste ai medici incaricati però avviene: per i controlli nella fascia antimeridiana con riferimento alle richieste pervenute entro le ore 9; per quelli pomeridiani con riferimento alle richieste arrivate entro le ore 12.
Indirizzo reperibilità. Per consentire il controllo domiciliare è di fondamentale importanza che il lavoratore verifichi, con la massima attenzione e precisione, l'inserimento nel certificato telematico dei dati riferiti all'indirizzo per la reperibilità. Anche per tale aspetto, infatti, nulla è innovato rispetto al passato e, pertanto, la responsabilità sulla correttezza delle informazioni ricade unicamente sul lavoratore che ha il diritto e l'onere di controllare i dati al momento dell'inserimento da parte del medico o successivamente visualizzando la copia stampata del certificato stesso (il lavoratore rischia di perdere l'indennità per malattia).
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Dopo dieci giorni parola al medico Ssn.
Per la malattia lunga serve un certificato medico «doc». Nei casi di assenza superiori ai dieci giorni, infatti, il lavoratore deve munirsi necessariamente di certificato rilasciato da un medico del Servizio sanitario o con esso convenzionato.
Il vincolo, finora vigente per il solo settore pubblico (cioè per gli impiegati statali), è stato esteso al settore privato dal Collegato lavoro (legge n. 183/2010). Vale non solo in caso di lunghe malattie (quelle superiori a dieci giorni), ma pure per le infermità oltre la seconda in un anno. In particolare, il Collegato lavoro ha stabilito che, per garantire un quadro completo e univoco delle assenze per malattia nei settori pubblico e privato, nonché un efficace sistema di controllo delle stesse assenze, a decorrere dall'01.01.2010 (termine poi slittato al 14 settembre scorso, per il solo settore privato), in tutti i casi di assenza per malattia dei dipendenti di datori di lavoro privati, per il «rilascio» e la «trasmissione» della attestazione di malattia si applicano le disposizioni di cui all'articolo 55-septies del dlgs n. 165/2001. È proprio questo rinvio normativo a determinare, per il settore privato, la necessità di ricorrere a una certificazione «doc» in alcune situazioni.
Nel dettaglio è nei casi di assenza per malattia superiori a dieci giorni e comunque nei casi di eventi successivi al secondo nel corso dello stesso anno solare che anche per il lavoratore del settore privato è divenuto obbligatorio produrre, al datore di lavoro, idonea certificazione rilasciata unicamente dal medico del Ssn o con esso convenzionato. Fa eccezione a tale regole l'assenza di malattia per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche o diagnostiche per le quali la certificazione giustificativa può essere rilasciata anche da medico o struttura privata (articolo ItaliaOggi Sette dell'08.04.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Dichiarazioni ambientali ad hoc. Mud, Mudino, Prtr: diverse le modalità dell'eco-denuncia.  Entro il 30/4 vanno comunicati i dati 2011 su rifiuti, imballaggi, Aee, veicoli fuori uso, emissioni.
Grandi produttori di rifiuti speciali, professionisti di recupero e smaltimento, organismi di gestione dei rifiuti di imballaggio, fabbricanti e importatori di apparecchiature elettroniche, soggetti che effettuano raccolta, trasporto e trattamento di veicoli fuori uso, impianti industriali a emissioni rilevanti ex regolamento Ce n. 166/2006.
Questi i soggetti che dovranno, con modalità differenti, comunicare entro il prossimo 30.04.2012 alle autorità competenti i dati quali/quantitativi dei beni nuovi o a fine vita rilevanti dal punto di vista dell'impatto ambientale prodotti o gestiti nel corso del 2011.
A differenziare i soggetti obbligati alle dichiarazioni ambientali in scadenza non è, infatti, soltanto l'oggetto delle comunicazioni, ma lo schema procedurale da seguire per trasmettere le informazioni in questione.
Dichiarazione «rifiuti». Obbligati alla dichiarazione dei dati relativi ai rifiuti prodotti e/o gestiti nel corso del 2011 sono due macrocategorie di persone. In primo luogo devono adempiere all'obbligo in parola tutti i soggetti già tenuti, prima dell'istituzione del nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti (cd. «Sistri»), alla tradizionale «comunicazione Mud» (acronimo del «Modello unico di dichiarazione ambientale» introdotto dalla legge 70/1994).
Tali soggetti coincidono, in particolare, con i seguenti: produttori iniziali di rifiuti pericolosi (a eccezione dei soggetti del cosiddetto «comparto del benessere», individuati dal dl 201/2011, che producono rifiuti pericolosi a rischio infettivo con codice «Cer 180103» e li trasportano in conto proprio entro determinati limiti quantitativi fino a soggetti autorizzati al ritiro e delle imprese agricole ex articolo 2135 Codice civile con volume annuo di affari non superiore a 8 mila euro ex articolo 189 del dlgs 152/2006 nella versione precedente alle modifiche introdotte dal dlgs 205/2010); produttori iniziali di rifiuti speciali non pericolosi di cui all'articolo 184/3, lettere c), d), g) del dlgs 152/2006 (ossia rifiuti da lavorazioni industriali, artigianali, da attività di smaltimento/recupero rifiuti, fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi) con più di dieci dipendenti; imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero/smaltimento rifiuti.
L'assolvimento dell'obbligo di dichiarazione da parte dei soggetti in parola dovrà essere effettuato, secondo l'articolo 28 del dm Ambiente 52/2011 (il cd. «Testo unico Sistri») mediante la compilazione, sulla base dei dati presenti nei registri di carico e scarico, della apposita «scheda Sistri» disponibile sul portale www.sistri.it (scheda che, proprio perché in questa sede utilizzata ai soli fini della dichiarazione annuale, è stata giornalisticamente ribattezzata come «Mudino»).
A ragion di completezza si ricorda che il nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti sarà completamente operativo solo dal prossimo 30.06.2012, data a partire dalla quale molti produttori di rifiuti speciali e gestori professionali (in parte coincidenti con quelli sopra menzionati) saranno obbligati a passare a un sistema (quasi) totalmente informatizzato per la tenuta delle scritture ambientali.
Oltre alla citata prima categoria di soggetti, obbligati alla dichiarazione rifiuti del prossimo 30.04.2012, ma secondo modalità diverse, sono anche i comuni o loro unioni, consorzi e comunità montane. Essi dovranno infatti, entro il medesimo termine di scadenza, comunicare i dati quali/quantitativi relativi ai rifiuti urbani e assimilati raccolti in base a convenzioni con soggetti pubblici e privati nel 2011.
Tale comunicazione dovrà però essere effettuata direttamente alle camere di commercio competenti utilizzando modulistica e istruzioni previste dal nuovo dpcm 23.12.2011 (il regolamento recante la nuova disciplina «Mud» in attuazione della citata legge 70/1994 e in sostituzione di quella prevista dal dpcm 27.04.2010).
Dichiarazione imballaggi. Il Consorzio nazionale imballaggi (cosiddetto «Conai») e gli altri organismi di gestione dei rifiuti di imballaggio previsti dal articolo 221/3, dlgs 152/2006 dovranno invece comunicare al Catasto nazionale rifiuti, sempre entro il 30.04.2012 e comunque utilizzando modulistica e istruzioni previste dal citato dpcm 23/12/2011, i dati quantitativi e qualitativi degli imballaggi immessi sul mercato e dei rifiuti di imballaggio riciclati e recuperati nel corso del 2011.
Dichiarazione «Aee». A essere obbligati alla dichiarazione relativa alle apparecchiature elettriche ed elettroniche (cd. «Aee») sono i produttori e gli importatori delle stesse o gli eventuali sistemi collettivi di finanziamento ex dlgs 151/2005 cui gli stessi aderiscono. La comunicazione, avente a oggetto le «Aee» immesse sul mercato e i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche raccolti, reimpiegati, riciclati, recuperati nel corso del 2011, andrà indirizzata alla camera di commercio utilizzando modulistica e istruzioni previste dal citato dpcm 23/12/2011.
Dichiarazione «veicoli fuori uso». L'adempimento riguarda i soggetti che effettuano attività di raccolta, trasporto e trattamento di veicoli fuori uso e relativi componenti e materiali ex dlgs 209/2003. Costoro dovranno sempre entro il 30.04.2012 comunicare alla camera di commercio competente, utilizzando modulistica e istruzioni recata dallo stesso dpcm 23/12/2011, i dati relativi veicoli fuori uso e relativi componenti e materiali gestiti nel 2011.
Dichiarazione emissioni. Chiamati alla dichiarazione ambientale sono infine i complessi industriali individuati dal regolamento (Ce) n. 166/2006 che dovranno entro la stessa data del 30.04.2012 comunicare ai soggetti individuati dall'articolo 3 del dpr 157/2011 i dati relativi alle emissioni in aria, acque e suolo nonché i trasferimenti fuori sito di rilevanti quantità di rifiuti e sostanze inquinanti effettuati nel corso del 2011 (articolo ItaliaOggi Sette dell'08.04.2012).

ENTI LOCALIRevisori a sorte, ma non per tutti. La scelta con estrazione non si applica nelle regioni autonome. Una circolare del Viminale interviene a circoscrivere l'applicazione del dm del 15 febbraio.
Il procedimento di scelta dei revisori dei conti degli enti locali mediante estrazione a sorte, così come previsto dall'articolo 16, comma 25, del decreto legge n. 138/2011, non si applica alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, almeno fino a quando tali enti non abbiano legiferato recependo le previsioni del legislatore nazionale. Inoltre, gli organi di revisione contabile in scadenza prima della data di effettivo avvio del nuovo procedimento, proseguono la loro attività in regime di prorogatio (ovvero 45 giorni dopo la scadenza del mandato triennale) e, al termine di quest'ultimo periodo, saranno nominati con il metodo sino ad oggi previsto dall'articolo 234 del Tuel, ovvero con nomina da parte del consiglio comunale.
Sono queste le importanti precisazioni contenute nella circolare 05.04.2012 n. FL 7/2012 che il dipartimento della finanza locale del Mininterno ha ritenuto opportuno diramare a seguito dell'avvenuta pubblicazione, sulla Gazzetta Ufficiale del 20 marzo, del decreto 15/02/2012 recante il regolamento del procedimento di nomina, con estrazione a sorte, dei revisori dei conti degli enti locali che, in possesso di determinati requisiti, verranno inseriti nell'apposito elenco (si veda ItaliaOggi del 22.03.2012).
La circolare diffusa dal Viminale si sofferma su due casi in particolare, dopo che, da parte degli enti locali, sono pervenuti numerosi quesiti in merito alle procedure da seguire nelle more della piena operatività del sistema di scelta dei revisori.
In primo luogo, occorre approfondire la problematica relativa all'applicabilità delle nuove disposizioni per gli enti locali che appartengono alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano. Su questo versante, ci si deve riferire al comma 29 dell'articolo 16 dove si precisa che le disposizioni «si applicano anche a tali enti, ma nel rispetto degli statuti e delle relative norme di attuazione».
Stante la sibillina dicitura, pertanto, il Viminale afferma che le nuove disposizioni legislative non possono applicarsi «tout court» a tali enti, almeno fino a quando le regioni a statuto speciale e le province autonome, non avranno legiferato recependo le previsioni della normativa statale, tranne il caso in cui gli stessi statuti prevedono che, in assenza di normativa regionale in merito, si applica quella statale.
Inoltre, con riguardo alle disposizioni in materia di rinnovo, in attesa della piena operatività del nuovo sistema, il Viminale ha rilevato che gli organi di revisione contabile in scadenza prima della data di effettivo avvio del nuovo procedimento (che sarà reso noto con apposito avviso da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale), proseguono la loro attività in regime di prorogatio per 45 giorni dopo la scadenza del mandato triennale.
Allo scadere di tale periodo continueranno a essere nominati secondo il procedimento ex art. 234 Tuel, ovvero dal consiglio comunale. Solo i procedimenti di rinnovo che non si sono conclusi alla data di effettivo avvio a regime, devono sottostare alle nuove regole di estrazione a sorte dall'elenco (articolo ItaliaOggi del 07.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIProfessionisti. Il ministero dell'Interno fissa i criteri per la definizione dell'elenco ufficiale. In Comune solo revisori doc. Formato il registro, le nomine saranno curate dalle prefetture.
PROBLEMA CREDITI/ Le modalità adottate svantaggiano sia i revisori contabili sia i dottori privi di punteggio adeguato.
TERZA FASCIA/ Per i centri più grandi si profila il rischio di non raggiungere un numero sufficiente di candidature.

Dopo il regolamento per la nomina dei revisori degli enti locali (Dm dell'Interno 23 del 15.02.2012) ecco la circolare 05.04.2012 n. FL 7/2012 del medesimo ministero, dipartimento per gli Affari interni e territoriali, che fornisce le «prime necessarie indicazioni» operative. L'elenco sarà curato dal dipartimento stesso. Vedremo, allora, se i criteri delineati per le fasce saranno adeguati al "fabbisogno", dal momento che il rischio è quello di avere un numero insufficiente di candidati, almeno per gli enti più grandi.
Dopo la formazione dell'elenco il ministero pubblicherà sulla «Gazzetta Ufficiale» e sul suo sito l'avvio del nuovo procedimento: fino ad allora, in sostanza, i revisori continueranno a essere nominati dai consigli comunali e provinciali. Per chi è affezionato al vecchio metodo è bene affrettarsi, perché nel caso in cui la nomina non sia perfezionata al momento della pubblicazione in «Gazzetta» dell'avviso si dovrà annullare la procedura in corso e seguire quella nuova.
Una volta formato l'elenco saranno le Prefetture a curare l'estrazione a sorte dei revisori, secondo l'articolo 5 del regolamento che si applica anche a Regioni a statuto speciale ed alle Province di Trento e Bolzano, fino a quando non emaneranno una loro legge.
Deve essere l'ente locale a comunicare al Prefetto la necessità di individuare i nuovi componenti dell'organo di revisione. E questo entro tre giorni, in caso di sua cessazione (totale o parziale) anticipata ed entro due mesi nel caso di fisiologico rinnovo (termine ridotto a soli 15 giorni per la prima applicazione).
La metodica è informatizzata e prevede l'individuazione di tre nominativi per ogni «posto»: se il primo rinuncia all'incarico si passa, al secondo e così via. Della selezione viene redatto verbale che sarà trasmesso all'ente per la sua delibera.
È nominato presidente del collegio chi ha svolto più incarichi e, a parità di incarichi, il revisore che li ha svolti negli enti più grandi demograficamente: in pratica si troverà in netto vantaggio chi ha svolto il ruolo nelle Province.
La circolare presenta poi un allegato con Linee guida per l'iscrizione dei revisori nell'elenco. Si precisa che chi ha i requisiti si può iscrivere in una o più delle tre fasce demografiche previste. Il termine per presentare le domande per entrare nel registro verrà pubblicato con avviso in Gazzetta Ufficiale ed il modello sarà disponibile all'indirizzo http://finanzalocale.inteno.it.
L'allegato tratta anche il tema, caldissimo, dei 15 crediti formativi richiesti, lasciando purtroppo irrisolta la questione di chi, essendo revisore contabile ma non dottore commercialista, non abbia avuto la possibilità di effettuare corsi di formazione che prevedessero crediti formativi nel triennio precedente. Il problema, per altro, si pone anche per i dottori commercialisti, in quanto si tratta di un obbligo «retroattivo», che pare eccessivamente restrittivo.
Sarebbe ragionevole, per la fase iniziale, concedere un periodo di sei mesi per rispettare l'adempimento, per altro di natura essenzialmente formale, visto che nessuno può pensare che bastino 15 ore di lezione per acquisire le competenze necessarie per svolgere adeguatamente la funzione.
Successivamente i corsi che daranno diritto ai crediti dovranno essere proposti dall'Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili (o dal Registro dei revisori), prevedere un test di verifica, ed essere preventivamente approvati dal ministero.
Restano perciò esclusi i corsi universitari in materia (master compresi) e perfino i corsi organizzati dalla scuola superiore di pubblica amministrazione e da istituzioni analoghe.
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Le tappe
01 | ELENCO DEI REVISORI
La circolare dell'Interno fissa i criteri per la formazione dell'elenco dei revisori per gli enti locali
02 | REGIME TRANSITORIO
Fino alla prossima pubblicazione dell'elenco sulla Gazzetta Ufficiale, i revisori saranno però ancora nominati dai consigli comunali e provinciali
03 | LA NOMINA
Nel nuovo regime i revisori saranno estratti a sorte dagli elenchi tenuti presso le Prefetture, sulla base delle richieste inoltrate dai singoli enti
04 | GLI AVENTI DIRITTO
Per ogni posto verranno individuati tre aventi diritto "a scalare" nel caso di rinuncia
05 | CRITERIO DEMOGRAFICO
Per la nomina del presidente prevarrà chi ha svolto incarichi in enti più grandi (articolo Il Sole 24 Ore del 07.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

COMPETENZE GESTIONALIOSSERVATORIO VIMINALE/ A chi spetta la competenza a decidere il trattamento sanitario obbligatorio. Tso deciso dal commissario. Sostituisce il sindaco se il comune è stato sciolto.
Qual è l'organo competente ad adottare l'ordinanza relativa al procedimento amministrativo di trattamento sanitario obbligatorio, in assenza del commissario straordinario incaricato della temporanea gestione dell'ente?

L'articolo 34 della legge 23.12.1978, n. 833, attribuisce al sindaco la competenza ad adottare le ordinanze in materia di trattamento sanitario obbligatorio, entro 48 ore dalla convalida della proposta da parte di un medico della unità sanitaria locale.
Nel caso di specie, se il comune è sottoposto a gestione commissariale e non è prevista dalla specifica normativa regionale in materia di scioglimento degli organi la nomina di vice o sub commissari, la competenza all'adozione del provvedimento in argomento, spetta in via esclusiva al commissario straordinario incaricato della gestione dell'ente (articolo ItaliaOggi del 06.04.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità per lite pendente.
Sussiste l'ipotesi d'incompatibilità per lite pendente, ai sensi dell'art. 63, comma 1, n. 4 del decreto n. 267/2000, nel caso di un consigliere comunale chiamato in giudizio davanti al Tar dall'ente presso cui esercita il mandato amministrativo?

In linea di principio, le cause ostative al mandato sono previste dal legislatore al fine di assicurare il regolare funzionamento dell'organo elettivo ed evitare l'insorgere di possibile conflitto di interessi tra l'ente e l'amministratore. Nel caso di lite pendente l'incompatibilità si genera al momento dell'iscrizione a ruolo della vertenza che vede parti contrapposte l'ente locale e il singolo amministratore. Il caso di specie risulta riconducibile alla previsione normativa, di talché compete all'amministratore formulare le proprie osservazioni al consiglio comunale, che valuterà la fondatezza delle deduzioni e, laddove riconosca sussistente la causa di incompatibilità, inviterà il consigliere a rimuoverla.
Nella fattispecie in esame, a fronte della tutela sia procedurale che sostanziale che la disposizione normativa citata introduce a tutela di opposti interessi di rango costituzionale, rimane di dubbia praticabilità il ricorso alla facoltà di opzione della rimozione della causa di incompatibilità mediante la rinuncia alla lite, non avendo il consigliere interessato, nella qualità di parte convenuta, la piena disponibilità della lite. In conformità al principio generale per cui ogni organo collegiale è competente a deliberare sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, compete all'organo comunale ogni definitiva determinazione in proposito, ferma restando la possibilità di contestare per le vie giudiziali le decisioni che saranno assunte (articolo ItaliaOggi del 06.04.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Permessi ai consiglieri.
Quale disciplina è prevista in ordine ai permessi di lavoratori dipendenti, pubblici o privati, che sono componenti dei consigli comunali e provinciali?

Con la modifica al primo comma dell'art. 79 del Tuel, di recente disposta dal comma 21 dell'art. 16 del dl 13/08/2011, n. 138, convertito nella legge 14/09/2011, n. 148, le parole «per l'intera giornata in cui sono convocati i rispettivi consigli» sono state sostituite dalle seguenti «per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo del suo svolgimento».
La rettifica è stata apportata nei termini suindicati solo relativamente al primo periodo del comma 1 dell'art. 79 che, nella parte rimanente, rimasta invariata, prevede che «nel caso in cui i consigli si svolgano in orario serale, i predetti lavoratori hanno diritto di non riprendere il lavoro prima delle otto ore del giorno successivo; nel caso in cui i lavori dei consigli si protraggano oltre la mezzanotte, hanno diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata successiva» (articolo ItaliaOggi del 06.04.2012).

ENTI LOCALI - VARILe semplificazioni diventano legge. Cambi di residenza sprint, la p.a. comunicherà solo on-line. La camera ha convertito in via definitiva il dl n. 5/2012. Tlc, più concorrenza nell'ultimo miglio.
Dalla tassa sulle calamità ad una maggiore concorrenza sull'ultimo miglio nella telefonia fissa; dagli organici della scuola al pagamento on-line di multe, mensa scolastica, tassa sui rifiuti e ticket. Il decreto semplificazioni (n. 5/2012) è arrivato al suo ultimo giro di boa, con la conversione in legge da parte dell'aula della camera (i sì sono stati 394, i no 49, gli astenuti 21) e con diverse novità inserite dal parlamento rispetto alla versione originaria varata dal governo.
La novità principale introdotta al senato e che ha costretto a un nuovo passaggio alla camera riguarda il ripristino del meccanismo che impone all'Agenzia delle dogane di incrementare l'aliquota sui carburanti per reintegrare «in pari misura» risorse eventualmente prelevate dal fondo stesso per eventi imprevisti come le calamità naturali.
Ultimo miglio. Più concorrenza nell'ultimo miglio delle telecomunicazioni. L'Agcom dovrà individuare entro 4 mesi le misure volte a raggiungere due obiettivi: disaggregare i costi per l'accesso all'ingrosso alla rete fissa dal costo del servizio di attivazione della linea stessa e del servizio di manutenzione e rendere possibile per gli operatori di potersi rivolgere ad aziende terze per servizi accessori e manutenzione.
Ok agli organici della scuola. L'organico della scuola, a partire dal prossimo anno scolastico, verrà fissato ogni tre anni «sulla base della previsione dell'andamento demografico della popolazione in età scolare» ma «nei limiti dei risparmi di spesa accertati» nello stesso settore scuola. In 60 giorni dovranno arrivare le linee guida per il potenziamento dell'autonomia scolastica.
Dal 2014 comunicazioni on-line nella p.a. A partire dall'01.01.2014 nella pubblica amministrazione saranno utilizzati «esclusivamente» i «canali e i servizi telematici» compresa la «posta elettronica certificata».
Pagamenti alla p.a. online. Introdotto l'obbligo per le amministrazioni di pubblicare sul proprio sito i codici Iban per consentire i pagamenti on-line di multe, rette della mensa scolastica, ticket sanitari. La norma scatta entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto.
Il pagamento delle imposte di bollo sarà fatto per via telematica anche con carte di credito, debito e prepagate. Potranno così essere effettuati online tutti quei pagamenti che prevedono la marca da bollo e che fino ad ora non potevano essere effettuati per via telematica necessitando di supporto cartaceo.
Cartella clinica elettronica. Nei piani di sanità nazionali e regionali «si privilegia» la gestione elettronica delle pratiche cliniche, «attraverso l'utilizzo della cartella clinica elettronica, così come i sistemi di prenotazione elettronica per l'accesso alle strutture da parte dei cittadini».
Cambi di residenza in tempo reale. I cambi di residenza avverranno in tempo reale in modo da evitare i gravi disagi e gli inconvenienti determinati dalla lunghezza degli attuali tempi di attesa. Le procedure anagrafiche e di stato civile saranno più veloci. I documenti di riconoscimento scadranno il giorno del compleanno: la norma intende evitare gli inconvenienti che derivano spesso dal non avvedersi della scadenza.
Patenti ottantenni. Tempi più brevi per il rinnovo delle patenti di guida degli ultraottantenni: la visita verrà effettuata dal medico monocratico e non più dalla Commissione medica.
Contrassegno invalidi. Il contrassegno per gli invalidi sarà valido su tutto il territorio nazionale. Sarà un decreto del ministro dei trasporti, previo parere della conferenza unificata, a disciplinare le modalità per questo riconoscimento.
Disco rosso al turismo elettorale. In occasione di consultazioni elettorali o referendarie il cambio di residenza, che il decreto fissa in tempo reale, non può essere fatto oltre 15 giorni prima del voto.
Social card. La social card non sarà più riservata ai soli cittadini italiani ma potrà essere attribuita anche a quelli comunitari.
Soddisfazione per l'approvazione definitiva del testo è stata espressa dal ministro della funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi. «Con il dl semplificazioni, è in atto un processo con il quale miglioreremo la vita degli italiani», ha dichiarato il ministro annunciando i prossimi provvedimenti nell'agenda del governo. «La partita non è terminata, ora si aprono due ulteriori sfide. La prima è l'attuazione della legge appena approvata ed è in dirittura d'arrivo l'accordo con le regioni. L'altra sfida è un disegno di legge che presenteremo al più presto. Il nuovo testo recepirà le istanze che sono state avanzate nel corso del dibattito parlamentare e che, per mancanza di tempo, non è stato possibile esaminare approfonditamente».
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Le novità in materia di giustizia del decreto legge sulle semplificazioni burocratiche. Meno carte negli studi legali. Stop al Documento programmatico sulla sicurezza.
Niente più Documento programmatico sulla sicurezza per gli studi legali. Anche i ricercatori in commissione d'esame per l'abilitazione alla professione forense.
Sono queste alcune delle novità che toccano i legali contenute nella legge di conversione del decreto 5/2012, sulle semplificazioni, che dopo le modifiche del senato è tornato alla camera per la seconda lettura ed è stato approvato definitivamente ieri da Montecitorio (la pubblicazione in Gazzetta è attesa per venerdì).
Il decreto incide anche su alcune specifiche materie relative a particolari giudizi. Per il processo amministrativo, ad esempio, si prevede la immediata notizia alla corte dei conti delle sentenze che accertano l'illegittimo silenzio della p.a. sulla istanza del privato; per il processo civile si introduce il benefici della preventiva escussione dell'appaltatore, opponibile dal committente chiamato a pagare il salario dei dipendenti dell'appaltatore stesso.
Peraltro altre misure di semplificazione, pur non essendo specifiche della professione forense, incideranno sull'organizzazione del lavoro degli studi dei professionisti: si pensi all'obbligo di pagamenti online con la pubblica amministrazione.
Dps. Viene abrogato l'obbligo di redigere e aggiornare un documento programmatico sulla sicurezza. Si tratta del documento che dovrebbe essere tenuto da ogni professionista. Nel Documento programmatico andavano indicate tutte le misure adottate o da adottare per il trattamento dei dati con elaboratori. L'obbligo in questione era tutelato anche da pesanti sanzioni amministrative e pecuniarie. L'abolizione del Dps non deve far dimenticare all'avvocato l'obbligo, comunque, da rispettare di conservare le informazioni contenute nei fascicoli con la dovuta attenzione.
Se non vigono più le disposizioni specifiche sul Dps, non vengono, tuttavia, meno gli obblighi anche deontologici oltre che contrattuali di evitare che i dati dei propri clienti siano carpiti o manipolati. In altre parole se non c'è più l'obbligo del Dps, rimangono ferme le esigenze di sicurezza dei trattamenti dei dati personali. Tra l'altro rimangono fermi gli obblighi di informativa e di nomina di incaricati e responsabili, nonché l'obbligo di osservare il codice deontologico di categoria sulla protezione dei dati.
Esami avvocati. Il decreto sulle semplificazioni modifica la composizione della commissione per gli esami di avvocato. La commissione continuerà a essere composta da cinque membri, dei quali due sono avvocati, iscritti da almeno dodici anni all'albo degli avvocati; due sono magistrati, con qualifica non inferiore a magistrato di Corte di appello. Il quinto componente poteva essere professore ordinario o associato di materie giuridiche presso un'università o presso un istituto superiore. Il dl in esame aggiunge che il quinto componente può anche essere un ricercatore universitario, naturalmente di materie giuridiche.
Pagamenti online. Diventerà obbligatorio per gli enti pubblici pubblicare nei propri siti istituzionali e sulle richieste di pagamento i codici identificativi dell'utenza bancaria sulla quale i privati possono effettuare i pagamenti mediante bonifico.
Responsabilità erariale. Il decreto semplificazioni aggiunge un'appendice ai giudizi che si svolgono davanti al giudice amministrativo in materia di silenzio dell'amministrazione. In prima battuta si tratta di una mera disposizione di rinvio al codice del processo amministrativo, inserita nella legge generale sul procedimento amministrativo (n. 241/1990): tutela in materia di silenzio dell'amministrazione è disciplinata dal codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 02.07.2010, n. 104.
In secondo luogo si aggiunge che le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell'amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti. In sostanza ogni volta che viene accertata giudizialmente l'inerzia della pubblica amministrazione, necessariamente si deve attivare anche il giudice della responsabilità erariale, per verificare se non vi siano danni da rimborsare all'ente pubblico, e da porre conseguentemente a carico del funzionario negligente.
Appalti e responsabilità appaltatore. Viene istituita la Banca dati nazionale dei contratti pubblici per la verifica requisiti generali, tecnico-organizzativi ed economico-finanziari dei concorrenti alle gare pubbliche.
Dall'01.01.2013, dunque, la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario per la partecipazione alle procedure disciplinate dal Codice degli appalti pubblici deve essere acquisita presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (e non essere richiesta tutte le volte ai singoli concorrenti.
Il decreto prescrive, infatti, che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori devono verificare il possesso dei requisiti esclusivamente tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Se la disciplina di gara richiede il possesso di requisiti economico finanziari o tecnico organizzativi diversi da quelli di cui è prevista l'inclusione nella Banca dati ai sensi del comma 2, il possesso di tali requisiti è verificato dalle stazioni appaltanti mediante l'applicazione delle disposizioni previste dal codice dei contratti.
Altra novità riguarda il Durc: in materia di lavori pubblici le amministrazioni pubbliche dovranno acquisire d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva. Ancora una modifica di rilievo concerne la responsabilità solidale di committenti e appaltatori per i salari dei lavoratori.
Viene modificato l'articolo 29 del decreto legislativo 276/2003. La disposizione, come modificata, prevede che in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto. Quindi dello stipendio del dipendente dell'appaltatore risponde anche il committente (e fin qui siamo sostanzialmente all'impianto originario dell'articolo 29 citato).
Il decreto introduce la novità del beneficio della preventiva escussione dell'appaltatore: se convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore, il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo (articolo ItaliaOggi del 05.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVIDecertificazione, notai esclusi. Per la pratica bisogna sempre portare l'atto necessario. Uno studio del Notariato dedicato alle novità introdotte dalla legge numero 183 del 2011.
La decertificazione non si applica ai notai: per le pratiche notarili si deve sempre portare il certificato necessario.
Queste le conclusioni dello studio 16.02.2012 n. 21-2012/C, del Consiglio nazionale del notariato (Cnn) dedicato ai «riflessi sull'attività notarile delle nuove norme sulle certificazioni amministrative introdotte dall'art. 15 della legge 12.11.2011 n. 183».
Così, ad esempio, al notaio bisognerà portare l'estratto di morte necessario per la pubblicazione del testamento. E bisognerà portargli il certificato di destinazione urbanistica, che d'altra parte non è considerato un vero e proprio certificato.
Ma vediamo di illustrare lo studio.
LE NOVITÀ LEGISLATIVE
La legge 183 ha portato numerose novità, in particolare all'articolo 40 del dpr 445/2000. Innanzi tutto i certificati rilasciati dalla pubblica amministrazione che accertino stati, qualità personali e fatti sono validi e utilizzabili solo tra i privati. Sui certificati, poi, a pena di nullità, deve essere apposta la dicitura «il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi»; nei rapporti con le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi la regola diventa l'acquisizione d'ufficio dei dati e informazioni e l'utilizzo delle dichiarazioni sostitutive. Insomma i certificati si possono chiedere solo per pratiche con privati e non più con organi pubblici.
RIFLESSI SUL NOTAIO
Lo studio del Cnn arriva alla conclusione che non è possibile estendere l'autocertificazione anche nei rapporti che si svolgono tra il privato e il notaio. Non si può, infatti, considerare il notaio come un organo della pubblica amministrazione.
La conseguenza di questa impostazione è che non devono essere sostituiti dalle dichiarazioni sostitutive sia i certificati da prodursi al notaio e sia i certificati allegati agli atti notarili, come ad esempio l'estratto dell'atto di morte di cui all'articolo 620, comma 3, codice civile, necessario per la pubblicazione di un testamento olografo.
Il notaio, anzi, per ragioni di opportunità, deve controllare che i certificati che gli sono presentati, contengano la dicitura sulla inutilizzabilità dello stesso presso organi della pubblica amministrazione. Si potrebbe sostenere che la mancanza della dicitura sia un vizio solo formale, ma questa interpretazione non è pacifica, e quindi è meglio essere prudenti.
Inoltre l'articolo 40 citato non riguarda tutti i certificati rilasciati dalla Pubblica amministrazione, ma solo quelli che si riferiscono a stati, qualità personali e fatti: è escluso, quindi, il certificato di destinazione urbanistica di cui all'articolo 30 del Testo unico per l'edilizia, dpr n. 380/2001.
Altro aspetto è se la normativa sia applicabile alle certificazioni che i notai debbono utilizzare nei rapporti con organi della pubblica amministrazione. La risposta dello studio è affermativa. In seguito alle novità, pertanto, non si possono più presentare i certificati: alla dichiarazione di successione sicuramente potrà essere allegata la dichiarazione sostitutiva di certificazione (come peraltro già previsto dall'articolo 30, comma 3, del dlgs 346/1990).
Tuttavia va ricordato che l'articolo 6, comma 5, del dl 16/2012, in tema di attività e certificazioni in materia catastale, ha stabilito una deroga all'articolo 40: le disposizioni sulla decertificazione non si applicano ai certificati e alle attestazioni da produrre al conservatore dei registri immobiliari per l'esecuzione di formalità ipotecarie, nonché ai certificati ipotecari e catastali rilasciati dall'Agenzia del territorio.
In conclusione i certificati continuano a essere utilizzabili nei confronti dei notai, del resto così come nei confronti dei tribunali. A questo proposito il Consiglio nazionale notarile rileva che solo se e quando ai notai sarà consentito l'accesso alle banche dati delle pubbliche amministrazioni si potrà immaginare un significativo passo in avanti verso una più incisiva semplificazione nei rapporti notaio/cittadino (articolo ItaliaOggi del 05.04.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGONiente più scuse per la p.a. lumaca. La tardiva emanazione dell'atto incide sulla valutazione. Il decreto semplificazioni contiene molte novità in materia di procedimento amministrativo.
La semplificazione passa anche per la garanzia dell'effettività degli obblighi posti a carico della p.a. Questo sembra essere il disegno che ha ispirato il legislatore nelle modifiche introdotte, in tema di procedimento amministrativo (con riferimento particolare all'articolo 2 della legge n. 241 del 1990), dal decreto legge n. 5 del 2012 (c.d. decreto «semplificazione»).
Il decreto in questione è intervenuto cercando di garantire la certezza dei tempi del procedimento attraverso un duplice meccanismo e, precisamente, mediante la puntualizzazione delle forme di responsabilità dei singoli attori della vicenda e l'introduzione di una nuova figura chiamata a concludere il procedimento. Sotto il primo profilo va riguardato l'obbligo generalizzato della segreteria del Tar di trasmettere, in via telematica, alla Corte dei conti tutte le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso avverso il silenzio inadempimento dell'amministrazione.
Nella stessa ottica deve essere vista la specifica previsione secondo cui la mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché della responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.
Le disposizioni in esame non hanno carattere innovativo ma si limitano a ribadire che la violazione dell'obbligo di provvedere da parte dei soggetti chiamati a gestire il procedimento (e, quindi, non solo il responsabile del provvedimento ma anche il dirigente che omette il dovuto controllo o non adempie agli oneri organizzativi di competenza), oltre a produrre conseguenze sul piano della legittimità dell'azione amministrativa, rileva anche ai fini delle varie forme di responsabilità per la cui operatività rimanda ai presupposti previsti dalle norme di riferimento.
Singolare è la previsione (contenuta nell'articolo 2, comma 9-quinquies, della legge n. 241/1990) per cui nei provvedimenti rilasciati in ritardo, a istanza di parte, deve essere indicato il termine stabilito dalla normativa vigente per provvedere e quello effettivamente impiegato.
A parte le concrete modalità di operatività della disposizione, che prevede una sorta di «autodenuncia» del ritardo nel provvedere e che, al limite, potrebbe paradossalmente incentivare forme di inerzia totale invece del ravvedimento tardivo dell'amministrazione, c'è da chiedersi quale sia la reale efficacia dell'obbligo dovendosi escludere che la mancata osservanza dello stesso possa riverberarsi sulla legittimità del provvedimento dal momento che nella fattispecie sembra, al più, potersi configurare una mera irregolarità dell'atto.
Probabilmente, l'attestazione di tardività contenuta nell'atto amministrativo è stata pensata come remora per il funzionario competente e come forma di controllo da parte della collettività del rispetto dell'obbligo di concludere il procedimento nei tempi previsti anche nell'ottica dell'attivazione, davanti agli organi competenti, delle responsabilità dei dipendenti pubblici coinvolti. Decisamente innovativa è, invece, la previsione di una figura nuova che può essere definita quale sostituto del responsabile del provvedimento.
Il legislatore, probabilmente conscio del problematico effetto dissuasivo che il richiamo alla responsabilità del pubblico dipendente produce, ha cercato di garantire, in concreto, l'osservanza dell'obbligo di conclusione del procedimento individuando un soggetto, collocato in una posizione qualificata nell'ambito della struttura amministrativa, al quale tale obbligo si trasferisce dopo il decorso del termine previsto per provvedere.
Tale soggetto è individuato con atto organizzatorio o con provvedimento puntuale dall'organo di governo dell'ente e, quindi, ad esempio, dal ministro nelle amministrazioni centrali e dal sindaco o, meglio, dalla giunta nei comuni; singolare si presenta questo coinvolgimento dell'organo politico in un'attività amministrativa che segna un passo indietro rispetto alla tendenza alla separazione tra funzioni politiche e gestionali e probabilmente si spiega con la collocazione verticistica del sostituto.
E, infatti, la legge stabilisce che la scelta avvenga tra le «figure apicali dell'amministrazione» con ciò presupponendo una limitata discrezionalità dell'organo decidente; significativa è la previsione per cui la mancanza della nomina non osta all'operatività del meccanismo surrogatorio in quanto è la stessa legge a designare il sostituto nella persona del dirigente generale o, in mancanza, del dirigente preposto all'ufficio o, in mancanza ancora, del funzionario di più elevato livello presente.
Il privato può rivolgersi a tale soggetto affinché quest'ultimo, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario esterno; le generalità di tale soggetto dovrebbero essere inviate alla parte con la comunicazione di avvio del procedimento che, infatti, deve indicare anche il termine per concludere il procedimento e le modalità di reazione all'inerzia dell'amministrazione (tra cui, appunto, deve intendersi compresa la possibilità di adire il sostituto).
Ulteriori problemi che la nuova normativa pone sono costituiti dalla possibilità che l'inadempimento del sostituto faccia decorrere un nuovo termine per impugnare l'inerzia dell'amministrazione (la soluzione positiva sembra preferibile) e dal rapporto tra sostituito e sostituto (il primo perde la competenza a provvedere?) e tra quest'ultimo e le strutture dell'amministrazione chiamate a collaborare con lo stesso (articolo ItaliaOggi del 05.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI licenziamenti pubblici sono già a prova di giudice. E c'è una legge che, se applicata anche allo stato, escluderebbe del tutto il reintegro sul posto di lavoro.
Non è possibile parlare di riforma del mercato del lavoro, e in particolare del nuovo art. 18 dello Statuto dei lavoratori, applicata al pubblico impiego senza far riferimento al nuovo articolo 33 del d.lgs. 165/2001. Il procedimento è stato novellato dalla legge 183/2011 e risulta particolarmente semplificato dal punto di vista delle causali di giustificazione del licenziamento degli statali, in quanto fa riferimento a tre fattispecie: soprannumero rispetto alla dotazione organica, eccedenze in relazione alle esigenze funzionali ed eccedenze in relazione alla situazione finanziaria.
Si tratta nel settore pubblico di tre fattispecie che si fondano quasi sempre su atti formali e che costituiscono una base probatoria certa sulla quale difficilmente il giudice di merito potrebbe sindacare (come ribadito dall'art. 30, comma 1, della legge 183/2010). É utile in questa sede fare alcuni esempi. Gli atti di organizzazione e le dotazioni organiche, con le quali attestare le eccedenze, sono atti organizzativi di natura regolamentare, soggetti a formalizzazione in base alla riserva di legge di cui agli artt. 2, comma 1, e 6 del d.lgs. 165/2001.
Le esigenze funzionali potrebbero essere di carattere macro, e quindi fondarsi su una cessione di funzioni, la gestione associate delle stesse, le varie forme di esternalizzazione, e necessitano pertanto di atti formali di carattere organizzativi certi, spesso supportati da documenti di bilancio e dal parere del collegio dei revisori. Vi può essere in questo caso anche una dimensione micro e gestionale, che può avere effetti in termini di riduzione e trasformazione delle attività connesse ai processi di innovazione tecnologica e di razionalizzazione, e che potrebbe basarsi su atti gestionali formalizzati come piani della performance, di informatizzazione o i piani di razionalizzazione di cui all'art. 16 del DL 98/2011. La terza fattispecie, di particolare gravità e attualità nell'attuale periodo storico, riguarda le eccedenze per situazioni finanziarie.
Qui i numerosi tetti di spesa sul personale e l'irrigidimento delle misure sul patto di stabilità rendono chiari, insindacabili e inderogabili i presupposti per i quali ci si può trovare di fronte a gravi situazioni finanziarie. Alcuni casi sono ad esempio: il non rispetto del tetto di spesa per il personale, il taglio significativo dei capitoli di funzionamento e per le locazioni degli stabili, il mancato rispetto del patto di stabilità o le situazioni di deficitarietà strutturale o di dissesto.
Ovviamente l'applicazione di queste norme apre per il settore pubblico tutta una serie di problematiche mai affrontate, come ad esempio i criteri di scelta per gli esuberi. In questo caso il settore pubblico non avendo molti profili specialistici non potrebbe far affidamento sulle «esigenze tecniche e produttive», ma sui carichi di famiglia e l'anzianità, da decidere poi se anagrafica o aziendale (vedi art. 5 legge 223/1991). L'impugnativa nel caso di specie potrebbe riguardare la messa in disponibilità di cui al comma 7 dell'art. 33, ma anche degli atti presupposti (atti di organizzazione e bilanci).
Inoltre, il settore pubblico ha un meccanismo di gestione della mobilità attraverso gli articoli 34 e 34-bis del d.lgs. 165/2001 molto procedimentalizzata ma al contempo di assoluta garanzia, ma che potrebbe generare ulteriori casi di contenzioso. Ma probabilmente il tema riguarda le politiche e i comportamenti sulla pa, in quanto il vertice politico di un'amministrazione (e quello amministrativo) si adopera sovente per mascherare le gravi situazioni finanziarie e quindi per evitare i licenziamenti, e prima ancora le sanzioni connesse al mancato rispetto delle norme di finanza pubblica. I diversi casi di fallimento di città, asl e regioni, tardivamente scoperti e ripianati dalle finanze pubbliche, sono a tutti noti.
Il paradosso circa l'applicabilità della flessibilità per il datore di lavoro, per esempio con il non reintegro in caso di mancanza dei presupposti del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è che per gli statali non ci troveremmo di fronte a scelte di libertà aziendale, ma per la maggior parte a situazioni attestate e certificate di mutamento delle funzioni o di criticità finanziarie che ben giustificherebbero (anzi richiedono) «la riduzione o la trasformazione di attività o di lavoro». Partendo dalle fattispecie concrete quindi è possibile concludere che il datore di lavoro pubblico non avrebbe difficoltà a dimostrare la veridicità e congruenza dei casi in cui necessita ricorrere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo economico.
Circa la scelta di applicare anche al settore pubblico questa riforma, è interessante ricordare, da ultimo, come il d.lgs. 110/2004 ha modificato l'art. 24 della legge 223/1991 in materia di licenziamenti collettivi, prevedendo per «datori di lavoro non imprenditori che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto» l'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 15.07.1966, n. 604, cioè il pagamento dell'indennizzo in luogo del reintegro. Data questa particolare deroga, non sarebbe strano (ove non paradossalmente già ricomprendibili per i settori cultura e istruzione) immaginare di includere per questa via anche le pubbliche amministrazioni pubbliche, che certamente sono «datori di lavoro non imprenditori» (articolo ItaliaOggi del 03.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAConto alla rovescia per il regolamento sulle nuove condizioni per gestire i materiali da riporto. Le terre da scavo non sono rifiuti. Applicabili le norme sui sottoprodotti in arrivo dal Minambiente.
Attesa entro fine maggio 2012 la nuova disciplina per l'utilizzo delle terre e rocce da scavo e relativi «materiali di riporto» in esse contenute. Con l'entrata in vigore, avvenuta lo scorso 25 marzo, della legge 27/2012 di conversione del dl 1/2012 (il cosiddetto decreto liberalizzazioni) è, infatti, scattato il countdown per l'adozione da parte del ministero dell'ambiente del regolamento che dovrà stabilire le nuove condizioni per gestire i materiali da scavo come sottoprodotti invece che come rifiuti.
Le nuove regole in arrivo.
Le attese norme del Minambiente, da emanarsi entro il 24.05.2012 (secondo la deadline sancita dalla legge di conversione del «dl ambiente») sostituiranno dalla loro entrata in vigore (e in forza della delegificazione prevista dal dlgs 205/2010) le attuali regole sulla gestione delle terre e rocce da scavo contenute nell'articolo 186 del dlgs 152/2006 (cosiddetto «Codice ambientale»).
Il regolamento ministeriale, inoltre, stabilirà anche le condizioni per gestire come sottoprodotti i «materiali di riporto» contenuti nelle stesse terre, ossia (secondo la nuova definizione del dl 2/2012, cosiddetto «dl ambiente») i materiali eterogenei utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei.
L'allargamento alle matrici di riporto delle regole sui materiali da scavo è infatti prevista proprio dal citato dl 2/2012, decreto che parifica a monte tali materiali al suolo che li contiene, stabilendo però che la loro gestione fuori dalla disciplina sui rifiuti potrà avvenire solo nel rispetto delle prescrizioni tecniche dettate dal futuro decreto del ministero dell'ambiente, e in attesa del quale un'eventuale deroga al regime dei beni a fine vita può per loro oggi avvenire solo dietro osservanza delle condizioni generali in materia di «sottoprodotti» recate dall'articolo 184-bis del dlgs 152/2006.
Le terre e rocce da scavo nel «Codice ambientale». In base all'articolo 185 del dlgs 152/2006 non sono considerati rifiuti («ex lege») unicamente il suolo non contaminato e il materiale allo stato naturale riutilizzato nello stesso sito di escavo. Ogni altro e diverso materiale da scavo è invece (di «default») considerato rifiuto, tranne nel caso in cui sussista almeno una delle seguenti condizioni: esso materiale rispetta a monte i requisiti «specifici» in materia di sottoprodotti dettati oggi dall'articolo 186 dello stesso «Codice ambientale» (e domani dal nuovo dm Ambiente in arrivo); oppure, in alternativa, esso materiale ha riacquistano a valle, ossia all'esito di operazioni di recupero, lo status di «bene».
I «materiali di riporto». La disciplina dei materiali di riporto è stata oggetto negli ultimi mesi di una schizofrenica attività legislativa, attività che li ha visto dal 25.01.2012 (in virtù delle novità introdotte dal citato dl 2/2012) sottratti alla disciplina sui rifiuti se contenuti nelle porzioni di suolo gestibili (in base all'articolo 185 del «Codice ambientale») in regime di deroga, per poi essere dal successivo 25.03.2012 (in virtù delle modifiche apportate dalla legge 28/2012 di conversione allo stesso dl 2/2012) nuovamente ricondotti nella disciplina dei rifiuti, dalla quale possono uscire solo se rispettosi delle regole sui sottoprodotti, regole (come accennato) da rintracciarsi oggi in quelle «generali» stabilite dall'articolo 184-bis del dlgs 152/2006, domani in quelle «specifiche» che saranno dettate dall'emanando decreto Minambiente in sostituzione di quelle attualmente previste dall'articolo 186 dello stesso Codice ambientale (articolo ItaliaOggi Sette del 02.04.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Licenziamenti economici estranei agli uffici pubblici.
IL PERCORSO/ Nella Pa per situazioni di soprannumero ed eccedenze si prevedono mobilità e prove di ricollocazione.

Con la riforma del lavoro è diventata di stretta attualità l'applicazione al lavoro pubblico dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
L'articolo 2 del Dlgs 165/2001 elenca le fonti che disciplinano i rapporti di lavoro dei dipendenti delle Pa a seguito della loro privatizzazione. Esse sono:
a) le disposizioni del Codice civile;
b) le leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nello stesso decreto.
Da quest'articolo si deduce che lo Statuto dei lavoratori (legge 300/1970), si applica anche al lavoro pubblico nel rispetto della pregiudiziale evidenziata.
L'articolo 51 del Dlgs 165/2001 lo ribadisce e ricorda che il rapporto di lavoro dei dipendenti delle Pa è disciplinato secondo le disposizioni degli articoli 2 e 3 dello stesso decreto. La stesso articolo prevede che lo Statuto dei lavoratori si applichi alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti. L'articolo 18 dello Statuto rileva quale baricentro del sistema della flessibilità in uscita in ragione delle tutele in esso previste. La disciplina dei licenziamenti individuali o plurimi (tenendoli distinti da quelli collettivi) è quella della legge 604/1966 che individua le ragioni giustificatrici del licenziamento:
a) giusta causa senza preavviso, detto anche licenziamento in tronco (ad esempio nel settore pubblico: falsa attestazione della presenza in servizio, reiterazione nell'ambiente di lavoro di condotte aggressive o moleste);
b) giustificato motivo, con preavviso, nella duplice veste di:
   1. giustificato motivo soggettivo (determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali; ad esempio nel settore pubblico: assenza priva di valida giustificazione ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata);
   2. giustificato motivo oggettivo (determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione e al funzionamento. In casi di questo tipo nel settore pubblico non si ritrovano esempi di licenziamento, in quanto scatta l'articolo 33 del Dlgs 165/2001).
Per completezza si ricorda che la legge 604/1966 disciplina anche il licenziamento discriminatorio. In caso di licenziamenti individuali illegittimi la legge 604/1966 dava l'ultima parola al datore di lavoro che poteva decidere tra riassunzione e risarcimento del danno.
La svolta epocale dell'articolo 18 è stata quella di aver previsto una duplice tutela per il caso di licenziamento illegittimo: la tutela reale dell'obbligo di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro; la tutela obbligatoria intesa come risarcimento del danno subito. Questa duplice tutela si applica al datore di lavoro privato che occupa alle sue dipendenze più di 15 prestatori di lavoro. Altrimenti si applicano le tutele meno efficaci della legge 604/1966 (scelta del datore di lavoro se reintegrare o indennizzare). Visto che lo Statuto dei lavoratori si applica alle Pa a prescindere dal numero dei dipendenti, anche il comune che ne ha 9 e che licenzia illegittimamente un dipendente può essere condannato a reintegrarlo in servizio ed a corrispondergli il risarcimento del danno.
La discussione sul tavolo Fornero è quella di non contemplare la tutela reale della reintegrazione in servizio per il caso di licenziamento per ragioni economiche non motivate. Quest'aspetto è ininfluente nel settore pubblico in quanto il licenziamento per ragioni economiche non sussiste in modo diretto, passando attraverso la disciplina dell'articolo 33 del Dlgs 165/2001 secondo cui le Pa che hanno situazioni di soprannumero o eccedenze, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria tentano la ricollocazione del personale stesso, collocandolo in disponibilità qualora non sia possibile impiegarlo diversamente anche mediante lo strumento della mobilità. Dalla data di collocamento in disponibilità restano sospese tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro e il lavoratore ha diritto ad un'indennità pari all'80% dello stipendio per un periodo massimo di ventiquattro mesi. In questi 24 mesi si tenta ancora di collocarlo in mobilità in tutte le Pa e solo in caso di impossibilità si arriva al licenziamento.
Questa disposizione speciale del lavoro pubblico si distingue anche rispetto al regime dei licenziamenti collettivi del settore privato, questi ultimi riconducibili solo alle ragioni economiche di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro. I licenziamenti collettivi possono avvenire nel settore privato in via diretta (articolo 24 della legge 223/91) oppure dopo l'intervento straordinario della cassa integrazione. In entrambi i casi scatta il collocamento in mobilità che per il settore privato ha un significato diverso rispetto a quello pubblico (articolo Il Sole 24 Ore del 02.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGODecentrata. I chiarimenti sul mancato accordo con i sindacati: sì alla liquidazione provvisoria ma le trattative vanno riaperte. Sui contratti decentrati l'ente decide anno per anno.
Sulla contrattazione decentrata ogni anno fa storia a sé. Per una annualità, l'ente può decidere di seguire la strada tracciata da Brunetta e adottare un atto unilaterale per risolvere l'empasse della contrattazione decentrata; per l'anno successivo, la stessa amministrazione può ritornare al tavolo con le organizzazioni sindacali, pur avendo ancora aperta la vecchia trattativa.
Questa, in sintesi, la posizione della Funzione Pubblica, espressa con nota 06.03.2012, protocollo 9738, in risposta al quesito posto dal Comune di Marcellina, in provincia di Roma.
Per il 2010 l'ente non era riuscito a raggiungere un accordo con i sindacati e quindi aveva proceduto ai sensi dell'articolo 40, comma 3-ter, del Dlgs 165/2001, a liquidare «in via provvisoria» il trattamento accessorio. Il Comune si chiedeva cosa fare nel 2011, e in particolare se potesse riprendere le relazioni sindacali per stipulare il contratto decentrato per il 2011.
Nella risposta la Funzione pubblica avalla il comportamento tenuto dal Comune, evidenziando come già la circolare 7 del 13.05.2010 dello stesso Dipartimento aveva affermato l'immediata applicabilità dell'articolo 40 citato. Ma avverte che, nel provvedimento in cui si dà atto che viene intrapresa la strada della unilateralità, dopo aver evidenziato gli sforzi per raggiungere l'intesa, si devono anche «chiaramente» indicare i motivi di interesse pubblico che hanno determinato questa scelta. In secondo luogo, Palazzo Vidoni raccomanda all'ente di proseguire, la trattativa per raggiungere comunque l'accordo anche per il 2010, in quanto l'atto unilaterale ha valenza provvisoria. Quindi, il datore di lavoro deve farsi parte attiva convocando periodicamente le organizzazioni sindacali per arrivare a un accordo.
Sulla legittimità dell'atto unilaterale si deve esprimere l'organo di revisione, che dovrà porre attenzione «al rispetto dei criteri di meritocrazia ed al perseguimento dell'obiettivo di una maggiore produttività».
Tutto ciò, però, non pregiudica le sorti del 2011, per il quale si ritorna ai blocchi di partenza.
Ma se dal punto di vista giuridico la questione può apparire semplice, non lo è sotto il profilo delle relazioni sindacali. I sindacati chiederanno di riunire le due annualità, mentre l'amministrazione ha tutto l'interesse a tenerle separate. Il mancato accordo anche per il secondo anno diventa un'ipotesi del tutto probabile, con il ricorso ad un nuovo atto unilaterale. Insomma, la situazione può incancrenirsi, senza via d'uscita (articolo Il Sole 24 Ore del 02.04.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 02.04.2012

INCARICHI PROGETTUALIAppalti al sicuro. Affidamenti diretti fino a 40 mila. La risposta del ministero delle infrastrutture sull'art. 125.
Legittimi gli affidamenti diretti, senza gara, disposti dalle stazioni appaltanti per incarichi di progettazione, direzione lavori e collaudo di importo fino a 40 mila euro.
È quanto precisato dal ministero delle infrastrutture con la risposta 29.03.2012 del sottosegretario Guido Improta alla Commissione ambiente della Camera, rispetto a un'interrogazione (C.5/05557 - Innalzamento del limite per il conferimento fiduciario degli incarichi professionali nell'ambito dei lavori pubblici) presentata da Guido Dussin (Lega Nord).
Si chiude così una querelle sulla quale anche l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici si era espressa nell'ottobre scorso (parere n. 181) derivante dal mancato coordinamento fra due norme.
In particolare l'art. 4, comma 15 della legge 106/2011 ha modificato sia l'art. 125, comma 11 del Codice dei contratti pubblici, portando a 40 mila euro la soglia per gli affidamenti fiduciari per servizi e forniture affidate da amministrazioni pubbliche, sia l'art. 267, comma 10 del dpr 207/2010 (regolamento del Codice) eliminando il richiamo alla norma del Codice in materia di affidamenti diretti, con la conseguenza di ritenere ammissibili solo i cottimi fiduciari fino a 20 mila euro.
Si trattava di stabilire se fosse legittimo, alla luce delle modifiche della legge 106, affidare in via fiduciaria e quindi direttamente, senza confronto informale fra più soggetti, incarichi di servizi di progettazione, direzione lavori e collaudo anche per importi compresi fra 20 mila e 40 mila euro. Si potevano infatti ritenere illegittimi tali affidamenti, attribuendo al disposto di cui all'art. 267 del regolamento del Codice un carattere di specialità rispetto alla normativa di riferimento (l'art. 125, comma 11 del Codice che fissa a 40 mila euro la soglia per affidare direttamente tutti i servizi), con la conseguenza che sarebbero stati illegittimi gli affidamenti compresi fra 20 mila e 40 mila euro.
Il ministero ha affermato la prevalenza della norma del Codice (art. 125, comma 11), così come modificata dalla legge 106/2011, su quella del regolamento, in considerazione del carattere non delegificante del dpr 207/2010, che non autorizza quindi in alcun modo un'interpretazione che possa ritenere prevalente l'art. 267 rispetto alla norma di legge.
Il ministero, inoltre, ha affermato che la norma regolamentare, avendo eliminato il richiamo al secondo periodo del comma 11 dell'art. 125 del Codice, deve essere letta nel senso di ritenere applicabile la soglia dei 40 mila euro a tutte le tipologie di servizi e forniture e non, quindi, nel senso di non ammettere alcun affidamento diretto o soltanto cottimi fiduciari fino a 20 mila euro.
Il ministero ha confermato quanto l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, nel parere n. 181 del 20/10/2011, aveva affermato ritenendo che la volontà del legislatore sia stata quella di assoggettare l'intero ambito dei servizi di cui all'art. 252 (Servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria) alla nuova disciplina prevista dall'art. 125, comma 11 e, quindi, alla soglia dei 40 mila euro (articolo ItaliaOggi del 31.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it)

ENTI LOCALI - VARIL'acconto per l'Imu diventa un rebus. Da chiarire come pagare ed evitare sanzioni.
IL SECONDO FRONTE/ Per molti immobili detenuti al 1° gennaio sarà necessario presentare una nuova dichiarazione per la fine di luglio.
La disciplina dell'Imu si arricchisce di particolari, ma complica ulteriormente il rebus del primo appuntamento effettivo alla cassa, fissato per il 18 giugno prossimo con il versamento dell'acconto (il 16 cade di sabato).
È questo il risultato degli emendamenti dei relatori alla legge di conversione del decreto fiscale (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), che nascono dalla difficoltà di avere in tempi brevi un quadro chiaro sui gettiti reali dell'imposta e offrono quindi più tempo ai sindaci per fissare le aliquote definitive.
In pratica, secondo gli emendamenti le amministrazioni locali potranno prendersi fino al 30 settembre per decidere le aliquote definitive da applicare alle diverse tipologie di immobili; nulla, però, si dice sulle modalità di calcolo da seguire per effettuare il versamento dell'acconto mettendosi al riparo da eventuali sanzioni riservate a chi paga una prima rata troppo leggera.
Il problema era già emerso dopo che il «Milleproroghe» aveva fatto slittare al 30 giugno i termini per chiudere preventivi e regolamenti tributari ma naturalmente si complica ora che la distanza fra la scadenza per l'acconto e quella per le aliquote definitive si allunga da due settimane a tre mesi e mezzo. Una prima versione del decreto fiscale aveva deciso di ancorare i calcoli dell'acconto alle aliquote di riferimento fissate dal decreto «Salva-Italia» (4 per mille per l'abitazione principale e 7,6 per mille per gli altri immobili, con eccezioni per categorie particolari come i fabbricati strumentali all'attività agricola) ma nel testo approvato dal Governo non c'è traccia della previsione. Alla luce dei nuovi emendamenti, la questione si fa ancora più urgente.
I correttivi diffusi nella serata di giovedì, che saranno votati lunedì, si incaricano anche di tornare sugli obblighi dichiarativi, resi urgenti dalle tante novità determinate nel passaggio dalla disciplina Ici a quella dell'Imu. La nuova imposta, per esempio, permette di trattare come abitazione principale solo un garage, una cantina e una tettoia, mentre l'Ici consentiva una geografia delle pertinenze più generosa, e una stretta ancora più drastica arriva per le assimilazioni.
La nuova regola proposta dagli emendamenti fissa la prima scadenza al 30 luglio prossimo (quindi, anch'essa, un mese e mezzo dopo i termini dell'acconto) per gli immobili già posseduti allo scorso 1° gennaio e, proprio a causa delle tante novità portate dall'Imu rispetto alla vecchia imposta comunale sugli immobili, appare destinata a imbarcare un'ampia platea di contribuenti. Sarà comunque un decreto ministeriale, previsto dal decreto legislativo sul federalismo dei sindaci (articolo 9, comma 6, del Dlgs 23/2011) ma non ancora varato, a stabilire le modalità della dichiarazione, che senza dubbio sarà più ricca di informazioni rispetto alle dichiarazioni Ici.
Le novità messe nero su bianco dai relatori al provvedimento si occupano poi di alleggerire un po' il carico agli agricoltori, esentano i fabbricati sopra i mille metri quadrati (per i terreni continuano invece a operare le vecchie esenzioni nei Comuni collinari e montani), reintroducono forme di abbattimento dell'imponibile e tagliando l'acconto al 30% per i terreni. "Salvati" dalla quota erariale dell'imposta gli immobili di Iacp e cooperative edilizie a proprietà indivisa, insieme al mattone dei Comuni utilizzato per scopi non istituzionali che per questa via esce del tutto dall'ambito Imu.
Sull'intera partita, però, pesano le ristrettezze del bilancio pubblico, che per esigenze di copertura lasciano fuori dai correttivi una ricca platea che invece guardava con speranza al passaggio parlamentare. In prima fila ci sono i proprietari di immobili dati in affitto, che nel passaggio all'Imu vanno incontro a regole che moltiplicano la vecchia Ici per 2-3 volte quando il canone è di mercato e arrivano a decuplicarla quando l'affitto è a canone concordato. Il colpo rischia di essere duro per il mercato degli affitti (e letale per i canoni concordati) già frenato dalla crisi economica. Un ritocco, inaspettato, è invece giunto per i proprietari di dimore storiche, che si vedono gonfiare l'imponibile e di conseguenza il conto presentato dall'Imu (articolo Il Sole 24 Ore del 31.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it)

ENTI LOCALII piccoli comuni dovranno associare anche le funzioni Ict. Lo prevede un emendamento al dl semplificazioni. Ma si rischia il caos.
I piccoli comuni dovranno esercitare in forma associata le funzioni Ict. Lo prevede un emendamento al decreto «Semplifica Italia» che, tuttavia, pone diversi problemi, sovrapponendosi alle norme già in vigore sull'esercizio associato delle funzioni comunali.
L'art. 47-ter del dl 5/12 (introdotto dalla camera in sede di conversione del provvedimento, ora all'esame del senato) novella l'art. 15 del codice dell'amministrazione digitale (dlgs 82/2005) aggiungendovi 7 nuovi commi.
Il nuovo comma 3-bis prevede che, nei comuni fino a 5.000 ab., le funzioni legate alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione siano «obbligatoriamente ed esclusivamente» esercitate in forma associata.
In base al comma 3-ter, l'obbligo abbraccia realizzazione e gestione di infrastrutture tecnologiche, rete dati, fonia, apparati, banche dati, applicativi e licenze software, formazione e consulenza nel settore dell'informatica. Sarà un decreto del ministero della funzione pubblica, d'intesa con la Conferenza unificata, a definire puntualmente le singole funzioni.
Lo stesso provvedimento, da emanare entro sei mesi, dovrà dettare la tempistica attuativa, garantendo che il limite demografico minimo raggiunga almeno 30.000 abitanti, salvo diversa previsione da parte delle regioni, le quali, entro due mesi e con riferimento alle materie di competenza legislativa regionale, potranno individuare «la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica» dei vari ambiti. A regime, i comuni non potranno più assumere singolarmente obbligazioni inerenti alle funzioni e ai servizi Ict e dovranno individuare, all'interno della gestione associata, un'unica stazione appaltante.
Con tutta evidenza, tale disciplina si sovrappone a quella dettata da precedenti disposizioni, a partire dall'art. 14 del dl 78/10 (che riguarda le funzioni fondamentali dei comuni fra 1.000 e 5.000 ab.), proseguendo con l'art. 16 del dl 138/11 (relativo alle funzioni, anche non fondamentali, dei comuni con meno di 1.000 ab.), per finire con l'art. 23 del dl 201/2011 (che ha previsto per tutti i comuni fino a 5.000 ab. la centralizzazione delle funzioni di stazione appaltante).
Sarà, pertanto, fondamentale sincronizzare tempi e modalità di attuazione di tutte le disposizioni citate, tenendo presenti le proroghe previste dal dl 216/11. Anche con questo accorgimento, tuttavia, le criticità paiono numerose. Problematico pare, in particolare, il comma 3-quater, secondo cui la medesima funzione Ict non può essere svolta da più di una forma associativa. Occorre, infatti, ricordare che, in base all'art. 16 del dl 138/2011, i comuni con meno di 1.000 abitanti (ma non quelli fra 1.000 e 5.000 ab.) sono obbligati a gestire la totalità delle loro funzioni mediante un'unica forma associativa, sicché il combinato disposto di tale previsione con quelle successive rischia di segmentare la platea dei piccoli comuni, rendendo arduo il raggiungimento delle soglie minime e il conseguimento di economie di scala.
Come sottolineato da Mauro Guerra, delegato Anci ai piccoli comuni, quindi, «occorre recuperare razionalità e coerenza tra i diversi interventi normativi» per scongiurare il rischio «di rendere ancora più difficoltose le attività dei piccoli comuni» (articolo ItaliaOggi del 30.03.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALISEMPLIFICAZIONI/ Ok alla fiducia sul dl 5/2012, che va alla camera per l'ultimo sì. Niente tagli a revisori e sindaci. I compensi sono fuori dalla riduzione delle indennità.
Compensi dei revisori e sindaci della p.a. senza tagli. Il taglio delle indennità per i componenti di organi degli enti pubblici non tocca i collegi dei revisori e sindacali e i revisori dei conti.
Lo precisa il maxiemendamento al decreto legge semplificazioni (5/2012) su cui ieri l'aula del senato ha votato la fiducia con 246 voti a favore, 33 contrari e due astenuti.
Il provvedimento è stato modificato e dovrà tornare alla camera in terza lettura per l'ok definitivo: va convertito in legge entro il 9 aprile. Ma presto, ha annunciato il ministro della funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, arriverà un ddl per riprendere una serie di punti rimasti in sospeso nell'iter delle semplificazioni. Ecco alcune delle novità.
REVISORI E SINDACI. L'articolo 6, comma 2, del decreto legge 78/2010 si è occupato di riduzione dei costi degli apparati amministrativi. In particolare si è previsto che la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, e la titolarità di organi dei predetti enti è onorifica. Niente compensi, dunque.
È ammesso solo un rimborso delle spese sostenute se previsto dalla normativa vigente e, se sono già previsti, i gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta giornaliera. Il maxiemendamento interpreta la disposizione citata e spiega che essa deve intendersi nel senso che il carattere onorifico è previsto per gli organi diversi dai collegi dei revisori dei conti e sindacali e dai revisori dei conti: svolgono una prestazione d'opera a cui corrisponde una controprestazione economica.
APPALTI. L'articolo 29 del dlgs 276/2003 prevede che in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, oltre i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
Per le sanzioni civili, invece, risponde solo il responsabile dell'inadempimento. In sostanza il lavoratore chiede il pagamento dello stipendio al committente. Se chiamato in causa per il pagamento unitamente all'appaltatore il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire nella prima difesa il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo. E, quindi, il lavoratore dovrà prima fare esecuzione nei confronti dell'appaltatore e poi sul committente. In tal caso, infatti, il giudice accerta la responsabilità solidale di entrambi gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore.
L'eccezione della preventiva escussione può essere sollevata anche se l'appaltatore non è stato convenuto in giudizio, ma in tal caso committente imprenditore o datore di lavoro deve indicare i beni del patrimonio dell'appaltatore sui quali il lavoratore possa agevolmente soddisfarsi. Il committente imprenditore o datore di lavoro che ha eseguito il pagamento può, naturalmente, esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali.
PARCHEGGI PERTINENZIALI. Il maxiemendamento precisa le eccezioni alla regola per cui la proprietà dei parcheggi di proprietà privata realizzati nei sottosuoli degli immobili o nei locali siti al piano terreno dei fabbricati può essere trasferita solo con contestuale destinazione a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso comune. Le eccezion sono le seguenti. La prima è l'espressa previsione contenuta nella convenzione stipulata con il comune. La seconda è l'espressa autorizzazione dell'atto di cessione da parte del comune.
DURC. Si prevede che nell'ambito dei lavori pubblici e privati dell'edilizia le pubbliche amministrazioni acquisiscono d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva (Durc).
IMMIGRATI. L'articolo 3 del dpr 445/2000 prevede che i cittadini di stati non appartenenti all'Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia, possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive, ma limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani, fatte salve le speciali disposizioni contenute nelle leggi e nei regolamenti concernenti la disciplina dell'immigrazione e la condizione dello straniero.
In sostanza è la legge speciale che deve stabilire se si usa o non si usa l'autocertificazione. Il maxiemendamento abroga la norma speciale relativa all'uso dell'autocertificazione per gli extracomunitari a fare data dall'01.01.2013 (articolo ItaliaOggi del 30.03.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Sul caso del richiedente poi assente al voto la casistica fornisce soluzioni diverse. Consigli, parola agli enti. Mani libere sulla verifica del numero legale.
Deve essere computato tra i presenti il consigliere che, dopo aver chiesto la verifica del numero legale del consiglio comunale, si sia assentato?
Le modalità di determinazione del numero legale per la validità delle sedute sono demandate all'autonomia normativa degli enti locali; è importante, pertanto, che i medesimi si dotino di una disciplina chiara ed esaustiva in materia. Ciò anche al fine di sottrarre l'ente a possibili contestazioni.
Numerose fonti regolamentari recanti la disciplina di organi collegiali prevedono che i richiedenti la verifica del numero legale debbano essere considerati presenti (cfr art. 46, comma 6, regolamento della camera dei deputati e art. 108 del senato) ancorché siano assenti dall'aula al momento del conteggio.
Tuttavia, se tale criterio non è stato recepito dal regolamento del consiglio comunale ovvero nello stesso viene previsto che la verifica dei presenti sia compiuta tramite appello nominale, o apparecchiatura elettronica e che i consiglieri che si astengono dal votare sono computati nel numero dei presenti sembrerebbe evincersi che i consiglieri assenti dall'aula al momento dell'appello non possano essere considerati presenti ai fini del numero legale della seduta (articolo ItaliaOggi del 30.03.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Delibera di Giunta in composizione ridotta.
La giunta provinciale può deliberare in una composizione ridotta, nel caso in cui sia stato revocato e non ancora sostituito uno degli assessori della sua compagine?

In merito si evidenzia la necessità che la sostituzione dell'assessore revocato avvenga in tempi brevi, allo scopo di ricostituire il plenum dell'organo collegiale qualora la composizione dello stesso sia determinata in modo rigido dallo statuto dell'ente.
Infatti tale fonte può individuare il numero degli assessori in modo fisso oppure, in alternativa, in modo «flessibile» entro il limite massimo consentito dalla legge statale (v. art. 47, comma 2, del Tuel n. 267/2000); nel caso sia stata prescelta dall'ente locale la prima opzione, lo stesso è vincolato all'osservanza della prescritta composizione numerica, senza margini di discrezionalità, per tale profilo, da parte del presidente.
Per quanto concerne la tempistica riguardante la sostituzione dell'assessore revocato, nulla stabilisce sul punto l'art. 46, comma 4, del Tuel.
È appena il caso di rammentare che l'istituto della revoca dell'incarico assessorile, nella previgente legislatura, prevedeva la contestualità della sostituzione; più precisamente, revoca e sostituzione dell'assessore erano configurati quali adempimenti di competenza del consiglio –adottati su proposta del sindaco ovvero del presidente della provincia– che dovevano avere luogo «nella stessa seduta».
Nell'attuale sistema, conformato a tutt'altre modalità di elezione della giunta ed alla sua configurazione di organo fiduciario del sindaco ovvero del presidente della provincia, ora eletto a suffragio diretto, mancano riferimenti espressi ad un termine entro il quale l'organo di vertice deve provvedere alla sostituzione dell'assessore revocato.
Ciò non impedisce che sia insita nel sistema la necessità che l'adempimento in questione debba essere effettuato tempestivamente, al fine di rendere conforme alle prescrizioni statutarie la composizione numerica della giunta.
Per quanto concerne l'evenienza che l'incompleta composizione dell'organo collegiale comporti, nelle more della sostituzione, l'impossibilità di deliberare validamente, si rileva che l'indirizzo giurisprudenziale formatosi sul punto è impostato sul principio per cui la completezza dell'organo collegiale è indispensabile ai fini della sua operatività soltanto all'atto della costituzione originaria.
Pertanto, se qualcuno dei componenti viene a mancare successivamente deve ritenersi che il collegio possa continuare legittimamente a svolgere le sue funzioni, nelle more della reintegrazione del plenum, purché sia sussistente il quorum strutturale (così Consiglio di stato sez. V 08.07.1977 n. 767); la giurisprudenza in parola motiva, invero, tale soluzione con la necessità di impedire la paralisi dell'organo, privilegiando l'efficienza rispetto alla rappresentatività (articolo ItaliaOggi del 30.03.2012).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATALe istruzioni Inps sull'acquisizione d'ufficio delle informazioni. Durc e invalidità civile. Rimane la certificazione.
Stop alla produzione di certificazioni nei confronti dell'Inps. Dal 1° gennaio, le sedi territoriali non richiedono né accettano più certificati da cittadini e imprese, i cui dati e informazioni devono essere ora reperiti direttamente presso le altre amministrazioni, fatta eccezione per il Durc, il certificato di agibilità ex Enpals, la certificazione di esposizione all'amianto Inail e i verbali di invalidità civile.
Lo spiega, tra l'altro, lo stesso Inps
nella circolare 27.03.2012 n. 47.
La decertificazione. Le istruzioni riguardano la direttiva n. 14/2011 con cui il ministro per la pubblica amministrazione ha spiegato le molteplici novità delle modifiche apportate al dpr n. 445/2000, con l'obiettivo ultimo della completa «decertificazione» del rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini.
La filosofia di base è, infatti, il rafforzamento del criterio dell'acquisizione d'ufficio (a cura della p.a. interessata) delle informazioni necessarie allo svolgimento dell'istruttoria di una pratica, liberando in tal modo i cittadini dal dover reperire e produrre le relative certificazioni. Peraltro, aggiunge l'Inps, la legge n. 183/2011 (la Finanziaria 2012), al divieto per le p.a. di richiedere certificati o atti di notorietà, ha aggiunto l'ulteriore divieto anche di accettarli.
A tal fine, è fatto obbligo per le p.a. che emettono una certificazione di riportarvi la seguente formula: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblicazione amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi»; insomma, tutte le certificazioni sono adesso adoperabili esclusivamente nei rapporti tra privati (il funzionario p.a. che dovesse richiedere o accettare un documento con sopra riportata la predetta formula commette illecito disciplinare).
Le eccezioni. In alcuni casi, spiega l'Inps, il nuovo principio non è attuabile. Innanzitutto con il documento unico di regolarità contributiva (Durc). L'Inps spiega che il ministero del lavoro, nel confermare in pieno la precedente disciplina, ha precisato che la nuova normativa (articolo 44-bis del dpr n. 445/2000) definisce esclusivamente una modalità di acquisizione del Durc da parte delle p.a. senza, tuttavia, intaccare in alcun modo il principio secondo cui le valutazioni effettuate da un organismo tecnico (Inps, Inail, cassa Edile) non possono essere sostituite da un'autocertificazione, che non insiste, evidentemente né su fatti, né su status né tantomeno su qualità personali.
Analoghe considerazioni, aggiunge l'Inps vanno svolte in ordine al certificato di agibilità relativo alle imprese del settore dello spettacolo, iscritte alla gestione ex Enpals e per le attestazioni di regolarità contributiva in generale. Le medesime considerazioni, inoltre, valgono anche in merito alla certificazione di esposizione all'amianto rilasciata dall'Inail nonché per i verbali relativi ad accertamenti medico legali redatti da strutture sanitarie pubbliche, in quanto documenti rilasciati all'esito di valutazioni effettuate da organismi tecnici.
Infine, l'Inps esclude dalla decertificazione i verbali di invalidità civile e i verbali d'invalidità ordinaria. Pertanto, per tutti i precedenti documenti resta ferma la possibilità di essere presentati in copia, con una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà sulla conformità all'originale, resa dal soggetto che li presenza il quale, peraltro, è tenuto a dichiarare che quanto attestato in quei documenti non è stato revocato, né sospeso o modificato (articolo ItaliaOggi del 29.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 29.03.2012

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl ministro Patroni Griffi conferma e anticipa gli approfondimenti annunciati da Fornero. L'articolo 18 si applica agli statali. Licenziamenti? Ragioni finanziarie invece che economiche.
L'articolo 18 si applica anche al lavoro pubblico. Lo ha confermato il ministro della funzione pubblica Patroni Griffi, con una lettera aperta pubblicata ieri sui giornali. Confermando quanto ItaliaOggi ha avuto modo di chiarire più volte (si vedano i numeri del 17 febbraio e del 23.03.2012).
L'intervento sulla stampa di Palazzo Vidoni sembra inizialmente tendere verso la soluzione opposta. Il ministro si meraviglia del dibattito sorto in merito all'applicabilità o meno dell'articolo 18 ai pubblici dipendenti, considerandolo «fuorviante».
Ma la lettera aperta, che sostanzialmente anticipa gli «approfondimenti» annunciati in tema dal ministro Fornero, non poteva che riportare la realtà dei fatti, che è quella discendente direttamente dalla legge. Il ministro Patroni Griffi, infatti, con riferimento ai dipendenti poco capaci ha affermato che «i licenziamenti discriminatori hanno una disciplina identica nel settore pubblico e nel settore privato. I licenziamenti disciplinari nel settore pubblico hanno poi una disciplina molto dettagliata proprio per evitare che possano essere utilizzati per finalità diverse»; a conferma dell'inevitabile simmetria della disciplina dei licenziamenti.
Quanto, invece, alle «ragioni economiche», Patroni Griffi prova a fare dei distinguo: «Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo o economico non può trovare applicazione nel pubblico in quanto in questi casi c'è una disciplina ad hoc che riguarda i casi in cui le pubbliche amministrazioni abbiano situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria».
Si tratta solo di una sottigliezza tecnica. Il ministro afferma che nella p.a. non opera il motivo economico, ma poche parole dopo non può che ammettere la sussistenza del licenziamento per ragioni finanziarie, previsto espressamente dall'articolo 33 del dlgs 165/2001. Ci si deve riferire alle ragioni «finanziarie», invece che a quelle «economiche», per una ragione estremamente semplice: le amministrazioni pubbliche hanno una contabilità appunto solo finanziaria, posta, cioè, a misurare solo i volumi di entrata e spesa del denaro, senza riferirsi a grandezze economiche (costi, ammortamenti, scorte ecc.), utilizzate solo a corredo dei bilanci, impostati sulla parità finanziaria.
È evidente che un'amministrazione pubblica non può ritrovarsi in ambasce economiche per carenza di fatturato o ritardi nell'acquisizione dei pagamenti dei clienti o per crisi della domanda rispetto ai beni e servizi che produce. Per questo, correttamente, il citato articolo 33 del dlgs 165/2001 considera possibile il licenziamento anche individuale per giustificato motivo oggettivo dettato dalla «situazione finanziaria». Per esemplificare, un ente locale in dissesto o che non abbia rispettato il patto di stabilità, alla luce di tale norma non solo può, ma deve verificare la possibilità di alleggerire la spesa del personale collocando i propri dipendenti in esubero e in disponibilità, cioè sospendendo ogni prestazione lavorativa per 24 mesi, riducendo il trattamento economico all'80% di quello fondamentale e giungendo al licenziamento se nel frattempo il dipendente non sia stato trasferito presso qualche altra amministrazione.
Paradossalmente, davanti al giudice del lavoro un licenziamento per la «situazione finanziaria» di un ente pubblico può trovare, ai sensi della riforma paventata dell'articolo 18, tutela di molto inferiore a quella dovuta alle ragioni economiche di un ente privato. Infatti, la «situazione finanziaria» negativa di un'amministrazione pubblica non può che essere sorretta da atti pubblici, asseverati dagli organi di controllo amministrativo e contabile, tale che sostanzialmente risulterebbe impossibile in sede giurisdizionale accertare la simulazione di ragioni discriminatorie o disciplinari.
Per queste ragioni, anche se ancora l'articolo 18 non è stato riformato, nei confronti dei dipendenti pubblici opera già a partire dall'entrata in vigore della legge 183/2011 una disciplina di maggior rigore rispetto al lavoro privato, qualora intervengano licenziamenti per ragioni finanziarie (articolo ItaliaOggi del 28.03.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALIEnti, oblio sul web. Dati personali sui siti per 15 giorni. Provvedimento del Garante. Rischio multe da 120 mila.
Diritto d'oblio sui siti istituzionali degli enti locali. I dati personali contenuti nelle delibere pubblicate sull'albo pretorio virtuale non devono continuare a essere diffusi oltre il termine di 15 giorni previsto dal Testo unico degli enti locali. Altrimenti l'ente rischia una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 10 a 120 mila euro.
È quanto ha deciso il Garante con il provvedimento di prescrizione 23.02.2012 n. 73, che si occupa di modalità di pubblicazione dei provvedimenti amministrativi.
Nel caso specifico una signora si è lamentata del fatto che sul sito del comune fosse presente una delibera contenente i suoi dati anagrafici e l'informazione che avesse perso una causa tributaria con l'amministrazione, menzionando anche la condanna alle spese. Il problema è che la pubblicazione della deliberazione integrale si è protratta oltre il termine previsto dall'art. 124 del dlgs 267/2000 (Tuel), la norma che obbliga gli enti a pubblicare sul proprio sito le deliberazioni di comune e provincia per 15 giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge.
Il Garante ha ricordato che i soggetti pubblici sono tenuti ad assicurare il rispetto dei limiti temporali previsti, rendendo accessibili i dati personali sul proprio sito web durante il circoscritto ambito temporale individuato dalle disposizioni di riferimento, anche per garantire il diritto all'oblio degli interessati. Mentre, trascorsi i termini specificatamente individuati, determinate notizie, documenti o sezioni del sito devono essere rimossi dal web o privati degli elementi identificativi degli interessati (così le «Linee guida in materia di trattamento di dati personali contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato da soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione sul web», pubblicate in G.U. n. 64 del 19.03.2011).
Accertato il superamento del termine, il Garante ha vietato al comune di diffondere ulteriormente in internet i dati personali della signora. E ha prescritto di modificare le modalità di pubblicazione sul sito così da rispettare le Linee guida. Una volta trascorso il termine il comune potrà tenere sul sito regolamenti e deliberazioni, purché privati di dati personali, ha spiegato. Aggiungendo che, a questo proposito, sarebbe meglio creare una sezione apposita del sito nel quale inserire l'archivio di documentazione depurato da riferimenti specifici.
Il Garante ha anche fatto scattare i provvedimenti n. 74, 75 e 76 del 23.02.2012 per il blocco del trattamento dei dati nei confronti di tre società di telemarketing che effettuavano chiamate pubblicitarie indesiderate a utenze iscritte nel Registro delle opposizioni senza rendere identificabile la linea chiamante, e impedendo in tal modo agli abbonati di poter tutelare i loro diritti. Il Codice della privacy, infatti, vieta espressamente ai soggetti che effettuano chiamate commerciali e promozionali di camuffare o celare la loro identità.
Alla luce di queste violazioni, oltre a dichiarare illecito il trattamento dei dati effettuato dalle tre società, il Garante ha dunque disposto il blocco che impedisce alle tre società l'uso dei dati raccolti fino a quando esse non si metteranno in regola e invieranno agli Uffici dell'Autorità la documentazione che comprovi l'avvenuto adeguamento. Il Garante si è comunque riservato di valutare la possibilità di contestare alle società anche sanzioni amministrative (articolo ItaliaOggi del 28.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAInps. Indicati i documenti che nonostante la semplificazione non possono essere eliminati.
Autocertificazione con limiti. Sopravvivono Durc, agibilità, accertamenti medico legali.
Il Documento unico di regolarità contributiva (Durc), il certificato di agibilità, le attestazioni di regolarità contributiva non possono essere sostituiti con un'autocertificazione dell'interessato, nonostante la decertificazione prevista dal collegato lavoro.

Lo ribadisce l'Inps nella circolare 27.03.2012 n. 47.
L'Istituto di previdenza fa il punto sulla norma mirante alla semplificazione dei rapporti tra cittadini e Pubblica amministrazione, ricordando che l'articolo 15 della legge 183/2011 ha rafforzato il principio secondo cui la Pa deve acquisire d'ufficio le informazioni che sono necessarie allo svolgimento dell'istruttoria chiedendole all'amministrazione che le detiene.
In tal senso le modifiche introdotte dal collegato impongono alle Pubbliche amministrazioni non solo il divieto di richiedere certificati o atti di notorietà ma anche di accettarli (se prodotti di iniziativa dell'utente). Ne deriva che le certificazioni rilasciate dalla Pa in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. In quelli i con gli organi della Pa e i gestori di pubblici servizi, i certificati e gli atti di notorietà devono essere sostituiti dalle autocertificazioni. A tal fine è previsto che sui certificati rilasciati dalla Pa sia apposta la dicitura: «il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi». Se il funzionario accetta un documento che reca tale formula commette un illecito disciplinare.
Così, i vertici dell'Istituto invitano le proprie strutture ad acquisire d'ufficio i dati necessari a istruire i processi amministrativi (a tal fine si stanno implementando i canali telematici) accettando, se del caso, le autocertificazioni. Quando si rende necessario acquisire agli atti dei dati contenuti in un provvedimento dell'autorità giudiziaria, che non rientrano nel novero di quelli che possono essere sostituiti da dichiarazioni del cittadino, allora quest'ultimo ha l'obbligo di fornire le indicazioni per il reperimento delle informazioni.
Alcune informazioni, però, non possono essere autocertificate. Oltre a quelle già menzionate si contano la certificazione di esposizione all'amianto rilasciata dall'Inail e i verbali relativi ad accertamenti medico legali redatti da strutture sanitarie pubbliche. Si tratta, infatti, di documenti rilasciati all'esito di valutazioni effettuate da organismi tecnici. Questi documenti possono essere presentati in copia, unitamente a una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà sulla conformità all'originale in cui l'interessato deve anche dichiarare che quanto attestato non è stato revocato, sospeso o modificato.
Inoltre, secondo l'Inps, il legislatore è intervenuto in materia per limitare la certificazione senza, tuttavia, intaccare la facoltà delle amministrazioni di richiedere l'autocertificazione, al fine di evitare un aggravio del procedimento. Permane, così, per l'Inps la possibilità richiedere, a pena di esclusione, dichiarazioni sostitutive nelle procedure che prevedono la partecipazione di numerosi soggetti, per una valutazione comparativa di titoli (articolo Il Sole 24 Ore del 28.03.2012).

PUBBLICO IMPIEGO: Il dirigente risponde per dolo o colpa grave. E' tenuto ai danni se ha assegnato ai dipendenti mansioni superiori rispetto a quelle stabilite.
La responsabilità a cui si accenna nel quesito è qualificata dal nostro ordinamento come amministrativa e si configura ogni volta che il pubblico dipendente ... (articolo Il Sole 24 Ore del 26.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI: L'iscrizione agli elenchi condizionata dai crediti formativi, anzianità e numero d'incarichi. Revisori, il caso la fa da padrone. Il ruolo di auditor negli enti locali sarà assegnato a estrazione.
Una vera e propria rivoluzione per il sistema delle nomine a revisore degli enti locali: dal modello della scelta «politica» a quello della «dea bendata».
Il decreto del ministero dell'interno n. 1 del 2012, firmato dal ministro Annamaria Cancellieri lo scorso 15 febbraio e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 marzo, darà infatti il via alla formazione degli elenchi di professionisti che potranno ambire, attraverso sorteggio, ad assumere il ruolo auditor in comuni, province, città metropolitane, comunità montane, comunità isolane e unioni di comuni. La possibilità d'iscriversi sarà condizionata dai crediti formativi in materia di contabilità ed economia degli enti territoriali, dall'anzianità d'iscrizione agli albi professionali e dal numero d'incarichi pregressi.
Un nuovo elenco. Verrà istituito, presso il dipartimento per gli affari interni e territoriali del ministero dell'interno, l'elenco dei revisori dei conti degli enti locali; questo sarà costituito, su base regionale e per fasce, dai revisori legali nonché dai dottori commercialisti ed esperti contabili che, in seguito alla presentazione di specifica domanda telematica, dimostreranno di possedere i requisiti previsti dall'art. 3 del decreto ministeriale.
Per la prima fascia, quella dei comuni fino a 4.999 abitanti (5.683 secondo gli ultimi dati Ancitel), saranno richiesti: a) l'iscrizione da almeno due anni nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; b) il conseguimento, nel periodo che va dal 1° gennaio al 30 novembre dell'anno precedente, di almeno dieci crediti formativi relativi alla partecipazione a corsi e/o seminari formativi in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali.
Alla seconda fascia, riferita ai comuni con popolazione da 5 mila a 14.999 abitanti e alle unioni di comuni e comunità montane (in tutto 2.261 enti), potranno iscriversi coloro che: a) sono iscritti da almeno cinque anni nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; b) hanno svolto, per la durata di tre anni, almeno un incarico di revisore dei conti presso un ente locale; c) hanno conseguito, nel periodo che va dal 1° gennaio al 30 novembre dell'anno precedente, almeno i citati dieci crediti formativi.
Per l'ultima fascia, quella dei comuni con popolazione pari o superiore a 15 mila abitanti e delle province (si tratta di 847 enti), saranno richiesti: a) l'iscrizione da almeno dieci anni nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; b) l'aver svolto almeno due incarichi, ciascuno per la durata di tre anni, di revisore dei conti presso enti locali; c) il conseguimento, nel periodo che va dal l° gennaio al 30 novembre dell'anno precedente, degli stessi crediti formativi visti nei casi precedenti.
La domanda d'iscrizione. A regime l'elenco sarà aggiornato al 1° gennaio di ciascun anno: i soggetti che risulteranno già iscritti (per la fase transitoria si rinvia allo specifico box) dovranno, con modalità che saranno comunicate sul sito internet del ministero dell'interno, dimostrare il permanere dei requisiti a pena di cancellazione. Sarà prevista la possibilità, da parte di nuovi soggetti, di presentare domanda d'iscrizione: questa prevederà la possibilità di indicare, oltre alle fasce d'interesse (che, nell'ipotesi si abbiano i requisiti per più di una, non sono alternative fra loro), anche uno o più ambiti territoriali provinciali per cui non si è disponibili ad assumere l'incarico.
Particolare attenzione dovrà essere posta sulla formazione: a regime il decreto ministeriale prevede la valenza, fatto nuovo per la vigente disciplina di formazione professionale continua, non già della normale formazione accreditata dagli ordini o associazioni professionali bensì di «corsi e/o seminari formativi in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali i cui programmi di approfondimento e i relativi test di verifica siano stati preventivamente condivisi con il ministero dell'interno». Una formazione caratterizzata, quindi, dal controllo sui contenuti e, soprattutto, da esami sui partecipanti che potrà essere organizzata, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 3 del provvedimento in commento, anche dallo stesso ministero avvalendosi, senza oneri per lo stato, della scuola superiore dell'amministrazione dell'interno.
La procedura d'estrazione. Gli enti locali dovranno comunicare all'Ufficio territoriale del governo della prefettura competente, con almeno due mesi di anticipo, la scadenza dell'incarico del proprio organo di revisione economico-finanziario; in caso di cessazione anticipata, la comunicazione sarà inoltrata entro il terzo giorno successivo all'evento. La prefettura comunicherà quindi il giorno in cui si procederà all'estrazione, in seduta pubblica e alla presenza del prefetto o di un suo delegato, dei componenti degli organi di revisione da rinnovare.
Per ciascun componente da rinnovare saranno estratti tramite sistema informatico, con annotazione dell'ordine di estrazione, tre nominativi: il primo è designato per la nomina di revisore dei conti; gli altri subentrano, nell'ordine di estrazione, nell'eventualità di rinuncia o impedimento ad assumere l'incarico da parte del soggetto che li precede.
I risultati dell'estrazione saranno riportati in un verbale inviato a ciascun ente locale interessato che provvederà, con delibera del consiglio, a nominare quale organo di revisione economico-finanziaria i soggetti estratti (dopo aver verificato eventuali cause d'incompatibilità e impedimenti, ai sensi degli artt. 235, 236 e 238 del Tuel, nonché eventuali rinunce). In caso di organo collegiale le funzioni di presidente saranno attribuite al componente che ha ricoperto il maggior numero di incarichi di revisore presso enti locali e, in caso di egual numero di incarichi ricoperti, conterà la dimensione demografica di tali enti.
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Le regole per la fase di prima applicazione.
Quando entrerà in vigore il meccanismo dell'estrazione? Non è possibile individuare una data precisa, serviranno infatti ancora diversi mesi. La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale, avvenuta il 20 marzo, è solo il punto di partenza del complesso iter necessario per formare l'elenco dei revisori dei conti degli enti locali: ci vorrà del tempo non solo per realizzare la procedura telematica, bisognerà prevedere anche un congruo termine per permettere la presentazione delle domande d'iscrizione (da pubblicizzare non solo sul sito internet del ministero dell'interno ma anche in Gazzetta Ufficiale); saranno poi necessari fino ad altri 90 giorni per valutare le richieste pervenute, verificandone i requisiti, in modo da procedere alla prima formazione dell'elenco che rimarrà in vigore fino al 28.02.2013 (data di prima manutenzione). Considerando sia le tempistiche riportare che il periodo estivo, crediamo che le estrazioni non possano avvenire prima dell'autunno: la partenza del nuovo sistema sarà comunque ufficializzata attraverso un avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e divulgato sulle pagine web dello stesso ministero dell'interno. Fino ad allora varranno le vecchie regole del Tuel.
Particolare interesse destano i requisiti, previsti dall'art. 4 del decreto ministeriale, per la fase di sua prima applicazione: esistono, infatti, due differenze significative rispetto a quelli a regime indicati nella parte superiore di questa pagina. La prima riguarda le caratteristiche dei crediti formativi: nella fase di start-up, non esistendo ancora i programmi di approfondimento e i test di verifica condivisi con il ministero dell'interno, il provvedimento normativo secondario ne richiede almeno 15, rispetto ai 10 a regime, purché riconosciuti dai competenti ordini professionali o dalle associazioni rappresentative degli stessi (sempre, ovviamente, per la partecipazione a corsi e/o seminari formativi in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali). Sarebbero quindi esclusi dall'elenco, quantomeno fino alla fase a regime, anche i professionisti che pur avendo già svolto numerosi incarichi in enti locali non abbiano acquisito, pur essendo in regola con gli obblighi deontologici, i crediti indicati dal provvedimento.
Per l'appartenenza alla prima fascia viene aggiunto, infine, un ulteriore requisito: «Aver avanzato, entro la data di entrata in vigore del presente decreto, richiesta di svolgere la funzione quale organo di revisione di ente locale». Profetiche, in tal senso, le indicazioni fornite nel mese di febbraio dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili: veniva suggerito, infatti, l'invio di una semplice istanza, consegnata, spedita per raccomandata o magari inviata con la pec, a un comune o a una provincia per poter maturare il requisito. Ricordiamo, infine, che l'elenco sarà sottoposto a una prima manutenzione/aggiornamento il 28.02.2013, per poi entrare nella fase a regime a partire dall'01.01.2014 (articolo ItaliaOggi Sette del 26.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: La legge di conversione del dl ambiente riduce il libero utilizzo dei materiali di riporto. Rifiuti, gestione del suolo a tappe. In attesa di nuove condizioni valgono le norme sui sottoprodotti.
Sì alla gestione dei «materiali di riporto» fuori dalla disciplina sui rifiuti, ma solo nel rispetto delle nuove condizioni tecniche dettate dal ministero dell'ambiente, e in attesa delle quali vanno comunque osservate le norme generali in materia di «sottoprodotti».
Esce ridimensionata dalle modifiche apportate dalla legge di conversione approvata definitivamente il 21.03.2012 la nuova disciplina sul «libero» utilizzo dei materiali eterogenei contenuti nel suolo e utilizzati per riempimenti e rilevati disegnata dal dl 2/2012 (c.d. «dl ambiente»). Con le novità apportate dalla legge di conversione del dl 2/2012, la nuova gestione dei materiali da riporto risulta quindi scandita in tre distinte fasi temporali: la prima, che va dal 25.01.2012 (data di entrata in vigore del decreto 2/2012) alla data di entrata in vigore della legge di conversione; la seconda, che andrà dalla data di entrata in vigore della citata legge di conversione (in attesa di pubblicazione sulla G.U.) a quella della entrata in vigore del citato dm ambiente (la cui deadline di adozione è stata stabilita dal dl 1/2012 nel 24.03.2012); la terza, che sarà operativa dalla entrata in vigore del nuovo dm ambiente. Vediamo, nel dettaglio, le tre fasi.
Le novità previste dal dl 2/2012. Mediante un'opera di interpretazione autentica ed estensiva della nozione di «suolo» recata dal dlgs 152/2006, l'originaria versione del «dl ambiente» ha sancito dal 25.01.2012 l'equiparazione allo stesso dei materiali di riporto in esso contenuti, con la conseguenza di rendere ufficialmente lecita la gestione di questi ultimi al di fuori dal regime dei rifiuti ove analoga gestione sia consentita per i primi.
In particolare, in base alla originaria formulazione del dl 2/2012, non sono dal 25.01.2012 considerati rifiuti (fermo restando l'obbligo di procedere a bonifica dei terreni contaminati oltre una certa soglia) le matrici di riporto contenute nelle porzioni di suolo definite dall'articolo 185, comma 1, lettere b) e c), dlgs 152/2006, ossia contenute: nel terreno (non scavato); nel suolo contaminato non scavato; nel suolo non contaminato escavato nel corso di attività di costruzione, purché riutilizzato allo stato naturale nello stesso sito a fini di costruzione.
Dalla stessa data non sono altresì considerati rifiuti, se soddisfano almeno una delle condizioni di cui agli articoli 183/1, lettera a) (il detentore non se disfa), 184-bis (sono dei sottoprodotti) e 184-ter (sono stati oggetto di recupero) del dlgs 152/2006, i materiali di riporto contenuti nel suolo escavato non contaminato e utilizzati in siti diversi da quelli di escavo.
Le novità della legge di conversione. La legge approvata il 21.03.2012 ha, come accennato, confermato l'impianto di fondo del decreto d'urgenza, delimitandone però la sfera d'azione, e ciò mediante due nuove disposizioni. In primo luogo, tale legge ha infatti introdotto una precisa definizione di «matrici materiali di riporto» facendoli coincidere con i soli «materiali eterogenei, disciplinati dal dm ambiente previsto dall'articolo 49 del dl 1/2012, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei».
In secondo luogo, stabilendo che fino all'entrata in vigore del dm ambiente in parola tali matrici materiali di riporto eventualmente presenti nei terreni e nei suoli gestibili al di fuori della disciplina sui rifiuti (quelli ex articolo 185/1, lettere b) e c), ed ex articolo 185/4 del dlgs 152/2006 sopra citati) possono essere considerati sottoprodotti (dunque utilizzati in deroga al regime sui rifiuti) solo se rispettosi delle condizioni generali sui sottoprodotti stabilite dall'articolo 184-bis dello stesso codice ambientale.
La gestione dei materiali di riporto a «pieno regime». L'assetto definitivo della nuova disciplina sui materiali di riporto troverà un suo assetto definitivo solo con l'entrata in vigore del nuovo dm ambiente in materia di terre e rocce da scavo previsto dall'articolo 49 del dl 1/2012.
Tale decreto, superando le norme dettate per il periodo transitorio dalla legge di conversione del dl 2/2012, traccerà infatti in modo preciso e definitivo i confini entro i quali la gestione dei materiali di riporto potrà avvenire in deroga alla disciplina sui rifiuti (articolo ItaliaOggi Sette del 26.03.2012).

APPALTI SERVIZI: Liberalizzazioni. Riscritto il calendario per la riforma degli affidamenti
Servizi, pareri all'Antitrust con rischio ingorgo date. Tra luglio e agosto pioggia di decisioni con le analisi dei mercati locali.

Con la nuova riscrittura della riforma nel decreto liberalizzazioni appena convertito dal Parlamento, la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica dovrebbe aver trovato un quadro definito.
Le amministrazioni affidanti sono chiamate ad avviare sin da ora l'analisi per qualificare i servizi interessati dal nuovo quadro, che oltre alle attività prive di rilevanza economica esclude una serie di settori (servizio idrico, gas, energia, farmacie e ferrovie regionali).
Il nuovo percorso è a tappe forzate, inizia con il Dm sui criteri per la verifica dell'attribuzione dei diritti di esclusiva: il decreto va adottato entro il 31 marzo.
Gli elementi desumibili dalla bozza consentono di avviare l'analisi istruttoria per rilevare su quali servizi possa essere configurata la gestione liberalizzata o invece l'attribuzione di diritti di esclusiva. La definizione delle condizioni per la gestione unitaria va realizzata con l'adozione della delibera-quadro per tutti i servizi in gestione entro il 13.08.2012. Considerando che i Comuni con più di 10mila abitanti, prima di adottare l'atto, devono ottenere il parere dell'Agcm sull'istruttoria, e che l'authority deve renderlo entro 60 giorni dalla richiesta, è concreto il rischio di ingolfamento.
Lo schema di Dm contiene poi due norme contraddittorie: l'articolo 2, comma 5, evidenzia l'adozione della delibera-quadro come condizione necessaria solo per l'affidamento con gara o a società mista, mentre l'articolo 5, comma 3 la esplicita come necessaria anche per gli affidamenti (derogatori) in house. In questa prima fase potrebbero essere facilitati i Comuni con meno di 10mila abitanti, che non devono richiedere il parere all'Agcm.
Molti degli elementi essenziali per l'analisi sull'attribuzione dei diritti di esclusiva nei servizi a rete (ad esempio rifiuti e Tpl) potranno tuttavia essere definiti solo dopo gli ambiti e bacini territoriali, che le Regioni devono individuare entro il 30 giugno.
I Comuni che intendano proporre alle Regioni sub-ambiti più piccoli rispetto alla Provincia devono formalizzare una richiesta, supportata da un progetto associativo, entro il 31 maggio. In base a questo quadro, gli elementi di riferimento effettivo per molti servizi potrebbero essere disponibili solo alla fine di giugno, con un margine veramente esiguo per il perfezionamento dell'istruttoria e del parere presso l'Agcm, in rapporto alla prima scadenza del 13.06.2012.
Superata questa fase, gli enti locali devono confrontarsi con le nuove scadenze delle gestioni esistenti, che vede il primo punto critico nel 31 dicembre, data alla quale cessano gli affidamenti in house non coerenti con i parametri comunitari e comunque superiori a 200mila euro di valore annuo del servizio). Questo stesso termine vale per le amministrazioni che, aggregando gli attuali gestori di uno stesso servizio, vogliano dar vita a una società affidataria in house del servizio per tutto l'ambito territoriale, per un valore anche superiore al limite dato nel comma 13 e per un periodo massimo di tre anni (quindi sino al 31.12.2015).
La soluzione è proposta in un'ottica di rafforzamento degli operatori pubblici in vista di future gare di ambito. Per le società miste in cui il socio privato sia stato scelto con gara ma non a doppio oggetto la scadenza delle gestioni è posticipata al 31.03.2013, mentre rimangono invariati i termini entro cui le quotate devono cedere le azioni in mano pubblica tra la metà del 2013 e la fine del 2015.
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Il calendario
Percorso per l'affidamento dei servizi pubblici locali con rilevanza economica
31 marzo 2012|GOVERNO - MINISTRO AFFARI REGIONALI
Adozione Dm definizione criteri delibera-quadro (diritti di esclusiva)
31 maggio 2012|COMUNI ASSOCIATI
Proposta a Regioni per possibile definizione sub-ambito
30 giugno 2012|REGIONI
Definizione ambiti / bacini territoriali ottimali
13 agosto 2012|ENTI LOCALI - ENTI AFFIDANTI I SPL
Approvazione delibera-quadro generale per attribuzione diritti esclusiva su gestione SPL
31 dicembre 2012|ENTI LOCALI SOCI
Costituzione di società unico gestore in house per ambito di SPL ex aggregazione precedenti gestori affidatari diretti (deroga)
31 dicembre 2012|SOCIETÀ / PREFETTO (per esercizio potere sostitutivo)
Rilevazione cessazione gestioni esistenti in base a affidamenti in house non conformi
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Il regolamento. Punti controversi. Delibere obbligate per tutti gli enti.
LA CONTRADDIZIONE/ Da un lato si punta ad aggregare gli «ambiti» e dall'altro si prevedono atti amministrativi diversi da una pluralità di soggetti.

Il regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 33-ter, del Dl 138/2011 dovrà certo superare lo scoglio della sua pratica attuazione, ma sottovalutarne la portata sarebbe un grave errore perché rappresenta un repentino cambiamento di rotta rispetto a quanto ad oggi immaginato dal percorso di riforma.
I maggiori dubbi suscitati dal processo di liberalizzazione dei servizi, ad oggi, riguardano l'assenza di un numero adeguato di imprenditori competenti e che siano in condizione di investire quanto indispensabile in settori impegnativi sul piano degli investimenti.
In fondo fu il medesimo problema con cui si misurò la Thatcher, che prese atto dell'impossibilità di liberalizzare il settore del trasporto pubblico locale ed optò per la deregulation: in pratica, non riuscendo a trovare privati in grado di gestire il servizio, aprì le porte a chi volesse svolgerne anche solo piccole porzioni.
La scelta del regolamento va nella stessa direzione, mettendo perciò in discussione l'idea che i servizi vadano gestiti unitariamente. Se il disegno sarà confermato verrà meno, in sostanza, l'idea che per una «gestione integrata» sia indispensabile un gestore unico, la cui necessità non è più assunta come dato ma deve essere dimostrata attraverso una verifica di mercato.
Così facendo, però, si rimette in discussione il processo oggi in corso, che mira a una crescita dimensionale delle aziende, attraverso una riduzione del numero degli ambiti e incoraggiando le fusioni. Si rischia di interrompere un lavoro già in corso e che sta cominciando a produrre i suoi frutti.
Si noti, ancora, che a differenza di quanto previsto dai commi 1 e 2 dell'articolo 4, il regolamento (articolo 1, comma 2) estende l'obbligo di formulare la delibera quadro a tutti gli enti territoriali, cioè anche alle autorità amministrative che esercitano funzioni nei servizi pubblici locali. Scelta ribadita, del resto, con specifico riferimento al trasporto pubblico (articolo 3 del regolamento) e dei rifiuti (articolo 4).
Tutto ciò, peraltro, non è privo di rischi e di problemi. Non è chiaro, anzitutto, come si possa conciliare una scelta di «frazionamento del servizio» con il processo di ampliamento degli ambiti auspicato dalla legge: sarà la Regione, ai sensi dell'articolo 3-bis, comma 1, del Dl 138/2011, infatti, a definire gli ambiti con l'intento di conseguire «economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio»; se è così, ha senso che a decidere sull'eventuale suddivisione del servizio stesso in più fasi e sulle diverse condizioni di concorrenzialità di ciascuna di queste sia un soggetto diverso?
Infine, una perplessità di fondo: fino a oggi i nostri enti non hanno certo brillato in tema di capacità di regolazione. Oggi si prospetta di affidare loro un lavoro ancora più complesso, e cioè di confrontarsi con soggetti specializzati. Siamo sicuri che le nostre autorità d'ambito saranno in grado di governare con efficacia i rapporti con un numero probabilmente elevato di operatori, quando hanno dimostrato di non riuscire a controllarne uno solo? Il rischio è di rendere ancora più difficoltoso il compito di chi deve "dettare le regole", con risultati prevedibili (articolo Il Sole 24 Ore del 26.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Professionisti. Per fornire crediti utili nel sistema riformato le attività formative si devono concludere con una verifica.
Revisori, nuovi corsi con test. In arrivo la circolare dell'Interno con le modalità per iscriversi negli elenchi.

Potrebbe arrivare in settimana l'ultimo tassello per la nuova disciplina di nomina dei revisori dei conti negli enti locali. Il ministero dell'Interno sta lavorando alla circolare, annunciata nei giorni scorsi insieme alla pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» (si veda Il Sole 24 Ore del 21 marzo) del decreto 23/2012 attuativo della riforma.
La circolare fisserà le regole per le domande di iscrizione negli elenchi, che correranno solo online all'interno di un sistema telematico chiamato a guidare l'intero meccanismo di estrazione, chiarirà le procedure per individuare gli ambiti provinciali d'interesse all'interno della regione di residenza (in realtà il sistema dovrebbe permettere di "spuntare" le Province da escludere) e detterà le modalità operative per certificare e verificare il rispetto dei requisiti chiesti per l'iscrizione nei tre elenchi destinati alle diverse fasce demografiche di enti locali.
Tutto il meccanismo dovrebbe essere pronto prima dell'estate, e prima della pausa dovrebbe andare in «Gazzetta Ufficiale» anche l'avviso che offrirà un mese di tempo per presentare domanda di iscrizione all'elenco da parte degli attuali revisori, in modo che le nuove nomine possano partire puntuali a fine settembre, cioè alla nuova data fissata dal rinvio alla riforma contenuta nel Milleproroghe.
Il lavoro sulla certificazione e sulla verifica dei requisiti di curriculum, in realtà, sarà svolto a braccetto con gli ordini professionali, che oltre all'anzianità d'iscrizione già ora gestiscono i dati sui crediti formativi ottenuti dagli iscritti. Sul versante della formazione, il decreto pubblicato la settimana scorsa in «Gazzetta» divide in due la disciplina: in sede di prima applicazione, la normativa riferisce il requisito dei crediti formativi a quelli ottenuti nel 2009-2011, e le verifiche non fisseranno caratteristiche rigide né per gli enti erogatori né per le modalità di svolgimento del corso.
Diverso è il panorama per le nuove attività di formazione, perché per ottenere crediti spendibili come revisore occorrerà frequentare corsi i cui programmi siano stati condivisi in via preventiva con il Viminale, e che si concludano con un «test di verifica» (la forma del test non è predefinita dal decreto e può essere scelta dall'organizzatore). Un modo, questo, per evitare il diffondersi di un "mercato dei crediti" e, in prospettiva, per creare un orizzonte condiviso fra Viminale e ordini professionali sulla formazione (e quindi sul ruolo) dei revisori contabili di Comuni e Province.
Il periodo di prima applicazione prevede inoltre regole a sé anche per quel che riguarda l'istanza, perché per chi non ha mai svolto la funzione (e di conseguenza può debuttare negli enti fino a 5mila abitanti) è sufficiente aver fatto richiesta presso un Comune. Una volta a regime, il meccanismo delle verifiche sui requisiti non sarà comunque invasivo, perché sarà affidato in larga parte alla certificazione presso gli ordini professionali e potrà essere affiancato da controlli a campione.
In realtà sulla richiesta «retroattiva» di crediti fissata nel decreto un punto problematico andrebbe risolto, oltre all'esclusione di professionisti che, per varie ragioni, non hanno chiesto crediti che all'epoca non erano prescritti. L'articolo 5 del Dlgs 39/2010 chiede che i revisori iscritti al Registro prendano parte a programmi di aggiornamento professionale secondo le modalità stabilite con regolamento dell'Economia, sentita la Consob.
La norma prescrive anche che il regolamento definisca le modalità con cui la formazione continua può essere svolta presso società o enti dotati di un'adeguata struttura organizzativa e secondo programmi accreditati sempre da Economia e Consob. Il regolamento, però, non è ancora stato emanato, e non si vede quindi in che modo e con quali programmi «società o enti» possano essere stati accreditati.
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Le regole
01|L'ISCRIZIONE
Per essere iscritti negli elenchi regionali dei revisori dei conti di Comuni e Province occorrerà fare domanda entro un mese dall'avviso che sarà pubblicato in «Gazzetta Ufficiale». La circolare fisserà la disciplina per l'invio telematico delle domande e per l'esclusione delle province non d'interesse del professionista
02|IL DEBUTTO
Per chi non ha mai fatto il revisore è ora sufficiente aver fatto domanda in un ente locale (articolo Il Sole 24 Ore del 26.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALITributi. Rischi di impugnazione. Regolamenti Imu fermi in attesa dei correttivi statali.
La mancata introduzione (finora) nel Dl sulle semplificazioni fiscali delle norme che avrebbero dovuto modificare la disciplina Imu sta mettendo in seria difficoltà i Comuni. Anche se il Milleproroghe ha rinviato i termini per i preventivi al 30 giugno, molti enti (anche quelli a fine mandato, nonostante i dubbi in materia; si veda Il Sole 24 Ore del 19 marzo) stanno predisponendo il bilancio 2012, al cui interno il posto di primo piano è occupato proprio dalle aliquote e dalla disciplina regolamentare dell'Imu.
La mancanza di norme certe su molte modalità applicative della nuova imposta e le difficoltà di valutare le conseguenze della quota erariale devono però indurre i Comuni alla cautela nella determinazione delle aliquote, e nell'adozione di agevolazioni o di modalità applicative dell'entrata (per esempio i rimborsi della quota di Imu versata allo Stato), che potrebbero determinare gravi perdite di gettito.In questo panorama, appare opportuno che i Comuni attendano quanto meno la conversione definitiva del Dl fiscale, per evitare di introdurre una disciplina che potrebbe risultare contrastante con le modifiche normative o con le interpretazioni ministeriali.
Il regolamento (articolo 52 del Dlgs 446/1997) deve infatti essere trasmesso al ministero delle Finanze, che può impugnarlo per vizi di legittimità davanti ai giudici amministrativi, con un rischio oggi amplificato proprio dalla quota erariale. Per queste ragioni è consigliabile approvare il regolamento Imu con un quadro normativo più stabile.
L'approvazione del regolamento, se necessario, potrà intervenire anche dopo l'approvazione di aliquote e bilancio (purché entro il 30.06.2012, a termini attuali), in quanto la previsione dell'articolo 52, comma 2, del Dlgs 446/1997 (secondo cui i regolamenti vanno approvati non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell'anno successivo) è stata successivamente integrata dalla legge 338/2000 (articolo 53, comma 16) e dalla legge 448/2001 (articolo 27, comma 8) in base ai quali i regolamenti sulle entrate hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento, anche se approvati successivamente all'inizio dell'esercizio, purché entro il termine del bilancio di previsione.
A fronte di tale disposizione, che non lega l'approvazione dei regolamenti al bilancio (al contrario di quanto deve succedere per aliquote e tariffe delle entrate, necessarie per predisporre la manovra economica), è evidente che i regolamenti possono essere approvati anche dopo il bilancio (ma entro la scadenza), e avranno comunque efficacia dal 1° gennaio.
Per quanto l'adozione del regolamento Imu sia necessaria per una corretta applicazione del tributo (che vede sparsa la propria disciplina primaria in diverse normative), si ritiene quindi opportuno che anche i Comuni che stanno per approvare i propri bilanci rimandino il via libera al regolamento Imu, per evitare l'adozione di atti che si pongano in contrasto con le modifiche normative che il legislatore potrebbe ancora introdurre o con le interpretazioni che si attendono dal ministero delle Finanze; in questo caso, infatti, i regolamenti sarebbero subito da modificare, o potrebbero addirittura essere impugnati in sede giurisdizionale.
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Gli aspetti controversi
01 | LE SCADENZE
Bilanci e regolamenti tributari vanno approvati entro il 30 giugno.
I regolamenti possono essere approvati dopo i bilanci, purché entro la scadenza, e conservano valore retroattivo a partire dal 1° gennaio
02 | I CORRETTIVI
Nella conversione sul decreto fiscale sono possibili interventi importanti sui beni dei Comuni, sull'Imu in agricoltura e sui meccanismi che disciplinano la quota erariale del tributo (articolo Il Sole 24 Ore del 26.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 26.03.2012

AMBIENTE-ECOLOGIAAmbiente. Chiarite le modalità di presentazione del Mud. La comunicazione Sistri anche con i vecchi moduli.
Doppia abrogazione che conferma. Non convenzionale, ma sicuramente pratica la soluzione prospettata per superare il dilemma sulle modalità di presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (Mud), un adempimento che coinvolge oltre 300mila imprese e enti.
Sia i produttori iniziali di rifiuti sia i gestori di impianti di recupero e smaltimento potranno scegliere se comunicare i dati relativi al 2011 per mezzo del portale Sistri, compilando on-line il cosiddetto "Mudino", o usando i tradizionali moduli e le regole di presentazione definite dal Dpcm 27.04.2010. La possibilità di utilizzare anche quest'anno la vecchia modulistica, abrogata prima dal Dlgs 205/2010 e poi dal Dpcm del 23.12.2011, è indirettamente confermata dalla diffusione del software per la compilazione tramite i siti internet delle Camere di commercio.
Il temporaneo ripristino dei moduli abrogati, che anche l'anno scorso era stato legittimato dalla circolare del ministero dell'Ambiente del 02.03.2011, supera le difficoltà connesse alla "comunicazione Sistri", introdotta dal Dm istitutivo della tracciabilità dei rifiuti (articolo 12, comma 1, Dm 17.12.2009) e in seguito confermata dal regolamento d'attuazione Sistri (articolo 28, comma 1, Dm 52/2011), come unica possibilità di adempiere all'obbligo di comunicazione annuale al catasto dei rifiuti. L'accesso al portale Sistri per l'imputazione dei dati è riservato ai delegati Sistri dell'impresa o dell'ente e impone l'impiego delle chiavette Usb con i certificati di firma digitale. Questa scelta esclude perciò le associazioni imprenditoriali, se non sono state delegate, e i consulenti.
Il portale Sistri non consente neppure l'acquisizione telematica dei file di dati elaborati dai software gestionali utilizzati dalle imprese, funzionalità da anni garantita dal sito www.mudtelematico.it, un sistema che consente alle associazioni e ai consulenti delegati dalle imprese di trasmettere le dichiarazioni sottoscrivendole con la propria smart card.
I produttori iniziali di rifiuti, a differenza dei gestori di impianti di recupero o smaltimento per i quali è prescritta la trasmissione dei dati su supporto magnetico o l'invio telematico, potranno scegliere anche di predisporre il Mud definito dal Dpcm 27.04.2010 su supporto cartaceo, spedendolo o consegnandolo alle Camere di commercio.
Oltre al programma per la compilazione del vecchio Mud, è stato rilasciato anche il software che permette ai gestori di veicoli fuori uso di elaborare il file di dichiarazione conforme alle specifiche definite dal Dpcm 23.12.2011, che quest'anno può essere trasmesso solo tramite il sito www.mudtelematico.it.
È disponibile anche il sito www.mudcomuni.it, dedicato alla raccolta dei Mud dei Comuni (o consorzi di Comuni e Comunità montane) ai quali il Dpcm 23.12.2011 ha imposto per la prima volta la compilazione on-line dei dati relativi alla raccolta dei rifiuti urbani e speciali raccolti sulla base di una convenzione, prevedendo però che i Comuni privi di smart card possano stampare la dichiarazione, sottoscriverla e inviarla con raccomandata alla Camera di commercio competente. Innovativa anche la possibilità di immettere automaticamente nel sito i dati già predisposti per altre rilevazioni statistiche introdotte da leggi regionali.
Confermate, infine, anche le consuete regole per la comunicazione annuale sulle apparecchiature elettriche immesse sul mercato dai produttori e dagli importatori e ai Raee raccolti, recuperati e smaltiti.
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Le istruzioni
01|LE REGOLE
Il Dlgs 205/2010 e il Dpcm del 23.12.2011 avevano abrogato la vecchia modulistica, ma non avevano predisposto una nuova procedura
02|LA PRASSI
Lo scorso anno l'utilizzo dei vecchi moduli era stato previsto con circolare ministeriale, quest'anno è indirettamente confermato dalla diffusione dei software ufficiali
03|LE CONSEGUENZE
L'accesso al portale Sistri è riservato ai delegati dell'impresa, ed esclude quindi le associazioni imprenditoriali e i consulenti (articolo Il Sole 24 Ore del 25.03.2012).

ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALIPiano di prevenzione nella lotta alla corruzione nella p.a.. Operazione pulizia. Protagonisti i segretari degli enti.
Lotta alla corruzione nella p.a. a 360°. I piani di prevenzione della corruzione dovranno essere adottati anche da regioni ed enti locali. Con la possibilità che, per questi ultimi, la mancata adozione comporti l'avvio di un procedimento di commissariamento ad acta, al pari della mancata adozione di altri atti fondamentali quali il bilancio. Sarà il segretario dell'ente locale inoltre a dover svolgere la funzione di dirigente responsabile della prevenzione della corruzione. Occorrerà rivedere pertanto anche le norme che regolano la sua nomina, oggi del tutto fiduciaria.
È quanto si ricava dalla lettura della prima individuazione dei settori di indagine sul fenomeno della lotta alla corruzione, redatta dalla Commissione di studio su trasparenza e corruzione nella pubblica amministrazione, presieduta da Roberto Garofoli. Particolare attenzione è stata dedicata all'allargamento ad altri settori della p.a. delle misure contenute nel ddl anticorruzione e alle sinergie tra le prefetture e il segretario comunale o provinciale.
Il Piano di prevenzione. Innanzitutto, la Commissione ha proposto di emendare al predetto ddl che le amministrazioni centrali trasmettano alla Funzione pubblica un apposito Piano di prevenzione della corruzione che sia predisposto da un dirigente appositamente nominato quale «responsabile». È ovvio che un progetto non può restare solo incardinato a livello di p.a. centrale. Ecco, pertanto, la proposta di «allargare» le disposizioni in materia di anticorruzione anche alle amministrazioni indicate all'art. 1, comma del Testo unico sul pubblico impiego. Se, da un lato, a vigilare sulle p.a. centrali (agenzie ed enti pubblici inclusi) sorgerà infatti l'Autorità nazionale anticorruzione, ci si pone il problema di come coordinare tali compiti per la «galassia» del sistema amministrativo pubblico. In particolare per regioni, province, comuni e le loro forme associative.
Regioni. Per quanto riguarda le regioni, la Commissione ha proposto che il ddl preveda obbligatoriamente l'adozione del Piano anticorruzione rinviando in sede di intesa con le stesse regioni all'individuazione del dirigente responsabile con compiti ben precisi e con uno status di maggiore indipendenza.
Enti locali. Sul fronte enti locali invece la Commissione individua nel prefetto la figura da valorizzare per dare piena efficacia al Piano. Il prefetto potrà supportare le amministrazioni locali al momento di redigere il Piano anticorruzione ma anche di monitorarne la reale approvazione.
A tal fine, si legge nel testo in esame, in considerazione dell'importanza che il Piano assume nella vita politico-amministrativa dell'ente, valuti il legislatore di inserire una norma ad hoc che preveda, in caso di mancata adozione del Piano, l'avvio di un procedimento di nomina di commissario ad acta, così come oggi si prevede nel Tuel, per esempio nel caso di mancata approvazione del bilancio o del rendiconto di gestione.
Il segretario dell'ente. Per le province e i comuni si pone il problema di chi possa svolgere la figura del dirigente responsabile della prevenzione della corruzione con i compiti di redigere il Piano della prevenzione. Il documento redatto ieri individua tale figura in quella del segretario dell'ente, in quanto «è sempre stato strumento di garanzia della legalità e dell'imparzialità nelle amministrazioni locali». Questi nuovi compiti comporteranno, anche con norme ad hoc nel testo del ddl, di apporre delle modifiche allo status di segretario, così da garantirne una sua maggiore indipendenza dall'organo politico.
Quindi, per la Commissione, si dovrebbe tornare all'antico, rivedendo le procedure di nomina dei segretari «al fine di ridurne l'attuale tasso di fiduciarietà». La Commissione propone che sia il Viminale a proporre al sindaco una rosa di nomi, selezionati sulla base di una domanda da parte degli interessati e in possesso di specifici requisiti. Da questa rosa, il primo cittadino poi nominerà «il prescelto» (articolo ItaliaOggi del 24.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il licenziamento economico già esiste per gli statali.  È il caso del personale in esubero rispetto alle esigenze funzionali o finanziarie.
La riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori avrà effetti anche nella pubblica amministrazione, sebbene alcuni di essi siano in buona parte già operativi, per effetto della legge 183/2011. Il nuovo articolo 18 (si veda ItaliaOggi di ieri), una volta entrata in vigore la riforma, varrà anche per il lavoro pubblico, per effetto dell'articolo 51, comma 2, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale «La legge 20.05.1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti».
Nessun dubbio, dunque, che per i dipendenti pubblici valgano le regole di volta in volta vigenti poste dallo Statuto dei lavoratori. Dunque, anche i dipendenti pubblici non potranno ottenere il reintegro nel posto di lavoro, qualora siano stati coinvolti in licenziamenti individuali per «ragioni economiche».
Nel caso del lavoro privato la fattispecie del licenziamento dovuto a ragioni economiche è ancora da definire. Per la pubblica amministrazione è già operante da qualche mese il nuovo testo dell'articolo 33 del d.lgs 165/2001, come modificato dall'articolo 16 della legge 183/2011, a mente del quale le pubbliche amministrazioni debbono effettuare annualmente la ricognizione del personale eventualmente in esubero; laddove rilevino situazioni di soprannumero o comunque eccedenze di personale, «in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria» sono tenute ad osservare le procedure previste dai successivi commi dell'articolo 33: le amministrazioni entro 90 giorni dalla comunicazione ai sindacati della situazione di esubero, devono verificare se il personale interessato possa essere reimpiegato all'interno del medesimo ente, o possa andare in mobilità (cioè essere trasferito) verso altri enti della provincia o della regione. In mancanza di ciò, essere inserito nelle liste dei lavoratori in disponibilità: cioè dei lavoratori sostanzialmente licenziati, che restano per 24 mesi al massimo inseriti nella lista, con il trattamento economico pari all'80% dello stipendio, dell'indennità integrativa speciale e dell'assegno per il nucleo familiare.
É evidente che «la situazione finanziaria» come giustificativo della norma pubblicistica di rapporto del lavoro alle dipendenze della p.a. risulta analoga e sovrapponibile alle «esigenze economiche» di cui parla la riforma dell'articolo 18. Nel caso delle amministrazioni locali, lo stato di dissesto finanziario o la violazione delle soglie di spesa per il personale, come la violazione del patto di stabilità, possono essere ragioni sufficienti per la risoluzione del rapporto di lavoro, senza possibilità di reintegro.
In quanto ai licenziamenti disciplinari, anch'essi sono previsti nel lavoro pubblico dall'articolo 55-quater del d.lgs 165/2001. Si estenderà, dunque, ai lavoratori pubblici la previsione che rimetterà al giudice la scelta se condannare al reintegro, o al pagamento dell'indennizzo, il lavoratore licenziato in esito ad un procedimento disciplinare, riconosciuto privo di fondamento in sede giudiziale. Ai dipendenti pubblici si applicherà anche l'Aspi, la nuova indennità sostitutiva della disoccupazione ordinaria e della mobilità. Che però,varrà solo per i lavoratori pubblici assunti con contratti a tempo determinato. Per gli altri l'unico «ammortizzatore» è l'indennità del periodo di disponibilità (articolo ItaliaOggi del 23.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATASanabile il durc negativo. Il committente paga i premi dell'appaltatore. L'Inail spiega l'intervento sostitutivo: serve una comunicazione preventiva.
Il committente che intenda sostituirsi all'appaltatore nel pagare il debito Inail deve preventivamente informare l'istituto assicuratore, al fine di verificare l'attualità dell'inadempienza contributiva.
Lo precisa l'Inail nella nota 21.03.2012 n. 2029 di prot. in merito all'intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di Durc negativo.
Intervento sostitutivo.
L'articolo 4 del dpr n. 207/2010 prevede che, in presenza di un Durc negativo (cioè con irregolarità nei versamenti dovuti agli istituti previdenziali e/o alle casse edili), le stazioni appaltanti si sostituiscano al debitore (appaltatore e/o subappaltare del quale abbiano avuto il Durc negativo) e procedano a pagare, in tutto o in parte, il debito contributivo trattenendo il relativo importo dal corrispettivo dovuto.
Ambito di intervento. Ai fini dell'applicazione dell'intervento sostitutivo, l'Inail spiega che l'inadempienza indicata nel Durc riguarda un determinato «operatore economico», termine con cui si intende qualsiasi soggetto, sia persona fisica sia giuridica, che sia parte di un rapporto contrattuale soggetto alla disciplina del codice dei contratti pubblici e che ai fini Durc sia tenuto all'obbligo assicurativo nei confronti di Inail e Inps e, nel caso di imprese edili, anche nei confronti della cassa edile.
Inoltre, il termine «contratto pubblico» comprende tutte le tipologie di appalti pubblici, i servizi e le attività in convenzione e/o concessione, nonché tutti gli altri contratti, assoggettati a una procedura di evidenza pubblica e disciplinati dal codice dei contratti pubblici, avente a oggetto un dare o un facere funzionale alla realizzazione di un risultato e/o di un vantaggio e dietro pagamento di un corrispettivo.
Indicazioni operative. Sotto il profilo procedurale, l'Inail spiega che, ricevuto il Durc attestante l'irregolarità, la stazione appaltante deve comunicare preventivamente alla sede Inail che ha accertato l'inadempienza, per posta elettronica o posta elettronica certificata, la volontà di attivare l'intervento sostitutivo. A tal fine va utilizzato un modello appositamente predisposto in cui va indicato l'importo che si intende versare all'Inail.
Ricevuta la richiesta della stazione appaltante, la sede Inail procede tempestivamente a verificare l'attualità dell'inadempienza contributiva attestata sul Durc al fine di tenere conto di eventuali pagamenti o di variazioni relative al dovuto intervenuti tra la data di emissione del Durc e la data di ricezione della comunicazione preventiva.
Inoltre, la stessa sede Inail comunicherà al responsabile del procedimento della stazione appaltante il codice Iban e, se nel frattempo l'inadempienza Inail si è ridotta rispetto all'importo indicato dalla stazione appaltante nella comunicazione preventiva, anche il minor ammontare del debito ancora da versare all'Inail (articolo ItaliaOggi del 23.03.2012).

ENTI LOCALI: Controlli contabili doc in comune. L'incarico ai soli revisori regolarmente iscritti al registro.  La circolare del ministro Cancellieri ribadisce il pieno riconoscimento professionale della categoria.
Saranno «solo» i revisori legali regolarmente iscritti al Registro ad avere la titolarità dell'incarico presso gli 8 mila comuni italiani e tutti gli enti locali obbligati per legge a nominare i revisori per il monitoraggio contabile dei loro bilanci.
«È il pieno riconoscimento della categoria professionale», sottolinea il presidente dell'Inrl Virgilio Baresi, «che assume un'importanza rilevante nell'imminenza dei decreti attuativi del dlgs 39/2010 in materia di revisione attualmente all'esame di apposite commissioni istituite presso il Mef e nelle quali l'Istituto è presente e parte propositiva con i suoi delegati incaricati dalla presidenza dell'Inrl.
Determinante l'attenzione mostrata dal ministro Cancellieri che, attraverso la fattiva collaborazione del prefetto Frattasi, ha emanato la circolare. Si tratta di una attestazione istituzionale che segue di poche settimane un altro riconoscimento a livello locale, ovvero il provvedimento del presidente della regione Abruzzo Chiodi che ha indicato proprio nei revisori i referenti per i consorzi preposti alla ricostruzione
».
A questo punto il contesto professionale nel quale operano gli oltre 150 mila revisori legali italiani, di cui la maggioranza non iscritta a ordini professionali, è delineato e certificato da una specifica direttiva del governo.
Appare evidente a tutti che oltre all'esclusività del ruolo super partes assegnato, la specifica che «soltanto» i revisori legali con titolarità certificata possono ricoprire questi incarichi negli enti locali e nelle regioni, rappresenta un definitivo chiarimento sul fatto che nessun ordine professionale può vantare paternità esclusive su questa categoria che tra l'altro è composta prevalentemente da liberi professionisti non appartenenti al sistema ordinistico ed inoltre da dottori commercialisti, consulenti del lavoro e da avvocati.
«Chi perservera nel confondere i ruoli o peggio si arroga esclusive rappresentanze», conclude il presidente dell'Inrl, «va contro l'evidenza della legge italiana e i dettami europei».
Il reale contesto legislativo. Il decreto n. 1 firmato il 15.02.2012 dal ministro dell'interno è, nella sostanza, un atto previsto e dovuto nella parte in cui si limita a dare attuazione ai principi introdotti dalla legge 14 settembre 2011 n. 148 (art. 16, comma 25) a proposito della costituzione degli organi di revisione negli enti locali. Il suo contenuto, dunque, non sorprende.
«Il problema», osserva Giovanni Cinque consulente legale dell'Inrl, «deriva invece dal fatto che il predetto impianto normativo, che mette sullo stesso piano i revisori iscritti al registro, i commercialisti e gli esperti contabili, è assolutamente incompatibile con il decreto legislativo 39/2010 che, come sappiamo, ma come evidentemente non tutti sanno a livello istituzionale, riserva l'attività di revisione legale solo ed esclusivamente ai professionisti iscritti nell'apposito registro. L'attuale situazione di caos normativo raggiunge vette ancora più alte se si pensa che, a livello regionale, la stessa legge 14.09.2011 n. 148 (art. 14, lett. e) prevede invece che l'organo di revisione sia costituito solo ed esclusivamente da soggetti iscritti al registro dei revisori legali, in coerenza con la legge n. 39.
Siamo dunque lontanissimi dall'osservanza di quei principi di armonizzazione dei sistemi contabili pubblici che sono di casa in Europa ma che da noi, per il momento, vengono soltanto sbandierati. Non sembra infine secondario sottolineare che, a causa di un contesto legislativo così disarticolato, vi è confusione totale anche sui requisiti di formazione necessari per competere a livello locale. L'auspicio è che il dialogo avviato dall'Istituto e dal suo presidente con i ministeri coinvolti possa portare a una soluzione concordata e definitiva di una situazione tanto confusa da apparire intollerabile
» (articolo ItaliaOggi del 23.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - VARIDl liberalizzazioni approvato in via definitiva. Tutte le novità per le amministrazioni locali. Enti, la tesoreria unica è legge. Più concorrenza nelle utility, revisione Imu, poteri sui taxi.
Ritorno al vecchio sistema di tesoreria unica. Nuova iniezione di concorrenza nei servizi pubblici locali. Revisione della disciplina dell'Imu, con restrizione delle agevolazioni per gli enti non commerciali e introduzione di una nuova fattispecie agevolativa a favore del settore edile. Attribuzione ai comuni del potere di incrementare le licenze per i taxi. Previsione della possibilità di emettere obbligazioni di scopo garantite da beni immobili ai fini della realizzazione di opere pubbliche.
Sono queste le principali misure per gli enti locali contenute nel dl liberalizzazioni (n. 1/2012) che ieri ha ricevuto il via libera definitivo dalla camera (i sì sono stati 365, i no 61, gli astenuti 6). Poche, ma significative, le novità rispetto al testo originario, fra cui quella che consente alle p.a. di saldare i propri debiti anche attraverso l'istituto della compensazione, su cui, peraltro, si sono appuntati i rilievi critici (al momento non superati) della Ragioneria generale dello stato.
Tesoreria unica. Le relative norme hanno subito solo modifiche marginali. I termini per il trasferimento delle somme alla tesoreria statale diventano un po' meno stringenti: non più «entro il» ma «alla data del» 29 febbraio e del 16 aprile. La sostanza, però, non cambia di molto. Nel corso dei lavori parlamentari, si era cercato di trovare una soluzione al problema della differenza fra gli interessi all'1% garantiti dalla tesoreria statale e quelli, spesso superiori, previsti dalle convenzioni di tesoreria in essere, ma l'emendamento è stato stralciato per mancanza di copertura finanziaria.
Positiva, invece, la previsione in base alla quale i tesorieri e i cassieri provvedono ad adeguare la propria operatività alle disposizioni della tesoreria unica il giorno successivo a quello del versamento, ma, nelle more di tale adeguamento, continuano ad adottare i vecchi criteri gestionali.
Servizi pubblici locali. Gli enti locali, dopo aver individuato i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e universale, dovranno valutare la realizzabilità di una gestione concorrenziale, adottando un'apposita deliberazione quadro con i crismi che saranno definiti da un decreto ministeriale e limitando i diritti di esclusiva alle ipotesi in cui l'iniziativa privata risulti inadeguata. Il parere dell'Antitrust sarà obbligatorio solo per gli enti con più di 10.000 abitanti e comunque mai vincolante.
Confermati l'obbligo di gara per gli affidamenti superiori ai 200.000 euro e la ridefinizione del calendario delle scadenze per le gestioni esistenti, con dead line che nella maggior parte dei casi si colloca tra la fine del 2012 e la primavera del 2013, ma con la previsione di una clausola di salvaguardia che garantisce la continuità delle prestazioni qualora le procedure per i nuovi affidamenti vadano per le lunghe. I bacini territoriali ottimali non dovranno più avere obbligatoriamente l'estensione minima del territorio provinciale, poiché le regioni potranno definire ambiti territoriali più limitati, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica.
Imu. L'esenzione a favore degli immobili degli enti non commerciali viene circoscritta alle fattispecie in cui essi operano «con modalità non commerciali». Qualora l'unità immobiliare abbia un'utilizzazione mista (commerciale e non), l'esenzione si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge l'attività di natura non commerciale.
Confermata anche la previsione che consente ai comuni di ridurre l'aliquota di base dell'Imu fino allo 0,38% per i fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall'ultimazione dei lavori.
Taxi. Saranno i comuni a decidere sull'eventuale incremento del numero di licenze, previo parere della nuova Autorità dei trasporti (articolo ItaliaOggi del 23.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALIPiccoli comuni alle urne tra dubbi (sui gettoni) e certezze. Mini-enti falcidiati. Scattano subito i tagli alle poltrone.
I piccoli comuni si avviano alle elezioni amministrative con la certezza dei tagli alle poltrone e qualche dubbio sul trattamento economico dei consiglieri.
Sul primo versante, la manovra di Ferragosto (dl 138/2011) ha usato la mano pesante, sforbiciando sia le giunte sia i consigli in tutti i municipi fino a 10.000 abitanti.
Il decreto milleproroghe (dl 216/2011) ha confermato che il taglio scatterà dal primo rinnovo amministrativo e, quindi, fin da subito per i quasi 800 comuni di tale fascia demografica che andranno alle elezioni a maggio.
Nei comuni fino a 1.000 abitanti, scompare la figura degli assessori e il numero di consiglieri è ridotto a 6. Come chiarito dalla circolare del ministero dell'interno n. 2379/2011 (si veda ItaliaOggi del 23 febbraio), tutte le funzioni oggi assegnate alle giunte spetteranno ai sindaci, che potranno delegarle (come previsto dall'art. 2, c. 186, lett. c), della legge 191/2009, come modificata dalla legge 42/2010) a non più di 2 consiglieri. Sempre fra i consiglieri dovrà obbligatoriamente essere scelto il vicesindaco.
Fra 1.001 e 3.000 abitanti, la delega delle funzioni del sindaco ai consiglieri è solo facoltativa; in alternativa, potranno essere nominati non più di 2 assessori «veri», mentre il numero dei consiglieri sarà, anche in tal caso, pari a 6 (oltre al sindaco).
Fra 3.001 e 5.000 abitanti, i consiglieri salgono a 7 più il sindaco con 3 assessori, mentre fra 5.001 e 10.000 ci saranno 10 consiglieri e 4 assessori.
Emolumenti dei consiglieri. Sul punto si registra qualche incertezza. L'art. 16, comma 18, del dl 138 ha previsto l'eliminazione dei gettoni di presenza per i consiglieri dei comuni fino a 1.000 abitanti. In origine, la decorrenza di tale misura era allineata a quella prevista dal precedente comma 9, che detta i tempi per l'avvio delle unioni attraverso le quali i mini-comuni dovranno obbligatoriamente (e i comuni fra 1.000 e 5.000 abitanti facoltativamente, in alternativa all'obbligo di gestione associata delle sole funzioni fondamentali) esercitare tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti.
Prima dell'intervento del milleproroghe, il comma 9 individuava come spartiacque il «giorno della proclamazione degli eletti negli organi di governo del comune che, successivamente al 13.08.2012, sia per primo interessato al rinnovo» fra quelli facenti parte di ciascuna unione ex art. 16. Successivamente, il dl 216/2011 (o meglio, la relativa legge di conversione, legge 14/2012) ha prorogato tale termine di nove mesi, facendolo slittare al 13.05.2013. Tale proroga non ha riguardato, però, il comma 18, il quale, tuttavia, rinvia espressamente alla «data» fissata dal comma 9.
Pertanto, si pongono due problemi interpretativi: da un lato, individuare quale sia, ai fini del comma 18, la «data» di cui al comma 9 (il 13.05.2013 o quella successiva nella quale il primo comune dell'unione va a elezioni); dall'altro, capire se la proroga di tale «data» valga anche rispetto al divieto di corrispondere i gettoni. In ordine al primo punto, sembra chiaro che il legislatore abbia inteso collegare l'azzeramento dei gettoni dei consiglieri comunali alla partenza della nuova governance delle unioni, nella quale il ruolo dei consigli comunali è destinato a divenire marginale rispetto a quello degli omologhi organi delle nuove forme associative.
Più delicata la seconda questione: da parte dei primi commentatori, la mancata enunciazione del comma 18 da parte del «milleproroghe» è stata interpretata come una conferma del termine originario, per cui il divieto di erogare i gettoni scatterebbe dal primo rinnovo successivo al 13.08.2012 (e non al 13.05.2013). Sembra invece più corretto affermare che la proroga del termine di cui al comma 9 comporta implicitamente anche lo slittamento di quello previsto dal comma 18, trattandosi di fatto, come detto, dello stesso termine (articolo ItaliaOggi del 23.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Se non c'è un regolamento il sindaco non può comprimere i poteri dei consiglieri. Diritto di accesso illimitato. Ma non bisogna intralciare il lavoro degli uffici.
In assenza di apposite norme regolamentari di disciplina del diritto di accesso dei consiglieri, il sindaco può individuare autonomamente delle limitazioni al suddetto diritto, anche con riferimento a esigenze di tutela dei dati personali?

L'esercizio del diritto di accesso è previsto dal secondo comma dell'articolo 43 del dlgs 267/2000, definito dal Consiglio di stato (sent. n. 4471/2005) «diritto soggettivo pubblico funzionalizzato», finalizzato al controllo politico-amministrativo sull'ente nell'interesse della collettività e, come tale, diverso dal diritto di accesso previsto dalla legge n. 241/1990, riconosciuto ai soggetti interessati allo scopo di predisporre la tutela di posizioni soggettive lese. Il diritto del consigliere comunale di ottenere dall'ente tutte le informazioni utili all'espletamento del mandato non incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato al segreto d'ufficio.
Gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche, ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso (Consiglio di stato, sez. V, n. 6963/2010).
Anche la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi ha richiamato il consolidato principio giurisprudenziale (ex multis Consiglio di stato, sez. V. n. 929/2007) secondo cui il diritto del consigliere di accesso agli atti «non può subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell'ente con l'unico limite di poter esaudire la richiesta, qualora sia di una certa gravosità, secondo i tempi necessari per non determinare interruzione delle altre attività di tipo corrente».
Il consigliere deve quindi contemperare il diritto di accesso con l'esigenza di non intralciare lo svolgimento dell'attività amministrativa e il regolare funzionamento degli uffici comunali, comportando ad essi il minor aggravio possibile, sia dal punto di vista organizzativo che economico (Corte dei conti, sez. Liguria n. 1/2004). Sul tema dell'esercizio del diritto di accesso ad atti dell'amministrazione comunale da parte del consigliere comunale si è espressa la Commissione per l'acceso ai documenti amministrativi. Relativamente all'ammissibilità dell'accesso ad atti istituzionali del comune mediante uso di tecnologie informatiche, nonché all'acquisizione in formato digitale (a mezzo Pec) delle deliberazioni consiliari e di giunta e dei relativi atti preparatori, la Commissione ha ritenuto che, sulla base del quadro normativo vigente e della oramai generalizzata diffusione degli strumenti informatici presso i soggetti pubblici e privati, «l'accesso telematico debba essere sempre consentito, soprattutto ove richiesto, non solo nei reciproci rapporti posti in essere tra le pubbliche amministrazioni e in quelli da esse intrattenuti con l'utenza privata, ma anche nei rapporti tra le stesse amministrazioni locali e i componenti eletti nei loro organi consiliari».
Il secondo parere verte sulla problematica relativa all'accesso di un consigliere comunale agli elenchi dei contribuenti locali e dei cittadini morosi nel pagamento dei tributi comunali. Al riguardo, la Commissione osserva che «la disposizione contenuta nell'art. 43 comma 2, Tuel riconosce al consigliere comunale il diritto di ottenere dagli uffici comunali tutte le notizie e le informazioni utili all'espletamento del proprio mandato e gli impone l'obbligo del segreto nei casi specificatamente determinati dalla legge. Indipendentemente dall'inclusione, fra i casi soggetti al segreto, della divulgazione dei contribuenti morosi, gli uffici comunali non possono limitare in alcun caso il diritto di accesso del consigliere comunale, ancorché possa sussistere il pericolo della divulgazione dei dati di cui il medesimo entri in possesso. La responsabilità di aver messo in condizione il consigliere comunale di conoscere dati sensibili cede di fronte al diritto di accesso incondizionato del medesimo, ma può essere invocata dal terzo eventualmente danneggiato solo nei confronti di chi (consigliere comunale) del suo diritto abbia fatto un uso contra legem».
Circa la possibilità che il sindaco sia facoltizzato, in assenza di puntuali disposizioni regolamentari, ad individuare autonomamente i limiti al diritto di accesso dei consiglieri, appare dirimente la sentenza del Tar Campania n. 19672/2008 con la quale è stato accolto il ricorso avverso un decreto sindacale recante la disciplina delle modalità di esercizio del diritto di accesso. Il Tar ha ritenuto sussistente il vizio di incompetenza, considerato che la materia del diritto di accesso dei consiglieri avrebbe dovuto trovare la propria disciplina nel regolamento (articolo ItaliaOggi del 23.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALISulla nomina dei revisori locali non decide più la politica.
Massima trasparenza sul procedimento di scelta del revisore legale degli enti locali. Infatti, il relativo elenco, articolato su base regionale, deve essere reso pubblico attraverso un'apposita sezione sulla home page del sito internet del ministero dell'interno. Lo stesso Viminale, poi, è obbligato a rendere nota, con avviso da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale, la data di effettivo avvio del nuovo procedimento per la scelta dei revisori in scadenza di incarico.
È quanto si ricava dalla lettura del decreto Mininterno 15.02.2012 (si veda ItaliaOggi del 17 marzo scorso), che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 marzo, in merito alle disposizioni previste dalla manovra di Ferragosto 2011. Un procedimento del tutto rivoluzionario, che, di fatto, sottrae all'organo politico la scelta dei nominativi che devono comporre il collegio dei revisori dei conti (ovvero il revisore unico).
Criteri di trasparenza, innanzitutto. Dopo la verifica dei presupposti, diversi in base alla fascia demografica di appartenenza dell'ente locali, il Dm in esame dispone che ogni elenco, uno per ogni articolazione regionale, deve necessariamente riportare, per ciascun revisore in ordine rigorosamente alfabetico, i dati anagrafici, la residenza e la data ed il numero di iscrizione nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Della composizione degli elenchi, come detto, se ne dovrà dare la massima pubblicità. Infatti, si dovranno pubblicare sul sito www.interno.it, dipartimento per gli affari interni e territoriali, con effetti di pubblicità legale ai sensi dell'articolo 32 della legge n. 69/2009.
Trasparenza anche nel procedimento di effettivo avvio del nuovo procedimento di scelta, mediante estrazione a sorte. Come si ricorderà, il procedimento di scelta avviene «pescando» con modalità «random» i nominativi dagli elenchi, attraverso un procedimento telematico che si svolgerà presso la sede di ogni prefettura. L'articolo 5 del dm precisa che, una volta completata la fase di formazione dell'elenco, il Viminale dovrà pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale (oltre che sulle proprie pagine internet), da quando saranno avviate le nuove procedure.
Gli enti locali, poi, sono tenuti a dare comunicazione della scadenza dell'incarico del proprio organo di revisione alla Prefettura della provincia di appartenenza «con almeno 15 giorni di anticipo nel primo mese di effettivo avvio del nuovo procedimento di scelta» e, successivamente, almeno due mesi prima della scadenza stessa. Sarà poi cura di ogni Prefettura, rendere noto agli enti locali il giorno in cui si procederà alla scelta dei revisori. Di tutto il procedimento di estrazione verrà redatto apposito verbale e comunicato all'ente locale affinché provveda alla nomina del collegio o del revisore legale scelto.
Infine, l'articolo 6 del Dm precisa che, in caso di composizione collegiale dell'organo di revisione, le funzioni di presidente sono svolte dal revisore che, in carriera, ha ricoperto il maggior numero di incarichi di revisore presso enti locali e, in caso di ulteriore parità, sarà data preferenza alla maggiore dimensione demografica degli enti in cui si è ricoperto l'incarico (articolo ItaliaOggi del 22.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOL'Inps pretende il biglietto bus da chi assiste un disabile.
Chi assiste un disabile grave distante 150 chilometri dalla propria dimora e vuole fruire dei premessi previsti dalla legge 104/92 è meglio che ci vada in treno o in autobus. Perché se copre in auto la distanza da casa alla dimora del disabile, a meno che no esibisca al ritorno uno scontrino di pedaggio autostradale, rischia di vedersi contestare l'assenza ingiustificata dal lavoro.

É quanto si evince dalla
circolare 06.03.2012 n. 32 dell'Inps che reca i primi chiarimenti su come applicare le novità introdotte dal decreto legislativo 119/2011 alle disposizioni sui permessi per chi assiste un portatore di handicap.
Il provvedimento non è vincolante per l'amministrazione scolastica. Ma proviene comunque da fonte autorevole. E dunque, i chiarimenti in esso contenuti possono essere comunque utili a dissipare lo stato di incertezza in cui versano gli addetti ai lavori a causa dell'estrema complessità delle nuove norme. La nuova stesura dell'art. 33 della legge 194/1992, infatti, prevede che se il disabile da assistere risiede o dimora ad una distanza superiore ai 150 chilometri dal luogo dove vive l'assistente, quest'ultimo, ogni volta che fruisce un permesso per adempiere alla prestazione di assistenza, al ritorno deve provare di esserci andato, esibendo un titolo di viaggio o altro documento idoneo.
In buona sostanza, come spiega anche l'Inps, si tratta di una delle rare disposizioni di legge che impongono espressamente l'inversione dell'onere della prova. E qui la faccenda si complica. Perché la legge fa riferimento al mero titolo di viaggio, quale mezzo di prova. Il che vuol dire che bisogna tirare fuori il biglietto di un mezzo pubblico per giustificare il permesso. Va detto subito, peraltro, che il biglietto di per sé non è utile a provare che il latore del medesimo lo abbia effettivamente utilizzato.
Ma in ogni caso è l'unica ipotesi espressamente prevista dalla legge. E quindi l'Inps ha consigliato agli interessati di viaggiare con i mezzi pubblici se intendono fruire del permesso. Anche se bisogna raggiungere zone interne. Pazienza se ciò comporta un ulteriore onere, che si aggiunge a quello della prestazione di assistenza a distanza di oltre 150 chilometri da casa (articolo ItaliaOggi del 20.03.2012).

PUBBLICO IMPIEGOCongedi retribuiti e non Adesso si cumula tutto.
I congedi retribuiti biennali per assistere i portatori di handicap si cumulano con quelli non retribuiti. E la somma di tutti i periodi di premesso così fruiti non può eccedere i 24 mesi per singolo lavoratore. Il disabile però ha comunque diritto a giovarsi di due anni di assistenza con esonero dal servizio del lavoratore interessato. Pertanto, se l'assistente esaurisce il biennio, cumulando le differenti tipologie di permesso, la restante parte del biennio può essere fruito da un altro lavoratore.

Lo prevede LA
circolare 28.02.2012 n. 28 emanata dall'Inps.
Il provvedimento è vincolante solo per i lavoratori delle varie sedi dell'ente previdenziale, ma proviene comunque da una fonte autorevole. E quindi può essere utile anche alle scuole, in sede di applicazione della normativa sui congedi. Che ha subito recenti modifiche da parte del legislatore, con le quali sono state recepite anche alcune sentenza additive della Corte costituzionale. Dunque, il biennio di congedo si applica una volta sola nell'ambito della vita lavorativa.
Conseguentemente i congedi previsti dall'art. 42 del decreto legislativo 151/2001 si sommano a quelli dell'art. 4 della legge 53/2000 ai fini del biennio. Pertanto, se un lavoratore esaurisce il biennio, per esempio, se utilizza 6 mesi del congedo non retribuito e 18 mesi del congedo retribuito, non ha diritto a fruire di altri periodi di assenza. Fermo restando che si fa riferimento solo ai periodi previsti dall'art. 4 della legge 53/2000 e a quelli dell'art. 42 del decreto legislativo 151/2001. La preclusione, infatti, non vale per altre tipologie di assenze tipiche previste dalla legge o dal contratto. Come per esempio i permessi previsti dall'art. 33 dalla legge 104/1992.
Tornando all'esempio di prima, dunque, al disabile rimangono 6 mesi di congedo retribuito da far sfruttare al proprio assistente. E dunque, se l'assistente esaurisce il congedo di sua spettanza, la parte residua può essere fruita dal soggetto che lo sostituisce. Tale soggetto va individuato secondo una scala di priorità tassativa che risulta così costituita: coniuge, genitore, figlio, fratello (o sorella). Lo scorrimento della scala di priorità va effettuato secondo il criterio della supplenza (articolo ItaliaOggi del 20.03.2012).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici. Le conseguenze della bozza di Dm attuativo delle liberalizzazioni.
Delibera quadro «estesa» a tutti i settori economici. Anche gli ambiti devono effettuare la verifica pre-affidamenti
L'INDAGINE/ La possibilità di concedere esclusive dipende dall'analisi delle modalità gestionali di ogni aspetto dell'attività.

Cominciano a delinearsi i criteri che gli enti locali e i soggetti istituzionali individuati come enti di governo degli ambiti territoriali ottimali dovranno seguire nell'istruttoria per l'attribuzione dell'esclusiva nella gestione dei servizi pubblici locali con rilevanza economica; il passo fondamentale è dato dalla bozza del Dm che illustra i parametri e i contenuti della delibera-quadro (si veda Il Sole 24 Ore del 13 marzo).
Le amministrazioni locali devono svolgere una verifica preliminare per acquisire tutti gli elementi utili per individuare quanti fra i "loro" servizi pubblici sono di rilevanza economica. Molte attività, infatti, sono facilmente riconducibili all'ambito dell'articolo 4 della legge 148/2011, in quanto le caratteristiche di rilevanza economica sono codificate dalla normativa di settore (come nel caso della gestione dei rifiuti o del trasporto pubblico locale), ma molte altre vanno analizzate caso per caso nel rispetto del principio comunitario.
Si pensi, ad esempio, alla ristorazione scolastica, in cui la tariffa è in media inferiore del 30/40% del costo di produzione e sulla gestione pesa molto l'intervento pubblico. In questo quadro, il servizio può risultare privo di rilevanza economica (come evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 6529/2010).
La verifica sulle condizioni per attribuire i diritti di esclusiva deve analizzare il quadro storico e l'attuale modello gestionale del servizio, individuando le attività principali e quelle complementari, con l'indicazione delle eventuali compensazioni economiche ai gestori. Il primo focus deve puntare sull'articolazione operativa del servizio, distinguendo le possibili fasi di gestione separata e rilevando l'eventuale offerta di servizi sostituivi.
Il punto centrale è costituito dall'analisi delle esigenze della comunità, con riferimento alle caratteristiche sociali e demografiche, economiche, ambientali e geomorfologiche dell'ambito territoriale di riferimento.
Questi elementi possono risultare determinanti per la statuizione degli obblighi di servizio pubblico, per la definizione degli standard zonali minimi e per il conseguente orientamento verso una gestione unitaria.
L'istruttoria deve evidenziare anche il valore del servizio (che può risultare decisivo, ad esempio, per l'affidamento in house) e gli investimenti da programmare.
Le risultanze della verifica devono essere quindi sottoposte al confronto con il mercato, con una consultazione per acquisire manifestazioni di interesse degli operatori sulla gestione in concorrenza del servizio.
Questa fase dovrebbe permettere anche di rilevare la sussistenza di situazioni di monopolio naturale o, all'opposto, la possibilità di liberalizzare il servizio o singole sue fasi.
La consultazione con gli operatori permette comunque di riscontrare l'incidenza sulla gestione imprenditoriale degli obblighi di servizio pubblico e universale e degli standard minimi delle prestazioni, oltre che delle caratteristiche della domanda dell'utenza e di tariffe sostenibili per realizzare e mantenere la coesione sociale, al fine della verifica della redditività.
Lo schema di decreto individua anche dei parametri integrativi per il settore dei trasporti pubblici locali e per quello dei rifiuti, richiedendo per questi ultimi la valutazione distinta delle operazioni di spazzamento, raccolta, raccolta differenziata, trasporto, commercializzazione, gestione degli impianti di trattamento, recupero, riciclo e smaltimento di tutti i rifiuti urbani e assimilati, nonché la proiezione gestionale con riferimento alle singole fasi ed alla possibile gestione congiunta.
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Le istruzioni per l'uso
01|ANALISI DELLA QUALIFICAZIONE DEI SPL
L'ente locale deve rilevare la qualificazione dei servizi pubblici locali affidati in chiave di rilevanza economica o meno.
Tale analisi preliminare deve essere effettuata mediante applicazione del principio relativistico.
02|ISTRUTTORIA PER L'ATTRIBUZIONE DEI DIRITTI DI ESCLUSIVA
L'ente locale la deve sviluppare per i Spl (Servizi pubblici locali) con rilevanza economica in base all'articolo 4, commi 1 e 2 della legge 148/2011.
L'istruttoria deve essere sviluppata seguendo lo schema di percorso e i contenuti essenziali previsti nel decreto ministeriale attuativo e può già essere avviata.
03|ANALISI STORICA DELLA SITUAZIONE DEL SPL AFFIDATO
Analisi dello stato storico del servizio.
Possibile confronto con piano industriale del soggetto gestore.
04|FOCUS ASSETTO SPL
Rilevazione dell'articolazione operativa del Spl (Servizi pubblici locali) anche per singole fasi.
Analisi delle esigenze della comunità locale.
Definizione degli obblighi di servizio pubblico e degli standard prestazionali.
Individuazione delle compensazioni.
Analisi del valore del servizio.
05|CONSULTAZIONE CON IL MERCATO
Confronto con gli operatori di mercato per rilevare possibile quadro concorrenziale.
Analisi delle situazioni di monopolio o degli spazi di effettiva liberalizzazione.
Riscontro dell'incidenza degli obblighi di servizio pubblico sulla gestione imprenditoriale e sulla redditività della stessa.
06|FORMALIZZAZIONE DELL'ISTRUTTORIA
Formalizzazione degli elementi elaborati e richiesta di parere all'Agcm (Garante della concorrenza) da produrre entro 60 giorni.
Adozione della delibera-quadro entro 30 giorni dal parere dell'Agcm (Garante della concorrenza).
L'anticipazione.
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Appalti. Decreto in vigore dal 21 marzo. Beni e servizi da programmare anno per anno.
Anche gli acquisti di beni e servizi vanno programmati dalle amministrazioni, anno per anno, insieme al bilancio. L'elencazione dell' attività contrattuale della Pa infatti non è più limitata ai lavori pubblici, ma dal prossimo 21 marzo si estende anche ai servizi e alle forniture.
Dando attuazione a quanto previsto dal Codice degli appalti entra in vigore, proprio mercoledì, il Dm Infrastrutture dell'11.11.2011 (pubblicato sulla «Gazzetta» del 6 marzo scorso) con gli schemi tipo per la programmazione triennale e l'elenco annuale dei contratti pubblici.
Il provvedimento sostituisce i modelli precedenti, datati 2005, pensati prima del Codice dei contratti (Dlgs 163/2006) che ha unificato le procedure per tutti gli appalti, di lavori , servizi e forniture. Ecco perché i nuovi modelli di programmazione si estendono per la prima volta anche ai beni e ai servizi.
A queste ultime due tipologie di contratti pubblici è riservata la scheda 4 dell'Allegato, quella appunto con il «Programma annuale forniture e servizi dell'amministrazione» che va compilata indicando la tipologia di contratto, il responsabile del procedimento, l'importo e le risorse finanziarie disponibili.
Ma in realtà gli enti locali hanno possibilità di discostarsene: sia perché il Ministero precisa che sono «fatte salve le competenze legislative e regolamentari delle Regioni e delle Province autonome» come riconosce in modo esplicito il provvedimento, sia perché la norma sulla programmazione annuale per servizi e forniture non è vincolante. Si chiarisce infatti che le amministrazioni aggiudicatrici «possono» adottare il modello, rendendo quindi la scelta una semplice facoltà.
Unica condizione è che per inserire un acquisto da programmare nell'anno l'ente deve aver completato la progettazione, cioè , deve avere disponibile: una relazione tecnico-illustrativa del contesto in cui va inserito il contratto, le prescrizioni per i documenti della sicurezza, il calcolo della spesa e degli oneri complessivi, il capitolato e lo schema di contratto.
Ma quella sui servizi e le forniture non è l'unica novità che gli enti locali dovranno affrontare nel mettere mano alla programmazione degli appalti: il nuovo decreto è molto più stringente sui vincoli per inserire un lavoro nell'elenco annuale. Rispetto al modello del 2005 non basta più indicare il livello raggiunto dalla progettazione, i vincoli ambientali e le finalità. Occorre avere già in mano la conformità urbanistica che -specifica l'articolo 3- «deve essere perfezionata entro la data di approvazione del programma triennale e relativo elenco annuale».
In altre parole, mentre in base al Dm del 2005 era sufficiente indicare una vaga «conformità urbanistica» dell'opera per inserirla nell'elenco annuale, dal 21 marzo invece l'effettiva fattibilità dell'opera (permessi, coerenza con il Prg e con la destinazione d'uso dell'area) va verificata e acquisita a monte, fin dall'inserimento di quell'intervento nel programma triennale che viene compilato molto tempo prima. Un paletto pensato per rendere più realistico l'elenco annuale che, appunto, potrà contenere solo i progetti realmente fattibili, sui quali sono già state acquisite tutte le autorizzazioni, ma che rischia di rallentare, e di molto, la programmazione dei lavori, visto che proprio la fase delle autorizzazioni e della localizzazione dell'opera è tra le più lunghe e complesse di quelle dell'iter realizzativo.
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Le verifiche
Documenti necessari per inserire un contratto di fornitura nell'elenco annuale:
1) Relazione illustrativa - 2) Documenti per la sicurezza - 3) Calcolo della spesa - 4) Capitolato - 5) Schema di contratto (articolo Il Sole 24 Ore del 19.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIRisorse umane. Effetti paradossali dal cambio di regole. L'incognita Patto sui piccoli blocca anche il personale.
Dal 2013 i piccoli Comuni tra 1.001 e 5mila abitanti precipiteranno tra i limiti e le rigide regole del Patto di stabilità. La questione non è solamente finanziaria, ma abbraccia anche la gestione delle risorse umane. Infatti, attualmente, il contenimento della spesa di personale ha due binari.
Da una parte ci sono i Comuni sopra i 5mila abitanti e le Province, che devono ridurre i costi rispetto all'anno precedente ai sensi del comma 557 della legge Finanziaria 2007; dall'altra gli enti non soggetti a Patto, che devono contenere le spese nel limite di quelle sostenute nel 2004 (comma 562 stessa legge). Dal 2013 anche questi enti rientreranno di conseguenza nella prima casistica.
I dubbi sollevati dalla normativa sono molto consistenti, come mostra fra l'altro il fatto che la Corte dei conti del Veneto (delibera 98/2012) ha rimesso la questione alle Sezioni riunite. Tra le altre cose, gli operatori si chiedono se ci siano scelte da fare nel corso di questo esercizio, e come programmare la gestione del personale per evitare che, dal 2013, si rimanga ingessati?
La prima idea è certamente quella di fare in modo che la spesa del 2012 risulti la più alta possibile, così da diventare base di riferimento per l'anno futuro. Ragionare in questo modo non sembra però molto virtuoso. Infatti, le assunzioni andrebbero programmate sulla base delle effettive esigenze e non esclusivamente su vincoli di natura finanziaria. Purtroppo, però, è il legislatore che con i suoi tagli lineari ed orizzontali abitua a simili comportamenti. Si pensi solamente ai limiti sul lavoro flessibile: va tagliata del 50% la spesa sostenuta nell'anno 2009, a prescindere dalle eventuali e reali necessità operative (e senza le deroghe sulla polizia locale e servizi educativi/scolastici del 2012).
Tra l'altro, proprio queste assunzioni a tempo determinato o con altre forme flessibili, erano il naturale metodo per la sostituzione dei dipendenti assenti dal servizio permettendo anche di mantenere adeguati livelli di spesa di personale per il futuro.
A meno che questa non sia l'occasione buona per rimettere mano all'interpretazione che, se anche non chiaramente condivisa dalla Ragioneria dello Stato, è stata suggellata dalla Corte dei conti, Sezione Autonomie. Questa interpretazione prevede che l'obbligo di riduzione della spesa di personale debba avvenire in termini progressivi e costanti rispetto all'anno precedente (Deliberazioni n. 1 e 3 del 2010).
È evidente che regole sul turn-over e spese di personale da ridurre di anno in anno collidono e portano al collasso la gestione del personale.
E proprio il turn-over sarà un'altra sfida per gli enti minori. Infatti, ad oggi, chi non è soggetto a Patto può assumere nel limite delle cessazioni dell'anno precedente. Dal 2013, anche queste amministrazioni, potranno invece assumere nel limite del 20% delle cessazioni dell'anno precedente.
Un bel pasticcio. Se infatti un piccolo Comune avrà una cessazione nel 2012 e non potrà ricoprirla in quanto nel 2011 non vi era alcuna fuoriuscita di personale, difficilmente riuscirà a portarla a termine anche nel 2013, quando scatterà il 20 per cento.
Certo, rimane sempre la mobilità, considerata neutra (né assunzione, né cessazione) quando avviene tra amministrazioni che hanno limitazioni alle assunzioni. Ma già in questi mesi ci si rende conto che la cessione di contratti tra un ente e l'altro è diventata molto complicata, perché ognuno si aggrappa fortemente alle proprie risorse umane. Una possibile, ulteriore, alternativa potrebbe arrivare dalla gestione associata delle funzioni fondamentali (rinviata di nove mesi) e le convenzioni per l'utilizzo a tempo parziale del personale, disciplinate dall'articolo 14 del contratto nazionale del 2004.
Rapporto tra spese di personale e spese correnti al di sotto del 50% e vincoli sul fondo delle risorse decentrate chiudono il quadretto delle norme che renderanno impossibile l'applicazione delle regole per i comuni che transiteranno nel patto di stabilità.
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I paletti
01|LA REGOLA
Dal 2013 il Patto di stabilità si estende anche ai Comuni compresi fra 1.001 e 5mila abitanti
02|SPESE DI PERSONALE
I Comuni soggetti al Patto devono rispettare regole diverse nella gestione della spesa di personale rispetto agli enti esclusi. I Comuni soggetti al Patto, per esempio, devono ridurre le uscite rispetto all'anno precedente, mentre quelli esclusi sono tenuti solo a mantenere i livelli del 2004
03|TURN-OVER
I Comuni soggetti al Patto devono rispettare le regole del turn-over, mentre quelli esclusi hanno la possibilità di assumere nel limite delle cessazioni dell'anno precedente (articolo Il Sole 24 Ore del 19.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIBilanci 2012 a rischio con le elezioni. Scadenze. Dopo la proroga a giugno non è certo che siano atti «indifferibili»
Il Testo unico degli enti locali (articolo 38, comma 5) stabilisce che i consigli durano in carica sino all'elezione dei nuovi, limitandosi, dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, ad adottare gli atti urgenti ed improrogabili. Fissate le elezioni per il 6 e 7 maggio, i consigli comunali in scadenza si ritroveranno a dover decidere se deliberare il rendiconto di gestione con scadenza prevista al 30.04.2012 e il bilancio di previsione con scadenza prevista il 30 giugno.
Al riguardo non vi sono dubbi sul fatto che l'approvazione del rendiconto di gestione costituisca atto urgente e improrogabile, in quanto atto la cui scadenza è prefissata per legge (si veda la circolare del ministero dell'Interno FL 6/2009 e la circolare Anci 36/2009), e anche in considerazione degli effetti negativi che la mancata approvazione del rendiconto nei termini comporta.
Qualche problema invece sembra sorgere per l'approvazione, da parte del consiglio in scadenza, del bilancio di previsione 2012, dal momento che la scadenza è stata prorogata al 30 giugno e quindi quasi due mesi dopo lo svolgimento delle elezioni. Al riguardo deve evidenziarsi la presenza di giurisprudenza amministrativa (Tar Lombardia) che si è orientata nel senso che la limitazione delle funzioni del Consiglio Comunale, nei 46 giorni antecedenti la data fissata per le elezioni, ai soli atti che siano «urgenti e improrogabili» e non possano pertanto attendere di essere portati all'attenzione del nuovo consiglio, trova inderogabile applicazione soprattutto laddove il potere esercitato in prossimità del suo spirare regoli situazioni future che sono in grado di produrre effetti permanenti e che vincolano nelle scelte discrezionali il successivo titolare della potestà amministrativa.
Per il bilancio 2012, vista la sua possibilità di approvazione entro il 30.06.2012 e quindi ad opera della nuova amministrazione, una sua approvazione da parte del consiglio comunale in scadenza sembra porre il problema del rispetto dei requisiti di urgenza e improrogabilità; ciò tenuto conto soprattutto del fatto che si tratterebbe di scelte che vincolerebbero o condizionerebbero anche la nuova amministrazione (vi veda Tar Puglia n. 382/2004), anche alla luce della giurisprudenza più recente che appare restrittiva al riguardo.
A tal fine va segnalata, tra le altre la sentenza della Corte Costituzionale, la n. 68/2010 che, pur intervenendo in materia regionale (ma con principi validi per l'intero ordinamento delle autonomie), ha sancito chiaramente il principio che nell'immediata vicinanza al momento elettorale, pur restando ancora titolare della rappresentanza del corpo elettorale, il Consiglio non solo deve limitarsi ad assumere determinazioni del tutto urgenti o indispensabili, ma deve comunque astenersi, al fine di assicurare una competizione libera e trasparente, da ogni intervento che possa essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli elettori; interessante sul punto è poi la sentenza 578/2011 del Tar Friuli, che ha escluso la validità di delibere adottate in pendenza di elezioni in assenza di un termine di necessaria esecuzione.
Su questa falsariga è intervenuta in queste settimane anche la circolare della Regione Friuli Venezia Giulia n. 2/2012, del 5 marzo, dove si dice che a decorrere da quella data i Consigli comunali, nell'esercizio della loro discrezionalità amministrativa, potranno autonomamente, individuare i casi in cui ricorrono gli estremi dell'urgenza e improrogabilità richiesti dalla normativa per giustificare l'esercizio delle funzioni loro proprie.
La circolare aggiunge che «si reputa conveniente» -ricordare che questi casi sono senz'altro da rinvenire «ogniqualvolta l'inattività degli organi comporti un danno per l'ente o si configuri come un inadempimento in relazione a precisi obblighi derivanti da leggi, provvedimenti amministrativi o comunque collegati a vincoli contrattuali; si evidenzia, inoltre, la necessità che l'improrogabilità e l'urgenza vengano adeguatamente motivate, specialmente quando sono atti per il cui compimento non è prescritto un termine».
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L'incognita
01|LA REGOLA
Nei 46 giorni precedenti alle elezioni amministrative, il consiglio comunale può occuparsi solo degli atti indifferibili e urgenti, cioè quelli che non possono essere lasciati all'amministrazione subentrante perché obbligati da scadenze vincolanti
02|LA PROROGA
Per il 2012, il termine di presentazione dei bilanci preventivi di Comuni e Province è stato fissato al 30.06.2012, cioè due mesi dopo il turno elettorale
03|LA CONSEGUENZA
L'approvazione dei preventivi 2012 da parte dei consigli uscenti può essere contestata dove i Comuni sono interessati dalle elezioni del 6 e 7 maggio (articolo Il Sole 24 Ore del 19.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 19.03.2012

ENTI LOCALIRevisori degli enti locali, ultimi giorni per le istanze.
Professionisti. Decreto atteso per martedì in «Gazzetta».
LA SCADENZA/ Chi non ha mai svolto la funzione in precedenza deve presentare domanda entro l'entrata in vigore del nuovo regolamento.

Ancora pochi giorni di tempo per i professionisti che vogliono debuttare nel ruolo di revisori dei conti degli enti locali e devono presentare la richiesta di essere inseriti negli elenchi regionali previsti dalla riforma.
Il decreto attuativo del ministero dell'Interno, firmato il 15 febbraio scorso, è ormai arrivato all'ultimo miglio del proprio iter e dovrebbe approdare in «Gazzetta Ufficiale» a breve, probabilmente martedì prossimo. Il provvedimento del Viminale, all'articolo 4, prevede che i revisori al debutto debbano presentare la richiesta di iscrizione «entro la data di entrata in vigore» dello stesso decreto attuativo: anche per questo nelle settimane scorse il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili ha esortato gli interessati a presentare domanda in un Comune (a prescindere dal fatto che nell'ente locale fosse o meno in scadenza il revisore o il collegio attuale). «Naturalmente –spiega Giosuè Boldrini, consigliere delegato agli Enti pubblici nel Cndcec– si tratta di un meccanismo irrazionale, ma l'esigenza principale è ora quella di evitare che una serie di professionisti interessati siano tagliati fuori per le incertezze applicative».
Incertezze che proprio non mancano, come mostra anche il comunicato diffuso ieri dal Viminale, in cui si spiega che il ministero provvederà a «diramare istruzioni di dettaglio» sui passaggi applicativi della riforma che ha cambiato le procedure di nomina, appena il decreto attuativo «in corso di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale» terminerà il proprio iter. Prima non si può.
La nebbia da diradare è fitta, dopo l'incrocio sfortunato tra il decreto attuativo della riforma (scritta all'articolo 16, comma 25 della manovra-bis di Ferragosto; Dl 138/2011) e la norma del Milleproroghe che negli stessi giorni in cui veniva firmato il provvedimento ha rimandato di nove mesi, cioè a fine settembre 2012, il debutto della stessa riforma (articolo 29, comma 11-bis, del Dl 216/2011).
I nodi da sciogliere non sono pochi. La riforma toglie al consiglio comunale il proprio ruolo nella nomina dei revisori, per sottrarre la scelta dei controllori dalla volontà dei controllati, e affida il tutto a un'estrazione da elenchi regionali tenuti dalle Prefetture.
Per essere inseriti negli elenchi occorre fare una richiesta, dopo di che sarà il possesso dei diversi requisiti (in termini di curriculum e di anzianità di iscrizione al registro dei revisori contabili o all'ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili) a indirizzare l'aspirante revisore a una delle tre fasce demografiche previste dalla riforma: la prima è dedicata agli enti fino a 4.999 abitanti (ed è l'unica opzione per chi si trova alla prima esperienza di revisione in un Comune o in una Provincia), la seconda è rivolta agli enti fra 5 e 14.999 abitanti (servono almeno 5 anni di iscrizione, un mandato pieno già svolto da revisore e 10 crediti formativi sul tema accumulati fra gennaio e novembre dell'anno precedente; in prima applicazione i crediti richiesti sono 15 nell'ultimo triennio) e la terza, riservata a chi ha almeno 10 anni di iscrizione e due esperienze da revisore locale (oltre ai crediti), permette di operare in tutti gli enti locali.
Oltre alla pubblicazione del provvedimento, c'è poi da mettere in piedi l'architettura informatica che guiderà istanze ed estrazioni. Anche su questo aspetto, oltre che sulle precise tappe applicative del nuovo sistema, arriveranno nelle prossime settimane i chiarimenti del Viminale.
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Il quadro.
01|LA RIFORMA
L'articolo 16, comma 25, del Dl 138/2011 cambia il sistema di nomina dei revisori dei conti in Comuni e Province. La scelta è sottratta ai consigli comunali e provinciali, e affidata all'estrazione da elenchi regionali, suddivisi in tre fasce: la prima fascia, che consente di svolgere la funzione negli enti fino a 4.999 abitanti, è riservata ai revisori al debutto
02|L'ISTANZA
Chi non ha in curriculum precedenti mandati da revisore dei conti, deve presentare una «richiesta di svolgere la funzione» entro la data in vigore del decreto attuativo
03|L'ATTUAZIONE
Il decreto sarà pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» nei prossimi giorni, probabilmente martedì; per questa ragione il Cndcec ha invitato tutti gli interessati a presentare richiesta in un Comune, a prescindere dal fatto che lì il mandato sia in scadenza (articolo Il Sole 24 Ore del 17.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Testamento politico in naftalina. Slitta la relazione di fine mandato per i sindaci ricandidati. Il ministro dell'interno congela il regolamento atteso dalla Conferenza stato-città.
La relazione di fine mandato può attendere. I sindaci in scadenza che si ricandideranno alle elezioni amministrative del 6 e 7 maggio saranno dunque esonerati dall'obbligo di informare i cittadini su cosa hanno fatto e come hanno speso i soldi pubblici.
L'obbligo di redigere (e di rendere pubblico sul sito internet del comune) quello che da più parti è stato definito come una sorta di «testamento politico» del primo cittadino costituisce uno dei fiori all'occhiello dell'ultimo decreto legislativo attuativo del federalismo fiscale, il dlgs n. 149/2011, che è anche uno degli ultimi provvedimenti approvati dal governo Berlusconi.
La relazione di fine mandato avrebbe dovuto debuttare dalle prossime elezioni di maggio se il governo presieduto da Mario Monti avesse deciso di rispettare il timing previsto nello stesso dlgs.
Entro 90 giorni dall'entrata in vigore del dlgs (05.10.2011), e dunque entro il 05.01.2012, il ministero dell'interno, d'intesa col Mef, avrebbe dovuto approvare, previo accordo in Conferenza stato-città, lo schema tipo per la redazione del testamento politico dei sindaci, nonché uno schema semplificato per i comuni con meno di 5.000 abitanti.
Fatto sta che i tecnici del dicastero guidato da Anna Maria Cancellieri si sono subito messi al lavoro per predisporre una bozza di provvedimento da portare in Stato-città in tempo utile per le prossime amministrative.
Ma con sorpresa nell'ultima riunione della Conferenza (quella del 1° marzo in cui tra l'altro è stato raggiunto l'accordo sulla ripartizione del fondo di riequilibrio dei comuni e delle province) dello schema di relazione di fine mandato non c'è stata traccia. Il testo, atteso per l'esame, è stato alla fine cancellato dall'ordine del giorno, tutto dedicato invece alla finanza locale.
Il decreto è stato però esaminato lo stesso «fuori sacco» su richiesta degli stessi enti locali (evidentemente preoccupati per l'entrata in vigore dell'obbligo di trasparenza) e la Cancellieri è stata chiara: slitta tutto. «E' bene soprassedere», ha detto il ministro, «per quest'anno si deroga in attesa che il Viminale definisca gli ultimi dettagli dello schema tipo». Un vero e proprio time-out, quello chiesto dal ministro, che renderà però impossibile l'applicazione delle nuove regole sin dalle prossime elezioni amministrative nelle quali sarà coinvolto un campione significativo di comuni (1017 comuni, in pratica uno su otto).
Ma cosa c'è (o meglio ci sarebbe dovuto essere) nella relazione di fine mandato di così «compromettente»? Nulla per un sindaco che non abbia niente da nascondere. Il decreto attuativo del federalismo chiede di far luce su:
   - sistema ed esiti dei controlli interni;
   - eventuali rilievi della Corte dei conti;
   - azioni intraprese per il rispetto dei saldi di finanza pubblica programmati e stato del percorso di convergenza verso i fabbisogni standard;
   - situazione finanziaria e patrimoniale del comune e delle società controllate;
   - quantificazione dell'indebitamento.
Il dlgs n. 149/2011 impone la sottoscrizione della relazione non oltre il novantesimo giorno antecedente la data di scadenza del mandato. Entro e non oltre dieci giorni successivi alla sottoscrizione il documento deve essere certificato dall'organo di revisione del comune.
Il sindaco inadempiente, prosegue il decreto, deve spiegare le ragioni della mancata compilazione dandone notizia sul sito istituzionale del comune. Una gogna mediatica da cui per quest'anno i sindaci saranno al riparo.
Fondo di riequilibrio e Imu. Intanto a tenere banco nella dialettica governo-comuni c'è il problema della ripartizione del fondo di riequilibrio (che quest'anno ammonta a 6,8 miliardi, si veda ItaliaOggi del 02/03/2012).
I conti infatti sembrano non tornare per molti comuni e a far saltare il banco per i sindaci è l'incerta quantificazione del gettito Imu che nelle attese di Monti dovrebbe compensare i tagli al fondo. Tuttavia, le prime cifre circolate sulla ripartizione delle spettanze sono largamente inferiori alle attese dei singoli enti (il che per il momento ne impedisce la pubblicazione sul portale dell'Ifel) nonostante sulla quantificazione del fondo l'Anci abbia espresso parere favorevole nella Stato-città del 1° marzo.
Il presidente dell'Anci, Graziano Delrio, ha chiesto alla Conferenza «l'urgente convocazione del tavolo tecnico sulla finanza locale» per verificare «il percorso di attuazione del decreto salva Italia ed i suoi riflessi sulla predisposizione del bilancio di previsione per il 2012». Una richiesta di incontro è stata anche inviata ai relatori del dl fiscale, Antonio Azzolini e Mario Baldassarri (articolo ItaliaOggi del 16.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: Liberalizzazioni cum grano salis. Vanno verificati gli standard di qualità e l'offerta sostitutiva. Le novità del regolamento degli Affari regionali sull'apertura al mercato dei servizi pubblici locali.
La possibilità di liberalizzare i servizi pubblici locali di rilevanza economica sarà verificata con riguardo alle esigenze delle comunità locali, all'offerta di servizi sostitutivi, agli standard minimi di qualità e sarà conseguente a una consultazione pubblica aperta agli operatori del settore interessati alla gestione del servizio; soltanto dopo aver effettuato la verifica l'ente potrà decidere se sia opportuno mantenere sistemi di esclusiva.
Sono questi alcuni dei profili di maggiore rilievo dello schema di regolamento, di iniziativa del ministro per gli affari regionali, di concerto con quello dell'economia e dell'interno, sulla verifica della concorrenzialità nell'ambito delle gestioni dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Il provvedimento, ancora non definitivo e in attesa di iniziare l'iter dei pareri, attua il contenuto dell'articolo 4 del decreto legge 13.08.2011, n. 138, che impone ai comuni di liberalizzare tutte le attività economiche, compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio e limitando, negli altri casi, l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità.
Il regolamento, che si applicherà a tutti gli enti territoriali anche associati o consorziati, disciplina quindi i criteri per la verifica di mercato e per l'adozione della relativa delibera quadro, oltre alle modalità di pubblicità dei dati relativi alla gestione dei servizi. Si prevede in particolare che la verifica, da concretizzare in una relazione istruttoria, debba in primo luogo prendere in considerazione le attuali modalità di gestione del servizio pubblico, facendo quindi una fotografia della situazione presente sul mercato e mettendo in risalto eventuali compensazioni economiche riconosciute ai gestori del servizio.
La verifica dovrà poi prendere in considerazione una pluralità di elementi fra i quali l'articolazione operativa del servizio e le eventuali distinte fase di gestione separata e, dall'altro lato, l'eventuale offerta di servizi sostitutivi; le esigenze della comunità locale facendo riferimento alle caratteristiche sociali, demografiche, economiche, ambientali del territorio sul quale insiste la gestione. Altri profili da prendere in esame sono quelli concernenti gli obblighi di servizio pubblico, gli standard minimi delle prestazioni, il valore economico stimato del servizio pubblico locale, gli eventuali investimenti da programmare, anche per opere infrastrutturali, con i relativi tempi di attuazione.
La verifica dovrà essere effettuata attraverso una procedura di consultazione del mercato, adeguatamente pubblicizzata per raccogliere le manifestazioni di interesse degli operatori del settore di riferimento alla gestione in concorrenza del servizio, ovvero di sue singole fasi suscettibili di gestione separata. Nella verifica si dovrà evidenziare la sussistenza di situazioni di monopolio naturale, anche con riferimento alla gestione delle opere infrastrutturali e degli impianti fissi, nonché la possibilità di liberalizzare il servizio o singole fasi dello stesso, l'incidenza, sulla gestione degli standard minimi delle prestazioni e delle caratteristiche della domanda dell'utenza e di tariffe sostenibili per realizzare e mantenere la coesione sociale, al fine della verifica della redditività.
Si dovrà infine fare riferimento anche alle esperienze di altre aree geografiche. A queste caratteristiche generali il regolamento aggiunge alcune specifiche per il settore del trasporto pubblico e dei rifiuti. Una volta effettuata la verifica l'ente locale adotterà la delibera che, a sua volta, sarò trasmessa all'Antitrust per il parere da rendere entro 60 giorni in merito alle ragioni per un'eventuale attribuzione di diritti di esclusiva e alla correttezza della scelta eventuale di procedere all'affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali. Ricevuto il parere la delibera quadro verrà adottata entro i trenta giorni successivi.
Il regolamento istituisce anche l'Osservatorio dei servizi pubblici locali, presso la Conferenza unificata, che dovrà assicurare, mediante un sistema di benchmarking, il progressivo miglioramento della qualità ed efficienza di gestione dei servizi (articolo ItaliaOggi del 16.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATASull'acquisizione d'ufficio del Durc repetita non iuvant.
Durc da acquisire d'ufficio. Dopo la conversione in legge del dl 5/2012 sulle semplificazioni, divengono ben quattro le disposizioni che ripetono la stessa previsione, ma non risolvono il problema creato dal ministero del lavoro sull'autocertificabilità del documento.
La legge di conversione del decreto semplificazioni ha introdotto nell'articolo 14 un nuovo comma 6-bis, ai sensi del quale «nell'ambito dei lavori pubblici e privati dell'edilizia, le amministrazioni pubbliche acquisiscono d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva con le modalità di cui all'articolo 43 del decreto del presidente della Repubblica 28.12.2000, n. 445».
È un raro caso nel quale il legislatore si mostra molto incerto o della chiarezza o della efficacia delle proprie disposizioni. Infatti, norme in tutto e per tutto analoghe sono già vigenti. La prima disposizione a prevederlo è stato l'articolo 16-bis, comma 10, del dl 185/2008, convertito in legge 2/2009: «Le stazioni appaltanti pubbliche acquisiscono d'ufficio, anche attraverso strumenti informatici, il documento unico di regolarità contributiva (Durc) dagli istituti o dagli enti abilitati al rilascio in tutti i casi in cui è richiesto dalla legge». Poi, è intervenuto l'articolo 6, comma 3, del dpr 207/2010: «Le amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono d'ufficio, anche attraverso strumenti informatici, il documento unico di regolarità contributiva in corso di validità». Da ultimo l'articolo 44-bis del dpr 445/2000, introdotto dall'articolo 15, comma 1, lettera d), della legge 183/2011: «Le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d'ufficio».
Insomma, dovrebbe essere chiaro: il Durc non può essere chiesto alle imprese, ma le pubbliche amministrazioni debbono acquisirlo d'ufficio. In cosa l'articolo 14, comma 6-bis, della legge di conversione del decreto semplificazioni dovrebbe rappresentare una semplificazione, tuttavia, è difficile capire. La disposizione, infatti, non aiuta in alcun modo, come invece sarebbe stato opportuno, a superare i problemi posti dalla «decertificazione» operata con la citata legge 183/2011. Il Durc, infatti, è senza alcuna ombra di dubbi un certificato e, dunque, non potrebbe essere utilizzato dalle amministrazioni appaltatrici.
Il decreto semplificazioni non ha risolto questa situazione, esentando, ad esempio, espressamente il Durc dalla decertificazione. Il ministero del lavoro con nota 16.01.2012, n. 619, poi confermata da Inps e Inail, ha ritenuto che il Durc non sia nemmeno autocertificabile, in chiaro contrasto con quanto prevede, invece, l'articolo 38, comma 2, del dlgs 163/2006. Anche su questo la conversione del dl semplificazioni tace. L'ennesima ripetizione del dovere di acquisire d'ufficio il Durc sta già creando problemi interpretativi e operativi. Sono già state avanzate teorie secondo le quali, stando al tenore letterale dell'articolo 14, comma 6-bis, del dl semplificazioni la richiesta del Durc d'ufficio dovrebbe considerarsi obbligatoria solo per lavori pubblici ed attività edilizie, ad esclusione, allora, delle procedure di acquisizione di servizi e forniture.
Tale tesi non appare accoglibile, perché il dovere di acquisire d'ufficio il Durc è fissato da più norme, nessuna delle quali appare modificata o derogata dall'articolo 14, comma 6-bis e, per altro, detto dovere è conforme al principio generale dell'articolo 43 del dpr 445/2000 (articolo ItaliaOggi del 16.03.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: P.a., ai raggi X personale e spesa. Circolare Rgs con le indicazioni.
Definito il cronoprogramma relativo al monitoraggio sull'andamento annuale della consistenza del personale pubblico e sulla relativa spesa, nonché le modalità operative per la relazione allegata al conto annuale del 2011.

Lo ha messo nero su bianco la Ragioneria generale dello stato nella circolare 09.03.2012 n. 8, con la quale, d'intesa con la funzione pubblica, ha fornito le indicazioni operative in merito alle rilevazioni obbligatorie previste dal titolo V del testo unico sul pubblico impiego.
Monitoraggio
Per il corrente anno parteciperanno al monitoraggio, che comporta l'invio trimestrale dei dati mensili relativi all'andamento delle spese e dell'occupazione, un campione di 598 comuni, le province, le aziende sanitarie, quelle ospedaliere universitarie, nonché gli enti pubblici non economici con più di 200 unità di personale e gli enti di ricerca e sperimentazione. Rispetto allo scorso anno, il monitoraggio 2012 si caratterizza per la sostanziale riduzione del campione di enti locali che vi partecipano. Rispetto agli 840 enti del 2011, si passa al campione attuale di 598, sostituendo, in gran parte, molti enti locali con un numero di dipendenti inferiore alle duecento unità.
Per la trasmissione dei dati, gli enti interessati dovranno utilizzare l'apposito portale Sico (www.sico.tesoro.it), secondo un calendario prestabilito. In pratica, i dati afferenti al primo trimestre 2012 dovranno essere trasmessi entro il 30 aprile, i dati del secondo semestre entro il 31 luglio, quelli relativi al terzo trimestre entro il 31 ottobre e, infine, i dati dell'ultimo trimestre 2012 dovranno essere inviati entro il 31.01.2013.
Relazione conto annuale
Secondo la circolare firmata dal ragioniere generale Mario Canzio, per quanto riguarda gli enti locali (ovvero comuni, Unioni di comuni e province), l'invio dei dati da allegare al conto annuale del 2011 avverrà in una «sostanziale invarianza» di contenuto rispetto alla rilevazione operata per il 2010. Per i ministeri, le Agenzie fiscali e la presidenza del Consiglio, invece, le informazioni sulla localizzazione e sul tipo di struttura dell'unità organizzativa che rileva, saranno riportate nell'apposita maschera di rilevazione. Novità in arrivo, invece, per le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale. Queste amministrazioni, per la prima volta, trasmetteranno i dati direttamente nel predetto portale Sico.
Anche per la relazione in oggetto, la Ragioneria definisce un preciso crono-programma. In dettaglio, gli enti locali trasmetteranno i dati 2011, nell'arco temporale che va dal 15 marzo al 07.05.2012. Le aziende sanitarie saranno invece impegnate dal 1° giugno al 31 luglio e, infine, ministeri, agenzie fiscali e presidenza del consiglio procederanno alla rilevazione dal 2 luglio al 31 agosto. In nessun caso, si precisa nella circolare, le rilevazioni dovranno essere trasmesse in forma cartacea.
A tal fine, la stessa Ragioneria mette a disposizione degli enti interessati un servizio di help desk all'indirizzo di posta elettronica assistenza.pi@tesoro.it (per assistenza relativa monitoraggio) e relazione.sico@tesoro.it (per problematiche relative alla relazione) (articolo ItaliaOggi del 16.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Le determine su internet. Anche gli atti dirigenziali da pubblicare online. Il sito web istituzionale sostituisce l'affissione all'albo pretorio del comune.
Quali sono gli adempimenti che il comune deve espletare in ordine alla pubblicazione delle determinazioni dirigenziali sui siti informatici, a seguito dell'emanazione dell'art. 32 della legge 28.06.2009, n. 69, recante norme per l'eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea?
L'art. 32, comma 1, della legge 28.06.2009, n. 69 dispone che «gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati», e il successivo comma 5 prevede che a decorrere dall'01.01.2011 le pubblicità effettuate in forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale.
La disciplina ha implicitamente modificato l'art. 124 del dlgs n. 267/2000 nella parte in cui dispone che la pubblicazione avvenga «mediante affissione all'albo pretorio nella sede dell'ente», sostituita dalla pubblicazione sul sito istituzionale dell'ente, fermo restando il termine di 15 giorni consecutivi salvo specifiche disposizioni di legge.
In merito il Consiglio di stato, con sentenza n. 1370 del 15.03.2006, ha stabilito che «la pubblicazione all'albo pretorio del comune è prescritta dall'art. 124, T.u. n. 267/2000 per tutte le deliberazioni del comune e della provincia ed essa riguarda non solo le deliberazioni degli organi di governo (consiglio e giunta municipali) ma anche le determinazioni dirigenziali».
Lo strumento informatico ha sostituito, dunque, il tradizionale albo pretorio, rimanendo inalterati, sotto la nuova forma, gli obblighi di pubblicazione.
L'ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione - Digit P.a., nelle due linee guida per i siti web della pubblica amministrazione ed in particolare nel «Vademecum sulle modalità di pubblicazione dei documenti nell'albo online», predisposto sulla base della direttiva n. 8 del 26.11.2009 del ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, ha specificato che «per gli enti locali l'attività dell'albo consiste nella pubblicazione di tutti quegli atti sui quali viene apposto il referto di pubblicazione», includendo tra tali atti le deliberazioni ed altri provvedimenti comunali tra cui anche le determinazioni in argomento (articolo ItaliaOggi del 16.03.2012).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Nomina del capogruppo.
Come viene disciplinata la nomina di un capogruppo consiliare nel caso in cui, all'interno di un gruppo consiliare composto da due consiglieri, pur in presenza di regolare designazione del capogruppo consiliare con presa d'atto del Consiglio comunale, il secondo consigliere abbia rivendicato il proprio diritto alla designazione di capogruppo, avendo riportato il maggior numero di voti nella lista?

L'esistenza dei gruppi consiliari non è espressamente prevista dalla legge, ma si desume implicitamente da quelle disposizioni normative che contemplano diritti e prerogative in capo ai gruppi o ai capigruppo (in particolare, art. 38, comma 3 – art. 39, comma 4 e art. 125 del dlgs n. 267/2000). Pertanto, la materia dei gruppi consiliari è regolata primariamente dalle norme statutarie e regolamentari proprie di ogni singolo ente locale, per cui è alla stregua di tali norme che occorre valutare e risolvere le questioni ad essa afferenti.
Se, nel caso di specie, lo statuto comunale prevede che il capogruppo è «eletto dagli appartenenti al gruppo», rinviando al regolamento la disciplina della formazione, del funzionamento e delle attribuzioni dei gruppi consiliari e questo prevede che i singoli gruppi devono comunicare, per iscritto, al presidente ed al segretario comunale il nome del proprio capogruppo alla prima riunione del consiglio neo eletto; che con la stessa procedura dovranno segnalarsi le successive variazioni della persona del capogruppo; che in mancanza di tali comunicazioni viene considerato capogruppo ad ogni effetto il consigliere del gruppo che abbia riportato il maggior numero di voti nelle liste di appartenenza, appare evidente che le variazioni della persona del capogruppo debbano essere comunicate con nota sottoscritta «dai singoli gruppi», stante la necessità di seguire «la stessa procedura» utilizzata per la prima designazione.
L'automatica individuazione del capogruppo nel consigliere che abbia riportato il maggior numero di voti nelle liste di appartenenza è un criterio residuale che può essere utilizzato solo all'atto dell'insediamento del consiglio comunale e in mancanza di comunicazioni (articolo ItaliaOggi del 16.03.2012).

aggiornamento al 16.03.2012

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOVisite fiscali, occhio all'ora. Richiesta entro le 9 per il controllo in giornata. L'Inps fornisce ulteriori chiarimenti sul sistema di prenotazione online.
La visita fiscale all'Inps si può richiedere 24 ore su 24, ma l'effettuazione nello stesso giorno (della richiesta) è garantita soltanto per le istanze inviate entro le ore 12. In particolare, i datori di lavoro, pubblici e privati, possono inviare in ogni momento della giornata la richiesta di controllo malattia dei dipendenti tramite il canale telematico (unico canale adoperabile); tuttavia lo smistamento delle richieste ai medici incaricati avviene: per i controlli nella fascia antimeridiana con riferimento alle richieste pervenute entro le ore 9; per quelli pomeridiani con riferimento alle richieste arrivate entro le ore 12.
Lo precisa, tra l'altro, l'Inps nel messaggio 12.03.2012 n. 4344.
La visita fiscale. I chiarimenti riguardano l'effettuazione delle visite fiscali da parte dell'Inps su richiesta dei datori di lavoro sia pubblici che privati, perché l'Inps ha la titolarità all'effettuazione dei controlli medico-legali ai lavoratori assenti per malattia anche nel caso in cui si tratti di soggetti non tenuti al versamento della relativa contribuzione all'istituto (settore pubblico).
Tuttavia, per i datori di lavoro privati l'Inps è l'unico istituto di riferimento, per quelli pubblici resta ferma la possibilità alternativa di rivolgersi alle Asl territorialmente competenti, in base alle modalità previste dalle stesse strutture.
Fasce di reperibilità. Con riferimento al settore pubblico, la circolare puntualizza che il servizio fornito dall'Inps non copre a oggi l'intero orario di reperibilità previsto per tali lavoratori (si veda tabella), essendo possibile effettuare le visite di controllo unicamente nelle fasce di reperibilità relative ai lavoratori del settore privato.
Pertanto, con il nuovo sistema di richiesta online il datore di lavoro può inoltrare le richieste in qualsiasi momento, nell'arco delle 24 ore; tuttavia, vengono elaborate e smistate giornalmente ai medici di competenza le richieste pervenute entro le ore 9 per la fascia antimeridiana ed entro ore 12 per quella pomeridiana.
Indirizzo reperibilità. Per consentire il controllo domiciliare, spiega ancora la circolare, è di fondamentale importanza che il lavoratore verifichi, con la massima attenzione e precisione, l'inserimento nel certificato telematico dei dati riferiti all'indirizzo per la reperibilità.
Anche per tale aspetto, infatti, nulla è innovato rispetto al passato e, pertanto, la responsabilità sulla correttezza delle informazioni ricade unicamente sul lavoratore che ha il diritto e l'onere di controllare i dati al momento dell'inserimento da parte del medico o successivamente visualizzando la copia stampata del certificato stesso (il lavoratore rischia di perdere l'indennità per malattia).
Canale telematico esclusivo. Con riferimento alle segnalazioni di alcune sedi di imprese che continuano a inviare le richieste di visite mediche mediante fax, l'Inps precisa che le stesse possono essere accolte soltanto in eventuali casi di interruzione del servizio telematico connessi a problematiche di tipo tecnico. In via ordinaria, dunque, l'Inps non dà seguito alle richieste non pervenute in via telematica.
Allo stesso tempo, spiega infine la circolare, sono da ritenersi abolite tutte le pregresse modalità informative circa l'esito delle visite (quale l'invio per lettera della copia al datore di lavoro): di tale esito ne sono informati ugualmente per via telematica, nell'apposita sezione presente sul portale internet (articolo ItaliaOggi del 13.03.2012).

APPALTI SERVIZIUtility. Pronta la bozza dell'articolo 4 della legge 148/2011. Affidamento dei servizi, in arrivo le regole attuative.
La verifica per l'attribuzione dei diritti di esclusiva in relazione alla gestione di un servizio pubblico locale deve fondarsi su un'analisi accurata di tutti i profili operativi ed economici del servizio, al fine di evidenziare gli aspetti peculiari che possano determinare la scelta per la gestione delle attività da parte di un unico soggetto.
Lo schema del quadro attuativo dell'articolo 4 della legge n. 148/2011, da definire in forma regolamentare entro il 31 marzo prossimo e ora disciplinato con una bozza che qui anticipiamo, presenta una struttura che delinea il percorso per l'istruttoria della delibera-quadro in termini molto dettagliati, partendo dal l'analisi della situazione attuale e dalla esplicitazione dell'articolazione, operativa del servizio pubblico locale, eventualmente distinta in fasi di gestione separata, nonché l'eventuale offerta di servizi sostituivi.
Partendo dalle esigenze della comunità locale, le amministrazioni sono chiamate alla rilevazione specifica degli obblighi di servizio pubblico e delle correlate compensazioni, nonché del valore complessivo del servizio in gestione. Sulla base di tali elementi conoscitivi, gli enti locali devono effettuare la verifica confrontandosi con gli operatori di mercato, per mezzo di un'indagine volta ad acquisire manifestazioni di interesse degli operatori del settore di riferimento alla gestione in concorrenza del servizio, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico.
Dal confronto sarà possibile rilevare le situazioni di monopolio naturale o l'incidenza degli stessi obblighi di servizio sulla gestione imprenditoriale, ma anche l'eventuale liberalizzazione di parti o fasi del servizio. Solo qualora dall'esame articolato dei vari presupposti (che può comprendere anche confronti di benchmarking con altre situazioni) non emerga la realizzabilità di una gestione concorrenziale del servizio o di singole fasi dello stesso, l'ente competente può procedere all'affidamento in esclusiva dei servizi (con gara, società mista o in house, alle condizioni restrittive previste dal comma 13).
In base alla riformulazione dei commi 3 e 4 dello stesso articolo 4 ad opera del Dl n. 1/2012, per i Comuni con popolazione superiore ai 10mila abitanti i risultati della verifica dovranno essere sottoposti all'Agcm per la resa di un parere obbligatorio entro sessanta giorni e, una volta acquisito il parere, le amministrazioni avranno trenta giorni per adottare il provvedimento con il quale attribuire i diritti di esclusiva.
Lo schema di regolamento propone una serie di elementi di analisi ulteriori, rispetto a quelli generalmente applicabili, per le principali tipologie di servizi pubblici con riferimento d'ambito, individuando procedure valutative specifiche per il trasporto pubblico locale e per la gestione dei rifiuti. Disposizioni particolari vanno a disciplinare anche il percorso che gli enti locali devono formalizzare con la delibera-quadro qualora intendano affidare simultaneamente più servizi pubblici locali.
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In sintesi
01|L'AFFIDAMENTO
L'articolo 4 della legge 148/2011 (disciplina generale dei servizi pubblici locali) prevede che prima di procedere all'affidamento, le amministrazioni locali debbano verificare se il servizio pubblico può essere attribuito in gestione a un unico soggetto
02|LA VERIFICA
La verifica deve essere sviluppata con un'istruttoria, che deve analizzare esigenze della comunità locale, obblighi di servizio pubblico e mercato. Se l'analisi rileva che il servizio non può essere liberalizzato, si procede all'attribuzione dei diritti di esclusiva (articolo Il Sole 24 Ore del 13.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMalattia. Dipendente più responsabile. Deve verificare la correttezza dell'indirizzo scritto dal medico nel certificato.
Per consentire il controllo medico legale domiciliare, è importante che il lavoratore verifichi l'inserimento nel certificato telematico dei dati riferiti all'indirizzo per la reperibilità.
Lo ha precisato l'Inps con il messaggio 12.03.2012 n. 4344, in seguito a richieste da parte dei datori di lavoro pubblici e privati sull'attivazione del canale telematico per la richiesta all'Inps delle visite mediche di controllo domiciliare e/o ambulatoriale da parte dei datori di lavoro di cui alla circolare 118/2011.
Viene sottolineato, che la richiesta è offerta ai datori di lavoro nel rispetto della normativa già esistente che riconosce all'Istituto la titolarità all'effettuazione dei controlli medico legali ai lavoratori assenti per malattia, anche nell'ipotesi in cui si tratti di soggetti non tenuti al versamento della relativa contribuzione all'Inps. In ogni caso, vi è sempre la possibilità per i datori di lavoro pubblici di far riferimento alle Asl territorialmente competenti.
Per i lavoratori del settore pubblico, attualmente il servizio dell'Inps non potrà coprire tutto l'orario di reperibilità (9.00-13.00/15.00-18.00), dato che le visite mediche di controllo possono essere effettuate solo nelle fasce di reperibilità dei lavoratori del settore privato (10.00-12.00/17.00-19.00). Particolare importanza riveste, come fatto cenno, l'indirizzo sul certificato; la responsabilità sulla correttezza delle informazioni riportate, è del lavoratore che ha il diritto e dovere di controllare tali dati al momento dell'inserimento da parte del medico o dopo visualizzando la copia stampata del certificato stesso.
Infatti, ai fini dell'indennizzabilità della malattia, si dovrà garantire la massima diligenza nel fornire anche gli elementi utili di dettaglio per consentire il reperimento, specie in quei casi di particolare complessità: contrade di notevole vastità, frazioni, complessi comprendenti più palazzine ma con un unico numero civico, ecc. Per quanto concerne le visite richieste via fax, l'Inps precisa che le istanze di visite mediche di controllo che pervengono con questo canale potranno essere accolte solo in eventuali possibili casi di interruzione del servizio telematico connessi a problematiche di tipo tecnico.
Inoltre, sono abolite tutte le pregresse modalità informative sull'esito delle visite domiciliari, invio per lettera della copia per il datore di lavoro, dato che di tale esito ne saranno informati sempre per via telematica, utilizzando l'apposita sezione a loro disposizione sul portale internet. Infine, precisa l'Inps, rimane in vita ogni altra comunicazione resa disponibile dalle relative procedure a seguito dell'apposizione di specifici codici di trattazione (ad esempio per sanzioni o giustificazioni) (articolo Il Sole 24 Ore del 13.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - VARI: Non è più d'obbligo redigere il documento programmatico previsto dal codice della privacy.
Addio al Dps. Non alla sicurezza. Obiettivo: semplificare gli adempimenti, riducendone i costi

Semplificazione privacy pesante per imprese, professionisti e p.a. È stato, infatti, abolito il Dps privacy. Non occorre, quindi, più redigere un documento programmatico sulla sicurezza e non occorre aggiornarlo di anno in anno. L'articolo 45 del decreto legge 5/2012 (il cosiddetto decreto semplificazioni), infatti, abroga la lettera g) dell'articolo 34, comma 1, del codice della privacy (dlgs 196/2003).
L'abolizione dell'adempimento è l'ultimo atto di una serie di tentativi (andati a buon fine) tesi a eliminare un adempimento che ha avuto alterna fortuna. Mentre da alcuni è stato apprezzato in quanto strumento organizzativo efficace, da molti, invece, è stato criticato per i suoi costi diretti e indiretti. La redazione del Dps comporta il ricorso, di norma, a un consulente con i conseguenti oneri. Viene così smantellato un pezzo importante della disciplina della privacy, della quale sopravvivono le altre misure di sicurezza diverse dal Dps, gli obblighi di informativa e di consenso, di nomina di responsabili e incaricati del trattamento.
Attenzione però a non scambiare l'abolizione del Dps con l'abolizione delle misure di sicurezza: un conto è mettere in sicurezza l'azienda (obbligo rimasto fermo), un altro è stendere un documento che attesta le condizioni di sicurezza (adempimento saltato). Il decreto 5/2012 abroga il documento (in tutte le sue parti), ma non abroga la sicurezza privacy.
Peraltro nel corso degli anni si sono registrati, proprio sul Dps, altri interventi di semplificazione, seppure «leggera», mentre ora l'articolo 45 del decreto 5/2012 passa a una semplificazione «pesante». Per il trattamento dei dati con strumenti elettronici, dunque, non è più necessaria, quale misura minima di sicurezza, la tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza. Oltre alla stesura iniziale del Dps era anche previsto un aggiornamento annuale, entro la fine di marzo. Anche questo ovviamente scompare.
Così come scompare l'obbligo di riferire, nella relazione accompagnatoria del bilancio d'esercizio, se dovuta, dell'avvenuta redazione o aggiornamento del documento programmatico sulla sicurezza (paragrafo 26 dell'allegato B) al codice della privacy). Il decreto prevede anche la soppressione delle norme tecniche di dettaglio sul Dps inserite dell'allegato B) al codice della privacy e in particolare i paragrafi da 19 a 19.8.
Viene eliminato anche, conseguentemente, l'obbligo alternativo al Dps (in alcuni casi specifici e soprattutto per Pmi) di attestazione autocertificata di rispettare le misure minime di sicurezza. Stessa abolizione va registrata anche per il Dps semplificato.
Va, tuttavia, sottolineato che il Dps costituiva una misura «minima» di sicurezza e che l'osservanza delle misure minime serve a evitare sanzioni penali. Con l'abolizione del Dps, dunque, chi non lo fa non rischia più sanzioni penali (così come chi non lo ha fatto finora, stante la retroattività della legge penale posteriore più favorevole al reo).
L'abolizione riguarda tutti i titolari di trattamento senza distinzione e quindi sia micro che macro imprese, studi professionali, società, enti e associazioni ed enti pubblici.
E l'abrogazione dell'obbligo di stesura del documento programmatico sulla sicurezza comporta anche l'abolizione del reato di cui all'articolo 169 del codice della privacy e anche le sanzioni amministrative previste dall'articolo 162, comma 2-bis, naturalmente nella parte che riguarda il documento stesso.
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Garantite le misure per ridurre al minimo i rischi.
Scompare il Dps, ma non sono cancellate tutte le misure di sicurezza.
Tutti i titolari di trattamento, infatti, devono rispettare l'articolo 31 del codice della privacy e quindi ridurre i rischi al minimo e adottare misure di sicurezza.
Certo redigere il Dps è una mera facoltà, ma chi volesse farlo può farlo, magari per evitare, con questo adempimento, possibilità di essere chiamati a rispondere dei danni in sede civile.
Beninteso chi decide di fare un documento sulla sicurezza potrà farlo senza seguire lo schema dell'allegato b) al codice della privacy, e quindi in completa autonomia.
Peraltro un documento di questo tipo avrà valore anche nel rapporto tra datore di lavoro e dipendenti, anche per una esatta individuazione delle responsabilità interne e, quindi, più per ragioni organizzative che per un obbligo normativo. Si ritiene, quindi, che a prescindere dall'obbligo normativo possa essere opportuno avere in azienda un regolamento interno o una policy sull'uso degli elaboratori da parte dei dipendenti.
In ogni caso, stando agli elaboratori, rimane, invece, l'obbligo normativo (sanzionato penalmente e con sanzioni pecuniarie amministrative) per altre misure minime di sicurezza previste dall'articolo 34 del codice della privacy: obbligo di dotare gli strumenti elettronici di procedure di autenticazione informatica; obbligo di adottare procedure di gestione delle credenziali di autenticazione e di utilizzare utilizzazione di un sistema di autorizzazione; obbligo di aggiornamento periodico dell'individuazione dell'ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati e addetti alla gestione o alla manutenzione degli strumenti elettronici; obbligo di protezione degli strumenti elettronici e dei dati rispetto a trattamenti illeciti di dati, ad accessi non consentiti e a determinati programmi informatici. Permane un obbligo normativo anche per l'adozione di procedure per la custodia di copie di sicurezza, il ripristino della disponibilità dei dati e dei sistemi e per l'adozione di tecniche di cifratura o di codici identificativi per determinati trattamenti di dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale effettuati da organismi sanitari.
In sostanza le condizioni di sicurezza vanno preservate nella sostanza, anche se si può fare a meno di compilare un documento sulle precauzioni adottate o da adottare.
Se salta tutto il contenuto del Dps, non c'è più necessità di documentare l'elenco dei trattamenti di dati personali e la distribuzione dei compiti e delle responsabilità nell'ambito delle strutture preposte al trattamento dei dati. Salta l'incombenza di mettere nero su bianco l'analisi dei rischi che incombono sui dati, le misure da adottare per garantire l'integrità e la disponibilità dei dati, nonché la protezione delle aree e dei locali, rilevanti ai fini della loro custodia e accessibilità e la descrizione dei criteri e delle modalità per il ripristino della disponibilità dei dati in seguito a distruzione o danneggiamento.
Non c'è più l'obbligo di scrivere in un documento la programmazione di interventi formativi degli incaricati del trattamento, per renderli edotti dei rischi che incombono sui dati, delle misure disponibili per prevenire eventi dannosi, dei profili della disciplina sulla protezione dei dati personali più rilevanti in rapporto alle relative attività, delle responsabilità che ne derivano e delle modalità per aggiornarsi sulle misure minime adottate dal titolare.
Scompare l'obbligo di documentare la descrizione dei criteri da adottare per garantire l'adozione delle misure minime di sicurezza in caso di trattamenti di dati personali affidati all'esterno della struttura del titolare. Infine salta l'obbligo di scrivere in un documento, per i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, l'individuazione dei criteri da adottare per la cifratura o per la separazione di tali dati dagli altri dati personali dell'interessato (articolo ItaliaOggi sette del 12.03.2012).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Immobili agevolati, via i paletti. I proprietari possono vendere anche a prezzi di mercato. Studio del notariato sulle novità del decreto sviluppo in materia di edilizia residenziale pubblica.
Il vento delle liberalizzazioni soffia anche sull'edilizia residenziale convenzionata. Il c.d. decreto sviluppo del 2011, convertito nella legge n. 106 del mese di luglio dello scorso anno, allo scopo espresso di agevolare il trasferimento dei diritti immobiliari, ha aggiunto dei nuovi commi all'art. 31 della legge n. 448/1998, di fatto aprendo alla possibilità che i proprietari di immobili agevolati possano venderli con meno difficoltà a prezzi di mercato.
Un recente studio del notariato (20.10.2011 n. 521/2011-C) ha quindi messo in evidenza le modalità operative con le quali attuare la novità legislativa, che riguarda entrambi gli strumenti tradizionalmente più utilizzati per la diffusione dell'edilizia residenziale pubblica, le c.d. Peep, convenzioni di attuazione di un Piano di edilizia economico popolare, e le c.d. convenzioni Bucalossi.
Le c.d. convenzioni Peep. Il privato che abbia acquistato un appartamento nell'ambito di un immobile edificato sulla base di una c.d. convenzione Peep è soggetto, a fronte del prezzo di favore in base al quale ha potuto aggiudicarselo, a una serie di limitazioni relative alla futura cessione del bene, sia dal punto di vista temporale che da quello economico. Sotto questo aspetto non si può non evidenziare la novità introdotta dal decreto sviluppo del 2011, che ha reso molto più facile il trasferimento di questa tipologia di immobili.
Oggi è infatti possibile pattuire con il comune una nuova convenzione volta a rimuovere i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e delle loro pertinenze, nonché del canone massimo di locazione delle stesse, che siano contenuti nelle convenzioni Peep, a condizione che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento delle singole unità abitative (non è, quindi, ammessa la rimozione dei vincoli al concessionario, ossia a colui che, con la stipula della convenzione originaria, ha avuto la disponibilità dell'area sulla quale realizzare l'intervento edificatorio).
La nuova normativa, secondo il predetto studio del notariato, appare però incomprensibile nella parte in cui fa riferimento alle convenzioni per la cessione del diritto di proprietà stipulate prima dell'entrata in vigore della legge n. 179/1992, poiché prima dell'entrata in vigore di detta legge (ovvero prima del 15.03.1992) non vi era alcun obbligo di prevedere nelle convenzioni Peep per la cessione del diritto di proprietà, vincoli relativi alla determinazione del prezzo di cessione o del canone di locazione. Infatti, al contrario, la legge prevedeva rigorosi divieti di alienazione, prescritti a pena di nullità. Il fatto di aver limitato la possibilità di rimozione dei vincoli sulla determinazione del prezzo e del canone di locazione alle sole convenzioni Peep per la cessione del diritto di proprietà stipulate prima del 15.03.1992, secondo il Consiglio nazionale del notariato, rende del tutto inapplicabile la nuova disciplina alle convenzioni Peep per la cessione di aeree in proprietà, limitandola, pertanto, solo a quelle per la concessione di aree in superficie.
Con l'entrata in vigore della nuova disposizione normativa deve ritenersi definitivamente superata la diffusa prassi per cui molti Comuni, unitamente alla trasformazione del diritto di superficie in proprietà, proponevano agli interessati anche la rimozione dei vincoli sulla determinazione dei prezzi di cessione e/o dei canoni di locazione, a fronte del pagamento di un corrispettivo, discrezionalmente fissato dell'ente pubblico. Spetta al singolo proprietario assumere l'iniziativa per la rimozione dei vincoli in oggetto e richiedere al comune la stipula di una nuova convenzione. In presenza di un condominio la rimozione non deve riguardare necessariamente l'intero stabile e non necessita, pertanto, la delibera dell'assemblea dei condomini; ogni condomino è libero, al riguardo, di agire come meglio crede. Per l'atto è prescritta la forma pubblica e la successiva trascrizione. Per la rimozione dei vincoli relativi alla determinazione del prezzo di cessione o del canone di locazione è poi necessario pagare un corrispettivo al comune, che è proporzionale alla corrispondente quota millesimale di proprietà.
La trasformazione del diritto di superficie in piena proprietà e la contestuale eliminazione degli altri vincoli discendenti dall'originaria convenzione Peep. Come ha precisato il notariato, tra i possibili accordi modificativi delle c.d. convenzioni Peep, già stipulate, quello più diffusa nella pratica è la convenzione di trasformazione del diritto di superficie in piena proprietà la cui disciplina, anche alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 106/2011, merita di essere analizzata più a fondo.
A tale proposito si sottolinea che la trasferibilità degli alloggi realizzati su aree Peep concesse in superficie, in mancanza di particolari clausole convenzionali che limitino la facoltà di alienazione o prevedano diritti di prelazione a favore del comune, è libera, salvo osservare le clausole relative al prezzo massimo imposto per la cessione. In particolare, nell'ambito delle convenzioni in questione si possono individuare vincoli attinenti al c.d. contenuto pattizio, modificabili in qualsiasi tempo per effetto di una nuova convenzione intervenuta tra le medesime parti, e vincoli attinenti al c.d. contenuto necessario, modificabili solo nei casi previsti dalla legge (il discorso riguarda, ad esempio, i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione e del canone massimo di locazione).
Così il comune può limitarsi a cedere la proprietà dell'area, con conseguente trasformazione, con riguardo all'alloggio, della proprietà superficiaria in piena proprietà, senza null'altro disporre oppure vi può aggiungere l'eliminazione dei vincoli attinenti al contenuto pattizio (ad esempio, un divieto convenzionale di alienazione, ovvero un diritto di prelazione) o l'eliminazione, nello stesso atto, dei soli vincoli di determinazione del prezzo di cessione e del canone di locazione (rimangono però gli altri vincoli contenuti nella convenzione originaria attinenti al c.d. contenuto necessario) e gli eventuali vincoli attinenti al contenuto pattizio o, infine, l'eliminazione, oltre agli eventuali vincoli attinenti al contenuto pattizio, di tutti quelli attinenti al contenuto necessario (compresi i vincoli relativi alla determinazione del prezzo e del canone di locazione).
In ogni caso per dette convenzioni è generalmente necessario, a pena di nullità, o un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, in considerazione della necessità di una successiva trascrizione dell'atto.
La vendita di alloggi realizzati su aree Peep. Nell'ambito degli alloggi realizzati su aree Peep bisogna distinguere quelli acquisiti in proprietà superficiaria, per cui non sono mai stati previsti dall'ordinamento divieti di alienazione di alcun genere, da quelli acquisiti in proprietà per i quali la normativa di riferimento (art. 35, legge n. 865/1971), nel suo testo originario, in vigore sino al 15.03.1992 (data di entrata in vigore della legge 17.02.1992, n. 179) prevedeva una serie di divieti di alienazione, la cui inosservanza era sanzionata con la nullità degli atti di alienazione.
Quindi gli atti di vendita eventualmente stipulati prima del 15.03.1992 devono ritenersi nulli, mentre devono ritenersi validi quelli perfezionati dopo tale data e relativi ad alloggi costruiti su aree Peep concesse in proprietà, e ciò a prescindere dalla data in cui è stata stipulata la relativa convenzione (soluzione sostenuta anche dal ministero dei lavori pubblici).
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Doppia quota per il permesso di costruire.
Due sono le convenzioni che tradizionalmente si fanno rientrare nell'ambito dell'edilizia residenziale convenzionata: la convenzione di attuazione di un Piano di edilizia economico popolare (c.d. Peep), che si pone nell'ambito del più ampio procedimento tracciato dalla legge n. 865/1971, e la convenzione per la riduzione del contributo concessorio al cui pagamento è subordinato il rilascio del permesso di costruire (c.d. convenzione Bucalossi).
Il rilascio del permesso di costruire è infatti condizionato al versamento del contributo concessorio, che si compone di due quote, una commisurata agli oneri di urbanizzazione e l'altra proporzionata al costo di costruzione da versarsi in corso d'opera con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e, comunque, non oltre 60 giorni dall'ultimazione delle opere.
Se ricorre una c.d. convenzione Bucalossi (atto che è comunque da trascrivere) il contributo concessorio viene limitato alla sola quota commisurata agli oneri di urbanizzazione, con esclusione pertanto di quella commisurata al costo di costruzione, ma l'interessato, a fronte dell'agevolazione ottenuta, deve assumere l'obbligo di praticare prezzi di vendita e canoni di locazione in misura non superiore a quella risultante dalla convenzione medesima (ogni pattuizione contraria è nulla per la parte eccedente).
Anche per tali convenzioni (ovvero per gli eventuali atti unilaterali d'obbligo stipulati al posto di dette convenzioni) il decreto sviluppo 2011 ammette la possibilità di rimuovere i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione e del canone massimo di locazione, sempreché siano decorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento.
Tuttavia la rimozione dei vincoli non può essere richiesta dal costruttore, ossia da colui che, con la stipula della convenzione, si è avvalso della riduzione del contributo concessorio. Tale possibilità è riconosciuta a un suo avente causa (e decorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento), cioè su richiesta del proprietario dell'alloggio con apposita convenzione in forma pubblica soggetta a trascrizione (articolo ItaliaOggi sette del 12.03.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Raee, la gestione allarga il raggio. Possibile anche la raccolta uno a zero per piccoli apparecchi. La direttiva comunitaria in arrivo rinnova le regole sui rifiuti elettrici ed elettronici.
Obbligo di ritiro gratuito delle «Aee» (apparecchiature elettriche ed elettromeccaniche) domestiche usate anche senza corrispondente acquisto di nuovo prodotto, ma con semplificazioni gestionali e innalzamento delle percentuali di raccolta differenziata dei «Raee».

Le novità previste dalla legislazione comunitaria, in arrivo per il tramite della neo direttiva Ue già licenziata lo scorso gennaio dal parlamento Ue, promettono di riscrivere le regole dell'intera filiera dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (cd. «Raee»), rivedendo sia gli oneri dei distributori di nuove apparecchiature (cd. «Aee») sia gli obblighi dei soggetti responsabili della gestione di quella giunte a fine vita.
Le novità Ue. Lo schema di nuova direttiva «Raee» in corso di ufficializzazione da parte del consiglio Ue sostituirà l'attuale direttiva 2002/96/Ce), innovandone i contenuti sia a monte che a valle della catena produttiva. Sotto il primo profilo, le novità riguardano i distributori di nuove apparecchiature elettriche ed elettroniche (ossia i soggetti che rendono disponibili sul mercato tali «Aee») che dovranno assicurare il ritiro gratuito dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche di «piccolissime dimensioni» (ossia di dimensioni esterne inferiori a 25 centimetri) e provenienti da nuclei domestici conferiti dagli utenti finali senza obbligo per questi ultimi di acquistare una Aee di tipo equivalente (laddove, a oggi, il ritiro è obbligatorio solo nella formula «one on one», ossia previo acquisto di nuovo ed analogo prodotto).
In particolare, tale ritiro sarà obbligatorio presso i negozi al dettaglio con superficie di vendita di «Aee» uguali o superiore ai 400 metri quadrati o in loro prossimità e i «Raee» in parola dovranno essere sottoposti a successivo trattamento finalizzato al loro recupero o smaltimento. L'obbligo del ritiro «one on zero» potrà essere dai distributori evitato solo ove sia pubblicamente dimostrato che i regimi di raccolta alternativa esistenti siano altrettanto efficaci. Parallelamente, il nuovo provvedimento Ue prevede però, per gli stessi distributori di «Aee», delle semplificazioni, non esigendo in relazione ai punti di raccolta dei «Raee» presenti presso i loro negozi al dettaglio né il rispetto dei criteri tecnici stabiliti dalla direttiva 2008/98/Ce per la realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti né la relativa autorizzazione all'esercizio.
A valle, le novità riguarderanno invece i gestori dei relativi rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche: la direttiva in itinere prevede infatti un innalzamento all'85% (dall'attuale «range» del 70-80%) della percentuale dei «Raee» prodotti sul territorio che dovranno essere annualmente raccolta nei singoli Stati Ue. In alternativa, gli stessi Stati dovranno assicurare un tasso di raccolta pari al 65% delle «Aee» immesse sul mercato negli ultimi tre anni.
Le regole nazionali. L'attuale normativa nazionale in materia di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, e sulla quale le nuove norme Ue sono destinate a incidere, è costituita dal dlgs 25 luglio n. 151 (provvedimento di recepimento della direttiva 2002/96/Ce) e dal connesso dm ambiente 08.03.2010 n. 65 (recante, in attuazione del decreto legislativo, le modalità semplificate la gestione dei «Raee» da parte dei distributori e degli installatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche).
In particolare, il dm 65/2010 prevede a favore dei soggetti in parola il rispetto di standard tecnici e burocratici semplificati rispetto a quelli ordinari imposti dal dlgs 151/2005 e dal dlgs 152/2006 (c.d. «Codice ambientale») per deposito, trasporto rifiuti e iscrizione all'Albo gestori ambientali. E proprio in vista delle novità comunitarie in arrivo, novità che (come più sopra accennato) ampliano gli oneri a carico dei distributori di «Aee», lo stesso legislatore nazionale ha prontamente avviato un ulteriore allargamento delle procedure semplificate previste dal citato dm 65/2010 per i soggetti in questione.
L'upgrade in arrivo, previsto inizialmente dalla legge di conversione del dl 2/2012 (c.d. «dl ambiente») ma da esso espunto per mera incompatibilità tecnica (ex sentenza Corte costituzionale 22/2012) e quindi in attesa di nuova base giuridica, andrà sostanzialmente nella direzione di un ampliamento delle tempistiche di deposito temporaneo presso i punti vendita dei «Raee» ritirati dai distributori e di una maggior snellezza nelle procedure di trasporto verso i relativi centri di trattamento (articolo ItaliaOggi sette del 12.03.2012).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici. La partecipazione è possibile solo se la gestione in vigore è nella fase finale.
Vincoli più stretti per il gas. Sugli attuali affidatari diretti nuovi divieti nell'accesso alle gare
CONSIGLIO DI STATO/ Le deroghe previste dal testo unico degli enti locali non possono essere sfruttate dalle società che gestiscono anche altre attività.

Le Regioni possono definire ambiti territoriali ottimali con dimensione diversa da quella provinciale per la gestione dei servizi pubblici, e nelle gare per i nuovi affidamenti vanno tenute in particolare considerazione le tutele occupazionali.
Le modifiche alla disciplina dei servizi pubblici definite in sede di conversione del Dl 1/2012 (su cui si veda Il Sole 24 Ore del 1° marzo) rafforzano le linee di realizzazione delle privatizzazioni come soluzioni di promozione dello sviluppo economico e territoriale, ricalcando, per alcuni versi, il quadro strutturato per il servizio gas.
Le nuove norme regolano anche gli effetti che le nuove gestioni possono produrre nei contesti locali, precisando nell'articolo 3-bis che in sede di affidamento del servizio con gara, l'adozione di strumenti di tutela dell'occupazione costituisce elemento di valutazione dell'offerta. Questa prospettiva è garantita nelle procedure selettive, in quanto il bando dovrà indicare anche i criteri per il passaggio dei dipendenti ai nuovi aggiudicatari del servizio, prevedendo, tra gli elementi di valutazione, l'adozione di strumenti di tutela dell'occupazione.
La ridefinizione delle norme sui servizi pubblici presenta importanti novità anche con riferimento alla disciplina per il servizio di distribuzione del gas naturale, con varie previsioni che incidono sulla gestione delle gare per i nuovi affidamenti in base agli ambiti territoriali minimi (Atem).
Il dato più rilevante è riscontrabile nell'estensione a questo settore delle previsioni della disciplina generale dei servizi pubblici con rilevanza economica sul divieto di affidamento di servizi ulteriori e sulle condizioni per la partecipazione alle gare delle società in passato affidatarie dirette, stabilita dall'articolo 4, comma 33, della legge 148/2011.
Questa previsione implica che una società partecipata da un ente locale, che oggi gestisca (nel periodo transitorio) il servizio di distribuzione del gas naturale sulla base di un affidamento diretto possa partecipare alle gare che saranno indette progressivamente nei vari Atem individuati e specificati con i decreti ministeriali adottati nel corso del 2011 a condizione che il proprio affidamento sia nella fase finale (ultimo anno), e che siano già state avviate le nuove procedure di affidamento.
La disposizione va analizzata considerando anche quanto sancito dal Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 1173/2012. Secondo i giudici, la deroga prevista dall'articolo 15, comma 10, del Dlgs 164/2000 che consente una società affidataria diretta (in house) del servizio gas di prendere parte alle prime gare successive al periodo transitorio su tutto il territorio nazionale, va interpretata in senso restrittivo, per cui riguarda solo le società che avevano ottenuto l'affidamento senza gara del solo servizio di distribuzione del gas, e non opera se il gestore è controllato o controllante di società affidataria diretta di altri servizi pubblici locali. Pertanto, una società che sia oggi affidataria diretta della distribuzione del gas naturale e di altri servizi pubblici locali con rilevanza economica non potrà partecipare alle nuove gare del servizio gas riferite agli atem (articolo Il Sole 24 Ore del 12.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 12.03.2012

PUBBLICO IMPIEGOPensioni p.a., un anno sabbatico per la permanenza in servizio. I chiarimenti di Patroni Griffi. La chance torna nel 2013.
Arrivederci al 2013 per il trattenimento in servizio, ma scompare quello che fino a oggi è stato un diritto potestativo del lavoratore. Infatti, la possibilità di restare a lavorare oltre l'età per la pensione di vecchiaia opera esclusivamente per i lavoratori soggetti al nuovo regime delle pensioni, i quali da 66 possono arrivare a 68 anni (chi invece ha maturato i 65 anni utili nel 2011 va messo subito in pensione, si veda ItaliaOggi di ieri).
È quant'altro precisa la circolare 08.03.2012 n. 2 del ministro per la p.a. sulla riforma delle pensioni. Trattenimento in servizio.
Anche dopo l'entrata in vigore della riforma Fornero (01.01.2012), spiega la circolare, restano in vita gli istituti del «trattenimento in servizio» oltre i limiti di età e della «risoluzione unilaterale», mentre è stato abrogato quello dell'esonero. Sopravvivono, in particolare, nei confronti dei soggetti che maturano i requisiti per la pensione dall'anno 2012, ossia sulla base dei nuovi limiti (di età e di contribuzione) fissati dalla riforma.
Pertanto, anche dopo la riforma i dipendenti possono richiedere (e le p.a. «possono» accordare) il trattenimento in servizio, ma questo si riferirà necessariamente al periodo successivo alla maturazione del nuovo requisito d'età per la pensione di vecchiaia che è fissato a 66 anni. Ciò vuol dire, allora, che il trattenimento in servizio diventa possibile dai 66 ai 68 anni d'età ma non prima dell'01.01.2013 (e salvo i futuri adeguamenti alla «speranza di vita»). Perché i dipendenti che quest'anno (2012) compiono 66 anni di età, avendo maturato i 65 anni nel 2011, rimangono soggetti alla previgente disciplina e la p.a. avrebbe potuto loro accordare di restare in servizio fino a 67 anni.
Peraltro, aggiunge la circolare, per effetto del dl n. 138/2011, adesso la discrezionalità della p.a nella concessione del trattenimento in servizio è molto più marcata. Infatti, il trattenimento in servizio non è più un «diritto potestativo» del lavoratore, ma un diritto subordinato alla valutazione della p.a. in ordine all'organizzazione, al fabbisogno e alla disponibilità finanziaria (insomma soltanto se conviene alla p.a. il trattenimento è concesso, altrimenti il lavoratore va in pensione).
Stop ai 40 anni. Nella previgente disciplina la p.a. aveva facoltà di licenziare il dipendente che avesse maturato «l'anzianità massima contributiva», vale a dire i 40 anni di contributi oltre i quali non si maturava più la pensione (nel sistema retributivo il massimo importo di pensione poteva arrivare all'80 per cento della retribuzione considerando proprio i 40 anni con i quali andava moltiplicato il coefficiente 2% di trasformazione).
 Adesso le cose sono cambiate. Infatti, spiega la circolare, la riforma delle pensioni ha abrogato il concetto di «anzianità massima contributiva» (ossia i 40 anni); con esso, di conseguenza, deve considerarsi abrogato pure il «presupposto» (cioè l'anzianità massima contributiva) per il licenziamento da parte della p.a. In verità, la circolare ritiene che il predetto presupposto sia soltanto «mutato», ossia si sia ora collegato agli anni di anzianità necessari per il diritto alla pensione anticipata. Pertanto, dall'01.01.2013 le p.a. possono licenziare i dipendenti con 42 anni e 5 mesi di contributi, ossia 41 anni e 5 mesi se donne (sono i nuovi requisiti per la pensione anticipata).
Unico salvagente per i lavoratori può essere l'età, perché la circolare raccomanda alle p.a. di non procedere a licenziare i soggetti con età inferiore a 62 anni essendo per loro prevista la penalizzazione dell'importo della pensione (ma l'operatività è stata rinviata al 2017 dal milleproroghe).
Esonero. Infine, la circolare ricorda che è stato abrogato l'esonero, un istituto che consentiva di andare prima in pensione a certe condizioni. La riforma ha previsto che a chi fosse già titolare dell'esonero alla data del 04.12.2011 continuano ad applicarsi i vecchi requisiti per la pensione.
A tal fine, precisa la circolare, l'esonero si intende concesso se la p.a. (il dirigente) ha adottato una determinazione formale dalla quale si desuma la volontà di accoglimento della richiesta (articolo ItaliaOggi del 10.03.2012).

PUBBLICO IMPIEGOPrevidenza. Il ministero obbliga alla pensione i dipendenti che hanno maturato i requisiti nel 2011. Pubblici, niente opzione per restare in ufficio.
Le novità previdenziali introdotte dal decreto «salva Italia» hanno trovato chiarimenti nella circolare 08.03.2012 n. 2 della Funzione pubblica, resa nota giovedì.
Il documento conferma quanto già preannunciato (si veda «Il Sole 24 Ore» del 17 febbraio scorso). Palazzo Vidoni chiarisce che i dipendenti che hanno maturato i requisiti per il pensionamento entro il 31.12.2011 rimangono soggetti al regime previgente per l'accesso e per la decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia e di anzianità e, pertanto, anche se ancora in servizio, tali dipendenti non sono soggetti neanche su opzione, al nuovo regime sui requisiti di età e di anzianità contributiva. Infatti la norma prevede che i nuovi requisiti si applicano esclusivamente nei confronti dei dipendenti che maturano il diritto a pensione a decorrere dall'01.01.2012.
La circolare prosegue affermando che le amministrazioni, negli anni 2012 e seguenti, dovranno collocare a riposo al compimento del 65esimo anno di età i dipendenti che al 31.12.2011 erano già in possesso di un diritto a pensione. Tale diritto, eccetto quello per il conseguimento della pensione di vecchiaia, fa sì che sia applicabile l'età ordinamentale che costituisce un limite non superabile in presenza del quale l'ente deve far cessare il rapporto di lavoro; salve le prosecuzioni per effetto di trattenimento e per la finestra.
Un altro aspetto importante riguarda la prosecuzione del rapporto di lavoro fino a 70 anni il quale non può essere applicato nel settore pubblico eccetto i casi in cui il prosieguo sia finalizzato alla maturazione del diritto a pensione poiché l'introduzione del limite minimo (1,5 volte l'assegno sociale) potrebbe non far fruire il trattamento pensionistico neppure alla prescritta età anagrafica. Il concetto di anzianità massima contributiva deve ritenersi superato per i dirigenti civili dello Stato nonché per il personale del comparto scuola. Per quanto riguarda la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro i requisiti previsti devono essere modulati sulla base dei nuovi limiti richiesti per l'accesso al pensionamento; pertanto dal 2013 saranno richiesti 42 anni e 5 mesi per gli uomini e 41 anni e 5 mesi per le donne.
Tuttavia, tali nuovi parametri potrebbero concorrere con la penalizzazione prevista per le cessazioni con età inferiori a 62 anni. La Funzione pubblica raccomanda alle amministrazioni di non esercitare la risoluzione unilaterale nei confronti dei soggetti per i quali potrebbe operare la penalizzazione legale. Ne deriva che la risoluzione potrà essere esercitata al raggiungimento degli anni contributivi richiesti per l'accesso a pensione con un'età anagrafica non inferiore a 62 anni.
I nuovi limiti previsti per il conseguimento della pensione di vecchiaia fanno sì che, a decorrere dal 2012, i dipendenti che manifesteranno la volontà di permanere in servizio per un ulteriore biennio accederanno al trattamento pensionistico al compimento del 68esimo anno di età. Tuttavia tale problematica è rinviata al 2013 poiché nell'anno in corso potranno cessare solo coloro i quali hanno maturato i 65 anni di età nel 2011 e sono in regime di finestra oppure coloro che sono nel biennio.
L'istituto dell'esonero è stato soppresso dal 28 dicembre scorso e la norma di salvaguardia continua ad applicarsi agli esonerati fino al 03.12.2011. Tali soggetti potranno accedere al trattamento pensionistico secondo il previgente regime ma a condizione che risulti la capienza nel contingente di spesa (articolo 24, comma 15, Dl 201); l'eventuale incapienza comporterà l'applicazione del nuovo regime previdenziale e la prosecuzione del rapporto di esonero con il dipendente fino alla maturazione dei nuovi requisiti di accesso.
La finalità del periodo transitorio (comma 20), istituita con lo scopo di agevolare il processo di riduzione degli assetti organizzativi e di contenimento della spesa pubblica, è quella di far salvi solo i collocamenti a riposo per raggiunti limiti di età disposti con provvedimenti prima del 06.12.2011 anche se aventi decorrenza successiva al 2011. Tutte le altre casistiche (dipendenti che hanno maturato la quota oppure che hanno raggiunto l'anzianità massima contributiva) ma sprovvisti dei nuovi requisiti di accesso alla data di decorrenza dell'atto dovranno maturare i nuovi requisiti. Per il comparto Scuola si rinvia alle indicazioni di prossima emanazione da parte del ministero dell'Istruzione.
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La nota
01|IL CHIARIMENTO
I dipendenti che hanno maturato i requisiti per il pensionamento entro il 31.12.2011 rimangono soggetti al regime previgente per l'accesso e per la decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia e di anzianità. Tali dipendenti non sono soggetti, neppure su opzione, al nuovo regime
02|I PROBLEMI APERTI
Non è ancora stata sciolta la riserva sulle donne optanti che vanno in pensione con il requisito anagrafico di 57 anni (e 35 anni di contributi): tale età non è mai stata richiamata dalle norme in vigore, ma potrebbe paradossalmente essere aggiornata alla speranza di vita registrata all'età di 65 anni (articolo Il Sole 24 Ore del 10.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOLavoro. Permessi straordinari. Diritto al congedo se c'è convivenza.
A partire dalla conclusione del periodo di normale congedo parentale, teoricamente fruibile dal genitore, decorre il prolungamento stabilito dall'articolo 3 del decreto legislativo 119/2011 a favore dei genitori di figli con grave handicap, per un periodo massimo complessivo di tre anni da godere entro il compimento dell'ottavo anno d'età del bimbo, con diritto all'indennità pari al 30% della retribuzione.

Dopo un lavoro istruttorio comune con il ministero del Lavoro, l'Inps e l'Inpdap, il dipartimento della Funzione Pubblica fornisce con la circolare 03.02.2012 n. 1 ai lavoratori del settore pubblico alcuni chiarimenti relativi al nuovo regime dei permessi e congedi che possono essere utilizzati per l'assistenza e figli o familiari con grave handicap.
Nulla cambia, invece, per i permessi utilizzabili dal lavoratore in situazione di grave disabilità. Come già l'Inps con la circolare 32/2012 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 7 marzo) anche la Funzione pubblica sottolinea che, in alternativa, i genitori del minore in situazione di handicap grave continuano a poter fruire dei riposi orari retribuiti ma solo fino al compimento del terzo anno di vita del bambino. Rimane anche ferma la possibilità per i genitori, anche adottivi, di fruire dei tre giorni di permesso mensile (legge 104/1992) anche oltre gli otto anni di età del figlio.
Quanto, invece, al congedo straordinario che i lavoratori subordinati possono chiedere per l'assistenza del coniuge o di una familiare con disabilità grave, nel sottolineare la tassatività dei criteri di priorità per fruirne, la circolare 1/2012 evidenzia che il diritto al congedo è subordinato al requisito della convivenza, fatta eccezione per i genitori. Si considera tale la concomitanza della residenza anagrafica e della coabitazione che può sussistere anche qualora gli alloggi siano separati ma situati nello stesso stabile.
La durata massima di due anni del congedo deve essere intesa nel senso che ciascuna persona in situazione di grave disabilità ha diritto a due anni di assistenza a titolo di congedo straordinario da parte dei familiari. A sua volta, il lavoratore può fruire di un periodo massimo di due anni di congedo indennizzato per assistere i familiari disabili. Il periodo di congedo è indennizzato in base all'ultima retribuzione ma con esclusivo riferimento alle voci fisse e continuative, entro il limite annualmente rivalutato (si veda la tabella) ed è valido ai fini del calcolo dell'anzianità.
A differenza del settore privato, l'accredito contributivo non è figurativo poiché per i dipendenti della Pa la contribuzione va calcolata, trattenuta e versata secondo le regole ordinarie sulla base dei trattamenti corrisposti. Il trattamento non è assoggettato a contribuzione Tfs/Tfr (articolo Il Sole 24 Ore del 10.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIPa. Parere della Funzione pubblica. Addio ai certificati con lungaggini ma senza imposta.
IL CASO/ Il Collegio degli agrotecnici aveva denunciato che alcuni uffici applicavano il bollo sulla decertificazione.
La "decertificazione" potrà anche essere un boomerang, ma almeno non avrà l'ulteriore effetto di far costare le pratiche 14,62 euro in più, come stava iniziando ad accadere.

Lo ha reso noto il Collegio nazionale degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati, che aveva sollevato il caso con il dipartimento della Funzione pubblica. La questione, però, riguarda tutti i cittadini e le categorie produttive.
Tra queste ultime, le preoccupazioni erano iniziate già lo scorso novembre, quando la legge di stabilità (la n. 183/2011), con l'articolo 15, aveva introdotto la decertificazione. Essa consiste nel vietare alle pubbliche amministrazioni di accettare certificati da parte di chi richiede loro una pratica: dovranno essere le amministrazioni stesse a richiedere agli altri uffici pubblici gli elementi necessari a mandare avanti la pratica. A suggellare il principio, l'obbligo di riportare su ogni certificato (che altrimenti è nullo) il fatto che il documento stesso «non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi».
Nel mondo professionale e produttivo, si era subito notato che questa semplificazione avrebbe potuto essere controproducente: il fatto che un ufficio pubblico debba attendere la risposta di un altro per acquisire gli elementi utili a espletare la pratica, rischia di prolungarne i tempi (se non addirittura di bloccarla). Tanto più che, se un ufficio fornisce gli elementi in tempi lunghi, non c'è una sanzione specifica e deterrente: la norma prevede solo che il ritardo «costituisce violazione dei doveri d'ufficio e viene in ogni caso presa in considerazione ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei responsabili dell'omissione». Così, imprese e professionisti preferiscono spesso dover portare un certificato in più (com'era consentito fare prima).
Il Collegio degli agrotecnici aveva denunciato un ulteriore problema. Secondo alcune amministrazioni, l'invio di documenti ad altri uffici pubblici è da sottoporre a imposta di bollo, con una tariffa di 14,62 euro. Dunque, la decertificazione sarebbe "a pagamento": un esito paradossale, date le intenzioni che sembrava avere il legislatore nell'introdurla.
Per questo, il 16.01.2012 il Collegio ha inviato una nota al dipartimento della Funzione pubblica della presidenza del Consiglio, per chiedere chiarimenti. La risposta (05.03.2012 n. Dfp 0009347 P-4.17.1.23.4.3 di prot.) è arrivata l'altro ieri. È molto breve e si limita a riportare il comma 5 dell'articolo 43 del Dpr 445/2000 (il Testo unico sulla documentazione amministrativa), secondo il quale le informazioni relative a stati, qualità personali e fatti vanno acquisite dagli uffici pubblici «senza oneri». Dal che si deduce che l'imposta di bollo non è dovuta (articolo Il Sole 24 Ore del 10.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTISEMPLIFICAZIONI/ Nasce la banca dati nazionale dei contratti pubblici. Grande fratello sugli appalti. Dal 2013 requisiti dei concorrenti vagliati online.
Dal 2013 negli appalti le verifiche sui requisiti dei concorrenti saranno effettuate esclusivamente online; sarà la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici a mettere a punto il delicato e, allo stesso tempo, rivoluzionario sistema telematico; le stazioni appaltanti, con l'avvio del sistema, non potranno verificare i requisiti dei concorrenti con modalità diverse dalla consultazione della Bdncp; gli appaltatori, non dovranno più produrre certificati.
Sono queste alcune delle novità derivanti dall'approvazione alla camera del decreto legge semplificazioni (n. 5/2012) che, per quel che riguarda l'attivazione della Banca dati nazionale sui contratti pubblici, secondo stime del Governo, dovrebbe portare risparmi per 1,3 miliardi.
L'avvio della Bdncp si inquadra nel filone della cosiddetta «decertificazione» e sburocratizzazione delle procedure che, sempre secondo alcune stime governative, dovrebbe determinare per le piccole e medie imprese un risparmio sui costi vivi della gestione amministrativa delle gare pari a circa 140 milioni all'anno, stando a quanto stimato dal governo. La norma del decreto-legge approvato dalla camera rivitalizza la banca dati che fu introdotta nel 2010 con il comma 1 dell'art. 44, del dlgs 30.12.2010, n. 235 stabilendo che dal primo gennaio 2013 tutta la documentazione relativa alla prova dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico organizzativa che i concorrenti devono possedere per partecipare agli appalti sia acquisita dalla Banca dati nazionale dei contratti pubblici presso l'autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
Spetterà all'Autorità definire innanzitutto quali dati, utili alla partecipazione alle gare, nonché alla verifica delle offerte, debbano essere inclusi nella banca dati, nonché i termini e le regole tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento e la consultazione dei dati contenuti nella predetta Banca dati. La norma prevede che per l'attivazione della banca dati tutti i soggetti pubblici e privati che detengono dati e documenti relativi ai requisiti di partecipazione, abbiano l'obbligo di messa a disposizione dell'Autorità di tali dati e documenti.
Parallelamente, gli operatori economici saranno tenuti ad integrare i dati contenuti nella banca dati nazionale dei contratti pubblici, creando un sistema dinamico e non statico come invece è oggi quello basato sulle Soa, ove i certificati hanno validità quinquennale. Il meccanismo avrà una portata fondamentale nel settore dei servizi e delle forniture in cui, diversamente dai lavori, non esiste un sistema di qualificazione dei concorrenti.
All'obbligo di acquisizione della documentazione da parte della Bdncp è correlato l'obbligo per i committenti di effettuare le verifiche dei requisiti di capacità dei concorrenti esclusivamente attraverso la banca dati, senza quindi più chiedere documenti ai partecipanti alle gare. Ciò significa che i partecipanti alle gare potranno qualificarsi alle procedure semplicemente con una autodichiarazione del possesso dei requisiti di carattere generale e speciale, mentre sarà cura del committente che ha bandito la gara, verificare che quanto dichiarato sia conforme alle risultanze documentali rese disponibili a questo fine dalla Banca dati nazionale dei contratti pubblici.
Adesso sarà compito dell'organismo di vigilanza sui contratti pubblici presieduto da Sergio Santoro, mettere d'accordo tutti i soggetti che gestiscono le banche dati (o che hanno i dati sui quali effettuare le verifiche) rispetto alla necessità di giungere in tempi rapidi alla messa a regime del sistema, ma anche di fare in modo che l'ingente afflusso di dati non paralizzi tutta l'operazione telematica (articolo ItaliaOggi del 09.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - VARIDl ambiente. Sacchetti bio, nuovi criteri a fine anno.
Passa dal 31 luglio al 31.12.2012 il limite entro cui un decreto del ministero dell'ambiente dovrà dettare i criteri per i sacchetti biodegradabili. E arriva un'altra proroga, al 31.12.2013, per l'applicazione del regime sanzionatorio sulla rispondenza dei sacchetti bio ai futuri criteri.
Queste le novità approvate due giorni fa dalla Commissione ambiente della camera dei deputati al dl 2/2012, il cui art. 2 prevede «disposizioni applicative in materia di commercializzazione di sacchi per asporto merci nel rispetto dell'ambiente».
Si è conclusa, infatti, la discussione in sede referente con l'approvazione degli emendamenti di proroga dei termini di entrata in vigore per standard e sanzioni. Andrà in Aula la settimana prossima (potrebbe essere posta la fiducia) per ritornare al Senato nei giorni successivi (scade il 25 marzo). Esso contiene, come noto, anche le nuove norme per l'emergenza in Campania. Sui sacchetti, val la pena fare il punto sul testo che proveniva dal Senato già con significative modifiche.
L'art. 2 dello schema del citato decreto legge va nella direzione di definire più correttamente il campo di applicazione ed eliminare così i dubbi interpretativi della precedente normativa sul «divieto di commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci», facendo chiaramente riferimento alla conformità alla Norma Uni En 13432 (requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione). Il dl proviene dal senato dove sono state già approvate una serie di modifiche, che vanno a introdurre diverse casistiche e tipologie di sacchetti in plastica «polimeri».
Infatti, per i soli sacchetti di plastica senza orecchie (quelli delle farmacie e delle mercerie per intendersi) gli spessori per quelli definibili riutilizzabili (dai 200 e i 100 micron già previsti) si riducono, rispettivamente a 100 e 60 per l'uso alimentare e gli altri usi. Introdotto anche l'obbligo di contenuto minimo in riciclato del 10% per gli stessi sacchetti, limite che potrà essere cambiato con decreto ministeriale.
L'introduzione di casistiche e soglie diverse per i sacchetti riutilizzabili renderà, certamente, più difficile il controllo. Nessun chiarimento, invece, sul significato sull'uso alimentare e sugli altri usi, che al momento restano di difficile interpretazione. Resta, poi, la spada di Damocle delle decisioni Ue in materia (che negli anni passati bloccò una norma simile in Francia) (articolo ItaliaOggi del 09.03.2012).

PUBBLICO IMPIEGO: Pubblico impiego, pensione magra. Non opera l'incentivo della permanenza al lavoro fino a 70 anni.  Circolare del ministro Patroni Griffi sull'applicazione alla p.a. del decreto salva-Italia.
Obbligati alla pensione i dipendenti pubblici. Nei loro confronti non opera l'incentivo della permanenza al lavoro fino a 70 anni d'età e non opera più neppure la facoltà di rimanere in servizio oltre i limiti d'età per conseguire il massimo della pensione.
E non è tutto. Per chi abbia maturato i requisiti nel 2011 (età, quota o anzianità massima), la pubblica amministrazione dovrà procedere con l'immediato collocamento a riposo.

È quanto stabilisce, tra l'altro, la circolare 08.03.2012 n. 2 firmata dal ministro per la p.a. Filippo Patroni Griffi per illustrare la riforma delle pensioni entrata in vigore il 1° gennaio introdotta dall'art. 24 del dl n. 201/2011
Nuovi limiti d'età. Innanzitutto, la circolare illustra i nuovi requisiti di età e contribuzione per maturare il diritto alla pensione, nelle due nuove alternative di pensione di vecchiaia e pensione anticipata; ricorda, tra l'altro, l'abrogazione delle finestre che fissavano la decorrenza della pensione e l'estensione del sistema contributivo, con il pro-rata, alle anzianità successive al 2011. Le nuove norme non si applicano, tuttavia, nei confronti dei lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione entro il 31.12.2011, i quali potranno conseguire la pensione in qualsiasi momento secondo il vecchio regime (ante riforma).
Da questa deroga, la circolare fa scaturire un preciso obbligo per le p.a., ossia quello di dover collocare a riposo nel 2012 o negli anni successivi al compimento dei 65 anni quei dipendenti che nel 2011 erano già in possesso della massima anzianità contributiva (40 anni) o della «quota» (era 96) o comunque dei requisiti per la pensione.
Limite d'età ordinamentale. Per i pubblici dipendenti l'aspetto cruciale (forse paradossale) della riforma è che, mentre da una parte allontana l'età di pensionamento dall'altro nega di rimanere più a lungo in servizio quando ciò possa voler dire un miglioramento dell'assegno di pensione. Infatti, la riforma non ha modificato il regime dei limiti di età per la permanenza in servizio che, anzi, è stata espressamente confermato (comma 4 dell'art. 24).
Ciò vuol dire, spiega la circolare, che i predetti limiti continuano a costituire il tetto massimo di permanenza in servizio; pertanto, il lavoratore che li dovesse raggiungere potrà proseguire il rapporto d'impiego solo fino a garantirsi la decorrenza della pensione; viceversa, il dipendente già in possesso del diritto alla pensione, una volta raggiunto il limite d'età vedrà la p.a. intimargli la cessazione dell'impiego (è un obbligo per la p.a.).
Stop agli incentivi. Dalla sopravvivenza dei limiti di età ordinamentale, spiega la circolare, discende che nel settore pubblico non opera il principio di incentivazione alla permanenza in servizio fino a 70 anni di età. Si tratta, in particolare, della possibilità di rimanere più a lungo a lavoro al fine di maturare il diritto alla pensione, perché all'età di 70 anni non opera più il requisito dell'«importo minimo» di pensione (pari a 1,5 volte l'assegno sociale). Dunque, tale opportunità non vale per i pubblici dipendenti e non vale neppure l'altra facoltà, specifica per il settore pubblico, del concetto di «massima anzianità contributiva».
In particolare spiega la circolare, l'estensione a tutti i lavoratori, dall'01.01.2012, del criterio contributivo rende inapplicabili le disposizioni che consentivano al personale pubblico di proseguire il servizio sino al raggiungimento della massima anzianità contributiva al fine di conseguire il massimo della pensione (maggiormente interessati, nello specifico, erano i dirigenti civili dello stato e il personale del comparto scuola).
Il periodo transitorio. La riforma, tra l'altro, ha fatto salvi i provvedimenti di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età adottati prima del 06.12.2011 (entrata in vigore del dl n. 201/2011). La salvaguardia, spiega la circolare, concerne solo le ipotesi di raggiunti limiti d'età; mentre travolge gli eventuali provvedimenti di pensionamento adottati per altri motivi. In tal caso, pertanto, i dipendenti devono tornare al lavoro salvo che non possano comunque far valere il diritto alla pensione per altre ragioni.
La circolare fa riferimento a quegli atti con decorrenza dal 2013 per pensionamento di lavoratori con 40 anni di servizio (e finestra mobile) e che, invece, non raggiungono in quell'anno i 42 anni e 5 mesi se uomini ovvero 41 anni e 5 mesi se donne; oppure ai casi di accettazione, già nel 2011, di dimissioni per il raggiungimento della quota nell'anno 2012 o in anni successivi (articolo ItaliaOggi del 09.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIImpianti di videosorveglianza al vaglio del Viminale.
Gli impianti di videosorveglianza comunale devono essere installati o potenziati in conformità alle nuova direttive ministeriali e vagliati preventivamente dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza.
Lo ha chiarito il Ministero dell'interno con la nota 02.03.2012 n. 224632.
Il ricorso ai sistemi elettronici di controllo del territorio è un fenomeno consolidato che è stato favorito anche dal mutato quadro normativo che ha ammesso i comuni alla gestione diretta della sicurezza urbana. La complessità delle regole, la tutela della privacy e delle opzioni tecnologiche a disposizione dei sindaci non ha però portato sempre a scelte razionali.
Per questo motivo anche sulla base dell'indicazione espressa dall'Anci è stato avviato un tavolo tecnico di confronto con polizia e carabinieri finalizzato alla redazione di una direttiva ad hoc, adeguata a supportare le scelte concrete dei comuni. Ha così visto la luce la piattaforma della videosorveglianza integrata, specifica il ministero, ovvero un articolato documento che fornirà ai comuni interessati le linee guida per attivare o potenziare un sistema di videosorveglianza efficiente. Spetterà però ai comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, specifica il ministero, validare preventivamente le scelte comunali utilizzando il documento appena realizzato.
Nell'ottica di un sempre maggior coinvolgimento della polizia locale sulle questioni di sicurezza in senso lato il documento promuove innanzitutto a pieno titolo il sistema della sicurezza integrata ovvero il rapporto di stretta collaborazione tra vigili, polizia e carabinieri. Gli impianti di videosorveglianza urbana hanno certamente importanza strategica anche per le forze di polizia dello stato, prosegue il decalogo. Per questo motivo il ministero dell'interno già con una circolare del 06.08.2010 ha evidenziato la necessità di un esame preliminare di queste installazioni da parte del locale comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica.
Questa indicazione è stata ribadita dalle recenti linee guida Anci sugli impianti di videosorveglianza. In buona sostanza il luogo più idoneo per valutare l'idoneità strategica dei progetti di controllo elettronico del territorio sono gli uffici del prefetto in occasione dei comitati periodici sull'ordine e la sicurezza. Il mutato quadro normativo che ha declinato a livello locale competenze prima riservate solo agli organi dello stato in materia di sicurezza urbana, deve essere adeguatamente preso in considerazione nella fase di progettazione o implementazione degli impianti.
Per elevare e uniformare per quanto possibile lo standard tecnologico dei sistemi il documento stabilisce di istituire un tavolo permanente presso il Viminale deputato a presidiare l'evoluzione tecnologica. Pieno appoggio all'interconnessione dei sistemi tra polizia locale e nazionale, infine, ma anche un decalogo operativo per i comuni che intendono ampliare o installare nuovi apparati (articolo ItaliaOggi del 09.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/  Sbobinature senza segreti. Accesso alle trascrizioni delle sedute consiliari. Le registrazioni sono da equiparare a un documento amministrativo.
L'ente locale è tenuto a dare positivo riscontro alla richiesta di accesso al c.d. «sbobinamento» della registrazione sonora di una seduta di consiglio comunale?
Ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241/1990, deve intendersi per «documento amministrativo» di cui può essere chiesto l'accesso «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale».
A tale proposito, la giurisprudenza amministrativa si è più volte pronunciata nel senso di ritenere che semplici appunti, come devono essere considerate le registrazioni effettuate dal segretario comunale a proprio uso, non ancora tradotti in atti, «non assurgono alla qualificazione di documento amministrativo» (Tar Veneto n. 60 del 2002, Tar Lombardia, Milano, n. 1914 del 2009).
In senso contrario si è espresso recentemente il Tar Piemonte ritenendo che «la registrazione sonora delle sedute consiliari è suscettibile di essere inclusa nella nozione di documento amministrativo rilevante, ai sensi dell'art. 22, comma 1, lettera d), della legge n. 241/1990, ai fini dell'esercizio del diritto di accesso» (Tar Piemonte sentenza 27/05/2011, n. 563).
Con parere reso in data 22.10.2002 in riferimento alla medesima problematica, la commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, istituita nell'ambito della presidenza del consiglio dei ministri, ha precisato che occorre «distinguere il caso in cui il segretario comunale raccolga per proprio uso personale dei meri appunti informali dell'adunanza consiliare, anche eventualmente su supporto magnetico per la redazione del successivo verbale, dall'ipotesi in cui la registrazione dello svolgimento della seduta consiliare costituisca adempimento di una mansione d'ufficio. Nel primo caso, gli appunti raccolti dal segretario sono da considerarsi alla stregua di una bozza strettamente personale, che potendo essere liberamente modificata non ha alcun carattere di documento amministrativo. Nel secondo caso, invece, la registrazione non è modificabile, ed il segretario o il personale espressamente incaricato di essa rispondono della sua genuinità; sicché la registrazione, dovendosi ritenere fedele riproduzione del dibattito consiliare, costituisce documento amministrativo, come tale accessibile da parte degli interessati».
Nel parere del 25.11.2008, la medesima Commissione ha ritenuto ostensibile la registrazione della seduta di un consiglio comunale confermandone la natura di documento amministrativo al quale è garantito il diritto di accesso degli interessati, «senza che sia necessario fare richiamo alla normativa di speciale favore prevista per i consiglieri comunali». Pertanto, nel caso in cui il comune si avvalga, in via istituzionale, di un apposito servizio di trascrizione da nastro di interventi delle sedute consiliari, sussistono i presupposti oggettivi circa la natura di documento amministrativo delle registrazioni in discorso, richiesti dall'art. 22, comma 1, lett. d) della legge n. 241/1990 ai fini dell'esercizio del diritto di accesso.
Per quanto concerne il requisito soggettivo previsto dalla normativa in commento, si rammenta che ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. b), della legge n. 241/1990 si definiscono «interessati» tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso. Tale nozione è stata interpretata in giurisprudenza in senso più ampio rispetto all'interesse all'impugnativa qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo.
«La legittimazione all'accesso, conseguentemente, viene riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell'accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l'autonomia del diritto d'accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante alla impugnativa dell'atto» (Cds sez. VI, sent. n. 6440 del 27/10/2006, Tar Lazio, n. 3115 del 2008).
La sussistenza dell'interesse, quale requisito soggettivo ex art. 22, comma 1, lett. b), citato, del soggetto richiedente l'accesso dovrà essere valutata alla luce dei principi giurisprudenziali sopra evidenziati e in base alle disposizioni regolamentari recanti la disciplina del diritto di accesso adottate dall'ente locale (articolo ItaliaOggi del 09.03.2012).

ATTI AMMINISTRATIVIIl decreto semplificazioni/ «Pa» più veloce, ok alla fiducia. Martedì il sì alla Camera: certificati addio, atti via web ma resta il nodo tlc
GLI ULTIMI RITOCCHI/ Via la tassa a carico delle Regioni per sovvenzionare la protezione civile. Partita ancora aperta sul «fondo imprevisti» del Tesoro.

Addio ai certificati cartacei. Pratiche burocratiche in tempo reale. Iscrizioni online alle università. Possibilità di produrre il pane la domenica. Un anno in più per il bonus Sud. Piano triennale taglia oneri burocratici in tempi brevi. Cartella clinica elettronica e nuova sperimentazione della social card, estesa a tutti i cittadini comunitari.
Con questa fisionomia, rivista in diversi punti dalle commissioni della Camera, il decreto semplificazioni si accinge ad approdare al Senato. Il via libera di Montecitorio al testo arriverà martedì dopo che ieri il Governo ha incassato la fiducia della Camera (la decima) con 479 sì, 75 no e 7 astenuti. Almeno due i nodi che restano irrisolti: la limitazione del «fondo imprevisti» del ministero dell'Economia (calamità naturali) e il pacchetto telecomunicazioni.
Un pacchetto, quest'ultimo, che prevede che gli operatori non debbano pagare per servizi non richiesti: per le "attività" accessorie le società potranno rivolgersi anche a imprese terze. Ma queste misure, secondo l'associazione europea degli operatori di telecomunicazioni (Etno), e anche a parere dell'Agcom, sarebbero in contrasto con la normativa comunitaria (si veda l'altro articolo in pagina). Appare probabile, quindi, che la questione venga affrontata al Senato. È lo stesso ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, a non chiudere la porta a nuovi ritocchi: «Al Senato c'è abbastanza tempo» per un esame approfondito del testo (va convertito entro il 9 aprile, ndr), «valuteremo le proposte emendative». Il ministro si dichiara comunque soddisfatto per il lavoro della Camera.
Tra i correttivi quasi certi c'è quello per eliminare, o attenuare, la limitazione, decisa in commissione a Montecitorio, del fondo spese impreviste del Tesoro, utilizzato per le prime emergenze in caso di calamità. Il testo che esce dalla Camera prevede anche lo stop all'obbligo per le Regioni di sovvenzionare gli interventi della protezione civile dopo le calamità naturali aumentando le accise sulla benzina.
Al Senato potrebbe riaprirsi anche la partita sull'assunzione di 10mila insegnanti, saltata alla fine di un duro braccio di ferro tra Pd e Pdl e non senza tensioni con il Governo, così come peraltro sul «fondo imprevisti». Anche se il compromesso trovato in extremis a Montecitorio, che prevede lo sblocco degli organici dei docenti rispettando però i tagli introdotti tre anni fa dal Governo Berlusconi, sembra destinato a tenere. Sul fronte scuola arrivano anche misure contro il bullismo.
Anche dopo le modifiche della Camera l'obiettivo di fondo del provvedimento resta la velocizzazione della Pa. Dal 2014 le comunicazioni con gli uffici pubblici dovranno avvenire «esclusivamente» attraverso i «canali telematici e la posta elettronica certificata». I certificati potranno essere chiesti via web e le iscrizioni agli atenei saranno possibili solo online. Dal prossimo anno accademico (2013-2014) pure il libretto degli esami universitari sarà "virtuale". Anche le multe viaggeranno via web e i pagamenti all'Inps non potranno più essere cash.
I cambi di residenza e altri documenti saranno concessi in tempo reale. Viene prolungata la validità del bollino blu per le auto e sono eliminate le duplicazioni per i certificati dei disabili. Diventano più semplici le procedure per l'assunzione di immigrati extracomunitari mentre la semplificazione dei controlli sulle imprese non si applicherà a salute e sicurezza sul lavoro.
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Le misure principali
ITER PIÙ SNELLI
Diverse le semplificazioni per i cittadini: i cambi di residenza avverranno in tempo reale, la richiesta di certificati potrà essere fatta per via telematica, procedure veloci per le patenti degli ultraottantenni
PAGAMENTI ONLINE
Dal 1° maggio i versamenti dell'Inps saranno effettuati solo online. Sarà possibile pagare via web anche multe, tasse, ticket (le amministrazioni dovranno comunicare l'Iban) e marche da bollo
CARTELLE CLINICHE
Nei piani di sanità nazionali e regionali si privilegia la gestione elettronica delle pratiche, attraverso l'utilizzo della cartella clinica elettronica e i sistemi di prenotazione elettronica
UNIVERSITÀ IN RETE
In vigore da subito la norma che prevede le iscrizioni agli atenei esclusivamente online. Dal prossimo anno accademico anche il libretto con gli esami sostenuti e i voti sarà telematico
SOCIAL CARD
La social card non sarà più riservata ai soli cittadini italiani ma potrà essere attribuita anche a quelli comunitari. Si amplia così la platea dei fruitori della carta acquisti (articolo Il Sole 24 Ore del 09.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Doppia indennità alla polizia locale.  Decisione del Tribunale di Verona.
LA MOTIVAZIONE/ Si devono compensare in modo specifico particolari situazioni di lavoro molto gravose.

Con due sentenze pronunciate il 23.02.2012 e l'01.03.2012, i Tribunali di Verona e di Rimini hanno stabilito che è possibile corrispondere al personale dell'area della vigilanza l'indennità di disagio.
Negli enti locali italiani accade spesso che alla Polizia locale venga riconosciuta, in aggiunta all'indennità di vigilanza, anche quella di disagio. Sennonché in occasione delle ispezioni inviate dalla Ragioneria dello Stato, frequentemente vengono sollevati specifici rilievi su questo aspetto.
Secondo la Ragioneria –che si rifà all'orientamento dell'Aran– il personale dell'area della vigilanza è adeguatamente tutelato per la specificità delle prestazioni richieste e per l'impegno, la gravosità dei compiti e le responsabilità connesse, attraverso l'indennità di vigilanza. Di conseguenza, il cumulo della predetta indennità con quella di disagio è possibile solo in casi molto limitati.
Le due controversie decise dal Tribunale di Verona e da quello di Rimini originano proprio da ispezioni ministeriali che avevano sollevato questa censura. Nelle sentenze in commento, che sono le prime a occuparsi della questione, i giudici, accogliendo la tesi dei vigili, hanno giudicato legittima la corresponsione dell'indennità di disagio al personale della Polizia locale e hanno ritenuto validi i relativi accordi decentrati integrativi. Nella sentenza veronese si legge, infatti, che le due indennità «sono dirette a compensare particolari modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, le quali non sono necessariamente coincidenti».
Secondo il Tribunale scaligero, «l'indennità di disagio ha la funzione di compensare particolari situazioni di lavoro più gravose (turni, rischi, reperibilità, esposizione a intemperie e agenti atmosferici), mentre l'indennità di vigilanza ha la funzione di attribuire un riconoscimento economico per lo svolgimento di particolari funzioni (polizia giudiziaria), che comportano particolari responsabilità». Ne consegue che i contratti collettivi che riconoscono l'indennità di disagio al personale della vigilanza «non risultano affetti da nullità ai sensi dell'articolo 40 del Dlgs 165/2001, per contrasto con norme imperative o con i vincoli dettati dalla contrattazione nazionale».
Valutazione analoga è stata fatta dal Tribunale di Rimini. Le conclusioni raggiunte dalle due sentenze sono condivisibili, anche se desta qualche perplessità l'affermazione secondo cui l'indennità di disagio dovrebbe compensare condizioni di lavoro più gravose quali turni, rischi, reperibilità. Infatti, per tali caratteristiche della prestazione sono previste dai contratti nazionali voci ad hoc dello stipendio.
Peraltro, anche il Parlamento sembra intenzionato a recepire il punto di vista dei giudici. Si ricorda, infatti, che sono giacenti alle Camere diversi disegni di legge orientati in tal senso e che il Senato, con l'ordine del giorno 9/2479/12 del 15.12.2010, ha impegnato il Governo ad adoperarsi al fine di garantire al personale della Polizia locale, in aggiunta a quelle già previste, una indennità «diretta a remunerare gli specifici rischi e i disagi correlati all'esercizio delle funzioni di cui all'articolo 5 della legge 07.03.1986, n. 65» (articolo Il Sole 24 Ore del 09.03.2012).

PUBBLICO IMPIEGOFUNZIONE PUBBLICA/ Cumulabili congedi e permessi.
Il dipartimento della Funzione pubblica illustra con la circolare 03.02.2012 n. 1 le novità introdotte dal Dlgs 119/2011 in materia di congedo parentale prolungato e di congedo straordinario per l'assistenza a familiari con grave handicap, per gli aspetti che più interessano i dipendenti pubblici.
Le maggiori novità riguardano la possibilità di cumulare le diverse tipologie di permessi e congedi nell'arco dello stesso mese, ma non nello stesso giorno. Deve pertanto intendersi superata la circolare n. 13 del 2010 che precludeva il cumulo fra congedo straordinario e permessi ex lege 104/1992 (articolo Il Sole 24 Ore del 09.03.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATASEMPLIFICAZIONI/ Durc d'ufficio in edilizia e appalti. L'impresa non avrà più l'obbligo di produrre la certificazione. Toccherà alla p.a. acquisire i documenti. Addio al vincolo per i lavori privati.
Nelle gare di appalto di lavori e nell'edilizia privata scatta l'obbligo per le amministrazioni pubbliche di acquisire d'ufficio il Durc; nei lavori pubblici quindi si conferma che il concorrente non avrà più l'onere di produrre la certificazione ma sarà onere della stazione appaltante provvedere ad acquisirlo direttamente dall'ente competente al rilascio; nell'edilizia privata la norma avrà un impatto maggiore dal momento che fino ad oggi è l'impresa a dover produrre il durc.
È questa una delle modifiche più significative contenute nel testo del disegno di legge di conversione del decreto legge n. 2 del 2012, approvato dalle commissioni affari costituzionali e attività produttive della camera.
La norma, prevista come comma 6-bis dell'articolo 14 del testo, incide quindi sul certificato che attesta contestualmente la regolarità di un operatore economico per quanto concerne i versamenti dovuti a Inps, Inail, nonché Cassa edile per i lavori dell'edilizia, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento. Va ricordato che la regolarità contributiva oggetto del documento unico di regolarità contributiva riguarda tutti i contratti pubblici, siano essi di lavori, di servizi o di forniture, siano appalti o concessioni.
La disposizione approvata dalle commissioni riunite che prevede l'obbligo di acquisire d'ufficio il Durc dagli enti abilitati al suo rilascio in tutti i casi in cui ciò sia richiesto dalla legge, non si applica però a tutti i tipi di contratto per i quali vige l'obbligo del Durc, riferendosi soltanto ai «lavori pubblici» e a quelli «privati dell'edilizia». Infatti, stando al tenore letterale della norma, nonostante il Durc sia obbligatorio non solo nel settore dei lavori, ma anche in quello delle forniture e dei servizi, l'obbligo di acquisizione d'ufficio da parte delle stazioni appaltanti scatta soltanto nel caso dei lavori e non nel caso di appalti di servizi e forniture.
Va altresì chiarito che l'acquisizione d'ufficio del Durc da parte delle stazioni appaltanti era già prevista dall'articolo 16-bis, comma 10, del decreto legge n. 185/2008, convertito nella legge n. 2/2009 ove si specifica che l'acquisizione d'ufficio del documento può avvenire, anche attraverso gli strumenti informatici, dagli istituti o dagli enti abilitati al rilascio in tutti i casi in cui è richiesto dalla legge (anche per il pagamento degli stati di avanzamento dei lavori). Il riferimento, nella norma approvata dalle commissioni, alle modalità di acquisizione di ufficio previste dall'articolo 43 del dpr 445/2000, conferma che si può procedere in via telematica e che le amministrazioni certificanti sono tenute a consentire alle amministrazioni procedenti, senza oneri, la consultazione per via telematica dei loro archivi informatici, nel rispetto della riservatezza dei dati personali.
Nell'ambito della nozione di «lavori pubblici», rientrano, stante il riferimento all'oggetto della prestazione, sia i lavori affidati in appalto, sia i lavori affidati in appalti misti o in concessione di costruzione e gestione. In particolare le p.a. si dovranno rivolgere all'Inps, all'Inail e alle Casse edili (nel settore edile) (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2012).

APPALTIAppalti, nulla cambia sulle soglie. Nella trattativa privata nessuna riduzione degli importi. Alla camera sparisce la norma del maxiemendamento al dl 1/2012 che modificava il Codice.
Retromarcia sulle modifiche alle soglie nella trattativa privata per gli appalti: sparisce, nel testo all'esame della camera, la norma inserita nel maxiemendamento approvato in aula al senato al decreto liberalizzazioni (dl n. 1/2012) che comprendeva le modifiche al Codice dei contratti pubblici; la disposizione non era stata mai approvata in Commissione; rimangono quindi in vigore le attuali disposizioni sulle soglie per la trattativa privata.
È questo l'effetto della scomparsa del comma 2 dell'articolo 40-bis nel testo del decreto-legge sulle liberalizzazioni pubblicato alla camera con il numero 5025. Un rebus che ItaliaOggi ha potuto risolvere. Vediamo come.
Partendo dalla fine proviamo a ricostruire cosa è successo. La settimana scorsa, a conclusione dell'esame del provvedimento al senato, veniva data per approvata una norma del maxiemendamento votato in aula che, incidendo sul decreto sviluppo (dl n. 70 convertito nella legge 106/2011), aveva modificato le norme del Codice dei contratti pubblici sulla procedura negoziata (trattativa privata) con e senza pubblicazione del bando (toccando gli articoli 122, comma 7 e di conseguenza gli articoli 56 e 57).
L'effetto sarebbe stato quello per cui la soglia per la procedura negoziata con invito a cinque si sarebbe ridotta da un milione a 500 mila euro. Si prevedeva anche l'applicabilità della trattativa privata senza pubblicazione di bando a seguito di gara andata deserta, ma con il precedente limite di un milione di euro. Analoga modifica veniva introdotta per la trattativa privata con pubblicazione del bando di gara. Inoltre veniva ridotta a un milione di euro (dai precedenti 1,5 milioni di euro previsti dalla modifica del dl n. 70) la soglia per potere utilizzare la procedura ristretta semplificata. Infine il comma 2 del maxiemendamento avrebbe portato a 500 mila (da un milione) anche la soglia per la trattativa privata nei beni culturali.
Tutto questo era stato previsto sia nell'emendamento presentato in aula a firma della Commissione, che aveva lo scopo di riportare in aula tutte le norme approvate in commissione industria, sia nel maxiemendamento successivamente predisposto dal governo e sul quale è poi stata chiesta e ottenuta la fiducia. Nel passaggio del testo alla camera della norma (l'ormai famigerato comma 2 dell'articolo 40-bis) si perdono le tracce.
Rileggendo gli atti parlamentari si scopre che la Commissione industria aveva sì approvato l'articolo 40-bis ma in una versione che comprendeva soltanto un comma (frutto dell'emendamento 40.0.14, primo firmatario il senatore Luigi Zanda) relativo ai cosiddetti «grandi eventi». Con tutta probabilità l'errore è dipeso dal fatto che di questo emendamento erano stati presentati due diversi testi: il primo che comprendeva anche il comma 2 con le modifiche al Codice, riportato erroneamente nel maxiemendamento, e un secondo (quello effettivamente approvato in commissione previa riformulazione da parte dei firmatari) con il solo comma 1.
In sede di coordinamento formale del testo, prima della trasmissione alla camera, ci si è accorti dell'errore ed è stata corretta la norma espungendo le modifiche al Codice dei contratti che, però, il legislatore ha comunque votato, con la fiducia sul maxiemendamento, e che tutti davano per approvate (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento all'08.03.2012

VARIAlla patente di guida non si applica la scadenza al compleanno.  Circolare del ministero dei trasporti.
La patente di guida resta disciplinata dal codice stradale e pertanto a questo documento non si applica l'allineamento della scadenza al compleanno dell'interessato introdotto dal dl 5/2012.
Lo ha chiarito il Ministero dei trasporti con la circolare 05.03.2012 n. 6193 di prot..
Il decreto legge n. 5/2012 ha disposto che i documenti di identità e di riconoscimento di cui all'art. 1, comma 1, lett. c), d) ed e), del decreto del dpr n. 445/2000 sono rilasciati o rinnovati con validità prolungata fino alla data del compleanno del titolare immediatamente successiva alla loro scadenza naturale. In pratica si tratta dei documenti rilasciati o rinnovati dopo il 10.02.2012, data di entrata in vigore del decreto.
Circa l'applicabilità della riforma anche alle patenti di guida il tenore letterale dell'art. 7 del dl n. 5/2012 in realtà lasciava spazio a forti dubbi e perplessità. È pur vero che, secondo la definizione che viene data dal dpr 445/2000 è documento di riconoscimento «ogni documento munito di fotografia del titolare e rilasciato, su supporto cartaceo, magnetico o informatico, da una pubblica amministrazione italiana o di altri stati, che consenta l'identificazione personale del titolare», compresa la patente, come peraltro evidenziato dal Ministero dell'interno con il parere del 13.12.2004. Però, l'eventuale allungamento fino alla data del compleanno della scadenza di validità farebbe sorgere importanti criticità, in considerazione delle norme speciali nazionali e delle disposizioni comunitarie attualmente vigenti in materia di rilascio e conferma di validità delle licenze di guida.
Questi dubbi (si veda ItaliaOggi del 21/02/2012) sono stati confermati dal Ministero dei trasporti con la circolare di lunedì scorso che ha escluso l'applicazione dell'art. 7 del dl 5/2012 alle patenti di guida. L'art. 126 del codice della strada fissa in modo preciso la durata di validità delle varie categorie di patente, prevedendo sanzioni pecuniarie e accessorie per chi circola con il documento di guida scaduto (articolo ItaliaOggi del 07.03.2012).

CONDOMINIO: Parcheggio a trasferimento libero. Box cedibile anche a prescindere dalla vendita dell'immobile. Il dl semplificazioni liberalizza la circolazione delle aree adibite a posto auto pertinenziale.
Liberalizzazione ad ampio raggio anche per la circolazione delle aree adibite a parcheggio pertinenziale.
Il dl n. 5/2012 (decreto semplificazioni), modificando sul punto la cosiddetta legge Tognoli, ha infatti previsto che il proprietario di un immobile dotato di parcheggio di pertinenza realizzato nel sottosuolo o al piano terra dell'edificio condominiale con le maggioranze agevolate di cui alla predetta legge del 1989, possa vendere quest'ultimo anche a prescindere dal trasferimento della proprietà dell'appartamento, purché il nuovo acquirente abiti nel medesimo comune in cui è ubicato l'immobile.
Nel tentativo di risolvere il problema dei parcheggi degli autoveicoli che, da svariati anni, soffocano i centri urbani e gradualmente hanno cominciato a occupare anche le zone semicentrali e periferiche, il legislatore è intervenuto a più riprese con svariate disposizioni inserite in numerosi testi normativi emanati nell'arco degli anni. In particolare, bisogna ricordare che alla fine degli anni 80, per cercare di porre rimedio alla situazione sopra descritta, è stata introdotta una nuova normativa (legge 24.03.1989 n. 122, cosiddetta legge Tognoli) finalizzata all'incentivazione della costruzione di parcheggi nelle aree sottostanti o pertinenziali agli edifici condominiali o nel piano terra degli stessi.
Ebbene, il recente decreto legge sulle semplificazioni e lo sviluppo, nel tentativo di allentare i rimanenti lacci e lacciuoli previsti dalla legge in materia di compravendita delle aree destinate a parcheggio degli autoveicoli, ha innovato profondamente la peculiare disciplina prevista dalla vecchia legge Tognoli, che tanto aveva affaticato la giurisprudenza e la dottrina.
Legge 122/1989 e condominio: le norme fondamentali. La legge Tognoli ha previsto che i condomini possano realizzare nel sottosuolo o nei locali posti al piano terreno del condominio, oppure nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al caseggiato, parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari (cioè a uso esclusivo dei residenti), anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti.
È importante sottolineare, però, che restano in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica e ambientale (e i poteri attribuiti dalla medesima legislazione alle regioni e ai ministeri dell'ambiente e per i beni culturali). Naturalmente, poi, la realizzazione di questi spazi è subordinata alla richiesta dei necessari permessi edilizi. In ogni caso la realizzazione del parcheggio è possibile solo con una deliberazione approvata dall'assemblea condominiale, in prima o in seconda convocazione, con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
Le condizioni per la realizzazione dei parcheggi. La realizzazione del parcheggio non può avvenire se è in contrasto con la stabilità o il decoro del fabbricato o se comporta la sottrazione di parti comuni all'uso e al godimento di un solo condomino.
In secondo luogo, le opere in oggetto costituiscono innovazioni gravose, comportando oneri economici particolarmente rilevanti: di conseguenza i dissenzienti, così come prevede la legge, potranno essere esonerati da qualsiasi contribuzione alle spese ma potranno decidere in qualsiasi momento di aderire al progetto di parcheggio, pagando le spese di esecuzione e manutenzione dell'opera. In altre parole è possibile realizzare box sotterranei, previa delibera condominiale, pur se in numero inferiore a quello della totalità dei condomini, non potendo i condomini dissenzienti impedire tale realizzazione voluta invece dalla maggioranza dei partecipanti al condomini
Quindi è possibile che il numero delle autorimesse sotterranee realizzate sia inferiore al numero degli appartamenti. Tuttavia la sottrazione di una parte del bene comune è consentita solo se è assicurata in futuro anche ai condomini dissenzienti il pari uso del sottosuolo avvalendosi della possibilità di realizzare nell'area di detto bene comune rimasta libera un parcheggio pertinenziale dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva: tutti i condomini, nessuno escluso, devono infatti avere la possibilità di godimento del sottosuolo secondo la sua destinazione (prevista normativamente) ad alloggiare autorimesse. Solo se tale possibilità è garantita la delibera adottata a maggioranza può essere ritenuta valida, in quanto non in contrasto con la legge.
Il vincolo a pertinenza degli appartamenti: le novità del decreto legge 09.02.2012 n. 5. La legge Tognoli precisava che i parcheggi con le caratteristiche di cui sopra non potevano essere ceduti separatamente dall'unità immobiliare alla quale erano legati da vincolo pertinenziale e che i relativi atti di cessione erano nulli.
L'intento del legislatore era stato evidentemente quello di evitare speculazioni da parte di chi aveva usufruito di speciali deroghe e agevolazioni per la realizzazione degli spazi in oggetto, prevedendo espressamente che i parcheggi in tal modo realizzati fossero sottoposti sia a circolazione che a utilizzazione vincolata. In buona sostanza, unicamente per tali spazi, era stato previsto un vincolo di destinazione di ordine pubblicistico, cioè il divieto di cessione del bene immobile separatamente dall'appartamento del quale lo stesso era da considerarsi pertinenziale.
Tuttavia il recente decreto legge cosiddetto semplificazione e sviluppo (dl n. 5 del 09.02.2012) all'art. 10, modificando sul punto la legge Tognoli, ha stabilito che la proprietà dei parcheggi di pertinenza delle abitazioni possa essere trasferita separatamente dall'unità immobiliare di riferimento, a condizione che ciò avvenga solo con contestuale destinazione del parcheggio trasferito a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso comune.
Il nuovo testo normativo prevede però ancora un'eccezione: esso stabilisce infatti che la cessione dell'area adibita a ricovero delle auto non possa avvenire, pena la nullità dell'atto di trasferimento, ove abbia a oggetto parcheggi realizzati su previsione dei comuni nell'ambito del programma urbano dei parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati, insistenti su aree comunali o nel sottosuolo delle medesime.
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Tutti i condomini hanno diritto d'uso.
I parcheggi creati sulla base della cosiddetta legge ponte, in quanto di obbligatoria edificazione in quantità proporzionale alla cubatura totale del condominio, hanno un vincolo di carattere pubblicistico, poiché tutti i condomini godono di un diritto reale d'uso sui predetti spazi, che non può essere frustrato dalla volontà contraria del costruttore.
Questa la posizione espressa ormai da tempo dalla Suprema corte in relazione ai parcheggi edificati in base alla legge n. 765/1967 (che ha modificato l'art. 41-sexies della legge urbanistica n. 1150/1942), ribadita da ultimo nella recente sentenza n. 1214, depositata in cancelleria lo scorso 27.01.2012.
Si tratta di una tipologia di parcheggi che l'elaborazione giurisprudenziale ha ritenuto diversa da quella ricadente nella cosiddetta legge Tognoli (e della quale si occupa il recente intervento di liberalizzazione di cui al dl n. 5/2012). Infatti, come chiarito in maniera esemplare dalla stessa Cassazione (sentenza n. 21003 dell'01.08.2008), mentre per quelli che ricadono nella disciplina di cui alla legge n. 122/1989 (e ora liberalizzati a partire dal 10 febbraio scorso) non era ammissibile una commercializzazione disgiunta dall'appartamento al quale gli stessi si riferivano, per quelli previsti dalla cosiddetta legge ponte la libera circolazione era già prevista dalla legge, fermo restando il diritto reale d'uso dell'area in capo al proprietario dell'appartamento.
Nel caso deciso dalla seconda sezione civile della Suprema corte con la predetta sentenza n. 1214/2012 gli acquirenti di un immobile di nuova costruzione avevano citato in giudizio l'impresa costruttrice che, nell'edificare il palazzo, aveva trattenuto per sé la proprietà delle aree a parcheggio costruite, impedendo agli acquirenti di farne uso. Questi ultimi avevano quindi al tribunale di accertare il loro diritto di proprietà in relazione alle predette aree o, quantomeno, il loro diritto reale d'uso sulle stesse.
In primo grado i giudici avevano quindi convalidato il sequestro giudiziario concesso in corso di causa, riconoscendo agli acquirenti, previo pagamento del prezzo, la proprietà di un posto auto individuato grazie a una consulenza tecnica d'ufficio (che aveva anche provveduto a valutare il relativo valore di mercato).
Nel giudizio di appello, promosso dall'impresa costruttrice, la Corte territoriale aveva invece ritenuto che non dovesse essere accolta la domanda degli acquirenti volta al riconoscimento di un proprio diritto di proprietà sugli spazi adibiti a parcheggio, trattandosi in realtà di un diritto reale d'uso (relativo comunque alla stessa area ceduta in proprietà a seguito della sentenza di primo grado).
La Suprema corte, nel confermare sul punto la decisione di appello, ha ricordato i numerosi precedenti di legittimità (da ultimo la sentenza n. 730 del 16.01.2008) che hanno chiarito come ai proprietari degli appartamenti degli edifici condominiali nei quali siano stati previste aree di parcheggio spetti il diritto reale di uso delle stesse, a prescindere dalla proprietà di esse, che può anche rimanere in capo all'impresa costruttrice (articolo ItaliaOggi Sette del 05.03.2012).

PUBBLICO IMPIEGOPersonale. «Pasticcio» sul maltempo. Assenze per neve, Governo in panne sui tagli in busta paga.
LE PROSPETTIVE/ Difficile retribuire il dipendente in assenza della prestazione Probabile l'utilizzo di ferie, permessi o recuperi.

Il maltempo delle scorse settimane ha creato difficoltà anche agli uffici personale della Pa. Il problema consiste nel trovare una motivazione giuridica che possa consentire il pagamento dei giorni di assenza causa neve, e la soluzione non sembra agevole. In questi giorni, molte amministrazioni si stanno rivolgendo alla Funzione pubblica per avere chiarimenti in merito.
La questione è stata oggetto di analisi da parte degli interpreti istituzionali e della giurisprudenza. In diverse occasioni, l'Aran ha affermato che l'assenza del dipendente, o la chiusura degli uffici da parte datoriale in conseguenza di eventi atmosferici e calamità naturali, rientra nelle ipotesi di forza maggiore sopravvenuta, non imputabile al datore di lavoro né al lavoratore. Ergo, se il dipendente non ha potuto lavorare, la parte datoriale, non avendo beneficiato di alcuna prestazione, non può corrispondere la retribuzione. In tal senso si era espressa anche la Cassazione lavoro, con la sentenza 481/1984. In caso contrario, secondo l'Aran, si verrebbero a determinare oneri impropri e ingiustificati a carico del bilancio degli enti che, letti dalla Corte dei conti, si trasformerebbero in danno all'erario.
Volendo in ogni caso evitare la decurtazione della retribuzione, è necessario individuare un istituto legale o contrattuale che possa giustificare l'assenza e, al contempo, ne preveda la retribuzione. Se nel panorama legislativo non si rinvengono norme di legge speciali per la fattispecie, in ambito contrattuale occorre analizzare comparto per comparto quali soluzioni possono essere trovate. A esempio, per i ministeriali, si prevede la possibilità di utilizzare i permessi retribuiti per motivi familiari o personali in caso di impossibilità oggettiva al raggiungimento della sede di servizio anche nell'ipotesi di gravi calamità naturali. Al contrario, per quanto riguarda gli enti locali, nulla è previsto nel contratto e quindi si dovrà comunque ricorrere ai permessi, alle ferie o al recupero.
La buona volontà della Funzione pubblica si scontra, oltre che con un consolidato orientamento interpretativo, anche con il costo che questa operazione potrebbe determinare per le casse dello Stato. Per questo, sarà difficile che l'Economia supporti una interpretazione estensiva a favore dei dipendenti pubblici. Sarebbe inoltre complicato spiegare perché i dipendenti pubblici che non hanno lavorato potranno beneficiare della retribuzione quando i colleghi del settore privato, a casa per neve ed ai quali si applica lo stesso quadro normativo, non verrebbero pagati. Allo stesso tempo, ai dipendenti pubblici che, proprio a causa delle condizioni atmosferiche avverse, hanno dovuto subire turni di lavoro massacranti, non potrà che essere riconosciuto il trattamento economico previsto dal contratto, che si concretizza in pochi euro in più (articolo Il Sole 24 Ore del 05.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Contratti pubblici. Sostituzione del soggetto inadempiente in base al Durc.
L'ente salda i contributi pregressi dell'appaltatore. La Pa gira a Inps e Inail i compensi dell'impresa.
Le amministrazioni appaltanti devono operare come sostituti contributivi anche quando il corrispettivo dovuto all'appaltatore copre solo parzialmente i debiti che lo stesso ha nei confronti degli enti previdenziali.

Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha definito con la circolare 16.02.2012 n. 3 gli aspetti applicativi della procedura prevista dall'articolo 4 del regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici. La disposizione del Dpr 207/2010 prevede infatti che le amministrazioni aggiudicatrici, quando ottengono un Durc che segnali un'inadempienza contributiva relativa a uno o più soggetti impiegati nell'esecuzione del contratto, devono trattenere dal certificato di pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza e, successivamente, pagare quanto dovuto per le inadempienze accertate direttamente agli enti previdenziali e assicurativi, compresa la Cassa edile. La norma, in sostanza, prevede un particolare meccanismo attraverso il quale, quando il Durc evidenzia irregolarità nei versamenti dovuti agli enti previdenziali, le stazioni appaltanti si sostituiscono al debitore principale, versando –in tutto o in parte– le somme dovute in forza del contratto di appalto direttamente agli stessi enti creditori.
Il ministero del Lavoro chiarisce anzitutto che sotto il profilo operativo la trattenuta, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, delle somme dovute all'appaltatore va effettuata successivamente alle ritenute indicate dal comma 3 dello stesso articolo 4, in base al quale sull'importo netto progressivo delle prestazioni si opera una ritenuta dello 0,50% e il complesso di tali ritenute può essere svincolato soltanto in sede di liquidazione finale. Quindi la stazione appaltante prima procede alla ritenuta dello 0,50% e poi, con la somma restante, paga gli eventuali debiti previdenziali dell'appaltatore. L'intervento sostitutivo può operare anche quando lo stesso debito può colmare solo in parte le inadempienze dell'appaltatore evidenziate nel Durc.
Le somme finalizzate a soddisfare i crediti devono essere ripartite tra gli istituti e le Casse edili creditori in proporzione dei crediti di ciascun ente previdenziale evidenziato nel documento di regolarità contributiva. Per consentire il coordinamento di più possibili interventi sostitutivi da parte di amministrazioni che abbiano contratti di appalto con lo stesso operatore economico irregolare sotto il profilo contributivo, il ministero del Lavoro sollecita le stazioni appaltanti a preavvisare gli enti previdenziali prima di procedere ai versamenti. Sempre a garanzia dell'effettività delle somme dovute, è importante che le amministrazioni comunichino tempestivamente agli enti previdenziali i pagamenti effettuati.
In relazione ai debiti contributivi dei subappaltatori, a fronte del principio solidaristico che coinvolge sia gli appaltatori sia le amministrazioni appaltanti, queste ultime devono operare con l'intervento sostitutivo solo per le somme residue rimaste dopo l'analogo intervento dell'appaltatore. In tal caso, inoltre, quanto corrisposto dall'amministrazione non può eccedere il valore del debito che l'appaltatore ha nei confronti del subappaltatore alla data di emissione del Durc irregolare.
La circolare 3/2012 ha inoltre chiarito il rapporto tra i versamenti connessi all'intervento dell'amministrazione come sostituto previdenziale e quelli da realizzare per coprire debiti verso l'erario rilevabili presso Equitalia in caso di pagamenti superiori a 10.000 euro.
Il ministero del Lavoro ha precisato che l'attivazione dell'intervento sostitutivo anche in tali situazioni impedisce il pagamento dell'appaltatore, poiché le somme spettanti originariamente a quest'ultimo sono versate agli enti previdenziali, così salvaguardando il principio contenuto nell'articolo 48-bis del Dpr 602/1973.
Peraltro, solo l'applicazione prioritaria del meccanismo previsto dall'articolo 4 del regolamento attuativo del codice dei contratti consente alle imprese, in prospettiva, di ottenere un Durc regolare e, pertanto, di continuare a operare sul mercato, salvaguardando anche i crediti dell'amministrazione fiscale (che potrebbero, viceversa, essere compromessi se si volesse soddisfarli primariamente, lasciando inalterata l'irregolarità del Durc e impedendo all'operatore economico di partecipare agli appalti) (articolo Il Sole 24 Ore del 05.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 05.03.2012

SEGRETARI COMUNALIUna casta nascosta: i segretari comunali.
Non si parla mai della Casta dei segretari comunali, notai dei comuni i quali raggiungono stipendi mensili da capogiro e fanno le delibere un tempo con la carta carbone, oggi con il copia e incolla.
Non sarebbe il caso di chiamarli quando non si possono risolvere i problemi e pagarli a ore? Visto che, peraltro, riescono ad esercitare anche in 15 comuni contestualmente ... (articolo Libero del 03.03.2012 - tratto da  www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIVigili e prof, assunzioni senza tetti. I contratti a termine non sono soggetti al limite del 50%. Nel milleproroghe molte novità sul personale. Ma le sezioni della Corte conti sollevano dubbi.
Le assunzioni a tempo determinato dei vigili urbani e del personale educativo e docente degli enti locali non sono soggette nell'anno 2012 al tetto del 50% della spesa del personale flessibile assunto dallo stesso ente nell'anno 2009 o, in mancanza, nel triennio 2007/2009.
È questa, unitamente alla proroga per tutto il 2012 della validità delle graduatorie per le assunzioni a tempo indeterminato approvate dopo il 30.09.2003, la più importante novità dettata in materia di personale dalla legge n. 14/2012 di conversione del decreto cosiddetto milleproroghe.
Con questo chiarimento viene consentita un'importante eccezione al nuovo e assai rigido limite alle assunzioni flessibili negli enti locali. Ma non vengono risolti i numerosi dubbi che la norma solleva e su cui i pareri delle sezioni regionali della Corte dei conti fin qui adottati sono assai diversificati, dubbi per risolvere i quali la sezione di controllo della Corte dei conti della Lombardia (parere n. 36/2012) ha investito le sezioni riunite.
È opportuno precisare subito che gli enti locali, in virtù del carattere di principio della disposizione, possono derogare al tetto di spesa fissato dall'articolo 9 comma 28, da una parte per le assunzioni a tempo determinato, con convenzioni e gli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa e dall'altra per i contratti di somministrazione, il lavoro accessorio, i contratti di formazione e lavoro e gli altri rapporti formativi. Tale deroga non può sicuramente operare né per aumentare la soglia massima della spesa consentita, né per introdurre eccezioni (tanto più dopo che queste sono state dettate espressamente dal legislatore), ma per prevedere che il tetto del 50% di quanto speso nel 2009 sia calcolato in modo unitario sul totale di queste voci e non in modo segmentato per singole voci e/o per i due blocchi previsti dalla disposizione legislativa.
La deroga concessa per il 2012 alle assunzioni a tempo determinato dei vigili urbani risolve il dubbio se quelle finanziate con una quota dei proventi derivanti dalla inosservanza del codice della strada sfuggano o meno al vincolo di spesa. Per la sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Toscana, parere n. 10/2012, questi oneri non devono essere inclusi nel tetto alla spesa per le assunzioni flessibili.
La tesi diametralmente opposta è stata fatta propria della sezione regionale di controllo della Lombardia, parere n. 21/2012. Il chiarimento si impone comunque per una questione più ampia: se si possono escludere dal tetto di spesa tutte le assunzioni flessibili i cui oneri sono sostenuti da altre amministrazioni, dall'Unione europea o dai privati, anche alla luce della pronuncia resa dalle sezioni riunite di controllo della Corte dei conti, deliberazione n. 7/2011, per la quale ai fini della determinazione del tetto alla spesa per gli incarichi di consulenza vanno esclusi «dal computo gli oneri coperti mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati».
Un altro punto di grande rilievo da chiarire è che cosa devono fare le amministrazioni locali, il che capita in particolare in piccoli comuni, che non hanno avuto né nel 2009, né nel triennio 2007-2009, spese per le assunzioni flessibili, tanto più se le stesse sono strettamente necessarie.
La sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia, parere n. 29/2012 consente agli enti di «individuare un diverso parametro che rappresenti il limite di spesa anche per gli anni successivi al 2011. L'ente locale dovrà motivare puntualmente in ordine alle ragioni che rendono necessario il ricorso a questa tipologia di spesa, motivazione rilevante anche ai fini della responsabilità espressamente prevista dal penultimo periodo dell'art. 9, comma 28, dl n. 78/2010» (articolo ItaliaOggi del 02.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALILIBERALIZZAZIONI/ Servizi, gestioni più ampie. Sì ad ambiti superiori al livello provinciale. Nelle gare valutati i profili di tutela dell'occupazione.
Gli ambiti dei servizi pubblici locali potranno anche essere di livello superiore al territorio provinciale; nelle gare valutabile anche i profili attinenti alla tutela dell'occupazione.
Sono questi alcuni dei punti sui quali incide il nuovo testo dell'articolo 25 del decreto-legge liberalizzazioni approvato ieri dal senato, dopo le modifiche in commissione industria.
Una prima modifica di interesse è quella che pone un precetto alle regioni, consistente nell'organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica (peraltro si tratta di una dizione che non appare nelle altre norme, riferite meramente ai servizi pubblici locali) in ambiti di bacini territoriali ottimali e di dimensione non inferiore al livello provinciale e non più «normalmente» provinciale).
Le regioni potranno quindi definire ambiti diversi da quelli provinciali, attraverso un procedimento teso a coinvolgere gli enti locali, fatta salva l'organizzazione di ambiti già prevista o già avviata, con riferimento alle dimensioni già indicate o a specifiche direttive europee. Permane il potere sostitutivo del governo decorso il termine del 30.06.2012.
L'emendamento approvato in commissione, confermato ieri dall'aula, prevede inoltre, come elemento di valutazione dell'offerta da parte degli aspiranti concessionari di servizi pubblici, la circostanza che, in sede di gara, siano stati adottati strumenti di tutela dell'occupazione. La norma assoggetta poi le società affidatarie in house agli oneri cui sono tenuti gli enti locali in tema di patto di stabilità, appalti, contratti e personale, ivi comprese le aziende speciali e le istituzioni degli enti locali, ma con esclusione, nel testo della Commissione, di quelle che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, culturali e farmacie.
L'articolo 25 rafforza inoltre il parere dell'Autorità garante del mercato nel procedimento che gli enti locali devono effettuare per verificare le condizioni di affidamento in esclusiva piuttosto che di liberalizzazione dei servizi; si impone inoltre all'impresa concorrente a realizzare economie di gestione tali da riflettersi sulle tariffe o sulle politiche del personale. Ridotto da 900 mila a 200 mila euro il valore massimo dei servizi che è possibile affidare «in house»; vengono poi prorogati i termini di scadenza degli affidamenti in house, prevedendo alcune circostanziate deroghe. In particolare si prevede in alternativa alla posticipata scadenza del 31.12.2012, che si può procedere all'affidamento a un'unica società in house risultante dalla integrazione operativa, di preesistenti gestioni in affidamento diretto e in economia tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di ambito o di bacino.
Relativamente al trasporto pubblico regionale ferroviario si fanno salvi, fino alla scadenza naturale dei primi sei anni di validità, gli affidamenti e i contratti di servizio già deliberati o sottoscritti in conformità alla normativa europea. Per il settore del trasporto pubblico locale su gomma si conferma, per gli affidamenti già in essere a norma di legge, la scadenza naturale contrattualmente prevista. Cesseranno invece alla conclusione dei lavori e all'effettuazione dei collaudi gli attuali affidamenti su infrastrutture ferroviarie, interessate da investimenti co-finanziati con risorse comunitarie (articolo ItaliaOggi del 02.03.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Terzo mandato senza scuse. Il commissariamento non blocca la sequenza. Se la carica dura più di due anni, sei mesi e un giorno si calcola per intero.
Un amministratore comunale è stato eletto alla carica di sindaco per la prima volta e tale mandato è stato interrotto dallo scioglimento del consiglio comunale, con la conseguente gestione commissariale protrattasi fino al rinnovo degli organi amministrativi; considerato che l'amministratore è stato eletto nuovamente in occasione della tornata elettorale successiva al commissariamento dell'ente locale, che il primo mandato ha avuto una durata ridotta (anche se superiore a due anni, sei mesi e un giorno) e che il primo e il secondo mandato sono stati intervallati dalla citata gestione commissariale, è ancora possibile una sua rielezione per un ulteriore mandato consecutivo alla carica sindacale attualmente ricoperta?
La continuità dei due mandati consecutivi, al verificarsi dei quali l'art. 51, comma 2, del dlgs n. 267/2000 dispone la non rieleggibilità alla carica di sindaco, non viene meno per effetto dell'interposizione di una gestione commissariale.
La Corte di cassazione, sebbene chiamata a pronunciarsi su un diverso caso, ha avuto modo di precisare che affinché non si configuri la condizione ostativa prevista dal citato art. 51, è necessario che il secondo mandato amministrativo sia stato seguito da una tornata elettorale alla quale il sindaco uscente non si è candidato. In particolare è stato precisato che «l'ambito di operatività del divieto (ex art. 51 cit.) è puntualmente e univocamente chiarito, nel senso della sua correlazione a una sequenza temporale caratterizzata dalla compresenza, oltreché dell'avverbio immediatamente (già di per sé sufficiente a escludere il permanere dell'ineleggibilità oltre la tornata elettorale successiva alla conclusione del secondo mandato) anche nella incidentale (rafforzativa) allo scadere del secondo mandato, che non lascia alcun margine di dubbio interpretativo in ordine alla circostanza che per le elezioni diverse da quelle immediatamente successive alla scadenza del mandato non operi più la causa di ineleggibilità» (cfr. Corte Cass., sent. 13181 del 05.07.2007).
Nel caso in esame, considerato che tra il primo mandato elettorale (di durata ridotta ma in ogni caso superiore a due anni, sei mesi e un giorno, poi seguito da una gestione commissariale) e il secondo non si è verificata alcuna tornata elettorale intermedia, interruttiva della sequenza temporale prevista dalla norma citata, sussiste la causa ostativa alla terza candidatura di cui all'art. 51 del dlgs n. 267/ 2000, atteso che, nel caso di specie, le prossime elezioni sarebbero quelle immediatamente successive alla scadenza del secondo mandato (articolo ItaliaOggi del 02.03.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Se il sindaco di un comune con popolazione superiore a 15 mila abitanti è decaduto a seguito della sua elezione alla carica di consigliere regionale, il vicesindaco può votare in consiglio comunale fino al rinnovo del consiglio stesso?

Ai sensi dell'art. 64, comma 2, del dlgs n. 267/2000, per i comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti viene previsto che «qualora un consigliere comunale o provinciale assuma la carica di assessore nella rispettiva giunta, cessa dalla carica di consigliere all'atto dell'accettazione della nomina, e al suo posto subentra il primo dei non eletti».
Dalla disposizione in questione, si evince che il sindaco ha perduto lo status di consigliere comunale a seguito dell'accettazione della nomina alla carica di assessore.
Ai sensi dell'art. 53, comma 1, del dlgs n. 267/2000, il vicesindaco sostituisce il sindaco in caso di impedimento permanente, rimozione, decadenza o decesso dello stesso sindaco.
Il Consiglio di stato, l sez., con parere n. 94/1996, con riferimento alla specifica problematica prospettata in ordine alla possibilità che il vicesindaco sostituisca il sindaco quale componente, con diritto di voto, del consiglio comunale, ha precisato che «appare difficilmente concepibile che esse vengano esercitate dal vicesindaco», non essendo ammessa nel nostro ordinamento la sostituzione nelle funzioni di componente delle assemblee elettive.
Il successivo parere n. 501 del 14.06.2001, emanato dallo stesso Consiglio di stato in materia di poteri del vicesindaco, non ha contraddetto la precedente pronuncia; pertanto, il vicesindaco non può esercitare le funzioni di componente, con diritto di voto, del consiglio comunale (articolo ItaliaOggi del 02.03.2012).

aggiornamento all'01.03.2012

APPALTI:  Modificato il Codice dei contratti pubblici. Appalti, esclusi gli evasori fiscali.
Esclusione dagli appalti per violazioni fiscali oltre i 10.000 euro accertate in via definitiva in quanto riferite al pagamento di debiti certi, scaduti ed esigibili.

È questo il chiarimento fornito dall'articolo 1 del decreto legge sulle semplificazioni fiscali che interviene sul comma 2 dell'articolo 38 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (dlgs 163/2006) per quanto attiene al concetto di definitività dell'accertamento fiscale.
Diversamente dalla precedente bozza, che generava qualche confusione interpretativa (vedi ItaliaOggi del 22 febbraio), la nuova formulazione, più correttamente, interviene direttamente nel corpus del comma 2 dell'articolo 38 del codice dei contratti (non più inserendo una lettera g-bis) andando a precisare uno dei due elementi disciplinati dalla lettera g) del comma 1 della disposizione che dispone l'esclusione dagli appalti per i soggetti che abbiano «commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello stato in cui sono stabiliti».
Infatti per il primo elemento che qualifica la violazione fiscale, cioè quello attinente alla gravità della violazione, è la stessa norma attualmente vigente a riferirsi all'articolo 48-bis, comma 1 e 2-bis del dpr 29.09.1973, n. 602, che prevede il valore di 10.000 euro, peraltro soggetto a variazione in aumento, con decreto di natura non regolamentare fino al doppio, o in diminuzione. La novella inserita dal decreto legge sulla semplificazione fiscale riguarda quindi il secondo elemento, cioè l'accertamento definitivo della violazione.
La norma in particolare chiarisce che «costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle relative all'obbligo di pagamento di debiti per imposte e tasse certi, scaduti ed esigibili». Solo a tali condizioni, che devono, almeno stando al tenore della proposta normativa, essere presenti contemporaneamente, le stazioni appaltanti potranno disporre l'esclusione dalla gara per il concorrente.
La nuova norma stabilisce che siano fatti salvi i comportamenti già adottati dalle stazioni appaltanti (non più dagli «Uffici», come recitava la precedente bozza) in coerenza con la previsione contenuta nel comma 1, cioè in base alla formulazione della lettera g) precedente all'introduzione del chiarimento disposto dal decreto legge (articolo ItaliaOggi del 29.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATADurc, controlli doppi. Testati i soci dipendenti e autonomi. Nota Cnce sulla regolarità contributiva delle cooperative.
Serve una doppia verifica di regolarità contributiva per il rilascio del Durc alle società cooperative di artigiani e di lavoratori autonomi. Infatti, quando le cooperative operano solo con soci lavoratori autonomi, non c'è obbligo d'iscrizione alla cassa edili e, di conseguenza, ogni richiesta di regolarità contributiva (Durc) va indirizzata solamente all'Inps e Inail. Invece, quando le cooperative operano sia con soci lavoratori dipendenti che con soci lavoratori autonomi, ai fini del rilascio del Durc, le casse edili procederanno alla doppia verifica: regolarità contributiva ordinaria (per i soci dipendenti) e regolarità contributiva singola (Inps e Inail) per i soci lavoratori autonomi.
Lo precisa la Cnce (la Commissione nazionale paritetica per le casse edili) col comunicato 23.02.2012 a proposito del rilascio del Durc a cooperative di artigiani e di lavoratori autonomi.
Il Durc è l'attestazione che certifica l'assolvimento, da parte dell'impresa, degli obblighi normativi e contrattuali nei confronti di Inps, Inail e cassa edile. Contiene il risultato delle verifiche effettuate parallelamente da Inail, Inps e cassa edile sulla posizione contributiva dell'impresa; sarà negativo quando anche uno soltanto dei tre enti dichiara l'irregolarità dell'impresa.
I chiarimenti della Cnce arrivano con riferimento alle segnalazioni pervenute da alcune casse edili in merito a richieste di certificati Durc relative a imprese costituite come società «cooperative di artigiani» o società «cooperative di lavoratori autonomi». La Cnce spiega che qualora le cooperative in esame dichiarino di non avere soci lavoratori dipendenti ma di operare esclusivamente con soci lavoratori autonomi, le stesse (cooperative) non hanno l'obbligo dell'iscrizione alla cassa edile e, pertanto, non possono nemmeno richiedere il Durc secondo la disciplina ordinaria.
In questi casi, infatti, aggiunge la Cnce, ogni richiesta di Durc deve essere indirizzata soltanto agli istituti pubblici previdenziali, cioè all'Inps e all'Inail che rilasceranno autonome attestazioni concernenti o meno la regolarità contributiva. Qualora invece le predette società cooperative abbiano anche soci lavoratori dipendenti e sia effettuata una richiesta di Durc attraverso la procedura ordinaria prevista per le imprese edili, la cassa edile provvederà a rilasciare un Durc di regolarità previa verifica anche del possesso di un Durc Inps e Inail da parte dei lavoratori autonomi che, soci delle cooperative, risultino operanti nel cantiere.
Infine, la Cnce evidenzia che le associazioni nazionali delle imprese cooperative hanno istituito, con la collaborazione di Inps e Inail, mediante apposita convenzione, degli specifici «osservatori» presso le direzioni territoriali del lavoro (le ex dpl, direzioni provinciali del lavoro), finalizzati alla verifica della coerenza di tali forme di cooperative, di artigiani e di lavoratori autonomi, con quanto previsto dalla disciplina normativa (legge n. 142/2001) (articolo ItaliaOggi del 29.02.2012).

APPALTICentrale unica, rinvio al 2013. In G.U. il dl milleproroghe convertito.
Prorogato di un anno (al 31.03.2013) l'obbligo per i comuni al di sotto dei 5000 abitanti di affidare appalti con una unica centrale di committenza.
E' quanto si prevede al comma 11-ter dell'articolo 29 della legge 24.02.2012 n. 14 (in G.U. n. 48 di ieri) che ha convertito in legge il decreto milleproroghe (n. 216/2011).
Il provvedimento fa slittare di dodici mesi il termine previsto dall'art. 23, comma 5, del decreto legge n. 201/2011. Si tratta della norma nella quale si stabilisce che i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti dovranno obbligatoriamente affidare ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture. Tutto ciò doveva avvenire entro fine marzo di quest'anno, ma l'emendamento votato prevede che la disposizione si applichi alle gare bandite successivamente al 31.03.2013.
L'articolo 23 del decreto legge n. 201/2011, ai commi 4 e 5, aveva introdotto un comma aggiuntivo (il comma 3-bis) all'art. 33 del dlgs n. 163/2006, il Codice dei contatti pubblici, prevedendo l'obbligo per i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna provincia di affidare ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture. Tale obbligo può essere soddisfatto secondo due modalità: nell'ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti; ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici.
Il comma 5 dell'articolo 23 ha, quindi, specificato che tali disposizioni si applichino alle gare bandite successivamente al 31.03.2012. La finalità della norma di cui adesso viene rinviata di un anno l'applicazione, è quella di permettere una riduzione dei costi di gestione delle procedure grazie alle economie di scala.
Quanto alle centrali di committenza la relativa disciplina è recata dall'art. 33 del Codice contratti che prevede che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi e che tali centrali sono tenute all'osservanza del Codice (articolo ItaliaOggi del 28.02.2012).

LAVORI PUBBLICI: Nuovi chiarimenti ministeriali al regime di responsabilità tra committenti e ditte esecutrici. Il nolo a caldo è senza solidarietà. L'affitto di macchinari non è equiparabile a un appalto.
La responsabilità solidale non si applica al noleggio di macchinari con disponibilità di lavoratori per la loro messa in funzione (cosiddetto nolo a caldo).
Lo precisa il Ministero del lavoro nell'interpello 27.01.2012 n. 2/2012 spiegando che la responsabilità solidale è un istituto strettamente legato all'appalto.
La responsabilità solidale. È una sorta di vincolo che lega, negli appalti, la ditta che affida un lavoro a quella che tale lavoro esegue. Il vincolo vale relativamente ai diritti retributivi, fiscali e contributivi spettanti ai lavoratori che sono impiegati nell'esecuzione dei lavori. Oggi vige una doppia disciplina: quella che lega il committente con le ditte appaltatrici e subappaltatrici (disciplinata dal dlgs n. 276/2003, la riforma Biagi del lavoro) e quella che lega l'appaltatore con le ditte subappaltatrici (disciplinata dalla legge n. 248/2006).
Questa la differenza tra le due tipologie di solidarietà: la prima (dlgs n. 276/2003) contempla una responsabilità per tutti i soggetti della catena degli appalti e, quindi, «committente-appaltatore-subappaltatore», nei limiti temporali di due anni dal termine dell'appalto; la seconda (legge n. 248/2006) prevede la solidarietà tra appaltatore e subappaltatore, senza risalire, quindi, al committente e senza alcun vincolo temporale.
Il contratto di «nolo». La fattispecie del «nolo», affrontata dal ministero del lavoro nell'interpello n. 2/2012, è una figura contrattuale atipica diffusa nella prassi commerciale che ha ad oggetto il noleggio ovvero la concessione in uso di macchinari e l'eventuale prestazione lavorativa di un operatore. In mancanza d'esplicita definizione legislativa, l'istituto è solitamente inquadrato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione nell'ambito della disciplina civilistica del contratto di locazione (articolo 1571 e seguenti del codice civile), e viene distinto nelle due tipologie del «nolo a freddo» e del «nolo a caldo».
La prima fattispecie (nolo a freddo) ha quale oggetto del contratto esclusivamente la locazione del macchinario; la seconda figura (nolo a calco) risulta, invece, caratterizzata dallo svolgimento dell'attività lavorativa da parte di un dipendente del locatore (di chi concede in uso il macchinario), addetto all'utilizzo del macchinario, attività che si presenta del tutto accessoria, in ogni caso, rispetto alla prestazione principale costituita dalla messa a disposizione del bene (così, tra l'altro, sentenza n. 23604/2009, n. 34327/2009 e n. 41791/2009 della Cassazione, sezione penale).
La giurisprudenza, inoltre, ha evidenziato pure quali siano gli elementi utili ai fini della qualificazione della fattispecie concreta in termini di nolo a caldo, nonché la differenza esistente, a prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto negoziale, tra quest'ultima e gli schemi contrattuali dell'appalto e del subappalto (disciplinati agli articoli 1655 e seguenti del codice civile).
Nello specifico, l'appaltatore e l'eventuale subappaltatore si obbligano nei confronti del committente al compimento di un'opera ovvero alla prestazione di un servizio, organizzando i mezzi di produzione e l'attività lavorativa per il raggiungimento del risultato produttivo autonomo. Diversamente, nel «nolo» il locatore mette a disposizione soltanto il macchinario ed, eventualmente, l'addetto al suo utilizzo, senza alcuna ingerenza nell'attività produttiva e/o nell'organizzazione aziendale di chi prende a noleggio.
«Nolo» senza responsabilità solidale. Il ministero risponde ai consulenti del lavoro che hanno chiesto chiarimenti in merito alla corretta interpretazione dell'articolo 35, comma 28, del dl n. 223/2006 (convertito dalla legge n. 248/2006), concernente la responsabilità solidale di appaltatore ed eventuali subappaltatori per il versamento delle ritenute fiscali e dei contributi previdenziali e assicurativi dei lavoratori dipendenti impiegati nell'esecuzione dei lavori.
In particolare, i consulenti hanno chiesto di sapere se il predetto regime di solidarietà possa trovare applicazione anche con riferimento alle tipologie contrattuali cosiddette del «nolo a caldo» eccedenti il 2% dell'importo complessivo delle prestazioni affidate, con la conseguente responsabilità per l'assolvimento degli obblighi fiscali e contributivi a carico del committente-noleggiatore. La risposta del ministero è negativa. La disciplina sulla responsabilità solidale, spiega, è evidentemente legata alla figura dell'appalto e non a quella del nolo a caldo (ferme restando forme patologiche di utilizzo di tale ultimo strumento contrattuale), sebbene non possa sottacersi un importante indirizzo giurisprudenziale volto a interpretare il complessivo quadro normativo nel senso di una estensione quanto più ampia possibile del regime solidaristico in ragione di una maggior tutela per i lavoratori interessati.
Più in particolare, spiega il ministero, si ricordano le argomentazioni sostenute dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 6208/2008 che non ha escluso la possibilità di applicare la solidarietà nei rapporti tra un consorzio e imprese consorziate assegnatarie dei lavori sia pur in assenza di un vero e proprio contratto di subappalto.
Nello specifico la Suprema corte, nel richiamare l'articolo 141, comma 4, del dpr n. 554/1999, in virtù del quale l'affidamento dei lavori da parte del consorzio alle proprie consorziate non costituisce subappalto, ha affermato che l'intenzione del legislatore, secondo un'interpretazione in chiave sistematica, non è stata quella di escludere le speciali e necessarie tutele previste a favore dei lavoratori contemplate dalla disciplina civilistica dell'appalto ovvero del subappalto.
Da ciò dunque sembrerebbe evincersi che, in tali ipotesi, sia comunque possibile applicare garanzie di carattere sostanziale a tutela della persona che lavora, prevalendo queste ultime sui profili afferenti alla qualificazione giuridica di tipo formale in merito alla natura del negozio di affidamento dei lavori.
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Il decreto semplificazioni interviene in materia.
Le ultime novità in materia di responsabilità solidale negli appalti sono in vigore dal 10 febbraio, in virtù della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del dl n. 5/2012 (cosiddetto decreto semplificazioni). Due, nello specifico, le novità. La prima riguarda il trattamento di fine rapporto di lavoratori (il tfr): la solidarietà, stabilisce il decreto semplificazioni, comprende «le quote» del trattamento di fine rapporto in relazione al periodo d'esecuzione del contratto di appalto.
La novità, ha spiega il ministero del lavoro (circolare n. 2/2012), elimina ogni ipotesi interpretativa volta ad addebitare al responsabile in solido l'intero importo del tfr dovuto al lavoratore dell'appaltatore/subappaltatore che, durante il periodo di svolgimento dell'appalto, abbia maturato il diritto al trattamento.
La seconda novità esclude dall'ambito della responsabilità solidale «qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento». In pratica, viene eliminata l'interpretazione fornita dallo stesso ministero nell'interpello n. 3/2010 (si veda ItaliaOggi del 10.04.2010) che invece riteneva sussistere la solidarietà anche per tali sanzioni in quanto aventi natura risarcitoria (articolo ItaliaOggi sette del 27.02.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIGiallo sulle Giunte dei mini-sindaci. Verso le elezioni. Sancita l'abolizione ma competenze al buio.
Giallo sulle Giunte negli oltre 1.900 Comuni con meno di mille abitanti. Una delle problematiche rimaste aperte con l'entrata in vigore dell'articolo 16, comma 17, del Dl 138/2011 148 2011 concernente la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori comunali per i Comuni fino a 10mila abitanti, è quella della sopravvivenza o meno delle Giunte nei comuni sotto i mille; in caso di mancata sopravvivenza, va poi chiarito quale sia l'organo cui vanno devolute le competenze della Giunta.
Il problema non è marginale soprattutto dal momento che sono molti i Comuni con meno di mille abitanti chiamati al turno elettorale amministrativo di primavera.
Al riguardo, la circolare del ministero dell'Interno, Dipartimento affari interni del 16.02.2012 prende una posizione netta, nel senso di ritenere alla luce della lettera a) dell'articolo 16, comma 17, che ha previsto la sola presenza nei Comuni sotto i mille abitanti dei soli consiglieri comunali, non essendo previste le figure di assessori per questi Comuni, risulterebbe abrogata di fatto la figura della Giunta e verrebbero attribuite esclusivamente al sindaco le ex competenze degli assessori.
In realtà, il quadro è caratterizzato da una lacuna normativa che il Parlamento deve colmare anche in sede di Codice delle autonomie.
Dalla normativa non sembra emergere nessuna disposizione che attribuisca espressamente al sindaco le competenze che prima erano in capo alla giunta ,competenze che tra l'altro non sono indifferenti e che spaziano dall'approvazione dei progetti di opere pubbliche ai progetti di bilancio e della relazione al rendiconto di gestione (articolo Il Sole 24 Ore del 27.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 27.02.2012

ENTI LOCALI - VARIIl dl milleproroghe convertito in legge. Rinvii per catasto e inesigibilità.
Prorogati i termini per presentare le domande di variazione catastale dei fabbricati rurali strumentali e le comunicazioni d'inesigibilità dei ruoli agli enti creditori da parte di concessionari e agenti della riscossione.
L'art. 29 del milleproroghe (dl 216/2011, convertito ieri in legge dalla Camera con 336 voti a favore, 61 contrari e 13 astensioni dopo il voto di fiducia), sposta più avanti il termine per presentare le istanze per ottenere il cambio di categoria catastale da parte degli agricoltori, fissato prima al 30/09/2011 e poi al 31 marzo, e considera regolari le domande di variazione presentate entro il 30/06/2012. Inoltre, consente a agenti della riscossione e ex concessionari-esattori di comunicare ai creditori l'inesigibilità delle somme entro il 31/12/2013 per tutti i ruoli consegnati fino al 31/12/2010.
Prima di quest'ultimo intervento normativo, il termine per l'adempimento era il 30/09/2012 per tutti i ruoli consegnati fino al 30/9/2009. Arriva dunque la proroga anche per la presentazione delle domande d'inesigibilità dei ruoli agli enti creditori che in passato hanno riscosso le entrate tramite cartella di pagamento. Equitalia e gli ex concessionari potranno comunicare ai creditori l'inesigibilità delle somme entro il 31/12/2013 per tutti i ruoli consegnati fino al 31/12/2010. Tuttavia, l'art. 29 concede un ulteriore rinvio sia per la presentazione delle comunicazioni sia per effettuare i controlli da parte degli enti creditori. Il termine ordinario triennale per i controlli da parte delle amministrazioni interessate decorre dall'01/01/2014.
Per quanto riguarda i fabbricati rurali (si veda ItaliaOggi di ieri) prorogato al 30 giugno il termine per la presentazione delle domande di variazione catastale all'agenzia del Territorio, al fine di ottenere l'esenzione sui fabbricati rurali strumentali fino al 2011 e il trattamento agevolato dal 2012, con applicazione dell'aliquota ridotta al 2 per mille. Sono considerate regolari anche le domande presentate dopo la scadenza del termine originario, che era inizialmente il 30/09/2011.
La richiesta di variazione va presentata solo dai titolari di fabbricati strumentali. Sono interessati alle variazioni i titolari di immobili strumentali, vale a dire quelli utilizzati per la manipolazione, trasformazione e vendita dei prodotti agricoli (articolo ItaliaOggi del 24.02.2012).

EDILIZIA PRIVATAGuida anti incendi per impianti fotovoltaici.
Arriva una nuova guida per l'installazione degli impianti fotovoltaici nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi. A predisporla un apposito gruppo di lavoro, costituito da esperti del settore elettrico e approvata recentemente dal Comitato centrale tecnico scientifico per la prevenzione incendi (Ccts).
Con la
nota 07.02.2012 n. 1324 di prot. il Ministero dell'interno, dipartimento Vigili del Fuoco, ha inviato alle direzioni regionali e ai comandi dei Vigili del fuoco la nuova guida per l'installazione degli impianti fotovoltaici nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi. La guida recepisce i contenuti del dpr 151/2011. E tiene conto delle varie problematiche emerse in sede periferica a seguito delle installazioni di impianti fotovoltaici.
Va detto che gli impianti fotovoltaici non rientrano fra le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, ma l'installazione degli stessi in funzione delle caratteristiche elettriche/costruttive e/o delle relative modalità di posa in opera, può comportare un aggravio del preesistente livello di rischio di incendio. L'aggravio potrebbe concretizzarsi, per il fabbricato servito, in termini di:
- interferenza con il sistema di ventilazione dei prodotti della combustione (ostruzione parziale/totale di traslucidi, impedimenti apertura evacuatori);
- ostacolo alle operazioni di raffreddamento/estinzione difetti combustibili; rischio di propagazione delle fiamme all'esterno o verso I'interno del fabbricato (presenza di condutture sulla copertura di un fabbricato suddiviso in più compartimenti);
- modifica della velocità di propagazione di un incendio in un fabbricato monocompartimento). Rientrano, nel campo di applicazione della seguente guida, gli impianti con tensione in corrente continua (c.c.) non superiore a 1500 V. La guida esamina dettagliatamente:
- i requisiti tecnici (ai fini della prevenzione incendi gli impianti FV dovranno essere progettati, realizzati e manutenuti a regola d'arte;
- verifiche (periodicamente e a ogni trasformazione, ampliamento o modifica dell'impianto dovranno essere eseguite e documentate le verifiche);
- segnaletica di sicurezza (l'area in cui è ubicato il generatore e i suoi accessori, qualora accessibile, dovrà essere segnalata con apposita cartellonistica conforme al dlgs 81/2008);
- salvaguardia degli operatori Vigili del fuoco (è stata presa in considerazione l'installazione di dispositivi di sezionamento per gruppi di moduli, azionabili a distanza, ma ad oggi non se ne richiede l'obbligatorietà in quanto non è nota l'affidabilità nel tempo, né è stata emanata una normativa specifica che ne disciplini la realizzazione, l'utilizzo e la certificazione);
- impianti esistenti (gli impianti fotovoltaici, posti in funzione prima dell'entrata in vigore della guida 2012 e a servizio di un'attività soggetta ai controlli di prevenzione incendi, richiedono, unicamente, gli adempimenti previsti dal comma 6 dell'art. 4 del dpr 151/2011) (articolo ItaliaOggi del 24.02.2012).

ATTI AMMINISTRATIVIDecertificazione. Stop ai certificati inutili. Per tutte le p.a. accesso telematico al registro delle imprese.
Stop ai certificati inutili e via libera alla tanto attesa e mai realizzata interconnessione degli archivi delle pubbliche amministrazioni.

Questo il duplice effetto che cittadini e imprese si attendono dalla Legge di stabilità 2012 secondo la quale, dal 1° gennaio di quest'anno, i certificati rilasciati dalla pubblica amministrazione relativi a stati, qualità personali e fatti sono validi ed utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Secondo la norma, le pubbliche amministrazioni d'ora in poi devono acquisire d'ufficio i dati in possesso delle altre pubbliche amministrazioni, senza chiederli all'interessato.
Basterà un'altra legge, dopo tanti tentativi infruttuosi o solo parzialmente riusciti, a mandare in soffitta la figura del cittadino-postino che recapita le informazioni che lo riguardano da un ente a un altro? Le premesse ci sono ma, come il recente passato dimostra, per rendere efficaci le norme di semplificazione è indispensabile puntare sulle tecnologie della rete, richiamandole sempre come il canale obbligato da utilizzare.
Negli ultimi anni l'alleanza tra legislatore e nuove tecnologie è stata determinante nel semplificare il rapporto tra pubblica amministrazione e imprese, come dimostra l'esperienza delle camere di commercio. Anche in questo caso, gli enti camerali hanno risposto al dettato normativo in chiave tecnologica. A seguito delle nuove norme, infatti, esse saranno destinatarie di un crescente numero di richieste di accessi da parte delle altre pubbliche amministrazioni ai propri archivi, primo fra tutti il Registro delle imprese.
Per favorire l'operatività degli uffici, Unioncamere -di concerto con InfoCamere, la società consortile di informatica delle camere di commercio italiane- ha avviato un'iniziativa per realizzare un unico sito web dal quale ogni amministrazione interessata potrà attingere senza oneri alle informazioni necessarie. Due gli obiettivi. Da un lato, le Camere potranno assolvere agli adempimenti in modo automatizzato ed omogeneo sul territorio. Dall'altro, le pubbliche amministrazioni potranno contare su una medesima modalità di accesso ai dati camerali, semplificando e velocizzando le proprie attività di verifica. Resta esclusa la sola richiesta del certificato antimafia. Le p.a. interessate dovranno rivolgersi alla prefettura, quale amministrazione certificante.
Nei casi in cui le informazioni camerali on-line non siano sufficienti, attraverso il sito le amministrazioni potranno comunque inoltrare specifiche richieste di ulteriori informazioni. Le funzionalità del nuovo portale saranno pienamente operative entro il mese di aprile. Le nuove norme sono invece già operative dal 1° gennaio per le attività degli Sportelli unici delle attività produttive (Suap). Tutte le pratiche ad essi indirizzate, infatti, possono essere inoltrate senza che l'imprenditore debba allegare la certificazione di iscrizione alla Camera di commercio. Attraverso il portale www.impresainungiorno.gov.it, infatti, i Suap possono consultare il Registro Imprese per acquisire direttamente le informazioni desiderate.
Il servizio –sempre realizzato da InfoCamere- si chiama SU-RI ed è disponibile senza oneri per il comune interessato (articolo ItaliaOggi del 24.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Cosa accade quando il consigliere è colpito da sentenza non definitiva. Condanne, iter obbligato. Il consiglio convalida, la prefettura sospende.
Quesito: è possibile convalidare l'elezione di un consigliere comunale condannato con sentenza non definitiva, confermata in appello, alla pena della reclusione di anni 2 per un delitto non colposo (art. 323 c.p.), a seguito della quale lo stesso è stato già sospeso dalla carica di consigliere provinciale? Nel caso specifico, è applicabile l'art. 59, comma 1, lett. b) del Tuoel, considerato che la condanna in appello è intervenuta non dopo, ma prima dell'elezione?
Negli articoli 58 e 59 del dlgs 18.08.2000,n. 267, il legislatore ha distinto diverse tipologie di intervento a seconda che l'amministratore subisca determinate condanne di natura penale prima o dopo l'elezione. In particolare, il legislatore all'art. 58, nell'individuare le diverse cause ostative alla candidatura, ha posto sullo stesso piano le varie fattispecie delittuose, richiedendo in ogni caso una sentenza definitiva, sia per quelle di maggior allarme sociale sia per quelle di (relativo) minor allarme sociale.
Diversamente, l'art. 59, nel dettare una serie di cause che danno luogo alla sospensione di diritto, ha effettuato un'espressa distinzione, richiedendo un maggior grado di accertamento nel caso di reati di impatto sociale minore rispetto ai reati tipici degli amministratori o ai reati di associazione criminosa. In questo secondo caso, infatti, è sufficiente una condanna non definitiva e, quindi anche la sola condanna di primo grado, mentre per i primi la sospensione opera a seguito di sentenza di primo grado confermata in appello. Così ricostruito il modus operandi, risulta evidente che il legislatore ha ritenuto di effettuare, in primo luogo, un distinguo tra la fase relativa alle candidature, antecedente quindi alle elezioni, per la quale richiede l'assenza di determinati pregiudizi di natura penale da parte dell'amministratore, e la fase successiva alle elezioni, per la quale prevede la sospensione di diritto al verificarsi di altre fattispecie.
Da quanto sopra esposto, risulta ora chiaro che, a norma dell'art. 58 del Tuoel, costituiscono cause ostative alla candidatura solo le condanne definitive elencate nello stesso articolo, in ordine alle quali il consiglio svolge l'esame previsto dall'art. 41 Tuoel ai fini della proclamazione degli eletti, nella prima seduta di convocazione e prima di deliberare su qualsiasi altro oggetto. Viceversa, le ipotesi elencate nell'art. 59 del Tuoel non costituiscono cause di incandidabilità ma ipotesi in cui un amministratore è sospeso di diritto dalla carica ricoperta per effetto di una ricognizione sulla loro sussistenza, demandata all'esame del prefetto (comma 4 dello stesso articolo) e avente natura costitutiva.
Solo a seguito di passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento che applica la misura di prevenzione, il successivo comma 6 del citato art. 59 dispone la decadenza di diritto dalla carica elettiva locale. La stessa causa di sospensione rileva sia sulla carica di consigliere provinciale sia sulla carica di consigliere comunale, traendo origine i relativi provvedimenti di sospensione dalla medesima condanna penale, portata a conoscenza dei rispettivi enti di riferimento.
La giurisprudenza ha, infatti, affermato che la sospensione di diritto dalla carica di consigliere comunale, a seguito di sentenza di condanna non definitiva per uno dei delitti previsti dall'art. 59, comma 1, del dlgs 18.08.2000, n. 267, non decorre dalla pubblicazione della sentenza di condanna, ma dalla comunicazione del provvedimento di sospensione emesso dal prefetto al consiglio comunale; ciò sulla base dell'interpretazione letterale e della «ratio» della disposizione, anche alla luce dei successivi commi 3 (cessazione degli effetti della sospensione per decorso del tempo) e 4 dello stesso art. 59, secondo cui l'intervento del prefetto non è meramente dichiarativo, ma costitutivo dell'efficacia della sospensione (Cass. civ., Sez. I, sent. n. n. 16052 dell'08/07/2009).
In merito all'applicabilità dell'art. 59 del Tuoel al caso di specie, in quanto la condanna in appello è intervenuta non dopo, ma prima dell'elezione, la sospensione di diritto, che consegue ope legis, riveste natura cautelare, per essere un'inibizione provvisoria dall'esercizio delle pubbliche funzioni, ancorata al solo presupposto di una doppia condanna; tale misura cautelare è vincolata al solo presupposto della sentenza di condanna di secondo grado, a nulla rilevando che la sentenza di primo grado sia intervenuta prima o dopo l'elezione.
In conclusione, nel caso in esame, sussistendo una sentenza non definitiva confermata in appello alla pena di due anni di reclusione per un delitto non colposo (ipotesi contemplata all'art. 59, comma 1, lett. b), del Tuoel), il consiglio comunale dovrà procedere alla convalida dell'eletto alla quale seguirà la comunicazione, da parte della prefettura, del provvedimento di sospensione di diritto dalla carica del consigliere interessato, in applicazione della norma sopra richiamata (articolo ItaliaOggi del 24.02.2012).

PUBBLICO IMPIEGOPensione ridotta per lo statale part-time. Il taglio corrisponde alla quota di lavoro effettuata.
Nell'ipotesi in cui i dipendenti pubblici abbiano trasformato il loro rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, con prestazione effettiva dell'attività lavorativa in misura superiore al 50% del tempo pieno (e dunque con riduzione dell'orario di lavoro in misura percentuale inferiore al 50%), la pensione di anzianità liquidata dovrà essere decurtata in misura inversamente proporzionale alla prescelta percentuale di riduzione dell'orario di lavoro. In particolare, dovrà essere decurtata in misura esattamente corrispondente alla percentuale di lavoro effettivamente prestato, anche se ne derivi una decurtazione del trattamento pensionistico superiore al 50 per cento.
Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza n. 30662/2011, in seguito a ricorso proposto dall'Inps di cui è stata data notizia con messaggio 3202/2012.
Con altre sentenze, 25800 e 27041/2011, illustrate con messaggio 3203/2012, si informa che la Suprema corte ha stabilito che sono di carattere speciale le norme nei commi 185 e 187 dell'articolo 1 della legge 662/1996 e nel Dm 331/1997, che danno la possibilità nel pubblico impiego di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a parziale con contestuale percezione della pensione di anzianità al 60° anno di età. Tali norme permettono ai dipendenti pubblici, in deroga al regime generale di non cumulabilità, di cumulare parzialmente la pensione di anzianità e il reddito da lavoro dipendente.
Dalla natura speciale, eccezionale e derogatoria di dette norme rispetto al regime generale vigente all'epoca della loro emanazione discende la loro non derogabilità ad opera delle successive disposizioni di carattere generale, introdotte dall'art. 72 della legge 388/2000 e dall'art. 44 della legge 289/2002 (articolo Il Sole 24 Ore del 24.02.2012).

APPALTIFuori dall'appalto per debiti certi ed esigibili.
Le gravi violazioni fiscali che consentono l'esclusione dagli appalti devono riferirsi a debiti certi, scaduti ed esigibili.
È quanto prevede la bozza del decreto legge sulle semplificazioni tributarie esaminata dal preconsiglio dei ministri e attualmente in fase di aggiustamento tecnico presso gli uffici ministeriali competenti, con l'ennesima modifica alla disciplina delle cause di esclusione dagli appalti pubblici.
Si prevede infatti che all'articolo 38 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, sia inserita, dopo il comma 1, lettera g), una ulteriore lettera «g-bis» in cui si precisa il concetto di «grave violazione definitivamente accertata». La proposta contenuta nella bozza del decreto legge stabilisce che costituiscono violazioni gravi definitivamente accertate quelle relative all'obbligo di pagamento di debiti per imposte e tasse che possano essere definiti «certi, scaduti ed esigibili». Solo a tali condizioni che devono, almeno stando al tenore della proposta normativa, essere presenti contemporaneamente, scatta la causa di esclusione. La nuova norma stabilisce che siano fatti salvi i comportamenti già adottati dagli uffici in coerenza con la previsione contenuta alla precedente lettera g-bis).
La norma del provvedimento messo a punto dagli uffici del Mineconomia, guidato da Mario Monti, pur nel suo intento di rendere più chiara la fattispecie di cui alla lettera g) dell'articolo 38, sembra, almeno in questa formulazione, poco chiara. Infatti, per quel che riguarda la «gravità» della violazione, il comma 4 dello stesso articolo 38 già offre elementi chiari e certi. In base alla norma vigente al comma 4, infatti, si intendevano per violazioni gravi quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse per un importo superiore al valore previsto dall'articolo 48-bis, comma 1 e 2-bis, del dpr 29.09.1973, n. 602.
Si tratta del valore di 10.000 euro anche se il citato comma 2-bis prevede che con decreto di natura non regolamentare il ministro dell'economia possa elevarlo fino al doppio, o diminuirlo.
In questo caso, invece, la nuova norma sembra incidere più sulla natura dei debiti per imposte e tasse che, appunto, devono essere «certi, scaduti ed esigibili», ma non sul concetto di gravità della violazione per il quale opera sempre il comma 4 dell'articolo 38 del codice.
Il dubbio derivante da una potenziale sovrapposizione delle due norme, con il superamento del quarto comma dell'articolo 38 potrebbe rimanere. Bizzarro è poi il riferimento agli «uffici», nozione più da circolare ministeriale che non da codice dei contratti pubblici dove si richiamano sempre le stazioni appaltanti e a queste ultime ci si rivolge (articolo ItaliaOggi del 22.02.2012).

ENTI LOCALI - VARIL'Imu perde tutte le agevolazioni dell'Ici.
Soppressione di tutte le esenzioni e agevolazioni Ici, anche se previste in leggi speciali, non espressamente richiamate dalla disciplina Imu, riconoscimento dei benefici fiscali per gli immobili posseduti dai comuni, contrasto alle residenze fittizie per limitare il trattamento agevolato per le abitazioni principali e riduzioni d'imposta per i fabbricati inagibili o inabitabili.
Sono alcune delle modifiche apportate alla disciplina della nuova imposta locale contenute nel dl fiscale, le cui disposizioni limitano l'obbligo di presentare la dichiarazione Imu solo per gli immobili il cui presupposto per l'applicazione dell'imposta è sorto nel 2012.
Stretta sulle agevolazioni - Le norme sulla nuova imposta locale riconoscono solo alcuni benefici fiscali previsti dal dlgs 504/1992. Viene ribadito il criterio interpretativo che si ricava dalla relazione tecnica al dl Monti (201/2011) e cioè che per inquadrare le agevolazioni occorre tener conto non solo delle disposizioni espressamente abrogate, ma anche di quelle non richiamate. Quindi, soppresse esenzioni e riduzioni d'imposta previste dalla disciplina Ici non espressamente richiamate.
Immobili comunali - In seguito alle modiche apportate dal nuovo decreto, i comuni non sono tenuti a pagare l'Imu per gli immobili di cui sono proprietari o titolari di altri diritti reali di godimento quando la loro superficie insiste interamente o prevalentemente sul proprio territorio. In questi casi viene chiarito che il comune non è tenuto a versare la quota di imposta riservata allo Stato.
Inoltre, è stata ripristinata la «vecchia» esenzione riconosciuta dalla normativa Ici per gli immobili siti sul territorio di altri comuni a condizione che siano destinati a compiti istituzionali (sede o ufficio dell'ente).
Abitazione principale - Il dl fiscale tende a contrastare le residenze fittizie e limita il trattamento agevolato all'immobile dove il contribuente e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. L'agevolazione, infatti, si applica a un solo fabbricato, e relative pertinenze, nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale.
Fabbricati inagibili o inabitabili - A differenza di quanto già previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo 504/1992, anziché concedere una riduzione d'imposta del 50% per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili, e di fatto non utilizzati, la norma del dl fiscale prevede per questi immobili una riduzione del 50% della base imponibile, limitatamente al periodo dell'anno durante il quale sussistono queste condizioni.
Lo stato di precarietà dell'immobile deve essere accertato dall'ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, il quale è tenuto ad allegare alla dichiarazione la documentazione comprovante lo stato del fabbricato. In alternativa, il contribuente può presentare un'autocertificazione. Viene attribuito ai comuni il potere di disciplinare con regolamento le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione.
Dichiarazione Imu - I contribuenti devono presentare la dichiarazione entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui è sorto il presupposto impositivo. Per questo adempimento deve essere utilizzato il modello approvato con decreto ministeriale. Nel provvedimento dovranno essere indicati anche i casi in cui va assolto l'obbligo. Quindi, la dichiarazione Ici vale anche per l'Imu. I contribuenti che hanno già assolto all'obbligo non sono tenuti a presentare una nuova dichiarazione, nonostante si tratti di un tributo diverso.
Come per l'Ici, il contribuente non è tenuto a presentare la dichiarazione Imu se gli elementi rilevanti ai fini dell'imposta sono acquisibili dai comuni attraverso la consultazione della banca dati catastale. L'adempimento è invece richiesto quando: l'immobile viene concesso in locazione finanziaria, un terreno agricolo diventa area edificabile o, viceversa, l'area diviene edificabile in seguito alla demolizione di un fabbricato.
Pertanto, va dichiarato qualsiasi atto costitutivo, modificativo o traslativo del diritto che abbia avuto a oggetto un'area fabbricabile. Non a caso vengono richiamate dal dl fiscale le disposizioni contenute nell'articolo 37, comma 55, del decreto legge 223/2006 che ha abrogato parzialmente l'obbligo (articolo ItaliaOggi del 22.02.2012).

VARIPatente allungata. La scadenza va fino al compleanno. Il decreto semplificazioni crea qualche problema.
Patente di guida a scadenza allungata in base alla data di nascita del titolare.
È questo lo scenario che sembra prospettarsi a seguito alle dichiarazioni del ministro per la semplificazione in merito alle disposizioni operative conseguenti all'entrata in vigore del decreto legge n. 5 del 09.02.2012.
Il provvedimento ha infatti disposto che i documenti di identità e di riconoscimento di cui all'art. 1, comma 1, lett. c), d) ed e), del decreto del dpr n. 445/2000 sono rilasciati o rinnovati con validità prolungata fino alla data del compleanno del titolare immediatamente successiva alla loro scadenza naturale. In pratica si tratta dei documenti rilasciati o rinnovati dopo il 10.02.2012, data di entrata in vigore del decreto legge. Prestando attenzione a quanto è stato dichiarato dal governo (e pubblicato sul portale della funzione pubblica), si può desumere che la patente sia stata volutamente inclusa fra i documenti che, almeno nelle intenzioni dell'esecutivo, scadranno di validità nel giorno del compleanno del titolare. Il tenore letterale dell'art. 7 del decreto legge n. 5/2012 lascia però spazio a forti dubbi e perplessità.
È pur vero che, secondo la definizione che viene data dal dpr 445/2000 è documento di riconoscimento «ogni documento munito di fotografia del titolare e rilasciato, su supporto cartaceo, magnetico o informatico, da una pubblica amministrazione italiana o di altri stati, che consenta l'identificazione personale del titolare», compresa la patente, come peraltro ben evidenziato dal ministero dell'interno con il parere prot. n. 300/A/1/35762/109/16 del 13.12.2004. Però, l'eventuale allungamento fino alla data del compleanno della scadenza di validità che, stando al tenore letterale dell'art. 7, comma 1, riguarderebbe appunto anche le patenti, fa sorgere importanti criticità, in considerazione delle norme speciali nazionali e delle disposizioni comunitarie attualmente vigenti in materia di rilascio e conferma di validità delle licenze di guida.
L'art. 126 del codice della strada fissa in modo netto e preciso la durata di validità delle varie categorie di patente, prevedendo sanzioni pecuniarie e accessorie per chi circola con il documento di guida scaduto. Limitando l'esame alle licenze delle categorie più diffuse, cioè A e B, queste sono valide dieci anni fino al compimento di 50 anni d'età, 5 anni oltre 50 anni d'età e tre anni per gli ultrasettantenni. Ai fini del rilascio, della conferma di validità o di revisione entrano in gioco le varie disposizioni del codice della strada che prevedono prove d'esame teoriche e pratiche e/o accertamenti dei requisiti psicofisici, conferendo così alla patente la funzione principale di attestare l'abilitazione alla guida. Senza considerare, poi, che la stessa patente può maturare diverse scadenze per le differenti categorie di cui il titolare entra in possesso, rendendo quindi problematico concretizzare l'ipotesi di allineare le varie scadenze.
E che sorte avrebbero le scadenze della carta di qualificazione del conducente, collegata alla patente e rilasciata agli autotrasportatori, e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori? Ma, oltre alla specialità delle norme del decreto legislativo n. 285/1992, ulteriori dubbi sull'applicabilità alle licenze di guida dell'art. 7, comma 1, del decreto legge semplificazioni sorgono dalla considerazione che la materia è disciplinata dettagliatamente dalla normativa comunitaria, di volta in volta recepita dall'ordinamento interno.
L'iniziale facoltà d'imporre liberamente le disposizioni nazionali in materia di durata di validità, originariamente consentita dalla direttiva 91/439/Ce del 29.07.1991 del consiglio, è stata superata dalla direttiva 2006/126/Ce del 20.12.2006 del parlamento europeo e del consiglio, che ha fissato limiti precisi per la durata della licenza di guida, derogabili solo previa consultazione della commissione. Tali vincoli temporali sono stati definiti concretamente dal decreto legislativo di attuazione n. 59 del 18.04.2011, che, fra l'altro, introduce modifiche dell'art. 126 del codice della strada con disposizioni applicabili dal 19.01.2013 con riferimento anche a nuove categorie di patente.
Esemplificando la casistica che si configurerebbe dopo l'entrata in vigore «operativa» del decreto legge semplificazioni nell'ipotesi che l'allungamento della scadenza fino alla data del compleanno riguardasse anche le abilitazioni alla guida, se una patente di categoria B venisse rilasciata l'01.04.2012 a un ventenne che compie gli anni il 15 marzo, la licenza di guida scadrebbe non dopo 10 anni, ma dopo quasi 11 anni, cioè il 15.03.2023. Ciò in palese contraddizione con le scadenze previste dal codice stradale e, fra pochi mesi, dal decreto legislativo n. 59/2011.
Un chiarimento, a questo punto, è auspicabile che arrivi dal parlamento durante l'esame del disegno di legge per la conversione del decreto legge n. 5/2012 (articolo ItaliaOggi del 21.02.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Semplificazioni. Cosa cambia per gli spazi realizzati in base alla legge 122/1989. Ok alla vendita separata per i box auto «Tognoli». Il parcheggio dovrà però restare pertinenziale.
Liberalizzazione anche per i parcheggi. Il decreto Semplificazioni (Dl 09.02.2012, n. 5) innova la disciplina inerente il divieto di vendere i cosiddetti "parcheggi Tognoli" su area privata: per questa tipologia di posti auto, dal 10.02.2012 la proprietà può essere trasferita a patto che il parcheggio oggetto della cessione sia contestualmente destinato a pertinenza di un'altra unità immobiliare collocata nello stesso Comune.
Le tipologie.
Per comprendere appieno la novità legislativa, occorre preventivamente compiere un excursus sulle possibili tipologie di parcheggio con le quali si può avere a che fare. Il catalogo può essere così riassunto:
- parcheggi della "legge ponte": sono gli spazi destinati a parcheggio di cui debbono essere obbligatoriamente dotate le costruzioni realizzate dopo l'entrata in vigore della legge 06.08.1967, n. 765 (la cosiddetta legge ponte, perché fece da "ponte" tra la legge urbanistica fondamentale, e cioè la legge 1150/1942, e la cosiddetta legge Bucalossi, vale a dire la legge 10/1977). La legge 765/1967 introdusse l'articolo 41-sexies della legge 1150/1942, secondo il quale, considerando la sua attuale versione, «nelle nuove costruzioni e anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore a un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione»;
- parcheggi della legge Tognoli su area privata: sono disciplinati dall'articolo 9, comma 1, legge 24.03.1989, n. 122 (nota come legge Tognoli, dal cognome del suo fautore), secondo il quale negli edifici –sia di proprietà individuale che di proprietà condominiale– si possono realizzare parcheggi, da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, nel sottosuolo del fabbricato, nei locali siti al piano terreno del fabbricato nonché nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato;
- parcheggi della legge Tognoli su area pubblica: sono i parcheggi disciplinati dall'articolo 9, comma 4, legge 122/1989, secondo il quale i Comuni possono prevedere, nell'ambito del programma urbano dei parcheggi (Pup), la realizzazione di posti auto, su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse, da destinare a pertinenza di immobili privati, concedendo il diritto di superficie dell'area pubblica ai privati interessati, a imprese, società o cooperative di costruzione (tutti soggetti che, una volta realizzati i box, li cedono a coloro che possono destinarli a pertinenza di proprie unità immobiliari);
- parcheggi diversi da quelli sopra elencati.
La «circolazione».
È indispensabile tenere distinte le prime tre categorie dalla quarta, in quanto i parcheggi di quest'ultimo tipo non soffrono vincoli in ordine alla loro vendibilità, mentre le prime tre categorie hanno pesanti limitazioni.
I parcheggi della legge ponte, a fronte di un tortuoso iter legislativo e giurisprudenziale –culminato nella legge 28.11.2005, n. 246– sono di libera trasferibilità, ma sono comunque gravati da un vincolo urbanistico di destinazione a parcheggio. Resta poi aperto il tema se l'asservimento obbligatorio di questi spazi al servizio dell'edificio di cui essi fanno parte, qualora realizzatosi prima del 16.12.2005 (giorno di entrata in vigore della legge 246/2005) dispieghi ancor oggi il suo effetto (si veda l'articolo in basso nella pagina).
La semplificazione.
È solo sui parcheggi della legge Tognoli che incide dunque il Dl Semplificazioni del 2012, in vigore dal 10.02.scorso. In precedenza, sia i parcheggi "Tognoli-privati" sia i parcheggi "Tognoli-pubblici" erano accomunati dalla previsione secondo la quale «essi non possono essere ceduti separatamente dall'unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli» (articolo 9, comma 5, legge 122/1989). Con il Dl Semplificazioni si ha una divaricazione:
- la proprietà dei parcheggi "Tognoli-privati" «può essere trasferita, anche in deroga a quanto previsto nel titolo edilizio che ha legittimato la costruzione e nei successivi atti convenzionali» a condizione che vi sia una «contestuale destinazione del parcheggio trasferito a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso comune»;
- il regime dei parcheggi "Tognoli-pubblici" rimane invece invariato: essi non sono trasferibili se non insieme alla unità immobiliare a cui sono destinati quali pertinenze. Se dunque il parcheggio fosse venduto senza l'appartamento o se l'appartamento fosse trasferito con esclusione del parcheggio, il contratto di compravendita sarebbe nullo (articolo Il Sole 24 Ore del 20.02.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Contratti. Limitazioni su più livelli al lavoro flessibile.
Le limitazioni al lavoro flessibile sono la spina nel fianco della gestione del personale degli enti locali per il 2012. La legge di stabilità ha incluso Comuni e Province tra le amministrazioni che possono avvalersi di contratti a tempo determinato, con convenzioni e contratti "co.co.co." nel limite del 50% della spesa sostenuta nel 2009.
L'articolo 9, comma 28, del Dl 78/2010 ha altresì previsto che la stessa percentuale si applichi anche ai contratti di formazione e lavoro, di somministrazione, ai tirocini formativi e al lavoro accessorio. Così il legislatore ha spazzato via i dubbi sollevati con la delibera 46/2011 dalla Corte dei conti (Sezioni riunite).
La questione principale risiede piuttosto nel fatto che negli enti locali esistono forme lavorative che non sempre si riescono a incasellare tra i contratti di lavoro previsti all'articolo 36 del Dlgs 165/2001. Gli operatori, quindi, hanno sottoposto alcune questioni alle Sezioni regionali della Corte dei conti, consentendo di farsi un'idea più precisa, anche se i pareri discordanti non mancano.
Il Dlgs 267/2000 prevede due tipologie lavorative tipiche per le amministrazioni locali. L'articolo 90 disciplina le assunzioni a tempo determinato in staff degli organi politici, ma senza prevedere limitazioni. Non a caso i magistrati contabili della Campania e delle Marche hanno ritenuto che tali assunzioni rientrino nel limite del 50% della spesa sostenuta nel 2009. La stessa sorte sembrano avere gli incarichi a contratto sia in dotazione che in extra-dotazione organica di cui all'articolo 110. Per le due tipologie si trovano vincoli ben precisi, ma per la Corte dei conti della Toscana (deliberazione 6/2012) anche tali incarichi sono inclusi nel campo di applicazione dell'articolo 9, comma 28.
Vi è poi la possibilità di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato per le assunzioni stagionali di forze di polizia locale, finanziate con i proventi del Codice della strada. Anche tali forme, che non rientrano tra le spese di personale, vanno tagliate del 50% della spesa del 2009? Ecco due pareri contrastanti: la Corte dei conti della Lombardia (deliberazione 21/2012) precisa che gli enti dovranno programmare il piano delle assunzioni con le forme di lavoro flessibile anche con riferimento alle assunzioni stagionali, mentre i magistrati della Toscana (deliberazione 10/2012) ritengono tali assunzioni escluse dal campo di applicazione del l'articolo 9, comma 28.
Va pure chiarito che cosa il legislatore intenda per «convenzioni». Potrebbero infatti rientrare nel campo di applicazione della norma l'utilizzo di personale di altre amministrazioni ex articolo 14 del Ccnl 2004. Anche se non ci sono interpretazioni specifiche sull'argomento, la Corte dei conti della Campania (deliberazione 497/2011) ha fatto rientrare nel limite del 50% le situazioni di comando in entrata, tipologia analoga alle convenzioni di cui sopra.
Inoltre, a sorpresa, i giudici toscani hanno escluso dal limite le prestazioni di cui al comma 557 della finanziaria 2005, che concede, ma solo a Comuni sotto i 5mila abitanti e Unioni, di avvalersi di attività lavorativa dei dipendenti di altre amministrazioni. Due pareri in contrasto anche sugli enti che non hanno sostenuto spese per lavoro flessibile nel 2009 o nel triennio 2007/2009. Per i giudici della Lombardia (deliberazione 29/2012) sono consentite le assunzioni determinate da un'assoluta necessità di far fronte a un servizio essenziale: la spesa sarà il parametro finanziario per gli anni successivi. La scelta non è condivisa dalla Corte dei conti della Toscana (deliberazione 14/2009) (articolo Il Sole 24 Ore del 20.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

SEGRETARI COMUNALI: Compensi. La Corte d'appello di Firenze inverte il trend giurisprudenziale. Segretari comunali, stop alla doppia maggiorazione.
IL PUNTO/ Se non si riesce a provare che l'onere è più «pesante», prevale la posizione di Aran, Funzione pubblica e Ragioneria dello Stato.

Come ogni telenovela che si rispetti, la querelle relativa al rapporto tra maggiorazione della retribuzione di posizione dei segretari comunali (il cui scopo è quello di retribuire funzioni aggiuntive rispetto a quelle base del segretario) e la maggiorazione retributiva dovuta al "riallineamento stipendiale" (vale a dire il cosiddetto "galleggiamento", il cui scopo è quello di assicurare al segretario una retribuzione almeno pari a quella del dirigente apicale) si arricchisce di nuove puntate con relativi colpi di scena.
Esattamente due anni fa (si veda in proposito quanto scritto dal Sole 24 Ore del 15.02.2010) veniva riportata la notizia che il Tribunale di Pistoia –contrariamente agli orientamenti espressi dall'Aran, dalla Ragioneria generale dello Stato e dalla Funzione pubblica– aveva affermato per sentenza che i due istituti in oggetto non si influenzavano fra di loro (con la conseguenza che essi si sommavano e non si riassorbivano).
Questa sentenza è poi stata seguita da una giurisprudenza di merito conforme (Tribunali della Spezia, di Rimini, dell'Aquila, di Mantova), con la sola eccezione che era costituita dal Tribunale di Milano.
Recentemente, la Corte d'appello di Firenze, con sentenza n. 1160/2011, rigettando la domanda avanzata in primo grado dall'ex segretario generale della Provincia di Pistoia, ha affermato che la percentuale delle maggiorazioni, riconosciuta dall'ente in caso di incarichi aggiuntivi, non può essere applicata sulla retribuzione di posizione già adeguata all'indennità percepita dal dirigente maggiormente retribuito dell'ente per effetto del riallineamento stipendiale, qualora il segretario non abbia fornito in giudizio la prova sul fatto che l'incarico aggiuntivo rappresenti e abbia rappresentato un onere maggiore di quanto non lo sia in una diversa realtà dove l'incarico aggiuntivo non sia stato affidato.
In mancanza di tale prova, peraltro piuttosto difficile da produrre, la regola invocata dal lavoratore non può essere applicata, non essendo stata fornita la dimostrazione di un pregiudizio concreto rapportato alla natura e all'impegno dell'incarico aggiuntivo rispetto all'incarico base.
Con una decisione che per certi aspetti si può considerare a metà strada fra le posizioni dell'Aran/Ragioneria generale dello Stato e quelle delle organizzazioni sindacali, il giudice di secondo grado ha finito per spostare la questione: si passa, cioè, da un piano strettamente interpretativo –come era stato sempre prospettato da entrambe le parti del contenzioso fino a quel momento– a un piano più concreto, che attiene in sostanza all'aspetto probatorio.
Al di là del merito della questione, questo ulteriore episodio ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che ogni sentenza fa storia a sé, e –oltre a ragionare sulle più corrette interpretazioni delle norme (per le quali probabilmente è opportuno conformarsi alle indicazioni dell'Aran o della Ragioneria generale dello Stato)– occorre che l'ente abbia la sensibilità di gestire il rapporto di lavoro in modo equo e corretto, nel rispetto sia del lavoratore che degli interessi della pubblica amministrazione (articolo Il Sole 24 Ore del 20.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Oli usati, la gestione pesa meno. Entro agosto l'autorizzazione unica per pmi a basso impatto.  Il dl semplificazioni alleggerisce movimentazione rifiuti da attività agricola e rigenerazione.
Movimentazione tra fondi dei rifiuti da attività agricola senza oneri burocratici, attività di rigenerazione degli oli usati autorizzabile in deroga ai parametri chimici, autorizzazione ambientale unica per le piccole e medie imprese. Sono sostanziose le novità ambientali previste dal decreto semplificazioni (il dl 09.02.2012, n. 5).
Rifiuti da attività agricole. Il dl 5/2012 (pubblicato sul S.o. alla G.U. del 09.02.2012 n. 33) prevede deroghe al regime burocratico previsto dalla normativa sui rifiuti in relazione al trasporto effettuato nell'ambito dell'attività agricola finalizzato al loro «deposito temporaneo».
Fin dal 10.02.2012, infatti, in base alla novella recata dal nuovo decreto legge all'articolo 193 del dlgs 152/2006 (cd. «Codice Ambientale») non sono più giuridicamente considerate «trasporto di rifiuti» (con il conseguente venir meno degli obblighi di tenuta del formulario di trasporto e del tracciamento telematico Sistri, ove previsto): la movimentazione dei rifiuti effettuata da una azienda agricola tra fondi appartenenti alla medesima, anche percorrendo la via pubblica, purché la distanza tra i fondi non sia superiore a un chilometro e il trasferimento sia finalizzato al deposito temporaneo; la movimentazione dei rifiuti effettuata da un imprenditore agricolo (come individuato dall'articolo 2135 del codice civile) dai propri fondi al sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola di cui è socio, purché (ancora) tale movimentazione sia finalizzata al raggiungimento del deposito temporaneo.
Oli usati. Sempre dal 10.02.2012, data di entrata in vigore del nuovo dl 5/2012, scatta l'alleggerimento della gestione degli oli usati in deroga all'originario regime disegnato dal dlgs 152/2006 e dal dm 392/1996. In base al dl semplificazioni, infatti, le Autorità competenti potranno autorizzare momentaneamente (per la precisione, fino all'emanazione del nuovo dm in materia che sostituirà il citato regolamento del 1996) le operazioni di rigenerazione degli oli usati anche in deroga al rispetto dei parametri chimici previsti dall'allegato A del dm 392/1996, purché siano comunque rispettati i valori massimi di Pcb/Pct (ossia di policlorobifenili e policlorotrifenili, inquinanti altamente tossici) dallo stesso allegato indicati.
Autorizzazione unica ambientale. A partire dalla prossima estate, invece, le piccole e medie imprese potranno essere legittimate a emettere inquinanti in base a una «autorizzazione unica ambientale» che sostituirà ogni atto di comunicazione, notifica e autorizzazione prevista dalla vigente legislazione ambientale. La semplificazione burocratica prevista a monte dal dl 5/2011 sarà resa operativa a valle mediante un decreto del presidente della repubblica che dovrà essere emanato entro il 10.08.2012 (ossia, sei mesi dall'entrata in vigore del dl 5/2012).
L'articolazione del procedimento amministrativo sotteso all'autorizzazione dovrà essere proporzionata alle dimensioni delle imprese, all'oggetto della loro attività e agli interessi pubblici da bilanciare. Potranno accedere all'«autorizzazione unica», che non dovrà comportare maggiori oneri per i soggetti interessati, le Pmi non rientranti nell'attuale disciplina dell'«autorizzazione integrata ambientale», disciplina prevista dal dlgs 152/2006 (ed espressamente fatta salva dal dl in parola) che condivide con la «new entry» la filosofia dell'«atto unico» (raccogliendo in un singolo provvedimento la legittimazione a emettere inquinanti e gestire rifiuti) ma dalla quale differisce per essere destinata ad attività industriali ad elevato impatto ambientale (quelle citate nell'allegato VIII alla parte seconda del «Codice ambientale») e per la complessità dell'iter amministrativo.
Scarico in mare di materiali di escavo. In base al nuovo dl semplificazioni, infine, lo scarico in mare di materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi potrà essere consentito dietro semplice autorizzazione della regione (o, per gli interventi in aree ricadenti in aree protette nazionali, del Minambiente). Ciò in quanto, mediante la diretta riformulazione del «Codice ambientale», il dl 5/2012 ha eliminato quale condizione indefettibile per l'immersione in mare del materiale in parola la dimostrata impossibilità (tecnica o economica) di procedere a loro (diverso) utilizzo in recuperi o smaltimenti alternativi, potrà invece.
Saranno poi le regioni (salvo per i nuovi manufatti oggetto di valutazione di impatto ambientale) le autorità competenti al rilascio dell'autorizzazione per l'immersione in mare (ma al solo fine di riutilizzo) di materiali altri materiali, quali gli inerti, i materiali geologici inorganici ed i manufatti, sempre che ne sia dimostrata la compatibilità e l'innocuità ambientale.
Altre semplificazioni ambientali. Gli alleggerimenti recati dal nuovo dl 5/2012 si affiancano alle semplificazioni in materia ambientale parallelamente introdotte dal dpr 227/2011. Il provvedimento, pubblicato sulla G.U. del 03/02/2012 n. 28 (si veda ItaliaOggi Sette del 13/02/2012) prevede infatti a partire dal 18.02.2012 un regime light per le autorizzazioni relative allo scarico delle acque ed alle emissioni sonore prodotte da Pmi a basso impatto ambientale.
E ciò attraverso l'assimilazione alle acque reflue «domestiche» degli scarichi prodotti da dette piccole e medie imprese e la possibilità di presentare in autodichiarazione la «documentazione di impatto acustico», obbligo (quest'ultimo) dal quale lo stesso dpr 227/2011 esonera le pmi a bassa rumorosità (articolo ItaliaOggi Sette del 20.02.2012).

aggiornamento al 20.02.2012

ENTI LOCALIPATTO DI STABILITA' 2012/ Le indicazioni contenute nella circolare della Ragioneria. Giro di vite sulle pratiche elusive. Gli amministratori pagano dieci volte l'indennità di carica.
Il Mef affila le armi contro i «furbetti» del Patto, enfatizzando il ruolo delle misure antielusive e rafforzando le sanzioni nei confronti degli enti inadempienti. Potenziati anche i controlli sulle giacenze di tesoreria. Strada in salita per il Patto regionalizzato, la cui piena attuazione si scontra con l'irragionevolezza dei termini per le compensazioni fra gli obiettivi di province e comuni, anche se un ordine del giorno approvato dal Senato impegna il Governo a definire una tempistica più distesa.
Con la circolare 14.02.2012 n. 5 (si veda ItaliaOggi di ieri), la Ragioneria generale dello stato ha fornito agli enti locali i primi chiarimenti sul Patto di stabilità interno 2012-2014, quale disciplinato dagli artt. da 30 a 32 della legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012).
Le regole del Patto. Nessuna sorpresa per quanto concerne l'individuazione degli enti soggetti e le regole di calcolo degli obiettivi. Per il 2012, sono soggetti al Patto le province e i comuni con più di 5.000 abitanti, mentre a decorrere dall'anno prossimo entreranno anche i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti. Dal 2013, poi, il Patto sarà esteso anche ad aziende speciali ed istituzioni, mentre per le società in house in sono in arrivo regole ad hoc. Dal 2014, infine, dovrebbero essere assoggettate anche le unioni obbligatorie per i comuni fino a 1.000 abitanti, ma la legge di conversione del decreto milleproroghe dovrebbe rinviare questa scadenza, di fatto procrastinandola al 2015.
Gli obiettivi saranno differenziati per gli enti virtuosi (che potranno limitarsi a raggiungere un saldo più basso, anche se non necessariamente pari a 0) e per gli altri enti. Questi ultimi dovranno realizzare un saldo positivo pari o superiore al valore determinato applicando alla spesa corrente media 2006-2008 (calcolata in termini di impegni a partire dai dati di consuntivo) un moltiplicatore che sarà fissato da un successivo decreto dello stesso Mef all'interno di una forchetta.
Per le province, la percentuale non potrà essere, per il 2012, inferiore al 16,5% e superiore al 16,9% e dal 2013 inferiore al 19,7% e superiore al 20,1%. Per i comuni, i valori minimi e massimi sono, per il 2012, 15,6 e 16% e dal 2013 15,4 e 15,8%. Il livello a cui si collocherà l'asticella dipenderà dal numero e dal peso degli enti virtuosi, i cui sconti saranno «pagati» dagli altri enti con la maggiorazione (entro il tetto dello 0,4%) del rispettivo coefficiente di calcolo. Dall'obiettivo così calcolato, potranno essere detratti i tagli previsti dal dl 78/2010, ma non quelli ulteriori imposti dal dl 201/2011.
La grammatica del Patto continua a essere la competenza mista, che considera accertamenti e impegni per la parte corrente del bilancio, riscossioni e pagamenti per le entrate e le spese in conto capitale, al netto delle voci escluse che la circolare elenca puntualmente: riscossioni e concessioni di crediti, risorse connesse alla dichiarazione di stato d'emergenza ed all'organizzazione dei grandi eventi, interventi finanziati dall'Ue (al netto dei cofinanziamenti), censimento, risorse destinate ai comuni dissestati della provincia de L'Aquila, Efsa di Parma, federalismo demaniale e (solo per il 2013-2014) investimenti infrastrutturali.
Misure antielusive e sanzioni. La parte certamente più interessante e innovativa della circolare è quella concernente le misure antielusive previste dall'art. 31, commi 30 e 31, della legge n. 183/2011. Il comma 30 dispone la nullità dei contratti di servizio e degli altri atti posti in essere per aggirare le regole del Patto. Il comma 31, invece, introduce sanzioni pecuniarie a carico degli amministratori e dei responsabili del servizio economico-finanziario che hanno posto in essere gli atti elusivi: ai primi le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono chiedere fino a dieci volte l'indennità di carica percepita al momento di commissione dell'elusione, ai secondi fino a tre mensilità di stipendio. Secondo la circolare, si configura una fattispecie elusiva del Patto ogni qualvolta siano attuati comportamenti che, pur legittimi, risultino intenzionalmente e strumentalmente finalizzati ad aggirare i vincoli di finanza pubblica.
Ne consegue che risulta fondamentale la finalità economico-amministrativa del provvedimento adottato (e la relativa motivazione). La circolare offre, al riguardo, un interessante analisi casistica. Innanzitutto, l'elusione è spesso realizzata attraverso l'utilizzo dello strumento societario, ad esempio quando spese valide ai fini del Patto sono poste al di fuori del bilancio dell'ente per trovare evidenza in quello delle società da esso partecipate. Frequenti anche i casi di evidente sottostima dei costi dei contratti di servizio tra l'ente e le sue diramazioni societarie e para-societarie, nonché l'illegittima traslazione di pagamenti dall'ente a società esterne partecipate, realizzate attraverso un utilizzo improprio delle concessioni e riscossioni di crediti. Altre comuni modalità di elusione sono rappresentate dall'impropria imputazione di poste in sezioni di bilancio, come le «partite di giro», dalla sovrastima delle entrate correnti e dal ricorso ad accertamenti di entrate fittizie.
La circolare cita, ancora, l'imputazione delle spese di competenza di un esercizio finanziario ai bilanci dell'esercizio o degli esercizi successivi, ovvero quali oneri straordinari della gestione corrente (debiti fuori bilancio). Infine, sono da ritenersi elusive, nell'ambito delle valorizzazioni dei beni immobiliari, anche le operazioni poste in essere dagli enti locali con le società partecipate per reperire risorse finanziarie senza giungere ad una effettiva vendita del patrimonio.
Tali pratiche sono oggetto di un doppio controllo: da un lato, le verifiche della Corte dei conti, che possono estendersi all'esame della natura sostanziale delle entrate e delle spese escluse dai vincoli in applicazione del principio generale di prevalenza della sostanza sulla forma; dall'altro, quelle che la Rgs provvede ad effettuare, tramite i servizi ispettivi di finanza pubblica, per accertare la regolarità della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche.
Pesanti le sanzioni per gli enti inadempienti, che potranno essere irrogate anche a distanza di tempo, qualora la violazione emerga successivamente all'anno seguente a quello cui essa si riferisce. Chi non rispetta il Patto incappa, innanzitutto, nella decurtazione del fondo sperimentale di riequilibrio (o dei trasferimenti, per gli enti locali siciliani e sardi) fino al 3% delle entrate correnti registrate nell'ultimo consuntivo; in caso di incapienza, dei predetti fondi l'ente è tenuto a versare le somme residue, presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato. Le altre sanzioni sono il blocco totale delle assunzioni, il divieto di ricorrere all'indebitamento e l'obbligo di contenere gli impegni di spese correnti entro la media dell'ultimo triennio.
Infine, per gli amministratori in carica nell'esercizio in cui è avvenuta la violazione del Patto, è previsto il taglio delle indennità e dei gettoni di presenza, che dovranno essere ridotti del 30% rispetto all'ammontare risultante alla data del 30.06.2010; la circolare precisa che tale riduzione si applica agli importi effettivamente erogati nel 2010 e quindi comprensivi anche della eventuale riduzione del 30% operata in caso di mancato rispetto del Patto negli anni precedenti. Le sanzioni sono ridotte a favore della provincia e del comune di Milano, nel caso in cui la violazione dipenda dagli oneri derivanti dall'organizzazione dell'Expo 2015.
Tesoreria. È stata riproposta la norma che autorizza il Mef ad adottare misure di contenimento dei prelevamenti effettuati dagli enti locali sui conti di tesoreria statale, qualora si registrino scostamenti rispetto agli obiettivi del Patto. Tale misura, tuttavia, assume tutt'altra valenza rispetto al passato, alla luce del previsto (dal recente dl 1/2012) ritorno al vecchio regime «accentrato» di tesoreria unica.
Patto regionalizzato. Per il 2012 sono confermate le disposizioni in materia di Patto regionalizzato verticale ed orizzontale grazie alle quali le province e i comuni soggetti possono beneficiare di maggiori spazi finanziari ceduti, rispettivamente, dalla regione e dagli altri enti locali. La tempistica dei due strumenti è, però, disallineata: mentre per il Patto verticale potrà essere attuato entro il 31 ottobre, per il quello orizzontale la dead line è fissata al 30 giugno, termine evidentemente irrealistico se si pensa che esso coincide con la scadenza per l'approvazione dei preventivi fissata dalla legge di conversione del milleproroghe.
Va, però, segnalato che un ordine del giorno votato dal Senato nel corso dei lavori relativi a quest'ultimo provvedimento impegna il governo a ridefinire il timing, spostando i predetti termini, rispettivamente, al 30 novembre ed al 31 ottobre.
A partire dal 2013, invece, è prevista l'introduzione del cd Patto regionale integrato, in base al quale le regioni potranno concordare con lo Stato le modalità di raggiungimento dei propri obiettivi e di quelli degli enti locali del proprio territorio (articolo ItaliaOggi del 17.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOAumenti solo se si lavora di più. Compiti aggiuntivi giustificano incrementi per i dirigenti. L'effetto del combinato disposto delle previsioni sui tetti dettate dal decreto 78 del 2010.
La retribuzione di posizione dei dirigenti e dei titolari di posizione organizzativa non può aumentare, tranne che siano loro affidati compiti aggiuntivi. Un aumento può venire probabilmente sulla retribuzione di risultato dalla utilizzazione di una quota dei risparmi derivanti dai piani di razionalizzazione e riorganizzazione.
È questo l'effetto determinato dal «combinato disposto» delle previsioni dettate dal dl n. 78/2010 sul tetto al trattamento economico individuale e del divieto di aumentare la misura di questa indennità in caso di cambio o di conferma del dirigente, nonché della possibilità prevista dal dl n. 98/2011 di aumentare i fondi per la contrattazione decentrata con le risorse derivanti dalla concretizzazione dei piani di risparmio. Da ricordare inoltre che il legislatore ha disposto il divieto di aumentare i fondi per la contrattazione decentrata integrativa, sia dei dirigenti che dei dipendenti, con il che si determina una ulteriore limitazione della possibilità di accrescere il salario accessorio di dirigenti e posizioni organizzative.
Quindi, i vertici delle amministrazioni pubbliche non possono contare sulla possibilità di aumentare il proprio trattamento economico, visto che per il triennio 2011/2013 è stato anche stabilito il blocco della contrattazione collettiva e, quindi, degli stipendi. E l'unica possibilità di aumento si ha con la realizzazione degli obiettivi di risparmio fissati dall'ente ed a condizione che quest'ultimo destini una quota, non superiore al 50%, alla incentivazione del personale e dei dirigenti.
Per il triennio 2011/2013 l'articolo 9 del dl n. 78/2010 dispone che il trattamento economico individuale dei dipendenti pubblici non possa aumentare rispetto all'anno 2010. Questo vincolo riguarda non solo lo stipendio, ma anche le forme di salario accessorio che hanno un carattere non occasionale, che non sono strettamente collegate ad attività svolte e che non sono collegate a modifiche delle mansioni. Per cui, come è stato chiarito dalla Ragioneria generale dello stato, la indennità di posizione sia dei dirigenti che dei titolari di posizione organizzativa non può essere modificata in aumento.
Le eccezioni sono costituite dalla variazione dei compiti assegnati alle figure di vertice delle amministrazioni, variazioni che devono determinare un aumento delle responsabilità. Il che, di regola, non può che determinare diminuzioni del trattamento accessorio dei dirigenti e dei titolari di posizione organizzativa che hanno avuto una riduzione delle responsabilità. In conseguenza di questa disposizione una modifica della «pesatura» delle posizioni dirigenziali e predirigenziali con aumento del salario accessorio in presenza di una invarianza dei compiti assegnati non è da ritenere come legittima. Per i dirigenti questo divieto assume un carattere che deve essere considerato come permanente e non limitato esclusivamente al triennio 2011/2013.
Occorre inoltre considerare che, sulla base della lettura delle previsioni contrattuali date dall'Aran e dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Campania, la remunerazione del conferimento ad interim di incarichi ai dirigenti può essere remunerata solamente con un aumento della retribuzione di risultato e non con l'incremento di quella di posizione.
Oltre all'aumento dei compiti, un aumento del salario accessorio dei dirigenti e delle posizioni organizzative può probabilmente arrivare dai risparmi derivanti dalla concretizzazione dei piani di razionalizzazione e riorganizzazione, sulla base delle previsioni di cui all'articolo 16 del dl n. 98/2011. Ricordiamo che questa norma consente agli enti di destinare non più della metà dei proventi derivanti dalla concretizzazione dei piani di risparmio alla incentivazione del personale, riservando il 50% di questi aumenti alle fasce di merito, che per il resto sono state rinviate al nuovo contratto nazionale. La disposizione non prevede espressamente la possibilità di destinare queste risorse anche alla incentivazione dei dirigenti e dei titolari di posizione organizzativa; ma il dettato normativo sembra consentirlo nella forma dell'incremento del fondo per la contrattazione decentrata e, quindi, della indennità di risultato.
Occorre comunque che questa possibilità sia chiarita e sia, inoltre, precisato se negli enti senza i dirigenti queste risorse possano incrementare anche la retribuzione di posizione dei responsabili (articolo ItaliaOggi del 17.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Una serie di risposte sui rapporti tra amministrazione e assessore-socio. Incompatibilità esclusa. Se non c'è un contratto tra ditta e comune.
Un assessore comunale al commercio e alle attività produttive ha preso parte a due delibere di giunta nelle quali si è disposto, nella prima, la concessione di un contributo a favore di una parrocchia del cui consiglio per gli affari economici egli è componente; nella seconda, l'assegnazione di una quota parte degli oneri di urbanizzazione secondaria ad un ente di cui lo stesso è presidente e legale rappresentante. Inoltre l'ente locale ha affidato un'attività concernente beni di proprietà del comune ad una ditta, costituita da una società di persone, all'interno della quale l'assessore è un «socio non addetto alle lavorazioni». In tali casi esiste l'ipotesi d'incompatibilità ex art. 63, comma 1, nn. 1 e 2 dlgs 267/2000? Nelle prime due circostanze rappresentate è ravvisabile la violazione del dovere di astensione di cui all'art. 78 del Tuoel?
Quanto alla prima delibera, se l'assessore non riveste alcuna carica di amministratore, bensì è componente del consiglio per gli affari economici della parrocchia, che ha solo funzioni consultive, per tale ipotesi non sono rinvenibili profili di incompatibilità, per carenza del requisito soggettivo previsto dal citato art. 63, comma 1, n. 2 Tuoel.
Inoltre non è stato violato il dovere di astensione da parte dell'amministratore locale a prender parte alla discussione e alla votazione delle delibere riguardanti la parrocchia, in quanto il dovere di astensione di cui al citato comma 2 dell'art. 78 fa riferimento esclusivamente alle delibere riguardanti interessi propri o di parenti e affini sino al quarto grado, né la parrocchia può essere ricompresa fra le aziende comunali amministrate o soggette all'amministrazione o vigilanza del comune.
Quanto al secondo quesito, se l'ente in questione non è soggetto a vigilanza da parte del comune e questo contribuisce alla sovvenzione dell'ente con una percentuale inferiore al 10% delle entrate complessive, non si può configurare un'ipotesi d'incompatibilità ai sensi dell'art. 63, comma 1, n. 1 del dlgs 267/2000.
In merito, poi, alla violazione dell'obbligo di astensione di cui al comma 2 dell'art. 78 -anche qualora si assuma che la delibera non riguarda interessi propri dell'amministratore e il suo voto favorevole sia comunque irrilevante nell'adozione della delibera, in quanto adottata all'unanimità dalla giunta comunale- si osserva che la norma citata mira a prevenire il conflitto d'interessi ed è finalizzata a salvaguardare il buon andamento e l'imparzialità dell'attività dell'ente locale, che ricorre ogniqualvolta vi sia una correlazione immediata e diretta tra la situazione personale del titolare della carica pubblica e l'oggetto specifico della deliberazione (intesa come attività volitiva a rilevanza esterna).
A tal proposito la sentenza 7050 – IV sez. del 04/11/2003, del Consiglio di stato ha evidenziato che la regola dell'astensione dell'amministratore deve trovare applicazione in tutti i casi in cui egli, per ragioni di ordine obiettivo, non si trovi in posizione di assoluta serenità rispetto alla decisione da adottare. Lo stesso Consesso ha successivamente ribadito che «_ la regola che vuole l'astensione dei soggetti interessati è di carattere generale e tende a evitare che, partecipando gli stessi alla discussione e all'approvazione del provvedimento, essi possano condizionare nel complesso la formazione della volontà dell'assemblea, concorrendo a determinare un assetto complessivo dello stesso provvedimento non coerente con la volontà che sarebbe scaturita senza la loro presenza_» (Cfr. C. d. S., IV, sent. 21.06.2007, n. 3385, cit.).
Rileva in materia, inoltre, in ogni caso, la personale responsabilità politica e deontologica dei soggetti interessati, tenuti tutti, come i pubblici amministratori, ad adottare comportamenti improntati all'imparzialità e al principio di buona amministrazione, in virtù di quanto espressamente dispone il 1° comma del richiamato art. 78 del T.u. In ordine al terzo caso prospettato non è ravvisabile l'ipotesi d'incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 2 del dlgs 267/2000, in quanto non sussiste un rapporto contrattuale particolare tra la ditta e il comune.
L'art. 63, comma 1, n. 2 del dlgs 267/2000 stabilisce che non può ricoprire cariche elettive locali colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento abbia parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune. La fattispecie contrattuale rappresentata, pertanto, non configura un rapporto di «durata», cioè non sussiste nell'ipotesi in questione il requisito previsto dalla disposizione normativa che consiste nella partecipazione, diretta o indiretta, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune.
Sono, inoltre, irrilevanti tanto la circostanza che l'amministratore in questione sia un socio non partecipante all'attività lavorativa dell'impresa, quanto la circostanza che la società sia una società di persone, circostanza che assumerebbe rilievo in presenza di un contratto di appalto o di servizi (articolo ItaliaOggi del 17.02.2012).

ENTI LOCALI: Nuovo patto, premiati i virtuosi. Obiettivi differenziati e gioco a somma zero per gli sconti. La circolare della Ragioneria generale dello stato sui vincoli della nuova legge di stabilità.
Patto di stabilità con un occhio di riguardo per gli enti virtuosi. Vincoli di bilancio meno stringenti per le amministrazioni con più autonomia finanziaria, bilanci equilibrati e buona capacità di riscuotere le proprie entrate. E dal prossimo anno, regole di finanza pubblica applicate anche ai comuni tra 1.001 e 5 mila abitanti e alle aziende speciali.
Con la circolare 14.02.2012 n. 5, diramata ieri, la Ragioneria generale dello stato ha fornito le indicazioni operative di inizio anno, che tengono conto della nuova disciplina del Patto contenuta nella legge di stabilità 2012. Alle province, il Patto chiede 1.200 mln di euro per il 2012 e 1.300 mln a partire dal 2013, mentre i comuni sono chiamati a contribuire, rispettivamente, per 4.200 e 4.500 mln.
Gli obiettivi 2012 sono stati alleggeriti grazie ai proventi della Robin Hood tax (150 mln per le province e 520 per i comuni) e al fondo di cui all'art. 20, comma 3, del dl 98/2011 (20 mln alle province e 65 ai comuni), ma l'effetto di tali misure è già incorporato nei coefficienti per il calcolo. Non sono più previsti sconti generalizzati. Buone notizie solo per gli enti (sono circa 70) coinvolti nella sperimentazione dei nuovi sistemi contabili, che potranno spartirsi una torta da 20 mln, ma soprattutto per quelli che saranno identificati come virtuosi.
Enti virtuosi. È questa la novità più significativa. Agli enti che verranno collocati nella prima classe di merito (in origine ne erano previste 4, poi ridotte a 2) sarà richiesto uno sforzo più modesto. La selezione sarà operata da un decreto del Mef sulla base dei 4 parametri previsti dall'art. 20, comma 2, del dl 98/2011 sopravvissuti alla novella operata dalla legge 183/2011, ovvero: 1) rispetto del Patto; 2) autonomia finanziaria; 3) equilibrio di parte corrente; 4) rapporto tra riscossioni e accertamenti delle entrate di parte corrente.
Obiettivi differenziati. Il meccanismo di calcolo degli obiettivi, che continuano a essere declinati in termini di competenza mista (accertamenti e impegni per la parte corrente, riscossioni e pagamenti per la il conto capitale), è stato costruito per tenere conto della presenza di due classi di enti.
Poiché i virtuosi non sono ancora stati individuati, è stato necessario prevedere due sottofasi. Nella prima, che scatta subito, si determineranno i target per gli enti; successivamente, si procederà a differenziarli, migliorando quelli dei virtuosi e peggiorando quelli dei non virtuosi. Il gioco deve essere a somma zero e il peso degli sconti riservati ai primi sarà a carico dei secondi.
Nella prima sottofase, si assume come parametro di riferimento la spesa corrente media in termini di impegni registrata nel triennio 2006-2008. Applicando a tale valore (desunto dai consuntivi), il prescritto coefficiente si ottiene l'obiettivo. Per le province, il coefficiente è pari al 16,5% per il 2012 e al 19,7% dal 2013, mentre per i comuni è fissato, rispettivamente, al 15,6 e al 15,4%.
La seconda sottofase scatterà con l'individuazione degli enti virtuosi, che potranno limitarsi a raggiungere un saldo obiettivo pari a 0 o a un valore leggermente superiore (comunque più basso di quello imposto agli altri): la legge 183/2011, infatti, ha previsto che la maggiorazione dei coefficienti di calcolo degli obiettivi dei non virtuosi, necessaria per compensare gli sconti ai virtuosi, non possa superare lo 0,4%. Le percentuali, pertanto, potranno arrivare fino al 16,9% ed al 20,1% per le province e al 16% e 15,8 per i comuni.
Poiché il bilancio di previsione deve essere coerente con il Patto fin dalla sua approvazione, la circolare suggerisce a tutti gli enti di utilizzare prudenzialmente, nelle more dell'individuazione dei virtuosi, i coefficienti maggiorati previsti per i non virtuosi, apportando in seguito le opportune rettifiche.
Sterilizzazione dei tagli. Ai fini del calcolo degli obiettivi, i non virtuosi potranno portare in detrazione rispetto al prodotto del coefficiente di calcolo e della spesa corrente media 2006-2008 il taglio previsto (inizialmente a valere sui trasferimenti erariali e ora a carico del fondo sperimentale di riequilibrio) dall'art. 14 del dl 78/2010. Il relativo riparto sarà definito con dm e nelle more gli enti possono agevolmente stimare il taglio aggiuntivo 2012 applicando al taglio 2011 il coefficiente 66,67%.
La circolare tace sul trattamento degli ulteriori tagli previsti dal dl 201/2011 (pari a 415 milioni per le province e a 1.450 milioni per i comuni). Il Mef, rispondendo ai quesiti di alcuni enti, ha precisato che tali importi non possono essere sottratti dagli obiettivi del Patto, con evidente, ulteriore penalizzazione per gli enti.
Enti soggetti. Per il 2012 sono assoggettati al Patto le province e i comuni con più di 5 mila abitanti, mentre a decorrere dall'anno prossimo entreranno anche i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5 mila abitanti, i quali, peraltro, già da quest'anno devono tenere conto dei relativi vincoli in sede di predisposizione del bilancio pluriennale.
Dal 2013 il Patto sarà esteso anche ad aziende speciali e istituzioni, mentre per le società in house il Mef dovrà definire regole ad hoc. Dal 2014, infine, dovrebbero essere assoggettate anche le unioni obbligatorie per i comuni con meno di 1.000 abitanti. Ma la partita legata alla riforma di cui all'art. 16 del dl 138/2011, quasi certamente sarà rinviata ai supplementari dal Milleproroghe (articolo ItaliaOggi del 16.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 16.02.2012

APPALTIPiccoli Comuni. Centrali uniche di committenza - Gli acquisti unificati slittano a marzo 2013.
La proroga generalizzata agli obblighi di Unione e associazione per i Comuni fino a 5mila abitanti imbarca al Senato un nuovo capitolo: slitta a fine marzo 2013, grazie a un emendamento approvato ieri in commissione, l'obbligo per i piccoli enti di creare centrali uniche per l'acquisizione di lavori, servizi e forniture.
Il rinvio nasce per evidenti problemi di coordinamento con la cura delle Unioni e associazioni obbligatorie scritta nella manovra estiva, e rinviata di nove mesi dai correttivi al Milleproroghe approvati alla Camera. Il tema è quello sollevato dall'articolo 16 del Dl 138/2011, che imporrebbe agli enti fino a mille abitanti di confluire in Unioni (di almeno 5mila residenti, 3mila in montagna) per gestire tutte le attività, e a quelli fra mille e 5mila di dare vita a gestioni associate (di almeno 10mila abitanti) per le funzioni fondamentali.
Dopo il primo passaggio parlamentare del Milleproroghe, la partita è stata spostata al 2013, e gli amministratori locali contano di sfruttare i tempi supplementari per rivedere a fondo tutta la disciplina. In questo quadro, mantenere l'obbligo di centrale unica a partire da marzo avrebbe significato introdurre un vincolo parziale mentre la cornice generale era saltata (articolo Il Sole 24 Ore del 15.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOSemplificazioni. Effetto combinato tra le norme sugli iter conclusi oltre i termini e la riforma Brunetta.
Il ritardo «licenzia» il dirigente. La valutazione negativa per due anni può far scattare la sanzione.

Il decreto legge sulle semplificazioni pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» di giovedì mette in campo una serie di nuove tutele nei confronti del cittadino che presenta una istanza alla Pubblica Amministrazione.
Dall'introduzione del potere sostitutivo del dirigente individuato dall'amministrazione, o in mancanza, predefinito dal legislatore stesso, il cittadino allo scadere del termine per l'emanazione del provvedimento di suo interesse può investire direttamente il sostituto e ottenere quanto gli necessita, con un minimo di attesa ulteriore comunque pari a non oltre la metà del tempo fissato dalla legge o dal regolamento dell'amministrazione. Al verificarsi di un tale ritardo maturano in primo luogo gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa del dirigente o del funzionario che avrebbe dovuto provvedervi, e scatta la segnalazione alla Corte dei Conti che potrà condannare il lavoratore a risarcire un danno al suo ente di appartenenza.
Il ritardo o l'assenza del provvedimento finale costituisce anche elemento di valutazione negativa della prestazione del dirigente o del funzionario per l'anno in cui esso si verifica, e può comportare una riduzione dell'indennità di risultato; si tratta in queste ipotesi di responsabilità «dirigenziale» che si aggiunge alla responsabilità amministrativa.
In casi estremi si può verificare per l'interessato una valutazione talmente negativa da determinare, qualora si ripeta per almeno due anni, anche non consecutivi, una valutazione di insufficiente rendimento: un'eventualità che rende il dirigente suscettibile di licenziamento disciplinare, come previsto dal decreto Brunetta (nel nuovo articolo 55-quater, comma 2, Dlgs 165/2001). Dal ritardo o dall'omissione del provvedimento richiesto dal cittadino, anche prima del decreto semplificazione e sviluppo, sorgeva a dire il vero in capo al dirigente o al funzionario responsabile anche una responsabilità di natura disciplinare.
Occorre però distinguere il comportamento del lavoratore che ha semplicemente ritardato nell'emanare un atto dovuto dall'ipotesi in cui il ritardo o l'omissione abbia anche comportato per il cittadino un danno ingiusto. Nella prima ipotesi la responsabilità disciplinare deriva dal comportamento scarsamente diligente nell'esecuzione dei suoi compiti e nella trattazione ordinata delle pratiche che potrà comportare dal minimo del richiamo verbale al massimo della multa fino a quattro ore di retribuzione.
Qualora invece il cittadino investa il giudice civile, richiedendo un risarcimento alla Pa per il danno subito, al dirigente o al funzionario potrà venire contestata una diversa figura di responsabilità disciplinare. Anch'essa é stata introdotta dal decreto Brunetta, tra le ipotesi di «responsabilità per comportamento pregiudizievole per l'amministrazione» (articolo 55-sexies, comma 1, Dlgs 165/2001). Questa ipotesi di responsabilità disciplinare tuttavia richiede una sentenza favorevole al cittadino, che accerti il fatto che si sia verificato ai suoi danni un danno quale diretta conseguenza del ritardo o dell'omissione nell'emettere il provvedimento richiesto.
Come previsto dall'articolo 2-bis della legge 241/1990, modificata dalla legge 69/2009, il ritardo o l'omissione devono essere frutto di dolo o colpa, anche lieve, del dipendente pubblico. Richiede pertanto che il giudice si esprima in tal senso, avuto riguardo al comportamento complessivo del lavoratore e alle eventuali attenuanti dovute, ad esempio, a carenze organizzative a lui non imputabili.
L'entità del risarcimento riconosciuto con sentenza a favore del cittadino determina infine la gravità della sanzione disciplinare applicabile in queste ipotesi. Sanzione che varia da un minimo di tre giorni a un massimo di tre mesi di sospensione dal servizio e dalla retribuzione per il dirigente o funzionario responsabile del ritardo. Questo può tuttora costituire un problema, tenuto conto degli attuali tempi medi della giustizia, che rendono di fatto inefficace il meccanismo.
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L'incrocio delle regole
01 | LE SANZIONI
In caso di procedimenti conclusi in ritardo rispetto ai tempi fissati da leggi o regolamenti, può maturare per il dirigente o funzionario responsabile la responsabilità amministrativa, e scatta la segnalazione alla Corte dei conti che in caso di danno può stabilire la necessità di un risarcimento a favore dell'ente
02 | LA VALUTAZIONE
L'esistenza di procedimenti che arrivano in ritardo alla conclusione viene considerata obbligatoriamente nella valutazione della performance del dirigente responsabile
03 | LE CONSEGUENZE
La prima conseguenza diretta è di tipo economico, perché una valutazione negativa può ridurre fino ad annullare la retribuzione di risultato riconosciuta al dirigente
04 | RIFORMA BRUNETTA
L'entità dell'eventuale danno arrecato all'ente, invece, può determinare in capo al dirigente una sanzione aggiuntiva da tre giorni a tre mesi di sospensione dal servizio e dalla retribuzione. Nei casi più gravi, una valutazione negativa protratta per due anni può portare al licenziamento disciplinare (articolo Il Sole 24 Ore del 13.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIA rischio caos il calendario dei servizi pubblici.
TEMPI SERRATI/ Il Governo deve fissare le regole per i Comuni entro la fine di marzo e la Regione individua gli «ambiti» a maggio.

Il susseguirsi di interventi normativi sui servizi pubblici locali non contribuisce certo a fare chiarezza e a dare stabilità agli operatori, che si trovano sempre più sospesi tra novità e rinvii.
Da questo punto di vista il Dl sulle liberalizzazioni non rappresenta, purtroppo, un'eccezione: crea non poche incertezze e costringe i diversi attori istituzionali a un tour de force che rischia di portare a scelte poco ponderate e di rendere comunque inevitabile un'ennesima proroga di scadenze piuttosto che la definitiva messa a regime del sistema.
In ogni caso l'articolo 3-bis introdotto nel Dl 138/2011, che introduce una nuova forma di «ambiti ottimali» la cui definizione è affidata alle Regioni, richiede di essere interpretato con attenzione. Si noti, anzitutto, che qui non si applicano le esclusioni previste al comma 34 dell'articolo successivo. Pertanto il 3-bis e riguarda anche i settori non ricompresi nell'articolo 4 (energia elettrica, gas, farmacie e, parzialmente, l'idrico).
Per contro, la richiesta che le Regioni «organizzino lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali» (di dimensione almeno provinciale) non intende che tutti i servizi debbano essere gestiti a livello di ambito, ma solo quelli che la Regione giudicherà tali e quindi, probabilmente, quelli già così regolamentati: rifiuti, trasporto locale, acqua, eccetera Altrimenti, rischieremmo di assistere alla nascita di società cimiteriali di ambito e ad altre amenità del genere, vanificando l'autonomia, costituzionalmente garantita, dei Comuni.
Un'interpretazione omnicomprensiva di servizio pubblico andrebbe in contraddizione con le norme, compreso lo stesso articolo 3-bis, comma 2, che prevedono invece la possibilità dei Comuni di procedere ad affidamenti di servizi pubblici locali.
Cerchiamo di capire, infine, quali sono i «momenti chiave» del processo immaginato dagli articoli 3-bis e 4 in materia di servizi locali.
Il primo passo spetterà al Governo che, entro il 31 marzo, deve scrivere un decreto in cui illustrare con quali criteri i Comuni devono «individuare i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e universale, verificano la realizzabilità di una gestione concorrenziale» e, se del caso, decidono di attribuire il diritto di esclusiva su certi servizi (articolo 4, comma 1) ed emanare in proposito una delibera quadro (comma 2).
Il secondo spetta invece alla Regione che, in base all'articolo 3-bis, comma 1, dovrà individuare i servizi per i quali sia opportuna una dimensione almeno provinciale dell'ambito di affidamento e, quindi, emanare delle norme in proposito. Le Regioni dovranno fare tutto ciò entro il 30 giugno. Se questo non accade, sarà il Governo a intervenire con l'esercizio di un potere sostitutivo (ma che, immaginiamo, richiederà un po' di tempo per potersi dispiegare).
A seguito di ciò dovrà iniziare il lavoro di istruzione e di deliberazione dei Comuni che, preso atto del decreto governativo e di quanto regolamentato dalle Regioni, potranno formulare le loro scelte. I Comuni con oltre 10mila abitanti dovranno però richiedere, in base all'articolo 4, comma 3, il parere obbligatorio (ma non vincolante) dell'Autorità Garante per la Concorrenza che, a sua volta, si pronuncerà entro 60 giorni di tempo. Fatto questo, ci dovranno essere le gare per l'affidamento del servizio o con doppio oggetto, con i tempi che ne derivano.
Tutto ciò è realisticamente realizzabile? In effetti si ipotizza una tempistica non proprio compatibile con la prevista decadenza al 31.12.2012 degli affidamenti in house. E bene ha fatto il legislatore a introdurre un nuovo comma 32-ter all'articolo 4, che prevede una sorta di proroga di fatto degli affidamenti in essere, fino alla conclusione di questo laborioso iter burocratico (articolo Il Sole 24 Ore del 13.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIAppalti. Le nuove procedure. Nel contratto di disponibilità il pubblico si lega al privato.
L'ACCORDO/ Con l'intesa l'affidatario mette l'opera a disposizione dell'amministrazione in cambio di canoni, contributi o prezzo di trasferimento.

Il pacchetto normativo contenuto nei decreti sulle liberalizzazioni e sulle semplificazioni ha prodotto molte innovazioni nel Codice dei contratti pubblici, sia procedurali sia relative a nuove soluzioni per definire i rapporti tra stazioni appaltanti e appaltatori.
La nuova configurazione dell'appalto riguarda soprattutto i lavori pubblici, per i quali l'articolo 52 del Dl 1/2012 ha previsto una revisione dell'articolo 93 del Codice, che consente l'aggregazione dei livelli progettuali (preliminare con definitivo e definitivo con esecutivo), a condizione che sia garantita la completezza degli elementi descrittivi e tecnici. Anche l'approvazione del progetto può essere ottimizzata in rapporto all'aggregazione dei livelli, con una scelta di maggior dettaglio.
Questi aspetti incidono anche sulla programmazione, per la quale le nuove disposizioni richiedono che per i lavori sotto al milione di euro di valore sia elaborato almeno uno studio di fattibilità, e per i lavori di importo superiore almeno un progetto preliminare.
Alcune fasi della gestione della procedura selettiva sono state semplificate, con riferimento ai controlli sui requisiti di ordine generale e di capacità (economico-finanziaria e tecnico-professionale), rafforzando le previsioni del Codice sulla banca dati nazionale degli appalti. Questa sarà l'unica fonte di verifica dei requisiti dal 2013, secondo un processo regolato dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Il riscontro di requisiti secondo le modalità tradizionali, con la collaborazione degli operatori economici concorrenti sarà possibile solo per le informazioni non presenti nella banca dati nazionale.
Un'importante innovazione riguarda anche il procedimento gestito dall'Avcp per l'esclusione dalle gare di un'impresa che abbia reso false dichiarazioni in sede di gara: l'interdizione di un anno è ora riconfigurata come termine massimo deciso dalla stessa Autorità in rapporto alla gravità della situazione rilevata (ad esempio potendo differenziare se la falsa dichiarazione deriva da dolo o da colpa grave).
La selezione dell'appaltatore può condurre ora a nuove forme di relazione con l'amministrazione, maggiormente improntate alla valorizzazione della partnership pubblico-privato.
In tale prospettiva assume rilevanza l'innovazione dell'articolo 44 del Dl 1/2012, con la disciplina del «contratto di disponibilità». In questo rapporto sono affidate, a rischio e a spesa dell'affidatario, la costruzione e la messa a disposizione a favore dell'amministrazione aggiudicatrice di un'opera di proprietà privata destinata all'esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo.
Per «messa a disposizione» la norma intende l'onere assunto a proprio rischio dall'affidatario di assicurare all'amministrazione la costante fruibilità dell'opera, nel rispetto dei parametri di funzionalità previsti dal contratto, garantendo la manutenzione e la risoluzione di tutti gli eventuali vizi, anche sopravvenuti.
La disponibilità dell'opera è retribuibile con tre forme diverse, che vanno dal semplice canone al riconoscimento di un contributo in corso d'opera, sino alla corresponsione di un prezzo di trasferimento.
La sostanziale innovazione rispetto a soluzioni di partnership già presenti nel codice (ad esempio locazione finanziaria o project financing) è rinvenibile nella previsione per cui nel contratto l'affidatario assume il rischio della costruzione (comprensivo della progettazione e dello sviluppo della gara) e della gestione tecnica dell'opera per il periodo di messa a disposizione dell'amministrazione aggiudicatrice.
La finalità realizzativa di opere con elevato livello qualitativo comporta l'utilizzo del metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa per la valutazione delle offerte, mentre sul piano operativo la norma prevede che gli oneri connessi agli eventuali espropri siano considerati nel quadro economico degli investimenti e finanziati nell'ambito del contratto di disponibilità (articolo Il Sole 24 Ore del 13.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAScarichi e rumori, sconti alle pmi. Assimilazione tra acque reflue industriali e quelle domestiche. Autorizzazioni semplificate: autocertificazione invece della documentazione di impatto acustico.
Dal 18 febbraio le piccole e medie imprese a ridotto impatto ambientale potranno godere di un regime autorizzatorio «light» per scarichi idrici e inquinamento acustico.
Ad aprire alle pmi le porte delle semplificazioni burocratiche ambientali è il dpr 227/2011, emanato in attuazione del dl 78/2010 (il noto decreto legge in materia di competitività). Il provvedimento, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 03.02.2012 n. 28 e in vigore dal successivo giorno 18, incide (derogandola) sulla disciplina ordinaria contenuta nel dlgs 152/2006 (cd. «Codice ambientale») in materia di acque reflue industriali e sulla disciplina dettata dalla legge 447/1995 in materia di inquinamento acustico.
Acque industriali «come» domestiche. Attraverso l'assimilazione ex lege di alcune acque reflue industriali alle acque reflue domestiche, il nuovo dpr 227/2011 consente ai titolari dei relativi insediamenti produttivi di ottenere il permesso allo scarico in base al più leggero iter burocratico speciale stabilito dalle regioni in attuazione del «Codice ambientale» (istruttoria semplificata e rinnovo tacito) in luogo del più severo regime ordinario stabilito dal dlgs 152/2006 (autorizzazione dietro presentazione di analitica documentazione, da rinnovare poi ogni quattro anni dietro nuova domanda presentata un anno prima della scadenza).
Per godere delle semplificazione le pmi dovranno soddisfano contemporaneamente due condizioni. La prima è quella di avere acque reflue che rispettano comunque i limiti massimi di inquinanti previsti dall'articolo 101 del dlgs 152/2006.
La seconda è quella di avere acque reflue che rientrano in almeno una delle tre categorie previste dal nuovo dpr 227/2011, ossia: acque reflue che prima di ogni trattamento depurativo presentano livelli inquinanti rientranti nei parametri disegnati dal nuovo dpr 227/2011; acque reflue che derivano da attività di servizi igienici, cucine e mense; acque reflue che provengono da una delle 35 attività elencate dallo stesso decreto (tra cui: alberghiere, ristorative, ricreative, turistiche, sportive, artigianali, di vendita al dettaglio, agroalimentari, ospedaliere, di intermediazione assicurativa).
Rinnovi «soft» per scarichi. Oltre ai vantaggi dell'assimilazione, le pmi titolari di scarichi industriali non contenenti sostanze pericolose e non soggetti a modifiche quali/quantitative (come volume delle acque, sostanze in esse contenute) potranno ottenere il rinnovo della relativa autorizzazione presentando solo sei mesi prima della scadenza (in luogo dell'anno previsto dal regime ordinario del dlgs 152/2006) una semplice istanza recante, in autodichiarazione ex dpr 445/2000, i dati precisati dal nuovo dpr 227/2011 (e ciò in luogo della nuova e ordinaria domanda prevista di «default» dal dlgs 152/2006).
Deroghe all'impatto acustico. Le attività commerciali e artigianali definite «a bassa rumorosità» dal nuovo dpr 227/2011, attività coincidenti in linea di massima con le tipologie produttive più sopra descritte (con l'eccezione di quelle ristorative e ricreative con impianti di diffusione sonora, qui escluse) non dovranno più presentare alle pubbliche autorità la «documentazione di impatto acustico» prevista dall'articolo 8 della legge 447/1995.
La stessa «documentazione di impatto acustico» potrà invece essere prodotta in semplice autocertificazione da parte delle pmi commerciali e artigiane che non superano comunque i limiti di emissione stabiliti dalla classificazione acustica comunale (e, ove non effettuata, rispettose comunque dei previsti dal dpcm 14.11.1997).
Competenza dello «Sportello unico». Il dpr 227/2011 prevede infine la convergenza delle procedure amministrative relative alle descritte autorizzazioni in materia di acque e rumore presso lo «Sportello unico per le attività produttive», l'ufficio istituito dal dpr 160/2010 e meglio noto con l'acronimo «Suap» (articolo ItaliaOggi Sette del 13.02.2012).

aggiornamento al 13.02.2012

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Pa, via alla cura anti-ritardi. Commissari e sanzioni ai funzionari se la procedura è troppo lenta. Semplificazioni. Le prime regole operative dopo la pubblicazione in «Gazzetta» (Dl 5/2012).
La cura «anti-ritardi» per la burocrazia, lo snellimento delle pratiche con la nuova spinta alla Scia e le novità su documenti e assunzioni partono ufficialmente oggi. Con l'entrata in vigore del decreto sulle semplificazioni varato in via definitiva venerdì scorso dal consiglio dei ministri e pubblicato ieri in «Gazzetta Ufficiale» (è il Dl 5/2012) dopo l'esame puntuale del Quirinale e la firma del capo dello Stato, partono davvero i primi ingredienti della ricetta che, insieme al decreto liberalizzazioni che ora impegna il Parlamento, dovrebbe aiutare la ripresa del nostro Pil oggi in sofferenza.
Un gruppo consistente di norme ha bisogno di decreti e altri provvedimenti attuativi, per disciplinare per esempio il cambio di residenza in tempo reale o l'unificazione delle autorizzazioni ambientali, ma molte regole partono subito, senza bisogno di passaggi ulteriori.
Tra queste, una posizione di spicco va senza dubbio assegnata alla cura «anti-ritardi», che anche per il suo valore "strategico" occupa il primo articolo del decreto pubblicato ieri. Le procedure portate a termine oltre i tempi previsti da leggi o regolamenti, o quelle che addirittura sprofondano nelle sabbie mobili fino a produrre un silenzio-inadempimento, incontrano con il nuovo decreto una doppia penalità. La prima è organizzativa, e porta alla possibile diffusione di una serie di "commissariamenti" in cui i vertici delle amministrazioni sostituiscono i dirigenti e i funzionari che guidano le strutture ritardatarie.
I «sostituiti» si vedono macchiata la pagella che riporta i dati sulle loro performance, sulla cui base viene distribuita la retribuzione di risultato, e possono andare incontro alla responsabilità amministrativa e a quella amministrativo-contabile. La sanzione, insomma, punta dritta sul portafoglio dei dirigenti o funzionari responsabili, con conseguenze potenziali ancora più pesanti quando l'inerzia dell'amministrazione produce un ricorso in via amministrativa (nella nuova disciplina la tutela contro i silenzi della Pa è disciplinata dal Codice del diritto amministrativo scritto nel Dlgs 104/2010): se il ricorso ha successo, la sentenza passata in giudicato viene girata in automatico alla Corte dei conti, che può quindi procedere per i profili di competenza (danno erariale causato da dolo o colpa grave).
Un'ultima sanzione è d'immagine, e costringe l'ufficio ritardatario a rilasciare i documenti con l'indicazione dei tempi previsti dalla legge e di quelli, più lunghi, utilizzati in concreto per portare a dama il provvedimento. Sempre sul fronte della burocrazia, cambiano le scadenze dei documenti, che vanno a coincidere con il compleanno del titolare, e viene portata a dieci anni la validità delle tessere di riconoscimento (con fotografia) rilasciate dalle Pubbliche amministrazioni.
L'entrata in vigore del decreto porta con sé anche la riforma dei controlli, che amplia gli spazi per il revisore unico sia nelle Srl sia nelle Spa a scapito dei collegi (gli attuali, però, rimangono in carica fino alla scadenza). Nelle università, cadute le previsioni sul riordino del Cun e sui limiti alla partecipazione dei professori alle commissioni di reclutamento, l'entrata in vigore del provvedimento porta con sé come primi effetti lo stop alla possibilità di affidare attività di tutoraggio o didattica integrativa ai ricercatori a tempo indeterminato. Novità anche in campo assunzioni: la notizia-clou sul punto è la proroga di un anno del bonus Sud, che attende però l'accordo con le Regioni per la ripartizione dei fondi (articolo Il Sole 24 Ore del 10.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consiglieri senza paura. Non automatica l'incompatibilità da litispendenza. La deroga si impone se l'amministratore ha agito nell'interesse pubblico.
Alcuni consiglieri comunali hanno presentato ricorso al Tar avverso una delibera di variazione del prg, successivamente revocata per motivi di opportunità; a seguito della revoca il comune ha presentato controricorso, per danni patrimoniali e all'immagine derivanti dalla vicenda, avverso gli stessi consiglieri che ne hanno eccepito l'inammissibilità.
Sussiste, nei confronti di tali consiglieri, una situazione di litispendenza, ascrivibile tra le cause di incompatibilità ai sensi dell'art. 63, comma 1, punto 4 del Tuel?

In merito al caso di specie, la Cassazione civ. (sez. I, sent. n. 12014 del 26.11.1998) ha affermato che la pendenza della lite va ravvisata tanto nell'ipotesi in cui l'eletto assume la veste di attore, quanto in quella in cui sia l'ente locale a promuovere la lite. Da ciò consegue che la rimozione della causa d'incompatibilità può avvenire, nel primo caso, per opera dell'«eletto», mentre nel secondo caso comporta l'iniziativa dell'ente che potrà, eventualmente, essere provocata dall'eletto attraverso gli stessi mezzi che sono a disposizione di qualsiasi convenuto (ad esempio mediante transazione) e si esprimerà attraverso i tipici atti estintivi del giudizio o dell'azione.
Secondo l'attuale orientamento giurisprudenziale è stato ritenuto che ad integrare gli estremi della causa di incompatibilità di cui al comma 1, n. 4) del citato articolo 63 del decreto legislativo 267/2000, «non basta la pura e semplice contestazione dell'esistenza di un procedimento civile o amministrativo nel quale risultino coinvolti, attivamente o passivamente, l'eletto o l'ente, ma occorre che a tale dato formale corrisponda una concreta contrapposizione di parti, ossia una reale situazione di conflitto: solo in tal caso sussiste l'esigenza di evitare che il conflitto di interessi nella lite medesima possa orientare le scelte dell'eletto in pregiudizio dell'ente amministrativo, o comunque possa ingenerare all'esterno sospetti al riguardo» (cfr. Cass. civ., sez. I, 28.07.2001, n. 10335).
È stato, inoltre, affermato (cfr. Cass., sez. I, 19.05.2001, n. 6880) che «l'accertamento ulteriore che questa giurisprudenza prescrive non è finalizzato alla ricerca di un conflitto sostanziale, che prescinda dalla esistenza di un processo, bensì alla verifica di segno opposto (pur sempre, comunque, ispirata da un favore verso l'eletto), della corrispondenza della situazione di formale pendenza della lite a un contenzioso effettivo, attraverso la valutazione di quegli elementi, di palmare evidenza, che potrebbero evidenziare che la vertenza si è sostanzialmente esaurita (per l'intervenuta transazione, rinunzia) ovvero che è assolutamente pretestuosa (per essere stato investito, ad esempio, un giudice privo di giurisdizione nel caso in esame (cfr. n. 4533, n. 4724/1999; n. 9789/2000)».
Quanto alle disposizioni di cui all'art. 63, comma 3, del Tuel, si richiama l'orientamento della Cassazione (cfr. Cass. civ., sez., I, 16.08.2005, n. 16956), secondo cui tale ipotesi costituisce una deroga «della quale è evidente la ratio, consistente nell'intento di escludere fra le cause di incompatibilità quelle controversie insorte per il perseguimento degli interessi generali e non già per fini personali dell'amministratore». In sintonia con la sua «ratio» la norma, infatti, va letta tenendo presente che la deroga, volta a salvaguardare il libero esercizio delle funzioni dal timore di incorrere in situazioni di incompatibilità, magari artatamente predisposte nell'ambito della lotta politica, deve ritenersi sussistere tutte le volte che l'amministratore abbia agito nell'interesse pubblico.
Per completezza si chiarisce anche che la rinuncia al ricorso, nel processo amministrativo, non necessita dell'accettazione della controparte (Cons. stato, sez. V, 27/01/2006, n. 250), ma non può essere sottoposta a condizioni (Cons. stato sez. VI, 19/12/1986, n. 914) e, una volta espressa e portata a conoscenza delle controparti nelle forme di rito, depositata nella segreteria del giudice, non può essere revocata (Cons. stato, sez. VI, 23/09/2002, n. 4805).
Ciò premesso, in conformità al principio generale per cui ogni organo collegiale delibera sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la verifica delle cause ostative all'espletamento del mandato è compiuta con la procedura consiliare prevista dall'art. 69 del dlgs n. 267/2000 che garantisce il contraddittorio tra organo e amministratore, assicurando a quest'ultimo l'esercizio del diritto di difesa e salva la possibilità di contestare per vie giudiziali la causa di incompatibilità riscontrata (articolo ItaliaOggi del 10.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARICertificati ancora obbligatori per i cittadini extracomunitari.
I cittadini stranieri che si rivolgono alla questura per avviare una pratica inerente alla loro condizione amministrativa non possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e di atti di notorietà. In questo caso infatti serviranno ancora i classici certificati per attestare i precedenti penali, l'idoneità abitativa e tutti gli altri stati del soggetto richiamati dalla normativa in materia di immigrazione.
Lo ha chiarito il ministero dell'interno con la circolare 24.01.2012.
La legge di stabilità 2012, n. 183/2011, in vigore dal 1° gennaio scorso, ha disposto che nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione «i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni sostitutive di certificazione e dalle dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà». Ma esistono delle eccezioni espresse alla regola. Se n'è accorto il Viminale con la nota di fine gennaio.
L'art. 15 della legge 183/2011, specifica la nota centrale, ha modificato in alcune parti il decreto del presidente della repubblica 28.12.2000, n. 445, ma non ha cambiato i punti focali dedicati agli extracomunitari. Appare opportuno evidenziare, specifica infatti la circolare, «che la legge in analisi, pur avendo inciso in modo evidente sul testo degli articoli 40 e 43 del citato dpr n. 445/2000, non è intervenuta sulla previsione contenuta nel precedente articolo 3 ove sono chiaramente individuati i soggetti cui il T.U. in materia di documentazione amministrativa si applica».
In buona sostanza questo articolo evidenzia che per gli extracomunitari l'accesso alla semplificazione prevista non è scontata. Gli stranieri possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte dei soggetti pubblici italiani. Ma con espressa esenzione delle disposizioni contenute nelle legge e nei regolamenti concernenti la disciplina dello straniero. A parere del ministero dell'interno nei procedimenti amministrativi inerenti la condizione degli stranieri non potranno essere accettate dalle questure le dichiarazioni sostitutive di certificazione ma solo i tradizionali certificati. Quindi nessuna semplificazione per l'attestazione dei dati derivanti dal casellario giudiziale e sul certificato delle iscrizioni relative ai procedimenti penali in corso.
Esclusi dall'autocertificazione anche le attestazioni sulla conformità igienico sanitaria e sull'idoneità degli immobili, la certificazione attestante l'iscrizione nelle liste o nell'elenco anagrafico finalizzato al collocamento del lavoratore licenziato, dimesso o invalido per il rilascio del permesso di soggiorno (articolo ItaliaOggi del 10.02.2012).

aggiornamento al 10.02.2012

ENTI LOCALI: Stop ai passaggi fra società ed ente.
I Comuni che riportano attività al proprio interno, smantellando società a cui erano stati affidati servizi in-house, non possono derogare ai vincoli nella spesa di personale quando trasferiscono anche il personale prima impiegato nella "loro" azienda.
Lo stabiliscono due delibere delle sezioni riunite della Corte dei conti (n. 3 e 4/2012) che, pur riconoscendo il fatto che questa lettura può produrre effetti punitivi soprattutto per gli enti più virtuosi, e bloccare anche riorganizzazioni in grado di diminuire i costi complessivi a carico del bilancio pubblico, non «possono discostarsi» da un'interpretazione restrittiva delle regole sul personale. Il problema, si legge fra le righe delle decisioni assunte dai magistrati contabili, è nelle leggi, non in chi è chiamato a darne una «interpretazione autentica».
La questione comincia a diffondersi per effetto delle tante norme introdotte negli ultimi anni per vietare la costituzione di nuove società (Dl 78/2010), limitare gli affidamenti all'esterno (Dl 98/2011) e limitare drasticamente l'in-house anche nei servizi a rilevanza economica (Dl 138/2011, rafforzato dal Dl 1/2012). In pratica, un Comune ha chiesto la possibilità di riportare al proprio interno servizi e personale che fino a ieri erano in capo a una società ora in via di smantellamento.
Il Comune ha chiarito di essere in linea con tutti i parametri che vincolano la spesa di personale, aggiungendo che la riorganizzazione avrebbe ridotto i costi complessivi legati alle attività prima svolte dalla società. L'intera operazione, però, prevedeva anche il "trasferimento" del personale da parte del Comune, con conseguente sforamento del tetto che vieta di spendere in assunzioni più del 20% dei risparmi ottenuti con le cessazioni dell'anno prima.
Il problema nasce dal fatto che i vincoli di personale, sia il parametro del 20% sia quello del 50% nel rapporto fra spese per risorse umane e uscite correnti complessive, si calcolano in maniera «consolidata», comprendendo nei conti sia il Comune sia le società. Scomparendo la società, quindi, saltano i tetti. Non solo: le aziende spesso hanno assunto personale senza passare per i concorsi pubblici, che invece rappresentano l'unica strada per entrare nei ruoli del Comune (articolo Il Sole 24 Ore del 09.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 09.02.2012

INCARICHI PROGETTUALIProgettazioni, gare a rischio. Possibile paralisi dopo l'abrogazione delle tariffe professionali. Conseguenza della liberalizzazione per gli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura.
Rischio paralisi per le gare di progettazione: con l'abrogazione delle tariffe professionali niente più riferimenti per la stima della base d'asta, per i requisiti di partecipazione e per i servizi svolti.
È questo l'effetto, se non sarà modificata la norma in sede di conversione, connesso all'applicazione dell'articolo 9 del decreto-legge 24.01.2012 in materia di liberalizzazioni nel settore delle gare per affidamento di servizi di ingegneria e architettura.
La norma del decreto prevede infatti l'abrogazione delle «tariffe delle professioni regolamentate nel settore ordinistico», fra queste, quindi anche quelle di ingegneri e architetti (legge 143/1949 e dm 04.04.2001). Non solo. La norma stabilisce anche, al comma 4, che siano abrogate anche le disposizioni vigenti che per la determinazione del compenso rinviano alle tariffe.
La norma del decreto-legge determina quindi almeno una prima conseguenza sulla determinazione del corrispettivo a base di gara, dal momento che il Codice (art. 92, comma 2) e il regolamento (dpr 207/2010262, comma 2) stabilisce che i corrispettivi previsti dal decreto ministeriale 04.04.2001 possono essere utilizzate per stabilire l'importo a base di gara. Abrogando la tariffa professionale gli uffici tecnici delle stazioni appaltanti non potranno più utilizzare questa possibilità e quindi, in assenza di alcuna indicazione al riguardo, dovranno stimare l'importo secondo altre modalità, al momento non conosciute e non chiare. Il rischio, ovviamente, è che la base dell'appalto sia ulteriormente ridotta e il contratto sia aggiudicato a un prezzo molto ridotto (visto che la media dei ribassi è pari al 40%).
In considerazione delle diverse norme del dpr 207/2010 che fanno riferimento alle tariffe professionali, ulteriori conseguenze si determinano anche con riguardo ai profili di qualificazione dei partecipanti.
L'articolo 263 del regolamento (per le gare oltre i 100 mila euro) e l'articolo 267 (per gli affidamenti al di sotto dei 100 mila euro) infatti fanno proprio rinvio alle classi e categorie delle vigenti tariffe professionali per individuare i requisiti di capacità tecnica; in particolare si deve provare la propria capacità documentando servizi appartenenti a lavori riconducibili alle classi e categorie di cui all'articolo 14 della legge 143/1949. Difficile immaginare quindi come, abrogata la legge 143, si possano documentare i requisiti. Il problema assume una sua rilevanza anche in sede di certificazione dei servizi svolti da parte dei professionisti e delle società, dal momento che le stazioni appaltanti non hanno più alcun riferimento per classificare i servizi svolti, risultando abrogato l'articolo 14 della legge 143.
La cosa appare di non poca rilevanza anche sotto il profilo dell'avvio e del funzionamento dell'istituenda Banca dati nazionale dei contratti pubblici prevista dal decreto-legge sulle semplificazioni che dovrebbe ricevere i certificati dei servizi (di ingegneria e architettura) e che, invece, per i progettisti rischia di non ricevere nulla (articolo ItaliaOggi dell'08.02.2012).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALIViminale/ Eletti, oneri a carico degli enti.
Gli oneri connessi all'esercizio del mandato elettorale sono a carico degli enti in relazione agli amministratori lavoratori dipendenti di società pubbliche che, tuttavia, non sono inserite nel conto economico consolidato individuato dall'Istat ai sensi dell'articolo 1, commi 2 e 3 della Legge finanziaria 2010, o di quelle che non sono presenti nell'elenco di cui all'articolo 1, comma 2 del Testo unico sul pubblico impiego.
È quanto precisa la nota 17.01.2012 n. 739 di prot. emanata dal Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Mininterno, riprendendo le osservazioni che un recente parere del Consiglio di stato ha reso noto sul punto.
Come noto, ai sensi dell'articolo 80 del Tuel, gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici, sono a carico degli enti presso i quali gli stessi esercitano il loro mandato elettivo. Il legislatore, infatti, esclude espressamente i lavoratori statali e quelli dipendenti da altri enti pubblici, in quanto la finalità della disposizione è quella di ristorare il privato degli oneri derivanti dai permessi concessi ai propri dipendenti per l'esercizio del mandato elettorale. E non vi è dubbio che il predetto ristoro «non avrebbe senso se operato a favore di una persona giuridica il cui capitale è pubblico».
Sul punto e, soprattutto, in assenza di una chiara posizione legislativa o di un indirizzo giurisprudenziale in merito, il Consiglio di Stato, Sez. I - parere 22.12.2011 n. 4782 (affare n. 706/2011), investito della questione a proposito dell'eventuale rimborso ad amministratori dipendenti della società Ferrovie dello stato spa, propone una soluzione applicativa delle disposizioni contenute al citato articolo 80 Tuel.
In pratica, sono da ritenere amministrazioni pubbliche tutte quelle indicate all'articolo 1, comma 2, del dlgs n. 165/2001, sono altresì pubblici gli enti e gli altri soggetti indicati nel conto consolidato della p.a. tenuto dall'Istat e, infine, tutte le società che la legge indica espressamente quali soggetti giuridici di diritto pubblico.
I soggetti giuridici al di fuori di queste tre ipotesi (com'è il caso di Ferrovie dello stato, ma anche di Trenitalia e Poste italiane spa) per il Consiglio di stato sono da considerare privati e, pertanto, non sono a loro carico gli oneri dei propri dipendenti (articolo ItaliaOggi dell'08.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOChiusura per neve recuperata con ferie o permessi retribuiti.
I lavoratori pubblici di Roma e provincia, che non sono andati al lavoro nei giorni scorsi a causa delle avverse condizioni meteorologiche e in ossequio alle disposizioni di chiusura degli uffici pubblici contenute nelle ordinanze prefettizie del 3 e 4 febbraio scorsi, potrebbero essere costretti a dover recuperare, con ferie o permessi retribuiti, le giornate lavorative non svolte. Le abbondanti nevicate, vere e proprie cause di forza maggiore che impongono la chiusura degli uffici pubblici per garantire la sicurezza, non sono imputabili né al lavoratore né al datore di lavoro. Di conseguenza, quest'ultimo non è tenuto a corrispondere la prestazione lavorativa.
A questa conclusione si perviene leggendo il parere 25.05.2011 n. 50 dell'Aran che, in risposta a un quesito sul punto, non lascia margine ad alcun dubbio. I giorni non lavorati vanno scomputati dalle ferie o dal monte ore dei permessi retribuiti per motivi personali che spettano ai lavoratori annualmente per contratto.
Il quesito posto all'Aran chiedeva in che termini considerare la prestazione lavorativa, qualora la stessa non possa essere effettuata per cause derivanti da «eventi naturali o per provvedimenti autoritativi che impongono la chiusura dell'amministrazione» (come si vede, entrambi i casi ricorrono per il maltempo che ha colpito la Capitale in questi giorni).
Per l'Agenzia, nel caso in questione occorre fare riferimento al concetto di «forza maggiore», ovvero un evento che non è imputabile né ai lavoratori né al datore di lavoro, con la conseguenza «che quest'ultimo non è tenuto a corrispondere la retribuzione per le ore di mancata prestazione» (citando sul punto l'articolo 2099 del codice civile e la sentenza della Cassazione, sez. lav., n. 481 del lontano 1984).
Attenzione, nulla vieta alla stessa amministrazione di corrispondere ugualmente la retribuzione per i giorni in cui si è verificata la situazione di forza maggiore, ma a una condizione. Ovvero, che il dipendente utilizzi, al fine di motivare l'assenza, gli strumenti forniti dal contratto collettivo di comparto, quali le ferie, le festività soppresse, i permessi retribuiti ex articolo 18 Ccnl del 1995 (18 ore annuali), oppure altre modalità previste dal contratto per il recupero delle ore non lavorate.
In pratica, il lavoratore romano che è rimasto a casa, se ha già fruito dei permessi retribuiti, si vedrà costretto, alla riapertura degli uffici, a restare di più in servizio per recuperare le ore non lavorate causa maltempo (articolo ItaliaOggi del 07.02.2012).

VARIAntiriciclaggio, nessuno si salva dalle sanzioni oltre i mille euro. Le novità operative dal 1° febbraio per i pagamenti in contanti e assegni superiori alla soglia.
Le disposizioni, gli obblighi e le connesse sanzioni in tema antiriciclaggio, ivi compresa, in particolare, l'applicazione delle stringenti previsioni relative alla «manovra Monti» sono operative a 360° a partire dallo scorso 1° febbraio. È proprio il caso di dire che di adempimenti ce n'è per tutti, considerato che i soggetti coinvolti sono non solo gli intermediari e i professionisti del settore finanziario o quelli dell'ambito contabile, ma anche le imprese e i privati cittadini.
Ecco chi deve fare cosa nel panorama delle problematiche collegate alla sanzionabilità delle transazioni di contanti e titoli al portatore oltre la soglia dei mille euro.
Rapporti finanziari fra privati. Dallo scorso 06.12.2011, con le modifiche apportate all'art. 49 del dlgs 231/2007 a opera della cosiddetta «Manovra Monti» (dl 201/2011, conv. l. 22/12/2011, n. 214) è stata ulteriormente abbassata la soglia limite oltre la quale scatta la tracciabilità obbligatoria dei pagamenti. In pratica, sono stati così inibiti i pagamenti in contanti fra soggetti privati, in unica soluzione, a partire dai mille euro. Ma la riduzione della soglia si estende anche all'emissione di assegni liberi. Infatti, anche gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a mille euro dovranno avere, oltre che l'indicazione del nome e della ragione sociale del beneficiario (in assenza della quale i titoli risulterebbero, di fatto, al portatore), anche la clausola di intrasferibilità. Gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari potranno, inoltre, essere richiesti senza clausola di intrasferibilità solo se inferiori a mille euro.
In proposito, la stretta conseguente alla soglia dei mille euro non sembra del tutto immediatamente applicabile, e conseguentemente sanzionabile, in capo al soggetto privato che, nell'ambito dei suoi rapporti finanziari con altri soggetti privati, decida di movimentare valori maggiori del limite ammissibile, sia mediante un'unica transazione sia con più operazioni frazionate. Si pensi, infatti, al caso di due amici o parenti fra cui uno dei due decide di prestare due mila euro all'altro per esigenze contingenti e quest'ultimo decida di spendere tale cifra, sempre in contanti, per l'acquisto di generi alimentari, vestiario e anche per il pagamento di una bolletta di utenza.
Successivamente, il soggetto che ha ricevuto il prestito restituisce lo stesso in contanti in più rate, magari aggiungendo anche qualche euro di interesse. In tale situazione, data l'assenza di possibile riscontro cartolare o di movimentazioni di somme su conti correnti risulterà praticamente impossibile rilevare l'infrazione e applicare la sanzione. Non si capisce, poi, a carico di chi ricadrebbe l'onere di tale rilievo. Lo stesso dicasi per il padre che elargisce 1.200 euro al mese in contanti, affinché il figlio si sostenga agli studi svolti fuori città, o per il caso della pensionata che paga una prestazione di servizi per totali mille euro, svolta completamente in «nero» presso la propria abitazione.
Rapporti banca-cittadino. A seguito del polverone sollevato da più parti, in particolare nei rapporti con le banche, per il ridimensionamento della soglia delle transazioni in contanti a mille euro, si era creato allarmismo in merito al fatto che non si potessero più prelevare o depositare somme in contanti dai conti correnti e che, nel caso di richieste in tal senso, l'istituto di credito avesse dovuto far compilare un apposito modello al cliente con cui evidenziare e giustificare le ragioni dell'operazione. Tutto è stato successivamente chiarito a mezzo della circolare Abi dell'11.01.2012 (richiamando quanto già evidenziato nella circ. Mef del 04/11/2011), con la quale si precisa che la soglia di mille euro si applica esclusivamente ai trasferimenti di denaro tra privati cittadini e non ai versamenti e prelievi allo sportello.
È pertanto pacifica l'effettuazione di prelevamenti e versamenti bancari in misura pari o superiore alla citata soglia senza incorrere nell'irrogazione di specifiche sanzioni, né dover evidenziare le ragioni dell'operazione, in quanto non si configura il trasferimento a terzi delle somme richiesto dall'art. 49 del dlgs 231/2007, poiché la quantità di denaro in questione rimane a disposizione del medesimo soggetto.
Da non dimenticare, tuttavia, che le banche sono tenute ad assolvere gli altri obblighi previsti dalle disposizioni antiriciclaggio. Laddove, infatti, le operazioni in contante si prefigurassero eccessivamente frequenti (per la stessa persona) e per importi particolarmente elevati la banca dovrà valutare se i comportamenti descritti possano eventualmente configurare un'ipotesi di operazione sospetta da segnalare al Mef, ai sensi dell'art. 41 del medesimo decreto.
Rapporti fra impresa e privato. Facendo riferimento alla soglia «off limit» dei mille euro in contanti o titoli al portatore, ipotizziamo quali potrebbero essere le situazioni pratiche più concretamente a rischio sanzionatorio nell'ambito della normale operatività quotidiana fra i privati e i soggetti con partita Iva. Per esempio, non è ammissibile lasciare un acconto in contanti di mille euro per l'ordinazione di un arredamento presso il negozio, come pure è irregolare pagare in contanti la parcella di totali 1.200 euro di un avvocato, o, ancora, costituisce violazione il pagare un soggiorno in hotel, per 1.500 euro complessivi in contanti direttamente presso la hall.
Altresì non consentito, secondo il Mef (risposte giugno 2008), risulta il pagamento in contanti, benché frazionato, di un unico dividendo ultrasoglia corrisposto dalla società a un socio, anche qualora tali pagamenti venissero effettuati a distanza superiore dei sette giorni (art. 1, lett. m) del dlgs 231/2007) in quanto tale frazionamento non deriva dal preventivo accordo fra soci e società ma da una decisione unilaterale di quest'ultima. Addirittura, possiamo evidenziare che pure il pagamento di una polizza assicurativa presso l'agenzia costituirebbe irregolarità se attuata in contanti oltresoglia, come anche il pagamento di imposte e/o sanzioni presso lo sportello di una esattoria. Difatti solo nei confronti di banche e Poste italiane viene espressamente prevista deroga al divieto.
Il problema consiste nel fatto che, a seguito del superamento della soglia lecita, dovrebbe essere tanto l'operatore che riceve il pagamento a rifiutare di ricevere il contante, che colui che lo effettua a negare la possibilità di saldare con denaro. Ma da un punto di vista pratico il rischio concreto si paventa solo allorché tale transazione resti documentata esplicitamente in una contabilità o a seguito di un contratto scritto che contempli tali specifici pagamenti, affinché, successivamente, a seguito del vaglio ad es. di un consulente tributario o di un Ced, o di una verifica della Guardia di Finanza, tale irregolarità possa essere riscontrata nei documenti (articolo ItaliaOggi Sette del 06.02.2012).

APPALTIContratti pubblici, la Banca dati darà un taglio alle scartoffie. I vantaggi del decreto semplificazioni: niente certificati dagli appaltatori di servizi e forniture.
Verifiche on-line per gli appalti pubblici con l'avvio, a inizio 2013, della Banca dati nazionale dei contratti pubblici, gestita dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici; divieto di verifica sui requisiti dei concorrenti con modalità diverse dalla consultazione della Bdncp; gli appaltatori di forniture e servizi, dall'01.01.2013, non dovranno quindi più produrre certificati.
È una delle maggiori novità contenute nel decreto legge sulle semplificazioni per risolvere il problema della qualificazione degli appaltatori pubblici di lavori, forniture e servizi, assicurando l'efficacia, la trasparenza e il controllo in tempo reale dell'azione amministrativa in materia di appalti, anche sotto il profilo della prevenzione dei fenomeni di corruzione. Con le norme dedicate alla Bdncp si risolveranno quindi i problemi legati all'eccessiva burocratizzazione delle procedure che, secondo alcune stime governative, portano una azienda a produrre mediamente circa trenta volte l'anno la stessa documentazione.
In particolare, per le piccole e medie imprese il risparmio sui costi vivi della gestione amministrativa delle gare si dovrebbe aggirare complessivamente su oltre 140 milioni all'anno, stando a quanto stimato dal governo. Ma i benefici ci saranno anche per le amministrazioni pubbliche le quali, potendo effettuare i controlli sui concorrenti attraverso il fascicolo elettronico di ciascuna impresa, potranno risparmiare 1,3 miliardi l'anno.
L'operazione avviata con il decreto legge semplificazioni, stando al testo circolante in questi giorni ed esaminato dal consiglio dei ministri venerdì scorso, si basa sulla banca dati che fu introdotta nel 2010 con il comma 1 dell'art. 44, del dlgs 30.12.2010, n. 235. In particolare si prevede che dall'01.01.2013 tutta la documentazione relativa alla prova dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico organizzativa che i concorrenti devono possedere per partecipare agli appalti dovrà essere acquisita presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, prevista dall'articolo 62-bis del dlgs 82/2005, introdotto nel 2010.
La disposizione dovrebbe prevedere che l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici definisca innanzitutto quali dati, utili alla partecipazione alle gare, nonché alla verifica delle offerte, debbano essere inclusi nella banca dati, nonché i termini e le regole tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento e la consultazione dei dati contenuti nella predetta Banca dati. La norma prevede che per l'attivazione della banca dati tutti i soggetti pubblici e privati che detengono dati e documenti relativi ai requisiti di partecipazione, abbiano l'obbligo di messa a disposizione dell'Autorità di tali dati e documenti. Parallelamente, gli operatori economici saranno tenuti ad integrare i dati contenuti nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici, creando un sistema dinamico e non statico come invece è oggi quello basato sulle Soa, ove i certificati hanno validità quinquennale. Il meccanismo avrà una portata fondamentale nel settore dei servizi e delle forniture in cui, diversamente dai lavori, non esiste un sistema di qualificazione dei concorrenti.
All'obbligo di acquisizione della documentazione da parte della Bdncp è correlato l'obbligo per i committenti di effettuare le verifiche dei requisiti di capacità dei concorrenti esclusivamente attraverso la banca dati, senza quindi più chiedere documenti ai partecipanti alle gare. Ciò significa che i partecipanti alle gare potranno qualificarsi alle procedure semplicemente con una autodichiarazione del possesso dei requisiti di carattere generale e speciale, mentre sarà cura del committente che ha bandito la gara, verificare che quanto dichiarato sia conforme alle risultanze documentali rese disponibili a questo fine dalla Banca dati nazionale dei contratti pubblici.
Non si tratterà certamente di un percorso facile, dal momento che occorrerà mettere in linea e fare affluire nella banca dati una rilevante mole di certificazioni (soprattutto per i requisiti tecnici) e, quindi, la necessità di un celere avvio delle procedure di acquisizione di dati e documenti appare centrale nell'applicazione della norma.
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False dichiarazioni nelle gare, sanzioni soft.
Ridotta la pena dell'esclusione dalle gare per false dichiarazioni, che potrà essere anche inferiore a un anno; prevista la responsabilità solidale fra committente e appaltatore e subappaltatori per i contributi e il tfr; nuovi modelli per la certificazione dei lavori dei contraenti generali.
Fra le numerose novità introdotte dal decreto legge semplificazioni si segnala innanzitutto la norma sulle sanzioni per false dichiarazioni rese dai concorrenti che partecipano ad appalti pubblici. A oggi il Codice stabilisce che se un concorrente presenta una documentazione falsa o rende una dichiarazione falsa, la stazione appaltante deve segnalare l'accaduto all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici che, se ritiene che siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, dispone l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto per un periodo di un anno. Una volta trascorso l'anno, l'iscrizione viene ex lege cancellata e perde comunque efficacia. Il decreto-legge modifica il termine di esclusione dalle gare che, oggi è sempre di un anno, prevedendo, con una maggiore flessibilità, da mettere evidentemente in relazione alla natura della fattispecie concreta in cui incorre il concorrente, che essa sia fino a un anno.
L'Autorità, quindi, potrà irrogare anche una sanzione di sei mesi o di tre mesi e non sarà obbligata, come è oggi, a irrogare un anno di esclusione dalle gare. Il provvedimento prevede anche, per appalti di opere o di servizi, la responsabilità in solido del committente imprenditore o datore di lavoro con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, per il pagamento di trattamenti retributivi, compreso il tfr, e i contributi previdenziali dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
Modificata la certificazione dei lavori svolti dai contraenti generali che ad oggi certificano i lavori «eseguiti con qualsiasi mezzo» sulla base di modelli previsti dal codice dei contratti, allegato XXII. Con la nuova norma si rinvia invece ai modelli definiti dal regolamento del codice dei contratti pubblici, il che dovrebbe deporre per un tentativo di omogeneizzazione delle certificazioni, pur tenendo presente la differenza sostanziale fra le diverse tipologie di imprese (imprese tradizionali e contraenti generali).
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Sì all'obbligo di gara sempre.
Per i beni culturali obbligo di gara sia per le sponsorizzazioni di puro finanziamento, sia per quelle tecniche di progettazione ed esecuzione. Le amministrazioni dovranno inserire gli interventi da inserire in un apposito allegato al programma triennale; gara a rilanci plurimi per l'individuazione del maggiore finanziamento. È quanto prevede il decreto legge in materia di semplificazioni che detta una speciale disciplina delle procedure per la selezione di sponsor di interventi nel settore dei beni culturali, aggiungendo un articolo (il 199-bis) al Codice dei contratti pubblici.
La nuova norma stabilisce innanzitutto che anche gli interventi relativi ai beni culturali, allo scopo di garantire il rispetto dei principi generali di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, devono essere inseriti all'interno della programmazione dei singoli enti di spesa. Pertanto si impone alle amministrazioni aggiudicatrici competenti in materia di predisporre un apposito allegato, da inserire all'interno del programma triennale dei lavori, nel quale siano indicati i lavori, i servizi e le forniture per le quali l'amministrazione intende individuare un soggetto privato che sponsorizzi il finanziamento dell'intervento o direttamente la realizzazione.
Strumentale alla messa a punto dell'allegato è la redazione di «studi di fattibilità, anche semplificati, o i progetti preliminari»; importante notare che nell'allegato l'amministrazione può anche inserire proposte di sponsorizzazioni di interventi, nella forma di dichiarazioni spontanee di interesse alla sponsorizzazione trasmesse da privati che, in questo caso, si atteggerebbero da «promotori», sul modello della disciplina prevista per la finanza di progetto. Il decreto legge, stando al testo esaminato dal consiglio dei ministri nei giorni scorsi, stabilisce come debba essere selezionato lo sponsor: l'amministrazione dovrà emettere un bando e pubblicarlo sul sito istituzionale per almeno 30 giorni e darne notizia su almeno due dei principali quotidiani a diffusione nazionale e sulla Gazzetta ufficiale (anche su quella dell'Unione europea, se si superano le soglie comunitarie).
Nell'avviso deve essere indicato sommariamente il tipo di intervento per il quale si chiede la sponsorizzazione e il suo importo «di massima» e il tempo necessario a realizzarlo, sia pure a titolo indicativo. Il bando dovrà espressamente chiarire la natura della sponsorizzazione: o si chiedono offerte per una sponsorizzazione di tipo puramente finanziario, in cui lo sponsor può anche decidere di accollarsi le obbligazioni di pagamento dei corrispettivi dell'appalto dovuti dall'amministrazione, oppure si chiedono offerte tecniche tramite un partenariato pubblico-privato (PPP) nel quale lo sponsor privato si occupa della progettazione e della realizzazione di parte o di tutto l'intervento. In quest'ultimo caso l'amministrazione deve anche prevedere nel bando gli elementi e i criteri di valutazione delle offerte che, comunque, per tutte le tipologie di sponsorizzazione dovranno pervenire in un termine non inferiore a 60 giorni.
La valutazione delle offerte sarà effettuata direttamente dall'amministrazione aggiudicatrice, a eccezione dei casi in cui si tratti di interventi particolarmente complessi o il cui valore stimato sia superiore a un milione di euro, per i quali occorre nominare una commissione giudicatrice.
La gara si svolge con offerte di rilancio migliorative successive alla fase di definizione della graduatoria, ma occorre definire un termine massimo per i rilanci. Il contratto viene quindi aggiudicato al soggetto che ha offerto il maggiore finanziamento o che ha proposto l'offerta realizzativa giudicata migliore, in caso di sponsorizzazione tecnica. In caso di mancanza di offerte o in caso di offerte inadeguate o inammissibili, la norma prevede che sei mesi dopo la gara l'amministrazione possa ricercare di sua iniziativa uno sponsor, fermi restando i termini tecnici indicati nel bando.
La norma del decreto legge fa anche salve le disposizioni in materia di requisiti di ordine generale e di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa. Infine, con una modifica all'articolo 26, si precisa che per gli interventi in settori diversi dai beni culturali, se è lo sponsor ad acquisire forniture o servizi o a realizzare lavori a proprie spese, e l'importo supera i 40 mila euro, si applicano i principi del Trattato e i requisiti per la qualificazione di appaltatori e progettisti (articolo ItaliaOggi Sette del 06.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARIImu, corsa alla fusione catastale. L'aliquota ridotta è applicabile a una sola unità immobiliare. Come ottenere un risparmio d'imposta grazie a operazioni condotte assieme a un professionista.
Il geometra può rendere l'Imu più light. L'accorpamento delle diverse unità immobiliari che possono comporre l'abitazione principale o la richiesta di attribuzione della categoria catastale «F/2» per gli immobili dichiarati inagibili o inabitabili, sono operazioni che, grazie all'intervento dei professionisti del settore, possono portare a un consistente risparmio d'imposta.
Senza dimenticare, poi, la necessità del loro intervento per l'iscrizione nel catasto dei fabbricati, da effettuarsi entro il 30/11/2012, di tutte le costruzioni rurali che risultano ancora allibrate al catasto dei terreni.
Abitazione principale. Corsa contro il tempo per la fusione catastale delle abitazioni composte da più unità immobiliari distintamente iscritte in catasto. È l'effetto prodotto dall'art. 13, comma 2, del dl n. 201/2011 il quale prevede che l'aliquota ridotta Imu del 4 per mille (o quella, comunque di favore, stabilita dal comune tra il 2 e il 6 per mille) sarà applicabile a «una sola» unità immobiliare, ancorché il contribuente dimori abitualmente e risieda anagraficamente in un compendio immobiliare composto da più unità catastali distintamente iscritte in catasto.
Viene così superato, per via legislativa, il principio, più volte enunciato dalla Corte di cassazione, secondo il quale, ai fini Ici, il contemporaneo utilizzo di più unità immobiliari come abitazione principale non costituiva ostacolo all'applicazione delle agevolazioni previste per l'abitazione principale a tutte le sue singole componenti. In effetti, fin dall'avvio dell'Ici, era sorto il problema circa l'applicabilità del regime di favore riconosciuto all'abitazione principale (aliquota ridotta e detrazione d'imposta poi sostituite, dal 2008, con l'esenzione totale) nel caso in cui il fabbricato nel quale dimorava abitualmente il contribuente fosse costituito da due, o più, unità iscritte singolarmente accatastate. Era il caso, per esempio, di due appartamenti contigui, uniti attraverso l'abbattimento di un muro, che di fatto (ma non catastalmente) erano divenuti un'unica abitazione.
Al riguardo, il ministero delle finanze, con la risoluzione n. 6/DPF/2002 precisò che in tali ipotesi ci si trovava, in realtà, in presenza di due unità immobiliari. E che come tali andavano singolarmente e separatamente soggette a imposizione: una come abitazione principale con applicazione delle agevolazioni e delle riduzioni per questa previste e l'altra come seconda abitazione, con l'applicazione dell'aliquota ordinaria. Tale tesi non è stata però condivisa dalla Corte di cassazione (sentt. n. 25729/2007; n. 25902/2008; n. 3397/2010) la quale ha statuito che il concetto di «abitazione principale» non risulta necessariamente legato a quello di «unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio» né, di conseguenza, limitato a una sola unità come identificata catastalmente, ma viene in rilievo esclusivamente per la speciale considerazione, da parte del legislatore, dello specifico uso quale «abitazione principale» dell'immobile nel suo complesso.
Il principio affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, con riguardo all'Ici, non può trovare ingresso nell'Imu, atteso che l'art. 13, comma 2, del dl n. 201/2011 limita, inequivocabilmente, a una sola unità immobiliare il concetto di «abitazione principale». Va da sé che se i contribuenti interessati non procederanno tempestivamente alla fusione catastale delle diverse unità immobiliari che, di fatto, costituiscono la loro abitazione principale, dal 2012 si troveranno a fruire dell'aliquota ridotta del 4 per mille (oltre alla detrazione d'imposta) solo per una di dette unità catastali; le altre sconteranno l'aliquota ordinaria del 7,6 per mille.
Difficoltà a procedere catastalmente nel senso indicato si potrebbero incontrare qualora sulle unità immobiliari da accorpare gravassero diritti reali non omogenei (esempio appartamento A di proprietà esclusiva del marito e appartamento B in comproprietà tra i coniugi), atteso che, in tali casi, in base alla normativa catastale, non è possibile fondere le distinte parti.
Va tuttavia precisato che, con nota del 21/02/2002, l'Agenzia del territorio ha reso nota la possibilità di presentare dichiarazioni di variazione con le quali ogni porzione è iscritta autonomamente in catasto con la dizione «PORZIONE DI U.I. unita di fatto con quella di Foglio XX, part. YY, Sub. ZZ» con attribuzione di categoria e classe più appropriata, considerando le caratteristiche dell'unità immobiliare intesa nel suo complesso (cioè derivante dalla fusione di fatto delle due porzioni) e con rendita che viene associata, a ciascuna di dette porzioni, in ragione della relativa consistenza (articolo ItaliaOggi Sette del 06.02.2012).

ENTI LOCALI - VARICancellata la riduzione del 50% sull'imposta. Fabbricati inagibili scoperti dall'agevolazione.
L'Imu cancella l'agevolazione, consistente nella riduzione del 50% dell'imposta, che l'Ici riconosceva ai fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati. Ciò sta a significare che dal 2012 i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili pagheranno l'Imu in misura piena, applicando l'aliquota ordinaria alla base imponibile (ottenuta moltiplicando la rendita, rivalutata del 5%, per il coefficiente previsto in relazione alla categoria catastale dell'immobile).
Coerentemente con tale precetto, l'art. 13 del dl n. 201/2011 ha abolito la lettera h) del comma 1 dell'art. 59 del dlgs n. 446/1997 che consentiva ai comuni di disciplinare, con il regolamento Ici, le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione, agli effetti dell'applicazione della riduzione alla metà dell'imposta. Occorre però rammentare che, in virtù di quanto disposto dall'art. 3, comma 2, del decreto 2/1/1998, è stata istituita una categoria catastale denominata «F/2 (unità collabente)» attribuibile alle costruzioni non abitabili o agibili, e comunque di fatto non utilizzabili a causa di dissesti statici, di fatiscenza o inesistenza di elementi strutturali e impiantistici, ovvero delle principali finiture ordinariamente presenti nella categoria catastale, cui l'immobile è censito o censibile.
Il classamento in categoria «F/2» viene quindi riconosciuto in tutti i casi in cui la concreta utilizzabilità non è conseguibile con soli interventi edilizi di manutenzione ordinaria o straordinaria. La caratteristica degli immobili così censiti è che essi risultano esenti da attribuzione di rendita. Si tratta, per essere meno precisi ma più concreti, di unità immobiliari con rendita catastale pari a zero.
Va tuttavia rimarcato che la «migrazione» verso la categoria catastale «F/2» richiede il rispetto della sussistenza di precisi requisiti bene esplicitati nella C3/95/98 del 22/10/1998 dell'ex Direzione centrale del catasto. Il citato documento di prassi ministeriale opera infatti una fondamentale distinzione tra «inagibilità di carattere temporaneo» e «degrado tale da compromettere permanentemente l'utilizzazione del fabbricato». Nel primo caso il classamento (e quindi la rendita catastale) del fabbricato non può essere modificato. Nel secondo caso, invece, se il reddito effettivo differisce dalla rendita catastale per oltre il 50% e per un periodo di almeno un triennio (art. 35 del Tuir), è possibile la variazione in diminuzione della stessa rendita seguendo la procedura, sopra esaminata, che da anni trova specifica disamina nell'appendice alle istruzioni alla dichiarazione dei redditi (730 o Unico).
Seguendo pertanto le indicazioni fornite dalla Direzione centrale del catasto, con la predetta nota C3/95/98 del 22/10/1998, si può quindi arrivare alle seguenti conclusioni: 1) se il fabbricato viene dichiarato inagibile, ma senza le aggravanti che si vedranno nel punto successivo, l'Imu deve essere corrisposta sulla base della rendita catastale originariamente attribuita senza alcuna agevolazione; 2) solo se la predetta inagibilità comporta una riduzione del reddito superiore al 50% per un periodo di almeno un triennio, è possibile accatastare l'unità immobiliare in categoria «F/2» con rendita nulla.
Dal che ne dovrebbe conseguire l'esclusione dall'Imu del fabbricato accatastato in categoria «F/2», atteso che l'art. 5, comma 6, del dlgs n. 504/1992, richiamato espressamente dall'art. 13 del dl n. 201/2011, prevede che la base imponibile dell'immobile in questione «è costituita dal valore dell'area edificabile», e non più dal valore catastale dell'edificio, solo dal momento della «demolizione del fabbricato» finalizzata all'utilizzazione edificatoria dell'area sottostante (articolo ItaliaOggi Sette del 06.02.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATARifiuti, suolo in gestione agevolata. I materiali di riporto fuori dalla disciplina tradizionale. Il decreto ambiente rivede il dlgs 152/2006. Il regime giuridico è quello legato al terreno.
Dal 25.01.2012 i materiali di riporto, quale mix di materiali naturali e artificiali sedimentati nel terreno, seguono lo stesso regime giuridico ambientale del suolo, con la possibilità (quindi) di essere gestiti fuori dalla stringente disciplina dei rifiuti. A stabilirlo sono le disposizioni recate dal nuovo dl 2/2012 recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale, decreto (pubblicato sulla G.U. del 25.01.2012 n. 20 e in vigore dallo stesso giorno) che rivede la disciplina sancita dal dlgs 152/2006 (cosiddetto «Codice ambientale») in materia di suolo.
La nuova disciplina del «suolo». Mediante un'operazione di interpretazione autentica il nuovo dl 2/2012 stabilisce che la nozione di «suolo» recata dall'articolo 185 del dlgs 152/2006 deve essere riferita anche alle «matrici materiali di riporto», sibillina formula (prevista dall'allegato V, parte IV del Codice ambientale) che sottende le miscele eterogenee di materiali di origine antropica e terreno naturale utilizzate (storicamente) per riempimenti e livellamenti del terreno, fino a integrarsi con il suolo.
Al fine di allineare alle novità in parola le altre norme del sistema, lo stesso dl 2/2012 affida poi all'emanando decreto Minambiente che riformulerà le regole per gestire come sottoprodotti le terre e rocce da scavo anche la determinazione delle condizioni tecniche per trattare come tali i materiali di riporto. L'allargamento della nozione «suolo» ai materiali di riporto provoca a valle l'intera riformulazione del confine tra «rifiuto» e «non rifiuto» previsto dal dlgs 152/2006.
Alla luce dell'interpretazione autentica del codice ambientale imposta dal dl 2/2012 appaiono infatti essere non più considerabili come rifiuti: il terreno (non scavato), anche se contenente materiali di riporto; il suolo contaminato non scavato (fermo restando gli obblighi di bonifica stabiliti dallo stesso dlgs 152/2006), anche (di nuovo) se contenente materiali di riporto; il suolo non contaminato escavato nel corso di attività di costruzione, purché riutilizzato allo stato naturale nello stesso sito a fini di costruzione, anche (e la ripetizione è d'obbligo) se contenente materiali di riporto.
Le altre novità all'orizzonte. Una vera e propria rivoluzione della materia arriverà con un futuro dm Ambiente (previsto dall'articolo 184-bis del dlgs 152/2006) che detterà le nuove regole per gestire come sottoprodotti delle terre e rocce da scavo, ossia il suolo e il sottosuolo derivanti da opere quali sbancamenti, trivellamenti, escavazioni, demolizioni, realizzazione di costruzioni, lavorazioni materiali lapidei, con concentrazioni di sostanze inquinanti non superiori a determinati limiti massimi.
Le nuove regole, che dalla loro entrata in vigore sostituiranno quelle attualmente recate dall'articolo 186 del codice ambientale, condizioneranno l'utilizzo dei materiali da scavo fuori dal regime dei rifiuti all'osservanza di precisi requisiti qualitativi e all'adempimento da parte dei loro gestori/utilizzatori finali di particolari obblighi. A spingere sull'adozione del nuovo decreto ministeriale è intervenuto da ultimo il cosiddetto «Decreto liberalizzazioni» (il dl 1/2012, pubblicato sulla G.U. del 24.01.2012), decreto d'urgenza che ha fissato per la fine del prossimo marzo la deadline entro la quale il dicastero dell'ambiente dovrà adottare la nuova citata regolamentazione sui sottoprodotti. Un'anticipazione della nuova disciplina regolamentare è addirittura prevista da un ulteriore provvedimento d'urgenza in corso di approvazione.
Il cosiddetto «Decreto infrastrutture» attualmente allo studio del consiglio dei ministri prevede infatti che nelle more dell'emanazione del dm Ambiente in questione, le terre e rocce da scavo prodotte nell'esecuzione di opere possano essere reimpiegate nel corso dello stesso o di altro processo produttivo come sottoprodotti (quindi senza passare dalla disciplina dei rifiuti) anche se sottoposti a trattamenti preventivi, purché si tratti di trattamenti non diversi dalla «normale pratica industriale», intendendosi per tale (secondo il tenore del decreto in itinere) anche la selezione granulometrica, la riduzione volumetrica, la stabilizzazione a calce o a cemento, l'essiccamento, la biodegradazione naturale degli additivi condizionanti. Che arrivi mediante l'atteso decreto ministeriale o tramite il citato decreto d'urgenza in corso di approvazione, la legittimità del trattamento preventivo coincidente con la «normale pratica industriale» per il riutilizzo delle terre e rocce da scavo in deroga alla disciplina sui rifiuti trova suo fondamento direttamente nell'articolo 184-bis del codice ambientale.
Come riformulato dal dlgs 205/2010 in recepimento delle norme comunitarie in materia di rifiuti (direttiva 2008/98/Ce), l'articolo 184-bis del codice ambientale ammette infatti tra i sottoprodotti le sostanze e gli oggetti che (oltre a rispettare le altre condizioni in materia) sono sottoposti, dopo la loro produzione e prima del successivo riutilizzo, a un trattamento rientrante nella «normale pratica industriale», nozione (come interpretata dalla Corte di cassazione con sentenza 26.09.2011 n. 34753) nella quale rientrano le operazioni tipicamente svolte in un determinato contesto produttivo in vista del riutilizzo (articolo ItaliaOggi Sette del 06.02.2012).

ENTI LOCALISocietà, sul Patto catena di rinvii. La sezione Lombardia esclude il vincolo per gli enti proprietari fino a quando la normativa è incompleta.
L'obbligo di vigilanza riguarda tutte le affidatarie dirette ma manca il decreto.
L'ALTRO CHIARIMENTO/ Nella gara a doppio oggetto i compiti operativi da assegnare al socio privato vanno decisi in base al contratto di servizio.

L'assoggettamento al Patto di stabilità vale per tutte le società in house che siano affidatarie dirette di servizi pubblici o strumentali, ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis, del Dl 112/2008. Il vincolo si applica anche alle società che gestiscono servizi pubblici esclusi dal l'applicazione dell'articolo 4 del Dl 138/2011, in quanto l'articolo 18 ha portata generale.
Gli enti soci delle società a totale partecipazione pubblica, titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici o strumentali senza gara, devono quindi vigilare sull'osservanza del Patto da parte degli organismi partecipati.
Considerato però che la norma rinvia a un decreto la definizione delle modalità e della modulistica, «non può farsi derivare dalle predette norme l'obbligo attuale, in capo agli enti controllanti, di valutare il rispetto del Patto di stabilità attraverso un bilancio consolidato funzionale ad un'analisi della situazione finanziaria della società unitamente a quella dell'Ente locale».
Questo uno dei chiarimenti forniti dalla Corte dei conti della Lombardia nella delibera 7/2012, con cui ha risposto agli oltre dieci quesiti presentati dal presidente della provincia di Varese. L'ente si era rivolto ai magistrati contabili in quanto, prima di procedere alla costituzione di un organismo partecipato per la gestione del servizio idrico, voleva verificare quale fosse la soluzione più idonea in relazione alla concreta situazione giuridica e contabile della Provincia.
Secondo la Corte dei conti, le società in house affidatarie dirette della gestione di un servizio pubblico a rilevanza economica sono assoggettate al Patto.
Il Dl 1/2012 ha introdotto l'articolo 3-bis al Dl 138/2011, stabilendo che «le società affidatarie in house sono assoggettate al Patto di stabilità interno secondo le modalità definite dal Dm previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del Dl 112/2008». Al contrario, le società che hanno ricevuto l'affidamento della gestione di servizi pubblici locali con procedura competitiva sono escluse dal vincolo. Lo stesso vale per la società mista il cui socio privato sia stato scelto con gara, anche se la procedura a evidenza pubblica sia stata seguita solo per la scelta del socio e in mancanza di una seconda gara per il conferimento del servizio.
Per quanto riguarda il vincolo posto dall'articolo 14 del Dl 78/2010, la Corte ha ribadito che la gestione di un servizio pubblico locale a rilevanza economica non costituisce ex se una causa di esclusione dall'applicazione di questi limiti quantitativi alle partecipazioni societarie da parte degli enti locali.
Per quanto concerne le modalità di svolgimento della gara «a doppio oggetto», l'Amministrazione ha chiesto alla Corte chiarimenti in merito agli specifici compiti operativi che devono essere attribuiti al socio privato per la gestione del servizio.
In particolare, è stato chiesto se tra i compiti operativi possa essere compresa la realizzazione diretta da parte del socio degli interventi infrastrutturali o legati alla manutenzione straordinaria, senza l'obbligo da parte della società di procedere a tali affidamenti mediante procedure a evidenza pubblica.
In linea di principio i compiti operativi, che devono rientrare nella procedura di gara per la scelta del socio operativo di una società mista per la gestione di un servizio pubblico locale a rilevanza economica, devono essere gli stessi oggetto del contratto di servizio che regolerà i rapporti tra gli enti e la società.
La Corte ha chiarito che è rimessa alla discrezionalità del l'amministrazione l'individuazione delle specifiche attività da conferire al socio privato operativo e delle modalità di svolgimento della procedura.
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Le tappe
01 | MANOVRA 2008
L'inserimento delle società affidatarie dirette ai vincoli del Patto di stabilità è stato previsto dall'articolo 23-bis del Dl 112/2008
02 | DECRETO RONCHI
Il Dl 135/2009 ha riscritto la riforma dei servizi pubblici locali rilanciando l'obbligo
03 | DECRETO ATTUATIVO
Il Dpr 168/2010, attuativo della riforma, ha rimandato a un decreto ulteriore il Patto per le società
04 | «SALVA-ITALIA»
Il vincolo, abolito dal referendum, è stato reintrodotto, rimandandolo allo stesso decreto attuativo (articolo Il Sole 24 Ore del 06.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZITre vie per arrivare all'affidamento.
I servizi pubblici locali devono essere affidati in base a un percorso rigoroso, che parte dalla ridefinizione dei bacini ottimali.
Le disposizioni introdotte dal Dl 1/2012 completano il quadro di riferimento secondo una prospettiva di razionalizzazione per area vasta, con le Regioni chiamate a definire entro il 30.06.2012 gli ambiti territoriali (con dimensione almeno provinciale), per consentire scelte gestionali produttive di economie di scala e di vantaggi per l'utenza.
Sulla base di tale assetto territoriale, gli enti affidanti (amministrazioni locali o enti preposti alla governance degli ambiti ottimali) devono elaborare un'analisi di mercato, da tradurre nella deliberazione-quadro per l'attribuzione dei diritti di esclusiva, secondo lo schema che verrà definito da un Dm entro il 31.03.2012. La formalizzazione dell'atto esplicativo della possibilità di affidare un servizio pubblico a un unico gestore ha tuttavia un regime differenziato secondo la dimensione dell'ente. I Comuni con meno di 10mila abitanti possono adottare la deliberazione una volta completata l'istruttoria, mentre gli altri devono sottoporre preventivamente la decisione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
L'Authority deve esprimere il proprio parere obbligatorio entro 60 giorni, e su questa base l'ente affidante deve adottare entro 30 giorni la delibera-quadro –che costituisce un passaggio obbligatorio (senza il quale non si può procedere all'affidamento del servizio)– nell'ambito della quale può essere definita anche la scelta di procedere a un affidamento multiservizi.
La definizione dell'attribuzione dei diritti di esclusiva della gestione di un servizio pubblico locale con rilevanza economica prelude allo sviluppo del percorso con gara (che costituisce la procedura ordinaria) o alla costituzione della società mista con socio privato operativo o alla deroga mediante conferimento diretto a società in house.
La procedura selettiva è stata ulteriormente caratterizzata dal Dl 1/2012 in termini di massima garanzia per i fruitori del servizio, con la previsione, tra i criteri essenziali, dell'impegno del soggetto gestore a conseguire economie di gestione con riferimento all'intera durata programmata dell'affidamento e a destinarle alla riduzione delle tariffe da praticarsi agli utenti.
Nel caso in cui la scelta si orienti in alternativa sull'affidamento a una società mista conforme ai parametri del partenariato pubblico-privato di tipo istituzionale, con selezione del socio privato mediante gara e attribuzione contestuale allo stesso di specifici compiti operativi, le amministrazioni possono trasformare le società attualmente affidatarie dirette, configurandole come organismo da aprire alla partecipazione del privato in relazione a un affidamento ex novo di uno o più servizi.
La possibilità di utilizzare l'affidamento in house, invece, è drasticamente limitata dalla riduzione a 200mila euro del limite di valore annuo del servizio attribuibile al soggetto societario, che deve peraltro essere conforme ai canoni comunitari. Nel quadro delle norme relative al periodo transitorio è tuttavia determinata la possibilità di aggregare (con formule diverse) società in house affidatarie di gestioni esistenti, per una gestione unitaria del servizio con riferimento all'ambito ottimale limitata nel tempo (tre anni, a partire dall'01.01.2013) e sottoposta a significative condizioni.
Qualora gli enti locali riescano a definire tale soluzione, infatti, il contratto di servizio dovrà prevedere indicazioni puntuali riguardanti il livello di qualità del servizio reso, il prezzo medio per utente, il livello di investimenti programmati ed effettuati e obiettivi di performance (redditività, qualità, efficienza). Inoltre, la valutazione dell'efficacia e dell'efficienza della gestione e il rispetto delle condizioni previste nel contratto di servizio saranno sottoposti a verifica annuale da parte dell'Autorità di regolazione di settore.
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Le procedure
01|GARA
Procedura ordinaria di scelta del gestore
Sviluppo secondo criteri-base indicati dalla normativa
Il gestore si deve impegnare a conseguire economie di scala
Durata commisurata all'ammortamento degli investimenti
Necessaria indicazione di indennizzo per beni del gestore uscente non interamente ammortizzati
02|SOCIETÀ MISTA CON SOCIO PRIVATO OPERATIVO
Procedura alternativa alla gara
È individuato con gara un socio privato, cui sono attribuiti specifici compiti operativi (cosiddetta doppia gara) e cui vanno
assegnate quote/azioni per almeno il 40% del capitale sociale
Per la selezione si applicano i criteri della gara
Nelle offerte va dato maggior peso alla qualità del servizio
03|AFFIDAMENTO IN HOUSE
Procedura derogatoria rispetto a gara e società mista
Possibile per servizi di valore inferiore a 200mila euro annui
Possibile solo a favore di società con parametri «in house»
Divieto di frazionamento del servizio e dell'affidamento (articolo Il Sole 24 Ore del 06.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIAl via il check degli organici per non bloccare le assunzioni.
DOPPIO BINARIO/ Il soprannumero di dipendenti va rilevato dal confronto fra dotazione e presenze mentre per le eccedenze occorre un esame di merito.

Tutte le pubbliche amministrazioni devono effettuare la ricognizione della presenza di condizioni di eccedenze e di soprannumero del personale assunto a tempo indeterminato: il mancato rispetto di questo vincolo determina la nullità delle assunzioni. Sono fatti salvi solo i concorsi banditi entro il 2011.
È questo il primo effetto concreto del nuovo testo dell'articolo 33 del Dlgs 165/2001 introdotto dalla legge 183/2011. Questo documento deve essere necessariamente redatto prima della programmazione annuale e triennale del fabbisogno di personale e, al più, ne può costituire la premessa.
La competenza appartiene alla Giunta: siamo infatti in presenza di un atto di programmazione non attribuito al Consiglio. Nella sua preparazione occorre coinvolgere attivamente la dirigenza: infatti matura responsabilità disciplinare in capo al dirigente responsabile inadempiente. Appare opportuno che a tutti i dirigenti, ognuno per la propria articolazione organizzativa, sia assegnato un termine entro cui effettuare la ricognizione. L'ente, preferibilmente attraverso l'attività istruttoria del dirigente del personale, raccoglierà le indicazioni e le formalizzerà in una deliberazione. Copia di questo atto deve essere inviata al dipartimento della Funzione pubblica: la mancanza, almeno fino al momento attuale, di indicazioni operative non esime le amministrazioni dall'obbligo di effettuare questa comunicazione.
La presenza di personale in soprannumero, cioè extra dotazione organica, può essere agevolmente rilevata dal confronto tra i dipendenti in servizio e la consistenza delle dotazioni organiche. Il fenomeno si può determinare o in presenza di una norma che lo ha previsto (ad esempio le stabilizzazioni di lavoratori socialmente utili nei Comuni fino a 5mila abitanti con oneri parzialmente a carico dello Stato o dei lavoratori ex Eti) o per il mancato trasferimento alle dipendenze del nuovo gestore a seguito delle esternalizzazioni della gestione dei servizi.
La rilevazione delle condizioni di eccedenza richiede invece un esame di merito: le nuove disposizioni non prevedono più l'utilizzo degli stessi principi dettati per il settore privato. Si fa riferimento alle esigenze funzionali e alla condizione finanziaria. Sul primo versante appare quindi necessario che le amministrazioni procedano a una rilevazione delle attività svolte, del personale impegnato e degli strumenti utilizzati. Ad esempio, la diminuzione di certificati che si registrerà a seguito del divieto del loro utilizzo da parte delle Pa dovrebbe portare alla riduzione dei dipendenti impegnati nel front office degli uffici anagrafici.
E ancora, una volta che il personale delle Province sarà assegnato a Comuni o Regioni, si potrebbe determinare questa condizione per gli uffici che svolgono compiti di supporto (personale, ragioneria, provveditorato, economato, centro informatico eccetera). Il riferimento alla condizione finanziaria sembra determinare la possibile conseguenza che si debba provvedere non solo nel caso di enti in dissesto o strutturalmente deficitari, ma anche per il mancato rispetto del tetto alla spesa del personale o della soglia massima del 50% nel suo rapporto con la spesa corrente. La rilevazione dei fabbisogni standard potrà dare utili indicazioni operative sia per gli aspetti funzionali sia per i costi.
Se la ricognizione rileva l'esistenza di personale in soprannumero o eccedente occorre informare i soggetti sindacali: da questo atto decorrono i termini per il collocamento in disponibilità di questo personale (articolo Il Sole 24 Ore del 06.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOCompetenze anti-ritardi da chiarire. È incerto se sia compito del sindaco o della giunta individuare il responsabile.
LA PLATEA/ Anche i segretari e i direttori generali possono essere incaricati di intervenire come sostituti in caso di inerzia.

Tutela molto più forte dei cittadini e delle imprese per i ritardi delle pubbliche amministrazioni nell'adozione dei provvedimenti di propria competenza, previsione di un intervento sostitutivo e possibilità di rapido avvio del l'azione di responsabilità amministrativa in capo al dirigente inadempiente.
Sono questi gli strumenti con i quali il decreto legge sulle semplificazioni, riapprovato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, vuole raggiungere il risultato di tagliare i tempi dell'attività amministrativa, dando certezza sul momento della sua conclusione. Questa tutela si applica a tutti gli atti delle pubbliche amministrazioni, quindi non solo nel caso di mancata risposta a istanze, ma anche per i ritardi nei pagamenti. Lo strumento tecnico è la modifica della legge 241/1990.
Il legislatore ribadisce in primo luogo la competenza dei tribunali amministrativi e precisa l'applicabilità delle forme di tutela contenute nel Codice sul processo amministrativo. Le nuove regole non si applicano ai procedimenti tributari.
I vertici politici devono individuare il dirigente a cui sono attribuiti i poteri sostitutivi in caso di inerzia: un solo soggetto per ogni amministrazione. In caso di mancata individuazione, provvede direttamente il legislatore: questa competenza è attribuita nell'ordine al direttore generale, al dirigente del settore o al funzionario di più elevato livello presente nell'ente. Negli enti locali occorre chiarire se la competenza all'individuazione del dirigente a cui sono attribuiti i poteri sostitutivi spetta alla Giunta, in quanto organo che ha competenza residuale generale, o ai sindaci, in quanto spetta a loro la competenza al conferimento e alla revoca degli incarichi dirigenziali: la seconda soluzione appare preferibile. I dirigenti individuati come sostituti in caso di inerzia possono essere sicuramente anche i segretari o i direttori generali; nei Comuni sprovvisti di dirigenza possono essere individuati anche nei titolari di posizioni organizzative.
L'intervento del sostituto può essere richiesto solamente dopo il decorso del termine di conclusione dei procedimenti, termine che ricordiamo essere in linea generale fissato in 30 giorni e che i regolamenti degli enti possono innalzare fino a 90 giorni. Il sostituto deve concludere il procedimento entro la metà del termine e a tal fine può avvalersi della struttura esistente o nominare un commissario ad acta. Comunque, dall'applicazione della disposizione non devono derivare oneri aggiuntivi per l'ente.
In capo ai dirigenti inadempienti sono previsti vari tipi di sanzione. I ritardi determinano il maturare di responsabilità dirigenziale o di risultato, oltre che di responsabilità amministrativa e contabile: gli organismi di valutazione devono tenere conto di questo elemento nella valutazione della performance. Va sottolineato che il legislatore ha rafforzato una previsione già esistente. Questo rafforzamento si manifesta soprattutto nell'obbligo per il dirigente individuato come sostituto di informare annualmente il vertice politico dei procedimenti in cui si è dovuto sostituire ai dirigenti in ritardo nell'adozione di provvedimenti amministrativi. Un ulteriore e importante elemento di novità è dato dalla previsione che questi comportamenti possono determinare l'insorgere di responsabilità amministrativa e, soprattutto, dalla facilità con cui la relativa azione può essere instaurata. Si dispone infatti che le sentenze dei tribunali amministrativi che condannano le Pa per ritardi nella risposta ai cittadini possano essere in via telematica inviate alla Corte dei conti; ma soprattutto si stabilisce che debbano essere inviate quelle passate in giudicato.
È ovvio che per Corte dei conti si debba intendere la Procura e non le sezioni di controllo; la possibilità di invio è una formula molto generica e andrebbe meglio precisata, soprattutto per individuare il soggetto responsabile; l'obbligo di invio di tutte le sentenze passate in giudicato è fissato in modo tassativo: in questo modo si forniscono immediatamente le informazioni necessarie per l'eventuale instaurazione dell'azione di responsabilità. Azione di responsabilità che, sulla base della giurisprudenza contabile consolidata, fissa la misura del danno erariale nelle sanzioni e interessi che l'ente ha dovuto versare al privato, ivi compresi gli eventuali risarcimenti danni.
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Il percorso per rimediare - Che cosa succede in caso di ritardi della pubblica amministrazione
- Le pubbliche amministrazioni devono individuare il dirigente che interviene in caso di ritardi
- Il sostituto è tenuto a informare l'ente a proposito dei procedimenti in cui è intervenuto
- Il sostituto conclude i procedimenti entro la metà dei termini, anche tramite un commissario ad acta
- Dei ritardi si tiene conto negativamente nella valutazione delle performance
- Le sentenze che condannano le pubbliche amministrazioni per ritardi sono inviate alla Corte dei conti (articolo Il Sole 24 Ore del 06.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIDanno erariale se la partecipata serve ad assumere.
L'abuso dello strumento societario costituisce danno nei confronti delle casse comunali.
Questo è il principio affermato dalla Corte dei conti - Sezione prima giurisdizionale centrale, con la sentenza n. 401/2011 (su cui si veda anche Il Sole 24 Ore del 5 gennaio).
Nel caso la Corte, ribaltando le precedenti assoluzioni, ha condannato gli amministratori del Comune e della società per la costituzione e la gestione antieconomiche della partecipata, avendo rappresentato queste, fra l'altro, una delle cause del successivo dissesto dell'ente.
Il rilievo della decisione sta tutta nel suo percorso motivazionale. Il Collegio ha aderito alla tesi accusatoria che muoveva dall'assunto che la società, al contrario di quanto affermato nello statuto e negli atti costitutivi, non sarebbe stata utilizzata per rendere più efficienti ed economici i servizi dell'ente, ma per perseguire scopi occupazionali, estranei alle regole di economicità e buona amministrazione.
Dagli atti è emerso che la costituzione della società ha avuto come unico obiettivo la tutela dei posti di lavoro di cassintegrati, Lsu e addetti ai cantieri scuola, al punto che il suo presidente ha formalmente invitato l'amministrazione a mantenere un adeguato livello occupazionale, individuandovi lo scopo essenziale della società.
La Corte non ha addebitato ai convenuti la mancata adozione di altre soluzioni economicamente più vantaggiose, quanto una scelta che in sé avrebbe potuto essere legittima e vantaggiosa per l'ente, ma solo se non fosse stata compiuta ab origine e poi perseguita, al solo fine di produrre un vantaggio occupazionale.
Si specifica, inoltre, che un fine occupazionale, pur presente nella legislazione (articolo 10 del Dlgs 468/1997), non può essere perseguito alterando le regole di sana ed economica gestione, ma è legittimo soltanto se compatibile con gli equilibri di bilancio della società e del Comune.
Nel caso il danno erariale trova la sua fonte in una gestione dissennata della società che ha sostenuto spese di personale incompatibili con le sue capacità economiche, piegando l'organizzazione al perseguimento di fini estranei allo (finto) scopo sociale. L'analisi dei flussi finanziari ha mostrato come le perdite della società si siano risolte in un danno per le casse comunali; il Comune ha riconosciuto alla società non solo il corrispettivo previsto nei contratti di appalto, ma anche ulteriori provviste finanziarie.
Dalla vicenda si possono trarre anche alcune considerazioni di carattere generale.
I veri costi della politica, verosimilmente, si annidano in situazioni come queste e non tanto e non solo nei costi diretti degli apparati, che vanno comunque drasticamente ridotti.
Si può ipotizzare, infine, che nel campo della finanza pubblica si stiano affacciando concetti simili all'abuso del diritto di origine fiscale, finalizzati a evitare l'utilizzo strumentale di istituti di per sé legittimi, ma che diventano anomali se il loro unico scopo sia quello di eludere vincoli di finanza pubblica e norme di contenimento della spesa (articolo Il Sole 24 Ore del 06.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Speciale iter DL Semplificazioni/ Parcheggi pertinenziali, cessione possibile.
Il decreto semplificazioni interviene in tema di parcheggi pertinenziali e stabilisce che la proprietà dei parcheggi di pertinenza delle abitazioni può essere trasferita separatamente dalla unità immobiliare di riferimento, a condizione che ciò avvenga solo con contestuale destinazione del parcheggio trasferito a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso Comune.
La legge 24.03.1989 n. 122 (c.d. legge Tognoli) detta disposizioni anche in materia di parcheggi e nel titolo III, all'art. 9 prevede che i parcheggi realizzati da proprietari di immobili nel sottosuolo degli stessi o nei locali siti al piano terreno sono da destinarsi a pertinenza delle singole unità immobiliari; il comma 5 dispone che in ragione del vincolo tali parcheggi non possano essere trasferiti e quindi ceduti separatamente dall'unità immobiliare a cui i parcheggi medesimi sono legati da vincolo pertinenziale.
La violazione di tale disposizione viene sanzionata con la nullità dell'atto di cessione (La giurisprudenza intervenuta su tali aspetti ha comunque precisato che la violazione del vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio degli spazi da utilizzare per tale scopo rende nulle solo le clausole relative, ma non anche l'intero negozio, con la conseguenza che il trasferimento del bene resta valido e all'acquirente spetta comunque il diritto di ottenere il trasferimento della relativa pertinenza).
Con il Decreto semplificazioni 2012, il comma 5 dell'art. 9 suindicato viene sostituito con un nuovo testo specificato nell'art. 9 del decreto stesso.
In particolare, considerando la ratio che caratterizza il provvedimento del Governo Monti, a seguito della entrata in vigore della norma viene meno il vincolo pertinenziale che lega il parcheggio all'unità immobiliare.
Il parcheggio potrà essere ceduto, pertanto, separatamente dalla unità immobiliare, senza che ciò comporti la nullità dell'atto di cessione.
Purtuttavia, è necessario che il parcheggio venga trasferito contestualmente a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso Comune.
Il nuovo testo della norma prevede un'eccezione: stabilisce che la cessione non può avvenire, pena la nullità dell'atto di trasferimento, ove abbia ad oggetto parcheggi realizzati su previsione dei Comuni nell'ambito del programma urbano dei parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati, insistenti su aree comunali o nel sottosuolo delle medesime (03.02.2012 - tratto da www.ipsoa.it).

aggiornamento al 06.02.2012

APPALTISEMPLIFICAZIONI/ Documenti on-line negli appalti. La Banca dati dei contratti pubblici sarà operativa dal 2013.
Niente più documenti nelle gare pubbliche con l'avvio della banca dati nazionale dei contratti pubblici; la sanzione dell'esclusione dalle gare per false dichiarazioni potrà essere anche inferiore a un anno; gare pubbliche per la scelta degli sponsor per interventi sui beni culturali; 656 milioni per gli interventi urgenti di ammodernamento e messa in sicurezza delle scuole.
Sono queste alcune delle novità previste nel testo definitivo del decreto-legge sulle semplificazioni varato ieri dal Consiglio dei ministri dopo una settimana di aggiustamenti tecnici che hanno riguardato soprattutto le parti sull'istruzione e l'università.
Del tutto confermata quindi la forte semplificazione che verrà attuata nelle procedure di affidamento di appalti pubblici e concessioni per le quali si prevede la messa online dei documenti e dei dati utili alla verifica del possesso dei requisiti di qualificazione dei concorrenti. L'impatto sarà particolarmente rilevanti per i settore delle forniture e dei servizi, privi di un sistema di qualificazione vero e proprio come esiste nel settore dei lavori che, tramite l'attestazione emessa dalle Soa, riesce ad evitare la qualificazione gara per gara, per i requisiti di capacità economica e tecnica delle imprese di costruzioni (i certificati Soa hanno una validità di cinque anni).
Il decreto dà impulso alla banca dati introdotta nel 2010 con il comma 1 dell'art. 44, dal dlgs. 235/2010. In particolare si prevede che dall'01.01.2013 tutta la documentazione relativa alla prova dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico organizzativa dei concorrenti dovrà essere acquisita presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici che ha sede presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Sarà quindi l'Autorità di vigilanza a definire quali dati utili alla partecipazione alle gare, nonché alla valutazione delle offerte, debbano essere inclusi nella banca dati. La stessa Autorità dovrà definire i termini e le regole tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento e la consultazione dei dati.
Le amministrazioni, all'inizio del 2013, non potranno quindi più chiedere documenti per verificare il possesso dei requisiti, il che dovrebbe portare le amministrazioni pubbliche, attraverso i controlli «elettronici» su ciascuna impresa, a risparmiare qualcosa come 1,3 miliardi l'anno, stando alle stime del governo. Per l'attivazione della banca dati tutti i soggetti pubblici e privati che detengono dati e documenti relativi ai requisiti di partecipazione, avranno l'obbligo di messa a disposizione dell'Autorità di tali dati e documenti.
Novità in vista anche per le sanzioni irrogate dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici per false dichiarazioni rese dai concorrenti che partecipano ad appalti pubblici. Si incide sulla disciplina ad oggi vigente che prevede che se un concorrente presenta un documento falso o dichiara situazioni non veritiere, scatta l'obbligo per la stazione appaltante di segnalare l'accaduto all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. L'organismo di vigilanza deve a sua volta effettuare un'istruttoria per verificare la presenza di dolo o colpa grave e, in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti, disporrà l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto per un periodo fino a un anno.
Una volta trascorso il termine della sanzione (che quindi potrà essere anche di qualche mese e non, automaticamente di un anno), l'iscrizione verrà ex lege cancellata e perderà comunque efficacia. Il decreto-legge prevede inoltre, per i beni culturali, l'obbligo di gara sia per le sponsorizzazioni di puro finanziamento, sia per quelle tecniche (di progettazione ed esecuzione). Le amministrazioni dovranno inserire gli interventi da inserire in un apposito allegato al programma triennale; gara a rilanci plurimi per l'individuazione del maggiore finanziamento.
La gara si è previsto che si svolgerà con offerte di rilancio migliorative successive alla graduatoria, anche se l'amministrazione dovrà comunque definire un termine massimo per i rilanci. Il contratto è previsto che venga aggiudicato al soggetto che ha offerto il maggiore finanziamento, o che ha proposto l'offerta realizzativa giudicata migliore, in caso di sponsorizzazione tecnica. Il decreto legge prevede anche una più articolata disciplina sulle certificazioni dei lavori all'estero, che coinvolgerà i consolati e gli uffici del Ministero degli affari esteri, con una particolare garanzia per i subappaltatori di imprese italiane i quali potranno anche chiedere le certificazioni in via autonoma.
Il provvedimento prevede anche la messa in campo di risorse economiche per un piano urgente di ammodernamento e messa in sicurezza del patrimonio scolastico (con 656 milioni) in vista dell'adozione di un piano più ampio teso all'obiettivo di ammodernare e razionalizzare tutto il patrimonio di immobili adibiti a scuole.
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Una soluzione per verificare i requisiti degli appaltatori.
Una soluzione al problema delle verifiche sul rispetto della posizione previdenziale degli appaltatori viene offerta dal disegno di legge di semplificazione. Infatti, in materia di appalti pubblici si prevede la creazione di una Banca dati nazionale dei contratti pubblici alla quale tutti i soggetti pubblici e privati dovranno conferire i dati e i documenti relativi al possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario previsti dal dlgs 163/2006, per la partecipazione agli appalti.
L'intento è creare una banca dati on-line, alla quale le stazioni appaltanti potranno attingere per acquisire le informazioni connesse al possesso dei requisiti degli appaltatori. Dall'01.01.2013, se le cose andranno come il disegno immaginato dal ministro della funzione pubblica Filippo Patroni Griffi auspica, la banca dati sarà operativa e tutte le amministrazioni avranno il dovere di verificare i requisiti esclusivamente controllando i dati in essa conservati.
Tra i requisiti di ordine generale previsti dall'articolo 38 del codice dei contratti vi è quello di non aver commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali: si tratta di informazioni attestate o, meglio, certificate tramite il Durc.
In merito, come è noto, si è recentemente espresso il ministero del lavoro che con la nota 16.01.2012, n. 619 ha sostenuto la non autocertificabilità del Durc. Tale tesi è erronea e destituita di fondamento proprio dall'articolo 38, comma 2, del dlgs 163/2006, che considera espressamente sostituibile da dichiarazioni ai sensi del dpr 445/2000 la situazione di regolarità previdenziale.
Le informazioni certificate dal Durc, dunque, non solo possono, ma devono essere oggetto di dichiarazioni sostitutive.
Oggi, tuttavia, l'unico sistema per verificarne la veridicità è chiedere al Durc o a Inps, Inail o Cassa Edile l'emanazione del Durc, che in quanto vero e proprio certificato non potrebbe essere utilizzato dalle pubbliche amministrazioni. Un grave contrasto operativo, cagionato dalla frettolosa normativa in tema di semplificazione amministrativa, introdotta dalla legge 183/2011.
La Banca dati nazionale dei contratti pubblici rappresenta la soluzione al problema. Se, infatti, sarò obbligatorio conferirvi tutti i dati relativi ai requisiti generali, Inps, Inail e Cassa edile saranno tenute ad aggiornare detta Banca dati.
Le amministrazioni appaltanti, dunque, finalmente invece di dover chiedere l'emissione del Durc (e aspettare 30 giorni), potranno accedere direttamente alle informazioni online, senza che venga emesso alcun certificato. E senza nessun conflitto con la normativa un po' avventuristica introdotta in merito dalla legge di stabilità (articolo ItaliaOggi del 04.02.2012).

ENTI LOCALILotta al sommerso. Le attività rilanciate dal provvedimento delle Entrate si estendono al lavoro nero. Sindaci a caccia in bar e cantieri. Commercio ed edilizia sono gli ambiti più adatti per scovare imposte.
LE CARATTERISTICHE/ Le aree promettenti sono quelle legate al controllo del territorio che offrono vantaggi anche alla fiscalità locale.

Attività totalmente in nero e lavoratori irregolari. Evasione nel settore dell'edilizia e contrasto a operazioni che sfiorano i confini dell'elusione, senza dimenticare l'emersione delle residenze estere fittizie. Sono numerosi i campi di attuazione della collaborazione dei Comuni all'accertamento delle entrate erariali, ma non è facile individuare i comparti in grado di generare «segnalazioni qualificate» senza richiedere una complessa organizzazione da parte dell'ente locale. In effetti, la cooperazione dei Comuni funziona solo se mette in moto delle sinergie con le operazioni svolte ordinariamente a livello locale. Alla base di tutto vi è il controllo del territorio che normalmente viene esercitato dalle amministrazioni, con riferimento sia alle attività economiche sia al settore immobiliare.
Sotto il profilo dei controlli delle attività economiche, un settore che dovrebbe spesso essere sotto osservazione è quello del commercio ambulante. Un'attività svolta abusivamente rileva di per sé sotto un duplice profilo: amministrativo, in quanto esercitata in assenza dell'apposita autorizzazione, e tributario, in quanto consuma l'evasione della Tosap, la tassa di occupazione, e della tassa rifiuti giornaliera. Si comprende pertanto perché l'ultimo provvedimento direttoriale abbia incluso il commercio su aree pubbliche tra i comparti di cooperazione privilegiata con l'Inps. In occasione delle verifiche ordinarie sarà infatti sufficiente richiedere i dati della comunicazione unica, fiscale e contributiva, per l'assolvimento degli obblighi previdenziali. Ma controlli analoghi possono svolgersi anche nei riguardi dei pubblici esercizi. Si pensi ad un bar o ristorante che occupi abusivamente con sedie e tavolini aree pubbliche. I controlli della polizia locale o degli addetti all'ufficio tributi potrebbero far emergere,oltre all'occupazione abusiva, evasioni contributive.
L'apertura di cantieri edili rileva anch'essa per l'occupazione di suolo pubblico e in tale ambito ben potrebbe svelare lavoratori in nero.
Dalle verifiche eseguite in loco, con accesso diretto ai locali, in occasione dei controlli Tarsu sono stati rilevati affitti in nero, attraverso l'identificazione del soggetto occupante. Si tratta di una situazione piuttosto frequente nelle residenze degli studenti universitari. Un evasore totale dell'Ici con una certa probabilità potrebbe essere anche evasore delle imposte sui redditi degli immobili.
Il fenomeno della pubblicità abusiva, cioè effettuata su impianti non autorizzati, potrebbe far emergere sia evasioni da parte del soggetto detentore dell'impianto, che verosimilmente non avrà fatturato il compenso per l'affissione, sia un'attività irregolare da parte del soggetto pubblicizzato.
Molto più complessa è invece la prova relativa alle residente fittizie all'estero. In questo caso, non è sufficiente un'indagine episodica, che fotografi la situazione del momento, perché occorre dimostrare che il centro degli interessi del contribuente continua ad essere nel Comune di provenienza.
Come si vede, gli spunti per agire sono numerosi. La difficoltà maggiore è nel tramutare queste circostanze in segnalazioni qualificate. Talvolta l'evidenza dei fatti è di per sé sufficientemente esplicativa (si pensi al commercio abusivo). Più spesso occorre invece una ulteriore attività istruttoria da parte del comune, da svolgersi anche attraverso la consultazione di banche dati (si pensi all'affitto in nero, che potrebbe richiedere la verifica delle utenze). Si tratta indubbiamente di un'attività che richiederà tempo e preparazione specifica perché diventi una prassi abituale e efficiente (articolo ItaliaOggi del 04.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARIImu, il versamento si farà in due. Il contribuente calcolerà la quota comunale e quella statale. In arrivo due codici tributo. Ma sarà l'Agenzia delle entrate a stabilire le modalità di pagamento.
Spetta al contribuente calcolare l'Imu per determinare le quote di competenza per stato e comuni e effettuare un duplice versamento. Il maggior gettito Imu incassato dagli enti locali, rispetto all'Ici, verrà compensato da una riduzione di pari importo del fondo sperimentale di riequilibrio.
Sono alcune delle precisazioni contenute in una nota dell'Ifel con la quale ha fornito ai comuni delle indicazioni sulle regole della nuova imposta locale.
L'istituto di finanza locale ha preso posizione sulla questione dei versamenti del tributo, considerato che la norma di legge non è molto chiara nella formulazione. L'articolo 13 del dl Monti (201/2011), infatti, si limita a stabilire che la somma di competenza dello stato deve essere versata «contestualmente all'imposta municipale propria».
Inoltre, in deroga a quanto disposto dall'articolo 52 del decreto legislativo 446/1997, che attribuisce agli enti il potere di decidere le modalità di riscossione, spontanea e coattiva, delle proprie entrate, l'Imu deve essere versata solo con l'F24. Dunque, il contribuente dovrà indicare nel modello F24 due codici tributo diversi e, secondo l'Ifel, dovrà effettuare un duplice versamento: «Uno a favore del comune e l'altro a favore dello stato». Tuttavia, in base a quanto disposto dall'articolo 13, le modalità di versamento verranno stabilite con un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate.
L'Ifel fornisce dei chiarimenti anche sui trasferimenti erariali. In particolare, il fondo sperimentale di riequilibrio è ridotto in misura corrispondente al maggior gettito Imu, ad aliquota base, rispetto all'Ici. Quindi, le maggiore somme incassate dai comuni con l'Imu verranno compensate da una riduzione di pari importo del fondo sperimentale. Naturalmente se il gettito sarà inferiore, dovrà essere riconosciuto l'importo della quota non riscossa.
Per quantificare le risorse delle quali l'ente sarà destinatario occorre fare riferimento alla disciplina di legge, applicando le aliquote di base e le detrazioni obbligatorie. Le componenti principali sono: abitazione principale, immobili rurali strumentali, abitazioni assimilate all'abitazione principale che erano esenti dall'Ici, terreni agricoli e aree edificabili. Per queste diverse fattispecie è necessario valutare l'incremento dei coefficienti moltiplicatori per determinare la base imponibile Imu e rilevare le differenze rispetto all'Ici. Si legge nella nota, che l'effetto espansivo del nuovo tributo locale non è costituito solo dall'incremento dei coefficienti e dell'aliquota di base (7,6 per mille), che è dunque superiore all'aliquota massima (7 per mille) fissata per l'Ici, ma anche dall'abolizione «di diverse aree di esclusione e di esenzione che devono essere valutate in modo il più possibile specifico».
L'incremento di gettito può derivare dalla quota di tributo che i comuni incasseranno dai fabbricati assimilati all'abitazione principale, che dal 2008 non hanno pagato l'Ici, e dalle restrizioni apportate dalla legge alle varie forme di agevolazione. Nello specifico, l'abolizione dell'agevolazione riservata agli immobili storici, l'eliminazione della riduzione d'imposta per i fabbricati inagibili o inabitabili, la mancata previsione dell'aliquota ridotta per gli immobili dati in affitto. Per questi ultimi, nella nota si pone in rilievo che i benefici fiscali per gli «affitti in regime concordato ex legge 431/1998» erano piuttosto diffusi. La forbice è stata usata anche per tagliare l'esenzione per gli immobili ristrutturati destinati a essere utilizzati dai disabili e l'agevolazione per l'installazione di impianti rinnovabili di energia e risparmio energetico.
In una seconda nota emanata dall'Ifel, invece, vengono prese in esame le entrate comunali e fornite le istruzioni per l'uso per la redazione dei bilanci. In particolare, viene posto in rilievo che la norma del decreto Monti è «ingiustificatamente penalizzante per i comuni», in quanto prevede che la quota riservata allo stato «rimanga indenne» non solo dalle scelte regolamentari e tariffarie fatte dagli enti, «ma anche dalle detrazioni previste per legge», che incidono sulla quota a loro destinata. Per esempio, per le amministrazioni locali che hanno sul proprio territorio tanti immobili posseduti dagli Ater/Iacp o dalle cooperative edilizie a proprietà indivisa, per i quali spetta la detrazione nella misura stabilita dalla legge, la quota di gettito di competenza dell'erario potrà risultare più elevata del 50% (articolo ItaliaOggi del 03.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIPartecipate, nuovi limiti sul personale. Stretta su in house e aziende speciali. Ma si pone il problema del consolidato. Il decreto liberalizzazioni solleva più di un dubbio interpretativo.
Enti locali in cerca di regole certe sul personale di società in house, aziende speciali ed istituzioni.
Il decreto sulle liberalizzazioni (dl 1/2012), infatti, estende ai predetti soggetti le «disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale» (art. 25, commi 1 e 2). Ma tali previsioni danno luogo a non pochi dubbi interpretativi.
Attualmente, in questa materia, gli enti locali sono principalmente soggetti a tre tipologie di vincoli.
In primo luogo, essi devono garantire la riduzione o il contenimento delle spese di personale: per gli enti soggetti al Patto di stabilità interno il riferimento è la spesa (impegni) relativa all'anno precedente, mentre per quelli non soggetti vale il dato relativo all'anno 2004 (art. 1, commi 557 e 562, della legge 296/2006).
Il secondo vincolo (che si applica a tutti gli enti locali senza distinzioni) comporta un divieto di assumere per gli enti nei quali la spesa di personale è superiore al 50% delle spese correnti.
Infine, le nuove assunzioni devono rispettare la regola del turnover, che consente nuovi ingressi solo in una certa proporzione rispetto alle cessazioni: anche in tale ambito la disciplina è differenziata per gli enti soggetti al Patto (per i quali il turnover è consentito nei limiti del 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente, con la sola eccezione degli addetti alla polizia locale, ma limitatamente agli enti nei quali il rapporto fra spese di personale e spese correnti non supera il 35%) e per gli altri enti (che possono applicare un criterio «per teste», ovvero assumere un nuovo dipendente per ogni cessazione intervenuta l'anno prima).
Per effetto dell'art. 25, comma 2, del dl 1/2012 cit., tali vincoli si applicano ora in modo diretto anche alle aziende speciali ed alle istituzioni. La decorrenza di tale previsione non è chiara. L'incipit della norma (che novella l'art. 114 del Tuel, inserendovi un nuovo comma 5-bis) recita «a decorrere dall'anno 2013», ma sembrerebbe riferirsi solo all'estensione, nei confronti dei medesimi soggetti, del Patto, in considerazione del fatto che ciò richiederà un apposito decreto ministeriale attuativo da emanare entro il prossimo 30 ottobre. Viceversa, per le norme in materia di personale pare più corretta la tesi dell'estensione immediata.
Quanto alle società in house, esse, in virtù di quanto previsto dal comma 1 dello stesso art. 25 (che introduce nel testo del dl 138/2011 il nuovo art. 3-bis), sono chiamate ad adottare specifici provvedimenti per adeguarsi alle medesime norme. Anche in tal caso, l'obbligo pare immediatamente cogente.
Al momento, non è chiaro se società in house, aziende speciali e istituzioni debbano applicare le regole sopra succintamente richiamate, per così dire, «atomisticamente», ovvero considerando ciascun soggetto come autonomo, o se invece occorra consolidare le relative spese di personale con quelle dell'ente o degli enti locali di riferimento.
La prima soluzione sembra più rispettosa del dato letterale delle norme, ma pone diversi problemi, considerata anche la presenza di discipline differenziate per i diversi tipi di enti. D'altra parte, il consolidamento è già espressamente previsto in relazione alla verifica del rapporto fra spese di personale e spese correnti con riguardo alle società (non quotate) a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività strumentali.
La stessa Corte dei conti si è espressa a favore della secondo opzione con riferimento sia alle Unioni di comuni che alle stesse aziende speciali, anche se con pronunce non sempre concordi (basti pensare al recente parere n. 14/2011 della sezione autonomie, che esclude dall'obbligo di consolidamento ai fini della verifica del limite del 50% le partecipate indirette e gli organismi partecipati non societari).
Del resto, che la strada del futuro sia quello del bilancio consolidato è confermato anche dall'evoluzione in atto dei sistemi contabili, anche se a tal fine è prevista una fase sperimentale che durerà almeno due anni (articolo ItaliaOggi del 03.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZII servizi finanziari sono esclusi dal Codice dei contratti pubblici.
Servizi finanziari fuori dal campo di applicazione del codice dei contratti. Il decreto sulle semplificazioni chiude la controversia interpretativa sulla necessità di assoggettare o meno alle regole del dlgs 163/2006 i contratti con i quali le pubbliche amministrazioni intendono acquisire servizi erogati dalle banche, modificando l'articolo 20, comma 2, del codice, che indica negli appalti elencati nell'allegato IIA quelli soggetti all'intera disciplina codicistica. Tale allegato al punto 6-b), include tra gli appalti ai quali applicare tutte le regole di dettaglio del codice quelli relativi ai «servizi bancari ed assicurativi».
Ciò ha da sempre determinato un contrasto interpretativo ed operativo, dal momento che ai sensi dell'articolo 19, comma 1, lettera d), sono totalmente esclusi dalla disciplina del codice dei contratti gli appalti «concernenti servizi finanziari relativi all'emissione, all'acquisto, alla vendita e al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari, in particolare le operazioni di approvvigionamento in denaro o capitale delle stazioni appaltanti, nonché i servizi forniti dalla Banca d'Italia».
Il decreto sulle semplificazioni cerca di fare chiarezza e modificando l'articolo 20, comma 2, del dlgs 163/2006 che nella nuova stesura stabilisce: «salvo quanto previsto dall'articolo 19, comma 1, lettera d), gli appalti di servizi elencati nell'allegato II A sono soggetti alle disposizioni del presente codice». La novellazione dell'articolo 20, comma 2, ha il chiaro scopo di precisare che resta ferma l'esclusione dei servizi finanziari dal campo di applicazione del codice. Dunque, le stazioni appaltanti debbono solo applicare i principi generali di buon andamento e imparzialità per selezionare le imprese alle quali rivolgersi per ottenere prestiti e gestione di titoli.
Restano, invece, soggetti al codice i servizi bancari. Se il legislatore avesse voluto escludere anche questi dalle regole codicistiche, oltre a novellare l'articolo 20, comma 2, avrebbe anche dovuto riformulare il testo del punto 6-b), dell'allegato IIA, cosa che non è avvenuta.
Gli enti locali si chiedono, allora, cosa cambi per quanto concerne gli appalti finalizzati all'acquisizione del servizio di tesoreria. In effetti, il decreto sulle semplificazioni in questo campo non modifica nulla. Il servizio di tesoreria appartiene alla tipologia dei servizi bancari e non a quelli finanziari. Tuttavia, anche il servizio di tesoreria non deve essere assoggettato a tutte le regole di dettaglio disposte dal codice. Come ha chiarito di recente il Consiglio di stato, sezione V, con sentenza 06.06.2011, n. 3377, il servizio di tesoreria, visto che non prevede il pagamento di alcun prezzo da parte dell'amministrazione, è da inquadrare non come appalto, ma come concessione di servizi.
Infatti, l'istituto bancario assume integralmente il rischio della gestione ed ottiene la remunerazione in via esclusiva con le tariffe ed i prezzi ai propri clienti. Così stando le cose, il servizio di tesoreria è disciplinato dall'articolo 30 del dlgs 163/2006, dedicato alle concessioni di servizi, che come gli appalti indicati nell'allegato IIB al codice, non sono regolate dalla disciplina di dettaglio del codice stesso (articolo ItaliaOggi del 03.02.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOContrattazione decentrata 2012, non serve aspettare il varo dei bilanci.
È opportuno che le amministrazioni avviino subito la contrattazione decentrata integrativa per l'anno 2012 in modo da potere arrivare alla ripartizione del trattamento economico accessorio premiando le performance e la meritocrazia. Peraltro non vi sono dubbi rilevanti, a differenza dell'anno passato, nella determinazione del fondo per le risorse decentrate.
Occorre subito rilevare che per la costituzione del fondo non occorre attendere l'approvazione del bilancio preventivo: non vi è infatti alcun vincolo in questa direzione né in modo esplicito né implicito. Al massimo, per la concreta erogazione delle risorse variabili è opportuno attendere l'approvazione di questo documento programmatico. Nella quantificazione della parte stabile del fondo non può essere usato l'articolo 15, comma 5, del Ccnl 01/04/1999 per aumentare la capienza complessiva. Non vi sono dubbi che i risparmi derivanti dalle progressioni economiche dei dipendenti cessati dal servizio continuino a ritornare tra le somme disponibili: in questo caso infatti non abbiamo un incremento del fondo.
L'unico dubbio riguarda il possibile inserimento della retribuzione individuale di anzianità e degli assegni ad personam dei dipendenti cessati dal servizio: la Ragioneria generale dello stato lo ha escluso, quanto meno per le amministrazioni statali, nella propria circolare n. 20/2010, mentre la successiva circolare 12/2011 del ministro dell'economia non ne fatto cenno. Per la costituzione della parte variabile le possibilità previste dai contratti nazionali, in particolare l'articolo 15, comma 5 e comma 2, del Ccnl 01/04/1999, non possono dare luogo ad un aumento delle risorse.
Le sezioni unite di controllo della Corte dei conti hanno ammesso come deroghe esclusivamente quelle previste per la incentivazione degli uffici tecnici in caso di realizzazione di opere pubbliche e per gli avvocati in caso di contenziosi risolti con successo per l'ente. La Rgs e la sezione di controllo della magistratura contabile pugliese consentono l'aumento del fondo per le risorse derivanti dai risparmi nella utilizzazione del fondo. Rimane da risolvere, ma il tema è di minore attualità nell'anno 2012, il dubbio sulla possibilità di incrementare il fondo con i compensi derivanti dall'Istat per il censimento.
Una volta costituito il fondo si possono avviare le trattative per la ripartizione del fondo. Ricordiamo che non è necessario attendere la presentazione di una piattaforma da parte dei sindacati e che è opportuno che la giunta formuli delle direttive per la delegazione trattante di parte pubblica. Non vi sono certezze per potere andare a una rivisitazione complessiva della contrattazione decentrata: appare opportuno limitare le trattative solamente alla ripartizione del fondo, mentre un intervento sulla parte istituzionale è necessario solamente se vi sono dei dubbi di illegittimità delle norme esistenti.
Il tempestivo avvio delle trattative per la ripartizione del fondo consente di spostare una parte significativa delle risorse per la incentivazione delle attività finalizzate al perseguimento dei risultati richiesti dall'amministrazione. Cioè di incentivare la produttività del personale e le indennità di risultato per i dirigenti ed i titolari di posizione organizzativa (articolo ItaliaOggi del 03.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERE COMUNALEOSSERVATORIO VIMINALE/ Vigili, incompatibilità soft. Si può ricoprire la carica di consigliere comunale. L'istituzione di una convenzione di polizia locale non crea una causa ostativa.
In caso di comuni convenzionati per l'esercizio della funzione di polizia locale, sussiste una situazione di incompatibilità tra lo svolgimento delle funzioni di vigile urbano di uno dei comuni convenzionati e quella di consigliere comunale del comune capo convenzione?
Le disposizioni in materia di cause ostative alla candidatura sono dettate dagli artt. 55 e ss. del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267. Per quanto attiene al caso di specie, l'art. 60, comma 1, n. 7 Tuel dispone che non sono eleggibili a consigliere i dipendenti del comune e della provincia per i rispettivi consigli; l'art. 63, comma 1, n. 7, dispone altresì che, qualora tale condizione di ineleggibilità si verifichi nel corso del mandato, la stessa configura una condizione di incompatibilità.
Per accertare, quindi, se nel caso in esame sussista l'ipotesi dell'incompatibilità prevista dall'art. 63, comma 1, n. 7 Tuel è necessario verificare quale sia l'ente locale di cui il vigile urbano è dipendente. Gli elementi costitutivi del rapporto subordinato, in base a quanto previsto dall'art. 2094 c.c., sono la sottoposizione del lavoratore al potere di direzione del datore di lavoro, la continuità della prestazione e la retribuzione. Nel caso di specie i suddetti elementi ricorrono nel rapporto intercorrente tra il vigile urbano e il comune nel cui organico questi è inserito, mentre la dipendenza funzionale con il comune capo convenzione è solamente un effetto derivante dalla convenzione sottoscritta tra i due comuni ed è in ogni caso limitata alla durata della stessa.
Pertanto, nel caso di specie, non sussistono cause ostative all'espletamento della carica di consigliere comunale atteso che, come più volte sancito dalla Corte di cassazione, le norme che restringono eccezionalmente i diritti di status sono di stretta interpretazione (articolo ItaliaOggi del 03.02.2012).

CONSIGLIERE COMUNALEOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste una causa di incompatibilità sopravvenuta nei confronti di un consigliere comunale che svolge funzioni di lavoratore socialmente utile?

La questione sollevata va analizzata alla luce dell'art. 60, comma 1, n. 7, del decreto legislativo n. 267/2000, ai sensi del quale non sono eleggibili nel rispettivo consiglio comunale i dipendenti del comune. La giurisprudenza ha escluso dall'ipotesi dell'ineleggibilità prevista dalla norma citata la sola ipotesi del lavoro autonomo (Cassazione civile, sez. I, n. 9762 del 15/9/1995; Tribunale di Sassari, sez. civ. sent. n. 1254 del 13/11/ 2002) e del lavoratore che non espleti attività lavorativa a favore del Comune in virtù di un contratto di fornitura di lavoro, in quanto al servizio esclusivo di una impresa esterna, unica titolare del potere disciplinare (Cassazione civile, sez. I, 11/03/2005, sent. n. 5449).
La ratio della norma è quella di garantire il più possibile la separazione tra attività politica e attività di gestione e l'elemento di discrimine affermato dalla giurisprudenza è la sussistenza delle condizioni tipiche del rapporto di impiego subordinato (sottoposizione ad ordini e direttive, inserimento del lavoratore nella struttura dell'ente. Tuttavia, l'articolo 4 del decreto legislativo n. 81 del 28.02.2000 ha previsto espressamente che l'utilizzo nelle attività socialmente utili o di pubblica utilità non determina l'instaurazione di un tipico rapporto di lavoro, interpretazione recepita dalla costante giurisprudenza.
La Corte di cassazione, s.u. civ., con sentenza del 27.02.2005, n. 3508, ha ritenuto che il rapporto intercorrente tra un lavoratore di pubblica utilità e la p.a. non ha natura di lavoro subordinato. Tra l'ente ed il lavoratore viene a sussistere unicamente un rapporto c.d. di «utilizzazione»; in tal senso l'art. 8, comma 1, del dlgs. n. 468/2000, ha espressamente previsto che l'utilizzazione dei lavoratori nelle attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva (art. 1, comma 1), non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro e non comporta la sospensione e la cancellazione dalle liste di collocamento o dalle liste di mobilità.
Tale orientamento è stato consolidato anche dalla sentenza della Corte di cassazione n. 3 del 03.01.2007, che ha ribadito l'impossibilità di configurare, nel rapporto di Lsu, un normale rapporto di lavoro subordinato pubblico, chiarendo, altresì, che nei lavori socialmente utili il rapporto da configurarsi è quello previdenziale, in quanto il lavoratore socialmente utile ha il diritto a emolumenti ai quali, però, non può riconoscersi natura retributiva ma, per l'appunto, previdenziale. Tenuto conto che le cause ostative all'espletamento del mandato elettivo, disciplinato dal Tuel, incidendo direttamente sull'esercizio del diritto di elettorato passivo, sono di stretta interpretazione e come tali non suscettibili di estensione analogica, anche situazioni di fatto che accidentalmente dovessero evidenziare elementi del rapporto di lavoro subordinato non precluderebbero l'assunzione della carica elettiva.
Pertanto, nel caso di specie, non sussiste la causa di ineleggibilità dettata all'art. 60, comma 1, n. 7 del decreto legislativo n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 03.02.2012).

APPALTI SERVIZI: Servizi locali. Il ministero dell'Ambiente ferma le gestioni fuori regola. In house vietato a società mista senza gara.
QUESTIONE DI CALENDARIO/ La tagliola agli affidamenti prevista dalla riforma è scattata perché il referendum abrogativo è intervenuto solo più tardi.

Gli affidamenti in house di servizi pubblici locali a società miste in cui il socio privato sia stato scelto senza gara sono illegittime, anche se l'articolo 23-bis del Dl 112/2008 che ha introdotto la riforma dei servizi pubblici locali è stato abolito con i referendum di giugno.
Lo chiarisce il ministero dell'Ambiente nella risposta a un quesito avanzato da un ente locale su una situazione che torna ancora in modalità analoghe in parecchi casi sparsi qua e là per l'Italia.
Il «niet» pronunciato dal ministero dell'Ambiente, che di fatto condanna all'illegittimità tutti gli affidamenti in house a società miste formate senza gara, nasce da ragioni di calendario. La riforma dei servizi pubblici, rilanciata dal «decreto-Ronchi» del 2009 prima di essere cancellata dai referendum, prevedeva una serie di date di chiusura per le diverse tipologie di affidamento.
Nel caso delle società miste, i casi previsti dalla regola erano tre. L'affidamento a mista con socio scelto con gara a doppio oggetto (la procedura con cui si individua contestualmente il socio e i compiti operativi connessi alla gestione del servizio da attribuirgli) poteva arrivare tranquillamente alla scadenza del contratto.
Nei casi in cui il socio fosse stato scelto con gara semplice (quella che individua l'azienda privata partner ma non i compiti operativi da affidarle), la data di chiusura era fissata al 31.12.2011, mentre nelle altre tipologie di partnership lo stop sarebbe dovuto intervenire entro il 31.12.2010.
Proprio quest'ultima è la data chiave su cui poggia il ragionamento ministeriale.
Il referendum che ha travolto con l'ondata di «sì» la liberalizzazione dei servizi pubblici (prima dell'articolo 4 della manovra estiva che l'ha rimessa in campo) è intervenuto nel giugno del 2011, per cui la tagliola agli affidamenti a società miste con partner individuato senza gara è rimasta in vigore per sei mesi.
Ergo: nessun affidamento di questo tipo può continuare oggi a dispiegare i propri effetti, perché la sua "esistenza in vita" avverrebbe grazie alla violazione di una legge abrogata solo in un secondo momento.
Sulla base degli stessi presupposti, naturalmente, l'abrogazione obbligatoria non è intervenuta per gli affidamenti con data di scadenza successiva al giugno del 2011, a partire da quelli a società mista scelta con gara semplice che sarebbero dovuti tramontare a dicembre.
Per gli affidamenti in house ancora legittimamente funzionanti, il calendario di uscita è quello corretto da ultimo dal decreto sulle liberalizzazioni. In particolare, possono stare in piedi fino a fine anno gli affidamenti diretti di servizi che valgono più di 200mila euro all'anno, la nuova soglia individuata dal provvedimento come limite massimo per aggirare la gara. Una regola, quest'ultima, che di fatto si traduce in una proroga degli affidamenti diretti superiore al vecchio limite di 900mila euro, che secondo la manovra bis di Ferragosto avrebbero dovuto alzare bandiera bianca entro il prossimo 31 marzo.
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L'intreccio di date
01 | IL PRIMO CALENDARIO
Le date di scadenza degli affidamenti in house erano state fissate dall'articolo 23-bis del Dl 112/2008. In particolare, per le società miste, si prevedeva la decadenza dell'affidamento
- Alla scadenza del contratto, se il socio era stato individuato con gara a doppio oggetto (scelta del socio e compiti operativi connessi alla gestione del servizio)
- Al 31.12.2011, se il socio era stato individuato con gara semplice (finalizzata solo alla scelta del socio)
- Al 31.12.2010 negli altri casi (società mista senza gara)
02 | IL REFERENDUM
Il referendum abrogativo è intervenuto a giugno 2011; di conseguenza sono illegittimi gli affidamenti che sarebbero dovuti decadere prima di quella data
03 | IL NUOVO CALENDARIO
Il Dl 1/2012 fissa al 31.12.2012 la decadenza degli affidamenti diretti di servizi di valore superiore a 200mila euro annui (articolo Il Sole 24 Ore del 02.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 02.02.2012

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti, ancora proroghe in arrivo. Slitta la piena operatività del Sistri. A cascata Mud e Mudino. Dopo i rinvii di fine 2011 previsti nuovi mutamenti nella legge di conversione del dl 216/2011.
In continuo mutamento il calendario delle scadenze 2012 relative alle comunicazioni ambientali. Dopo le proroghe sancite dal legislatore di fine 2011 per «Sistri», «Mudino», «Mud» (acronimi che sottendono, rispettivamente, il tracciamento telematico dei rifiuti, la denuncia transitoria dei dati ad esso inerenti, la comunicazione dei beni di rilevanza ambientale non diversamente monitorati) una nuova riformulazione del calendario è prevista proprio in relazione al nuovo sistema di controllo online dei rifiuti dalla legge di conversione del dl 216/2011 (cd. «Milleproroghe»).
Il testo della legge in parola, attualmente all'esame del Parlamento che dovrà licenziarlo entro la fine del prossimo febbraio, prevede infatti l'ulteriore slittamento della piena operatività del Sistri (già portato al 02.04.2012 dal «Milleproroghe») al 30.06.2012, facendo immaginare, a cascata, una nuova rivisitazione delle collegate scadenze relative a «Mudino», «Mud».
Sistri, l'attuale calendario. In base all'attuale assetto normativo, gli obblighi operativi del nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti (comunicazione online dei dati al cervellone gestito dall'Arma dei carabinieri, monitoraggio satellitare mezzi di trasporto, videosorveglianze ingressi/uscite dalle discariche) scattano in base ad un sofisticato calendario: dal 02.04.2012 (data così stabilita dal dl 216/2011) per i medi/grandi gestori; dopo il 01.06.2012, ed a far data dal termine stabilito da un futuro dm Ambiente, per i piccoli produttori di rifiuti speciali pericolosi (non più di 10 dipendenti, compresi i produttori che effettuano il trasporto dei propri rifiuti entro i 30 kg/litri al giorno) come stabilito dal dl 70/2011; dal 02.07.2012 per gli imprenditori agricoli che producono e trasportano a piattaforma di conferimento, oppure conferiscono ad un circuito organizzato di raccolta, i propri rifiuti pericolosi in modo «occasionale e saltuario» (termine così stabilito dal citato dl 216/2011).
Le regole procedurali che i soggetti obbligati al Sistri dovranno seguire per la comunicazione telematica dei dati relativi ai rifiuti gestiti sono invece quelle recate dal nuovo dm Ambiente 10.11.2011 n. 219, decreto che ha riformulato le norme dettate dal dm 18.02.2011 n. 52 (cd «Testo unico Sistri») in relazione a gestione dei dispositivi usb, responsabilità per la comunicazione dei dati, compilazione delle schede elettroniche, gestione dei problemi di connettività e dei cambiamenti aziendali.
Sistri, le novità in arrivo. Come accennato, dovrebbero arrivare con la legge di conversione del citato dl 216/2011 (e il condizionale è d'obbligo poiché il relativo testo, pur prevedendoli, ancora non è stato licenziato dal Parlamento) ulteriori slittamenti delle tappe di operatività del Sistri.
La legge di conversione del «Milleproroghe» prevede infatti un nuovo termine, quello del 30.06.2012, intorno al quale far ruotare gli adempimenti delle prime due categorie di soggetti (allineandole, così, con la terza, costituita dai citati imprenditori agricoli), ipotizzando il seguente nuovo calendario: partenza dal 30.06.2012 per i medi/grandi gestori di rifiuti; partenza dopo il 30.06.2012 (secondo la data stabilita dal futuro Dm Ambiente in materia) per i piccoli produttori.
«Mudino», le scadenze. A interessare nel 2012 i soggetti obbligati al «Sistri» (in particolare: i produttori iniziali di rifiuti; le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento dei rifiuti già tenuti alla presentazione «Mud» ex legge 70/1994) è altresì la comunicazione dei rifiuti gestiti nelle more della partenza del nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti.
Prevista dal dm 17.12.2009 (uno dei primi regolamenti sul Sistri) e soprannominato «Mudino» per la sua somiglianza alla storica denuncia «Mud» (ma dalla quale si distingue per il suo carattere transitorio) la comunicazione in parola dovrà essere effettuata (secondo quanto stabilito dal dm Ambiente 10.11.2011 n. 219) secondo il seguente calendario: entro il 30.04.2012 dovranno essere comunicate le informazioni relative ai rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2011; entro i successivi sei mesi dalla operatività del nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti dovranno essere invece comunicate le informazioni relative ai rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2012 non coperte dal Sistri.
Mud, nuove regole 2012. L'appuntamento al 30.04.2012 con la storica dichiarazione ambientale istituita legge 70/1994 resta invariato per i soggetti che, avendone facoltà, non aderiranno al Sistri e per quelli che gestiscono altri beni di impatto ambientale da tracciare per legge. A cambiare è invece la modulistica da utilizzare, che per la comunicazione 2012 è quella recata dal nuovo dpcm 23.12.2011 (pubblicato sulla G.U. 30.12.2011, n. 303).
Seguendo le istruzioni dettate dal nuovo dpcm, entro il 30.04.2012 si dovranno così comunicare allo stato (per il tramite delle Camere di commercio): i dati relativi a rifiuti e veicoli fuori uso gestiti nel corso del 2011 (per i soggetti obbligati si veda il box più sotto riportato); gli imballaggi e le apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse nello stesso arco temporale sul mercato (per i soggetti interessati si veda il box più sotto riportato) (articolo ItaliaOggi Sette del 30.01.2012).

ENTI LOCALIDal pasticcio sui revisori un'occasione per fare meglio.
LA CHANCE/ Il rinvio di nove mesi nel Milleproroghe può lasciare spazio a una riforma che eviti sorteggi e altre amenità.

È difficile non farsi sfuggire un sorriso guardando la successione di norme che si susseguono nella vicenda della nomina dei revisori degli enti locali.
Si ricorderà che il Dl 138/2011 aveva sparigliato le carte inventandosi il più bizzarro metodo di selezione dei membri dell'organo di revisione che mente umana potesse immaginare. L'articolo 16, comma 25, ha previsto un meccanismo che si fonda su tre cardini tipici della «meritocrazia»: l'anzianità, la residenza ed il caso. Un approccio che certo voleva affrontare il problema di non far più nominare i controllori dai controllati ma che, per evidente mancanza di coraggio e coerenza, non arrivava alle logiche conseguenze, che avrebbero dovuto portare ad affidare il compito di individuare i revisori a un ente terzo consapevole, come la Corte dei Conti, il ministero dell'Interno o al limite quello dell'Economia, e non a una sorta di gioco del lotto.
La scelta è caduta sulla buona sorte, sul sorteggio, che crea problemi evidenti di equità e rispetto delle regole Ue. Perché un revisore residente in un Comune della provincia di Modena può ambire a fare il suo lavoro a Madrid o Londra e non in un ente locale toscano? Per iscriversi a questo lotteria, inoltre, la norma aveva previsto persino il rilevante requisito «di aver in precedenza avanzato richiesta di svolgere la funzione nell'organo di revisione degli enti locali», qualificando dunque come elemento di merito avere fatto una domanda; creando un ostacolo all'iscrizione ai giovani iscritti all'Ordine dei Dottori commercialisti ed esperti contabili, che ancora non avessero avuto modo di rispondere a un qualche bando.
In molti speravano che tutto ciò sarebbe rimasto lettera morta, lasciando così inapplicata una disposizione che offende il merito e la libertàlgere liberamente la propria professione. Invece, nonostante le proteste, ecco che il decreto attuativo arriva alla firma del ministro, e viene così inviato alla «Gazzetta Ufficiale» (si veda Il Sole 24 Ore del 21 gennaio).
Finito il film, come sembra? No, perché, ancora il decreto è fresco di firma del ministro Cancellieri, forse neppure la sua copia è arrivata al protocollo della Poligrafico dello Stato, ed ecco che il Dl Milleproroghe tra i suoi tanti rinvii ha deciso di toccare anche il famigerato comma 25, rinviando la sua applicazione al 29.09.2012. Non sappiamo lo spirito che ha mosso chi ha proposto l'emendamento. Comunque, quale che sia stata la motivazione politica che ha ispirato questa scelta, il rinvio può rivelarsi opportuno, perché dà il tempo per correggere profondamente la normativa in modo da garantire terzietà all'organo di revisione ma non a scapito dell'autorevolezza professionale dei suoi membri.
Sarebbe importante, soprattutto, approfittare di questa «pausa» per riflettere seriamente sull'efficacia dei controlli nel loro complesso. E l'occasione, se il Parlamento riterrà di riprendere il suo lavoro in proposito, potrebbe e dovrebbe essere la Carta delle Autonomie, che prevede al suo interno proprio una rimodulazione del sistema dei controlli che ormai richiede di essere ripensato e reso più adeguato ai tempi (articolo Il Sole 24 Ore del 30.01.2012 - link a www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici. Il calendario delle gestioni. In house, tempi lunghi e clausola di salvaguardia.
Le gestioni esistenti dei servizi pubblici locali con rilevanza economica hanno un nuovo quadro di scadenze, che individua per molte di esse il termine anticipato tra la fine del 2012 e la primavera del 2013, ma che garantisce la continuità delle prestazioni qualora le procedure per i nuovi affidamenti si prolunghino troppo.
Il Dl ha reimpostato le regole del periodo transitorio, modificando varie parti dell'articolo 4, comma 32, della legge 148/2011, in modo tale da consentire agli enti affidanti di gestire meglio il passaggio tra i gestori uscenti e quelli subentranti.
L'elemento di maggior rilievo è individuato nel nuovo termine per gli affidamenti in house e per le altre tipologie di affidamenti impropri: la deadline per tali gestioni è stabilita al 31.12.2012. La disposizione riguarda tutti gli affidamenti diretti di valore superiore a 200mila euro annui (secondo il nuovo parametro) o che non abbiano i requisiti comunitari per l'in house (controllo analogo e prevalenza dell'attività a favore dell'ente affidante).
La scadenza di fine anno per queste gestioni ha tuttavia un'alternativa importante, poiché la riformulazione operata dal Dl 1/2012 consente alle società esistenti che siano affidatarie dirette di aggregarsi per una gestione unitaria dei servizi, avendo a riferimento l'ambito o il bacino territoriale ottimale.
Il percorso è esplicitamente indicato come derogatorio della norma generale, quindi lascia presumere la possibilità del mantenimento dell'in house anche per valori superiori ai 200mila euro, ma deve condurre a un'azienda frutto dell'integrazione operativa delle preesistenti gestioni dirette, con varie soluzioni possibili dalla fusione alla società consortile.
Tuttavia il nuovo gestore unico dopo il riassetto è destinato a operare con un vincolo temporale stretto, poiché il suo spazio di attività e limitato a tre anni, decorrenti dal 31.12.2012, nonché in base a condizioni rigorose sotto il profilo della qualità e delle garanzie per l'utenza.
La deroga è finalizzata a superare il frazionamento delle gestioni in molti contesti e a consentire la costituzione di organismi societari più forti e più efficienti, in grado di sostenere meglio il confronto con altri operatori economici nelle gare per l'affidamento dei servizi dimensionati sugli ambiti o sui bacini territoriali ottimali. Proprio questa prospettiva si collega alla nuova norma, definita nell'articolo 3-bis, comma 1, della legge 148/2011, che obbliga le Regioni a definire i bacini e gli ambiti ottimali per i servizi entro il 30.06.2012.
Il termine del periodo transitorio è stato ridefinito anche per le gestioni affidate a società miste nelle quali il socio privato, anche se scelto con gara, non sia risultato originariamente affidatario anche di specifici compiti operativi: in tal caso la scadenza degli affidamenti in essere è stabilita al 31.03.2012.
Restano invece invariate le disposizioni che consentono la prosecuzione delle gestioni alle società miste conformi alle norme Ue, che stabiliscono due scadenze per la progressiva dismissione delle quote o azioni di proprietà pubblica per consentire il mantenimento degli affidamenti in essere alle società quotate.
La complessa gestione delle nuove procedure di affidamento lascia presupporre che molte di esse giungeranno all'individuazione del nuovo gestore ben oltre le scadenze del periodo transitorio, tanto che il Dl 1/2012 ha introdotto una norma di salvaguardia. Per non pregiudicare la continuità nell'erogazione dei servizi di rilevanza economica, il nuovo comma 32-ter stabilisce che i soggetti gestori dei servizi assicurano l'integrale prosecuzione delle attività anche oltre le scadenze previste, fino al subentro del nuovo gestore e comunque, in caso di liberalizzazione del settore, fino all'apertura del mercato alla concorrenza (articolo Il Sole 24 Ore del 30.01.2012 - link a www.corteconti.it).

aggiornamento al 30.01.2012

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl Durc rimane solo per l'edilizia. Autocertificazione negli appalti pubblici sotto 20 mila euro. Una nota Inps-Inail spiega che la nuova normativa in realtà lascia immutata la disciplina speciale.
Durc non autocertificabile soltanto nei lavori privati edili; nel caso di appalti pubblici, invece, resta confermata la possibilità all'impresa di sostituirlo con un'autocertificazione. In particolare, non può essere autocertificato il Durc da presentare all'amministrazione concedente prima dell'avvio dei lavori edili, oggetto di permesso di costruire o di denuncia d'inizio attività. Nei contratti pubblici di forniture e servizi fino a 20 mila euro, invece, le imprese possono continuare a sostituire il Durc con una autodichiarazione.
È quanto si legge nella nota 26.01.2012 n. 573 di prot., firmata di Inail e Inps, ed emessa d'intesa con il ministero del lavoro.
Decertificazione e Durc. I chiarimenti riguardano l'operazione di «decertificazione» dalla legge n. 183/2011 (legge Stabilità), per effetto della quale è stata prevista la sostituzione delle certificazioni emesse dalle p.a. con le autocertificazioni (dpr n. 445/2000) dei diretti interessati. Tra l'altro la legge ha inserito l'articolo 44-bis al dpr n. 445/2000, il quale stabilisce che «le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi dell'articolo 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore».
Con
nota 16.01.2012 n. 619 di prot., il ministero del lavoro ha precisato che la novità della decertificazione non tocca il Durc: la previsione dell'articolo 44-bis al dpr n. 445/2000, ha detto il ministero, stabilisce semplicemente le modalità di acquisizione e gestione del Durc senza però intaccare in alcun modo il principio secondo cui le valutazioni effettuate da un organismo tecnico (nel caso, l'Inps o l'Inail) non possono essere sostituite da un'autocertificazione.
Settore privato. Di fatto, spiega la nota Inail-Inps, l'operazione di decertificazione lascia immutata la disciplina (che era e che rimane) speciale in materia di Durc; salvo la parte in cui offre la possibilità alle pubbliche amministrazioni di acquisire il Durc da parte del soggetto interessato per poi valutarne i contenuti con le modalità previste per la verifica delle autocertificazioni.
Tale possibilità, precisa la nota Inail-Inps, deve intendersi riferita solo ai casi in cui la normativa prevede espressamente la presentazione del Durc da parte dei privati; vale a dire alle ipotesi individuate dall'articolo 90, comma 9, del dlgs n. 81/2008 (T.u. sicurezza). In base a tale norma, il Durc deve essere trasmesso «all'amministrazione concedente, prima dell'inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività»; in tali casi quindi, in applicazione anche della nuova previsione dell'articolo 44-bis del dpr n. 445/2000, l'amministrazione che ha ricevuto il Durc può verificare in ogni momento la sua autenticità attraverso il contrassegno posto in calce al documento (la verifica può essere effettuata utilizzando l'apposito software gratuito disponibile sul sito www.sportellounicoprevidenziale.it).
Settore pubblico. Per le stesse ragioni, aggiunge la nota Inail-Inps, resta confermato l'obbligo di acquisire d'ufficio il Durc da parte delle stazioni appaltanti pubbliche e delle amministrazioni procedenti. E resta altresì confermata la fattispecie in cui è consentito all'impresa di presentare una dichiarazione in luogo del Durc, per espressa previsione di legge, ossia quando si tratti di ipotesi di contratti di forniture e di servizi fino a 20 mila euro stipulati con le p.a. e con società in house (articolo 38 del dlgs n. 163/2006 e articolo 4 della legge n. 106/2011). Anche in questi casi, le dichiarazioni rese dalle imprese restano soggette a verifica ai sensi dell'articolo 71 del dpr n. 445/2000, con l'acquisizione d'ufficio del Durc da parte dell'amministrazione che le riceve.
Infine, la nota Inail-Inps precisa che dal 13 febbraio prossimo la richiesta del Durc per le seguenti tipologie potrà essere effettuata esclusivamente dalle stazioni appaltanti pubbliche o dalle amministrazioni procedenti:
● appalto/subappalto/affidamento di contratti pubblici di lavori, forniture e servizi;
● contratti pubblici di forniture e servizi in economia con affidamento diretto;
● agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni e autorizzazioni (articolo ItaliaOggi del 28.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATARegolarità contributiva. Dal 13 febbraio.
Sarà la pubblica amministrazione a chiedere il Durc alle «casse».

Dal 13 febbraio la richiesta del Durc, il documento unico di regolarità contributiva, potrà essere effettuata solo dalle stazioni appaltanti pubbliche o dalle amministrazioni procedenti. La regola si applicherà nei seguenti casi: appalto/subappalto/affidamento di contratti pubblici di lavori, forniture e servizi e per contratti pubblici di forniture e servizi in economia con affidamento diretto e quelli per agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni ed autorizzazioni. Inoltre –spiegano Inps e Inail nella nota congiunta 26.01.2012 n. 573 di prot.– il Durc è un documento non autocertificabile. Il chiarimento arriva dopo le modifiche apportate dall'articolo 15 della legge 183/2011 al Dpr 445/2000.
I due enti ribadiscono quanto precisato dal ministero del Lavoro che con nota del 16 gennaio (si veda Il Sole 24 Ore del 18) si era espresso per la non autocertificabilità del Durc. In particolare il Lavoro ha chiarito che l'articolo 44-bis del Dpr 445/2000 stabilisce le modalità di acquisizione e gestione del documento senza però intaccare in alcun modo il principio secondo cui le valutazioni effettuate da un organismo tecnico, nel caso di specie istituto previdenziale o assicuratore, non possono essere sostituite da un'autodichiarazione.
Di conseguenza, l'inammissibilità dell'autocertificazione comporta l'esclusione del Durc dall'ambito di applicazione dell'articolo 40, comma 2, del Dpr 445/2000 secondo cui «Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: "Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi"».
I due istituti forniscono chiarimenti sulla possibilità per la Pa di acquisire un Durc, non un'autocertificazione, da parte del soggetto interessato, i cui contenuti potranno essere vagliati dalla stessa pubblica amministrazione con le modalità previste per la verifica delle autocertificazioni. Questa situazione può riferirsi solo alle ipotesi in cui il legislatore ha previsto espressamente la presentazione del documento da parte dei privati.
L'amministrazione che ha ricevuto il Durc potrà verificare, in qualsiasi momento, la sua autenticità attraverso il contrassegno posto in calce al documento (articolo Il Sole 24 Ore del 28.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIDECRETO SEMPLIFICAZIONI/ Sanzioni più blande alle false dichiarazioni. Certificazioni. Portato a un anno il tetto massimo dell'esclusione in caso di documentazione non veritiera.
Si ammorbidiscono le sanzioni per i fornitori della Pa che presentano false dichiarazioni o falsi documenti nelle gare di appalto: il decreto semplificazioni rende più flessibile la sanzione dell'esclusione dalle gare. Oggi infatti chi viene pizzicato con un documento falso o una falsa dichiarazione subisce in automatico l'esclusione dagli appalti di lavori, servizi e forniture per un anno. Con il decreto questo anno diventa il tetto massimo della sanzione e si affida all'Autorità di vigilanza sui lavori, servizi e forniture il compito di valutare l'effettiva gravità della condotta.
Al di là infatti dei casi gravi o palesi di aggiramento delle norme, nella prassi è capitato che alcuni fornitori autocertificassero, ad esempio, la piena regolarità fiscale o anche di non avere procedimenti giudiziari in corso. Poi all'atto del controllo è saltata fuori una contravvenzione non pagata o una cartella esattoriale «dimenticata», anche di importo minore. Ebbene anche per queste infrazioni lievi non c'era scampo: scattava l'esclusione per un anno, la stessa prevista magari per i grandi evasori. Una pena severa che spesso ha decretato la fine stessa dell'impresa. Ora il sistema è graduale: l'anno di espulsione è il limite massimo. Spetta all'Autorità valutare e decidere la durata, caso per caso.
L'altra grande novità del decreto è la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, anche questa affidata all'Autorità degli appalti. Partirà dal 2013 e sarà un grande data base in cui le amministrazioni riverseranno le informazioni sui requisiti di qualificazione alle gare, sia quelli generali (fedina penale, regolarità fiscale ad esempio), sia quelli tecnici ed economici (fatturato e dipendenti). Si va dalle notizie di Inps, Inail e casse edili sul Durc (documento unico di regolarità contributiva) al casellario giudiziale, fino ai certificati di esecuzione dei lavori.
L'obiettivo è fare in modo che le stazioni appaltanti non chiedano più certificati di verifica delle autocertificazioni ai concorrenti ma svolgano i controlli, in tempo reale, attraverso la Banca dati. Il Ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi ha stimato il risparmio di sola gestione amministrativa per le imprese in 140 milioni. Il suo Dipartimento in un dossier dell'era Brunetta aveva preventivato economie pari 1,3 miliardi per tutte le Pmi grazie alla Banca dati, calcolando che ogni piccola o media impresa partecipa in media a 27 gare l'anno. Anche i professionisti quando parteciperanno alle gare potranno autocertificare l'iscrizione all'Ordine.
Forse sulla scia delle polemiche sul restauro del Colosseo, il decreto regolamenta per la prima volta anche i contratti di sponsorizzazione per il restauro dei beni culturali. Si prevede l'obbligo di ricercare lo sponsor con un bando, in cui indicare se cerca solo un privato finanziatore o anche un soggetto in grado di progettare e realizzare il restauro. Sembra invece accantonato il progetto, contenuto nelle prime bozze, di eliminare la pubblicità legale di bandi e appalti dai quotidiani (articolo Il Sole 24 Ore del 28.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIDECRETO SEMPLIFICAZIONI/ Appalti, responsabilità meno cara. Il committente non deve pagare in solido le sanzioni per l'appaltatore.
IL PROBLEMA/ La solidarietà nei debiti verso i dipendenti non può essere arginata con il documento di regolarità contributiva.

Il decreto legge sulle semplificazioni tenta di attenuare la rigidità del regime relativo alla responsabilità solidale negli appalti tra committente e appaltatore. In base alle misure approvate ieri dal Consiglio dei ministri il committente resta responsabile in solido con l'appaltatore, per due anni dalla conclusione dell'appalto, per eventuali debiti di natura retributiva verso i lavoratori e contributiva e assicurativa verso gli istituti previdenziali.
Tuttavia, il Governo chiarisce che il committente non risponde per il pagamento delle sanzioni civili applicabili nel caso di inadempienze nelle obbligazioni retributive e contributive. La disciplina sulla solidarietà, nel settore privato, ha subito diverse modifiche. È stata introdotta nel 2003, con l'articolo 29 del decreto legislativo 276, il quale prevede che «in caso di appalto di opere o di servizi» il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti.
La Finanziaria del 2007 ha precisato che il regime di solidarietà opera anche per le obbligazione delle imprese subappaltatrici.
Altro intervento di rilievo è stato operato con l'articolo 35, comma 34, della legge 248/2006 (il decreto Bersani), che ha introdotto un ulteriore meccanismo di responsabilità solidale in materia di appalto.
Quest'ultima norma prevedeva che l'appaltatore era responsabile in solido con gli eventuali subappaltatori per il mancato adempimento dei debiti fiscali, contributivi e assicurativi connessi alle prestazioni di lavoro utilizzate per eseguire il contratto di appalto (il committente rispondeva con una sanzione amministrativa, ma la logica era la stessa). Questo tipo di responsabilità solidale poteva essere esclusa mediante l'adempimento di alcuni oneri di controllo: un soggetto rispondeva solo se ometteva di verificare, acquisendo la relativa documentazione prima del pagamento del corrispettivo, che gli adempimenti connessi con le prestazioni di lavoro dipendente erano stati correttamente eseguiti dal proprio fornitore.
Il meccanismo dell'esimente è stato abrogato in parte nel 2008, quando il Dl 93 ha cancellato la possibilità di ottenere l'esonero dalla responsabilità solidale mediante la richiesta della documentazione comprovante l'adempimento degli oneri fiscali, previdenziali e retributivi.
Sempre nel 2008, è stato riformato il regime di responsabilità solidale tra il committente, l'appaltatore e gli eventuali subappaltatori nella materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; l'articolo 26 del Testo unico (decreto legislativo 81/2008) ha regolato organicamente la materia, affermando anche su questo terreno il principio per cui chi affida lavori in appalto resta responsabile delle vicende dei lavoratori impiegati.
La materia è stata ancora ritoccata la scorsa estate, con l'articolo 8 della legge 111/2011, la norma che ha creato i contratti di prossimità. La norma assegna a tali contratti il potere di regolare in maniera diversa da quanto prevede la legge il regime di responsabilità degli appalti.
Questa lunga serie di modifiche normative testimonia la difficoltà del legislatore di trovare un assetto stabile della materia. Occorre trovare il punto di equilibrio tra le esigenze di tutela dei diritti maturati dai lavoratori (sul piano della contribuzione e della retribuzione) e la necessità di non ostacolare i processi di esternalizzazione e decentramento produttivo che rendono più efficienti le imprese. D'altra parte, per le imprese è spesso arduo capire se l'appaltatore abbia effettivamente rispettato gli obblighi nei confronti dei dipendenti. La richiesta del Durc, dell'elenco dei lavoratori e delle tipologie contrattuali utilizzate potrebbe costituire una prova della volontà dell'impresa committente di non essere coinvolta in situazioni irregolari.
Per le imprese resta prioritario anche arrivare a regolamentazione stabile, così da implementare un sistema di controlli che non deve essere ridisegnato ogni due o tre anni (articolo Il Sole 24 Ore del 28.01.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - VARIDECRETO SEMPLIFICAZIONI/ Addio a 7 milioni di certificati cartacei. Trasmessi online gli atti di nascita e matrimonio - La Pa risparmierà 10 milioni di euro.
MENO FILE ALLO SPORTELLO/ Confermati i cambi di residenza in tempo reale e l'obbligo per gli uffici pubblici di scambiarsi via web tutte le informazioni.

Il cittadino guadagnerà tempo, l'amministrazione risorse. È il duplice effetto che il Governo conta di ottenere con le semplificazioni sui certificati anagrafici. Con un conseguente risparmio di carta (7 milioni di atti in meno) e soldi (10 milioni di minori spese). Almeno a detta dell'Esecutivo.
A rivelare il possibile impatto del pacchetto di norme destinate ai cittadini è stato il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, nella conferenza stampa post Cdm. Le modifiche coincidono con quelle anticipate nei giorni scorsi su questo giornale. A cominciare dalla possibilità, concessa dall'articolo 6 del testo di entrata a Palazzo Chigi, di ottenere in tempo reale il cambio di residenza. Un fenomeno che secondo l'Istat ha interessato 1,4 milioni di cittadini. Per rendere effettivo il trasferimento basterà infatti comunicare il nuovo indirizzo all'ufficiale di anagrafe del municipio di destinazione. Toccherà poi a quest'ultimo, nei due giorni successivi, inoltrare la pratica per via telematica al Comune di provenienza.
L'impatto maggiore sulla vita quotidiana delle famiglie l'avranno però le disposizioni sui certificati on-line. L'articolo 9 obbliga le Pa a scambiarsi via internet una serie di dati in loro possesso: dalle comunicazioni tra Comuni di atti e di documenti di stato civile, anagrafici ed elettorali a quelle tra Comuni e questure in materia di pubblica sicurezza e immigrazione fino alle liste di leva. L'obiettivo esplicito è consentire a chi si presenta allo sportello di ottenere in via immediata la trascrizione di un atto di nascita, morte o matrimonio oppure la cancellazione o l'iscrizione alle liste elettorali. Ed è proprio da questa norma che il Governo spera di smaterializzare i 7 milioni di atti oggi prodotti in via cartacea e ridurre di almeno 10 milioni l'esborso per le spese di spedizione.
Confermate anche le novità in tema di carta d'identità. Raccogliendo il suggerimento giunto sul portale di Palazzo Vidoni da parte di un cittadino che si era trovato all'estero con il documento di riconoscimento scaduto, l'Esecutivo ha deciso di farne coincidere la data di scadenza con il compleanno del diretto interessato. Chiaramente nell'anno successivo a quello di scadenza naturale della carta, vale a dire 10 anni dopo il suo rilascio. Contestualmente viene portata da cinque a 10 anni la durata dei tesserini rilasciati dalle amministrazioni statali (ad esempio ad agenti di polizia e forze dell'ordine).
Il pacchetto di esemplificazioni per i cittadini include poi una modifica sui concorsi pubblici. A cui si potrà partecipare solo presentando via web la domande. Con la precisazione che a questa modifica dovranno adeguarsi anche le Regioni. Nello stesso articolo viene anche previsto, senza che questo intacchi il valore legale della laurea, che sia la Funzione pubblica, sentito il Miur, e non più un decreto del presidente del Consiglio a decidere sull'equiparazione dei titoli di studio e professionali e sull'equivalenza tra i titoli accademici e di servizio per l'ammissione al concorso.
A queste disposizioni di portata generale il provvedimento ne aggiunge altre settoriali. È il caso dell'eliminazione delle duplicazioni di adempimenti per i disabili. I verbali delle commissioni mediche integrate dovranno infatti riportare anche l'esistenza dei requisiti sanitari necessari per la richiesta di rilascio del contrassegno invalidi, per la riduzione dell'aliquota Iva sulle auto e per l'esenzione dal pagamento del bollo e dell'Ipt. Senza dimenticare la privacy (su cui si veda altro articolo a pagina 27). A detta di Patroni Griffi solo dall'eliminazione «della documentazione cartacea in materia di protezione dei dati personali, ferma restando tutta la normativa», arriverà un risparmio «di circa 320 milioni annui».
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IL NUMERO E I PUNTI CHIAVE DELLA RIFORMA
10 I milioni all'anno di risparmio per l'eliminazione dei certificati cartacei
Scadenze
I documenti d'identità e di riconoscimento rilasciati dopo l'entrata in vigore del decreto avranno scadenza il giorno e il mese di nascita del titolare del documento stesso immediatamente successivo alla scadenza che sarebbe altrimenti prevista per il documento.
Residenza
Il cambio di residenza avrà effetto dal giorno della richiesta in modo da evitare tempi di attesa (i cambi di residenza tra comuni diversi sono circa 1.400.000 all'anno, fonte Istat). Rimangono fermi i controlli previsti e le sanzioni in caso di dichiarazioni false.
Disabili
Via alle duplicazioni di documenti nelle certificazioni sanitarie a favore dei disabili. Il verbale di accertamento dell'invalidità può sostituire le attestazioni medico-legali richieste per il contrassegno per parcheggio o l'Iva agevolata per l'acquisto dell'auto.
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LE AMMINISTRAZIONI CAMBIANO PASSO
7 milioni - Certificati senza carta
Con il decreto sulle semplificazioni certificati, atti di stato civile e iscrizioni alle liste elettorali, passeranno dalla versione cartacea a quella online. Ogni anno, secondo le stime del Governo, sono circa sette milioni gli atti di questo genere prodotti dalla varie amministrazioni. I soli cambi di residenza effettuati ogni anno, secondo l'Istat, sono pari a un milione e 14mila. Questo provvedimento di «dematerializzazione» farà risparmiare alle amministrazioni circa 10 milioni l'anno.
50% - Tempi certi per le pratiche
Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento amministrativo il privato potrà rivolgersi al dirigente responsabile individuato dal vertice politico affinché questi, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario ad acta (articolo Il Sole 24 Ore del 28.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - VARIIl decreto legge semplificazioni. Un pacchetto di 68 articoli per semplificare.
Pubblichiamo la bozza del decreto legge su semplificazione e sviluppo che è stato esaminato ieri dal Consiglio dei ministri.
Le parti in nero rappresentano le ultime modifiche che sono state introdotte prima della riunione di ieri. Il testo potrebbe subire ulteriori modifiche in sede di coordinamento formale.
Sul sito internet del Sole 24 Ore (www.ilsole24ore.com) l'elenco delle leggi abrogate.
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TITOLO I - Disposizioni in materia di semplificazioni
Capo I - Disposizioni generali in materia di semplificazione
ARTICOLO 1 - Modifiche alla legge n. 241 del 1990 in materia di conclusione del procedimento e poteri sostitutivi
1. All'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n 241, i commi 8 e 9 sono sostituiti dai seguenti: «8. La tutela in materia di silenzio dell'amministrazione è disciplinata dal Codice del processo amministrativo. Tutte le sentenze che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell'amministrazione possono essere trasmesse in via telematica alla Corte dei conti; sono, in ogni caso, trasmesse le sentenze passate in giudicato. 9. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e contabile del dirigente e del funzionario inadempiente. 9-bis. Il vertice politico del l'amministrazione individua, nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in ... (articolo Il Sole 24 Ore del 28.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Se la decisione è comunicata prima della nomina va nominato un commissario. Sospensione non retroattiva. Atti validi fino alla notifica del provvedimento.
Il neoeletto sindaco di un comune può porre in essere gli atti di propria competenza, a far tempo dalla data di proclamazione degli eletti, pur in presenza di una condanna con sentenza non definitiva, per il reato di cui all'art. 317 c.p., per il quale l'art. 59, comma 1, del decreto legislativo n. 267/2000, prevede la sospensione di diritto dalla carica ricoperta?

Secondo un principio generale del nostro ordinamento le cariche elettive si assumono all'atto della proclamazione e non già a seguito della delibera di convalida degli eletti.
In ordine alla decorrenza della sospensione di diritto, secondo l'orientamento della Corte suprema di cassazione, «la previsione della operatività di diritto espressamente prevista dal comma 1 dell'art. 59 non consente alcun riferimento di ordine temporale e non può, quindi, considerarsi sinonimo di immediatezza; essa indica, invece, sia l'assenza di ogni discrezionalità da parte del giudice e, conseguentemente, degli organi amministrativi richiamati dalla stessa norma –allorché si accerti la responsabilità per uno dei reati previsti dal combinato disposto di cui al comma 1, lettera a) dell'art. 58 e dell'art. 59 del Tuel– e sia la sua applicazione in sede amministrativa, anche qualora il giudice penale abbia omesso di dichiarare la sospensione, atteso che trattasi di un effetto penale della condanna di natura provvisoria, la cui durata è prevista in misura fissa senza alcuna discrezionalità in merito.
La diversa interpretazione, secondo cui l'intervento del prefetto e quello del consiglio comunale hanno natura meramente dichiarativa, mentre il momento costitutivo è rappresentato unicamente dalla sentenza di condanna priverebbe del resto di ogni significato il comma 4 dello stesso art. 59 il quale prevede la comunicazione della decisione al prefetto il quale, accertata la sussistenza di una causa di sospensione, provvede a notificare il relativo provvedimento agli organi che hanno convalidato l'elezione o deliberato la nomina.
Non si vede, infatti, quale finalità dovrebbe soddisfare l'accertamento da parte del prefetto della causa di sospensione e la successiva comunicazione se la sospensione medesima dovesse intendersi già operante a seguito della sentenza. In tal caso, infatti, sarebbe sufficiente prevedere la comunicazione da parte della cancelleria direttamente all'organo consiliare
» (Cass. civ., sez. I, 08.07.2009, n. 16052). Pertanto, nel caso in questione, la sospensione dalla carica di sindaco decorrerà dalla data della notifica all'ente del provvedimento adottato dal prefetto.
Da ciò discende che qualora la notifica del provvedimento di sospensione intervenga dopo la nomina della giunta, gli eventuali atti posti in essere dal sindaco dovranno ritenersi validamente adottati. In tal caso, le funzioni di vertice dell'amministrazione comunale saranno svolte dal vice sindaco, secondo quanto previsto dal comma 2 dell'art. 53 del citato Testo unico, sino al termine del periodo di sospensione.
Diversamente, nell'eventualità che il provvedimento sia notificato anteriormente alla nomina della giunta, sarà necessario nominare un commissario prefettizio ex art. 19 del rd n. 383/1934, con i poteri di sindaco e giunta (articolo ItaliaOggi del 27.01.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Aspettativa non retribuita.
Qual è la corretta applicazione dell'art. 81 del decreto legislativo n. 267/2000, in materia di aspettativa non retribuita per gli amministratori locali lavoratori dipendenti? Tale disposizione, che prevede il pagamento degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dei consiglieri collocati in aspettativa a domanda, si applica anche nei confronti degli amministratori che si sono collocati in aspettativa per la rimozione della causa d'ineleggibilità disciplinata dall'art. 60, comma 1, n. 5 del Tuel, in quanto componenti di organi collegiali che esercitano poteri di controllo istituzionale sull'amministrazione del comune?

L'intervento legislativo dell'art. 2, comma 24, della legge n. 244 del 24.12.2007, che ha modificato l'art. 81 del decreto legislativo n. 267/2000, non ha inteso differenziare il nuovo regime normativo in relazione alle diverse motivazioni che si pongono alla base del collocamento in aspettativa non retribuita.
Pertanto, dovendosi riconoscere alla disciplina recata dall'art. 81 una valenza generale, il candidato alla carica consiliare collocato in aspettativa non retribuita per la rimozione della causa di ineleggibilità deve farsi carico di tutte le quote previste dagli oneri in questione.
Avvalendosi della stessa valutazione per quanto concerne il secondo aspetto del quesito, si rileva che nella fattispecie deve considerarsi maturata l'anzianità di servizio durante il periodo di aspettativa non retribuita per la presentazione della propria candidatura (articolo ItaliaOggi del 27.01.2012).

ENTI LOCALIMini-enti, proroga (quasi) a 360°. L'art. 16 slitta di nove mesi. Ma non i tagli alle poltrone. Il nuovo cronoprogramma verso l'associazionismo alla luce delle novità del milleproroghe.
Più tempo per le gestioni associate obbligatorie e per le dismissioni delle partecipazioni dei piccoli comuni. Nessun rinvio, invece, per i tagli alle poltrone di giunte e consigli.
Il disegno di legge di conversione del decreto milleproroghe (su cui ieri la camera dei deputati ha votato la fiducia con 469 sì e 74 no) oltre a sancire il differimento al 30 giugno del termine per l'approvazione dei bilanci di previsione, ricalibra la tempistica di attuazione delle controverse disposizioni che impongono ai municipi minori un complessivo riassetto organizzativo. L'auspicio degli interessati, ovviamente, è che questo lasso di tempo serva a modificare nel profondo tale disciplina, per molti versi discutibile, definendo una riforma più organica e condivisa attraverso la approvazione del c.d. codice delle autonomie.
Il testo del decreto legge n. 216/2011, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, si era limitato a prorogare di 12 mesi i termini (previsti dall'art. 14, comma 31, lett. a) e b), del dl 78/2010, come modificato dalla manovra di Ferragosto) entro cui i comuni fra 1.000 e 5 mila abitanti dovranno dare a vita ad unioni o convenzioni per esercitare in forma associata le funzioni fondamentali. Gli emendamenti approvati in commissione, invece, recuperando la più ampia previsione che si era affacciata nelle prime bozze del provvedimento, intervengono anche sull'art. 16 del dl 138/2011, che, come noto, ha imposto obblighi ancora più stringenti ai comuni fino a 1.000 abitanti, imponendo loro di aggregarsi per gestire la totalità delle funzioni e dei servizi.
Per effetto di tale novella, contenuta nei commi 11 e 11-bis dell'art. 29, quasi tutti termini previgenti vengono slittati in avanti di nove mesi (si veda, per maggiori dettagli, la tabella in pagina).
Pertanto, i piccolissimi comuni avranno tempo fino al prossimo 17 dicembre per trasmettere le proprie proposte di aggregazione alle regioni, che a loro volta recuperano il potere (da esercitare entro il 17.08.2012) di ridefinire soglie demografiche minime diverse da quelle previste dal legislatore statale (5 mila abitanti, che scendono a 3 mila per i comuni montani). Rinviata al 13.05.2013 (prima era fissata al 13.08.2012) la data che farà scattare, con il primo rinnovo amministrativo di uno dei comuni coinvolti, la decadenza delle giunte in carica e l'operatività dei nuovi organi delle unioni, che saranno soggette al Patto a partire dal 30.09.2014 (ma, di fatto, dal 2015, essendo difficile ipotizzare un assoggettamento in corso di esercizio). Tutto ciò non riguarderà i soli comuni che riusciranno a beneficiare della deroga concessa (anche in tal caso, con tempi più distesi) dal ministero dell'interno alle convenzioni di «qualità certificata».
Per i comuni fra 1.000 e 5 mila abitanti, invece, il primo appuntamento da segnare in calendario è il 30 settembre 2012: entro tale data, essi dovranno gestire almeno due delle sei funzioni fondamentali in forma associata, dando vita ad aggregazioni di almeno 10 mila abitanti (salva, anche in tal caso, una diversa soglia stabilita a livello regionale). Entro l'anno successivo, poi, l'obbligo si estenderà anche alle altre quattro funzioni. Nessuna proroga in tal caso, invece, per l'estensione del Patto, che per suddetti i comuni scatterà il primo gennaio del prossimo anno.
Fra i termini non prorogati, spicca anche quello previsto dall'art. 16, comma 17, del dl 138/2011, che prevede la riduzione del numero di assessori e consiglieri nei comuni fino a 10 mila abitanti: la mannaia, quindi calerà già dai prossimi rinnovi amministrativi.
Incerta, invece, la decorrenza dei divieto (previsto dal medesimo art. 16, al comma 18) di erogare i gettoni di presenza ai consiglieri dei comuni fino a 1.000 abitanti: tale disposizione, infatti, non è stata espressamente modificata, ma il relativo timing è regolato mediante rinvio al precedente comma 9, che invece è oggetto di una proroga espressa. Secondo l'Anci, il relativo termine (fissato al 13.08.2012) è da considerarsi invariato, ma sul punto sarebbe opportuno un chiarimento.
Qualche dubbio anche sulla tempistica dell'obbligo di dismettere le partecipazioni vietate ai comuni fino a 50 mila abitanti. Il milleproroghe sembra differire (dal 31.12.2012 al 30.09.2013) solo il termine riguardante i comuni fino a 30 mila abitanti, mentre per quelli fra 30 mila e 50 mila abitanti la dead line, come chiarito dalla Corte dei conti Lombardia (pareri n. 602-603/2011) rimane fissata al 31.12.2013.
Da segnalare, infine, la conferma della proroga al 31.12.2012 della soppressione delle Ato per acqua e rifiuti.
Il voto finale sul provvedimento è previsto per martedì prossimo, poi il decreto passerà all'esame del senato (articolo ItaliaOggi del 27.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTISEMPLIFICAZIONI/ Gare d'appalto, verifiche on-line. Banca dati nazionale per controllare le autodichiarazioni. Il pacchetto di misure è domani all'esame del consiglio dei ministri.
Semplificazione delle gare di appalto con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici gestita dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici che consentirà di verificare on-line la veridicità delle autodichiarazioni presentate dai concorrenti; eliminato ogni onere documentale a carico di imprese e professionisti che partecipano agli affidamenti di lavori, forniture e servizi; responsabilità in solido di committente, appaltatore e subappaltatore per i pagamenti dei lavoratori utilizzati per l'esecuzione dei contratti; al via il piano di edilizia scolastica.
Sono queste alcune delle novità contenute nello schema di disegno di legge sulle semplificazioni che sarà portato domani all'esame del Consiglio dei Ministri.
Una delle principali novità è rappresentata dalla istituzione presso l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici della Banca dati nazionale dei contratti pubblici che dovrà essere attiva a partire dal primo gennaio 2013. L'obiettivo della norma è quello di ridurre gli oneri amministrativi derivanti dagli obblighi informativi e di assicurare l'efficacia, la trasparenza e il controllo in tempo reale dell'azione amministrativa in materia di appalti, anche sotto il profilo della prevenzione dei fenomeni di corruzione.
Da inizio 2013 la banca dati dovrà acquisire tutta la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario che vengono chiesti per partecipare a procedure di aggiudicazione di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Sarà poi l'Autorità a mettere a punto, con propria deliberazione, i termini e le regole tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento e la consultazione dei dati contenuti nella predetta Banca dati (ivi compresa la definizione di modelli di certificazioni).
Il punto maggiormente rilevante della proposta contenuta nel pacchetto semplificazione risiede nell'obbligo, per le stazioni appaltanti di verificare il possesso dei requisiti “esclusivamente tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici”. Ciò significa che i partecipanti alle gare potranno qualificarsi alle procedure semplicemente con una autodichiarazione del possesso dei requisiti di carattere generale e speciale, mentre sarà cura del committente che ha bandito la gara, verificare che quanto dichiarato sia conforme alle risultanze documentali rese disponibili a questo fine dalla Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Conseguentemente a tale impostazione la norma prevede anche che sia soppresso l'obbligo di presentare sempre la certificazione inerente la regolarità contributiva, elemento che dovrà essere disponibile on-line per ogni stazione appaltante.
Se si pensa che una buona parte del contenzioso che attualmente si verifica nelle gare si colloca proprio nella fase di verifica dei requisiti, si può comprendere l'elevato grado di semplificazione e snellimento delle procedure che la norma determina. Per l'attivazione della banca dati la proposta prevede, per tutti i soggetti pubblici e privati che detengono dati e documenti relativi ai requisiti di partecipazione, un obbligo di messa a disposizione dell'Autorità; parallelamente gli operatori economici saranno tenuti ad integrare i dati contenuti nella Banca Dati nazionale dei contratti pubblici.
Sotto il profilo sanzionatorio la proposta del Governo incide sull'articolo 38, comma 1-ter, del Codice dei contratti pubblici, stabilendo che in caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto, la stazione appaltante segnali il fatto all'Autorità. Se poi l'autorità ritiene che le dichiarazioni siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, essa può disporre l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto fino ad un anno, decorso il quale l'iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia.
Semplificati anche gli oneri di pubblicazione di bandi e avvisi di gara: viene infatti soppresso l'obbligo di pubblicità per estratto sui giornali. Prevista anche una articolata disciplina sulle sponsorizzazioni, con ricerca dello sponsor mediante bando pubblicato sul sito istituzionale dell'amministrazione procedente per almeno trenta giorni e richiesta di offerte in aumento sull'importo del finanziamento minimo indicato.
Prevista per appalti di opere o di servizi, la responsabilità in solido del committente imprenditore o datore di lavoro con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, per il pagamento di trattamenti retributivi, compreso il Tfr, e i contributi previdenziali dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
All'articolo 60 si prevede poi un corposo piano di edilizia scolastica, gestito da Cipe su indicazione e ricognizione dell'Agenzia del demanio e interventi anche in project financing (articolo ItaliaOggi del 26.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOSEMPLIFICAZIONI/ Pagamenti lenti, danno erariale. Le sentenze dei Tar andranno trasmesse alla Corte conti. La mancata adozione dei provvedimenti costa cara ai dipendenti pubblici.
Contro i ritardi nei procedimenti amministrativi in campo la Corte dei conti, la responsabilità disciplinare ed erariale e l'esercizio di poteri sostitutivi.
Lo schema di disegno di legge sulle semplificazioni presentato dal Ministro della Funzione pubblica prende nuovamente di mira il rispetto dei tempi dei procedimenti amministrativi come elemento di qualità dell'azione amministrativa, introducendo disincentivi e sanzioni a violare i termini fissati dalle norme.
Corte dei conti. Ai sensi dell'articolo 2-bis, comma 1, della legge 241/1990 «Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento».
I ritardi, dunque, possono costare cari alle amministrazioni. Per questa ragione, lo schema impone di trasmettere per via telematica alla magistratura contabile tutte le sentenze dei giudici amministrativi che accolgano i ricorsi contro il silenzio inadempimento, cioè l'assenza di un provvedimento nei termini, che siano passate in giudicato. Destinataria della comunicazione deve intendersi la procura della Corte dei conti.
Responsabilità. Lo schema presentato dal ministro Patroni Griffi inasprisce il regime delle responsabilità. Attualmente, ai sensi dell'articolo 2, comma 9, della legge 241/1990, la mancata adozione del provvedimento finale nei termini costituisce elemento di valutazione solo dei dirigenti, influendo in particolare sulla responsabilità dirigenziale, non connessa ai singoli provvedimenti, ma alla complessiva conduzione delle strutture.
La modifica proposta punta, invece, direttamente sulla responsabilità individuale derivante dal singolo procedimento. Il ritardo, infatti, costituirà elemento di valutazione della performance individuale: dunque, ai fini delle schede di valutazione occorrerà tracciare se e in che misura ciascun singolo dipendente avrà causato ritardi. Ma non basta l'eventuale riduzione della valutazione: il ritardo potrà essere anche causa di responsabilità disciplinare, se, ovviamente, connesso o causa, di violazioni al codice disciplinare. Inoltre, il ritardo, nei casi di produzione di danno, sarà anche causa di responsabilità contabile (ma, anche se le norme attualmente non lo affermano espressamente è sempre stato così).
Lo schema di riforma della legge indica come soggetti responsabili sia il dirigente, sia il funzionario inadempiente.
Poteri sostitutivi. La riforma punta comunque ad assicurare al privato che un provvedimento, sia pure in ritardo, sia adottato. Pertanto i vertici politici degli enti dovranno individuare tra le «figure apicali» un soggetto cui attribuire un potere sostitutivo in caso di inerzia.
I cittadini potranno rivolgersi a tale soggetto una volta trascorsi inutilmente i termini dei procedimenti di loro interessi. Il sostituto potrà concludere il procedimento entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto (si deve presumere decorrente dall'istanza del cittadino), avvalendosi delle strutture amministrative competenti o anche nominando un commissario ad acta.
Il dirigente incaricato di sostituire gli inadempienti dovrà comunicare entro il 30 gennaio di ogni anno i procedimenti nei quali è intervenuto in via sostitutiva, così da permettere un quadro chiaro delle inadempienze.
In ogni caso, i provvedimenti adottati in ritardo su istanza dei cittadini da parte dei dirigenti sostituti dovranno indicare espressamente il termine previsto dalle leggi o dai regolamenti e quello effettivamente decorso.
Problemi applicativi. La riforma pone non poche questioni applicative. Basti pensare che tra i soggetti chiamati a rispondere a vario titolo dei ritardi non menziona minimamente il «responsabile del procedimento», ma parla impropriamente di «funzionari», termine che anche con le nuove declaratorie contrattuali non potrà che ingenerare equivoci. Nei confronti dei dirigenti, poi, sembra introdurre una sorta di responsabilità oggettiva per i singoli procedimenti condotti da altri, l'esatto opposto delle responsabilità organizzative di stampo manageriale.
Inoltre, la norma non distingue le responsabilità discendenti dai procedimenti avviati a istanza di parte e quelli d'ufficio. Il legislatore dimentica che nei riguardi dei primi il ritardo, se inteso come inerzia nel rilascio di provvedimenti favorevoli, in generale non si può determinare, visto che opera, ai sensi dell'articolo 20 della legge 241/1990, il silenzio-assenso.
Infine, negli enti locali si porrà il problema dei soggetti apicali. Nello Stato i dirigenti generali dispongono per legge di poteri sostitutivi, cosa che negli enti locali non sussiste (articolo ItaliaOggi del 26.01.2012).

aggiornamento al 26.01.2012

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALILIBERALIZZAZIONI/ Pubblicato in G.U. il decreto 1/2012 che elimina l'obbligo per i professionisti. Compensi, il preventivo non serve. Tutti gli oneri vanno comunicati. Non necessariamente per iscritto.
Il compenso del professionista va pattuito per iscritto solo se è il cliente a chiederlo. Gli iscritti agli ordini avranno il mero obbligo di comunicare il compenso al momento del conferimento dell'incarico indicando il dettaglio delle voci di costo, delle spese e dei contributi.
È quanto emerge dall'articolo 9, inserito nel decreto legge sulle liberalizzazioni n. 1/2012 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri, in tema di professioni regolamentate.
Tra la prima versione del dl uscita dal Cdm e quella (rivisitata) oggi disponibile la differenza è sostanziale giacché il preventivo, pena l'apertura di una procedura disciplinare, si rendeva necessario a prescindere che il cliente avesse conferito l'incarico (ante), mentre ora si parla chiaramente di determinazione degli onorari nel momento in cui il cliente ha effettuato la scelta (post), tenendo conto ulteriormente degli «oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico...».
Inoltre, è stato previsto che il «mandato professionale» (definizione più corretta), peraltro sempre predisposto dall'iscritto all'albo più oculato anche al fine di evitare ripensamenti ingiustificati da parte del cliente, oltre che all'indicazione presuntiva dell'onorario, debba indicare le singole prestazioni e tutte le ulteriori voci di costo, come spese, oneri e contributi. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera.
L'incarico professionale, inoltre, va coperto da assicurazione per eventuali danni causati nell'esercizio dell'attività professionale e i dati della polizza vanno comunicati ali cliente. L'inottemperanza di quanto disposto costituisce illecito disciplinare del professionista. Va ancora evidenziata la discriminazione tra gli obblighi posti a carico dei professionisti iscritti agli ordini, rispetto a quelli non iscritti che, guarda caso, non dovendo tenere conto di queste disposizioni, creano vere e proprie «alterazioni» del mercato (articolo ItaliaOggi del 25.01.2012).

ATTI AMMINISTRATIVISEMPLIFICAZIONI/ Venerdì il decreto in cdm. La carta d'identità scadrà il giorno del compleanno. P.a., solo comunicazioni on-line. Cambi di residenza in tempo reale. Verifiche soft sulle imprese.
Dovrà cadere il muro di incomunicabilità telematica che finora ha impedito alle pubbliche amministrazioni di scambiarsi dati online. L'obbligo, che per certi versi costituisce il corollario dell'abolizione dei certificati nei rapporti tra cittadini e p.a. disposta dalla legge di stabilità 2012, è sancito nel decreto sulle semplificazioni, messo a punto dal ministro della funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, e pronto ad approdare venerdì in consiglio dei ministri.
Viaggeranno on-line le comunicazioni relative alla tenuta e alla revisione delle liste elettorali, le comunicazioni tra i comuni e le questure e le annotazioni delle convenzioni matrimoniali inviate dai notai ai municipi.
Ma anche e soprattutto i cambi di residenza che oggi hanno bisogno di mesi per essere formalizzati e che in futuro dovranno essere perfezionati in tempo reale. Il trasferimento da un comune italiano a un altro (o dall'estero) produrrà effetti immediati nell'anagrafe del nuovo ente. Grazie a una nuova e più stringente tempistica che impone all'ufficiale di stato civile di informare entro due giorni mediante comunicazione telematica il comune di provenienza onde evitare che questo continui a emettere certificati intestati al soggetto che intende trasferirsi. E per venire incontro ai più distratti, il governo sta studiando la possibilità di estendere la validità dei nuovi documenti di identità al giorno del compleanno del titolare, in modo da scongiurare ogni possibile dimenticanza.
«Se una amministrazione ha dei dati e un'altra li cerca, dobbiamo fare in modo che i due enti comunichino direttamente, cittadini e imprese hanno bisogno di tempi certi», ha dichiarato il ministro. L'abbattimento dei tempi burocratici andrà di pari passo con la riduzione dei controlli sulle imprese. Le verifiche dovranno essere ispirate ai seguenti principi:
a) semplicità e proporzionalità dei controlli e degli adempimenti amministrativi;
b) eliminazione di attività di controllo non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici;
c) coordinamento e programmazione dei controlli da parte delle amministrazioni in modo da assicurare la tutela dell'interesse pubblico evitando duplicazioni e sovrapposizioni. Le p.a. dovranno pubblicare sul proprio sito istituzionale e sul sito www.impresainungiorno.gov.it la lista dei controlli a cui sono assoggettate le imprese in ragione della dimensione e del settore di attività, indicando per ciascuno di essi i criteri e le modalità di svolgimento delle relative attività;
d) collaborazione amichevole con i soggetti controllati;
e) informatizzazione degli adempimenti e delle procedure
f) soppressione di controlli sulle imprese in possesso di certificazione Iso o equivalente, per le attività oggetto di tale certificazione.
In arrivo anche un'autorizzazione unica ambientale per le piccole e medie imprese. Sarà rilasciata da un unico soggetto e sostituirà qualsiasi comunicazione, notifica e autorizzazione prevista dalla legislazione in materia ambientale (articolo ItaliaOggi del 25.01.2012).

VARIRequisiti per la patente accertati dal medico di base.
Requisiti psicofisici per la patente accertati dal medico di base. Rinnovo semplificato della licenza di guida degli ottantenni. Procedure più snelle per il rilascio del contrassegno invalidi. Scadenze allungate per il bollino blu.
Sono queste alcune delle novità in materia stradale previste dalla bozza del decreto legge semplificazioni all'esame del Governo. L'accertamento dei requisiti fisici e psichici per il rilascio della patente di guida potrà essere effettuato semplicemente dal medico di base. Non però nei confronti di chi ha compiuto ottanta anni, per i quali scatterà peraltro una semplificazione.
Infatti, gli ottantenni non dovranno più ottenere lo specifico attestato rilasciato dalla commissione medica locale a seguito di visita medica specialistica, ma dovranno comunque sottoporsi al classico accertamento presso l'unità sanitaria locale o presso gli altri uffici competenti ai sensi dell'art. 119, comma 2, del codice della strada. Semplificazione in arrivo anche per chi ha compiuto sessantacinque anni e deve rinnovare la patente per guidare autocarri di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 tonnellate, autotreni e autoarticolati, adibiti al trasporto di cose, la cui massa complessiva a pieno carico non è superiore a 20 t, e macchine operatrici: l'accertamento dei requisiti psico-fisici avrà cadenza quinquennale, anziché biennale. Procedure più semplici per il rilascio del contrassegno invalidi.
In presenza dei verbali delle commissioni mediche integrate di cui al decreto legge n. 78 dell'01.07.2009 non servirà più la certificazione medica rilasciata dall'ufficio medico-legale dell'unità sanitaria locale di appartenenza. Tali verbali, infatti, dovranno indicare anche l'esistenza dei requisiti sanitari necessari per il rilascio del contrassegno invalidi e, inoltre, saranno riconosciuti anche per l'esenzione dal pagamento del bollo auto e dell'imposta di trascrizione al Pra nei passaggi di proprietà. Già da quest'anno, dal momento in cui il decreto legge entrerà in vigore, saranno notevolmente diluite le scadenze per il controllo dei gas di scarico degli autoveicoli e dei motoveicoli.
Infatti, il controllo dei dispositivi di combustione e scarico dovrà essere effettuato solo in occasione della revisione periodica. Saranno dispensate dalla frequenza del corso di formazione preliminare per l'esame di idoneità alla professione di trasportatore su strada le persone che hanno superato un corso di istruzione secondaria di secondo grado, mentre saranno esentati dall'esame coloro che hanno diretto in via continuativa l'attività in una o più imprese di trasporto italiane o comunitarie da almeno dieci anni precedenti il 04.12.2009 e siano ancora in attività.
Infine, novità in arrivo per i divieti di circolazione dei mezzi pesanti fuori dei centri abitati. I giorni non festivi dovranno essere individuati dal consueto decreto ministeriale in modo da contemperare le esigenze della sicurezza stradale, correlate alle previsioni di traffico, con gli effetti dei divieti sull'attività di autotrasporto e sul sistema economico produttivo (articolo ItaliaOggi del 25.01.2012).

VARILIMITI VELOCITA'/ Parere Trasporti. Chi sbaglia paga solo per l'eccesso.
Non è ancora possibile sanzionare in modalità automatica gli automobilisti più negligenti che circolano senza adeguare la velocità alle caratteristiche ambientali. E neppure elevare verbali diversi da quelli tradizionali con strumenti come autovelox e photored a parte quelli per assicurazione tarocca.
Lo ha evidenziato il Ministero dei trasporti con il parere 20.12.2011 n. 6217.
Un comune ha richiesto chiarimenti sulle nuove multe automatiche formalmente sdoganate con la legge 120/2010. In pratica con l'ultima corposa riforma del codice della strada è stato allargato il novero delle infrazioni che possono essere accertate con l'uso di strumentazione elettronica, senza agenti. Tra queste ipotesi è prevista pure la possibilità, alquanto teorica, di accertare infrazioni in materia di velocità pericolosa. Ma solo dopo l'approvazione della strumentazione specificamente preposta. In mancanza di queste omologazioni il comune di Pistoia ha quindi richiesto chiarimenti al ministero.
Allo stato attuale, specifica il parere centrale, nessun misuratore elettronico è stato ancora omologato per accertare automaticamente, senza presidio, la velocità pericolosa dei veicoli. Nelle more della loro approvazione, prosegue il ministero, non è però neppure consentito forzare la mano utilizzando autovelox o altri strumenti omologati per altri usi al fine di immortalare comportamenti vietati e puniti dall'art. 141 del codice della strada. La velocità pericolosa, tra l'altro, corrisponde ad una valutazione qualitativa della condotta di guida che difficilmente può essere valutata da una macchina, seppure sofisticata.
Per questo motivo difficilmente, anche nel futuro, potremo avere misuratori omologati ad hoc per sanzionare chi circola non adeguando la sua velocità alle caratteristiche della strada, del tempo e del traffico. Resta vero, conclude il ministero dei trasporti, che da un accertamento automatico possono derivare anche ulteriori sanzioni. Ma al momento l'unica multa certa per chi incappa in un tutor, in un accesso abusivo in una zona ztl oppure in un autovelox sembra essere quella prevista dall'art. 193/4° del codice stradale, ovvero quella prevista per chi circola in mancanza di copertura assicurativa.
Lo prevede la legge 12.11.2011, n. 183 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, in vigore dall'01.01.2012 (articolo ItaliaOggi del 24.01.2012).

ENTI LOCALI - VARICatasto, slitta a fine giugno il termine per le case rurali.
Ancora una proroga per l'accatastamento dei fabbricati rurali. Slitta dal 31.03. al 30.06.2012 il termine per la presentazione delle domande di variazione catastale all'Agenzia del territorio. Le istanze sono finalizzate al godimento delle agevolazioni fiscali per i caseggiati rurali.
Lo prevede un emendamento approvato in commissione bilancio alla camera al ddl di conversione del dl Milleproroghe (dl 216/2011). Segnatamente all'articolo 29, comma otto. Il termine originario per l'accatastamento nelle categorie A6 (abitazioni rurali) e D10 (fabbricati strumentali) era inizialmente fissato al 31.09.2011. Il Milleproroghe ha concesso il rinvio della scadenza al 31.03.2012.
L'emendamento a fine giugno. Stime dell'ufficio studi Confagricoltura, a fine dicembre, rilevavano quasi quattro milioni di fabbricati rurali, di cui 1.100.000 abitazioni occupate, 350 mila case non occupate, 1.100.000 stalle e ricoveri per animali, 1.380.000 fabbricati adibiti a vari usi (tra cui 950 mila a depositi di macchine e attrezzi).
La norma del Milleproroghe fa salvo il classamento originario degli immobili rurali a uso abitativo. Ma alle variazioni catastali sono comunque interessati i titolari di immobili a uso strumentale, che intendono incassare l'inquadramento catastale nella categoria D10. Per costoro con l'Imu, nel 2012, non sarà più prevista l'esenzione, ma un trattamento agevolato con applicazione dell'aliquota del 2 per mille. Che i comuni potranno ridurre all'1.
Comunque sia, il 14.09.2011, un decreto del ministro dell'economia pubblicato in G.U. n. 220/2011, dando attuazione all'art. 7, commi 2-bis, e seguenti del dl sviluppo (70/2011), ha fissato le modalità procedurali per la presentazione delle domande di variazione catastale all'Agenzia del territorio al fine di ottenere i benefici fiscali sui fabbricati rurali (articolo ItaliaOggi del 24.01.2012).

ENTI LOCALIPiù tempo per approvare i bilanci negli enti locali.
Prorogato al 30 giugno il termine per l'approvazione dei bilanci degli enti locali e la deliberazione di aliquote e tariffe. Inoltre, per il 2012 comuni e concessionari possono riscuotere le entrate a mezzo ingiunzione facendo ricorso alle misure esecutive che la legge consente di adottare per la riscossione coattiva privilegiata a mezzo ruolo.
Lo prevede, in sede di conversione in legge, l'articolo 29 del dl Milleproroghe (216/2011). Più tempo, dunque, per le amministrazioni locali per predisporre i bilanci. La proroga trascina con sé anche il termine per deliberare i regolamenti su entrate, aliquote e tariffe.
Mai come quest'anno è opportuno il differimento del termine, considerato che dal 2012 i comuni sono tenuti ad applicare la nuova Imu, il cui gettito va diviso con lo stato. Nulla cambia, invece, per l'anno in corso. I comuni possono riscuotere direttamente le loro entrate spontanee o volontarie, tributarie ed extratributarie, o affidarle ai concessionari iscritti all'albo ministeriale. Non è più previsto l'obbligo di riscossione diretta che in un primo momento era stato imposto dall'articolo 7 del dl sviluppo (70/2011).
La norma è stata modificata dall'articolo 10 del dl Monti. L'unica eccezione è rappresentata dall'Imu. La nuova imposta locale potrà essere pagata dal contribuente solo con modello F24, anche se ancora deve essere chiarito in che modo va effettuato il versamento della quota statale. Il recupero coatto delle entrate locali può avvenire mediante ruolo o tramite ingiunzione fiscale, se svolto in proprio dall'ente locale o dai soggetti abilitati.
Proprio riguardo a quest'ultimo strumento è stato opportuno l'intervento legislativo, in sede di conversione dell'articolo 29 del dl Milleproroghe (216/2011), con il quale viene affermata in modo chiaro la sua utilizzabilità per il 2012 (articolo ItaliaOggi del 24.01.2012).

ENTI LOCALIDl milleproroghe. All'esame dell'aula lo slittamento della riduzione dei contratti flessibili di educatori e polizia municipale. Stop alle unioni dei piccoli enti. Rinvio a metà 2013 per gli accorpamenti e le gestioni associate sotto 5mila abitanti.
Si ferma la "razionalizzazione" disordinata dei Comuni sotto i 5mila abitanti prevista dalla manovra-bis di Ferragosto, e la pioggia di rinvii porta con sé anche lo slittamento in avanti dei termini entro cui gli enti fino a 50mila abitanti dovranno dismettere le proprie partecipazioni societarie.
Frutto del ricchissimo pacchetto enti locali inserito dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio di Montecitorio alla legge di conversione del Milleproroghe, che ha debuttato ieri in Aula alla Camera e che prevede anche il rinvio al 2013 per la tagliola del 50% al personale a tempo determinato dei servizi educativi e della Polizia locale, oltre a rinviare al 30 giugno il termine per l'approvazione dei bilanci preventivi (si veda anche Il Sole 24 Ore del 20 e 21 gennaio).
Lo stop alle Unioni obbligatorie per i 1.948 Comuni fino a mille abitanti, e alle gestioni associate imposte ai 3.735 sindaci che guidano enti compresi fra 1.001 e 5mila residenti, arriva sotto forma di una proroga di 9 mesi a tutti i termini critici previsti dalla manovra-bis (articolo 16 del Dl 138/2011). Il rinvio, almeno nelle intenzioni degli amministratori locali espresse dal coordinatore nazionale Anci piccoli Comuni, Mauro Guerra, se sarà confermato dall'Aula dovrà però servire a «modificare le parti più insensate dell'articolo 16, e dare vita rapidamente ad una normativa razionale ed efficace su piccoli Comuni».
I tempi supplementari concessi dal testo approvato in commissione non sono da poco. Le Unioni obbligatorie avrebbero dovuto "fondere" gli enti fino a mille abitanti in realtà di almeno 5mila abitanti (3mila in montagna, il tutto al netto di eventuali ritocchi regionali) a partire dai rinnovi elettorali successivi al 13.08.2012: il correttivo approvato in commissione propone di spostare il termine di riferimento al 13.05.2013, salvando quindi anche i Comuni interessati dal voto amministrativo il prossimo anno.
Il ritocco salva anche le Giunte negli enti fino a mille abitanti, che sarebbero state cancellate nel nuovo ordinamento, ma non ferma la sforbiciata imposta alla politica locale dal prossimo turno elettorale: il comma 17 dell'articolo 16, infatti, non viene imbarcato nel rinvio, per cui i consigli che usciranno dalle prossime elezioni avranno 6 posti negli enti fino a 3mila abitanti (e due assessori), 7 posti quando gli abitanti sono fra 3.001 e 5mila (tre assessori) e dieci posti (quattro assessori) nei Comuni fra 5.001 e 10mila abitanti.
Slittano a settembre 2013 anche la data per la gestione associata obbligatoria delle sei funzioni fondamentali nei Comuni fra 5.001 e 10mila abitanti (prevista dall'articolo 14, comma 31, del Dl 78/2010) e i termini entro cui gli enti fino a 50mila abitanti dovranno dismettere le partecipazioni "in eccesso" (fino a 30mila abitanti è previsto il divieto di detenere partecipazioni, fra 30.001 e 50mila è possibile mantenerne una, ma alla regola sfuggono le società con i conti in ordine).
Tra i commi della manovra di Ferragosto coinvolti dal rinvio c'è anche la riforma dei revisori contabili (articolo 16, comma 25), ma la firma del decreto attuativo da parte del ministro dell'Interno ha fatto partire il meccanismo che ora attende solo la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» e l'avvio del sistema informatico di nomina (si veda Il Sole 24 Ore del 21 gennaio).
I correttivi approvati in Commissione intervengono poi sui nodi più spinosi nella gestione del personale. Per quest'anno i Comuni non dovranno ridurre del 50% i contratti a tempo determinato per il personale educativo e scolastico e per quello impiegato nelle funzioni di Polizia municipale (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIPrimo effetto del Dl «Cresci-Italia». In house: gestioni sopra-soglia attive fino a dicembre.
Non è nel Milleproroghe, ma il primo effetto delle regole sulle società partecipate dagli enti locali previste dal decreto sulle liberalizzazioni varato venerdì scorso è un rinvio. Riguarda la decadenza automatica degli affidamenti diretti effettuati nei confronti di società in house oltre la soglia di valore consentita: il tetto, per effetto dello stesso decreto, scende da 900mila a 200mila euro annui, ma la tagliola scatta viene rinviata al 31 dicembre.
In pratica, gli affidamenti che superano il vecchio tetto di 900mila euro, e che avrebbero dovuto alzare bandiera bianca al 31 marzo, ottengono per questa via dieci mesi di vita aggiuntiva: tre anni in più, poi, sono possibili se le società si fondono in un'unica realtà di bacino, all'interno degli ambiti che dovranno essere individuati dalle Regioni.
Gli affidamenti al minimo
Dal 1° gennaio dell'anno prossimo, quindi, gli affidamenti diretti saranno ridotti al minimo, perché il nuovo tetto di valore esclude una grossa fetta di servizi, ma anche in questo caso la nuova regola aggiunge un tassello che si può rivelare importante: il divieto di affidamento diretto, infatti, non scatta se la società nei confronti del quale viene effettuato è l'unica a gestire il servizio all'interno dell'ambito territoriale ottimale.
Le novità sono contenute nell'articolo 25 del decreto «Cresci-Italia» approvato venerdì, che nell'ottica dichiarata della «promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali» rivede profondamente l'assetto delle regole introdotte dalle ultime manovre per disciplinare i rapporti fra Comuni e società in house.
Un altro piccolo rinvio introdotto dalla nuova normativa riguarda il decreto ministeriale che dovrà fissare le regole per la delibera di ricognizione dei servizi pubblici: la disciplina ministeriale dovrà vedere la luce entro il 31 marzo (il vecchio termine era fissato al 31 gennaio), ma la procedura diventa decisamente più stringente rispetto a quella in vigore fino a oggi.
La delibera, infatti, serve a "giustificare" sulla base di un'indagine di mercato la necessità di evitare la gara competitiva per seguire la vecchia strada dell'in house, ma nel nuovo quadro il parere dell'Antitrust diventa obbligatorio e vincolante per le future scelte dell'ente locale.
Nuovi vincoli all'in house
Per limitare il ricorso all'in house, il decreto di venerdì conferma alcuni vincoli già previsti dalla vecchia normativa ma ancora da attuare, e ne aggiunge di nuovi. Del primo gruppo fanno parte l'assoggettamento ai vincoli del Patto di stabilità, che ora si estende anche alle aziende speciali ma attende un decreto attuativo previsto fin dall'articolo 23-bis del Dl 112/2008 ma mai arrivato al traguardo.
Nell'attesa del decreto, però, la riforma pone un limite all'indebitamento: fino al varo delle nuove regole, infatti, i nuovi mutui assunti dalle affidatarie in house non possono far superare agli oneri annuali di ammortamento il tetto del 25% delle entrate effettive accertate nel bilancio dell'esercizio precedente.
Confermato anche l'obbligo di selezione del personale secondo i principi del concorso a evidenza pubblica previsti per le pubbliche amministrazioni dal Dlgs 165/2001, ma su questo versante le novità sono rilevanti. L'articolo 25, comma 4 del «Cresci-Italia» prevede infatti che le società affidatarie in house si adeguino anche alle «disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le consulenze anche degli amministratori».
Si tratta di un gruppo di regole particolarmente significativo dopo gli interventi taglia-spesa delle ultime manovre, per cui la previsione si traduce nell'estensione alle affidatarie dirette, tramite la via obbligata dei regolamenti autonomi, del blocco contrattuale, del tetto agli stipendi e delle regole che tagliano i trattamenti accessori nei primi giorni di malattia.
Una previsione draconiana, che potrebbe porre più di un problema applicativo viste le differenze contrattuali e di struttura stipendiale che le aziende presentano rispetto agli enti pubblici (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVISemplificazioni. Addio a 350 leggi inutili. Sanzioni al dirigente che sfora i tempi.
DECRETO SEMPLIFICAZIONI/ Sì ai cambi di residenza in due giorni e ai tempi certi nelle pratiche della Pa A rischio l'addio al bollino blu annuale.

«A volte è meglio un "no" piuttosto che un "ni" o nessuna risposta per tanto tempo». Il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, ha riassunto così la ratio del decreto sulle semplificazioni, che sarà venerdì in Consiglio dei ministri e che punta ad assicurare tempi certi a cittadini e imprese. Innanzitutto nei rapporti con la Pa: il dirigente che non completerà la pratica in tempo sarà sanzionato. Ma insieme alla sburocratizzazione dovrebbe arrivare anche l'eliminazione di 350 leggi inutili.
La conferma è giunta ieri dallo stesso responsabile di Palazzo Vidoni. Ai microfoni di Baobab su Radiouno Rai, Patroni Griffi ha parlato di un provvedimento che proseguirà le iniziative già realizzate da Roberto Calderoli. Il dipartimento della Funzione pubblica sta mettendo a punto l'elenco delle disposizioni da abrogare. Si partirà da un nucleo di 35 voci già individuate: si va dalla legge che disciplinava l'ora legale nel 1971 a quella sulle provvidenze per i rifugiati dalla Libia, fino alle disposizioni che rinviavano alcune elezioni amministrative o stabilivano la composizione del Cda del Viminale. A queste se ne aggiungeranno altre, individuate d'intesa con i dicasteri interessati, così da arrivare alle 350 citate dal ministro.
Passando agli altri contenuti, il cantiere sul Dl è più aperto che mai. Anche ieri si sono svolte riunioni tra i tecnici della Semplificazione e quelli dell'Economia. Nelle prossime 48 ore alcune norme potrebbero essere oggetto, se non di eliminazione, almeno di una riscrittura. Ad esempio il bollino blu annuale per auto e moto o dell'inserimento dei crediti delle cooperative di produzione e lavoro tra quelli considerati privilegiati.
Tra quelle sopravvissute alla verifica spiccano gli articoli che obbligano gli uffici pubblici a scambiarsi on-line i dati su anagrafe e stato civile oppure che rendono operativi i cambi di residenza in due giorni. Ma le novità per i cittadini non si fermano qui dal momento che la scadenza per le carte d'identità potrebbe essere fatta coincidere con il compleanno del diretto interessato.
Inoltre, come anticipato nei giorni scorsi su questo giornale, all'Inps dovrebbe essere affidata la gestione del «casellario dell'assistenza» con l'elenco di tutti i percettori di prestazioni sociali agevolate. Al tempo stesso verranno velocizzate alcune procedure per i soggetti con disabilità: basterà il verbale delle commissioni mediche integrate per ottenere il contrassegno di parcheggio, l'Iva ridotta sull'acquisto di veicoli e l'esenzione dal bollo auto e dall'Ipt.
Parecchio coinvolte dal provvedimento saranno anche le imprese. Come confermano l'obbligo per le Pa di pubblicare sul proprio sito istituzionale e sul portale www.impresainungiorno.gov.it la lista dei controlli a cui saranno sottoposte le aziende, la previsione di una serie di regolamenti governativi taglia-oneri da emanare entro fine 2012 e la punibilità dei dirigenti pubblici che non completeranno i procedimenti amministrativi nei termini: «La mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini –si legge in una delle ultime bozze di Dl– costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e contabile del dirigente e del funzionario inadempiente» (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALIPreventivo scritto su richiesta. Il cliente potrà sollecitare il conteggio - Tirocinio anche negli uffici pubblici.
LA PARTICOLARITÀ/ Atteso un decreto Giustizia-Economia con parametri per calcolare oneri e contribuzioni per la previdenza notarile.

Contrordine: il preventivo del professionista va messo per iscritto solo se a richiederlo è il cliente stesso. Si attenua la formulazione dell'articolo 9 del Dl liberalizzazioni (atteso per la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale») che individua l'obbligo deontologico di fornire per iscritto la pattuizione del compenso e una previsione di onorario. Il testo conferma il vincolo, tra cliente e professionista, di mettere nero su bianco il compenso per le prestazioni richieste (e i dati della copertura assicurativa) con il conferimento dell'incarico, la misura è «previamente resa nota al cliente anche in forma scritta se da questi (il cliente, ndr) richiesta».
Non è l'unica novità. Accanto al decreto ministeriale che dovrà fornire i parametri che servono al giudice nei casi di contenzioso e di liquidazione delle spese giudiziali, si profila un altro decreto Giustizia-Economia dove sono stabiliti «i parametri per oneri e contribuzioni alla Casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe». Un riferimento alla Cassa dei notai che basa i versamenti sul valore degli atti iscritti dai professionisti nel repertorio notarile. «Dall'onorario di repertorio –ha spiegato Paolo Pedrazzoli, presidente della Cassa del notariato– dipendeva non solo il calcolo dei contributi, ma anche le spese di funzionamento di Ordini e Consiglio nazionale, oltre che la cosiddetta tassa archivio di cui noi siamo solo esattori, visto che la giriamo allo Stato. Speriamo solo che il decreto con i nuovi parametri arrivi presto, perché la Cassa rischia di non poter avere versamenti per settimane. Se dovesse tardare, dovrò mantenere i vecchi parametri tariffari solo per calcolare gli oneri previdenziali».
Per evitare, però, che questi parametri possano rientrare come tariffe "mascherate" nella determinazione degli onorari, la norma chiarisce che ogni pattuizione di compenso fatta sulla loro base è nulla. Nessuna retromarcia, almeno in questa fase, sull'equo compenso per il praticante, già approvato lo scorso agosto con la legge 148/2011 ma cancellato dal decreto legge.
Infine, il tirocinio si arricchisce di una possibilità in più. Confermata la possibilità –previa convenzione tra Ordini e ministero dell'Istruzione– di svolgere i primi sei mesi di tirocinio (su 18 mesi al massimo) in concomitanza con i corsi universitari, analoghe convenzioni possono essere stipulate tra Consigli nazionali e ministero della Pubblica amministrazione per consentire, a laurea ottenuta, di poter svolgere il tirocinio, in tutto o in parte, presso pubbliche amministrazioni.
Capitolo-reazioni. I commercialisti delle sigle sindacali Sic e Andoc non si scandalizzano tanto per le misure sulle tariffe, quanto piuttosto per «i danni» delle semplificazioni su collegio sindacali e tirocinio. Nel primo caso –spiegano– la riduzione da tre a uno dei "controllori" nelle Srl «non comporterà un risparmio a carico delle piccole imprese destinatarie ma solo maggiori responsabilità a carico dei professionisti incaricati, sempre nominati dalla maggioranza societaria». Nel secondo caso, si profila la «mortificazione» del tirocinio.
Contro il Governo anche i giovani avvocati dell'Aiga, che se la prendono contro l'abolizione dell'equo compenso da erogare al praticante, introdotto con la manovra d'agosto: «È evidente –sottolinea il presidente di Aiga, Dario Greco– che il Governo è a favore dei giovani soltanto a parole, ma nei fatti è capace di sfornare esclusivamente provvedimenti punitivi».
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Le entrate in vigore
01 | TARIFFE E PREVENTIVI
Abrogate da subito. Così come l'obbligo di pattuizione scritta dei compensi e, a richiesta, del preventivo.
Due successivi decreti (senza scadenza) prevedono parametri per la liquidazione giurisdizionale dei compensi e per la determinazione di oneri e contribuzioni a fini previdenziali.
02 | TIROCINIO
Le norme sul tirocinio anticipato di 6 mesi all'università non sono subito applicabili perché necessitano di un accordo quadro tra Consigli nazionali degli Ordini e Miur. Stessa cosa per la possibilità di svolgere il tirocinio nella Pa.
03 | CONFIDI
Subito applicabile la norma che apre ai liberi professionisti il patrimonio dei condifi. Si applicano le norme del Dl 201/2011 (legge 214/2011).
04 | NOTAI
Entro 120 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta è atteso il decreto con la distribuzione per Comuni della nuova pianta organica aumentata di 500 posti.
Entro il 31.12.2012 sono espletate le procedure del concorso per la nomina di 200 notai e per i concorsi da 200 e 150 posti banditi nel 2010 e 2011.
Entro il 31.12.2013 è bandito un concorso per 500 posti. Entro il 31.12.2014 è bandito un concorso per 470 nuovi posti.
Sono invece immediatamente applicabili sia le norme relative al vincolo, per il notaio, di trascorrere almeno tre giorni la settimana nel suo studio e almeno uno ogni 15 per ciascun Comune o frazione aggregati, sia quelle che riguardano l'avvio dell'azione disciplinare da parte di procuratore della Repubblica e presidente del Consiglio notarile (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

VARI: Multiproprietà, acquisti verificati. Controlli allargati sulla regolarità catastale degli immobili. I chiarimenti in uno studio del Notariato sulla legge n. 122/2010. Escluse le vicende successorie.
Verifiche sulla regolarità catastale anche per gli immobili acquistati in multiproprietà. Nello studio n. 426-2011/C il Consiglio nazionale del notariato fornisce infatti importanti chiarimenti in merito al problema dell'applicazione della recente normativa che impone le verifiche catastali dei fabbricati prima del rogito (legge 30.07.2010, n. 122).
Come viene ricordato dai notai, qualsiasi atto di trasferimento costituzione o scioglimento di comunione di diritti in multiproprietà (atti pubblici e scritture private autenticate) su fabbricati già esistenti è assoggettato alla disciplina sulla regolarità catastale, con esclusione degli atti per causa di morte e delle vicende successorie.
La multiproprietà immobiliare. La regolarità catastale riguarda certamente la multiproprietà immobiliare. Tale ipotesi ricorre in primo luogo nel caso in cui il multiproprietario acquisti una quota di una specifica unità immobiliare facente parte di un maggior complesso condominiale con attribuzione del diritto di goderne e fruirne in un particolare periodo dell'anno e della quota millesimale delle parti comuni dell'edificio. È possibile però che il multiproprietario acquisti una quota indivisa di comproprietà dell'intero edificio condominiale unitamente ai servizi comuni in proporzione ai millesimi e con il diritto di godere specificamente di una determinata porzione esattamente individuata del fabbricato per certo periodo di tempo.
In entrambi i casi vi è l'obbligo del rispetto delle norme in materia di coerenza catastale. In particolare la valutazione di conformità dovrà avere ad oggetto rispettivamente nel primo caso la consistenza della singola unità immobiliare (e il richiamo alla relativa planimetria) e nel secondo caso dell'intero maggior fabbricato (e il riferimento alla relativa planimetria o alle relative planimetrie nel caso in cui oggetto della quota sia costituito invece da una pluralità di unità catastali) nonché naturalmente, in ambedue le ipotesi applicative, l'indicazione del tempo di utilizzo.
Al contrario, come precisa lo studio del notariato, si intendono esclusi dalla nuova normativa i cosiddetti «beni comuni non censibili», cioè i beni comuni a più unità immobiliari e privi di rendita catastale come per esempio scale, androni, aree comuni di passaggio, cortili condominiali che non presentano un'intestazione catastale e per i quali non è neppure prevista la redazione di una planimetria. Le nuove regole si applicano invece ai cosiddetti «beni comuni censibili», come per esempio l'alloggio del portiere, che, pur essendo comuni a tutti i condomini hanno una rendita catastale e per i quali la planimetria deve essere depositata in catasto.
La multiproprietà alberghiera. La multiproprietà alberghiera è caratterizzata dal fatto che oggetto del godimento turnario è una struttura recettizia collegata all'esercizio di un'impresa alberghiera. Di conseguenza il multiproprietario non può fruire dell'immobile nel proprio periodo senza l'intervento e la cooperazione del gestore alberghiero: in altre parole al titolare della multiproprietà alberghiera viene attribuito un godimento fondato su una comproprietà (dell'albergo o delle camere), ma che si esercita poi concretamente verso il gestore e solo con la sua cooperazione. Come evidenzia il notariato, perciò, spesso nei contratti di multiproprietà di tipo alberghiero non si riescono a trovare neppure elementi sufficienti ad individuare l'unità immobiliare sulla quale insiste il diritto del multiproprietario.
Tuttavia se il diritto del turnista riguarda una frazione millesimale sul bene immobile, anche in mancanza di un collegamento con una specifica unità (che verrà scelta di volta in volta dall'albergatore ed a lui assegnata), non viene meno il carattere reale della fattispecie e con esso l'obbligo del rispetto delle norme in materia di coerenza catastale.
I controlli del notaio. Prima della stipula di uno degli atti relativi alle ipotesi sopra dette, il notaio deve verificare che la quota dell'immobile sia regolarmente censito in catasto a nome del legittimo proprietario (o titolare del diritto reale), il quale al momento dell'atto deve dichiarare che i dati catastali e le planimetrie depositate in catasto corrispondono allo stato di fatto del fabbricato. Viene quindi chiesto al notaio di accertare se vi è o meno corrispondenza tra l'intestazione catastale e l'intestazione effettiva quale desumibile dalla visura da eseguirsi presso i registri immobiliari.
E, come sottolinea lo studio, il notaio non può limitarsi ad accertare e verificare passivamente i dati soggettivi, ma deve renderli effettivi e quindi è tenuto, prima della stipula, a procedere all'aggiornamento del catasto. Inoltre nel caso del multiproprietario cedente dovrà provvedere a controllare l'emersione dai registri catastali dell'esatta dimensione giuridica del diritto del cedente (cioè la quota di appartenenza del diritto sull'alloggio o edificio) nonché il tempo di fruizione, regolarizzando ed integrando eventuali scritture non complete negli archivi catastali
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Tutela ad ampio raggio per i consumatori.
Tutela della multiproprietà ad ampio raggio. La più recente definizione di questo particolare istituto giuridico, contenuta nel cd Codice del turismo di cui al dlgs n. 79/2011, consente infatti di applicare la normativa a tutela dei consumatori a molte fattispecie di più controversa interpretazione che ricorrono nella prassi del settore turistico. Lo ha evidenziato il recente studio n. 425/2001-C del Consiglio nazionale del notariato, sottolineando però come rimangano tuttora sul tappeto molte delle questioni dogmatiche sollevate nel tempo da questo controverso istituto.
La multiproprietà, infatti, nota anche come time sharing, attribuisce a più titolari nello stesso momento una serie di diritti molto ampi di utilizzo di un bene immobile e, da questo punto di vista, viene generalmente accostata alla proprietà, quale diritto reale disciplinato dagli articoli 832 e seguenti del codice civile. La coesistenza di più diritti è resa possibile dal fatto che il concreto esercizio degli stessi è periodico, ossia avviene secondo un avvicendamento temporale prefissato dalle parti al momento dell'acquisto. In altre parole, l'acquirente in multiproprietà, all'atto della stipula del contratto, è chiamato a scegliere tra i periodi dell'anno solare ancora disponibili quello di proprio gradimento, pagando un corrispettivo che normalmente varia in relazione al periodo.
La nuova definizione normativa di cui al dlgs n. 79/2011, in base al quale la multiproprietà è «un contratto di durata superiore a un anno tramite il quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di occupazione», diverge significativamente in più punti dalla precedente nozione legislativa, secondo cui detta fattispecie consisteva in «uno o più contratti della durata di almeno tre anni con i quali, verso pagamento di un prezzo globale, si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o trasferire, direttamente o indirettamente, un diritto reale ovvero un altro diritto avente a oggetto il godimento di uno o più beni immobili, per un periodo determinato o determinabile dell'anno non inferiore a una settimana».
Grazie a questa nuova e più ampia definizione, secondo il notariato, oggi possono trovare tutela una serie di tipologie contrattuali che in precedenza non rientravano nella nozione di multiproprietà: dai contratti relativi a un prodotto per le vacanze di lungo termine (che consistono in contratti di durata superiore a un anno in base ai quali un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di ottenere sconti o altri vantaggi relativamente a un alloggio, separatamente o unitamente al viaggio o ad altri servizi), i contratti di rivendita (ai sensi dei quali un operatore assiste a titolo oneroso un consumatore nella vendita o nell'acquisto di una multiproprietà o di un prodotto per le vacanze di lungo termine), nonché i contratti di scambio (ai sensi dei quali un consumatore partecipa a titolo oneroso a un sistema di scambio che gli consente l'accesso all'alloggio per il pernottamento o ad altri servizi in cambio della concessione ad altri dell'accesso temporaneo ai vantaggi che risultano dai diritti derivanti dal suo contratto di multiproprietà).
Esigenze di reale tutela del soggetto debole hanno poi correttamente imposto il superamento della definizione di acquirente e venditore a vantaggio di un riferimento onnicomprensivo alle figure, rispettivamente, del consumatore e dell'operatore professionista.
Per quanto riguarda il recesso dal contratto, al consumatore è concesso un periodo di 14 giorni, naturali e consecutivi, per pentirsi di avere stipulato il contratto, senza tra l'altro essere tenuto a specificare il motivo. Il termine in questione si calcola a partire dal giorno della conclusione del contratto definitivo o del contratto preliminare o dal giorno in cui il consumatore riceve uno di questi due contratti, se posteriore alla loro conclusione, e scade dopo un anno e 14 giorni a decorrere dalla data di cui sopra se il formulario di recesso separato allegato al contratto non è stato compilato dall'operatore e consegnato al consumatore per iscritto o dopo tre mesi e 14 giorni, a partire dalla stessa data, se le informazioni sono invece state fornite in forma scritta. Il consumatore che esercita il diritto di recesso non sostiene alcuna spesa e non è tenuto a pagare alcuna penalità (articolo ItaliaOggi Sette del 23.01.2012).

CONSIGLIERI COMUNALI: Il sindaco «vicino» può essere eletto.
È eleggibile alla carica di sindaco di un Comune un cittadino che ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco in altro Comune confinante. Così ha deciso il Tribunale civile di Padova.
Il caso riguardava due Comuni, Abano Terme e Montegrotto Terme, confinanti tra di loro. Un cittadino aveva ricoperto per varie volte consecutive la carica di sindaco nel Comune di Montegrotto Terme; alle elezioni del 2011 si era presentato come candidato sindaco per il Comune di Abano Terme, ed era stato eletto. Ma alcuni cittadini di Abano Terme hanno proposto ricorso al tribunale, affermando tra l'altro che era stato violato il comma 2 dell'articolo 51, che non fa alcun riferimento al Comune o ai Comuni in cui la carica di sindaco è stata ricoperta, ma prevede solo il fatto che una medesima persona fisica abbia rivestito la carica di sindaco in tre tornate elettorali consecutive, anche se riferite a Comuni diversi.
Questa tesi, indubbiamente sottile, non è stata accolta dal Tribunale, che ha invece stabilito che il comma 2 dell'articolo 51 contiene un'eccezione, non è suscettibile di applicazione analogica, e deve essere interpretato restrittivamente.
La sentenza è coerente con l'interpretazione che i giudici hanno stabilito per questa norma, ma la motivazione non è persuasiva. Infatti, essa non ha considerato che la qualificazione giuridica del territorio dei comuni è oggi cambiata rispetto al passato. Il territorio è anche oggi un elemento costitutivo dell'ente, ma vi sono molti rapporti giuridici che superano la circoscrizione comunale, e se vi è un contesto territoriale amministrativo che ha molti elementi comuni economici e sociali, si dovrebbe tenere conto di ciò, anche ai fini dell'ineleggibilità.
In contrario a quanto esposto si potrebbe obiettare che se un cittadino ha ricoperto in modo positivo la carica di sindaco nel Comune di x, non vi è ragione per vietargli di ricoprire -si presume in modo egualmente positivo- la stessa carica nel Comune di y, anche se è confinante con il Comune di x. Ma l'obiezione non sarebbe persuasiva  (articolo Il Sole 24 Ore del 23.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Progettazione. L'interpretazione del Dl Sviluppo (70/2011). La relazione acustica va fatta sempre da un tecnico abilitato.
IL CHIARIMENTO/ Il ministero dell'Ambiente conferma la lettura secondo cui l'asseverazione va sempre firmata da un professionista.

Serve l'opera di un tecnico: l'autocertificazione asseverata da un tecnico abilitato, che sostituisce la «valutazione previsionale di clima acustico» per le residenze nei Comuni dotati di piano comunale di azzonamento acustico (prevista dalla legge 447/95, articolo 8, comma 3), deve essere redatta da un tecnico competente in acustica.
L'interpretazione, già riportata sul Sole 24 Ore del 16.05.2011, è ora confermata dal ministero dell'Ambiente, nella risposta datata 30.11.2011 a un quesito della Fondazione regionale dell'Ordine degli ingegneri della Toscana.
La questione nasce dal Dl 70/2011 (il cosiddetto decreto Sviluppo, convertito dalla legge 106/2011) che all'articolo 5 prevedeva una serie di misure destinate a semplificare la burocrazia nelle costruzioni private. Tra le norme dell'articolo 5 –al comma 1, articolo e)– c'era anche quella che citava genericamente la «relazione acustica». Adesso viene confermato che questa relazione è da intendersi come quella definita dalla legge 447/1995, articolo 8, comma 3, cioè «valutazione previsionale di clima acustico» e il «tecnico abilitato» così definito nel decreto sviluppo altri non è che il «tecnico competente in acustica» ai sensi delle legge 447/1995, articolo 2, comma 6.
Si sottolinea, al di là dei dettagli burocratici, che l'autocertificazione può essere quindi resa in luogo della normale attività di progettazione normalmente svolta che prevede una analisi fonometrica di 24 ore supportata da calcoli sull'evoluzione del clima acustico dell'area che ospiterà l'intervento edilizio e conseguentemente sulla compatibilità di tale clima acustico con l'intervento previsto.
In caso di incompatibilità, sarà il costruttore a dover prevedere idonee opere di mitigazione sonora, quali ad esempio barriere antirumore, serramenti più silenziati, eccetera. Pertanto con l'autocertificazione il tecnico competente si assume una notevole responsabilità: di conseguenza, un tecnico coscienzioso non avallerà, sotto sua personale responsabilità, il rispetto con autocertificazione senza aver svolto un progetto di calcolo analitico e dettagliato (articolo Il Sole 24 Ore del 23.01.2012).

aggiornamento al 23.01.2012

INCARICHI PROFESSIONALILIBERALIZZAZIONI/ Approvato in consiglio dei ministri il decreto legge sulla concorrenza. Professioni, nuovi adempimenti. Scatta l'obbligo del preventivo scritto e dell'assicurazione.
Nuovi adempimenti per i professionisti. Debutta l'obbligo del preventivo scritto da rilasciare al cliente sulla prestazione richiesta. E soprattutto scatta il vincolo della polizza assicurativa sui danni eventualmente causati dall'esercizio dell'attività professionale. Vanno quindi in soffitta i tariffari (non più vincolanti dal 2006 ma comunque indicativi) per definire l'onorario su una determinata prestazione.
A meno che non sia il giudice a dover calcolare tale compenso. In questo caso sarà possibile utilizzare i parametri stabiliti con decreto del ministero vigilante (cioè gli stessi tariffari vietati fra privati). Sono queste alcune delle previsioni contenute nel decreto legge sulle liberalizzazioni approvato ieri in consiglio dei ministri.

Tariffe. Il governo sceglie la linea soft (rispetto alle ipotesi della prima ora). Se in una prima versione la definizione del compenso era rimessa alla completa contrattazione fra le parti, nel decreto approvato si rimane confermata l'abrogazione delle tariffe delle professioni nel sistema ordinistico ma il giudice, in caso di liquidazione dei compensi, potrà fare riferimento ai parametri stabiliti con decreto del ministero vigilante.
Questa parte, in un primo momento non c'era. Ma non solo. Restando in tema di compensi, questi devono essere calcoli in base all'importanza dell'opera e vanno pattuiti (oltre che per iscritto) in modo omnicomprensivo. Il che vuol dire che il professionista avrà la possibilità di quantificare la qualità e il rischio della prestazione.
Preventivo. In nome della trasparenza, il decreto conferma che il professionista deve rilasciare un preventivo scritto con il prezzo della prestazione richiesta dal cliente. L'atto deve essere corredato del grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico. L'inottemperanza di quanto disposto costituisce illecito disciplinare e in quanto tale sarà sanzionabile dall'ordine.
Assicurazione. Rappresenta la vera novità del provvedimento. In una prima versione del Dl, infatti, si prevedeva solo l'obbligo per il professionista di indicare nel preventivo se era titolare o meno di una polizza assicurativa. Nella versione approvata ieri invece scatta un vero e proprio vincolo. Anticipando così una misura contenuta all'articolo 3, comma 5, della legge nella legge 148 del 2011. E non è l'unica.
Tirocinio. Un'altra misura che il governo ha inteso anticipare, infatti, è quella sui tirocini. Nel confermare che il periodo di pratica in studio utile ai fini della partecipazione all'esame di stato non potrà essere superiore ai 18 mesi, si prevede che sei mesi potranno essere svolti durante il corso di laurea. Servirà però una convenzione quadro ad hoc stipulata fra i consigli nazionali degli ordini e il ministro dell'istruzione, università e ricerca.
Questa disposizione non si applica alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente. In materia di tirocinio però, il governo ha fatto saltare (indirettamente) l'equo compenso previsto per il giovane che nella legge 148/2011 era previsto. Il decreto, sopprime, fra le altre cose, dalla Manovra di Ferragosto alcune sue parti. Una di queste (articolo 3, comma 5, lettera c - secondo periodo) è proprio la previsione della remunerazione per il praticante.
Notai. Più concorrenza fra i notai. L'attuale pianta organica (che prevede sulla carta 5.779 professionisti in servizio anche se al momento ce ne sono poco meno di 4.700), come revisionata da ultimo con i decreti del ministero della giustizia il 23.12.2009 e in data 10.11.2011, è aumentata di 500 posti. Per arrivare a questo risulto si procederà con una serie di concorsi a raffica. Non prima, però, di aver concluso quelli in corso.
Al momento infatti ci sono tre bandi che aspettano di essere conclusi per 550 posti. Il decreto prevede che entro il 2012 siano espletate tutte le procedure per la nomina dei professionisti nei vari distretti che ne necessitano. In un secondo momento, cioè entro il 31.12.2013, ci sarà un nuovo bando per altri 500 posti. Entro il 31.12.2014 toccherà ad altri 470 notai. Così facendo, a giudizio dell'esecutivo, ci saranno abbastanza professionisti sul mercato da creare la concorrenza necessaria.
Tuttavia, «per assicurare il funzionamento regolare e continuo dell'ufficio, il notaro deve tenere nel comune o nella frazione assegnatagli studio aperto con il deposito degli atti, registri e repertori notarili, e deve assistere personalmente allo studio stesso almeno tre giorni a settimana e almeno uno ogni 15 giorni per ciascun comune o frazione di comune aggregati».
Confidi. Nella maggioranza del capitale sociale dei consorzi fidi e delle società cooperative che esercitano l'attività di garanzia collettiva fidi spazio ai liberi professionisti. È quanto emerge dal decreto che modifica il comma 7, del dl n. 201/2011 (cosiddetta «manovra Monti»), convertito nella legge n. 214/2011. I consorzi di garanzia collettiva dei fidi sono enti costituiti nella veste giuridica di cooperativa o società consortile, che esercitano in forma mutualistica attività di garanzia collettiva dei finanziamenti in favore delle imprese socie o consorziate.
La modifica introdotta estende la partecipazione anche ai liberi professionisti (soci) a prescindere dall'attività esercitata che, insieme alle piccole e medie imprese (Pmi), devono detenere almeno la metà più uno dei voti esercitabili in assemblea, con il diritto a nominare gli organi con funzione di gestione e controllo strategico, di cui al richiamato art. 39, dl n. 201/2011 (articolo ItaliaOggi del 21.01.2012).

APPALTI SERVIZIServizi locali, tre anni di in house a chi si fonde.
NUOVA SOGLIA/ Scende a 200mila euro il valore contrattuale minimo per l'affidamento senza gara dei servizi ad aziende controllate dall'ente locale.

Le aziende di servizi pubblici locali che si accorperanno per servire un bacino di traffico più ampio e di dimensione almeno provinciale potranno godere di tre anni di continuazione dell'affidamento in house. È una delle misure che intendono incentivare la crescita dimensionale delle imprese (soprattutto pubbliche) operanti oggi nei mercati piuttosto polverizzati dei servizi pubblici locali.
Il ministro per lo Sviluppo, Corrado Passera, ha esplicitato questo obiettivo che si potrebbe definire di politica industriale con riferimento esplicito al settore dei trasporti, ma la lettura delle norme approvate ieri svela che il trattamento di favore riguarda anche gli altri settori che ricadono sotto la disciplina generale dei servizi pubblici locali, come per esempio la raccolta e la gestione dei rifiuti. Per altro, le aziende che si accorpassero per raggiungere la dimensione auspicata avrebbero anche una serie di vantaggi in termini di minori vincoli del patto di stabilità.
Non è questa l'unica riforma forte in materia di servizi pubblici locali. Il Governo ha deciso di rafforzare, su proposta del ministro delle Regioni, Piero Gnudi, le regole che favoriscono la concorrenza. Per l'in house, per esempio, nell'affidamento senza gara dei servizi ad aziende pubbliche controllate al 100% dall'ente locale, la soglia che oggi è fissata a 900mila euro di valore contrattuale scende a 200mila euro.
In questa direzione anche l'obbligatorietà del parere dell'Autorità Antitrust nel caso in cui un comune rinunci allo svolgimento di un servizio in regime di completa liberalizzazione e decida di confermare lo svolgimento del servizio «in esclusiva» o in concessione. Non ci sarà il silenzio-assenso: i comuni avranno bisogno comunque del parere favorevole dell'Autorità per poter varare la delibera quadro che assegna i servizi in monopolio.
È entrata, alla fine di un lungo tira e molla, anche la norma che reintroduce l'obbligo di gara per il settore del trasporto ferroviario regionale, che nell'attuale disciplina è escluso dal regime generale per una deroga esplicita (insieme a energia elettrica, gas e farmacie). La norma approvata ieri reintroduce l'obbligo per le Regioni di affidare il servizio con una gara ma fa salvi i contratti che le Regioni hanno già firmato in questi anni con Trenitalia per un periodo "protetto" di sei anni.
Non vengono salvati invece gli eventuali rinnovi per ulteriori sei anni che pure erano previsti dalla legge ad hoc. Alla scadenza dei contratti attuali, quindi, gara obbligatoria. L'altro effetto di questo compromesso è che non rischiano di essere azzerati i contratti in essere, come invece avverrà per tutti gli altri affidamenti a servizi pubblici avvenuti in passato senza gara (articolo Il Sole 24 Ore del 21.01.2012).

ENTI LOCALI - VARICasa ai parenti con l'Imu piena. Non più permessa l'assimilazione all'abitazione principale.
ItaliaOggi pubblica le risposte ai quesiti sul tema della nuova imposta municipale propria (Imu) posti dai telespettatori al videoforum ItaliaOggi-Ipsoa.
FABBRICATO CONCESSO A PARENTI
Vorrei capire come viene tassato dall'Imu un immobile utilizzato per intero (posseduto al 100% senza alcun atto) come abitazione principale da un soggetto proprietario per 1/3 e come viene tassato per gli altri familiari proprietari per 2/3; segue le stesse regole dell'Ici?
Risposta
Posto che per verificare il reale impatto dell'Imu si deve attendere l'emanazione dei regolamenti dei singoli comuni e i necessari chiarimenti ministeriali e che l'aliquota dello 0,76% dovrà essere applicata anche all'immobile concesso in uso gratuito a parenti del proprietario (immobili che, in vigenza dell'Ici, godevano dell'esenzione dal tributo in presenza di un regolamento comunale che prevedeva l'assimilazione all'abitazione principale), si ritiene che l'imposta possa essere determinata come di seguito indicato, trattandosi di unità immobiliare inserita nella categoria «A»:
- proprietario (1/3), dimorante e residente: utilizzare la rendita catastale vigente all'01.01.2012, da rivalutare del 5% e moltiplicando il prodotto ottenuto per il moltiplicatore 160, applicando all'ulteriore valore l'aliquota ridotta dello 0,4%. Ottenuta l'imposta, applicare la totale detrazione pari a 200 euro e l'eventuale maggiorazione di quest'ultima;
- familiari proprietari: stesso calcolo per ottenere la base imponibile (rendita x 1,05 x 160) utilizzando, però, l'aliquota dello 0,76% senza decurtare alcuna detrazione.
RENDITA FABBRICATI STRUMENTALI
Per quei fabbricati che, alla data del 16.06.2012, si troveranno ancora censiti al catasto terreni, la manovra prevede che il contribuente debba utilizzare la rendita attribuita a fabbricati similari e, in presenza di scostamenti tra la rendita presunta e quella proposta dal contribuente e accettata dall'Agenzia del territorio sarà il comune a effettuare le operazioni di conguaglio.
Sul punto si chiedono chiarimenti in merito al fatto che la rendita presunta debba essere utilizzata anche per i fabbricati strumentali o se invece, per tali immobili, purché interamente posseduti da imprese agricole e distintamente contabilizzati, si debba fare riferimento ai valori contabili, stante il fatto che il comma 3, dell'articolo 13, dl n. 201/2011 richiama espressamente il comma 3, dell'art. 5, del dlgs 504/1992.
Risposta
Il quesito è stato inoltrato all'Agenzia delle entrate ancor prima che il gentile lettore lo avesse prodotto, essendo un problema ricorrente e già evidenziato dalla più attenta dottrina.
Purtroppo, però, l'Agenzia delle entrate non ha fornito un chiarimento preciso, permanendo allo stato attuale l'incertezza evidenziata e dovendo fornire un'indicazione basata esclusivamente sulle disposizioni vigenti.
Si ricorda, infatti, che le costruzioni rurali censite al catasto terreni, ai sensi del comma 14-ter, dell'articolo 13, dl n. 201/2011, nella stesura definitiva, dovranno essere censite al catasto fabbricati entro il 30/11/2012 e che (comma 14-quater) l'Imu deve essere corrisposta, a titolo di acconto, sulla base della rendita delle unità similari già iscritte in catasto.
Nel caso specifico, però, per quanto concerne in particolare i fabbricati classificabili nella categoria «D», se interamente posseduti da imprese agricole e distintamente contabilizzati, fino al momento del richiesto accatastamento, la base imponibile si ritiene debba essere quantificata con riferimento ai «valori contabili» indicati nel comma 3, dell'art. 5, dlgs n. 504/1992, poiché espressamente richiamato dal comma 3, dell'art. 13, del dl n. 201/2011.
DIFFERENZE TRA IMU E ICI
Quali sono le differenze principali tra Imu e Ici, oltre a quella di dover pagare L'Imu nel caso di abitazione principale e non con l'Ici.
Risposta
Per quanto richiesto, si può evidenziare che, per esempio, il nuovo tributo, ancorché con aliquota ridotta (0,4%), si rende applicabile anche sull'abitazione principale, impattando sulla totalità dei contribuenti italiani.
Inoltre, l'Imu introduce nuovi moltiplicatori ai fini della determinazione della base imponibile che comportano, a decorrere dal 2012, un aumento medio del 60% dei valori catastali degli immobili, ancorché gli stessi siano utilizzati esclusivamente per la determinazione del tributo locale (resta esclusa l'applicazione, per esempio, per determinare il valore catastale ai fini dell'imposta di registro e delle donazioni e successioni).
La nozione di abitazione principale ricalca quella dell'Imu a regime ma è diversa rispetto da quella dell'Ici, poiché occorre la coincidenza della dimora abituale con la residenza anagrafica e che sia presente un'unica unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto, mentre le pertinenze devono essere collocate nelle specifiche categorie (C/2, C/6 e C/7) con assegnazione dell'agevolazione per l'abitazione principale a una soltanto di esse (due posti auto, uno solo agevolato).
Saltano alcune agevolazioni, quella più nota prescritta dall'art. 59, dlgs n. 446/1997 che prevedeva la possibilità di equiparare all'abitazione principale le unità abitative concesse in uso gratuito (comodato) a parenti e talune esenzioni prescritte dall'art. 7, della legge n. 504/1992.
Del tutto nuove sono l'aliquota dello 0,4%, riferita all'abitazione principale e quella dello 0,2% per le costruzioni rurali strumentali che, insieme alle unità abitative rurali, erano esenti ai fini Ici, se classate nelle categorie specifiche «A/6» (abitazioni) e «D/10» (strumentali).
Infine, si nota un depotenziamento della potestà legislativa dei comuni e, nonostante la definizione «municipale», il 50% dell'introito derivante dall'applicazione dell'aliquota ordinaria dello 0,76% è destinato alle casse dello stato.
ESENZIONI TERRENI AGRICOLI
Vorrei sapere se l'esenzione prevista dalla normativa Ici per i terreni agricoli in zone montane è confermata anche dalla disciplina dell'Imu.
Risposta
Come indicato direttamente in sede di Video Forum 2012, i terreni agricoli collocati nelle aree montane o di collina, delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 984 del 1977, restano esenti dall'imposizione.
Si aggiunge, inoltre, che l'elenco dei comuni è rilevabile all'interno della circolare n. 9/249 del 14.06.1993 (sul tema, risoluzione 17/09/2003 n. 5/DPF e Suprema Corte di cassazione, sentenza 29/10/2010 n. 22125).
FABBRICATI IN CATEGORIA E
I fabbricati accatastati in categoria «E» sono soggetti all'Imposta Municipale Propria sperimentale?
Risposta
Le disposizioni inerenti all'imposta municipale propria «sperimentale» fanno espresso rinvio alle disposizioni indicate negli articoli 8, 9 e 14, commi 1 e 6, del decreto legislativo n. 23/2011, concernente le disposizioni in materia di «Federalismo fiscale».
Nel rispetto del comma 8, dell'articolo 9, del citato decreto sul federalismo fiscale, richiamato espressamente dai commi 1 e 13 delle disposizioni sull'imposta municipale, come appena indicato, sono esenti dal pagamento del tributo i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie da «E/1» a «E/9»; trattasi di tutti quegli immobili a destinazione particolare come le stazioni per servizi di trasporto (terrestri, marittimi e aerei), ponti comunali e provinciali soggetti a pedaggio, costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche, recinti chiusi per speciali esigenze pubbliche, fabbricati costituenti fortificazioni e loro dipendenze, fari, semafori, torri per rendere d'uso pubblico l'orologio, fabbricati destinati all'esercizio pubblico dei culti, fabbricati e costruzioni nei cimiteri, con esclusione dei colombari, i sepolcri e le tombe di famiglia e gli edifici a destinazione particolare (categoria residuale).
ESENZIONI IMU PER DISABILI
È ancora attuale l'esenzione Imu per la prima casa abitata da disabile grave?
Risposta
Sul punto non si può che ricordare che il comma 8, dell'articolo 9, del dlgs n. 23 del 2011, espressamente richiamato dal comma 13, dell'art. 13, del dl. n. 201/2011 dispone che «_ sono esenti dall'imposta municipale propria gli immobili posseduti dallo stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati ai compiti istituzionali. Si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall'articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h) e i) del citato decreto legislativo 504/1992_».
Inoltre, il comma 10, dell'art. 13 in commento ha esteso determinati benefici (aliquota ridotta e detrazione d'imposta) alle fattispecie indicate nel comma 3-bis, dell'art. 6, dlgs n. 504/1992 (casa coniugale o ex coniugale, unità abitative possedute dalle cooperative edilizie a proprietà indivisa, alloggi assegnati dagli Iacp), mentre è possibile applicare l'aliquota ridotta e la detrazione per abitazione principale per le unità immobiliari utilizzate da «anziano» o «disabile», con residenza acquisita in istituti di ricovero a seguito di ricovero permanente, purché non locato.
Rientra, però, nella potestà regolamentare dei comuni di estendere le agevolazioni previste per l'abitazione principale agli anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, ai sensi del comma 10, dell'articolo 13.
Non si riscontra, almeno nella disciplina Imu una specifica esenzione per la prima casa abitata da disabile grave, se dallo stesso utilizzata in assenza di ricovero permanente (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti tracciati, rinvio a giugno. Funzioni associate, per tutti i comuni si va a settembre. Emendamenti approvati al decreto sulle proroghe, che approda lunedì in aula alla Camera.
Slitta di tre mesi (dal 2 aprile al 30 giugno) l'entrata in vigore del Sistri, il Sistema di controllo per la tracciabilità dei rifiuti. E per tutto il 2013 i comuni turistici potranno assumere a tempo determinato vigili urbani.
A prevederlo sono alcuni emendamenti approvati ieri nelle commissioni affari costituzionali e bilancio della camera al decreto milleproroghe (216/2011), che approderà in aula lunedì, dove si attendono passi in avanti su due questioni pensionistiche (riguardanti i lavoratori «precoci» ed «esodati», si veda ItaliaOggi di ieri).
Il congelamento del Sistri, caldeggiato dalla Lega Nord, arriva sei mesi dopo il varo di un'altra norma sul tema nel dl sviluppo (70/2011), che ha dato alle aziende con meno di dieci dipendenti tempo fino al 1° giugno per l'avvio del meccanismo di verifica, al fine di garantire un adeguato periodo transitorio.
Cantano vittoria, invece, le località di attrazione turistica perché è passata la proposta di modifica del centrosinistra che consentirà alle amministrazioni le assunzioni stagionali di vigili, nei periodi di maggiore affluenza, anche nel 2013; i comuni, spiega Giulio Calvisi (Pd), avevano sollecitato la misura perché, soprattutto in estate, «vedono aumentare esponenzialmente la popolazione che gravita sul territorio» e hanno necessità di ricorrere ad altro personale di polizia locale «per evidenti ragioni di tutela della sicurezza, controllo del territorio, lotta all'evasione fiscale, controllo del rispetto della normativa in materia ambientale, nonché gestione del traffico».
Novità anche sul versante dell'istruzione: via libera all'emendamento sull'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento di oltre 23 mila docenti, abilitati e abilitandi, di scienze della formazione primaria, strumento musicale e didattica della musica, in base ai loro titoli, fino ad oggi non riconosciuti, e con il punteggio maturato negli anni; ci sarà, inoltre, possibilità fino al 2013 per gli enti locali intenzionati ad assumere con contratti a tempo determinato o di collaborazione, personale scolastico (i supplenti dei servizi educativi e d'infanzia), così come la ripartizione a tutte le università, senza esclusione di quelle che hanno superato il rapporto del 90% tra spese di personale e risorse del fondo di finanziamento universitario, del piano straordinario di reclutamento per professori associati.
Con il sì ad un emendamento del Pd, poi, si concede la proroga fino settembre 2012 a tutti i comuni per la gestione associata delle funzioni. In particolare, la disposizione nasce dall'esigenza di ricomprendere nel rinvio anche i comuni sotto i mille abitanti, che inizialmente ne erano rimasti esclusi.
La proroga, inizialmente fissata a giugno 2012 per gli enti tra 1.000 e 5.000 abitanti, viene ora fissata per tutti, cioè per questi e anche per quelli sotto i 1.000 abitanti, a fine settembre. Da ricordare che l'art. 16 del decreto n. 138 del 13.08.2011 (la manovra bis) aveva inizialmente fissato a fine dicembre 2011 il termine per l'obbligo della gestione associata delle funzioni fondamentali.
Prorogata al 29 febbraio la sanatoria sui cartelloni elettorali abusivi, duramente contestata da Radicali e Idv: le violazioni delle norme su affissioni e pubblicità potranno essere sanate fino alla fine del mese prossimo attraverso il pagamento di 1.000 euro. Passato, poi, l'emendamento fatto proprio da uno dei relatori, Gianclaudio Bressa (Pd), che consentirà di reperire 250 mila euro per far fronte al pagamento dell'assicurazione dei volontari del Soccorso Alpino e speleologico che, si legge in una nota del centrosinistra, «svolgono un servizio universale previsto dalla legge ma fortemente compromesso, a danno della sicurezza in montagna e del turismo montano, dai tagli delle manovre dell'estate scorsa».
Grande la delusione delle associazioni agricole (che promettono battaglia anche perché «il carico fiscale sui fabbricati rurali è rimasto invariato» dichiara Confagricoltura) dopo il ritiro della proposta sull'Imu, che stabiliva una differenziazione del trattamento impositivo di chi il terreno lo usa per vivere e lavorare. Una iniziativa bipartisan, infine, dà una mano all'editoria delle onlus e delle associazioni d'arma, che potranno beneficiare delle tariffe agevolate per la spedizione delle loro pubbblicazioni (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

APPALTI SERVIZIIn house, la strada è la fusione. Chi si aggrega andrà avanti fino al 2017. Mutui senza paletti.Il dl liberalizzazioni riscrive la disciplina dei servizi locali. Aziende speciali soggette al Patto.
Incentivi alle fusioni delle gestioni in house. Le aziende che si metteranno insieme potranno andare avanti tranquillamente fino alla fine del 2017. L'obiettivo del governo è promuovere l'accorpamento delle realtà locali in modo da avere un unico gestore per ciascun bacino territoriale ottimale coincidente almeno con l'estensione della provincia.
Le società risultanti dalla fusione, inoltre, non avranno paletti nella sottoscrizione di mutui per investimenti, mentre le altre dovranno fare bene i conti perché gli interessi delle rate annuali di ammortamento, sommati a quelli dei mutui precedentemente contratti, non potranno superare il 25% delle entrate effettive dell'azienda.
La soglia per gli affidamenti scende da 900 a 200 mila euro. Quelli di valore economico superiore dovranno cessare a fine 2012. Mentre le gestioni affidate direttamente a società miste pubblico-private (se la selezione del socio è avvenuta senza gara a «doppio oggetto») termineranno il 31.03.2013. L'attribuzione di diritti di esclusiva sarà possibile solo previo parere obbligatorio dell'Antitrust che dovrà pronunciarsi entro 60 giorni dalla ricezione della delibera dell'ente.
Il decreto sulle liberalizzazioni, che oggi il governo Monti porterà sul tavolo del consiglio dei ministri, riscrive in molti punti la disciplina dei servizi pubblici locali già rivista dal governo Berlusconi con la manovra di Ferragosto (dl 138/2011). E per incentivare comuni, province e regioni ad applicare le nuove regole stabilisce che chi lo farà sarà considerato virtuoso ai fini dell'applicazione degli sconti sul patto di stabilità.
Anche le aziende speciali dovranno rispettare i vincoli di bilancio secondo modalità che saranno definite con un decreto ministeriale che il governo approverà entro la fine di giugno. In ogni caso alle partecipate si applicheranno tutte le disposizioni emanate negli ultimi anni per comprimere la spesa degli enti locali: divieti e limiti alle assunzioni, taglio delle retribuzioni, riduzione delle consulenze.
Tutela della concorrenza a livello locale. Per promuovere la concorrenza a livello comunale è prevista l'individuazione di un apposito ufficio presso la presidenza del consiglio che dovrà monitorare la normativa locale alla ricerca di eventuali disposizioni contrastanti con i principi di libero mercato (di veda ItaliaOggi del 12/1/2012). Qualora vengano riscontrate irregolarità il nuovo organismo assegnerà all'ente un «congruo termine» per rimuovere i limiti alla concorrenza, decorso il quale scatteranno i poteri sostitutivi previsti dalla legge La Loggia (n. 131/2003). L'ufficio supporterà gli enti locali anche nella dismissione delle loro quote di partecipazione in società di utility.
Obblighi informativi dei concessionari. I concessionari e affidatari di servizi pubblici locali saranno obbligati a fornire ai comuni, che vogliono bandire una gara per assegnare il servizio da loro svolto, tutte le informazioni utili (impianti, infrastrutture, rivalutazioni, ammortamenti). Dovranno farlo entro 60 giorni dalla richiesta. Diversamente potranno andare incontro a una sanzione da 5 mila a 500 mila euro (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIObbligo di gara per selezionare i professionisti.
Conseguenza diretta della liberalizzazione delle professioni sarà l'obbligatorietà di procedure di gara da parte delle pubbliche amministrazioni per selezionare i professionisti cui affidare servizi, compresi gli avvocati.
La bozza del decreto sulle liberalizzazioni incide sulle professioni con due mosse. In primo luogo, abroga tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime (resta il dubbio se l'abrogazione coinvolga anche le tariffe notarili: il testo attualmente circolante si rivolge anche ai notai). In secondo luogo, elemento maggiormente importante per i comportamenti che dovranno assumere le pubbliche amministrazioni, introduce l'obbligo per tutti i professionisti di concordare in forma scritta con il cliente il preventivo per la prestazione richiesta. Il decreto stabilisce che la redazione del preventivo è un obbligo deontologico del professionista, la cui inottemperanza costituisce illecito disciplinare.
Risulta a questo punto chiaro che se il professionista è obbligato nei confronti di ciascun cliente privato a presentare un preventivo scritto, ciò deve valere a maggior ragione per la pubblica amministrazione.
Infatti, tutti i rapporti contrattuali per gli enti pubblici debbono essere regolamentati in forma scritta a pena di nullità. Come il professionista ha l'obbligo deontologico di fornire il preventivo, simmetricamente l'amministrazione pubblica deve pretenderlo, per adempiere ai doveri di imparzialità e trasparenza.
La combinazione tra abolizione delle tariffe e della necessità del preventivo rompe per sempre il fronte della «fiduciarietà» di alcuni tipi di incarichi professionali, tra i quali soprattutto quelli ad avvocati. Nonostante risulti chiarissimo da tempo, per effetto dell'allegato II B, punto 21, del codice dei contratti, che gli incarichi ad avvocati non sono «incarichi» di consulenza o collaborazione, tuttavia è rimasta forte in dottrina e anche giurisprudenza la teoria secondo la quale non si debbano rispettare i canoni delle procedure di appalto, vista la fiduciarietà intrinseca al legame tra avvocato e committente e in presenza di un tariffario minimo.
L'obbligo del preventivo non può non indurre le amministrazioni a considerare l'aspetto economico come elemento o tra gli elementi fondamentali per la scelta del professionista.
È cura minima acquisire più di un preventivo e impostare una procedura concorrenziale, applicando le procedure comunque semplificate previste per i contratti ai quali non si applica interamente la disciplina del codice dei contratti dall'articolo 27 del codice stesso, oppure il cottimo fiduciario ai sensi dell'articolo 125.
L'era dell'affidamento diretto intuitu personae è destinata al definitivo tramonto, tranne per casi da motivare di specifica urgenza e necessità, indotte, nel caso degli incarichi ai legali, dai termini procedimentali previsti dalle leggi processuali (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOEsuberi ai raggi X per assumere. Atti nulli senza la rilevazione del personale in sovrannumero. La legge di stabilità 2012 impone alle amministrazioni la ricognizione dei dipendenti.
Obbligo di rilevazione annuale del personale in sovrannumero e di quello eccedente: è questa la nuova condizione posta a tutte le pubbliche amministrazioni per poter effettuare assunzioni di personale a qualunque titolo. La mancata applicazione di questa prescrizione è sanzionata con la nullità degli atti adottati, il che determina inevitabilmente il maturare di responsabilità amministrativa. Sono questi i principali effetti determinati dal nuovo testo dell'articolo 33 del dlgs n. 165/2011 introdotto dall'articolo 16 della legge n. 183/2011, cd di stabilità 2012.
Il primo elemento da sottolineare è che il legislatore individua le condizioni di sovrannumero nella presenza di personale e/o di dirigenti extra dotazione organica: siamo quindi in presenza di un accertamento esclusivamente formale, che si effettua confrontando il personale a tempo indeterminato in servizio con quello previsto nella dotazione organica. Le condizioni di eccedenza devono essere individuate «in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria».
Nel testo precedentemente in vigore il riferimento era invece molto più genericamente alle previsioni della legge n. 223/1991, cioè la norma dettata per la individuazione delle condizioni di eccedenza nel settore privato. Il secondo elemento da rilevare è che queste dichiarazioni, a differenza del passato, possono essere disposte solamente al momento dell'adozione di questo documento.
Mancano, nella disposizione, indicazioni sul modo in cui le p.a. devono effettuare questa verifica. Sul terreno delle procedure appare necessario il coinvolgimento di tutti i dirigenti nella definizione della proposta, mentre l'adozione dell'atto appartiene alla competenza della giunta. Espressamente il legislatore prevede il coinvolgimento dei dirigenti: essi sono infatti chiamati ad attivare questa procedura; il mancato rispetto di tale vincolo, sulla base di una esplicita previsione, «è valutabile ai fini della responsabilità disciplinare».
L'accertamento della condizione di eccedenza deve essere effettuato dalle amministrazioni sulla base della condizione finanziaria, il che non è senza conseguenze per gli enti che hanno violato il tetto alla spesa del personale o il rapporto massimo del 50% tra spesa del personale e corrente. Essa deve inoltre essere effettuata in relazione alle attività svolte da ogni unità organizzativa, quindi con riferimento ai procedimenti, al loro numero e alla loro complessità. È verosimile che, al momento in cui saranno determinati i fabbisogni standard, ogni ente dovrà tenerne conto.
La ricognizione può sicuramente essere effettuata unitamente alla programmazione annuale e triennale del fabbisogno del personale. La sua effettuazione, anche in caso di esito negativo, deve essere comunicata alla funzione pubblica. Se invece si sono determinate condizioni di eccedenza o di sovrannumero occorre dare informazione ai soggetti sindacali. Da questo momento le amministrazioni devono attivarsi per superare tali condizioni.
Dopo non meno di dieci giorni dalla comunicazione ai soggetti sindacali, l'ente deve verificare se questa condizione può essere risolta attraverso il ricorso a forme flessibili, al contratti di solidarietà, il collocamento in quiescenza del personale che ha raggiunto 40 anni di anzianità contributiva e l'eventuale mobilità presso amministrazioni della stessa regione. In caso negativo, decorsi 90 giorni dalla comunicazione ai soggetti sindacali, sono collocati in disponibilità i dipendenti individuati come eccedenti.
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Così la delibera di giunta per il monitoraggio.
Visto l'articolo 33 del dlgs n. 165/2001 nel testo modificato da ultimo dall'articolo 16 della legge n. 183/2011, cd legge di stabilità 2012;
Ricordato che questa disposizione impone a tutte le amministrazioni pubbliche di effettuare la ricognizione annuale delle condizioni di soprannumero e di eccedenza del personale e dei dirigenti; che la stessa impegna i dirigenti ad attivare tale procedura per il proprio settore e che sanziona le p.a. inadempienti con il divieto di effettuare assunzioni di personale a qualunque titolo, dettando nel contempo le procedure da applicare per il collocamento in esubero del personale eccedente e/o in soprannumero ai fini della loro ricollocazione presso altre amministrazioni ovvero, in caso di esito negativo, alla risoluzione del rapporto di lavoro;
Assunto che la condizione di soprannumero si rileva dalla presenza di personale in servizio a tempo indeterminato extra dotazione organica;
Assunto che la condizione di eccedenza si rileva dalla impossibilità dell'ente di rispettare i vincoli dettati dal legislatore per il tetto di spesa del personale (cioè l'anno 2004 per gli enti non soggetti al patto e l'anno precedente per quelli soggetti al patto) e dal superamento del tetto del 50% nel rapporto tra spesa del personale e spesa corrente. Si dà atto, come da comunicazione del dirigente del settore economico finanziario, che la spesa del personale è stata nell'anno 2011 pari ad _ , mentre nell'anno 2010 (ovvero nell'anno 2004 per gli enti non soggetti al patto) era stata pari ad _, quindi quella del 2012 è inferiore. Si dà atto, sempre sulla base della comunicazione del dirigente del settore economico finanziario che nell'anno 2011 la spesa corrente è stata pari ad _ , quindi che il rapporto tra spesa del personale e spesa corrente, considerando anche -sulla base delle previsioni del dl n. 98/2011- la spesa sostenuta per il personale delle società cd in house e di quelle controllate che svolgono compiti di supporto, per cui tale rapporto è stato inferiore al 50%. E ancora, dalla assenza di personale dipendente non trasferito alle dipendenze del nuovo soggetto in caso di esternalizzazione, nonché dalla rilevazione del numero e della complessità dei procedimenti attribuiti ai singoli settori;
Valutate le relazioni presentate dai dirigenti dell'ente sulla assenza di tali condizioni nei singoli settori da essi diretti;
Visti i pareri di regolarità tecnica e contabile espressi dal dirigente del settore personale e da quello del settore economico finanziario, ai sensi dell'art. 49 del Testo unico delle Leggi sull'Ordinamento degli enti locali dlgs 18/08/2000, n. 267,
D E L I B E R A
   a) nell'ente non sono presenti nel corso dell'anno 2012 né dipendenti né dirigenti in soprannumero;
   b) nell'ente non sono presenti nel corso dell'anno 2012 né dipendenti né dirigenti in eccedenza;
   c) l'ente non deve avviare nel corso dell'anno 2012 procedure per la dichiarazione di esubero di dipendenti o dirigenti;
   d) di dare corso alla adozione del programma del fabbisogno di personale per l'anno 2012 e per il triennio 2012/2014
   e) di inviare al dipartimento della funzione pubblica copia della presente deliberazione;
   f) di informare i soggetti sindacali dell'esito della ricognizione (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

ENTI LOCALIImu, la quota statale è intangibile. Le agevolazioni dei comuni non intaccano il 50% erariale. Molti i punti oscuri. Imposta da riversare indipendentemente dal fatto che sia stata riscossa.
Molti i punti oscuri che riguardano la determinazione della quota Imu destinata allo stato e le modalità per il versamento all'erario del 50% della nuova imposta locale, la cui scadenza in acconto è fissata per il 18 giugno. Le agevolazioni Imu per l'anno in corso che i comuni hanno già deliberato o adotteranno entro il 31 marzo, termine previsto per l'approvazione dei bilanci di previsione, non possono intaccare la quota riservata allo stato.
Quindi, le scelte degli enti locali sono condizionate dai riflessi negativi che possono comportare maggiorazioni di detrazione o riduzioni di aliquote deliberate per immobili diversi dall'abitazione principale e dagli immobili rurali strumentali. A differenza che in passato, inoltre, la disciplina Imu impone ai comuni di pagare allo stato la quota del tributo sugli immobili siti sul loro territorio nel caso in cui non abbiano una determinata destinazione.
Peraltro dalla formulazione letterale dell'articolo 13 del dl Monti (201/2011) sembra che allo stato spetti la quota d'imposta dovuta, al di là del fatto che sia stata riscossa o meno dall'ente. Le somme dovute allo stato dovrebbero seguire il criterio di competenza e non di cassa. Al comune spettano le «maggiori somme» derivanti dalle attività di accertamento e riscossione della quota di tributo erariale, a titolo di imposta, interessi e sanzioni. La nuova imposta locale potrà essere pagata dal contribuente solo con il modello F24, ma deve ancora essere chiarito in che modo va effettuato il versamento della quota statale.
Le agevolazioni. I comuni sono esonerati dal pagamento dell'Imu solo per gli immobili siti sul proprio territorio purché destinati esclusivamente ai compiti istituzionali. La novità è rappresentata dal fatto che l'esonero è condizionato dalla destinazione dell'immobile e non compete più per gli immobili ubicati sul territorio di altri comuni.
Sebbene non sia stato abrogato l'articolo 4 del decreto legislativo 504/1992 che esonerava il comune dal pagamento dell'Ici, le nuove disposizioni non richiamano questa norma. Il criterio interpretativo che si ricava dalla relazione tecnica al decreto Monti è che per inquadrare i benefici fiscali occorre tener conto non solo delle disposizioni espressamente abrogate, ma anche di quelle non richiamate.
Per esempio, per quanto concerne le agevolazioni che riguardano i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, la relazione tecnica al dl 201/2011 pone in evidenza che viene richiamato solo l'articolo 2 del decreto legislativo 504/1992 e non l'articolo 9 dello stesso decreto.
Quindi, i terreni da questi posseduti e condotti sono considerati non fabbricabili, ma non possono più fruire delle riduzioni d'imposta. Dunque, anche il mancato richiamo dell'articolo 4 del decreto 504, che non assoggettava a imposizione gli immobili di cui il comune era proprietario a prescindere dalla destinazione dell'immobile, non conferma l'esclusione. Il comune, dunque, anche per gli immobili siti sul suo territorio dovrebbe pagare la quota d'imposta riservata allo Stato, qualora non sia destinato a sede o ufficio dell'ente.
Per esempio, un immobile di proprietà dell'ente che viene dato in affitto o concesso in uso allo stato per lo svolgimento di attività scolastiche dovrebbe essere assoggettato a imposizione, non potendosi in senso stretto configurare una finalità istituzionale dell'ente. Inoltre, non spetta più l'esenzione per gli immobili siti sul territorio di altri comuni. L'articolo 9 del decreto legislativo 23/2011 ha ridisegnato le esenzioni dal tributo e non richiama l'articolo 7, comma 1, lettera a), della disciplina Ici che stabiliva quest'ultima agevolazione.
I versamenti. L'articolo 13, comma 11, del dl 201 prevede la riserva per lo stato della quota di imposta pari alla metà dell'importo calcolato applicando l'aliquota dello 0,76% alla base imponibile di tutti gli immobili.
Sono esclusi dal calcolo gli immobili destinati ad abitazione principale e le relative pertinenze. Non rientra nella quota statale neppure il gettito che deriva dai fabbricati rurali ad uso strumentale. Per questi immobili per i quali prima era riconosciuta l'esenzione, dal 2012 è riservato un trattamento agevolato, con applicazione di un'aliquota ridotta del 2 per mille. Non si applicano alla quota statale neppure le detrazioni e riduzioni di aliquota deliberate dai comuni. La norma stabilisce che la somma di competenza dello Stato deve essere versata «contestualmente all'imposta municipale propria».
In deroga a quanto disposto dall'articolo 52 del decreto legislativo 446/1997, che attribuisce ai comuni il potere di decidere le modalità di riscossione, spontanea e coattiva, delle proprie entrate, l'Imu deve essere versata solo con l'F24. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate dovranno essere indicate le modalità per effettuare i versamenti. Nella relazione ministeriale è indicato che il ricorso a questo modello per il versamento si è reso necessario proprio perché una quota parte del tributo è riservata all'erario. Pertanto, vengono semplificati gli adempimenti del contribuente e si garantisce «un più agevole controllo dei flussi di entrata».
Una cosa che sembra certa è che il contribuente potrà versare l'imposta in un'unica soluzione. Non è chiaro invece se dovrà differenziare, con 2 codici tributo, la quota destinata ai comuni e allo stato. In alternativa, per evitare di porre a carico dei contribuenti l'onere di fare diversi conteggi, le somme incassate dal comune potrebbero essere riversate allo Stato per la quota che gli spetta oppure potrebbero essere ridotti in misura corrispondente i trasferimenti erariali (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Il presidente del consiglio non può presiedere il cda di un ente non profit. Incompatibilità a 360 gradi. L'assenza di finalità di lucro non esclude l'ipotesi.
La carica di presidente del consiglio comunale è compatibile con quella di presidente del consiglio di amministrazione di un'associazione che non persegue fini di lucro, di cui il comune è socio fondatore, finanziata con fondi del bilancio comunale e con contributo annuale del comune?
La fattispecie rappresentata va esaminata in ragione della statuizione recata dal comma 1, n. 1 dell'art. 63 del dlgs n. 267/2000, che espressamente prevede l'incompatibilità per l'amministratore o il dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza in cui vi sia almeno il 20% di partecipazione rispettivamente da parte del comune o della provincia o che dagli stessi riceva in via continuativa una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell'anno il dieci per cento del totale delle entrate dell'ente.
L'assenza della finalità di lucro nell'associazione non è sufficiente ad escludere la sussistenza dell'ipotesi d'incompatibilità.
In conformità al principio generale secondo cui ogni organo collegiale deve deliberare innanzitutto sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la contestazione della causa ostativa all'espletamento del mandato è compiuta con la procedura consiliare prevista dall'art. 69 del citato decreto legislativo, che garantisce comunque il corretto contraddittorio tra l'organo ed il proprio componente, assicurando a quest'ultimo l'esercizio del diritto di difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa d'incompatibilità contestata (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Ineleggibilità.
Si configura il divieto di ineleggibilità, previsto dall'art. 51 del dlgs n. 267/2000, nel caso di un amministratore eletto alla carica di sindaco per la prima volta, il cui mandato è stato interrotto dallo scioglimento del consiglio comunale con provvedimento ai sensi dell'art. 143 Tuel, successivamente annullato con sentenza del Consiglio di stato, atteso che tra il primo mandato elettorale, nel frattempo scaduto, e la tornata elettorale nella quale l'amministratore è stato nuovamente eletto sindaco, l'ente locale è stato gestito da un commissario?
La continuità dei due mandati consecutivi, al verificarsi dei quali l'art. 51 Tuel dispone la non rieleggibilità alla carica di sindaco, non viene meno per effetto dell'interposizione di una gestione commissariale.
La Corte di cassazione, sebbene chiamata a pronunciarsi su un diverso caso, ha avuto modo di precisare che, affinché non si configuri la condizione ostativa prevista dal citato art. 51, è necessario che il secondo mandato amministrativo sia stato seguito da una tornata elettorale alla quale il sindaco uscente non si è candidato. In particolare è stato precisato che «l'ambito di operatività del divieto (ex art. 51 cit.) è puntualmente e univocamente chiarito, nel senso della sua correlazione a una sequenza temporale caratterizzata dalla compresenza, oltreché dell'avverbio «immediatamente» (già di per sé sufficiente a escludere il permanere dell'ineleggibilità oltre la tornata elettorale successiva alla conclusione del secondo mandato) anche della incidentale (rafforzativa) «allo scadere del secondo mandato», che non lascia alcun margine di dubbio interpretativo in ordine alla circostanza che per le elezioni diverse da quelle immediatamente successive alla scadenza del mandato non operi più la causa di ineleggibilità» (cfr. Corte di cass., sent. 13181 del 05.07.2007).
Pertanto, se tra il primo mandato elettorale, anche se di durata ridotta ma in ogni caso superiore a due anni, sei mesi e un giorno, poi seguito da una gestione commissariale, e il secondo non si è verificata alcuna tornata elettorale intermedia, interruttiva della sequenza temporale di cui al citato art. 51, comma 2, del Tuel, sussiste la causa ostativa alla terza candidatura di cui al citato art. 51 del dlgs. n. 267/2000, atteso che le prossime elezioni sarebbero quelle immediatamente successive alla scadenza del secondo mandato (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

APPALTI SERVIZILIBERALIZZAZIONI/ Utility, privatizzazioni a tappe. Sulla cessione delle quote la road map termina nel 2015. Ripescata la tempistica del dl Fitto-Ronchi. Risarcimenti agli utenti.
Sulla privatizzazione delle utility si torna all'antico. Gli affidamenti in house di valore superiore a 200 mila euro (la nuova soglia individuata dal governo, rispetto agli attuali 900 mila euro) non solo dureranno fino 31.12.2012 (sarebbero dovuti cessare al 31 marzo) ma potranno sopravvivere anche oltre, fino alla naturale scadenza del contratto di servizio, a condizione che la partecipazione detenuta dai soci pubblici si riduca ad almeno il 40% entro il 30.06.2013 e al 30% entro il 31.12.2015.
Diversamente gli affidamenti termineranno in tali date. La road map sarà la stessa anche per le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del partner privato non sia avvenuta con «gara a doppio oggetto», ossia riguardante al tempo stesso la qualità socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Anche in questo caso le gestioni potranno durare fino a naturale scadenza a condizione che le quote in mano pubblica si riducano fino a raggiungere le percentuali di cui sopra entro le predette date.

Nella tabella di marcia per favorire l'ingresso dei privati nella gestione dei servizi pubblici locali il governo Monti ripropone tali e quali le norme della riforma Fitto (dl 135/2009) cancellata a giugno 2011 dai referendum sull'acqua pubblica. Il pacchetto liberalizzazioni che andrà venerdì sul tavolo del consiglio dei ministri contiene invece norme tutte nuove sulle dismissioni delle quote da parte dei comuni.
Le regole introdotte dal dl 78/2010 (articolo 14, comma 32) e modificate prima dal decreto milleproroghe di fine 2010 (dl n. 225 convertito nella legge n. 10/2011) e poi dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2011) restano confermate. Il che significa che i municipi con popolazione compresa tra 30 mila e 50 mila abitanti avranno tempo fino al 31.12.2013 per ridurre a una sola le partecipazioni societarie detenute. Mentre i comuni sotto i 30 mila abitanti dovranno portare a termine le dismissioni entro il 31.12.2012 a meno che le partecipate abbiano avuto il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano subìto riduzioni di capitale sociale e perdite da ripianare.
Ma, ferma restando questa disciplina, i comuni, quando avranno esigenza di ampliare i mercati e ripianare i propri debiti, potranno (la norma parla espressamente di «facoltà» e non di obbligo) cedere le proprie quote tramite gara, comunicandone l'esito inizialmente entro il 30.09.2012 e poi entro il 30 settembre di ogni anno. L'esito delle procedure dovrà essere comunicato alla neonata unità di missione per la tutela dei consumatori e la promozione della concorrenza nelle regioni e negli locali che sarà istituita presso palazzo Chigi.
E a proposito di tutela degli utenti, il pacchetto liberalizzazioni di Monti apre la strada al risarcimento dei danni per violazione degli standard minimi di qualità. Si legge infatti nella bozza di provvedimento che nelle carte di servizio dovranno essere indicati i diritti «anche di natura risarcitoria che i consumatori e le imprese utenti possono esigere nei confronti dei gestori del servizio e dell'infrastruttura».
I comuni dovranno acquisire il parere dell'Antitrust sulle delibere con cui decidono di mantenere i regimi di esclusiva sottraendo uno o più settori alla liberalizzazione. La manovra di Ferragosto (dl 138/2011), nell'art. 4 che ha riscritto la disciplina dei servizi pubblici locali dopo i referendum di giugno, non prevedeva tale obbligo e stabiliva solo che la delibera (di cui doveva essere data adeguata pubblicità) dovesse essere inviata all'Antitrust per l'opportuna relazione al parlamento.
Ora invece il pacchetto liberalizzazioni del governo Monti condiziona l'adozione della delibera al parere dell'Autorità garante della concorrenza che dovrà pronunciarsi entro 60 giorni sulla base dell'istruttoria svolta dall'ente locale (articolo ItaliaOggi del 18.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI«Come fare per»: trasparenti i siti delle amministrazioni.
Obbligo per le p.a. di pubblicare sui siti istituzionali, per ciascun procedimento, modalità di adempimento, documentazione da presentare, modulistica, responsabile e termine di conclusione del procedimento. Al fine di evitare ai cittadini di doversi recare presso un ufficio solo per ottenere informazioni o richiedere un modulo.
Tutto questo sarà possibile attraverso la creazione, senza costi, di un'apposita casella «Come fare per» sull'homepage dei siti istituzionali delle amministrazioni, a partire da quelli della p.a.. Così come previsto dagli artt. 54 e 57 del Codice dell' amministrazione digitale, art. 6, comma 2 del dl n. 70 del 2011 e da ultimo lo Statuto delle imprese.

È quanto anticipato ieri dal ministro della funzione pubblica Giuseppe Patroni Griffi, durante l'audizione alla Commissione affari costituzionali del senato.
Il ministro, ha inoltre sottolineato la necessità che l'amministrazione pubblica recuperi la capacità di attrarre al suo interno le giovani eccellenze. «Servono ingegneri, geologi, matematici, statistici, economisti, oltre che bravi giuristi, orientati al cambiamento e alla modernizzazione dei processi», ha dichiarato Patroni Griffi. Che poi ha aggiunto: «Per farlo, occorre rivitalizzare i canali concorsuali e meritocratici nella selezione del personale, e soprattutto dei dirigenti, in specie riducendo la frammentazione delle procedure concorsuali indette dalle singole amministrazioni ed irrobustendo il rilievo del corso-concorso, da indire con cadenza periodica».
Tra gli altri punti sottolineati al fine di migliorare il funzionamento della pubblica amministrazione ci sono poi quello della spending review, «per avviare un processo di modernizzazione dell'amministrazione pubblica e di riqualificazione dei servizi attraverso un'opera di razionalizzazione»; il potenziamento del «portale della trasparenza», alla cui realizzazione stanno lavorando Civit, Cnr e DigitPa; la riduzione degli oneri amministrativi unitamente al rafforzamento dei servizi ai cittadini e alle imprese.
Patroni Griffi ha infatti ricordato come le analisi condotte dalle principali organizzazioni internazionali individuano nella complicazione burocratica una delle prime cause dello svantaggio competitivo dell'Italia nel contesto europeo e nell'intera area Ocse (l'Italia si colloca al 25° posto su 26 paesi dell'Unione europea, significativamente penultima solo prima della Grecia). Il dipartimento della funzione pubblica ha sinora stimato in oltre 23 miliardi di euro l'anno gli oneri amministrativi relativi a 81 procedure amministrative particolarmente rilevanti per le imprese, selezionate con le associazioni imprenditoriali (articolo ItaliaOggi del 18.01.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl Durc senza autocertificazione. Le amministrazioni pubbliche possono continuare a chiederlo. Le indicazioni del ministero del lavoro dopo la semplificazione introdotta dalla legge 183/2011.
Il Durc non è autocertificabile e le amministrazioni possono richiederlo all'interessato, per poi verificarne il contenuto.
Al pasticciaccio brutto causato al rilascio del Durc dalla legge 183/2011 cerca di metterci una pezza il ministero del lavoro, Direzione generale per l'attività ispettiva, con la
nota 16.01.2012 n. 619 di prot.. Difficile, tuttavia, non concludere che la toppa non è sufficiente a tappare il buco.
Il problema sorge dalle modifiche che la legge di stabilità ha apportato alle norme in tema di documentazione amministrativa, fissando il principio della cosiddetta «desertificazione»: in altre parole, mai più le pubbliche amministrazioni, per gestire le procedure di propria competenza, potranno chiedere o comunque utilizzare certificati. Questi sono validi solo nei rapporti tra i privati.
La riforma, tendente a produrre una condivisibile semplificazione per i cittadini, è tuttavia incompleta e frettolosa, perché trascura discipline particolari, quali proprio il regime del Documento unico di regolarità contributiva, fondamentale per le procedure di gara, per esempio.
Il codice dei contratti impone alle amministrazioni appaltanti di verificare le dichiarazioni sostitutive rilasciate dalle imprese in sede di gara circa la regolarità della posizione contributiva e l'unico sistema allo scopo è richiedere il Durc. Ma il Durc è un certificato, dunque, Inps, Inail e Cassa edile non potrebbero rilasciarlo senza la dicitura da inserire obbligatoriamente in tutti i certificati, la quale ricorda che le pubbliche amministrazioni non possono utilizzarli in quanto nulli.
Un bel rompicapo, che il ministero del lavoro cerca di risolvere sostenendo, con la circolare 619/2012, che il Durc non è assolutamente sostituibile con una dichiarazione sostitutiva rilasciata dall'interessato, circa la propria posizione contributiva.
Il ministero del lavoro cerca di motivare la propria posizione spiegando che la nozione di certificato fa sempre e solo riferimento a stati, qualità personali e fatti oggettivamente riferibili alla persona, che dunque non può non conoscere. Non sarebbero, di conseguenza, oggetto di dichiarazione sostitutiva le informazioni connesse al Durc, che non è, spiega il ministero, «la mera certificazione dell'effettuazione di una somma a titolo di contribuzione», bensì «una attestazione dell'Istituto previdenziale circa la correttezza della posizione contributiva di una realtà aziendale effettuata dopo complesse valutazioni tecniche di tipo contabile». Le valutazioni di un organismo tecnico non possono essere oggetto di un'autodichiarazione, perché essa non avrebbe a oggetto stati, fatti o qualità strettamente personali.
La chiusura della circolare, allora, è nel senso che le pubbliche amministrazioni possono acquisire un Durc da parte del soggetto interessato, ma non un'autocertificazione; per poi vagliare i contenuti di questo Durc con le stesse modalità previste per le verifiche delle autocertificazioni.
Si tratta di conclusioni, però, impossibili da condividere. Intanto, il Durc è senza ombra di minimo dubbio un certificato: così prevede espressamente, infatti, 6, comma 1, del dpr 207/2010, norma non certo derogabile da nessuna direttiva o circolare. Inutile affermare che il Durc è un'«attestazione», per negarne la natura di certificato. Attestazione significa esattamente certificato: viene dal latino ad-testari, portare notizie certe a conoscenze di altri, cioè, appunto, certificare.
La nota del ministero, poi, si pone in insanabile diretto contrasto con l'articolo 44-bis del dpr 445/2000, l'articolo 16-bis, comma 10, del dl 185/2008, convertito in legge 2/2009 e dall'articolo 6, comma 3, del dpr 207/2010: tutte norme volte a imporre alle amministrazioni di acquisire «d'ufficio» il Durc. Il che, simmetricamente, costituisce un divieto a chiederlo ai privati, e l'obbligo di acquisirlo richiedendolo solo alle amministrazioni competenti. Se l'intento del ministero consiste nel sottrarre a responsabilità penali e amministrative le amministrazioni che richiedono e continuano a utilizzare il Durc nonostante e in contrasto alle norme vigenti, la cosa è positiva, visto che si consente di non bloccare l'attività amministrativa.
È necessario, però, sottolineare che dovrebbe essere compito del legislatore, compito non più rinviabile, disporre una regolamentazione speciale per il Durc, sottraendolo alle nuove regole per i certificati (articolo ItaliaOggi del 18.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAI contributi regolari non soggetti ad autocertificazione.
POSIZIONE RIVISTA/ Il ministro della Semplificazione aveva sposato un'interpretazione estensiva.

Il ministero del Lavoro salva il Durc dalla "decertificazione" introdotta dall'articolo 15 della legge 183/2011.
Con lettera circolare di cui alla
nota 16.01.2012 n. 619 di prot. il ministero, scostandosi dalla interpretazione più estensiva del ministro della Pa e della Semplificazione (Direttiva del 22 dicembre scorso, si veda Il Sole24Ore del 6 gennaio), esclude che tale intervento interessi il Documento unico di regolarità contributiva (Durc), rispetto al quale «rimane assolutamente impossibile la sostituzione con una dichiarazione di regolarità contributiva da parte del soggetto interessato».
È una precisazione che il Ministero aveva espresso con lettera circolare del 14 luglio 2004, prima, dunque, delle novità introdotte della legge 183/2011 la quale, proprio in relazione all'articolo 44-bis del Dpr 445/2000 stabilisce che «le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi dell'art. 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore».
Del resto già con l'articolo 16-bis, comma 10, del decreto legge 185/2008, il legislatore aveva introdotto una prima semplificazione prevedendo negli appalti pubblici l'obbligo delle stazioni appaltanti di chiedere d'ufficio il Durc agli istituti ed enti competenti al loro rilascio, sollevando così le imprese appaltatrici da tale onere.
Il Lavoro a conforto della propria tesi precisa che il novellato articolo 40, del DPR n. 445/2000 nel riferirsi a «stati, qualità personali e fatti» come oggetto di certificazione e di autocertificazione, vi farebbe rientrare elementi di fatto oggettivi riferiti alla persona e che non possano non essere dalla stessa oggetto di sicura conoscenza. Proprio sulla base di tale principio si baserebbe l'autocertificabilità di detti elementi e la conseguente sanzionabilità penale in caso di mendaci dichiarazioni.
Fermo restando che non si comprende perché tale sistema sanzionatorio non possa applicarsi nel caso della regolarità contributiva, la nota ministeriale sostiene che sarebbe, invece, del tutto diversa la certificazione relativa al regolare versamento della contribuzione obbligatoria che, si precisa, non è una mera certificazione dell'effettuazione di una somma a titolo di contribuzione, ma una attestazione dell'Istituto previdenziale circa la correttezza della posizione contributiva di una realtà aziendale.
Da ciò deriva che l'articolo 44-bis del Dpr 445/2000 stabilisce semplicemente le modalità di acquisizione e gestione del Durc senza però intaccare il principio secondo cui le valutazioni effettuate da un organismo tecnico non possono essere sostituite da una autodichiarazione che non riguarda, evidentemente, né fatti, né status, né tantomeno qualità personali (articolo Il Sole 24 Ore del 18.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 18.01.2012

EDILIZIA PRIVATA - VARI: Case in costruzione in garanzia. Le compravendite di immobili su carta sono meno rischiose. Excursus sugli strumenti legislativi a favore dell'acquirente per tutelarsi dalle truffe.
Risparmiare circa il 10% sul costo della compravendita della casa. In alternativa all'acquisto di un immobile già edificato, infatti, si può ricorrere all'acquisto su carta, in cui occorre versare in anticipo buona parte della somma prevista anche se la casa è ancora solo un progetto o è in costruzione. Una soluzione vantaggiosa che però presenta anche alcune incognite e il rischio truffa è sempre dietro l'angolo. Ma la norma arriva in soccorso degli acquirenti.
A cosa fare attenzione. Oltre al risparmio sul costo totale dell'immobile, l'acquisto su carta presenta anche il vantaggio di non dover sostenere interventi di ristrutturazione per diversi anni. Occorre, però, fare attenzione ad alcuni aspetti, come l'incognita dei tempi di consegna che possono protrarsi ben oltre il previsto. Poi, un capitolo a parte meritano le truffe, anche quelle sempre in agguato se si opta per questo tipo di soluzione.
Per tutelarsi, prima di acquistare il progetto, è bene verificare le autorizzazioni rilasciate al costruttore dal comune. Si tratta di un primo passo per evitare le potenziali truffe, con ditte che vendono i progetti e poi spariscono nel nulla. Quindi meglio ricorrere a imprese edili che non siano alle prime armi e che abbiano già realizzato e soprattutto consegnato altri lavori. Infine, se si acquista da una cooperativa, verificare al catasto che il comune abbia rilasciato i diritti di costruzione oltre a quelli di superficie.
Un decreto legge a tutela dell'acquirente. Fino a qualche anno fa la normativa a riguardo presentava molte lacune e le statistiche parlavano di numerose famiglie messe in ginocchio da truffe immobiliari e fallimenti fraudolenti di ditte di costruzione. Un situazione che ha portato all'emanazione del dlgs 20.06.2005, n. 122 che stabilisce le «Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire». Un decreto che si applica in tutti i casi di vendita di immobili in costruzione, a prescindere che l'operazione sia conclusa direttamente da chi segue i lavori o tramite intermediario. La tutela, inoltre, è riservata esclusivamente alle persone fisiche (sono escluse le società) e non si applica solo a partire dalla compravendita, ma già in fase di trattativa, quindi al contratto preliminare, al compromesso, alle promesse unilaterali, alle caparre e così via.
La fideiussione per le somme versate. In particolare, per tutelare i compratori, il decreto impone a chi riceve somme per un immobile in costruzione, a titolo di anticipo o caparra, di prestare una fideiussione, che può essere di tipo bancario o assicurativo, a favore del futuro acquirente pari alla cifra versata o da versare in corso di costruzione entro la stipula del contratto preliminare. In caso di inadempimento il compratore può dichiarare il contratto nullo e quindi ottenere indietro la somma, oltre a chiedere eventuali danni. È possibile inoltre aggiornare la fideiussione, ampliando il suo valore ogni volta che vengono versati degli importi in fase di costruzione.
Si tratta di una garanzia che può essere fatta valere in caso di fallimento, esecuzione immobiliare, concordato preventivo, amministrazione controllata o liquidazione coatta e che costituisce un diritto di prelazione sugli altri creditori. La garanzia però non vale al di fuori dei casi indicati: se il cantiere è bloccato per altri motivi bisogna ricorrere alle vie legali. È quindi sempre consigliabile dare meno soldi possibile in anticipo e commisurarli allo stato di avanzamento delle opere. La norma non trova applicazione anche nel caso non sia ancora stato chiesto il permesso di costruire o non sia stata presentata la dichiarazione di inizio attività, così come quando sia già possibile richiedere il rilascio dell'agibilità.
Da non dimenticare che questa regola non rappresenta solo un diritto dell'acquirente ma è soprattutto un obbligo del costruttore. Si tratta però di una garanzia ancora poco conosciuta e poco applicata dalle società edili. «Si tratta», afferma il notaio Gabriele Noto, membro del consiglio nazionale del notariato, «dell'unico strumento serio per recuperare i soldi investiti ma spesso per superficialità o per scarsa conoscenza non ci si avvale di questa possibilità. Infatti, nei preliminari non notarili la percentuale di fideiussioni è drammaticamente bassa, quasi vicina allo zero». In effetti, confrontando il fatturato delle nuove abitazioni al netto degli importi versati al rogito e l'ammontare delle fideiussioni, si stima che solo in un caso su quattro il versamento di denaro dall'acquirente al costruttore è assicurato.
«Un fenomeno», prosegue Noto, «acuito anche dal fatto che non sono previste sanzioni severe per il costruttore in caso di mancato rispetto della norma. È poi difficile controllare la sua applicazione perché l'obbligo scatta al momento del preliminare ed è raro che in questa fase ci si rivolga a un notaio, cosa invece consigliabile. Per aiutare l'acquirente a conoscere e affrontare i rischi legati a questa particolare tipologia di compravendita abbiamo elaborato come Consiglio nazionale del notariato anche una guida “Acquisto in costruzione. La tutela nella compravendita di un immobile da costruire”, in collaborazione con 12 associazioni dei consumatori».
L'assicurazione dell'immobile. Un altro importante aspetto previsto dal dlgs 122/2005 riguarda l'obbligo per il costruttore di rilasciare all'acquirente con cui si è già impegnato una polizza assicurativa della durata di almeno dieci anni, e con effetto a decorrere dalla data di completamento dei lavori, che copra il rischio di danni sopravvenuti all'edificio o difetti costruttivi gravi.
Si tratta di un obbligo che viene in genere rispettato visto che l'assicurazione decorre dal momento del rogito e i notai in genere accertano la sua esistenza. «Anche in questo caso», conclude Noto, «non è prevista una sanzione specifica per il mancato rilascio, ma nella maggior parte dei casi la norma viene rispettata perché il costo per il costruttore è inferiore rispetto alla fideiussione e non mette in discussione la consistenza patrimoniale dell'impresa».
Al notaio è poi vietato di procedere alla compravendita se prima o contestualmente alla stipula non si sia proceduto al frazionamento del mutuo sull'immobile con o senza il suo accollo da parte dell'acquirente (articolo ItaliaOggi Sette del 16.01.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Sistri, nuove regole in corso d'opera. Chiavette usb ad hoc per semplificare l'applicazione del sistema. È in G.U. il decreto 219/2011 che riscrive le procedure per la tracciabilità online dei rifiuti.
Dispositivi usb ad hoc per interoperatività e semplificazioni nelle comunicazioni dei dati. Più strumenti informatici a disposizione delle grandi imprese per colloquiare con il Sistri, dispositivi ad hoc per interfacciare con il cervellone dello stato software gestionali di terze parti, procedure semplificate per la gestione delle emergenze e mutazioni aziendali.
Dopo lo slittamento al 02.04.2012 della partenza degli obblighi operativi del nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti, sancito dal dl 216/2011, un nuovo decreto del ministero dell'ambiente (il dm 10.11.2011, n. 219) riformula le regole procedurali per l'interazione con il cervellone Sistri. Il nuovo provvedimento (pubblicato sul supplemento ordinario n. 5 della G.U. 05.01.2012 e in vigore dal giorno successivo) riscrive, infatti, il dm 18.02.2011 n. 52 dello stesso Dicastero (meglio noto come «Testo unico Sistri») rivedendo tutti gli anelli della filiera: dispositivi usb, responsabilità sulla comunicazione dei dati, compilazione schede elettroniche, problemi di connettività e cambiamenti di titolarità nella gestione dei rifiuti.
Dispositivi Usb. Con il nuovo dm 219/2011 cresce il numero di dispositivi usb che gli operatori (ossia gli enti e le imprese che aderiscono al sistema di tracciabilità telematica) possono utilizzare per la comunicazione al Sistri dei dati dei rifiuti gestiti, e ciò anche con la precisazione della loro attribuibilità a singole «unità operative», quali (come definiti dal nuovo decreto) reparti, impianti o stabilimenti (interni alle unità locali) da cui sono autonomamente originati i rifiuti.
Dispositivi Usb interoperatività. Esordiscono con il dm 219/2011 i nuovi «dispositivi Usb per l'interoperatività», quali sistemi che consentono agli operatori di interfacciare direttamente con il cervellone Sistri i software gestionali dei rifiuti di terze parti accreditati. Tali dispositivi consentono di firmare direttamente attraverso il software utilizzato le schede Sistri nelle quali vengono registrati i dati relativi ai beni a fine vita.
Responsabilità. Responsabili della custodia dei dispositivi usb, specifica il nuovo dm ambiente 219/2011, sono da considerarsi sempre i rappresentanti legali delle imprese che aderiscono al sistema di tracciamento telematico dei rifiuti e, dunque, non i soggetti da questi eventualmente delegati al loro utilizzo.
I luoghi di conservazione dei dispositivi, ancora, potranno però essere diversi dalle unità locali (od «operative») nelle quali vengono effettuate operazioni di gestione dei rifiuti qualora esse non abbiano un sistema di vigilanza o di controllo degli accessi. I soggetti delegati all'inserimento dei dati da altri soggetti ricevuti nelle schede Sistri saranno responsabili soltanto del loro corretto inserimento nel sistema informatico e non più (come prevedeva la pregressa e originaria versione del dm 52/2011) della veridicità degli stessi.
Piccoli produttori. I produttori di rifiuti speciali pericolosi con non più di dieci dipendenti, in relazione ai quali gli adempimenti operativi Sistri scatteranno in pieno solo dopo l'01.06.2012 (in una data che specificata da un futuro dm Ambiente) dovranno dal 02.04.2012, nel caso conferiscano i propri rifiuti a imprese di trasporto professionali, comunicare a questi i dati relativi ai rifiuti movimentati necessari alla compilazione della relativa scheda Sistri e conservarne (per tre anni) le relative copie che riceveranno dal trasportatore e dall'impianto di recupero/smaltimento.
Gestione emergenze. La scriminante della mancata disponibilità dei mezzi informatici per effettuare le dovute comunicazioni al Sistri entro le previste tempistiche contemplerà anche le ipotesi in cui il problema sarà dovuto a ritardi nella consegna dei dispositivi da parte della Pubblica amministrazione o da problemi tecnici che hanno colpito soggetti a monte o a valle di quelli obbligati alle dichiarazioni.
In quest'ultimo caso è infatti prevista una procedura ausiliaria che permetterà agli operatori «imbottigliati» di registrare su una nuova scheda Sistri (da scaricare dal relativo portale) le informazioni sulla propria movimentazione dei rifiuti.
Mutazioni aziendali. Nessuna soluzione di continuità in caso di cessioni, affitti, trasformazioni, scissioni e fusioni aziendali. Tramite una apposita procedura (ibrida tra il cartaceo e l'informatico) sarà possibile comunicare i predetti cambiamenti al Sistri senza l'obbligo di dover restituire i dispositivi informatici necessari al colloquio con il sistema, i quali saranno semplicemente reindirizzati nell'intestazione.
L'operatività del Sistri. Il termine a partire dal quale i soggetti interessati dovranno adempiere agli obblighi operativi del Sistri (ossia: comunicazione rifiuti gestiti al cervellone gestito dall'Arma dei Carabinieri; tracciamento satellitare mezzi di trasporto; monitoraggio ingresso/uscite da discariche), lo ricordiamo, dipende dalla natura degli stessi: dal 9 febbraio al 02.04.2012 scatterà, infatti, (in base a quanto stabilito dal dl 216/2011, cd. «Milleproroghe») l'obbligo per i medi e grandi gestori di rifiuti; dopo l'01.06.2012 (e secondo la data stabilita da un futuro dm Ambiente) sarà invece la volta (secondo quanto stabilito dal dl 138/2011) dei produttori di rifiuti speciali pericolosi con non più di 10 dipendenti, compresi i produttori che effettuano il trasporto dei propri rifiuti entro i 30 kg/litri al giorno (articolo ItaliaOggi Sette del 16.01.2012).

APPALTI: Gare preparate nel dettaglio. L'iter da seguire se si deve scegliere l'offerta economicamente più vantaggiosa.
Appalti. Analisi delle proposte e attribuzione dei punteggi: le interpretazioni che sono state fornite dall'Avcp.

La gestione delle gare con l'offerta economicamente più vantaggiosa comporta un'accurata impostazione dei criteri, in rapporto alle specifiche prestazionali contenute nel capitolato, e lo sviluppo di un processo valutativo articolato in più fasi.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (Avcp) ha prodotto un complesso di importanti spiegazioni sulle modalità di impostazione dei sistemi di analisi delle proposte dei concorrenti e alle metodologie di attribuzione dei punteggi, fornendo un'interpretazione dell'allegato P del Dpr 207/2010 mediante la determinazione 7/2011 e un quaderno di approfondimento operativo.
L'Avcp sottolinea che la fase di gara dev'essere strettamente correlata a quella di progettazione e a quella di esecuzione. I criteri e i sub-criteri di valutazione e i loro pesi e sub-pesi vanno individuati sinergicamente dal responsabile del procedimento e dal progettista del contratto, chiamato a corredare gli elaborati, a base dell'affidamento, da un capitolato speciale descrittivo e prestazionale. Il capitolato e il progetto devono essere estremamente dettagliati e precisi, descrivendo i singoli elementi che compongono la prestazione e definendo i livelli qualitativi cui corrispondono i punteggi, affinché la commissione si limiti ad accertare la corrispondenza tra un punteggio e un livello predefinito. Secondo l'Autorità, infatti, quando si ricorre al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa non è possibile lasciare parti del capitolato prestazionale generiche o indeterminate, per poi farle completare dalle offerte e, così, permettere alle commissioni valutazioni che integrano le scelte effettuate nel bando di gara.
L'Avcp configura il processo di valutazione delle offerte come combinazione di due fasi. Nella prima si ha la trasformazione dei valori delle offerte in coefficienti variabili tra zero e uno, secondo le indicazioni contenute nell'allegato P del regolamento attuativo, nella parte descrittiva del metodo aggregativo compensatore (ma sono utilizzabili anche con gli altri metodi multicriteriali). Nella determinazione 7/2011 si rileva che, se i criteri di valutazione hanno natura qualitativa, cioè intangibile, la trasformazione si effettua con uno dei metodi di natura scientifica esistenti nella letteratura; se i criteri, invece, hanno natura quantitativa, cioè tangibile, si ricorre a formule matematiche discendenti da cosiddette "funzioni di utilità".
La seconda fase della procedura di valutazione comporta la formazione della graduatoria, applicando il metodo previsto negli atti di gara. La determinazione si effettua sulla base dei coefficienti (variabili tra zero e uno) attribuiti (previa riparametrazione qualora i criteri di valutazione siano suddivisi in sub-criteri). In concreto, dopo che la commissione giudicatrice ha effettuato le valutazioni tecniche (confronto a coppie con tabella triangolare oppure con matrice quadrata, oppure coefficienti attribuiti discrezionalmente dai singoli commissari), trasformato questi valori in coefficienti e attribuito i coefficienti agli elementi quantitativi, occorre, attraverso gli stessi coefficienti, determinare, per ogni offerta, un dato numerico finale atto ad individuare l'offerta migliore. Si applicano quindi i metodi multicriteri e multiobiettivi indicati dal Dps 207/2010, quali l'aggregativo compensatore, l'electre, il topsis, l'evamix. Nessun metodo è in assoluto il migliore.
Quanto ai profili quantitativi, nella determinazione e nel quaderno di approfondimento si precisano alcuni aspetti per la gestione delle formule di attribuzione dei punteggi al prezzo. Il dato più importante è rilevabile nell'applicazione delle formule consigliate (proporzione lineare tra la singola offerta e quella più conveniente, proporzione lineare rispetto alla media delle offerte) con utilizzo del dato di ribasso percentuale. Se si usa il metodo con la soglia media delle offerte, l'Avcp evidenzia la necessità di utilizzare il coefficiente riequilibratore, perciò le stazioni appaltanti devono effettuare adeguate simulazioni per verificare la portata delle formule, al fine di evitare che la metodologia di attribuzione del punteggio al prezzo possa comprimere i valori delle offerte, penalizzando quelle qualitativamente più significative.
Le stazioni appaltanti devono operare la riparametrazione al punteggio massimo attribuibile ai punteggi assegnati ai criteri e ai sub-criteri di tipo qualitativo, poiché, se alla migliore offerta sul piano della qualità non viene attribuito il coefficiente uno, aumenta, nel giudizio, il peso del prezzo, con una conseguente alterazione dell'obiettivo prefissato dalla stazione appaltante (articolo Il Sole 24 Ore del 16.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Sotto il milione di euro si può usare la procedura negoziata. In alternativa. La possibilità è condizionata al rispetto dell'articolo 122 del Codice dei contratti pubblici.
IL BILANCIAMENTO/ Non c'è obbligo di pubblicità preventiva, ma quella successiva (su lavori oltre 500mila euro) diventa più «ampia».

Le stazioni appaltanti possono utilizzare la procedura negoziata per affidare lavori pubblici per importi inferiori a un milione di euro, rispettando tuttavia in modo rigoroso la disciplina contenuta nell'articolo 122 del Codice dei contratti pubblici.
L'Avcp ha fornito, nella determinazione 8/2011, una serie di precisazioni e chiarimenti in ordine alla gestione delle gare informali per opere entro la soglia specifica, a fronte della riformulazione del comma 7 della stessa disposizione (effettuata dalla legge 106/20211).
Rispetto al numero minimo di operatori economici da invitare alle gare informali per l'aggiudicazione di un appalto entro la soglia particolare, l'Autorità evidenzia come la nuova norma abbia aumentato il numero minimo dei soggetti da coinvolgere, al fine di assicurare la massima concorrenzialità della procedura sia nella fascia entro i 500mila euro sia in quella sino a un milione di euro. Peraltro la determinazione evidenzia che le stazioni appaltanti devono aumentare il novero delle imprese invitate, se intendono ricorrere all'esclusione automatica delle offerte nelle gare con il prezzo più basso, per le quali la norma specifica (comma 9 dello stesso articolo 122) richiede la presentazione di almeno 10 offerte. Un numero più ampio di operatori coinvolti garantisce infatti le amministrazioni dal rischio che qualcuno non presenti l'offerta o la presenti in modo scorretto.
Secondo quanto rileva l'Avcp, nelle procedure negoziate per appalti di lavori di valore inferiore a un milione, se si usa il metodo del prezzo più basso, il regolamento attuativo (articolo 121 del Dpr 207/2010) prevede che, in presenza di meno di dieci offerte, non si proceda all'esclusione, ma alla verifica di congruità (articolo 86, comma 3 del Codice). La stessa procedura si deve attivare quando (a esempio, per un appalto inferiore ai 500mila euro) le offerte siano inferiori a cinque.
La determinazione 8/2011 si concentra sulle problematiche relative alla pubblicità delle procedure negoziate regolate dall'articolo 122 del Codice. La disposizione non ha infatti previsto, per le stazioni appaltanti, l'obbligo di pubblicità preventiva nella gara informale (in quanto rientra pur sempre tra le procedure derogatorie rispetto a quelle di massima evidenza pubblica), ma l'autorità precisa che sussistono ragioni di opportunità per l'evidenziazione del confronto agli operatori di mercato, affermando che ogni decisione in merito spetta a ciascuna amministrazione e va parametrata in funzione della tipologia di appalto e dell'importo.
Un consistente bilanciamento alla mancanza di prescrizioni in tema di pubblicità preventiva è fornito nella normativa dalle nuove e più chiare disposizioni inerenti agli obblighi di pubblicità successiva all'affidamento del l'appalto, che devono essere soddisfatti con avvisi pubblicati sulla «Gazzetta Ufficiale», sui siti del l'amministrazione, dell'osservatorio regionale, del ministero delle Infrastrutture, nonché, per estratto, su quotidiani nazionali e regionali. Tale complesso di adempimenti vale in particolare per gli appalti nella fascia tra 500mila euro e un milione, mentre al di sotto resta la semplificazione stabilita dallo stesso articolo 122, con la pubblicazione necessaria all'albo pretorio della stazione appaltante e del Comune dove si eseguono i lavori (articolo Il Sole 24 Ore del 16.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

aggiornamento al 16.01.2012

SEGRETARI COMUNALI: Segretari, anche i rogiti nel taglio di solidarietà. Stipendi. Le indicazioni della Ragioneria.
L'ALTRO CHIARIMENTO/ La stretta sugli aumenti automatici determinata dalla legge di stabilità è interpretativa e valida per il passato.

Due nuovi colpi alla busta paga dei segretari comunali e provinciali. Arrivano dalla Ragioneria generale dello Stato, che in una nota girata a Palazzo Chigi, Viminale, Anci, Upi e Aran risponde ai «numerosi quesiti» che continuano a piovere a Via XX Settembre dalle amministrazioni locali sulla corretta applicazione delle regole per gli stipendi dei vertici amministrativi.
La prima brutta notizia riguarda i diritti di rogito: secondo la Ragioneria rientrano nella base di calcolo del «contributo di solidarietà» che taglia del 5% la quota di trattamento economico superiore a 90mila euro e del 10% quella che supera i 150mila. La tagliola si applica a tutte le entrate dei segretari, compreso lo «scavalco» che viene riconosciuto nei casi di reggenza di altro ente: questi istituti, spiega la Ragioneria, «hanno effetto sulla dinamica retributiva, e di conseguenza concorrono al raggiungimento delle soglie di reddito» che fanno scattare la sforbiciata di solidarietà.
Le istruzioni della Ragioneria tornano poi sull'infinita questione del «galleggiamento», cioè lo strumento che consente alla busta paga del segretario di non fermarsi prima di quella riconosciuta al dirigente più alto in carica. La legge di stabilità (articolo 4, comma 26, della legge 183/2011) ha provato a chiudere una partita aperta dal 2006, stabilendo che il «galleggiamento» si applica dopo le maggiorazioni riconosciute per incarichi aggiuntivi, stoppando una prassi che prima gonfiava la busta paga con il galleggiamento, e poi aggiungeva la maggiorazione come tassello "indipendente".
Il braccio di ferro, allora, si è spostato sul carattere «interpretativo» o «innovativo» della norma: la Ragioneria sancisce la prima ipotesi, che di conseguenza offre alla regola valore retroattivo e impedisce una legittimazione ex post delle applicazioni più "generose" del passato (articolo Il Sole 24 Ore del 13.01.2012).

ENTI LOCALI - VARI: Immobili rurali, pratiche online. Accatastamenti fino al 31 marzo. Domande su internet. Comunicato dell'Agenzia del territorio spiega le novità della manovra Monti e del milleproroghe.
Il comunicato stampa dell'11.01.2012 dell'Agenzia del territorio ricorda che il legislatore, con la legge di conversione 22.12.2011, n. 214, del decreto legge 06.12.2011, n. 201, ha introdotto la lettera d-bis del comma 14 dell'articolo 13, con cui sono state abrogate le disposizioni di cui all'art. 7, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto legge 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106, che prevedevano, per gli immobili rurali a uso abitativo, l'attribuzione della categoria A/6 e, per gli immobili rurali a uso strumentale, la categoria D/10, a seguito della presentazione di apposita domanda di variazione all'Agenzia del territorio.
Come si ricorderà, in un precedente articolo su queste colonne avevamo riferito delle novità con cui il fisco precisava con la circolare ministeriale n. 6/T del 22.09.2011, le nuove regole per l'accatastamento dei fabbricati rurali, carico dei proprietari, per l'iscrizione in catasto dei fabbricati rurali nelle categorie catastali A/6 e D/10.
La nuova norma in realtà reperiva la stretta operata dalla giurisprudenza sui benefici fiscali connessi alla ruralità degli immobili che sono, ad avviso della Cassazione, da destinarsi esclusivamente ai fabbricati censiti come A/6 e D/10, a seconda dell'uso (rispettivamente abitativo o strumentali di detti immobili).
La presentazione della documentazione doveva, originariamente, avvenire mediante presentazione all'Ufficio provinciale dell'Agenzia del territorio territorialmente competente (di seguito «Ufficio»), entro la data del 30.09.2011.
Dati i tempi stretti per l'adempimento in commento, avevamo espresso l'auspicio che vi fosse una riapertura dei termini per tale adempimento.
Infatti adesso con l'art. 29, comma 8, del decreto legge 29.12.2011, n. 216, in corso di conversione, recante «Proroga dei termini previsti da disposizioni legislative», cosiddetto «mille proroghe», è stato, inoltre, previsto che, in relazione al riconoscimento del citato requisito di ruralità, rimangono salvi gli effetti delle domande di variazione presentate anche dopo la scadenza dei termini originariamente previsti, purché entro e non oltre il 31.03.2012.
I fabbricati rurali iscritti nel catasto dei terreni, con esclusione di quelli che non costituiscono oggetto di inventariazione ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto del ministro delle finanze 02.01.1998, n. 28, devono essere dichiarati al catasto edilizio urbano entro il 30.11.2012, con le modalità stabilite dal decreto del ministro delle finanze 19.04.1994, n. 701.
Vi è però un'altra novità prevista dalle disposizioni in materia, con cui si precisa che nelle more della presentazione della dichiarazione di aggiornamento catastale di cui al comma 14-ter, l'imposta municipale propria è corrisposta, a titolo di acconto e salvo conguaglio, sulla base della rendita delle unità similari già iscritte in catasto.
Il conguaglio dell'imposta è determinato dai comuni a seguito dell'attribuzione della rendita catastale con le modalità di cui al decreto del ministro delle finanze 19.04.1994, n. 701.
Tali disposizioni che si ritrovano nell'art. 13 nei commi 14-bis, 14-ter e 14-quater, non erano originariamente inserite nel decreto legge del 06.12.2011 (manovra Monti), ma sono state inserite all'ultimo momento nella legge di conversione del decreto legge suddetto, e si ritrovano appunto nella legge 22.12.2011 n. 214.
Data questa frettolosa introduzione modificativa e l'aggiornamento importante ai fini dell'applicazione ai suddetti beni della neonata imposta Imu, l'Agenzia del territorio ha ritenuto opportuno precisare il senso delle nuove disposizioni, con un breve comunicato del 11.01.2012, nel quale ricorda succintamente le novità procedurali introdotte e la nuova proroga al 31.03.2012 delle comunicazioni da farsi a cura dei proprietari degli immobili rurali.
Il comunicato stampa in commento, ricorda infine, che per la presentazione delle suddette domande di variazione, l'Agenzia del territorio, per facilitare al contribuente il disbrigo delle pratiche amministrative relative alla novità legislativa introdotta recentemente, ha reso disponibile nel proprio sito internet un'applicazione che consente la compilazione della domanda e la stampa della stessa con modalità informatiche, con l'attribuzione di uno specifico codice identificativo, a conferma dell'avvenuta acquisizione a sistema dei dati contenuti nella domanda di variazione (articolo ItaliaOggi del 13.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: LIBERALIZZAZIONI/ Il governo Monti recepisce molte delle indicazioni dell'Antitrust. Utility, giro di vite sull'in house. Entro fine anno stop alle gestioni che superano i 200 mila.
Stop alle gestioni in house entro fine 2012 se il valore del servizio supera i 200 mila euro. Parere obbligatorio dell'Antitrust sulle delibere degli enti locali che liberalizzano o mantengono diritti di esclusiva (che devono essere motivati). Liberalizzazione anche per il trasporto ferroviario regionale. Scende da 900 mila a 200 mila euro il limite entro il quale si potrà gestire in house. Priorità nei finanziamenti statali agli enti di ambito o di bacino. Applicabilità del Codice dei contratti pubblici e delle norme sulla finanza pubbliche per le aziende speciali.
È quanto prevedono le norme dedicate ai servizi pubblici locali previsti nella bozza del decreto-legge sulle liberalizzazioni predisposto dal governo che, su questa come su altra materia (professioni, taxi, farmacie) mostra di recepire gran parte delle indicazioni fornite dall'Antitrust nella segnalazione del 05.01.2012. In particolare per i servizi pubblici locali si interviene direttamente sulle ultime norme varate a Ferragosto (decreto 138 convertito nella legge 148/2011) dal governo Berlusconi, nello spirito di un maggiore ricorso al mercato e di una liberalizzazione «governata» dalle autorità di controllo e regolazione.
È ad esempio così per la revisione della norma della legge 148 sulla delibera quadro dell'ente locale che dimostri i benefici derivanti dal mantenimento o meno del regime di esclusiva.
Si prevedeva infatti che la delibera quadro fosse semplicemente inviata all'Antitrust, mentre con il nuovo decreto del governo Monti, invece, il provvedimento dell'ente locale potrà essere emanato soltanto dopo il parere obbligatorio dell'Antitrust, che dovrà arrivare entro 60 giorni e che dovrà essere reso pubblico.
La bozza di decreto prevede anche che la delibera sia comunque adottata entro trenta giorni dalla ricezione del parere dell'Autorità e che, in assenza della delibera non si possano attribuire diritti di esclusiva. Se l'ente locale deciderà per l'effettuazione di gare per affidare i servizi, il concessionario o affidatario del servizio avrà l'obbligo di fornire i dati sulle caratteristiche del servizio da mettere in gara previste sanzioni da 5 mila a 500 mila euro per il mancato inoltro dei dati richiesti).
Rilevante è poi l'intervento sulle gestioni cosiddette «in house»: se ad agosto si ammetteva l'affidamento diretto del servizio a società interamente pubbliche se il valore del servizio fosse pari o inferiore a 900 mila euro, con il nuovo decreto questo importo scende drasticamente a 200 mila euro. Non solo: la gestione in house potrà avere una durata massima di cinque anni (a decorrere dal 31.12.2012, data entro la quale dovranno cessare gli affidamenti diretti di valore superiori ai 200 mila euro) per le aziende risultanti da fusioni di preesistenti gestioni dirette che abbiano determinato la nascita di un gestore unico del servizio a livello di ambito ottimale.
Il decreto legge stabilisce anche che siano integralmente applicabili le norme sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali (come risultanti dalle modifiche apportate all'articolo 4 della legge 148) anche al trasporto ferroviario regionale, in precedenza escluso.
Confermata l'esclusione dall'applicazione delle nuove norme per il servizio idrico integrato per il quale valgono le competenze dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, divenuta competente dopo il decreto Monti di dicembre.
L'organizzazione dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei (che consentano econome di scala e massimizzazione dell'efficienza) costituirà «principio generale dell'ordinamento nazionale», rafforzando il vincolo per il legislatore regionale.
Il rispetto delle norme sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali rappresenterà per l'ente locale un indice di «virtuosità» per non concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.
Prevista una priorità nel finanziamento con risorse statali per gli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali. Gli enti locali potranno cedere le proprie quote societarie (con procedura di gara aperta) per ripianare posizioni debitorie o promuovere l'ampliamento del mercato.
Vengono toccate anche alcune norme del dlgs 267/2000, prevedendo in particolare che le aziende speciali siano operative solo per gestire servizi diversi da quelli di interesse economico generale e che esse, insieme alle istituzioni, siano assoggettate al patto di stabilità interno secondo modalità che definiranno appositi decreti ministeriali. Si prevede inoltre che alle aziende speciali si applichi il Codice dei contratti pubblici e le norme che prevedono limiti o divieti alle assunzioni di personale, al conferimento di consulenze e in genere le norme sulla finanza pubblica.
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Palazzo Chigi vigilerà sulla concorrenza negli enti. Tra le competenze anche l'accertamento delle clausole vessatorie.
Sarà palazzo Chigi a vigilare sulla concorrenza nelle regioni e negli enti locali. Non attraverso un'Authority vera e propria (come emergeva dalla lettura delle prime bozze del pacchetto liberalizzazioni), ma attraverso un ufficio dedicato che dovrà essere istituito entro due mesi con dpcm.
Alla nuova struttura, il cui mantenimento in vita (il decreto lo dice espressamente) non dovrà comportare oneri ulteriori per le casse dello stato, spetterà innanzitutto monitorare la normativa regionale e locale e individuare, anche su segnalazione dell'Antitrust, se nelle pieghe delle leggi locali si annidano disposizioni contrastanti con la tutela o la promozione della concorrenza.
In questo caso il neonato ufficio fisserà un «congruo termine» per rimuovere i limiti alla concorrenza, decorso il quale il governo potrà esercitare i poteri sostitutivi previsti dall'articolo 8 della legge La Loggia (legge 05.06.2003, n. 131). La nuova struttura dovrà anche supportare gli enti locali nel monitoraggio e nelle procedure di dismissione delle loro partecipazioni nelle società di utility.
Tra le competenze dell'ufficio anche l'accertamento della vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori. Nell'esercizio di tali funzioni all'ufficio è attribuito il potere di richiedere, tramite funzionari appositamente autorizzati, informazioni a privati ed enti pubblici. Le regole sulle procedure istruttorie da tenere e sulle garanzie di contraddittorio saranno individuate con successivo regolamento da emanare ai sensi della legge 400/1988. In ogni caso in questi procedimenti dovranno essere garantiti «la piena cognizione degli atti, la verbalizzazione e la maggiore speditezza possibile dell'intervento amministrativo».
I componenti, i funzionari e i dipendenti dell'ufficio non percepiranno emolumenti aggiuntivi o gettoni di presenza. Dovranno operare con autonomia di giudizio e risponderanno per gli atti compiuti nell'esercizio delle loro funzioni solo per dolo o colpa grave (articolo ItaliaOggi del 13.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

aggiornamento al 13.01.2012

PUBBLICO IMPIEGOIl Santo patrono rimane festivo. Tempo scaduto per il dpcm attuativo. Tutto resta come prima. Lo chiarisce l'Anci. Il decreto con le ricorrenze da fare slittare doveva arrivare entro il 30/11.
I Santi patroni restano dove sono, almeno per il 2012. E i giorni in cui si celebrano continuano a essere considerati festivi se ricadenti in giornate lavorative.
A chiarirlo è il segretario generale dell'Anci, Angelo Rughetti, che nella nota 11.01.2012 è intervenuto a dissipare i dubbi dei comuni sull'applicazione di una delle norme più controverse della manovra di Ferragosto.
Quell'art. 1, comma 24, che per scoraggiare l'invalso costume dei ponti a cavallo delle festività civili e religiose ha stabilito che da quest'anno la gran parte delle ricorrenze (con esclusione di quelle concordatarie, del 25 aprile, del 1° maggio e del 2 giugno) dovesse cadere la domenica seguente oppure il venerdì precedente o il lunedì successivo a quest'ultima.
Peccato che l'individuazione delle festività da spostare sarebbe dovuta arrivare con un decreto di palazzo Chigi da approvare in tempo utile (entro il 30.11.2011) prima dell'inizio del nuovo anno. La scadenza è invece trascorsa invano e il 2012 è iniziato senza che i comuni sapessero la sorte delle rispettive feste patronali. Un particolare non da poco, visto che la ricorrenza del Santo patrono è da considerare giorno festivo a tutti gli effetti.
Secondo l'Anci, in assenza del dpcm e dal momento che la disposizione del dl 138/2011 «non apporta alcuna modifica alle date delle ricorrenze, è da ritenere tuttora vigente la disciplina contrattuale del comparto». Diversamente, sottolinea l'Associazione presieduta da Graziano Delrio, ci si troverebbe davanti a una situazione di vuoto normativo.
Per il comparto dei comuni, chiarisce la nota dell'Anci, continua dunque a trovare applicazione, l'art. 18, comma 6, del Contratto nazionale di lavoro del 06.07.1995 secondo il quale la ricorrenza del Santo patrono dell'ente in cui il dipendente presta servizio è considerata giorno festivo se cade in una giornata lavorativa (articolo ItaliaOggi del 12.01.2012).

VARIGiudici di pace legati ai comuni. Ma se l'ente è in mora per un anno cala il sipario sull'ufficio. Lo schema di decreto sulla soppressione aggancia il mantenimento alla volontà dei sindaci.
Gli enti locali che hanno ottenuto il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace sul quale pende la scure della soppressione voluta dalla legge n. 148/2011, non potranno fare i «furbetti». Infatti, se si dovesse accertare che l'amministrazione locale, per un periodo superiore a un anno, non ha ottemperato all'obbligo di provvedere con proprie risorse alle spese di funzionamento della sede e a quelle relative al personale amministrativo, calerà subito il sipario sull'ufficio del giudice di pace.
È quanto si ricava dal testo della lettura dello schema di decreto legislativo sulla «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie», redatto a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 148/2011, in materia di riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, pubblicato ieri sul sito internet del Ministero della giustizia, (di cui ItaliaOggi ne ha anticipato i contenuti sul numero del 22 dicembre scorso).
Come noto, per effetto delle disposizioni contenute all'articolo 1, comma 2, della legge n. 148/2011 (la norma di conversione del decreto legge di Ferragosto), il governo è delegato a mettere in pratica una revisione delle circoscrizioni giudiziarie, soprattutto in termini di soppressione degli uffici del giudice di pace dislocati in comuni di piccole-medie dimensioni.
Nelle intenzioni dell'esecutivo, questi scompariranno per essere accorpati a quelli ubicati nelle città di dimensioni maggiori. L'obiettivo, non tanto celato, è quello di «recuperare» circa 2 mila magistrati onorari e un pari numero di personale amministrativo da destinare negli organici dei tribunali e delle procure della repubblica.
Allo schema sono allegate due tabelle. Nella prima, è incluso il lungo elenco degli uffici di giudice di pace che verranno colpiti dal taglio. Nella seconda, vi sono elencate le nuove distribuzioni territoriali degli uffici accorpanti. Questi due elenchi verranno pubblicati sul bollettino ufficiale del Ministero della giustizia, oltre che sul sito internet dello stesso dicastero.
Dalla data di pubblicazione, entro il termine di 60 giorni, gli enti locali, anche consorziati tra loro, potranno richiedere il mantenimento della sede di cui si propone la soppressione. A condizione, però, che gli stessi enti si facciano carico delle spese di funzionamento dell'ufficio e di quelle relative all'erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, incluso il fabbisogno del personale amministrativo che sarà messo a disposizione degli enti locali. A carico del Ministero della giustizia, resta l'organico del personale di magistratura onoraria e la sola formazione del personale amministrativo.
L'articolo 3 dello schema in esame prevede poi, una sorta di «clausola di salvaguardia». In pratica, si dispone che se l'ente locale (o gli enti consorziati) non rispetti gli impegni relativi al personale amministrativo e alle spese di funzionamento, per un periodo superiore a un anno, il dicastero di via Arenula non attenderà oltre disponendo l'immediata soppressione dell'ufficio.
Infine, lo schema dispone che il personale amministrativo in organico all'ufficio soppresso, verrà riassegnato, in misura non inferiore al 50% alla sede di tribunale o di procura limitrofa e, nella restante parte, all'ufficio del giudice di pace accorpante (articolo ItaliaOggi del 12.01.2012).

aggiornamento al 12.01.2012

PUBBLICO IMPIEGOAssistenza, congedi una tantum. Permessi fruibili solo per due anni in tutta la vita lavorativa. La stretta in una nota dell'Inpdap che scalza la Funzione pubblica: impossibile cumulare.
L'Inpdap ha bypassato la Funzione pubblica e ha dettato le regole per la fruizione dei congedi biennali per assistere i portatori di handicap, limitandone complessivamente la fruizione a soli due anni nell'arco della vita lavorativa. Anche se i disabili da assistere sono più di uno e le necessità si verificano in epoche diverse.
É quanto si evince dalla
circolare 28.12.2011 n. 22 emanata dall'ente previdenziale (INPDAP) guidato da Paolo Crescimbeni, ente in corso di trasferimento all'Inps in virtù dell'accorpamento deciso dalla manvora salva-Italia.
L'istituto si spinge fino ad impartire disposizioni alle altre amministrazioni dello stato su come fruire dei congedi previsti dall'art. 42 del decreto legislativo 151/2001. La materia dei congedi è stata decontrattualizzata e, per effetto della delega contenuta nell'articolo 23 della legge 04.11.2010, n. 183, è ormai riservata ai regolamenti. Ciò comporta che non sia più il tavolo negoziale a dettare le regole, ma direttamente il governo, per il tramite di decreti legislativi. Più che all'Inpdap, dunque, il potere di orientare le amministrazioni centrali e periferiche dello stato nell'applicazione della complessa materia dei permessi decontrattualizzati spetta alla Funzione pubblica.
All'Inpdap toccherebbe indicare alle proprie sedi periferiche come far pagare i contributi alle amministrazioni quando i dipendenti fruiscono dei congedi. Resta il fatto, però, che l'ente previdenziale è andato ben oltre e ha messo nero su bianco che i due anni del congedo per assistere i disabili sono da considerarsi una tantum. A prescindere dl fatto che vi siano più leggi che prevedono diverse tipologie di congedi biennali e a nulla rilevando che vi sia più di un disabile da assistere.
Pertanto, una volta esauriti i due anni, secondo l'Inpdap, non si può più fruire di altro. Il tutto senza tenere conto che il diritto al congedo, pur assumendo rilievo in capo al soggetto che ne richiede la fruizione, trova la sua causa nelle necessità di ciascuno dei disabili da assistere e non in capo al lavoratore che lo assista. Oltre tutto l'ente ha i giorni contati, perché la manovra Monti ne ha previsto la cessazione per incorporazione nell'Inps insieme all'Enpals.
Ma nonostante il de profundis intonato dal governo, l'Inpdap non ha voluto rinunciare ad un ultimo pronunciamento per dire no al cumulo tra il congedo biennale per assistere il disabile grave (art. 42, dlgs n. 151/2001) e il congedo non retribuito per gravi motivi di famiglia (art. 4, comma 2, della legge n. 53/2000). Secondo l'ente previdenziale le due tipologie di congedo non sono cumulabili e, in ogni caso, anche se la stessa persona dovesse assistere nel corso della vita due disabili diversi in epoche diverse, una volta esauriti i 2 anni di congedo, ciò comporterà la preclusione del diritto al congedo biennale di cui all'art. 42 del dlgs 151/2001. E ciò determinerà l'ulteriore effetto di non poter fruire nemmeno di quello previsto dall'art. 4 della legge 53/2000.
Il ragionamento seguito dall'Inpdap è il seguente: il congedo biennale non può superare la durata di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa. Pertanto, chi fruisce del congedo biennale di cui all'art. 42 del dlgs 151/2000 perde la possibilità di giovarsi del congedo biennale previsto dalla legge 53.
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Fuori nipoti e cugini del lavoratore con handicap.
Il congedo biennale per assistere il portatore di handicap grave può essere fruito, nell'ordine: dal coniuge, dai genitori, dai figli, dai fratelli e dalle sorelle. Sono esclusi, invece, nipoti, cugini, generi o altri familiari, anche se convivono con il portatore di handicap.

E' questo uno dei chiarimenti contenuti nella
circolare 28.12.2011 n. 22 emanata dall'Inpdap.
Il provvedimento dedica un paragrafo all'individuazione degli aventi diritto ai congedi previsti dall'art. 42 del decreto legislativo 151/2001, la cui disciplina è stata interessata da alcune recenti modifiche. In particolare, l'ente previdenziale ha spiegato che, fermo il requisito della convivenza con l'assistito, il congedo spetta in via prioritaria al coniuge della persona gravemente disabile. In mancanza del coniuge convivente il diritto al congedo insorge in capo ai genitori, naturali o adottivi.
L'ente previdenziale ha chiarito inoltre che il beneficio spetta in via subordinata in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, alla madre o al padre e non può essere utilizzato contemporaneamente da entrambi i genitori. È possibile usufruire del beneficio anche se l'altro genitore non lavora, sia in caso di figlio minorenne che maggiorenne. Non è richiesta la dichiarazione/prova di convivenza con il soggetto disabile e non è previsto alcun limite di età del soggetto che assiste il disabile. In assenza dei genitori il diritto al congedo scatta per il figlio convivente del soggetto disabile grave. Se non vi sono figli nelle condizioni previste dalla legge, il congedo può essere fruito dai fratelli e dalle sorelle.
Lo scorrimento della scala di priorità deve avvenire secondo l'ordine fissato dalla legge: coniuge, genitore, figlio, fratello, a prescindere dal sesso degli interessati e fermo il requisito necessario della convivenza con il disabile. Sono esclusi nipoti, cugini, generi o altri familiari che, pur assistendo, in convivenza, un familiare con handicap grave, non hanno diritto alla concessione del congedo.
Quanto al requisito della convivenza esso si intende soddisfatto qualora l'assistito e l'assistente abbiano la stessa residenza, intendendo per tale la medesima dimora abituale. E cioè l'abitazione nel medesimo stabile avente lo stesso numero civico, a nulla rilevando che i soggetti abitino in interni diversi.
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Anche il congedo fa festa quando capita di domenica. Ammessa la fruizione frazionata, ma solo su base giornaliera.
Se il congedo va dal lunedì a un giorno prefestivo, non è necessario ritornare in servizio per evitare che il festivo rientri nel periodo di congedo. La sospensione delle lezioni, infatti, sposta l'obbligo della presa di servizio al primo giorno utile dopo la festa. Ma se l'assenza del lavoratore riparte dal giorno dopo la festa, anche il giorno festivo rientra nel congedo.

É questo uno dei chiarimenti sulle assenze previste dall'art. 42 del dlgs 151/2001, contenuti nella
circolare 28.12.2011 n. 22, emanata dall'Inpdap.
L'ente previdenziale ha chiarito, inoltre, che la fruizione del congedo per l'assistenza dei portatori di handicap non può eccedere il decorso del termine del certificato della Asl che attesta lo stato di handicap dell'assistito. Pertanto, anche se la legge fissa il limite massimo del congedo in due anni, la relativa fruizione non può andare oltre il periodo di vigenza del certificato sanitario. Si pensi, per esempio al caso del portatore di handicap giudicato rivedibile che, all'atto del successivo accertamento, perda lo stato di handicap per effetto dell'intervenuta guarigione.
L'Inpdap ha spiegato, inoltre, che il congedo è fruibile anche in modo frazionato. La frazionabilità però va intesa nel senso che l'assenza può essere fruita a giorni, rimanendo preclusa la possibilità della fruizione ad ore in quanto non espressamente prevista dalla legge. Ai fini della frazionabilità, tra un periodo e l'altro di fruizione, per evitare che vengano computati nel periodo di congedo i giorni festivi, i sabati e le domeniche, è necessaria, l'effettiva ripresa del lavoro. Il requisito della ripresa del lavoro non è richiesto nei casi di domanda di congedo dal lunedì al venerdì.
A questo proposito l'Inpdap ha fatto riferimento all'ipotesi della settimana corta (che viene adottata talvolta anche nelle istituzioni scolastiche). In tal caso, secondo l'ente previdenziale, il sabato e la domenica antecedenti la ripresa del lavoro non devono essere conteggiati. Sempre che non si presenti una nuova richiesta di congedo dello stesso tipo per il lunedì successivo.
La ripresa di servizio non è necessaria anche se muta il titolo dell'assenza. Per esempio se, una volta esaurito il periodo di congedo richiesto, l'interessato prosegua l'assenza fruendo di ferie, di permessi o si assenti per malattia. In questi casi, cioè nell'ipotesi di giorni di ulteriori assenze a diverso titolo collocate immediatamente dopo il congedo le giornate festive ed i sabati (in caso di settimana corta) non vanno computate nel congedo (articolo ItaliaOggi del 10.01.2012).

PUBBLICO IMPIEGO: Statali, i vincoli al part-time. Entro 60 giorni la Pa accoglie o respinge (con motivi) la domanda (articolo Il Sole 24 Ore del 09.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIConsolidamento solo sul personale. Nei calcoli dei tetti le società «pesano» per le spese in stipendi ma non per le correnti.
Corte dei conti. I chiarimenti della Sezione autonomie sull'applicazione del limite del 50% di uscite per risorse umane che blocca le assunzioni.

L'illusione è durata pochi giorni. La legge di stabilità 2012 ha regalato un allentamento della morsa sui vincoli alle assunzioni, aumentando dal 40 al 50% il limite del rapporto fra spesa di personale e spesa corrente, oltre al quale scatta lo stop ai contratti di lavoro. Ma è stata la Corte dei conti, sezione autonomie, a riportare gli enti con i piedi per terra. Interpretando le modalità di applicazione dell'articolo 76, comma 7, del Dl 78/2010, ha indicato criteri di calcolo che comportano, quasi certamente, lo sforamento del vincolo appena indicato e, quindi, l'applicazione della sanzione. Nel contempo ha, forse involontariamente, indicato una strada per sopperire al problema.
Ma andiamo con ordine. Con la deliberazione 14/Aut/2011, i magistrati contabili risolvono alcuni dubbi sul consolidamento della spesa di personale delle società partecipate con quella degli enti locali ai fini del calcolo dell'incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente. Il principio posto a base del consolidamento sta nella proporzionalità diretta: il valore dei corrispettivi pagati da ogni singolo ente determina il quantum della spesa di personale che spetta a ogni soggetto che partecipa in società a capitale pubblico totalitario o di controllo, che abbia ottenuto affidamenti senza gara (si veda l'articolo a lato).
Tre sono, quindi, le quantità che devono essere recuperate dal bilancio della società stessa o dalla relazione al rendiconto che i revisori inviano alla stessa Corte dei conti e che, a sua volta, richiama lo schema di conto economico del Codice civile:
- la spesa di personale della società, coincidente con la voce B9 del conto economico, senza alcuna decurtazione per fondi o accantonamenti. Ne fanno, quindi, parte anche l'accantonamento per il Tfr e per eventuali fondi di previdenza complementare. A questi fini, il concetto di spesa e di costo coincidono e il criterio guida è rappresentato dalla competenza economica;
- il valore della produzione della società, corrispondente, come specificato nelle istruzioni alla relazione, alla lettera A del conto economico;
- i corrispettivi pagati alla società per le prestazioni rese a favore dell'ente. Sottolineano i magistrati contabili che, in caso di servizio a tariffa, si devono considerare anche i ricavi associati agli utenti di ciascun ente partecipante alla società.
Il riparto avviene rapportando i corrispettivi (punto 3) al valore della produzione (punto 2) e moltiplicando il quoziente per la spesa di personale (punto 1). Questo è l'importo da consolidare con la spesa di personale dell'ente e l'operazione va ripetuta per ogni amministrazione partecipante la società.
I conti, però, non quadrano. Infatti, nel valore della produzione il Codice civile ricomprende anche altre voci che non sono direttamente correlate alle prestazioni di servizi, quali i contributi in conto esercizio, le variazioni delle rimanenze e gli incrementi delle immobilizzazioni per lavori interni. Ne consegue che una parte della spesa di personale potrebbe non essere imputata ai singoli enti o, in caso di variazione negativa delle scorte, la spesa imputata potrebbe superare la spesa effettiva di personale della società.
Ma la forte penalizzazione per gli enti è rappresentata dal consolidamento della sola spesa di personale, senza alcun incremento della quantità "spesa corrente". È evidente come, operando in tal modo, il valore del rapporto spesa di personale sulla spesa corrente si incrementi in modo significativo, in spregio a quel criterio di ragionevolezza e ai principi che si pongono a base del bilancio consolidato, che la stessa Corte auspica nella delibera in commento. Aumentare anche la spesa corrente dei costi che la società sostiene a fronte di ricavi non correlati a corrispettivi pagati dai singoli enti rappresenterebbe una misura sicuramente più equa. Emblematico è il caso delle farmacie.
Con molta probabilità, comunque, non è stata messa la parola fine: l'interpretazione proviene dalla sezione autonomie della Corte dei conti e non dalle sezioni riunite, e quindi non ha effetto vincolante per le sezioni regionali (articolo Il Sole 24 Ore del 09.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti, semplificazioni beffa. Per gli operatori resta l'obbligo di inviare il Mud entro aprile. Le misure introdotte dal dm 298/2011. Al Sistri vanno comunicati codici, quantità e destinazione.
Ormai è ufficiale: il termine per l'invio dei dati su produzione, recupero e smaltimento rifiuti relativi al periodo 2011 non coperto dal Sistri è slittato dal 31.12.2011 al 30.04.2012. Come disposto dal decreto 12.11.2011 dell'ormai ex ministro all'Ambiente Stefania Prestigiacomo approdato finalmente alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 298 del 23.12.2011.
L'esigenza di rinviare la scadenza al 30.04.2012 nasce da una serie di proroghe succedutesi a catena. Da ultimo quella dell'art. 13, comma 2, del dl 216/2011 (c.d. decreto «mille proroghe») pubblicato in G.U. n. 302 del 29.12.2011 che posticipava l'entrata in vigore del Sistri al 02.04.2012. Una posticipazione che seguiva quella già disposta dall'art. 6, comma 2, del dl 138/2011 (la manovra di fine estate), convertito con legge 14.09.2011 n. 148 e che prorogava il termine di entrata in operatività del Sistri al 09.02.2012.
Ciò in costanza dell'art. 12, comma 1, del dm 17.12.2009, come modificato con successivo dm del 22.12.2010, che disponeva che le informazioni relative all'anno 2011 sui rifiuti prodotti o gestiti fossero comunicate al Sistri entro il 31.12.2011 da parte dei soggetti tenuti alla presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (Mud) di cui alla legge 25.01.1994, n. 70.
Da ora, pertanto, sia i produttori iniziali di rifiuti sia le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento, e che erano tenuti alla presentazione del Mud, dovranno comunicare al Sistri entro il prossimo 30 di aprile, compilando l'apposita scheda, le seguenti informazioni, relative al periodo dell'anno 2010 precedente all'operatività del sistema Sistri, sulla base dei dati inseriti nel registro di carico e scarico di cui all'articolo 190 del dlgs 03.04.2006, n. 152:
a) il quantitativo totale di rifiuti annotati in carico sul registro, suddiviso per codice Cer;
b) per ciascun codice Cer, il quantitativo totale annotato in scarico sul registro, con le relative destinazioni;
c) per le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, le operazioni di gestione dei rifiuti effettuate;
d) per ciascun codice Cer, il quantitativo totale che risulta in giacenza.
A questo punto è opportuno ricordare che tra gli obiettivi del Sistri c'era quello della semplificazione normativa ed operativa in favore delle imprese, oltre a quello del miglioramento della tracciabilità dei rifiuti. In realtà, sembra che così non si riesca affatto a ridurre il numero di adempimenti per le imprese. Il «tormentone» del Sistri e della sua entrata in vigore ha inoltre avuto il demerito di distrarre amministrazioni e opinione pubblica da altri temi di fondamentale importanza per l'Italia e l'Europa. Per esempio la Direttiva rifiuti n. 98/2008 (recepita dal dlgs n. 205/2010), che introduce degli obiettivi vincolanti di riuso e riciclaggio per i rifiuti domestici e per quelli derivanti dall'edilizia.
La recente Tabella di marcia per l'uso efficiente delle risorse, pubblicata nello scorso mese di settembre, prevede, fra l'altro, il miglioramento della gestione dei rifiuti attraverso un miglior utilizzo delle risorse e può aprire nuovi mercati e creare posti di lavoro, favorendo una minore dipendenza dalle importazioni di materie prime e consentendo di ridurre gli impatti ambientali (articolo ItaliaOggi Sette del 09.01.2012).

ENTI LOCALI - VARIImu-Ici, dieci gradi di separazione. Tra detrazioni familiari e case all'estero, cosa fa la differenza. Similitudini e diverse caratteristiche delle due imposte immobiliari, con gli effetti per i contribuenti.
L'Imu non è l'Ici. Almeno dieci differenze fanno sì che la nuova imposta abbia effetti diversi dalla vecchia comunale sugli immobili. Da quando la manovra Monti ha anticipato al 2012 l'entrata in vigore dell'Imu, questa è stata spesso definita come una sorta di Ici allargata e nulla più.
Si tratta, invece, di una nuova imposta che è vero che sostituisce l'Ici (ma non solo) e che ha non pochi punti in comune con la stessa, ma è anche vero che ha caratteristiche proprie. Ecco allora le dieci differenze di maggior rilevanza che saranno quelle che i contribuenti dovranno considerare per verificare convenienze e sconvenienze della nuova imposta.
1. Abitazione principale. Forse è la differenza che ha avuto la maggior pubblicità. Al contrario di quanto accadeva con l'Ici, con la nuova imposta anche l'abitazione principale sarà da assoggettare al tributo con un evidente aggravio per i titolari dell'abitazione principale (che fino a oggi non pagavano alcunché né ai fini Ici né ai fini Irpef). L'imposta sull'abitazione principale è fissata allo 0,4% ma i comuni hanno il potere di modificarla di 0,2 punti percentuali in più o in meno. Quindi la stessa potrà variare dallo 0,2 allo 0,6%.
2. Detrazione per carichi di famiglia. In sede di conversione per ogni figlio fino ai 26 anni di età, che vive in famiglia, è concessa una detrazione aggiuntiva a quella stabilita per l'abitazione principale di 50 euro. Il tetto massimo della nuova detrazione sarà di 400 euro da sommare ai 200 concessi in generale per l'abitazione principale (quindi il bonus massimo sarà di 600 euro). Lo sconto sarà efficace nel 2012 e 2013 mentre nulla si prevede con riguardo al 2014. Nessun previsione similare esisteva ai fini Ici (nemmeno quando era tassata l'abitazione principale).
3. Sostituzione dell'Irpef. Questa ulteriore differenza non sempre è stata messa in evidenza. La nuova Imu infatti oltre a sostituire l'Ici sostituisce anche l'Irpef e le addizionali sugli immobili non locati differenti dall'abitazione principale.
Da ciò i calcoli di convenienza rispetto al passato dovranno tener conto anche di tale situazione. Per le seconde o terze case solo un calcolo sul singolo caso potrà consentire di verificare l'effetto della nuova previsione anche se molto spesso si giungerà a individuare anche in questo caso un aggravio. I calcoli dell'esborso e quindi del confronto con la situazione attuale dovranno però tener conto anche del potere che è assegnato ai comuni per la rimodulazione delle aliquote e delle misure delle detrazioni.
4. Valore immobili. La base imponibile Imu è individuata partendo dal valore della rendita catastale rivalutato. Poi, come già succedeva con l'Ici, per passare dalla rendita al valore dell'immobile sono stati individuati alcuni moltiplicatori. Ma tali moltiplicatori sono ben più alti rispetto a quelli in vigore con l'Ici. Da qui naturalmente una logica conseguenza è quella che si assisterà a un incremento della base imponibile dell'imposta municipale rispetto a quella Ici.
Almeno per ora il nuovo valore così individuato esplica efficacia solo con riferimento all'imposta comunale. Guardando ai casi più comuni, gli effetti si faranno sentire non poco. Basti pensare che sulle abitazioni il nuovo moltiplicare di 160 sostituisce il precedente di 100 e sugli uffici il nuovo di 100 sostituisce il precedente di 50 (con una sorta di raddoppio della base imponibile).
5. Aliquote. Anche sul fronte delle aliquote non mancano le novità. La vecchia Ici prevedeva per le abitazioni una imposta che poteva variare dal 4 al 7 per mille, spazio entro cui i comuni poteva scegliere le differenziazioni che volevano introdurre nel loro territorio comunale. Ora invece sull'abitazione principale è fissata allo 0,4% ma i comuni hanno il potere di modificarla di 0,2 punti percentuali in più o in meno. Quindi la stessa potrà variare dallo 0,2 allo 0,6%.
Sugli immobili è fissata allo 0,76%, ma i comuni hanno il potere di modificarla di 0,3 punti percentuali in più o in meno. Quindi la stessa potrà variare dall'1,06% allo 0,46%. Inoltre la stessa è fissata allo 0,2% per i fabbricati rurali a uso strumentale e i comuni possono ridurre la suddetta aliquota fino allo 0,1%. Inoltre i comuni possono ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4% nel caso di immobili non produttivi di reddito fondiario o nel caso di immobili posseduti da soggetti Ires, ovvero nel caso di immobili locati.
6. Potere regolamentare dei comuni. Anche in ambito Imu rimane fermo il potere regolamentare dei comuni, ovvero la possibilità degli stessi di modulare l'imposta con riguardo a specifiche fattispecie. Una particolarità riguarda però gli immobili inagibili e per i fabbricati realizzati per la vendita e non venduti dalle imprese che hanno per oggetto esclusivo o prevalente dell'attività la costruzione e l'alienazione di immobili. In tal caso l'Ici non era dovuta per espressa previsione normativa mentre di tale esclusione non vi è traccia nell'Imu. La stessa quindi potrà essere accordata, ma solo in via opzionale dai comuni esercitando il loro potere regolamentare.
7. Compartecipazioni erariale. L'Ici era un'imposta comunale il cui gettito finiva interamente nelle casse dell'ente periferico. Non è così per l'Imu. È stata, infatti, prevista una compartecipazione dello stato all'Imu nella misura: del 50% dell'imposta determinata applicando l'aliquota di base di cui al (0,76%) alla base imponibile di tutti gli immobili, a eccezione dell'abitazione principale e dei fabbricati rurali. In tal caso le detrazioni e le riduzioni di aliquota deliberate dai comuni, non si applicano alla quota di imposta riservata allo stato di cui al periodo precedente.
Ora ciò può avere un effetto diretto per i contribuenti. Se gli immobili diversi dalla casa di abitazione e quelli rurali il gettito dovrà essere devoluto allo stato nella misura del 50% dell'imposta totale calcolata con l'aliquota dello 0,76% sarà ben difficile che i comuni sfruttando il loro potere giungeranno ad abbattere tale aliquota perché così facendo correrebbero il rischio di incassare solo poco più di quello che in ogni caso sarà il gettito di competenza (per legge) dell'erario centrale.
8. Fabbricati rurali. Niente sconti per i fabbricati rurali. La nuova Imu cancella l'esenzione Ici per i fabbricati rurali. Tali immobili pagheranno con un'aliquota ridotta allo 0,2% nel caso di fabbricati rurali ad uso strumentale (quindi stalle, depositi attrezzi, ecc). Vi è però la possibilità dei comuni di abbattere l'aliquota allo 0,1%. Nel caso di fabbricati rurali a destinazione abitativa non vi sono differenze rispetto alla tassazione di tutti i fabbricati abitativi non rurali. Se il fabbricato rurale a uso abitativo, è abitazione principale pagherà l'Imu in base all'aliquota e alle detrazioni stabilite per detta fattispecie. Se invece non è abitazione principale, sarà assoggettato all'Imu secondo le regole ordinarie.
9. Fabbricati esteri. Anche se tecnicamente ha un altro nome un'altra differenza rispetto all'Ici è che la nuova imposizione colpirà anche gli immobili esteri. Il decreto Monti ha introdotto un'imposta sul valore degli immobili situati all'estero stabilita nella misura dello 0,76% del valore degli immobili specificando che lo stesso è costituito dal costo risultante dall'atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l'immobile. Quindi in prima battuta vale il costo di acquisto, ma se non vi è la possibilità di dimostrarlo (o forse anche se lo stesso non esiste in quanto l'immobile è pervenuto in forma gratuita) ecco allora che interviene il valore di mercato.
10. Pagamenti. Qui il cantiere è ancora aperto. Le abituali scadenze Ici erano quella del 16 giugno e del 16 dicembre. Entro la prima data occorreva versare l'acconto d'imposta per l'anno in corso ed entro la seconda il saldo di quanto dovuto.
Il decreto sul federalismo prevede invece scadenze differenti. Si prevede infatti che il pagamento dell'Imu intervenga in un minimo di 4 rate:
   ● 31 marzo  - ● 16 giugno  - ● 30 settembre - ● 16 dicembre.
Sul punto saranno necessari i chiarimenti della prassi soprattutto in sede di prima applicazione che presumibilmente dovranno indicheranno anche gli obblighi dichiarativi correlati alla nuova imposta (articolo ItaliaOggi Sette del 09.01.2012).

PUBBLICO IMPIEGO - VARIDalla riforma delle pensioni a guadagnarci sono gli autonomi. Le nuove prestazioni previdenziali: accesso ridotto di un semestre per artigiani e commercianti.
Artigiani e commercianti vanno in pensione di vecchiaia sei mesi prima. Gli unici a guadagnarci dalla riforma Monti, infatti, sono i lavoratori autonomi che già da quest'anno possono accedere sei mesi prima al riposo. È la nuova pensione di vecchiaia, che eleva il requisito dell'età (senza più la vecchia «finestra mobile») quasi a 66 anni per dipendenti e autonomi uomini e per le donne del pubblico impiego, a 63 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome e a 62 anni per le donne del privato (requisiti per il 2012).
La nuova pensione di vecchiaia. Dall'anno 2012 scompaiono le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianità, sostituite da due sole prestazioni: la «pensione di vecchiaia» e la «pensione anticipata». Dal 2012, in particolare, esiste un solo trattamento di vecchiaia che si consegue, con riferimento a «tutti» i lavoratori e per l'anno 2012, in presenza di un requisito minimo contributivo pari a 20 anni (che sostituisce il vecchio requisito di 20 di contribuzione per la pensione di vecchiaia retributiva e quello di 5 anni per la pensione di vecchiaia contributiva) e un'età non inferiore: 66 anni per i lavoratori dipendenti e autonomi, compresi quelli iscritti alla gestione separata Inps (co.co.co. e lavoratori a progetto); 62 anni per le lavoratrici dipendenti del settore privato; 63 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome del settore privato, comprese quelle iscritte alla gestione separata Inps (co.co.co. e lavoratrici a progetto); 66 anni per i lavoratori dipendenti del settore pubblico.
Va notato, tuttavia, che l'innalzamento dell'età non sempre corrisponde a un effettivo aumento del requisito per il diritto alla pensione, perché i nuovi requisiti inglobano anche il tempo di attesa per la «decorrenza» della pensione, che nella vecchia disciplina era rappresentato dalla «finestra mobile».
Oltre al requisito di età e di contribuzione, inoltre, se il lavoratore appartiene pienamente al regime contributivo (cioè ha iniziato a lavorare a partire dall'01.01.1996), per il diritto alla pensione di vecchiaia occorre che soddisfi un'ulteriore condizione: l'assegno di pensione non deve risultare di importo inferiore a 1,5 volte l'assegno sociale (in precedenza questo limite era di 1,2 volte). Non è necessario soddisfare la predetta soglia minima da parte di chi è in possesso di un'età pari a 70 anni; in tal caso, inoltre, è sufficiente anche un'anzianità contributiva minima effettiva di soli 5 anni. Tale importo soglia (1,5 volte l'assegno sociale) è soggetto all'annuale rivalutazione sulla base della variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (pil) nominale, appositamente calcolata dall'Istat, con riferimento al quinquennio precedente l'anno da rivalutare.
Novità assoluta della nuova pensione di vecchiaia è la flessibilità che si sostanzia in un meccanismo premiale a favore di chi ritardi l'accesso alla pensione, rispetto all'età minima prestabilita per legge e fino a 70 ani. Chi prosegue l'attività lavorativa oltre l'età minima di pensione, in altre parole, è premiato con l'applicazione di un «coefficiente di trasformazione» di misura più conveniente. A tal fine, questi coefficienti (che sono i tassi percentuali che applicati al montante contributivo danno la misura della pensione) saranno predeterminati fino all'età di 70 anni (salvo successivi adeguamenti alla speranza di vita).
Poiché, come già detto, la revisione del requisito di età ha decretato l'abrogazione definitiva delle finestre di pensionamento, dall'01.01.2012 la pensione decorre dal mese successivo a quello di maturazione dei requisiti per il diritto (ossia cessazione dal lavoro) (articolo ItaliaOggi Sette del 09.01.2012).

aggiornamento al 09.01.2012

ENTI LOCALIComuni, no ai bilanci che snobbano il Patto. Cndcec, in arrivo il parere dell'organo di revisione.
Parere non favorevole al bilancio dell'ente locale, da parte dei revisori, nel caso in cui le previsioni di bilancio annuali e pluriennali: non siano atte a rispettare il principio della coerenza esterna ed in particolare gli obiettivi programmatici disposti dalla legge per il patto di stabilità interno; non tengano conto degli effetti sanzionatori per il mancato rispetto del patto di stabilità interno anno, in particolare per le limitazioni imposte alle spese.
È quanto specificato nella versione aggiornata del parere dell'Organo di Revisione sulla proposta di bilancio 2012 elaborata dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, disponibile nei prossimi giorni (i lavori della commissione sono stati coordinati da Giosuè Boldrini).
Le principali novità del nuovo parere (che sostituisce integralmente quello pubblicato lo scorso 23 dicembre), riguardano, nella sezione dedicata ai controlli, l'introduzione dei paragrafi relativi all'Imu ed al Tributo Comunale sui Rifiuti nonché l'apporto di significative modifiche nei paragrafi relativi al Patto di Stabilità (inserendo anche il calcolo del saldo obiettivo 2013 e 2014 per i Comuni da 1.000 a 5.000 abitanti), all'applicazione dell'avanzo presunto, all'Addizionale Comunale IRPEF, al Fondo Sperimentale di Riequilibrio ed alle Spese di Personale.
Nella sezione dedicata alle Osservazioni ed ai Suggerimenti le principali novità riguardano l'introduzione di specifici paragrafi che riguardano le delibere regolamentari e tariffarie relative ad entrate tributarie, le gare bandite dal 31/03/2012 dai Comuni inferiori a 5.000 abitanti, la «delibera quadro» sui servizi pubblici, il «regime transitorio» degli affidamenti non conformi, la riduzione del numero dei componenti degli organi di amministrazione, di vigilanza e di controllo negli enti e negli organismi strumentali.
Va ricordato che con decreto del Ministro dell'Interno è stato prorogato al 31.03.2012 il termine per l'approvazione del bilancio di previsione degli enti locali. Dovrebbe consentire di risolvere le difficoltà in ordine alla esatta quantificazione del Fondo di Riequilibrio e degli obiettivi del Patto di Stabilità per effetto delle modifiche e delle novità introdotte dalla decreto Monti, oltre a consentire una più puntuale elaborazione delle previsioni di gettito Imu. Il parere richiama i nuovi Principi di Vigilanza e Controllo approvati dallo stesso Cndcec lo scorso 21 dicembre (articolo ItaliaOggi del 07.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISemplificazione. La legge di stabilità 2012 taglia la richiesta di certificati da parte degli uffici. Autocertificazione estesa nella Pa.
La «decertificazione» nei rapporti tra privati e Pubblica amministrazione introdotta dalla legge di stabilità 2012 (legge 183/2011), in base alla quale le Pa centrali e locali e i gestori di servizi non possono più richiedere al privato, né accettare certificati, riguarda tutte le tipologie di certificati, da qualsiasi ente pubblico o gestore di servizi pubblici siano emessi. I certificati rilasciati dall'amministrazione potranno essere usati solo nei rapporti fra privati (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri). Questo significa che, in ogni caso, le Amministrazioni devono procurarsi le informazioni necessarie direttamente dagli enti certificanti, o accettare dai cittadini solo dichiarazioni sostitutive di certificati o di atti di notorietà.
Autocertificazione estesa.
È destinato a estendersi, dunque, il perimetro dell'autocertificazione tracciato dall'articolo 46 del Dpr 445/2000. Fra le informazioni autocertificabili (si veda la tabella a lato), figura ad esempio, per le imprese, l'iscrizione in registri (come il Registro imprese) e in Albi pubblici, nonché il fatto di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato.
La portata generale della nuova disposizione interessa, per esempio, i soggetti che intendano intraprendere un'attività imprenditoriale, con o senza dipendenti. In questa seconda ipotesi, la semplificazione riguarda la documentazione da allegare alla comunicazione unica per l'avvio dell'attività di impresa, che l'interessato (articolo 9 del Dl 7/2007) dovrà presentare all'ufficio del Registro imprese. La riduzione dei documenti da presentare diventa poi rilevante quando l'attività d'impresa deve essere iniziata tramite la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività).
Per quanto riguarda i datori di lavoro, la semplificazione è sempre applicata in occasione del riconoscimento di particolari benefici per l'assunzione di lavoratori che hanno uno status occupazionale di disagio, in base all'età, alla durata della disoccupazione, alle condizioni fisiche, e così via.
Per le lavoratrici madri, decade l'obbligo di produrre il certificato di nascita del figlio, da presentare all'Inps entro 15 giorni dall'evento (articolo 21 del Testo unico 151/2001). Per la presentazione dello stesso certificato al datore di lavoro, l'Inps aveva già stabilito (messaggio 14488/1999) che potesse essere sostituito con una dichiarazione di responsabilità.
Autocertificazione esclusa.
Restano, però, dei casi in cui l'autocertificazione è esplicitamente esclusa, che sono regolati dall'articolo 49 del Dpr 445/2000. È il caso, ad esempio, del certificato di origine di una merce, rilasciato dalla Camera di commercio e generalmente destinato all'export. Non può essere il produttore, infatti, ad autocertificare l'origine della propria merce. Rientrano in questa categoria anche i certificati medici, sanitari, veterinari, di conformità Ce, di marchi e brevetti (articolo Il Sole 24 Ore del 07.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

VARIUE E TRASPORTI/1 - Nuovi requisiti di sicurezza. I catarifrangenti su tutte le biciclette.
Sono stati fissati dalla Commissione europea i requisiti di sicurezza delle biciclette.
È stata infatti pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea L319 del 02.12.2011 la decisione della Commissione n. 2011/786/Ue del 29.11.2011, che entra in vigore il 22.12.2011.
La decisione, adottata conformemente alle norme e alle procedure previste dalla direttiva n. 2001/95/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 03.12.2001 sulla sicurezza generale dei prodotti, definisce i requisiti specifici di sicurezza per le biciclette. Spetterà ora agli organismi europei di normalizzazione elaborare in dettaglio le norme tecniche conformemente a quanto specificato dalla Commissione europea.
Rientrano nel campo di applicazione della decisione n. 2011/786/Ue le biciclette per bambini (con un'altezza massima della sella superiore a 435 mm e inferiore a 635 mm, destinata a persone di un peso massimo di 30 kg), le biciclette da città e da trekking, le mountain bikes, le biciclette da corsa e i portapacchi fissati sulla ruota anteriore o su quella posteriore per trasportare bagagli o bambini seduti su un apposito seggiolino. Fra i requisiti generali, la decisione prevede che, per garantire un'adeguata visibilità del mezzo e del suo guidatore, tutte le biciclette devono essere munite di dispositivi di illuminazione e catarifrangenti davanti, dietro e ai lati, secondo le disposizioni in vigore nel paese in cui il prodotto è commercializzato.
Il fabbricante deve indicare la capacità massima di carico ammissibile e specificare se è possibile fissare alla bicicletta il portapacchi o il seggiolino per bambini. Devono essere presenti almeno due sistemi di frenatura indipendenti, che agiscono sulla ruota anteriore e su quella posteriore. Sul telaio deve essere indicato in modo visibile e permanente il numero di serie e i riferimenti di chi ha effettuato il montaggio. Particolare attenzione viene riservata alle biciclette per i bambini, considerato che, secondo la banca dati europea sulle lesioni, per il 37% i danni fisici connessi all'utilizzo del velocipede riguardano bambini di età compresa fra 5 e 9 anni.
Le biciclette per bambini, che non siano considerate giocattoli ai sensi della direttiva n. 2009/48/Ce, devono essere progettate in modo che non siano montati cinturini o staffe per pedali e dispositivi di sganciamento rapido, sia limitata la forza dei freni anteriori e non ci siano pericoli di intrappolamento.
La decisione n. 2011/786/Ue definisce anche i requisiti di sicurezza dei portapacchi per biciclette, dove possono essere trasportati bagagli o bambini sull'apposito seggiolino. In dettaglio, il portapacchi non deve ostacolare la visibilità del mezzo in condizioni di oscurità o scarsa visibilità. Le sporgenze e gli angoli taglienti non devono comportare rischi di lesione. Insieme al prodotto devono essere fornite ai consumatori le necessarie informazioni sull'utilizzo e sull'eventuale montaggio, con le avvertenze sull'utilizzo in condizioni di sicurezza (articolo ItaliaOggi del 06.01.2012).

PUBBLICO IMPIEGOUno stop all'equo indennizzo. Addio a pensioni privilegiate e rimborsi per cause di servizio. Ecco le novità in materia di personale contenute nella manovra Monti (legge 214 del 2011).
Abrogazione dell'equo indennizzo, del rimborso delle spese di degenza e delle pensioni privilegiate in caso di cause di servizio; innalzamento al 50% del tetto massimo del rapporto tra spesa per il personale e spesa corrente ed utilizzazione nel corso del 2012 delle graduatorie approvate dopo il dicembre del 2005: sono queste le principali novità in materia di personale dipendente dalle P.a. contenute nel decreto legge n. 201, per come convertito dalla legge n. 214/2011, cd salva Italia, e nel decreto n. 216/2011, cd milleproroghe.
Le novità contenute in queste disposizioni non sono certamente le parti più importanti di questi provvedimenti, in quanto le misure di maggiore rilievo innovativo per il pubblico impiego erano state già assunte con le precedenti manovre. Ma il loro rilievo è comunque assai importante, in particolare per l'apertura che consente alla possibilità di utilizzare i ridotti margini di assunzioni previsti dall'ordinamento.
Vengono abrogati i benefici previsti per i dipendenti che hanno contratto patologie per cause di servizio: l'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, il rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, l'equo indennizzo e la pensione privilegiata. Ricordiamo che l'equo indennizzo si concretizza nella erogazione di un compenso una tantum e la pensione privilegiata è il collocamento in quiescenza di coloro che hanno acquisito una grave inabilità, a prescindere dalla anzianità effettivamente maturata. Questi benefici erano tra loro sommabili, previo accertamento medico. L'abrogazione si applica a tutti i dipendenti, tranne che a quelli impegnati in uno dei seguenti comparti: sicurezza, difesa e soccorso pubblico, nonché ai vigili del fuoco.
L'abrogazione non interessa i procedimenti che sono in corso, nonché quelli per cui non sia scaduto il termine di presentazione delle domande e quelli instaurabili d'ufficio per fatti accaduti precedentemente alla data di entrata in vigore del decreto stesso. Il decreto legge cd salva Italia aumenta al 50% il tetto massimo del rapporto tra spese del personale e spese correnti che consente agli enti locali di effettuare assunzioni di personale a qualsiasi titolo. Ricordiamo che tale tetto era stato fissato, a decorrere dallo scorso 01.01.2011, nel 40%. In questo modo si torna ad offrire a numerose amministrazioni locali, siano esse soggette o meno al patto di stabilità, la possibilità di effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato e determinato.
Infatti la sanzione per gli enti inadempienti di questo vincolo, come del rispetto del patto di stabilità e del rispetto del tetto di spesa del personale dell'anno precedente (per gli enti non soggetti al patto del 2004) è il divieto di effettuare assunzioni di dipendenti a qualunque titolo, ivi comprese le mobilità, nonché di utilizzare i contratti di somministrazione.
Ricordiamo che con la lettura data dalle sezioni riunite di controllo della Corte dei Conti (deliberazione n. 27/2011) la nozione di spesa del personale è stata fortemente ampliata e con le previsioni contenute nel dl n. 98/2011 è stato previsto l'inserimento della spesa del personale delle società controllate dagli enti locali. Il decreto legge milleproroghe 2011 dispone la utilizzazione nel corso del 2012 delle graduatorie concorsuali approvate dopo il 31/12/2005.
Ricordiamo che, prima con il decreto milleproroghe 2012 e poi con uno specifico decreto del ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, era stata disposta nel 2011 la utilizzazione delle graduatorie concorsuali approvate dopo il mese di settembre del 2003. Ed ancora, che in assenza di norme di proroga, la durata delle graduatorie concorsuali è fissata in un triennio (articolo ItaliaOggi del 06.01.2012).

PUBBLICO IMPIEGOIl 2012 potrebbe essere un anno molto delicato per il personale delle amministrazioni pubbliche. Riqualificazione, futuro in bilico. Dipendenti in esubero, blocco delle risorse per la formazione.
La riqualificazione dei dipendenti pubblici in esubero viene messa a rischio dal blocco delle risorse da spendere per la formazione.
Il 2012 potrebbe essere un anno molto delicato per il personale pubblico. Vi è, infatti, una normativa che nel suo complesso può preludere ad una forte redistribuzione e reimpiego del personale.
In primo luogo, l'articolo 33 del dlgs 165/2001 impone alle amministrazioni pubbliche di effettuare annualmente la ricognizione di eventuali esuberi, giustificati sia da esigenze funzionali, sia da problemi di bilancio e finanziari. Poi, le varie manovre finanziarie hanno imposto un ulteriore taglio del 10 per cento della spesa relativa alle dotazioni organiche delle amministrazioni statali da effettuare entro il 31 marzo. Infine, l'accorpamento tra Inps e Inpdap ha già determinato la previsione di circa 700 esuberi. La stima è di oltre 15.000 dipendenti pubblici in eccedenza rispetto ai fabbisogni.
Anche nella pubblica amministrazione, dunque, si pone un potenziale problema di rilevanti fuoriuscite di personale. Occorre ricordare, infatti, che i dipendenti in esubero se non sono ricollocati all'interno degli enti che li considerano in eccedenza in altre mansioni o non sono trasferiti verso altri enti per mobilità, vengono inseriti nelle liste di «disponibilità». Il che equivale ad essere sulle soglie del licenziamento: il dipendente in disponibilità, infatti, non svolge più attività lavorative per l'ente di appartenenza e riceve per 24 mesi un'indennità pari all'80% del trattamento economico fondamentale oltre all'assegno di famiglia. Decorsi i 24 mesi, il rapporto di lavoro si chiude.
Proprio i tagli alla spesa per le dotazioni organiche (che considerando il periodo 2008-2010 ammonta, ormai, a quasi il 30%) renderanno piuttosto difficile il trasferimento dei dipendenti per mobilità. Gran parte delle amministrazioni statali, infatti, potrebbe ritrovarsi in condizione di esubero, sicché non potrebbero accogliere personale proveniente da altri enti.
La mobilità intercompartimentale, cioè trasferimenti tra enti diversi, per esempio Stato ed enti locali, potrebbe essere resa complicata sia dall'attuazione dell'articolo 33 del dlgs 165/2001, sia dalla manovra intricatissima relativa alle province: potenzialmente, ben 56.000 dipendenti provinciali potrebbero essere coinvolti in processi di esubero e trasferimenti.
Un'arma per contenere gli effetti anche sociali enormi che esuberi così massicci di personale potrebbero determinare, allora, è la già ricordata possibilità di reimpiego dei dipendenti in esubero in altre mansioni e ruoli, sia all'interno degli enti da cui dipendono, sia presso altri enti.
A questo scopo, allora, risulta fondamentale investire in formazione e aggiornamento: solo in questo modo si può garantire ai lavoratori la possibilità di acquisire competenze nuove e diverse, utili per una ricollocazione lavorativa.
Tuttavia, l'articolo 6, comma 13, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, continua ad inchiodare la spesa per formazione sostenibile dalle amministrazioni entro il tetto del 50% di quella sostenuta nel 2009.
Risulta evidente che col nuovo assetto normativo il tetto alla formazione, già di per sé poco strategico ed asfittico, visto che il recupero di efficienza del pubblico impiego non potrebbe che passare per attività formative di qualità, non è coerente. Potenziali esuberi per decine di migliaia di dipendenti vanno necessariamente gestiti anche tramite la formazione, la cui spesa dovrebbe aumentare, piuttosto che restare ancorata ad un tetto.
In assenza di un'urgente cancellazione del vincolo alla spesa, l'attuazione delle misure di contenimento della spesa di personale e l'avvio degli esuberi potrebbe determinare una Caporetto organizzativa ed occupazionale, della quale proprio non si sentirebbe il bisogno (articolo ItaliaOggi del 06.01.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Accesso per il candidato. L'aspirante sindaco può visionare l'esposto. La trasparenza prevale se in ballo ci sono interessi giuridici del richiedente.
Come si configura l'esercizio del diritto di accesso nel caso di un candidato a sindaco, poi eletto, interessato ad acquisire copie di un esposto volto a segnalare una causa ostativa all'assunzione della candidatura?
Nell'impianto normativo di cui agli artt. 22 e segg. della legge n. 241/1990 e successive modifiche, il diritto di accesso ai documenti amministrativi si configura come diritto alla conoscenza di fatti incidenti nella sfera giuridica del richiedente per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.
Tale diritto è naturalmente subordinato alla prova della corretta correlazione tra le posizioni dell'istante e l'oggetto della richiesta rivolta alla pubblica amministrazione. L'istanza deve, dunque, essere motivata in relazione ad un interesse giuridicamente rilevante, nonché concreto ed effettivo, cioè immediatamente riferibile al soggetto che pretende di conoscere i documenti e specificatamente inerente alla situazione da tutelare (art. 22, l. 241/1990; art. 2, comma 1, dpr 12.04.2006, n. 184). Ancora, l'interesse del richiedente deve essere serio e non emulativo, né riconducibile a mere curiosità (cfr. Tar Campania, sez. V, sent. n. 131 del 07.01.2002) e deve essere attuale (cfr. Tar Campania, sez. I, sent. n. 121 del 12.02.2003).
Per «documento amministrativo» si intende ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale. A norma dell'art. 22, comma 3, della legge n. 241/1990, come riformulato dall'art. 15 della legge n. 15/2005, tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli previsti dall'art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6 della legge 07.08.1990, n. 241 (c. d. fattispecie di esclusione dell'accesso), tra i quali è contemplata l'esclusione per le richieste di accesso agli atti preordinati ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni (cfr. Cds, sez. V, sent. n. 421 dell'01.02.2010) e per le istanze che, ove soddisfatte, possano pregiudicare il diritto alla riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni.
Deve, comunque, essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (art. 24, comma 7). Il principio della trasparenza amministrativa accolto dall'ordinamento non è affatto assoluto e incondizionato, ma subisce alcuni temperamenti e limitazioni in relazione ai soggetti attivi del diritto di accesso, al tipo di documenti richiesti o alla posizione del richiedente. La posizione legittimante l'accesso è costituita da una situazione giuridicamente rilevante e dal collegamento qualificato tra questa posizione sostanziale e la documentazione di cui si pretende la conoscenza, come nel caso di specie l'esercizio delle funzioni sindacali.
L'accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporta anche la facoltà di accesso agli altri documenti nello stesso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento, fatte salve le eccezioni di legge o di regolamento (art. 7, comma 2, del dpr 12.04.2006, n. 184).
In merito, sia la giurisprudenza sia la commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, hanno ritenuto che nel bilanciamento di interessi che connota la disciplina del diritto di accesso, quest'ultimo prevale sull'esigenza di riservatezza del terzo ogniqualvolta l'accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente.
Pertanto, sussiste il diritto del richiedente di ottenere l'accesso al documento richiesto unitamente ai relativi allegati (articolo ItaliaOggi del 06.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Rimborso spese.
Possono essere rimborsate le spese di giudizio richieste all'attuale amministrazione dall'ex sindaco, per un giudizio instaurato dal suo predecessore?

Non è dato rinvenire nell'ordinamento vigente norme che prevedono la possibilità di rimborsare agli amministratori locali le spese legali sostenute per giudizi instaurati in relazione a fatti asseritamente posti in essere nell'esercizio delle proprie funzioni. Benché in passato parte della giurisprudenza abbia ritenuto di poter estendere in via analogica agli amministratori locali la normativa che consente, a determinate condizioni, tale rimborso per i dipendenti degli enti locali, secondo orientamenti ermeneutici più recenti la possibilità di tale ricorso all'analogia nella materia in questione è stata decisamente negata.
In base a tali orientamenti è stato, infatti, ritenuto non pertinente il richiamo all'analogia, che risulta correttamente evocabile quando emerga un vuoto normativo nell'ordinamento, vuoto che nella specie non è configurabile, atteso che il legislatore si è limitato a dettare una diversa disciplina per due situazioni non identiche fra loro, e la detta diversità non appare priva di razionalità, atteso che gli amministratori pubblici non sono dipendenti dell'ente ma sono eletti dai cittadini, ai quali rispondono (e quindi non all'ente) del loro operato (cfr. sent. Cassazione civile, sezione I, n. 12645 del 25.05.2010) (articolo ItaliaOggi del 06.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità del consigliere.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità nel caso di un consigliere comunale che, in qualità di ingegnere, ha ricevuto incarichi tecnici dallo stesso comune per la progettazione e direzione di lavori di ammodernamento del campo sportivo comunale e per il consolidamento del dissesto idrogeologico di competenza dello stesso ente?

La Corte di cassazione, sez. I, con sentenza n. 550 del 16.01.2004, ha affermato che «l'art. 63 del dlgs. n. 267/2000, comma 1, n. 2, nello stabilire la causa di «incompatibilità di interessi» (non può ricoprire la carica di consigliere comunale) colui che, come titolare, ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, nell'interesse del comune) ivi prevista e rivelante nella fattispecie, pone, ai fini della sua sussistenza, una duplice, concorrente condizione: la prima, di natura soggettiva; la seconda, di natura oggettiva. È necessario, innanzitutto (condizione soggettiva), che il soggetto, in ipotesi incompatibile all'esercizio della carica elettiva, rivesta la qualità di «titolare» (ad es., di impresa individuale ), o di amministratore (ad es., di società di persone o di capitali) ovvero di «dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento».
In secondo luogo, il legislatore prevede -come condizione «oggettiva», che deve necessariamente concorrere con quella «soggettiva» per la sussistenza della causa di «incompatibilità di interessi»- che il soggetto, rivestito di una delle predette qualità, intanto è incompatibile, in quanto «ha parte in servizi, nell'interesse del comune».
Appare chiaro che la locuzione «aver parte» allude alla contrapposizione tra interesse «particolare» del soggetto, in ipotesi incompatibile, ed interesse del comune, istituzionalmente «generale», in relazione alle funzioni attribuitegli (cfr., ad es., art. 13 del dlgs n. 267/2000), e, quindi allude alla situazione di potenziale conflitto di interesse, in cui trova tale soggetto rispetto all'esercizio imparziale della carica elettiva. In altri termini e ad esempio, se un professionista ha parte, nel senso ora indicato, in cui servizio, al quale l'ente locale è interessato, lo stesso non è idoneo, secondo la previsione tipica del legislatore, ad adempiere imparzialmente i doveri connessi all'esercizio della carica elettiva.
Ha ritenuto, in particolare, la Suprema corte, che il professionista cui sia conferito, dal comune presso il quale svolge il proprio mandato di consigliere, l'incarico di progettista di opere pubbliche, viene a trovarsi in una specifica situazione di incompatibilità di interessi risultante dalla contestuale e contraddittoria coincidenza, in quanto eletto alla carica di consigliere comunale, delle posizioni di «controllato» ( quale professionista, poiché i progetti redatti sono assoggettati all'adozione e all'approvazione del consiglio comunale) e «controllore» (quale consigliere comunale chiamato a concorrere alla deliberazione di adozione ed approvazione dei progetti dal medesimo elaborati).
L'ipotesi prospettata, pertanto, configura la causa di incompatibilità prevista dal citato articolo 63, comma 1, n. 2), del decreto legislativo n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 06.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Permessi.
Quali permessi spettano al presidente del consiglio comunale, che voglia partecipare anche alle sedute delle commissioni consiliari di cui non è componente?

Se il legislatore regionale disciplina la fattispecie adottando l'espressione “facente parte” (delle commissioni consiliari), sembra esclusa, nel caso di specie, la possibilità di fruire di tali permessi.
Tuttavia, per la partecipazione alle riunioni delle commissioni in questione, il presidente del consiglio comunale potrà avvalersi degli eventuali permessi non retribuiti, ove previsti dalla norma regionale (articolo ItaliaOggi del 06.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISemplificazione. È entrata in vigore il 1° gennaio la «decertificazione» che è stata prevista dalla legge di stabilità 2012. La Pa non chiede più certificati. Gli uffici possono acquisire i dati o accettare un'autocertificazione dell'utente.
IL PROBLEMA/ La dichiarazione sostitutiva di numerose informazioni può esporre al rischio di commettere errori.

Con l'inizio del nuovo anno, si chiude un'epoca nei rapporti tra cittadini e pubbliche amministrazioni. Ha trovato attuazione, infatti, la norma per cui le pubbliche amministrazioni non possono chiedere ai privati informazioni già in loro possesso. Così, i privati (cittadini, imprese, professionisti) non faranno più la spola da un ente pubblico all'altro (compresi i gestori di servizi pubblici) per consegnare i certificati che attestano situazioni e qualità che li riguardano.
Le nuove disposizioni sui certificati e sulle dichiarazioni sostitutive sono previste dalla legge 183/2011 (legge di stabilità 2012), all'articolo 15. In particolare, si dispone che:
- i certificati rilasciati dalle Pubbliche amministrazioni riguardanti stati e qualità di un privato (residenza, iscrizione in un Albo, situazione penale, elencati nell'articolo 46 del Dpr 445/2000) sono validi e utilizzabili dal privato soltanto nei rapporti con un altro privato. Sui certificati sarà posta una dicitura che precisa questo vincolo («Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi»). Il certificato senza questa dicitura è considerato inesistente.
- le Pubbliche amministrazioni e i gestori di servizi non possono quindi né richiedere al privato, né accettare certificati
- le Pubbliche amministrazioni e i gestori hanno due possibilità per conoscere stati e qualità del privato: ottenere i dati direttamente dagli enti che li possiedono, oppure richiedere al privato interessato di compilare una dichiarazione che riporti i dati richiesti (autocertificazione).
Queste due modalità, però, non comportano analoghe conseguenze per il privato.
Compilare una dichiarazione sostitutiva di certificazione è un'operazione rischiosa quando i dati da riportare sono di comprensione non immediata, complessi o numerosi. Questo è il caso, per esempio, delle aziende che devono autocertificare i dati riportati negli attuali certificati o visure del Registro imprese: i dati sono numerosi, e in certi casi (come l'attività economica svolta e le eventuali condanne subite) non sempre memorizzati dall'imprenditore.
Il rischio di errore, anche in buona fede, è altissimo e le conseguenze penali e amministrative sono molto pesanti.
Se si vuole instaurare un corretto rapporto con i cittadini, l'unica modalità utilizzabile da una Pubblica amministrazione è l'acquisizione d'ufficio delle notizie detenute dagli enti che hanno il potere di certificare.
Lo strumento della dichiarazione sostitutiva dovrebbe essere usato solo quando riguarda atti di notorietà, cioè atti con i quali si dichiarano fatti che non sono certificati da nessun ente pubblico (articolo 47 del Dpr 445/2000) e non quando la dichiarazione riguarda notizie certificabili dalle Pa. Così operando, si ottengono due risultati: i funzionari pubblici sono quasi del tutto liberati dal lavoro di controllo dell'autocertificazione. Inoltre, l'obiettivo della certezza pubblica è raggiunto perché i privati evitano il rischio di una dichiarazione infedele.
A sostegno dell'esigenza di un leale ed efficiente rapporto con il cittadino, che può essere garantito solo quando la Pa che deve gestire la pratica richiede alle altre amministrazioni i dati in loro possesso, si deve richiamare il comma 3 dell'articolo 18 della legge 241/1990, che è la legge fondamentale dell'azione amministrativa. Questo comma prevede come unica modalità operativa la richiesta d'ufficio dei certificati e non l'autocertificazione: c'è quindi una incongruenza con il comma 1 dell'articolo 43 del Dpr 445/2000.
Un altro chiarimento si impone sulla durata della validità dei vari tipi di certificati, considerato che sono rilasciati esclusivamente per essere usati nelle relazioni tra privati.
L'articolo 41, comma 1, del Dpr 445/2000 stabilisce che hanno validità illimitata i certificati che attestano stati e qualità non soggetti per loro natura a modifiche (si possono citare quelli di nascita e i titoli di studio). Gli altri certificati, che contengono notizie variabili nel tempo, valgono per sei mesi dalla data del rilascio, salvo che le norme non prevedano un durata più lunga (si possono citare quelli dell'Albo artigiani, del registro imprese, di residenza).
Ovviamente, però, il cittadino non è in grado di conoscere la durata dei vari certificati se la Pa che li emette non aggiunge una dicitura che la indica. È necessario, dunque, risolvere ancora alcuni dubbi per la completa «decertificazione» nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, che deve anche tradursi in minori oneri per le strutture pubbliche.
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Le nuove regole
01 | LA DECERTIFICAZIONE
La legge 183/2011 prevede che, dal 01.01.2012, i certificati rilasciati dalle pubbliche amministrazioni riguardanti stati e qualità di un privato (come residenza, iscrizione in un Albo, situazione penale) sono validi e utilizzabili dal privato solo nei rapporti con un altro privato. Le Pa e i gestori di servizi non possono quindi né richiedere al privato, né accettare certificati.
02 | LE ALTERNATIVE
Le pubbliche amministrazioni e i gestori hanno due possibilità per conoscere stati e qualità del cittadino: ottenere i dati direttamente dagli enti che li possiedono, o chiedere al privato interessato di compilare una dichiarazione che riporti i dati richiesti (autocertificazione).
03 | LA VIA PREFERIBILE
Fare un'autocertificazione può esporre al rischio di una dichiarazione infedele quando i dati da riportare sono complessi o numerosi. Inoltre, i funzionari pubblici devono effettuare un controllo sulle autocertificazioni. Sarebbe dunque preferibile l'acquisizione d'ufficio delle notizie dagli enti certificatori.
Il cittadino dovrebbe usare la dichiarazione sostitutiva solo quando riguarda atti di notorietà (con cui si dichiarano fatti che non sono certificati da nessun ente pubblico) (articolo Il Sole 24 Ore del 06.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATACertificati, il pasticcio del Durc. Informazioni da acquisire d'ufficio. Ma ad oggi è impossibile. Le procedure gestite da Inps, Inail e Cassa edile consentono solo la richiesta online del documento.
L'01.01.2012 è partito il sistema della «decertificazione», ma rimane il nodo irrisolto del Durc. Come largamente prevedibile, l'entrata in vigore delle previsioni contenute nell'articolo 15, comma 1, della legge 183/2011, il cui scopo è la semplificazione mediante l'eliminazione dei certificati, creerà all'inizio più problemi di quanti ne vorrebbe risolvere.
Le disposizioni della norma sono chiare: i certificati potranno essere emessi solo in favore di privati.
Le pubbliche amministrazioni né potranno chiederli né potranno utilizzarli ai fini delle proprie attività. Per loro sarà ammissibile solo verificare la veridicità delle dichiarazioni sostitutive ricevute dai privati, mediante l'acquisizione d'ufficio dei documenti conservati nelle banche dati delle amministrazioni certificanti, le quali dovranno rispondere alle richieste di verifica entro 30 giorni, oppure consentire l'accesso diretto alle proprie banche dati.
Il caso del documento unico di regolarità contributiva, tuttavia, appare del tutto peculiare. Le previsioni della legge 183/2011 non semplificano nulla, anzi appare vero il contrario. In primo luogo, l'aggiunta dell'articolo 44-bis al dpr 445/2000, ai sensi del quale «le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi dell'articolo 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore» non ha alcuna concreta utilità, visto che la medesima disposizione è stata già fissata ben due volte in precedenza dall'articolo 16-bis, comma 10, del dl 185/2008, convertito in legge 2/2009 e dall'articolo 6, comma 3, del dpr 207/2010.
Soprattutto il Durc è un vero e proprio certificato, come del resto indicato dalla disciplina normativa che lo regola. Infatti, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del dpr 207/2010 «per documento unico di regolarità contributiva si intende il certificato che attesta contestualmente la regolarità di un operatore economico per quanto concerne gli adempimenti Inps, Inail, nonché cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento».
Trattandosi, allora, di un certificato vero e proprio, le pubbliche amministrazioni non potrebbero più richiedere né utilizzare il Durc, né le amministrazioni competenti emetterlo. Questo creerebbe non pochi problemi operativi, visto che il Durc è un certificato fondamentale per tutte le fasi delle procedure di appalto.
Un primo sistema per evitare il cortocircuito innescato dalla frettolosa formulazione dell'articolo 15 della legge 183/2011 potrebbe consistere nell'applicare anche al Durc il nuovo sistema di verifiche imposto dalla riforma. Le pubbliche amministrazioni titolari della competenza di un iter per il quale sia necessario acquisire informazioni un tempo inserite in certificati non dovranno chiedere alle altre amministrazioni che possiedano dette informazioni nelle proprie banche dati l'emanazione del certificato; potranno solo chiedere la verifica della veridicità delle autocertificazioni ricevute dai privati. Le amministrazioni certificanti potranno rispondere confermando la rispondenza al vero delle autocertificazioni o spiegando le ragioni del mendacio rilevato, senza emettere certificati e, così, rispettare le previsioni normative.
Ma, a oggi, questo per il Durc è impossibile: le procedure telematiche gestite da Inps, Inail e Cassa edile consentono solo di effettuare la richiesta on-line finalizzata all'emanazione di ciò che la legge vieta: il certificato relativo alla posizione contributiva.
Una seconda via potrebbe consistere nell'accesso diretto delle amministrazioni alle banche dati di Inps, Inail e Cassa edile. Del resto, l'articolo 72, comma 1, novellato del dpr 445/2000 prevede espressamente che le amministrazioni certificanti predispongano «convenzioni quadro» per garantire l'accesso diretto alle altre amministrazioni. Ma questa ipotesi, alla data del 28 dicembre, non è nemmeno stata lontanamente presa in considerazione dal portale del Durc, la cui pagina di informazioni è ferma alla data del 10.03.2011 (articolo ItaliaOggi del 04.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO - VARIMa le attestazioni dei medici sono fuori dalla semplificazione.
I certificati medici non rientrano nell'ambito delle semplificazioni anti burocrazia contenute nell'articolo 15 della legge 183/2010.

Tale disposizione ha modificato, come noto, l'articolo 40 del dpr 445/2001, inserendo un nuovo comma 01, ai sensi del quale «le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati.
Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47
».
Il successivo comma 02 impone che sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi».
Queste disposizioni hanno lo scopo di indurre le pubbliche amministrazioni a utilizzare pienamente l'accesso diretto alle proprie banche dati, sollevando i privati dall'onere di reperire o produrre e, poi, trasmettere i certificati relativi a informazioni che le amministrazioni stesse già possiedono o sono in condizione di acquisire dialogando tra loro.
Risulta, dunque, palpabile l'inapplicabilità alla fattispecie dei certificati medici. Ancorché detti certificati possano considerarsi provenienti da una pubblica amministrazione, alcuni elementi indicano senza ombra di dubbio che i certificati medici sono totalmente fuori dalla nuova regolamentazione.
In primo luogo, la semplificazione prevista dalla legge di stabilità è connessa all'autocertificabilità di stati, fatti o qualità comprovabili mediante i certificati. In altre parole, ai cittadini è consentito di chiedere e ottenere benefici sulla semplice base di loro dichiarazioni sostitutive, che sostituiscono in via definitiva ogni certificato. Ma, ai sensi dell'articolo 49, comma 1, del dpr 445/2001 «i certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità Ce, di marchi o brevetti non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore».
Mancando, dunque, la possibilità di sostituire il certificato medico con dichiarazioni, non può sorgere il presupposto per attuare la semplificazione disposta dall'articolo 15 della legge 183/2011. Del resto, l'amministrazione datore di lavoro non avrebbe nessuna possibilità di verificare lo stato di salute del proprio dipendente accedendo a banche dati di altre amministrazioni.
Se la questione relativa ai certificati medici appare abbastanza chiara, vi sono però molte zone che l'articolo 15 lascia in ombra. Per esempio, rientrano nella categoria dei certificati i certificati di destinazione urbanistica, fondamentali per provvedimenti amministrativi che concernono la gestione del territorio; si tratta di certificati che spessissimo hanno come destinatari pubbliche amministrazioni, per loro natura impossibili da sostituire con dichiarazioni dei privati. Piuttosto difficile immaginare di sottrarre tali certificati alla trasmissione tra pubbliche amministrazioni.
C'è, per esempio, il problema degli attestati di servizio dei dipendenti pubblici che abbiano vinto un concorso presso un'altra amministrazione.
Altro paradosso della normativa riguarda, per esempio, i certificati di frequenza di istituti scolastici o centri di formazione professionale, richiesti dalle aziende dei trasporti, per applicare le tariffe agevolate agli studenti. Tutte queste aziende rientrano nella categoria dei «gestori di pubblici servizi», che al pari delle pubbliche amministrazioni non possono legittimamente utilizzare i certificati per svolgere le proprie attività.
Dunque, gli studenti dovrebbero presentare ai gestori una dichiarazione sostitutiva nella quale attestare di frequentare una certa scuola e dovrebbero essere, poi, le aziende di trasporto a chiedere ai singoli istituti conferma della veridicità della dichiarazione o, cosa del tutto improbabile, accedere direttamente alle loro banche dati. Ovviamente, se si vuole rispettare la lettera di una norma che rivela da subito una serie di difetti operativi piuttosto gravi.
Infine, l'irrisolto problema del Durc, che altro non è se non un certificato, da produrre prevalentemente alle pubbliche amministrazioni per le tante finalità cui è destinato. Pare oggettivamente improponibile sostenere che esso sia soggetto al divieto di produzione a pubbliche amministrazioni a pena di nullità.
L'articolo 15 della legge 183/2011 pare una norma troppo poco ponderata, che necessiterebbe di un urgente intervento normativo posto a chiarirne esattamente la portata e i confini (articolo ItaliaOggi del 04.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI concorsi pubblici su Cliclavoro.
Le pubbliche amministrazioni devono comunicare alla borsa nazionale del lavoro (cliclavoro) tutte le procedure comparative e selettive (concorsi) per l'attribuzione di incarichi di collaborazione e per l'assunzione con ogni tipo di contratto di lavoro.

Lo prevede il decreto ministeriale 13.10.2011 pubblicato in G.U. n. 1/2012.
Per l'operatività del provvedimento, in vigore dal 1° febbraio, occorrerà attendere la direttiva del ministro per la pubblica amministrazione che, peraltro, potrà prevedere un periodo di sperimentazione non superiore a 12 mesi. Il nuovo obbligo, che interessa tutte le p.a., mira a favorire una maggiore efficienza del mercato del lavoro, con la disponibilità online (www.cliclavoro.gov.it) delle offerte di impiego pubblico sull'intero territorio nazionale (articolo ItaliaOggi del 04.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIServizi locali più aperti al mercato. Pronto il decreto Monti-Gnudi: in esclusiva solo le reti non pienamente liberalizzabili.
LOGICA RIBALTATA
Comuni e Province dovranno motivare con una delibera-quadro la scelta di riconfermare i monopoli nella fornitura.

Gli enti locali potranno dare in esclusiva, in monopolio, in concessione -sempre passando per una gara- soltanto quei servizi pubblici locali per cui non ci siano le condizioni di mercato per una liberalizzazione piena, con più operatori pronti a fornire il servizio in regime di concorrenza. Comuni e province dovranno anche motivare, con un'apposita analisi di mercato e una delibera-quadro, una scelta esplicita di riconferma dei monopoli nella fornitura dei servizi.
Questo ribaltamento in chiave concorrenziale del regime attuale, che prevede invece un netto prevalere delle "esclusive", riguarderà intere reti di servizi locali come i trasporti o la raccolta dei rifiuti o anche parti di queste reti di servizio (per esempio i collegamenti per gli aeroporti o i servizi notturni).
Il Governo Monti è pronto ora a confermare e ad attuare con la "fase due" le scelte fatte con la manovra di Ferragosto dall'ex ministro Raffaele Fitto che aveva fatto inserire nell'articolo 4 del decreto legge 138/2011, oltre allo stop degli affidamenti in house sopra 900mila euro l'anno e all'obbligo di gara (la cosiddetta "concorrenza per il mercato"), anche il principio di affidare al mercato tutte le attività liberalizzabili ("concorrenza nel mercato"). Un ribaltamento che era stato richiesto più volte in passato anche dall'Antitrust guidato da Antonio Catricalà, che ora da sottosegretario alla presidenza del Consiglio sta lavorando al dossier liberalizzazioni.
A lavorare a questo aspetto delle liberalizzazioni nei servizi pubblici locali è oggi il ministro delle Regioni, Piero Gnudi, che ha confermato in Parlamento la volontà di procedere nell'attuazione della manovra di Ferragosto. Gnudi sta lavorando in particolare al decreto interministeriale Regioni-Economia-Interno che dà attuazione al ribaltamento voluto da Fitto, dettando ai Comuni e agli altri enti locali le direttive sulla delibera quadro e sull'analisi di mercato da svolgere prima di nuovi affidamenti di servizi. Il decreto interministeriale deve essere emanato entro il 31 gennaio dopo essere passato alla conferenza unificata Stato-Regioni-città e finirà naturalmente nel "pacchetto liberalizzazioni". I Comuni avranno tempo per adeguarsi fino alla scadenza delle attuali gestioni: la prima applicazione sarà quindi già al 31 marzo, quando scadranno le cosiddette gestioni "non conformi" perché affidate senza gara e senza alcuna legittimazione.
Nel decreto interministeriale Gnudi-Monti-Cancellieri sarà contenuta anche un'altra rivoluzione voluta dall'articolo 4: l'obbligo di rendere pubblici, anche in modalità on-line, «i dati concernenti il livello di qualità del servizio reso, il prezzo medio per utente e il livello degli investimenti effettuati». Il decreto interministeriale detterà i criteri con cui i comuni dovranno procedere a rendere pubblici i dati. La finalità del provvedimento è quella di «assicurare il progressivo miglioramento della qualità di gestione dei servizi pubblici locali e di effettuare valutazioni comparative delle diverse gestioni». Cittadini, utenti, imprese potranno confrontare le performance dei singoli gestori, anche se qui non mancano nodi da sciogliere, quali sono l'asimmetria informativa e i dati riservati che i gestori accampano per limitare non di rado la trasparenza.
Gnudi ha anche riconfermato nel question time di quindici giorni fa in Parlamento le tre direttrici in cui si muove la disciplina dei servizi pubblici locali a proposito delle modalità di affidamento dei servizi in esclusiva: affidamento a gara per la selezione del soggetto gestore; affidamento a gara "a doppio oggetto" per la selezione del socio privato della società mista, con partecipazione pubblica non inferiore al 40%; affidamenti in house, senza gara a società controllate al 100% dagli enti locali, circoscritti ai soli servizi pubblici locali di valore economico inferiore a 900.000 euro/anno (articolo Il Sole 24 Ore del 04.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - VARICasa, il Comune sceglie gli sconti. Spetta al nuovo regolamento decidere le agevolazioni applicabili all'Imu.
Nella stesura del nuovo regolamento comunale per l'applicazione dell'Imu i comuni devono valutare quali agevolazioni previste per l'Ici possono essere confermate, sia con riferimento ai vincoli normativi che di bilancio.
Occorre districarsi in un quadro normativo che non brilla per chiarezza, visto che l'Imu è disciplinata dall'articolo 13 del decreto Monti, dagli articoli 8 e 9 del Dlgs 23/2011 «in quanto compatibili» e dal Dlgs 504/1992 «in quanto richiamato».
L'articolo 14, comma 6 del Dlgs 23/2011 conferma la potestà regolamentare –prevista dagli articoli 52 e 59 del Dlgs 446/1997– anche per il nuovo tributo. Il Dl 201/2011 (convertito dalla legge 214) individua a sua volta una ristretta casistica di intervento, come la possibilità di assimilare all'abitazione principale quella posseduta da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituto di ricovero o la possibilità di ridurre l'aliquota fino allo 0,4 per cento per gli immobili locati.
Il primo nodo da sciogliere è capire qual è il rapporto che esiste tra le possibilità elencate nel decreto Monti e l'esercizio in generale della potestà regolamentare, espressamente confermata anche per l'Imu. La soluzione dovrebbe essere quella di ritenere che le previsioni del decreto Monti rappresentano una limitazione alla potestà regolamentare e che per il resto il comune abbia ampia potestà di scelta. Così, per esempio, sarebbe illegittimo stabilire un'aliquota dello 0,39 per cento per gli immobili locati, visto che è espressamene previsto che la riduzione può arrivare fino allo 0,4.
Non sarebbe però illegittimo individuare all'interno della più ampia categoria "immobili locati" alcune casistiche, come quella delle abitazioni locate con contratto concordato, e limitare solo a queste la riduzione di aliquota.Il comune può anche differenziare con riferimento a categorie di immobili. Tale possibilità è stata prevista dall'articolo 8, comma 7, del Dlgs 23/2011 con riferimento ai fabbricati utilizzati dalle imprese, ma può essere estesa anche ad altre casistiche. Sarebbe, pertanto, legittima la previsione di un'aliquota più alta, ma entro il tetto dell'1,06 per cento, solo per le abitazioni tenute sfitte.
Sarà poi possibile intervenire ulteriormente sulla detrazione principale –che con i figli può arrivare fino a 600 euro– anche con riferimento a particolari situazioni di disagio economico, possibilità questa espressamene prevista nell'Ici, ma confermabile anche nell'Imu, considerato che è espressamente prevista la possibilità di intervenire «genericamente» sulla detrazione. Infatti, l'articolo 13, comma 11 prevede che le «detrazioni e le riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di imposta riservata allo Stato» (articolo Il Sole 24 Ore del 04.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO«Cliclavoro» apre anche al pubblico.
Cliclavoro apre al pubblico. È stato infatti pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 1 del 02.01.2012 il decreto del ministero del Lavoro 13.10.2011 sulla trasmissione informatica delle informazioni e dei dati relativi alle procedure di reclutamento dei lavoratori da parte delle amministrazioni e società pubbliche.
Scopo della normativa è favorire l'efficienza e la trasparenza del mercato del lavoro pubblico in Italia tramite "Cliclavoro". Si tratta di un luogo di incontro virtuale che ha lo scopo di agevolare l'occupazione dei lavoratori su tutto il territorio nazionale attraverso un catalogo completo e dettagliato di informazioni e servizi per il lavoro. Questi servizi permetteranno alle amministrazioni pubbliche di pubblicare le candidature e le offerte di lavoro ed effettuare ricerche per entrare più facilmente in contatto con i lavoratori. La navigazione tra le informazioni del portale è libera, senza bisogno di registrazione, necessaria invece per iscriversi alla newsletter o per rimanere aggiornati sulle novità mediante la sezione rassegna stampa periodica e sui sondaggi.
Con la pubblicazione del decreto si completa la riforma sull'attività di intermediazione, prezioso strumento per la promozione dell'occupazione e le cui procedure sono state oggi snellite. Lo spirito della riforma sembra posarsi in primo luogo sulla creazione di un sistema flessibile e veloce di gestione del mercato del lavoro, dove il collocamento dei lavoratori risulti fondato su un immediato ed effettivo scambio di informazioni e notizie. La riforma si propone di completare il processo di liberalizzazione del collocamento, avviato già dal 1997 con il superamento del regime di "monopolio pubblico" e portato avanti dalla legge Biagi, che aveva dato la possibilità di svolgere attività di intermediazione anche a specifiche agenzie private (le Agenzie per il lavoro) e altri operatori. Con il collegato lavoro era stata poi ampliata la platea dei soggetti abilitati a operare nel mercato del lavoro. La lista era molto lunga e includeva gli enti locali, le Università, le Scuole superiori, statali e parificate, le Camere di commercio, i gestori di siti Internet, i consulenti del lavoro e le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Le novità più importanti, nell'ottica di una semplificazione dell'attività di collocamento, riguardano il nuovo regime di autorizzazione allo svolgimento dell'attività di intermediazione. Ferme restando le normative regionali vigenti per specifici regimi di autorizzazione su base regionale, i soggetti abilitati che intendano effettivamente svolgere attività di intermediazione non saranno più tenuti a ottenere il consenso delle Regioni o del ministero del Lavoro.
Le recenti riforme sono intervenute, altresì, sui requisiti cui è condizionata l'autorizzazione, ora esclusivamente subordinata all'interconnessione alla Borsa continua nazionale del lavoro (Bcnl) per il tramite del portale "Cliclavoro", nonché al rilascio alle Regioni e al ministero del Lavoro di ogni informazione "strategica" al monitoraggio dei fabbisogni professionali e al buon funzionamento del mercato del lavoro. Il mancato conferimento dei dati alla Borsa continua nazionale del lavoro –prosegue la norma– comporterà l'applicazione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie che vanno da 2mila a 12mila euro, nonché la cancellazione dall'albo degli intermediari e conseguente divieto di proseguire l'attività di intermediazione (articolo Il Sole 24 Ore del 04.01.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIAIl nuovo modello ambientale entro fine aprile. In Gazzetta Ufficiale il restyling del Mud. Che dovrà essere utilizzato anche dai soggetti rimasti orfani del Sistri.
Entro fine aprile 2012 va presentato il nuovo Mud, il modello unico di dichiarazione ambientale per le dichiarazioni inerenti i rifiuti prodotti o trattati nell'ambito delle specifiche attività previste dalla legge.
Il modello è quello di riferimento per l'anno 2011 ed è stato approvato con decreto del presidente del consiglio dei ministri del 23.12.2011 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre scorso.
Il nuovo formulario sostituisce quello precedente, che era stato approvato con dpcm del 27.04.2010.
Il nuovo Mud verrà utilizzato dai soggetti che nel 2010, non essendosi realizzata la piena operatività del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti (Sistri) per effetto delle proroghe succedutesi nel tempo fino alla più recente, disposta dal «decreto milleproroghe» (dl n. 216/2011), hanno continuato a utilizzare i registri cartacei di carico e scarico dei rifiuti.
Lo scorso anno, con circolare del 03.03.2011, il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva chiarito che la dichiarazione ai fini Mud andava presentata, ai sensi dell'art. 28, comma 1, del decreto 18.02.2011, n. 52, dai produttori iniziali di rifiuti pericolosi e da quelli dei rifiuti non pericolosi di cui all'articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g) del dlgs n 152/2006 con più di 10 dipendenti (rifiuti da lavorazioni industriali; rifiuti da lavorazioni artigianali; rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi), nonché dalle imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti che già erano tenuti alla presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (Mud) di cui alla legge 25.01.1994, n. 70.
Ciò sebbene l'articolo 264-bis del Codice dell'ambiente, aggiunto dal dlgs n. 205/2010, avesse provveduto ad abrogare le norme concernenti le parti del modello unico di dichiarazione ambientale di cui al dpcm 27.04.2010 riguardanti i produttori di rifiuti e le imprese e gli enti che effettuano il trasporto di rifiuti speciali, nonché i soggetti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento dei rifiuti e gli intermediari e commercianti di rifiuti senza detenzione, tenuti a iscriversi al Sistri.
Nelle more della piena entrata a regime del Sistri quale unico strumento per la registrazione e la tracciabilità dei rifiuti, infatti, il dm 17.12.2009, istitutivo del Sistri, aveva previsto, a carico dei soli produttori iniziali di rifiuti e delle imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti che erano tenuti a presentare il Mud, l'obbligo di comunicare al Sistri determinate informazioni. I trasportatori di rifiuti e coloro che effettuano attività di commercio e intermediazione dei rifiuti senza detenzione non erano tenuti, pertanto, a porre in essere alcun adempimento di comunicazione a decorrere dall'anno 2010.
Fermo il Sistri ancora per tutto il 2011, si riproponeva l'esigenza di utilizzare ancora il previgente sistema, aggiornando il modello Mud, anche in relazione alle modifiche al codice dell'ambiente apportate dal richiamato dlgs n. 205/2010. Va ricordato che intanto, sulla Gazzetta Ufficiale n. 298, del 23.12.2011, è stato pubblicato il decreto del ministero dell'ambiente del 12.11.2011, recante proroga dei termini per la presentazione della comunicazione di cui all'art. 28, comma 1, del decreto 18.02.2011, n. 52.
Ne consegue che i soggetti obbligati devono effettuare le dovute comunicazioni entro il 30.04.2012, con riferimento alle informazioni relative all'anno 2011, ed entro sei mesi dalla data di entrata in operatività del Sistri per ciascuna categoria di soggetti di cui all'art. 1 del decreto ministeriale 26.05.2011, con riferimento alle informazioni relative all'anno 2012 (articolo ItaliaOggi del 03.01.2012).

ENTI LOCALINei tetti al personale entra anche lo «staff» del sindaco. Dalla Corte dei conti le istruzioni sul nuovo vincolo del 50%.
La conversione del decreto Monti introduce una novità di forte impatto sulla gestione del personale delle autonomie locali per il 2012. Viene infatti riportato al 50% il limite massimo del rapporto tra spese di personale e spese correnti per stabilire la possibilità di assunzione degli enti. Nel calcolo sono da includere anche i costi delle società partecipate.
E proprio al foto-finish sono giunti i necessari chiarimenti della Sezione autonomie su come correttamente procedere (si veda Il Sole 24 Ore di venerdì 30 dicembre scorso). La deliberazione 14/aut/2011 identifica quindi aspetti soggettivi e modalità di calcolo: si agisce soltanto sul numeratore, ma le spese di personale delle società da sommare a quelle dell'ente sono da proporzionare in base ai corrispettivi a carico del l'ente medesimo (o ai ricavi derivanti da tariffa). E cioè: il valore della produzione della partecipata sta alle spese totali del personale della stessa come il corrispettivo sta alla quota del costo di personale attribuibile all'ente, che è appunto l'incognita da calcolare.
L'altro problema
Negli ultimi mesi i dubbi si sono però estesi anche su un'altra questione destinata ad avere conseguenze rilevanti nel 2012: i limiti alle assunzioni con le forme del lavoro flessibile. A oggi solo la Corte dei conti della Campania ha preso in esame il caso degli incarichi in staff degli organi politici e le situazioni correlate al comando dei dipendenti degli enti locali.
Fino alla legge di stabilità, il lavoro flessibile e le co.co.co non avevano per le amministrazioni territoriali un tetto preciso e definito; contribuivano a determinare il limite complessivo delle spese di personale di cui al comma 557 o 562 della legge finanziaria 2007. Con l'avvento della regola del turn-over del 20% delle cessazioni dell'anno precedente (solo per gli enti soggetti a Patto di stabilità) la situazione si è complicata in quanto, la delibera 46/2011 della Corte dei conti, sezioni riunite, ha ricompreso in questa percentuale ogni tipologia di assunzione e non solo quelle a tempo indeterminato.
A chiudere la vicenda, almeno dal punto di vista normativo, ci ha pensato la legge 183/2011 facendo rientrare gli enti locali tra le amministrazioni che, ai sensi dell'articolo 9, comma 28, del Dl 78/2010, devono contenere nel limite del 50% della spesa sostenuta nel 2009 le assunzioni a tempo determinato per contratti di formazione e lavoro, attraverso convenzioni, voucher (buoni lavoro), contratti di somministrazione e co.co.co.
Un quadro quindi particolarmente complesso che lascia non pochi dubbi concreti agli operatori. Anche perché, secondo alcuni, tra cui l'Anci (si veda anche la successiva pagina 12), la norma non avrebbe carattere imperativo, ma costituirebbe un semplice "principio" a cui gli enti locali dovrebbero adeguarsi.
Norma cogente
La Corte dei conti della Campania non è però d'accordo e ritiene la norma cogente e di diretta applicazione anche per le Autonomie. Anche per questo motivo la Sezione campana ricomprende nel limite del 50% le assunzioni che avvengono ai sensi dell'articolo 90 del Dlgs 267/2000 e le situazioni di comando dei dipendenti. Con la deliberazione 493/2011 innanzitutto afferma che è completamente mutato il quadro preso in riferimento dalla Corte dei conti, sezioni riunite, nella deliberazione 46/2011 che, tra l'altro, prevedeva casi di deroga in presenza di eccezioni espressamente stabilite per legge.
La disposizione -che è entrata in vigore ieri- non ammette quindi alcuna deroga e secondo i giudici contabili campani si estende anche alle assunzioni in staff degli organi politici. La delibera 497/2011 affronta, invece, il caso del comando ricompendendolo nel calcolo del 50% rispetto alla spesa del 2009 in quanto viene di fatto assimilato a un'assunzione a tempo determinato (articolo Il Sole 24 Ore 02.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIRischio nullità per gli atti che violano la concorrenza.
LA NOVITÀ/ L'Antitrust può cancellare le decisioni locali. Se l'ente non si adegua al parere motivato scatta il ricorso dell'Avvocatura.

Ai più sembra sfuggito l'articolo 35 del decreto salva Italia (legge n. 214/2011), eppure esso è la conferma che a Roma inizia a destare preoccupazione il fatto che molte norme sulla pubblica amministrazione rimangano di fatto lettera morta.
Il riferimento è al comma 2 dell'articolo citato, ove si prevede che «l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni».
In pratica l'Autorità, se ritiene che un atto violi i principi di libera concorrenza, può muoversi prima con le buone e poi arrivare a promuovere la rimozione dell'atto (con quanto ne può conseguire sul piano delle responsabilità contabili e degli allarmi penali). Chi pensava di avere rimosso l'ostacolo rappresentato dall'Autorità con l'abrogazione del 23-bis della manovra estiva 2008 è servito.
Il tutto dovrebbe suscitare non poca preoccupazione nei nostri amministratori e dirigenti: «non è che questa volta si fa sul serio?». Nel Paese dei rinvii e dei "penultimatum" siamo certo portati a dubitare che davvero si decida di verificare con determinazione la corretta applicazione di norme difficili da digerire. È quindi difficile prevedere che cosa potrà mai avvenire in concreto, ma certo, a giudicare dagli ultimi interventi normativi, è innegabile che si abbia la sensazione che molte cose stiano cambiando.
Fino a poco tempo fa, infatti, niente era più facile del l'elusione delle norme o, per i meno raffinati, del semplice ignorarle. Eppure l'articolo 35 del decreto salva Italia è solo l'ultima norma di una lunga serie di interventi tesi a far rispettare le regole con maggiore rigore. Gli effetti del decreto "premi e sanzioni", ad esempio, lo ha provato per primo il Comune di Castiglion Fiorentino, del quale la Corte dei conti ha chiesto e ottenuto il dissesto (ma altri atti del genere sembrano essere in dirittura d'arrivo).
Ancora, si ricorda che il Dl 138/2011 prima (articolo 16, comma 14) e la legge di stabilità poi (introducendo all'articolo 4 del Dl 138/2011 il comma 32-bis) hanno affidato alle prefetture il compito di verificare gli adempimenti dei Comuni sia in tema di messa in liquidazione delle società non ammesse sia di correttezza delle procedure in tema di servizi pubblici locali, fino ad arrivare all'esercizio del potere sostitutivo con tutto ciò che ne consegue: «nel caso in cui, all'esito dell'accertamento, il Prefetto rilevi la mancata attuazione di quanto previsto dalle disposizioni (...), assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto termine, il Prefetto nomina un commissario ad acta per l'adozione dei provvedimenti necessari».
E non è finita qui. L'antesignano di queste norme sono certo i commi da 10 a 12 del l'articolo 20 del Dl 98/2011 che esordiscono stabiliscono «i contratti di servizio e gli altri atti posti in essere dalle Regioni e dagli enti locali che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilità interno sono nulli» e che affidano alla Corte dei conti il potere di perseguire e sanzionare con una consistente sanzione pecuniaria il responsabile dei servizi finanziari e gli «amministratori che hanno posto in essere atti elusivi delle regole del patto di stabilità interno».
Vedremo come verranno applicate queste norme. Ma è bene non sottovalutare il rafforzamento dei controlli che il legislatore sta, gradualmente, realizzando (articolo Il Sole 24 Ore 02.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti, un'ondata di proroghe. Il Sistri slitta al 2 aprile, addio alla discarica al 31 dicembre. Con due decreti di fine anno ufficializzato il rinvio degli ultimi adempimenti ambientali.
Appuntamento dall'aprile 2012 in poi per l'operatività del nuovo sistema di tracciamento telematico rifiuti, per la denuncia dei rifiuti gestiti nel 2011 e per il divieto di conferimento in discarica di determinati rifiuti.
Con due provvedimenti di fine anno, il rituale decreto legge «Milleproroghe» e un parallelo dm Ambiente (il primo approvato il 23 dicembre, il secondo pubblicato sulla G.U. della medesima data), il Legislatore ha fatto slittare tutti i principali termini di scadenza in materia ambientale, quali la partenza dell'atteso «Sistri» (posticipata al 02.04.2012) e del connesso «Mudino» (la denuncia dei dati relativi ai rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2011, prorogata al 30.04.2012), l'avvio a pieno regime del meccanismo di «addio alla discarica» imposto dalle norme comunitarie (saltato all'01.01.2013).
Sistri.
In base al nuovo «Milleproroghe» è slittato dal 9 febbraio al 02.04.2012 l'obbligo per i medi e grandi gestori di rifiuti di adempiere agli obblighi operativi del nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti (ossia comunicazione telematica al sistema informativo centrale dei rifiuti gestiti, tracciamento satellitare dei mezzi di trasporto, monitoraggio ingresso/uscite dalle discariche).
L'appuntamento per i piccoli produttori non partirà invece prima dell'01.06.2012, poiché nel prorogare di due mesi il termine generale di partenza del sistema Sistri stabilito dal dl 138/2011 il nuovo «Milleproroghe» ha salvato il più lungo termine concesso dal dl 70/2011 ai produttori di rifiuti speciali pericolosi con non più di dieci dipendenti, compresi i produttori che effettuano il trasporto dei propri rifiuti entro i 30 Kg/litri al giorno (novero di soggetti individuato dal combinato disposto degli articoli 212, comma 8, dlgs 152/2006, comma 5, dm Ambiente 26.05.2011, 3, comma 1, dm Ambiente 52/2011) termine che scatterà dalla data stabilita da un futuro dm Ambiente e che non potrà essere (per espressa statuizione dello stesso dl 138/2011) anteriore all'01.06.2012.
Il nuovo «Milleproroghe» fa altresì slittare dal 31.12.2011 al 02.07.2012 il termine iniziale (previsto dal dlgs 205/2010) dell'obbligo di iscrizione al Sistri per gli imprenditori agricoli che producono e trasportano a una piattaforma di conferimento, oppure conferiscono a un circuito organizzato di raccolta, i propri rifiuti pericolosi in modo «occasionale e saltuario».
Sempre tramite un decreto del dicastero dell'ambiente (questa volta previsto però dal citato dl 138/2011 e i cui termini di adozione sono già scaduti lo scorso 16.12.2011) arriverà un ulteriore alleggerimento degli oneri Sistri, alleggerimento consistente nella mera facoltatività (in luogo della obbligatorietà) di aderire al sistema di tracciamento telematico per chi gestisce in quantità limitate specifiche tipologie di rifiuti a «bassa criticità ambientale».
Fino allo scoccare dei nuovi termini di operatività del Sistri, lo ricordiamo, il regime per il tracciamento dei rifiuti continuerà a essere quello del cosiddetto «doppio binario» previsto dall'articolo 12, comma 2, del dm 17.12.2009, ossia: obbligatorietà della tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti e formulario di trasporto; facoltatività di adesione al sistema di tracciamento telematico.
Denuncia rifiuti (cosiddetto «Mudino»). Come accennato, parallelamente al rinvio degli adempimenti operativi Sistri, il nuovo decreto del ministero dell'ambiente di fine anno (dm 12.11.2011, pubblicato sulla G.U. del 23.12.2011 n. 298) ha spostato i termini per la denuncia (da effettuarsi mediante l'apposita scheda Sistri prevista dm 17.12.2009, scheda meglio nota come «Mudino») dei dati relativi ai rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2011 e non coperti dal Sistri, prevedendo inoltre (sulla base del fatto che il sistema di tracciamento telematico dei rifiuti non partirà che dal 02.04.2012, come previsto dal citato dl «Milleproroghe») il calendario per l'analoga denuncia relativa ai rifiuti gestiti «fuori Sistri» nel corso del 2012.
In base al nuovo scadenzario disegnato dal dm Ambiente 12.11.2011 gli appuntamenti sono i seguenti: le informazioni relative ai rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2011 dovranno essere comunicate entro il 30.04.2012; le informazioni relative ai rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2012 non coperti dal Sistri dovranno essere invece comunicate entro i successivi sei mesi dalla operatività del nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti, operatività che scatterà (rispettivamente, come accennato) il 02.04.2012 per i medi e grandi gestori di rifiuti (con conseguente obbligo di comunicazione dati entro il 02.10.2012) e dopo l'01.06.2012 per i piccoli gestori (in una data, come stabilito dal dl 70/2011 più sopra ricordato, che sarà precisata dal Minambiente con decreto e che farà scattare da quel momento i sei mesi entro cui effettuare la comunicazione dei dati «Mudino»).
A essere obbligati alla «Mudino» sono i produttori iniziali di rifiuti e le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti già tenuti alla presentazione del «modello Unico di dichiarazione ambientale» (cosiddetto «Mud») previsto dalla legge 25.01.1994, n. 70.
«Addio alla discarica». I rifiuti con «Pci» (ossia potere calorifico inferiore) superiore a 13 mila kJ/kg potranno continuare a essere ammessi in discarica fino al 31.12.2012. Il citato dl «Milleproroghe» ha spostato dall'01.01.2012 all'01.01.2013 l'«addio alla discarica» per i rifiuti in parola previsto dal dlgs 36/2003 in attuazione della direttiva comunitaria 1999/31/Ce. La scelta, si legge nella relazione al decreto legge approvato il 23.12.2011, è stata informata dalla carenza di impianti di recupero energetico da rifiuti a livello nazionale.
Una nuova stretta alla gestione dei rifiuti in discarica arriverà però proprio nel 2013, anno che costringerà l'Italia a tradurre sul piano nazionale (e attraverso la rivisitazione del dlgs 36/2003 in parola) le ultime disposizioni comunitarie dettate dalla direttiva 2011/31/Ce, direttiva che, riformulando l'omonimo provvedimento comunitario madre n. 1999/31/Ce, impone nuovi adempimenti alla discariche che ospitano mercurio metallico per oltre un anno.
In base alla nuova direttiva 2011/31/Ce (Guue del 10.12.2011 n. L328) l'ammissibilità di tali rifiuti da parte delle discariche dovrà infatti essere subordinata dagli Stati membri al rispetto di particolari procedure preliminari (campionamento «ad hoc» compreso), lo stoccaggio temporaneo dovrà poi essere effettuato in modo separato dagli altri rifiuti e tramite serbatoi rispondenti a precisi parametri tecnici.
Con l'upgrade delle norme sul deposito dei rifiuti scatterà inoltre dal 2013 la piena applicabilità allo stoccaggio del mercurio metallico il meccanismo di controllo dei pericoli di incidenti rilevanti previsto dalla direttiva 96/82/Ce, meccanismo (meglio noto come «Seveso» e tradotto sul piano nazionale con il dlgs 334/1999) fino a oggi non pienamente declinabile alla fattispecie in esame a causa (come sottolinea la stessa Ue nella nuova direttiva 2011/31/Ce) della mancanza di requisiti tecnici supplementari di sicurezza analoghi a quelli ora previsti (articolo ItaliaOggi Sette del 02.01.2012).

aggiornamento al 02.01.2012

ENTI LOCALI - VARIFabbricati rurali, le domande da presentare fino al 31.03.2012.
Prorogato al 31.03.2012 il termine per la presentazione delle domande di variazione catastale all'agenzia del Territorio al fine di ottenere le agevolazioni fiscali sui fabbricati rurali.

Il differimento del termine è previsto dall'articolo 29, comma 8, del dl 216, che considera regolari anche le domande presentate dopo la scadenza del termine originario fissato al 30.09.2011.
La norma fa salvo però il classamento originario degli immobili rurali a uso abitativo.
Quindi sono interessati alle variazioni i titolari di immobili strumentali, per ottenere l'inquadramento catastale nella categoria D/10, per i quali dal prossimo anno con l'introduzione dell'Imu non sarà più prevista l'esenzione, ma un trattamento agevolato con applicazione dell'aliquota del 2 per mille, che i comuni potranno ridurre all'1 per mille.
Va ricordato che con decreto del ministro dell'Economia e delle finanze del 14.09.2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 220/2011, è stata data attuazione alle disposizioni contenute nell'art. 7, commi 2-bis e seguenti, del Dl Sviluppo (70/2011).
Sono state infatti fissate le modalità procedurali per la presentazione delle domande di variazione catastale all'agenzia del Territorio al fine di ottenere i benefici fiscali sui fabbricati rurali. Inoltre, sono stati indicati i documenti necessari che i contribuenti devono allegare alle richieste che potranno essere presentate, in seguito alla proroga, entro il 31.03.2012. Il provvedimento ministeriale ha dato indicazioni sul contenuto delle domande di variazione catastale e delle autocertificazioni che i contribuenti devono allegare alle istanze.
L'agenzia del Territorio, con la circolare 6/2011, ha fornito dei chiarimenti sugli adempimenti che devono porre in essere gli interessati.
Nella circolare viene precisato che la domanda di variazione per il riconoscimento della categoria catastale deve essere presentata solo per le unità immobiliari già iscritte al Catasto edilizio urbano, secondo le seguenti modalità:
● mediante consegna diretta all'ufficio;
● tramite servizio postale, con raccomandata con avviso di ricevimento;
● tramite fax;
● mediante posta elettronica certificata.
Gli indirizzi degli uffici locali dell'Agenzia e ogni altro riferimento o indicazione utili alla presentazione della domanda di variazione sono consultabili sul sito internet: www.agenziaterritorio.gov.it.
L'istanza deve presentata all'ufficio competente, in duplice originale, direttamente dal proprietario o titolare del diritto reale sui fabbricati rurali o tramite i soggetti incaricati, vale a dire i professionisti abilitati alla redazione degli atti di aggiornamento del Catasto terreni ed edilizio urbano oppure tramite le associazioni di categoria degli agricoltori.
Un originale deve essere restituito come ricevuta al soggetto che ha presentato la domanda. Se la richiesta viene spedita tramite raccomandata con avviso di ricevimento, mediante fax o per posta elettronica certificata fanno fede, rispettivamente, le date di spedizione, di invio del fax o l'attestato di trasmissione elettronica. La compilazione e la presentazione della domanda è consentita anche con modalità informatiche (articolo ItaliaOggi del 31.12.2011).

ENTI LOCALIVecchie regole per i revisori locali.
Per la scelta dei propri nuovi revisori dei conti, gli enti locali devono continuare a seguire le vecchie regole, sia per quanto riguarda le modalità di nomina sia per la durata del mandato.

Nell'ultima versione del «Milleproroghe» (Dl 216/2011), è saltata la norma che avrebbe dato più tempo per la fissazione delle nuove regole, introdotte dalla manovra-bis di Ferragosto (articolo 16, comma 25, del Dl 138/2011) con il principio del sorteggio presso le Prefetture (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri).
I termini previsti dalla norma per l'emanazione del decreto ministeriale con cui il Viminale avrebbe dovuto indicare le modalità operative della nuova disciplina sono abbondantemente scaduti (andava pubblicato entro il 15 novembre) e nel frattempo rimangono, dunque, valide le indicazioni ministeriali sulla necessità di seguire le vecchie procedure fino a quando le nuove non saranno pronte.
Anche perché la pubblicazione del decreto, che oltre ai requisiti per accedere alle varie fasce demografiche dovrebbe indicare anche le modalità per esprimere le preferenze territoriali degli aspiranti revisori, non basta da sola a far partire la giostra dei sorteggi, a cui serve anche il varo delle liste regionali e la preparazione dei sistemi informatici per gestire le richieste. Nel frattempo, quindi, è il decreto legislativo 293/1994 (articolo 3, comma 1) a dettare legge, prevedendo una proroga massima di 45 giorni per i collegi in carica e il rinnovo con il passaggio in consiglio comunale.
Per quanto riguarda le altre scadenze, invece, si sposta a giugno il termine per la gestione associata delle prime due funzioni fondamentali nei Comuni fino a 10mila abitanti, e slitta di un anno l'applicazione della "riforma" della riscossione come previsto dal Dl 201/2011 (articolo Il Sole 24 Ore del 31.12.2011).

ENTI LOCALIRevisori estratti a sorte, anzi no. Salta il rinvio della riforma che è in stand by in attesa del dm. La mancata proroga dell'art. 16 lascia invariata anche la dead line per le dismissioni societarie.
Nessun rinvio per l'estrazione a sorte dei revisori locali e la dismissione delle società partecipate. La mancata proroga delle norme sull'associazionismo dei piccoli comuni contenute nell'art. 16 della manovra di Ferragosto (dl n. 138/2011) vanifica anche due differimenti molto attesi dagli enti.
E che, stando alle prime indiscrezioni sul decreto milleproroghe (dl n. 216/2011), avrebbero dovuto trovare posto nel provvedimento, salvo poi scomparire all'improvviso nel testo pubblicato giovedì sera in Gazzetta Ufficiale (si veda ItaliaOggi di ieri).

Il primo rinvio avrebbe dovuto riguardare il comma 25 dell'art. 16, quello per intenderci che ha affidato la nomina dei revisori locali a una sorta di lotteria con tanto di estrazione a sorte da un elenco in cui i professionisti saranno inseriti in base a criteri non ancora definiti da parte del ministero dell'interno. Il mancato rinvio non avrà però conseguenze pratiche sulla gestione dei comuni perché come chiarito dal Viminale e dalla Corte dei conti (si veda ItaliaOggi di ieri), la riforma non può considerarsi applicabile fino a quando non sarà stato approvato il decreto che il ministero avrebbe dovuto licenziare entro 60 giorni dalla conversione in legge del dl 138.
Il termine è trascorso invano, ma proprio la natura stessa di scadenza ordinatoria (e dunque non sanzionata in caso di inottemperanza) mal si concilia con l'eventualità che possa essere differita con una proroga. «In effetti non c'era bisogno di un rinvio visto che le nuove regole possono considerarsi già in stand-by in attesa del decreto ministeriale», osserva Antonino Borghi, presidente dell'Ancrel. «Basta che il Viminale non approvi il decreto e l'estrazione a sorte dei revisori non diventerà mai operativa».
Discorso diverso per le dismissioni delle partecipate da parte dei comuni con meno di 30 mila abitanti. La manovra di Ferragosto ha anticipato di un anno (dal 31.12.2013 al 31.12.2012) la dead line per mettere in liquidazione le società o cederne le quote di partecipazione. La modifica è contenuta nel comma 27 dell'art. 16 che in un primo momento figurava nell'elenco di norme che avrebbero dovuto beneficiare della proroga di un anno. Dunque il termine sarebbe dovuto slittare nuovamente a fine 2013. Ma il fatto che la versione definitiva del milleproroghe non ne faccia menzione riporta tutto come prima. E assegna ai comuni un orizzonte temporale di un solo anno per portare a termine le dismissioni, salvo un ripensamento globale da parte del governo Monti che secondo quanto risulta a ItaliaOggi appare assai probabile.
Confermata invece la proroga di un anno della riforma della riscossione locale introdotta dal decreto sviluppo di maggio (dl n. 70/2011) e differita di 12 mesi dalla manovra Monti (dl n. 201/2011) (articolo ItaliaOggi del 31.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMini-enti, proroga con giallo. Salta la sospensione dell'art. 16. Funzioni associate dal 30/06/2012. La sorpresa nel testo definitivo del milleproroghe in Gazzetta Ufficiale. I comuni: andiamo avanti.
Proroga con giallo per i piccoli comuni. Nel testo definitivo del decreto milleproroghe (dl n. 216/2011), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 302 di ieri, i mini-enti che già festeggiavano per lo slittamento di un anno della marcia di avvicinamento verso l'associazionismo forzoso scandita dall'art. 16 della manovra di Ferragosto (dl 138/2011), trovano invece una proroga a metà.
Con buona pace dell'Anci (che dopo il varo del decreto aveva ringraziato il governo per la «sensibilità mostrata») e di un ordine del giorno ad hoc approvato dalla camera, del differimento dell'art. 16 non c'è infatti traccia. E delle modifiche, già date per acquisite dall'Anci, resta solo la proroga della scadenza più ravvicinata: quella che entro la fine di quest'anno avrebbe imposto ai piccoli comuni di svolgere in forma associata almeno due delle sei funzioni fondamentali individuate dalla legge delega sul federalismo fiscale: amministrazione, gestione e controllo; polizia locale; istruzione pubblica, compresi gli asili nido e l'edilizia scolastica; viabilità e trasporti; gestione del territorio e ambiente; welfare.
La proroga c'è, ma a differenza delle aspettative, non è più di un anno, ma di sei mesi. La dead line per quello che prima di questo pasticcio era considerato il primo step dell'associazionismo scadrà dunque il 30.06.2012 (per esercitare in forma associata tutte e sei le funzioni ci sarà tempo fino al 30.06.2013). Ma prima di questa data, visto che è sfumato lo slittamento di un anno del cronoprogramma imposto dall'art. 16, i piccoli comuni troveranno una scadenza molto più ravvicinata e per di più perentoria: entro il 17.03.2012 (salvo proroghe) gli enti sotto i mille abitanti dovranno trasmettere alle regioni le proprie proposte di unione. Meno di tre mesi, dunque, per capire se Mario Monti intenda proseguire sulla strada tracciata da Berlusconi e Tremonti o piuttosto sospendere l'art. 16 per ripensare in maniera globale la materia.
Il dietrofront del decreto milleproroghe lascerebbe propendere per la prima ipotesi, tanto più che nelle stanze del Mef e di palazzo Chigi l'associazionismo obbligatorio dei piccoli comuni può vantare sostenitori di tutto rispetto (tra questi il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Antonio Catricalà).
Ma in realtà l'impressione è che si sia trattato solo di un pasticcio. Del resto, dopo il varo del decreto, era stato lo stesso ministro dell'interno Anna Maria Cancellieri a telefonare al presidente dell'Anci, Graziano Delrio per rassicurarlo sul recepimento delle richieste di proroga dell'Anci. Solo un qui pro quo, dunque? È possibile, ma resta in piedi l'ipotesi che il governo abbia consapevolmente rinviato di affrontare il capitolo relativo all'art. 16 preferendo invece concentrarsi sui soli termini di immediata scadenza (quelli sull'esercizio associato delle funzioni contenuti nell'art. 14, comma 31, lettere a) e b) del dl 78/2010). E le dichiarazioni di Monti al termine del consiglio dei ministri, in cui il premier ha vantato il numero limitato di differimenti presenti nel decreto (per questo non più etichettabile, ha detto, come «milleproroghe») potrebbero essere un indizio in tal senso.
I comuni dal canto loro non fanno drammi. «Siamo comunque soddisfatti per la proroga del termine per l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata», ha dichiarato a ItaliaOggi Delrio. «Sarebbe scaduto domani ed era urgente spostarlo in avanti». «Possiamo dire che se non è stato sospeso l'art. 16 ne è stata sospesa la premessa».
Per Mauro Guerra, coordinatore nazionale dei piccoli comuni dell'Anci, «questi pochi mesi che ci separano dalla scadenza di marzo devono servire per riscrivere le norme in modo che l'associazionismo non pregiudichi le unioni già in atto da anni». Mentre Franca Biglio, presidente dell'Anpci, invita a «lavorare con ancora più forza per far comprendere al parlamento e al governo che obbligare i piccoli comuni ad associarsi non genera risparmi» (articolo ItaliaOggi del 30.12.2011).

ENTI LOCALIIn house, paletti dalla Corte conti. Dai corrispettivi dell'ente almeno l'80% della produzione. La sezione autonomie pone un punto fermo sulle spese di personale delle società partecipate.
Ai fini del calcolo dell'incidenza delle spese di personale negli enti locali, che si riflettono sulla possibilità di effettuare assunzioni, con riferimento alle spese sostenute da società partecipate, queste devono intendersi quelle partecipate dall'ente o da più enti in modo totalitario, il cui valore della produzione è costituito da corrispettivi dell'ente proprietario in misura non inferiore all'80% dei ricavi complessivi.
Inoltre, ai fini della determinazione della spesa complessiva, in attesa della riforma dei sistemi contabili degli enti locali, si assume quale riferimento la spesa inserita nei questionari che i revisori dei conti sono tenuti a trasmettere alla Corte dei conti sul rendiconto dell'ente. Infine, per determinare la quota delle spese di personale della società partecipata, occorrerà una semplice proporzione matematica, il cui calcolo va effettuato per ciascun organismo partecipato.

È quanto ha messo nero su bianco la sezione delle autonomie della Corte dei conti, nel testo della deliberazione 28.12.2011 n. 14, in merito alla determinazione della quota di spese di personale da assumere ai fini del rispetto del limite imposto dall'articolo 76, comma 7, del dl n. 112/2008, norma che impedisce agli enti locali di procedere ad assunzioni se l'incidenza della spesa di personale è pari o superiore al quaranta per cento delle spese correnti.
Su impulso del comune di Campi Bisenzio (Fi), la sezione autonomie ha inteso dirimere i dubbi sussistenti sulla corretta applicazione della disposizione, con particolare riferimento alle spese delle società partecipate, sia singolarmente sia in consorzio, da enti locali.
In particolare, la Corte ha rilevato che l'ambito soggettivo della disposizione si applica a quelle società partecipate in modo totalitario da un ente pubblico o da più enti pubblici congiuntamente, tenuto conto del concetto di società in house, come società che vive «prevalentemente» di risorse provenienti dall'ente locale (o da più enti locali), caratterizzata da un valore della produzione costituito per non meno dell'80% da corrispettivi dell'ente proprietario ovvero società che presentano le caratteristiche di cui all'art. 2359 del codice civile, purché affidatarie dirette di servizi pubblici locali.
In merito al secondo quesito posto, ovvero su quali basi (numeriche) porre a fondamento la spesa di personale, la Corte ha sottolineato che, al momento, gli enti locali sono interessati da una profonda ristrutturazione dei loro sistemi contabili. Infatti, il dlgs n. 118/2011, all'articolo 11, prevede che le p.a. (tra cui enti locali e loro società strumentali) sono tenuti ad adottare schemi di bilancio finanziari, economici e patrimoniali e schemi di bilancio consolidato con i propri enti e organismi strumentali, aziende, società controllate e partecipate e altri organismi controllati. Sistema che, terminata la fase di sperimentazione che interessa una trentina circa di amministrazioni appositamente indicate, andrà a regime dall'01/01/2014.
In attesa della «rivoluzione contabile», con riferimento alle partecipate, i dati rilevanti ai fini del computo possono essere tratti dai questionari allegati alle relazioni degli organi di revisione al rendiconto dell'ente locale, trattandosi di dati certificati provenienti dalle contabilità degli enti e verificati dagli organi di revisione. Quindi, la Corte ha individuato nei corrispettivi a carico dell'ente, desumibili dai questionari delle predette linee guida, lo strumento che consente di attribuire al medesimo le spese di personale della società che possono essere associati alla prestazione dei servizi erogati a fronte di quel corrispettivo.
Infine, per determinare la quota delle spese di personale della società partecipata, da sommare alle spese di personale degli enti proprietari, la Corte ha elaborato un metodo sintetico. In pratica, occorrerà effettuare una semplice proporzione, secondo cui il valore della produzione della società sta alle spese totali del personale della stessa come il corrispettivo sta alla quota del costo di personale attribuibile all'ente, che è poi l'incognita da calcolare. Quindi, moltiplicare le spese di personale per il corrispettivo e dividere tale risultato per il valore della produzione.
La quota, così individuata, va a sommarsi alle spese di personale dell'ente e il totale si divide per le spese correnti dell'ente stesso. Questo calcolo, rileva la corte, va effettuato per ciascun organismo partecipato, sia che si tratti di società posseduta da uno o più enti, ovvero di società miste pubblico-privato, che l'ente controlla (articolo ItaliaOggi del 30.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIL'estrazione dei revisori non è immediatamente applicabile. Novità congelate in assenza del regolamento del Viminale.
La riforma del sistema di nomina dei revisori dei conti negli enti locali, sia in forma monocratica sia collegiale, dettata dalla manovra-bis di Ferragosto (il dl n. 138/2011), non è immediatamente applicabile. Almeno fino a quando non sarà pienamente operativo il meccanismo di nomina dei revisori che implica la preventiva definizione dei criteri e dei principi cui attenersi nella predisposizione degli elenchi da cui trarre i nominativi ai quali conferire l'incarico.
Così, in attesa di questi criteri, la nomina dei revisori resta regolata, ancora oggi, dall'articolo 234 del Tuel.

È quanto ha messo nero su bianco la sezione regionale di controllo della Corte dei conti Basilicata, nel testo del parere 16.12.2011 n. 136, con cui, per la prima volta sul panorama giurisprudenziale, ha fatto chiarezza sulla portata applicativa delle disposizioni contenute all'articolo 16, comma 25, del decreto legge n. 138/2011.
Come noto, tale norma prevede che a decorrere dal primo rinnovo dell'organo di revisione, i revisori dei conti degli enti locali sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel registro dei revisori legali, nonché gli iscritti all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Con un decreto del Mininterno, che avrebbe dovuto essere emanato entro lo scorso mese di ottobre, ma di cui si sono perse le tracce, sono stabiliti i criteri per l'inserimento degli interessati nel predetto elenco, sulla scorta di alcuni parametri tra cui la precedente richiesta degli interessati di voler svolgere la funzione di revisore per enti locali e il possesso di una specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica.
Sulla vicenda, il sindaco di Banzi (Pz), nell'esporre alla Corte che l'incarico di revisore nel suo comune è scaduto il 30 settembre scorso, chiede se, nelle more dell'emanazione del citato decreto Mininterno, possa ritenersi vigente un regime di prorogatio, secondo cui siano ancora applicabili le disposizioni di nomina dei revisori contenuti all'articolo 234 del Testo unico sugli enti locali.
Per il collegio della Corte lucana, le disposizioni contenute nella manovra di Ferragosto sono destinate a sostituire il vigente sistema di nomina dei revisori, con nuove modalità. Ma è altrettanto vero che per prodursi l'effetto abrogativo di tale sistema, occorra la piena operatività della nuova disposizione, destinata a prendere il posto della precedente. Se tale operatività non sia piena o non sia assicurata l'effetto abrogativo non può realizzarsi.
In poche parole, per la Corte, nel caso in esame, la mancanza degli elenchi in cui gli interessati alla nomina di revisore avrebbero potuto chiedere di far inserire il proprio nominativo, sulla base dei titoli e dei criteri stabiliti dal Ministero dell'interno, rende la disposizione di legge non immediatamente operativa, con la conseguenza che anche l'effetto abrogativo della disposizione contenuta nell'art. 234 del Testo unico resta, al momento, impedito.
Sulla base di queste considerazioni, ha concluso il collegio, fino a quando non sarà pienamente operativo e applicabile il meccanismo di nomina dei revisori previsto dall'art. 16, comma 25, del decreto legge n. 138/2011, che implica la preventiva definizione dei criteri e dei principi cui attenersi nella predisposizione degli elenchi da cui trarre i nominativi ai quali conferire l'incarico, resta immutato e vigente il sistema oggi regolato dall'art. 234 del Testo unico (articolo ItaliaOggi del 30.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Dallo stadio al comune. Molti ostacoli per il patron che vuole candidarsi. L'incompatibilità del presidente di un club sportivo va valutata caso per caso.
La carica di sindaco è incompatibile con quella di presidente di una società sportiva che ha in concessione beni comunali, oltre a ricevere dal comune aiuti economici sotto forma di contributi?

L'eventuale incompatibilità potrebbe configurarsi in base all'art. 63, comma 1, n. 1 del Tuel, qualora risulti che la società riceva in via continuativa la sovvenzione, purché quest'ultima sia in tutto o in parte facoltativa e la parte facoltativa superi nell'anno il 10% del totale delle entrate della società.
Una causa ostativa all'esercizio del mandato potrebbe altresì verificarsi in base all'ipotesi di cui al n. 2 del comma 1 del citato art. 63, qualora risultasse dall'analisi dell'eventuale convenzione stipulata con il comune, che la società «ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi nell'interesse del comune», ovvero che si tratti di impresa volta al profitto di privati, sovvenzionata dal comune in modo continuativo, qualora la sovvenzione non sia dovuta in forza di una legge dello stato o della regione.
In ogni caso sarebbe necessario accertare se il consiglio comunale si sia già espresso sulla posizione del sindaco, in sede di convalida degli eletti o, successivamente, in esito alla procedura prevista dall'art. 69 del citato testo unico (articolo ItaliaOggi del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

LAVORI PUBBLICIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consorzi per strade vicinali.
Qual è l'attuale disciplina dei consorzi per le strade vicinali ad uso pubblico e la misura della partecipazione alle spese da parte dell'ente locale, posto che l'unica disposizione in vigore in materia sembrerebbe essere l'art. 14 della legge 12/02/1958, n. 126, sulla base del presupposto che il d.llgt. 01/09/1918, n. 1446 risulterebbe abrogato dal dl 22/12/2008, n. 200, convertito dalla legge 18/02/2009, n. 9?

Dalla ricostruzione dei passaggi normativi che hanno interessato la disciplina in materia, emerge che il dllgt n. 1446/1918 era stato mantenuto in vigore dalla citata legge 18-2-2009 n. 9 fino al 15/12/2009.
Sennonché, il decreto legislativo 01.12.2009, n. 179, ha sottratto all'effetto abrogativo le disposizione di cui al suddetto dllgt 01/09/1918, n. 1446 (art. 1, comma 2, all. 2); inoltre ha ritenuto indispensabile la permanenza in vigore dell'art. 14 della legge 12/12/1958, n. 126, relativamente all'obbligo delle strade vicinali di uso pubblico (art. 1, comma 1, in combinato disposto con l'allegato 1 al dlgs n. 179/ 2009).
Ciò stante, la disciplina relativa alla manutenzione e riscossione delle strade vicinali, ed alla facoltà per gli utenti delle stesse di costituirsi in consorzio, può essere tutt'ora ricondotta alle disposizioni di cui al dllgt 01/09/1918, n. 1446 e all'art 14 della legge n. 126 del 1958.
Occorre, tuttavia, distinguere se si tratti di strade vicinali soggette ad uso pubblico o esclusivamente ad uso privato.
Nel primo caso, quando il comune è titolare di un diritto reale di uso pubblico sulla strada vicinale, che è sempre di proprietà privata, la costituzione di consorzi per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione di dette strade, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 126 del 12/2/1958, è obbligatoria, mentre rimane facoltativa nel secondo caso.
Dalla sussistenza o meno del pubblico utilizzo deriva anche l'obbligo, per il comune, di concorrere alle spese; in applicazione, infatti, dell'art. 3 del citato dllgt n. 1446 del 1918, che fissa i limiti di compartecipazione per le strade vicinali soggette al pubblico transito, il comune è tenuto a concorrere alle spese di manutenzione, sistemazione e ricostruzione nella misura variabile da un quinto sino alla metà della spesa, a seconda dell'importanza della strada.
Detti limiti, che riguardano il comune, sono inderogabili in quanto con tale disciplina, tenuto conto dello speciale regime giuridico di queste strade, il legislatore ha già contemperato a monte gli interessi pubblici e privati in gioco, demandando ai comuni solo la possibilità di scegliere in concreto l'ammontare della contribuzione all'interno dei limiti minimi e massimi consentiti, motivando esaurientemente tale scelta (in tal senso la Corte dei conti, sez. reg. di controllo per il Veneto n. 140/2008).
Pertanto, nella fattispecie prospettata, che riguarda i consorzi per le strade vicinali ad uso pubblico, nella ritenuta applicazione dell'art. 14 della legge n. 126/1958, che rende obbligatoria la costituzione della forma associativa, e degli artt. 1 e 3 del dllgt n. 1446/1918, si deduce che gli oneri per la manutenzione e sistemazione delle strade vicinali gravano essenzialmente sui soggetti privati che le utilizzano, salvo il concorso del contributo comunale nei limiti e termini stabiliti dalla legge (articolo ItaliaOggi del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMilleproroghe. Sei mesi in più (invece di 12) per risolvere i problemi applicativi della riforma della riscossione locale.
Niente rinvio per i mini-Comuni. Salta la dilazione sulle Unioni obbligatorie per gli enti fino a mille abitanti.

Nella versione definitiva del decreto «Milleproroghe» (battezzato come Dl 216/2011 nella «Gazzetta Ufficiale» di ieri) scompaiono i tempi supplementari per le Unioni obbligatorie previste dalla manovra-bis di Ferragosto, si riduce a sei mesi il rinvio della "riforma" della riscossione locale scritta (male) nel decreto Sviluppo di maggio, mentre vengono confermati i sei mesi in più per il calendario attuativo dell'esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali da parte dei Comuni sotto i 10mila abitanti. Saltata anche la proroga per le nuove regole sui revisori.
In pratica, per i piccoli Comuni l'unica concessione del decreto di fine anno nella sua versione definitiva riguarda la prima "razionalizzazione" amministrativa, quella introdotta dalla manovra correttiva dell'anno scorso (Dl 78/2010, articolo 14, comma 31) e tutta concentrata sull'esercizio associato delle sei «funzioni fondamentali» individuate dalla legge sul federalismo fiscale (si tratta di amministrazione generale, Polizia locale, istruzione pubblica, viabilità e trasporti, territorio e ambiente –tranne l'edilizia residenziale pubblica– e settore sociale). La norma chiede di aggregare almeno 10mila abitanti nella gestione di due funzioni fondamentali entro fine 2011, quattro entro il 2012 e tutte e sei entro il 2013, e con l'intervento del Milleproroghe i termini si spostano dall'ultimo giorno dell'anno al 30 giugno di quello successivo.
Nelle ultime settimane, però, la battaglia da parte degli amministratori locali si era accesa soprattutto sul secondo passo della "razionalizzazione", quello che impone di aggregare in Unioni di Comuni con almeno 5mila abitanti tutte le attività e i servizi pubblici oggi gestiti da enti con meno di mille residenti, e di far convogliare in gestioni associate di almeno 10mila abitanti tutte le funzioni fondamentali dei Comuni oggi compresi fra mille e 5mila persone. L'obbligo è molto più stringente rispetto al primo, perché determina in pratica la scomparsa delle attuali strutture amministrative nei mini-enti (che perdono anche le Giunte e si vedono ridotti i posti in Consiglio) e lo spostamento delle attività cruciali (bilancio compreso) dal Comune all'Unione.
La prima scadenza è ad agosto 2012, e questo potrebbe spiegare l'uscita dal Milleproroghe. Il problema, però, è che la maggior parte delle Regioni non hanno individuato in tempo limiti demografici adeguati ai propri territori, e l'applicazione rischia di trasformarsi in un rebus insolubile (articolo Il Sole 24 Ore del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARIImu, niente sgravi al comodato. Non è possibile usufruire dell'aliquota ridotta pari a 0,4%. L'imposta municipale propria manda in soffitta l'agevolazione per la casa concessa in uso gratuito.
Con l'introduzione dell'imposta municipale propria (Imu) esce di scena l'agevolazione sulle unità abitative destinate ad abitazione principale concesse in uso gratuito a parenti e la riduzione del 50% del tributo sull'immobile locato.
Dal 2012 troverà applicazione, in luogo dell'imposta comunale sugli immobili (Ici), di cui al dlgs. 504/1992, l'imposta municipale propria che, ancorché introdotta in via sperimentale dal dl. 201/2011, è del tutto autonoma e svincolata complessivamente dal vecchio tributo locale.
A sostegno di quanto indicato, si evidenzia l'assoggettamento al tributo anche dei fabbricati rurali, sia a destinazione abitativa (0,4%) che strumentale (0,2%), ancorché rispettosi dei requisiti di ruralità, di cui ai commi 3 e 3-bis, dell'art. 9, dl. 557/1993 e ancorché censiti nelle categorie specifiche (A/6 o D/10).
Sulla medesima falsariga non si rendono più applicabili gli abbattimenti disposti dall'art. 9, del dlgs.504/1992 per i terreni agricoli, ancorché permanga la nota «finzione giuridica», stante il richiamo all'art. 2 del medesimo decreto istitutivo dell'imposta comunale (Ici), secondo la quale i terreni fabbricabili devono essere considerati agricoli, se coltivati.
Permangono, inoltre, numerose perplessità sulle modalità applicative dell'imposta municipale, con la necessità di attendere l'approvazione dei singoli regolamenti comunali, considerata l'ampia potestà legislativa concessa a tali enti, che non si limita alla modulazione dell'aliquota, in aumento o in diminuzione, fino a 0,2 punti percentuali.
L'unica certezza è l'impossibilità di usufruire dell'aliquota ridotta pari allo 0,4% per le abitazioni principali concesse in uso gratuito (comodato) a parenti, con la conseguenza che, fatte salve indicazioni regolamentari diverse, a questa tipologia si rende applicabile l'aliquota maggiorata pari allo 0,76% e che soltanto le unità inserite nelle categorie C/2, C/6 e C/7 possono essere considerate pertinenze dell'abitazione principale, con l'applicazione della relativa aliquota ridotta.
Peraltro, rispetto all'imposta municipale a regime, non è prevista neppure la riduzione al 50% dell'imposta dovuta per gli immobili locati, stante il rinvio alla potestà legislativa dei comuni che hanno la facoltà di ridurre l'aliquota di tali immobili fino allo 0,4%.
Con riferimento alle ulteriori perplessità, permane quella dei fabbricati inagibili o non abitabili, per i quali il comma 1, dell'art. 8, dlgs n. 504/1992, dispone la riduzione del 50% dell'imposta dovuta, se non utilizzati nel periodo, mentre le disposizioni di cui all'art. 13, dl n. 201/2011 non ne fanno alcun cenno, richiamando l'articolo 8 solo nella parte inerente (comma 4) le unità immobiliari, appartenenti alle cooperative a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dai soci assegnatari, ai fini del riconoscimento della detrazione di 200 euro, rapportata al periodo dell'anno in cui l'unità è adibita a tale scopo.
Nessun riferimento specifico alle esenzioni prescritte dall'art. 7, dlgs 504/1992 con riferimento agli immobili destinati «esclusivamente» ai compiti istituzionali posseduti da Stato, regioni, province e comuni, i fabbricati classificati nelle categorie «E» (da E/1 a E/9), i fabbricati destinati a usi culturali o all'esercizio del culto o posseduti dalla Santa Sede o Onlus, i terreni agricoli collocati nelle zone collinari o montane e gli immobili utilizzati dagli enti pubblici o privati diversi dalle società per l'esercizio di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie e didattiche o del culto.
Il nuovo tributo prevede esplicitamente l'applicazione di un'aliquota ridotta solo per l'abitazione principale e la detrazione per il coniuge separato o divorziato non assegnatario della casa coniugale, di cui al comma 3-bis, art. 6, dlgs n. 504/1992 e per l'unità immobiliare, non locata, posseduta a titolo di proprietà o usufrutto da anziani o disabili che prendono la residenza presso istituti di ricovero o sanitari per ricovero permanente, di cui al comma 56, dell'art. 3, legge n. 662/1996.
Dubbi sull'applicazione delle agevolazioni destinate agli immobili di interesse storico-artistico, compresi quelli appartenuti a enti pubblici o non commerciali, restando in piedi le disposizioni introdotte dall'art. 10, del dlgs n. 42/2004 per la determinazione della base imponibile ai fini dell'Ici, che non sono state abrogate.
Infine, si prende atto dell'innalzamento (in sede di conversione) della maggiorazione della detrazione limitata ai primi due anni di applicazione (2012 e 2013) che, con la nuova formulazione, non può superare l'importo massimo di 400 euro; di conseguenza, se la maggiorazione massima (400) si somma alla detrazione base (200), l'ammontare complessivo potrà raggiungere 600 euro.
Sul punto, infine, si ritiene che la detrazione di 50 euro per ciascun figlio di età non superiore a 26 anni, purché dimorante e residente nell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale, dovrà essere applicata pro rata temporis, mentre non risulta necessario che i figli siano fiscalmente a carico del proprietario, in attesa dei necessari chiarimenti sulla corretta ripartizione in presenza di figli di un solo coniuge o di figli comproprietari dell'unità immobiliare (articolo ItaliaOggi del 29.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - VARIP.a., certificati in soffitta dal 2012. Chi continuerà a chiederli rischierà sanzioni disciplinari. Direttiva di Patroni Griffi. Due le chance: autocertificazioni o acquisizione dei dati d'ufficio.
Dall'01.01.2012 niente più certificati alla p.a.. Gli uffici pubblici dal prossimo anno avranno solo due possibilità: acquisire d'ufficio dati e informazioni sui cittadini o accettare le autocertificazioni. Ma non potranno più richiedere certificati. E chi continuerà a farlo rischierà grosso perché si tratterà di un'ipotesi di violazione dei doveri d'ufficio.
Sui documenti dovrà essere obbligatoriamente inserita la seguente avvertenza: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi». Una dicitura essenziale per la validità stessa del certificato, in assenza della quale, oltre alla nullità del documento, potranno scattare pesanti sanzioni per il dipendente pubblico responsabile.

Sulla «decertificazione» dei rapporti tra p.a. e privati il ministro della funzione pubblica Filippo Patroni Griffi si muove nel solco avviato dal suo predecessore Renato Brunetta. E con
la direttiva 22.12.2011 n. 14 richiama tutte le amministrazioni a un'applicazione immediata delle norme contenute nella legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011) che in realtà non si inventano nulla di nuovo, ma semplicemente puntano ad attuare due principi esistenti nel nostro ordinamento da oltre 20 anni, ma mai attuati. Il primo si trova nell'art. 18 della legge sul procedimento amministrativo (n. 241/1990) secondo cui «i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi» sono «acquisiti d'ufficio» quando «sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni».
Il secondo nell'art. 43 del dpr 445/2000 (Testo unico sulla documentazione amministrativa) che recita: «Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi non possono richiedere atti o certificati concernenti stati, qualità personali e fatti che siano attestati in documenti già in loro possesso o che comunque esse stesse siano tenute a certificare». E prosegue: «In luogo di tali atti», le p.a. sono tenute «ad acquisire d'ufficio le relative informazioni, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato». Eppure gli uffici pubblici non li applicano mai, costringendo i cittadini a file interminabili e disagi.
I due principi per volere di Renato Brunetta sono stati inseriti dapprima nella bozza di decreto sviluppo che il governo Berlusconi avrebbe dovuto presentare a fine ottobre ma poi sono transitati nella legge di stabilità.
Ora Patroni Griffi stringe i tempi. E la direttiva è il chiaro segno della volontà del ministro di non trasformare questa opportunità di semplificazione nell'ennesima occasione mancata. A farne le spese, oltre ai cittadini, sarebbero soprattutto le imprese a cui le nuove norme portano in dote due ulteriori opportunità: l'acquisizione d'ufficio del Durc (il Documento unico di regolarità contributiva che attesta l'assolvimento degli obblighi legislativi e contrattuali nei confronti di Inps, Inail e Cassa Edile) e la trasmissione telematica dei certificati antimafia (che tanto ha fatto discutere al momento dell'annuncio da parte di Brunetta, si veda ItaliaOggi del 27/09/2011).
Per scongiurare il rischio di un nuovo flop le p.a. che emettono i certificati dovranno individuare un ufficio responsabile «per tutte le attività volte a gestire, garantire e verificare la trasmissione dei dati o l'accesso diretto alle informazioni da parte delle amministrazioni». La mancata risposta alle richieste di controllo entro 30 giorni costituirà violazione dei doveri d'ufficio e verrà presa in considerazione ai fini della valutazione delle performance individuali. Non solo. Le amministrazioni certificanti dovranno pubblicare sul proprio sito internet istituzionale le misure organizzative adottate per garantire una «efficiente, efficace e tempestiva acquisizione d'ufficio dei dati».
La correttezza delle autocertificazioni sarà verificata attraverso controlli a campione, mentre l'acquisizione dei dati da altre p.a. dovrà avvenire senza oneri «con qualunque mezzo idoneo ad assicurare la certezza della loro fonte di provenienza».
A questo scopo le p.a. titolari di banche dati accessibili per via telematica dovranno predisporre, sulla base delle linee guida di DigitPa e sentito il Garante privacy, apposite convenzioni aperte a tutte le amministrazioni e soprattutto senza oneri a loro carico (articolo ItaliaOggi del 28.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALISlittano le unioni, non i tagli. Proroga di un anno. La falcidia delle poltrone scatta nel 2012. Il dl Milleproroghe modifica il programma della manovra di Ferragosto per i piccoli comuni.
L'associazionismo forzato dei piccoli comuni può attendere ma non i tagli alle poltrone. Il tradizionale decreto legge di fine anno con le proroghe dei termini in scadenza (limitato dal governo Monti a pochi, fondamentali differimenti e per questo non più etichettabile come milleproroghe), licenziato venerdì scorso dal consiglio dei ministri, (si veda ItaliaOggi del 24/12/2011) fa slittare di un anno gran parte del cronoprogramma fissato dall'art. 16 della manovra di Ferragosto (dl 138/2011), ma non le norme che a partire dalle prossime elezioni amministrative alleggeriranno gli organi di governo dei comuni fino a 10 mila abitanti.
Il dl proroghe, infatti, sposta in avanti di 12 mesi solo le scadenze contenute nei commi da 1 a 16 e nei commi 22, 24, 25 e 27 dell'art. 16. Non, quindi, il taglio di consigli e giunte, disciplinato dal comma 17, che scatterà «dal primo rinnovo amministrativo di ciascun comune a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del dl 138». E dunque dalla tornata elettorale della prossima primavera.
Nei comuni fino a 1.000 abitanti le giunte verranno eliminate e resteranno solo il sindaco e sei consiglieri. Nei municipi fino a 3.000 abitanti a questi si aggiungeranno anche due assessori. Negli enti tra 3.000 e 5.000 abitanti il sindaco sarà coadiuvato da 7 consiglieri e 3 assessori, mentre nei comuni tra 5.000 e 10.000 abitanti il consiglio sarà composto da 10 consiglieri e le giunte da 4 assessori.
Resta invariato anche il timing del taglio dei gettoni di presenza ai consiglieri dei comuni fino a 1.000 abitanti. Come previsto dal comma 18 dell'art. 16, che non è stato prorogato dal dl varato venerdì, la falcidia scatterà a partire dalle prime elezioni amministrative successive alla data del 13.08.2012 e dunque dalla primavera 2013. Tutte le altre scadenze legate al termine del 13.08.2012 (obbligo di esercizio associato di tutte le funzioni amministrative e dei servizi pubblici, successione dell'unione di comuni in tutti i rapporti giuridici degli enti associati) slittano di un anno e con esse il momento dal quale saranno operative, ossia, verosimilmente, la primavera del 2014.
Nessuna novità anche per l'applicazione del patto di stabilità ai piccoli comuni. L'appuntamento resta il 2013 (essendo previsto nel comma 31 non prorogato dal decreto legge) mentre slitta di un anno il debutto del patto di stabilità per le unioni costituite dai comuni fino a 1.000 abitanti.
A parte questi punti fermi tutto il resto dell'art. 16 guadagna 12 mesi di tempo in più per diventare operativo. A cominciare dal primo step, l'individuazione da parte delle regioni di limiti demografici ulteriori per la costituzione delle unioni, rispetto a quelli individuati dalla norma. La dead line era il 17 novembre scorso, ma pochi governatori l'hanno centrata, preferendo invece ricorrere alla Consulta (lo hanno fatto Toscana e Lombardia, si veda ItaliaOggi del 16/11/2011) contro le norme sull'associazionismo ritenute lesive delle prerogative regionali.
Tra i tanti adempimenti prorogati di un anno (riassunti nel cronoprogramma pubblicato in pagina) i sindaci dei mini-enti dovranno tenerne a mente soprattutto due perché si tratta di termini perentori: la data entro cui i comuni fino a 1.000 abitanti dovranno avanzare alle rispettive regioni le loro proposte di unione e la data entro cui i governatori dovranno istituirle sulla base delle indicazioni degli enti o in modo autonomo in caso di mancanza di proposte da parte dei municipi.
I due appuntamenti sono rinviati rispettivamente al 17.03. e al 31.12.2013. Un tempo che dovrebbe essere sufficiente per adeguarsi alle nuove norme o affossarle del tutto. L'Anci, per esempio, plaude alla «sensibilità mostrata dal governo Monti» (così il presidente Graziano Delrio) ma auspica un ripensamento globale della disciplina dell'associazionismo «per non compromettere i processi già in atto da anni» (articolo ItaliaOggi del 27.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ESPROPRIAZIONEAree fabbricabili: una sentenza della Corte costituzionale tutela il diritto alla proprietà. Indennità di esproprio al sicuro. Garantito un ragionevole rapporto con il valore del suolo.
Per la Consulta, l'indennità di esproprio di un'aera fabbricabile non può essere totalmente azzerata (confiscata) per effetto dell'assenza di un valore minimo di riferimento, in caso di omissione della presentazione della dichiarazione Ici.
Questo, in estrema sintesi, il principio sancito dalla Corte costituzionale che,
con la sentenza 22.12.2011 n. 338, è intervenuta sull'illegittimità costituzionale del comma 1, dell'art. 16, del dlgs n. 504/1992, come trasfuso, con decorrenza dal 30/06/2003, nel comma 7, dell'art. 37, del dpr 327/2001.
La questione di illegittimità parte dall'assunto, indicato nelle disposizioni richiamate, che «l'indennità è ridotta a un importo pari al valore indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata dall'espropriato ai fini dell'imposta comunale sugli immobili prima della determinazione formale dell'indennità (_), qualora il valore dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente e inferiore all'indennità di espropriazione come determinata in base ai commi precedenti».
Di conseguenza, in assenza di una dichiarazione ai fini del tributo locale o per indicazione di un valore irrisorio, l'indennità si sarebbe potuta azzerare per carenza del valore di riferimento, stante il fatto che le disposizioni richiamate condizionano la quantificazione dell'indennità all'originario comportamento tenuto ai fini tributari dall'espropriato.
Sul punto, con la recente sentenza 21/07/2000 n. 351, la stessa Corte costituzionale aveva dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate, con riferimento a taluni articoli della carta costituzionale per irragionevole disparità di trattamento tra espropriato e proprietario privato dell'immobile (art. 3), per disparità di trattamento tra evasori totali ed evasori parziali (articoli 3 e 24), per inadeguatezza della sanzione o indennizzo (art. 42, terzo comma), per la natura extrafiscale della sanzione per mancato rispetto di un dovere tributario (art. 53) e per l'arbitrario e indiretto recupero di un tributo non più dovuto a soggetto espropriato (art. 97); l'infondatezza delle questioni sollevate, per la Consulta, non modificava i criteri stabiliti per il calcolo dell'indennizzo, di cui all'art. 5-bis, dl 333/1992, come modificato dal comma 65, dell'art. 3, legge 662/1996.
Per la Consulta, la sanzione relativa alla riduzione dell'indennità di esproprio, in caso di omessa o dichiarazione infedele (ai fini Ici) trova applicazione con riferimento all'ultima dichiarazione o denuncia presentata, a prescindere da eventuali ravvedimenti o presentazioni spontanee successive alla determinazione formale dell'indennità, resta esclusa ogni possibilità di garantire un valore minimo garantito, ma la vanificazione totale del ristoro resta costituzionalmente illegittima, a prescindere che la misura sanzionatoria sia dipendente o meno dalla volontà dell'espropriato o da un mero errore.
Di conseguenza, ancorché le disposizioni possano essere ritenute applicabili per effetto del comportamento omissivo del contribuente, non si può non tenere conto del principio della tutela del diritto della proprietà, di cui al terzo comma, dell'art. 42 della carta costituzionale e di quanto sancito dall'art. 1 per primo protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu).
Pertanto, la Corte costituzionale ha concluso che la norma censurata (art. 16, dlgs n. 504/1992), nell'interpretazione fornita dalle sezioni unite, viola gli articoli 42, terzo comma e 117, primo comma, della carta, con riferimento a quanto indicato dal citato art. 1 del protocollo addizionale Cedu, poiché «non contempla alcun meccanismo che, in caso di omessa dichiarazione/denuncia Ici, consenta di porre un limite alla totale elisione di tale indennità, garantendo comunque un ragionevole rapporto tra il valore venale del suolo espropriato e l'ammontare dell'indennità», anche in presenza di una denuncia a valori irrisori; di fatto, via libera alla possibile applicazione di sanzioni, anche deterrenti, a cura del legislatore, ma da escludere la «reale» confisca del bene (articolo ItaliaOggi del 27.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).