ANNO
CORRENTE
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ANNO 2013
SINO ALL'ANNO 2011
ANNO 2012 |
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aggiornamento al 31.12.2012 |
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APPALTI: Appalti,
la verifica si fa sul web. Le p.a. controlleranno online i
requisiti delle imprese. La
procedura dell'Authority parte subito per i lavori sopra i
20 mln. A regime da luglio 2013.
Dal 1° gennaio verifiche online per gli
appalti pubblici attraverso l'Avcpass dell'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, anche se il sistema sarà
realmente obbligatorio per tutti gli appalti oltre i 40 mila
euro dal 01.07.2013. I concorrenti dovranno registrarsi
presso l'Autorità e tramite Posta elettronica certificata
(Pec) inserire i documenti sul sistema che, una volta
attivato, permetterà alle stazioni appaltanti di controllare
i requisiti dichiarati senza più chiedere documenti
cartacei.
È quanto prevede la
deliberazione 24.12.2012 dell'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, che rende possibile la
verifica dei requisiti di partecipazione agli appalti
pubblici attraverso un sistema informatico collegato alla
Banca dati nazionale dei contratti pubblici, istituita
presso l'Autorità.
In realtà dalla delibera si evince che il sistema sarà a
regime per la maggior parte degli appalti dal 01.07.2013,
anche se dal 01.01.2013, per i soli appalti di lavori oltre
i 20 milioni, sarà possibile utilizzare l'Avcpass.
L'applicazione consentirà, da un lato, alle stazioni
appaltanti l'acquisizione della documentazione comprovante
il possesso dei requisiti di carattere generale,
tecnico-organizzativo ed economico-finanziario per
l'affidamento dei contratti pubblici (per l'aggiudicatario e
i concorrenti sorteggiati in sede di verifica) e,
dall'altro, agli operatori economici (imprese e
professionisti) di inserire i documenti richiesti (previa
registrazione al sistema Avcpass e utilizzando
obbligatoriamente la propria Pec), con un notevole risparmio
di tempo e di costi.
La delibera individua i dati concernenti la partecipazione
alle gare e la valutazione delle offerte e prevede che l'Avcpass
si applichi a tutte le tipologie di contratti disciplinate
dal Codice per le quali è previsto il rilascio del Codice
identificativo gara (Cig), cioè a quelle oltre i 40 mila
euro. Il sistema prevede che dopo la registrazione al
servizio Avcpass (accedendo al sito www.avcp.it -servizi ad
accesso riservato– Avcpass), il concorrente indichi gli
estremi della procedura di affidamento cui intende
partecipare e riceva un «Passoe» da inserire nella busta
contenente la documentazione amministrativa. Fermo restando
l'obbligo per l'operatore economico di presentare le
autocertificazioni richieste dalla normativa vigente in
ordine al possesso dei requisiti per la partecipazione alla
procedura di affidamento, il «Passoe» rappresenta lo
strumento necessario per procedere alla verifica dei
requisiti stessi da parte delle stazioni appaltanti.
Sarà poi il responsabile del procedimento (Rup) a chiedere
all'Autorità i documenti a comprova dei requisiti
autodichiarati dal concorrente. Gli operatori economici
dovranno invece caricare sul sistema i documenti in proprio
possesso. Per quel che riguarda i certificati dei servizi e
delle forniture svolte, la delibera prevede che a regime
siano messi a disposizione dall'Autorità che quindi dovrebbe
acquisirli dalle stazioni appaltanti. Però, in
considerazione del fatto che in molti settori non esiste un
sistema standardizzato di certificati utilizzabili, la
delibera prevede che, in via transitoria, gli operatori
economici possono inserire nel sistema, al posto dei
certificati dei servizi o delle forniture svolte, le fatture
relative alle prestazioni svolte indicando, ove disponibile,
il Cig del contratto cui si riferiscono
(articolo ItaliaOggi del 29.12.2012). |
APPALTI: DECRETO
CRESCITA/ Le imprese pagano per i bandi.
Costi di pubblicazione dell'ente rimborsati da chi vince. Il
meccanismo entrerà in vigore il 1° gennaio prossimo.
Dal 01.01.2013 le spese per la pubblicazione sui
quotidiani dei bandi e degli avvisi di gara saranno
rimborsate alla stazione appaltante dall'affidatario del
contratto; rimane sempre ferma la disciplina prevista nel
Codice dei contratti pubblici che obbliga anche dopo il 1°
gennaio le stazioni appaltanti a pubblicare i bandi e gli
avvisi, oltre che sulla Gazzetta Ufficiale, sul proprio sito
internet e su quello del ministero delle infrastrutture e
dell'Osservatorio dell'Autorità, anche per estratto su
quotidiani a diffusione nazionale e locale.
È questo il quadro che si ricava alla luce del comma 35
dell'articolo 34 del decreto legge 179/2012, (legge
221/2012).
La norma prende in considerazione soltanto l'onere di
pubblicità sui quotidiani di bandi e avvisi di gara che fa
capo alle stazioni appaltanti e che riguarda la
pubblicazione per estratto, ai sensi dell'articolo 66, comma
7, del Codice dei contratti pubblici, su due quotidiani a
diffusione nazionale e due a diffusione locale, se si tratta
di contratti di rilevanza comunitaria (ai sensi
dell'articolo 122, comma 5, del Codice, su un quotidiano a
diffusione nazionale e locale, se il contratto è al di sotto
delle soglie di applicazione della normativa comunitaria).
In sostanza il nuovo comma 35 dell'articolo 34 del
provvedimento stabilisce che a partire dai bandi e dagli
avvisi pubblicati successivamente al 01.01.2013, le
spese per la pubblicazione per estratto sui quotidiani
previste dalle norme del Codice (i citati articoli 66, comma
7 e 122, comma 5) «sono rimborsate alla stazione appaltante
dall'aggiudicatario, entro il termine di 60 giorni
dall'aggiudicazione».
La norma ha due effetti, ma lascia aperto un dubbio
interpretativo che dovrebbe essere in qualche modo risolto.
Il primo effetto è quello di confermare a chiare lettere che
anche dal 01.01.2013 le stazioni appaltanti sono
comunque tenute alla pubblicazione sui quotidiani dei bandi
e degli avvidi di gara per estratto. Da ultimo, e prima
dell'approvazione della legge «anticorruzione», il dubbio
poteva infatti esservi. Nel 2009, infatti, il comma 5
dell'articolo 32 della legge n. 69/2009 aveva stabilito che
proprio a decorrere dal 01.01.2013, le pubblicazioni
effettuate in forma cartacea non avessero più «effetto di
pubblicità legale, ferma restando la possibilità per le
amministrazioni e gli enti pubblici, in via integrativa, di
effettuare la pubblicità sui quotidiani a scopo di maggiore
diffusione, nei limiti degli ordinari stanziamenti di
bilancio».
Con tutta probabilità, quindi, la pubblicazione
sui quotidiani sarebbe sparita. Con la recente legge 06.11.2012, n. 190 («anticorruzione») il legislatore ha
però previsto una disposizione «di salvezza» delle norme in
materia di pubblicità contenute nel Codice dei contratti
pubblici In sostanza, quindi, l'aver fatte salve le due
norme del Codice dei contratti pubblici (vedi ItaliaOggi del
30.11.2012, pag. 35) ha significato implicitamente
abrogare la norma che avrebbe fato perdere efficacia legale
alla pubblicità sui quotidiani a decorrere da inizio 2013.
Appare evidente, adesso, che la disposizione del decreto
legge sulla crescita, nel testo del maxi-emendamento, nel
prendere atto della norma della legge 190/2012, non fa altro
che confermare l'obbligo di pubblicità sui quotidiani
occupandosi però di venire incontro alle difficoltà di
bilancio delle stazioni appaltanti.
Il secondo effetto è, appunto, quello di sollevare le
finanze delle amministrazioni che, seppure dovranno
sopportare inizialmente le spese di pubblicazione, si
vedranno rimborsare tali spese dall'aggiudicatario del
contratto dopo due mesi dall'aggiudicazione. Una sorta di
spending review sulle spalle delle imprese.
Il dubbio interpretativo riguarda il fatto che, dal tenore
letterale della norma, non si desume se e come chi partecipa
alla gara avrà contezza dei costi già sostenuti dalla
stazione appaltante, il che farà una certa differenza
soprattutto quando le gare sono al massimo ribasso
(articolo ItaliaOggi del 28.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Le
stazioni appaltanti dovranno iscriversi all'Anagrafe unica.
Le stazioni appaltanti dovranno iscriversi all'anagrafe
unica istituita presso la Banca dati dei contratti pubblici,
gestita dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici, che dovrebbe essere attivata entro il 01.01.2013; in caso di inadempimento dell'obbligo di iscrizione
scatta la nullità degli atti e la responsabilità
amministrativa e contabile del funzionario responsabile.
È
questa una delle principali novità contenuta nel testo del
decreto legge 179 convertito, presentato dal governo e sul
quale l'aula del senato ha votato ieri la fiducia.
Si tratta di una assolta novità l'istituzione presso
l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture dell'anagrafe unica delle
stazioni appaltanti alla quale obbligatoriamente ogni
stazione appaltante dovrà iscriversi. La norma precisa
infatti che le stazioni appaltanti di contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture saranno tenute a richiedere
l'iscrizione all'anagrafe unica presso la banca dati
nazionale dei Contratti pubblici istituita ai sensi
dell'articolo 52-bis del codice dell'amministrazione
digitale di cui al decreto legislativo 07.03.2005 n. 82.
In sostanza ciò significa che prima dovrà essere attiva la
banca dati nazionale dei contratti pubblici (che dovrebbe
partire il 01.01.2013, quanto meno per gli affidamenti di
rilievo superiore alla soglia comunitaria, stando ad alcune
indiscrezioni filtrate nelle ultime settimane) e poi le
amministrazioni potranno iscriversi. Sarà l'Autorità di
vigilanza presieduta da Sergio Santoro a dettare, poi, con
una propria delibera, le modalità operative e di
funzionamento della anagrafe.
Gli obblighi per le amministrazioni non si esauriscono però
nella mera iscrizione all'anagrafe, perché esse dovranno
anche procedere, ogni anno, all'aggiornamento dei rispettivi
dati identificativi. L'inadempimento di questi obblighi è
previsto che dia luogo alla nullità degli atti adottati e
alla responsabilità amministrativa e contabile dei
funzionari responsabili
(articolo ItaliaOggi del 28.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Nulla
di fatto per le modifiche alla responsabilità solidale.
Nulla di fatto per la responsabilità solidale negli appalti:
rimane la disciplina attuale; ammessi i contratti di rete
nelle gare di appalto; salta all'ultimo momento l'estensione
della disciplina sui crediti di imposta per le
infrastrutture in PPP di importo superiore a 100 milioni e
per quelle già aggiudicate.
È quanto emerge dal testo del dl
179/2012 convertito che proprio per il settore delle
infrastrutture in project financing compie alcuni
significativi passi indietro. Si parlava, con alcuni
emendamenti dei relatori, di due modifiche alla disciplina
sui crediti di imposta: la riduzione da 500 a 100 milioni
della soglia minima di applicazione e della possibilità di
utilizzarli anche per le opere aggiudicate.
Le due modifiche sono però saltate e tutto invariato. Stessa
sorte per la proposta di esclusione del settore degli
appalti pubblici dalla disciplina sulla responsabilità
solidale fiscale; anche in questo caso la norma non compare
più nel testo finale.
Rappresenta invece una novità, peraltro presa dal disegno di
legge semplificazioni-bis, riguarda i cosiddetti contratti
di rete stipulati fra aggregazioni di imprese ai sensi
dell'articolo 3, comma 4-ter, del decreto legge 10.02.2009,
n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 09.04.2009,
n. 33. La norma approvata ieri stabilisce che alle
aggregazioni che si basano su questi contratti si applicano
le disposizioni dell'articolo 37 del Codice dei contratti
pubblici che, a sua volta, detta le regole per la
costituzione e il funzionamento dei raggruppamenti
temporanei di imprese e dei consorzi ordinari di
concorrenti.
Ciò dovrebbe significare che le imprese che hanno
sottoscritto il contratto di rete dovranno configurare la
propria «aggregazione» secondo le regole proprie di queste
due tipologie di soggetti raggruppati, quanto meno, quindi,
secondo lo schema del mandato con rappresentanza. Infine per
far fronte ai pagamenti per lavori e forniture già eseguiti,
l'Anas potrà utilizzare le risorse dell'ex Fondo centrale di
garanzia, nel limite di 400 milioni di euro
(articolo ItaliaOggi del 28.12.2012). |
APPALTI - EDILIZIA
PRIVATA: Il Durc dell'Inail è solo online.
Dal 2 gennaio la richiesta va fatta in via telematica.
Una circolare dell'Istituto indica i servizi che
con il nuovo anno saranno su internet.
Dal 2 gennaio la richiesta del Durc potrà essere fatta
all'Inail soltanto online. Così come solo per via telematica
si dovranno presentare le domande di riduzione dei tassi
medi di tariffe e i ricorsi in materia di applicazione delle
tariffe dei premi.
L'Inail prosegue così sulla strada della telematizzazione obbligatoria dei servizi, avviata
all'inizio del 2012, e con la
circolare
21.12.2012 n. 68 indica il nuovo gruppo di istanze destinate a
transitare solo online.
Riduzione del tasso medio di tariffa dopo il primo biennio
di attività.
Le aziende, operative da almeno un biennio, che eseguono
interventi per il miglioramento delle condizioni di
sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro, possono
richiedere, entro il 28 febbraio (29 febbraio in caso di
anno-bisestile) dell'anno per il quale la riduzione è
richiesta, la riduzione del tasso medio di tariffa dopo il
primo biennio di attività (riduzione per prevenzione OT 24).
L'istanza di riduzione deve essere presentata utilizzando
l'apposito servizio online attivo in www.inail.it alla
sezione Punto Cliente - Denunce.
Riduzione del tasso medio di tariffa nei primi due anni di
attività. Nei primi due anni di attività la riduzione dei
premi può essere richiesta da tutti i datori di lavoro in
regola con le disposizioni obbligatorie in materia di
prevenzione infortuni. In questo caso la domanda deve essere
presentata utilizzando l'apposito servizio online attivo in
www.inail.it alla sezione Punto Cliente - Denunce all'atto
della denuncia dei lavori, dopo l'inizio dei lavori (in
qualsiasi momento, ma non oltre la scadenza del biennio di
attività).
Ricorsi in materia di tariffe dei premi. I provvedimenti in
materia di applicazione delle tariffe dei premi possono
essere oggetto di ricorso al presidente dell'Istituto. Il
ricorso deve essere proposto entro 30 giorni dalla piena
conoscenza degli atti impugnati utilizzando il servizio
online attivo in www.inail.it alla sezione Punto Cliente -
Ricorsi on-line.
Documento unico di regolarità contributiva (Durc). Tutte le
tipologie di richiesta di Durc devono essere effettuate
esclusivamente utilizzando l'apposito servizio telematico
disponibile sul sito www.sportellounicoprevidenziale.it.
L'obbligo di richiedere il Durc esclusivamente in via
telematica era già stato previsto per le amministrazioni
pubbliche, i soggetti privati a rilevanza pubblica, le
società di qualificazione (Soa), i consulenti del lavoro e
per tutti gli altri intermediari previsti dalla legge 11.01.1979, n. 12.
Contributi di malattia e maternità per il settore della
navigazione. Dovrà essere fatta esclusivamente online anche
la denuncia mensile dei contributi di malattia e/o di
maternità per il personale delle imprese di navigazione e
del settore volo, compresa quella riguardante le quote di
servizio e i contributi per l'assistenza contrattuale,
limitatamente alle convenzioni in essere con l'Istituto. La
denuncia deve essere effettuata utilizzando i servizi online
disponibili sul sito www.inail.it - Navigazione marittima -
Servizi on-line - Accesso Area dedicata agli utenti del
settore navigazione- Denuncia contributi malattia e
maternità.
Assistenza. A disposizione di aziende e consulenti ci
saranno il contact center multicanale (Ccm) al numero verde
803.164 e il servizio -Inail Risponde- (disponibile
nell'area Contatti del portale www.inail.it) per richiedere
informazioni o chiarimenti sull'utilizzo dei servizi online
e approfondimenti normativi e procedurali. Per gli utenti
del settore marittimo, inoltre, è attivo uno specifico
servizio di help-desk per la soluzione di eventuali
problematiche di natura tecnica, raggiungibile al seguente
indirizzo: helpdesk.navigazione@inail.it
(articolo ItaliaOggi del 28.12.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO - VARI: LE
NUOVE PENSIONI/ Al debutto la speranza di vita.
Ai requisiti anagrafici si sommano per tutti tre mesi in più.
Dal 01.01.2013 in vigore le regole della riforma Fornero.
Pensione sempre più lontana. Tre mesi almeno per tutti, da
Capodanno, e senza contare il passo in avanti già
preventivato dalla riforma Fornero.
I tre mesi sono
l'effetto della cosiddetta speranza di vita che il prossimo
1° gennaio farà debutto (è la prima volta) sulla scena
pensionistica. Vediamo, dunque, come si potrà andare in
pensione nel 2013 tenendo conto che i requisiti (in sintesi
riprodotti in tabella) si differenziano in base al regime
contributivo cui si appartiene: quello retributivo/misto
(chi possiede un'anzianità contributiva al 31.12.1995)
e quello contributivo (chi non possiede un'anzianità
contributiva al 31.12.1995).
Da quattro a due pensioni. Fino all'anno scorso si era
abituati a ragionare sulle pensioni avendo in mente quattro
possibilità: la pensione di vecchiaia retributiva, la
pensione di vecchiaia contributiva, la pensione di anzianità
con le quote e la pensione di anzianità con il massimo di
lavoro (i famosi 40 anni). Dal 1° gennaio 2012 sono
scomparse queste pensioni, sostituite da due prestazioni: la
pensione di vecchiaia e la pensione anticipata.
Lavoratori con anzianità contributiva al 31.12.1995.
Nel 2013 hanno diritto alla pensione di vecchiaia con almeno
20 anni di contributi e un'età di: ...
(articolo ItaliaOggi del 28.12.2012). |
ENTI LOCALI: Bilanci 2013 zeppi di incognite.
I nodi: Imu, fondo di solidarietà, trasferimenti regionali.
Il 2012 lascia in eredità molte
questioni aperte. Giro di vite sugli oneri di
urbanizzazione.
L'esercizio finanziario che sta per iniziare si presenta,
per i comuni, ricco di incognite quanto quello che sta per
concludersi. Non a caso, la legge di stabilità 2013, appena
approvata dal parlamento, ha rinviato di sei mesi (al 30
giugno) il termine per l'approvazione del prossimo bilancio
di previsione.
Alcune delle questioni aperte nascono proprio da partite
relative al 2012 non ancora chiuse.
In primo luogo, entro il prossimo mese di febbraio si
provvederà alla regolazione dei rapporti finanziari con lo
stato a seguito della verifica del gettito dell'Imu (art. 9,
comma 6-bis, del dl 174/2012). In ogni caso, il Mef ha
chiarito che, in sede di consuntivo, gli enti dovranno
confermare l'importo relativo al gettito stimato dal
dipartimento delle finanze e che tale entrata convenzionale
deve essere considerata valida ai fini del Patto.
Contestualmente, dovrebbe essere reso definitivo il riparto
del taglio da 1.450 milioni previsto dall'art. 28 del dl
201/2011, anch'esso legato alla distribuzione territoriale
dell'Imu.
Infine, entro il 31 marzo (termine perentorio) i comuni
soggetti al Patto di quest'anno dovranno comunicare al
ministero dell'interno (con modalità da stabilire entro il
31 gennaio) l'importo non utilizzato per l'estinzione o la
riduzione anticipata del debito ai sensi dell'art. 8, comma
3, del dl 174, che verrà decurtato nel 2013. Tutte queste
variazioni riguardano la competenza 2012, ma in termini di
cassa incideranno sul 2013.
La nuova Imu
Lo «spacchettamento» dell'Imu deciso dalla legge di
stabilità (con destinazione ai comuni dell'intero gettito
sugli immobili residenziali ed allo stato di quello relativo
agli immobili produttivi), per quanto opportuno in una
prospettiva di medio-periodo, nell'immediato pone altri
punti interrogativi, essendo (inevitabilmente) accompagnato
da un nuovo meccanismo perequativo (il fondo di solidarietà
comunale) che sostituisce il fondo sperimentale di
riequilibrio (e i residui trasferimenti erariali) e che
difficilmente sarà operativo prima del mese di maggio. Per
la definizione dei relativi criteri di formazione e di
riparto, infatti, è prescritta l'adozione di un dpcm che
dovrà essere emanato (previo accordo in Conferenza
stato-città e autonomie locali) entro il 30 aprile (in caso
di mancato accordo il termine per l'emanazione slitta di 15
giorni).
Nelle more, il Viminale provvederà, entro il 28 febbraio, ad
erogare un anticipo pari al 20% di quanto dovuto ai comuni
per l'anno 2012 a titolo di fsr o di trasferimenti (a tal
fine si assumerà come riferimento l'importo delle spettanze
pubblicato alla data del 31.12.2012). I successivi
conguagli dovranno tenere conto di una lunga serie di
parametri (costi e fabbisogni standard, dimensione
demografica e territoriale, capacità fiscale ai fini Imu e
distribuzione del relativo gettito, tagli ex art. 16 del dl
95), oltre che ovviamente, anche in tal caso, dell'esito
delle verifiche sull'Imu 2012. Per evitare oscillazioni
eccessive, la legge di stabilità ha previsto l'introduzione
di una clausola di salvaguardia, che dovrebbe «limitare le
variazioni, in aumento e in diminuzione, delle risorse
disponibili».
Tares
Non pochi dubbi avvolgono anche il nuovo tributo comunale su
rifiuti e servizi indivisibili (Tares), che dal 1° gennaio
sostituirà Tarsu, Tia1 e Tia2. Sui siti di diversi comuni,
infatti, si trovano ancora istruzioni di pagamento ormai
superate (in quanto riferite al precedente regime fiscale o
tariffario), che vanno aggiornate quanto prima. Al riguardo,
occorre tener presente che la Tares può essere pagata o in
un'unica soluzione entro il mese di giugno o in modo
rateizzato. I comuni possono decidere autonomamente il
numero e la scadenza delle rate (la disciplina standard ne
prevede 4, scadenti a gennaio, aprile, luglio e ottobre), ma
per il 2013 la legge di stabilità ha previsto che il
versamento della prima rata sia comunque posticipato ad
aprile e che i comuni non possano anticiparlo, ma solo
eventualmente differirlo.
Sempre per il 2013, inoltre, fino alla determinazione delle
nuove tariffe, l'importo da pagare è commisurato a quanto
versato nel 2012 a titolo di Tarsu o di Tia, salvo
conguaglio, e il pagamento della quota per i servizi
indivisibili è effettuato nella misura standard di 0,30 euro
al metro quadrato fino all'ultima rata, allorché verrà
effettuato il conguaglio riferito all'eventuale incremento
della maggiorazione fino a 0,40 euro.
Trasferimenti regionali
Nebuloso è anche il destino trasferimenti regionali, che dal
2013 dovrebbero essere fiscalizzati e sostituti da una
compartecipazione all'addizionale regionale Irpef (e alla
tassa automobilistica regionale per le province). Al
momento, tuttavia, quasi nessuna regione ha provveduto (si
veda ItaliaOggi del 23 novembre).
Oneri di urbanizzazione
Dal prossimo anno, infine, non potranno più essere applicati
alla parte corrente della spesa i proventi degli oneri di
urbanizzazione: non è stata, infatti, prorogata la deroga di
cui all'art. 2, comma 8, della legge 244/2007, che ha quindi
esaurito i suoi effetti nel 2012
(articolo ItaliaOggi del 28.12.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Trasparenza, albo e sito a
braccetto. I
chiarimenti in una delibera Civit.
Doppia trasparenza per gli enti locali. L'albo pretorio non
basta per la pubblicazione delle varie informazioni che
occorre mettere in evidenza ai fini delle varie disposizioni
che puntano sulla cosiddetta total disclosure. Occorre
sempre replicare ogni atto nella sezione «Trasparenza,
valutazione e merito», obbligatoriamente prevista nei siti
internet istituzionali, ai sensi del dlgs 150/2009.
Lo ha stabilito la Commissione per la valutazione, la
trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit)
con la
deliberazione
18.12.2012 n. 33/2012, confermando che l'attuale
regime delle pubblicazioni complica le cose per le
amministrazioni, costrette ad un'ondata di burocrazia, in
attesa che si modifichi il regime normativo delle
pubblicazioni obbligatorie.
La Civit ha inteso rispondere ad uno dei primi problemi
applicativi delle disposizioni dell'articolo 18 del dl
83/2012, convertito in legge 134/2012, la norma sulla
cosiddetta «amministrazione aperta», che in effetti crea un
doppione di molte pubblicazioni già obbligatorie ai sensi di
altre norme, relativamente ai procedimenti di erogazione di
contributi o di assegnazione di incarichi di collaborazione
esterna e di appalti, di importi superiori ai 1.000 euro.
Si constata, nella deliberazione della Civit, che alcuni tra
gli atti da pubblicare nell'albo pretorio (avvisi, bandi di
gare, appalti, bandi di concorso per l'assunzione di
personale) rientrano tra quelli che sia a norma
dell'articolo 18 della legge 134/2012, sia a norma della
legge 190/2012 (anticorruzione) devono essere pubblicati
anche sul sito dell'ente.
Secondo la Civit, «ad analoga conclusione si può pervenire
esaminando l'oggetto di alcune delle determinazioni
dirigenziali».
Né la norma sull'amministrazione aperta, né la legge
anticorruzione hanno espressamente previsto che le
pubblicazioni da esse previste siano sostitutive di quella
all'albo pretorio, che non è stata abrogata.
I primi osservatori avevano constato che in ragione di ciò,
le disposizioni sulla trasparenza fossero da cumulare: gli
adempimenti, dunque, sono aggiuntivi e non sostitutivi l'uno
dell'altro.
La Civit, correttamente, osserva che l'inserimento degli
atti nell'albo pretorio ha una durata temporalmente
limitata: ciò induce a ritenere tenere «distinto l'obbligo
di affissione nell'albo pretorio da quello di pubblicazione
sul sito web»; il secondo, infatti, non è espressamente
soggetto a limiti temporali (semmai, il problema è dato da
limiti «fisici» degli spazi di archiviazione).
Da qui la conclusione tratta dalla Civit: «L'affissione di
atti nell'albo pretorio online non esonera l'amministrazione
dall'obbligo di pubblicazione anche sul sito istituzionale
nell'apposita sezione “Trasparenza, valutazione e merito”,
nei casi in cui tali atti rientrino nelle categorie per le
quali l'obbligo è previsto dalla legge».
Le indicazioni della commissione sono ineccepibili ed
aderenti al dettato legislativo, ma confermano un incremento
notevole del carico di lavoro. In assenza di strumenti
informatici capaci di integrare le varie informazioni ed i
database contenenti gli atti da pubblicare, gli uffici
saranno chiamati a replicare più volte le pubblicazioni, con
buona pace della semplificazione e della razionalizzazione
del lavoro.
Risulta, dunque, urgente attuare la delega legislativa
prevista dall'articolo 1, comma 35, della legge 190/2012,
che chiama il Governo futuro a un decreto legislativo «per
il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di
pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da
parte delle pubbliche amministrazioni, mediante la modifica
o l'integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante
la previsione di nuove forme di pubblicità»
(articolo ItaliaOggi del 28.12.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Ghigliottina sui contratti locali.
Se non adeguati alla legge Brunetta cessano al 31/12.
Gli enti sono rimasti inerti credendo alla
disapplicazione della riforma. Accordi a rischio.
Tempo scaduto per i contratti collettivi decentrati degli
enti locali. Laddove non fossero stati adeguati alle
disposizioni della riforma Brunetta, il dlgs 150/2009, dal
01.01.2013 cesserà totalmente la loro applicazione e le
amministrazioni potrebbero trovarsi senza la legittima
possibilità di applicare la contrattazione aziendale.
Col nuovo anno, scatta la tagliola prevista dall'articolo 65
del dlgs 150/2009, ai sensi del quale era necessario per le
amministrazioni locali adeguare i contratti decentrati alla
riforma entro il 31.12.2011, in mancanza di che
cessano la loro efficacia con lo spirare del 31.12.2012.
Si conclude, dunque, il lunghissimo periodo di sospensione
dell'effetto ghigliottina sui contratti decentrati,
fortemente voluto a suo tempo dall'Anci, che si è rivelato,
però, molto controproducente.
Infatti, ambigue letture dell'articolo 65 sono state
utilizzate dai sindacati e dalle prime pronunce dei giudici
del lavoro, per ritenere che detto articolo avesse
addirittura sospeso l'efficacia della riforma Brunetta.
Questa tesi iniziale è stata, poi, smentita sia dalla
giurisprudenza successiva (in particolare dai tribunali in
sede di opposizione ai decreti monocratici dei giudici del
lavoro emessi in applicazione dell'articolo 28 dello statuto
dei lavoratori), sia dall'articolo 5, comma 1, del dlgs
141/2011.
Norma, quest'ultima, di interpretazione autentica, ai sensi
della quale «l'articolo 65, commi 1, 2 e 4, del decreto
legislativo 27.10.2009, n. 150, si interpreta nel senso
che l'adeguamento dei contratti collettivi integrativi è
necessario solo per i contratti vigenti alla data di entrata
in vigore del citato decreto legislativo, mentre ai
contratti sottoscritti successivamente si applicano
immediatamente le disposizioni introdotte dal medesimo
decreto».
Sta di fatto che l'iniziale erronea lettura della portata
dell'articolo 65 ha portato moltissimi enti a ritenere non
necessario adeguare i contratti in essere, in attesa della
disapplicazione ex lege.
Chi non avesse già adeguato i contratti o quanto meno
attivato per tempo la contrattazione per il 2013, rischia,
adesso, di trovarsi nell'impossibilità di erogare il
trattamento economico accessorio strettamente connesso alla
contrattazione e di disapplicare totalmente le disposizioni
decentrate di parte giuridica.
L'effetto ghigliottina sui contratti decentrati non adeguati
al dlgs 150/2009 implica che gli enti, in assenza di nuovi
contratti, potranno solo erogare i trattamenti connessi al
fondo della contrattazione decentrata direttamente
disciplinati dagli ancora vigenti contratti nazionali di
lavoro. Si tratta di voci come, ad esempio, la posizione di
sviluppo dovuta alla progressione orizzontale, l'indennità
di comparto, l'indennità di rischio, l'incentivo per le ex
ottave qualifiche funzionali, le indennità di turno,
reperibilità, maneggio valori, a condizione che siano
formalmente organizzati servizi richiedenti queste
prestazioni, l'orario notturno, festivo e notturno-festivo.
Non sarà possibile disciplinare nuove progressioni
orizzontali (del resto congelate per effetto dell'articolo
9, comma 1, della legge 122/2010, né ammissibili solo
giuridicamente, contrariamente all'erroneo indirizzo
proposto dalla Corte dei conti), né attribuire indennità la
cui determinazione risulti competenza esclusiva, anche per
l'ammontare, della contrattazione decentrata.
Si tratta, ad esempio, di tutte le indennità come quelle per
il disagio, o quelle previste dall'articolo 17, comma 2,
lettera f), del Ccnl 01.04.1999, o quelle previste per protocollatori o addetti agli uffici relazioni col pubblico,
ai sensi dell'articolo 17, comma 2, lettera i), sempre del
Ccnl 01.04.1999, come modificato dall'articolo 36, comma 2,
del Ccnl 22.01.2004.
Gli enti, per evitare il congelamento di queste risorse e di
importanti parti del salario accessorio è opportuno corrano
ai ripari e stipulino celermente contratti decentrati
adeguati senza eccezione alcuna al dlgs 150/2009, anche per
gli eventuali incrementi consentiti dall'articolo 15, commi
2 e 5, del Ccnl 01.04.1999.
In mancanza, le indennità connesse strettamente alla
contrattazione e anche la possibilità dell'incremento dei
fondi risulta compromessa. Né sarebbe legittimo attivare gli
istituti connessi alla contrattazione aziendale sulla base
di contratti decentrati sottoscritti nel corso del 2013, ma
con effetti retroattivi, poiché i contratti producono
effetti solo successivamente alla loro sottoscrizione
definitiva
(articolo ItaliaOggi del 28.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
TRIBUTI:
Il 2013 sarà l'anno della Tares.
Rifiuti e servizi unificati in un unico tributo comunale. Tutto
quello che i comuni devono sapere per prepararsi
all'appuntamento del 1° gennaio.
Dal 01.01.2013 sono soppressi tutti i prelievi relativi
alla gestione dei rifiuti e in tutti i comuni del territorio
nazionale viene introdotto il tributo comunale sui rifiuti e
sui servizi. La conoscenza della produzione dei rifiuti
prodotti dalle utenze all'interno di un determinato
territorio, sia in termini quantitativi che qualitativi,
oltre a consentire di effettuare una corretta gestione dei
servizi di igiene urbana, consentirà di valutare, in maniera
diretta e secondo il principio del «chi più produce, più
paga», il corrispettivo che ciascuna utenza dovrà versare al
soggetto che di tale gestione si occupa.
Il calcolo della Tares dovrà essere effettuato sulla base
dell'80% della superficie catastale; tuttavia, per
consentirne una effettiva applicabilità dal 01.01.2013,
una recente disposizione prevede che, in via di prima
applicazione, per gli immobili che non hanno una superficie
catastale aggiornata, l'Agenzia del territorio determini una
superficie convenzionale.
In via transitoria, dal 01.01.2013 si potranno
applicare le disposizioni del dpr 158/1999 con una
maggiorazione di 0,30 euro per metro quadrato a copertura
dei costi.
I comuni potranno, con delibera del consiglio, modificare la
maggiorazione fino a 0,40 euro anche in virtù della
ubicazione e della tipologia dell'immobile. Sono previste
anche riduzioni (nella misura massima del 30% nel caso di a)
abitazioni con un unico abitante; b) abitazione per uso
stagionale; c) cittadini proprietari residenti all'estero
per più di sei mesi; d) fabbricati rurali a uso abitativo.
Una ulteriore riduzione (non superiore al 40% spetta per le
zone in cui non è effettuata la raccolta) ovvero nel caso di
smaltimento in proprio dei rifiuti assimilati. Il calcolo
del tributo avviene sulla base di tabelle allegate al
regolamento approvato dal comune. Tali dati possono essere
dedotti da una serie di specifiche tabelle allegate alla
citata normativa oppure in modo più preciso e razionale
eseguendo misure sperimentali dirette nell'ambito
territoriale di applicazione della Tares.
Le procedure di calcolo prevedono accertamenti sperimentali
per quantificare la produzione dei rifiuti da parte delle
diverse tipologie di utenza, e richiedono una
sperimentazione attiva capace di portare a regime la
corretta gestione e applicazione del tributo
(articolo ItaliaOggi del 28.12.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Commissioni variabili.
Il regolamento può aumentare i componenti.
Fa eccezione solo la materia elettorale, di
competenza dello stato.
Può essere aumentato il numero dei componenti delle
commissioni consiliari permanenti e speciali previsto dal
regolamento comunale qualora l'attuale previsione fosse
ritenuta lesiva del principio di rappresentanza di ciascun
gruppo consiliare in seno alla commissione stessa?
L'articolo 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000 dispone che le
commissioni consiliari, una volta istituite sulla base di
una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate
dall'apposito regolamento comunale con l'inderogabile
limite, posto dal legislatore, riguardante il rispetto del
criterio proporzionale nella composizione. Ciò significa che
le forze politiche presenti in consiglio devono essere il
più possibile rispecchiate anche nelle commissioni, in modo
che in ciascuna di esse ne sia riprodotto il peso numerico e
di voto; la proporzionalità è volta ad assicurare in seno
alle commissioni la maggiore rappresentatività possibile.
Il legislatore, però, non ha precisato in che modo debba
essere applicato detto criterio di proporzionalità. Si
ritiene che spetti al regolamento, cui sono demandate la
determinazione dei poteri delle commissioni, nonché la
disciplina dell'organizzazione e delle forme di pubblicità
dei lavori, stabilire i meccanismi idonei a garantirne il
rispetto.
Secondo un orientamento giurisprudenziale, il criterio
proporzionale può dirsi rispettato solo ove sia assicurata
la presenza in ogni commissione di ciascun gruppo presente
in consiglio, in modo che se una lista è rappresentata da un
solo consigliere, questi deve essere presente in tutte le
commissioni costituite (v. Tar Lombardia, Brescia, 04/07/1992,
n. 796; Tar Lombardia Milano, 03/05/1996, n. 567), assicurando
una composizione delle commissioni proporzionata all'entità
di ciascun gruppo consiliare.
La stessa giurisprudenza richiamata ha, inoltre, precisato
che il criterio proporzionale «è posto dal legislatore come
direttiva suscettibile di svariate opzioni applicative,
egualmente legittime purché coerenti con la ratio che quel
principio sottende, e che consiste nell'assicurare in seno
alle commissioni la maggiore rappresentatività possibile. Al
raggiungimento di questo obiettivo concorrono, non solo la
rappresentanza individuale proporzionata alla consistenza
delle forze politiche presenti nell'organo elettivo, ma
anche –quando la varietà di consistenza e di numero dei
gruppi non consenta di conseguire l'obiettivo, con
precisione aritmetica, per quozienti interi– meccanismi
tecnici (quali il voto ponderato, il voto plurimo e simili)
idonei ad assicurare a ciascun commissario un peso
corrispondente a quello della forza politica che
rappresenta» (Tar Lombardia, n. 567/1996).
Pertanto, l'ente, nell'ambito della propria autonomia
organizzativa, potrà valutare l'evenienza di procedere ad
opportuna integrazione delle previsioni regolamentari,
individuando la soluzione applicativa che meglio garantisca
il rispetto del criterio proporzionale nella composizione
delle commissioni consiliari.
Tuttavia, un'eventuale modifica regolamentare che determini
l'aumento del numero dei componenti delle commissioni
consiliari, non potrà in alcun modo trovare applicazione con
riferimento alla composizione della commissione elettorale
comunale, disciplinata dall'art. 12 del dpr 20.03.1967,
n. 223.
Infatti, la materia elettorale rientra tra quella di
competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117,
comma 2, lett. p) della Costituzione, e agli adempimenti ad
essa relativi sovrintende il sindaco in qualità di ufficiale
del governo (artt. 14 e 54, comma 3, del dlgs. n. 267/200)
(articolo ItaliaOggi del 28.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Riforma
forense. Compensi senza limiti massimi.
Il preventivo dell'avvocato solo su richiesta del cliente.
ACCORDI/
Il patto di quota lite resta possibile ma il professionista
non può ricevere parte del bene oggetto della causa.
La legge professionale degli avvocati tende ad eliminare le
asimmetrie informative, cioè le incertezze, le difficoltà di
orientamento del cliente. La scelta del professionista deve
poter avvenire anche sulla base di una comparazione tra
compensi, cioè circa i costi della prestazione, che in ogni
caso è “obbligazione di mezzo”. L'avvocato cioè mette a
disposizione i mezzi per raggiungere un risultato, non
garantisce il risultato stesso. Solo in modo indiretto, e
appunto in tema di compensi, vi può essere un impegno del
legale a raggiungere il risultato, ancorando la retribuzione
al vantaggio concreto del cliente (patto di quota lite).
Procedendo con ordine, nell'ottica dell'utente, si possono
prevede situazioni di prestazione gratuita (articolo 13), ad
esempio per condivisione di interessi, partecipazione a
comuni ideali o per valutazione della notorietà che può
derivare al professionista dalla controversia. L'avvocato
infatti può esercitare l'attività anche a proprio favore,
traendo un vantaggio anche indiretto, ad esempio nel caso di
partecipazione all'affare (difendendo propri interessi in
una lite condominiale, tra soci, tra parenti), a differenza
di altre professioni, in cui è presente anche una funzione
di garanzia per i terzi (ad esempio, nella revisione
contabile). La prestazione gratuita, che il cliente avrà
cura di pattuire espressamente, non è in contrasto con il
principio della «retribuzione proporzionata e sufficiente»
posto dall'articolo 36 della Costituzione (Cassazione
1223/2003).
Anche la prestazione pattuita come gratuita potrebbe,
tuttavia, diventare onerosa se si altera l'equilibrio
iniziale (ad esempio, la comunanza di interessi, di ideali,
la potenziale parentela): di qui l'opportunità che patti su
prestazioni gratuite siano redatti in forma scritta, con una
clausola di invariabilità.
Le pattuizioni sul compenso possono avere varie basi di
calcolo (si veda la scheda in alto), tenendo presente che
non sono previsti limiti massimi. È tuttavia possibile che
una pretesa eccessiva del professionista sia stata ottenuta
sulla base di un errore del cliente (che pensava
particolarmente difficile il risultato), o di una situazione
di debolezza (infondato timore di un danno che avrebbe
potuto verificarsi): in questi casi l'avvocato che risulti
aver approfittato del cliente rischia anche sanzioni
disciplinari. Un problema simile a quello dei limiti
massimi, è posto dal patto di quota lite.
Tale patto prevede
che il compenso del professionista sia collegato ad un certo
risultato, coinvolgendo il professionista stesso nella
tensione verso un risultato favorevole. In caso di vittoria,
il compenso è ancorato al valore del bene ottenuto, anche
superando quanto risulterebbe applicando un compenso medio,
elevato o elevatissimo. Il patto di quota lite ha l'effetto
di coinvolgere il professionista nel risultato da ottenere,
e rimedia sia alla mancata anticipazione del compenso (in
genere, una percentuale di quanto pattuito per l'intera
vicenda) sia alla mancata anticipazione delle spese vive
(consulenze, approfondimenti, studi).
La riforma forense
appena approvata consente tale patto, ma pone uno specifico
limite: l'articolo 13, comma 4 impedisce che l'avvocato
percepisca, come compenso, una quota del beni oggetto della
prestazione. Ciò significa che il professionista non può,
attraverso la vittoria di una lite o la positiva gestione di
una trattativa, diventare socio, quotista o comproprietario
di un bene insieme al suo cliente. L'avvocato può esigere il
pagamento della quota lite, ma solo in danaro, senza poter
obbligare il cliente a condividere il bene. In tal modo, si
applica alla professione il divieto di “patto commissorio”
(articolo 2744 del Codice civile).
La legge professionale non prevede l'obbligo di forma
scritta per i patti sul compenso, nemmeno nei casi di
prestazione gratuita o di quota lite. È tuttavia intuitivo
che, sia per le ipotesi di compensi squilibrati (gratuiti o
in quota lite), sia per la generalità degli affari legali,
le parti coinvolte si scambieranno corrispondenza. Se il
cliente lo chiede, il professionista è tenuto a comunicare
in forma scritta la prevedibile misura del costo della
prestazione, con voci suddivise in spese, oneri (fiscali,
previdenziali) e compenso professionale. Il cliente, in tal
modo, potrà comparare i servizi offerti.
---------------
I compensi
01 | PATTUIZIONE A TEMPO
La «Pattuizione a tempo» si applica alle prestazioni per lo
più telefoniche, all'assistenza a singoli atti. Viene
definita «a tempo» perché ha come unità di misura l'ora o
una sua frazione di effettivo impegno
02 | PATTUIZIONE FORFETARIA
La «Pattuizione forfetaria» opera indipendentemente dal
tempo e dalla difficoltà del caso. Normalmente si collega ad
una specifica vicenda o ad una fase predefinita
03 | SU UNO O PIÙ AFFARI
L'indicazione «Su uno o più affari» presuppone la
delimitazione di un oggetto di consulenza o di una specifica
lite. Può esser collegato ad un'esclusiva o ad un numero
minimo di affari da gestire
04 | IN BASE AI TEMPI DI EROGAZIONE
L'indicazione «In base ai tempi di erogazione» riguarda i
tempi di risposta, immediata, dodici ore, ventiquattro ore o
altra tempistica con o senza presenza fisica
05 | IN BASE ALL'ASSOLVIMENTO
L'indicazione «In base all'assolvimento» riguarda i dettagli
dell'incarico: ad esempio, la possibilità di farsi
sostituire da ausiliari o collaboratori
06 | PER SINGOLE FASI O PRESTAZIONI
L'indicazione «per singole fasi o prestazioni» riguarda le
vicende che possono evolversi, ad esempio in primo grado, in
appello, in Cassazione, urgente (cautelare) o di merito (che
si conclude con sentenza)
07 | A PERCENTUALE
L'indicazione «A percentuale» sottointende sul valore
economico dell'affare o sul vantaggio, anche non
strettamente patrimoniale, del cliente
(articolo Il
Sole 24 Ore del 27.12.2012). |
CONDOMINIO: Pubblicate
in G.U. le nuove disposizioni sui condomini, in vigore anche
per quelli complessi. Una riforma senza esclusioni.
Disciplina estesa a villette a schiera o centri residenziali.
Disciplina condominiale ad ampio raggio. La legge di
riforma, la n. 220 dell'11/12/2012, pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17 dicembre scorso, ha infatti
definitivamente chiarito che la nuova disciplina si applica
anche ai condomini complessi, o supercondomini, ai c.d.
condomini orizzontali e anche nelle ipotesi di
multiproprietà.
In altri termini, la normativa dettata per i caseggiati
costituiti da un unico corpo si applica anche a quei
complessi edilizi sempre più articolati, distinti in diversi
corpi di fabbrica, dotati di autonomia strutturale, ma
caratterizzati dalla presenza di una serie di opere e
servizi comuni a tutto il complesso edilizio. Tale principio
riguarda il grande caseggiato composto da una pluralità di
corpi di fabbrica affiancati l'uno all'altro, con le scale,
gli ingressi e la copertura distinti, ma aventi in comune
determinate parti essenziali o utili, e il gruppo di
palazzine signorili o di palazzi con numerosi piani, i quali
in comune beneficiano di alcuni beni, impianti e servizi
necessari per l'esistenza o per l'uso, ovvero destinati
all'uso o al servizio comune.
Il nuovo art. 1117-bis del codice civile, introdotto dalla
legge di riforma, chiarisce quindi che la disciplina del
condominio si applica, in quanto compatibile, in tutti i
casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più
condomini di unità immobiliari o di edifici abbiano parti
comuni (per esempio, i muri maestri, i pilastri di ferro o
di cemento armato legati tra loro dalle travi, i lastrici
solari, il riscaldamento centrale, l'impianto per l'acqua
calda e per il condizionamento dell'aria, l'ingresso e le
strade di accesso ecc.).
La medesima disciplina si applica
anche alle villette o costruzioni plurifamiliari delle
località di villeggiatura: infatti, di condominio si può
parlare non solo negli edifici che si estendono in senso
verticale, ma anche in relazione a corpi di fabbrica
adiacenti orizzontalmente (come in particolare proprio le
villette c.d. a schiera), che possono ben essere dotati di
strutture portanti e di impianti essenziali comuni. Quindi
anche nel caso in cui le unità immobiliari esclusive non
siano disposte verticalmente (una sopra all'altra nello
stesso edificio) ma orizzontalmente, cioè una accanto
all'altra, sussiste un'ipotesi di condominio, da
qualificarsi come orizzontale qualora esista un patrimonio
comune a tali porzioni, cioè un complesso di beni e/o
impianti destinati strutturalmente e funzionalmente al
servizio o al godimento delle predette unità immobiliari
private.
Tutte queste situazioni sono oggi contemplate nella legge di
riforma del condominio. In particolare, seguendo la
definizione normativa, possono ipotizzarsi le seguenti
combinazioni: più unità immobiliari autonome, per esempio
villette o garage; più edifici condominiali; più gruppi di
unità immobiliari autonome aventi ciascuno un'organizzazione
condominiale, definiti condomini di unità immobiliari; più
gruppi di edifici condominiali, definiti condomini di
edifici. In tutte le quattro ipotesi considerate, la
caratteristica comune è rappresentata dall'esistenza di
parti che servono all'uso comune, quali aree, opere,
installazioni e manufatti di qualunque genere. Non si ha,
invece, condominio quando vi sono edifici totalmente
distinti e autonomi: infatti, le regole condominiali
riguardano essenzialmente gli immobili divisi in piani
orizzontali e trovano applicazione anche per quei fabbricati
che siano verticalmente divisi da una semplice paratia di
legno. Esse non riguardano invece l'edificio che sia diviso
in due parti da un muro interno verticale, dalle fondamenta
al tetto, in modo da formare due corpi di fabbrica distinti
e autonomi.
Allo stesso modo la nuova disciplina riguarda anche i
proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio,
anche se aventi diritto a godimento periodico, cioè i
proprietari di appartamenti in multiproprietà facenti parte
di un condominio: il multiproprietario è condomino diretto a
tutti gli effetti ed è titolare dei diritti e degli obblighi
che gli fanno capo, in quanto condomino. Del resto la
multiproprietà di singole unità immobiliari nell'ambito di
un complesso residenziale non importa alcuna deroga
all'applicazione della disciplina sul condominio negli
edifici per quanto riguarda le parti e ai servizi comuni di
utilità generale all'intero edificio.
Inoltre resta confermato che la sussistenza del condominio
non è influenzata dal numero dei titolari delle proprietà
esclusive, con la conseguenza che è sufficiente che vi siano
anche due soli partecipanti affinché lo stesso venga a
giuridica esistenza e si applichino le relative regole di
funzionamento e di gestione: si tratta del c.d. condominio
minimo
(articolo ItaliaOggi Sette del 24.12.2012). |
VARI: Il
ddl sulle categorie non regolamentate. Vigilanza al
ministero dello sviluppo. L'albo non fa più la differenza.
Regole chiare per le professioni.
Attività in chiaro per i senz'albo. Il consumatore che vuole
affidarsi a un professionista non iscritto a un ordine,
infatti, d'ora in poi potrà andare sul sito del ministero
dello sviluppo economico, scorrere l'elenco delle
associazioni professionali legate al settore d'interesse, e
valutare attestazioni e standard qualitativi degli iscritti.
È questo uno degli obiettivi principali del disegno di legge
sulle professioni non regolamentate, approvato il 19
dicembre scorso in via definitiva dalla Camera (si veda ItaliaOggi del 20 dicembre), che regolamenta dopo 30 anni un
universo di 3,5 milioni di lavoratori, dipendenti e
autonomi, che esercitano un'attività professionale senza
essere iscritti in ordini o albi professionali. Ma vediamo
nel dettaglio cosa prevede la legge, in via di pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale.
Le definizioni. Il ddl definisce anzitutto la professione
non organizzata in ordini o collegi, escludendo dalla
disciplina le attività riservate per legge a soggetti
iscritti in albi o collegi, le professioni sanitarie e le
attività e mestieri artigianali, commerciali e di pubblico
esercizio disciplinati da specifiche normative. Chiunque
svolga una professione non ordinistica, inoltre, dovrà
contraddistinguere la propria attività, in ogni documento e
rapporto scritto con il cliente, con l'espresso riferimento,
quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della
stessa legge.
Le associazioni. I professionisti possono costituire
associazioni professionali, allo scopo di valorizzare le
competenze degli associati, diffondere tra essi il rispetto
di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela
degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza. Le
associazioni hanno natura privatistica, sono fondate su base
volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva.
Promuovono la formazione permanente dei propri iscritti,
adottano un codice di condotta, vigilano sulla condotta
professionale degli associati, definiscono le sanzioni
disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni
del medesimo codice e promuovono forme di garanzia a tutela
dell'utente, tra cui l'attivazione di uno sportello di
riferimento per il cittadino consumatore. Le associazioni
possono anche costituire forme aggregative, che
rappresentano le associazioni aderenti e devono agire in
piena indipendenza e imparzialità. Si tratta di soggetti
autonomi rispetto alle associazioni professionali che le
compongono. Le forme aggregative hanno funzioni di
promozione e qualificazione delle attività professionali che
rappresentano, nonché di divulgazione delle informazioni e
delle conoscenze a esse connesse e di rappresentanza delle
istanze comuni nelle sedi politiche e istituzionali. Su
mandato delle singole associazioni, esse possono controllare
l'operato delle medesime associazioni, ai fini della
verifica del rispetto e della congruità degli standard
professionali e qualitativi dell'esercizio dell'attività e
dei codici di condotta definiti dalle stesse associazioni.
La pubblicità. Le associazioni pubblicano sul proprio sito
web gli elementi informativi che presentano utilità per il
consumatore, secondo criteri di trasparenza, correttezza,
veridicità. Della correttezza di tali informazioni
garantisce il responsabile legale dell'associazione
professionale o della forma aggregativa. Nei casi in cui le
associazioni autorizzino i propri associati a utilizzare il
riferimento all'iscrizione all'associazione quale marchio o
attestato di qualità dei propri servizi, sul proprio sito
Internet devono rendere disponibili anche le informazioni
sul significato dei marchi e sui criteri di attribuzione dei
marchi e degli altri attestati di qualità, dandone
contemporaneamente notizia al ministero dello sviluppo
economico, ai sensi dell'articolo 81 del decreto legislativo
di recepimento della c.d. «direttiva servizi» (dlgs
59/2010).
Le attestazioni. Le associazioni professionali possono
rilasciare ai propri iscritti delle attestazioni su
molteplici aspetti, dalla regolare iscrizione del
professionista, requisiti e standard qualitativi, possesso
della polizza assicurativa, previe le necessarie verifiche,
sotto la responsabilità del proprio rappresentante legale,
al fine di tutelare i consumatori e di garantire la
trasparenza del mercato dei servizi professionali. Tali
attestazioni non rappresentano però requisito necessario per
l'esercizio dell'attività professionale. Per i settori di
competenza, le medesime associazioni possono promuovere la
costituzione di organismi di certificazione della conformità
a norme tecniche Uni, accreditati dall'organismo unico
nazionale di accreditamento (Accredia), che possono
rilasciare, su richiesta del singolo professionista anche
non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di
conformità alla norma tecnica Uni definita per la singola
professione.
La vigilanza.
La non veridicità delle informazioni pubblicate sul sito
dell'associazione o contenute nell'attestazione rilasciata,
infine, è sanzionabile ai sensi dell'articolo 27 del Codice
del consumo dall'Autorità garante della concorrenza e del
mercato, anche su segnalazione del ministero dello sviluppo
economico, che svolge compiti di vigilanza sul mercato
relativamente alla corretta attuazione delle previsioni
della legge
(articolo ItaliaOggi Sette del 24.12.2012). |
ENTI LOCALI: Legge
di stabilità. L'effetto delle nuove regole dipende dalla
situazione in ogni ente in termini di competenza mista.
Ai mini-enti Patto con mini-bonus.
Nel 2013 per i Comuni tra mille e 5mila abitanti obiettivi
di saldo al 13 per cento.
LE CONSEGUENZE/
L'estensione delle regole di finanza pubblica impatta anche
sulla gestione del personale e delle società partecipate.
Niente da fare. Nonostante le manifestazioni, le proposte di
emendamenti, le richieste di proroga, da gennaio anche i
Comuni fra mille e 5mila abitanti dovranno fare i conti con
il Patto di stabilità.
Nelle Regioni soggette ai vincoli ordinari del Patto si
tratta di 3.422 Comuni (il 42,3% dei municipi italiani), che
nel complesso moltiplicano per 2,5 volte la platea obbligata
a centrare gli obiettivi di saldo imposti dalle manovre di
finanza pubblica.
Facili da immaginare i problemi tecnici e applicativi che
porterà con sé la cervellotica architettura del Patto di
stabilità, con il suo metodo della «competenza mista»
(competenza di parte corrente e cassa di conto capitale), le
voci incluse e quelle escluse e le ricadute sulla disciplina
relativa a personale e società. Altrettanto facile da
prevedere un ampliamento della mole di pagamenti alle
imprese incagliati nelle casse degli enti, soprattutto
perché nei Comuni medio-piccoli la spesa corrente, su cui si
fondano tutti i calcoli del Patto, è assai meno lineare nel
tempo rispetto a quella delle città, con la conseguenza che
non saranno rari i casi in cui le amministrazioni si
troveranno ad avere a che fare con obiettivi irraggiungibili
o di fatto casuali.
Nel tentativo di rendere un po' meno amara la novità, la
legge di stabilità nella versione emendata al Senato e
confermata in via definitiva, assegna agli enti fra mille e
5mila abitanti un obiettivo un po' più leggero rispetto a
quello riservato a chi già da anni è inserito nei meccanismi
del Patto di stabilità. Per tutti i Comuni, la base di
calcolo viene aggiornata rispetto agli anni scorsi e fa
riferimento alla media registrata nel triennio 2007/2009.
Per chi conta più di 5mila abitanti, l'obiettivo di saldo si
ottiene applicando a questa grandezza il moltiplicatore del
15,8%, mentre se i residenti sono compresi fra mille e 5mila
il parametro da applicare è il 13 per cento. Di conseguenza,
l'avanzo obbligatorio da raggiungere per rispettare gli
obiettivi di bilancio sarà un po' più leggero rispetto a
quello assegnato agli altri enti. Solo per un anno però,
perché dal 2014 (quando nei vincoli del Patto entreranno
anche i Comuni sotto i mille abitanti che si aggregheranno
in Unioni senza scegliere la via alternativa delle
convenzioni) il moltiplicatore sarà per tutti il 15,8 per
cento.
L'effetto del "bonus", comunque, è del tutto relativo
e dipenderà dalle condizioni di bilancio dei singoli Comuni:
il Patto impone a tutti un avanzo in termini di competenza
mista, un sistema contabile che i piccoli enti non hanno mai
utilizzato, e la strada sarà particolarmente in salita per
chi oggi presenta un bilancio in pareggio secondo i criteri
ordinari ma disavanzo secondo questi parametri. Ovviamente,
come per gli altri Comuni, anche per i piccoli c'è la
possibilità di essere considerati «virtuosi» in base alla
capacità di riscossione, all'equilibrio corrente e
all'autonomia finanziaria. Dal 2013, nei parametri di
virtuosità entrano anche i valori catastali e il numero di
occupati (anche se di quest'ultimo indicatore non è chiara
la relazione con le condizioni della finanza locale).
L'ingresso nel mondo del Patto di stabilità non cambia solo
la gestione del bilancio, ma modifica anche le regole per la
gestione del personale. Gli enti fra mille e 5mila abitanti
dovranno abbandonare il tetto che limita la spesa ai livelli
registrati nel 2008, e abbracciare le regole che chiedono di
ridurre l'incidenza delle spese di personale sul complesso
delle uscite correnti intervenendo sulla «razionalizzazione
delle strutture» e sulle dinamiche della contrattazione
integrativa.
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Che cosa cambia
01 | IL PATTO
Dal 2013 rientrano nei meccanismi del Patto di stabilità
anche i Comuni con popolazione compresa fra mille e 5mila
abitanti. Dal 2014 le regole si estenderanno anche ai Comuni
con meno di mille abitanti che si aggregheranno nelle Unioni
02 | IL BONUS
Gli obiettivi di saldo si individuano applicando
alla media della spesa corrente 2007/2009 il moltiplicatore
del 13 per cento. Dal 2014 il moltiplicatore diventa quello
generale del 15,8 per cento
(articolo Il Sole 24 Ore del 24.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Equilibri.
Obbligo di utilizzo per investimenti e debito.
L'alienazione non può finanziare la spesa corrente.
LA FACOLTÀ/ Per ripristinare gli equilibri concessa la
possibilità di modificare le tariffe e le aliquote dei
tributi locali entro il 30 settembre.
Era nell'aria. Dal 01.01.2013 l'equilibrio di parte
corrente di Comuni e Province sarà più stringente. La
versione definitiva della legge di stabilità cancella
infatti la norma che finora ha consentito di utilizzare il
plusvalore delle alienazioni patrimoniali per finanziare le
spese correnti aventi carattere non permanente (articolo 3,
comma 28, legge 350/2003) e per rimborsare la quota di
capitale delle rate di ammortamento dei mutui (articolo 1,
comma 66, legge 311/2004). I proventi da alienazioni
patrimoniali, precisa la legge di stabilità 2013, potranno
essere destinati solo a coprire le spese di investimento, o,
in assenza di queste o per la parte eccedente, per ridurre
il debito.
Sempre in tema di equilibrio di parte corrente del bilancio
di previsione, dal 2013 sparirà anche l'altra deroga, ancora
più utilizzata, relativa all'utilizzo delle entrate da
rilascio di permessi di costruire (prima denominati oneri di
urbanizzazione) per finanziare le spese correnti, nella
misura del 50%, e, per un ulteriore 25%, per coprire le
spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e
del patrimonio. Già nel bilancio di previsione 2012-2014 i
Comuni hanno dovuto "quadrare" i conti degli ultimi due anni
del pluriennale senza far ricorso a questa possibilità, che
era consentita solo fino al 2012 (dopo la proroga introdotta
sull'articolo 2, comma 8 della legge 244/2007). Pertanto, le
entrate da permessi di costruire potranno essere destinate
solo a coprire le spese di investimento.
L'ultima stretta sull'equilibrio corrente va a colpire la
salvaguardia degli equilibri di bilancio prevista
dall'articolo 193 del decreto legislativo 267/2000. Dal
prossimo anno i proventi derivanti da alienazione di beni
patrimoniali potranno essere utilizzati solo per
ripristinare gli equilibri di parte capitale e non potranno
più essere impiegati per gli squilibri di parte corrente.
Per il ripristino degli equilibri spunta una facoltà nuova
per gli enti locali: quella di modificare le tariffe e le
aliquote relative ai tributi di propria competenza entro la
data della verifica degli equilibri (30 settembre). E ciò in
deroga, si legge nel testo, all'articolo 1, comma 169, della
legge 296/2006, secondo cui le tariffe e le aliquote dei
tributi di competenza degli enti locali sono deliberate
entro la data fissata per la deliberazione del bilancio di
previsione.
L'attenzione all'equilibrio di parte corrente è già entrata
nel mondo della finanza locale nel capitolo "virtuosità"
ai fini del patto di stabilità e fra gli indicatori "spia"
che possono far scattare verifiche ispettive da parte del
ministero dell'Economia. Ora, queste norme restrittive
intendono agire sulla qualità della spesa. Infatti,
impongono un limite alla dinamica della spesa corrente, dopo
che per il rispetto del patto di stabilità gli enti locali
hanno compresso maggiormente la spesa per investimenti
rispetto a quella corrente
(articolo Il Sole 24 Ore del 24.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: La
supplenza. Verifiche del Viminale sul rispetto dei vincoli
di bilancio.
Revisori-commissari per certificare i conti.
LE SANZIONI/ Fino alla comunicazione sono sospesi erogazioni
e trasferimenti di fondi e scatta il divieto di nuove
assunzioni.
Si allarga il coinvolgimento dei revisori dei conti in
materia di patto di stabilità interno: da controllori
possono diventare anche commissari ad acta. È l'effetto
delle novità introdotte dal testo finale dalla legge di
stabilità 2013 sulla certificazione finale del rispetto del
patto di stabilità interno.
L'intervento punta a recuperare i "numeri" degli enti che
non trasmettono i dati effettivi al ministero dell'Economia
entro il termine perentorio del 31 marzo dell'anno
successivo. E lo fa agendo su due fronti. Da un lato,
concede più tempo: 60 giorni dal termine stabilito per
l'approvazione del rendiconto (30 giugno, quindi, e non più
15 maggio). Dall'altro lato, addossa l'adempimento
all'organo di revisione economico-finanziaria, che esce così
sempre più carico di compiti e responsabilità dopo ogni
provvedimento normativo di finanza locale (da ultimo, i
decreti legge 83/2012 sulla crescita, 95/2012 sulla spending
review e 174/2012 sul riordino degli enti locali).
La norma introduce, negli enti che non inviano la
certificazione entro il 30 giugno, l'obbligo per il
presidente dell'organo di revisione economico-finanziaria
(in presenza di un collegio) o per il revisore unico (in
caso di organi monocratici) di provvedere, in qualità di
commissario ad acta, ad assicurare l'assolvimento
dell'adempimento e a trasmettere la certificazione entro i
successivi 30 giorni, con la sottoscrizione di tutti i
soggetti tenuti. In altri termini, il revisore dei conti, se
verifica che il responsabile finanziario non ha inoltrato i
dati consuntivi, si deve sostituire a questo e inviare i
dati entro il 30 luglio, acquisendo anche le firme del
responsabile del servizio finanziario e del sindaco o del
presidente della Provincia.
Sino alla data di trasmissione da parte del commissario ad acta le erogazioni di risorse o trasferimenti da parte del
ministero dell'Interno sono sospese. A questo fine, la
Ragioneria generale dello Stato trasmette una comunicazione
ad hoc al ministero dell'Interno.
La novità sostituisce la precedente norma che equiparava gli
enti che non avessero inviato la certificazione entro il 31
marzo agli enti fuori patto di stabilità, con conseguente
assoggettamento alle sanzioni.
Ora, per gli enti rispettosi dei vincoli del patto di
stabilità interno, che però trasmettono la certificazione
finale in ritardo, comunque entro il 30 giugno, si applica
la sanzione del divieto di assumere personale a qualsiasi
titolo. Ancora, il testo della legge di stabilità 2013
introduce l'obbligo di trasmettere la certificazione dei
risultati finali a rettifica di quella precedentemente
inviata; l'obbligo scatta decorsi 60 giorni del termine
stabilito per approvare il rendiconto, se l'ente rileva, con
riferimento alla certificazione già trasmessa, un
peggioramento del saldo finanziario effettivo rispetto
all'obiettivo del patto
(articolo Il Sole 24 Ore del 24.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Pagamenti
Pa. La circolare 36.
Incognita Durc sul «visto» ai crediti.
Nuove indicazioni sulle certificazioni dei crediti di somme
dovute da Regioni, enti locali ed enti del servizio
sanitario nazionale per lavori, forniture e servizi, per
consentire ai creditori la cessione dei crediti a banche o
intermediari finanziari. Le ha fornite il ministero
dell'Economia dopo che, con il decreto del 29 ottobre
scorso, ha chiarito le disposizioni del precedente decreto
del 25 giugno.
Con la circolare 36, pubblicata sulla
«Gazzetta Ufficiale» 291 del 14 dicembre, il ministero ha
poi fornito le istruzioni applicative, con particolare
riferimento all'utilizzo della piattaforma elettronica e
alle comunicazioni da inviare al ministero.
Circa la regolarità contributiva, certificata dal Durc, che
la stazione appaltante deve chiedere ai datori di lavoro in
ogni fase della gestione dei contratti, la circolare non
ritiene che il documento vada richiesto in sede di
certificazione, ma di pagamento. Poiché tra il rilascio
della certificazione e l'erogazione dei fondi da parte della
banca cessionaria del credito trascorrono pochi giorni, è
opportuno che sia l'ente pubblico a chiedere il Durc al
momento della certificazione e a comunicare l'esito alla
banca. Se il documento evidenzia inadempienze non iscritte a
ruolo, e quindi non risultanti dalla verifica in base
all'articolo 48-bis del Dpr 602/1973, la banca ne terrà conto
nella determinazione della somma da erogare, per evitare
perdite contributive.
Circa la tracciabilità dei flussi finanziari, prevista dalla
legge 136/2010, modificata e completata dal decreto legge
187/2012, ai fini della lotta contro la mafia, la circolare
36 non dà invece informazioni. La normativa prevede che nei
contratti con gli appaltatori per lavori, forniture e
servizi pubblici deve essere inserita, a pena di nullità,
una clausola con la quale gli operatori economici coinvolti
in appalti pubblici si impegnano a utilizzare conti
correnti, accesi presso banche (o poste), dedicati alle
commesse pubbliche, sui quali devono essere esclusivamente
eseguiti tutti i movimenti finanziari riferiti ai contratti.
È inoltre previsto che gli strumenti di pagamento devono
riportare, per ciascuna transazione posta in essere dalla
stazione appaltante, il codice identificato di gara (Cig) e,
se richiesto in base all'articolo 11 della legge 3/2003, il
codice unico di progetto (Cup). Anche queste indicazioni
dovrebbero essere comunicate dalla stazione appaltante, che
ne è a conoscenza, alla banca cessionaria del credito in
sede di certificazione. Altrimenti, se non viene informata,
la banca non potrebbe versare i fondi sul conto corrente
dedicato e indicare Cig e Cup
(articolo Il Sole 24 Ore del 24.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: La
legge di stabilità.
IL PUBBLICO IMPIEGO/ Torna la buonuscita «pesante».
Riliquidazione entro un anno per tutti i soggetti che erano
stati penalizzati.
La prima regola che entrerà definitivamente in vigore con la
pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» della legge di
stabilità è quella sul trattamento di fine servizio dei
dipendenti pubblici, che ripesca il decreto sullo stesso
tema varato a fine ottobre dal Governo dopo la bocciatura
costituzionale (sentenza 223/2012) delle regole scritte
nella manovra 2010.
In pratica, si fissa nella legge il termine di un anno entro
il quale le Pubbliche amministrazioni dovranno ri-erogare il
trattamento di servizio in formula piena ai dipendenti
pubblici che erano in regime di Tfs (e quindi erano stati
assunti prima del 31.12.2000), e che sono usciti
dall'ufficio fra il 01.01.2011 e l'ottobre del 2012
vedendosi di conseguenza riconoscere un assegno d'uscita
alleggerito perché fondato sul sistema di calcolo del Tfr,
cioè quello applicato ai dipendenti privati e ai pubblici
con anzianità minore.
L'allineamento fra Tfr e trattamento di fine servizio (Tfs)
era stato introdotto nella manovra estiva 2010 (articolo 12,
comma 10, del Dl 78/2010) all'interno del pacchetto di
misure nate dall'esigenza di contenere le spese per il
pubblico impiego. L'ingresso di questi dipendenti nella "famiglia"
del Tfr non aveva, però, fatto cadere la trattenuta del 2,5%
a loro carico prevista dal vecchio regime, e questo aspetto
ha contribuito a far cadere l'intero meccanismo sotto i
colpi della Corte costituzionale.
La via d'uscita individuata con il decreto ora accolto dalla
legge di stabilità ai commi 98-100 permette di salvaguardare
i diritti dei dipendenti interessati senza il rischio di far
saltare a breve i bilanci degli enti pubblici, e in
particolar modo quelli di Comuni e Province che avevano
impostato tutta la programmazione sulla base della
trattenuta del 2,5% a carico del dipendente.
La decisione della Corte costituzionale aveva aperto infatti
una doppia strada. La regola è: il regime di Tfs comporta la
trattenuta del 2,5%, ma offre una buonuscita più ricca,
quello del Tfr elimina la trattenuta e alleggerisce
l'assegno d'addio. La nuova norma in pratica afferma che per
i dipendenti assunti prima del 31.12.2000 il regime di Tfs
non è mai venuto meno, perché l'allineamento viene abrogato
retroattivamente dal 01.01.2011, data della sua entrata in
vigore. Morale della favola: rimane la trattenuta, e il
calcolo più "generoso" della buonuscita.
Nel capitolo dedicato al reclutamento, la legge di stabilità
affronta poi la questione precari, cercando un equilibrio
fra l'esigenza di non chiudere la porta ai titolari di
contratti a termine (e alle attività loro assegnate) e
quella di non far saltare la programmazione della spesa
pubblica. Per tenere insieme questi due fattori, la legge
(commi 400 e seguenti) disegna una procedura in due
passaggi. Il primo offre alle amministrazioni pubbliche la
possibilità di prorogare fino al 30 giugno i contratti che
superano il limite di 36 mesi, tramite accordi decentrati
con le organizzazioni sindacali più rappresentative.
La seconda punta invece sui concorsi pubblici, che potranno
prevedere una riserva di posti del 40% a favore di chi ha
già svolto almeno tre anni di servizio, e possono premiare
nel punteggio l'esperienza maturata da chi ha passato almeno
tre anni da co.co.co. I concorsi, però, non potranno uscire
dai binari fissati dalla programmazione triennale del
personale e dal tetto del 50% delle risorse finanziarie
disponibili
(articolo Il Sole 24 Ore del 23.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 22.12.2012 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Dirigenti, determinazioni doc. Obbligatoria
l'attestazione di regolarità amministrativa.
Le novità del dl 174 che non necessitano
dell'approvazione del regolamento sui controlli.
Anche le determinazioni adottate dai dirigenti
devono contenere l'attestazione di regolarità
amministrativa; i pareri di regolarità devono essere
contenuti nei testi delle deliberazioni; i responsabili dei
settori finanziari devono attestare che i provvedimenti non
determinano alterazioni negli equilibri finanziari degli
enti e le attribuzioni dei revisori sul terreno dei pareri
sono accresciute in misura assai rilevante.
Sono queste le principali novità immediatamente operative
contenute nel dl n. 174/2012 sul versante istituzionale,
novità che non hanno bisogno della adozione del regolamento
sui controlli interni per diventare operative. Tutte queste
misure vanno nella direzione dell'ampliamento immediato
delle forme di monitoraggio e verifica delle attività delle
amministrazioni locali, così da prevenire il maturare di
condizioni di deficit.
I pareri di regolarità tecnica resi dai responsabili dei
servizi sono necessari da sempre per le deliberazioni
adottate dalla giunta e dal consiglio; con le nuove regole
essi diventano necessari anche sugli altri atti
amministrativi, in primo luogo quindi sulle determinazioni
adottate dai dirigenti o, nei comuni che ne sono sprovvisti,
dai responsabili, dai decreti e dalle ordinanze adottate dai
sindaci. Questa estensione è contenuta nel nuovo testo
dell'articolo 147-bis del dlgs n. 267/2000, Testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, che prevede
che tutti gli atti siano accompagnati dal parere di
regolarità amministrativa. Siamo in presenza di una
estensione dell'ambito di applicazione, che è finalizzato al
rafforzamento delle verifiche sulla legittimità dei
provvedimenti amministrativi. Occorre evidenziare che la
scelta si traduce spesso in un aggravamento del procedimento
che ha un rilievo essenzialmente formale: infatti sulle
determinazioni il parere di regolarità tecnica deve essere
rilasciato dallo stesso dirigente o responsabile che adotta
la determinazione e, quindi, dà atto della legittimità,
opportunità, congruità ecc. del provvedimento da lui
adottato.
Un'altra importante novità è la imposizione del vincolo a
che i pareri di regolarità tecnica e contabile sulle
proposte di deliberazione siano contenuti nel testo del
provvedimento. In questo modo il legislatore vuole rendere
subito evidente le valutazioni sui singoli atti, di modo che
risulti immediatamente il giudizio formulato dai dirigenti o
dai responsabili. Il legislatore vuole quindi evitare che
tali giudizi siano contenuti nel frontespizio delle
delibere, il che determinava comunque un effetto di loro
minore evidenza. Appare quanto mai utile che essi siano
inseriti nella premesse della deliberazione, cioè nella
parte in cui si illustrano le ragioni che sono alla base
della scelta contenuta nel provvedimento.
Altra importante novità è il rafforzamento delle competenze
del dirigente o responsabile finanziario. Non si deve
limitare a verificare la copertura degli oneri nel bilancio
dell'ente e la correttezza della imputazione; il suo
giudizio si deve estendere alla attestazione che l'atto non
determini il maturare di condizioni di squilibrio nella
gestione delle risorse. Ovviamente tra le condizioni di
squilibrio si deve prevedere anche l'eventuale mancato
rispetto del patto di Stabilità. È del tutto evidente che in
questo modo l'ambito delle attività dei dirigenti e/o
responsabili dei settori finanziari si espande in misura
assai significativa e rilevante. E che ciò possa determinare
un ampliamento dei compiti esercitati da questi soggetti è
del tutto evidente. È altrettanto evidente che la scelta
legislativa determina un rilevante ampliamento della loro
responsabilità: non possono infatti limitare alla verifica
del rispetto della copertura degli oneri e della correttezza
della imputazione. La «crescita» del loro ruolo determina,
in modo direttamente correlato, un aumento della loro
responsabilità.
I revisori dei conti si devono esprimere su un arco molto
più ampio di atti. In precedenza essi dovevano esprimersi
sulle proposte di bilancio, sui documenti allegati e sulle
variazioni. Adesso sono chiamati a dare, tra l'altro, un
giudizio su tutti i documenti di programmazione economica e
finanziaria, sulla verifica della permanenza degli
equilibri, sulle scelte compiute dall'ente in materia di
gestione dei servizi, sulle proposte di indebitamento, a
partire dai mutui, sull'eventuale ricorso a forme di finanza
innovativa, sul riconoscimento dei debiti fuori bilancio,
sulle transazioni a cui l'ente intende aderire, nonché sui
regolamenti finanziari, ivi compresi quello di economato,
patrimoniali, tributari e delle altre entrate proprie
dell'ente (articolo
ItaliaOggi del 21.12.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Se il sindaco e i
consiglieri sono proprietari di parte dei terreni. Demanio
senza conflitti. Obbligo di astensione per gli
amministratori.
Sussiste l'obbligo di astensione, ai sensi
dall'art. 78, comma 2, del dlgs n. 267/2000, per il sindaco
e i consiglieri comunali di un comune che ha deliberato la
richiesta di «sclassificazione» dal regime demaniale civico
dei terreni soggetti a uso civico ricompresi nel centro
abitato e nell'area industriale dell'ente, in quanto
risultano avere «irreversibilmente perso la conformazione
fisica o la destinazione funzionale di terreni agrari,
ovvero boschivi o pascolativi» (art. 18-bis, comma 1, lett.
a), considerato che detti amministratori risultano
proprietari di parte dei terreni?
L'obbligo di astensione trova fondamento nei principi di
legalità, imparzialità e trasparenza che devono
caratterizzare l'azione amministrativa ai sensi dell'art. 97
della Costituzione.
In particolare, l'art. 78, comma 2, del dlgs n. 267/2000
dispone che: «Gli amministratori di cui all'art. 77,
comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla
discussione ed alla votazione di delibere riguardanti
interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto
grado.
L'obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti
normativi o di carattere generale, quali i piani
urbanistici, se non nei casi in cui sussista una
correlazione immediata e diretta fra il contenuto della
deliberazione e specifici interessi dell'amministrazione o
di parenti o affini fino al quarto grado».
Una costante giurisprudenza ritiene che l'obbligo di
astensione, per conflitto di interessi da parte dei soggetti
appartenenti ad organi collegiali, sussista in tutti i casi
in cui i soggetti tenuti alla sua osservanza siano portatori
di interessi personali che possano trovarsi in posizione di
conflittualità o anche solo di divergenza rispetto a quello,
generale, affidato alle cure dell'organo di cui fanno parte
(ex multis Tar Puglia-Lecce, sez. I, 18.07.2009, n.
1884; Consiglio di stato, sez. V, 13.06.2008, n. 2970).
Con specifico riferimento all'approvazione di provvedimenti
normativi o di carattere generale, la giurisprudenza ha
affermato più volte che il dovere di astensione degli
amministratori locali costituisce principio generale che, in
quanto tale, non ammette deroghe o eccezioni e ricorre ogni
qualvolta sussista una correlazione diretta fra la posizione
dell'amministratore e l'oggetto della deliberazione, anche
se la votazione potrebbe non avere altro apprezzabile esito
e la scelta fosse in concreto la più utile e la più
opportuna per l'interesse pubblico (Consiglio di stato, sez.
IV, 26.05.2003, n. 2826; idem 04.12.2003, n. 7050; idem
12.12.2000, n. 6596).
Pertanto, il dovere di astensione sussiste in tutti i casi
in cui gli amministratori versino in situazioni, anche
potenzialmente, idonee a porre in pericolo la loro assoluta
imparzialità e serenità di giudizio. Ciò al fine di evitare
che, partecipando alla discussione e all'approvazione del
provvedimento, essi possano condizionare nel complesso la
formazione della volontà dell'assemblea concorrendo a
determinare un assetto complessivo non coerente con la
volontà che sarebbe scaturita senza la loro presenza
(Consiglio di stato, sez. IV, 21.06.2007, n. 3385).
La fattispecie in esame pare doversi ricondurre nell'ambito
applicativo dell'art. 78, comma 2, del dlgs n. 267/2000,
avendo ad oggetto l'approvazione di un provvedimento di
carattere generale (l'istanza di sclassificazione dal regime
demaniale civico si riferisce a tutto il centro abitato e a
tutta l'area industriale) e ricorrendo quella «correlazione
immediata e diretta» fra il contenuto della
deliberazione e gli interessi personali dei componenti il
consiglio comunale.
In tale ipotesi, per evitare che un possibile conflitto di
interessi possa inficiare la legittimità della
deliberazione, la giurisprudenza ha ritenuto che una
votazione frazionata, cui di volta in volta si astengono gli
amministratori interessati, seguita dall'approvazione del
provvedimento nel suo complesso, rappresenti una soluzione
ragionevole e realistica (Tar Veneto, sez. I, 08.06.2006, n.
1719).
Per la richiamata giurisprudenza è ammissibile che il
consiglio comunale proceda a deliberazioni e votazioni sui
singoli terreni interessati; in queste votazioni disgiunte i
consiglieri interessati si devono astenere, dovendo
risultare le suddette votazioni separate dalla votazione
finale. Tuttavia, l'approvazione della istanza di «sclassificazione»
non può esaurirsi in singole votazioni frazionate riferite
ai singoli terreni, ma deve necessariamente comprendere
anche una fase conclusiva comportante l'esame, la
discussione, la votazione e l'approvazione del provvedimento
nel suo complesso.
I consiglieri che si sono astenuti su singoli punti del
provvedimento, per una loro correlazione diretta ed
immediata con lo stesso, potranno, invece, prendere parte
all'approvazione finale.
La ratio dell'art. 78 del dlgs n. 267/2000,
costituita dall'esigenza di evitare situazioni di conflitto
di interesse dei consiglieri comunali, deve ritenersi
sufficientemente garantita in quanto il consigliere «interessato»,
per quanto riguarda la scelta pianificatoria relativa ai
suoi interessi, non è più in condizione di influire, almeno
direttamente, sulla stessa in sede di votazione finale,
posto che in ordine alla questione si è già formato il
consenso senza la sua partecipazione (Tar Lazio sez. II-bis
sent. n. 6506/2002; Tar Veneto sez. I sent. n. 4159/2003) (articolo
ItaliaOggi del 21.12.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
VARI:
LA LEGGE DI STABILITÀ IN SINTESI.
FISCO
TOBIN TAX. La tassa sulle transazioni finanziarie scatterà
da marzo con una nuova veste (esentando la finanza etica).
L'aliquota per i mercati regolamentati sarà dello 0,12% (ma
0,1% dal 2014) e per quelli non regolamentati, su cui sarà
applicata da luglio, dello 0,22% (0,2% dal 2014). Per i
derivati invece l'imposta è fissa e sarà al massimo di 200
euro. Colpito anche il trading più speculativo, con
un'aliquota dello 0,02% sulle negoziazioni ad alta frequenza
(high frequency trading).
IMU. Il gettito dell'imposta municipale propria passa ai
Comuni, che incasseranno subito 7,6 miliardi di euro nel
2013-2014. A queste risorse si aggiungono quelle del Fondo
di solidarietà comunale, pari a 8,9 miliardi nel biennio.
Allo Stato resterà però il gettito Imu su capannoni
industriali e opifici, con un incasso di 8,9 miliardi nel
2013-14. Su questi immobili a uso produttivo i Comuni
potranno aumentare l'aliquota standard dello 0,76%,
portandola fino a un massimo di 1,06%.
TARES. La nuova tassa su rifiuti e servizi sostituisce la
Tarsu e arriverà dall'anno prossimo. La tariffa si pagherà
in più rate e la prima è prevista ad aprile.
SANATORIA MINI-DEBITI. Sono cancellati tutti i piccoli
debiti con il Fisco, fino a un importo di 2 mila euro, che
risalgono a prima dell'anno 2000.
IRPEF REGIONI. Slitta di un anno, al gennaio del 2014, la
possibilità per le Regioni di rimodulare l'addizionale
Irpef, misura prevista dalla manovra estiva del 2011.
CARTELLE PAZZE. Novità per le cartelle esattoriali errate,
con misure per accelerare l'annullamento di questi avvisi di
pagamento inviati erroneamente dal Fisco.
IMPOSTA BOLLO. Nel 2013 aumenta a 4.500 euro, dai precedenti
1.200 euro, il tetto per l'imposta di bollo pagata dalle
società sui prodotti finanziari.
ASSICURAZIONI. Fissato tetto al credito d'imposta delle
imprese assicurative, commisurato all'ammontare delle
riserve tecniche presenti in bilancio.
LAVORO
PRECARI. Salvi i precari della pubblica amministrazione con
contratto in scadenza, che resteranno così al lavoro fino al
prossimo 31 luglio. Nei concorsi pubblici, inoltre, ai
precari potrà essere riservata una quota fino al 40% dei
posti: ne beneficeranno i lavoratori con tre anni di
servizio con contratto a tempo determinato o collaborazione
coordinata e continuativa (co.co.co) nell'amministrazione
che emana il bando. Il reclutamento dovrà svolgersi per
titoli ed esami.
AMMORTIZZATORI SOCIALI. Aumentano le risorse per finanziare
la cassa integrazione in deroga, con 900 milioni che si
aggiungono agli 800 milioni già previsti.
RICONGIUNZIONI. Le ricongiunzioni previdenziali tornano a
essere gratuite, ma soltanto per i lavoratori passati
all'Inps dal pubblico impiego prima del luglio 2010.
BUSTE PAGA PESANTI. Per i lavoratori colpiti dal terremoto
in Emilia Romagna è prevista la restituzione dei contributi
previdenziali, distribuita in rate mensili.
FAMIGLIE
SFRATTI. Arriva una nuova proroga per il blocco degli
sfratti. Il termine è rinviato a fine giugno 2013, con un
possibile ulteriore rinvio di altri sei mesi.
FOTOVOLTAICO. Prorogato al 30.06.2013 il termine per
realizzare gli impianti fotovoltaici su edifici pubblici e
aree della pubblica amministrazione.
ABS E PNEUMATICI. Cancellato l'Abs obbligatorio per le moto
e salta l'obbligo di montare pneumatici termici sulle auto
(e non le catene) in caso di forti nevicate.
SISMA EMILIA. Risorse per sostenere le imprese che hanno
subito danni indiretti, con l'accesso ai mutui garantiti
dallo Stato per pagare tasse e contributi.
ENTI LOCALI
PATTO STABILITÀ. Salgono a 1,4 mld le risorse per Comuni e
Province. Un miliardo arriverà da un allentamento del patto
di stabilità interno, 400 mln da minori tagli per i Comuni.
PROVINCE. Congelato per un anno il riordino delle Province.
Anche nel 2013 non ci saranno elezioni e, se necessario,
arriverà un commissario straordinario.
COMUNI. Rinvio di sei mesi per l'approvazione dei bilanci
dei Comuni. Il termine per la delibere sul bilancio degli
enti locali è spostato infatti al 30 giugno 2013.
RIFIUTI ROMA. Sarà nominato un supercommissario per la
gestione dei rifiuti a Roma e provincia. L'incarico potrà
durare sei mesi, con la possibilità di proroga.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
CONGEDI A ORE. Arrivano i congedi parentali «su base
oraria». Le modalità per beneficiarne saranno definite dalla
contrattazione collettiva di settore.
TFR PUBBLICO IMPIEGO. Cancellata la trattenuta del 2,5% sul
Tfr per i dipendenti pubblici, con il ripristino del
trattamento di fine servizio (Tfs).
UNIVERSITÀ. Per gli atenei arrivano nuove risorse per 100
milioni di euro. Andranno ad aumentare la dotazione del
Fondo per il finanziamento ordinario delle università.
POLICLINICI NON STATALI. I policlinici delle università non
statali avranno nel 2013 un contributo di 52,5 milioni. La
fondazione Gaslini riceve invece 5 milioni.
FANNULLONI SANITÀ. Verifica straordinaria sul personale del
settore sanitario. Se saranno scovati dei 'fannulloni',
dovranno essere ricollocati alle proprie mansioni.
GDF. Da ottobre per diventare generale di divisione e
generale di corpo d'armata della Guardia di finanza servirà
un anno in più di permanenza nel grado precedente.
SICUREZZA. Nel comparto sicurezza si potranno fare
assunzioni di personale per arrivare a una spesa annua
massima di 70 milioni per il 2013 e 120 milioni dal 2014.
BENI MAFIA. Rafforzamento per l'Agenzia per
l'amministrazione dei beni confiscati alla criminalità
organizzata. I beni mobili sotto sequestro potranno essere
venduti.
POSTE. Rinvio di un anno per i tagli al parco auto di Poste
italiane, obbligata a ridurre le vetture usate dai postini e
quelle date come benefit ai dipendenti.
INPS-INAIL. Slitta al 31 luglio la scadenza dei consigli di
indirizzo e vigilanza (Civ) di Inps e Inail, in attesa del
riordino previdenziale con la nascita del super-Inps.
FINANZIAMENTI
MONTI-BOND. Cambiano i Monti-bond, le obbligazioni
sottoscritte dal ministero dell'Economia di cui beneficerà
Banca Mps. Il termine slitta ancora al primo marzo del 2013.
FONDO TAGLIA-TASSE. Non andranno al fondo taglia-tasse le
risorse derivanti dalla minore spesa per interessi sul
debito pubblico, legata al calo dello spread Btp-Bund.
EXPO 2015. L'Expo 2015 non subirà i tagli lineari del 10%. A
supporto della società di gestione arriverà il personale
della struttura per la gestione liquidatoria di Torino 2006.
BEI. L'Italia parteciperà all'aumento di capitale della
Banca europea per gli investimenti con un contributo di
1,617 miliardi, da pagare in un'unica tranche nel 2013.
AEROSPAZIO. Arrivano 8,43 miliardi di euro in 16 anni per
sostenere le imprese del settore aerospaziale. Un intervento
di cui beneficerà in particolare Finmeccanica.
NON-AUTOSUFFICIENZE. Stanziati 115 milioni di euro per
sostenere i malati di Sla (sclerosi laterale amiotrofica) e
aiutare le persone non-autosufficienti.
TAV. Nuove risorse per 2,25 miliardi di euro per la Tav
Torino-Lione. All'alta velocità ferroviaria sono destinati
150 milioni di euro all'anno dal 2015 al 2029.
EDITORIA
EDITORIA. Per il prossimo anno stanziati 45 milioni di euro
per il settore editoriale e 15 milioni per il sostegno a
radio e televisioni locali.
TV-STAMPA. Prorogato di un anno il divieto di incroci
proprietari tra stampa e televisioni. Lo stop resta in
vigore fino al 31.12.del 2013.
GIOCHI
SALE POKER. Scattano a gennaio le gare per aprire sale da
poker. È stata eliminata infatti la proroga di sei mesi per
l'apertura di sale dedicate al gioco d'azzardo.
MULTE GIOCHI. Rinvio al 30.06.2013 per le multe previste per
gli spot radio-televisivi e la pubblicità sulla stampa per
ragazzi che pubblicizzano i giochi con vincite in denaro (articolo
ItaliaOggi del 21.12.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Appalti senza ribassi selvaggi. Nuovi parametri
per i servizi di ingegneria e architettura.
È in dirittura d'arrivo il provvedimento per la
liquidazione dei compensi professionali.
È finita l'era delle liberalizzazioni selvagge nei bandi per
la pubblica amministrazione. L'era in cui cioè, con
l'eliminazione delle tariffe, le gare per i servizi di
ingegneria e architettura venivano aggiudicate a prezzi
stracciati con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo
iniziale.
È in dirittura d'arrivo, infatti, un nuovo provvedimento che
dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la
liquidazione dei corrispettivi in caso di contenzioso, si
occuperà di comporre il mosaico complessivo di riforma delle
professioni: si tratta di un decreto interministeriale
(giustizia-infrastrutture) che definisce i parametri da
utilizzare per la determinazione dell'importo da porre a
base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi
di ingegneria e architettura.
Il contesto generale.
Un testo dall'elaborazione
complessa (il ministero sta finendo le consultazioni con le
categorie interessate per inviarlo al Consiglio di stato) ma
necessario, dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni
(1/12) aveva di fatto cancellato ogni riferimento
tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per
calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le
corrette procedure per l'affidamento. Un'assenza di regole
denunciata a gran voce dalle categorie professionali che,
tra le altre cose, ha alimentato, soprattutto in questi
mesi, un'eccessiva discrezionalità delle stazioni
appaltanti.
Anche se l'assenza di riferimenti tariffari per i servizi di
ingegneria e di architettura non è uno scenario nuovo per il
settore già colpito da modifiche significative nel 2006 con
l'eliminazione delle tariffe minime obbligatorie, introdotta
dalle lenzuolate Bersani. Questa abolizione pur con alcune
eccezioni (giacché il ricorso alle tariffe non era vietato
del tutto se utilizzate come parametri di riferimento) non
contemplava comunque più l'obbligo per le stazioni
appaltanti di applicare tariffe fisse o minime con il
risultato di avere ribassi delle offerte nelle gare
pubbliche anche del 90% del loro valore iniziale.
Comunque per sanare tale criticità il governo era
intervenuto con il decreto sviluppo stabilendo che per la
determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara
nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei
servizi tecnici si sarebbero applicati i parametri
individuati appunto con un decreto interministeriale che
avrebbe anche definito «le classificazioni delle
prestazioni professionali relative ai predetti servizi».
Il tutto con un paletto preciso: «I parametri individuati
non possono condurre alla determinazione di un importo a
base di gara superiore a quello derivante dall'applicazione
delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in
vigore del presente decreto».
I punti principali del testo.
La battaglia dei periti industriali che hanno sostenuto
assieme al Pat, il lavoro dei tecnici del ministero per la
stesura del testo, è stata orientata soprattutto a eliminare
gli aspetti eccessivamente discrezionali. Così è saltata, in
primo luogo, la possibilità per le pubbliche amministrazioni
di aumentare o diminuire gli importi a base di gara del 60%
in maniera completamente discrezionale come invece è
avvenuto nel decreto sui parametri per le liquidazioni
giudiziali dei compensi dei professionisti (dm 140/12). Allo
stesso modo quel parametro indicato nel testo con la lettera
«G», che nel calcolo degli importi a base di gara servirà a
definire la «complessità della prestazione», vedrà
diminuire la sua portata discrezionale.
Il decreto, infatti, non fissa più (come nelle versioni
circolate in precedenza) una forbice tra due valori (ridotto
e elevato), ma quozienti fissi e non derogabili stabiliti a
seconda della categoria e della destinazione funzionale
dell'opera. Il provvedimento richiama nella valutazione del
compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri
giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi
professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e
del grado di complessità.
Torna poi la liquidazione forfettaria delle spese, in
sostanza l'importo delle spese e degli oneri accessori,
invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente»
secondo percentuali standard degli oneri sostenuti dal
professionista che varieranno tra il 10 e il 25% a seconda
del valore dell'opera.
Il commento.
«L'offerta economica calcolata su basi false»,
commenta il presidente del Cnpi Giuseppe Jogna, «era
tristemente diventata l'unica variabile nelle
aggiudicazioni, e abbiamo assistito a corse al ribasso per
firmare contratti un po' usa e getta. Ma non solo, perché
nonostante l'evidente abnormità dei ribassi, le stazioni
appaltanti, forse perseguendo un miope criterio di
risparmio, non hanno quasi mai dato applicazione al concetto
di offerta anomala.
Uno scenario quasi da Far west che sull'onda delle selvagge
liberalizzazioni ha assimilato le attività professionali a
quelle dell'impresa dove prevale il minor costo anche a
scapito della qualità dei servizi. Ecco perché ben venga
questo decreto che sono convinto risolleverà l'alto livello
qualitativo che, da sempre, ha caratterizzato gli studi di
progettazione nel nostro paese» (articolo
ItaliaOggi del 21.12.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
Le liti stradali non sono assimilabili a quelle
tributarie. Lo ha detto la Consulta. Sindaci, multe non
impugnabili. Decadono se ricorrono contro le multe del
proprio vigile.
Costa caro al primo cittadino proporre ricorso al
giudice di pace contro una multa personale elevata dal suo
comando di polizia municipale. Il radicamento e la
prosecuzione della lite costituiscono infatti potenziali
cause di decadenza dall'incarico in conformità all'art. 63
del Tuel.
Lo ha evidenziato la Corte Costituzionale con l'ordinanza
06.12.2012 n. 276.
È singolare la vicenda del sindaco di Azzano Decimo che dopo
essere incappato nei rigori dell'autovelox dei vigili del
suo comune ha proposto ricorso contro la multa davanti al
giudice di pace di Pordenone.
Un attento cittadino di diverso orientamento politico ha
quindi promosso con successo un giudizio davanti al
tribunale al fine di accertare l'incompatibilità
sopravvenuta del primo cittadino ai sensi dell'art. 63 del
dlgs 267/2000. Contro questa decisione l'interessato con la
fascia tricolore ha quindi proposto censure alla corte
d'appello di Trieste evidenziando, tra l'altro, la
progressiva limitazione dell'ambito di applicazione di
questo istituto e la potenziale assimilazione del
contenzioso stradale con le liti tributarie specificamente
escluse dall'incompatibilità. I giudici della città della
scienza hanno allora sollevato questione di legittimità
costituzionale proprio su quest'ultima questione
evidenziando che l'art. 63 del Tuel è potenzialmente carente
laddove non comprende anche le cause di opposizione ex legge
689/1981 tra quelle che non determinano la decadenza come
quelle fiscali.
A parere della Consulta però la lite tributaria non è
assolutamente assimilabile a quella stradale. La
giurisprudenza di legittimità, specifica l'ordinanza, «ha
annoverato il procedimento di cui alla legge n. 689 del 1981
tra quelli civili a cognizione ordinaria tendente
all'accertamento negativo della pretesa sanzionatoria da
parte dell'autorità competente e proponibili al giudice di
pace ovvero al tribunale». In pratica la speciale natura
della giurisdizione tributaria «implica una ontologica
eterogeneità rispetto alla natura di giudizio civile a
cognizione ordinaria attribuita alla opposizione ex lege n.
689/1981, determinando di conseguenza l'incomparabilità
delle situazioni poste a raffronto».
In buona sostanza se un sindaco intende resistere contro una
multa stradale accertata dai suoi operatori ha le armi
spuntate. Questa condizione però secondo la Corte
costituzionale non incide necessariamente in maniera
sfavorevole sull'elettorato passivo del primo cittadino.
L'amministratore locale, conclude infatti l'ordinanza, ha
piena facoltà di eliminare le cause di incompatibilità
mediante un scelta personale «che lungi dall'essere
normativamente coartata consente al medesimo interessato
(che si trova in un contesto di inconciliabilità tra la
permanenza nella carica e la prosecuzione della lite) di
essere arbitro di se stesso e di preservare il valore
costituzionale che egli ritiene prevalente come cittadino e
come eletto a cariche pubbliche» (articolo ItaliaOggi
del 21.12.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI:
Regolamento sprint per i controlli.
Tempi stretti per l'approvazione del regolamento che dovrà
definire gli strumenti e le modalità di controllo interno di
cui al comma 1, lett. d), dell'art. 3 del dl 174 convertito
nella legge 213/2012.
Chi si augurava che con la conversione del decreto legge in
materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali
sarebbe slittato almeno di due mesi il termine del
10.01.2013 è rimasto deluso e oramai restano pochi giorni
per l'adozione di un regolamento complesso che presuppone
anche una chiara visione organizzativa e di funzionamento
effettivo dei «nuovi» sistemi di controllo interni
agli enti locali.
Con la conversione del dl 174 è stata concessa una proroga
temporale di uno o due anni ai comuni con popolazione
inferiore ai 100 mila abitanti (a seconda della dimensione
demografica, rispettivamente, superiore a 50 mila o a 15
mila abitanti) solo per la tipologia dei controlli sulle
partecipate, compreso il bilancio consolidato, strategico,
sulla qualità dei servizi erogati e sulla soddisfazione
degli utenti interni ed esterni.
Immediata operatività per tutti gli enti locali, invece, del
controllo di gestione, del controllo strategico, del
controllo costante degli equilibri finanziari, sia in
termini di competenza sia di residui nonché della gestione
di cassa, anche ai fini del rispetto del patto di stabilità.
Gli enti avevano tre mesi dal 10.10.2012, per l'adozione con
delibera di Consiglio di un apposito regolamento da inviare
alla Corte dei conti e al prefetto, pena lo scioglimento del
Consiglio ai sensi dell'art. 141 Tuel.
Ma oltre al regolamento la norma richiede la piena ed
effettiva operatività degli stessi controlli; non basta,
cioè, la stesura ed approvazione del regolamento.
Sicuramente la complessità della tipologia dei controlli in
questione richiede uno sforzo organizzativo degli enti che
passa attraverso la rivisitazione del regolamento degli
uffici e dei servizi per la valutazione della «collocazione»
di tali controlli, la verifica del sistema informativo
contabile che deve garantire la gestione di informazioni
utili (soprattutto in termini di novità) per il controllo di
gestione, e quindi la contabilità economica ed analitica,
gli indicatori, il sistema di reporting, e il
controllo strategico e relativi indicatori di output ed
outcome.
Il tempo è obiettivamente troppo breve per l'introduzione o
il potenziamento di un serio ed efficace sistema di
controlli.
Tuttavia per non vanificare lo sforzo legislativo utile per
la collettività, sarebbe opportuno che gli enti adottassero
da subito (in assenza di qualche proroga) una delibera di
giunta con cui prendere atto di tale obbligo legislativo e
dare istruzioni operative e organizzative secondo un
percorso prestabilito, riservandosi quanto prima di
sottoporre il regolamento al consiglio per la sua
approvazione, ben sapendo che anche i regolamenti di
Contabilità e dell'organizzazione degli uffici e dei servizi
devono essere rivisti e aggiornati (articolo
ItaliaOggi del 21.12.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Beni culturali. Autorizzazioni paesaggistiche.
Interventi più facili nelle zone protette.
Meno oneri per gli interventi nelle zone tutelate. Il
ministero dei Beni culturali, in linea con quanto previsto
dal decreto legge semplificazioni (Dl 5/2012), ha messo a
punto un Dpr che chiarisce e in qualche maniera amplia le
attività che si possono realizzare nelle zone protette
ricorrendo alle modalità "veloci", indicate nel Dpr
139/2010, per ottenere l'autorizzazione paesaggistica. Si
tratta di un abbattimento dei tempi (da 120 a 60 giorni) e
della presentazione ridotta di documentazione (è sufficiente
la certificazione di un tecnico mentre la relazione
paesaggistica è in formato "mini").
Di queste semplificazioni già potevano usufruire 39
interventi indicati nel Dpr 139. Ora con il nuovo decreto,
che è stato presentato ieri al preconsiglio e sarà esaminato
dal prossimo Consiglio dei ministri, la corsia veloce viene
estesa, per effetto di chiarimenti che i tecnici del
ministero hanno messo a punto circa l'applicazione delle
norme già esistenti, ad ambiti nuovi. Si tratta sempre di
interventi di lieve entità, che, almeno in teoria,
dovrebbero non impattare troppo sul paesaggio.
Per esempio, con il nuovo decreto viene specificato che si
può ricorrere alla procedura dell'autorizzazione
semplificata anche quando si tratta di attività in aree
sottoposte a vincolo di bellezza individua (come ville e
giardini) o nei nuclei e centri storici. Fattispecie che
finora erano escluse dall'autorizzazione paesaggistica
semplificata. Come contropartita, gli interventi di lieve
entità che insistono su tali zone presuppongono una
relazione paesaggistica che, seppure, semplificata, richiede
qualche dettaglio in più rispetto a quella "base".
Devono, invece, ricorrere alla procedura ordinaria gli
interventi realizzati che prevedono un aumento di volume
fino a 100 metri cubi e la demolizione e ricostruzione di
manufatti.
Tra le altre modifiche introdotte alle regole dettate con il
Dpr 139, è stato reso libero –dunque, non soggetto
all'autorizzazione paesaggistica semplificata e tantomeno a
quella ordinaria– il taglio selettivo della vegetazione che
cresce in prossimità dei fiumi
(articolo Il
Sole 24 Ore del 20.12.2012). |
APPALTI: Appalti
in lotti. È una facoltà. I pareri parlamentari sulla
direttiva.
Facoltà e non obbligo di suddivisione in
lotti degli appalti; per le concessioni affidate senza gara
obbligo di appaltare a terzi tutti i lavori; più elasticità
nelle variazioni del prezzo contrattuale.
Sono questi alcuni dei contenuti dei pareri emessi dalle
commissioni parlamentari sulle proposte di direttive europee
su appalti e concessioni. La Commissione ambiente della
camera, su uno dei punti più controversi (suddivisione in
lotti degli interventi di grandi dimensioni) ha chiesto di
rendere facoltativa e non vincolante la suddivisione degli
appalti in lotti separati, al fine di evitare il rischio di
determinare un aggravio dei costi, un prolungamento dei
tempi di esecuzione e un incremento del contenzioso.
Per gli affidamenti a terzi da parte dei concessionari di
lavori pubblici (tema che da ultimo ha visto il governo
Monti seguire la linea di un maggiore ricorso agli
affidamenti a terzi con l'obbligo di affidare almeno il 60%
a partire dal 01.01.2014), il parere votato il 14 dicembre
chiede di valutare «l'opportunità di prevedere la facoltà
per le amministrazioni aggiudicatrici di imporre al
concessionario che una percentuale minima pari al 30% venga
affidata a terzi, con particolare riferimento ai rapporti
concessori di lunga durata». Per le concessioni affidate
o prorogate senza gara, invece, si suggerisce l'obbligo di
affidamento del 100% dei lavori a terzi.
Infine la camera chiede che sia elevata dal 5 al 15% la
percentuale di variazione del prezzo a partire dalla quale
si deve ricorrere a una nuova procedura di aggiudicazione,
favorendo quindi una maggiore elasticità sul mantenimento
del contratto originario. Nel parere approvato il 18
dicembre dalla Commissione lavori pubblici del senato,
emerge l'apprezzamento per la promozione della
partecipazione delle piccole e medie imprese «anche
attraverso l'abolizione dei limiti di fatturato per
l'accesso agli appalti».
Per quel che riguarda invece l'obbligo di creare organi
nazionali di vigilanza (articoli 93 e seguenti delle
proposte) la Commissione suggerisce «in relazione alle
attuali ristrettezze di bilancio, di individuare gli organi
in questione tra le realtà già esistenti nel panorama
pubblico italiano»; ove peraltro opera da più di dieci
anni l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici
(articolo ItaliaOggi del
20.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
VARI: PROFESSIONI/
Via libera definitivo al ddl. Le associazioni potranno
rilasciare gli attestati di competenza. Professionisti anche
senza albo. Standard di qualità per le attività non
regolamentate.
È arrivato il riconoscimento per le professioni non
regolamentate.
È stato infatti approvato ieri dalla commissione Attività
produttive della Camera, riunita in sede legislativa, il
disegno di legge n. 1934-B che regolamenta le associazioni
senza un albo di riferimento.
Che ora diventa quindi legge dello stato, al termine di un
iter durato due anni e mezzo. A questo punto, il consumatore
che vorrà usufruire di una prestazione da parte di un
professionista non iscritto a un ordine, potrà consultare
l'elenco delle associazioni professionali pubblicato sul
sito del ministero dello sviluppo economico, a cui sono
affidati, tra l'altro, i compiti di vigilanza sulla corretta
attuazione della legge. Ma vediamo nel dettaglio cosa
prevede questa riforma attesa da decenni dalle libere
associazioni.
Elenco e pubblicità.
L'elenco delle associazioni professionali è pubblicato dal
ministero dello sviluppo economico sul proprio sito
internet. A loro volta, le associazioni pubblicano online
sul proprio portale tutti gli elementi informativi,
impegnandosi a rispettare criteri di trasparenza,
correttezza, veridicità. Nel dettaglio, le associazioni
devono assicurare la piena conoscibilità dei seguenti
elementi: atto costitutivo e statuto, precisa
identificazione delle attività professionali, composizione
degli organismi deliberativi e titolari delle cariche
sociali, struttura organizzativa, eventuali requisiti per la
partecipazione all'associazione. Al ministero dello sviluppo
economico il compito di vigilare sulla corretta attuazione
della legge.
Le attestazioni.
Le associazioni professionali possono rilasciare ai propri
iscritti, previe le necessarie verifiche, delle
attestazioni, che però non rappresentano requisito
necessario per l'esercizio dell'attività, su molteplici
aspetti (regolare iscrizione del professionista, requisiti e
standard qualitativi, possesso della polizza assicurativa),
al fine di tutelare i consumatori e di garantire la
trasparenza del mercato dei servizi professionali.
Per i settori di competenza, le medesime associazioni
possono promuovere la costituzione di organismi di
certificazione della conformità a norme tecniche Uni,
accreditati dall'organismo unico nazionale di accreditamento
(Accredia), che possono rilasciare, su richiesta del singolo
professionista anche non iscritto ad alcuna associazione, il
certificato di conformità alla norma tecnica Uni definita
per la singola professione
(articolo ItaliaOggi del
20.12.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Ricorsi
al tar sugli appalti. Contributo unificato, vale l'importo
della gara.
Nei ricorsi al Tar sugli appalti il contributo unificato si
calcola in base all'importo a base di gara. La precisazione
arriva da un emendamento al ddl Stabilità nella parte in cui
disciplina il balzello da pagare prima di iniziare una
causa.
Il ddl stabilità ha, in particolare, aumentato il contributo
per i processi al Tar e al Consiglio di Stato in materia di
appalti, sostituendo all'importo fisso di Euro 4 mila una
scaletta a seconda del valore della causa: euro 2.000 quando
il valore della controversia è pari o inferiore ad euro
200.000; euro 4.000 per le controversie di importo compreso
tra 200.000 e 1.000.000 euro; euro 6.000 per quelle di
valore superiore a 1.000.000 euro. L'emendamento precisa che
si applica la soglia massima (6 mila euro) in altri due
casi.
Il primo è quello delle cause di valore
indeterminabile; il secondo caso è quello della omessa
dichiarazione del valore della lite.
A proposito del valore
della lite l'emendamento precisa come debba essere calcolata
per i processi amministrativi. Quando le controversie
amministrative riguardano i provvedimenti concernenti le
procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e
forniture il valore della lite è pari all'importo posto a
base d'asta individuato dalle stazioni appaltanti negli atti
di gara. Il valore non considera i ribassi: c'è quindi la
possibilità di un'incidenza negativa nel caso di ribasso che
comporta un'offerta compresa nello scaglione più basso del
contributo unificato rispetto a quello da applicare per
l'importo base.
Altra precisazione contenuta
nell'emendamento riguarda i provvedimenti adottati dalle
Autorità amministrative indipendenti e quindi le multe
applicate dalle authority: il valore della lite è pari alla
somma delle sanzioni irrogate.
Altri emendamenti riguardano
l'abbandono delle tariffe degli avvocati e l'adeguamento al
decreto sui parametri (140/2012) per la liquidazione delle
spese da parte dei giudici alla fine di una sentenza: il
decreto va usato anche per la liquidazione a favore delle
amministrazioni che si difendono nel giudizio civile e in
quello tributario con propri funzionari (resta ferma la
decurtazione del 20%).
Ciò significa che anche le
amministrazioni subiranno la riduzione delle spese
rimborsate, considerato che i nuovi parametri sono di regola
più bassi delle vecchie tariffe forensi
(articolo ItaliaOggi del 19.12.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Specifiche
in Gazzetta per la firma digitale.
In G.U. n. 294 di ieri sono stati pubblicati due decreti, a
firma del ministro per la pubblica amministrazione, che
attuano alcune norme contenute nel Codice
dell'amministrazione digitale.
Il primo (D.P.C.M.
06.09.2012) definisce le modalità tecniche
con cui inserire nel certificato qualificato di firma le
informazioni relative a specifiche qualifiche del titolare
della firma digitale, riconosciute da ordini o da collegi
professionali, da amministrazioni pubbliche o da enti
pubblici e privati.
Il secondo (D.P.C.M.
27.09.2012) fissa le regole tecniche mediante le
quali il gestore della casella di posta elettronica
certificata (PEC-ID) tramite la quale possono essere
presentate, in via telematica, istanze e dichiarazioni alle
pubbliche amministrazioni, deve identificare il titolare
della medesima casella
(articolo ItaliaOggi del 19.12.2012). |
CONDOMINIO: In
Gazzetta la legge 220/2012: cosa cambia per le comproprietà
dei fabbricati. Nuovo condominio da giugno.
Il 17/06/2013 la data fissata per l'avvio della riforma.
La riforma del condominio partirà il 17.06.2013. È
stata, infatti, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293
del 17.12.2012 la legge n. 220 dell'11/12/2012 sulla
riforma della disciplina delle comproprietà dei fabbricati.
La legge prevede, infatti, una vacatio di sei mesi, che
serviranno a studiare le novità e a prepararsi alla
applicazione delle nuove disposizioni.
Le novità toccano il condominio a tutto campo: quorum delle
assemblee più snello per prendere le decisioni e evitare
ingessature, l'amministratore diventa manager e
professionista qualificato e trasparente, più libertà per i
singoli condomini (nel distacco dall'impianto riscaldamento,
per gli impianti radio-tv e pannelli solari.
Cambiano le modalità di convocazione dell'assemblea e i
quorum costitutivi e deliberativi, sia in prima sia n
seconda convocazione, con un limite alla raccolta di
deleghe: l'obiettivo è quello di rendere più snella la
gestione e più facili le scelte.
Cambia la disciplina dell'amministratore, che diventa un
ruolo professionale e richiede un titolo di studio almeno di
istruzione secondaria di secondo grado, ma soprattutto una
formazione specifica e un aggiornamento periodico.
Peraltro è prevista una deroga ai requisiti professionali
sia per gli amministratori che hanno svolto l'incarico per
un anno nell'ultimo triennio (soggetti all'aggiornamento
periodico) sia per il singolo condomino che svolge
l'attività (esonerato anche da obblighi di aggiornamento).
L'amministratore ha maggiori obblighi di trasparenza e deve
aprire un conto corrente bancario dedicato al singolo
condomino, mettendo a disposizione i movimenti bancari al
controllo dei partecipanti. Si codifica, poi, la regola già
prevista da alcune sentenze per cui la funzione
amministrativa può essere svolta da una società. Si svecchia
la disciplina consentendo il sito internet condominiale e,
come richiesto dal garante della privacy, si dettaglia la
maggioranza per l'installazione di telecamere per la
videosorveglianza condominiale.
Viene concesso più spazio al singolo condomino per
distaccarsi dall'impianto di riscaldamento centralizzato,
installare impianti di ricezione radiotelevisiva e pannelli
solari.
Certo se impianti radio-tv e pannelli solari incidono su
parti comuni il condominio potrà dare prescrizioni.
Quanto all'impianto di riscaldamento, il distacco non è
completamente libero, in quanto è concesso solo se non si
fruisce del calore per problemi tecnici prolungati per
un'intera stagione e comunque con obbligo di partecipare
alle spese di manutenzione straordinaria della centrale
termica.
Inoltre il regolamento non può vietare di tenere animali
domestici. Quanto alle spese condominiali, la riforma
sceglie il pugno duro contro i morosi, nei cui confronti
l'amministratore deve agire entro sei mesi. Inoltre i dati
personali dei morosi possono essere comunicati ai creditori
del condominio, tenuti ad agire contro gli inadempienti
prima di rivalersi sui partecipanti in regola
(articolo ItaliaOggi del 18.12.2012). |
aggiornamento al 18.12.2012 |
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CONDOMINIO:
Il sottotetto è condominiale. La struttura deve
poter essere usata come vano autonomo.
La riforma aggiorna l'elenco (non tassativo) delle
parti destinate a uso collettivo.
I sottotetti si presumono parte comune
dell'edificio condominiale se oggettivamente destinati
all'uso collettivo da parte dei condomini.
È uno degli effetti della riforma del condominio, che ha
introdotto novità in merito alle parti comuni del
caseggiato. Infatti, è stato aggiornato l'elenco dei beni
che, in base all'art. 1117 c.c., si presumono in
comproprietà di tutti i condomini, il quale tiene conto
anche dell'evoluzione tecnologica intervenuta dal 1942 a
oggi.
In primo luogo appare evidente la volontà del legislatore di
utilizzare un linguaggio più comprensibile: così viene
precisato che i beni elencati sono oggetto di proprietà
comune dei proprietari delle singole unità immobiliari
dell'edificio («anche se aventi diritto a godimento
periodico», con un implicito riferimento alle ipotesi
della c.d. multiproprietà immobiliare), espressione
certamente più semplice e attuale rispetto a quella
precedente («proprietari dei diversi piani o porzioni di
piani di un edificio»).
A conferma di ciò, la successiva precisazione secondo cui le
parti elencate sono condominiali «se non risulta il
contrario dal titolo», mentre la precedente (e ancora
attuale) versione dell'art. 1117 c.c. disponeva, con una
forma un po' più arcaica, «se il contrario non risulta dal
titolo» .
Rimane quindi confermato che per stabilire quali siano le
parti comuni dell'edificio condominiale bisogna in primo
luogo esaminare le clausole dei rogiti di acquisto (e,
successivamente, il regolamento, l'atto di successione
ereditaria, le vicende di fatto che abbiano portato a un
eventuale acquisto per usucapione, o la destinazione
oggettiva del bene). In ogni caso viene confermato che si
tratta comunque, è bene precisarlo subito, di un elenco dei
beni comuni non tassativo, ma esemplificativo, di parti che,
come detto, si presumono condominiali, con la conseguenza
che un bene o un impianto, pur non indicato nell'art. 1117
c.c., può, a determinate condizioni, essere ugualmente
qualificato come condominiale.
Ciò trova conferma nel fatto prima dell'elenco dei beni di
cui ai numeri 1, 2 e 3 della predetta disposizione del
codice civile, nella stessa norma viene anticipata
l'espressione «tutte le parti dell'edificio necessarie
all'uso comune» (mentre nell'originario testo dell'art. 1117
c.c. detta espressione era contenuta soltanto al termine
dell'elencazione dei beni comuni di cui al n. 1): la
modifica evidenziata tende dunque a evidenziare il carattere
esemplificativo e non esaustivo dell'elencazione in
questione. Del resto, di fronte alle molteplici varietà
delle ipotesi che possono presentarsi nella realtà
condominiale, non è certo possibile un elenco completo e
quindi anche la legge di riforma si limita soltanto a
fornire all'interprete una chiave per individuare quali
beni, in un caseggiato in condominio, debbano presumersi di
proprietà comune.
Nel passare all'elenco delle parti condominiali, la novità è
rappresentata dall'inclusione in esse dei pilastri, delle
travi portanti e delle facciate: tali indicazioni sono
indiscutibili, se si considera che i muri perimetrali
delimitano esternamente il caseggiato, mentre i pilastri e
le travi in conglomerato cementizio sono elementi
dell'intelaiatura portante dell'edificio condominiale.
Vengono ricompresi nell'elenco dei beni comuni anche le aree
destinate a parcheggio e i sottotetti destinati, per le
caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune. Si
tratta quindi dei sottotetti che abbiano dimensioni e
caratteristiche strutturali tali da consentirne
l'utilizzazione come vano autonomo (mentre sono generalmente
di proprietà esclusiva quelli che costituiscono una camera
d'aria e hanno la mera funzione di isolare e proteggere
l'appartamento dell'ultimo piano dal caldo, dal freddo e
dall'umidità).
Per quanto riguarda le altre novità introdotte dalla riforma
della disciplina condominiale in tema di parti comuni,
merita di essere precisato che è stata modificata la
dicitura di alcuni beni comuni (gli impianti idrici e
fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di
trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il
riscaldamento (anziché gli acquedotti, le fognature, i
canali di scarico, gli impianti per l'acqua, per il gas, per
l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili) e che
sono stati aggiunti altri impianti, ovvero quelli per il
condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva
e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso
informativo anche da satellite o via cavo. Da notare che, in
caso di impianti unitari, si dovrà far rientrare l'impianto
tra le parti comuni fino al punto di utenza, salve le
normative di settore in materia di reti pubbliche, in grado,
queste ultime, di costituire unilateralmente vincoli
sull'edificio aventi effetti analoghi alle servitù
(articolo
ItaliaOggi Sette del 17.12.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Pubblicato in Guue il regolamento n. 1179/12 con
le norme per l'end of waste. Il riutilizzo del vetro ora è
doc. Regole Ue per i produttori di materie prime secondarie.
Nuove regole certe per i produttori di
materie prime secondarie. Dopo quelle relative ai rottami
ferrosi, arrivano infatti dall'Ue le norme per riabilitare a
veri e propri beni i rifiuti di vetro sottoposti a
procedimenti di recupero.
Le nuove regole sull'«end of waste» sono recate dal
REGOLAMENTO (UE) N. 1179/2012 DELLA COMMISSIONE del
10.12.2012
in attuazione dell'articolo 6 della direttiva madre sui
rifiuti (la 2008/98/Ce) e si applicano immediatamente in
tutti gli Stati membri a partire dall'11.06.2013 senza
necessità di essere veicolate da provvedimenti interni in
quanto norme «self executing».
Con il provvedimento in parola (pubblicato sulla Guue
dell'11.12.2012, n. L337) la Commissione Ue stabilisce tutte
le condizioni indefettibili che i rottami di vetro devono
soddisfare per uscire dalla disciplina dei rifiuti, ossia:
tipologie di rifiuti processabili; operazioni di recupero da
seguire; standard qualitativi minimi dei prodotti ottenuti;
tipi di riutilizzi possibili; sistemi di gestione dei
processi; certificazione di conformità.
Tipologie di rifiuti ammissibili.
In base al nuovo regolamento, saranno utilizzabili per
ottenere le materie prime in esame unicamente i rifiuti
recuperabili provenienti dalla raccolta del vetro per
imballaggio, il vetro piano, il vasellame privo di piombo.
Sono invece esclusi i residui contenenti vetro provenienti
da rifiuti solidi urbani indifferenziati o da strutture
sanitarie ed i rifiuti pericolosi.
Trattamento.
I rifiuti ammessi all'«end of waste» dovranno essere
raccolti, separati dagli altri residui e trasformati fino a
ottenere dei rottami di vetro riutilizzabili direttamente,
attraverso la rifusione, nella produzione di sostanze di
vetro od oggetti.
Qualità delle materie prime secondarie.
I rottami ottenuti all'esito del trattamento dovranno
soddisfare sia le specifiche norme di settore (in sostanza,
quelle dell'industria del vetro) sia i limiti massimi di
metalli, sostanze organiche (come carta, gomma plastica,
tessuto, legno) ed inorganiche (come ceramica, roccia,
porcellana, piroceramica) stabiliti dagli allegati tecnici
al regolamento comunitario.
Ancora, i rottami dovranno altresì essere esenti dalle
caratteristiche di pericolo previste dall'allegato III alla
citata direttiva madre sui rifiuti e rispettare i parametri
di concentrazione fissati sia dalla decisione 2000/532/Ce
(recante l'elenco dei rifiuti) che dal regolamento Ce n.
850/2004 (relativo agli inquinanti organici persistenti).
Riutilizzi consentiti.
Parte integrante delle condizioni da rispettare per poter
gestire come veri e propri beni i rottami ottenuti all'esito
del recupero è il rispetto della loro destinazione. Questa,
come accennato, deve coincidere esclusivamente con il
riutilizzo diretto delle materie prime ottenute nella
produzione di sostanze od oggetti di vetro mediante la loro
rifusione. In caso contrario, essi rottami torneranno quindi
ad essere considerati rifiuti, con tutti i relativi obblighi
gestionali connessi.
Controllo del procedimento.
Procedimento di trattamento dei rifiuti e qualità dei
rottami ottenuti dovranno essere sottoposti ad un sistema di
gestione che permetta il controllo delle condizioni
prescritte, sistema che dovrà altresì essere validato da un
organismo accreditato dall'Ue almeno ogni tre anni.
Dichiarazione di conformità.
Ogni partita di rottami di vetro dovrà infine essere
accompagnata da un dichiarazione di conformità che la
identifichi e ne attesti la rispondenza ai requisiti tecnici
stabiliti dal nuovo regolamento Ue.
Tale onere sarà a carico del «produttore» dei rottami (ossia
del detentore che li cede per la prima volta dalla loro
creazione ad altro soggetto) oppure, in caso di materiali
extra Ue, dall'«importatore» (quale persona fisica o
giuridica stabilita nell'Unione che li introduce nel
territorio doganale comunitario).
L'«end of waste» Ue.
Alla base della nuova disciplina, come accennato, vi è la
citata direttiva 2008/98/Ce, il cui articolo 6 conferisce
alla Commissione Ue il potere stabilire norme tecniche per
il recupero di determinate categorie di rifiuti.
Tali regole, una volta adottate, diventano vincolanti e
scavalcano quelle eventualmente stabilite dai singoli Stati
membri, legittimando i soggetti che le osservano a gestire
come veri e propri beni i residui che derivano dai processi
regolamentati.
Il nuovo regolamento Ue n. 1179/2012 sui rottami di vetro
segue l'analogo regolamento 333/2011/Ue relativo all'end of
waste di rottami di ferro, acciaio ed alluminio già in
vigore dal 09.10.2011.
Se l'Esecutivo Ue seguirà la scaletta di priorità prevista
dallo stesso articolo 6 della direttiva 2008/98/Ce, tra i
prossimi criteri in arrivo dovranno esserci quelli relativi
al recupero di rifiuti di carta, tessuto e pneumatici fuori
uso
(articolo
ItaliaOggi Sette del 17.12.2012). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi locali. L'adeguamento ai parametri
europei previsto dal Dl sviluppo riguarda anche il settore
idrico.
Affidamenti da giustificare. Le ragioni della scelta vanno
esplicitate in una relazione pubblica.
Gli enti locali devono verificare la coerenza con i
parametri comunitari degli affidamenti dei servizi alle
società partecipate e, se rilevano criticità, devono
adottare misure di adeguamento.
La legge di conversione del Dl sviluppo (Dl 179/2012)
delinea un nuovo quadro di riferimento essenziale per i
servizi pubblici locali di rilevanza economica, definendo
nell'articolo 34 un percorso finalizzato a garantire la
massima trasparenza (sia a fini di concorrenza, sia per gli
utenti) sui modelli gestionali scelti dagli enti locali.
La relazione illustrativa
I Comuni e gli enti di governo degli ambiti territoriali
ottimali (individuati dal comma 23 come i soggetti
competenti all'affidamento per i servizi a rete, come la
gestione del ciclo integrato dei rifiuti) devono esplicitare
in una relazione illustrativa le ragioni dell'affidamento e
la sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento
europeo per il modello prescelto (comma 20).
Il documento, che deve essere pubblicato sul sito internet
dell'ente affidante, ha come contenuti essenziali anche
l'individuazione degli obblighi di servizio pubblico e delle
relative compensazioni, che dovranno essere esplicitate
tenendo conto dei parametri della disciplina comunitaria
sugli aiuti di Stato, compresa nel cosiddetto pacchetto Sieg
(il nuovo pacchetto di norme sugli aiuti di Stato per i
servizi di interesse economico generale).
Per gli affidamenti in house, la relazione dovrà evidenziare
analiticamente i dati quantitativi che esplicitano la
prevalenza dell'attività svolta dalla società a favore
dell'ente locale e della sua comunità, e gli elementi
compositivi del controllo analogo, come ad esempio le
clausole convenzionali che garantiscono agli enti soci di
intervenire nei processi decisionali strategici, gli
strumenti specifici, l'oggetto sociale delimitato.
Il controllo
Se la società è partecipata da più enti locali, detentori
anche di quote molto limitate, le clausole statutarie devono
consentire agli enti di esercitare congiuntamente il
controllo analogo, come chiarito dalla Corte di giustizia
Ue, sezione III, con la sentenza del 29.11.2012, sulla causa
C-183/11.
L'eventuale rilevazione, da parte dell'ente affidante, di
elementi non conformi ai requisiti comunitari nel presunto
rapporto in house, determina l'obbligatoria adozione di
misure (comma 21) che sanciscano soprattutto il controllo
analogo, come l'inclusione nello statuto di regole
specifiche, la costituzione di organismi di verifica, la
regolamentazione dettagliata delle attività di checking
delle prestazioni e della qualità nei contratti di servizio.
Società miste
La situazione può risultare più critica per le società
miste, perché i parametri del partenariato pubblico-privato
di tipo istituzionale definiti dall'ordinamento comunitario
prevedono la selezione a evidenza pubblica del socio privato
e la contestuale attribuzione a questo di specifici compiti
operativi.
Le società a partecipazione congiunta pubblico-privata
"vecchio modello" (nelle quali il socio sia stato
individuato con gara, ma per le quali l'affidamento sia
avvenuto in forma diretta) non possono proseguire nella
gestione. Gli enti dovranno dunque riacquistare
temporaneamente le quote (liquidando il socio privato), per
indire poi una nuova gara «a doppio oggetto». Un percorso
analogo deve essere seguito per le società miste nelle quali
il socio privato sia stato scelto, a suo tempo, senza gara.
L'affidamento diretto di servizi pubblici da parte di
amministrazioni locali a società da esse non partecipate
comporta invece un nuovo affidamento con gara, entro termini
molto brevi.
Mancato adeguamento
La mancata formazione e pubblicizzazione della relazione
illustrativa e l'eventuale mancato adeguamento ai parametri
comunitari comportano la cessazione degli affidamenti
"impropri" in corso al 31.12.2013. La stessa data comporta
la cessazione degli affidamenti per i quali il contratto di
servizio non preveda scadenza e non sia stato inserito nello
strumento pattizio, nel frattempo, un termine preciso.
La nuova disciplina non si applica al servizio di
distribuzione del gas naturale, a quello di distribuzione
dell'energia e a quello di gestione delle farmacie (articolo
34, comma 25): curiosamente, non è escluso il servizio
idrico, per il quale, di conseguenza, gli enti di governo
dell'ambito devono dimostrare la coerenza dei modelli
gestionali attuali con i requisiti comunitari (ed
eventualmente adeguarli, pena la scadenza delle gestioni
esistenti a fine 2013).
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Le nuove regole
01 | La procedura
I servizi pubblici locali di rilevanza economica devono
essere affidati in base a una relazione, pubblicata sul sito
internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e
della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento
europeo per la forma di affidamento prescelta e che
definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio
pubblico
02 | La scadenza
Gli affidamenti in corso non conformi ai requisiti previsti
dalla normativa europea devono essere adeguati entro il
31.12.2013 pubblicando, entro la stessa data, la relazione.
Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di
scadenza, gli enti devono inserire nel contratto di servizio
o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di
scadenza dell'affidamento. In mancanza di adempimento a
questi obblighi, l'affidamento cessa al 31.12.2013
I punti-chiave
01 | LA DECISIONE
Il giudice del lavoro di Padova ha annullato il
provvedimento con cui un Comune aveva messo in disponibilità
un proprio dipendente: un titolare di posizione
organizzativa che, dopo la mancata conferma dell'incarico,
era stato spostato in un altro settore e poi dichiarato in
esubero
02 | LA MOTIVAZIONE
Il giudice ha rilevato che nella comunicazione ai soggetti
sindacali è mancata completamente l'indicazione dei criteri
in base ai quali è stata effettuata la scelta dei dipendenti
da collocare in esubero. Quindi, secondo il giudice, il
dipendente non è stato individuato in modo oggettivo ma
mirato
(articolo
Il Sole 24 Ore del 17.12.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
aggiornamento al 17.12.2012 |
|
PUBBLICO
IMPIEGO: LEGGE DI
STABILITÀ/ Torna la buonuscita nella p.a..
Stop al tfr. Chiuse di diritto le controversie pendenti. Un
emendamento fa salvi gli effetti del decreto legge 185/2012.
Torna la vecchia e cara buonuscita per i dipendenti
pubblici. A chi abbia percepito la prestazione in base al
regime di trattamento di fine rapporto (tfr, che aveva
sostitutivo le vecchie regole del Tfs), il trattamento sarà
riliquidato entro il 31.10.2013. Chiuse di diritto
tutte le liti pendenti; nessun recupero di eventuali somme
erogate in eccedenza ai lavoratori dipendenti.
La novità,
prevista dal dl n. 185/2012, è salvata da un emendamento
introdotto al ddl Stabilità.
Torna la buonuscita. Il decreto legge n. 78/2010, con
effetto dal 01.01.2011, aveva stabilito il cambio di
regole per il calcolo della buonuscita dei dipendenti
pubblici al fine di equipararle a quelle dei dipendenti del
settore privato. Sulla base di tanto, dal 2011, tutti i
lavoratori dipendenti, pubblici e privati, ricevevano la
prestazione di fine rapporto lavoro calcolata secondo le
regole del codice civile.
Poi è arrivata la marcia indietro
per i dipendenti pubblici, fissata dal decreto legge n.
185/2012 in vigore dal 31 ottobre, in conseguenza della
sentenza della corte costituzionale che ha dichiarato
illegittimo il permanere della ritenuta del 2,5% a carico
dei lavoratori, una volta cambiate le regole di calcolo del
trattamento di fine servizio. Il dl n. 185/2012 ha stabilito
la riliquidazione d'ufficio, entro un anno, di tutti i Tfs
liquidati in base alle nuove, e adesso abrogate, regole, ma
senza procedere al recupero delle eventuali somme erogate in
eccedenza al dipendente.
Con il dietrofront, inoltre, è stata disposta anche
l'estinzione di diritto di tutti i processi pendenti, nonché
l'inefficacia di tutte le sentenze emesse (tranne quelle
passate in giudicato) in materia di restituzione del
contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5%
della retribuzione. Le novità, come accennato, sono raccolte
in un emendamento al ddl Stabilità, il quale fissa inoltre,
l'estinzione di diritto di tutti i processi pendenti aventi
ad oggetto la restituzione del contributo previdenziale
obbligatorio e fa salvi gli atti e i provvedimenti prodotti
sulla base delle disposizioni del decreto legge n. 185/2012
che non verrà convertito in legge.
Testo unico maternità. Oltre alle imprenditrici agricole
anche le pescatrici autonome della piccola pesca marittima e
delle acque interne avranno diritto all'indennità di
maternità. La novità, anch'essa prevista da un emendamento
al disegno di legge Stabilità, arriva da una modifica al
Testo unico maternità (decreto legislativo n. 151/2001).
L'indennità verrà corrisposta per i due mesi antecedenti la
data del parto e per i tre successivi, in misura pari
all'80% della misura giornaliera del salario convenzionale.
Sempre in tema di maternità, infine, una modifica
all'articolo 32 del Tu autorizza la contrattazione
collettiva a stabilire le modalità di fruizione del congedo
parentale su base oraria, nonché i criteri di calcolo della
base oraria e l'equiparazione di un determinato monte ore
alla singola giornata lavorativa
(articolo ItaliaOggi del 15.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: I
controlli negli enti locali. Riforma sprint sui conti dei
Comuni. Da adottare entro il 10 gennaio i regolamenti locali
con i nuovi compiti per revisori e segretari.
IL RISCHIO/ A tutti i vertici amministrativi competenze più
pesanti ma non accompagnate da tutele efficaci.
Quella scritta nel decreto legge sui «costi della
politica» è una riforma profonda dei controlli negli
enti locali. Una riforma, però, nata dall'emergenza, varata
per decreto legge e ritoccata in Parlamento nel corso di un
dibattito già scaldato dal clima pre-elettorale.
Le novità che ne sono uscite sono parecchie, hanno tempi di
attuazione spesso strettissimi, ma l'efficacia e la
praticabilità degli equilibri che disegnano fra le diverse
professionalità che lavorano in Comuni e Province sono tutte
da verificare nelle prove sul campo. Tutti i settori di
vertice dell'amministrazione locale vengono investiti di
nuovi compiti, che questa Guida prova a spiegare profilo per
profilo, all'interno però di un ridisegno che non sceglie se
puntare sui controlli interni o esterni, e non sembra
preoccuparsi troppo dell'armonia fra le musiche che i
diversi orchestrali devono suonare.
L'ampliamento dei compiti più deciso è forse quello
riservato ai revisori dei conti che, dopo l'avvio delle
nuove regole di nomina più attente all'indipendenza dalla
politica, sono ora chiamati a entrare sempre più nel merito
di tutte le scelte gestionali, comprese quelle che
riguardano le modalità di svolgimento dei servizi, in
economia o tramite società esterne. Non si è colta, però,
l'occasione di ricreare i collegi negli enti fra 5mila e
15mila abitanti, cancellati nel 2006 in uno dei primi,
malintesi, tagli ai «costi della politica»; anzi, nel primo
passaggio parlamentare una mano aveva messo a rischio nei
Comuni inseriti in Unioni il ruolo di più di mille
professionisti, cancellati da un emendamento poi caduto
prima del l'approvazione definitiva.
Nel decreto originario, invece, il Governo aveva pensato di
affidare la presidenza dei collegi negli enti sopra i 60mila
abitanti a dipendenti ministeriali, con uno slancio
centralista anch'esso cancellato per evidenti problemi di
costituzionalità.
La stessa incertezza fra spinta ai controlli centrali e
delega all'autonomia locale si nota nelle nuove regole sui
responsabili dei servizi finanziari. La loro centralità
nella gestione dell'ente diventa sempre più marcata, i loro
pareri diventano obbligatori su tutti gli atti che possano
incidere anche in modo indiretto su equilibri e patrimonio,
e cresce la loro influenza sulla politica che può
discostarsi dalle loro indicazioni solo con motivazioni
adeguate e documentate. Un ruolo, quello del ragioniere-capo
rafforzato dalla riforma, che vede crescere responsabilità e
rischi di conflitto con la politica, ma non le tutele: anche
in questo caso, dopo un iniziale impeto eccessivamente
centralista (secondo il quale la revoca dell'incarico del
ragioniere sarebbe stata possibile solo con l'assenso di
Viminale ed Economia) si è tornati indietro e non si è più
prevista alcuna tutela aggiuntiva.
Riflessioni simili possono essere svolte per i segretari
generali, che oltre a vedersi ribadito il compito di primi
attori nei controlli di regolarità amministrativa sono
chiamati a essere i primi interlocutori della Corte dei
conti con le relazioni semestrali sull'andamento della
gestione e sull'efficacia dei controlli esterni. E il fatto
che la Corte, controllore esterno per eccellenza, debba
giudicare il funzionamento delle verifiche interne denuncia
in modo palese le sovrapposizioni fra i due sistemi tra cui
la riforma non sceglie.
Riassumendo: l'agenda di revisori, segretari, ragionieri e
magistrati cresce sensibilmente e solo l'attuazione potrà
verificare l'efficacia e la praticabilità della convivenza
fra attori così pesanti. Un'attuazione che ha tempi
strettissimi, e che impegna tutti gli enti locali, dal
piccolo Comune alla grande città, a riscrivere i regolamenti
e redistribuire i compiti in pochissime settimane. Le regole
vanno adeguate entro il 10 gennaio, poi la macchina deve
partire
(articolo Il
Sole 24 Ore 14.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Gestioni
associate, l'unione è da preferire alla convenzione.
Convenzione o unione per gestire in forma associata le
funzioni fondamentali? È una delle domande che gli
amministratori dei piccoli comuni si pongono più spesso in
questi giorni. Entro fine anno, infatti, occorrerà
dimostrare allo Stato di avere già messo insieme almeno un
terzo del «core business», ovvero almeno tre delle nove
funzioni fondamentali individuate dall'art. 19 del dl
95/2012. Per gli enti inadempienti, potrà scattare il potere
sostitutivo dello Stato ex art. 8 della l. 131/2003, previa
diffida da parte del prefetto.
Apparentemente, la convezione è la scelta più comoda. Si
tratta di un semplice contratto di diritto pubblico (art. 30
del Tuel), mediante il quale si può prevedere o la
costituzione di uffici comuni, che operano con personale
distaccato, o la delega di funzioni ad un comune capofila.
Di norma, si opta per quest'ultima soluzione, che però
rischia di appesantire il bilancio del capofila, sul quale
si scaricano anche le quote di spesa riferite agli altri
comuni convenzionati. La questione si pone soprattutto in
relazione al Patto di stabilità interno, che dal prossimo
anno (salvo proroghe) si applicherà a tutti i comuni con più
di 1.000 abitanti e quindi a molti di quelli interessati
dall'obbligo di dare vita alle gestioni associate.
Un
recente parere (n. 26/2012) della Corte dei conti, sezione
regionale di controllo per l'Emilia-Romagna ha affermato,
infatti, che il capofila, nel determinare il proprio saldo
finanziario obiettivo, non può considerare unicamente la
propria quota di spesa relativa alla gestione dei servizi
associati, ma deve farsi carico anche delle quote di spesa
riferita agli altri comuni. Eventuali ritardi nei rimborsi
da parte di questi ultimi, inoltre, potrebbero causare anche
problemi (di Patto, per le spese in conto capitale, ma
soprattutto) di cassa al capo convenzione.
Simili difficoltà non si pongono, invece, in caso di
costituzione di un'unione di comuni (ovvero di
trasformazione di un'unione esistente). L'unione, infatti,
costituisce un ente locale a sé stante, con un proprio
bilancio separato ed autonomo. I comuni che ne fanno parte
sono posti sullo stesso piano, dovendo tutti finanziare la
propria quota di spese. Alle unioni, inoltre, competono gli
introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai
contributi sui servizi ad esse affidati.
C'è quindi la
possibilità di far convergere (almeno in parte) su tali
soggetti le entrate e le spese, evitando complessi passaggi
di risorse fra un ente e l'altro e dribblando
(legittimamente) i vincoli del Patto. Quest'ultimo, infatti,
si applicherà (dal 2014) alle sole unioni «speciali» che i
comuni al di sotto dei 1.000 abitanti possono costituire (in
alternativa agli altri due modelli) per gestire in forma
associata tutte le loro funzioni (la relativa disciplina
contenuta nell'art. 16 del dl 138/2011). Al momento, invece,
non è prevista l'estensione del Patto alle unioni
«classiche» (art. 32 del Tuel), il che rappresenta un
ulteriore motivo per optare per questo modello, anziché per
quello della convenzione.
La scelta dell'unione, infine, è anche vantaggiosa rispetto
alla gestione delle risorse umane. L'allargamento della
platea degli enti soggetti al Patto ha come conseguenza
anche l'assoggettamento dei comuni con più di 1000 abitanti
a più restrittivi obblighi di contenimento della spesa di
personale ed a maggiori limiti alla possibilità di
effettuare nuove assunzioni (con applicazione del turn-over
al 40% della spesa delle cessazioni intervenute nell'anno
precedente, anziché di quello «per teste», che consente un
nuovo ingresso per ogni uscita).
Le unioni «classiche», invece, continueranno ad essere
soggette al più favorevole regime previsto per gli enti non
soggetti al Patto (cfr Corte dei conti, Sezione regionale di
controllo per la Toscana, parere n. 7/2012)
(articolo ItaliaOggi del 14.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: Controlli interni subito al via.
Entro il 10 gennaio gli enti devono varare il regolamento.
Le amministrazioni inadempienti
rischiano la diffida del prefetto e lo scioglimento.
Entro il 10 gennaio i consigli comunali, provinciali, delle
unioni dei comuni e delle superstiti comunità montane devono
approvare il regolamento consiliare sui controlli interni.
Le amministrazioni inadempienti saranno diffidate dal
prefetto e, se entro i due mesi successivi non avranno
adottato tale testo, saranno sciolte.
Con queste disposizioni contenute nel dl n. 174/2012, per
come convertito dalla legge 213, vengono significativamente
accresciuti i controlli interni negli enti locali. La norma
ne ha previsti ben sei: regolarità amministrativa e
contabile, di gestione, sugli equilibri finanziari,
strategico, sulle società partecipate e non quotate e sulla
qualità dei servizi erogati. Le prime tre forme sono
obbligatorie da subito per tutte le amministrazioni locali,
le altre tre sono da subito obbligatorie solamente per gli
enti locali che hanno più di 100 mila abitanti, lo
diventeranno dal 1/1/2014 per quelli con popolazione
superiore a 50 mila abitanti e dal 01/01/2015 per quelli
superiori a 15 mila abitanti.
Tutte le forme di controllo interno vanno disciplinate
all'interno dello specifico regolamento, tranne quella sugli
equilibri di bilancio, che deve essere inserita nel
regolamento di contabilità. Per esplicita previsione
legislativa la competenza alla adozione del regolamento
appartiene al consiglio, nonostante per molti aspetti siamo
in presenza di misure aventi una natura organizzativa. Se il
regolamento non viene approvato il legislatore dispone lo
scioglimento degli organi di governo. E inoltre sono
stabilite la irrogazione delle stesse sanzioni previste per
gli amministratori e i revisori dei conti responsabili dei
dissesti e una specifica multa.
Quanto alle forme di verifica sulla adozione e sulla
applicazione del regolamento, si deve ricordare che un copia
deve essere inviata al prefetto e alla sezione regionale di
controllo della Corte dei conti e che le province ed i
comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti devono
semestralmente trasmettere alla stessa una relazione sulla
gestione e sull'andamento dei controlli interni.
Nel regolamento, occorre scegliere per tutte le forme di
controllo interno la struttura che è chiamata a esercitarlo,
la periodicità e la utilizzazione del report. Per i
controlli di regolarità amministrativa e contabile il
responsabile è individuato direttamente dal legislatore nel
segretario; per quello strategico nel direttore generale o,
nel caso in cui questa figura non sia presente, nel
segretario; quello sugli equilibri finanziari deve fare capo
necessariamente al dirigente economico finanziario. Invece
deve essere il regolamento ad individuare il responsabile
delle altre tre forme di controllo interno, cioè quello di
gestione, quello sulle società partecipate non quotate e
quello di qualità sui servizi erogati. Per tutte le forme di
controllo deve essere il regolamento a individuare la
struttura competente, cioè i soggetti che affiancano il
responsabile.
Da sottolineare che il legislatore prevede
necessariamente il coinvolgimento del segretario, del
direttore generale se presente, dei dirigenti e degli
organismi di controllo. Occorre inoltre fissare la cadenza
periodica con cui dovranno essere svolte le varie forme di
controllo e, quindi, con cui saranno prodotti i report; in
tale scelta è opportuno tenere presente il vincolo della
relazione semestrale, che deve dare conto anche degli esiti
delle verifiche interne, da rendere alla sezione regionale
di controllo della Corte dei conti da parte delle province e
dei comuni con più di 15 mila abitanti.
Va ricordato che, tranne il controllo preventivo di
regolarità amministrativa e contabile, tutte le forme di
controllo interno si concretizzano nella realizzazione di
una relazione. Altro aspetto comune è la disciplina delle
modalità di utilizzazione dei report. Essi vanno trasmessi,
sulla base del vincolo dettato dal legislatore, alla giunta
ed al consiglio dell'ente: il regolamento può dettare
specifiche regole, come ad esempio la necessità che i suoi
esiti siano necessariamente esaminati dagli organi di
governo, anche individuandone le modalità e la tempistica.
La verifica di regolarità amministrativa e contabile si
suddivide in 2 parti: quella preventiva, che si esercita
tramite i pareri di regolarità tecnica e contabile e quella
successiva. Per questa seconda forma è necessario
disciplinare le modalità con cui vengono scelte le
determinazioni, i contratti e gli altri atti amministrativi
da sottoporre a verifica. Si può usare la tecnica della
scelta a campione, ma si può anche prevedere (in alternativa
o a integrazione) che alcuni atti siano comunque sottoposti
a tale verifica, ad esempio quelli di importo rilevante.
Occorre inoltre disciplinare il contenuto della direttiva
che il segretario può impartire ai dirigenti attraverso il
report.
Per il controllo di gestione la disciplina deve riguardare
soprattutto i contenuti e le modalità di rilevazione delle
informazioni.
Per quello sugli equilibri della gestione finanziaria la
regolamentazione deve avere come oggetto soprattutto la
definizione delle modalità di intervento e coinvolgimento
del collegio dei revisori dei conti. Ad esempio essi possono
svolgere tanto ruoli attivi, quanto esser chiamati alla
verifica degli esiti. E ancora è necessario prevedere le
modalità di effettuazione delle verifiche sulle società,
così da evitare il maturare di improvvise condizioni di
deficit: per cui appare utile stabilire un nesso diretto con
le verifiche sulle società.
Per il controllo strategico le scelte di maggiore rilievo
sono quelle legate alla definizione del suo contenuto, che
per molti versi comprende gli esiti di tutte le forme di
controllo interno. Per cui appare necessario che si
stabiliscano forme di interrelazione con tutte le altre
forme di verifica. Appare inoltre opportuno che esso
comprenda anche la relazione sulle performance di cui al
dlgs n. 150/2009, cd legge Brunetta.
Il monitoraggio della gestione delle società non partecipate
deve essere esattamente puntualizzato nei contenuti ed
occorre inoltre disciplinare le modalità di interrelazione
con i controlli strategico e sulla qualità dei servizi
erogati.
Infine, si deve definire il contenuto del controllo sulla
qualità dei servizi erogati. Esso deve fare riferimento sia
a quelli gestiti dall'ente che a quelli gestiti dalle
società partecipate che a quelli gestiti da soggetti
aggiudicatari. Appare necessario che esso comprenda anche
gli esiti della customer satisfaction prevista dalla
legge Brunetta tra gli elementi caratterizzanti le
performance organizzative
(articolo ItaliaOggi del 14.12.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Ammessa la consultazione dell'anagrafe degli
stranieri residenti. Diritto di accesso a 360°.
Il consigliere può visionare ogni documento.
Può un consigliere comunale avere accesso agli elenchi
anagrafici di tutti gli stranieri residenti con relativi
indirizzi?
L'art. 43, comma 2, del dlgs n. 267/2000 prevede che «i
consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere
dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia,
nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le
notizie e le informazioni in loro possesso, utili
all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al
segreto nei casi specificamente determinati dalla legge». Il
diritto di accesso dei consiglieri comunali agli atti
amministrativi dell'ente locale è stato definito dal
Consiglio di stato (sent. n. 4471/2005) «diritto soggettivo
pubblico funzionalizzato», come tale strumentale al
controllo politico-amministrativo sull'ente nell'interesse
della collettività.
In considerazione di ciò, il diritto dei consiglieri
comunali di ottenere, dai competenti uffici comunali, tutte
le informazioni utili all'espletamento del loro mandato non
incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro
eventuale natura riservata. Infatti, tale limite
all'accesso, operante in base alla disciplina posta in via
generale dagli articoli 22 e seguenti della legge n.
241/1990, non è previsto dall'art. 43, comma 2, del Tuel,
che opera quale norma speciale e, anzi, risulta
implicitamente escluso in quanto il consigliere è vincolato
al segreto d'ufficio (cfr. Consiglio di stato, sez. V, n.
6963/2010 e n. 2716/2004).
In merito a ciò la Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi, nel parere dell'11.01.2011, ha
affermato che «gli uffici comunali non possono limitare in
alcun caso il diritto di accesso del consigliere comunale,
ancorché possa sussistere il pericolo di divulgazione di
dati di cui il medesimo entri in possesso. La responsabilità
di aver messo in condizione il consigliere comunale di
conoscere dati sensibili cede di fronte al diritto di
accesso incondizionato del medesimo, ma può essere invocata
dal terzo eventualmente danneggiato solo nei confronti di
chi (consigliere comunale) del suo diritto ha fatto un uso
contra legem».
Inoltre, nel parere del 06.04.2011 ha
precisato che «l'eventuale segretezza che pure opera nei
confronti del consigliere comunale non è quella legata alla
natura dell'atto, ma al suo comportamento che non può essere
divulgativo del contenuto degli atti ai quali ha avuto
accesso, stante il vincolo previsto in capo al consigliere
comunale dall'art. 43 all'osservanza del segreto d'ufficio
nelle ipotesi specificamente determinate dalla legge, nonché
al divieto di divulgazione dei dati personali ai sensi del dlgs n. 196/2003».
In definitiva, gli unici limiti all'esercizio del diritto di
accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, da un
lato, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare
il minore aggravio possibile per gli uffici comunali,
dall'altro, nel fatto che esso non deve sostanziarsi in
richieste assolutamente generiche o meramente emulative,
fermo restando che la sussistenza di tali caratteri deve
essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto
al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili
limitazioni al diritto stesso (Consiglio di stato, sez. V,
n. 6963/2010).
Deve essere, pertanto, sottolineata la peculiarità del
diritto di accesso del consigliere comunale, di più ampia
astensione rispetto a quello disciplinato dalla legge n.
241/1990, in quanto strumento di verifica e controllo del
comportamento degli organi istituzionali decisionali
dell'ente locale, non per finalità personali, ma per la
tutela degli interessi pubblici, configurandosi come
espressione del principio democratico dell'autonomia locale
e della rappresentanza esponenziale della collettività
(C.d.S., sez. V, 08.09.1994, n. 976).
Con specifico riferimento al caso in esame, la Commissione
per l'accesso ai documenti amministrativi, con il parere
reso in data 20.12.2011, ha ritenuto sussistere «il
diritto del consigliere comunale di accedere agli elenchi e
alle cancellazioni anagrafiche richieste al fine di
esercitare le prerogative connesse all'esercizio del proprio
mandato politico», non rilevando in tal senso «il fatto che
le informazioni richieste concernano dati riservati trattati
dal sindaco nell'esercizio delle funzioni di ufficiale di
governo».
Alla luce di quanto affermato in precedenza, si
ritiene che ai sensi dell'art. 43, comma 2, del Tuel al
consigliere comunale non si possa negare l'accesso a nessun
atto o documento in ragione della sua eventuale segretezza o
riservatezza, ferma restando la necessità che i dati in tal
modo acquisiti siano utilizzati esclusivamente per le
finalità strettamente connesse con l'espletamento del
mandato
(articolo ItaliaOggi del 14.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Per
gli affidamenti in house salta il limite di 200mila euro.
Anche la gestione dei rifiuti rientra tra i «servizi a
rete», per i quali tutte le attività di organizzazione e
gestione devono essere trasferiti agli ambiti territoriali
ottimali previsti dalla manovra-bis del Ferragosto 2011
(articolo 3-bis del Dl 138/2011). Scompare del tutto il
limite dei 200mila euro annui per gli affidamenti in house,
che sarebbe dovuto entrare in vigore a inizio 2014 e avrebbe
lasciato sopravvivere gli affidamenti di valore superiore
fino alla fine dello stesso anno secondo le previsioni del
decreto legge sulla revisione di spesa.
La versione definitiva del decreto «Sviluppo-bis», che ha
ottenuto ieri l'ultimo disco verde dalla Camera, porta molte
novità al mondo dei servizi pubblici locali e delle società
partecipate.
Oltre alla scomparsa del limite dei 200mila euro all'in-house (si veda anche Il Sole 24 Ore del 7 dicembre), che
riporta integralmente la disciplina degli affidamenti
nel'ambito delle regole Ue sull'in house, il ritocco di
maggior peso è quello sugli ambiti territoriali previsti
dalla manovra-bis dello scorso anno, ma accolti con più di
un'incertezza da parte delle Regioni che in qualche caso non
ne hanno completato il disegno o l'attuazione.
Ora i
ritardatari devono affrettarsi perché agli ambiti, secondo
la legge di conversione approvata ieri, vanno trasferiti
subito tutti i compiti relativi a «scelta della forma di
gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per
quanto di competenza, di affidamento della gestione e
relativo controllo». Insomma, esce dai singoli enti locali
l'intera organizzazione dei servizi pubblici a rete,
famiglia nella quale il decreto Sviluppo-bis fa rientrare
anche la raccolta e smaltimento di rifiuti urbani superando
così i dubbi interpretativi sollevati da molti operatori.
In nome della concorrenza, o di quel che ne rimane dopo la
sentenza 199/2012 della Corte costituzionale che ha
cancellato le "liberalizzazioni" dell'anno scorso, si
prevede poi che la disciplina del Codice appalti si applichi
anche ai servizi di illuminazione votiva.
In ogni caso, chi
sceglie la strada dell'in house dovrà motivare in una
relazione, da pubblicare sul sito Internet, le ragioni della
scelta. Una semplificazione interviene poi sul fronte dei micro-pagamenti
pubblici alle imprese, che devono essere effettuati in forma
elettronica se il creditore lo richiede
(articolo Il Sole 24 Ore del 14.12.2012). |
APPALTI: Banca
dati sugli appalti, partenza dal 1° aprile.
Parte il conto alla rovescia per l'avvio della banca dati
appalti gestita dell'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici. L'obbligo per le stazioni appaltanti di servirsi
del portale battezzato «Avcpass» per la verifica dei
requisiti di costruttori, progettisti e fornitori di beni e
servizi scatterà il 01.04.2013 e sarà limitato alle
gare di importo superiore a un milione di euro.
Dal primo gennaio il sistema partirà in forma sperimentale.
Lo slittamento di tre mesi rispetto al termine previsto dal
Dlgs 163/2006 (articolo 6-bis) servirà per permettere a enti
e imprese di prendere confidenza con la nuova procedura di
gestione delle gare, evitando di mandare in tilt il mercato.
Una volta diventato operativo il servizio costituirà una
vera e propria rivoluzione per il settore degli appalti, in
cui operano circa 40mila amministrazioni, con oltre 1,2
milioni di gare bandite ogni anno.
Lo scopo di Avcpass è di dare alle amministrazioni la
possibilità di verificare in via telematica e in un colpo
solo tutti i requisiti di chi parteciperà alle gare: dalla
regolarità contributiva (Inarcassa, Inail) alla
documentazione antimafia (ministero dell'Interno), dalla
certificazione di qualità (Accredia) a quella di regolarità
fiscale rilasciata dall'Agenzia delle Entrate.
Perché tutto ciò si tramuti in realtà bisognerà però
attendere ancora. Per ora la possibilità di accesso diretto
ai dati telematici da parte dell'Autorità funziona solo con
Inarcassa, in tutti gli altri casi sarà comunque l'Autorità
a "mediare" tre le Pa, verificando la sussistenza dei
requisiti e dandone comunicazione, ancora in forma cartacea,
agli enti interessati.
Lo schema di delibera con le indicazioni operative per
stazioni appaltanti e imprese è stato posta ieri in
consultazione. Associazioni e amministrazioni coinvolti
nell'operazione avranno a disposizione pochissimo tempo per
far pervenire le proprie valutazioni utilizzando il modulo
scaricabile dal sito dell'Autorità. Il termine ultimo scade
lunedì 17 dicembre. Poi, dopo aver incassato il parere del
Garante della privacy sulla gestione dei dati sensibili
forniti dalle imprese Via Ripetta darà l'ok definitivo al
documento.
Confermate le anticipazioni pubblicate sull'ultimo numero
del settimanale Edilizia e Territorio. Dopo la fase
sperimentale il sistema diventerà obbligatorio per i bandi
al di sopra di un milione dal primo aprile 2013. Nel terzo
trimestre il sistema diventerà vincolante i bandi oltre
150mila euro. Infine da ottobre non ci saranno sconti: il
servizio sarà obbligatorio per tutti i bandi da 40mila euro
in su, pena la nullità della gara
(articolo Il Sole 24 Ore del 14.12.2012). |
APPALTI: DECRETO
CRESCITA/ Più flessibile la qualificazione delle imprese di
costruzioni. Appalti, una mini-rivoluzione. Credito
d'imposta per partenariati e Anagrafe unica.
Credito di imposta ed esenzione dal
pagamento del canone di concessione per i Ppp (partenariati
pubblico-privati) oltre i 500 milioni; creazione
dell'anagrafe unica delle stazioni appaltanti presso
l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici; più
flessibile la qualificazione delle imprese di costruzioni.
Sono queste alcune delle principali novità contenute nel
decreto-legge 179/2012 come approvato dalla camera ieri,
anche se alcune modifiche chieste da più parti, come
l'esclusione degli appalti dalla «responsabilità fiscale»
e l'ampliamento fino a 100 milioni dei crediti di imposta
non sono passate.
Anagrafe unica delle stazioni appaltanti
Le stazioni appaltanti di contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture saranno tenute a richiedere l'iscrizione
all'Anagrafe Unica presso la Banca dati nazionale dei
Contratti pubblici istituita presso l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici (e a tenere aggiornati i
dati immessi). Sarà l'Autorità a stabilire, poi, con una
propria delibera, le modalità operative e di funzionamento
della Anagrafe. L'inadempimento agli obblighi di iscrizione
e successivo aggiornamento è previsto che dia luogo alla
nullità degli atti adottati e alla responsabilità
amministrativa e contabile dei funzionari responsabili.
Defiscalizzazione per nuove infrastrutture
Sarà possibile la defiscalizzazione a favore del soggetto
realizzatore in partenariato pubblico-privato di nuove opere
pubbliche infrastrutturali (con progetto approvato entro il
31.12.2015 e di importo superiore a 500 milioni di euro) per
le quali non siano previsti contributi pubblici a fondo
perduto e per le quali sia certa la non sostenibilità del
piano economico finanziario. Si tratterà di un credito di
imposta a valere sull'Ires e sull'Irap direttamente generate
dalla costruzione e gestione dell'opera, nel limite del 50%
del costo dell'investimento. Per le stessa tipologia di
opere, e sempre in caso di non sostenibilità del piano
economico, è anche prevista l'esenzione dal pagamento del
canone di concessione nella misura necessaria al
raggiungimento dell'equilibrio del piano
economico-finanziario.
Contratti di rete
Alle aggregazioni di imprese che si basano sui contratti di
rete si prevede che siano applicabili le disposizioni
dell'articolo 37 del Codice dei contratti pubblici che, a
sua volta, detta le regole per la costituzione e il
funzionamento dei raggruppamenti temporanei di imprese e dei
consorzi ordinari di concorrenti. Ciò dovrebbe significare
che le imprese che hanno sottoscritto il contratto di rete
dovranno configurare la propria «aggregazione» secondo le
regole proprie di queste due tipologie di soggetti
raggruppati, quanto meno, quindi, secondo lo schema del
mandato con rappresentanza.
Qualificazione delle imprese
Fino al 31.12.2015 sarà possibile dimostrare il requisito
della cifra di affari realizzata in lavori (richiesta nelle
gare oltre i 20 milioni di euro) avendo riguardo a un
periodo di attività riferito ai migliori cinque anni del
decennio antecedente la data di pubblicazione del bando. Si
proroga di un anno il termine (oggi stabilito al 31.12.2012)
fino al quale, ai fini della verifica di congruità tra cifra
d'affari in lavori, costo delle attrezzature e costo del
personale dell'impresa (in sede di revisione triennale
dell'attestazione Soa), è ammessa la tolleranza del 50%
(invece che del 25%) e si procede alla riduzione della cifra
d'affari in misura pari al 50%.
Conferenze di servizi
Per il superamento del dissenso nelle conferenze di servizi,
si prevede che i partecipanti formulino soluzioni anche
volte a modificare il progetto originario e non si limitino
a esprimere dissenso, con la previsione aggiuntiva di una
ulteriore riunione di mediazione e di una ulteriore riunione
per definire comunque i punti di dissenso. Se non si trova
ancora una soluzione, è prevista l'adozione comunque di un
Dpcm con la decisione finale, con la partecipazione dei
presidenti delle regioni o delle province autonome
interessate.
Svincolo garanzie
La quota dell'importo della garanzia non svincolabile in
corso di esecuzione del contratto passa dal 25 al 20%
dell'iniziale importo garantito, consentendo quindi alle
imprese di avere un livello minore di impegni. Per le opere
in esercizio da oltre un anno, si prevede anche prima del
collaudo e a determinate condizioni, lo svincolo automatico
delle garanzie di buona esecuzione prestate a favore
dell'ente aggiudicatore, senza necessità di alcun benestare,
ferma restando una quota massima del 20% da svincolare
all'emissione del certificato di collaudo
(articolo ItaliaOggi del 13.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI - EDILIZIA
PRIVATA: Nella casella e-mail c'è il Durc.
Al via la consegna con posta elettronica certificata.
In una nota Inail le indicazioni per le
richieste. Si parte con le stazioni appaltanti.
Adesso il Durc viaggia anche per posta elettronica. Da
stamattina, infatti, si può chiedere all'Inail di ricevere
il documento unico di regolarità contributiva per posta
elettronica certificata (Pec), firmato digitalmente. Le
operazioni si effettuano tutte su internet
(www.sportellounicoprevidenziale.it), ma per ora sono
abilitati unicamente le stazioni appaltanti e le
amministrazioni procedenti in relazioni a imprese non edili.
Lo spiega, tra l'altro, l'Inail nella
nota
10.12.2012 n.
8798 di prot..
Il Durc via Pec. Il nuovo canale di consegna del Durc riceve
operatività da stamattina (12 dicembre). Infatti, da oggi è
disponibile la nuova versione dell'applicativo telematico
www.sportellounicoprevidenziale.it che consente di
richiedere all'Inail il recapito tramite Pec del Durc
firmato digitalmente. Il servizio, precisa l'Inail, sarà
operativo per le richieste effettuate a partire dal oggi
(sono esclusi, quindi, i Durc ancora da ricevere).
In sede
di prima applicazione, spiega l'Inail, i Durc trasmessi via
Pec sono soltanto quelli richiesti dalle stazioni appaltanti
e dalle amministrazioni procedenti; per gli altri soggetti,
l'Inail fa riserva di successive istruzioni. Per richiedere
il recapito del Durc tramite Pec da parte dell'Inail è
indispensabili il possesso di alcune condizioni (si veda
tabella).
Istruzioni operative. Per utilizzare il nuovo servizio di
recapito tramite Pec, i soggetti che sono in possesso di
un'utenza come «stazione appaltante/amministrazione
procedente» (Sa/Ap) devono verificare nel proprio profilo
anagrafico all'interno di sportellounicoprevidenziale:
●
che la struttura di appartenenza sia correttamente e
puntualmente identificata e, cioè, che sia specificato,
oltre alla denominazione dell'ente, sia
dipartimento/direzione che settore/ufficio/sede
● che l'indirizzo di Pec della struttura di appartenenza sia
inserito e sia corretto.
A tal fine, per aggiornare eventualmente i dati, dopo
l'accesso al sito, l'utente Sa/Ap deve seguire il percorso
«gestione anagrafiche», «stazioni appaltanti/amministrazioni
procedenti», inserire il dato e-mail Pec mancante o
modificare quello presente e, quindi, confermare
l'operazione. In mancanza degli aggiornamenti, qualora vi
siano più Sa/Ap facenti capo a uno stesso
ente/amministrazione, il Durc verrà recapitato all'indirizzo
Pec che risulta registrato.
Nel caso in cui la singola Sa/Ap
non sia dotata di un proprio indirizzo Pec, deve indicare
quello della struttura ad essa gerarchicamente sovraordinata,
fermo restando che, in tal caso, sarà onere di quest'ultima
struttura trasmettere il Durc ricevuto dallo a quella (Sa/Ap)
che ha effettuato la richiesta.
Come effettuare la richiesta. Per ricevere il Durc tramite
Pec, in fase di compilazione della richiesta, l'utente Sa/Ap,
dopo aver verificato che il campo «e-mail Pec» è
correttamente valorizzato, deve compilare la sezione (tab)
«Impresa» nel seguente modo:
► alla sezione «sede operativa», va selezionata la casella
«sede operativa coincidente con la sede legale»;
► alla sezione «recapito corrispondenza», va selezionata la
casella «Pec».
A conclusione della richiesta, nella sezione «inoltro», va
selezionato «Inail» come ente emittente. L'Inail sottolinea
che è opportuno verificare a video, prima della conferma e
dell'inoltro della pratica, l'esattezza dell'indirizzo Pec
al quale il Durc sarà recapitato.
Infine, l'Inail ricorda
che per ogni ulteriore informazione o per segnalare problemi
in ordine alla richiesta o al rilascio del Durc via Pec deve
essere utilizzata esclusivamente l'apposita funzione di
assistenza disponibile sul sito di «sportellounicoprevidenziale»
(link «assistenza» posto sul toolbar in alto alla homepage)
(articolo ItaliaOggi del 12.12.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Decreto enti locali. Cancellata la salvaguardia
degli incarichi. Per i ragionieri dei Comuni nuovi compiti e
meno tutele.
Una correzione di qua e un ritocco di là, alla
fine i responsabili finanziari degli enti locali incontrano
nella legge di conversione del decreto sui costi della
politica solo un deciso ampliamento dei loro compiti, ma
nessuna tutela aggiuntiva.
Nel maxiemendamento del Governo, infatti, si è persa per
strada la clausola di salvaguardia che mirava a metterli al
riparo da revoche "ingiustificate" dell'incarico,
magari dettate dal fatto che il loro ruolo rafforzato nelle
verifiche intralciasse troppo i programmi politici
dell'amministrazione. Una novità, quest'ultima, che fa
storcere il naso ai diretti interessati, e che denuncia
ulteriormente i problemi dettati dalla nuova architettura
dei controlli negli equilibri spesso delicati degli
organismi di vertice degli enti locali.
La prima versione della clausola, scritta nel testo
originario del decreto legge 174/2012 approvata dal Governo,
in un afflato centralista di problematica attuazione,
metteva addirittura i responsabili finanziari di Comuni e
Province sotto la tutela del Governo. Si prevedeva infatti
che l'incarico di responsabile del servizio finanziario
potesse essere revocato dal sindaco o dal presidente della
Provincia solo «in caso di gravi irregolarità»
riscontrate nell'esercizio delle sue funzioni; per avere
effetto, però, l'ordinanza di revoca avrebbe dovuto passare
un doppio vaglio centrale, da parte del ministero
dell'Interno e della Ragioneria generale dello Stato. Una
tutela, questa, che aveva fatto sollevare più di un dubbio
sulla sua costituzionalità, perché re-introduceva un
controllo centrale su enti che in base al Titolo V della
Costituzione sono equiordinati allo Stato.
Proprio su questo aspetto avevano agito gli emendamenti nel
primo passaggio parlamentare, che avevano sostituito la
tutela da parte di Viminale ed Economia con quella garantita
dal giudizio dell'organo interno di revisione, che avrebbe
dovuto avallare o meno la decisione del sindaco di mettere
alla porta il ragioniere capo.
La polemica, però, era scoppiata anche su un piano più
politico: i segretari generali, anch'essi investiti di nuovi
compiti nella macchina dei controlli interni, avevano
raccolto in pochi giorni oltre mille firme in fondo a una
petizione per chiedere tutele analoghe, mentre i sindaci si
erano detti contrari alla blindatura di un incarico che non
può prescindere da una base collaborativa e fiduciaria.
Risultato finale: i ragionieri-capo dovranno dare pareri su
tutti gli atti che possano incidere su equilibri di bilancio
e patrimonio, ma potranno essere revocati senza troppi
problemi (articolo Il Sole 24 Ore
dell'11.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
aggiornamento all'11.12.2012 |
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CONDOMINIO:
Condomini, gestione in chiaro. L'amministratore
deve garantire trasparenza finanziaria.
Dalla tenuta dei registri al conto corrente: i nuovi
obblighi introdotti dalla riforma.
L'amministratore condominiale fa il
pieno di competenze. Sono, infatti, numerosi gli obblighi,
nuovi, rimodulati o semplicemente codificati, addossati a
questa figura dalla legge di riforma della disciplina
condominiale.
Eccoli in sintesi.
Obblighi di comunicazione ai condomini e di affissione delle
generalità in un luogo di pubblico accesso. In caso di
nomina e per ogni successivo mandato, c'è l'obbligo per
l'amministratore di comunicare ai condomini i propri dati
anagrafici e professionali, il proprio codice fiscale e,
qualora si tratti di società, la denominazione e la sede
legale della stessa, l'indirizzo dei locali in cui si
trovano i registri di cui ai numeri 6) e 7) dell'art. 1130
c.c. (registro dell'anagrafe condominiale, registro dei
verbali dell'assemblea, registro di nomina e revoca
dell'amministratore, registro di contabilità), nonché dei
giorni e delle ore nelle quali ciascun condomino interessato
può accedere a detti locali ed estrarre copia (firmata
dall'amministratore) dei predetti documenti (previa
richiesta a quest'ultimo e con rimborso della spesa). È poi
evidente come sia di pubblico interesse poter risalire con
immediatezza al nominativo e al recapito del soggetto
chiamato per legge a rappresentare il condominio nei
rapporti con i terzi. Ebbene, d'ora in avanti anche
l'amministratore avrà l'obbligo di esporre in uno spazio
accessibile ai terzi una targhetta con le proprie
generalità.
Obbligo di stipulare apposita polizza assicurativa per la
responsabilità professionale e di comunicarne gli estremi ai
condomini. L'amministratore, al momento dell'accettazione
della nomina, se previsto dall'assemblea, deve anche
presentare ai condomini una polizza individuale di
responsabilità civile per gli atti compiuti nell'esercizio
del mandato. L'amministratore è tenuto ad adeguare i
massimali della polizza se nel periodo del suo incarico
l'assemblea abbia deliberato lavori straordinari. Tale
adeguamento non deve essere però inferiore all'importo di
spesa deliberato e deve essere effettuato contestualmente
all'inizio dei lavori.
Obbligo di aprire un conto corrente condominiale e di far
transitare esclusivamente su quest'ultimo le entrate e le
uscite condominiali. Anche questa disposizione risponde a
un'esigenza di elementare trasparenza nell'amministrazione
delle somme di denaro di proprietà altrui. A detto conto
corrente, che potrà essere sia bancario sia postale, avranno
ovviamente diritto di accesso tutti i condomini. L'accesso
dovrà comunque essere intermediato dall'amministratore.
Obbligo di consegna della documentazione condominiale o di
singoli condomini alla cessazione dell'incarico. Viene
ulteriormente ribadito, anche in sede normativa, l'obbligo
dell'amministratore di passaggio delle consegne alla
cessazione dell'incarico. Detto obbligo potrà essere assolto
mediante consegna della documentazione condominiale o di
singoli condomini sia a questi ultimi sia al nuovo
amministratore designato dall'assemblea. Viene poi
ulteriormente specificato che l'amministratore dimissionario
resta comunque tenuto ad adottare eventuali interventi
urgenti nell'interesse delle parti comuni anche dopo la
cessazione dell'incarico, qualora non possa utilmente
attivarsi il nuovo amministratore (ad esempio, perché non
ancora nominato dall'assemblea), senza diritto a ulteriore
compenso.
Obbligo di riscuotere le somme dovute dai condomini. Viene
poi introdotto l'obbligo dell'amministratore di riscuotere
quanto dovuto dai condomini alle casse comuni entro il
termine di sei mesi dalla chiusura dell'esercizio contabile
nel quale è compreso il credito vantato. L'intervento
dell'assemblea, lungi dal costituire una condizione per il
recupero forzoso dei crediti condominiali, può invece
sollevare l'amministratore da detto obbligo normativo. Detto
obbligo va correlato a quanto specificamente previsto in
tema di morosità condominiale dall'art. 63 disp. att. c.c.
Obbligo di specificare l'ammontare del compenso al momento
della nomina. Per evitare possibili contenziosi in materia,
la legge di riforma ha previsto di obbligare
l'amministratore a dichiarare espressamente, a pena di
nullità della nomina stessa, l'ammontare del compenso
richiesto sia in occasione della prima nomina sia per i
successivi rinnovi del mandato biennale. Solitamente sarà la
deliberazione assembleare di nomina a specificare
l'ammontare del compenso richiesto dall'amministratore e
accettato dall'assemblea.
Obblighi contabili. L'art. 1130-bis c.c. prevede un
rendiconto condominiale annuale che dovrà predisposto
dall'amministratore e contenere una serie di specifiche voci
contabili indispensabili alla ricostruzione e al controllo
della gestione dell'amministratore da parte di ogni
condomino. In particolare, si prevedono come elementi
imprescindibili del rendiconto: il registro di contabilità,
il riepilogo finanziario e una relazione accompagnatoria,
esplicativa della gestione annuale, con l'indicazione anche
dei rapporti in corso e delle questioni pendenti (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.12.2012). |
APPALTI:
Contratti d'appalto, alcune accortezze per
evitare errori. Le clausole che
impongono un periodo di prova possono influenzare il calcolo
del reddito.
Solo l'accettazione rende certo il ricavo degli appalti. Le
clausole contrattuali che impongono dopo l'accettazione un
periodo di prova possono avere influenza nel calcolo del
reddito imponibile. Se già normalmente l'individuazione del
periodo di competenza crea non pochi problemi ai
contribuenti, gli stessi sono addirittura amplificati nel
caso in cui oggetto dei rapporti è un contratto di appalto.
Sul punto vi sono alcune prese di posizioni della prassi che
possono fornire un aiuto al fine di evitare errori.
La risoluzione n. 133/E del 26.09.2005 dell'agenzia delle
entrate ha analizzato una ipotesi di appalto di opere
pubbliche in cui una società che aveva per oggetto
l'esecuzione di lavori edili e stradali in appalto con
committenti sia pubblici che privati e sia italiani che
esteri. Punto fondamentale (anche se non unico) dell'istanza
era quello di individuare il momento in cui i lavori svolti
potevano considerarsi ultimati così da individuare la
competenza fiscale dei proventi e degli oneri in forza di
quanto richiesto dall'art. 109, comma 2, lett. b), del Tuir.
Lo stesso prevede che «i corrispettivi delle prestazioni
di servizi si considerano conseguiti, e le spese di
acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data
in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle
dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e
altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici,
alla data di maturazione dei corrispettivi».
Nel caso di specie ci si riferiva al momento in cui potranno
considerarsi ultimate le opere nel caso di appalti pubblici
disciplinati dalla cosiddetta legge Merloni (legge
11.02.1994, n. 109) le cui previsioni sono state ritenute
decisive al fine di individuare la soluzione del caso
concreto.
In particolare l'articolo 28 prevede che, entro sei mesi
dall'ultimazione dei lavori, l'amministrazione pubblica
committente faccia collaudare l'opera secondo le modalità
previste dal regolamento di attuazione il quale detta una
disciplina molto dettagliata del procedimento di collaudo.
L'art. 199 prevede che l'organo di collaudo nel caso di
risultato positivo debba emettere il certificato di collaudo
che però ha carattere provvisorio e diviene definitivo solo
decorsi due anni dalla sua emissione (o in altro termine
stabilito dal capitolato). Qualora invece il collaudatore
non ritenga collaudabile l'opera eseguita dall'appaltatore,
il certificato di collaudo provvisorio non è emesso.
Secondo l'agenzia però «è possibile affermare che la
“consegna”, nell'accezione giuridica del termine, e
accettazione dell'opera, siano ricollegabili alla
conclusione del procedimento relativo all'emissione del
certificato di collaudo provvisorio, e in particolare al
momento in cui, in esito alla procedura, sorge il diritto
alla liquidazione del corrispettivo e resta a carico
dell'appaltatore solo la garanzia per vizi e difformità
dell'opera, cessando tutte altre garanzie tipiche del
contratto, mentre il rischio per il perimento dell'opera si
trasferisce in capo al committente».
In tal modo vi è un'anticipazione rispetto alla definitiva
conclusione della commessa ma in effetti la soluzione pare
conforme al reale volontà che può desumersi dalla lettura
della regole fiscale.
Secondo l'agenzia la procedura di collaudo è unica e si
esaurisce con la deliberazione sull'ammissibilità del
certificato di collaudo provvisorio da parte della stazione
appaltante. Tanto è vero che il collaudo definitivo può
anche essere omesso e può anche essere parificato (in
qualche modo) a quanto previsto dall'art. 1667 del codice
civile che fissa (anch'esso) in due anni dalla data della
consegna e accettazione dell'opera, il termine di
prescrizione dell'azione del committente nei confronti
dell'appaltatore nel caso di difformità e vizi dell'opera,
specificando che essa vale solo con riferimento alle
difformità e vizi non conosciuti e non riconoscibili e
purché denunciati a pena di decadenza entro sessanta giorni
dalla scoperta.
Nella conclusione della risoluzione n. 133/E si afferma che
«ai fini dell'applicazione dell'art. 93, comma 5, del
Tuir, l'opera si debba considerare ultimata al momento in
cui risulta avvenuta la sua “consegna” al committente nei
termini sopra indicati, a conclusione del procedimento
relativo all'emissione del certificato di collaudo
provvisorio disciplinato dal dpr n. 554 del 1999. In tale
momento sussistono tutti gli elementi (ultimazione dei
lavori, consegna delle opere, certezza e determinabilità dei
ricavi) per far partecipare alla determinazione del reddito
il corrispettivo pattuito per l'opera completata» (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.12.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Attività di vendita. Irrilevante il compenso.
No al doppio lavoro per i dipendenti Pa.
Il dipendente pubblico non può esercitare attività di
vendita anche se collabora soltanto al commercio come
commesso, presso il negozio di una parente, con o senza
compenso, e persino in modo discontinuo è soggetto a
licenziamento.
In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez.
lavoro, con la sentenza n. 20857/2012.
Il caso è relativo a una lavoratrice che, a volte durante il
normale orario di lavoro e talora durante l'assenza per
malattia, collaborava alla vendita nella struttura della
sorella.
Accertato il fatto, la Regione l'ha licenziata, accusandola
di aver violato il divieto assoluto di cumulo di impieghi e
di incarichi lavorativi in costanza di rapporto di lavoro
subordinato con datore pubblico.
L'impiegata ha fatto ricorso prima al tribunale e poi alla
corte d'appello, ma ha perso in entrambi i giudizi. Si è
rivolta, quindi, alla Cassazione, sostenendo che la sentenza
di secondo grado non aveva tenuto presente che lei aveva
prestato attività in modo non continuativo e non remunerato,
sostando, per qualche ora nel negozio della sorella. Poi ha
portato a sostegno la giurisprudenza secondo cui è lecita la
partecipazione in società agricole a conduzione familiare,
qualora l'impegno sia modesto, non abituale o continuato.
La Cassazione ha messo in evidenza come i giudici di merito
abbiano rilevato che la dipendente pubblica si era trovata
nel negozio sia in orario lavorativo che extralavorativo e
che essi, correttamente, non hanno valutato rilevante
l'attribuzione o meno di compenso per l'attività di vendita.
I giudici di legittimità sottolineano, quindi, che il
legislatore (articolo 60 del Testo Unico 3/1957 sulle
incompatibilità, richiamato dall'articolo 53, comma 1, del
Dlgs 165/2001) considera illecito l'esercizio, da parte
dell'impiegato pubblico, di commercio, industria o
professione, senza far riferimento alla retribuzione e che
la contrattazione collettiva pone il divieto di attendere ad
occupazioni estranee al servizio. Proprio nella lineare
interpretazione di queste regole spicca il profilo giuridico
di originalità e di maggiore interesse di questa sentenza:
il divieto di vendere è, per il dipendente pubblico,
assoluto, a prescindere del fatto che la prestazione sia
remunerata o continuativa (articolo
Il Sole 24 Ore del 10.12.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 10.12.2012 |
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VARI: Incandidabilità ampia.
Fuori dalle assemblee anche chi patteggia.
Cosa prevede lo schema di decreto sulle
liste pulite appena varato.
Parlamentari e ministri incandidabili per gravi reati di
mafia e per reati contro la pubblica amministrazione.
Lo
prevede lo schema di decreto legislativo attuativo della
legge 190/2012, approvato giovedì dal Consiglio dei
ministri, precisando che starà fuori dalle assemblee e dai
governi nazionali e locali anche chi patteggia.
Parlamentari e ministri.
Sono incandidabili a deputato e senatore coloro che abbiano
riportato condanne definitive alla pena della reclusione
superiore a due anni per i delitti distrettuali e cioè
quelli di maggiore allarme sociale (associazione mafiosa,
sequestro di persona, gravi reati di droga e in materia
ambientale, delitti con finalità di terrorismo). Lo stesso
vale per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione (peculato, concussione, corruzione, abuso
d'ufficio, omissione atti d'ufficio).
Portano all'incandidabilità
anche ulteriori delitti la cui pena edittale massima è
superiore a tre anni di reclusione. Le disposizioni sull'incandidabilità
dei parlamentari valgono anche per l'assunzione ed allo
svolgimento di un incarico di governo. Prima di assumere le
funzioni di presidente del Consiglio o di ministro, si dovrà
dichiarare al presidente della Repubblica, di non trovarsi
nella condizione ostativa. Viceministri, sottosegretario di
Stato e commissario straordinari del Governo renderanno la
dichiarazione al presidente del Consiglio.
Governi e consiglieri regionali. Riprese le norme in vigore
aggiungendo quali cause ostative i reati distrettuali e
ampliando il catalogo dei delitti contro la p.a. come
modificato a seguito della legge n. 190/2012. L'elenco dei
ricomprende le condanne definitive per i delitti di
competenza delle procure distrettuali senza però il richiamo
al limite della pena in concreto erogata (superiore a due
anni), stabilita invece per l'incandidabilità dei
parlamentari nazionali. Questa scelta si motiva per il fatto
che attualmente la legge n. 55/1990 prevede l'incandidabilità
per i gravi reati, indipendentemente dalla pena in concreto
erogata.
Enti locali. Oltre a una ricognizione della normativa
vigente in materia di incandidabilità negli enti locali, il
decreto introduce ulteriori ipotesi di incandidabilità per
delitti di grave allarme sociale, parificandole a quelle
previste per il livello politico nazionale e regionale.
Sono, dunque, ampliate le ipotesi di incandidabilità con il
richiamo ai delitti distrettuali di grave allarme sociale e
ai delitti contro la pubblica amministrazione
Durata. Per l'incandidabilità «politica» la durata è
connessa al periodo di interdizione temporanea dai pubblici
uffici stabilita, come pena accessoria, con la sentenza di
condanna.Per la durata delle incandidabilità regionali e
locali, l'incandidabilità è senza termine, ed eliminabile
solo con la riabilitazione.
Patteggiamento. Tutte le ipotesi di incandidabilità operano
anche nel caso di patteggiamento della pena. Questo vale
solo per le sentenze pronunciate successivamente all'entrata
in vigore del testo unico, con riferimento alle nuove
incandidabilità: quindi per tutte quelle previste per
deputati e senatori e per quelle che si aggiungono a livello
regionale e locale
(articolo ItaliaOggi dell'08.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Controlli double face sugli enti.
Più poteri alla Corte conti. Verifiche interne scaglionate.
Approvato in via definitiva il dl
salva-enti con il giro di vite sulle spese delle regioni.
Più oneri sulla Corte dei conti e una tabella di marcia più
«rilassata» (soprattutto in materia di bilancio consolidato
e controlli sulle partecipate) per quanto riguarda i
controlli interni.
Si muovono lungo queste due direttrici le
novità introdotte nel corso dell'iter parlamentare al
decreto legge n. 174/2012 (cosiddetto «salva-enti locali» o
«costi della politica» come è stato ribattezzato visto che è
stato emanato all'indomani degli scandali che hanno travolto
le amministrazioni regionali di Lombardia e Lazio),
approvato ieri in via definitiva dalla camera con 268 sì, un
solo no e 153 astensioni (quelle di gran parte dei deputati
del Pdl dopo che giovedì il partito guidato da Angelino
Alfano ha deciso di uscire dalla maggioranza che sostiene il
governo Monti).
Il dl 174, nel testo emendato dalla camera prima e poi dal
senato, rafforza i poteri di controllo della Corte dei conti
sui bilanci preventivi e sui rendiconti degli enti locali.
Saranno posti ai raggi X il rispetto del Patto di stabilità
interno, l'osservanza dei limiti di indebitamento e la
sostenibilità finanziaria dell'ente. In caso di violazioni i
sindaci o i presidenti dovranno adottare provvedimenti per
rimuovere le irregolarità entro 60 giorni che dovranno
essere trasmessi alla magistratura contabile. La Corte li
esaminerà nei successivi 30. Se l'ente non provvede alla
trasmissione o la verifica da parte della Corte darà esito
negativo, le amministrazioni non potranno più spendere.
Le sezioni regionali della Corte dei conti verificheranno
con cadenza semestrale le regolarità delle gestioni. I
sindaci dei comuni con più di 15.000 abitanti e i presidenti
di provincia dovranno trasmettere ogni sei mesi un referto
sulla regolarità della gestione sulla base delle linee guida
approvate dalla Corte conti. Il bilancio consolidato e il
controllo della qualità dei servizi erogati partiranno dal
2013 solo negli enti con più di 100.000 abitanti. Dal 2014
l'asticella si abbasserà a 50.000 abitanti e solo nel 2015 a
15.000 abitanti. La stessa tempistica si applicherà ai
controlli sulle partecipate non quotate e alla definizione
di metodologie di controllo strategico finalizzate alla
rilevazione dei risultati conseguiti rispetto agli
obiettivi. La funzione di controllo strategico potrà essere
esercitata in forma associata.
Nella parte dedicata alle regioni (i primi due articoli) il
provvedimento, pur con un dietrofront rispetto al testo
iniziale (che introduceva i controlli preventivi di
legittimità da parte della Corte dei conti sugli atti dei
governatori), introduce significative novità sottoponendo i
preventivi e consuntivi regionali al controllo dei
magistrati contabili che dovranno verificare la rispondenza
col Patto di stabilità. La Corte dei conti passerà ai raggi
X anche le partecipazioni in società controllate. Tra le
novità introdotte al senato si segnala la chance, prevista
per le regioni che abbiano adottato il piano di
stabilizzazione finanziaria (per il momento solo la
Campania), di chiedere entro il 15 dicembre un'anticipazione
di cassa da destinare al pagamento della spesa corrente nei
limiti di 50 milioni per il 2012 (si veda ItaliaOggi del 30
novembre).
Per gli enti locali in dissesto e che si trovino in
condizione di grave indisponibilità di cassa è prevista la
possibilità di chiedere un anticipo pari a 5/12 delle
entrate per la durata di sei mesi. I comuni che accedono al
fondo anti-dissesto potranno ricevere un contributo di 300
euro per abitante. Le province avranno 20 euro per abitante.
Al fondo potranno accedere tutti i comuni (è stata soppressa
la norma che riservava l'accesso al fondo solo ai comuni con
più di 20.000 abitanti). I comuni sciolti per mafia e in cui
sussistono squilibri strutturali di bilancio potranno
chiedere un'anticipazione di 200 euro per abitante nel
limite massimo di 20 milioni l'anno.
La stretta sui costi della politica regionale impone ai
governatori di:
●
ridurre le indennità di funzione dei consiglieri e degli
assessori nonché l'assegno di fine mandato
● prevedere il divieto di cumulo di indennità o emolumenti
● pubblicizzare i redditi degli eletti
● definire gli importi dei contributi in favore dei gruppi
consiliari
●
erogare pensioni e vitalizi agli ex presidenti, assessori e
consiglieri solo a chi abbia compiuto i 66 anni di età e
abbiano ricoperto l'incarico per non meno di 10 anni anche
non continuativi. I governatori dovranno adeguarsi a queste
prescrizioni entro il 23 dicembre o entro sei mesi
dall'entrata in vigore della legge di conversione del dl 174
pena la perdita dell'80% dei trasferimenti non destinati a
finanziare il Ssn e il Tpl
(articolo ItaliaOggi dell'08.12.2012). |
APPALTI: DECRETO
CRESCITA/ Le imprese pagano per i bandi.
Costi di pubblicazione dell'ente rimborsati da chi vince.
Il meccanismo entrerà in vigore il
1° gennaio prossimo.
Dal 01.01.2013 le spese per la pubblicazione sui
quotidiani dei bandi e degli avvisi di gara saranno
rimborsate alla stazione appaltante dall'affidatario del
contratto; rimane sempre ferma la disciplina prevista nel
Codice dei contratti pubblici che obbliga anche dopo il 1°
gennaio le stazioni appaltanti a pubblicare i bandi e gli
avvisi, oltre che sulla Gazzetta Ufficiale, sul proprio sito
internet e su quello del ministero delle infrastrutture e
dell'Osservatorio dell'Autorità, anche per estratto su
quotidiani a diffusione nazionale e locale.
È questo il quadro che si ricava alla luce del comma 35
dell'articolo 34 del decreto legge 179/2012, introdotto con
il maxi-emendamento predisposto dal governo e sul quale è
stata votata ieri la fiducia.
La norma prende in considerazione soltanto l'onere di
pubblicità sui quotidiani di bandi e avvisi di gara che fa
capo alle stazioni appaltanti e che riguarda la
pubblicazione per estratto, ai sensi dell'articolo 66, comma
7, del Codice dei contratti pubblici, su due quotidiani a
diffusione nazionale e due a diffusione locale, se si tratta
di contratti di rilevanza comunitaria (ai sensi
dell'articolo 122, comma 5, del Codice, su un quotidiano a
diffusione nazionale e locale, se il contratto è al di sotto
delle soglie di applicazione della normativa comunitaria).
In sostanza il nuovo comma 35 dell'articolo 34 del
provvedimento stabilisce che a partire dai bandi e dagli
avvisi pubblicati successivamente al 01.01.2013, le
spese per la pubblicazione per estratto sui quotidiani
previste dalle norme del Codice (i citati articoli 66, comma
7 e 122, comma 5) «sono rimborsate alla stazione appaltante
dall'aggiudicatario, entro il termine di 60 giorni
dall'aggiudicazione».
La norma ha due effetti, ma lascia aperto un dubbio
interpretativo che dovrebbe essere in qualche modo risolto.
Il primo effetto è quello di confermare a chiare lettere che
anche dal 1° gennaio 2013 le stazioni appaltanti sono
comunque tenute alla pubblicazione sui quotidiani dei bandi
e degli avvidi di gara per estratto. Da ultimo, e prima
dell'approvazione della legge «anticorruzione», il dubbio
poteva infatti esservi. Nel 2009, infatti, il comma 5
dell'articolo 32 della legge n. 69/2009 aveva stabilito che
proprio a decorrere dal 1° gennaio 2013, le pubblicazioni
effettuate in forma cartacea non avessero più «effetto di
pubblicità legale, ferma restando la possibilità per le
amministrazioni e gli enti pubblici, in via integrativa, di
effettuare la pubblicità sui quotidiani a scopo di maggiore
diffusione, nei limiti degli ordinari stanziamenti di
bilancio». Con tutta probabilità, quindi, la pubblicazione
sui quotidiani sarebbe sparita. Con la recente legge 06.11.2012, n. 190 («anticorruzione») il legislatore ha
però previsto una disposizione «di salvezza» delle norme in
materia di pubblicità contenute nel Codice dei contratti
pubblici. In sostanza, quindi, l'aver fatte salve le due
norme del Codice dei contratti pubblici (vedi ItaliaOggi del
30.11.2012, pag. 35) ha significato implicitamente
abrogare la norma che avrebbe fato perdere efficacia legale
alla pubblicità sui quotidiani a decorrere da inizio 2013.
Appare evidente, adesso, che la disposizione del decreto
legge sulla crescita, nel testo del maxi-emendamento, nel
prendere atto della norma della legge 190/2012, non fa altro
che confermare l'obbligo di pubblicità sui quotidiani
occupandosi però di venire incontro alle difficoltà di
bilancio delle stazioni appaltanti.
Il secondo effetto è, appunto, quello di sollevare le
finanze delle amministrazioni che, seppure dovranno
sopportare inizialmente le spese di pubblicazione, si
vedranno rimborsare tali spese dall'aggiudicatario del
contratto dopo due mesi dall'aggiudicazione. Una sorta di
spending review sulle spalle delle imprese.
Il dubbio interpretativo riguarda il fatto che, dal tenore
letterale della norma, non si desume se e come chi partecipa
alla gara avrà contezza dei costi già sostenuti dalla
stazione appaltante, il che farà una certa differenza
soprattutto quando le gare sono al massimo ribasso.
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Le stazioni appaltanti dovranno iscriversi all'Anagrafe
unica.
Le stazioni appaltanti dovranno iscriversi all'anagrafe
unica istituita presso la Banca dati dei contratti pubblici,
gestita dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici, che dovrebbe essere attivata entro il 01.01.2013; in caso di inadempimento dell'obbligo di iscrizione
scatta la nullità degli atti e la responsabilità
amministrativa e contabile del funzionario responsabile.
È
questa una delle principali novità contenuta nel testo del
maxi-emendamento al decreto legge 179, presentato dal
governo e sul quale l'aula del senato ha votato ieri la
fiducia. Si tratta di una assolta novità l'istituzione
presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture dell'anagrafe unica delle
stazioni appaltanti alla quale obbligatoriamente ogni
stazione appaltante dovrà iscriversi.
La norma precisa
infatti che le stazioni appaltanti di contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture saranno tenute a richiedere
l'iscrizione all'anagrafe unica presso la banca dati
nazionale dei Contratti pubblici istituita ai sensi
dell'articolo 52-bis del codice dell'amministrazione
digitale di cui al decreto legislativo 07.03.2005 n. 82.
In sostanza ciò significa che prima dovrà essere attiva la
banca dati nazionale dei contratti pubblici (che dovrebbe
partire il 01.01.2013, quanto meno per gli affidamenti
di rilievo superiore alla soglia comunitaria, stando ad
alcune indiscrezioni filtrate nelle ultime settimane) e poi
le amministrazioni potranno iscriversi.
Sarà l'Autorità di
vigilanza presieduta da Sergio Santoro a dettare, poi, con
una propria delibera, le modalità operative e di
funzionamento della anagrafe. Gli obblighi per le
amministrazioni non si esauriscono però nella mera
iscrizione all'anagrafe, perché esse dovranno anche
procedere, ogni anno, all'aggiornamento dei rispettivi dati
identificativi. L'inadempimento di questi obblighi è
previsto che dia luogo alla nullità degli atti adottati e
alla responsabilità amministrativa e contabile dei
funzionari responsabili.
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Nulla di fatto per le modifiche alla responsabilità solidale.
Nulla di fatto per la responsabilità solidale negli appalti:
rimane la disciplina attuale; ammessi i contratti di rete
nelle gare di appalto; salta all'ultimo momento l'estensione
della disciplina sui crediti di imposta per le
infrastrutture in PPP di importo superiore a 100 milioni e
per quelle già aggiudicate. È quanto emerge dal testo del
maxi-emendamento approvato dal senato che proprio per il
settore delle infrastrutture in project financing compie
alcuni significativi passi indietro.
Si parlava, con alcuni emendamenti dei relatori, di due
modifiche alla disciplina sui crediti di imposta: la
riduzione da 500 a 100 milioni della soglia minima di
applicazione e della possibilità di utilizzarli anche per le
opere aggiudicate. Le due modifiche sono però saltate e
tutto invariato. Stessa sorte per la proposta di esclusione
del settore degli appalti pubblici dalla disciplina sulla
responsabilità solidale fiscale; anche in questo caso la
norma non compare più nel testo finale.
Rappresenta invece
una novità, peraltro presa dal disegno di legge
semplificazioni-bis, riguarda i cosiddetti contratti di rete
stipulati fra aggregazioni di imprese ai sensi dell'articolo
3, comma 4-ter, del decreto legge 10.02.2009, n. 5,
convertito, con modificazioni, dalla legge 09.04.2009, n.
33.
La norma approvata ieri stabilisce che alle aggregazioni
che si basano su questi contratti si applicano le
disposizioni dell'articolo 37 del Codice dei contratti
pubblici che, a sua volta, detta le regole per la
costituzione e il funzionamento dei raggruppamenti
temporanei di imprese e dei consorzi ordinari di
concorrenti. Ciò dovrebbe significare che le imprese che
hanno sottoscritto il contratto di rete dovranno configurare
la propria «aggregazione» secondo le regole proprie di
queste due tipologie di soggetti raggruppati, quanto meno,
quindi, secondo lo schema del mandato con rappresentanza.
Infine per far fronte ai pagamenti per lavori e forniture
già eseguiti, l'Anas potrà utilizzare le risorse dell'ex
Fondo centrale di garanzia, nel limite di 400 milioni di
euro
(articolo ItaliaOggi del 07.12.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Congedi parentali anche a ore.
Nei ccnl le modalità per fruire dei permessi ai genitori.
La novità nel decreto legge
salva-infrazioni che è stato approvato ieri dal governo.
I congedi parentali potranno essere utilizzati anche a ore e
non solo su base giornaliera. Sarà la contrattazione
collettiva a definire le modalità di fruizione del congedo
nonché i criteri di calcolo della base oraria e
l'equiparazione di un determinato monte ore alla singola
giornata lavorativa.
È una delle tante disposizioni
contenute nel decreto legge salva-infrazioni, varato ieri
dal consiglio dei ministri per provare a salvare, appunto,
l'Italia dalle numerose procedure, aperte o possibili, da
parte dell'Unione europea.
I temi affrontati dal decreto spaziano dal lavoro al fisco,
dalla sanità all'ambiente. Sul fronte fiscale, si prevedono,
tra l'altro, l'unificazione dei criteri del momento di
effettuazione delle operazioni intraUe, lo stop alla
fatturazione dei pagamenti anticipati e la ridefinizione
degli adempimenti negli scambi intracomunitari. E ancora, lo
stop per i comuni alla possibilità di ampliare l'oggetto dei
contratti per la riscossione locale affidando ai
concessionari nuovi ambiti di business senza indire gare, ma
semplicemente rinegoziando i rapporti in essere.
Da
segnalare, ancora le modifiche alla normativa del quadro RW
sui beni all'estero: la previsione di una sanzione di 258
euro per chi presenta il quadro RW entro i 90 giorni
successivi alla scadenza dei termini di Unico, riduzione dal
5 al 3% della sanzione minima per l'omessa dichiarazione
degli investimenti esteri che raddoppia se i predetti
investimenti sono situati in black list, completa scomparsa
della sezione III del quadro relativo al monitoraggio
fiscale.
Accordo Italia-San Marino. Via libera del governo anche alla
Convenzione tra Italia e San Marino per evitare le doppie
imposizioni in materia di imposte sul reddito e per
prevenire le frodi fiscali (si veda ItaliaOggi del 4
dicembre). Si tratta di un ulteriore tassello della già
vasta rete di strumenti analoghi per evitare le doppie
imposizioni stipulati dall'Italia. In particolare, l'accordo
con San Marino permette di creare un valido quadro
giuridico-economico di riferimento per gli operatori
economici italiani, ed allo stesso tempo garantisce
l'interesse generale dell'Amministrazione finanziaria
italiana. La struttura della Convenzione ricalca gli schemi
più recenti accolti sul piano internazionale dall'Ocse, con
particolare riferimento allo scambio di informazioni fiscali
ed al superamento del segreto bancario
Contributi agli uffici giudiziari. Il consiglio dei ministri
ha approvato in via preliminare un provvedimento che
introduce alcune modificazioni al procedimento per la
concessione dei contributi alle spese di funzionamento degli
uffici giudiziari in favore dei comuni presso i quali questi
uffici hanno sede. Il meccanismo attuale di rimborso delle
spese (disciplinato dalla legge n. 392 del 1941 e dal dpr n.
187 del 1998) prevede l'erogazione di un anticipo all'inizio
di ogni esercizio finanziario, pari al 70% del contributo
erogato nell'anno precedente, e un successivo saldo a
consuntivo, entro il 30 settembre di ogni anno. Il nuovo
intervento rende la spesa più facilmente controllabile da
parte dell'amministrazione della giustizia e incentiva
prassi virtuose di gestione dei flussi finanziari attraverso
la destinazione dei risparmi ottenuti in favore degli enti
locali interessati.
Piano dei conti integrato delle p.a. Il consiglio ha
approvato un provvedimento che riguarda le modalità di
adozione del piano dei conti integrato delle amministrazioni
pubbliche. L'articolo 4 del decreto legislativo n. 91 del 31
maggio (disposizioni di attuazione dell'articolo 2 della
legge 196 del 2009, in materia di adeguamento ed
armonizzazione dei sistemi contabili) ha disposto che le
amministrazioni pubbliche che utilizzano la contabilità
finanziaria sono tenute ad adottare un comune piano dei
conti integrato, costituito da conti che rilevano le entrate
e le spese in termini di contabilità finanziaria e in
termini di contabilità economico-patrimoniale e da conti
economico-patrimoniali. Tale piano deve essere redatto dalle
p.a. (a eccezione dei ministeri e degli enti territoriali)
secondo comuni criteri di contabilizzazione indicati dal
provvedimento. All'esito dell'adozione del piano dei conti
integrato sarà effettuata una sperimentazione di due anni,
che consentirà alle amministrazioni aderenti di verificare
l'effettiva rispondenza del nuovo assetto contabile
Referendum. Si voterà il 10 e l'11.02.2013 nei
territori che hanno chiesto il distacco dalla regione di
appartenenza. Si tratta, in particolare, della provincia di
Piacenza che ha chiesto il distacco dall'Emilia Romagna e
l'aggregazione alla Lombardia, e dei comuni veneti di Arsiè,
di Canale d'Agordo, di Cesiomaggiore, di Falcade, di Feltro,
di Gosaldo e di Roccapietone (Belluno) che hanno invece
chiesto il distacco dal Veneto per passare al Trentino-Alto
Adige/Sudtirol
(articolo ItaliaOggi del 07.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Enti associati, revisione doc.
Collegi nelle unioni che svolgono funzioni fondamentali.
Il maxiemendamento al dl 174 sui costi della
politica ha corretto la formulazione.
Il nuovo assetto dell'organo di revisione
economico-finanziaria, con la previsione di un collegio
composto da tre membri chiamati a operare anche nei comuni
associati, riguarda solo le unioni che esercitano in forma
associata tutte le funzioni fondamentali comunali.
Il maxiemendamento al disegno di legge di conversione del dl
174/2012 approvato in settimana dal senato, infatti,
corregge la formulazione del nuovo art. 234, comma 3-bis,
del Tuel uscita dalla camera.
Il testo precedente disponeva che «Nelle unioni di comuni la
revisione economico-finanziaria è svolta da un collegio di
revisori composto da tre membri, che svolge le medesime
funzioni anche per i comuni che fanno parte dell'unione».
Il riferimento, quindi, era a tutte le unioni e non solo a
quelle costituite dai piccoli comuni per assolvere
all'obbligo di gestione in forma associata delle funzioni
fondamentali.
Dopo il passaggio a palazzo Madama, invece, la portata della
novità è stata circoscritta alle sole unioni di comuni
«totalitarie», siano esse speciali (ex art. 16 del dl
138/2011), ovvero classiche (ex art. 32 del Tuel).
Sebbene nulla vieti che anche i comuni di dimensioni
medio-grandi associno la generalità del proprio «core
business», è evidente che il legislatore mira soprattutto a
quelli sotto i 5.000 abitanti (3.000 in montagna), i quali,
entro la fine del 2013 (salvo proroghe) dovranno gestire in
comunione tutte le nove funzioni fondamentali individuate
dall'art. 19, comma 1, del dl 95/2012.
Anche i piccoli comuni, peraltro, potranno agevolmente
aggirare la nuova norma, optando per il modello della
convenzione (art. 30 del Tuel), anche solo per gestire
alcune delle predette funzioni.
Ricordiamo, infatti, che l'art. 14, comma 29, del dl 78/2010
si limita a sancire il divieto di svolgere la medesima
funzione mediante più di una forma associativa, mentre
l'art. 32 del Tuel impedisce al singolo comune di far parte
di più di un'unione. Nulla osta, invece, alla possibilità di
aderire ad un'unione conferendo ad essa solo alcune funzioni
e gestendo le altre mediate convenzione.
In tali casi, l'obbligo di passare dall'attuale revisore
monocratico al collegio e di assegnare a quest'ultimo anche
la vigilanza dei conti dei comuni associati non si applica.
È stata, invece, confermata la disposizione in base alla
quale, all'atto della costituzione del nuovo collegio dei
revisori delle unioni di comuni di cui all'articolo 234,
comma 3-bis, del Tuel (ovvero, come detto, quelle
«totalitarie») decadranno i revisori in carica nei comuni
associati.
Per la scelta dei componenti occorre applicare il meccanismo
dell'estrazione dalle liste regionali, previsto dall'art.
16, comma 25, del dl 138/2011. Gli elenchi sono stati
recentemente approvati dal decreto del 27 novembre 2012 del
ministero dell'interno, dipartimento per gli affari interni
e territoriali.
In base a quanto disposto dal regolamento del Viminale n. 23
del 15.02.2012, occorrerà pescare da nominativi
inseriti almeno in fascia 2, che include i soggetti iscritti
da almeno cinque anni e che abbiano svolto almeno un
incarico di revisore dei conti presso un ente locale per
almeno tre anni.
È chiaro che, a seguito delle modifiche, si attenuano alcuni
degli effetti che sarebbero conseguiti dalla riforma come
approvata a Montecitorio, che avrebbe comportato una forte
riduzione di posti per i professionisti che lavorano nella
pa locale e una penalizzazione per quelli al primo incarico
(articolo ItaliaOggi del 07.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
TRIBUTI: Tares, rischio di salto nel
buio.
Sono molte le perplessità dei comuni e degli operatori.
A
pochi giorni dall'effettiva entrata in vigore del tributo i
nodi da sciogliere sono molti.
A pochi giorni dall'effettiva entrata in vigore del tributo
comunale sui rifiuti e sui servizi (c.d. Tares) -come
istituito ai sensi e per gli effetti dell'art. 14 del dl n.
201/2011 conv. con modif. in legge n. 214/2011- sono
molteplici le perplessità dei comuni e degli operatori
chiamati a dare attuazione al rinnovato istituto.
È indubbio che la Tares garantirà -per un verso- il
superamento di un regime che, negli anni, per il coesistere
di differenti strumenti (Tarsu; Tia1; Tia2), ha generato un
panorama di riferimento, anche giurisprudenziale, del tutto
diversificato e -sotto altro profilo- assicurerà la
definitiva affermazione della natura «tributaria» del
prelievo.
Peraltro, proprio con riguardo a tale ultimo profilo, va
dato conto che le disposizioni normative già consentono
tuttavia al tributo di «trasformarsi» in corrispettivo del
servizio –e dunque in vera e propria tariffa– allorché
venga data attuazione a quei sistemi di «misurazione
puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio
pubblico» che la stessa Corte Costituzionale -con la nota
sentenza n. 238/2009 relativa all'affermazione della natura
tributaria del regime Tarsu/Tia- aveva indicato essere i
principali motivi per cui, in ogni caso, dette entrate non
potevano avere qualifica tariffaria al riguardo rilevando
che «_ il fatto generatore dell'obbligo di pagamento è
legato non all'effettiva produzione di rifiuti da parte del
soggetto obbligato e alla effettiva fruizione del servizio
di smaltimento, ma esclusivamente all'utilizzazione di
superfici potenzialmente idonee a produrre rifiuti ed alla
potenziale fruibilità del servizio di smaltimento».
Ma come detto in apertura sono molte le perplessità relative
all'attuazione delle nuove previsioni, con molteplici
richieste di revisioni della norma –di cui si sono fatti
portavoce differenti centri di interesse– e che dovrebbero
confluire in puntuali revisioni del sistema Tares a pochi
giorni dall'attuazione di questa e soprattutto a pochi
giorni dalla scadenza della prima rata di pagamento che la
norma prevede avvenga già entro il prossimo gennaio.
A tale riguardo, senza volontà di affrontare compiutamente
la delicata questione delle richieste di modifica, data la
molteplicità dei profili trattati e il necessario
approfondimento che ogni elemento richiederebbe, è comunque
possibile valutare taluni profili della problematica ed in
tale ottica approfondire due tematiche oggetto di distinti
progetti di riforma.
In tale contesto una rilevante modificazione proposta è già
contenuta in atti ufficiali, ossia nel progetto di legge di
modifica al Codice dell'ambiente, attualmente in esame alla
commissione ambiente della camera dei deputati.
All'art. 16 di tale progetto di legge è, infatti, contenuta
una disposizione per la quale la possibilità di attuare un
sistema tariffario (in luogo di quello tributario della
Tares) non sarebbe riconnessa solo ed esclusivamente
all'approntamento dei già indicati sistemi di misurazione
puntuali della quantità di rifiuti conferiti ma anche
all'ipotesi in cui i comuni abbiano comunque realizzato
«sistemi di gestione caratterizzati dall'utilizzo di
correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio
finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa
commisurata al servizio reso».
È indubbio che, data la genericità della previsione, la
stessa non possa che essere apprezzata esclusivamente per
l'effetto che questa sarebbe in grado di ingenerare.
Le conseguenze più immediate (e forse anche volute)
sarebbero, infatti, quelle di sottrarre al regime di
applicazione Tares una serie di fattispecie per le quali –pur non essendo attuati meccanismi di misurazione puntuali
della quantità di rifiuti conferiti, come richiesto dalla
Corte costituzionale e come originariamente previsto dalla
stessa legge– potrebbero ugualmente valere i «correttivi»
previsti dalla norma.
Quanto detto con la conseguente applicazione di un regime
tariffario sia pure in assenza di parametri effettivi di
riferimento e, dunque, con il rischio di determinare uno
scenario di discrezionalità assoluta e totalmente
incontrollato, collegato a variabili sostanzialmente
indefinite e forse indefinibili.
E comunque in possibile contrasto con le indicazioni fornite
dalla Corte costituzionale.
A fronte di tali correttivi –imitati nella forma ma
assolutamente dirompenti per gli effetti che potrebbero
determinare– e al di là di ipotesi di mero rinvio
dell'entrata in vigore delle previsioni di legge, rispetto a
cui il dubbio maggiore risiede nella quota di contribuzione
relativa ai servizi indivisibili che il Governo conta di
ottenere già nel 2013, altri progetti di riforma riguardano
direttamente l'art. 14 del dl n. 201/2011 conv. con modif.
in legge n. 214/2011 istitutivo della Tares.
Tali ulteriori progetti di riforma affermano peraltro in
modo congiunto l'esigenza di superare i preoccupanti profili
connessi al mantenimento degli attuali livelli
occupazionali.
Si deve infatti osservare che, a fronte dell'enunciazione
chiara del Comune quale «soggetto attivo dell'obbligazione
tributaria», molti Enti Locali avevano ipotizzato la
necessità –anche nei confronti di propri gestori dei
servizi– di riacquisire ogni funzione, con ogni conseguenza
in ordine alla sorte dei dipendenti dei gestori e di
riorganizzazione delle funzioni all'interno degli Enti
locali medesimi.
In tale direzione –e premesso che in ogni caso i gestori
hanno comunque titolo a poter continuare a gestire le
attività strumentali e propedeutiche alla riscossione della Tares– i nuovi progetti di riforma si preoccupano di
prevedere che i comuni possano affidare a detti soggetti
gestori, non solo le già indicate attività strumentali, ma
anche ogni funzione connessa alle fasi di gestione,
accertamento e riscossione della Tares, con ciò assicurando
i precedenti livelli occupazionali e garantendo una fase
meno traumatica nel passaggio al nuovo regime
(articolo ItaliaOggi del 07.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Torna
il potere sostitutivo di Palazzo Chigi sui vincoli.
NECESSARI TRE TENTATIVI/ Per superare l'obiezione della
Corte costituzionale previste tre riunioni (in 90 giorni)
tra Governo e enti territoriali per trovare l'intesa.
In attesa del debat public alla francese o della riforma
radicale delle procedure per l'autorizzazione delle opere
pubbliche sul territorio, a questo punto rinviate alla
prossima legislatura, il Governo prova ad aggiustare –nel
decreto legge sviluppo-bis approvato ieri dal Senato– la
conferenza di servizi modello legge 241 in caso di motivato
dissenso delle amministrazioni di tutela culturale e
paesaggistica. Viene ripristinato il potere sostitutivo del
Governo, cancellato da una recente sentenza della Consulta.
L'articolo 14-quater della legge 241/1990 (riformato dal
decreto legge 78/2010) dava infatti la possibilità al
Consiglio dei ministri (alla presenza del Governatore) di
superare il dissenso motivato dell'amministrazione di
tutela, dopo aver tentato un'intesa con la Regione
interessata: la norma era stata però dichiarata
incostituzionale dalla Consulta (sentenza 11.07.2012, n.
179) perché il termine di trenta giorni per fare l'intesa
Governo-Regione era stato considerato troppo stringente.
La sentenza aveva di fatto azzerato il potere sostitutivo
del Governo. Ora il maxiemendamento al decreto sviluppo
prova a restituire al Governo il potere sostitutivo per
superare il motivato dissenso regionale, allungando però a
un massimo di 90 giorni i tempi dell'intervento governativo.
La procedura diventa molto più complessa, con l'obbligo di
esperire almeno tre tentativi di accordo con la Regione
interessata.
Il primo step prevede che sia indetta dalla Presidenza del
Consiglio una riunione «entro trenta giorni dalla data di
remissione della questione alla delibera del Consiglio dei
ministri».
Alla riunione dovranno partecipare, oltre alla Regione o
alla Provincia autonoma, anche gli enti locali e le
amministarzioni interessate al progetto sotto esame, «attraverso
un unico rappresentante legittimato, dall'organo competente,
ad esprimere in modo vincolante la volontà
dell'amministrazione sulle decisioni di competenza».
A rendere questo passaggio innovativo e l'intera procedura
più graduale è anche il fatto che «i partecipanti debbono
formulare le specifiche indicazioni necessarie alla
individuazione di una soluzione condivisa, anche volta a
modificare il progetto originario».
Se l'intesa non è raggiunta dopo questa prima riunione,
entro trenta giorni, viene indetta sempre da Palazzo Chigi
una seconda riunione che abbia le stesse modalità della
prima, «per concordare interventi di mediazione,
valutando anche le soluzioni progettuali alternative a
quella originaria».
Se anche questa seconda riunione non arriva a una soluzione
entro trenta giorni, nei successivi trenta vengono avviate
nuove trattative, stavolta «finalizzate a risolvere e
comunque a individuare i punti di dissenso». Se anche in
questo caso l'intesa non è raggiunta, la deliberazione del
Consiglio dei ministri per l'esercizio del potere
sostitutivo «può essere comunque adotatta con la
partecipazione dei presidenti delle Regioni o delle Province
autonome interessate».
L'intervento sulla conferenza di servizi ha una sua
importanza, anche se va detto che il potere sostitutivo
della Presidenza del Consiglio è stato finora utilizzato in
casi molto rari. È tuttavia un tentativo per rimettere in
moto lo strumento. Ed è una delle poche norme significative
per le infrastrutture, dopo la cancellazione degli
interventi più importanti, come l'abbassamento della soglia
di accesso al credito di imposta in favore del project
financing e l'eliminazione per il settore dei lavori
pubblici della responsabiità solidale fra appaltatore e
subappaltatore per i mancati pagamenti di quest'ultimo
relativi all'Iva e alle trattenute dei dipendenti
(articolo Il
Sole 24 Ore del 07.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Affidamenti
diretti «liberi». Per le partecipate salta il limite di
200mila euro annui.
IL QUADRO/ Il correttivo cancella il tetto introdotto a
luglio anche per le strumentali Confermato il blocco ad
assunzioni e stipendi.
Con la cancellazione del limite dei
200mila euro all'in house che sarebbe scattato a inizio
2014, inserita nel maxiemendamento governativo al decreto
sviluppo-bis, gli affidamenti diretti di servizi pubblici a
rilevanza economica perdono l'ultimo vincolo destinato ad
avere un impatto generalizzato.
La novità, insomma, sembra segnare la parola fine alla
storia dei tentativi di liberalizzazione avviati nel 2008,
con la prima manovra della legislatura, e colpiti dai
referendum del 2011 e dalla sentenza 199/2012 della Corte
costituzionale.
L'addio al tetto di valore per gli affidamenti diretti (si
veda anche Il Sole 24 Ore di ieri), che era stato
reintrodotto a luglio nel decreto legge sulla revisione di
spesa con un occhio particolare alle società strumentali, si
spiega anche con il rischio-contenzioso che avrebbe
accompagnato la sua applicazione. Un limite identico era
contenuto nell'articolo 4 della manovra-bis del 2011 (Dl
138), cancellato per illegittimità dalla Corte
costituzionale. E, in vista del 2014 sarebbe stata
praticamente certa una nuova ondata di ricorsi alla Consulta
da parte delle Regioni.
Con il via libera alla conversione in legge del decreto,
comunque, tirano un sospiro di sollievo molti dei titolari
attuali di affidamenti diretti (tra le strumentali, per
esempio, società come Lazio Service), che sarebbero dovuti
decadere a fine 2014, e cade l'ultimo limite «made in
Italy» all'in house: la disciplina di riferimento rimane
in pratica solo quella europea, che consente l'affidamento
diretto a società interamente pubbliche che siano
controllate dall'ente affidante e con lui svolgano la parte
rilevante della propria attività.
Un ricordo pallido dell'ondata liberalizzatrice rivive in
realtà in un altro correttivo contenuto nel maxiemendamento,
che impone di dare conto, in una relazione, delle ragioni
alla base della scelta dell'affidamento e dei contenuti del
contratto di servizio. La relazione, però, va semplicemente
pubblicata sul sito istituzionale dell'ente e non è
sottoposta a pareri dell'Antitrust che sarebbero stati
giudicati incostituzionali in seguito alla sentenza
post-referendum della Consulta. Non sono fissate sanzioni
per la mancata pubblicazione della relazione: la decadenza
automatica è prevista al 31.12.2013 solo in caso di mancato
adeguamento degli affidamenti non conformi alla disciplina
Ue (per esempio: affidamento diretto a una società mista) o
privi di data di scadenza.
Tutto questo pacchetto di regole esclude espressamente
energia elettrica, farmacie comunali e gas naturale. A
complicare la gestione c'è invece il trasferimento di tutti
i compiti di scelta della forma di gestione dei servizi,
tariffe e controlli agli ambiti territoriali ottimali
previsti dal 2011 ma non ancora costituiti ovunque. Una
regola, questa, che sottrae ai Comuni ogni compito diretto
nell'organizzazione dei servizi pubblici.
Per gli affidamenti diretti alle società quotate, viene
ribadita la decadenza a fine 2020 degli affidamenti diretti
che non prevedono scadenza (lo prevedeva già il decreto
originario) e si precisa che rientrano nella disciplina
delle quotate tutte «le società emittenti strumenti
finanziari quotati in mercati regolamentati». Queste
regole, quindi, oltre alle aziende presenti nel listino di
Borsa, dovrebbero estendersi anche alle società che emettono
obbligazioni.
La precisazione è importante anche per definire i confini
dell'estensione alle società partecipate delle regole di
contenimento di spesa pubblica imposte agli enti locali
controllanti. Il tema più spinoso, da questo punto di vista,
è rappresentato dai blocchi alle assunzioni e dai tetti agli
stipendi individuali, ribaditi nel caso delle società
strumentali anche dal decreto legge sulla revisione di
spesa. Il problema è legato al fatto che nelle aziende il
personale è assunto con contratti di diritto privato, il cui
congelamento per legge rischia di scatenare un contenzioso
ad ampio raggio.
Proprio per questa ragione, in commissione era stato
approvato un correttivo che chiedeva alle società di ridurre
le spese di personale, rispettando anche il limite del 40%
al turn over, senza bloccare gli stipendi individuali, ma il
«non possumus» della Ragioneria lo ha escluso dal
testo governativo
(articolo Il
Sole 24 Ore del 07.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti,
resta la responsabilità solidale.
Nessun alleggerimento per le aziende - Le reti di imprese
potranno partecipare ai bandi
QUALIFICAZIONE/
I requisiti di fatturato per lavori oltre 20 milioni
potranno essere dimostrati pescando tra i cinque migliori
esercizi degli ultimi dieci anni.
Il mondo dell'edilizia deve dire addio ad alcune delle
misure più attese. Il decreto sviluppo non porterà in dote
l'abbassamento della soglia minima per l'ammissibilità del
credito di imposta per le opere in project financing (che
resta a 500 milioni) e non potrà neanche essere applicato
alle opere già aggiudicate. Salta anche la norma più utile
per le piccole e medie imprese dei lavori pubblici: non
viene più escluso il settore degli appalti dalla
responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatori
quando questi ultimi non pagano l'Iva o i contributi dei
lavoratori all'Inps e all'Inail. Scompare, infine, la
possibilità per le imprese di autoprodurre il certificato di
regolarità contributiva (Durc) in alcuni passaggi chiave del
contratto.
L'edilizia incassa però alcune novità minori, annunciate da
tempo dal Governo come capitoli delle semplificazioni: per
esempio, l'ammissione delle reti di impresa al mercato degli
appalti. Oppure l'istituzione dell'anagrafe unica delle
stazioni appaltanti.
La prima norma era stata inserita, appunto, nel Ddl
Semplificazioni bis appena sbarcato in Parlamento e ora
recuperata nel maxiemendamento presentato dal Governo.
La seconda è una novità dell'ultimora. Prevede l'istituzione
di un'anagrafe delle oltre 38mila stazioni appaltanti
italiane presso l'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici. Gli enti avranno l'obbligo di richiedere
l'iscrizione presso la banca dati degli appalti che
l'Autorità dovrà istituire entro il 01.01.2013, pena
«la nullità degli atti adottati e la responsabilità
amministrativa e contabile dei funzionari responsabili». Le
modalità di iscrizione e di funzionamento dell'anagrafe
saranno stabilite con una delibera della stessa autorità.
Le novità in materia di appalti non finiscono qui. Passa
anche la norma che permette alle imprese qualificate a
eseguire i lavori di maggiore dimensione (oltre 20 milioni)
di dimostrare i requisiti di fatturato pescando tra i cinque
migliori esercizi degli ultimi 10 anni.
Poi ci sono due norme anticrisi: la proroga a tutto il 2013
delle agevolazioni per la verifica triennale dei requisiti
da parte delle Soa e l'aumento dal 75 all'80% della quota di
cauzione svincolabile in corso di appalto. Per contro, a
partire dal 01.01.2013 saranno le imprese a doversi
accollare le spese di pubblicazione dei bandi di gara e
degli avvisi di aggiudicazione sui quotidiani.
A rimborsare la Pa dei costi sostenuti dovrà essere
l'aggiudicatario del contratto.
Infine, in materia di conferenza di servizi, nasce il
contraddittorio lungo in caso di dissenso di una Regione o
di una Provincia autonoma.
Se l'amministrazione locale dovesse mostrare la propria
opposizione al progetto, il Governo programmerà una serie di
tre incontri a distanza di 30 giorni l'uno dall'altro. E
solo all'esito negativo di questi potrà procedere aggirando
il veto
(articolo Il Sole 24 Ore del
06.12.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento al 06.12.2012 |
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SEGRETARI
COMUNALI:
Niente «premi» senza obiettivi.
Niente retribuzioni di risultato per i segretari se non sono
stati formalizzati in via preventiva dall'amministrazione
gli obiettivi necessari alla valutazione.
Lo spiega l'ex-Ages (agenzia dei segretari) nelle risposte
ai quesiti
30.11.2012 n. 9/2012 e
30.11.2012 n. 10/2012.
In un altra nota (la
30.11.2012 n. 8/2012) l'ex-Ages afferma che non sono
possibili le convenzioni fra Comuni singoli e Unioni
(articolo
Il Sole 24 Ore del 05.12.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
LAVORI PUBBLICI: In
dirittura d'arrivo il decreto interministeriale che mette i
paletti nelle gare pubbliche. Appalti, basta ribassi
selvaggi. La prestazione professionale troverà il suo
compenso.
Gare d'appalto con tariffe professionali certe. E con
precisi paletti di discrezionalità sugli importi per le
pubbliche amministrazioni. È finita dunque l'era in cui le
stazioni appaltanti si presentavano alle gare offrendo
progettazione ed esecuzione delle opere a prezzi stracciati
(con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo iniziale)
svilendo anche il ruolo del professionista.
A sanare la situazione infatti ci penserà un decreto
interministeriale giustizia-infrastrutture, a giorni in
arrivo al Consiglio di stato, che definisce i parametri da
utilizzare per la determinazione dell'importo da porre a
base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi
di ingegneria e architettura.
Dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la
liquidazione dei corrispettivi in caso di contenzioso,
dunque, arriva un altro provvedimento a comporre lo scenario
complessivo di riforma delle professioni che, tra i suoi
capisaldi, ha visto appunto l'abolizione delle tariffe.
Il contesto generale.
Si tratta di un testo atteso nel mondo delle professioni
tecniche (ingegneri, architetti, geometri, periti
industriali ecc.) e soprattutto necessario dopo che il
decreto legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto
cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni
appaltanti di regole per calcolare gli importi e per
determinare, di conseguenza, le procedure per l'affidamento
degli incarichi di progettazione. Un'assenza di regole
denunciata a gran voce dalle professioni tecniche che, tra
le altre cose, ha alimentato negli ultimi anni un'eccessiva
discrezionalità delle stazioni appaltanti. Soprattutto dopo
le lenzuolate Bersani.
Per sanare tale criticità il governo era intervenuto con il
decreto sviluppo stabilendo che per la determinazione dei
corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di
affidamento di contratti pubblici dei servizi tecnici si
sarebbero applicati i parametri individuati appunto con un
decreto interministeriale che avrebbe anche definito «le
classificazioni delle prestazioni professionali relative ai
predetti servizi». Il tutto con un paletto preciso: «I
parametri individuati non possono condurre alla
determinazione di un importo a base di gara superiore a
quello derivante dall'applicazione delle tariffe
professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del
presente decreto».
I punti principali del testo.
La battaglia degli ordini sul provvedimento è stata
soprattutto mirata a eliminare gli aspetti eccessivamente
discrezionali del testo. Così è saltata, in primo luogo, la
possibilità per le pubbliche amministrazioni di aumentare o
diminuire gli importi a base di gara del 60% in maniera
completamente discrezionale come era avvenuto fino ad ora.
Allo stesso modo il parametro «G», che nel calcolo degli
importi a base di gara servirà a definire la «complessità
della prestazione», vedrà diminuire la sua portata
discrezionale.
Il decreto, infatti, non fissa più (come nelle bozze
precedenti) una forbice tra due valori (ridotto e elevato),
ma quozienti fissi e non derogabili stabiliti a seconda
della categoria e della destinazione funzionale dell'opera.
Il provvedimento richiama nella valutazione del compenso
quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri
giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi
professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e
del grado di complessità.
Torna poi la liquidazione forfettaria delle spese, in
sostanza l'importo delle spese e degli oneri accessori,
invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente»
secondo percentuali standard degli oneri sostenuti dal
professionista che varieranno tra il 10 e il 25% a seconda
del valore dell'opera
(articolo ItaliaOggi del 05.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Pagamenti.
Le novità del decreto legislativo 192/2012 sui ritardi si
applicheranno ai contratti conclusi da inizio 2013.
Interessi al via senza sollecito.
La decorrenza sarà automatica per tutte le transazioni
commerciali.
NELLA RETE/
La disciplina riguarda i versamenti effettuati a titolo di
corrispettivo tra imprese, professionisti e pubbliche
amministrazioni.
Decorrenza automatica degli interessi di mora per i
contratti conclusi dal 01.01.2013 e prova scritta di
ogni patto derogatorio: così dispone il decreto legislativo
192/2012 di recepimento della direttiva 2011/7/Ue contro i
ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. I
pagamenti effettuati oltre il termine dei 30 giorni dalla
scadenza, ovvero entro il maggior termine stabilito
contrattualmente non superiore comunque a 60 giorni salvo
casi particolari, saranno quindi maggiorati di interessi
moratori senza necessità di sollecito e preavviso di
inadempimento da parte del creditore.
Dentro e fuori
La disciplina riguarda tutti i pagamenti effettuati a titolo
di corrispettivo tra imprese ovvero tra queste e le
pubbliche amministrazioni. Nella nozione di impresa
rientrano anche i professionisti e cioè i soggetti che
esercitano un'attività professionale indipendente. Sul
punto, la direttiva comunitaria precisa come la sua
operatività nei confronti delle professioni liberali non
determina la loro assimilazione alle imprese per fini
diversi da quelli sugli interessi di mora per ritardati
pagamenti. Per espressa previsione di legge, restano inoltre
esclusi solamente i debiti oggetto di procedure concorsuali
nonché i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del
danno. Si persegue in questo modo la finalità di contrastare
le posizioni dominanti delle imprese sui propri fornitori e
sulle imprese sub committenti, in particolare quando si
tratta di micro, piccole e medie imprese. Così, come
chiarisce la direttiva, si vuole contrastare i ritardi nei
pagamenti che, limitando la liquidità delle imprese, ne
complicano la gestione finanziaria obbligandole a ricorrere
a finanziamenti esterni in un periodo di crisi strutturale
del sistema.
I 30 e i 60 giorni
Il Dlgs 192/2012 estende a tutte le transazioni commerciali
le regole imposte nel settore agricolo e agroalimentare
dall'articolo 62 del Dl 1/2012, che dallo scorso 24 ottobre
prevede la decorrenza automatica degli interessi di mora dal
giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento,
fissato in 30 giorni per le merci deteriorabili e in 60 per
tutte le altre a decorrere dall'ultimo giorno del mese di
ricevimento della fattura. Quest'ultima disposizione
costituisce una norma speciale rispetto alla regole generali
applicabili ai ritardi nei pagamenti dei corrispettivi per
merci o servizi resi.
Gli interessi moratori
Differenti sono anche le modalità per individuare i termini
di decorrenza degli interessi moratori. Alla luce della
normativa comunitaria, il creditore matura il diritto agli
interessi dal giorno successivo alla data di scadenza o alla
fine del periodo di pagamento stabilito nel contratto. Se
data di scadenza o di pagamento non risultano invece
contrattualizzati, gli interessi di mora decorrono comunque,
senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno
successivo alla scadenza del termine per il pagamento
individuato in 30 giorni dalla data di ricevimento da parte
del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento
di contenuto equivalente. Nel caso in cui non è certa la
data di ricevimento della fattura o della richiesta di
pagamento, i 30 giorni decorrono dalla data di ricevimento
delle merci o dalla data di prestazione dei servizi. Invece
se il debitore riceve la fattura o la richiesta di pagamento
prima delle merci o della prestazione dei servizi, i 30
giorni decorrono dalla data di ricevimento delle merci o
dalla prestazione dei servizi. I 30 giorni vanno infine
calcolati a partire dalla data dell'accettazione o della
verifica della conformità della merce o dei servizi alle
previsioni contrattuali, se il debitore riceve la fattura o
la richiesta di pagamento in epoca non successiva a questa
data. Le imprese possono pattuire un termine superiore ai 30
giorni: tuttavia se si superano i 60 giorni, oltre alla
necessità di una pattuizione espressa con clausola da
provarsi per iscritto, non deve configurarsi un
comportamento gravemente iniquo per il creditore.
La pubblica amministrazione
Nelle transazioni commerciali in cui debitore è una pubblica
amministrazione il termine ordinario di pagamento è quello
dei 30 giorni. Tuttavia le parti possono pattuire in modo
espresso un termine per il pagamento superiore in ragione
della natura o dell'oggetto del contratto o dalle
circostanze esistenti al momento della sua conclusione. In
ogni caso i maggiori termini pattuiti, a differenza di
quanto previsto nei rapporti tra imprese, non possono
superare i 60 giorni e la relativa clausola deve essere
provata per iscritto. I termini sono invece automaticamente
raddoppiati a 60 giorni per le imprese pubbliche tenute al
rispetto dei requisiti di trasparenza delle relazioni
finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche
e per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria (articolo Il Sole 24 Ore del 04.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
Revisori dei conti. L'estensione procederà a tappe, mentre
si prova ad ampliare i vincoli di assunzione alle in house.
Controlli progressivi sulle società.
Esami nel 2013 per le città oltre 100mila abitanti, nel 2015
si arriverà a quelle sopra 15mila.
L'ultima versione del Dl enti locali prevede che nel 2013 il
nuovo controllo ad hoc sulle partecipate si effettui solo
nelle città con più di 100mila abitanti, per scendere a
50mila nel 2014 e a 15mila dal 2015.
Ma tutti gli enti, in realtà, sono già oggi chiamati a molte
verifiche, a partire dalle dinamiche sul personale delle
società. Regole che provano a cambiare ancora con gli
emendamenti presentati venerdì scorso dai relatori al
decreto «Sviluppo2», al centro di una navigazione
parlamentare dagli esiti ancora incerti. I correttivi
estendono prima di tutto alle società in house le regole del
turn over, che consentono di assumere entro il tetto del 40%
dei risparmi ottenuti con le cessazioni dell'anno
precedente, e inoltre le mettono al sicuro dal blocco degli
stipendi che rischierebbero con l'estensione tout court
delle norme applicate agli enti locali: chi non supera i
tetti di spesa, secondo il correttivo, sarà chiamato a
garantire risparmi di spesa ma senza vietare a tutti
qualsiasi incremento contrattuale. Un blocco del genere si
scontrerebbe infatti con i contratti di diritto privato
tipici del personale delle società, che non possono essere
contraddetti da norme di legge. Lo stesso problema, però, si
incontra nelle società strumentali, dove il blocco dei
trattamenti economici sarà in vigore nel 2013/2014 e rischia
di generare un forte contenzioso.
Le nuove regole sui controlli contenute nel decreto enti
locali, che attende la fiducia domani al Senato per poi
tornare alla Camera per la lettura definitiva, chiamano i
revisori a verifiche puntuali anche sul mondo delle società.
Questi controlli, in base al maxiemendamento governativo,
scatteranno il prossimo anno solo nelle città sopra i
100mila abitanti, poi la soglia scenderà a 50mila nel 2014 e
a 15mila dal 2015.
La prima disposizione rilevante, in questa prospettiva, è
l'articolo 18, comma 2-bis, della legge 133/2008, che
dispone l'assoggettamento delle società a partecipazione
pubblica totale o di controllo, affidatarie senza gara di
servizi (quindi tra queste non rientrano le società miste
conformi ai parametri comunitari del partenariato
pubblico-privato) ai divieti e alle limitazioni per le
assunzioni di personale secondo il regime previsto per
l'ente controllante.
La norma fa riferimento alle società individuate dal conto
consolidato Istat, ma alcune interpretazioni (Corte dei
conti, sez. Calabria, delibera 84/2012) evidenziano che la
regola va vada intesa in via estensiva, comprendendo anche
tutte le società non incluse nell'elenco. Rispetto a questa
previsione, è evidente l'obbligo di vigilanza dell'ente
socio sul rispetto dei vincoli alle assunzioni nella
società, sancito come principio generale (Corte dei Conti.
sez. Lombardia, delibera 7/2012).
Il controllo entra in gioco anche nella relazione tra
amministrazioni e società affidatarie in house di servizi
pubblici locali, regolata dall'articolo 3, commi 5 e 6 della
legge 148/2011. Oltre all'estensione del Patto, ancora tutta
da definire, la norma prevede che le società debbano
assoggettarsi alle disposizioni che stabiliscono a carico
degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di
personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle
altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le
consulenze.
Il controllo risulta obbligato anche dall'articolo 76, comma
7 della legge 133/2008, in quanto le amministrazioni locali
devono calcolare, ai fini della determinazione del rapporto
tra spesa del personale e spesa corrente, anche la spesa
delle società a partecipazione totale o di controllo,
affidatarie di servizi senza gara.
Qualora, infatti, il rapporto superi il limite del 50% a
causa degli eccessivi costi delle risorse umane delle
partecipate, l'ente locale socio non può procedere ad
assunzioni.
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L'evoluzione
01 | L'ESTENSIONE
Il provvedimento sugli enti locali prevede l'allestimento di
nuovi controlli ad hoc sulle società partecipate, sui
rapporti finanziari fra ente e società e sul rispetto delle
regole di personale
02 | IL CORRETTIVO
Nel maxiemendamento che sarà sottoposto domani alla fiducia
in Senato si prevede che questi controlli siano applicati
nel 2013 nei Comuni con più di 100mila abitanti, nel 2014 in
quelli superiori a 50mila abitanti e dal 2015 in quelli dai
15mila abitanti in su
03 | PERSONALE
I relatori dal decreto Sviluppo 2, intanto, hanno presentato
venerdì una serie di emendamenti sul personale delle società
in house: a queste viene estesa la regola del turn over, che
consente di assumere solo entro il tetto del 40% dei
risparmi conseguiti con le cessazioni dal servizio dell'anno
precedente
04 | BLOCCO STIPENDI
Nel 2013/2014 è previsto per le società strumentali, ma
rischia di creare contenzioso perché il personale è titolare
di contratti di diritto privato. Per la stessa ragione, gli
emendamenti presentati al decreto sviluppo escludono da
questa misura le società in house, chiamate invece a
garantire più flessibili «contenimenti» nella spesa di
personale
05 | TETTI DI SPESA
L'altro limite da sottoporre a controllo riguarda
l'impossibilità di spendere per il personale più del 50%
della spesa corrente, nella somma di ente e società (articolo
Il Sole 24 Ore del 03.12.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO:
L'attuazione. Disciplina da approvare entro poche settimane.
Verifiche, tocca ai regolamenti fissare calendario e
modalità.
Tempi assai stretti per applicare le nuove regole sui
controlli interni e sanzioni molto dure in caso di
inosservanza. Tutti i Comuni e gli altri enti locali
dovranno adottare entro il 10 gennaio, cioè entro i 90
giorni successivi alla emanazione del decreto legge
174/2012, il regolamento, dando immediata comunicazione sia
al Prefetto sia alla sezione regionale di controllo della
Corte dei conti. Saranno avviate le procedure di
scioglimento degli organi politici se entro due mesi dalla
diffida da parte del Prefetto gli enti locali non lo avranno
approvato.
È quanto prevede il testo del decreto enti
locali, all'esame del Senato per la conversione in legge.
Sono competenti ad adottare il regolamento i consigli
comunali e provinciali. La disciplina del controllo sugli
equilibri finanziari deve essere inserita nell'ambito del
regolamento di contabilità. Sono tenuti a dare vita al
controllo strategico, a quello sulla gestione delle società
partecipate e a quello sulla qualità dei servizi erogati da
subito solo i Comuni con più di 100mila abitanti, dal 2014
con più di 50mila abitanti, dal 2015 con più di 15.000
abitanti. I controlli interni possono essere gestiti in
forma associata. Le nuove forme di verifica, tranne il
controllo di regolarità amministrativa e contabile per la
parte preventiva all'adozione delle deliberazioni, hanno
alcune caratteristiche unitarie: ognuno produce, come
risultato finale, una relazione e non determina conseguenze
sulla legittimità, né costituisce condizione di validità dei
singoli atti.
Il regolamento deve, in primo luogo, individuare per ogni
forma di controllo interno le modalità di effettuazione, le
interrelazioni con le altre verifiche e il soggetto
responsabile. Il decreto legge 174 assegna direttamente la
responsabilità al segretario per i controlli di regolarità
amministrativa e contabile e, ove non sia presente il
direttore generale, per quello strategico; al dirigente o
responsabile finanziario per quello sugli equilibri di
bilancio e alla struttura preposta a tali rapporti quello
sulle società non quotate partecipate. Il regolamento deve
disciplinare le modalità di coinvolgimento dei segretari,
dei direttori generali, dell'insieme dei dirigenti o
responsabili, del collegio dei revisori e dell'organismo
indipendente di valutazione. Deve inoltre disciplinare le
modalità di utilizzazione di queste relazioni da parte degli
organi di governo.
Il controllo di regolarità amministrativa e contabile va
disciplinato in modo differenziato per le sue due fasi. La
fase preventiva si concretizza nel rilascio dei pareri
tecnico e di regolarità contabile sulle proposte di
deliberazione. La fase successiva prevede la verifica delle
determinazioni, dei contratti e in generale degli atti di
gestione, anche a campione, con modalità che dovranno essere
disciplinate dal regolamento. Per esempio si possono
sottoporre a controllo solo i provvedimenti che dispongono
spese di elevato valore. I suoi esiti vanno comunicati ai
dirigenti e/o responsabili insieme alle direttive cui si
devono conformare in caso di irregolarità. Sul controllo di
gestione non vi sono novità di rilievo rispetto al decreto
legislativo 267/2000: deve verificare l'efficacia,
l'efficienza e l'economicità delle attività. Il regolamento
deve individuare la struttura preposta, le modalità
operative e l'utilizzazione dei suoi esiti, in particolare
per misurare le performance. Il controllo strategico serve a
verificare, tra l'altro, il grado di attuazione dei
programmi, la qualità delle attività, i tempi di
realizzazione, le procedure utilizzate. Il regolamento può
unificare questo controllo con la relazione sulle
performance prevista dalla legge Brunetta.
Il decreto legge 174/2012 ha poi introdotto tre forme di
controllo interno. Il controllo sugli equilibri della
gestione finanziaria ha come oggetto sia l'andamento della
competenza e dei residui, sia il rispetto del patto. Si deve
estendere anche agli effetti determinati dalle scelte
compiute dai soggetti che per conto dell'ente gestiscono i
servizi. Il controllo sulle società partecipate non quotate
si deve incentrare sulla verifica del raggiungimento degli
obiettivi prefissati dall'ente, sul rispetto degli standard
di qualità e delle condizioni dettate nei contratti di
servizio. Infine, la verifica della qualità dei servizi
erogati e del giudizio da parte degli utenti va unificata
con il decreto legislativo 150/2009, che impone a tutte le
Pa di realizzare forme di customer satisfaction, tenendone
conto per valutare le performance.
---------------
I punti chiave
01 | I REGOLAMENTI
Gli enti devono approvare un regolamento consiliare per i
controlli di regolarità amministrativa e contabile; di
gestione; strategico; sulle società partecipate e sulla
qualità dei servizi.
Nel regolamento di contabilità va inserita la disciplina del
controllo sugli equilibri della gestione finanziaria
02 | I CONTROLLI
I controlli interni producono rapporti sull'attività svolta
dall'ente. Il controllo di regolarità amministrativa e
contabile produce pareri sulle proposte di delibera e
verifica, anche a campione, su tutti gli atti di gestione. Il
controllo di gestione misura le attività in termini di
efficienza, efficacia ed economicità. Il controllo
strategico riassume tutte le verifiche e unifica la
relazione sulla performance.
Il controllo sugli equilibri
della gestione finanziaria analizza la gestione e la
condizione economica complessiva dell'ente, anche con
riferimento alle scelte delle società partecipate. Il
controllo sulle società verifica il grado di realizzazione
degli obiettivi assegnati e del rispetto dei vincoli dettati
nel contratto di servizio. Il controllo sulla qualità della
gestione misura il grado di soddisfazione degli utenti
(articolo Il Sole 24 Ore del
03.12.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Da definire meglio l'obbligo di pareri su Peg e servizi.
I CONFINI/
Interventi necessari sul piano delle opere pubbliche e sulle
dismissioni, ma non sui piani esecutivi.
I revisori degli enti locali iniziano a misurarsi sulle
modifiche del decreto enti locali che ha rivisto le loro
funzioni scritte nell'articolo 239 del Tuel. Anzitutto è
richiesto un parere dei revisori per gli «strumenti di
programmazione economico-finanziaria». Nessun dubbio per i
documenti, come il piano delle opere pubbliche o quello
delle dismissioni, che devono essere approvati dal
consiglio: qui il parere è dovuto.
Il discorso non è
altrettanto chiaro, però, per il Peg. Si tratta di uno
strumento di programmazione o di gestione? Quando si
dovrebbe dare il parere? I pareri si fanno sugli atti, ma
qui l'unica delibera è di Giunta, visto che il segretario o
il dg semplicemente lo «predispongono». Si avrebbe perciò un
parere sulla delibera di Giunta, quindi formulato dopo
l'assunzione della decisione definitiva, e non se ne capisce
l'utilità. L'organo di revisione di regola si rivolge al
Consiglio e non ad altri soggetti, e solo quando c'è una
norma che definisce il loro compito, l'oggetto e il
destinatario del parere stesso. In sostanza, si ritiene che
qui il parere non sia dovuto.
Occorre poi che i revisori si esprimano sulle «modalità di
gestione dei servizi e proposte di costituzione o di
partecipazione ad organismi esterni». La terminologia è
generica. È indubbio che si debba dare un parere sulle
delibere di Consiglio di costituzione e di partecipazione a
organismi esterni, ma meno chiaro è il compito del collegio
sulla gestione dei servizi. Su quali servizi? E quando va
dato il parere? Da subito o all'affidamento? L'affidamento
potrebbe anche non esserci, se il servizio è in economia. Il
dubbio, quindi, è se vada fatto un "inventario" dei servizi
erogati o no. In ogni caso, il parere dovrebbe essere dato
solo se la delibera è di Consiglio.
Un parere deve essere dato anche sulle «proposte di ricorso
all'indebitamento». In questo caso si pensa che il parere
riguardi ogni singola operazione, e va formulato anche
considerando la congruità e verificando il rispetto dei
vincoli al debito. Il parere è dovuto anche in caso di
fideiussioni e, comunque, per ogni tipologia di debito,
leasing compreso. Le operazioni non rientranti
nell'indebitamento si ritrovano comunque al punto
successivo, dove si chiede di esprimersi sulle «proposte di
utilizzo di strumenti di finanza innovativa», nelle quali si
devono fare rientrare tutte le forme non tipizzate di natura
finanziaria, dagli swap alle cartolarizzazioni. L'attenzione
deve concentrarsi sia sulla convenienza sia sulla loro
ammissibilità.
Sempre in argomento, un problema riguarda le operazioni di
riduzione del debito, imposte dalla spending review. In
questo caso non viene richiesto un parere, in quanto non si
tratta di «ricorso all'indebitamento» ma di sua estinzione.
In ogni caso occorre ricordare che l'articolo 239, comma
1-bis, richiede «un motivato giudizio di congruità, di
coerenza e di attendibilità contabile delle previsioni di
bilancio e dei programmi e progetti». Trattandosi di una
variazione occorre perciò esprimersi sulla convenienza nella
scelta dei mutui da estinguere. È richiesto, infine, di
esprimersi sui debiti fuori bilancio e sulle transazioni. In
merito la questione riguarda anzitutto la congruità della
delibera, ma ci si dovrebbe interrogare anche sui motivi che
hanno portato alla soccombenza.
Anche alla luce dei tanti nuovi compiti che attendono i
professionisti, è importante che il maxiemendamento
governativo al decreto enti locali cancelli il taglio ai
revisori dei conti nei Comuni che fanno parte di Unioni. Il
correttivo applica il nuovo assetto solo alle future Unioni
dei Comuni fino a mille abitanti, dove gli enti svolgeranno
in forma associata tutte le funzioni fondamentali (articolo
Il Sole 24 Ore del 03.12.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Anticorruzione. Dipendenti pubblici.
Tagliola in tempo reale per gli incarichi esterni.
Cambiano le procedure e le modalità per l'affidamento degli
incarichi ai dipendenti pubblici.
La legge 190/2012
(anticorruzione) interviene infatti sull'articolo 53 del
decreto legislativo 165/2001 prevedendo ulteriori verifiche
e nuovi adempimenti. Il lavoratore pubblico può essere
destinatario di attività extra lavorative da parte di tre
soggetti diversi. Innanzitutto, da parte della Pa di
appartenenza, ma solo per compiti non compresi tra i doveri
d'ufficio. La legge 190/2012 precisa che verranno
individuate con appositi regolamenti alcuni tipi di attività
comunque vietati.
A un dipendente pubblico possono essere, poi, affidati
incarichi da parte di un'altra amministrazione o da privati,
purché di natura saltuaria e sporadica e non in conflitto di
interessi. È sempre richiesta la preventiva autorizzazione
dell'ente di appartenenza: in caso di inosservanza, il
dipendente incappa in una responsabilità disciplinare che si
estende all'obbligo della restituzione del compenso
eventualmente ricevuto all'ente di appartenenza. L'omissione
del versamento costituisce ipotesi di responsabilità
erariale soggetta alla Corte dei conti.
Una volta effettuata la prestazione, al dipendente viene
corrisposto il compenso pattuito. Scatta a questo punto
tutto il sistema delle rendicontazioni che si conclude con
l'adempimento dell'anagrafe delle prestazioni: in precedenza
il soggetto pubblico o privato che aveva affidato un
incarico al dipendente aveva tempo fino al 30 aprile
dell'anno successivo per comunicare alla Pa di appartenenza
l'ammontare dei compensi erogati; ora il termine è stato
ridotto a soli 15 giorni dall'erogazione delle somme
pattuite. Rimane invece fermo al 30 giugno dell'anno
successivo il termine per inserire in «PerlaPa» i compensi
relativi all'anno precedente contenuti nelle comunicazioni.
Confermato inoltre l'invio semestrale per gli incarichi di
consulenza, anche se le informazioni sono trasmesse (alla
Funzione pubblica) e pubblicate in tabelle riassuntive
liberamente scaricabili in un formato «digitale standard
aperto» che consenta di analizzare e rielaborare, anche a
fini statistici, i dati informatici. Si attendono le
indicazioni operative. Le amministrazioni inadempimenti
saranno segnalate alla Corte dei conti.
Resta confermato il regime di maggior favore per i
dipendenti part-time con prestazione lavorativa non
superiore al 50% di quella a tempo pieno e per alcune
particolari tipologie di incarichi, come la collaborazione a
giornali e riviste, la partecipazione a convegni e seminari,
l'attività di formazione diretta alla Pa e le attività per
le quali è previsto il solo rimborso delle spese documentate (articolo Il Sole 24 Ore del
03.12.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento al 03.12.2012 |
|
APPALTI: DECRETO
CRESCITA/ Gli emendamenti dei relatori in commissione al senato. Responsabilità solidale addio.
L'impresa autocertificherà che il fornitore è in regola.
Sterilizzata la responsabilità solidale nei contratti di
appalto e subappalto: al committente basterà autocertificare
che i subappaltatori e fornitori sono in regola con il
pagamento di tasse e contributi e ciò eviterà la
responsabilità solidale.
Non solo. Anche le società di revisione potranno attestare
la regolarità della posizione dell'appaltatore (o
subappaltatore). Via libera alla preventiva escussione del
patrimonio del responsabile delle irregolarità e ampliamento
dell'esclusione dalle nuove regole ai contratti stipulati ai
sensi del codice dei contratti pubblici.
Questo il contenuto
di un emendamento messo a punto dai relatori Simona Vicari (Pdl)
e Filippo Bubbico (Pd) al dl crescita 2.0 (179/2012) in
commissione industria al Senato, che sarà votato la
settimana prossima e che prevede l'entrata in vigore delle
modifiche dal 01.01.2013.
L'autocertificazione
L'emendamento introduce nel testo di legge quanto già in
parte ammesso in via amministrativa dalla circolare 40
dell'agenzia delle entrate. Si prevede infatti il venir meno
della responsabilità solidale, e anche, ai sensi dell'ultima
parte del comma 28-bis, della responsabilità sanzionatoria
prevista per il committente, qualora sia possibile
dimostrare il regolare versamento di ritenute e Iva anche
attraverso il rilascio da parte dal responsabile
dell'adempimento di una dichiarazione sostitutiva di atto
notorio «attestante la correttezza dei versamenti delle
ritenute sui redditi dei lavoratori dipendenti impiegati
nell'ambito dell'appalto e, per le prestazioni rese nel
medesimo ambito, della corrispondente Iva dovuta sulle
stesse».
Oltre a ciò l'emendamento collega i medesimi effetti anche
alla documentazione rilasciata da una società di revisione.
L'aver previsto per legge ciò che fino ad oggi lo era solo
in forza di una presa di posizione della prassi è positivo,
ma visto che si interveniva valeva la pena eliminare i dubbi
che rendono anche questo punto non del tutto chiaro. In base
alla norma l'autocertificazione deve attestare «la
correttezza dei versamenti» ma nulla dice nel caso in cui
tali versamenti non siano stati effettuati non in forza di
un comportamento irregolare ma solo in quanto non dovuti.
Gli esempi sono quelli in cui i termini di versamento
dell'Iva o delle ritenute sono successivi a quello del
pagamento, o anche quello in cui a fronte delle fatture
emesse non vi è Iva da versare in quanto il periodo si
chiude con un credito d'imposta. La locuzione che poteva
coprire tale situazioni sarebbe stata quella che richiamava
la necessità di attestare i versamenti qualora dovuti e in
caso contrario la regolarità del comportamento tenuto fino a
quel momento.
Nonostante nemmeno l'emendamento abbia messo
in chiaro tali situazioni, l'unica tesi possibile è che in
mancanza di un obbligo di versamento (si pensi alla chiusura
a credito della liquidazione Iva) devi ritenersi sufficiente
ai fini dell'esonero dalla responsabilità solidale o
sanzionatoria un autocertificazione che attesti la
regolarità del comportamento.
La preventiva escussione
L'emendamento introduce nel caso di responsabilità solidale
dell'appaltatore la possibilità di eccepire la preventiva
escussione. Anche questo è un segnale positivo che non
eviterà problemi nella pratica. Se stessa è da intendere
come la possibilità per il responsabile solidale
semplicemente di eccepire la necessità di una preventiva
escussione prima di dover rispondere allora la previsione
potrebbe cogliere nel segno. Ma se invece il responsabile
solidale potrà eccepire la preventiva escussione dovendo
anche indicare i beni del patrimonio del debitore sui quali
l'amministrazione potrà soddisfarsi, allora è lecito
avanzare dubbi sul fatto che anche ciò rappresenti una reale
forma di tutela.
Da accogliere positivamente e senza dubbi è
invece la previsione che porta a eliminare il termine
«fornitura» dal comma 28-ter, che in precedenza rendeva
l'ambito oggettivo di applicazione incerto (nel comma 28 si
faceva riferimento ai contratti di appalto di opere e
servizi mentre nel successivo a quelli di appalto di opere,
forniture e servizi.
I contratti pubblici
Ultima modifica introdotta riguarda l'estensione
dell'esclusione della normativa non più solo alle stazioni
appaltanti ma anche agli «enti aggiudicatori» da intendere
come le amministrazioni aggiudicatrici, le imprese
pubbliche, e i soggetti che, non essendo amministrazioni
aggiudicatrici o imprese pubbliche, operano in virtù di
diritti speciali o esclusivi concessi loro dall'autorità
competente secondo le norme vigenti
(articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012). |
APPALTI SERVIZI: DECRETO
CRESCITA/ Un freno alle assunzioni e i project bond tra le novità. Dietrofront sui servizi locali.
Eliminato il tetto dei 200 mila euro per l'in house.
Eliminato il tetto dei 200 mila euro per gli affidamenti in
house di servizi pubblici previsto per il 2014 e quindi
basterà rispettare le norme e la giurisprudenza comunitaria
per gestire in house un servizio pubblico; previsto il
divieto di assunzione del personale per le società
controllate se la spesa per il personale della controllata
affidataria di un servizio pubblico locale incide per più
del 50% rispetto alla spesa corrente dell'amministrazione
controllante; previsti i project bond anche per realizzare,
potenziare o gestire un impianto o una infrastruttura
destinata a pubblico servizio. Sono queste alcune delle
novità previste per la disciplina dei servizi pubblici
locali e non dagli emendamenti dei relatori al decreto legge
179/2012 sulla crescita.
La più rilevante modifica riguarda l'ennesimo revirement
normativo sulla disciplina degli affidamenti in house di
servizi pubblici locali: Si propone infatti l'eliminazione
del limite massimo dell'importo di affidamento, pari a 200
mila euro, entro il quale era prevista, dall'articolo 8,
comma 4 del decreto-legge 95/2012 (convertito nella legge
135, cosiddetta spending review), la possibilità di
procedere ad affidamenti in house a società interamente
pubbliche.
La norma di agosto stabilisce che da inizio 2014 in house si
possano affidare servizi pubblici soltanto nel rispetto
della giurisprudenza comunitaria e del citato limite: con
l'emendamento sarà invece sufficiente rispettare i limiti
dell'ordinamento comunitario.
Il che significa nella sostanza, non cambiare in alcun modo
il quadro di riferimento precedente all'introduzione del
limite. Si prevede inoltre che gli affidamenti in essere non
conformi ai requisiti comunitari devono essere adeguati
entro il termine del 31.12.2013 pubblicando, entro la
stessa data, una relazione che dia conto delle ragioni e
della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento
europeo.
Per gli affidamenti senza data di scadenza occorrerà
inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che
regolano il rapporto un termine di scadenza
dell'affidamento; in caso di mancato inserimento del termine
si prevede la cessazione ex lege entro fine 2013.
Sul fronte delle spese per il personale delle società a
partecipazione pubblica locale totale o di controllo,
titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali
senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare
esigenze di interesse generale aventi carattere non
industriale, ne commerciale, ovvero che svolgono attività
nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di
funzioni amministrative di natura pubblicistica, si richiama
il vincolo generale a non assumere in caso di spesa per il
personale superiore al 50% delle spese correnti, ma lo si
rende più incisivo. Infatti si stabilisce che se l'incidenza
della spesa del personale sulla spesa corrente
dell'amministrazione controllante, supera il 50% delle spese
correnti, l'amministrazione controllante deve imporre un
divieto all'assunzione di personale, divieto che oggi non è
previsto. Introdotto anche il vincolo di contenimento sulle
consulenze per rispettare il vincolo del 50%
Se l'incidenza è invece inferiore al 50% si potrà procedere
a nuove assunzioni entro il limite del 40% della spesa
corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Una
certa perplessità su queste nuove modifiche arriva dall'Anci
che, con Filippo Bernacchi, delegato Anci alle politiche
energetiche e ai rifiuti, così commenta l'intervento
modificativo: «Spero in un ravvedimento di Governo e
Parlamento perché se si continua di questo passo non si avrà
mai un quadro stabile, certo e definito, con le
amministrazioni che continueranno a essere in bilico in
quanto fra un provvedimento e l'altro, posso trovarsi in
regola oppure essere in difetto».
Importante anche l'estensione dell'ambito di applicazione
della disciplina dei project bond anche per realizzare,
potenziare o gestire un impianto o una infrastruttura
destinata a pubblico servizio
(articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Ampliata
la chance dei crediti d'imposta per i partenariati pubblico-privati. Chi vince la gara paga la pubblicazione del
bando.
I costi della pubblicazione sui quotidiani dei bandi e degli
avvisi di gare di appalto pubblico saranno a carico di chi
vince la gara; ampliata la possibilità dei crediti di
imposta per i Ppp (Partenariati pubblico-privati), possibile
per interventi oltre i 100 milioni e per le reti Ngn di
importo inferiore a 100 milioni; chiarito che saranno
certificabili anche i crediti vantati dai professionisti
verso le Amministrazioni.
Sono queste alcune delle novità contenute negli emendamenti
presentati dai relatori del decreto-legge 179 (c.d.
«crescita 2»).
Una prima rilevante novità riguarda i costi per la
pubblicità legale dei bandi e degli avvisi di gara. Si
prevede infatti che per i bandi e gli avvisi pubblicati
successivamente al 01.01.2013 le spese
(pubblicazione per estratto sui quotidiani, ex art. 66,
comma 2 del codice dei contratti pubblici) debbano essere
rimborsate alla stazione appaltante dall'aggiudicatario,
entro il termine di 60 giorni dall'aggiudicazione. Il costo
di pubblicazione, noto al momento della gara, verrebbe
quindi ad essere caricato sull'affidatario del contratto,
sostanzialmente riducendo anche l'utile di un appalto.
Novità anche per il credito di imposta relativo ai contratti
di partenariato pubblico-privato (deve trattarsi sempre di
interventi la cui progettazione definitiva sia stata
approvata entro il 31.12.2015 e per i quali non sono
previsti contributi pubblici a fondo): l'emendamento dei
relatori in primo luogo amplia sensibilmente il raggio di
azione della norma: se nel testo del decreto-legge
l'utilizzabilità del credito era prevista per interventi di
valore superiore a 500 milioni, adesso nella proposta dei
relatori, la norma si potrà applicare al di sopra dei 100
milioni, andando quindi a intercettare anche project finance
di minore importo.
Inoltre è previsto che la norma sia
applicabile anche per progetti finalizzati allo sviluppo
delle reti Ngn (le cosiddette «reti di prossima
generazione») sul territorio nazionale, di importo inferiore
a 100 milioni di euro Dal punto di vista tecnico-operativo,
poi, si prevede che il credito non sia più «a valere» su Ires e Irap, ma «utilizzabile in compensazione
esclusivamente dei versamenti relativi sull'Ires e
sull'Irap». Un'altra norma degli emendamenti stabilisce che
i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, di
cui all'articolo 13 della legge n. 183 del 2011 e
all'articolo 31 del decreto-legge n. 78 del 2010, maturati
per somministrazione, forniture e appalti sono interpretati
nel senso di includere anche le somme spettanti quale
corrispettivo per prestazioni professionali eseguite da un
professionista iscritto ad albo o collegio.
La disposizione
incide sulla disciplina che consente -su istanza del
creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e
appalti- alle regioni e agli enti locali di certificare al
creditore la cessione pro soluto a favore di banche o
intermediari finanziari. In sostanza quindi si interviene
con una norma di carattere interpretativo, cautelativamente,
per evitare che le prestazioni rese dai professionisti
possano essere ritenuti non ricomprese nell'ambito di
applicazione oggettivo della norma.
L'emendamento dei relatori prevede che per la progettazione
e la realizzazione di interventi infrastrutturali nel
settore ferroviario sia Rfi il soggetto destinatario dei
fondi da assegnare con le delibere Cipe.
Si introduce una sanzione «a titolo di danno alla
produzione», commisurata a una percentuale che dovrà essere
stabilita dal Mef, per le stazioni appaltanti che non
prevedono nei capitolati di appalto il divieto di utilizzare
prodotti originari di paesi terzi per più del 50% del valore
della fornitura. Viene prevista anche la possibilità di
trasferimento a titolo gratuito compendio costituente
l'Arsenale di Venezia al Comune di Venezia, che ne assicura
l'inalienabilità, la valorizzazione, il recupero e la
riqualificazione, in questa operazione sarà possibile anche
realizzare, fra gli altri, il Centro operativo e servizi
accessori del Sistema Mose e sarà consentito destinare a
titolo oneroso parti del compendio per finalità diverse
dalla gestione del Mose
(articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012). |
APPALTI: In
gara l'azienda a credito, ma per pagare gli arretrati.
Le imprese in difficoltà per i ritardati pagamenti delle
p.a. potranno aggiudicarsi gli appalti pubblici, ma per
lavorare e pagare tasse e contributi arretrati.
Lo
stabilisce il maxiemendamento dei relatori al ddl
conversione del dl sviluppo (n. 179/2012), affidando a un
decreto interministeriale la previsione di una disciplina
che: a) riconosca la possibilità alle imprese non in
possesso di Durc di partecipare agli appalti pubblici; b)
fissi criteri e modalità per il pagamento da parte delle
stazioni appaltanti agli enti previdenziali e all'Agenzia
delle entrate del debito dalle stesse imprese maturato.
Il Durc, inoltre, fa ritorno alla carta. Gli operatori
economici, infatti, avranno facoltà di produrre su carta il
documento di regolarità contributiva, così sollevando le
amministrazioni dall'obbligo di doverlo acquisire per mezzo
di strumenti informatici.
Sì agli appalti pubblici, ma per pagare i debiti. Disco
verde dunque alla partecipazione agli appalti pubblici, per
le imprese non in possesso di Durc per ritardati pagamenti
dello stato. Le regole sono affidate a un decreto
interministeriale (economia, lavoro, trasporto, sviluppo
economico) che dovrà arrivare entro 60 giorni dall'entrata
in vigore della legge di conversione del dl n. 179/2012.
La
disciplina dovrà definire le misure per consentire la
partecipazione alle procedure di affidamento, per la
fornitura di beni e servizi e per la realizzazione di
lavori, alle imprese che non sono in possesso, alla data di
entrata in vigore della predetta legge di conversione, del
documento unico di regolarità contributiva in ragione di
comprovate difficoltà economiche e finanziarie dovute anche
a ritardati pagamenti da parte della pubblica
amministrazione e che, per tali ragioni, risultino debitrici
nei confronti degli enti previdenziali e assistenziali e
dell'Agenzia delle entrate. Non tutte le imprese ne
beneficeranno, ma soltanto quelle che non sono mai state
fatte oggetto di provvedimenti per fatti riconducibili a
condotte illecite volte a evadere gli obblighi fiscali,
previdenziali e contributivi.
Lo stesso decreto, inoltre,
dovrà altresì definire:
a) i criteri e le modalità per il pagamento da parte delle
stazioni appaltanti agli enti previdenziali e assistenziali
e all'Agenzia delle entrate del credito maturato nei
confronti delle predette imprese, comprensive di ogni
sovrattassa e sanzione, a valere sugli importi definiti con
i certificati di pagamento concernenti l'esecuzione di
prestazioni relative alle procedure di affidamento di cui le
stesse imprese risultino aggiudicatarie;
b) i criteri e le modalità per garantire il totale recupero
dei crediti vantati dagli enti previdenziali e assistenziali
e dell'Agenzia delle entrate nei confronti delle predette
imprese e la loro continuità operativa.
Il Durc ritorna alla carta. La regolarità contributiva potrà
nuovamente essere certificata direttamente dall'impresa.
Infatti, il maxiemendamento modifica il dpr n. 207/2010 e il dlgs n. 163/2006 al fine di dare facoltà, agli operatori
economici (negli appalti pubblici), di produrre
autonomamente il Durc, così evitando che lo stesso venga
acquisito d'ufficio. La novità si ripercuote, evidentemente,
anche sulle modalità che oggi sono previste per la stampa
del certificato.
Il maxiemendamento, a tal fine, modifica
l'articolo 40 del dpr n. 445/2000 (solo un anno fa
modificato dalla legge n. 183/2011, la legge di stabilità
per il 2012), al fine di stabile che sulle certificazioni da
produrre ai soggetti privati sia apposta, a pena di nullità,
la dicitura «il presente certificato non può essere prodotto
agli organi della pubblica amministrazione o ai provati
gestori di pubblici servizi, a esclusione delle ipotesi di
richiesta da parte degli operatori economici interessati al
documento unico di regolarità contributiva» (questa la
novità). Infine, la possibilità di produrre il Durc su carta
è estesa anche per il pagamento degli stati di avanzamento
dei lavori e dello stato finale dei lavori
(articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Il
piano delle performance diventa obbligatorio per i comuni.
Un carico di burocrazia sugli atti di gestione degli enti
locali. Oltre al Piano esecutivo di gestione si configura
l'obbligo di adottare un doppione: il piano della
performance, previsto dalla legge Brunetta.
Gli emendamenti
alla legge di conversione del dl 174/2012 rischiano di
rendere confusionario il quadro delle attività di controllo
e di programmazione di comuni e province. In particolare, un
emendamento all'articolo 3, comma 1, lettera g) del decreto
prevede di aggiungere all'articolo 169 del dlgs 256/2000 un
comma 3-bis ai sensi del quale «il piano esecutivo di
gestione è deliberato in coerenza con il bilancio di
previsione e con la relazione previsionale e programmatica.
Al fine di semplificare i processi di pianificazione
gestionale dell'ente, il piano dettagliato degli obiettivi
di cui all'articolo 108, comma 1, e il piano della
performance di cui all'articolo 10 del decreto legislativo
27.10.2009, n. 150, sono unificati organicamente nel
piano esecutivo di gestione».
La prima parte
dell'emendamento, che consente di unificare il piano
esecutivo di gestione (che aggancia le attività da svolgere
alle risorse finanziarie) col piano dettagliato degli
obiettivi è sostanzialmente inutile. I due atti di
pianificazione vengono da sempre gestiti come un unico
elemento, distinto in due sezioni dalla gran parte degli
enti locali. La seconda parte rischia di creare lavoro
pedante e inutile, laddove richiama come adempimento
obbligatorio l'approvazione del piano della performance,
previsto dall'articolo 10 del dlgs 150/2009.
Con
l'emendamento si potrebbe configurare come obbligatorio per
gli enti locali un articolo della riforma Brunetta che essa
stessa riforma ha escluso applicarsi direttamente
all'ordinamento di comuni e province. Gli articoli 16, 31 e
74 della riforma Brunetta, posti a indicare quali norme si
applichino almeno come principi agli enti locali nemmeno
menzionano l'articolo 10 del dlgs 150/2009. E non si tratta
di un caso. Il piano della performance, previsto da detto
articolo 10 è «un documento programmatico triennale, da
adottare in coerenza con i contenuti e il ciclo della
programmazione finanziaria e di bilancio, che individua gli
indirizzi e gli obiettivi strategici e operativi e
definisce, con riferimento agli obiettivi finali e intermedi
e alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la
valutazione della performance dell'amministrazione, nonché
gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale e i
relativi indicatori».
Tale piano della performance è
espressamente dedicato alle sole amministrazioni statali,
perché solo per esse è innovativo. I suoi contenuti sono già
e da moltissimi anni previsti in due atti di programmazione
degli enti locali: la relazione previsionale e programmatica
e il piano esecutivo di gestione. Per altro, l'articolo 10
del dlgs 150/2009 prevede anche una scadenza per l'adozione
del piano della performance, il 31 gennaio di ogni anno,
assolutamente incompatibile con gli ordinari termini di
approvazione dei bilanci e del Peg degli enti locali. Un
doppione che è auspicabile non venga inserito
nell'ordinamento locale e comunque, solo facoltativo
(articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Il
controllo strategico sotto il dg crea un cortocircuito
organizzativo.
Un cortocircuito organizzativo e istituzionale. Il disegno
di legge di conversione del dl 174/2012 rischia di creare
inestricabili problemi operativi incidendo sull'autonomia
dei segretari comunali e dei dirigenti, oltre che creando
nuovi elementi di rivalità tra i segretari e i direttori
generali.
Gli emendamenti inseriscono al comma 2
dell'articolo 147-ter del dlgs 267/2000 la previsione
secondo la quale l'unità addetta al controllo strategico «è
posta sotto la direzione del direttore generale, laddove
previsto, o del segretario comunale negli enti in cui non è
prevista la figura del direttore generale». Sono state così
accolte le lagnanze dei (pochissimi) direttori generali
degli enti locali, i quali avevano chiesto a gran vice che
la norma specificasse la loro preposizione al controllo
strategico. Quasi che il controllo strategico e la sua
direzione costituiscano una posizione di privilegio o
superiorità gerarchica, i direttori generali hanno ottenuto
questo riconoscimento espresso delle loro funzioni, a
scapito dei segretari comunali.
Una scelta discutibile,
quella del legislatore, perché dà appunto la sensazione che
il controllo strategico (forse a causa dell'aggettivo
altisonante) risulti una funzione di natura apicale, mentre
altro non è che la congiunzione tra la programmazione
politica di mandato e le relazioni revisionali e
programmatica triennali. Inoltre, si attribuisce un rilievo
a una figura, quella del direttore generale, in via di
estinzione, già eliminata in tutti i comuni con meno di 100
mila abitanti e oggettivamente vista come un doppione, anche
per effetto proprio del dl 174/2012 che certamente rilancia
il peso del segretario comunale.
Un rilancio anche oltre
misura, almeno a causa sempre degli emendamenti al disegno
di legge di conversione. I quali, se approvati, creano
ragioni di complicazione e attrito anche tra segretari e
dirigenti, con la possibilità di accrescere l'ingerenza
degli organi di governo nella gestione. Infatti, si prevede
di modificare l'articolo 147-bis, comma 3, del dlgs 267/2000
prevedendo che gli atti di controllo del segretario sui
provvedimenti dei dirigenti siano trasmessi a questi ultimi
«unitamente alle direttive cui conformarsi in caso di
riscontrata irregolarità».
A parte la circostanza che le
direttive sono atti che non implicano l'obbligo di
conformazione da parte del destinatario e che i dirigenti
dispongono di una specifica sfera di autonomia che non può
essere lesa, in ogni caso appare singolare assegnare al
segretario un potere di conformazione, visto che detto
organo risulta ancora incaricato direttamente dal sindaco o
dal presidente della provincia.
Il segretario comunale non
gode di quella posizione di terzietà di cui un organo di
controllo dotato di poteri conformativi dovrebbe disporre.
Gli emendamenti rischiano, così, di rendere la riforma dei
controlli uno strumento mediante il quale gli organi di
governo, per il tramite di segretari troppo influenzabili,
potrebbero per interposta persona e mediante i controlli
gestire indirettamente. Un risultato del tutto opposto agli
intenti della norma e alla Costituzione
(articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Semplificazioni,
si riparte dal dl sviluppo Contratti con la Pa anche senza
Durc - Sull'Aspi le correzioni dopo l'accordo produttività.
FONDI STRUTTURALI/ Le risorse liberate con la
riprogrammazione 2007-2013 finanzieranno gli ammortizzatori
sociali in deroga.
Un passo avanti e uno di lato sul Durc, il Documento unico
di regolarità contributiva che le amministrazioni devono
acquisire d'ufficio dalle aziende che partecipano alle gare
d'appalto. E una serie di correzioni sull'Aspi,
l'assicurazione sociale per l'impiego che entrerà in vigore
tra un mese. Sono questi i contenuti forse più rilevanti sul
fronte delle semplificazioni del maxi-emendamento presentato
dai due relatori Simona Vicari (Pdl) e Filippo Bubbico (Pd)
agli articoli 33 e 34 del Dl sviluppo bis, per il quale si
prevede di arrivare alla votazione finale in commissione
Industria, al Senato, lunedì prossimo, per poi passare
all'Aula il giorno successivo.
Sul Durc si prevede, in particolare, il riconoscimento della
possibilità di partecipare a gare anche ad aziende non in
regola con i versamenti se le difficoltà sono dovute a
ritardi di pagamenti in corso da parte della Pa. A questa
apertura, però, segue anche una correzione che reintroduce
la facoltà da parte dei privati di presentare il Durc per
l'aggiudicazione dei contratti o il pagamento dello stato di
avanzamento dei lavori. Rispetto al divieto previsto
formalmente dal «Salva Italia» e dal «Semplifica Italia» si
tratterebbe di un passo indietro. E, di sicuro, la
correzione non è gradita dal ministero della Funzione
Pubblica e la semplificazione, da cui si continua a guardare
con fiducia ai destini del Ddl «Semplificazioni-due», che
dovrebbe essere messo in agenda alla Camera e che sul Durc,
in particolare, prevede l'aumento della validità da 90 a 180
giorni, oltre al divieto, ribadito, di essere richiesto per
ogni singolo contratto, visto che la sua validità è estesa a
tutte le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori.
Passando all'Aspi, invece, va detto subito che si tratta di
piccole correzioni concordate con il Lavoro e che non
producono nuovi oneri. Gli aspetti principali riguardano la
gestione degli eventuali esodi di dipendenti più anziani in
caso di eccedenze, come previsto dal recente accordo tra le
parti sociali sulla produttività. I datori dovranno pagare
l'equivalente della pensione e i contributi ai lavoratori
fino alla maturazione del requisito e vengono confermati,
nel contempo, gli sgravi previsti dalla circolare di ottobre
sulle assunzioni di soggetti in difficoltà o la
trasformazione di contratti a termine in contratti
definitivi. Viene poi previsto che le risorse liberate dalla
riprogrammazione dei Fondi Ue 2007-2013 potranno essere
utilizzate per il rifinanziamento degli ammortizzatori
sociali in deroga e saranno affidati alle regioni (tutte,
non solo quelle del Sud). Infine per il lavoro a chiamata si
propone la soppressione della comunicazione via fax che il
datore di lavoro deve trasmettere alla direzione
territoriale del lavoro competente, lasciando solo la
comunicazione via sms o posta elettronica ...
(articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: La
legge anticorruzione, in vigore dal 28 novembre, ha abrogato
la norma del 2009. P.a., bandi di gara sui giornali.
Obbligo di pubblicità legale anche dopo il 01.01.2013.
Le amministrazioni, anche dopo il 01.01.2013, dovranno
procedere alla pubblicazione sui quotidiani dei bandi e
degli avvisi di gara per l'affidamento di contratti
pubblici.
La legge «anticorruzione», n. 190/2012 (in vigore
dal 28 novembre scorso), ha infatti implicitamente abrogato
la norma del 2009 che prevedeva la perdita di efficacia
legale della pubblicità in forma cartacea a decorrere da
inizio 2013.
Vediamo quindi di ricostruire quanto avvenuto dal 2006 ad
oggi.
La disciplina sulla pubblicità dei bandi e avvisi nel Codice
dei contratti pubblici
Attualmente la disciplina in materia di pubblicità degli
avvisi e dei bandi di gara è prevista dal dlgs 163/2006 (il
Codice dei contratti pubblici) all'articolo 66, comma 7 e,
per i contratti di importo inferiori alla soglia
comunitaria, all'articolo 122, commi 5 e 7. Al di là della
diversa tempistica di pubblicazione prevista dalle norme
citate, essenzialmente si prevedono quattro modalità di
pubblicità: in primo luogo la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana serie speciale relativa
ai contratti pubblici, sul «profilo di committente» della
stazione appaltante; in secondo luogo, non oltre due giorni
lavorativi dopo, sul sito informatico del ministero delle
infrastrutture (di cui al dm 06.04.2001, n. 20) nonché
sul sito informatico presso l'Osservatorio dell'Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici; infine si prevede la
pubblicazione, per estratto, su almeno due dei principali
quotidiani a diffusione nazionale e su almeno due a maggiore
diffusione locale nel luogo ove si eseguono i contratti.
Allo stesso regime di pubblicità sono soggetti i risultati
delle aggiudicazioni concernenti i contratti di lavori
affidati con procedura negoziata, con invito a cinque o a
dieci soggetti, per importi inferiori a 1 milione o a 500
mila euro.
Le modifiche del 2009
L'articolo 32 della legge 18/06/2009 n. 69 interviene sulla
materia con una norma al fine di «promuovere il progressivo
superamento della pubblicazione in forma cartacea».
In particolare si prevede: che dal 01.01.2010, gli
obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti
amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si devono
intendere assolti con la pubblicazione nei propri siti
informatici da parte delle amministrazioni e degli enti
pubblici obbligati; che, in aggiunta alle ordinarie modalità
di pubblicità (si usa l'avverbio «altresì») le
amministrazioni debbano pubblicare bandi e avvisi nei siti
informatici, secondo modalità stabilite con decreto del
presidente del consiglio dei ministri, su proposta del
ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione di
concerto con il ministro delle infrastrutture e dei
trasporti per le materie di propria competenza.
Il comma 5 dell'articolo 32 stabilisce infine che «dal 01.01.2013 le pubblicazioni effettuate in forma cartacea
non hanno effetto di pubblicità legale, ferma restando la
possibilità per le amministrazioni e gli enti pubblici, in
via integrativa, di effettuare la pubblicità sui quotidiani
a scopo di maggiore diffusione, nei limiti degli ordinari
stanziamenti di bilancio».
In linea teorica, quindi, da inizio 2013 perderebbe di
efficacia legale la pubblicazione sui quotidiani, ma, come
si vedrà, in effetti non è così.
Le ulteriori modifiche apportate dalla legge
«anticorruzione» (n. 190/2012)
Il primo articolo della legge 06.11.2012 (pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale del 13.11.2012 n. 265) interviene
nuovamente sulla materia trattandola alla luce dell'esigenza
di assicurare la massima trasparenza all'azione
amministrativa. Quest'ultima, infatti, (comma 15)
«costituisce livello essenziale delle prestazioni
concernenti i diritti sociali e civili» ai sensi della
Costituzione; con questa qualificazione la trasparenza
dell'azione amministrativa assurge espressamente ad obbligo
di rango costituzionale (essendo peraltro già obbligo ai
sensi del diritto comunitario).
È sempre il comma 15 a declinare l'obbligo di trasparenza
nell'obbligo di pubblicazione, da parte delle singole
amministrazioni, sui siti web istituzionali (secondo criteri
di facile accessibilità, completezza e semplicità), delle
informazioni relative ad una molteplicità di procedimenti
amministrativi fra cui anche quelli relativi alla scelta del
contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi
previsti dal Codice dei contratti pubblici.
Ciò detto, assume particolare rilievo quanto previsto nel
successivo comma 31, laddove da un lato si prevede la delega
al ministero della funzione pubblica, guidato da Filippo
Patroni Griffi, all'emanazione di uno o più decreti (da
adottare entro sei mesi, cioè entro metà maggio 2013) in cui
siano definite, fra le altre, le informazioni rilevanti da
pubblicare sui siti web, e «le relative modalità di
pubblicazione» e, dall'altro lato, si introduce una
disposizione «di salvezza» delle norme in materia di
pubblicità contenute nel Codice dei contratti pubblici
(«Restano ferme le disposizioni in materia di pubblicità
previste dal codice di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163»).
Infine il comma 32 richiama le stazioni appaltanti «in ogni
caso» a pubblicare sul sito istituzionale una serie di
informazioni riguardanti sia la procedura di affidamento,
sia l'esecuzione del contratto (oggetto dell'appalto,
importo di aggiudicazione, tempi di completamento dell'opera
ecc.), informazioni che devono anche essere trasmesse
all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
Cosa succede dal 01.01.2013
Il recentissimo intervento della legge anticorruzione pone
quindi un problema interpretativo sugli effetti della norma
della legge 2009 che, a fare data dal 01.01.2013,
imporrebbe la perdita di efficacia della valore legale della
pubblicità effettuata sui quotidiani, rispetto al comma 31
della legge 190/2012 laddove afferma che «restano ferme» le
norme del Codice dei contratti in materia di pubblicità.
Appare evidente che, per i principi generali della
successione delle leggi nel tempo, la norma più recente
implicitamente abroga la disposizione del 2009, ponendo nel
nulla la prevista perdita di efficacia, a decorrere dal
2013, della pubblicità effettuata «in forma cartacea».
L'avere fatto espressamente restare «ferme» le vigenti norme
del Codice, con una disposizione che entra in vigore prima
del primo gennaio 2013, automaticamente fa sì che la
disposizione del 2009 debba considerarsi «tamquam non esset»
e quindi inapplicabile per implicita abrogazione.
Pertanto le amministrazioni, anche dopo il primo gennaio
2013, sono tenute ad applicare integralmente gli articoli 66
e 122 del Codice dei contratti pubblici (ivi compresi gli
obblighi di pubblicazione sui quotidiani) e, ovviamente,
anche a pubblicare bandi e avvisi sui siti istituzionali (ma
ciò avviene già dal 2010).
La salvezza delle norme del Codice sembra, in prospettiva,
da ritenersi valida anche dopo l'emanazione (prevista nei
prossimi sei mesi) dei decreti ministeriali di cui al comma
31 dell'articolo 1 della legge 190/2012, dal momento che
l'ambito di applicazione della delega è relativo alle
modalità attuative delle pubblicazioni sui siti web, ma non
sembra intaccare le altre forme di pubblicità previste dal
Codice dei contratti pubblici
(articolo ItaliaOggi del
30.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
COMPETENZE
GESTIONALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Competenza sul TSO.
Qual è l'organo competente ad adottare l'ordinanza relativa
al procedimento amministrativo di trattamento sanitario
obbligatorio, in assenza del Commissario straordinario
incaricato della temporanea gestione dell'ente?
L'art. 34 della legge 23.12.1978, n. 833, attribuisce
al sindaco la competenza ad adottare le ordinanze in materia
di trattamento sanitario obbligatorio, entro 48 ore dalla
convalida della proposta da parte di un medico della unità
sanitaria locale.
Nel caso di specie, se il comune, ricompreso nel territorio
di una regione a statuto speciale, è sottoposto a gestione
commissariale e non è prevista dalla specifica normativa
regionale in materia di scioglimento degli organi la nomina
di vice o sub commissari, la competenza all'adozione del
provvedimento in argomento spetta in via esclusiva al
commissario straordinario incaricato della gestione
dell'ente
(articolo ItaliaOggi del
30.11.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Nuovi gruppi consiliari.
Quali norme disciplinano la costituzione di nuovi gruppi
consiliari in ambito comunale? Sono ammissibili i gruppi
consiliari uni personali?
La materia dei gruppi consiliari è regolata dalle norme
statutarie e regolamentari adottate dai singoli enti locali
nell'ambito dell'autonomia organizzativa dei consigli,
riconosciuta espressamente agli stessi dall'art. 38, comma
3, del Tuel n. 267/2000.
In linea di principio, sono ammissibili i mutamenti che
possono sopravvenire all'interno delle forze politiche
presenti in consiglio comunale, per effetto di dissociazioni
dall'originario gruppo di appartenenza, comportanti la
costituzione di nuovi gruppi consiliari, ovvero l'adesione a
diversi gruppi esistenti.
Tuttavia, sono i singoli enti locali, nell'ambito della
propria potestà di organizzazione, i titolari della
competenza a dettare norme, statutarie e regolamentari,
nella materia e le relative problematiche dovrebbero trovare
adeguata soluzione nella specifica disciplina di cui l'ente
stesso si è dotato.
Riguardo all'ammissibilità dei gruppi unipersonali, se il
regolamento comunale stabilisce che ciascun gruppo sia
costituito da almeno due consiglieri ma che, nel caso che
una lista presentata alle elezioni abbia avuto eletto un
solo consigliere, a questo siano riconosciute le prerogative
e la rappresentanza spettanti a un gruppo consiliare; ovvero
disciplina la fattispecie di distacco successivo dal gruppo,
stabilendo che il consigliere che non aderisce ad altri
gruppi non acquisisce le prerogative spettanti ad un gruppo
consiliare, potendo soltanto confluire nel gruppo misto, si
può desumere che i gruppi unipersonali possano essere
ammessi solo se coincidenti con l'unico consigliere eletto
in una lista.
Peraltro, soltanto il Consiglio comunale, nella sua
autonomia e in quanto titolare della competenza a dettare le
norme cui conformarsi in tale materia, è abilitato a fornire
un'interpretazione autentica delle norme statutarie e
regolamentari di cui l'ente è munito
(articolo ItaliaOggi del
30.11.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Senza
marchio Ce vanno sostituiti. Nuovi maniglioni per il 18
febbraio.
Entro il 18.02.2013 è obbligatorio
provvedere alla sostituzione dei maniglioni non marcati Ce
installati sulle porte delle vie di esodo nelle attività
soggette al controllo dei vigili del fuoco ai fini del
rilascio del certificato di prevenzione incendi.
Questo è quanto previsto nel decreto del 06.12.2011 del
ministero dell'interno (pubblicato in G.U. n. 299 del
24/12/2011) che ha prorogato di 24 mesi il termine ultimo,
inizialmente fissato dal dm 03.11.2004 al 16/02/2011, per la
sostituzione dei maniglioni non marcati Ce.
Tali dispositivi devono essere conformi alle norme UNI EN
179 o UNI EN 1125 e devono essere muniti di marcature Ce
(dpr 21/4/1993 n. 246). L'art. 3 del dm 03/11/2004
disciplina i casi in cui è prevista l'installazione dei
maniglioni antipanico: sulle porte delle vie d'esodo, devono
essere installati i dispositivi conformi alla UNI EN 179
qualora si verifichi una delle seguenti condizioni:
l'attività è aperta al pubblico e la porta è utilizzabile da
meno di 10 persone; l'attività non è aperta al pubblico e la
porta è utilizzabile da un numero di persone superiore a 9 e
inferiore a 26; sulle porte delle vie d'esodo, devono essere
installati i dispositivi conformi alla UNI EN 1125 qualora
si verifichi una delle seguenti condizioni: l'attività è
aperta al pubblico e la porta è utilizzabile da più di 9
persone; l'attività non è aperta al pubblico e la porta è
utilizzabile da più di 25 persone; i locali con lavorazione
e materiali che comportino pericoli di esplosione e
specifici rischi d'incendio con più di 5 lavoratori addetti.
L'introduzione dell'obbligo di marcatura Ce, attestante
rispondenza a requisiti essenziali di sicurezza, comporta un
nuovo ruolo per tutti gli operatori interessati.
Introducendo anche un sistema di corretta identificazione
del dispositivo, in funzione di parametri, quali tipo di
attività, presenza di pericoli di esplosione e rischi di
incendio
(articolo ItaliaOggi del
27.11.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: La
copertura previdenziale a carico degli
amministratori. I consiglieri comunali si
pagano la pensione.
L'Inps presenta il conto ai consiglieri comunali i quali dal
2008, se vogliono la pensione devono pagarsela da soli.
Lo
ricorda l'Inps nella
circolare 26.11.2012 n. 133.
Finanziaria 2008. La legge finanziaria 2008 (n. 244/2007,
art. 2, comma 24), ha apportato alcune modifiche alle norme
del dlgs n. 267/2000 (il Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali) in materia di
trattamento previdenziale degli amministratori locali. Nel
testo dell'art. 81 del citato Tu è stato infatti aggiunto il
seguente periodo «I consiglieri di cui all'art. 77, comma 2,
se a domanda collocati in aspettativa non retribuita per il
periodo di espletamento del mandato, assumono a proprio
carico l'intero pagamento degli oneri previdenziali,
assistenziali e di ogni altra natura previsti dall'art. 86».
Pertanto, i consiglieri dei comuni anche metropolitani e
delle province e i consiglieri delle comunità montane non
compresi nell'elenco di cui al citato art. 86 del Tu nei
confronti dei quali in quanto eletti e rispondenti ai
requisiti previsti dall'art. 31 della legge 300/1970 era già
applicato il regime dell'accredito figurativo, a partire dal
01.01.2008, non hanno più titolo all'accredito
gratuito, ma assumono a proprio carico il versamento di
tutti gli oneri previdenziali. In altre parole, l'accredito
della contribuzione figurativa utile per la pensione resta
in piedi solo per i lavoratori dipendenti eletti presidenti
di consigli comunali e provinciali ed i membri delle giunte.
Gli altri, e cioè i semplici consiglieri, la pensione
dovranno pagarsela da soli, attraverso il versamento della
normale contribuzione pari al 33% della retribuzione di
riferimento.
Poiché l'art. 81 sopra citato, nel porre
l'onere contributivo a carico degli amministratori locali in
esame nulla ha previsto in merito all'obbligatorietà dei
versamenti, si ritiene che la copertura dei periodi di
aspettativa ai fini previdenziali, assistenziali e
assicurativi sia rimessa alla libera volontà degli
interessati. Questi hanno perciò facoltà di decidere se e in
quale momento presentare istanza di autorizzazione al
versamento della contribuzione a loro carico.
La domanda. I consiglieri interessati, si legge nella
circolare, devono presentare specifica domanda a valere dal
trimestre in corso dalla data di presentazione, alla sede
dell'Inps di propria competenza, corredandola con apposite
dichiarazioni dell'amministrazione locale presso cui
esercitano il loro mandato. Tale dichiarazione deve
evidenziare la carica ricoperta, la durata del relativo
mandato e la circostanza che l'amministratore è tenuto ad
assolvere direttamente il carico contributivo; e del datore
di lavoro, redatta sotto forma di autocertificazione.
Da
tale dichiarazione devono potersi rilevare la data di
instaurazione del rapporto di lavoro, la data di
collocamento in aspettativa e l'eventuale data finale della
stessa, la categoria e la qualifica rivestita dal lavoratore
all'inizio dell'aspettativa. Per determinare la
contribuzione dovuta dai consiglieri a copertura dei periodi
di aspettativa si farà riferimento alla retribuzione
imponibile dichiarata con il flusso EMens per le 52
settimane di lavoro immediatamente antecedenti la domanda.
Ai fini del calcolo deve essere considerato l'intero
ammontare della retribuzione imponibile
(articolo ItaliaOggi del
27.11.201). |
CONDOMINIO:
LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/
La riforma del condominio piace. Piacerà un po'
meno ai morosi. ItaliaOggi Sette ha
raccolto le opinioni degli addetti ai lavori: Confedilizia,
Anaci e Sunia.
La stretta sui morosi convince gli addetti ai lavori. Sono
queste infatti le disposizioni che raccolgono i favori di
Confedilizia, Anaci e Sunia, in merito alla riforma del
condominio, diventata legge dopo l'approvazione definitiva
del ddl, martedì scorso, in commissione giustizia del
senato, che riscrive quasi del tutto gli articoli 1117 e
seguenti del codice civile e 61 e seguenti delle
disposizioni di attuazione.
Se, infatti, Confedilizia e il
Sunia (Sindacato nazionale unitario inquilini e assegnatari)
esprimono un parere sostanzialmente positivo, con qualche
riserva, più critica è la posizione dell'Anaci (Associazione
nazionale amministratori di condomini e immobili). «Il
nostro giudizio è nel complesso positivo anche se il
legislatore ha mancato di coraggio non attribuendo al
condominio la capacità giuridica come nella maggior parte
dei paesi europei», sottolinea Corrado Sforza Fogliani,
presidente di Confedilizia.
«Una norma mancata che poteva
servire a limitare la conflittualità tra i condomini
facilitandone i rapporti». Semaforo verde, invece, per le
novità in materia di requisiti che l'amministratore dovrà
possedere e che implicano l'obbligo di frequentare un corso
di formazione iniziale e il possesso del diploma di scuola
secondaria di secondo grado. A questo proposito, secondo
Sforza Fogliani, è positivo che «la nomina di un interno,
cioè di uno dei condomini dello stabile come amministratore,
non richieda a quest'ultimo il possesso di alcuna formazione
specifica. Un aspetto che va a salvaguardia di quegli
amministratori che scelgono di svolgere questo lavoro
gratuitamente».
A raccogliere i favori di Confedilizia sono
anche le nuove disposizioni in materia di condomini morosi,
in base alle quali l'amministratore potrà procedere con
l'ingiunzione (senza autorizzazione preventiva
dall'assemblea) e potrà fornire ai creditori i dati di chi
non è in regola con il pagamento delle rate. Inoltre, in
caso di mora che dura da più di sei mesi, dovrà sospendere
il debitore dalla fruizione dei servizi comuni. «Una novità
che permette di mettere tutti i condomini sullo stesso
piano». Poco utile, invece, viene considerata la possibilità
di creare un sito internet del condominio, da cui accedere
individualmente a tutti gli atti e i rendiconti mensili.
«Un'opportunità che a mio parere verrà utilizzata poco, da
un lato, per la sua dispendiosità e, dall'altro, perché
servirebbe per consultare una documentazione che può essere
visionata già presso l'amministratore con il valore aggiunto
di poter anche chiedere contestualmente delle
delucidazioni».
Più critica l'Anaci. «Qualcosa di buono in questa riforma
c'è, ma non abbiamo digerito che non sia stata prevista una
maggiore valorizzazione della figura professionale
dell'amministratore», sottolinea il presidente Pietro
Membri. Parere positivo, invece, sul tema dei requisiti
necessari che dovranno essere posseduti dall'amministratore,
sul sito internet condominiale e sulla stretta ai condomini
morosi. L'associazione considera, invece, una formalità il
tema della stipula da parte dell'amministratore di una
polizza a tutela dai rischi derivanti dalla professione
svolta (su richiesta dell'assemblea). «Per gli iscritti
alla nostra associazione, infatti, abbiamo già in automatico
una garanzia per gli errori per un milione di euro». Tra
i sindacati del settore, giudizi favorevoli arrivano dal
Sunia.
«Per noi è positivo il fatto che la riforma sia stata
fatta, abbiamo seguito il lavoro parlamentare con confronti
e audizioni, e per noi il testo presenta alcuni punti
innovativi, per esempio, riguardo alla diminuzione dei
quorum, cioè delle maggioranze richieste per le delibere
assembleari per una serie di interventi», spiega Aldo
Rossi, segretario nazionale responsabile ufficio legislativo
del Sunia. Anche se, a suo dire, si poteva fare di più sui
temi della personalità giuridica del condominio e della
partecipazione del conduttore alle assemblee per gli oneri a
suo carico. Positiva l'opinione sugli obblighi di formazione
per l'amministratore «perché ci devono essere garanzie di
professionalità» e sulla possibilità di creare un sito
internet «che potrebbe garantire maggior trasparenza ed
efficienza». Inoltre, conclude Rossi, «la possibilità di
rivalersi sui beni dei condomini morosi potrebbe portare a
una riduzione delle liti condominiali, che a oggi
rappresentano circa il 10% del contenzioso civile» (articolo ItaliaOggi Sette
del 26.11.2012). |
CONDOMINIO: LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Sulle delibere regole più chiare.
Con la legge di riforma della disciplina del condominio
approvata martedì scorso dalla commissione giustizia del
senato è stato infatti integralmente riscritto l'art. 1137
c.c., disciplinando in maniera più chiara il procedimento
giudiziale di verifica della legittimità della volontà
assembleare, in gran parte confermando le conclusioni alle
quali era giunta la più recente giurisprudenza della
Cassazione a seguito di un incessante lavorio di
interpretazione durato quasi 70 anni.
Delibere nulle e annullabili.
Il legislatore ha riscritto l'art. 1137 c.c. eliminando alla
radice qualsiasi dubbio sull'applicabilità della procedura
di impugnazione ivi disciplinata anche ai casi di nullità
delle delibere condominiali.
Nella nuova disposizione si parla infatti espressamente di
annullamento delle deliberazioni contrarie alla legge o al
regolamento di condominio da promuovere dinanzi alla
competente autorità giudiziaria nel termine perentorio di 30
giorni. Mentre in precedenza si poteva equivocare se il
ricorso diretto a fare accertare in giudizio la contrarietà
delle deliberazioni assembleari alla legge o al regolamento
di condominio comprendesse o meno anche i casi di nullità
delle stesse, la nuova versione della predetta disposizione
chiarisce in modo inequivocabile che detta azione
giudiziale, con particolare riferimento al menzionato
termine di decadenza, è finalizzata esclusivamente
all'accertamento dell'annullabilità della volontà
assembleare (occorre peraltro osservare come la stessa
giurisprudenza di legittimità abbia ormai confinato i casi
di nullità a categorie del tutto marginali).
La legittimazione ad agire. La nuova disposizione specifica
altresì che la legittimazione attiva all'impugnazione delle
deliberazioni assembleari spetta tanto ai condomini presenti
in assemblea, che abbiano votato in senso contrario
all'approvazione della delibera, quanto a quelli assenti,
quanto, infine, a quelli che, pur avendo partecipato alla
riunione condominiale, sia siano astenuti dal voto. Il
termine di decadenza di 30 giorni per l'impugnazione della
delibera condominiale decorre dalla data dell'assemblea per
i dissenzienti e gli astenuti e dalla data di comunicazione
della deliberazione per gli assenti.
Le modalità di impugnazione delle deliberazioni. Con
l'eliminazione della parola «ricorso» dall'art. 1137 c.c. il
legislatore ha poi risolto una volta per tutte l'annosa
questione se il termine in questione debba essere inteso in
senso tecnico o atecnico e se, quindi, l'impugnazione delle
deliberazioni assembleari debba avvenire con ricorso o con
atto di citazione. La nuova disposizione si limita infatti a
dire che chi intende impugnare una deliberazione assembleare
che si assuma contrarie alla legge o regolamento di
condominio deve chiederne l'annullamento all'autorità
giudiziaria entro il termine di 30 giorni, rientrando dunque
detto procedimento tra quelli ordinari, normalmente
introdotti con atto di citazione.
La sospensione dell'efficacia della delibera impugnata. Con
gli ultimi due commi del novellato art. 1337 c.c. si è
quindi voluta ulteriormente chiarire la questione della
sospensione dell'efficacia della delibera condominiale
impugnata. Detta istanza, di natura cautelare, potrà quindi
essere proposta tanto in costanza di causa quanto
anteriormente alla stessa.
Limitatamente a quest'ultimo caso il legislatore ha però
inteso specificare che l'istanza di sospensione proposta
autonomamente e anteriormente all'avvio della causa di
merito non sospende il termine di decadenza di 30 giorni di
cui al medesimo art. 1337 c.c. ovvero, detto in altri
termini, non equivale all'atto di impugnazione della volontà
assembleare.
La mediazione c.d. obbligatoria delle controversie
condominiali. L'art. 5 del dlgs n. 28/2010, normativa quadro
in materia di mediazione, obbliga le parti a far precedere
l'eventuale azione giudiziaria in materia di condominio da
un tentativo di risoluzione bonaria della controversia
presso specifici organismi iscritti in un apposito registro
tenuto presso il ministero della giustizia.
Circa il significato del concetto di «controversia
condominiale» la legge di riforma ha opportunamente chiarito
che sono tali quelle derivanti dalla violazione o
dall'errata applicazione delle disposizioni dettate dal
codice civile e dalle relative disposizioni di attuazione in
materia condominiale.
In altri termini, rientrano nella c.d. mediazione
obbligatoria le liti tra condomini e tra questi ultimi e il
condominio, non anche quelle tra il condominio e soggetti
terzi (fornitori, ecc.).
Anche in ordine alla libertà dei litiganti di scegliere
l'organismo cui inviare l'istanza di mediazione la legge di
riforma ha inserito una disposizione del tutto peculiare per
il condominio, prevedendo che la stessa debba essere
presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo
di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale
nella quale il condominio è situato. La nuova disposizione
normativa opportunamente chiarisce inoltre che al
procedimento di mediazione è legittimato a partecipare
l'amministratore, previa delibera assembleare da assumere
con la maggioranza di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c.
È poi stato ulteriormente previsto che se i termini di
comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere
la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su
istanza del condominio, idonea proroga della prima
comparizione. La proposta di mediazione deve quindi essere
approvata dall'assemblea con la maggioranza di cui all'art.
1136, secondo comma, c.c. Se non si raggiunge la predetta
maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.
Si tratta di disposizioni chiare e opportune che consentono
di superare molti dei dubbi fino a oggi emersi in materia di
mediazione delle liti condominiali e che dovrebbero quindi
agevolare il compito degli amministratori condominiali,
garantendo maggiori possibilità di successo a questo
particolare strumento di risoluzione delle controversie.
Occorre però evidenziare come a oggi la mediazione in
materia condominiale non possa più ritenersi obbligatoria a
seguito dell'annuncio dato dalla Corte costituzionale lo
scorso 24.10.2012 circa la dichiarazione di
illegittimità, per eccesso di delega legislativa, del dlgs
n. 28/2010. In questi giorni si rincorrono però le voci su
possibili e immediate sanatorie per via legislativa, in
attesa del deposito delle motivazioni della predetta
sentenza (articolo ItaliaOggi Sette del
26.11.2012). |
CONDOMINIO: LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/
Installazioni e modifiche veloci.
Novità in arrivo per gli impianti in ambito condominiale,
sia per quanto riguarda quelli «centralizzati», che possono
essere installati o modificati con delibere assembleari
approvate con quorum più bassi (e quindi più rapidamente),
sia per quanto riguarda quelli non centralizzati, che
possono essere installati nelle proprietà esclusive secondo
regole precise, mirate a evitare successive contestazioni da
parti degli altri condomini.
Quindi la prima importante novità introdotta dalla riforma
del condominio è la possibilità di deliberare
l'installazione di impianti comuni sulla base di un consenso
non necessariamente ampio da parte dei condomini.
Gli impianti satellitari e di produzione dell'energia
pulita. Per favorire lo sviluppo e la diffusione delle nuove
tecnologie di radiodiffusione da satellite, le opere di
installazione di nuovi impianti satellitari (i c.d.
padelloni) era prevista dalla legge una maggioranza ridotta
e cioè un numero di voti pari al terzo dei partecipanti al
condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio.
A seguito della riforma del condominio, il cui obiettivo è
certamente quello di eliminare il più possibile il numero
esorbitante degli impianti singoli, è stata prevista la
possibilità di installare impianti centralizzati per la
ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro
genere di flusso informativo (anche da satellite o via cavo)
e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le
singole utenze con un delibera approvata con la maggioranza
degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
Lo stesso quorum ridotto poi vale anche per la realizzazione
delle opere e degli interventi diretti alla produzione di
energia mediante l'utilizzo di impianti «verdi» (fonti
eoliche, solari o comunque rinnovabili) da parte del
condominio.
Per detti impianti sparisce quindi la maggioranza dei
partecipanti al condominio (che viene sostituita dalla
maggioranza degli intervenuti all'assemblea) ed il valore
millesimale scende al 50%.
Si può perciò dire che per approvare questi impianti, che
rappresentano delle innovazioni, è richiesta la stessa
maggioranza prevista per le spese straordinarie sulle parti
comuni e, conseguentemente si ridurrà in modo notevole il
contenzioso tra condomini sulla natura dell'intervento
deliberato.
Ma le novità non finiscono qui.
Anche la richiesta di installazione di detti impianti
centralizzati da parte di un solo condomino deve essere
tenuta in considerazione dall'amministratore che deve
inserire la questione all'ordine del giorno ed è tenuto a
convocare l'assemblea entro 30 giorni dalla richiesta.
Del resto costituisce grave irregolarità il comportamento
dell'amministratore che ripetutamente rifiuti di convocare
l'assemblea nei casi previsti dalla legge.
Quindi l'amministratore deve convocare, sempreché la
richiesta sia chiara e dettagliata.
È vero infatti che il singolo condomino o il gruppo di
condomini che intendono proporre l'installazione dei detti
impianti sono tenuti a indicare (evidentemente per iscritto)
il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli
interventi proposti (ma non sembra debba essere necessario
un vero e proprio progetto).
In mancanza, l'amministratore deve invitare il condomino
proponente a fornire le necessarie informazioni mancanti.
Naturalmente tali impianti possono essere realizzati
sempreché non compromettano la sicurezza del fabbricato, non
alterino il decoro architettonico o rendano talune parti
comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento
anche di un solo condomino.
Gli impianti non centralizzati. La riforma del condominio
introduce importanti novità anche su una questione
frequentemente oggetto di contenzioso tra i condomini e cioè
le installazioni di impianti autonomi nelle parti comuni per
la ricezione radiotelevisiva (ad esempio, parabole) e di
altri flussi informativi o per la produzione di energia da
fonti rinnovabili.
Così viene riconosciuto il diritto individuale del singolo
condomino alla ricezione radio-Tv con impianti individuali
satellitari o via cavo e ne viene confermata la libera
realizzazione, senza previo voto dell'assemblea, con
l'obbligo però di arrecare il minor pregiudizio possibile
alle parti comuni e agli immobili di proprietà di altri
condomini e prevedendo che, per la progettazione e
l'esecuzione dell'impianto, i condomini siano comunque
costretti a lasciare libero accesso alle loro proprietà
individuali.
In ogni caso deve essere rispettato il decoro architettonico
dell'edificio (ed è fatto salvo quanto previsto in materia
di reti pubbliche).
Ma è consentita anche l'installazione di impianti per la
produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al
servizio di singole unità del condominio sul lastrico
solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti
di proprietà individuale dell'interessato.
Sarà l'assemblea, ai fini dell'installazione di detti
impianti, a provvedere, a richiesta degli interessati, a
ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici
comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste
dal regolamento di condominio o comunque in atto.
Del resto, ciascun comproprietario potrebbe avere interesse
ad installare pannelli per produrre energia, ma potrebbe non
essere sufficiente per tutti la superficie a disposizione, o
sopportabile dalla struttura il peso di più impianti ecc.;
dette eventualità, fanno sì che la disponibilità
dell'installazione non sia affatto scontata, ma debba essere
valutata caso per caso, considerando la volontà e gli
interessi di tutti i condomini interessati.
Da tenere presente che se detti impianti comportano
necessariamente modifiche delle parti comuni, il condomino
interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando
il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli
interventi.
In tal caso l'assemblea può intervenire e imporre, con un
numero di voti che rappresenti la maggioranza degli
intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio,
adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre
cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o
del decoro architettonico del caseggiato, con possibilità di
subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte
dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali.
Tale disciplina coglie quindi in pieno l'esigenza di
tutelare la sicurezza e l'estetica del condominio (articolo ItaliaOggi Sette del
26.11.2012). |
CONDOMINIO:
LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/
Dura la vita per chi non paga.
Acceleratore premuto contro i condomini morosi, che possono
essere attaccati sia dall'amministratore sia dai creditori
del condominio.
La legge di riforma del condominio si preoccupa di
ammodernare la gestione finanziaria della compagine dei
comproprietari, anche se non le ha riconosciuto lo status di
persona giuridica.
Lo svecchiamento dell'impianto normativo prelude in alcuni a
una gestione manageriale del condominio, tanto che la stessa
può essere affidata a società e può essere nominato un
organo di auditing interno (una commissione consultiva e di
controllo formata da condomini). Manageriale o meno (va
ricordato che la riforma ammette la possibilità di forme di
amministrazione in proprio con uno dei comproprietari che si
presta) la riforma dà un impulso alla gestione dei crediti
condominiali.
Vediamo come.
Innanzi tutto, salvo che sia stato espressamente dispensato
dall'assemblea, l'amministratore è tenuto ad agire per la
riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro
sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito
esigibile è compreso.
Il nuovo articolo 1129 del codice civile detta, dunque, i
tempi all'amministratore che non può rimanere inerte.
Il termine di sei mesi, entro i quali, necessariamente,
l'amministratore deve agire e chiedere un decreto ingiuntivo
contro il moroso, è a disposizione dell'assemblea, ma se la
stessa non ha disposto nulla di diverso, allora, è
automatico.
Se l'amministratore non rispetta il termine di sei mesi e
non si rivolge a un avvocato per avviare la pratica legale
potrà essere chiamato a risponderne di fronte all'assemblea;
così come è responsabile e può essere revocato, se, quando
sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione
delle somme dovute al condominio, abbia omesso di curare
diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione
coattiva.
Una causa tipica di irregolarità nella gestione del credito
e che può dare adito alla revoca dell'amministratore è aver
acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla
cancellazione delle formalità eseguite nei registri
immobiliari a tutela dei diritti del condominio: ogni
decisione da cui può derivare una minore garanzia deve
passare dall'assemblea.
Dal punto di vista del singolo condomino il periodo di mora
tollerato è un semestre, trascorso il quale bisogna
aspettarsi la notifica dell'atto giudiziario e in
particolare di un decreto ingiuntivo.
Per la riscossione dei contributi in base allo stato di
ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore,
senza bisogno di autorizzazione di questa, può, infatti,
ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo.
Si tratta di una procedura veloce, mediante la quale il
creditore si rivolge direttamente al giudice cui porta le
prove scritte del proprio credito, per ottenere un decreto
con il quale si può passare subito alla fase del
pignoramento.
Secondo un orientamento della Cassazione, è possibile
chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo anche solo sulla
base del bilancio preventivo regolarmente approvato
dall'assemblea.
L'esecutività non viene meno neanche nel caso in cui il
condomino moroso presenti opposizione al decreto ingiuntivo.
Terminato il semestre il condomino moroso potrà anche essere
sospeso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di
godimento separato.
Tale sanzione, nella versione previgente del codice, si
applicava soltanto nel caso in cui vi fosse una espressa
previsione regolamentare condominiale che lo consentisse
espressamente, mentre con la nuova versione la sanzione è
prevista direttamente dalla norma e potrà risultare uno
strumento particolarmente persuasivo.
L'azione dei creditori del condominio. Il condomino moroso
non subisce solo attacchi interni, in quanto è esposto anche
all'azione dei creditori del condominio. In base
all'articolo 63 delle disposizioni di attuazione, infatti,
l'amministratore è tenuto a comunicare ai creditori non
ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini
morosi. E contro di questi il creditore esterno dovrà
rivolgersi in prima battuta.
I creditori, infatti, non possono agire nei confronti degli
obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo
l'escussione degli altri condomini (disposizione introdotta
dalla legge di riforma).
Si tratta di un beneficio di preventiva escussione a favore
dei comproprietari in regola, anche se non è chiaro se
l'obbligazione del condominio sia solidale o meno (con
obbligo in quest'ultimo caso del creditore di agire contro
ciascun condomino nei limiti della sua quota di millesimi).
La Cassazione si è schierata per quest'ultima tesi, anche se
i giudici di merito non seguono unanimemente la Suprema
corte.
Quanto ai soggetti tenuti al pagamento, la riforma ribadisce
che chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato
solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi
all'anno in corso e a quello precedente.
Inoltre chi cede diritti su unità immobiliari resta
obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi
maturati fino al momento in cui è trasmessa
all'amministratore copia autentica del titolo che determina
il trasferimento del diritto. Quindi chi compra è
responsabile per debiti pregressi al suo acquisito e chi
vende rimane obbligato anche per debiti successivi alla
vendita, fino alla data in cui non ha consegnato l'atto
all'amministratore.
Chi vende rimane, dunque, ancora coinvolto delle vicende
condominiali successive al passaggio di proprietà, a meno
che non sia diligente nel far avere all'amministratore la
copia dell'atto di vendita. Se non lo fa, il vecchio
proprietario potrà ancora essere chiamato al pagamento degli
oneri condominiali successivi alla compravendita non versati
dall'acquirente.
Una volta riscossi (spontaneamente o coattivamente) i
contributi, questi devono essere accreditati su un conto
dedicato.
La riforma scrive, infatti, la regola per cui
l'amministratore è obbligato a far transitare le somme
ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, e
quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio,
su uno specifico conto corrente, postale o bancario,
intestato al condominio. Sul punto deve essere garantita la
massima trasparenza: ciascun condomino, per il tramite
dell'amministratore, può chiedere di prendere visione ed
estrarre copia del conto (articolo ItaliaOggi Sette del
26.11.2012). |
CONDOMINIO:
LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Videosorvegliati, ok a maggioranza.
Via libera, ma a maggioranza, alla videosorveglianza
condominiale. E con alcune cautele indicate dal Garante
della privacy. La riforma del condominio, infatti, introduce
l'articolo 1122-ter del codice civile, che prevede la
facoltà dell'assemblea di decidere sull'installazione di
impianti di videosorveglianza sulle parti comuni, con la
maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136,
ossia deliberazioni approvate con un numero di voti che
rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la
metà del valore dell'edificio.
La norma arriva in un contesto, fino a oggi, di assenza di
una presa di posizione del legislatore. Tanto che con
provvedimento dell'08.04.2010 sulla videosorveglianza il
Garante aveva appurato una lacuna normativa. In quella sede
per i trattamenti effettuati dal condominio (anche per il
tramite della relativa amministrazione), il Garante aveva
evidenziato l'assenza di una puntuale disciplina che
permettesse di risolvere alcuni problemi applicativi
evidenziati nell'esperienza di questi ultimi anni. Infatti,
che non era chiaro se l'installazione di sistemi di
videosorveglianza potesse essere effettuata in base alla
sola volontà dei comproprietari, o se rilevasse anche la
qualità di conduttori; ancora non era chiaro quale fosse il
numero di voti necessario per la deliberazione condominiale
in materia (l'unanimità o una determinata maggioranza).
La legge di riforma del condominio affronta, invece,
direttamente la questione e stabilisce che le deliberazioni
concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio
di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di
esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui
al secondo comma dell'articolo 1136 del codice civile.
Vediamo dunque cosa prevede l'articolo 1136 del codice
civile, che è stato modificato. In prima convocazione per
l'approvazione di una delibera ci vuole il quorum di 2/3 del
valore e maggioranza per teste, e voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore
dell'edificio.
Poiché la norma fa riferimento esclusivamente al secondo
comma dell'articolo 1136, si deve ritenere che la
maggioranza debba sempre commutarsi secondo le soglie da
esso previste.
Una volta rispettate queste maggioranze si può passare a
installare le telecamere. Ma senza dimenticare che si devono
osservare le precauzioni previste dal citato provvedimento
generale del Garante della privacy del 2010.
Eccole, in dettaglio: le persone che transitano nelle aree
videosorvegliate del condominio devono essere informate con
cartelli della presenza delle telecamere, i cartelli devono
essere resi visibili anche quando il sistema di
videosorveglianza è attivo in orario notturno. Nel caso in
cui i sistemi di videosorveglianza installati siano
collegati alle forze di polizia è necessario apporre uno
specifico cartello che lo evidenzi.
Contro possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti,
atti di vandalismo, prevenzione incendi, sicurezza del
lavoro ecc. si possono installare telecamere senza il
consenso dei soggetti ripresi, ma sempre sulla base delle
prescrizioni indicate dal Garante.
Particolare attenzione deve essere posta quanto al termine
di conservazione delle immagini registrate.
Il provvedimento generale del Garante dell'08.04.2010
stabilisce che, nei casi in cui sia stato scelto un sistema
che preveda la conservazione delle immagini, in applicazione
del principio di proporzionalità, anche l'eventuale
conservazione temporanea dei dati deve essere commisurata al
tempo necessario e predeterminato a raggiungere la finalità
perseguita. Il provvedimento passa a indicazioni nel
dettaglio: la conservazione deve essere limitata a poche ore
o, al massimo, alle 24 ore successive alla rilevazione.
Inoltre non risulta che ricorrano circostanze tali da
consentire un allungamento del periodo di conservazione. Il
sistema impiegato deve essere programmato in modo da operare
al momento prefissato l'integrale cancellazione automatica
delle informazioni allo scadere del termine previsto da ogni
supporto, anche mediante sovra-registrazione, con modalità
tali da rendere non riutilizzabili i dati cancellati. In
presenza di impianti basati su tecnologia non digitale o
comunque non dotati di capacità di elaborazione tali da
consentire la realizzazione di meccanismi automatici di expiring dei dati registrati, la cancellazione delle
immagini dovrà comunque essere effettuata nel più breve
tempo possibile per l'esecuzione materiale delle operazioni
dalla fine del periodo di conservazione fissato dal
titolare. Il mancato rispetto dei tempi di conservazione
delle immagini raccolte e del correlato obbligo di
cancellazione di dette immagini oltre il termine previsto
comporta l'applicazione della sanzione amministrativa
stabilita dall'art. 162, comma 2-ter, del Codice della
privacy.
Altri adempimenti, previsti nel provvedimento generale del
Garante, sono la richiesta di verifica preliminare e la
nomina di responsabili e incaricati del trattamento. La
verifica preliminare è necessaria per i sistemi di raccolta
delle immagini associate a dati biometrici, per i sistemi di
videosorveglianza dotati di software che permetta il
riconoscimento della persona tramite collegamento o incrocio
o confronto delle immagini rilevate (ad esempio morfologia
del volto) con altri specifici dati personali e, infine, per
i sistemi cosiddetti intelligenti, che non si limitano a
riprendere e registrare le immagini, ma sono in grado di
rilevare automaticamente comportamenti o eventi anomali,
segnalarli, ed eventualmente registrarli. Devono essere
nominati incaricati del trattamento le persone, da mantenere
in numero ristretto, che hanno accesso alle immagini, anche
se si ritiene che per la maggioranza dei casi non sia
necessario la visione in tempo reale con un monitor. Non è
consentita alcuna forma di registrazione audio (articolo ItaliaOggi Sette
del 26.11.2012). |
APPALTI:
Rete imprese Italia: va escluso l'ambito Iva e serve un
tetto sotto il quale le norme non si
applicano. Appalti-subappalti, così non va.
La responsabilità solidale va limitata solo ad alcuni
settori.
Delimitare l'ambito di applicazione della responsabilità
solo ad alcuni settori e sopra una certa cifra ed eliminare
l'ambito Iva per l'impossibilità di effettuare controlli in
tal senso. Sono le richieste di revisione della normativa
sulla responsabilità solidale negli appalti avanzate da Rete
imprese Italia al governo. Gli spazi per intervenire non
mancano, complice la disponibilità al dialogo manifestata
dall'esecutivo, ma l'ostacolo è il fattore tempo: una volta
approvata la legge di stabilità, in parlamento scatterà il
«rompete le righe» e si penserà alla campagna elettorale in
vista delle politiche di primavera.
Le norme sulla
responsabilità solidale negli appalti e i subappalti,
introdotte con il decreto crescita (dl 83/2012, convertito
nella l. 12.08.2012, n. 134), agitano il mondo delle
imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni,
perché introducono una serie di complicazioni che rischiano
di aggravare ulteriormente il lavoro quotidiano, obbligando
i soggetti appaltanti, per evitare la responsabilità
solidale, ad accertare il corretto pagamento dei debiti
erariali da parte dei loro fornitori (appaltatori). In caso
contrario il committente potrà esimersi dal regolare
finanziariamente le prestazioni ottenute anche in presenza
di un contratto.
«Se l'obiettivo del legislatore era portare
trasparenza nel mercato, si è prodotto l'effetto opposto»,
commenta Andrea Trevisani, responsabile delle politiche
fiscali di Confartigianato, associazione che assieme a Cna,
Casartigiani, Confcommercio e Confesercenti costituisce Rete
imprese Italia. «Un aspetto che dovrebbe far riflettere e
portare a una rapida revisione delle norme, considerato che
il tempo che resta prima che il parlamento smetta nei fatti
di decidere, in vista delle prossime elezioni, è poco».
I problemi introdotti dalle norme in questione stanno
portando a una (quasi) paralisi nel mercato, con i tempi di
pagamento tra le aziende, un problema cronico del nostro
paese, che si stanno allungando ulteriormente. Se oggi
occorre attendere 137 giorni per vedersi onorato il credito
(+44 giorni solo nell'ultimo anno), verosimilmente il dato
andrà ritoccato verso l'alto. «Se si interpreta la norma
alla lettera», prosegue Trevisani, «si arriva all'assurdo
per cui se l'azienda deve sostituire la serratura di un
capannone è chiamata a verificare che il fabbro convocato
per l'operazione abbia versato regolarmente le ritenute ai
propri dipendenti e sia a posto anche sul fronte Iva». Senza
trascurare la tentazione di rinviare capziosamente i
pagamenti proprio appellandosi alla lettera della legge.
La richiesta delle aziende, espressa tramite Rete imprese
Italia, si fonda essenzialmente su tre punti: delimitare il
settore di applicazione della norma, «che è stata
introdotta in un provvedimento legislativo riguardante
l'edilizia, ma che di fatto oggi si estende anche ad altri
ambiti», spiega Trevisani. In secondo luogo porre un
limite minimo, al di sotto del quale le misure non si
applicano (i piccoli lavori in sostanza). Infine, escludere
l'ambito Iva, caratterizzato da tempistiche che spesso
rendono impossibile i controlli. «Restiamo sul piano dei
contenuti e del buon senso», conclude il responsabile
fiscale. «Ci auguriamo che si tenga conto di questo» (articolo ItaliaOggi Sette
del 26.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Dl enti locali. Sanzioni fino allo scioglimento per chi non
ridefinisce le verifiche su conti, gestioni e partecipate.
Controlli, riforma in tempi stretti.
Il Parlamento non modifica la scadenza: sistema da rifare
entro il 9 gennaio.
LA PROCEDURA/
Il varo dei regolamenti deve passare dal consiglio perché la
Giunta non può approvare da sola gli «atti fondamentali».
Tempi ultra-rapidi per la «rivoluzione dei controlli» negli
enti locali prevista dal Dl 174/2012 che sta compiendo gli
ultimi passaggi parlamentari in vista della conversione in
legge. I correttivi introdotti alla Camera nel decreto
originario, che hanno ritoccato anche la nuova disciplina
dei controlli, non hanno però modificato il calendario.
L'avvio dei nuovi meccanismi, di conseguenza, dovrà
inderogabilmente avvenire entro il 9 gennaio prossimo: il
termine è quello fissato dall'articolo 3, comma 2, che anche
dopo il passaggio alla Camera continua a far riferimento a
90 giorni dall'approvazione del decreto, e non dalla sua
conversione in legge come spesso avviene quando il
Parlamento rivede i meccanismi scritti dal Governo nel testo
originario. Insomma, a meno di improbabili ripensamenti
dell'ultima ora, occorrerà fare in fretta, anche per evitare
di imboccare la strada che può portare a sanzioni
pesantissime, fino allo scioglimento dell'ente.
L'impresa non è semplice, perché la nuova disciplina chiede
di rivedere integralmente il meccanismo dei controlli
interni e le stesse procedure ordinarie che caratterizzano
la vita amministrativa degli enti locali e la decisione
sugli atti di spesa. In pratica, si tratta di riordinare
un'architettura dei controlli che poggia su tre pilastri,
rappresentati dal controllo di regolarità contabile, dal
controllo di gestione e da quello sugli equilibri di
bilancio, a cui negli enti sopra i 15mila abitanti (la
soglia era stata fissata a 10mila nel testo originario
approvato dal Governo) si aggiungono i capitoli relativi al
controllo strategico e a quello sulle società partecipate
non quotate.
Regolarità contabile ed equilibri di bilancio sono
naturalmente le due tipologie con più storia e diffusione
nei controlli negli enti locali, ma ricevono dalla riforma
importanti novità, a partire dal parere quasi vincolante
(gli organi politici devono motivare l'eventuale deroga) che
il responsabile del servizio finanziario deve dare su tutti
gli atti che abbiano «riflessi diretti e indiretti sul
bilancio».
Più innovativo il controllo strategico, che negli
enti sopra i 15mila abitanti è chiamato a verificare i
risultati conseguiti in base ai singoli obiettivi, le
performance finanziarie, i tempi di realizzazione: nei
Comuni maggiori esistono già molte esperienze di questo
tipo, ma la nuova disciplina fissa con più puntualità
caratteristiche e contenuti del controllo, che si deve
estendere anche al monitoraggio sulla qualità dei servizi
erogati e al tasso di soddisfazione degli utenti. Un analogo
sistema di monitoraggi deve estendersi alle società
partecipate, con un'analisi puntuale sui rapporti finanziari
fra Comune e società, sul quadro contabile e i contratti di
servizio, oltre che sul rispetto dei vincoli di finanza
pubblica. Un aspetto, quest'ultimo, che appare più che
problematico, come mostra l'allarme lanciato giovedì dalla
Ragioneria sull'obbligo per i Comuni di vigilare sul
deposito dei bilanci da parte di aziende speciali e
istituzioni. Il termine scade il 30 novembre, ma
praticamente nessuno ha trasmesso i dati e la vigilanza è in
carico alle amministrazioni locali controllanti.
L'approvazione delle disposizioni regolamentari volte a
disciplinare il controllo di regolarità amministrativa e
contabile, il controllo di gestione, il controllo
strategico, quello sugli equilibri di bilancio e quello
sulle società partecipate è di competenza del consiglio
comunale o provinciale, quindi viene ricondotto al novero
degli atti fondamentali individuati dalla classificazione
contenuta nell'articolo 42 del Tuel. Non sono possibili
alternative (linee-guida) e nemmeno elusioni alla competenza
dell'organo collegiale rappresentativo, in quanto la
competenza consiliare è espressamente indicata all'articolo
3, comma 2, del decreto, e quindi impedisce un intervento
della Giunta (che sarebbe viziato da incompetenza).
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L'architettura dei controlli
01 | REGOLARITÀ CONTABILE
Il controllo è esercitato in fase preventiva, come parere di
regolarità tecnica e contabile degli atti, e in fase
successiva, secondo principi generali di revisione
aziendale. Il parere del responsabile dei servizi finanziari
viene esteso a tutti gli atti che abbiano «riflessi diretti
o indiretti» sugli equilibri di bilancio dell'ente locale.
Il controllo sui singoli atti va effettuato utilizzando
tecniche di campionamento
02 | CONTROLLO
DI GESTIONE
Punta a verificare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità
dell'azione amministrativa, per ottimizzare il rapporto tra
risorse impiegate e risultati conseguiti
03 | CONTROLLO STRATEGICO
Punta a verificare lo stato di attuazione effettiva dei
programmi. L'ente deve rilevare i risultati conseguiti
rispetto agli obiettivi e i tempi di realizzazione rispetto
alle previsioni. Questa tipologia di controllo non è
prevista per i Comuni con meno di 15mila abitanti
04 | EQUILIBRI FINANZIARI
È svolto sotto la direzione e il coordinamento del
responsabile del servizio finanziario e tramite la vigilanza
dell'organo di revisione
05 | ORGANISMI ESTERNI
L'ente locale deve definire un sistema di controlli sulle
società partecipate, tramite le strutture proprie dell'ente
locale
06 | QUALITÀ DEI SERVIZI
Può essere effettuato sia direttamente, sia tramite
organismi gestionali esterni, con l'uso di metodi che
consentano di misurare la soddisfazione degli utenti esterni
e interni dell'ente (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.11.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
aggiornamento al 26.11.2012 |
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CONDOMINIO: LA
RIFORMA DEL CONDOMINIO/ La distinzione tra decisioni
contrattuali e deliberative. Nuovi millesimi, serve unanimità.
La rettifica per errore può invece avvenire a maggioranza.
Per cambiare le tabelle millesimali condominiali non ci
vuole sempre l'unanimità; la rettifica per errore o
mutamento dello stato dell'immobile può avvenire a
maggioranza.
La riforma del condominio precisa quando la decisione sui
valori proporzionali delle singole unità immobiliari ha
natura contrattuale (e ci vuole l'accordo di tutti) e
quando, invece, ha natura deliberativa (e basta la
maggioranza). Vediamo, dunque, il nuovo articolo 69 delle
disposizioni per l'attuazione del codice civile, partendo
dalla situazione del codice civile previgente.
Nella normativa previgente, spiegano gli atti parlamentari,
secondo l'orientamento tradizionale, l'approvazione o la
revisione delle tabelle millesimali non poteva essere
deliberata a maggioranza dall'assemblea condominiale. Come
accade per il regolamento contrattuale, si riteneva invece
necessario il consenso di tutti i condomini; in assenza di
tale consenso unanime, alla formazione delle tabelle
provvedeva il giudice su istanza degli interessati, in
contraddittorio con tutti i condomini.
Tra gli argomenti a sostegno della tesi dell'unanimità, si
affermava che la materia non rientrava tra le competenze
della assemblea e che l'approvazione delle tabelle si
risolverebbe in un atto negoziale di accertamento, cioè una
manifestazione di volontà volta ad accertare il contenuto di
diritti reali spettanti a ciascun condomino.
Una sentenza della Corte di cassazione si è pronunciata, a
Sezioni Unite, in materia di approvazione e modifica delle
tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio
rendendo più facile l'intervento dell'assemblea condominiale
(Cassazione civile, S.U., sentenza 09.08.2010, n. 18477).
Per la Cassazione, infatti, «le tabelle millesimali non
devono essere approvate con il consenso unanime dei
condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di
cui all'articolo 1136 codice civile, comma 2 (voto a
maggioranza degli intervenuti e che rappresenti almeno la
metà del valore dell'edificio)».
Il nuovo articolo 69 citato comincia con il disporre che i
valori proporzionali delle singole unità immobiliari
espressi nella tabella millesimale possono essere
rettificati o modificati all'unanimità.
L'assemblea totalitaria è sovrana e può decidere la misura
dei millesimi, anche eventualmente, se i condomini lo
vogliono, senza corrispondenza precisa con lo stato di
fatto. No si può escludere ì, infatti che i condomini
intendano modificare la portata dei loro rispettivi diritti
e obblighi di partecipazione alla vita del condominio. Ma
questa non è l'unica via per la modifica dei millesimi.
La norma prosegue prescrivendo che in alcuni casi i valori
possono essere rettificati o modificati anche nell'interesse
di un solo condomino, con la maggioranza prevista
dall'articolo 1136, secondo comma, del codice civile
(maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore
dell'edificio).
I casi di modifica a maggioranza sono: valori conseguenza di
un errore; alterazione per più di un quinto del valore
proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo
condomino, in conseguenza di mutate condizioni di una parte
dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di
incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle
unità immobiliari.
In questo caso il costo è sostenuto da chi ha dato luogo
alla variazione.
A questo proposito va sottolineato che per errore si intende
la obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle
singole unità immobiliari e il valore proporzionale ad esse
attribuito.
Inoltre, allo scopo di rivedere i valori proporzionali
espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento
di condominio, può essere convenuto in giudizio unicamente
il condominio in persona dell'amministratore. Questi è
tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei
condomini. L'amministratore che non adempie a quest'obbligo
può essere revocato ed è tenuto al risarcimento degli
eventuali danni.
Le norme richiamate si applicano per la rettifica o la
revisione delle tabelle per la ripartizione delle spese
redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali.
Infine va ricordato che il Condominio può esperire l'azione
di indebito arricchimento per far valere le proprie ragioni
contro il singolo condomino che si è avvalso di un errore
nelle tabelle millesimali per non concorrere alle spese
(articolo ItaliaOggi del
24.11.2012). |
CONDOMINIO: LA
RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Le deliberazioni impugnabili anche
dagli astenuti. Assemblee ad assetto variabile.
Maggioranza semplice per le modifiche di minore rilievo.
Maggioranze più snelle e deliberazioni impugnabili anche
dagli astenuti. Per cambiare la tabella millesimale ci vuole
l'unanimità, ma basta la maggioranza se la variazione
riguarda una rettifica per un solo condomino, anche a
seguito di sopraelevazione o aumento delle unità.
Queste le
novità della legge di riforma del condominio, che riscrive
l'articolo 1136 del codice civile, attesa alla pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale.
Vediamo come.
L'assemblea in prima convocazione è regolarmente costituita
con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due
terzi del valore dell'intero edificio e la maggioranza dei
partecipanti al condominio.
Nella vecchia versione occorreva il medesimo quorum di
millesimi, ma un più alto quorum per teste: questo significa
che sarà più facile far svolgere l'assemblea in prima
convocazione.
Per l'approvazione delle deliberazioni occorre un numero di
voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e
almeno la metà del valore dell'edificio. Il computo della
maggioranza per l'assemblea in prima convocazione è rimasto
invariato (ma calcolato su un diverso quorum partecipativo).
Se l'assemblea in prima convocazione non può deliberare per
mancanza di numero legale, l'assemblea in seconda
convocazione delibera in un giorno successivo a quello della
prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla
medesima.
Quindi non ci possono essere prima e seconda convocazione
nello stesso giorno. La riforma inserisce una soglia per
considerare regolarmente costituita l'assemblea in seconda
convocazione: occorre l'intervento di tanti condomini che
rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero
edificio e un terzo dei partecipanti al condominio. Per
l'approvazione delle deliberazioni occorre la maggioranza
degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti
almeno un terzo del valore dell'edificio.
Una maggioranza qualificata ci vuole per le deliberazioni
che concernono la nomina e la revoca dell'amministratore o
le liti attive e passive relative a materie che esorbitano
dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, quelle che
concernono la ricostruzione dell'edificio o riparazioni
straordinarie di notevole entità e le deliberazioni di cui
agli articoli 1117-ter (tutela delle destinazioni di uso),
1120, secondo comma (opere per sicurezza impianti,
eliminazione barriere architettoniche, contenimento consumo
energetico, realizzazione parcheggi, installazione pannelli
solari, impianti centralizzati di ricezione televisiva e
dati), 1122-ter (impianti di videosorveglianza) nonché 1135,
secondo comma (manutenzione straordinaria): devono essere
sempre approvate con la maggioranza stabilita dal secondo
comma, e cioè maggioranza degli intervenuti rappresentante
almeno la metà del valore dei millesimi.
Le deliberazioni di cui all'articolo 1120, primo comma
(innovazioni), e all'articolo 1122-bis, terzo comma
(prescrizioni e cautele per impianti individuali di
ricezione televisiva e di produzione di energia da fonti non
rinnovabili), devono essere approvate dall'assemblea con un
numero di voti che rappresenti la maggioranza degli
intervenuti e almeno i due terzi del valore dell'edificio.
L'articolo 1136 nuova versione conferma che l'assemblea non
può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto
sono stati regolarmente convocati.
Infine, delle riunioni dell'assemblea si redige processo
verbale da trascrivere nel registro tenuto
dall'amministratore.
IMPUGNAZIONI
La regola della maggioranza impone che le deliberazioni
prese dall'assemblea sono obbligatorie per tutti i
condomini.
La riforma allarga la platea dei soggetti che possono
impugnare la deliberazione. Il codice civile, nella vecchia
versione, si riferiva ai condomini assenti e a quelli
dissenzienti. Si aggiunge ora la categoria degli astenuti.
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al
regolamento di condominio ogni condomino assente,
dissenziente o astenuto, dunque, può rivolgersi all'autorità
giudiziaria chiedendone l'annullamento.
Rimane il termine di decadenza di 30 giorni, trascorsi i
quali la deliberazione si consolida.
Il termine di 30 giorni decorre dalla data della
deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di
comunicazione della deliberazione per gli assenti.
L'azione di annullamento non sospende l'esecuzione della
deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata
dall'autorità giudiziaria.
L'istanza per ottenere la sospensione proposta prima
dell'inizio della causa di merito non sospende né interrompe
il termine per la proposizione dell'impugnazione della
deliberazione.
MILLESIMI
Per la rettifica e modifica della tabelle dei millesimi
(valori proporzionali delle singole unità immobiliari) di
regola ci vuole l'unanimità.
Tuttavia in alcuni casi basta la maggioranza degli
intervenuti e la metà del valore dell'edificio: ciò vale per
rettificare o modificare i millesimi anche nell'interesse di
un solo condomino. Questo capita quando i valori sono
conseguenza di un errore e a seguito di sopraelevazione,
incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle
unità immobiliari, con conseguente alterazione di più di un
quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche
di un solo condomino. In questa ipotesi il relativo costo è
sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012). |
LAVORI PUBBLICI: Direttiva
pagamenti, Tajani: si applica ai lavori pubblici.
La disciplina europea sui ritardati pagamenti si applica
anche al settore dei lavori e in particolare alla
progettazione e all'esecuzione di opere e edifici pubblici,
nonché ai lavori di ingegneria civile.
È quanto conferma il
vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani,
nella
lettera 14.11.2012 con la quale risponde al
presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, rispetto al problema
dell'inclusione del settore delle costruzioni nell'ambito
applicativo della nuova disciplina comunitaria sui ritardati
pagamenti (direttiva 7/2011) recepita dal decreto 192 del 09.11.2012.
Il punto delicato, sollevato nei giorni scorsi non soltanto
dall'Ance, ma anche da Confartigianato, Cna, Aniem, Ancpl e
Oice, riguarda la nozione di «transazione commerciale» che
il decreto prevede sia riferita ai contratti che hanno a
oggetto «la consegna di merci o la prestazione di servizi
contro il pagamento di un prezzo». Da ciò il timore che
interpretazioni restrittive possano escludere la
realizzazione di opere pubbliche, nonostante la direttiva,
in un «considerando», preveda esplicitamente che i settori
cui si applica la disciplina «dovrebbero anche includere la
progettazione e l'esecuzione di opere e edifici pubblici,
nonché i lavori di ingegneria civile».
Nella lettera di
risposta all'Ance il commissario europeo, dopo avere
espresso apprezzamento per il fatto che l'Italia ha recepito
la direttiva n. 7 ben prima del termine del 16.03.2013
(le norme del decreto 192 entreranno in vigore il 01.01.2013), afferma che il campo di applicazione della direttiva
«riguarda tutti i settori produttivi senza eccezioni incluso
il settore edile».
Per Tajani, «la nozione di fornitura di
merci e di prestazione di servizi dietro corrispettivo
include anche la progettazione e l'esecuzione di opere e
edifici pubblici, nonché i lavori di ingegneria civile»,
come dice anche il considerando. Nei giorni scorsi, in
alcune dichiarazioni alla stampa, anche il viceministro Ciaccia
aveva confermato che le norme del decreto 192 sono da
ritenersi applicabili anche ai lavori. A questo punto, per
fugare ogni residuo e possibile dubbio, manca soltanto un
piccolo intervento integrativo o interpretativo sul decreto
192
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Dimissioni,
niente convalida nella p.a..
La nuova procedura sulle dimissioni introdotta dalla riforma
Fornero non si applica ai dipendenti pubblici almeno fino a
quando non verrà recepita con appositi provvedimenti. Lo
spiega il ministero del lavoro nell'interpello n. 35/2012,
rispondendo all'Università di Firenze. Dal 18 luglio, la
legge n. 92/2012 ha introdotto una nuova procedura di
convalida delle dimissioni dal lavoro finalizzata a
contrastare il cosiddetto fenomeno delle «dimissioni in
bianco». La stessa legge, tuttavia, precisa che le nuove
disposizioni «costituiscono principi e criteri per la
regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del
dlgs n. 165/2001». Da tale norma, spiega il ministero, si
evince che la nuova disciplina sulle dimissioni trova
applicazione pure nei confronti del personale delle
pubbliche amministrazioni ma soltanto una volta che saranno
stati emessi i necessari provvedimenti di attuazione
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Anticorruzione con armi
spuntate.
Il segretario è il responsabile. Ma non può essere
sanzionato. Il sistema di
prevenzione disegnato dalla legge 190 appare tarato solo sui
dirigenti pubblici.
Inapplicabili ai segretari comunali le sanzioni previste
dalla legge 190/2012 in capo alla figura del responsabile
della prevenzione della corruzione.
La «legge anticorruzione» stabilisce che il responsabile
della prevenzione negli enti locali coincida col segretario
comunale, a meno che motivatamente non si assegni la
funzione a un altro soggetto.
Tuttavia, il sistema delle sanzioni per il responsabile
appare disegnato solo ed esclusivamente per i dirigenti
pubblici e non si attaglia alla figura del segretario.
Per il responsabile sono elementi di valutazione della
responsabilità dirigenziale «la mancata predisposizione del
piano e la mancata adozione delle procedure per la selezione
e la formazione dei dipendenti». Ma si vede subito come
questa indicazione valga poco o nulla per il segretario
comunale.
Il sistema della responsabilità dirigenziale è regolato
dall'articolo 21, comma 1, del dlgs 267/2000, ai sensi del
quale «il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato
attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui
al Titolo II del decreto legislativo di attuazione della
legge 04.03.2009, n. 15, in materia di ottimizzazione
della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e
trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero
l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente
comportano, previa contestazione e ferma restando
l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la
disciplina contenuta nel contratto collettivo,
l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico
dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi,
l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel
rispetto del principio del contraddittorio, revocare
l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli
di cui all'articolo 23 ovvero recedere dal rapporto di
lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo».
Come si nota, esso si fonda su tre livelli di sanzioni,
connesse alla gravità della responsabilità dirigenziale
rilevata: l'impossibilità di rinnovare, alla scadenza,
l'incarico dirigenziale, oppure la revoca anticipata o,
ancora, il recesso dal rapporto di lavoro.
Si tratta di una disciplina in gran parte incompatibile con
la regolazione del rapporto dei segretari comunali, i quali
dipendono, ancora per poco, dall'Agenzia per poi tornare nei
ruoli del ministero dell'interno. Il recesso, dunque, non
appare attivabile.
Ma, anche l'impossibilità del rinnovo dell'incarico non ha
alcun senso. Il segretario comunale non può che avere
l'incarico da segretario comunale. Semmai, la responsabilità
dirigenziale connessa al ruolo di responsabile della
prevenzione della corruzione potrebbe essere utile per
levarsi il peso da dosso di tale incarico, ma ovviamente
l'ente non potrebbe «non rinnovare l'incarico», posto che
tale eventualità rimane esclusivamente legata al succedersi
dei sindaci e dei presidenti delle province, dato lo spoils
system particolarmente spinto che caratterizza lo status dei
segretari.
Pertanto, l'unica vera e concreta sanzione attivabile per il
segretari potrebbe essere quella della revoca dell'incarico.
Ma tale istituto è regolato dal dlgs 267/2000 ed è connesso
soprattutto alle funzioni tipicamente proprie del
segretario.
Nella sostanza, questo primo lotto di responsabilità ha
senso solo per i dirigenti veri e propri, molto meno, quasi
riducendosi a pura forma, per i segretari comunali. Un
secondo tipo di responsabilità, quella oggettivamente più
sorprendente e meno giustificabile, è quella che rende il
responsabile responsabile, appunto, per la condotta altrui.
La legge prevede che «in caso di commissione, all'interno
dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato
con sentenza passata in giudicato, il responsabile
individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo
risponde ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché
sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e
all'immagine della pubblica amministrazione».
La norma scarica sul responsabile, in primo luogo, la già
vista «responsabilità dirigenziale», replicando gli stessi
problemi di applicabilità ai segretari comunali visti prima.
Vi è poi la responsabilità disciplinare, che nel sistema
degli enti locali, data la posizione di autonomia
spiccatissima del segretario, non si capisce bene chi
potrebbe mai contestare.
Insomma, proprio con riferimento alle responsabilità del
segretario, la legge 190/2012 rivela il suo eccessivo
formalismo burocratico, che lascia pochi spazi alla concreta
efficacia
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Giro di
vite su chi svolge una seconda attività.
Responsabilità erariale oltre all'obbligo di
restituire i compensi.
Limitazioni alla possibilità di autorizzare i dipendenti e i
dirigenti pubblici allo svolgimento di una seconda attività;
maturazione di responsabilità erariale, oltre all'obbligo
del versamento al proprio ente, in caso di percezione di
compensi provenienti da seconde attività svolte
illegittimamente dai dipendenti pubblici, comunicazione
immediata alla Funzione pubblica degli incarichi conferiti e
di quelli autorizzati a vantaggio del personale pubblico e
divieto per i dipendenti pubblici collocati in quiescenza di
ricevere incarichi di qualunque sorta da parte dei privati
con cui si è avuto a che fare per ragioni di ufficio.
Sono
queste le principali novità per il personale dipendente
dalle p.a. contenute nel testo della legge anticorruzione.
La norma entrerà in vigore mercoledì 28 novembre, decorsi 15
giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale,
immediatamente per questi aspetti. Non vi è ombra di dubbio
nel fatto che queste prescrizioni si applicano a regioni ed
enti locali in quanto sono dettate nella forma della
modifica del dlgs n. 165/2001 e che esse entrano
immediatamente in vigore
Ogni singola amministrazione dovrà darsi uno specifico
regolamento per la disciplina del conferimento di incarichi
a dipendenti pubblici e per il rilascio delle autorizzazioni
a svolgere una seconda attività per i propri dipendenti. Nel
regolamento deve essere prevista la maturazione la nuova
ipotesi del «conflitto, anche potenziale, di interessi» come
elemento di cui le p.a. devono tenere conto nel rilascio di
autorizzazioni in aggiunta alla incompatibilità di diritto e
di fatto ed alla tutela dell'interesse al buon
funzionamento, nella individuazione delle condizioni che
vietano sia il conferimento di incarichi sia
l'autorizzazione a svolgerne per conto di altri soggetti.
I dipendenti e dirigenti pubblici che ricevono
illegittimamente compensi erogati da altri soggetti per
seconde attività svolte in modo illegittimo, ad esempio
senza la prescritta autorizzazione, devono versare tali
somme alla propria amministrazione. Questa è la conferma di
un vincolo già operativo; l'elemento di novità è dato dal
rafforzamento della sanzione: il mancato versamento di
queste somme al proprio datore di lavoro determina la
maturazione di responsabilità erariale.
Viene stabilito che tutte le p.a. devono comunicazione alla
Funzione pubblica, in forma telematica, degli incarichi
conferiti a dipendenti pubblici e di quelli attribuiti da
altri soggetti ai propri dipendenti che hanno avuto una
specifica e preventiva autorizzazione. Con una assai
discutibile previsione si stabilisce che questo obbligo si
estende anche agli incarichi conferiti in via gratuita. In
precedenze queste informazioni dovevano essere trasmesse
entro il 30 giugno di ogni anno, dopo la legge 190/2012 tale
comunicazione deve essere effettuata entro i 15 giorni
successivi. E deve contenere l'oggetto dell'incarico ed il
compenso lordo; va corredata da una relazione con cui si
indicano le disposizioni che sono alla base del conferimento
dell'incarico, i criteri con cui i dipendenti sono stati
scelti e le misure di contenimento di questo tipo di spesa.
Viene limitata la possibilità per i dipendenti pubblici
cessati dal servizio di ricevere qualsivoglia tipo di
incarico, anche sotto la forma della assunzione, da parte
dei soggetti nei cui confronti «negli ultimi tre anni di
servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali
per conto delle p.a.». Da sottolineare la durezza delle
sanzioni: nullità dei contratti che violano tale obbligo,
divieto di contattare con tutte le p.a. per le aziende che
violano il divieto e, ovviamente, restituzione dei compensi
eventualmente percepiti
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: La
giunta approva il Piano.
È la giunta comunale l'organo competente ad approvare il
piano anticorruzione. La legge 190/2012 demanda all'«organo
di indirizzo politico» il compito di adottare il piano, su
proposta del dirigente responsabile della prevenzione della
corruzione, che negli enti locali coincide col segretario
comunale, a meno che motivatamente non si stabilisca di
assegnare questo compito ad un altro soggetto.
La locuzione
«organo di indirizzo politico» pone il problema di
comprendere quale sia tale organo negli enti locali, in cui
la funzione di indirizzo è ripartita tra consiglio, giunta e
sindaco (nelle province a breve la giunta dovrebbe sparire).
Evidentemente il legislatore ha tenuto presente il modello
dell'organo di indirizzo politico monocratico, tipico
dell'assetto ministeriale, lasciando aperto il problema
della corretta determinazione delle competenze negli enti
locali. Ad un primo sguardo, sembrerebbe di poter concludere
che la competenza sia del consiglio, considerando che ai
sensi dell'articolo 42, comma 1, del dlgs 267/2000 «è
l'organo di indirizzo e di controllo
politico–amministrativo».
Tuttavia, non si deve dimenticare che il consiglio è
competente esclusivamente ed in via tassativa per le sole
attribuzioni ad esso assegnate dallo stesso articolo 42 del
Tuel, il quale richiama solo programmi, mentre utilizza il
lemma «piani» solo per quelli urbanistici. La tassatività
delle competenze del consiglio, allora, porta a far ritenere
che l'adozione del piano di prevenzione della corruzione
ricada nell'organo dotato di competenza generale e
residuale, ovvero la giunta, anche in relazione alla
funzione fondamentalmente esecutiva e non di programmazione
generale che riveste il piano anticorruzione.
Basti porre mente alla necessità che il responsabile della
prevenzione della convenzione controlli in corso d'opera
l'utilità e l'efficacia del piano ed al suo obbligo di
proporne tempestivamente adeguamenti e modifiche, anche
connesse a modifiche organizzative dell'ente.
L'organizzazione è strettamente connessa al regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, unico
regolamento che il Testo unico degli enti locali assegni
alla competenza della giunta.
Considerando il valore di atto non di indirizzo generale, ma
organizzativo, del piano di prevenzione della corruzione ed
anche la non necessarietà di un dibattito tra maggioranza e
opposizione sul tema e, ancora, una rilevante snellezza del
procedimento di approvazione e revisione, sembra di poter
affermare, allora, che la competenza ricada sulla giunta e
non sul consiglio. Nel caso delle province, una volta
soppresse le giunte, sarà il presidente della provincia a
svolgerne le funzioni e dunque sarà detto organo monocratico
competente ad approvare il piano e le relative modifiche
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Il sindaco non può porre paletti alle richieste
dei consiglieri comunali. Diritto di accesso illimitato. La
tutela della privacy passa in secondo piano.
In assenza di apposite norme regolamentari di disciplina del
diritto di accesso dei consiglieri, il sindaco può
individuare autonomamente delle limitazioni al suddetto
diritto, anche con riferimento ad esigenze di tutela dei
dati personali?
L'esercizio del diritto di accesso è previsto dal secondo
comma dell'articolo 43 del dlgs 267/2000, definito dal
Consiglio di stato (sent. n. 4471/2005) «diritto
soggettivo pubblico funzionalizzato», finalizzato al
controllo politico-amministrativo sull'ente nell'interesse
della collettività e, come tale, diverso dal diritto di
accesso previsto dalla legge n. 241/1990, riconosciuto ai
soggetti interessati allo scopo di predisporre la tutela di
posizioni soggettive lese. Il diritto del consigliere
comunale ad ottenere dall'ente tutte le informazioni utili
all'espletamento del mandato non incontra neppure alcuna
limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata,
in quanto il consigliere è vincolato al segreto d'ufficio.
Gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei
consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel
fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minor
aggravio possibile per gli uffici comunali (attraverso
modalità che ragionevolmente sono fissate nel regolamento
dell'ente) e, per altro verso, che esso non deve
sostanziarsi in richieste assolutamente generiche, ovvero
meramente emulative, fermo restando tuttavia che la
sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e
approfonditamente vagliata in concreto al fine di non
introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al
diritto stesso.
Anche la Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi ha richiamato il consolidato principio
giurisprudenziale, secondo cui il diritto del consigliere di
accesso agli atti «non può subire compressioni per
pretese esigenze di natura burocratica dell'ente con l'unico
limite di poter esaudire la richiesta, qualora sia di una
certa gravosità, secondo i tempi necessari per non
determinare interruzione delle altre attività di tipo
corrente».
Il consigliere deve quindi contemperare il diritto di
accesso con l'esigenza di non intralciare lo svolgimento
dell'attività amministrativa ed il regolare funzionamento
degli uffici comunali, comportando ad essi il minor aggravio
possibile, sia dal punto di vista organizzativo che
economico. Sul tema dell'esercizio del diritto di accesso ad
atti dell'amministrazione comunale da parte del consigliere
comunale si è espressa la Commissione per l'acceso ai
documenti amministrativi.
Relativamente all'ammissibilità dell'accesso ad atti
istituzionali del comune mediante uso di tecnologie
informatiche, nonché all'acquisizione in formato digitale (a
mezzo Pec) delle deliberazioni consiliari e di giunta e dei
relativi atti preparatori, la Commissione ha ritenuto che,
sulla base del quadro normativo vigente e della oramai
generalizzata diffusione degli strumenti informatici presso
i soggetti pubblici e privati, «l'accesso telematico
debba essere sempre consentito, soprattutto ove richiesto,
non solo nei reciproci rapporti posti in essere tra le
pubbliche amministrazioni e in quelli da esse intrattenuti
con l'utenza privata, ma anche nei rapporti tra le stesse
amministrazioni locali e i componenti eletti nei loro organi
consiliari».
In merito alla problematica relativa all'accesso di un
consigliere comunale agli elenchi dei contribuenti locali e
dei cittadini morosi nel pagamento dei tributi comunali, la
Commissione osserva che «la disposizione contenuta
nell'art. 43, comma 2, Tuel riconosce al consigliere
comunale il diritto di ottenere dagli uffici comunali tutte
le notizie e le informazioni utili all'espletamento del
proprio mandato e gli impone l'obbligo del segreto nei casi
specificatamente determinati dalla legge. Indipendentemente
dall'inclusione, fra i casi soggetti al segreto, della
divulgazione dei contribuenti morosi, gli uffici comunali
non possono limitare in alcun caso il diritto di accesso del
consigliere comunale, ancorché possa sussistere il pericolo
della divulgazione dei dati di cui il medesimo entri in
possesso. La responsabilità di aver messo in condizione il
consigliere comunale di conoscere dati sensibili cede di
fronte al diritto di accesso incondizionato del medesimo, ma
può essere invocata dal terzo eventualmente danneggiato solo
nei confronti di chi (consigliere comunale) del suo diritto
abbia fatto un uso contra legem».
Circa la possibilità che al sindaco sia riconosciuta la
facoltà, in assenza di puntuali disposizioni regolamentari,
di individuare autonomamente i limiti al diritto di accesso
dei consiglieri, appare dirimente la sentenza del Tar
Campania n. 19672/2008 con la quale è stato accolto il
ricorso avverso un decreto sindacale recante la disciplina
delle modalità di esercizio del diritto di accesso ex art.
43, comma 2, del dlgs 267/2000.
Il giudice amministrativo ha ritenuto sussistente il vizio
di incompetenza considerato che la materia del diritto di
accesso dei consiglieri avrebbe dovuto trovare la propria
disciplina nel regolamento adottato dal consiglio comunale,
«tenuto conto che il potere di informazione è uno dei
tratti caratteristici del controllo affidato alla minoranza
politica»
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
SEGRETARI
COMUNALI: Botta
e risposta dopo il varo del dl 174. Sul controllo strategico
scontro tra Anci, segretari e direttori.
Tra le numerose forme di controllo sull'attività degli enti
locali previste dalla legislazione vigente, riprese e
potenziate dal decreto-legge 174 del 10 ottobre scorso,
figura il controllo strategico. Di che si tratta? Esso
rappresenta un aspetto cruciale della riforma della p.a. in
quanto mira a verificare se e in quale misura siano stati
realizzati gli obiettivi finali dell'ente intesi in termini
di servizi resi ai cittadini. È pertanto evidente che tale
forma di controllo presuppone l'esistenza di documenti di
programmazione strategica e modelli di organizzazione e di
gestione orientati al risultato. Presupposti che mancano in
quasi tutte le amministrazione tanto che la Corte dei conti
ha più volte segnalato la sostanziale inosservanza della
norma in materia.
In realtà, la pianificazione strategica,
che spetta agli organi di governo, è carente quasi ovunque e
gli stessi strumenti di programmazione previsti dalla legge
sono spesso vuoti di contenuto, inadeguati e tardivi
(programma di governo, piani di sviluppo, strumenti di
bilancio). In tale quadro, come si manifesta possibile dare
concreta attuazione all'articolo 147 del Testo unico, come
sostituito dal decreto 174, che sostanzialmente ripete la
definizione e le finalità del controllo strategico diretto a
«valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di
attuazione dei piani, dei programmi e degli altri strumenti
di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di
congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi
predefiniti»? Come è possibile operare se i piani non ci
sono o sono carenti e i risultati non sono individuati, né
misurati?
Il decreto-legge va oltre e dispone che,
nell'ambito della loro autonomia, gli enti locali
disciplinano e organizzano il sistema dei controlli interni
cui il controllo strategico appartiene. A detta
organizzazione partecipano il segretario dell'ente, il
direttore generale laddove previsto, i responsabili dei
servizi e le unità di controllo. Un po' tutti insomma. Sul
funzionamento del sistema vigila questa volta la Corte dei
conti attraverso le sezioni regionali. A tali fini il
sindaco, o il presidente della provincia, trasmette alla
Corte un referto sulla regolarità della gestione e
sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli
interni avvalendosi del direttore generale o del segretario
negli enti in cui non è prevista la figura del dg. Ancora,
il decreto 174 prevede che debba essere istituita una unità
organizzativa preposta al controllo strategico che effettua
rilevazioni ed elabora rapporti periodici da sottoporre alla
giunta e al consiglio.
E qui si innesta un'aspra querelle
tra l'Anci, l'Unione dei segretari e l'Andigel,
l'associazione dei direttori generali degli enti locali. È
accaduto infatti che in sede di esame del decreto da parte
della commissione affari costituzionali della camera è stato
approvato, tra gli altri, un emendamento che pone tout court
l'unità organizzativa suddetta «sotto la direzione del
segretario comunale». L'emendamento non fa menzione alcuna
del direttore generale laddove previsto, come nel caso della
trasmissione del referto alla Corte dei conti. L'Anci
interviene con un comunicato del presidente in cui si
rappresenta l'inopportunità di affidare la suddetta
direzione al segretario.
Con un duro comunicato, l'Unione
nazionale dei segretari stigmatizza l'intervento di Delrio,
chiede addirittura di riconsiderare la propria posizione,
conferma la proposta di un direttore operativo che supporti
e non sostituisca le funzioni e le competenze del
segretario. Non meno duro il comunicato del presidente dell'Andigel
che considera l'emendamento «un colpo di mano e un insulto a
qualsiasi principio di autonomia e che conferma una
pericolosa involuzione centralistica in corso».
Si ripropone
dunque lo scontro tra le due unità di vertice determinatosi
in seguito alla introduzione negli enti locali di maggiori
dimensioni della figura del direttore generale prevista
dalla riforma Bassanini del 1997. Oggi, a distanza di 15
anni il problema non è stato ancora risolto
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
CONDOMINIO: LA
RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Condomini morosi, meno privacy.
L'amministratore può svelare il nome di chi non è in regola.
Cosa cambia nelle comunicazioni con
la legge approvata.
Il condomino moroso perde un po' della sua privacy.
L'amministratore, secondo la legge di riforma del
condominio, approvata definitivamente dalle camere martedì
scorso e ora in attesa della pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale, è tenuto a comunicare i dati dei condomini morosi
ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino.
Possono essere resi noti, dunque, i nominativi dei condomini
non in regola con il pagamento della somma dovuta e delle
rispettive quote millesimali.
Questa comunicazione è propedeutica a far sapere ai
creditori del condominio l'esatta identità dei condomini,
che non avendo pagato le rate condominiali, mettono in
difficoltà il condominio nel suo complesso. Senza il
versamento di tutti i partecipanti alla compagine
condominiale, sul conto del condominio non ci sono le somme
necessarie per pagare i fornitori del condominio.
Il problema di conoscere i dati dei singoli condomini è nato
a seguito della presa di posizione della Cassazione che ha
costretto i fornitori del condominio a intentare cause
contro i singoli condomini per recuperare quanto dovuto da
ognuno: la Cassazione ha escluso il vincolo di solidarietà
giuridica.
Sul punto era già intervenuto il garante della privacy, con
un'apertura alla possibilità di comunicazione dei dati dei
morosi. Ma vediamo di riepilogare la questione.
Con nota del 26.09.2008 il garante per la protezione
dei dati personali ha dato riscontro a un'associazione di
categoria in merito agli effetti della sentenza della
Cassazione, sezioni unite, n. 9148 del 2008, che ha ritenuto
legittimo, facendo propria la tesi minoritaria, il principio
della parziarietà, ossia della ripartizione tra i condomini
delle obbligazioni assunte nell'interesse del condominio in
proporzione alle rispettive quote. In particolare, la
Suprema corte ha sottolineato che l'obbligazione, ancorché
comune, è divisibile trattandosi di somma di denaro; la
solidarietà nel condominio, al contrario, non è contemplata
da nessuna disposizione di legge e l'articolo 1123 del
codice civile non distingue il profilo esterno da quello
interno; l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle
sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle
quote.
In sostanza, se una ditta esegue lavori per il condominio e
non riceve il pagamento, prima della sentenza del 2008
poteva fare causa al condominio e anche a uno solo dei
condomini chiedendo a uno tutto il debito. Si parlava,
infatti, di responsabilità solidale. Tutto è cambiato con la
sentenza citata. La Cassazione impone, nell'esempio, alla
ditta esecutrice dei lavori, di dividere il proprio credito
nei confronti di ciascuno dei condomini. E per recuperare il
credito si dovranno fare tante cause quanti sono i condomini
e quindi conoscere i nominativi dei condomini e sapere la
quota di debito loro attribuibile.
La sentenza della Cassazione è stata smentita da alcune
successive sentenze di merito, ma l'orientamento delle
sezioni unite non è stato successivamente ribaltato dalla
Suprema corte.
Si è posto dunque il problema di privacy dei singoli
condomini e cioè se può l'amministratore passare i dati dei
condomini alle ditte. Con la nota del 2008 il garante ha
risposto a una richiesta dall'Anaci, associazione degli
amministratori, e ha risolto in senso positivo il quesito.
L'Autorità garante ha innanzitutto richiamato l'attenzione
su quanto affermato in occasione del proprio provvedimento
generale del 18 maggio 2006, relativo al trattamento dei
dati personali connessi all'attività di gestione di
condomini: al punto 2.1 veniva precisato che le informazioni
trattate, per finalità di gestione e amministrazione del
condominio ai sensi dell'articolo 24, comma 1, lettere a),
b) o c), del codice privacy, possono essere riferite a
ciascun partecipante condominiale in quanto funzionali
all'amministrazione comune.
Pertanto, concludeva il garante, anche a seguito della
sentenza della Suprema corte, non sussiste alcun vincolo
nella normativa privacy alla comunicazione di detti dati.
Infatti, fermo restando che le informazioni oggetto del
trattamento devono essere pertinenti e non eccedenti, i dati
personali riferiti ai singoli condomini possono essere
trattati dai fornitori di beni e servizi condominiali in
assenza del consenso degli interessati per dare esecuzione
agli obblighi derivanti da un contratto stipulato dai
partecipanti alla compagine condominiale, ancorché di regola
tramite amministratore ed eventualmente ex articolo 24,
comma 1, lettera f), del codice privacy per far valere o
difendere un diritto in sede giudiziaria.
Questo significa che ricorre la causa di esonero dal
consenso derivante dalla necessità di eseguire contratti: il
rapporto contrattuale intrattenuto dal condominio si può
riferire, infatti, ai singoli condomini. E dove c'è
necessità di eseguire un rapporto contrattuale non ci sono
restrizioni poste dalla legge sulla privacy. In sede di
esemplificazione nella nota in questione il garante cita
come dati suscettibili di tale trattamento quelli che
consentono di identificare i condomini obbligati al
pagamento del corrispettivo per l'esecuzione dei contratti
di fornitura di beni e servizi, le rispettive quote
millesimali e, se del caso, le ulteriori informazioni
necessarie a determinare le somme individualmente dovute.
Stando alla legge di riforma del condominio, dalla facoltà
si è passati all'obbligo di comunicare le informazioni
necessarie ai creditori.
L'articolo 63 delle disposizioni per l'attuazione del codice
civile e disposizioni transitorie, riformulato dalla
novella, prevede infatti che l'amministratore è tenuto a
comunicare ai creditori non ancora soddisfatti i dati dei
condomini morosi. L'unica condizione è che i creditori lo
chiedano, non potendo l'amministratore fare comunicazioni
unilaterali di sua iniziativa.
Il condomino moroso non può invocare più la privacy e
l'amministratore, osservando la legge, non ha nulla da
temere quanto al rispetto della riservatezza.
Peraltro l'amministratore deve limitarsi a dare i dati dei
condomini morosi e non altro. Va aggiunto, però, che
l'articolo 63, nella nuova formulazione, prevede che
l'escussione dei condomini, quelli in regola con i
pagamenti, può avvenire solo dopo che i creditori abbiano
esperito le cause contro i morosi. A quel punto il creditore
ha l'esigenza di conoscere i dati dei condomini in regola,
ma la norma non lo contempla esplicitamente
(articolo ItaliaOggi del
22.11.2012). |
APPALTI: Gare, flop stazioni uniche.
Accorpamenti p.a. al ralenti per gestire gli appalti.
I
dati del ministero dell'interno sulla natalità delle Sua.
Aumentano i contenziosi.
Sono soltanto tredici le stazioni uniche appaltanti in tutta
Italia che hanno consentito di accorpare 477 stazioni
appaltanti di cui 205 comuni per gestire 729 gare, per un
importo di 3,2 miliardi; il contenzioso, pari al 5,6% delle
gare svolte, è però più alto della media nazionale (4,3%).
Sono questi alcuni dei dati, in verità deludenti, diffusi
nei giorni scorsi dal gabinetto del ministro dell'interno
(Ufficio II - Ordine e sicurezza pubblica) per fare il
punto, a seguito di una circolare ministeriale del 12.05.2012, sul funzionamento dello strumento della stazione unica
appaltante (la cosiddetta Sua). In realtà si tratta di dati
assolutamente inidonei a realizzare quella auspicabile
concentrazione degli enti appaltanti che da più parti viene
richiesta, ma il problema nasce dal fatto che il ricorso
alla stazione unica appaltante, nelle sue varie forme, è da
sempre facoltativa.
Qualcosa è probabile che potrà cambiare in applicazione di
quanto previsto dall'articolo 14, commi 12-31 del decreto
78/2010, come modificato dal decreto 95/2012 (legge
135/2012) che ha introdotto l'obbligo a partire dal mese di
marzo 2013, per tutti i comuni con popolazione inferiore a
5.000 abitanti di svolgere le funzioni di stazioni
appaltanti in una dimensione ottimale il cui limite
demografico minimo è stato fissato in 10.000 abitanti.
L'applicazione di questa norma dovrebbe quindi accelerare il
ricorso alla diverse tipologie di stazione unica appaltante
per venire incontro all'esigenza di riduzione del numero
delle stazioni appaltanti al fine di migliorare l'efficienza
e la trasparenza dell'azione amministrativa. La rilevazione
del Viminale prende in considerazione diverse tipologie
partendo da quella disciplinata dal dpcm 30.06.2011
(pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 200 del 29.08.2011) in attuazione dell'articolo 13 della legge 13.08.2010, n. 136 relativo al Piano straordinario contro le mafie
approvato dal Consiglio dei ministri il 28.01.2010.
Si
tratta in sostanza di una centrale di committenza e, come
prevede il Codice dei contratti pubblici, ha il compito di
procedere all'acquisizione di forniture, lavori e servizi
destinati ad altre amministrazioni e all'aggiudicazione di
appalti o alla conclusione di accordi quadro. Oltre a quelle
di più recente disciplina rileva poi il modello costituito
su base provinciale (in Calabria, Campania e a Trento) che
ha visto la costituzione di cinque strutture; c'è poi il
modello della Suar su base regionale, operante in due
regioni, istituito con leggi regionali. Infine c'è il
modello che fa capo ai provveditorati regionali alle opere
pubbliche, a valenza generale e inquadrato nell'articolo 33
del Codice dei contratti pubblici.
Caso a parte è quello
dell'Ufficio regionale per la gestione delle gare d'appalto
(Urega) istituito in Sicilia con la legge 7/2002, primo
esempio di stazione unica appaltante. Dai dati forniti dal
ministero si ricava quindi che in tutto sono state
costituite 13 stazioni uniche che hanno raccolto 477
stazioni appaltanti di cui 205 comuni; le strutture
costituite utilizzano personale degli enti convenzionati o
di appartenenza. La rilevazione mette però in luce che sono
in fase di costituzione nuove stazioni uniche appaltanti
(per esempio, a Genova e nella regione Liguria).
I loro compiti sono quelli di espletare le procedure di
gara, dal bando all'aggiudicazione provvisoria, ma 11
strutture su 13 dichiarano di svolgere anche altre funzioni
(acquisizione informazioni antimafia, validazione dei
progetti e predisposizione del contratto). Nove strutture su
13 si attivano, oltre che sulle procedure aperte, anche
sulle procedure ristrette e negoziate, mentre soltanto
quattro affidano cottimi fiduciari. Le 13 stazioni operative
hanno gestito 729 gare (erano 130 nel 2009) per un importo
complessivo dei contratti pari a 3,247 miliardi. Per quanto
riguarda la gestione del contenzioso nei confronti delle
gare esperite sono stati registrati ricorsi per una
percentuale pari al 5,6%, dato più elevato del 4,3% della
media nazionale.
Fra le proposte che il ministero avanza per promuovere il
ricorso alle Sua vengono citate: l'obbligo di adesione per
gli enti locali i cui organi sono stati sciolti «per
mafia»; l'obbligo di ricorso alla Sua quando sono
coinvolte più stazioni appaltanti in relazione alla
costruzione di grandi opere e di interventi a esse
assimilabili per tipologia (ricostruzioni post sisma)
(articolo ItaliaOggi del
22.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI -
INCARICHI PROFESSIONALI: Dal
primo gennaio 2013 parcelle pagate puntualmente.
«Finalmente i liberi professionisti non saranno più
costretti ad aspettare mesi e mesi per vedere onorata la
loro prestazione professionale. Con la pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo sulle transazioni
commerciali si colma l'ennesima lacuna normativa che fino a
oggi ha penalizzato il lavoro dei professionisti, perché il
ritardo dei pagamenti è un grosso problema che coinvolge le
pmi, ma soprattutto i liberi professionisti che lavorano con
la pubblica amministrazione e con le imprese».
Con queste parole, il presidente di Confprofessioni saluta
il varo definitivo del decreto legislativo 09.11.2012,
n. 192 recante «Modifiche al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva
2011/7/Ue relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento
nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10,
comma 1, della legge 11.11.2011, n. 180», che è stato
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15.11.
scorso.
«Si tratta di un provvedimento che va nella stessa
direzione cui Confprofessioni lavora da mesi, richiedendo
l'estensione ai professionisti del diritto di compensare i
crediti con la pubblica amministrazione», aggiunge Stella,
«come confermano gli emendamenti presentati da Confprofessioni al decreto sulla crescita in Commissione
industria al Senato».
Dal 01.01.2013, dunque, i liberi professionisti
potranno contare su regole più severe per la riscossione dei
propri crediti nei confronti della p.a. Il decreto sulle
transazione commerciali, infatti, riformula la definizione
di «pubblica amministrazione» ai fini della tempestività dei
pagamenti, estendendo le nuove regole a tutti i soggetti che
già oggi rientrano nella disciplina del codice degli
appalti.
Parecchie le altre novità introdotte con il decreto 192/2012
che coinvolgono i liberi professionisti. Decorso il termine
di pagamento, che rimane fissato in 30 giorni dal
ricevimento della fattura o della parcella, scatta
automaticamente la decorrenza degli interessi moratori,
senza la necessità di costituzione in mora. Il tasso minimo
di interesse legale moratorio passa dal 7 all'8%, oltre al
saggio fissato dalla Bce per le operazioni di
rifinanziamento.
Più strette anche le regole per derogare i
termini di pagamenti e tempi certi per la verifica della
congruità della prestazione professionale. Infine, è
prevista una somma forfettaria di 40 euro da aggiungere
all'importo dovuto al creditore in caso di ritardato
pagamento, a titolo di rimborso per le spese di recupero
(articolo ItaliaOggi del
22.11.2012). |
CONDOMINIO: LA
RIFORMA DEL CONDOMINIO/ La legge è stata approvata in via
definitiva dal senato. Nuove regole per la vita in comune.
Ingiunzione ai proprietari morosi senza l'ok dell'assemblea.
La riforma del condominio è legge. Il via libera definitivo
è arrivato ieri dalla commissione giustizia del senato che
ha approvato in sede deliberante e senza apportare modifiche
il testo varato il 27 settembre scorso dalla camera dei
deputati.
Per la prima volta, dal lontano 1942, cambiano le
regole del codice civile che disciplinano la convivenza in
condominio e che interessano circa 30 milioni di italiani.
Ma vediamo le principali novità a cominciare dalla figura
dell'amministratore che esce profondamente ridisegnata dalla
riforma.
Amministratore. Il provvedimento rende più snelle le
decisioni e valorizza la figura dell'amministratore che
resterà in carica due anni, dovrà avere requisiti di
formazione e onorabilità, non dovrà essere stato condannato
per delitti contro la pubblica amministrazione, dovrà avere
conseguito almeno il diploma di maturità, aver frequentato
un apposito corso e, ove ciò sia richiesto dall'assemblea,
aver stipulato una speciale polizza assicurativa a tutela
dai rischi derivanti dal proprio operato. L'amministratore
potrà essere licenziato prima della fine del mandato qualora
abbia commesso gravi irregolarità fiscali o non abbia aperto
o utilizzato il conto corrente condominiale.
Nei confronti dei condòmini morosi l'amministratore potrà
procedere con l'ingiunzione senza chiedere una preventiva
autorizzazione dell'assemblea e potrà comunicare ai
creditori i dati di chi non paga. Questi così potranno agire
in prima battuta sui «morosi». Se la mora dura più di sei
mesi, l'amministratore dovrà sospendere il condomino
debitore dalla fruizione dei servizi comuni qualificato.
Riscaldamento. Chi si vuole «staccare» dall'impianto
centralizzato può farlo senza dover attendere il benestare
dell'assemblea, ma a patto di non creare pregiudizi agli
altri e di continuare a pagare la manutenzione straordinaria
dell'impianto condominiale.
Nuovi quorum. Quorum più basso (dovrà essere pari alla
maggioranza degli intervenuti in assemblea, che
rappresentino almeno la metà dei millesimi) per deliberare,
ad esempio, l'installazione di impianti di videosorveglianza
sulle parti comuni dell'edificio. Uguale il quorum per
deliberare l'installazione di impianti per la produzione di
energia eolica, solare o comunque rinnovabile, anche da
parte di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto
reale o personale di godimento del lastrico solare o di
altra idonea superficie comune. Stessa maggioranza anche per
deliberare l'attivazione, a cura dell'amministratore e a
spese dei condomini, di un sito internet del condominio, ad
accesso individuale protetto da una password, per consultare
e stampare in formato digitale i rendiconti mensili e gli
altri documenti dell'assemblea.
Basteranno i 4/5 dei consensi, infine, per il cambio di
destinazione d'uso dei locali comuni. Potranno impugnare le
delibere assembleari, per annullarle, anche i condomini che
si sono astenuti. Mediazione obbligatoria in caso di
controversie.
Nessun divieto per gli animali. Il regolamento condominiale
non potrà più vietare di tenere animali in casa. Ma questi
dovranno essere «domestici».
Condòmini molesti. Maggior rigore contro chi arreca danni o
disturba. Per chi viola il regolamento condominiale la
sanzione è stata aggiornata: da 0,052 euro (pari a 100 lire)
a 200 euro. In caso di recidiva si arriva a 800 euro
(articolo ItaliaOggi del
21.11.2012). |
CONDOMINIO: LA
RIFORMA DEL CONDOMINIO/ La legge ridisegna i requisiti
morali e professionali. Bollino blu per l'amministratore.
Obbligatori diploma, formazione iniziale e aggiornamento.
Amministratore con il bollino blu. Dovrà essere diplomato e
deve avere seguito un corso di formazione; ma deve anche
possedere severi requisiti morali: non deve essere stato
condannato per delitti puniti con reclusione da due a cinque
anni.
La riforma del condominio ridisegna l'identikit
dell'amministratore, codificando che la carica può essere
svolta anche da una società e ridefinisce i compiti e i
poteri.
Requisiti. Per diventare amministratore di condominio
occorre godere dei diritti civili e non essere stati
condannati per
delitti contro la p.a., la giustizia, la fede
pubblica, il patrimonio e per ogni altro delitto non colposo
per il quale la legge commina la pena della reclusione non
inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque
anni.
È ostativa alla funzione l'avere subito una misura di
prevenzione (salvo riabilitazione) e non essere sottoposti a
tutela o curatela. La strada è bloccata anche per i
protestati. Passando ai requisiti professionali bisogna
avere un diploma di scuola superiore e avere frequentato un
corso di formazione iniziale e aggiornarsi periodicamente.
Ultimo requisito è la sottoscrizione di un'assicurazione per
responsabilità professionale.
La novella esclude i requisiti
professionali quando l'amministratore è un interno, nominato
tra i condomini dello stabile. Anche le società possono
svolgere l'incarico di amministratore di condominio: i
requisiti morali e professionali dovranno essere posseduti
dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori
e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di
amministrazione. La perdita dei requisiti morali comporta la
cessazione dall'incarico. La norma stabilisce una
disposizione transitoria: chi ha svolto attività di
amministrazione di condominio per almeno un anno nell'arco
dei tre anni precedenti è consentito lo svolgimento
dell'attività di amministratore anche in assenza dei
requisiti di titolo di studio e di frequenza del corso di
formazione iniziale (ma rimane l'obbligo di formazione
periodica).
Obblighi. L'obbligo di nomina scatta quando i condomini sono
più di otto. L'amministratore deve essere rintracciabile dai
condomini e deve fornire orari nei quali è a disposizione,
anche per far visionare i documenti dell'amministrazione. Un
obbligo specifico concerne le somme versate dai condomini:
si deve aprire un apposito conto e i relativi estratti sono
a disposizione degli interessati. Altro obbligo di natura
gestionale è quello di agire per recuperare le rate non
pagate dai morosi: l'amministratore deve farlo entro sei
mesi chiusura dell'esercizio.
L'incarico di amministratore
ha durata di un anno e si intende rinnovato per uguale
durata. L'amministratore può essere licenziato
dall'assemblea in qualunque momento oppure dal giudice,
anche su richiesta di un solo condomino per gravi
irregolarità. La riforma codifica i casi di gravi
inadempienze: ad esempio mancata rendicontazione, mancata
esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi e di
deliberazioni dell'assemblea, mancata apertura e
utilizzazione del conto corrente dedicato al condominio.
Compiti. Tra i compiti dell'amministratore, introdotti dalla
novella, si segnalano la tenuta di alcuni registri, tra cui
il registro di anagrafe condominiale e il registro di
contabilità. Il registro dell'anagrafe contiene le
generalità dei condomini, i dati catastali di ciascuna unità
immobiliare, ogni dato relativo alle condizioni di
sicurezza.
Nel registro di contabilità sono annotati in ordine
cronologico, entro 30 giorni da quello dell'effettuazione, i
singoli movimenti in entrata e in uscita. Il registro può
tenersi anche con modalità informatizzate.
Altri registri
sono quello dei verbali delle assemblee e quello del
registro di nomina e revoca dell'amministratore. Nel
registro dei verbali delle assemblee sono annotate le
deliberazioni e le brevi dichiarazioni rese dai condomini
che ne hanno fatto richiesta. Nel registro di nomina e
revoca dell'amministratore sono annotate, in ordine
cronologico, le date della nomina e della revoca di ciascun
amministratore del condominio e gli estremi dei
provvedimenti giudiziari. Specifico obbligo
dell'amministratore è la redazione del rendiconto
condominiale annuale.
Il rendiconto.
A proposito del rendiconto, la riforma prevede per
l'assemblea condominiale di nominare un revisore che
verifichi la contabilità del condominio. Per ragioni di
auditing interno l'assemblea può anche nominare, oltre
all'amministratore, un consiglio di condominio composto da
almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità
immobiliari. Il consiglio ha funzioni consultive e di
controllo
(articolo ItaliaOggi del
21.11.2012). |
CONDOMINIO: LA
RIFORMA DEL CONDOMINIO/ Le nuove regole puntano ad
assicurare stabilità finanziaria. Il rendiconto come un
bilancio.
Entrate e uscite da evidenziare col criterio della
competenza.
Il rendiconto condominiale dovrà somigliare sempre di più al
bilancio delle società ed evidenziare in maniera trasparente
le somme in entrata e quelle in uscita secondo il criterio
di competenza. Queste ultime dovranno necessariamente
transitare su un conto corrente intestato al condominio e
l'amministratore, che potrà essere anche una società, dovrà
curare i necessari adempimenti fiscali. Questi avrà a sua
disposizione nuovi ed efficaci strumenti per contrastare il
dilagante fenomeno della morosità condominiale e dovrà
attivarsi senza indugio per recuperare le somme non versate
nelle casse condominiali.
La maggiore stabilità finanziaria del condominio costituirà
quindi una garanzia in più per i fornitori esterni: in caso
di lavori di manutenzione straordinaria o di innovazioni
dovrà infatti obbligatoriamente essere costituito un fondo
speciale di ammontare pari a quello dell'appalto deliberato
dall'assemblea. I singoli condomini avranno a loro volta
qualche tutela in più nei confronti delle imprese che
vantino crediti nei confronti del condominio, in quanto le
stesse dovranno necessariamente provare a recuperare le
somme dovute dai comproprietari in mora nel versamento degli
oneri condominiali (previa obbligatoria indicazione della
loro identità da parte dell'amministratore) e solo in caso
di insuccesso potranno agire nei confronti dei condomini in
regola con i pagamenti.
Queste alcune delle novità introdotte dalla legge di riforma
della disciplina condominiale approvata ieri in via
definitiva dalla commissione giustizia del senato, che ha
riscritto in maniera quasi completa gli articoli 1117 e
seguenti del codice civile e 61 e seguenti delle relative
disposizioni di attuazione (si veda la tabella relativa alle
principali novità introdotte). Ma la nuova normativa
interviene in modo rilevante anche sui requisiti, i poteri e
i doveri dell'amministratore condominiale (la cui figura si
avvia a diventare sempre più professionale per allontanare
dal mercato operatori improvvisati), sulle modalità di
costituzione, partecipazione ed espressione della volontà
dell'assemblea condominiale (le maggioranze necessarie
all'adozione delle delibere vengono generalmente abbassate
per migliorare il relativo processo decisionale),
sull'utilizzo delle parti comuni (viene ammesso il distacco
dall'impianto comune di riscaldamento o condizionamento,
purché ciò non influisca negativamente sul suo
funzionamento), sulla disciplina di nuove fattispecie quali
il supercondominio e il cosiddetto condominio orizzontale
(articolo ItaliaOggi del
21.11.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Prevenzione incendi al restyling.
Dal 27 novembre prossimo cambia la
modulistica per i vigili.
Dal 27 novembre per la presentazione delle istanze ai Vigili
del fuoco relative ai procedimenti di prevenzione degli
incendi è necessario utilizzare la nuova modulistica
definita con decreto dirigenziale del direttore centrale per
la prevenzione e la sicurezza tecnica del ministero
dell'interno 31.10.2012, n. 200.
I nuovi moduli tengono conto dell'avvento della Scia (legge
n. 122/2010) sui procedimento di spettanza del Corpo
nazionale dei Vigili del fuoco nonché di quanto previsto in
materia di Sportello unico per le attività produttive (Suap,
dpr n. 160/20101).
Per la prima volta, in una materia così difficile come
quella della prevenzione incendi, viene concretamente
preferita un'impostazione fondata sul principio della
proporzionalità, in base al quale gli adempimenti
amministrativi vengono diversificati in relazione alla
grandezza dell'impresa, al settore in cui esercita
l'attività principale e soprattutto viene perseguita
l'effettiva esigenza di tutela degli interessi pubblici
collettivi.
È con il decreto del ministero dell'interno 07.08.2012
che viene stabilita la data del 27 novembre per l'utilizzato
della nuova modulistica sostitutiva di quella contenuta nel
decreto del ministro dell'interno 04.05.1998.
La modulistica di prevenzione e incendi valida dal 27
novembre è la seguente: valutazione dei progetti (richiesta
di esame del progetto); Scia (Scia; asseverazione per Scia;
Scia Gpl; asseverazione per Scia Gpl); rinnovo periodico di
conformità antincendio (attestato di rinnovo periodico,
asseverazione per rinnovo periodico, attestato di rinnovo
periodico per Gpl); domanda di deroga (richiesta di deroga);
nulla osta di fattibilità (richiesta di nulla osta di
fattibilità); verifiche in corso d'opera (richiesta di
verifica in corso d'opera, certificazione di resistenza al
fuoco di prodotti/elementi costruttivi in opera,
dichiarazione di corretta installazione e funzionamento
dell'impianto, certificazione di corretta installazione e
funzionamento dell'impianto, dichiarazione inerente i
prodotti impiegati, Pin 7 2012 voltura, Pin 2.7 Gpl 2012
dichiarazione, Pin 2.6 dichiarazione non aggravio rischio).
Va ricordato che il 07.10.2011 era entrato in vigore il
dpr 01.08.2011, n. 151 contenente il regolamento recante
la semplificazione della disciplina dei procedimenti di
prevenzione degli incendi e all'articolo 2, comma 7, dello
stesso dpr veniva stabilito che per garantire l'uniformità
delle procedure, nonché la trasparenza e la speditezza
dell'attività amministrativa, le modalità di presentazione
delle istanze e la relativa documentazione, da allegare,
sarebbero state definite con un successivo decreto del
ministro dell'interno.
Nell'art. 11, 1 comma, del dpr n. 151/2011 era, inoltre,
fissato un periodo transitorio ed era stabilito che fino
all'adozione del decreto ministeriale di cui al comma 7
dell'articolo 2, si applicano le disposizioni normative
contenute nel decreto del ministro dell'interno del 04.05.1998 riguardante le modalità di presentazione e il contenuto
delle domande per l'avvio di procedimenti di prevenzione
incendi, nonché l'uniformità dei connessi servizi resi dai
comandi provinciali dei vigili del fuoco. Il dpr n.
151/2011, recependo quanto stabilito dalla legge del 30.07.2010,
n. 122 in materia di semplificazione amministrativa ha
individuato le attività soggette alla disciplina della
prevenzione incendi e contemporaneamente ha semplificato gli
adempimenti per i soggetti interessati
(articolo ItaliaOggi del
20.11.2012). |
ENTI LOCALI: Le
novità previste nel dm al vaglio della conferenza
stato-regioni. Rendicontazione online. Autovelox, contabilità
separata.
Dal 2013 i proventi vanno divisi dalle altre multe stradali.
Nel 2013 i proventi connessi alle sanzioni per autovelox e
telelaser dovranno essere contabilizzati separatamente dai
proventi derivanti in generale dalle multe stradali, con
apposita rendicontazione da inviare per via informatica al
ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al
ministero dell'interno.
Disciplina più dettagliata per l'utilizzo dei misuratori di
velocità, con indicazioni supplementari rispetto a quelle
contenute nella direttiva del 14.08.2009.
Sono queste le
importanti novità previste dalla bozza di un decreto
ministeriale che attende il via libera della conferenza
stato-regioni prima della pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale.
La legge n. 120 del 29.07.2010 aveva
riscritto l'art. 142 del codice della strada in materia di
eccesso di velocità e proventi delle multe, prevedendo che
per tutte le violazioni dei limiti di velocità accertate
mediante l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento
oppure attraverso l'utilizzazione di dispositivi o di mezzi
tecnici di controllo a distanza delle violazioni i relativi
proventi devono essere ripartiti in misura uguale fra l'ente
dal quale dipende l'organo accertatore e l'ente proprietario
della strada restando comunque escluse le strade in
concessione.
Le somme derivanti dall'attribuzione delle
quote dei proventi ripartiti devono essere destinate alla
manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture
stradali e al potenziamento delle attività di controllo e
accertamento delle violazioni in materia di circolazione
stradale, comprese le spese relative al personale. Ma queste
nuove disposizioni non sono mai diventate operative, in
quanto non è stato emanato il decreto attuativo. In sede di
conversione, con modificazioni, del decreto legge n. 16 del
02.03.2012, la legge n. 44 del 26.04.2012 ha disposto
che il decreto ministeriale di cui all'art. 25, comma 2,
della legge 120/2010 deve essere emanato entro 90 giorni dal
29.04.2012 e che, in caso di mancata emanazione, saranno
comunque applicate le disposizioni sulla ripartizione dei
proventi di cui ai commi 12-bis, 12-ter e 12-quater
dell'art. 142.
Sul punto, però, l'Anci aveva immediatamente chiarito che,
in ogni caso, non essendo stato abrogato il comma 3
dell'art. 25 della legge 120/2010, la nuova disciplina non
avrebbe trovato immediata applicazione, ma si sarebbe dovuto
attendere il 01.01.2013. Dunque, alla luce di questo
complesso iter normativo, manca solo il tanto atteso decreto
ministeriale attuativo, che, finalmente, sembra essere in
dirittura d'arrivo. Infatti, la bozza, già predisposta dai
tecnici del ministero delle infrastrutture e dei trasporti e
del ministero dell'interno, deve attendere solo il parere
della conferenza stato-regioni prima di poter essere
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, con entrata in vigore
fissata per il 01.01.2013.
La bozza del decreto ministeriale prevede che gli enti
locali dovranno trasmettere per via informatica al ministero
delle infrastrutture e dei trasporti e al ministero
dell'interno entro il del 31 maggio di ogni anno (con prima
scadenza il 31.05.2014) una relazione relativa al periodo
intercorrente tra il 1° gennaio e il 31 dicembre dell'anno
precedente, una relazione, suddivisa su tre sezioni,
indicando le informazioni generali, i proventi delle
sanzioni amministrative pecuniarie di propria spettanza di
cui all'art. 208, comma 1, e all'art. 142, comma 12-bis, del
codice della strada e le informazioni relative alla
destinazione dei proventi stessi. Deve essere tenuta una
contabilità separata fra i proventi in generale e quelli
derivanti da accertamenti delle violazioni dei limiti
massimi di velocità.
In particolare, per questi ultimi deve risultare la
distinzione a seconda che siano di intera spettanza
dell'ente locale, oppure siano soggetti a ripartizione al
50% con l'ente proprietario della strada, oppure derivino
dagli accertamenti eseguiti da organi accertatori di altri
enti locali. Con qualche perplessità sulla conformità al
dettato normativo, il decreto esclude dall'obbligo di
ripartizione i proventi delle sanzioni derivanti dalle multe
elevate dagli organi di polizia stradale dipendenti dallo
stato.
Le somme introitate per i verbali di contestazione
dell'eccesso di velocità rilevato con misuratori elettronici
sono attribuiti interamente all'ente da cui dipende l'organo
accertatore per gli accertamenti eseguiti su strade e
autostrade in concessione (fra le quali sia le autostrade e
le strade statali di interesse nazionale che le strade di
interesse statale a gestione regionale), su strade di
interesse regionale gestite direttamente dalle regioni o da
queste date in concessione e su tutte le altre strade non di
proprietà degli enti locali.
In via provvisoria, nel 2013 per i proventi da ripartire si
dovrà fare riferimento alle somme incassate per pagamento di
sanzioni accertate nel corso dell'anno. La ripartizione, da
rendicontare entro il 31.01.2014, interesserà il totale
delle somme incamerate, al netto delle spese sostenute per
tutti i procedimenti amministrativi connessi. Per gli anni
successivi saranno contabilizzati anche i proventi
incassati, derivanti da accertamenti di violazioni relative
ad anni precedenti (articolo
ItaliaOggi Sette del 19.11.2012). |
APPALTI: Pubblicato
in G.U. il decreto che recepisce la norma Ue. Regole al via
dal 01.01.2013. Giorni contati ai pagamenti lenti.
La p.a. dovrà saldare i conti dei fornitori entro un mese.
Tempi certi nei pagamenti alle imprese fornitrici di beni o
servizi alla p.a..
È stato pubblicato, infatti, sulla G.U. n.
267 del 15 novembre scorso il decreto 09.11.2012, n.
192 che fissa a trenta giorni il termine di pagamento (con
possibilità di deroghe distinte a seconda che si tratti di
contratti tra privati o di transazioni tra imprese e
pubbliche amministrazioni), eleva il tasso minimo degli
interessi legali moratori (da sette a otto punti percentuali
della maggiorazione del tasso fissato dalla Bce) e chiarisce
cosa si intende per «grave iniquità» che fa scattare la
sanzione della nullità del contratto tra le parti.
Le nuove regole, che entrano in vigore il 30.11.2012,
ma si applicheranno a partire dal 01.01.2013,
riguardano tutti i «contratti, comunque denominati, tra
imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che
comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di
merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un
prezzo».
Il decreto, in attuazione della delega contenuta
nel cosiddetto Statuto delle imprese (legge 11.11.2011, n. 180), recepisce con largo anticipo rispetto alla
scadenza (fissata al 16.03.2013) la direttiva 2011/7/Ue
del 16.02.2011 relativa alla lotta contro i ritardi di
pagamento nelle transazioni commerciali e per farlo modifica
le norme dettate dal precedente decreto legislativo n. 231
del 09.10.2002 che aveva recepito la prima direttiva
comunitaria sul tema (direttiva 2000/35/Ce del 29.06.2000).
L'urgenza di approntare una soluzione al problema della
tempestività dei pagamenti fra imprese e, soprattutto, di
quelli della pubblica amministrazione alle imprese non è una
novità. Lo stesso governo, nella relazione illustrativa del
decreto, parte dalla constatazione che Italia è all'ultimo
posto nelle classifiche europee in relazione a questo
problema, «che riguarda tutte le imprese ma finisce per
colpire principalmente le piccole e medie imprese e gli
artigiani, che costituiscono l'ossatura del tessuto
produttivo italiano, che hanno minore capacità finanziaria e
di ricorso al credito e minore forza contrattuale nei
rapporti con le grandi aziende e con la pubblica
amministrazione, così da essere spesso indotti a rinunciare
contrattualmente ai diritti ad essi spettanti per legge».
La
nuova disciplina si applica alla pubblica amministrazione,
per tale intendendosi «l'amministrazione aggiudicatrice»
prevista dal cosiddetto Codice dei contratti pubblici
(decreto legislativo n. 163/2006), ma ricomprendendo anche
soggetti di diritto privato quando svolgano attività per la
quale sono tenuti al rispetto della disciplina sui contratti
pubblici. Restano, invece, esclusi: a) i debiti oggetto di
procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese
le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito;
b) i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del
danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un
assicuratore.
Il sistema approntato dal decreto distingue i
contratti tra imprese da quelli tra imprese e pubbliche
amministrazioni quando definisce i termini di pagamento
imposti, mentre il precedente decreto fissava a 30 giorni il
pagamento per ogni tipo di transazione commerciale e con
libertà delle parti di accordarsi per un termine superiore
rispetto a quello legale a condizione che le diverse pattuizioni fossero stabilite per iscritto e rispettassero i
limiti concordati nell'ambito di accordi sottoscritti dalle
organizzazioni maggiormente rappresentative a livello
nazionale. A partire da gennaio prossimo, invece, il termine
di 30 giorni indicato nei contratti tra le imprese potrà
essere derogato fino a un massimo di 60 giorni, sempre che
l'accordo sia in forma espressa (per iscritto) e non risulti
«gravemente iniquo» per il creditore.
Per quanto riguarda i
contratti in cui il debitore è una pubblica amministrazione
sarà possibile fissare un termine legale di pagamento fino a
un massimo di sessanta giorni in due casi: (1) per le
imprese pubbliche che svolgono attività economiche di natura
industriale o commerciale, offrendo merci o servizi sul
mercato; (2) per gli enti pubblici che forniscono assistenza
sanitaria; fatta eccezione per tali casi, è lasciata facoltà
alle parti di concordare, anche in questo caso in forma
(scritta) espressa, un termine superiore a 30 giorni ma
comunque non superiore a 60 giorni, se questo termine
risulta oggettivamente giustificato dalla natura o
dall'oggetto del contratto o da particolari circostanze
esistenti al momento della conclusione dell'accordo.
Sempre
nell'ottica di un doppio binario, il decreto distingue i
contratti tra privati da quelli tra imprese e p.a.
prevedendo che siano corrisposti, nel primo caso, «interessi
moratori» (che sono interessi legali di mora o interessi a
un tasso concordato tra le imprese) e, nel secondo caso,
«interessi legali di mora» (ossia interessi a un tasso che
non può essere inferiore al tasso legale, vale a dire il
tasso Bce maggiorato dell'8%). In aggiunta al rimborso dei
costi e fatta salva la prova del maggior danno (che può
comprendere anche i costi di assistenza per il recupero del
credito), si prevede anche la corresponsione di una somma
forfettaria di 40 euro, volta a rimborsare i costi
amministrativi e interni di recupero del credito, che si
cumula agli interessi di mora e che dovrà essere corrisposta
senza che sia necessaria la costituzione in mora ed
indipendentemente dalla dimostrazione dei costi. Il decreto
assicura la facoltà delle parti di concordare pagamenti a
rate: in tal caso, le conseguenze negative del ritardo
(interessi e risarcimento) saranno calcolate esclusivamente
sulle singole rate scadute.
Infine, la nullità del contratto
tra le parti è stabilita nei casi in cui risultano
«gravemente inique» le clausole relative al termine di
pagamento, al saggio degli interessi moratori e al
risarcimento dei costi di recupero. Mentre il precedente
decreto forniva solo degli orientamenti all'interprete per
decifrare il concetto di «grave iniquità» ora vengono
considerate ex lege gravemente inique, senza
ammettere prova contraria, le clausole che escludono il
diritto al pagamento degli interessi di mora e quelle
relative alla data di ricevimento della fattura e si
presumono gravemente inique quelle che escludono il
risarcimento dei costi di recupero (articolo
ItaliaOggi Sette del 19.11.2012). |
APPALTI: Gli
effetti della nuova disciplina sulla responsabilità solidale
Iva. Non sono esclusi i privati. Appalti, come evitare
l'impasse.
Dalle sanzioni all'entrata in vigore: le soluzioni ai nodi
irrisolti.
La nuova responsabilità solidale e sanzionatoria per Iva e
ritenute nel caso di appalti e subappalti rischia di
bloccare le attività. Una norma volutamente rigida ma
scritta forse troppo frettolosamente sta creando un numero
incredibile di difficoltà. I comportamenti da tenere non
sono ancora certi e considerando i rischi a cui si va
incontro in caso di errore, spesso le imprese stanno tenendo
un comportamento orientato alla massima prudenza. Ci si
muove con cautela con il risultato però di rallentare anche
la produttività.
Ecco allora da un esame del testo normativo le questioni di
maggiore rilevanza ancora sul tappeto con le possibili
soluzioni.
Appalto e subappalto. L'ambito oggettivo di applicazione è
delineato dal comma 28 dell'art. 35 del decreto 223/2006
come dal dl 83/2012. La locuzione utilizzata è molto secca
facendo riferimento ai casi di «appalto di opere o di
servizi». Il riferimento normativo per definire la
fattispecie è l'articolo 1655 del codice civile che dispone
«l'appalto è il contratto col quale una parte assume, con
organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio
rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso
un corrispettivo in danaro».
Tale definizione è però
alquanto difficile da declinare nei casi concreti, i quali
non di rado non sono nemmeno formalizzati in forma scritta.
Senza contare che proprio su tale definizione la stessa
cassazione ormai da decenni fornisce interpretazioni che non
permettono di riconoscere con certezza i limiti di tale
fattispecie contrattuale. Se si cerca un aiuto nella prassi
un riferimento può essere nella circolare 7 del 07.02.2007 che ha illustrato le regole in tema di ritenute sui
corrispettivi dovuti dal condominio all'appaltatore. Anche
in questo caso la norma limiti l'ambito di intervento ai
corrispettivi «dovuti per prestazioni relative a contratti
di appalto di opere o servizi».
La prassi interpretando
questo passaggio (ed estendendo il contenuto letterale della
norma) ha affermato che «deve ritenersi che la norma trova
applicazione per le prestazioni convenute nei contratti
d'opera in generale e, in particolare, nei contratti che
comportano l'assunzione, nei confronti del committente, di
un'obbligazione avente ad oggetto la realizzazione, dietro
corrispettivo, di un'opera o servizio, nonché l'assunzione
diretta, da parte del prestatore d'opera, del rischio
connesso con l'attività, svolta senza vincolo di
subordinazione nei confronti del committente». Si può non
essere d'accordo (il contratto d'opera non è un contratto di
appalto) ma certo la posizione della prassi in assenza di
indicazioni contrarie deve essere quanto meno considerata.
I privati. Il comma 28-ter prevede che «Le disposizioni di
cui ai commi 28 e 28-bis si applicano in relazione ai
contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e
servizi conclusi da soggetti che stipulano i predetti
contratti nell'ambito di attività rilevanti ai fini
dell'imposta sul valore aggiunto». Ciò ha fatto dire che i
privati sono esclusi da tale normativa. In realtà nononostante sia questa la soluzione da preferire sarebbe bene
un intervento che elimini qualsiasi dubbio. Infatti
fermandosi al testo i dubbi possono esistere. Il committente
infatti in base a quanto indicato nel comma 28-bis è
responsabile nel caso di irregolari inadempimenti sia
dell'appaltatore che del subappaltatore.
Se ipotizziamo una
situazione in cui con un committente privato intervengo
quali appaltatori e subappaltate due esercenti attività
d'impresa, è chiaro che il contratto tra questi ultimi due è
concluso «da soggetti che stipulano i predetti contratti
nell'ambito di attività rilevanti ai fini dell'imposta sul
valore aggiunto». Quindi la norma si applica in tutte le sue
parti e anche in quella che prevede una responsabilità
sanzionatoria del committente per le irregolarità del
subappaltatore. Almeno la prassi elimini in fretta questo
dubbio.
I non residenti. Difficile dal testo normativo escludere i
non residenti dall'ambito di applicazione. Se l'appaltatore
o il subappaltatore (più facilmente) non sono soggetti
italiani non vi sono particolari limiti di applicazione. Se
ci si ferma al modo Ue difficile ipotizzare che, ad esempio,
il subappaltatore che viene a lavorare in una cantiere in
Italia non svolga un'attività rilevante ai fini Iva (anche
se magari solo nel suo paese). Quindi anche a costoro è da
richiedere l'autocertificazione.
Il committente. È fuori di dubbio che anche il committente
abbia una responsabilità seppur di natura sanzionatoria. La
stessa è riferita alle irregolarità di tutti gli anelli
della possibile catena (appaltatore, subappaltatore 1,
subappaltatore 2 ecc.). Il comma 28-bis prevede infatti che
«il committente provvede al pagamento del corrispettivo
dovuto all'appaltatore previa esibizione da parte di
quest'ultimo della documentazione attestante (_) Il
committente può sospendere il pagamento del corrispettivo
fino all'esibizione della predetta documentazione da parte
dell'appaltatore».
Da qui una piccola notizia positiva: il
committente ha la possibilità di avere a che fare solo con
il committente. È a lui che può richiedere la documentazione
attestante la regolarità anche dei subappaltatori e
sospendere il pagamento fino al mancato ricevimento di
questa da parte dell'appaltatore. D'altra parte spesso
capita che il committente non sappia neanche o quanto
nemmeno conosce i subappaltatori.
Le sanzioni del committente. C'è un limite alle sanzioni a
carico del committente ma nonostante ciò le stesse possono
esser sproporzionate. Il comma 28-bis trattando della
sanzione a carico del committente si prevede che «ai fini
della predetta sanzione si applicano le disposizioni
previste per la violazione commessa dall'appaltatore».
Quindi deve valere la previsione secondo cui la stessa deve
rimanere «nei limiti dell'ammontare del corrispettivo
dovuto».
Oltre al dubbio a quale corrispettivo occorre
riferirsi nel caso di presenza di subappalto (a quello del
contratto di appalto in genere o del singolo subappalto)
tale locuzione lascia aperto il rischio della sproporzione.
Si pensi a un contratto che prevede corrispettivo di 5 mila
euro (con Iva 10%). L'appaltatore non versa 500 euro la
sanzione a carico del committente è quella minima che però è
di 5 mila euro (10 volte l'importo non versato!!!).
Il settore edile. Giustamente si sta cercando in via
interpretativa di limitare l'ambito di applicazione della
norma. Torna allora il riferimento al fatto che la norma in
questione è contenuta nell'art. 13-ter del dl 83/2012 e
precisante nel capo III del provvedimento titolato misure
per l'edilizia. Ma questo unico elemento per limitare
all'edilizia la nuova previsione non pare decisivo (almeno
fino a quando almeno la prassi non dovesse confermare tale
soluzione).
Si noti inoltre che la norma è «di passaggio» in
questo provvedimento in quanto l'art. 13-ter in questione va
a sostituire il comma 28 dell'articolo 35 del decreto-legge
04.07.2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla
legge 04.08.2006, n. 248 articolo titolato «Misure di
contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale» compreso
nel titolo III a sua volta titolato «Misure in materia di
contrasto all'evasione ed elusione fiscale, di recupero
della base imponibile, di potenziamento dei poteri di
controllo dell'Amministrazione finanziaria, di
semplificazione degli adempimenti tributari e in materia di
giochi» (e qui il riferimento al comparto edile non lo si
ritrova più).
Entrata in vigore.
La circolare 40 ha affermato che la norma si applica solo
per i contratti di appalto e subappalto stipulati a
decorrere dal 12 agosto e con riguardo ai pagamenti
effettuati dall'11.10.2012 (grazie allo statuto del
contribuente).
Una presa di posizione favorevole ma che comporta la
necessità di verificare la data di stipula del contratto.
Ora nel caso di contratto verbale (fattispecie alquanto
comune e che non pare poter essere esclusa dall'ambito di
applicazione) non è di certo facile individuare tale data e
soprattutto non sarà poi facile in futuro riuscire a provare
la stessa (articolo
ItaliaOggi Sette del 19.11.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Le
istruzioni per accedere al finanziamento previsto dal Conto
termico sulle fonti rinnovabili. Energia, case e imprese
efficienti.
Fondi di 700 mln per chi migliora l'impianto di
riscaldamento.
Arriva il
conto termico per persone fisiche, condomini e
imprese. Uno stanziamento di 700 milioni di euro finanzierà
i soggetti privati che effettuano interventi per migliorare
le prestazioni termiche dei propri edifici. Mentre altri 200 mln di euro sono a disposizione delle pubbliche
amministrazioni.
Il decreto ministeriale congiunto tra
sviluppo economico, ambiente e tutela del territorio e del
mare e ministero delle politiche agricole, alimentari e
forestali è stato approvato negli scorsi giorni ed è ora al
vaglio della conferenza unificata. Una volta pubblicato in
Gazzetta Ufficiale potranno essere avviati gli investimenti
a seguito dei quali i soggetti interessati potranno
richiedere l'erogazione dell'incentivo.
Si tratterà di un
contributo che potrà coprire circa il 40% della spesa
sostenuta, con dei limiti massimi di potenza, e sarà erogato
in un periodo di due o cinque anni a seconda del tipo di
intervento. Il soggetto gestore dell'agevolazione sarà il Gse, a cui andranno presentate le domande di accesso
all'incentivo. Ai fini dell'accesso agli incentivi, i
beneficiari possono avvalersi dello strumento del
finanziamento tramite terzi o di un contratto di rendimento
energetico ovvero di un servizio energia, anche tramite
l'intervento di un fornitore di servizi energetici.
Finanziabili caldaie e solare termico. Il conto termico
finanzia interventi di piccole dimensioni di produzione di
energia termica da fonti rinnovabili e di sistemi ad alta
efficienza, con una potenza massima di 500 Kw (700 mq in
caso di solare termico). È possibile ottenere un contributo
per la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale
esistenti con impianti di climatizzazione invernale
utilizzanti pompe di calore elettriche o a gas, anche
geotermiche. Inoltre, è finanziabile la sostituzione di
impianti di climatizzazione invernale o di riscaldamento
delle serre esistenti con impianti di climatizzazione
invernale dotati di generatore di calore alimentato da
biomassa. Infine, l'incentivo sostiene anche l'installazione
di collettori solari termici, anche abbinati a sistemi di
solar cooling, nonché la sostituzione di scaldacqua
elettrici con scaldacqua a pompa di calore.
Ammissibili manodopera, apparecchiature e opere murarie. Per
gli interventi impiantistici relativi alla produzione di
acqua calda, anche se destinata, con la tecnologia solar
cooling, alla climatizzazione estiva sono finanziabili le
spese per smontaggio e dismissione dell'impianto esistente,
parziale o totale, fornitura e posa in opera di tutte le
apparecchiature termiche, meccaniche, elettriche ed
elettroniche, nonché delle opere idrauliche e murarie
necessarie per la realizzazione a regola d'arte degli
impianti organicamente collegati alle utenze. Per gli
interventi impiantistici concernenti la climatizzazione
invernale, sono invece ammissibili lo smontaggio e
dismissione dell'impianto di climatizzazione invernale
esistente, parziale o totale, la fornitura e posa in opera
di tutte le apparecchiature termiche, meccaniche, elettriche
ed elettroniche, delle opere idrauliche e murarie necessarie
per la sostituzione, a regola d'arte, di impianti di
climatizzazione invernale o di produzione di acqua calda
sanitaria preesistenti nonché i sistemi di contabilizzazione
individuale. Oltre a quelli relativi al generatore di
calore, sono ammessi anche gli eventuali interventi sulla
rete di distribuzione, sui sistemi di trattamento
dell'acqua, sui dispositivi di controllo e regolazione, sui
sistemi di estrazione e alimentazione dei combustibili
nonché sui sistemi di emissione. Sono inoltre comprese tutte
le opere e i sistemi di captazione per impianti che
utilizzino lo scambio termico con il sottosuolo. L'avvio
delle spese sarà possibile solo a partire dal giorno
successivo all'entrata in vigore del decreto.
Contributo del 50% per la certificazione energetica. Sono
ammesse a contributo anche le prestazioni professionali
connesse alla realizzazione degli interventi finanziabili e
per la redazione di diagnosi energetiche e di attestati di
certificazione energetica relativi agli edifici oggetto
degli interventi. Infatti, per molti degli interventi
finanziati, la normativa richiede la presentazione della
relativa certificazione energetica. I soggetti privati
possono ottenere un contributo secco del 50% sulle spese per
la relativa certificazione.
Rata unica se il contributo è inferiore a 600 euro. Il
contributo viene erogato in rate annuali per un periodo di
due o cinque anni a seconda della complessità
dell'intervento. L'unica possibilità di ottenere
immediatamente il contributo spettante è che lo stesso sia
inferiore o uguale a 600 euro.
Possibile il cumulo con altri incentivi. L'incentivo può
essere cumulato con altri incentivi statali sotto forma di
fondi di garanzia, fondi di rotazione e contributi in conto
interesse. In caso di incentivi non statali cumulabili,
anche se in conto capitale, l'incentivo è attribuibile in
misura complementare fino al raggiungimento dei massimali
stabiliti, per specifici interventi, o al raggiungimento
dell'incentivo che sarebbe stato erogabile per il medesimo
intervento senza considerare il cumulo (articolo
ItaliaOggi Sette del 19.11.2012). |
ENTI LOCALI: Bilanci.
La legge di conversione del Dl 174/2012 prevede la decadenza
immediata con nuovi collegi.
Tagliati oltre mille revisori.
Niente professionisti nei Comuni che appartengono alle
Unioni.
EFFETTI SUI GIOVANI/
Con il riordino tutti i municipi sotto i 5mila abitanti
dovrebbero unirsi e si chiuderebbe ogni chance per chi è al
debutto.
Il decreto enti locali che dopo il voto della Camera si
avvia verso la conversione definitiva in legge al Senato
segna l'ennesimo giro di giostra per i revisori dei conti,
sia dal punto di vista del numero dei posti in gioco sia da
quello dei compiti da svolgere nelle verifiche sui bilanci
dei Comuni.
Sul primo versante, la novità più rilevante intervenuta a
Montecitorio è rappresentata dal l'abrogazione dello slancio
centralista che aveva spinto il Governo a prevedere la
scelta ministeriale del presidente del collegio nelle città
con più di 60mila abitanti e nei capoluoghi di Provincia
(oltre che nelle Province). Con gli emendamenti approvati
alla Camera, i collegi tornano a essere completamente
composti da commercialisti e revisori legali, senza
l'ingresso dei dipendenti ministeriali che avrebbe
comportato più di un problema di professionalità, e forse
anche di legittimità costituzionale visto che in base al
Titolo V gli enti locali sono allo stesso livello dello
Stato nell'architettura della Repubblica. Traducendo il
tutto in numeri, si tratta di 208 posti "riconquistati"
dalla categoria (nelle 99 città con più di 60mila abitanti,
nei 29 Comuni capoluogo di Provincia sotto quella soglia e
nelle 80 Province che sopravviveranno al riordino).
Ciò che si recupera negli enti più grandi, però, rischia di
venir perso, con gli interessi, nei Comuni più piccoli, e
sempre per effetto della legge di conversione del decreto
sugli enti locali. Il provvedimento cambia infatti la
geografia della revisione nelle Unioni di Comuni,
introducendo un collegio di tre membri in capo all'Unione
che sostituisce il revisore monocratico oggi al lavoro sia
nelle Unioni sia negli enti che le compongono. Già oggi le
Unioni sono 370 e raccolgono 1.871 Comuni per cui, come ha
calcolato per esempio Patrizio Battisti, presidente della
commissione enti locali dell'Ordine dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili di Tivoli (Roma),
il saldo sarebbe negativo per 1.131 posti. Ma c'è di più:
anche nella versione più flessibile scritta nel decreto di
luglio sulla revisione di spesa, il riordino dei piccoli
enti porterà all'interno di nuove Unioni molti piccoli enti
che oggi vivono "in solitudine", con il risultato di ridurre
ulteriormente gli spazi per i professionisti che lavorano
con la Pa locale.
Non è finita: nei Comuni che già oggi sono aggregati in
Unioni, il cambio della guardia dovrebbe essere rapido. Gli
emendamenti approvati la scorsa settimana alla Camera
stabiliscono infatti che i revisori attuali «decadono»
all'atto della costituzione dei nuovi collegi, che vanno
formati con il meccanismo dell'estrazione dalle liste
regionali introdotto dalla riforma in via di attuazione. In
pratica, la norma non prevede nemmeno la fine del mandato
dei professionisti attuali, incappando nello stesso errore
che caratterizzava la prima versione del taglio-Lanzillotta
del 2006 (quello che portò da tre a uno i revisori negli
enti fra 5mila e 15mila abitanti) e che fu poi costretto a
cedere il passo alle norme ordinarie del Codice civile.
La riscrittura della revisione nei piccoli enti rischia
dunque di tornare a infiammare le polemiche sul ruolo dei
professionisti nella Pa locale, e di creare più di qualche
problema applicativo. Non è solo questione di posti: in
linea teorica l'azzeramento dei revisori nei piccoli enti
può essere considerato coerente con la struttura delle
Unioni future, con il bilancio dell'Unione che diventa il
pilastro dei conti locali a scapito del bilancio del singolo
ente. Il compito, però, non si presenta facile, anche perché
lo stesso decreto sugli enti locali riempie di nuovi compiti
l'agenda dei guardiani dei conti comunali all'interno del
nuovo sistema dei controlli interni chiamato a verificare
oltre agli equilibri finanziari il grado di attuazione dei
programmi e a intervenire con «correttivi tempestivi» a
correggere i casi di inefficienza.
Ma c'è un ultimo aspetto, che rischia di avere un effetto
paradossale. In teoria, la riforma dei piccoli enti dovrebbe
aggregare in Unioni tutti i Comuni sotto i 5mila abitanti,
che sono però gli unici in cui possono debuttare i revisori
al primo incarico secondo la riforma. Se quindi l'eccezione
alle Unioni, che consente ai Comuni di legarsi in
convenzioni rimanendo però distinti, non fosse seguita da
nessuno, non ci sarebbe più una via d'accesso al ruolo di
revisore dei conti per chi non ha già altri mandati alle
spalle.
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Le novità
01 | NELLE CITTÀ
Cancellata la norma, contenuta nella versione originaria del
decreto enti locali, che prevedeva nelle città sopra i
60mila abitanti, nelle Province e nei capoluoghi di
Provincia la nomina del presidente dei revisori da parte del
Governo, scegliendolo tra i dipendenti ministeriali
02 | NEI PICCOLI COMUNI
Nei Comuni inseriti in Unioni decade il revisore dei conti:
la revisione è affidata esclusivamente a un collegio in capo
all'Unione, chiamato a controllare i conti della stessa
Unione ma anche dei Comuni che la compongono
03 | EFFETTO IMMEDIATO
Si prevede che i revisori decadono all'atto della
costituzione dei nuovi collegi
04 | NUOVI REVISORI
Per la riforma i revisori al debutto possono operare solo
negli enti fino a 5mila abitanti, dunque la nuova norma
rischia di chiudere ogni accesso
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Nuovi
compiti. Dopo il recepimento della direttiva Ue.
Controlli periodici estesi anche ai tempi di pagamento.
ESAME COSTANTE/ Va rilevato tempestivamente l'emergere di
possibili passività non previste a causa degli automatismi
sugli interessi di mora.
Dal primo gennaio prossimo, i revisori degli enti locali
dovranno preoccuparsi di verificare con maggiore attenzione
la dinamica dei pagamenti delle Pubbliche amministrazioni
sottoposte al loro controllo.
È questo uno degli effetti –e non certo di poco conto– del
recepimento in Italia della Direttiva 2011/7/EU del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 16.02.2011,
relativa alla «lotta contro i ritardi di pagamento nelle
transazioni commerciali».
Con le modifiche apportate al Dlgs
231/2002, per le operazioni poste in essere dal 01.01.2013, gli enti locali saranno tenuti a onorare i propri
impegni di pagamento al massimo entro 60 giorni dal
ricevimento della fattura (o da altri particolari, specifici
momenti individuati dalla norma). Ogni possibile eccezione a
questo adempimento è stata rimossa proprio dalla Direttiva
citata, e dal conseguente provvedimento varato dal nostro
Governo lo scorso 31 ottobre. La sanzione per
l'inadempimento è l'applicazione all'intero importo dovuto
(somma scaduta e relative imposte, tasse e altri oneri
applicabili) di pesanti interessi di mora (oggi fissati a un
tasso di circa il 10% annuo).
Il Testo unico degli enti locali prevede che l'organo di
revisione vigili sulla regolarità contabile, finanziaria e –in questo caso– economica della gestione, relativamente
all'effettuazione delle spese e all'attività contrattuale,
anche con tecniche motivate di campionamento. Pertanto, sarà
compito specifico dei revisori effettuare delle verifiche
periodiche (anche a campione) sulle modalità con le quali
vengono disciplinate –in via contrattuale– le modalità di
attribuzioni di penali e risarcimenti per danni subiti da
ritardo di pagamento, tenendo a mente che il nuovo testo del Dlgs 231/2002 prevede la nullità di eventuali clausole che
stabiliscano l'impossibilità di applicare interessi di mora,
che escludano il risarcimento per i costi di recupero o che
siano finalizzate a predeterminare o modificare la data di
ricevimento della fattura.
Ancora con maggiore attenzione, l'organo di revisione dovrà
monitorare la corretta dinamica dei pagamenti, rilevando –ove ne ricorrano i presupposti– i pericoli dell'emersione
di passività non preventivate, ovvero quelle legate al
l'eventuale necessità di corrispondere i non certo
"economici" interessi di mora.
A tal fine, sarà necessario implementare –nei casi, non
infrequenti, in cui non sia stato già fatto a cura del
responsabile economico finanziario dell'ente– procedure ad
hoc che effettuino il monitoraggio costante (e automatico)
del decorso dei giorni dal recepimento ufficiale delle
fatture passive, di modo da segnalare per tempo
l'avvicinarsi del termine massimo per il pagamento (che, per
i casi "normali", è addirittura di 30 e non 60 giorni). Tale
procedura sarà, ovviamente utile per i "controlli in
itinere" –demandati agli uffici dell'ente– ma anche
all'organo di revisione che, oggi più di ieri, non potrà
esimersi dal rilevare potenziali oneri non previsti, in
tutti i casi di sforamento dei tempi massimi.
Bisogna, infatti, al riguardo rammentare che il creditore
dell'ente ben potrebbe attivare le procedure giurisdizionali
per l'ottenimento degli interessi moratori anche dopo il
soddisfacimento del credito residuo e che -dunque- l'ente
locale non è al riparo da tale evenienza nemmeno a pagamento
effettuato
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
SEGRETARI
COMUNALI: La
petizione.
Spoil system, valanga di firme dai segretari.
I segretari comunali scendono in campo e si rivolgono
direttamente al Governo per lamentare lo spoil system a cui
sono soggetti.
Il fatto degno di nota è che la petizione,
circolata in rete nei giorni scorsi (http://petizionepubblica.it)
ha già ricevuto la firma di oltre mille sottoscrittori,
coinvolgendo quindi circa un terzo dei segretari oggi in
attività.
Lo spunto per la presa di posizione è la norma del decreto
legge sugli enti locali, confermata con qualche correzione
durante la conversione in legge alla Camera, che blinda la
figura dei responsabili dei servizi finanziari; con le nuove
regole, per revocare l'incarico occorre il riscontro di
«gravi irregolarità nell'esercizio delle funzioni», e
l'ordinanza di revoca firmata dal sindaco deve ricevere il
via libera da parte del collegio dei revisori dei conti
(nella versione originale del decreto 174/2012 era
addirittura previsto il timbro da parte della Ragioneria
generale dello Stato).
«Perché noi no?», si chiedono in
sostanza i segretari comunali, che rimarcano la «scarsa
considerazione prestata alla figura del segretario, a cui è
esplicitamente affidata la direzione dei controlli interni,
e che opera oggi in condizione di assoluta precarietà, dato
che il suo incarico scade alla scadenza del mandato del
sindaco». L'incongruenza agli occhi dei segretari si fa più
grave alla luce delle nuove regole scritte nello stesso
decreto legge sugli enti locali, che affidano proprio a
segretari e responsabili dei servizi finanziari compiti
gemelli nel coordinamento dei nuovi controlli interni.
Segretari e ragionieri capo, solo per fare un esempio,
devono sovrintendere alle nuove regolazioni di inizio e fine
mandato previste per sindaci e presidenti della Provincia, e
rispondono personalmente con il dimezzamento dello stipendio
per tre mesi se l'adempimento non viene effettuato. Senza
«un adeguato sistema di tutela del ruolo -sostengono però i
segretari- il potenziamento dei controlli è vanificato
nella sostanza»
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Legge
anticorruzione. Forte spinta alla trasparenza delle Pa.
Nomine discrezionali e incarichi extra assegnati in chiaro.
Va attestata l'assenza di un conflitto d'interessi.
La legge anticorruzione "stringe" sulla trasparenza delle
nomine discrezionali e l'assegnazione di incarichi nella
pubblica amministrazione, imponendo una serie di nuovi
adempimenti, finalizzati a mettere in chiaro i criteri di
scelta e a garantire che l'affidamento di attività
extradoveri d'ufficio non generi conflitti di interesse.
Le amministrazioni e le società partecipate devono anzitutto
comunicare al dipartimento della Funzione pubblica –tramite
organismi indipendenti di valutazione– tutti i dati utili a
rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone,
anche esterne alle Pa, individuate discrezionalmente dal
l'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di
selezione. La previsione (articolo 1, comma 39, legge
190/2012) è finalizzata a garantire al meglio la separazione
tra indirizzo politico e gestione.
Nella prospettiva invece di ridurre il rischio di potenziali
conflitti di interesse, le nuove norme delineano un
intervento integrativo nella legge 241/1990, inserendo nella
stessa un articolo (il 6-bis) che disciplina la regolazione
generale di questa situazione.
La disposizione prevede che il responsabile del procedimento
e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri,
le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il
provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto
di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche
potenziale.
Se la norma incardinata nella legge sul procedimento
amministrativo fornisce garanzie per l'azione dei funzionari
pubblici in relazione alle attività amministrative, la legge
anticorruzione rafforza e rende più stringenti le procedure
relative all'autorizzazione di incarichi professionali ai
dipendenti pubblici da parte di soggetti privati o pubblici,
rimodulando e integrando varie parti dell'articolo 53 del
Dlgs 165/2001.
In particolare, il provvedimento con cui l'amministrazione
di appartenenza consente al dipendente di svolgere queste
attività esterne deve ora contenere l'attestazione
dell'avvenuta verifica dell'insussistenza di situazioni,
anche potenziali, di conflitto di interessi. E la linea di
tutela si estende anche a un periodo di garanzia successivo
all'eventuale cessazione del rapporto di lavoro con
l'amministrazione pubblica.
È infatti previsto che i dipendenti che, negli ultimi tre
anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o
negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni non
possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione
del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o
professionale presso i soggetti privati destinatari
dell'attività della pubblica amministrazione svolta
attraverso i medesimi poteri.
I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione
di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto
divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o
conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni
per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei
compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi
riferiti.
La massima responsabilizzazione dei dipendenti pubblici sarà
peraltro sostenuta (comma 44) con un nuovo e più articolato
codice di comportamento generale, rispetto al quale ciascuna
amministrazione definirà un proprio codice integrativo (con
la collaborazione dell'organismo indipendente di
valutazione)
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Cittadini.
L'accesso agli atti è garantito come i diritti sociali e
civili.
Sul web i bilanci e i costi dei servizi.
La legge anticorruzione ha elevato la trasparenza
dell'attività amministrativa a livello essenziale delle
prestazioni relative ai diritti sociali e civili in base
all'articolo 117 della Costituzione, individuando una serie
di adempimenti che permettano ai cittadini conoscere le
dinamiche operative delle Pa.
Prima di tutto, vanno pubblicate le informazioni sui
procedimenti amministrativi, in modo tale da risultare
facilmente accessibili e semplici da consultare. Nel sito
entrano poi i bilanci e i conti consuntivi, così da rendere
operativo il principio di pubblicità previsto per questi
documenti dall'articolo 151 del Tuel.
Ampia evidenza va fornita anche ai costi unitari di
realizzazione delle opere pubbliche, in base a un modello
schematico che dovrà essere approvato dall'Authority
appalti. E, allo stesso modo, vanno resi pubblici i costi
unitari di produzione dei servizi erogati ai cittadini, così
come avviene oggi per solo i servizi a domanda individuale
(peraltro in relazione alla percentuale di copertura con le
tariffe).
Per garantire appieno l'accessibilità ai cittadini, la
pubblicizzazione deve riguardare alcuni particolari tipi di
documenti e dati: i provvedimenti di autorizzazione e di
concessione, le informazioni sulla scelta dei contraenti e
sulle modalità selettive per gli appalti pubblici, le
concessioni di erogazioni e contributi, le informazioni sui
concorsi e le prove selettive del personale. Si tratta
peraltro di atti che, in forme diverse, hanno già percorsi
di pubblicizzazione strutturata, come ad esempio l'albo dei
beneficiari di contributi e di benefici economici o gli
avvisi di post-aggiudicazione degli appalti.
La legge anticorruzione prevede anche norme specifiche sulla
gestione dei procedimenti amministrativi. Scatta infatti
l'obbligo di monitoraggio periodico del rispetto dei tempi
procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle
anomalie: i risultati del monitoraggio devono essere resi
consultabili nel sito web.
Ogni amministrazione deve anche rendere noto almeno un
indirizzo di Pec al quale i cittadini possono inviare le
istanze dei procedimenti e ricevere informazioni
sull'attività amministrativa che li riguarda. Questo profilo
si correla alle previsioni che rendono obbligatoria la messa
a disposizione dei cittadini di strumenti telematici e
informatici per accedere ai provvedimenti e ai procedimenti
amministrativi che li riguardano, comprese quelle relative
allo stato della procedura e ai tempi.
La formalizzazione delle decisioni delle Pa va garantita
anche in caso di istanze manifestamente irricevibili,
inammissibili, improcedibili o di domande infondate: in
tutte queste ipotesi vanno prodotti provvedimenti espressi,
redatti in forma semplificata, con una motivazione che può
consistere in un sintetico riferimento all'elemento ritenuto
risolutivo
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Gare.
Arbitrati solo se autorizzati dalla giunta.
Appalti tracciabili a tutto campo sui siti istituzionali.
Gli appalti vanno pubblicizzati in modo specifico con
informazioni sulle procedure, sugli affidatari e sui tempi
di realizzazione, mentre il ricorso agli arbitrati va
motivato e autorizzato dall'organo di governo dell'ente.
La legge anticorruzione prevede che le amministrazioni
aggiudicatrici rendano disponibili in forma semplificata
molte informazioni relative alla scelta del contraente e
alla procedura selettiva. Le stazioni appaltanti hanno un
obbligo specifico di pubblicazione, sui propri siti
istituzionali, dei dati relativi al l'oggetto della gara,
all'elenco degli operatori invitati a presentare offerte,
all'aggiudicatario e all'importo di aggiudicazione. Lo
stesso pacchetto informativo deve evidenziare i tempi di
completamento dell'opera, del servizio o della fornitura,
nonché l'importo delle somme liquidate. Entro il 31 gennaio
di ogni anno, queste informazioni, relative alle gare
dell'anno precedente, vanno pubblicate in tabelle
riassuntive, liberamente scaricabili.
Una selezione di queste informazioni va trasmessa
all'Authority degli appalti (che determinerà quelle
rilevanti con proprio provvedimento), che le pubblica nel
proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da
tutti i cittadini e che è tenuta a trasmettere alla Corte
dei conti (entro il 30 aprile di ogni anno) l'elenco delle
amministrazioni che non hanno adempiuto all'obbligo
informativo (passibili di rilevanti sanzioni).
La legge delinea un quadro di maggior trasparenza anche per
gli arbitrati sulle controversie derivanti dai contratti di
appalto. Il ricorso agli arbitri, infatti, va motivato e
autorizzato dalla giunta. L'inclusione della clausola
compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o
nell'avviso di gara ovvero, per le procedure senza bando,
nell'invito, o il ricorso all'arbitrato, senza preventiva
autorizzazione, sono nulli (comma 19).
La nuova disciplina degli arbitrati (che si applica anche
agli appalti delle società partecipate, ma che non riguarda
quelli conferiti prima dell'entrata in vigore della legge)
prevede che la nomina degli arbitri avvenga nel rispetto dei
principi di pubblicità e di rotazione, nonché di quelli
previsti dal codice dei contratti pubblici.
Le Pa devono nominare come arbitro preferibilmente un
dirigente pubblico, prevedendo il compenso massimo. Qualora
non sia possibile individuarlo tra i dirigenti pubblici, può
essere nominato un altro soggetto, secondo le procedure del
Dlgs 163/2006 e con provvedimento motivato.
Sul piano procedurale, la legge anticorruzione contiene una
specificazione dei reati contro la pubblica amministrazione
che costituiscono causa ostativa a contrattare.
Le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi
di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle
clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di
integrità costituisce causa di esclusione dalla gara.
Proprio per potenziare il contrasto all'influenza delle
organizzazioni criminali sugli appalti, la legge prevede
(commi 52-56) la costituzione presso le prefetture di
elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di
lavori non soggetti a infiltrazioni mafiose (white list),
con riferimento alle attività a rischio
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento al 19.11.2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Un
container come casa è abusivo.
Il container trasformato in monolocale
fissato solidamente al suolo rappresenta una edificazione e
pertanto necessità sempre di licenza edilizia per essere
realizzato. E a nulla rileva che al singolare manufatto
siano state applicate ruote atte a dimostrarne una possibile
manovrabilità e trasportabilità.
Lo ha chiarito il Consiglio di Stato, Sez. I, con il
parere n. 3727/2012.
Sono frequenti le installazioni precarie di roulotte,
rimorchi e container trasformate in dimore stabili magari
con semplici accorgimenti di fortuna atti anche a simularne
un uso temporaneo. Nel caso sottoposto all'esame del
collegio un comune ha disposto la demolizione di un
container monoblocco, munito di ruote, adibito abusivamente
a civile abitazione.
Contro questa severa determinazione l'interessato ha
proposto ricorso straordinario al presidente della
repubblica con conseguente interessamento dei giudici di
palazzo Spada per il prescritto parere. Il collegio non ha
dubbi. Un container monoblocco posizionato su blocchi di
lapillo in un'area interamente pavimentata di circa 200 mq
rappresenta un evidente abuso edilizio. Anche se nella parte
inferiore del manufatto sono state applicate delle ruote.
In particolare come risulta agli atti del comune il
manufatto è abusivo perché realizzato senza alcun titolo
abilitativo. Il container collegato al suolo deve infatti
essere considerato al pari di una qualsiasi struttura fissa
adibita ad abitazione realizzata senza i necessari titoli
abilitativi
(articolo ItaliaOggi del 17.11.2012). |
APPALTI: Pagamenti sprint ai
professionisti.
Le p.a. dovranno saldare entro 30 giorni dalla parcella. Il dlgs
192 tutela non solo le imprese ma anche tutti gli esercenti
una libera professione.
Pagamenti certi ai professionisti che lavorano con la
pubblica amministrazione. Dal 01.01.2013 le parcelle
dovranno essere onorate entro 30 giorni al massimo dal
momento in cui la p.a. le riceve. Oltre questo termine
inizieranno a decorrere gli interessi (senza necessità di un
apposito atto di costituzione in mora) che passeranno dal 7
all'8%, oltre al tasso fissato dalla Bce per le operazioni
di rifinanziamento.
Solo in casi eccezionali i termini di pagamento potranno
allungarsi a 60 giorni.
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di giovedì
(n. 267 del 15 novembre) del dlgs n. 192/2012 che recepisce la
direttiva Ue contro i ritardati pagamenti nelle transazioni
commerciali, anche i professionisti, e non solo le imprese,
potranno contare su una corsia preferenziale per incassare i
loro onorari.
Il provvedimento riformula infatti il concetto di pubblica
amministrazione, estendendo le novità a tutti i soggetti che
rientrano nella disciplina del codice appalti (dlgs
163/2006).
E i diretti interessati, che spesso si trovano a dover
fronteggiare situazioni di carenza di liquidità a causa dei
ritardati pagamenti, festeggiano per l'arrivo di un
provvedimento che «colma l'ennesima lacuna normativa che
fino ad oggi ha penalizzato il lavoro dei professionisti».
«Il decreto», ha commentato Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, «va nella stessa direzione a cui Confprofessioni lavora da mesi richiedendo l'estensione ai
professionisti del diritto di compensare i crediti con la
p.a.». «Il ritardo nei pagamenti», ha osservato Stella, «è
un grosso problema che coinvolge le pmi, ma soprattutto i
professionisti che lavorano con la pubblica amministrazione
e con le imprese».
Le regole
Il provvedimento, approvato dal consiglio dei ministri il 31
ottobre scorso (si veda ItaliaOggi del 02/11/2012) stabilisce
regole differenti a seconda che si tratti di transazioni tra
imprese o tra la p.a. e un soggetto privato (impresa o
professionista).
Nel primo caso il decreto consente comunque alle parti di
concordare un termine di pagamento superiore a 30 giorni. E
anche superiore a 60 giorni se l'estensione temporale è
stata sottoscritta in forma espressa e non è gravemente
iniqua per il creditore.
Nella seconda ipotesi, il termine di pagamento dovrà essere
di regola non superiore a 30 giorni. Potrà arrivare fino a
un massimo di 60 giorni se il debitore è un'impresa pubblica
o un ente pubblico che fornisce servizi sanitari (Asl,
ospedali). In questo caso, le parti potranno concordare, in
forma espressa, di andare oltre i 30 giorni per il
pagamento, se la dilazione è oggettivamente giustificata
dalla natura o dall'oggetto del contratto o da particolari
circostanze esistenti al momento della stipula.
Ma la dead-line per onorare gli impegni non potrà mai
superare i 60 giorni. Decorsa inutilmente tale scadenza
scatteranno gli interessi di mora (8% più il tasso Bce) a
cui dovrà essere aggiunta una somma forfettaria di 40 euro
da aggiungere all'importo dovuto al creditore a titolo di
rimborso per le spese di recupero.
La decorrenza
Nonostante il termine per recepire la direttiva europea
2011/7/Ue sia fissato al 16.03.2013, la nuova disciplina
si applicherà alle transazioni commerciali concluse a
partire dal 01.01.2013. Quindi in anticipo rispetto
alla scadenza prevista, in considerazione dell'importanza
della materia e della necessità di garantire in questo
periodo di crisi un'iniezione di liquidità indispensabile
per professionisti e imprese.
Le nuove regole non si applicheranno retroattivamente ai
contratti già conclusi, ma soltanto a quelli futuri. I
destinatari delle nuove norme avranno, dunque, sufficiente
tempo per adeguare la modulistica contrattuale e le
procedure interne di pagamento
(articolo ItaliaOggi del 17.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Permessi.
Disabili, istanze web per i privati.
Le modalità di presentazione delle
domande di permessi per assistenza ai familiari portatori di
handicap (ex art. 33, legge n. 104/1992), che dal 01.10.2012
(circolare n. 117/2012) devono essere presentate
esclusivamente in modalità telematica, attraverso il web, i
patronati o il contact center multicanale, valgono solo per
i dipendenti del settore privato e non anche per i pubblici
iscritti all'ex Inpdap.
Lo precisa l'Inps con il
messaggio
15.11.2012 n. 18728.
A tal riguardo, sottolinea l'ente di previdenza, è stata
innovata solo la modalità di presentazione della domanda e
non anche l'ambito soggettivo degli utenti tenuti a
presentare all'Istituto l'istanza medesima. Pertanto,
l'obbligo di invio telematico riguarda esclusivamente la
generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato e
non i soggetti titolari di un rapporto di lavoro alle
dipendenze di amministrazioni pubbliche, con copertura
assicurativa presso la gestione ex Inpdap.
Infatti, conclude
la nota, competente alla concessione di tali benefici per il
personale in questione è esclusivamente il datore di lavoro,
cui fa carico il relativo onere economico
(articolo ItaliaOggi del 17.11.2012). |
APPALTI: Crediti
e Pa. Gli effetti del decreto pubblicato l'altro ieri.
Ritardi nei versamenti con super-interessi.
Dopo le prime rassicurazioni sui lavori pubblici, arriva
anche la soddisfazione dei professionisti per gli effetti
che le nuove regole sulle transazioni commerciali scritte
nel Dlgs 192/2012, pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» di
giovedì, avranno sul calendario dei pagamenti delle loro
parcelle. «Finalmente non saremo più costretti ad
attendere mesi e mesi per vederci onorata la nostra
prestazione –spiega Gaetano Stella, presidente di
Confprofessioni–. Con la pubblicazione del decreto, si colma
l'ennesima lacuna normativa che fino a oggi ha penalizzato
il lavoro dei professionisti».
Più incertezze si registrano invece nelle Pubbliche
amministrazioni e soprattutto in quelle territoriali, dove
si concentra una fetta maggioritaria dei 100 miliardi a cui
secondo le ultime stime sono arrivati i mancati pagamenti
alle imprese da parte degli uffici pubblici. Per loro non
sarà più possibile derogare al termine dei 30-60 giorni e,
soprattutto, post-datare la fattura o addirittura prevedere
per contratto la rinuncia agli interessi di mora.
Ed è proprio il nodo degli interessi, inaspriti rispetto
alle vecchie regole fino a farli arrivare a un tasso che a
valori attuali sfiora il 10%, a rappresentare l'aspetto
essenziale delle novità.
In molti casi, infatti, l'obbligo di onorare la fattura
entro due mesi è destinato a rimanere lettera morta, al pari
delle regole sui tempi di pagamento che l'hanno preceduto.
L'ostacolo più importante continua a essere rappresentato
dal Patto di stabilità, che è all'origine di molti dei
ritardi accumulati da Comuni e Province e che nel 2013 è
destinato a pesare sul tema per una duplice ragione. Il
Patto blocca in particolare i pagamenti delle spese in conto
capitale, dopo aver lasciato liberi gli impegni (quindi gli
stanziamenti) e aver in questo modo esaltato i difetti di
programmazione di molte amministrazioni locali.
I vincoli continueranno a esistere nel 2013, inaspriti dalla
stretta ulteriore sui bilanci locali, e si riproporranno
anche per il monte delle certificazioni dei crediti avviate
dai decreti dell'Economia varati quest'estate e corretti ai
primi di novembre: gli arretrati certificati in questi mesi,
infatti, vanno pagati entro l'anno e rientrano in pieno nei
plafond lasciati dal Patto di stabilità, che di conseguenza
saranno "occupati" anche dall'arrivo a scadenza
dell'onda delle certificazioni.
A stoppare i pagamenti non in regola con il Patto di
stabilità ci sono anche le sanzioni a carico dei funzionari
che firmano atti di spesa e che, di conseguenza, nella loro
attività si trovano spesso a dover decidere quale legge non
rispettare: quella che impone tempi certi di pagamento e
quella che vieta di sforare il Patto. A far pendere la
bilancia del rispetto verso la seconda norma sono proprio le
sanzioni a carico dei funzionari, che possono essere
chiamati a rispondere per la responsabilità disciplinare e
amministrativa se danno il via libera ai pagamenti fuori
plafond.
Nel nuovo quadro normativo, però, anche la formazione di
interessi di mora, che sono destinati a pesare in misura
rapidamente crescente sui bilanci dell'ente, potrebbero
finire per rappresentare la base di un'ipotesi di danno
erariale se il mancato pagamento non poggia su
giustificazioni oggettive. Il disallineamento fra dinamica
degli impegni e tasso di pagamenti può essere risolto solo a
medio termine, se gli obblighi di programmazione introdotti
dalle norme degli ultimi mesi avranno un'applicazione
effettiva e generalizzata, ma nel frattempo il rebus rimane
insoluto.
Rimangono, poi, i problemi cronici e crescenti delle casse,
che oltre a Comuni e Province riguardano molte aziende
sanitarie, in particolare nel Mezzogiorno. Un quadro,
questo, in cui si innestano anche le regole sulla tesoreria
unica, che sottraggono la liquidità al controllo diretto
dell'ente
(articolo Il
Sole 24 Ore del 17.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Pagamenti
commerciali in 30 giorni.
Dall'01.01.2013 termini certi di pagamento nelle
transazioni commerciali: di norma 30 giorni, che non possono
comunque superare i 60, consentiti solo in casi eccezionali.
E scatta una maggiorazione del tasso degli interessi legali
moratori, che passa dal 7% all'8% in più rispetto al tasso
fissato dalla Bce per le operazioni di rifinanziamento.
Lo
prevede il decreto legislativo 09.11.2012, n. 19,
recante «Modifiche al decreto legislativo 09.10.2002, n.
231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/Ue
relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle
transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1,
della legge 11.11.2011, n. 180», pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 267 di ieri.
Come spiegato in una nota della presidenza del Consiglio dei
ministri dopo il varo del provvedimento, avvenuto il 31
ottobre scorso, l'approvazione del decreto legislativo che
recepisce la direttiva 2011/7/Ue sui ritardi di pagamento
nelle transazioni commerciali tra imprese, e tra pubbliche
amministrazioni e imprese, attua la delega conferita al
Governo con l'articolo 10 della legge n. 180 del 2011
(Statuto delle imprese).
Nonostante il termine per il recepimento della direttiva sia
fissato al 16.03.2013, il governo ha voluto provvedere ad
una sua attuazione anticipata dal 01.01.2013 in
considerazione della importanza della normativa nonché
dell'opportunità peculiare di garantire, in questo momento,
le imprese e più specificatamente le piccole e medie
imprese.
Per quanto riguarda i rapporti tra imprese, come detto, il decreto
legislativo dispone un regime rigoroso stabilendo che il
termine di pagamento legale sia di 30 giorni e che termini
superiori a 60 giorni possano essere previsti solo in casi
particolari e in presenza di obiettive giustificazioni.
La disciplina del decreto legislativo si applicherà ai
contratti conclusi a partire dal 01.01.2013. Le pubbliche
amministrazioni e le imprese avranno così il tempo per
adeguarsi alle nuove norme e per adottare procedure
operative e contabili più funzionali a prassi di pagamento
rapido
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Colonnine
di ricarica anche sulle aree pubbliche.
La ricarica dei veicoli elettrici può essere assimilata a un
classico rifornimento di carburante con una tempistica più
allungata. In attesa di una disciplina ad hoc per queste
particolari esigenze sarà necessario individuare le aree con
idonea segnaletica orizzontale bianca apponendo anche il
classico simbolo del rifornimento.
Lo ha chiarito il ministero dei trasporti con il parere
n. 5253/2012.
Un progettista ha richiesto chiarimenti sulla possibilità di
realizzare stalli di sosta di colore giallo destinati al
posteggio dei veicoli elettrici presso colonnine di
ricarica. A parere del ministero questi impianti sono
realizzabili essendo assimilabili alle normali aree di
servizio che sono definite dal codice come pertinenze di
servizio, ma non possono essere di colore giallo, stante la
peculiarità degli spazi colorati disciplinati dall'art. 7
del codice. Anche se mancano i criteri di localizzazione e
gli standard dimensionali richiesti specificamente per i
nuovi impianti dall'art. 60 del regolamento stradale sono
tante le disposizioni di dettaglio che possono assistere il
progettista.
Per esempio in ambito urbano gli accessi agli impianti
devono rispondere ai requisiti dei passi carrabili, secondo
l'art. 61 del regolamento. In pratica la ricarica delle
batterie dei veicoli elettrici può essere assimilata al
rifornimento dei veicoli tradizionali. La maggior durata
della sosta può complicare la questione anche in relazione
alle disposizioni normative in materia di occupazione della
sede stradale. In attesa di un provvedimento ad hoc la
progettazione di questi manufatti può comunque seguire
alcuni indirizzi applicativi.
Gli stalli di sosta riservati di colore bianco saranno
evidenziati agli utenti e in ambito urbano sarà possibile
anche occupare marciapiedi, a condizione di mantenere libero
uno spazio minimo di sicurezza per la circolazione. Per la
segnaletica verticale occorrerà utilizzare un pannello
composito con divieto di sosta generale eccetto i veicoli
elettrici in ricarica. In buona sostanza un pannello
integrativo indicherà il periodo di validità delle
prescrizioni e la rimozione coatta per i trasgressori, con
eccezione dei veicoli elettrici in ricarica.
A ogni modo, conclude il parere centrale, risulterà
difficile sanzionare i veicoli che stazionano nella zona
riservata oltre al tempo necessario per la ricarica
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2012). |
SEGRETARI
COMUNALI: Petizione
online per chiedere maggiori tutele. Segretari comunali contro
lo spoils system.
La recente riforma dei controlli sugli enti locali ha
introdotto un'efficace e più penetrante forma di controllo
sulla attività amministrativa dell'ente locale che però non
tiene conto della delicata posizione che occupa il
segretario comunale all'interno dell'ente.
Per questo la categoria ha promosso la sottoscrizione di una
petizione online, che ha già riscosso grande adesione, per
sottolineare lo stato di disagio nel quale si trovano.
Il governo, consapevole del grave problema dell'imparzialità
dei vertici amministrativi, ha ritenuto di blindare la
posizione del responsabile del servizio finanziario.
Ai sensi del dl 174/2012 approvato martedì dalla camera dei
deputati, l'incarico di responsabile del servizio
finanziario di cui all'articolo 153, comma 4, può essere
revocato esclusivamente in caso di gravi irregolarità
riscontrate nell'esercizio delle funzioni assegnate. La
revoca è disposta con ordinanza del legale rappresentante
dell'ente, previo parere obbligatorio del collegio dei
revisori dei conti. La commissione bilancio di Montecitorio
ha così modificato il testo originario del decreto legge che
subordinava la revoca a un duplice parere del ministero
dell'interno e del ministero dell'economia e delle finanze,
Dipartimento della Ragioneria generale dello stato. Una
modifica che, secondo i segretari comunali, non cambia la ratio della norma.
«È evidente che il governo», si legge nella petizione
online, «per non vedere vanificata la ratio della nuova
previsione, ha tutelato il responsabile del servizio
finanziario da ipotesi distorsive di revoca immotivata da
parte del sindaco, frequenti purtroppo nell'attuale sistema
di spoils system che attribuisce poteri illimitati agli
organi politici anche degli enti locali».
«Scarsa considerazione in questo senso, però, è stata
prestata alla figura del segretario, a cui viene
esplicitamente affidata la direzione dei controlli interni,
e che, si rammenta, opera oggi in condizione di assoluta
precarietà, dato che il suo incarico scade alla scadenza del
mandato del sindaco».
«Incongruenza oggi ancora più evidente», proseguono, «con le
nuove funzioni che il disegno di legge anticorruzione
attribuisce al segretario, affidandogli nella sua qualità di
dirigente generale dell'ente locale il compito e il ruolo di
responsabile del piano anticorruzione nell'ente locale».
«I segretari», conclude il testo della raccolta firme,
«chiedono dunque la revisione del sistema di nomina del
segretario, eliminando l'attuale spoils system per
salvaguardare la sua imparzialità e il corretto svolgimento
del suo delicato ruolo, ritenendo indispensabile, in primo
luogo, eliminare la scadenza automatica dell'incarico del
segretario nell'ente locale alla scadenza del mandato del
sindaco. Tale sistema oggi rimette alla mera discrezionalità
politica la prosecuzione dell'operato del segretario
nell'ente; i segretari, inoltre, ritengono necessario
introdurre un adeguato sistema di tutela del loro ruolo per
non vanificare nella sostanza il potenziamento dei controlli
che oggi appare necessario».
«La petizione», viene spiegato, «è assolutamente laica, non
ha alcuna connotazione sindacale e, allo stato attuale, ha
già superato 1.000 sottoscrittori».
Per consultare e aderire alla petizione: http://petizionepubblica.it
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: La
stima dei dipendenti in eccesso non può essere direttamente
legata agli accorpamenti geografici. Esuberi al buio nelle
province.
Da gennaio rischiano dirigenti a contratto e staff delle
giunte.
Impossibile allo stato una stima realistica degli esuberi
nelle province. A rischiare, nell'immediato, sono solo i
dirigenti a contratto e il personale di staff alle giunte.
Ma i numeri circolati in questi giorni sugli esuberi
potenziali non sembrano affidabili.
Esuberi potenziali. Sono circolate stime di circa 12 mila
dipendenti provinciali in potenziale esubero.
Su un totale di circa 57 mila dipendenti la cifra
corrisponderebbe al 21%, quasi un quarto del totale. Non
sembra, oggettivamente, giustificabile una valutazione di un
potenziale esubero di un quarto dei dipendenti pubblici di
un intero sistema locale.
La stima appare viziata dall'impostazione su cui si fonda:
considerare potenzialmente in esubero tutti i dipendenti
delle province non in possesso dei requisiti per rimanere
nell'ordinamento e, dunque, destinate ad accorparsi con
altre.
Non sembra, tuttavia, corretto far corrispondere ad
accorpamenti meramente geografici, come quelli previsti dal
dl 188/2012, l'automatico stato di esubero dei dipendenti
delle province obbligate all'accorpamento.
Si tratta di valutazioni influenzate dal vizio principale
della riforma voluta dal governo: guarda quasi solo agli
aspetti dei confini geografici e della costituzione degli
organi politici, senza curarsi troppo delle funzioni che
vengono gestite dalle province.
È evidente che lo stato di esubero non ha alcuna diretta e
immediata conseguenza dall'accorpamento geografico. Attività
che per loro natura debbono essere svolte in modo diffuso
nel territorio, come i servizi per il lavoro, la
manutenzione delle strade e degli edifici scolastici, la
vigilanza, l'ambiente, la formazione, non sono intaccate
dall'accorpamento, perché, salvo razionalizzazioni
possibili, restano aggregate al territorio.
In effetti, solo una volta completato il processo di
accorpamento, le province «nuove» potranno condurre una
seria ricognizione dei fabbisogni, ai sensi dell'articolo 33
del dlgs 165/2001 e sulla base di questa verificare se vi
siano o meno esuberi. Si tratta di un processo il cui esito
non appare stimabile, e rispetto al quale 12 mila dipendenti
sono oggettivamente spropositati, se si considera che
nell'intera compagine statale la Funzione pubblica ha
stimato meno di 5 mila esuberi.
Il nodo è, semmai, capire quali funzioni e competenze
resteranno alle province, perché poi si potrebbe porre un
problema di esubero indotto dalla sottrazione di tali
funzioni e di trasferimento dei dipendenti verso comuni o
regioni.
Personale in staff e dirigenti a contratto. Nell'immediato,
invece, e cioè a partire dal 01.01.2013 un gruppo
consistente di dipendenti provinciali si troverà
oggettivamente in esubero.
È l'intero sistema dei componenti degli «staff» degli organi
di governo. La cancellazione delle giunte determinerà
certamente l'assenza immediata di attività lavorative nei
riguardi di tali staff e l'attivazione delle procedure
dell'articolo 33 del dlgs 165/2001.
Molto di tale personale, però, è assunto con contratti
flessibili e a tempo determinato. L'articolo 90 del dlgs
267/2000 stabilisce che possono essere costituiti uffici di
staff «posti alle dirette dipendenze del sindaco, del
presidente della provincia, della giunta o degli assessori».
È chiaro che gli uffici di diretta collaborazione della
giunta e degli assessori non avranno più alcuna operatività.
I dipendenti in staff a tempo determinato, dunque,
perderanno a loro volta la giustificazione della loro
presenza in servizio, a meno che non possano essere
reimpiegati in altre attività. Occorrerà dare anche uno
sguardo alla causale di assunzione, ma anch'essi si trovano
in condizione di eccedenza potenziale rispetto ai
fabbisogni.
L'articolo 33 del dlgs 165/2001 è tarato solo per i
dipendenti di ruolo. Non si deve, tuttavia, scartare
l'ipotesi del licenziamento individuale di stampo
privatistico, per chiusura di un'attività specifica.
Analogo problema riguarda i dirigenti a contratto. Quelli
assunti in staff (combinando l'articolo 110 e l'articolo 90
del Tuel) vanno incontro alla stessa problematica sorte del
personale delle segreterie. Nelle province in cui vi siano i
commissari per accompagnare l'accorpamento, vi sarà la
conclusione del mandato e dunque la scadenza ex lege
degli incarichi
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
I poteri del primo cittadino sono limitati
alle ordinanze contingibili e urgenti. Viabilità, decide il
dirigente.
La gestione ordinaria non spetta più al sindaco
Il comandante della polizia municipale può adottare
un'ordinanza con la quale si apportano modifiche alla
viabilità urbana?
Il Piano urbano del traffico (Put) –da cui dovrebbero
derivare le eventuali modificazioni alla viabilità– secondo
quanto previsto dall'art. 36, comma 5, del Codice della
strada viene aggiornato ogni due anni. Il predetto Put,
essendo uno strumento di programmazione e, dunque, a valenza
generale, è demandato all'approvazione degli organi
collegiali del comune.
Occorre tenere presente, tuttavia, che l'art. 107, comma 5,
del dlgs n. 267/2000 prevede che «le disposizioni che
conferiscono agli organi di cui al capo I, titolo III,
(consiglio, giunta e sindaco) l'adozione di atti di gestione
e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel
senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo
quanto previsto dall'art. 50, comma 3, e dall'art. 54» dello
stesso decreto legislativo.
Pertanto, le competenze assegnate, in particolare dal codice
della strada, al sindaco (fuori dei casi di cui ai citati
articoli 50 e 54 del dlgs n. 267/2000) si intendono oggi
demandate al dirigente.
Sul punto la giurisprudenza (Tar Lombardia, sentenza n.
13/01/2003, n. 904) ha specificato che «al di fuori dei
provvedimenti contingibili e urgenti, il sindaco non può
adottare un'ordinanza in materia di viabilità ordinaria,
esercitando altrimenti un atto di gestione che compete in
via esclusiva al dirigente».
In particolare il Tar Lombardia –sezione di Brescia– con
la sentenza 08.01.2011, n. 10 ha ribadito tale
principio, affermando che l'art. 7 del codice della strada,
che assegna al sindaco il potere di regolamentare la
circolazione dei veicoli, va coordinato con la posteriore
norma del già citato art. 107.
La competenza del sindaco in tema di limitazioni della
circolazione deve, quindi, ritenersi attratta nella
competenza propria del dirigente di settore, in quanto si
tratta di funzioni di gestione ordinaria
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ La modifica del simbolo.
In assenza di una specifica disciplina statutaria e
regolamentare, un gruppo consiliare di opposizione può
modificare o sostituire il simbolo col quale la lista si era
presentata al corpo elettorale?
La materia concernente la costituzione dei gruppi consiliari
è interamente demandata allo statuto e al regolamento del
consiglio, nell'ambito della propria autonomia funzionale ed
organizzativa (art. 38, comma 3, dlgs n. 267/2000).
Ne deriva che le problematiche relative alla costituzione e
al funzionamento dei gruppi consiliari dovrebbero essere
valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e
regolamentari di cui l'ente locale si è dotato. Pertanto
soltanto il consiglio comunale, nella sua sovranità e in
quanto titolare della competenza a dettare le norme cui
uniformarsi in tale materia, è abilitato a fornire
un'interpretazione autentica delle norme statutarie e
regolamentari, pronunciandosi in merito a quanto richiesto.
Nel caso di specie, se lo statuto comunale e il regolamento
non dettano specifiche disposizioni in materia ma prevedono
che i consiglieri si costituiscano «di regola» nei gruppi
individuati nelle liste che si sono presentate alle elezioni
e stabiliscono che i consiglieri possano costituire gruppi
non corrispondenti alle liste elettorali nelle quali sono
stati eletti, sembra di poter ritenere ammissibile la
facoltà di operare variazioni all'interno degli schieramenti
che possono, dunque, non corrispondere alla composizione
scaturente dalle elezioni.
Il principio generale del divieto di mandato imperativo
sancito dall'art. 67 della Costituzione, pacificamente
applicabile ad ogni assemblea elettiva, assicura ad ogni
consigliere l'esercizio del mandato ricevuto dagli elettori,
pur conservando verso gli stessi la responsabilità politica,
con assoluta libertà, ivi compresa quella di far venir meno
l'appartenenza dell'eletto alla lista o alla coalizione di
originaria appartenenza (Tar Trentino-Alto Adige, sez. di
Trento sent. n. 75 del 2009)
In linea con il principio generale secondo cui, all'elemento
«statico» dell'elezione in una lista si sovrappone quello
«dinamico», fondato sull'autonomia politica dei consiglieri,
sono da ritenere in genere ammissibili anche eventuali
mutamenti, all'interno delle forze politiche, che comportano
altrettanti cambiamenti nei gruppi consiliari.
Pertanto, la denominazione dei gruppi consiliari, con
eventuale variazione dei simboli (contrassegni) a cui tali
gruppi fanno riferimento, in assenza di una specifica
disposizione statutaria o regolamentare, appare rientrare
nelle scelte proprie delle formazioni politiche presenti in
consiglio
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2012). |
LAVORI PUBBLICI: Debiti
della Pa. La direttiva europea scatterà dal primo gennaio
2013.
Tajani: lavori pubblici inclusi nel decreto sui pagamenti.
ARRIVA UNA CIRCOLARE/
Il chiarimento è allo studio dello Sviluppo economico Il
ritardo nel saldare le fatture penalizza soprattutto le
piccole aziende.
«Nessuna eccezione: il decreto che ha appena recepito la
direttiva europea sui tempi di pagamento deve valere per
tutti i settori, compresi i lavori pubblici e l'edilizia».
Il vicepresidente della Commissione Ue e responsabile
dell'Industria, Antonio Tajani, prova a fare chiarezza una
volta per tutte sulle nuove regole che scatteranno dal
prossimo 1 gennaio e che in particolare vincolano la
pubblica amministrazione a pagare i propri fornitori entro 30
giorni o al massimo 60 in alcuni casi specifici.
Le parole
di Tajani –presente ieri a Roma all'incontro «Restart the
system. Ripensiamo lo sviluppo», promosso da Methos in
collaborazione con Archi's Comunicazione e Studio Valla–
confermano quanto lo stesso vicepresidente Ue ha scritto in
una lettera inviata mercoledì scorso al presidente
dell'Ance, Paolo Buzzetti. Proprio l'Ance era primo
firmatario di un «position paper» firmato anche dalle altre
associazioni imprenditoriali delle costruzioni che
sollecitava un chiarimento del Governo italiano e della
commissione sull'inclusione dei lavori pubblici nell'ambito
di applicazione del Dlgs 191/2012 (pubblicato ieri in
Gazzetta) che recepisce la direttiva 2011/7.
A provare a sgomberare il campo dai dubbi è stato anche il
viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Mario
Ciaccia, che ieri ha voluto «tranquillizzare» il mondo delle
costruzioni: «Io credo che la direttiva europea che impone
alla pubblica amministrazione di pagare in tempi brevi e
certi coloro che hanno fatto prestazioni di lavoro, riguarda
tutti i settori». Una dichiarazione, questa, apprezzata
dall'Ance: «È il segnale che volevamo sentire», ha affermato Buzzetti che ha avvertito di voler continuare a vigilare nei
«prossimi giorni» affinché «non ci sia nessun dubbio
sull'applicazione del decreto anche al nostro settore».
A preoccupare i costruttori è soprattutto il fatto che il
testo del decreto non si riferisca esplicitamente ai lavori
pubblici. Un mancato richiamo che però non significa
l'esclusione dalle nuove regole: così almeno spiegano i
tecnici del ministero degli Affari europei, guidato da Enzo
Moavero, che ha coordinato il lavoro di messa a punto del
testo. Ma, vista la delicatezza della materia, nei prossimi
giorni potrebbe arrivare un chiarimento ufficiale del
ministero dello Sviluppo economico attraverso una circolare.
Quella dei ritardi nei pagamenti del resto è da sempre
un'emergenza, soprattutto in questa fase in cui le imprese
sono a corto di liquidità. In particolare, a essere
penalizzate sono le piccole aziende, costrette ad aspettare
in media circa 180-190 giorni per essere pagate (anche la
Grecia fa meglio: 174 giorni), con punte record al Sud dove
si superano anche i 1.500 giorni.
Da qui l'attesa per i
nuovi paletti europei che, come detto, fissano a 30 giorni
il termine ordinario che la Pa deve rispettare per pagare.
Anche se ci saranno delle deroghe: in particolare per asl,
ospedali e imprese pubbliche che possono portare a 60 giorni
il termine massimo. Ma anche tutte le altre Pa potranno
accedere a questa proroga nel caso "eccezionale" in cui sia
giustificata «dalla natura o dall'oggetto del contratto»
oppure dalle «circostanze esistenti al momento della sua
conclusione».
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LE NOVITÀ
Pagamenti entro 30 giorni
Dal 01.01.2013 la Pa dovrà pagare i fornitori entro 30
giorni dal ricevimento della fattura da parte dell'ente
debitore o, quando non è certa la data di arrivo della
fattura, dalla consegna della merce o dalla data di
prestazione
dei servizi
Le deroghe
Sono previste deroghe a 2 mesi per le imprese pubbliche e
per gli enti (Asl e ospedali) che forniscono assistenza
sanitaria. Proroga possibile anche per le altre Pa ma solo
se giustificata «dalla natura o dall'oggetto del contratto»
(articolo Il Sole 24 Ore del 16.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Crediti
verso le Pa, nuovi termini ad alto rischio.
Per tutte le transazioni in essere dal 01.01.2013 le
pubbliche amministrazioni dovranno pagare le fatture al
massimo entro 60 giorni. In caso contrario, scatteranno in
automatico –e senza necessità di messa in mora– gli
interessi legali (calcolati aggiungendo ad un tasso di
riferimento Ue ben 8 punti percentuali).
Non sarà semplice per gli enti pubblici digerire la
Direttiva 2011/7/Ce che, con le modifiche apportate al Dlgs
231/2002 dal Dlgs 192/2012 (ieri in Gazzetta Ufficiale), ha reso
le disposizioni contenute in quest'ultimo provvedimento più
cogenti rispetto al passato.
Per le Pa la novità maggiore
consiste nell'impossibilità assoluta a derogare (su base
convenzionale) all'applicazione delle more o di altre
cautele stabilite dalla legge a favore del fornitore. Ciò
farà si che, in nessun caso, essa potrà invocare
giustificazioni a un mancato pagamento nei tempi stabiliti,
con la conseguenza che il fornitore pagato in ritardo potrà
intraprendere molto più facilmente un'azione legale per la
corresponsione degli interessi moratori anche dopo il
pagamento dell'importo dovuto.
Proprio quest'ultimo
concetto, chiarito dalle nuove norme, deve comprendere tanto
la somma che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine
contrattuale o legale di pagamento, quanto le imposte, i
dazi, le tasse o gli oneri applicabili indicati nella
fattura o nella richiesta equivalente di pagamento. Insomma,
nulla rimane fuori dal computo della mora.
Infine, è stato
stabilito che –nelle sole transazioni commerciali in cui il
debitore è una Pa– è sempre nulla la clausola avente ad
oggetto la predeterminazione o la modifica della data di
ricevimento della fattura: una statuizione che sarebbe stato
meglio estendere alle transazioni tra privati.
Per il passato, la misura con impatto più immediato è quella
che riguarda i crediti verso le amministrazioni pubbliche
già scaduti. Su questo fronte, i provvedimenti adottati con
la certificazione del credito sono visti dalla generalità
delle imprese come una via di sbocco alla massa creditoria
vantata nei confronti della Pa. In questi primi giorni di
applicazione della procedura, tuttavia, appare in molti casi
imperfetta la conoscenza della novità da parte della Pa. In
alcune amministrazioni, poi, i funzionari a cui sono state
indirizzate le istanze con la modalità ordinaria sono
apparsi impreparati rispetto alle richiesta delle imprese.
Un altro nodo da dirimere –evidenziato da quesiti dei
lettori– è quello che interessa i crediti vantati dalle
imprese nei confronti delle società a parziale o totale
partecipazione pubblica. È risaputo, infatti, che nel corso
degli ultimi anni lo strumento delle partecipate è stato
adoperato dalle amministrazioni su diversi livelli. Tale
circostanza ha fatto si che una consistente parte dei debiti
pubblici sia stata trasferita proprio a tali soggetti.
Purtroppo, allo stato, la procedura di certificazione dei
crediti non si applica alle partecipate pubbliche
(articolo Il Sole 24 Ore del 16.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI: L'Authority
sui lavori pubblici e il ministero lavorano per inserire il
modello nel ddl Infrastrutture. Contratti tipo per il
project finance. Dalle penali per contenziosi rischi di
danno erariale per le p.a..
Dopo la creazione dei bandi tipo per le operazioni di
project financing, ora dovrebbero essere messi a punto, dal
ministero delle infrastrutture, contratti tipo per la
pubblica amministrazione, le imprese e le stazioni
appaltanti. D'intesa con l'Autorità di vigilanza sui lavori
pubblici. L'obiettivo è ridurre le cause di contenzioso
nella realizzazione di opere pubbliche con il concorso dei
capitali privati.
Tra le criticità che frenano in Italia lo sviluppo del
partenariato pubblico-privato (Ppp) il contenzioso
costituisce il 24,2% delle cause di ritardo, a volte
indefinito, del progetto, secondo lo studio dell'Ance, che
ha messo in evidenza l'alta mortalità delle operazioni di
project financing e come solo un'opera su quattro arrivi
alla fase di gestione. Il conseguente pagamento delle penali
contrattuali potrebbe comportare il rischio di danno
erariale per gli amministratori pubblici che hanno
partecipato al processo decisorio e di autorizzazione
dell'intervento pubblico-pubblico. Una prospettiva messa in
luce dal presidente dell'Autorità di vigilanza sulle opere
pubbliche, Sergio Santoro.
Nella vicenda del ponte sullo stretto di Messina, caso di
scuola di opera pubblica da realizzare con il ricorso alla
finanza di progetto bloccata dal contenzioso, (cambio di
decisione, in questo caso politica), la penale da pagare al
general contractor Eurolink (raggruppamento di imprese
guidato da Impregilo) è di 300 milioni di euro. Penale il
cui pagamento è stato procrastinato dal decreto del governo
che il 2 novembre ha deciso di concedere altri due anni di
tempo per l'approvazione del progetto definitivo. Una
decisione che permetterà forse al concedente, Stretto di
Messina spa, di stringere con gli investitori cinesi che già
dal 2011 si erano dichiarati interessati a costruire
l'opera.
Ma, se, per decreto, è stata rinviata la spinosa questione
del contenzioso sul ponte di Messina, non così per tutte le
altre infrastrutture di Ppp. «Il problema delle penali»,
ha sottolineato il presidente dell'Authority, Santoro, «coinvolge
la responsabilità degli amministratori pubblici (quelli che
hanno fatto le scelte) che potrebbero essere coinvolti per
danno erariale. Per loro esiste questo rischio, perché le
penali sicuramente vanno pagate». Così, è la convinzione
di Santoro, «è necessario apportare un ulteriore
correttivo al ddl Infrastrutture, approvato dal consiglio
dei ministri, e ora in discussione in parlamento, inserendo
l'esame delle cause del contenzioso direttamente nel
dibattito pubblico che obbligatoriamente si dovrà svolgere
sull'opera in project finance secondo la novità procedurale
introdotta dalla nuova normativa in discussione».
Nel dibattito pubblico, ha spiegato Santoro, «le
contrarietà sull'intervento pubblico-privato dovranno essere
esaminate in sede amministrativa e giurisdizionale e poi la
fase si dovrà chiudere inesorabilmente seguita dall'apertura
dei cantieri». Per evitare il blocco dei cantieri aperti
«il ddl infrastrutture», ha proseguito il presidente
dell'Authority di vigilanza, «dovrà essere arricchito con
l'inserimento della parte processualistica e sposato con il
codice del processo amministrativo (dlgs 104 del 2010) che
prevede una normativa di favore per le opere pubbliche (art.
119 e seguenti) che fa in modo che il giudice amministrativo
non possa intervenire su opere in esecuzione per una pretesa
di affidamento illegittimo. In questo modo, non si potranno
bloccare i cantieri e l'unica conseguenza per chi è rimasto
illegittimamente escluso dall'affidamento dell'opera sarà
l'indennizzo».
Che la legislazione sia ancora inadeguata ad attrarre
capitali privati per le opere pubbliche è convinzione
espressa anche da Domenico Crocco, capo dipartimento
infrastrutture dell'omonimo ministero guidato da Corrado
Passera.
«L'inadeguatezza dei contratti rientra fra le cause di
mortalità delle operazioni di project financing, come ha
evidenziato lo studio dell'Ance», ha dichiarato Crocco,
«si dovrà discutere la necessità di inserire nel ddl
Infrastrutture, in discussione, contratti tipo che possano
dare riferimenti solidi e più certezze»
(articolo ItaliaOggi del 15.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO - VARI: Cosa prevedono le nuove norme anticorruzione, approdate in
Gazzetta Ufficiale. Magistrati, stop agli arbitrati.
La scelta cadrà su dirigenti della p.a. (a rotazione).
Stop agli arbitrati per i magistrati ordinari,
amministrativi, contabili e militari. Da oggi, gli arbitri
chiamati a dirimere le controversie in materia di appalti in
cui è presente una p.a., saranno scelti tra i dirigenti
pubblici con incarichi a rotazione. Inoltre, chi è stato
condannato, anche con sentenza non passata in giudicato, per
i reati di peculato, corruzione e concussione, non potrà
essere posto nell'organico di uffici preposti a gestire
risorse finanziarie né potrà sedersi nelle commissioni di
concorsi pubblici o di affidamento appalti pubblici.
Nessun licenziamento o trasferimento per il dipendente
pubblico che denuncia all'Ago o alla Corte dei conti,
condotte illecite di cui ne è venuto a conoscenza in ragione
della sua funzione. Poi, i magistrati potranno essere
collocati in fuori ruolo per un periodo che non superi,
nell'arco della loro carriera, i dieci anni. Infine, mano
più pesante sulle pene previste per alcuni reati, quali la
concussione e l'abuso di ufficio.
Queste alcune delle interessanti disposizioni contenute nel
testo della legge n. 190/2012, meglio nota come «legge
anticorruzione», che, dopo un lungo iter parlamentare, è
finalmente approdata sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso
13 novembre ed entrerà in vigore il prossimo 28 novembre.
ARBITRATI ADDIO
Da tale data, sarà vietata ai magistrati ordinari,
amministrativi, contabili, militari, agli avvocati e ai
procuratori dello Stato, nonché ai componenti delle
commissioni tributarie, la partecipazione a collegi
arbitrali o l'assunzione di incarico di arbitro unico. In
caso di violazione, la legge prevede l'immediata decadenza
dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti. La norma
prevede una rivoluzione in tale campo.
Ad esempio, di
dispone che la nomina degli arbitri per la risoluzione delle
controversie nelle quali una parte sia una p.a., sia
individuata esclusivamente tra i dirigenti pubblici. Sarà la
stessa p.a. a mettere nero su bianco, all'atto della nomina,
l'importo massimo spettante al dirigente per l'attività
arbitrale. Viene espressamente posta una clausola di
salvaguardia, ovvero che le novelle legislative non possono
essere operative solo per gli arbitrati conferiti o
autorizzati prima del 28 novembre.
CODICE DI COMPORTAMENTO
Anche ciascuna magistratura e l'Avvocatura dello Stato
dovranno dotarsi di un codice etico, secondo le linee guida
che l'esecutivo definirà a breve giro di posta. L'incombenza
spetterà agli organi delle associazioni di categoria e
dovranno aderirvi tutti gli appartenenti alla magistratura
interessata. In caso di inerzia, la legge prescrive che il
codice vengo adottato dall'organo di autogoverno.
VADE RETRO CONDANNATI
Operando un'aggiunta al Tu sul pubblico impiego, la legge
n. 190 inserisce l'articolo 35-bis. Si dispone che chi è
stato condannato, anche con sentenza non passata in
giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del
libro secondo del codice penale (tra questi, il peculato, la
corruzione e la concussione), potrà dire addio
all'assegnazione in uffici che sono preposti alla gestione
di risorse finanziarie, all'erogazione di beni e servizi,
nonché all'erogazione di sovvenzioni e sussidi finanziari. A
questi soggetti viene altresì preclusa la possibilità di
fare parte, anche con la mansione di segretario, di
commissioni di concorsi per l'accesso al pubblico impiego e
di commissioni per l'affidamento di gare per appalti
pubblici.
STATALE DELATORE TUTELATO
La legge poi prevede che il pubblico dipendente che denuncia
all'Ago o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio
superiore gerarchico, condotte illecite di cui sia venuto a
conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere
sanzionato, licenziato o sottoposto a una misura
discriminatoria per motivi collegati direttamente o
indirettamente alla denuncia.
Tranne nei casi di calunnia o
diffamazione, l'identità dello statale denunciante non può
essere rivelata, almeno senza il suo consenso e sempre che
l'autorità giudiziaria trovi ulteriori riscontri a quanto
denunciato. Dovrà invece essere sollevato il velo sulla sua
identità, nei casi in cui questa sia assolutamente
indispensabile affinché il soggetto incolpato possa
difendersi.
MAGISTRATI, FUORI RUOLO MAX 10 ANNI
Scatta il giro di vite sui collocamenti in fuori ruolo dei
magistrati. Tranne che ai membri di governo, alle cariche
elettive e ai componenti delle corti internazionali, dalla
data di entrata in vigore della legge n.190, si precisa che
ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari
e gli avvocati e procuratori dello Stato, potranno essere
collocati in posizione di fuori ruolo per un periodo
complessivo, nell'arco della loro carriera, che non superi i
dieci anni.
La norma in esame, prevede altresì che i
soggetti indicati che, al 28.11.2012 hanno già
maturato o che maturano successivamente a tale data, il
periodo massimo di collocamento in fuori ruolo, devono
intendersi confermati in tale posizione sino al termine
dell'incarico, della legislatura o del mandato relativo
all'ente presso cui si svolge la funzione di fuori ruolo. In
particolare, se non vi è termine al mandato, il collocamento
si intende confermato sino al 28.11.2013.
LE PENE
Tra le novità apportate dalla legge, l'inserimento nel
codice penale del delitto di «traffico di influenze
illecite» che sanziona chi sfrutta le sue relazioni con un
soggetto pubblico al fine di farsi dare o promettere denaro
o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della sua
mediazione illecita oppure per remunerare il funzionario, in
relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di
ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo
ufficio.
Poi, per la concussione, riferita al solo pubblico
ufficiale, viene previsto un aumento del minimo della pena,
da quattro a sei anni di reclusione, mentre per l'abuso
d'ufficio, si prevede la pena della reclusione da uno a
quattro anni, anziché da sei mesi a tre anni. Infine, è
stata aumentata da quattro a dieci anni (anziché da tre a
otto anni) la pena della reclusione per la corruzione in
atti giudiziari (articolo ItaliaOggi del
15.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Direttiva pagamenti, i lavori pubblici rischiano
l'esclusione.
Le imprese: sarebbe una follia, il Governo chiarisca.
C'è il rischio che i lavori pubblici siano esclusi dal
recepimento della direttiva Ue 2011/7 in materia di
pagamenti.
L'allarme viene lanciato dall'intero arco delle
associazioni imprenditoriali delle costruzioni con un
«position paper» che tenta un'interpretazione favorevole del
decreto legislativo approvato dal Governo e, al tempo
stesso, minaccia un ricorso a Bruxelles qualora
l'interpretazione del Governo, in fase applicativa,
risultasse diversa. Alla fine il «position paper» ha
soprattutto una finalità: stanare il Governo con
un'interpretazione che chiarisca una volta per tutte come
stiano le cose.
«Chiediamo al Governo di chiarire, in modo
inequivocabile, che l'ambito di applicazione del
provvedimento di recepimento della direttiva include il
settore dei lavori pubblici», afferma il documento che porta
la firma di Ance, Confartigianato, Cna, Casa, Aniem e delle
tre centrali cooperative. Intanto, il decreto legislativo è
stato firmato dal presidente della repubblica, Giorgio
Napolitano, e dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta
ufficiale tra oggi e domani.
Ma qual è il punto che allarma i costruttori? Nella
direttiva 7, nelle premesse, all'undicesimo «considerando»,
si afferma esplicitamente che i settori cui si applica la
disciplina «dovrebbero anche includere la progettazione e
l'esecuzione di opere e edifici pubblici, nonché i lavori di
ingegneria civile». Questo richiamo esplicito si è perso nel
testo del Dlgs di recepimento, ma le stesse associazioni
riconoscono che questo inserimento non era affatto dovuto.
«Consideriamo -afferma il documento- che la nuova
disciplina introdotta con il decreto legislativo di
integrale recepimento della direttiva trovi applicazione
anche al settore dei lavori pubblici».
Da contatti informali con la commissione Ue, l'Ance ha avuto
rassicurazioni che i lavori pubblici non possono essere
esclusi dal recepimento della direttiva, ma a pesare è anche
il fatto che nella precedente disciplina sui pagamenti
(decreto legislativo 231/2002) i lavori pubblici furono
esclusi. L'allarme nasce proprio dal fatto che il nuovo
decreto legislativo va a modificare quel vecchio
provvedimento senza innovare sul punto specifico.
Dal ministero dell'Economia e dalla Ragioneria, d'altra
parte, non sono arrivate interpretazioni esaustive su una
questione che comporterebbe una rivoluzione nel sistema di
pagamenti dell'intera pubblica amministrazione: passare a 30
o 60 giorni dal 1° gennaio non è affatto un'impresa
realistica se tutta una serie di procedure autorizzative e
di vincoli (patto di stabilità) non vengono rese coerenti
con l'obiettivo.
Da qui la preoccupazione. «Qualsiasi diversa interpretazione
-dice ancora il documento- creerebbe una inaccettabile
disparità di trattamento, nonché un disallineamento solo
italiano rispetto alle prescrizioni delle istituzioni
europee che, infatti, hanno esplicitamente inserito un
riferimento al settore dei lavori pubblici nella direttiva
stessa». Un'eventuale esclusione -e il riferimento è
certamente esplicito- «rappresenterebbe un'inspiegabile anomalìa
nel panorama europeo e porterebbe inevitabilmente
all'apertura di una procedura di infrazione per la non
corretta applicazione della direttiva» (articolo Il
Sole 24 Ore del 15.11.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Come farsi pagare dalla «Pa».
Doppio binario per i crediti delle imprese verso la «Pa».
Da gennaio versamenti in 30-60 giorni Sugli arretrati la
carta-certificazione.
Da gennaio pagamenti in 30 giorni (60 nel caso di imprese
pubbliche che svolgono attività economiche e di enti
sanitari), e per i vecchi crediti il meccanismo della
certificazione che rende "liquido" il credito e si deve
tradurre in pagamenti effettivi entro 12 mesi.
Con la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» del 6
novembre dei tre decreti corretti sulla certificazione dei
crediti, e con la scrittura del provvedimento che recepisce
la direttiva europea dal 1° gennaio prossimo, nelle ultime
settimane il Governo ha ristrutturato la dinamica dei
rapporti commerciali fra i privati e la pubblica
amministrazione. Ma il passaggio dalla teoria scritta sulla
carta alla realtà è ricco di ostacoli, che mettono a rischio
i principi enunciati poche righe sopra. Vediamo perché.
Vecchi crediti
La montagna di pagamenti arretrati verso privati che si è
accumulata nelle pubbliche amministrazioni, e che viaggia
dai 70 ai 100 miliardi a seconda delle stime, non è
interessata dal recepimento della direttiva europea ma viene
disciplinata dal sistema delle certificazioni. Nella
versione pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» di novembre,
si riduce da 60 a 30 giorni il termine entro il quale la
pubblica amministrazione locale, dove si annida la fetta
maggioritaria dei mancati pagamenti, deve certificare che il
credito è «liquido, certo ed esigibile».
Per rendere più
facile la procedura di certificazione, il ministero
dell'Economia ha messo in campo una piattaforma elettronica
(http://certificazionecrediti.mef.gov.it/CertificazioneCredito/home.xhtml)
in cui far transitare le richieste di certificazione e le
cessioni o le compensazioni con i debiti fiscali o
previdenziali dell'impresa creditrice. Proprio qui rischia
però di sorgere il primo inghippo, perché tutte le pubbliche
amministrazioni si devono abilitare sulla piattaforma: per
farlo c'è ancora una settimana di tempo, e alla scadenza si
potrà stilare un primo bilancio sul tasso di adesione,
soprattutto da parte della pubblica amministrazione locale.
Passata la scadenza, anche i privati potranno abilitarsi per
chiedere la certificazione con la via telematica, ma
ovviamente è essenziale che tutti gli enti si iscrivano in
tempo. Non solo: dalla partita rimangono escluse le aziende
sanitarie nelle Regioni impegnate in piani di rientro
dall'extradeficit, cioè proprio gli enti che occupano le
posizioni di prima fila nelle classifiche dei cattivi
pagatori e che di conseguenza trattengono le somme più
consistenti attese dal sistema delle imprese.
Che cosa cambia da gennaio
Nessuna amministrazione, almeno in teoria, è esclusa dai
nuovi calendari che il recepimento della direttiva Ue (il
provvedimento è stato firmato ieri dal Capo dello Stato, e
sarà pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» a brevissimo)
imporrà dal 1° gennaio. Dal punto di vista dell'ambito
applicativo, il nodo più consistente è il rischio-esclusione
che pende sull'edilizia (si veda il servizio a pagina 12), e
che finirebbe per chiudere la strada verso il pagamento
proprio al settore più impegnato soprattutto con i Comuni.
Anche per gli altri operatori, comunque, le lungaggini delle
procedure, la carenza di liquidità e i vincoli del Patto di
stabilità rischiano di ritardare i tempi effettivi
nonostante il nuovo calendario di legge (com'è accaduto con
le vecchie regole). La novità più concreta, quindi, potrebbe
essere legata al conteggio automatico degli interessi di
mora, che non potranno essere esclusi dai contratti e
potrebbero rappresentare per il creditore una forma di
"investimento" con una buona remunerazione (articolo Il Sole 24
Ore del 15.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 15.11.2012 |
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APPALTI: Progetti,
niente gara fino a 40.000. Aggiudicazione a ribasso per gli
incarichi fino a 100 mila euro. In
Gazzetta una circolare interpretativa su codice dei
contratti pubblici e regolamento attuativo.
Legittimo affidare incarichi di progettazione in via diretta
fino a 40 mila euro; ammesso il ricorso al prezzo più basso
per incarichi al di sotto dei 100 mila euro; possibile
trasformare l'avvalimento in subappalto ma senza superare il
limite del 30% della «categoria prevalente»; le stazioni
appaltanti nelle procedure ristrette per gare di
progettazione possono utilizzare anche criteri diversi da
quelli del regolamento.
È quanto prevede la
circolare 30.10.2012 n. 4536, pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13.11.2012, predisposta
dal ministero delle infrastrutture e trasporti (a firma di Bernedette Veca, direttore per la regolazione dei contratti
pubblici) che reca «primi chiarimenti»
sull'applicazione di alcune norme del regolamento del Codice
dei contratti pubblici alla luce delle recenti modifiche e
integrazioni intervenute in materia di contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture.
La necessità dell'intervento interpretativo del dicastero di
Porta Pia, che con tutta probabilità non rimarrà isolato
considerando le numerose modifiche apportate al Codice dei
contratti in quest'ultimo anno, che comportano anche
conseguenze interpretative sul regolamento attuativo e,
comunque dubbi per gli operatori del settore.
Con il dettagliato provvedimento interpretativo, che origina
anche da diverse segnalazioni trasmesse da operatori del
settore, si affrontano alcuni profili della disciplina degli
affidamenti in economia per la quale il decreto legge
70/2011 ha inciso sul comma 11 dell'art. 125 del codice,
innalzando il limite dell'importo consentito per affidamento
diretto in economia di servizi e forniture da 20 mila euro a
40 mila euro.
La questione che si è posta, soprattutto con riferimento
all'articolo 267, comma 10 del regolamento, riguardava
l'efficacia della modifica rispetto alle procedure di
affidamento di servizi di ingegneria e architettura stante
il mancato coordinamento fra norma del Codice (con la soglia
a 40 mila euro) e norma regolamentare (con il tetto a 20
mila euro). La circolare chiarisce che anche per i servizi
di ingegneria vige il limite dei 40.000 euro, sia per
principio generale di gerarchia delle fonti, sia per la
soppressione del riferimento al secondo periodo del comma 11
dell'art. 125 (contenuta nell'art. 267, comma 10) che quindi
«ha inteso assoggettare, integralmente, anche i servizi
attinenti l'architettura e l'ingegneria al regime generale
di cui all'art. 125, comma 11, del codice dei contratti».
Sempre con riguardo alle gare di progettazione la circolare
chiarisce anche che al di sotto della soglia dei 100 mila
euro le stazioni appaltanti possono applicare il criterio
del prezzo più basso, senza l'obbligo, previsto per gli
affidamenti oltre i 100 mila euro, di utilizzare il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa, anche perché «l'obbligo
di servirsi della procedura di cui all'art. 57, comma 6, del
codice contempla utilmente il ricorso ad entrambi i criteri
di aggiudicazione».
Si chiarisce anche il problema interpretativo di mancato
coordinamento fra l'articolo 62 del Codice e l'articolo 265
del regolamento sulle procedure ristrette per servizi di
progettazione, stabilendo che, in ragione del principio
della gerarchia delle fonti e della natura non delegificante
del regolamento, oltre alla scelta degli offerenti
effettuata per metà a sorteggio e per metà con i criteri del
regolamento, le stazioni appaltanti possono «indicare nel
bando di gara diversi criteri, purché oggettivi, non
discriminatori e rispettosi del principio di proporzionalità».
Per l'avvalimento per servizi e forniture si precisa che ove
manchi il contratto di avvalimento scatta l'esclusione del
concorrente dalle procedure selettive e che ciò «si
concretizza sia nell'ipotesi di «mancanza materiale» del
contratto, sia in presenza di un difetto costitutivo e
giuridicamente rilevante dello stesso (contratto nullo,
sottoposto a condizione meramente potestativa ovvero altre
ipotesi di nullità del contratto)».
Per i lavori si precisa che la possibilità di mutare l'avvalimento
in subappalto non potrà mai avvenire oltre il limite del 30%
della categoria prevalente. La circolare chiarisce inoltre
che l'impresa in pendenza del rilascio del rinnovo
dell'attestazione Soa, può partecipare alle procedure
selettive nel caso in cui la stessa abbia richiesto di
sottoporsi alla verifica triennale (stipulando apposito
contratto con la Soa) prima della scadenza del triennio
(articolo ItaliaOggi del 14.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO - VARI: Anticorruzione.
In «Gazzetta» la legge con la tutela per i pubblici
dipendenti che scoprono illeciti.
Chi denuncia resta anonimo.
Identità coperta finché non scattano la calunnia o una lite
civile.
Resterà anonimo il dipendente pubblico che denuncia
illeciti, almeno nella maggior parte dei casi.
Lo prevede
l'articolo 1, comma 51, della legge 06.11.2012 n. 190
(pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 265 del 13.11.2012 e in vigore dal 28 novembre), limitando l'accesso al
testo della denunzia.
Ma il contenuto, e soprattutto la
firma, diventeranno noti se il denunciato inizia un giudizio
per calunnia o diffamazione, oppure se chiede il
risarcimento dei danni da reato. Nel pubblico impiego sono
frequenti le segnalazioni interne, ma se anonime, ne è
difficile l'utilizzo (articolo 333 del Codice di procedura
penale). Per le denunce firmate, fino ad oggi si doveva
correre il rischio di una reazione da parte del denunciato,
mentre con l'articolo 1 della legge 190 il meccanismo
diventa più agevole, perché il denunciante può contare
sull'anonimato. Può contarci almeno fin quando il suo
avversario non passa al contrattacco e propone una denuncia
(penale) per calunnia (se si incolpa un innocente di un
reato) o diffamazione (se si offende reputazione o l'onore),
oppure fin quando non inizia una lite civile in cui si
chieda il risarcimento danni per calunnia o diffamazione.
La
norma del 2012 solleva in parte le ansie di chi (dirigenti,
amministratori e dipendenti) è tenuto a denunciare fatti che
possano dar luogo a responsabilità, trovandosi tra due
fuochi perché da un lato vi è l'obbligo di denuncia (se i
fatti sono conosciuti per ragioni d'ufficio), e dall'altro
vi è l'assunzione di responsabilità per omissione. Oggi è
almeno garantito l'anonimato, e chi denuncia non può subire
sanzioni né essere discriminato, licenziato, o trasferito
d'ufficio. Soprattutto, non rischia neppure di essere
scoperto da colui che è stato denunciato, perché l'identità
di chi firma una segnalazione non può essere svelata. A tal
fine è modificata la legge sull'accesso agli atti
amministrativi (241/1990) escludendo che la denuncia possa
essere oggetto di generica richiesta di copia da parte di
chi vi abbia interesse.
Il segreto sull'identità del denunciante viene meno quando
emerge una contrapposizione tra il diritto del denunciante a
segnalare errori senza essere messo alla berlina e diritto
del denunciato a difendersi: la legge 190 garantisce infatti
al denunciato la possibilità di smentire fatti e
circostanze, anche con un confronto diretto, e cioè anche
conoscendo chi lo accusa.
Il secondo periodo del comma 51 dell'articolo 1 legge 190
sottolinea, infatti, che l'identità del denunciante può
essere rivelata se la conoscenza di tale identità sia «assolutamente
indispensabile» per la difesa dell'incolpato. Ad
esempio, per smentire circostanze di fatti che non hanno
altri testimoni, può chiedersi un confronto diretto con
l'accusatore
(articolo Il Sole 24 Ore del 14.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Imprese e pagamenti rischiano di andare in tilt per effetto
della responsabilità solidale estesa. Certificare di essere ok
col fisco pesa su appalti e subappalti.
Gli operatori economici sono in affanno, schiacciati da
un'ulteriore incombenza. C'è un tam-tam, infatti, che si sta
diffondendo da impresa a impresa: chi, per ottenere
l'incasso di una fattura, si vede richiedere dal proprio
cliente-committente la compilazione di un'autocertificazione
a dimostrazione dell'avvenuto adempimento dei connessi
obblighi fiscali, a sua volta la richiede ai propri
fornitori-appaltatori.
Così sono sempre più numerosi gli imprenditori alle prese
con un nuovo pesante adempimento: la dimostrazione al
proprio committente del corretto adempimento degli obblighi
di versamento dell'Iva e delle ritenute fiscali sui redditi
di lavoro dipendente relativi alle prestazioni d'appalto
eseguite (si veda ItaliaOggi Sette del 5 novembre e del 29
ottobre, ndr).
Le nuove disposizioni introdotte dall'art. 13-ter del dl
83/2012, il cosiddetto decreto crescita (convertito nella l.
12.08.2012, n. 134) sulla responsabilità solidale negli
appalti, divenute pienamente operative dall'11.10.2012
per i pagamenti relativi ai contratti stipulati dal 12.08.2012, stanno creando serie difficoltà alle imprese.
Con la circolare 40 dell'08/10/2012 l'Agenzia delle entrate
ha previsto la possibilità per le imprese appaltatrici e
subappaltatrici di autocertificare il rispetto degli
obblighi tributari relativi al versamento dell'Iva e delle
ritenute fiscali, in modo da poter evitare l'attestazione di
un professionista abilitato per ottenere il pagamento delle
proprie prestazioni.
Ma anche tale possibilità non sembra semplificare di molto
la procedura che si va a innescare per ottenere il pagamento
di una prestazione di appalto o subappalto, dato che
comunque nella maggior parte dei casi anche
l'autocertificazione, seppur firmata dall'impresa,
richiederà l'ausilio di un professionista.
Se ogni committente, per evitare il rischio di una sanzione
da 5 mila a 200 mila euro, prima di pagare l'appaltatore gli
chiede, con la fattura per le prestazioni effettuate, anche
un'autocertificazione del rispetto degli obblighi tributari
a esse connessi e lo stesso fa ogni appaltatore ai propri
subappaltatori per evitare il rischio della responsabilità
solidale in caso di mancato adempimento di tali obblighi,
c'è il rischio che in molti casi costi e tempi dell'attività
amministrativa necessaria agli adempimenti documentali
relativi alle prestazioni d'appalto e subappalto finiscano
per superare costi e tempi delle prestazioni stesse. Senza
poi considerare i rischi di violazioni penali che incombono
sulle autocertificazioni non correttamente compilate.
In assenza di precise delimitazioni dell'ambito di
applicazione, la norma, infatti, opera indipendentemente dal
valore del contratto e dalla tipologia dell'attività svolta
e quindi le sanzioni potrebbero trovare applicazione anche
per casistiche marginali. Per esempio in occasione del
pagamento della manutenzione periodica di una caldaia di un
negozio o di un ufficio richiesta da un'impresa, o in
occasione della riparazione di un'auto aziendale (i
committenti privati restano esclusi), o ancora per la
rettifica di un pistone, la levigatura di una sedia, la
zincatura di un portone e così via.
La sanzione minima di 5 mila euro che rischia il committente
che non abbia verificato, prima di procedere al pagamento
dell'appaltatore, il corretto adempimento da parte di
quest'ultimo e dei suoi eventuali subappaltatori, degli
obblighi tributari relativi al contratto stesso, sarà in
molti casi sproporzionata, perché non limitata al
corrispettivo del contratto (come previsto invece per la
responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore) e
finirà per penalizzare soprattutto le imprese di più piccole
dimensioni.
In altri casi accadrà che l'appaltatore e il subappaltatore,
che non hanno ancora ricevuto il pagamento dal proprio
committente di fatture già emesse per lo stesso contratto,
non riusciranno più a riceverlo, se proprio a causa di quel
mancato pagamento non sono stati in grado di versare la
relativa Iva. Insomma, un cane che si morde la coda.
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Il committente vigila sui fornitori.
Scatta la vigilanza del committente nei confronti
dell'appaltatore per i debiti fiscali. In pratica, i
soggetti appaltanti, per evitare la responsabilità solidale,
dovranno accertare il corretto pagamento dei debiti erariali
da parte dei loro fornitori (appaltatori). In caso contrario
il committente potrà esimersi dal regolare finanziariamente
le prestazioni ottenute anche in presenza dio un regolare
contratto.
È quanto prevede il decreto crescita (dl 83/2012,
convertito nella l. 12.08.2012, n. 134). Ma quali sono i
contratti che rientrano in tale disciplina? Ecco una
panoramica.
La responsabilità solidale.
Si applica ai soli contratti «di
appalto» (ivi inclusi i contratti di «subappalto») ex art.
1655 e segg. c.c. (secondo cui «L'appalto è il contratto con
il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi
necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di
un'opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro»).
Rimangono escluse dall'ambito della responsabilità solidale
fattispecie quali:
- il contratto d'opera (anche detto «di prestazione
d'opera»), manuale o intellettuale;
- il contratto di vendita (cd. «di fornitura»).
Il contratto d'opera manuale si verifica quando «una persona
si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un
servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo
di subordinazione nei confronti del committente» (art. 2222
c.c.). L'elemento peculiare risulta essere l'organizzazione
di impresa:
- nell'appalto è necessaria un'organizzazione complessa per
realizzare l'opera o prestare il servizio;
- nella prestazione d'opera prevale il lavoro
dell'imprenditore e dei propri familiari.
Le imprese artigianali.
La prestazione d'opera è il caso, in
generale, delle prestazioni offerte dagli artigiani, per i
quali la prevalenza del proprio apporto costituisce una
condizione per essere iscritti al relativo Albo.
Va considerato l'apporto dell'imprenditore in termini
complessivi (si pensi alla possibilità di avere imprese
artigiane piuttosto strutturate, con un numero significativo
di dipendenti, ex L. 443/1985, dove il prodotto viene
totalmente lavorato dai dipendenti), essendo possibile che
esso sia limitato anche alla sola supervisione o al
controllo dell'attività dell'azienda. In entrambi i casi si
tratta di una obbligazione «di risultato» (senza la quale
non spetta alcun corrispettivo) e il contenuto della
prestazione viene sostanzialmente personalizzato sulle
richieste del cliente.
Distinzione tra appalto di fornitura.
In generale la
giurisprudenza procede alla seguente distinzione:
1) analisi oggettiva (Cass. sent. 3517 del 28/10/1958).
Ossia, va anzitutto verificato se la materia costituisca
solo un «mezzo» per produrre l'opera (vero oggetto del
contratto) o meno. Quindi, se si verifica:
a) la prevalenza del «dare» sul «fare», si è in presenza:
- di un contratto di fornitura (in particolare, di «vendita
di bene futuro», ex art. 1472 e segg. cc);
- eventualmente periodica (cioè un contratto di
somministrazione di beni ex art. 1559 e segg. cc)
b) la prevalenza del «fare» sul «dare», si è in presenza di
un contratto:
- di appalto (con fornitura di materiali, ex art. 1658 cc:
se è necessaria una organizzazione di impresa» complessa si
applica la responsabilità solidale;
- di «prestazione d'opera»: se è prevalente l'apporto
personale del prestatore non si applica la responsabilità
solidale.
2) appuramento della prevalenza. In tal caso, in ordine di
importanza va valutato quanto segue:
a) Cass. sent. 1114 del 17/04/1970 (analisi «soggettiva»):
a.1) deve desumersi dalle clausole contrattuali se la
volontà delle parti ha voluto dare maggior rilievo al
trasferimento del bene o al processo produttivo»; a.2) e ciò
indipendentemente dalla denominazione utilizzata nel
contratto (cd. «nomen juris»), in applicazione del principio
della prevalenza della sostanza sulla forma.
Per esempio, un idraulico, nel predisporre il contratto: a)
lo intitola quale «appalto», o ne cita gli articoli di legge
(artt. 1655 e segg.): difficilmente potrà sostenere che si
tratti di cessione; lo intitola quale «fornitura» (e magari
cita gli artt. 1470 e segg. cc): non si potrà porre in
dubbio che si tratti di «vendita» di beni. Tratto
discriminante risulta essere in generale la responsabilità
per vizi dell'opera (palesi o occulti) cui si intende
assoggettare il prestatore nell'appalto (più onerosa)
rispetto alle clausole riferite alla vendita.
b) Cass. sent. 507 del 17/02/1958:
b.1) se il prestatore si obbliga a personalizzare il
prodotto sulle specifiche del committente (e cioè laddove il
committente si rivolga a una specifica controparte in
considerazione della sua abilità nella produzione di beni
specifici); b.2) si è in presenza di una obbligazione «di
fare» (e non «di dare»), es.: costruttore richiede ad un
produttore di infissi, per esigenze di progetto, la
fornitura di particolari finestre dalla forma triangolare:
appalto (prodotto «personalizzato») (articolo ItaliaOggi Sette del
12.11.2012). |
APPALTI:
LEGGE DI STABILITÀ/ L'obiettivo è far cassa aumentando il
costo del contributo unificato. Gare, il contenzioso è un
salasso.
Ricorrere al giudice amministrativo diventa antieconomico.
Nuovo salasso per le cause sugli appalti. La giustizia
tartassa il contenzioso amministrativo in generale, ma la
mano pesante si fa sentire soprattutto nel contenzioso sulle
procedure di gara pubblica.
Il disegno di legge stabilità
per il 2013, attualmente all'esame della camera, fa leva sul
contributo unificato per fare cassa e attacca i processi che
si svolgono davanti ai tribunali amministrativi regionali e
al consiglio di stato. L'effetto immediato sarà di rendere
antieconomico il ricorso al giudice amministrativo con
possibile incremento del flusso di denunce alla magistratura
penale (per la denuncia non si deve versare il balzello in
questione).
Le disposizioni in discussione contengono anche
una possibile beffa quando l'impresa ha ragione, propone
ricorso e la stazione appaltante ritira l'atto: l'impresa
sarà multata con una sanzione pari al contributo unificato.
Come dire «hai sostanzialmente vinto, ma devi pagare lo
stesso il disturbo arrecato alla giustizia».
Ecco tutte le novità in itinere.
Contributo salato. Viene innalzato il contributo unificato e
i relativi incassi saranno destinati al miglioramento dei
servizi inerenti alla giustizia.
In particolare viene elevato l'importo del contributo
unificato per le controversie di competenza del giudice
amministrativo.
Così si eleva da 1.500 a 1.800 euro il contributo unificato
dovuto per le controversie cui si applica il rito abbreviato
disciplinato dal Codice del processo amministrativo
(articolo 119). Si sostituisce ai 4 mila euro, attualmente
previsti per tutte le controversie in tema di affidamento di
pubblici lavori e di provvedimenti adottati dalle autorità
amministrative indipendenti, una disciplina del contributo
unificato diversificata in ragione del valore della
controversia (portando il contributo dal valore minimo di 2
mila euro a quello massimo di 6 mila euro).
Si eleva da 600 a 650 euro il contributo unificato dovuto
per i restanti tipi di ricorsi amministrativi e anche per il
ricorso straordinario al presidente della repubblica.
Appello. Il contributo unificato nel processo amministrativo
(disciplinato dall'articolo 13, comma 6-bis, del T.u. delle
spese di giustizia) è aumentato sempre della metà per i
giudizi di impugnazione.
Gli effetti. Un processo sugli appalti, considerato anche il
fatto che le imprese pur di aggiudicarsi la commessa
praticano forti ribassi, rischia di diventare antieconomico,
soprattutto per la fascia media delle gare di importo da 200
mila euro a un milione.
La percentuale di utile di impresa rischia, infatti, di
essere completamente decurtata dalle spese vive di giustizia
e in particolare dal contributo unificato.
Basti pensare all'ipotesi in cui occorra proporre il ricorso
in primo e in secondo grado per arrivare a cifre notevoli.
Nella fascia fino a un milione di euro, primo e secondo
grado fruttano allo stato 10 mila euro e nella fascia
superiore si arriva a 15 mila euro. Senza contare la
parcella dell'avvocato.
Se poi occorresse presentare motivi aggiunti di ricorso (una
sorta di ricorso bis su atti non conosciuti prima) si è
assoggettati a un prelievo raddoppiato e le cifre già alte
diventano astronomiche.
Da qui la possibilità che l'impresa, tagliata fuori da una
gara di appalto oppure non risultata vincitrice e che
intenda far valere i propri diritti, se non vuole
sobbarcarsi le spese di giustizia, avrà come unica
alternativa quella della giustizia penale, che rischia di
espandersi, magari non sempre a proposito: l'illegittimità
di un atto non significa che necessariamente sia stato
commesso un reato.
Un altro ripiego, nell'ottica di risparmiare sull'esercizio
del diritto di difesa, ma non veloce come un ricorso al Tar
con la corsia preferenziale, sarebbe il ricorso al capo
dello stato (costa appena 650 euro).
E gli effetti collaterali riguardano anche l'attività
dell'avvocato. Il legale deve fare presente tutti i
possibili costi del contenzioso e deve mettere in evidenza
gli oneri lievitati del contributo unificato. Altro riflesso
concerne la necessità di mettere in capo gli istituti
previsti dall'ordinamento che possano avere l'effetto di
risolvere la controversia senza ricorrere alla magistratura.
In materia di appalti questa strada può essere battuta, ad
esempio, con l'informativa preventiva sull'intenzione di
proporre un ricorso giurisdizionale (articolo 243-bis del
codice dei contratti pubblici): si espongono direttamente
alla stazione appaltante i motivi di ricorso e la p.a. ha
l'obbligo di rispondere.
Peraltro anche in sede di esecuzione la legge prevede forme
di conciliazione e accordo bonario che, bilanciando maggiori
costi e benefici, potranno risultare maggiormente appetibili (articolo ItaliaOggi Sette del
12.11.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Decreto enti locali. Alla Camera cade la nomina da parte del
prefetto per i controllori dei conti nelle città.
Più tutele ai ragionieri-capo.
Per la revoca ci vorrà il parere dei revisori e non quello
dei ministeri.
Obbligo di acquisire il parere dei revisori dei conti –in
luogo di quelli del ministero dell'Interno e della
Ragioneria generale dello Stato previsti dal testo iniziale– prima di revocare i responsabili del settore finanziario.
Innalzamento a 15mila –al posto di 10mila– della soglia
minima di abitanti a partire dalla quale i Comuni devono
attivare i controlli strategico, di qualità e sulle società
e sottoporsi alla verifica della Corte dei conti. Modifica
dei compiti di controllo attribuiti alla magistratura
contabile rispetto alle Regioni e agli enti locali. E poi
introduzione della relazione di inizio mandato per gli enti
locali e soppressione della nomina da parte del prefetto del
presidente del collegio dei revisori nei grandi enti locali.
Sono queste le principali novità in materia di controlli
interni approvate dalla Camera durante l'esame del decreto
174/2012 sugli enti locali per la conversione in legge: dopo
la fiducia votata l'8 novembre e il via libera atteso per
domani, il testo deve passare al Senato.
Inoltre, i deputati hanno deciso di limitare ai Comuni con
popolazione superiore a 15mila abitanti (anziché 10mila)
l'obbligo di dare pubblicità alla condizione patrimoniale
degli eletti, di modificare l'intervento dello Stato in
aiuto dei Comuni in difficoltà e di abrogare la proroga del
termine per il versamento da parte dei Comuni al Viminale di
una quota dei diritti di segreteria. Ma vediamo le novità
nel dettaglio.
Intanto, entro tre mesi dall'insediamento i sindaci devono
redigere una relazione di inizio mandato, predisposta dal
segretario o dal dirigente del settore finanziario, in cui
accertare la condizione patrimoniale ed economica e
l'indebitamento.
La revoca dei dirigenti del servizio finanziario può essere
disposta dai sindaci per gravi irregolarità ed è necessario
il parere dei revisori dei conti. Questo parere prende il
posto di quello previsto dal testo iniziale del decreto, a
carico del ministero dell'Economia e della Ragioneria
generale dello Stato. Si vuole così rafforzare
l'indipendenza dei "ragionieri capo", tanto più marcata
perché i revisori saranno scelti per sorteggio, ed evitare
gli assai discutibili interventi di soggetti esterni
all'ente. Non dovranno, inoltre, tenere conto degli
indirizzi della Ragioneria dello Stato: il possibile filo
diretto è così spezzato sul nascere.
Inoltre, l'obbligo di attivare il controllo strategico e
quelli sulle società controllate e sulla qualità dei servizi
è dettato per i Comuni con popolazione superiore a 15mila
abitanti e non più, come nella previsione iniziale, per i
municipi con oltre 10mila abitanti. Si prevede inoltre che
il controllo strategico, come quello di regolarità
amministrativa e contabile, sia svolto da un ufficio alle
dipendenze del segretario. Dai controlli sulle società
vengono escluse quelle quotate in borsa.
Poi, il controllo semestrale della Corte dei conti viene
limitato ai Comuni con più di 15mila abitanti. Esso viene
esteso all'equilibrio di bilancio. Viene eliminata la
possibilità per la magistratura contabile di avvalersi della
Guardia di finanza, mentre la Ragioneria generale dello
Stato, anche su input della Corte dei conti, può disporre
controlli sugli enti locali che ricorrono alle anticipazioni
di cassa, che hanno uno squilibrio di bilancio, che
presentano anomalie nella gestione dei servizi in conto
terzi o hanno aumentato la spesa per gli organi
istituzionali.
La Corte dei conti deve anche verificare i bilanci per il
rispetto del patto di stabilità, dell'indebitamento e della
gestione finanziaria, comprese le partecipazioni superiori
al 90 per cento.
Si prevede poi che le unioni dei Comuni debbano avere tre
revisori, che svolgono tale attività anche per i Comuni
aderenti, con automatica decadenza di quelli in carica.
Viene soppressa la previsione per cui il presidente del
collegio dei revisori dei conti nei grandi Comuni, nelle
Province e nelle Città metropolitane avrebbe dovuto essere
designato dal prefetto.
Infine, le sezioni decentrate di controllo della
magistratura contabile devono esaminare i bilanci preventivi
e consuntivi delle Regioni, degli enti del servizio
sanitario e delle società controllate che gestiscono servizi
pubblici e a trasmettere con cadenza semestrale un referto
ai consigli regionali, con l'obbligo della Regione di
adottare i provvedimenti richiesti. Il presidente della
Regione trasmette alla Corte dei conti e al consiglio
regionale una relazione annuale sulla gestione. Vengono
rafforzati i vincoli connessi alla relazione di fine
legislatura delle Regioni e degli enti locali.
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Nuova soglia
15mila
La popolazione
● Durante l'esame alla Camera del decreto legge 174/2012
sugli enti locali è stata innalzata a 15mila abitanti –rispetto ai 10mila del testo originario– la soglia per
l'applicazione ai Comuni dell'obbligo di attivare
il controllo strategico sullo stato di attuazione dei
programmi rispetto alle direttive impartite dal Consiglio,
sulle società controllate
e sulla qualità dei servizi erogati
● Limitato ai Comuni con più di 15mila abitanti (anziché
10mila) anche
il controllo semestrale della Corte dei conti
● Circoscritto ai Comuni con più di 15mila
abitanti anche l'obbligo di dare pubblicità alla condizione
patrimoniale degli eletti (articolo Il Sole 24 Ore del
12.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Contabilità. Pesa l'obbligo di unificare le attività.
Incognita funzioni sui bilanci degli enti fino a 5mila
abitanti.
Sono diverse le incognite che i piccoli Comuni sotto i 5mila
abitanti dovranno a breve affrontare nel predisporre i
progetti di bilancio per il 2013 .
Accanto alla problematica Tares (comune anche agli enti più
grandi), amministratori e funzionari dovranno vedersela con
il patto di stabilità (Comuni sopra i 1.000 abitanti) ma
soprattutto con le interrelazioni di carattere contabile
conseguenti alle gestioni associate.
In particolare, il bilancio 2013 dovrà tener conto degli
oneri stabiliti dalle varie convenzioni o dall'adesione alle
unioni cui ciascun ente locale dovrà partecipare per
adempiere agli obblighi di gestione associata.
La costruzione del bilancio sarà particolarmente
difficoltosa atteso che l'attuale schema per titoli,
funzioni e servizi non coincide con le nove funzioni
fondamentali previste in materia di gestione associata dalla
legge 135/2012. Gli uffici saranno chiamati ad operazioni di
riclassificazione fondate non su criteri certi ma, spesso,
su criteri soggettivi o di analogia. È stato anche proposto
di utilizzare come punto di riferimento l'articolazione del
bilancio armonizzato come previsto dal Dpcm 28.12.2011
che struttura il bilancio in missioni e programmi, ma questo
criterio potrà avere carattere sussidiario in quanto anche
le missioni non coincidono esattamente con le funzioni.
Appare comunque chiaro che se per talune funzioni (polizia
locale, protezione civile, catasto, edilizia scolastica,
servizi scolastici e sociali) non esistono particolari
problemi per individuare le spese relative a ciascuna
funzione associata o da associare dato che di fatto le
funzioni da associare coincidono o con quelle attuali di
bilancio o con i servizi indicati nel bilancio, alcune
problematiche si avranno per altre funzioni associate quali:
- organizzazione dell'amministrazione, gestione finanziaria,
contabile e controllo;
- organizzazione dei servizi pubblici, compreso il
trasporto;
- servizi di raccolta, avvio, smaltimento e recupero dei
rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi.
Queste funzioni associate comprendono servizi oggi allocati
anche su funzioni di bilancio diverse. Tra l'altro si tratta
talvolta di compiti, come l'organizzazione dei servizi
pubblici di interesse generale il cui ambito non è al
momento chiaro, discutendosi del fatto se comprenda o meno
tutti i servizi pubblici indipendentemente dalla rilevanza
economica.
In conclusione e in attesa di criteri normativi specifici,
gli uffici comunali, e in particolare quelli finanziari,
dovranno operare secondo criteri di analogia, riferita sia
alla struttura di bilancio prevista dal Dpr 194/1996 che del
modello armonizzato (Dpcm 28.12.2011) per affrontare la
problematica della riconduzione, della allocazione e della
ripartizione delle spese inerenti i servizi comunali in
essere, ai fini della gestione contabile della gestione
associata, alle nove funzioni fondamentali oggetto di
gestione associata.
Appare molto opportuno in sede di convenzionamento (o di
trasferimento di funzioni alle unioni), specificare quali
servizi comunali devono, anche ai fini contabili, collegarsi
alla specifica funzione oggetto di trasferimento e di
gestione associata per consentire agli uffici di ripartire
in modo ottimale le partite contabili soprattutto in
relazione a quei servizi che possono allocarsi in funzioni
diverse (articolo Il Sole 24 Ore del
12.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
Mina fiscale sulle unioni: le entrate non sono esenti.
«Dimenticata» l'agevolazione per le gestioni associate.
La gestione di servizi attraverso l'unione di Comuni o le
convenzioni, obbligatoria dal prossimo primo gennaio per gli
enti con meno di 5mila abitanti, ha delle importanti
conseguenze sul piano fiscale.
In particolare, in relazione alle entrate a carattere
commerciale, rilevanti ai fini Iva, quali, ad esempio, la
gestione di acquedotti, fiere, mostre, comunità per anziani,
asili nido, assistenza domiciliare, corsi sportivi, affitto
impianti, refezione scolastica, trasporto alunni. Queste
entrate, infatti, attualmente non sono soggette alle imposte
sui redditi in virtù dell'esclusione soggettiva prevista
dall'articolo 74 del Dpr 917/1986 (il testo unico delle
imposte sui redditi) per i Comuni, i consorzi tra enti
locali, le comunità montane, le Province e le Regioni.
L'articolo 74 non prevede però la fattispecie delle unioni
tra Comuni.
Né è possibile applicare per analogia questa esclusione, in
quanto il legislatore, «quando ha inteso estendere
un'agevolazione fiscale a tutti gli enti territoriali lo ha
espressamente affermato» (risoluzione Entrate 149/2005).
Anche la Corte di Cassazione si è pronunciata a riguardo. Ad
esempio nella sentenza n. 9760/1997 si legge :«Le ipotesi di
esenzione tributaria previste dalla legge rivestono
carattere eccezionale... e quindi non consentono
applicazione a fattispecie diverse da quelle che debbano
ritenersi in esse considerate alla stregua di una rigorosa
interpretazione».
Nella risoluzione n. 386/2007, poi, la stessa
amministrazione finanziaria ha trattato un caso in cui una
Provincia chiedeva la riconducibilità alle fattispecie
previste dall'articolo 74 del Tuir di nuovi enti chiamati
"Comunità" e definiti dalla stessa legge provinciale quali
enti pubblici costituiti «dai Comuni appartenenti al
medesimo territorio per l'esercizio di funzioni, compiti,
attività e servizi nonché, in forma associata obbligatoria,
delle funzioni amministrative trasferite ai Comuni».
Nella risposta le Entrate hanno ribadito che la formulazione
del Testo unico sulle imposte elencando tassativamente gli
enti non soggetti all'imposizione sui redditi, impedisce
ogni interpretazione estensiva di tale disposizione,
escludendo la riconducibilità nell'ambito applicativo della
stessa di enti diversi da quelli citati in modo esplicito.
In questo modo, però, l'unione di Comuni subirebbe una
sottrazione di risorse a causa delle imposte sui redditi
dovute, con un conseguente aumento delle tariffe, e un
incremento di costi dal punto di vista organizzativo a causa
della gestione dei nuovi adempimenti fiscali, fattori che
potrebbero vanificare i risparmi conseguenti alla gestione
associata.
Appare allora necessaria una precisa riflessione a riguardo,
che potrebbe condurre a valutare l'eventuale intervento del
legislatore per integrazioni o innovazioni delle figure
soggettive esistenti riconducibili all'articolo 74 del Tuir.
Questa esigenza peraltro era già emersa nel parere reso
dalla Sezione Terza del Consiglio di Stato n. 224/1989, in
relazione ad un quesito formulato proprio
dall'amministrazione finanziaria sui soggetti destinatari
della stessa norma del Tuir (articolo Il Sole 24 Ore del
12.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 12.11.2012 |
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PUBBLICO IMPIEGO - VARI:
Il ricongiungimento diventa una stangata.
Nessuna soluzione in vista: almeno per ora. Chi si trova a
dover pagare un'enormità per ricongiungere due periodi di
contribuzione presso istituti previdenziali diversi (per lo
più chi deve ricongiungere i versamenti nell'Inps) no
troverà risposte nella legge di Stabilità.
I relatori sono pessimisti per via di mancanza di risorse
... (articolo
L'Unità dell'11.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI: Niente tavolini sulle piazze.
Nelle aree artistiche stop a ombrelloni e seggiole.
Direttiva del ministro ai Beni culturali sulle
attività commerciali in zona pubblica.
Stop a sedie, tavolini e ombrelloni indecorosi. Ciò in
quanto l'esercizio diffuso e talora incontrollato di
attività commerciali, nell'ambito di aree pubbliche di
particolare valore storico, artistico e paesaggistico, può
determinare la compromissione delle esigenze di tutela del
patrimonio culturale con effetti pregiudizievoli anche sullo
sviluppo e la promozione del turismo culturale.
Insomma, per il ministro Ornaghi, è giunto il momento di far
rispettare il codice Urbani e fornire, quindi, alle
soprintendenze, nonché indirettamente ai comuni, le
indicazioni tecnico-operative per valorizzare il patrimonio
di cui l'Italia è ricca.
Le istruzioni sono contenute nella
«Direttiva
10.10.2012 del ministro per i Beni e le attività culturali
concernente l'esercizio di attività commerciali e
artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su
posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non
compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio
culturale», e inviata alla Corte dei
conti per la prescritta registrazione.
La ricognizione. Innanzitutto, secondo il ministro è
necessario effettuare una prima ricognizione dei complessi
monumentali e degli immobili del demanio culturale
interessati da flussi turistici rilevanti, nelle cui
adiacenze si svolgono attività commerciali su area pubblica.
E ciò, al fine di valutare se sono state rispettate le
prescrizioni poste e se le amministrazioni locali,
nell'autorizzare il commercio su area pubblica, si sono
attenute a quanto prescritto dall'art. 52 del codice (dlgs
42/2004). Perché compete ai comuni, formalmente, individuare
le aree nelle quali vietare, o sottoporre a particolari
condizioni, l'esercizio dell'attività, come pure reprimere
il commercio non autorizzato.
Piazza con vista. A prescindere, comunque, dal rapporto di
collaborazione con gli enti locali, per il ministro, vanno
utilizzati gli strumenti ammessi dal codice per inibire usi
non consentiti. A tale proposito, al punto 3.2.1. della
direttiva, è richiamato il fatto che le piazze, vie, strade
e altri spazi aperti, se di proprietà pubblica, sono da
considerarsi automaticamente vincolati qualora realizzati da
oltre 70 anni con il divieto, quindi, del loro utilizzo per
fini non compatibili tra i quali vanno fatti rientrare il
commercio ambulante ma anche la concessione di suolo
pubblico per installare tavolini e sedie.
E ciò fino alla
verifica, «con esito negativo» dell'eventuale interesse
culturale. Peraltro, precisa anche il ministro, per le aree
non soggette a specifico vincolo ma, costituenti la cornice
ambientale di beni culturali direttamente tutelati, si dovrà
impedire che – specie mediante l'installazione di banchetti
o strutture che dir si voglia, sia pregiudicata la visuale
dei beni direttamente vincolati.
Interessi collettivi. Se dovranno essere i comuni, tuttavia,
per primi, a condividere i contenuti della «direttiva
decoro», ciò nonostante, precisa il ministro Ornaghi,
non va trascurato il fatto che destinataria del
provvedimento è anche la «generalità dei consociati»,
in quanto titolare di un diritto di uso pubblico delle aree
stesse, da esercitarsi nel rispetto delle prescrizioni e dei
divieti impartiti a difesa del superiore interesse inerente
la tutela dei beni».
Insomma, non è un caso se la direttiva richiama anche due
pronunciamenti, rispettivamente della Corte costituzionale
(247/2010) e del Consiglio di stato (482/2011) con i quali
viene posto in rilevo come le vie e le piazze appartengono,
di fatto, al patrimonio storico-culturale e, in quanto tale
ne devono trarre vantaggio i cittadini tutti
(articolo ItaliaOggi del 10.11.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Dall'Inps
le istruzioni operative. Regole «ante 2010» per il Tfs degli
statali.
TRANSIZIONE/ In attesa dell'adeguamento delle procedure
informatiche si terrà conto solo delle anzianità maturate
fino al 2010.
Il trattamento di fine servizio (Tfs) dei dipendenti
pubblici continuerà a essere calcolato secondo le regole
vigenti al 31.12.2010.
Infatti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale
223/2012 che ha dichiarato la incostituzionalità
dell'articolo 12, comma 10, del Dl 78/2010, l'Inps ha
emanato le prime istruzioni operative (messaggio
09.11.2012 n. 18296) a seguito del Dl 185/2012 che ha
abrogato retroattivamente la norma oggetto di censura.
Fino al 2010, i trattamenti di fine servizio (buonuscita per
gli statali ex Enpas e indennità premio servizio per gli
enti locali/sanità ex Inadel) erano calcolati prendendo a
riferimento la retribuzione annua dell'ultimo giorno di
servizio per gli statali, mentre per gli altri valeva la
retribuzione dell'ultimo anno.
Tale importo, rapportato all'80%, costituiva la base di
calcolo da moltiplicare per gli anni utili per i quali vi
era stato versamento della contribuzione. Era considerato
anno intero la frazione non inferiore a sei mesi e un
giorno, tralasciando quelle inferiori. L'importo veniva a
sua volta diviso per 12 o per 15 a seconda se la prestazione
era a carico dell'ex Enpas oppure ex Inadel.
Con la manovra estiva del 2010, al fine di contenere
ulteriormente i costi del pubblico impiego, si stabilì che
con effetto dal 01.01.2011 per i lavoratori della pubblica
amministrazione, ai quali il computo dei trattamenti di fine
servizio comunque denominati non era già regolato in base a
quanto previsto per il personale in regime di Tfr (articolo
2120 del codice civile), il calcolo dovesse avvenire in base
alle regole civilistiche, con applicazione dell'aliquota del
6,91 per cento.
Il decreto stabilisce, altresì, che i trattamenti saranno
riliquidati d'ufficio entro un anno dall'entrata in vigore e
–in ogni caso– non si provvederà al recupero a carico del
dipendente delle eventuali somme già erogate in eccedenza.
In attesa dell'adeguamento delle procedure informatiche, i
Tfs saranno erogati in via provvisoria tenendo conto delle
sole anzianità maturate fino al 31.12.2010
(articolo Il
Sole 24 Ore del 10.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO:
Niente attenuanti per i dirigenti. Aver attuato le direttive
dei politici non riduce la responsabilità. Sentenza della
Corte conti Puglia sulle relazioni tra organi di governo e
manager locali.
La responsabilità amministrativa ed erariale dei
dirigenti non viene né eliminata, né ridotta dalla
circostanza che il loro agire considerato antigiuridico
dalla Corte dei conti discenda da direttive espresse
dall'organo di governo.
La
sentenza 24.09.2012 n. 1216 della Corte dei
conti, Sez. giurisdizionale per la Puglia, costituisce una
pietra miliare per chiarire definitivamente le relazioni tra
organi di governo e dirigenti, sfatando la convinzione,
molto radicata, che lo strumento della direttiva possa da un
lato orientare la gestione verso risultati antigiuridici
facendo da scudo alla responsabilità, dall'altro costituisca
limite insormontabile all'autonomia decisionale dei
dirigenti.
La sentenza della magistratura contabile ha accertato la
responsabilità erariale di un dirigente che, in violazione
aperta del principio di onnicomprensività, ha liquidato a se
stesso e a propri dipendenti compensi per la realizzazione
di progetti, qualificati «extra orario», finanziati
dall'Unione europea.
Tra gli elementi presentati a difesa del proprio operato, il
dirigente ha puntato sull'assenza di colpa grave, scaturente
dall'aver agito in buona fede, per aver eseguito un mandato
stabilito dalla giunta comunale e, inoltre, nel rispetto di
una fonte regolamentare interna.
La sentenza evidenzia come simile eccezione risulti priva di
pregio, riferendosi alla normativa che sancisce il principio
di separazione delle competenze e delle responsabilità degli
organi di governo, rispetto alla dirigenza.
Nell'ordinamento locale, tale principio è fissato
dall'articolo 107, comma 1, del dlgs 267/2000, secondo il
quale «i poteri di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo spettano agli organi di governo,
mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è
attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa,
di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di
controllo».
La sentenza, per evidenziare la responsabilità del
dirigente, richiama una norma che costituisce diretta
conseguenza del principio di separazione, l'articolo 45,
comma 4, del dlgs 165/2001, ai sensi del quale i dirigenti
sono in via esclusiva responsabili dell'attribuzione dei
trattamenti economici accessori.
L'esclusività delle funzioni e competenze dirigenziali non
può essere ridotta o lesa dalla relazione funzionale con gli
organi di governo.
Le direttive del sindaco o della giunta non hanno, né
potrebbero avere, alcuna forza cogente nei riguardi
dell'azione gestionale, perché se così non fosse, il
principio di separazione sarebbe ovviamente sempre violato.
I dirigenti non possono trincerarsi dietro le direttive
degli organi di governo, per rinunciare alla doverosità del
proprio agire legittimo. Del resto, la giurisprudenza
consolidata della magistratura contabile ha messo in
evidenza che gli atti dei dirigenti, anche se a monte
esistano direttive, non possono considerarsi come «dovuti»,
in particolare, come nel caso di specie, se le direttive si
rivelino illegittime. E, comunque, adottare atti gestionali
conformi a direttive illegittime implica la responsabilità
del dirigente, visto che è questo, esprimendo la volontà
nella fase finale dell'iter, che determina l'insorgere
dell'azione lesiva dell'erario.
La sentenza della sezione Puglia sottolinea perfino che non
solo una direttiva illegittima non giustifica un
comportamento gravemente negligente, come quello adottato
liquidando somme in difformità dalle regole imposte dalla
legge e dalla contrattazione, ma addirittura impone al
dirigente di esprimere la propria autonomia decisionale.
Giungendo a disattenderla, ovviamente motivando, o, nel
dubbio, interpretarla in modo da renderla conforme e
rispettosa della legge
(articolo ItaliaOggi del
09.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Se i consiglieri cambiano casacca è necessario
rivederne la composizione. Commissioni col bilancino. Va
rispettato il criterio proporzionale del Tuel.
È necessario provvedere a un riequilibrio generale delle
commissioni consiliari permanenti originariamente costituite
se, a fronte dei molteplici mutamenti politici intervenuti
nel tempo, si è modificata la compagine dei consiglieri e,
quindi, la composizione dei gruppi? Il consigliere che ha
cambiato gruppo, se riveste le funzioni di presidente di una
commissione consiliare, deve continuare a svolgere tali
funzioni fino al termine del mandato oppure si deve
procedere alla sua sostituzione?
Le commissioni consiliari previste dall'articolo 38, comma
6, del dlgs n. 267/2000, una volta istituite sulla base di
una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate
dall'apposito regolamento comunale con l'unico limite, posto
dal legislatore, riguardante il rispetto del criterio
proporzionale nella composizione.
Ciò significa che le forze politiche presenti in consiglio
devono essere il più possibile rispecchiate anche nelle
commissioni, in modo che in ciascuna di esse ne sia
riprodotto il peso numerico e di voto.
Il caso prospettato si inquadra nell'ambito dei possibili
mutamenti che possono sopravvenire all'interno delle forze
politiche presenti in consiglio comunale per effetto di
dissociazioni dall'originario gruppo di appartenenza,
comportanti la costituzione di nuovi gruppi consiliari
ovvero l'adesione a diversi gruppi esistenti.
Il principio generale del divieto di mandato imperativo,
sancito dall'articolo 67 della Costituzione, assicura ad
ogni consigliere l'esercizio del mandato ricevuto dagli
elettori –pur conservando verso gli stessi la responsabilità
politica– con assoluta libertà, ivi compresa quella di far
venir meno l'appartenenza dell'eletto alla lista o alla
coalizione di originaria appartenenza (cfr Tar,
Trentino-Alto Adige, Trento n. 75 del 2009).
Va da sé che i mutamenti in parola modificano i rapporti tra
le forze politiche presenti in consiglio, incidendo sul
numero dei gruppi ovvero sulla consistenza numerica degli
stessi, e ciò non può non influire sulla composizione delle
commissioni consiliari che deve, pertanto, adeguarsi ai
nuovi assetti.
La fattispecie prospettata va, pertanto, inquadrata
nell'ambito di un riequilibrio generale degli assetti
presenti nelle commissioni.
Quanto al rispetto del criterio proporzionale previsto dal
citato articolo 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000, il
legislatore non precisa come lo stesso debba essere
declinato in concreto. Spetta al regolamento, cui sono
demandate la determinazione dei poteri delle commissioni
nonché la disciplina dell'organizzazione e delle forme di
pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi idonei a
garantirne il rispetto.
Secondo quanto osservato dal Tar Lombardia, nella sentenza
n. 567/1996, il criterio proporzionale è posto dal
legislatore come direttiva suscettibile di svariate opzioni
applicative, egualmente legittime purché coerenti con la
ratio che quel principio sottende, e che consiste
nell'assicurare in seno alle commissioni la maggiore
rappresentatività possibile. Al raggiungimento di questo
risultato concorrono, come esperienza e prassi dimostrano,
non soltanto la rappresentanza individuale proporzionata
alla consistenza delle forze politiche presenti nell'organo
elettivo, ma anche – quando la varietà di consistenza e di
numero dei gruppi non consenta di conseguire l'obiettivo con
precisione aritmetica, per quozienti interi meccanismi
tecnici (quali il voto ponderato, il voto plurimo e simili)
idonei ad assicurare a ciascun commissario un peso
corrispondente a quello della forza politica che
rappresenta.
Nel caso di specie se, in materia di commissioni consiliari,
il regolamento sul funzionamento del consiglio comunale
prevede che la ripartizione dei membri delle commissioni da
parte dei singoli gruppi deve essere effettuata con un
criterio di proporzionalità –garantendo, comunque a ciascun
consigliere la presenza in almeno una commissione
consiliare– e che nel caso di dimissioni, decadenza od altro
motivo che renda necessaria la sostituzione di un
consigliere, il presidente del gruppo consiliare di
appartenenza designi un altro rappresentante, è necessario
provvedere, anche al fine di adeguare la composizione delle
commissioni al criterio proporzionale previsto dal citato
art. 38 del dlgs 267/2000, ad una revisione complessiva
delle stesse con una deliberazione del consiglio comunale
che prenda atto della designazione dei consiglieri in
rappresentanza dei gruppi neo costituiti e della
sostituzione dei consiglieri.
Il disposto recato dal regolamento comunale in combinato
disposto con il citato art. 38 Tuel è applicabile anche alla
ipotesi prospettata del consigliere eletto presidente di una
commissione in rappresentanza di un gruppo dal quale
successivamente si sia dissociato
(articolo ItaliaOggi del
09.11.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: LEGGE
ANTICORRUZIONE/ Per gli enti locali occorreranno specifiche
intese in Unificata. Piani di legalità nei pubblici uffici.
Codici di condotta, turnover dei dirigenti, incarichi ai
raggi X.
Definizione di un piano e individuazione di un responsabile
(di norma il segretario) per le attività di contrasto della
corruzione. Adozione di un codice di comportamento dei
dipendenti. Turnover dei dirigenti, specialmente nei settori
più a rischio, e rafforzamento del contrasto ai casi di
conflitto di interessi. Trasparenza e pubblicità sui
conferimenti di incarichi discrezionali e sui tempi di
conclusione dei procedimenti amministrativi.
Sono questi alcuni dei principali obblighi imposti dalla
legge recante «disposizioni per la prevenzione e la
repressione della corruzione e dell'illegalità nella
pubblica amministrazione», approvata in via definitiva
dal Parlamento e già firmata dal capo dello stato (il testo
è atteso in Gazzetta Ufficiale).
Va chiarito fin da subito che tale provvedimento si applica
a tutte le p.a. di cui all'art. 1, comma, 2, del dlgs
165/2011, ivi compresi, quindi, regioni, enti locali, nonché
enti pubblici e soggetti di diritto privato sottoposti al
loro controllo.
Per gli enti territoriali, però, occorreranno specifiche
intese, da raggiungere in Conferenza unificata entro 120
giorni dall'entrata in vigore della legge, per definirne
operativamente le modalità applicative.
In primo luogo, andranno specificati tempi e modalità di
definizione del piano triennale di prevenzione della
corruzione, a partire da quello relativo agli anni
2013-2015. In base alla disciplina generale, il piano deve
adottato dall'organo di indirizzo politico di ciascuna pa
entro il 31 gennaio e deve contenere la valutazione del
diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di
corruzione e l'indicazione degli interventi organizzativi
volti a prevenire il medesimo rischio. Esso dovrà essere
coerente con le linee guida contenute nel piano nazionale
anticorruzione approvato dalla commissione nazionale per la
valutazione, l'integrità e la trasparenza della pubblica
amministrazione (Civit), che è stata individuata come
l'autorità nazionale in materia.
Il piano, che andrà trasmesso alla regione interessata e al
dipartimento della funzione pubblica, dovrà essere
predisposto dal responsabile anticorruzione, che negli enti
locali coinciderà, di norma e salva diversa e motivata
determinazione degli organi di indirizzo politico, con il
segretario.
Quest'ultimo vede così ulteriormente rafforzate le proprie
prerogative in materia di controllo, già fortemente ampliate
(sul versante della regolarità amministrative e contabile)
dal recente dl 174/2012.
Nella sua nuova veste di responsabile anticorruzione, il
segretario, oltre a predisporre il piano triennale, dovrà
verificarne la concreta attuazione, curando anche la
selezione e la formazione del personale destinato a operare
in settori particolarmente esposti alla corruzione,
assicurandone altresì l'effettiva rotazione.
Per compensare tali maggiori responsabilità (e i connessi
risvolti di natura disciplinare ed erariale per i casi di
omissione di controllo), la nuova legge prevede che la
revoca del segretario da parte del sindaco per gravi
violazioni d'ufficio debba essere inviata dal prefetto alla
Civit, che deve pronunciarsi entro 30 giorni. Decorso tale
termine la revoca diventa efficace, salvo che l'autorità
rilevi il suo collegamento con le attività di prevenzione
anticorruzione.
Gli enti locali dovranno anche adottare norme regolamentari
relative all'individuazione degli incarichi vietati ai
dipendenti pubblici e dotarsi di un codice di comportamento
che integri e specifichi quello generale che dovrà essere
definito a livello nazionale. Il codice integrativo dovrà
essere adottato, previo parere dell'organismo interno di
valutazione (Oiv), sulla base dei criteri, delle linee guida
e dei modelli predisposti dalla Civit ed una copia dovrà
essere consegnata ai dipendenti all'atto della assunzione,
con obbligo di sottoscrizione.
Rafforzati, infine, gli obblighi di pubblicità e
trasparenza, con riguardo, innanzitutto, agli esiti delle
verifiche periodiche sul rispetto dei tempi di conclusione
dei procedimenti amministrativi. Le pa dovranno anche
trasmettere alla funzione pubblica, tramite gli Oiv, tutti i
dati utili (compresi titoli e curricula) a rilevare le
posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne
alle pubbliche amministrazioni, individuate
discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza
procedure pubbliche di selezione.
La legge ha comunque delegato il governo ad adottare un
decreto legislativo «per la disciplina organica degli
illeciti, e relative sanzioni disciplinari, correlati al
superamento dei termini di definizione dei procedimenti»
e uno per normare in modo organico gli adempimenti
pubblicitari a carico della p.a. L'esecutivo è stato anche
delegato a emanare un provvedimento per il riordino della
disciplina delle cause di incandidabilità, che dovrebbe
vedere la luce in tempi brevi.
Infine, vanno segnalate le modifiche apportate al Tuel per
adeguare le relative disposizioni alle nuove fattispecie di
reato introdotte.
---------------
La velocità di conclusione dei
procedimenti entra nel piano anticorruzione. Non c'è
trasparenza senza controllo dei tempi. Il controllo dei
tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi entrano
a far parte del piano anticorruzione.
Lo stabilisce la legge anticorruzione, che interviene in
diversi punti allo scopo di riformare la legge sul
procedimento amministrativo, la 241/1990, per garantire la
maggiore trasparenza possibile nell'esercizio dell'azione
amministrativa.
Si tratta di disposizioni che si aggiungono a quanto già
prevede l'articolo 2, commi 9 e seguenti, della legge
241/1990, i quali prevedono responsabilità disciplinari e
contabili nei confronti dei dirigenti che non rispettino i
termini dei procedimenti, oltre a sistemi sostitutivi nel
caso di inerzia.
Dietro il mancato rispetto dei termini dei procedimenti
amministrativi possono, in effetti, annidarsi situazioni di
corruttela o, comunque, azioni volte a favorire la
conclusione di procedimenti con strade privilegiate rispetto
ad altri.
Col rischio che i procedimenti conclusi prima per favorire
qualcuno, possano comportare ritardi ingiusti nei confronti
degli altri.
Nell'articolo 11 del codice di comportamento allegato ai
contratti collettivi di lavoro, è specificato che «nella
trattazione delle pratiche egli rispetta l'ordine
cronologico e non rifiuta prestazioni a cui sia tenuto
motivando genericamente con la quantità di lavoro da
svolgere o la mancanza di tempo a disposizione».
Gli uffici e i dipendenti, dunque, debbono rispettare la
tempistica, secondo l'ordine di ricezione delle istanze o di
attivazione delle pratiche, evitando di anticipare i tempi o
ritardarli ad arte, allo scopo di suscitare elementi di
possibile corruttela.
Il disegno di legge anticorruzione non solo indica il
monitoraggio dei tempi come uno degli elementi costitutivi
del piano triennale di prevenzione della corruzione, ma in
ogni caso impone alle amministrazioni il controllo periodico
del rispetto dei tempi procedimentali, allo scopo di
eliminare tempestivamente le anomalie e di esporre i
risultati del monitoraggio sul sito web.
I cittadini, in questo modo, potranno contare sulla
possibilità di capire il grado generale di puntualità e
rispetto dei termini procedimentali.
Le amministrazioni, comunque, dovranno fare ancora di più.
Il disegno di legge le obbliga ad attivare definitivamente
sistemi telematici di relazione con i cittadini. Tramite
strumenti di identificazione informatica da mettere in
azione nel rispetto del codice dell'amministrazione
digitale, ciascun cittadino dovrà poter accedere a tutte le
informazioni concernenti i procedimenti e i provvedimenti
che lo riguardano. In particolare, il singolo soggetto
interessato, potrà verificare lo stato della procedura e i
relativi tempi.
In questo modo, oltre al controllo interno sul rispetto dei
tempi, si crea anche un sistema di controllo esterno,
generalizzato sul monitoraggio e specifico, invece, per i
singoli procedimenti.
Il disegno di legge anticorruzione, in sostanza, chiude il
cerchio del sistema di garanzia delle tempistiche
procedimentali, innescando una piena trasparenza che
dovrebbe costituire un deterrente per la corruzione
(articolo ItaliaOggi del
09.11.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Nuovi
obblighi per i vertici politici dal dl salva-enti che ieri
ha incassato la fiducia. Una relazione all'inizio e una alla
fine del mandato.
Regioni, province e comuni chiamati alla
trasmissione della relazione di fine legislatura alla Corte
dei conti e alla pubblicazione della stessa sui propri siti
internet istituzionali. In caso di inadempimento,
scatteranno, per gli organi di vertice e i dirigenti
responsabili sanzioni pecuniarie che prevedono il
dimezzamento delle indennità di mandato e degli emolumenti.
Presidenti di provincia e neosindaci redigeranno, entro tre
mesi dal loro insediamento, una relazione di inizio mandato
che dia conto della situazione finanziaria e patrimoniale
dell'ente, nonché del suo livello di indebitamento.
Queste alcune delle novità apportate dal lavoro congiunto
delle Commissioni permanenti affari costituzionali e
bilancio, tesoro e programmazione della camera, al testo del
decreto legge salva enti (il n. 174/2012) che proprio ieri
ha incassato il voto di fiducia dall'aula di Montecitorio.
Relazione di fine legislatura.
Con un restyling alle disposizioni recate dal dlgs n.
149/2011 (uno dei decreti delegati attuativi del federalismo
fiscale), il decreto n. 174 rifà i contorni alla relazione
di fine legislatura cui sono tenute le regioni, le province
e le amministrazioni comunali. Innanzitutto sui tempi.
Per le regioni, viene precisato che entro dieci giorni dalla
sottoscrizione della relazione da parte del presidente la
stessa deve essere inoltrata alla competente sezione
regionale di controllo della Corte dei conti. Questa, entro
un mese dalla ricezione, ne esprime valutazioni per iscritto
che dovranno immediatamente essere rese pubbliche attraverso
l'immissione sul sito internet istituzionale della regione.
Se la regione non redige o pubblica online la relazione di
fine legislatura, subentra un particolare regime
sanzionatorio.
In pratica, al presidente e, in caso di mancata
predisposizione, al responsabile delle servizio finanziario
della regione viene ridotta della metà, con riferimento alle
tre mensilità successive, la misura dell'indennità di
mandato spettante e quella degli emolumenti. Il presidente
dovrà altresì mettere sulla home page del sito il
motivo della mancata pubblicazione della relazione. Per le
province e i comuni, invece, la relazione di fine mandato
deve essere redatta dal responsabile del servizio
finanziario o dal segretario generale. Anche in questo caso,
entro dieci giorni dalla sottoscrizione da parte del
presidente della provincia o del sindaco dovrà essere
trasmessa alla Corte dei conti. Previste sanzioni in caso di
mancata redazione o di pubblicazione sul sito internet
dell'ente.
Presidenti e sindaci, nonché i dirigenti responsabili,
subiranno la riduzione alla metà, con riferimento alle tre
successive mensilità, dell'indennità di mandato e degli
emolumenti. I primi cittadini, inoltre, dovranno mettere in
chiaro le motivazioni dell'omessa pubblicazione.
Relazione di inizio mandato.
Entro tre mesi dall'insediamento, i presidenti delle
province e i sindaci dovranno redigere una relazione di
inizio mandato, ovvero una cartina al tornasole dei conti
dell'ente. Infatti, lo scopo di tale relazione è quella di
verificare la situazione finanziaria dell'ente, la
consistenza del proprio patrimonio e la misura
dell'indebitamento. A predisporla dovranno essere i
responsabili dei servizi finanziari o i segretari generali.
Se le risultanze della relazione dovessero far temere per la
tenuta dei conti dell'ente, i presidenti e i sindaci sono
autorizzati a ricorrere alle procedure per ristabilire il
riequilibrio finanziario.
Nel silenzio della norma, il legislatore dovrebbe chiarire,
magari anche prima del definitivo passaggio in aula previsto
per martedì prossimo, l'organo cui dovrà essere inviata la
relazione. Se alla Corte dei conti, nell'ambito dei
controlli demandatale dall'art. 1, commi 166 e seguenti,
della legge finanziaria 2006 o alla ragioneria generale
dello stato. Infine, sull'onda mediatica delle vicende che
hanno coinvolto esponenti politici in seno al Consiglio
regionale del Lazio, il decreto modifica una disposizione
contenuta all'articolo 5 del citato dlgs n. 149/2011.
In pratica, si permette alla Ragioneria generale dello stato
di avviare proprie verifiche qualora si accerti un aumento
non giustificato delle spese a favore dei gruppi consiliari
e degli organi istituzionali dell'ente. La stessa
ragioneria, inoltre, se dovesse verificare, attraverso le
proprie banche dati, uno squilibrio finanziario dell'ente,
dovrà darne immediata comunicazione alla competente sezione
regionale della Corte dei conti
(articolo ItaliaOggi del
09.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: PRIVACY/
Provvedimento del Garante. Che dà anche una stretta al
marketing selvaggio. Valutazione dipendenti al coperto.
Busta chiusa e web criptato per garantire la riservatezza.
Valutazione ai dipendenti consegnate solo in busta chiusa o
per via telematica.
Il Garante della privacy con il
provvedimento 04.10.2012 n. 276 ha prescritto a
un'azienda ospedaliera di adottare le misure idonee a
garantire la riservatezza dei dati personali contenuti nei
documenti di valutazione dei dipendenti.
Nel caso specifico un dirigente si è lamentato per aver
ricevuto la propria scheda, in busta aperta, da personale
amministrativo addetto a un'altra struttura dell'azienda. Il
Garante ha accolto il ricorso e ha imposto al complesso
sanitario di garantire maggiori tutele affinché il contenuto
delle schede individuali di valutazione non possa essere
letto neppure dal personale incaricato della consegna o da
altre persone non autorizzate.
Possono ad esempio essere adottate modalità telematiche che
consentano l'accesso al documento solo al dipendente
interessato (certificandone anche l'avvenuta ricezione),
oppure provvedendo a consegnare la valutazione
opportunamente spillata o in busta chiusa.
CASELLARIO GIUDIZIALE APERTO ALLE P.A.
Con altro provvedimento il garante si è occupato di
casellario giudiziale, rilasciando parere favorevole allo
schema di decreto dirigenziale del ministero della giustizia
che disciplina le modalità operative di consultazione
diretta in via telematica del casellario giudiziale da parte
delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici
servizi.
Le p.a. e gli enti che hanno in gestione servizi pubblici
(ad esempio Poste spa, Enel spa, Italgas, Trenitalia)
potranno consultare direttamente il casellario giudiziale,
per acquisire informazioni sui precedenti penali e sui
carichi pendenti, al fine di effettuare i controlli
d'ufficio previsti dalla legge o di verificare le
dichiarazioni sostitutive presentate da imprenditori e
cittadini interessati, ad esempio, a partecipare a gare
d'appalto e forniture o ad altri provvedimenti (ad esempio
il rilascio della patente di guida).
Saranno consentiti, però, accessi selettivi ai soli dati
giudiziari indispensabili agli accertamenti di competenza.
Anzi viene creato ad hoc proprio il «certificato
selettivo», ad uso degli enti pubblici
Sono state previste convenzioni tra il ministero della
giustizia e i soggetti interessati che stabiliranno le
condizioni e le regole tecniche per il rilascio dei «certificati
selettivi».
Il garante ha chiesto inoltre di introdurre adeguate misure
di sicurezza, soprattutto sul controllo degli accessi. La
consultazione diretta del Sic (Sistema informativo del
casellario) avverrà infatti mediante il Cerpa (Centro
europeo ricerca e promozione dell'accessibilità), il sistema
per la certificazione massiva gestito dall'ufficio centrale
del casellario. Il Sic potrà essere consultato tramite
tecnologia web service o tramite Pec, il servizio di posta
elettronica certificata. L'Ufficio del casellario centrale
garantirà la piena tracciabilità dei collegamenti telematici
tra il Cerpa e i vari sistemi coinvolti. Verrà istituito il
«Registro degli accessi al Sic», che consentirà
all'amministrazione interessata di eseguire controlli
informatizzati trimestrali, anche a campione, sulla
rispondenza delle richieste dei certificati ai rispettivi
procedimenti amministrativi. Le registrazioni e i log del
sistema dovranno essere conservati per dieci anni.
LISTE INVALIDI PER LA PROTEZIONE CIVILE
Sempre dal Garante arrivano precisazioni per il piano di
protezione civile relativa agli invalidi: i comuni devono
chiedere l'elenco dei nominativi alle Asl e non all'Inps.
L'Inps, infatti, non può inviare ai Comuni l'elenco degli
invalidi perché nessuna norma lo autorizza a comunicare
all'ente locale dati sulla salute delle persone che
fruiscono delle prestazioni d'invalidità.
MARKETING SELVAGGIO
In materia di marketing, infine, Il Garante della privacy ha
vietato il trattamento illecito dei dati di circa un milione
di persone contenuti nel data base di una società che opera
nel settore delle vendite per corrispondenza e del marketing
diretto. La decisione (provvedimento 286/2012) è stata
adottata in seguito agli esiti dell'attività ispettiva
avviata su segnalazione di numerose persone che lamentavano
di essere state disturbate con offerte commerciali
indesiderate
(articolo ItaliaOggi del
09.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Riscaldamento,
impianti finanziati. Aiuti fino al 40% dei costi per
cittadini e aziende che cambiano. Il
governo vara il nuovo Conto termico. I contributi fino a
esaurimento fondi. A disposizione 900 mln..
Ai cittadini e alle piccole imprese che investono cento in
energia termica, lo stato finanzierà 40. Impianti di
riscaldamento inclusi.
Dare una sferzata alla produzione di energia termica da
fonti rinnovabili e accelerare i progetti di
riqualificazione energetica degli edifici pubblici sono,
infatti, i due obiettivi dichiarati di un decreto
ministeriale, varato ieri dal ministro allo sviluppo
economico, Corrado Passera, di concerto con i ministri
dell'ambiente e delle politiche agricole, Corrado Clini e
Mario Catania.
Il dm, conosciuto anche come «conto termico»,
costruisce un nuovo sistema di incentivi per interventi di
piccola caratura; in sostanza per piccole imprese e usi
domestici. Nell'alveo delle agevolazioni rientrano anche le
serre, finora scarsamente incentivate. Cittadini e imprese
potranno, così, investire alcune migliaia di euro in nuovi
impianti a energia rinnovabile, supportati da
un'agevolazione che andrà a copertura del 40%
dell'investimento e che sarà incassata entro un biennio. O
in cinque anni per gli investimenti più costosi.
Le tecnologie termiche da fonti rinnovabili incentivate sono
riscaldamento a biomassa, pompe di calore, solare termico e
solar cooling. Sul versante pubblica amministrazione,
invece, gli incentivi serviranno, a detta del ministero
dello sviluppo economico, a «superare le restrizioni
fiscali e di bilancio, che non hanno finora consentito alle
amministrazioni di sfruttare le potenzialità» del
risparmio energetico. Il conto termico servirà, quindi, a
riqualificare gli edifici di proprietà pubblica dal punto di
vista energetico. Vediamo come.
I fondi.
Intanto va detto che i finanziamenti, che il decreto sul
Conto termico mette a disposizione delle pubbliche
amministrazioni, ammontano a 200 mln di euro per le
pubbliche amministrazioni e a 700 mln di euro per i privati
cittadini e le piccole imprese. Infatti, per le
amministrazioni pubbliche il blocco alle erogazioni scatterà
trascorsi due mesi dal raggiungimento dell'impegno di spesa
annua cumulata in agevolazioni di 200 mln di euro. Mentre,
per i privati, i condomini e le aziende, lo stop scatterà
trascorsi 60 giorni dal raggiungimento dell'impegno di spesa
cumulato annuo di 700 mln. Raggiunte tali soglie, bisognerà
attendere un nuovo decreto interministeriale, che aggiorni
il parco agevolazioni
Gli interventi.
Per privati e aziende, il Conto termico finanzia: la
sostituzione di impianti di climatizzazione invernale
esistenti, con altri a pompe di calore elettriche o a gas,
anche geotermiche; la sostituzione di impianti esistenti di
climatizzazione invernale e riscaldamento delle serre con
impianti di climatizzazione invernale alimentati da
generatori a biomassa; l'installazione di collettori solari
termici, anche abbinati a sistemi di solar cooling; la
sostituzione di scaldacqua elettrici con scaldacqua a pompa
di calore.
Per gli edifici delle p.a., oltre agli interventi di cui
sopra, il Conto termico finanzia anche investimenti in
isolamento termico, chiusure trasparenti e infissi, nuovi
impianti con generatori di calore a condensazione e sistemi
di schermatura e ombreggiamento di chiusure, fissi e mobili
(articolo ItaliaOggi del
09.11.2012). |
ENTI LOCALI: Una
controriforma sui controlli. Fa discutere la presenza dei
ministeriali nei collegi dei revisori.
La norma inserita nel dl 174 è di dubbia utilità. E
se ne è accorto anche il Parlamento.
Le risposte
legislative date sull'onda di uno sdegno generalizzato quasi
sempre hanno prodotto effetti disastrosi che si sono
trascinati negli anni. Il «rafforzamento» dei
controlli negli enti locali disposto dal dl 174, presenta
aspetti di controriforma del sistema delle autonomie e porta
a duplicazione di controlli ed a soluzioni che destano sul
piano operativo forti dubbi di fattibilità. Non si comprende
la ratio della disposizione introdotta con il comma
1, lettera m dell'art. 3 del dl 174/2012.
Come sostenuto dall'Upi la nomina, da parte del prefetto, di
un presidente del collegio dei revisori, di concerto con i
ministeri dell'interno e dell'economia, nei comuni con
popolazione superiore a 60 mila abitanti e quelli capoluogo
di provincia, non appare assolutamente in linea con le
prerogative di autonomia degli enti locali. E di questo
sembrano essersene accorti i deputati di Montecitorio che in
commissione hanno soppresso la norma.
Quanti dipendenti dei due ministeri avranno la
professionalità ora richiesta per essere estratti a sorte
come revisori in tali enti? Per essere estratti a sorte per
tali enti, occorre essere iscritti ad albo professionale da
almeno dieci anni, aver svolto almeno due incarichi di
revisione negli enti locali per la durata di tre anni
ciascuno ed infine dimostrare di aver acquisito i crediti
formativi specifici. La nuova disposizione non migliora
l'indipendenza e la professionalità del revisore ed aumenta
in modo considerevole il costo.
Quanto costa e quanto tempo richiede una trasferta da Roma
ad un comune non servito dall'alta velocità per esaminare un
atto quale una variazione di bilancio che storna fondi o la
sottoscrizione di un modello quale tipo quello delle spese
di rappresentanza?
L'esito dei controlli con revisori ministeriali nelle Asl
non è certo stato esaltante. Abbiamo appreso di recente che
in quelle della Calabria non c'era neppure la contabilità.
Il sistema di elezione dei revisori viene modificato prima
dell'entrata in funzione attribuendo circa 250 incarichi a
dipendenti ministeriali (la cui indipendenza e
professionalità non è definita) con la speranza di
rafforzare il monitoraggio degli obiettivi di finanza
pubblica.
La scarsa conoscenza da parte di chi scrive le norme degli
adempimenti a cui sono tenuti i revisori, combinata con
l'accavallarsi frenetico della normativa porta a soluzioni
che appaiono assurde.
L'auspicio è che la disposizione sia abrogata in via
definitiva seguendo l'indicazione delle Commissioni affari
costituzionali e bilancio della Camera dei deputati.
Tanti aspetti del nuovo sistema dei controlli delineato
dall'art. 3 del decreto 174, destano perplessità e la fretta
della conversione in legge non aiuta quegli approfondimenti
che sarebbero necessari. Si è aperta una caccia ad acquisire
maggiori poteri di controllo da parte di troppi
interlocutori. La norma d'altra parte non è per nulla
organica ed amplia compiti ai segretari, ai responsabili dei
servizi finanziari, ai servizi ispettivi del Mef, alla
Guardia di finanza, alla Corte dei conti e anche ai
revisori.
Il controllo di regolarità amministrativa e contabile deve
ora essere effettuato da struttura interna sia in via
preventiva che successiva (con la tecnica del campionamento)
sotto la direzione del segretario e le risultanze sono
trasmesse periodicamente all'organo di revisione. A cosa
serve un controllo a posteriori effettuato dalle stesse
persone che l'hanno esercitato ex ante? Tale nuova
disposizione come si raccorda con l'affidamento all'organo
di revisione dello stesso controllo con uguale criterio
(principi di revisione aziendale) e sulle stesse materie
come indicato dall'art. 239 del Tuel? Ed ancora, a
dimostrazione che la fretta porta a confusione; il citato
art. 3 al comma 1, lettera o), amplia i pareri obbligatori
dei revisori su proposte di atti fondamentali della gestione
e tra questi i regolamenti di contabilità,
economato-provveditorato, patrimonio e di applicazione dei
tributi locali. La norma richiede un «motivato giudizio
di congruità, coerenza e di attendibilità contabile delle
previsioni di bilancio» anche per il parere sui
regolamenti. Come esprimere il motivato giudizio
nell'articolazione richiesta sui regolamenti richiede
un'enorme fantasia.
È giusto ampliare la funzione di collaborazione del revisore
perché i pareri obbligatori preventivi hanno evitato in
tanti casi gravi irregolarità e contribuito a mantenere gli
equilibri finanziari, ma non è possibile, in un Paese
normale, aumentare continuamente i compiti, responsabilità e
sanzioni senza preoccuparsi dell'iniquità dei compensi.
Forse, la mancata congruità dei compensi non rende possibile
l'adeguato svolgimento di funzioni solo per alcuni.
Un auspicio: fermiamoci un attimo! La confusione per gli
enti locali è già troppa, il termine del 31 ottobre era
stabilito per approvare il bilancio del nuovo anno e non di
quello in corso, per gli organismi partecipati è arduo
comprendere quali siano le norme sono vigenti e la loro
portata ed inoltre per l'Imu, stante l'incertezza del
gettito, è autorizzato l'«accertamento virtuale».
Apriamo un confronto fra gli attori del controllo per
elaborare una normativa di rafforzamento dei controlli
sostanziali, non invasiva e razionale. Una normativa che
eviti costose duplicazioni e preveda una stretta relazione
fra controlli interni, organo di revisione e Sezione
regionale della Corte dei conti a cui affidare la «regia» e
il controllo sui controlli
(articolo ItaliaOggi del
09.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
VARI:
Circolare dei trasporti. Patente smarrita, ecco il nuovo
modello per licenza europea.
Chi deve richiedere una nuova patente di guida per
smarrimento distruzione o furto deve presentarsi a un
ufficio di polizia con un documento di riconoscimento e due
fotografie formato tessera facendo attenzione ad apporre
correttamente anche la firma autografa sul nuovo modello di
domanda.
Lo ha chiarito il Ministero dei Trasporti con
la
nota 31.10.2012 n. 29619 di prot..
Il rinnovo della patente di
guida per smarrimento, sottrazione o distruzione è
disciplinato dal dpr 104/2000. Con circolare 18/6/2001 il
ministero dei trasporti ha illustrato concretamente le
modalità operative per il corretto svolgimento di questa
formalità. In pratica l'interessato può presentarsi a un
qualsiasi ufficio di polizia, entro 48 ore, con un documento
di riconoscimento e due fotografie formato tessera.
Espletate tutte le formalità l'utente stradale uscirà dal
comando con il permesso provvisorio di circolazione già
compilato, valido per 90 giorni. Sempre che la patente sia
duplicabile e non risulti scaduta. In questo caso infatti a
parere dell'organo tecnico centrale solo gli uffici della
motorizzazione potranno dare adeguata assistenza agli utenti
interessati rilasciando anche un permesso provvisorio di
circolazione. Con l'entrata in vigore del dlgs 59/2011, dal
19/01/2013, cambieranno le categorie delle patenti di guida e
arriverà anche un nuovo modello di patente, la licenza
europea.
Queste importanti novità in arrivo condizioneranno
anche la procedura per il rilascio del duplicato della
licenza di guida. Oltre alle fotografie l'interessato d'ora
in poi dovrà apporre sulla domanda di duplicato anche la
propria firma autografa. Questa annotazione dovrà infatti
obbligatoriamente essere riprodotta anche sul duplicato
della patente di guida (articolo ItaliaOggi
del 06.11.2012). |
ENTI LOCALI: Enti locali. Sono i possibili addetti da trasferire per
effetto di accorpamenti e riduzione di funzioni.
Fino a 12mila eccedenze nelle Province.
LA CONSULTA/
Oggi udienza davanti alla Corte costituzionale sui ricorsi
presentati da 8 Regioni contro la stretta del salva-Italia
di dicembre.
Per una partita sulle eccedenze nella Pa che si avvia alla
conclusione, come spiega l'articolo qui in alto, ce n'è
un'altra che è appena al fischio di inizio e che si
concluderà nel 2014. A giocarla saranno vecchie e nuove
Province.
Sono 12mila infatti i dipendenti che rischiano di
dover essere ricollocati per effetto del doppio intervento
del taglio di 35 enti di area vasta nelle Regioni ordinarie
e della riduzione a 3 (ambiente, trasporti, edilizia
scolastica) delle funzioni.
La stima è frutto di un'elaborazione del Sole 24 Ore. Che
parte dagli ultimi numeri sul personale resi noti dall'Upi e
li incrocia con la stretta avviata dal salva-Italia,
proseguita dalla spending review e completata dal decreto
sul riordino varato mercoledì. Dei circa 57mila lavoratori
alle dipendenze delle amministrazioni provinciali, circa
27mila appartengono a quelle interessate dagli accorpamenti
o dall'evoluzione in città metropolitane. Al loro interno
può essere individuato un primo gruppo di 12mila unità "a
rischio-eccedenza". Si tratta dei dipendenti delle Province
che confluiranno in altri "enti di mezzo" e perderanno il
titolo di capoluogo. Immaginando che questo venga fissato
ovunque nel Comune più popoloso –anche se la legge consente
ai sindaci interessati, anche a maggioranza, di disporre
diversamente– e considerando che gli organi politici
andranno concentrati in un unico "palazzo" poiché non ci
saranno sedi decentrate, in teoria, gli unici lavoratori
sicuri del posto sarebbero quelli che già risultano oggi
occupati nel capoluogo.
Per gli altri partirebbe il ricollocamento presso uno degli
uffici che gestiranno le tre funzioni rimaste di competenza
provinciale oppure presso i Comuni che le erediteranno. A
meno che le Regioni non decidano di tenerle per sé,
gestendole in proprio o magari creando una struttura ad hoc.
Il procedimento per il trasferimento del personale sarà
molto simile a quello descritto qui in alto. con le
specificità delineate dall'articolo 6 del Dl approvato la
settimana scorsa e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale.
È presumibile che l'iter occupi gran parte del 2013 e si
concluda solo a ridosso della partenza dei nuovi enti
fissata per il 01.01.2014. I criteri e le modalità da
seguire saranno concertate con i sindacati. Ma se entro 30
giorni non si raggiungerà un accordo i presidenti di
Provincia potranno avviare i passaggi di ruolo. Nel rispetto
di un doppio vincolo: le dotazioni organiche saranno
rideterminate tenendo conto dell'effettivo fabbisogno; per
le eventuali deroghe conteranno i parametri di virtuosità
già richiamati dalla spending.
Ulteriori novità sul fronte Province potrebbero arrivare
oggi dalla Consulta che esaminerà il ricorso presentato da 8
Regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli, Lazio,
Campania, Molise e Sardegna) contro l'articolo 23 del Dl
salva-Italia del dicembre scorso che ha disegnato i futuri
consigli provinciali come organi di secondo livello, eletti
dai Comuni. In caso di accoglimento verrebbe meno una delle
due gambe su cui si regge l'intera risistemazione delle
Province e il Governo sarebbe costretto a correre ai ripari.
Anche perché l'articolo 23 è l'unica disposizione
dell'intera operazione-Province per cui l'Esecutivo ha già
"cifrato" i potenziali risparmi. I 65 milioni quantificati
all'epoca del salva-Italia ma prudenzialmente non messi a
bilancio (articolo Il Sole 24 Ore
del 06.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Giustizia. La legge anticorruzione rinvia a un decreto per
disciplinare il nuovo sistema di controllo antimafia.
Una white list per gli appalti.
L'informativa della Prefettura sostituita da un elenco in
continuo aggiornamento.
LA PREVENZIONE/
Chi non è soggetto al rischio di infiltrazioni non guadagna
l'immunità da accertamenti Basta poco per perdere
l'iscrizione.
Tempi brevi per l'entrata in vigore di elenchi di
imprenditori non soggetti a tentativo di infiltrazione
mafiosa (articolo 1, commi 52 e 53, legge anticorruzione):
entro 60 giorni un decreto del Presidente del Consiglio
chiarirà le modalità di funzionamento, ed entro i successivi
60 giorni l'informativa antimafia "atipica" o
"supplementare" sarà sostituita, in taluni settori, da un
elenco (white list). I settori sono quelli più soggetti a
rischi di infiltrazione (trasporti, smaltimento rifiuti,
inerti, come da tabella allegata).
Fino ad oggi la Camera di commercio rilasciava certificati
di iscrizione con una generica stampigliatura di validità
antimafia, di frequente contraddetti da informative
prefettizie di contenuto diverso, motivate caso per caso
attraverso richiami a rapporti redatti dagli organi di
investigazione. Le "informative" prefettizie sono tuttavia
destinate ad esser sostituite da "comunicazione antimafia"
(articolo 84, Dlgs 159/2011): nell'attesa dell'entrata in
vigore del Codice antimafia del 2011 (dopo 24 mesi da un
regolamento che ancora manca), nei settori più a rischio
individuati dalla legge anticorruzione le informative non
saranno più singole (a richiesta degli enti interessati),
bensì desumibili dalla lettura nell'elenco (white list).
Chi
è presente in tale elenco potrà dichiararsi «non soggetto a
rischio di infiltrazione» e concorrere quindi senza
attendere la verifica della Prefettura. L'elenco delle
attività più esposte a rischio di infiltrazione coincide con
quello contenuto nella direttiva del ministro dell'Interno
Maroni n. 4610 del 13.06.2010, ma altre tipologie
possono arricchire l'elenco delle attività certificabili
come indenni da rischi.
Una lista analoga era già prevista nell'articolo 4, comma 13,
del decreto sviluppo (70/2011), ma riguardava solo i
subfornitori e i subappalti: ora si opera anche a monte,
direttamente sugli appalti; di contenuto simile è anche il
Codice etico che l'articolo 3 dello Statuto delle imprese
(legge 180/2011) prevede sotto forma di rifiuto di ogni
rapporto con organizzazioni criminali o mafiose: chi non
aderisce al codice etico non può far parte delle
associazioni e perde benefici in tema di semplificazioni
amministrative (Scia, Dia edilizie).
L'inserimento nell'elenco dei «non soggetti a tentativi di
infiltrazione» dovrebbe essere automatico, poiché è un
diritto delle imprese quello di non essere discriminate
attraverso albi o elenchi. Può quindi prevedersi una corsa
all'iscrizione, oppure un periodo di iniziale
autocertificazione dell'esistenza dei requisiti per
l'iscrizione in white list. Nel frattempo, coesisteranno i
sistemi di "informativa" antimafia, cioè gli attestati
rilasciati dalle Prefetture.
L'informatizzazione potrà rimediare ad alcuni degli
inconvenienti fino ad oggi emersi per le informative, cioè
la territorialità dei provvedimenti (emessi dalle Prefetture
dove l'impresa ha sede): l'articolo 1, comma 52, prevede la
competenza della Prefettura dove ha sede l'impresa, ma il Dlgs 159/2011 prevede anche una banca dati nazionale,
rendendo irrilevante la sede della Prefettura.
L'iscrizione nell'elenco dei non soggetti a tentativi di
infiltrazione non genera immunità da accertamenti
successivi, poiché basterà un rischio (la presenza di
pregiudicati in cantiere, la partecipazione a cartelli) per
far perdere l'iscrizione. Sull'entrata ed uscita dalle liste
di qualità vi sarà un verosimile contenzioso, affidato alla
giustizia amministrativa che ha già ampia esperienza in tema
di informative antimafia. La previsione di liste di qualità
è il primo passo verso il rating di legalità delle imprese
(articolo 5-ter, Dl 1/2012, ora legge 27/2012 sulle
liberalizzazioni). Ivi si legge che il rating delle imprese
va valutato in sede di concessione di finanziamenti pubblici
e di accesso al credito bancario: il passaggio dalla white
list (assenza di rischi) al rating (presenza di qualità)
sarà quindi un incentivo per le imprese (articolo Il Sole 24
Ore del 06.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento al 06.11.2012 |
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PUBBLICO
IMPIEGO - VARI: Le
nuove norme allargano l'applicazione del reato.
Responsabilità amministrativa della società. Stretta sulla
corruzione privata, ritoccare documenti costerà caro
Corruzione privata a maglie strettissime. Inasprite le pene
per chi «ritocca» bilanci e documenti ufficiali lasciandosi
corrompere; allargato inoltre, l'ambito applicativo del
reato. Non solo: scatterà anche la responsabilità
amministrativa della società per l'illecito penale commesso
dal proprio dipendente i sensi del dlgs. n. 231/2001.
La legge anticorruzione, appena approvata dal parlamento,
fissa più rigidi paletti non solo nei rapporto tra privati e
pubbliche amministrazioni, ma anche nelle operazioni
intercorse tra impresa e impresa.
L'art. 20 della legge riformula il testo dell'art. 2635
c.c., modificandone altresì la rubrica in «Corruzione tra
privati» (in luogo dell'«Infedeltà a seguito di
dazione o promessa di utilità»). Si prevede ora che «Salvo
che il fatto costituisca più grave reato, gli
amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti
alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci
e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della
promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri,
compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi
inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà,
cagionando nocumento alla società, sono puniti con la
reclusione da uno a tre anni. Si applica la pena della
reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso
da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno
dei soggetti indicati al primo comma. Le pene sono
raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in
mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione
europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante. Si
procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto
derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione
di beni o servizi».
Risulta dunque ampliato l'elenco dei possibili autori del
reato che possono essere, oltre ai soggetti individuati nel
primo comma (amministratori, direttori generali, dirigenti
preposti alla redazione dei documenti contabili societari,
sindaci e liquidatori), anche coloro i quali sono sottoposti
alla direzione o alla vigilanza di questi ultimi.
Tale ampliamento tiene conto del rilievo in proposito
specificamente, con riferimento al reato di corruzione
privata descritto nel previgente art. 2635 c.c., ritenuto
non conforme agli articoli 7 e 8 della Convenzione penale di
Strasburgo del 27/01/1999.
La pena è ridotta fino a un anno e sei mesi allorché il
reato sia commesso da un soggetto sottoposto a quelli cui la
norma si rivolge in prima battuta: si tratta del personale
che è sotto la vigilanza o la direzione degli
amministratori, dei direttori generali ecc. È proprio in
questo l'allargamento principale della fattispecie: il
coinvolgimento di soggetti che non hanno responsabilità
dirette verso l'esterno, ma che agiscono in funzione di un
rapporto con i rappresentanti dell'impresa.
Per il soggetto che dà o promette utilità in cambio della
manipolazione dei documenti contabili è prevista la stessa
pena, con ciò disincentivando ancor più le condotte
criminose individuate.
Infine la pena è raddoppiata laddove siano coinvolte società
quotate in mercati regolamentati. Come anticipato la nuova
previsione penale trova riscontro anche nella disciplina
della responsabilità amministrativa delle imprese per i
reati commessi da propri apicali.
L'inserimento tra i reati societari di cui all'art. 25-ter
del dlgs 231/01 viene disposto con riferimento ai «casi
previsti dal terzo comma dell'art. 2635 c.c.»: la
responsabilità amministrativa ex dlgs 231/2001 conseguente
alla commissione del reato di corruzione tra privati, e
quindi l'eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria da
duecento a quattrocento quote, sarebbe pertanto
configurabile a carico della società cui appartiene il
soggetto corruttore, ossia colui che «dà o promette
denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel
secondo comma» dell'art. 2635 c.c. (soggetti corrotti).
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Concussione, non per induzione.
Semaforo verde alla legge anticorruzione, che aggiorna anche
il catalogo dei reati presupposto della responsabilità
amministrativa delle imprese per i reati commessi da manager
e dipendenti: scatta anche per la concussione per induzione
e per la corruzione tra privati. La legge ha fatto molto
discutere anche per i possibili effetti sui processi con
imputati eccellenti, ma è da analizzare nel suo complesso.
Si tratta di una riforma che generalmente innalza i livelli
sanzionatori e precisa le fattispecie incriminatrici.
Significativa è l'inversione di tendenza per la
procedibilità della corruzione tra privati: da procedibile a
querela a procedibile di ufficio quando dal fatto derivi una
distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o
servizi. Un netto distacco rispetto all'impostazione del
decreto legislativo 61/2002, che ha depenalizzato il falso
in bilancio e ha subordinato molti reati societari alla
querela dell'interessato.
Il reato di concussione diventa riferibile al solo pubblico
ufficiale (e non più anche all'incaricato di pubblico
servizio) e non è più prevista la fattispecie per induzione,
oggetto di un autonomo reato; la corruzione impropria del
pubblico ufficiale (corruzione per un atto d'ufficio) viene
riformulata in modo da rendere punibile chi tiene condotte
illecite a prescindere dall'adozione o dall'omissione di
atti inerenti al proprio ufficio. La legge aggiunge al
codice penale il nuovo articolo 319-quater, «Induzione
indebita a dare o promettere utilità» (cosiddetta
concussione per induzione), che punisce sia il pubblico
ufficiale o incaricato di pubblico servizio che induce il
privato a pagare (reclusione da 3 a 8 anni) sia il privato
che dà o promette denaro o altra utilità (reclusione fino a
3 anni). Viene inserito nel codice il delitto di «Traffico
di influenze illecite» (nuovo articolo 346-bis) che
sanziona chi sfrutta le sue relazioni con un soggetto
pubblico al fine di farsi dare o promettere denaro o altro
vantaggio patrimoniale come prezzo della sua mediazione
illecita oppure per remunerare il funzionario, in relazione
al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o
all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.
Vediamo ora le novità in dettaglio.
Concussione.
Il reato di concussione diventa riferibile al solo pubblico
ufficiale; scompare la fattispecie della concussione per
induzione ed è previsto un aumento del minimo della pena,
portato da quattro a sei anni di reclusione.
L'eliminazione del riferimento alla figura dell'incaricato
di pubblico servizio ripristina il testo dell'articolo 317
del codice penale vigente anteriormente alla riforma
effettuata con la legge n. 86 del 1990. L'impostazione
originaria del codice penale infatti non contemplava gli
incaricati di pubblico servizio fra i soggetti attivi del
delitto di concussione, limitando l'ambito di applicazione
dello stesso ai soli pubblici ufficiali.
Corruzione.
La «corruzione per un atto d'ufficio» si chiama «corruzione
per l'esercizio della funzione». Il reato ha una
sanzione più elevata. La corruzione è incentrata
sull'indebita ricezione o accettazione della promessa di
denaro o altra utilità collegata all'esercizio delle
funzioni o dei poteri del pubblico ufficiale, e non al
compimento di un atto dell'ufficio. Viene soppressa
l'ipotesi più lieve per il pubblico ufficiale che riceve la
retribuzione per un atto già compiuto. La disposizione si
applica anche all'incaricato di pubblico servizio.
Corruzione per atti contrari ai doveri
d'ufficio. Il
reato continua ad applicarsi anche all'incaricato di
pubblico servizio e ne è aumentata la pena, da quattro a
otto anni, in luogo della reclusione da due a cinque anni.
Corruzione in atti giudiziari.
Viene aumentata da quattro a dieci anni (anziché da tre a
otto anni) la pena della reclusione per la corruzione in
atti giudiziari.
Concussione per induzione.
Si chiama «induzione indebita a dare o promettere utilità»
il nuovo reato previsto dall'articolo 319-quater, codice
penale, di nuova introduzione. La norma punisce il pubblico
ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che induce il
privato a pagare; il privato che dà o promette denaro o
altra utilità è punito invece con la reclusione fino a tre
anni.
Traffico di influenze.
È nuovo il reato di «traffico di influenze illecite» che
punisce con la reclusione chi, sfruttando relazioni
esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di
un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a
sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come
prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico
ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio oppure per
remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario
ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto
del suo ufficio.
Abuso di ufficio.
La legge punisce più severamente l'abuso d'ufficio,
prevedendo l'applicazione della pena della reclusione da uno
a quattro anni, anziché da sei mesi a tre anni.
Interdizione.
La legge modifica l'articolo 317-bis del codice penale nel
senso di far conseguire l'interdizione perpetua dai pubblici
uffici anche alla condanna per corruzione per un atto
contrario ai doveri d'ufficio e in atti giudiziari.
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Trasparenza della p.a. online.
La trasparenza della p.a. passa dal sito internet. Dal sito
istituzionale devono essere assicurate le informazioni
relative ai procedimenti amministrativi. Il tutto in un
quadro di facile accessibilità, completezza e semplicità di
consultazione. Nei siti web istituzionali delle
amministrazioni pubbliche si devono trovare le comunicazioni
di atti istituzionali (ad esempio, bilanci e conti
consuntivi), ma anche dati statistici per la valutazione
della regolarità ed efficienza dell'amministrazione (ad
esempio, i costi unitari di realizzazione delle opere
pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini).
Tramite la rete deve avvenire il dialogo tra ente pubblico e
cittadino e impresa con riferimento all'iter di una singola
pratica. Non si deve perdere tempo allo sportello pubblico e
l'amministrazione deve rispondere per posta elettronica. Per
arginare la corruzione la legge appena approvata dal
parlamento (atto camera 4434-B) agisce non solo sul versante
repressivo penale, ma anche su quello preventivo: questo
significa impedire che si creino le condizioni in cui la
corruzione attecchisce. Una amministrazione efficiente e
rapida argina le situazioni in cui per far andare avanti la
pratica bisogna pagare un prezzo illecito. Ma vediamo le
novità della legge sotto il profilo della trasparenza
amministrativa.
Tutto sul web.
La legge fa un elenco degli atti da mettere sotto i
riflettori. Si tratta di autorizzazioni e concessioni;
appalti e gare pubbliche; concessione ed erogazione di
sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché
attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a
persone ed enti pubblici e privati; concorsi e prove
selettive per l'assunzione del personale e progressioni di
carriera.
Tempi senza veli.
La legge stabilisce che le amministrazioni devono provvedere
al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi
procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle
anomalie. Inoltre i risultati del monitoraggio devono essere
consultabili nel sito web istituzionale di ciascuna
amministrazione.
Per il cittadino.
Ogni amministrazione pubblica deve rendere noto, sul proprio
sito web istituzionale, almeno un indirizzo di posta
elettronica certificata cui il cittadino possa rivolgersi
per trasmettere istanze e ricevere informazioni circa i
provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo
riguardano.
Appalti.
Con riferimento alle gare e alle procedure per l'affidamento
di contratti pubblici la legge precisa che cosa debbono
pubblicare le stazioni appaltanti sul sito web. Ecco
l'elenco: la struttura proponente; l'oggetto del bando;
l'elenco degli operatori invitati a presentare offerte;
l'aggiudicatario; l'importo di aggiudicazione; i tempi di
completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo
delle somme liquidate.
Entro il 31 gennaio di ogni anno, inoltre, tali
informazioni, relativamente all'anno precedente, sono
pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente
scaricabili in un formato digitale standard aperto che
consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini
statistici, i dati informatici
(articolo ItaliaOggi Sette del 05.11.2012). |
APPALTI: Appalti,
slalom sul campo minato della responsabilità solidale.
Le principali problematiche, e le relative
possibili soluzioni, sul nuovo adempimento.
Caos in azienda per la nuova ipotesi di responsabilità
solidale nel caso di appalto di opere e servizi. Una norma
(magari anche con valide motivazioni alle spalle) sparata
nel mucchio senza troppe delimitazioni sta rischiando di
creare l'impasse totale.
Ecco allora una serie di questioni che a oggi, nonostante la
normativa sia ormai in vigore, sono ancora sul tappeto e su
cui neanche la circolare 40/E dell'Agenzia delle entrate è
riuscita a fare luce. Per ognuna di esse offriremo una
possibile soluzione adatta a coloro i quali, per poter
continuare a operare, devono assumere una decisione.
La norma e le spiegazioni.
La norma di riferimento è l'articolo 13-ter del dl n. 83 del
2012 titolato «Disposizioni in materia di responsabilità
solidale dell'appaltatore». Gli unici chiarimenti fino a
oggi intervenuti sono quelli contenuti nella circolare n.
40/E dell'08.10.2012 (si veda ItaliaOggi Sette del 29
ottobre) che ha compiuto degli sforzi per facilitare alcuni
compiti, ma non è riuscita a superarli in toto. Anche perché
non vi è certezza che sia proprio l'Agenzia delle entrate
che deve superare alcuni di questi ostacoli, quali per
esempio l'esatto ambito di applicazione oggettivo della
disposizione (cos'è un contratto di appalto).
L'entrata in vigore.
Almeno su questo punto non vi sono incertezze dopo i
chiarimenti dell'Agenzia. Erano sorti dubbi, infatti,
nell'individuare il momento a partire dal quale il
committente/appaltatore era tenuto, in forza delle nuove
disposizioni, a verificare gli adempimenti fiscali in
relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del
rapporto di appalto/subappalto.
Secondo l'Agenzia si devono considerare due fatti
(concorrenti):
● le regole trovano applicazione solo per i contratti di
appalto/subappalto stipulati dal 12 agosto 2012;
●
in forza di quanto previsto dallo statuto del contribuente,
visto che la norma introduce un adempimento di natura
tributaria, gli adempimenti devono essere posti in essere a
partire dal sessantesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della norma e quindi in relazione ai
pagamenti effettuati a partire dall'11.10.2012, in relazione
ai contratti stipulati a partire dal 12.08.2012.
Ambito oggettivo.
La disposizione prevede la responsabilità dell'appaltatore e
del committente per il versamento all'Erario delle ritenute
fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'imposta sul
valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore
in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del
contratto. Il contratto in questione deve essere di appalto
di opere o servizi.
Ma come fare a identificare tale fattispecie? La
qualificazione giuridica di un contratto genericamente di
servizi non è facile e da anni la stessa giurisprudenza
(anche di legalità) sta proponendo interpretazione di volta
in volta non del tutto coincidente. L'unico riferimento
certo è il codice civile (art. 1655), che definisce il
contratto di appalto come quel contratto «col quale una
parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con
gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di
un servizio verso un corrispettivo in danaro».
Inoltre: i contratti d'opera sono inclusi o esclusi?
Provando a immaginare i rapporti esistenti in una azienda
l'individuazione diviene un rompicapo (anche pensando che
molti di questi rapporti non sono nemmeno formalizzati in
forma scritta). Torna alla mente la pioggia di risoluzioni
che sono intervenute quando era stato introdotto il
reverse charge obbligatorio nel campo dei sub appalti
edili (e i dubbi esistono ancora). Il consiglio più facile
sarebbe quello nella pratica operativa di estendere al
massimo l'ambito oggettivo, ma ciò non può certo dirsi una
soluzione.
Il settore dell'attività.
L'art. 13-ter non fa alcun riferimento a una particolare
settore a cui lo stesso deve applicarsi facendo presumere la
sua applicazione a qualsiasi contratto di appalto o servizi.
È vero però che il titolo I della norma in cui è compreso
anche l'art. 13-ter è denominato Misure per l'edilizia e da
ciò vi è chi sta cercando di sostenere la limitazione
dell'applicazione delle regole agli appalti di tale settore.
A oggi la scelta di questa strada non appare però
sufficientemente sorretta da motivazioni giuridica e
potrebbe significare esporsi a rischi non di poco conto.
Anche perché ripercorrendo la volontà del legislatore questa
limitazione del campo di applicazione della novità non pare
così evidente.
I soggetti.
Appaltatore, sub appaltatore e committente sono tutti e tre
in diversa misura nella morsa della nuova regola.
Anche dopo la circolare 40/E le diverse posizioni dovrebbero
così riassumersi:
● tra appaltatore scatta la solidarietà in assenza delle
cautele imposte dalla norma;
●
per il committente non scatta invece la solidarietà ma una
sanzione nella misura da 5 mila a 200 mila euro.
Il committente.
Appurato che la responsabilità solidale non è un problema
del committente (sarebbe bene che anche sul punto arrivasse
una conferma esplicita) la circolare 40/E non risolve tutti
i problemi di quest'ultimo. La stessa infatti fa intuire (ma
ciò è desumibile purtroppo anche dalla norma) che il rischio
sanzionatorio per il committente non riguarda unicamente gli
adempimenti dell'unico soggetto con cui lui ha a che fare
(l'appaltatore), ma anche i comportamenti dei sub
appaltatori che potrebbe anche non conoscerlo (potrebbe non
sapere nemmeno del loro intervento).
Il committente Alfa per stare al sicuro deve ottenere la
documentazione sia dal suo appaltatore beta che da tutti i
sub appaltatori di quest'ultimo (in molti casi ciò è
materialmente impossibile). Un altro problema del
committente riguarda la sanzione. La stessa è fissata in
misura variabile da 5 mila a 200 mila euro senza che vi sia
un proporzionalità con il pagamento effettuato.
Un esempio: il committente paga prima di aver verificato la
regolarità del comportamento dell'appaltatore o dei sub
appaltatori e la sanzione sembra in ogni caso scattare
(minimo di 5 mila euro), anche nel caso in cui il pagamento
sia di soli 100 euro. Il tutto appare un po' eccessivo
(articolo ItaliaOggi Sette del 05.11.2012). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Fatture
sprint. Sulla carta.
La pubblica amministrazione dovrebbe pagare in 30 giorni, ma
non ci sono soldi. Oppure non si possono spendere per via
del patto di Stabilità.
La pubblica amministrazione salderà i suoi debiti in 30
giorni, massimo due mesi, e non più in sei mesi, un anno, e
anche oltre, come succede oggi. Lo stesso vale per i
pagamenti tra imprese.
Lo prevede un decreto legge approvato dal governo nei giorni
scorsi. Una norma salutata con favore dalle imprese,
ovviamente. Ma che segna un bel passo in avanti nel
velleitarismo giuridico. Perché se le pubbliche
amministrazioni hanno finora accumulato quasi 100 miliardi
di arretrati la causa non è la pigrizia o l'indolenza dei
responsabili dei pagamenti. Il motivo è che non ci sono i
soldi. O, se ci sono, non si possono spendere a causa delle
regole imposte dal patto di Stabilità.
Il governo Monti invece di affrontare questi macigni
preferisce aggirare l'ostacolo e, con una norma che comunque
consente di guadagnare tanti bei titoli sui giornali, impone
una regola che, si sa già, non potrà essere rispettata.
Primo perché l'obbligo di pagare in 30 giorni è già
contenuto nel dlgs 231 del 2002, anche se poteva essere
derogato. Poi perché il patto di Stabilità interno, una
delle cause principali dei ritardi di pagamento, non solo
non viene allentato, ma dal 01.01.2013, guarda caso la
stessa data di avvio delle nuove disposizioni, sarà esteso
ai comuni sopra i mille abitanti (ora interessava gli enti
con popolazione sopra i 5 mila).
D'altra parte i trasferimenti agli enti locali sono in
continua diminuzione. Tanto che questi motivi hanno reso
molto difficoltosa addirittura la certificazione dei crediti
delle imprese nei confronti della p.a., figuriamoci il
pagamento. Un sindaco o un governatore che non ha i soldi o
che se li ha non li può spendere, potrà rispettare i termini
di pagamento solennemente fissati dal nuovo decreto?
Improbabile. Lo stesso vale per i rapporti tra imprese
private, dove le norme già esistono, ma non sono riuscite a
ridurre i tempi di pagamento che anzi, a causa della crisi
degli ultimi anni, si sono allungati sempre più. Anche in
materia di lotta alla corruzione, l'approccio del governo
ricorda sempre più quello delle grida di manzoniana memoria.
La legge approvata mercoledì scorso infatti cerca di
chiudere le maglie normative, estendendo la rilevanza penale
e la sanzionabilità anche a quelle figure aziendali che non
hanno rappresentanza esterna ma che sono sottoposte al
controllo degli amministratori e quindi dei vertici
aziendali. Con il rischio concreto di ingessare l'azione
delle aziende che dovranno, quantomeno, ampliare i propri
modelli organizzativi.
Inasprire le pene o allargare l'ambito di applicazione dei
reati rischia però di danneggiare solo chi opera in buona
fede. Non intimorisce certo i corrotti. Che normalmente si
preoccupano di non farsi trovare con le mani nel sacco, non
se e quale sanzione potrà essere loro comminata
(articolo ItaliaOggi Sette del 05.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Saldo
in 30 giorni o interessi top. Cambiano le regole per la p.a..
Il dlgs che dimezza i tempi di
pagamento. Ma lo stock di crediti incagliati è ormai
ingestibile.
Obbligo di saldare le fatture entro uno
o al massimo due mesi e interessi di mora intorno al 10% per
i ritardatari.
Basteranno
queste misure per riportare a un livello fisiologico i tempi
di pagamento della p.a.? Lo scorso 31 ottobre il governo ha
licenziato uno schema di decreto legislativo che recepisce
nel nostro ordinamento la direttiva n. 2011/7/Ue relativa
alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni
commerciali.
Come noto, il problema dei ritardi riguarda soprattutto le
fatture emesse nei confronti di soggetti pubblici, che
spesso costringono i creditori ad aspettare il saldo per
mesi (e nei casi peggiori anni). Tale prassi è purtroppo
molto diffusa nel nostro paese. Secondo le rilevazioni
dell'Ance, la p.a. paga, in media, con un ritardo di 114
giorni, ma in alcuni casi si superano i due anni. Il dato
più allarmante, però, è il continuo peggioramento della
situazione. Complice la crisi economica, mentre nel 2010
circa la metà delle imprese segnalava aumenti nei ritardi,
il dato per il 2011 è salito al 77%. Nella quasi totalità
dei casi (97%), inoltre, gli ultimi 12 mesi non hanno
portato alcun miglioramento.
Tale quadro è confermato da una recente indagine di Confapi,
secondo cui sei pmi su dieci hanno riscontrato, negli ultimi
quattro anni, un allungamento dei tempi medi per i
pagamenti, mentre una su due denuncia ritardi superiori
all'anno. In pratica, quando va bene i tempi di pagamento
rimangono invariati, ma sempre più spesso continuano ad
allungarsi.
Non sorprende, quindi, che negli anni passati si sia
accumulato uno stock di crediti incagliati di proporzioni
impressionanti. La cifra complessiva non è neppure
facilmente verificabile, dato che le attuali regole della
contabilità pubblica non consentono agevolmente di
distinguere, nel coacervo dei «residui passivi» della p.a.,
i debiti veri e propri. In ogni caso, si tratta di un numero
che oscilla fra i 70 e i 100 miliardi di euro. Le imprese
interessate rischiano di cadere in un circolo vizioso da cui
è difficile uscire: i ritardati pagamenti rischiano di
generare irregolarità fiscali (con tutte le conseguenze del
caso) e contributive (che, fotografate nei Durc, impediscono
di accedere a nuove commesse).
Ecco perché sono sempre più diffusi i casi di fallimenti di
imprese «in bonis».
In questo contesto si inserisce il provvedimento varato la
scorsa settimana dal Governo. Come detto, esso è stato
adottato per adeguare il diritto interno alle indicazioni
sempre più stringenti provenienti da Bruxelles, che ha fatto
della repressione dei pagamenti-lumaca un obiettivo
strategico.
Il decreto del Governo corregge il precedente dlgs 231/2002
(anch'esso a suo tempo adottato per recepire una direttiva
europea, la n. 2000/35/Ce) prevedendo due principali novità,
che diventeranno operative per tutte le transazioni
commerciali concluse dal 01.01.2013.
In primo luogo, alle p.a. viene imposto di effettuare i
pagamenti entro un termine molto breve: di norma non si
potranno superare i 30 giorni e solo in casi eccezionali si
potrà arrivare a 60.
In secondo luogo, chi non rispetterà questo timing dovrà
corrispondere alla controparte un interesse molto elevato,
pari al tasso fissato dalla Banca centrale europea
maggiorato dell'8% (al momento, quindi, la soglia si aggira
intorno al 10%). Tale sanzione scatterà in automatico
(ovvero senza necessità di costituzione in mora) dal giorno
successivo alla scadenza del termine.
Si tratta di una disciplina più restrittiva della
precedente, che pure imponeva in via generale di pagare
entro un mese e fissava uno spread elevato (+7%) rispetto al
tasso Bce, ma che consentiva sia stabilire un termine
superiore a quello legale, sia di fissare in diversa misura
il tasso degli interessi dovuti nell'ipotesi di ritardato
pagamento. Sebbene fosse previsto espressamente il divieto
(sanzionato con la nullità parziale) di clausole gravemente
inique per il creditore, spesso quest'ultimo ha stentato ad
ottenere giustizia, perlopiù a causa della mancanza di forza
contrattuale
D'ora in avanti, invece queste deroghe non saranno più
consentite.
Ma sarà sufficiente a correggere una tendenza così radicata
e che affonda le proprie radici nei mali atavici del sistema
pubblico italiano?
Qualche dubbio, al riguardo, è legittimo
(articolo ItaliaOggi Sette del 05.11.2012). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Debiti
commerciali. Obbligo di versamento a 30-60 giorni e tassi
maggiorati per i ritardi solo sui contratti dal 2013.
Il pagamento si scontra col Patto. Via libera al Dlgs sui
termini ridotti - Da gennaio vincoli estesi ai mini-enti.
LE NUOVE REGOLE/ Impossibile inserire clausole che allungano
i tempi, o modificano la data di fattura Obbligo di
riconoscere anche i micro-interessi.
Interessi di mora con tasso Bce
maggiorato dell'8% per i pagamenti oltre il termine e
rimborso obbligatorio delle spese di recupero; sono alcune
delle novità che andranno seguite per i pagamenti dei
contratti stipulati dalle Pa dal 01.01.2013 (non si
estendono retroattivamente ai contratti già conclusi).
Le nuove regole sono arrivate la scorsa settimana, con
l'approvazione del Dlgs di recepimento della direttiva
europea 2011/7/UE del 16.02.2011. L'ambito di applicazione,
come per il Dlgs legislativo 231/2002 con cui il nostro
Paese aveva attuato la precedente direttiva, è riferito alle
transazioni commerciali, cioè ai contratti che comportano la
consegna di merci o la prestazione di servizi contro il
pagamento di un prezzo.
I pagamenti nei contratti stipulati dalla Pa dovranno
prevedere termini di regola non superiori a 30 giorni; che
potranno essere portati al massimo a 60, se le parti
concordano per iscritto e se ciò risulta oggettivamente
giustificato dal contratto o da particolari circostanze.
Per disincentivare i ritardi è previsto l'obbligo di
corrispondere interessi legali di mora, a un tasso minimo
che non può essere inferiore al tasso Bce maggiorato
dell'8%; gli interessi decorrono dal giorno successivo alla
scadenza del termine, senza che sia necessaria la
costituzione in mora.
Fra le conseguenze negative del ritardo è stato inserito
anche il diritto del creditore al risarcimento dei costi
amministrativi e interni di recupero del credito, che sono
forfetizzati in 40 euro, salvo la prova di maggiori costi;
anche questo rimborso, come gli interessi, va corrisposto
senza che sia necessaria la costituzione in mora e
indipendentemente dalla dimostrazione di aver sostenuto
costi.
Sono nulle per legge, senza ammissione di prova contraria in
quanto considerate gravemente inique, le clausole che
escludono l'applicazione di interessi di mora e nei
contratti della Pa la clausola relativa alla
predeterminazione o modifica della data di ricevimento della
fattura. Inoltre si presume gravemente iniqua la clausola
che esclude il risarcimento dei costi di recupero del
credito. Tra le novità viene meno l'esclusione delle
richieste di interessi inferiori a 5 euro. Nei casi di
pagamenti a rate, gli interessi e il risarcimento maturano
dalle singole rate scadute.
La tutela della tempestività dei pagamenti è da tempo
presente negli interventi del legislatore, ed ha già
ispirato numerose misure a carico delle amministrazioni
pubbliche. Va ricordato innanzi tutto l'obbligo imposto a
tutte le Pa di adottare, entro il 31.12.2009 le opportune
misure organizzative per garantire il tempestivo pagamento
delle somme dovute per somministrazioni, forniture e
appalti.
Relativamente al Patto di stabilità, con il cosiddetto visto
di compatibilità monetaria, il funzionario che adotta
provvedimenti con impegni di spesa deve accertare
preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti
sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e
con le regole di finanza pubblica (articolo 9, comma 1, del
DL 78/2009). In sostanza, l'obbligo di verificare la
compatibilità della spesa con i limiti previsti dal Patto è
finalizzato a prevenire l'insorgenza di spese e quindi di
contratti da cui scaturiscano pagamenti non compatibili con
i vincoli del Patto stesso. A ciò si aggiunge la necessità
di programmazione dei pagamenti, altro strumento utile al
raggiungimento degli obiettivi del Patto di stabilità da
parte delle Pa.
Patto di stabilità che dal 01.01.2013 sarà esteso per la
prima volta anche ai Comuni con popolazione compresa fra
mille e 5mila abitanti, ai quali si raccomanda quindi di
adottare da subito, qualora non lo avessero già effettuato,
la programmazione degli incassi e dei pagamenti ed il visto
di compatibilità monetaria, la cui mancanza è fonte di
responsabilità amministrativa.
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I paletti
01 | PATTO DI STABILITÀ
A bloccare i pagamenti è spesso la decisione di impegni di
spesa che poi non trovano capienza nei limiti imposti dal
Patto.
Dal 1° gennaio prossimo i vincoli del Patto di stabilità
saranno estesi ai Comuni fra mille e 5mila abitanti.
02 | RESPONSABILITÀ
Le norme impongono ai funzionari di non firmare atti di
spesa che non trovino capienza nei limiti ai pagamenti
consentiti dal Patto di stabilità.
03 | PROGRAMMAZIONE
Obbligatoria per tutti la definizione di un piano dei
pagamenti che rispetti il Patto
(articolo Il
Sole 24 Ore del 05.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
SEGRETARI
COMUNALI: Anticorruzione.
Modifiche al Tuel. Revoca del segretario soggetta a
verifica.
Le disposizioni approvate in via definitiva dalla Camera
sulla repressione della corruzione vedono il segretario
comunale come soggetto chiamato ad assolvere, negli enti
locali, le funzioni di responsabile della prevenzione della
corruzione attribuendogli precise funzioni (tra le altre, la
predisposizione del piano triennale di prevenzione della
corruzione e la vigilanza sulla sua attuazione) e ampie
responsabilità di natura disciplinare e erariale in caso di
omissione di controllo.
Quello che emerge dalla disciplina è però il fatto che a
fronte di queste ulteriori funzioni di garanzia e controllo
e delle responsabilità previste, nessuna garanzia
sostanziale è prevista per il segretario comunale: È
semplicemente aggravata la procedura di revoca prevista
dall'articolo 100 del Tuel (Dlgs 267/2000), prevedendo che
il provvedimento di revoca del sindaco per gravi violazioni
d'ufficio sia comunicato tramite il prefetto all'autorità
nazionale anticorruzione, che entro 30 giorni vaglierà se la
revoca si ricolleghi o meno alle attività anticorruzione
svolte dal segretario. Trascorso il termine senza obiezioni
da parte dell'autorità, la revoca del segretario diventerà
efficace.
Si tratta di una garanzia blanda, più formale che
sostanziale, dato che a oggi i casi di revoca dei segretari
in base all'articolo 100 del Tuel sono sporadici.
Il provvedimento quindi nulla prevede su maggiori garanzie,
sia nella nomina, sia nella non conferma del segretario,
auspicate dall'apposita commissione ministeriale ma
soprattutto da settori della categoria, in considerazione
del fatto che la nomina fiduciaria e lo spoil sistem
automatico, mal si conciliano con le sempre più ampie
funzioni di controllo e garanzia che sono assegnate ai
segretari.
Si pensi infatti alle funzioni di controllo e garanzia
previste sia nel provvedimento anti corruzione, sia nel
decreto legge 174/2012 in materia di controlli sugli enti
locali
(articolo Il
Sole 24 Ore del 05.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Le
scadenze. Le materie sottoposte da gennaio all'obbligo di
gestione associata.
Piccoli Comuni insieme anche per l'urbanistica. La spending
review ha «liberato» dalle limitazioni i segretari.
La gestione della segreteria comunale
non rientra tra le funzioni fondamentali che i piccoli
Comuni devono gestire necessariamente in forma associata,
mentre gli strumenti urbanistici dovranno essere adottati in
modo unitario.
Con i correttivi portati dal Dl 95/2012 si definisce il
quadro normativo delle gestioni che i Comuni fino a 5mila
abitanti devono mettere in cantiere in queste settimane
perché siano operative dal 1° gennaio prossimo. Regole che
si aggiungono al superamento del vincolo per i Comuni al di
sotto dei mille abitanti di dare corso alla gestione
associata di tutte le attività e alla spinta a fare ricorso
alle convenzioni rispetto alle Unioni.
Senza dimenticare che entro la fine di marzo in questi
centri le gare di lavori pubblici, di beni e di forniture
dovranno essere realizzate dalle centrali uniche di
committenza e non più dalle singole amministrazioni: è
questo un vincolo che si applica anche alle attività che i
singoli Comuni potranno continuare a svolgere da soli.
Il passaggio da un'individuazione delle attività che i
piccoli Comuni devono gestire insieme basata sui capitoli di
bilancio a una che assume una logica istituzionale è assai
corretto in termini di impostazione e di efficienza, ma pone
problemi di prima applicazione. Si passa, in primo luogo,
dalle attività generali, di amministrazione e controllo per
almeno il 70% della spesa corrente all'organizzazione
generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e
contabile e controllo.
La norma precedente imponeva di mettere insieme almeno il
70% della spesa del personale, della ragioneria e dei
compiti generali, ambito in cui rientrava la segreteria
comunale, che quindi doveva essere gestita in modo unitario
salvo il caso in cui il Comune avesse deciso di considerarla
compresa tra la quota di spesa esclusa. Adesso si resta
nell'ambito dell'organizzazione generale di queste attività,
con una specifica attenzione al settore finanziario. La
limitazione alla organizzazione generale determina come
conseguenza che non è indispensabile mettere insieme le
segreterie nell'ambito della gestione unitaria della
funzione.
Considerazioni analoghe si devono fare anche per
l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale
di ambito comunale. La norma non obbliga i piccoli municipi
a mettere insieme la gestione dei servizi idrici, di
distribuzione del gas, dei trasporti pubblici locali, ma a
dettare in modo unitario le regole fondamentali. Mentre
devono mettere insieme, per esplicita indicazione, la
gestione del servizio rifiuti, insieme alla riscossione dei
relativi tributi.
È rilevante la scelta del Dl 95 di imporre la gestione
associata della pianificazione urbanistica ed edilizia di
ambito comunale, mentre in precedenza ci si riferiva
solamente al governo del territorio e dell'ambiente. Questa
scelta determina che sia gli strumenti urbanistici sia
quelli edilizi saranno gestiti in forma associata; anche il
rilascio dei permessi edilizi dovrebbe quindi essere gestito
in forma associata. Queste scelte confermano che i compiti
più importanti che i piccoli Comuni potranno continuare a
gestire da soli sono i lavori pubblici, ambito che con il Dl
95 si estende anche alla viabilità
(articolo Il
Sole 24 Ore del 05.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Modelli organizzativi. Le resistenze. La
convenzione salva il personale.
La realizzazione della gestione associata delle funzioni
fondamentali da parte dei piccoli Comuni determina un primo,
certo, risparmio nella diminuzione del numero dei
responsabili, e quindi della relativa spesa. Il che sta già
provocando ostilità dei vertici burocratici di questi enti
verso la concreta applicazione della gestione associata,
ostilità che si aggiunge a quella che serpeggia tra tutto il
personale dei piccoli Comuni, preoccupato di dovere mutare
sede e datore di lavoro.
Infatti se fino a oggi tre Comuni gestivano la polizia
locale ed avevano ognuno il proprio responsabile che godeva
quindi delle indennità di posizione e di risultato,
con la gestione associata il responsabile non
potrà che essere uno solo e l'indennità una sola.
Questo effetto sarà prodotto sia nel caso di unioni che in
quello delle convenzioni.
Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti del
Piemonte (parere
30.08.2012 n. 287) e della Lombardia (parere
08.10.2012 n. 426) hanno già chiarito che
non è possibile prevedere più responsabili per la
stessa funzione nel caso di gestione associata.
In caso di realizzazione della gestione associata tramite
l'unione i Comuni dovranno trasferire definitivamente a
questo soggetto i dipendenti impegnati nello svolgimento di
questa attività e cancellare i posti dalla propria dotazione
organica.
Conseguenze a cui la gran parte del personale guarda con
sfiducia perché si ritiene che l'unione sia un datore di
lavoro meno certo. Mentre nel caso delle convenzioni è
sufficiente la semplice assegnazione funzionale: si rimane
dipendenti del Comune e i posti non vengono cancellati dalla
dotazione organica. Il che è una delle ragioni che
incentivano la gestione associata attraverso la convenzione.
In molte realtà, inoltre, la sede di lavoro potrebbe essere
modificata.
Se aggiungiamo che non è prevista alcuna forma di
incentivazione, cui invece si può dare corso solamente nel
caso di utilizzo in parte alle dipendenze del Comune ed in
parte alle dipendenze della gestione associata, l'ostilità
della gran parte del personale si accresce. Il che
costituisce uno degli ostacoli di maggiore rilievo al
successo della gestione associata
(articolo Il
Sole 24 Ore del 05.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti
e arbitrato, l'anticorruzione è un passo indietro.
Il Ddl anticorruzione approvato, in via definitiva, dal
Senato torna a occuparsi dell'arbitrato negli appalti
pubblici, regolato dall'articolo 241 del Codice degli
appalti. Il disegno di legge non sembra andare però nella
giusta direzione per favorire il buon successo
dell'arbitrato a tutela tanto della stazione appaltante e
dell'impresa aggiudicataria, troppo prigioniero di un'ottica
di controllo della Pa e di contenimento di costi.
In primo luogo il Ddl propone che l'arbitrato debba essere
previamente e motivatamente autorizzato dall'organo di
governo dell'amministrazione a pena di nullità. Il Dlgs
53/2010 aveva già riformato l'articolo 241 introducendo un
obbligo per la stazione appaltante di indicare fin dal bando
di gara se il contratto conterrà la clausola compromissoria,
sempre a pena di nullità dell'arbitrato. Ancora, era stato
inserito il divieto di stipulare un compromesso ad hoc per
la soluzione di controversie già insorte tra Pa e
aggiudicatario. A soli due anni dalla riforma, oggi neppure
l'indicazione obbligatoria della clausola compromissoria fin
dal bando di gara e il divieto di compromesso sembrano
sufficiente garanzia di trasparenza, dovendo sussistere
l'ulteriore elemento della previa e motivata autorizzazione
dell'organo di governo dell'amministrazione.
È un segno del
permanere di una diffidenza verso l'arbitrato, che però può
travolgere l'affidamento che il terzo ripone nell'esistenza
di una valida clausola compromissoria, qualora risulti a
posteriori che un atto interno della Pa, volto a fornire la
previa e motivata autorizzazione, fosse carente o viziato.
L'arbitrato dovrebbe invece essere visto come una forma di
risoluzione delle controversie nell'interesse di entrambe le
parti, perché operante su un piano di parità, e in cui anche
la parte privata sceglie l'arbitrato come forma di garanzia
ulteriore in una controversia contro una parte pubblica.
Così è negli arbitrati di investimento tra Stati e
investitori privati e così è, in generale, negli altri paesi
europei.
Altro tema sensibile sono le nomine degli arbitri e dei
compensi. Anche qui era intervenuto il Dlgs 53, rafforzando
le garanzie a tutela della terzietà degli arbitri e
introducendo un tetto per i compensi. L'articolo 241 prevede
oggi che il presidente del collegio deve avere «precipui
requisiti di indipendenza» e non avere esercitato
nell'ultimo triennio funzioni di arbitro di parte o di
difensore in giudizi arbitrali in materia di appalti
pubblici (a eccezione dei casi in cui l'esercizio della
difesa sia dovere d'ufficio del difensore dipendente
pubblico), e che anche gli arbitri di parte non possano aver
avuto alcun coinvolgimento nella materia del contendere. Il
Dlgs 53 ha poi introdotto un compenso massimo per l'intero
collegio arbitrale, incluso il segretario, di 100 mila euro.
Con il Ddl anticorruzione si ritiene che queste garanzie non
siano più sufficienti, ma da un lato si dice che la nomina
deve avvenire «nel rispetto dei principi di pubblicità e di
rotazione», dall'altro si specifica che se la controversia è
tra due Pa, gli arbitri di parte possono essere solo
dirigenti pubblici, mentre se è tra una Pa e un privato,
l'arbitro nominato dalla Pa deve essere scelto
preferibilmente tra i dirigenti pubblici. Ci pare che il
funzionario pubblico mal potrebbe sottrarsi all'indicazione
"preferenziale" del legislatore, con il paradosso che
l'arbitro di nomina della Pa sarebbe perlopiù un dirigente
pubblico e quindi molto poco terzo, e con una prevedibile
compressione anche del principio di rotazione.
Ancora, il Ddl prevede che la Pa debba stabilire, a pena di nullità
della nomina, il compenso massimo per l'arbitro dirigente
pubblico e che l'eventuale differenza tra l'importo
spettante agli altri arbitri e quello massimo stabilito per
il dirigente è acquisita al bilancio della stazione
appaltante.
Il quadro è quindi quello di nomine da parte
della Pa sempre di dirigenti pubblici, con compensi più
bassi di quelli degli altri arbitri e con un incameramento
da parte della Pa della differenza. Difficile però che possa
operare in maniera equilibrata un collegio arbitrale in cui
un arbitro, per definizione di nomina della Pa, abbia un
compenso inferiore rispetto agli altri.
L'esigenza di controllare la procedura e di contenere i
costi sembra non sposarsi con quella di migliorare
l'efficacia del ricorso all'arbitrato
(articolo Il Sole 24 Ore del 04.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Nuove province, rebus
funzioni.
I compiti trasferiti rischiano di far collassare regioni e
comuni. Non sono state ancora
definite le prerogative che passeranno di mano. Col rischio
che nulla cambi.
Resta ancora irrisolto il nodo della titolarità delle
funzioni provinciali. Da un lato il governo non è ancora
riuscito a fissare quali siano quelle attribuite alle
province con leggi dello stato attinenti alla potestà
legislativa esclusiva statale, mancando clamorosamente il
termine dello scorso 5 settembre, entro il quale un dpcm
avrebbe dovuto individuarle, per assegnarle ai comuni.
Dall'altro, il decreto di riordino cerca di chiarire meglio
la sorte delle funzioni provinciali, attribuite alle
province da leggi regionali.
A questo scopo, si introduce nell'articolo 17 del dl
95/2012, convertito in legge 135/2012, un nuovo comma
10-bis, che colma un vuoto francamente clamoroso della
disciplina di riordino provinciale.
Infatti, sebbene le regioni fossero state onerate del
compito di rivedere le funzioni attribuite alle province,
non era stato chiarito esattamente il percorso.
Il nuovo comma 10-bis dell'articolo 17 della spending review
dispone, dunque che nelle materie di cui all'articolo 117,
commi terzo e quarto, della Costituzione (cioè nell'ambito
della potestà legislativa concorrente e residuale) le
regioni dovranno trasferire con propria legge ai comuni le
funzioni già conferite alle province dalla normativa
vigente.
Tuttavia, le regioni, dispone la norma, potranno decidere
diversamente. Qualora ritengano necessario assicurare un
esercizio unitario e non polverizzato tra molteplici enti,
potranno acquisire esse stesse le funzioni a suo tempo
attribuite alle province.
Il percorso, tuttavia, per la ridefinizione delle funzioni
regionali appare piuttosto complesso ed accidentato (come
del resto per le altre funzioni provinciali non qualificate
come fondamentali).
Infatti, il decreto sul riordino precisa che insieme con le
funzioni debbono essere trasferiti ai comuni (o riacquisiti
dalle regioni) le risorse umane, finanziarie e strumentali.
Questa è una previsione corretta, che rischia, tuttavia, di
bloccare sul nascere il percorso di riforma. Infatti,
moltissime funzioni assegnate alle province anche dalle
regioni, a suo tempo in base al dlgs 112/1998, non sono mai
state finanziate dalle regioni medesime.
Nei bilanci provinciali, pertanto, non vi è alcuna traccia
di un collegamento tra l'esercizio delle competenze svolte e
i finanziamenti regionali. Il che significa che, in realtà,
le province le hanno svolte attingendo alle entrate proprie,
prevalentemente, dunque, i trasferimenti statali, le imposte
sulla trascrizione delle vendite degli autoveicoli e le
addizionali.
In assenza, allora, di un riordino della finanza locale e
regionale, sia i comuni, sia le regioni che si vedano
piovere addosso le funzioni provinciali rischiano non solo
di ritrovarsi senza le necessarie dotazioni di personale, ma
anche senza fonti di finanziamento.
Si pensi ai servizi sociali delle province, che in molte
regioni assicurano il supporto socio-educativo ai disabili
sensoriali. Pochissimi dipendenti provinciali (due, tre)
lavorano su servizi estremamente costosi, che richiedono
l'operato di lettori-ripetitori, che aiutano gli allievi a
studiare a scuola e a casa, con un servizio dedicato. Spesso
si tratta di appalti del valore di milioni, mai finanziati
dalle casse regionali.
Il governo, comunque, pare essere consapevole della
difficoltà estrema di modificare l'assetto delle competenze
provinciali, perché il nuovo comma 10-bis afferma che nelle
more del trasferimento delle risorse necessarie, le funzioni
provinciali restano conferite alle province. Senza nemmeno
prevedere un termine entro il quale le regioni dovrebbero
completare l'opera di trasferimento delle funzioni.
Come dire, insomma, che le competenze provinciali potrebbero
non cambiare mai, in barba agli intenti di riorganizzazione
ed economia di scala enunciati.
D'altra parte, il decreto non può ovviamente modificare
quanto prevede l'articolo 118, comma 2, della Costituzione,
ai sensi del quale «i comuni, le province e le Città
metropolitane sono titolari di funzioni amministrative
proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale,
secondo le rispettive competenze». Dunque, in ogni caso le
regioni possono riattribuire alle province funzioni che il
decreto vuole si assegnino ai comuni o siano da esse avocate
(articolo ItaliaOggi del 03.11.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Il
caso dell'impiegato in soprannumero al Comune di Carnago. La
spending review mette il geometra in disponibilità.
Avvio del procedimento di «messa in
disponibilità» per un geometra, capo dell'ufficio tecnico
del comune di Carnago (Varese). La misura già prevista, dal
2001, è applicata ora in considerazione del taglio alle
dotazioni organiche contenuto nella spending review.
Continua a far discutere la notizia della messa in
disponibilità del funzionario del comune di Carnago
(Varese), con i sindacati che hanno chiesto al sindaco un
immediato ripensamento. Mentre il diretto interessato ha
presentato ricorso chiedendo la reintegra (e 265mila euro di
risarcimento danni).
La vicenda nasce dall'applicazione dell'articolo 16 della
legge di stabilità 2012 (legge n. 183 del 2011) che,
novellando l'articolo 33 del Dlgs 165 del 2001, stabilisce
come le amministrazioni pubbliche che hanno situazioni di
soprannumero o eccedenze di personale possano collocare in
disponibilità il personale che non sia impiegabile
diversamente. In questi casi, dalla data di collocamento in
disponibilità, prevede ancora la legge, restano sospese
tutte le obbligazioni inerenti il rapporto di lavoro. E il
lavoratore ha diritto a un'indennità pari all'80% dello
stipendio e dell'indennità integrativa speciale per la
durata massima di 24 mesi (i periodi di godimento
dell'indennità sono comunque riconosciuti ai fini della
determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e
della misura della stessa).
Il geometra in questione ha diretto per circa 10 anni
l'ufficio tecnico del comune di Carnago, e, riferiscono
fonti sondacali, è stato collocato in disponibilità dopo
essere stato "messo all'angolo" sul lavoro. La
procedura della messa in disponibilità è prevista dal 2001,
e non si tratta di un licenziamento. Certo «è un'ipotesi
rara. Ma può accadere, specie nelle piccole amministrazioni»,
ha sottolineato il presidente dell'Aran, Sergio Gasparrini.
Questa procedura, poi, prevede anche una comunicazione alla
Funzione pubblica (in modo tale che eventuali altre
amministrazioni in carenza di personale prima di attivare
procedure concorsuali possano richiedere il personale messo
in eccedenza). Ma questa comunicazione, a quanto si
apprende, non sarebbe stata effettuata.
I sindacati lamentano però anche altre violazioni
nell'operato del comune di Carnago, come quella, ha
sottolineato Gianna Moretto (Fp-Cgil di Varese) «che non
ha agito con trasparenza. E, in più, non ha fornito elementi
per giustificare l'esubero di personale». Anzi,
l'amministrazione di Carnago avrebbe una situazione di
carenza di almeno 13 dipendenti nella pianta organica.
Ma la messa in disponibilità del geometra in questione
potrebbe essere legata ai tagli previsti dalla spending
review. Su questo fronte però non sono ancora stati
emanati i decreti con i tagli alle piante organiche (il
termine è scaduto il 31 ottobre). A quanto si apprende
dovrebbero arrivare nelle prossime settimane.
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Messa in disponibilità.
Il
collocamento in disponibilità è previsto dall'articolo 16
della legge di Stabilità 2012, che ha modificato l'articolo
33 del Dlgs 165 del 2001. Con la messa in disponibilità il
lavoratore pubblico vede sospese tutte le obbligazioni
inerenti al rapporto di lavoro. Ma percepisce una indennità
pari all'80% dello stipendio e dell'indennità integrativa
speciale per la durata massima di 24 mesi. La legge prevede
che i periodi di godimento dell'indennità siano riconosciuti
ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla
pensione (e dell'importo)
(articolo Il Sole 24 Ore del 03.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: Integrativo
in pensione, tutto tace. Silenzio sulla possibilità di
applicare il 4% anche alla p.a.. Dal
ministero del lavoro l'apertura, ma dall'economia nessun
segnale dopo oltre un mese.
Un mese senza nessun segnale. Questa è la risposta attuale
del ministero dell'Economia alla posizione assunta da Michel
Martone circa la legittimità che i liberi professionisti
applichino il «contributo integrativo» al 4% anche alle
pubbliche amministrazioni. Stiamo parlando dell'opportunità
concreta di aumentare le loro pensioni introdotta dalla
mini-riforma Lo Presti (legge 133/2011) e dal suo
indebolimento dato proprio dal ministero dell'Economia con
una propria interpretazione restrittiva del testo di legge:
i suoi tecnici hanno imposto che il contributo integrativo
rimanga al 2% invece di salire al 4% (o al 5%) nel caso in
cui la richiesta di parcella del libero professionista sia
diretta a comuni, regioni, Asl e così via.
La posizione dell'Economia è frutto di soggettiva
interpretazione di una clausola di salvaguardia prevista
effettivamente nel testo di legge Lo Presti, che esorta a
varare provvedimenti «senza maggiori oneri per la finanza
pubblica», paventando una necessaria politica di
controllo della spesa. Il monito contenuto
nell'interpretazione del ministero non ha nulla a che
vedere, però, con lo spirito del provvedimento, dato che
negare di innalzare il contributo al 4%, contrariamente a
quanto invece fanno già molti liberi professionisti di altri
ordini professionali, significa discriminare solo alcune
categorie malcapitate, tra cui biologi, psicologi, periti
industriali e tanti altri. Inoltre una simile
interpretazione contraddice la volontà stessa del
legislatore, come risulta dagli atti preparatori al testo.
Il viceministro del Welfare, tagliando la testa al toro,
aveva sottolineato come non fosse giusto impedire solo ad
alcuni liberi professionisti ciò che è permesso ad altri,
dato che un simile atteggiamento si macchierebbe in ogni
caso di incostituzionalità. Rispondendo all'interrogazione
parlamentare urgente proposta proprio da Antonino Lo Presti
(Fli), Martone invitava il ministero dell'Economia ad un
ripensamento della posizione assunta che non trovava
fondamento: invece ad oggi nessuna risposta.
Ovviamente la questione coinvolge immediatamente non solo
gli interessi delle Casse di previdenza, ma prima di tutto i
diritti previdenziali dei liberi professionisti iscritti.
Minore contribuzione integrativa si traduce, infatti, in
minori disponibilità economiche da poter ridistribuire sulle
future pensioni in un clima di sostanziale disparità e con
un mercato del lavoro abbastanza statico. Invece la legge Lo
Presti è chiarissima e si rivolge indistintamente alla
collettività, non operando distinzione tra cliente pubblico
e privato.
E in uno Stato di diritto in cui la certezza della norma è
un pilastro, un ritardo, o meglio, il protrarsi della una
presa di posizione da parte dell'Economia senza aperture al
confronto non appare assolutamente giustificabile
(articolo ItaliaOggi del 02.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Pagamenti della p.a. in 30
giorni.
Termine estensibile a 60 giorni. E valido anche tra imprese.
Il decreto approvato dal Consiglio dei ministri pronto per
approdare in Gazzetta Ufficiale.
Conto salato per la pubblica amministrazione in ritardo con
i pagamenti: gli interessi sono pari al tasso Bce aumentato
di 8 punti. E di regola l'amministrazione deve pagare in
trenta giorni, derogabili, ma solo fino a sessanta giorni.
Lo schema di decreto legislativo sui ritardi di pagamento,
approvato il 31 ottobre dal Consiglio dei ministri,
recepisce la direttiva n. 2011/7/Ue, del 16.02.2011,
del Parlamento europeo e del Consiglio, e riscrive il
decreto legislativo n. 231/2002, creando un doppio binario:
da un lato le transazioni tra imprese e dall'altro quelle in
cui il debitore è un ente pubblico o equiparato.
Vediamo le
principali novità.
TASSO. Il tasso degli interessi legali moratori viene alzato
di un punto. Passa da sette a otto punti percentuali lo
spread da aggiungere al tasso fissato da Bce.
ESCLUSIONI. La normativa si applica anche alle richieste di
interessi inferiori ai 5 euro. Non si applicherà, invece, ai
debiti oggetto di procedure finalizzate alla
ristrutturazione del debito.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Viene definita riprendendo la
nozione di amministrazione aggiudicatrice del codice degli
appalti (dlgs 163/2006): vi rientrano, quindi, anche
soggetti di diritto privato tenuti al rispetto della
disciplina sui contratti pubblici.
TERMINI DI PAGAMENTO TRA PRIVATI. Il termine di pagamento,
se non diversamente stabilito nel contratto, è di trenta
giorni. Le parti possono stabilire contrattualmente un
diverso termine di pagamento che non deve, di regola,
superare i sessanta giorni; può essere, però, superiore, se
concordato in forma espressa e non gravemente iniquo per il
creditore.
TERMINI DI PAGAMENTO A CARICO DELLA P.A. Per i contratti in
cui il debitore è una pubblica amministrazione, il termine
di pagamento, di regola, è non superiore a trenta giorni. Si
può fissare un termine legale di pagamento fino a un massimo
di sessanta giorni in due casi: per le imprese pubbliche
(che svolgono attività economiche di natura industriale o
commerciale, offrendo merci o servizi sul mercato) e per gli
enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria. Le parti
possono concordare, in forma espressa, un termine superiore
a trenta giorni, se oggettivamente giustificato dalla natura
o dall'oggetto del contratto o da particolari circostanze
esistenti al momento della conclusione dell'accordo, ma
comunque non superiore a sessanta giorni.
VERIFICA MERCI. La durata massima delle procedure di
accettazione o di verifica delle merci e dei servizi non può
superare, di norma, trenta giorni.
RATE. Interessi e risarcimento devono essere calcolati
esclusivamente sulle singole rate scadute.
INTERESSI DI MORA TRA PRIVATI. Per i contratti tra imprese
devono essere corrisposti «interessi moratori», che sono
interessi legali di mora (tasso Bce più 8%) o interessi a un
tasso concordato tra le imprese.
INTERESSI DI MORA A CARICO DELLA P.A. Per i rapporti tra
imprese e pubblica amministrazione, è previsto l'obbligo di
corrispondere interessi legali di mora, e cioè interessi ad
un tasso che non può essere inferiore al tasso legale (tasso
Bce maggiorato dell'8%).
RECUPERO SPESE. Sono dovuti 40 euro fissi, come rimborso dei
costi amministrativi ed interni di recupero del credito: la
somma si cumula agli interessi di mora, è dovuta senza che
sia necessaria la costituzione in mora e indipendentemente
dalla dimostrazione dei costi. In ogni caso è salva la prova
di maggiori costi sostenuti.
CLAUSOLE NULLE. La nuova direttiva codifica la grave
iniquità da cui deriva la nullità delle clausole
contrattuali. Nel recepire la direttiva, lo schema di
decreto prevede che sono nulle, se gravemente inique, le
clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli
interessi moratori e al risarcimento dei costi di recupero.
La legge considera automaticamente gravemente inique, senza
ammettere prova contraria, le clausole che escludono il
diritto al pagamento degli interessi di mora e quelle
relative alla data di ricevimento della fattura.
Sono
presunte gravemente inique (e quindi possibile la prova
contraria) le clausole che escludono il risarcimento dei
costi di recupero. In caso di nullità, si verifica la
sostituzione automatica delle clausole invalide con la
disciplina legislativa. Sono nulle anche le clausole
relative alla data di ricevimento della fattura, al fine di
escludere che attraverso simili accordi si eluda la
perentorietà del termine di pagamento.
SUBFORNITURA. Viene innalzato il tasso degli interessi
legali di mora: la maggiorazione del tasso di riferimento
(tasso applicato dalla Bce nelle sue più recenti operazioni
di rifinanziamento) passa da sette ad otto punti
percentuali.
DECORRENZA. La nuova disciplina (si veda altro articolo in
pagina) si applicherà alle transazioni commerciali concluse
a partire dal 01.01.2013, in anticipo rispetto alla
scadenza prevista dalla normativa Ue di riferimento (16.03.2013). Quindi la nuova disciplina non si applica
retroattivamente ai contratti già conclusi, ma soltanto a
quelli stipulati a partire dal 01.01.2013. I
destinatari delle nuove norme hanno, dunque, tempo per
adeguare la modulistica contrattuale e le procedure interne
di pagamento.
---------------
Tempi brevi anche per gli appalti. E interessi salati per tutti.
Il termine di pagamento a 30 giorni che dal 1° gennaio le
pubbliche amministrazioni dovranno rispettare verso i
fornitori di beni e servizi si applicherà anche a tutti gli
appalti.
Lo rivelano a ItaliaOggi fonti del ministero degli
affari europei, guidato da Enzo Moavero Milanesi. Dunque,
dal 01.01.2013 i termini di pagamento previsti (30
giorni estensibili a 60 nel caso in cui il debitore sia
un'impresa pubblica, un'Asl e un ospedale) e gli interessi
connessi (8 punti percentuali più il tasso legale Bce)
dovranno essere rispettati per ogni genere di fornitura di
beni e servizi. Lavori pubblici inclusi.
È quanto prevede il
decreto legislativo, che recepisce nell'ordinamento italiano
la direttiva europea sui ritardati pagamenti nelle
transazioni commerciali (2011/7/Ue del 16.02.2011),
approvato in via definitiva il 31 ottobre dal Consiglio dei
ministri, in anticipo rispetto alla scadenza fissata a marzo
2013.
La delega, frutto di un'attività di coordinamento
svolta dal ministero di Moavero, è immediatamente esecutiva;
non prevede cioè il passaggio dalle commissioni
parlamentari. Il dlgs è ora al vaglio del Quirinale e, salvo
rilievi, dovrebbe andare in G.U. la prossima settimana.
Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, tra i ministeri
proponenti non comparirà lo Sviluppo economico. La
motivazione è formale. La delega infatti non prevedeva alcun
ruolo esplicito per il dicastero guidato da Corrado Passera.
Altro nodo sostanziale è la convivenza tra il dlgs che
recepisce la direttiva pagamenti e l'art. 62 del decreto
liberalizzazioni (1/2012), che impone alle transazioni tra
privati tempi di pagamento certi (30 giorni per le merci
deperibili e 60 giorni per i prodotti non deperibili) e
contratti di fornitura scritti e firmati da entrambi i
contraenti, per le forniture di prodotti agroalimentari.
Fonti delle politiche europee chiariscono che la direttiva
Ue non entra nel merito dei rapporti tra imprese e lascia
libertà ai privati di accordarsi sui tempi diversi di
pagamento, salvo che termini e interessi concordati non
siano iniqui per il creditore. Stessa cosa fa il dlgs
attuativo. Di conseguenza, tra le due normative non c'è
conflitto.
E in Italia si applica quanto deciso dal
parlamento col decreto Liberalizzazioni. Infine, per quanto
riguarda la possibilità di far certificare i crediti già
vantati dalle imprese verso le pubbliche amministrazioni
(processo in itinere) e di incassare pagamenti a mezzo di
Certificati di credito del Tesoro (Cct), il dicastero delle
politiche europee chiarisce che la misura riguarda
soprattutto il passato, ma non esclude una sua eventuale
applicazione anche in futuro. Qualora dovessero verificarsi
analoghe situazioni di difficoltà nei pagamenti delle p.a..
L'obiettivo, ovviamente, è che per i contratti di fornitura
di beni e servizi, stipulati dal 01.01.2013 in poi, i nuovi
termini di pagamenti a 30 giorni consentano di superare tali
sofferenze. Resta, in ogni caso, esclusa ogni ipotesi di
retroattività della direttiva pagamenti al debito in essere (articolo ItaliaOggi del
02.11.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Rimborsi
spese dei politici assoggettati all'Iperf. Question time in
commissione finanze della camera.
Rimborsi spese dei titolari di cariche elettive pagano
l'Irpef.
A seguito di un'interrogazione formulata da
Francesco Barbato, Idv, che chiedeva chiarimenti «in merito
al trattamento fiscale applicabile alle somme corrisposte a
titolo diverso dai rimborsi spese dai gruppi politici,
costituiti presso le assemblee elettive a livello
parlamentare o locale, ai loro componenti», Vieri Ceriani,
sottosegretario al ministero dell'economia in commissione
finanze alla Camera, ha precisato che le somme erogate da
soggetti diversi dalle assemblee elette (parlamento,
assemblee regionali, consigli provinciali e comunali) devono
essere assoggettati a Irpef. Anche se si tratta di rimborsi
spese.
Ciò in ossequio al combinato disposto degli art. 50,
comma 1, lett. g) e 52, comma 1, lett. b) del Tuir, dal
quale si evince che non la «non imponibilità» Irpef dei
rimborsi in questione spetta soltanto per le somme erogate
direttamente ai componenti dei collegi «dagli organi
competenti a determinare i trattamenti dei soggetti stessi»,
vale a dire dalle diverse assemblee elette, competenti a
determinare i criteri di riparto e le spese rimborsabili.
Va da sé che le somme ricevute dai parlamentari (o dai
consiglieri regionali, provinciali e comunali), direttamente
dai gruppi politici, ancorché a titolo di rimborso spese a
piè di lista, dovranno comunque essere assoggettate a Irpef
in relazione allo specifico rapporto intercorrente tra il
soggetto erogatore (il gruppo politico) e il percipiente (il
parlamentare o il consigliere).
Immobili di interesse storico artistico con doppia riduzione
Irpef. Il corrispettivo spettante per la locazione a canone
convenzionato di immobili di interesse storico o artistico,
gode di una doppia riduzione ai fini Irpef. Dall'anno
d'imposta 2012, infatti, il canone di locazione sarà prima
ridotto del 35% e sul risultato così ottenuto spetterà
un'ulteriore detrazione del 30%. In altri termini il reddito
del fabbricato che concorrerà alla determinazione del
reddito complessivo Irpef sarà pari al 45,5% del canone di
locazione pattuito.
Lo ha precisato al question time di
mercoledì scorso Vieri Ceriani in risposta a un quesito
volto a conoscere se il reddito imponibile, determinato ai
sensi dell'art. 37, comma 4, del Tuir vada ulteriormente
ridotto del 30%, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, della
legge n. 431/1998, qualora il fabbricato riconosciuto di
interesse storico o artistico sia concesso in locazione a
canone convenzionato.
Il Mef, dopo avere ricordato che
l'ulteriore detrazione del 30% spetta qualora l'unità
immobiliare sia concessa in locazione a canone
convenzionale, sulla base di appositi accordi definiti in
sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e
le organizzazioni dei conduttori, ha significato che
l'agevolazione riguarda anche i redditi derivanti dalla
locazione di immobili di interesse storico o artistico che
siano ubicati in comuni cosiddetti ad alta densità abitativa
e siano locati con contratti stipulati o rinnovati ai sensi
del comma 3 dell'art. 2 della legge n. 431/1998 .
Tares senza differimenti. L'entrata in vigore della Tares,
il nuovo tributo che dal prossimo anno andrà a sostituire la
Tarsu, la Tia1 e la Tia 2, non può essere differito in
quanto rientra nell'ambito di una manovra di finanza
pubblica più vasta e complessa. Il sottosegretario Ceriani
ha ritenuto ininfluente, al fine dell'avvio del nuovo
prelievo, la mancata emanazione del regolamento con il quale
i competenti ministeri, entro il 31/10/2012, avrebbero
dovuto stabilire i criteri per l'individuazione del costo
del servizio di gestione dei rifiuti e per la determinazione
della tariffa. Trattandosi di un termine ordinatorio Vieri
Ceriani precisa che nelle more dell'adozione sarà comunque
possibile introdurre la Tares applicando le disposizioni del
dpr n. 158/1999 (recante il cosiddetto «metodo
normalizzato»).
Per quanto concerne invece la riscossione la
cui tariffa se avente natura corrispettiva sarà effettuata
dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei
rifiuti urbani, mentre, in ogni caso, la maggiorazione (da
30 a 40 cent di euro per ogni mq) potrà essere incassata
solo dal comune, il Mef, dopo aver precisato che la distinta
modalità di riscossione trova il suo fondamento nella
circostanza che detta tariffa ha natura corrispettiva,
mentre la maggiorazione ha natura tributaria, si è comunque
dichiarato disposto a valutare l'opportunità di evitare lo
sdoppiamento della modalità di riscossione, prevedendo, ad
esempio, che la citata maggiorazione sia riscossa dallo
stesso affidatario del servizio rifiuti il quale dovrà poi
contestualmente riversarla al comune (articolo ItaliaOggi del
02.11.2012). |
ENTI LOCALI:
Province, 56.000
posti a rischio.
Gli accorpamenti non garantiscono il mantenimento del lavoro.
Il decreto legge del governo è chiaro: si terrà conto
dell'effettivo fabbisogno. Esuberi in vista.
A rischio 56.000 dipendenti provinciali. Contrariamente a
quanto ha sempre asserito il governo, il «riordino» delle
province non garantisce affatto il mantenimento delle
posizioni lavorative dei lavoratori impiegati nelle
province, per i quali, al contrario, si avvia un percorso
incertissimo, sia sulla destinazione lavorativa, sia sulla
stessa possibilità di proseguire il rapporto di lavoro.
Tutte le province istituite ex novo, per effetto degli
accorpamenti, dovranno gestire il passaggio diretto dei
dipendenti.
Il decreto legge disciplina questa fase delicatissima in
modo a dir poco confuso.
Infatti, prevede che il passaggio avvenga nel rispetto della
disciplina prevista dall'articolo 31 del dlgs 165/2001.
Ma questa norma, non ha nulla a che vedere con la
fattispecie, in quanto è finalizzata a regolamentare il
passaggio dei dipendenti pubblici verso soggetti pubblici o
privati, costituiti per effetto di esternalizzazioni. C'è un
ente di provenienza e un ente di destinazione.
Nel caso, invece, delle nuove province, vi è un ente
neocostituito, nel quale ne confluiscono due. Non è
un'esternalizzazione, ma una fusione. In effetti, manca
completamente una disciplina che regolamenta simile
evenienza.
Il decreto prevede un esame congiunto tra le amministrazioni
provinciali interessati e i sindacati, per individuare
criteri e modalità condivisi. In assenza, le nuove province
adotteranno comunque gli atti necessari per il passaggio di
ruolo dei dipendenti.
Tuttavia, precisa il decreto, «le relative dotazioni
organiche saranno rideterminate tenendo conto dell'effettivo
fabbisogno». Dunque, non si dà affatto per scontato che le
nuove province assorbiranno l'intera dotazione di personale
di quelle che vi confluiscono.
Occorrerà ridefinire i fabbisogni e l'obiettivo, non
dichiarato esplicitamente, è quello di individuare casi di
personale in esubero.
Comunque, a maggior chiarimento, il decreto lascia ferma
l'applicazione della disciplina contenuta nell'articolo 16,
comma 8, della legge 135/2012, che rinvia a un dpcm, per la
fissazione dei criteri di virtuosità in base ai quali gli
enti locali saranno tenuti a dichiarare esuberi di
personale.
Il decreto precisa che l'esame congiunto con i sindacati
dovrà essere attivato anche ai processi di mobilità
conseguenti all'applicazione dell'articolo 17, commi 8 e
10-bis (introdotto dal decreto sul riordino), della legge
135/2012, in conseguenza del passaggio delle funzioni
provinciali verso i comuni, evento che interesserà non solo
le province neocostituite, ma anche quelle non interessate
dal riordino territoriale.
Pertanto, i margini di incertezza sono fortissimi. Per un
verso, l'effetto dell'accorpamento dei territori potrebbe
determinare un quantitativo di esuberi allo stato non
stimabile. Per altro verso, laddove le province non
risulteranno virtuose dovranno comunque porre in
disponibilità i propri dipendenti e, in ogni caso, per
effetto del trasferimento delle funzioni provinciali ai
comuni o alle regioni, il personale dovrà cambiare casacca.
Una migrazione di proporzioni gigantesche, decine di
migliaia di dipendenti, senza che vi sia la minima
indicazione generale sui criteri, in particolare per guidare
il processo di passaggio verso i comuni (articolo ItaliaOggi del
02.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In soffitta le
commissioni di vigilanza sugli spettacoli.
Nota del viminale sulla spending review.
La spending review manda in pensione definitivamente le
commissioni provinciali di vigilanza sui locali di pubblico
spettacolo. Ma lo stesso destino potrebbe essere riservato
anche alle commissioni comunali, qualora i comuni dovessero
decidere di non ritenerle indispensabili e, quindi, non
confermarle. E c'è già chi immagina defaticanti conferenze
di servizi che potrebbero rischiare di appesantire ancor
più, invece che semplificare, i procedimenti del Suap.
È questo lo scenario che si prospetta per effetto dell'art.
12, comma 20, del dl 95/2012 letta la
nota 21.09.2012 n. 557 di prot. del ministero
dell'interno diretta alla prefettura di Perugia e relativa
a problematiche connesse allo spettacolo viaggiante.
Del
resto, la burocrazia comunale, in questo momento, naviga a
vista. Ciò in quanto dal 2008 a oggi sono una ventina i
decreti leggi, e le relative leggi di conversione, che hanno
novellato l'ordinamento giuridico, introducendo norme in
materia di semplificazione: dal dl 112/1998 al disegno di
legge approvato dal Consiglio dei ministri il 16 ottobre
scorso.
Per questo motivo è passata inosservata una disposizione, di
forte impatto, contenuta nella spending review. Si tratta
dell'art. 12, comma 20, del dl 06.07.2012, n. 95
(convertito nella legge 135/2012) il quale dispone che «a
decorrere dalla data di scadenza degli organismi collegiali
operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di
proroga ai sensi dell'art. 68, comma 2, del decreto legge
112/2008 (convertito nella legge 133/2008), le attività
svolte dagli organismi stessi sono definitivamente
trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni
nell'ambito delle quali operano».
Per individuare gli organismi collegiali nel mirino del
governo tecnico occorre procedere a un'analisi complessa che
porta a individuare, tra le altre, anche le commissioni
provinciali di vigilanza. Ma dalla lettura delle
disposizioni in questione, emerge anche che (art. 29, comma
6, l. 248/2006) regioni, province autonome, enti locali,
nonché gli enti del Servizio sanitario nazionale, avrebbero
dovuto operare in maniera analoga tenuto conto che
«l'obiettivo di risparmio della spesa costituisce
disposizioni di principio».
Ed è questo, in sostanza, il
nocciolo della questione; perché non pare che, allo stato
attuale, alcuna regione o alcun comune si sia mosso su
questo fronte con la conseguenza che l'omissione avrebbe
dovuto comportare l'implicita soppressione della commissione
comunale di vigilanza pubblico spettacolo (articolo ItaliaOggi del
02.11.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Progressioni
verticali fuorilegge.
Incompatibili con la Brunetta. Non così le norme sui
dirigenti. L'Aran ha raccolto le
principali disposizioni contrattuali per dipendenti e
manager degli enti locali.
Sono da considerare abrogate perché in contrasto con il dlgs
n. 150/2009, c.d. legge Brunetta, le norme dei contratti
nazionali del personale che disciplinano le progressioni
verticali. Mentre non vanno considerate abrogate le regole
dettate dai contratti nazionali dei dirigenti sugli
incarichi, nonostante la stessa disposizione esclude questa
materia da quelle che possono essere oggetto di
contrattazione collettiva.
E sono da considerare superate le disposizioni che indicano
in modo analitico le componenti che devono dare corso alla
costituzione della parte stabile del fondo per il personale,
mentre per il fondo dei dirigenti le corrispondenti
disposizioni sono pienamente valide.
Sono queste alcune delle principali scelte contenute nelle
raccolte sistematiche realizzate nei giorni scorsi dall'Aran
delle disposizioni contrattuali dettate per il personale e
per i dirigenti degli enti locali. Analoga raccolta è stata
messa a punto anche per le norme contrattuali dei segretari.
Questi lavori sono assai utili, perché permettono di avere
sotto mano un testo di facile ed immediata consultazione.
Occorre considerare che tali elaborazioni non hanno un
valore impegnativo; solamente una specifica intesa
contrattuale consente di arrivare a tale risultato: per i
dipendenti era stato prevista dai contratti nazionali una
delega alla redazione del testo unico delle norme
contrattuali, ma non è stata fino ad oggi esercitata.
Si deve subito rilevare la estrema prudenza con cui l'Aran
procede nella constatazione delle disposizioni che si devono
ritenere superate per contrasto con la legislazione
successiva. Nel caso delle progressioni verticali si deve
ricordare che questa indicazione è stata già fornita dalle
sezioni unite di controllo della Corte dei conti, in quanto
il dlgs n. 150/2009 prevede esclusivamente concorsi pubblici
con riserva non superiore al 50% per gli interni, superando
la possibilità dei concorsi e/o prove selettive interamente
riservati agli interni.
Le nuove disposizioni, modificando anche per questo aspetto
le regole dettate dal Ccnl 31/03/1999, hanno stabilito che
gli interni debbano essere in possesso degli stessi
requisiti previsti per i candidati esterni, a partire dal
titolo di studio. In mancanza di specifiche indicazioni in
questo senso l'Aran non se la è sentita di dichiarare
abrogate le disposizioni dei contratti collettivi della
dirigenza che dettano regole, discipline, criteri e durata
per gli incarichi dirigenziali.
Ciò nonostante in modo esplicito il citato dlgs n. 150/2009
escluda il conferimento degli incarichi dirigenziali dalle
materie oggetto di contrattazione e nonostante il dlgs n.
141/2011 stabilisca che le disposizioni dettate dalla legge
cd Brunetta prevalgano sulle norme contrattuali nazionali in
contrasto.
Occorre segnalare la estrema prudenza con cui l'Aran
affronta uno dei nodi più caldi: la revisione del sistema
delle relazioni sindacali a seguito delle novità dettate
dalle citate disposizioni. È evidente che una delle finalità
essenziali della legge c.d. Brunetta è costituita dal
ridimensionamento del ruolo e delle prerogative delle
organizzazioni sindacali; ridimensionamento che si è fin qui
realizzato in misura molto parziale in quanto le volontà
legislative non hanno trovato concreta applicazione nella
contrattazione collettiva nazionale.
Per questa ragione le raccolte sistematiche delle norme
contrattuali dei dipendenti, dei dirigenti e dei segretari
si limitano a segnalare la esistenza delle nuove regole
legislative, ma evitano di trarre la conseguenza della
constatazione della avvenuta abrogazione delle scelte
contrattuali effettuate in precedenza.
Un'altra significativa differenza che emerge dalle raccolte
sistematiche dei contratti dei dipendenti e dei dirigenti è
quella relativa alle regole per la costituzione del fondo
per la contrattazione decentrata. Per quello dei dipendenti
la raccolta considera abrogate le disposizioni dettate in
modo analitico, soprattutto dall'articolo 15 del Ccnl 01/04/1999, per la costituzione della parte stabile. Si
considera sufficiente il lavoro che è stato compito con
l'articolo 31 del Ccnl 22/1/2004, cioè la unificazione di
tutte le componenti in una voce unitaria. Invece per il
fondo dei dirigenti questa scelta non viene riproposta e si
torna a suggerire che la individuazione delle risorse
decentrate continui ad essere articolata sulla base di tutte
le voci «storiche» comprese nell'articolo 26 del Ccnl
23/12/1999.
Questa diversità, che a prima vista sembra illogica, deve
invece essere considerata come pienamente giustificata in
quanto nel fondo dei dirigenti, a differenza di quello del
personale, non è prevista la distinzione tra la parte
stabile e la parte variabile, per cui la esigenza di tornare
ogni anno a verificare le regole che presiedono alla sua
costituzione è pienamente giustificata (articolo ItaliaOggi del
02.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Mobilità volontaria previa ricognizione degli
esuberi. Obbligatorio per le p.a. verificare le liste di disponibilità.
La mobilità volontaria tra dipendenti delle amministrazioni
pubbliche deve essere preceduta dalla verifica di dipendenti
inseriti nelle liste di disponibilità, prevista
dall'articolo 34-bis del dlgs 165/2001.
La nuova disciplina sugli esuberi del personale pubblico,
introdotta dalla spending review, il dl 95/2012, convertito
in legge 135/2012, non lascia dubbi sulla necessità di
superare l'avviso espresso dalla Funzione pubblica col
parere 198/2005 e ritenere obbligatorio per le
amministrazioni di verificare se nelle liste di
disponibilità siano presenti lavoratori in esubero, prima di
effettuare qualsiasi assunzione a qualsiasi titolo, compresa
la mobilità.
A suo tempo, palazzo Vidoni in merito ai rapporti tra
articoli 30 (sulla mobilità volontaria) e 34-bis (sulle
misure di tutela nel mercato del lavoro per i dipendenti in
disponibilità) aveva sostenuto che l'interpretazione più
corretta fosse di «escludere l'obbligo di comunicazione
preventiva rispetto l'acquisizione di personale in
mobilità». Secondo il parere della funzione pubblica,
risalente a sette anni fa, la circostanza che con la
mobilità non comporti l'ingresso di nuove unità nella
pubblica amministrazione, bensì uno spostamento tra enti di
personale già dipendente non crea «pregiudizio per i
dipendenti in situazione di disponibilità», dal momento che
si copre un posto vacante presso un ente, ma se ne libera
simmetricamente un altro, presso un diverso ente.
La motivazione non appariva persuasiva nemmeno all'epoca
dell'emanazione del parere, perché influenzata
esclusivamente da logiche finanziarie. È evidente che per il
lavoratore pubblico in disponibilità e, dunque, alle soglie
del licenziamento, è fondamentale poter contare sulla
possibilità di ricollocarsi in un ente ove sia evidenziata
la carenza di organico, piuttosto che in un altro.
Condizioni come la distanza dalla residenza, le modalità
lavorative, l'organizzazione sono, ovviamente, fondamentali
per un incontro domanda offerta.
Altrettanto fondamentale, per un lavoratore alle soglie del
licenziamento, è conoscere in anticipo se un ente abbia
possibilità ed intenzione di assumere qualcuno, per
categoria, profilo e mansione corrispondenti, in modo da
potersi proporre per ottenere l'assunzione.
Lo scopo precipuo dell'articolo 34-bis del dlgs 165/2001 è
consentire ai dipendenti in disponibilità di ottenere una
proposta di assunzione mediante mobilità obbligatoria, da
parte di un'amministrazione che intenda bandire un concorso,
così da tirare fuori il dipendente in esubero dal rischio
del licenziamento. È evidente che se l'articolo 34-bis si
esclude dal campo di applicazione delle procedure di
mobilità volontaria di cui all'articolo 30 del dlgs
165/2001, le tutele e le opportunità per il lavoratore in
disponibilità si riducono drasticamente. Il che risulta
contrastare con un nuovo assetto normativo, introdotto nel
2009, che rende le procedure per mobilità sostanzialmente
identiche a quelle dei concorsi, essendo necessario un
avviso pubblico. Non pare abbia coerenza ridurre le tutele
ai lavoratori in disponibilità ai meri adempimenti
obbligatori connessi ad assunzioni per concorsi (sempre più
rare), senza coinvolgerli in procedure per trasferimenti,
ormai per altro pubbliche.
Il tutto, comunque, non regge più alla luce dell'articolo 2,
comma 13, della legge 135/2012. Tale disposizione impone al
dipartimento della funzione pubblica di censire e redigere
un elenco dei posti vacanti nelle pubbliche amministrazioni,
da pubblicare sul relativo sito web.
I dipendenti in disponibilità avranno il diritto di
presentare domanda di ricollocazione in quei posti vacanti,
con simmetrico obbligo di accoglimento, da parte delle
amministrazioni, che, in caso contrario «non possono
procedere ad assunzioni di personale».
Non pare più possibile, allora, che un'amministrazione
assuma mediante mobilità volontaria, senza curarsi di
attuare le previsioni dell'articolo 34-bis. Infatti, visto
il diritto soggettivo riconosciuto ad un dipendente in
disponibilità di presentare domanda su un posto vacante, se
si consentisse all'amministrazione di rendere indisponibile
il posto si vulnererebbe il diritto del lavoratore di
attivarsi autonomamente, per ricollocarsi (articolo ItaliaOggi del
02.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Salvo
l'assessore assenteista.
Non decade se snobba le sedute del consiglio.
Il sindaco potrà revocarlo se
la condotta fa venir meno il rapporto fiduciario.
È applicabile anche alla carica di assessore comunale la
disciplina relativa all'istituto della decadenza per
ingiustificata assenza a più sedute dell'organo collegiale?
Il legislatore statale contempla l'ipotesi della decadenza
per mancata partecipazione alle sedute con esclusivo
riferimento alla carica di consigliere (art. 43, ultimo
comma, del Tuel n. 267/2000; tale norma va letta in
combinato disposto con l'art. 273, c. 6, del medesimo Tuel n.
267 in base al quale, nelle more dell'adozione della
prescritta disciplina statutaria, trova applicazione, per il
profilo considerato, il disposto dell'art. 289 del Tulcp n.
148/1915).
Nulla di analogo si prevede, alla stregua del vigente
ordinamento, per la carica di assessore, a differenza dal
pregresso ordinamento (v. art. 289, c. 2 del citato Tulcp n.
148/1915)
Tale circostanza è da imputarsi alla configurazione della
giunta quale organo fiduciario, di diretta collaborazione
con il sindaco che dispone, fra l'altro, del potere di
revoca dell'assessore allorché venga meno il rapporto di
fiducia alla base dell'investitura a tale carica per le più
svariate cause, ivi compresa la protratta e ingiustificata
assenza alle sedute, quale esternazione di un atteggiamento
di indisponibilità alla prosecuzione del rapporto instaurato
con l'accettazione della nomina; appare evidente come, in
un'ipotesi di tale tipo, debba desumersi l'inevitabilità di
una nuova valutazione da parte del sindaco in ordine alla
permanenza dei presupposti che avevano condotto
all'individuazione di quel soggetto quale suo stretto
collaboratore per l'attuazione del programma di governo.
Pertanto, la norma dello statuto comunale che disciplina
l'ipotesi della decadenza dell'assessore per assenze
ingiustificate alle sedute della giunta appare di dubbia
applicabilità, sia perché, secondo i comuni canoni
ermeneutici, le previsioni statutarie conformate a un regime
giuridico successivamente riformato possono continuare a
trovare applicazione solo nella misura in cui non
confliggono con il nuovo sistema; sia per la difficoltà
d'individuare, nell'ambito dell'organo collegiale di cui
l'amministratore locale fa parte, l'organo deputato alla
valutazione della posizione dell' assessore stesso.
Infatti, se per il consiglio vale il principio, proprio
degli organi collegiali elettivi, per cui la valutazione
circa la posizione dei singoli componenti il consesso (cioè
la legittimazione a farne parte) costituisce materia di
esclusiva competenza del collegio medesimo, per la giunta
non sembrerebbe possibile l'applicazione di analogo
principio, trattandosi di un organo collegiale che non è
elettivo, bensì nominato fiduciariamente dal sindaco che
appare, pertanto, come l'unico soggetto legittimato a
pronunciarsi sulla legittimità della partecipazione del
singolo assessore alla compagine della giunta (articolo ItaliaOggi del
02.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Gruppi
consiliari.
Il capogruppo e il vicecapogruppo possono
estromettere un consigliere comunale dal
gruppo consiliare, a cui l'interessato aveva
aderito nel corso della consiliatura, se
questo ha manifestato al presidente del
consiglio la volontà di continuare a
militare nel partito da cui è stato espulso
e a far parte del gruppo consiliare che si
identifica nel medesimo partito?
L'istituto dei gruppi consiliari non è
espressamente previsto dalla legge, ma si
desume implicitamente da quelle disposizioni
normative che contemplano diritti e
prerogative in capo ai gruppi o ai
capigruppo (in particolare, art. 38, comma
3; art. 39, comma 4, e art. 125 del dlgs n.
267/2000).
Pertanto, la costituzione così come il
funzionamento dei gruppi non sono
disciplinati in modo uniforme dalla fonte
legislativa statale, bensì da statuto e
regolamento in quanto, trattandosi di
aggregazioni politiche interne ai consigli,
si riconducono alla materia afferente al
funzionamento dei consigli demandata, ex
art. 38, commi 2 e 3, del decreto dlgs n.
267/2000, alle citate fonti normative
locali.
Nel caso di specie, se le norme statutarie e
regolamentari non contemplano l'evenienza
dell'estromissione di un consigliere
comunale dal gruppo consigliare di
appartenenza ad opera del capogruppo, mentre
si rinvengono chiari elementi da cui si
desume che la volontà di appartenenza a un
gruppo, anche nell'evenienza dell'adesione a
un gruppo, diverso da quello corrispondente
alla lista in cui si sia stati eletti, si
riconduce esclusivamente ad una scelta
individuale del diretto interessato,
esercitabile nel rispetto delle condizioni
poste dalla norma medesima, si ritiene sia
preclusa la possibilità che un consigliere
possa essere estromesso, contro la sua
volontà, dal gruppo in cui è transitato
legittimamente (articolo
ItaliaOggi del 02.11.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 02.11.2012 |
|
PUBBLICO IMPIEGO:
Geometra di 53 anni in mobilità per due anni,
poi più niente. Sindaco bersaniano licenzia un
dipendente pubblico in esubero.
C'è un sindaco che licenzia i lavoratori
pubblici in esubero. È quello di Carnago nel
Varesotto. Un geometra di 53 anni, in municipio da
11, è stato messo in mobilità (due anni all'80%
dello stipendio) perché di troppo secondo una
ricognizione della pianta organica.
È la prima volta che accade in Italia, ha assicurato
la cronaca milanese del Corsera. Una rottamazione
bella e buona, direbbe qualcuno. Anche perché in
questo comune del Varesotto anziché sventolare il
labaro leghista, ondeggia proprio la bandiera
democrat. E dunque il sindaco dal taglio facile è
l'ennesimo renziano? No, anzi è un bersaniano tutto
d'un pezzo, uno di quegli amministratori lombardi
che, pronti-via, hanno firmato il loro sostegno a
Pier Luigi Bersani. E forse non ci pensava Maurizio
Andreoli Andreoni, 58 anni, medico di base
specializzato in ematologia, con passione per la
politica, prima assessore al bilancio e dal 2009
sindaco, sconfiggendo con 1400 voti i lumbard, che
questo singolare primato, del licenziamento di un
pubblico dipendente cadesse proprio nel mezzo di
primarie di coalizione piuttosto vivaci proprio per
colpa (o per merito) degli esponenti del suo
partito.
Ormai però è andata: Enrico Cirrincione, ha ricevuto
la lettera con allegata delibera comunale che gli
indica la porta d'uscita del palazzo municipale. Il
sindaco ha allargato le braccia, ha «parlato di
un esercito senza generali», e portando a
esempio proprio il settore del licenziato, ha
protestato che il suo comune «ha quattro geometri
e solo due stradini», ha ricordato l'uscita
dolce con due annualita pagate per oltre i tre
quarti, ha negato insomma qualsiasi fatto personale
col mobilitando Cirrincione. Il quale invece, al
medesimo giornale, ricordando di non aver mai avuto
un richiamo né un provvedimento disciplinare e di
sentirsi mobbizzato. E rammentando, anche di uno
screzio che c'era stato fra lui e il sindaco quando,
anni prima, il medico faceva l'assessore.
La vicenda, par di capire, oltre a fare scuola per
le nuove norme che regolano la Pubblica
amministrazione si trasferirà presto davanti al
magistrato del lavoro, anche perché la Cisl, ma
soprattutto la Cgil, sono scatenatissime e parlano
del mancato rispetto delle procedure e si sono
precipitate ieri a incontrare l'amministrazione e
minacciano lo sciopero. E qualche ricaduta politica
potrebbe non mancare se si considera che il
vicesindaco della giunta «rottamatrice» è il
segretario provinciale del Pd di Varese, Fabrizio
Taricco, che, come la stragrande maggioranza dei
segretari provinciali piddini d'Italia, sta con
Bersani. Quando anzi, il segretario nazionale decise
di far partire proprio dal capoluogo le primarie, il
vicesindaco lo visse come un successo personale.
Il sito Varese Report riporta ancora una
dichiarazione soddisfatta: «Il fatto che Bersani
inizi da qui la presentazione della Carta d'intenti
rappresenta per noi anche il riconoscimento di
cinque anni di grande e appassionato lavoro per la
costruzione del Partito democratico sul territorio»,
aveva detto Taricco. Il guaio è che proprio a
Varese, Renzi aveva trovato un convinto supporter
nell'ex candidato sindaco Alessandro Alfieri,
consigliere regionale, che aveva abbandonato la
corrente di Enrico Letta per mettersi dalla sua,
organizzandogli, in una domenica di ottobre, un mega
raduno in un teatro cittadino.
Il licenziamento di Carnago, seppure edulcorato
dalla mobilità, entrerà nel dibattito delle
primarie, in cui spesso s'è cercato di accreditare
Renzi del più forsennato liberismo, ricordando
spesso le sue polemiche con la Cgil? Se lo chiedono
anche al già citato ristorante, fra i commenti del
ricco «menu di Halloween»: gnocchi di zucca
con taleggio e noci, cosciotto di maiale con patate
e frittelle, ancora di zucca. A 22 euro (articolo
ItaliaOggi dell'01.11.2012). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Dal
2013 pagamenti entro 30 giorni.
Per la pubblica amministrazione saranno possibili deroghe
fino a 60 giorni.
IL SÌ DEL GOVERNO/
Il via libera dopo una lunga discussione in Consiglio sul
Ponte sullo stretto. La stretta sui tempi riguarda anche i
rapporti tra imprese.
Dal 01.01.2013, la pubblica amministrazione dovrà
pagare i propri fornitori entro 30 giorni. Al più si potrà
arrivare a 60 sono in casi ben individuati. Lo stesso limite
riguarderà anche le transazioni azienda-azienda, ma in
questo caso il tetto potrà essere superato nel caso ci siano
accordi tra le parti. Intese che comunque non dovranno
essere inique per il creditore.
Il Governo ieri ha approvato
il
decreto legislativo che attua la direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio del 16.02.2011 (2011/7/UE)
«relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento delle
transazioni commerciali».
Il Dlgs, arrivato già martedì sul tavolo di Palazzo Chigi, è
poi slittato a ieri, con il via libera arrivato a tarda sera
(già domani sarà al Quirinale per la firma) dopo una lunga
discussione dovuta al nodo Ponte sullo stretto (per il quale
è stata prorogata di due anni la verifica di fattibilità).
Il testo è stato elaborato in tre riunioni tecniche, con il
coinvolgimento di quattro ministeri: Economia, Giustizia,
Sviluppo economico e il coordinamento del ministero per gli
Affari europei. I tre articoli del decreto riscrivono in
maniera più restrittiva il precedente Dlgs 231 del 2002.
Il Dlgs non dovrà passare per i pareri del Parlamento: in
questo modo viene rispettata la data stabilita dalla legge
sullo statuto di impresa (la 180/2011) che oltre a prevedere
la delega ad hoc per il Governo anticipa di quattro mesi –a
metà novembre (invece che a metà marzo)– l'introduzione
della direttiva Ue 2011/7. Le nuove regole scatteranno per
le transazioni commerciali che si concluderanno dal 01.01.2013 in poi.
Un lasso di tempo, questo, –spiega la
relazione illustrativa al decreto– necessario per dare
tempo a tutti, Pubblica amministrazione in primis, di
adeguarsi anche per quanto riguarda la «modulistica
contrattuale» e le «procedure interne di pagamento».
Quella dei ritardi nei pagamenti è da sempre un'emergenza,
soprattutto in questa fase in cui le imprese sono a corto di
liquidità. In particolare, a essere penalizzate sono le
piccole aziende, costrette ad aspettare in media circa
180-190 giorni per essere pagate (anche la Grecia fa meglio:
174 giorni), con punte record al Sud dove si superano anche
i 1.500 giorni.
E le regole già in vigore –come quelle
previste ad esempio per i lavori pubblici– finora non hanno
sortito effetti. Da qui l'attesa per i nuovi paletti europei
che, come detto, fissano a 30 giorni il termine ordinario
che la Pa deve rispettare per pagare. Anche se ci saranno
delle deroghe: in particolare per asl, ospedali e imprese
pubbliche che possono portare a 60 giorni il termine
massimo. Ma anche tutte le altre Pa potranno accedere a
questa deroga nel caso "eccezionale" in cui l'eventuale
proroga sia giustificata «dalla natura o dall'oggetto del
contratto» oppure dalle «circostanze esistenti al momento
della sua conclusione». In ogni caso, il nuovo limite dovrà
essere pattuito «in modo espresso».
Per le amministrazioni pubbliche che non rispetteranno i
tempi scatterà la "sanzione" degli interessi legali
di mora. Che decorreranno automaticamente dal giorno
successivo alla scadenza del termine del pagamento senza che
sia necessaria la costituzione in mora (vale a dire la la
richiesta scritta al debitore di adempiere all'obbligo). Gli
«interessi legali di mora» si calcoleranno prevedendo una
maggiorazione di 8 punti percentuali sul tasso fissato dalla
Banca centrale europea: in sostanza si aggireranno intorno
alla soglia del 10 per cento. Per le imprese invece ci sarà
maggiore libertà contrattuale: oltre a concordare l'entità
degli interessi moratori potranno decidere, pattuendolo per
iscritto, anche di superare la soglia massima dei 60 giorni
per pagare.
Il decreto però prevede espressamente tutta una serie di
paletti per escludere automaticamente clausole vessatorie
che puntino ad aggirare i tempi massimi, il pagamento degli
interessi e l'eventuale risarcimento per i costi che sono
necessari per recuperare i crediti
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Il Ddl anticorruzione è legge Severino: ampia condivisione.
No solo dell'Idv - Prescrizione, riparte la proposta del Pd.
IL GUARDASIGILLI/
«Non è un compromesso al ribasso. Inserire anche il falso in
bilancio o il voto di scambio avrebbe bloccato il
provvedimento».
L'anticorruzione è legge. Con un voto quasi unanime, fatta
eccezione per l'Idv, la Camera ha approvato definitivamente
le norme sulla prevenzione e la repressione della
corruzione, che diventeranno operative tra 15-20 giorni.
Un
successo per il governo, che dopo la fiducia del giorno
prima, ha incassato 480 sì (19 i no e 25 gli astenuti) al
provvedimento riscritto –rispetto al testo originario del
2010 firmato da Angelino Alfano– dai ministri Filippo
Patroni Griffi e Paola Severino. Quest'ultima non nasconde
la soddisfazione per «la grande condivisione del progetto» e
definisce «non corretto parlare di compromesso al ribasso»
come aveva detto Antonio Di Pietro.
Quanto al «si poteva
fare di più» risuonato nell'aula come un mantra, il ministro
ha detto che no, non si poteva fare più di così perché le
norme su prescrizione, falso in bilancio, autoriciclaggio,
voto di scambio, se inserite nel ddl ne «avrebbero
rallentato, se non bloccato» la legge. «Sono norme su cui il
Parlamento si dibatte da anni e sulle quali ora viene
espressa una volontà politica che non posso non apprezzare –ha osservato il ministro–. Questo governo ha le risorse
tecniche per offrire il suo contributo».
Insomma, sembra che l'approvazione della legge abbia fatto
il miracolo di avvicinare posizioni da sempre inconciliabili
e che nei pochi mesi che mancano alla fine della legislatura
potrebbe essere approvata non solo una riforma del falso in
bilancio ma persino della prescrizione, sebbene su questi
temi non sia stato possibile trovare un accordo nei cinque
mesi di gestazione dell'anticorruzione.
Ieri, in commissione
Giustizia è stata ricalendarizzata per mercoledì prossimo la
proposta di legge del Pd sulla prescrizione, «accantonata –spiega Donatella Ferranti– all'epoca in cui si parlava di
prescrizione breve e processo lungo. Ci sembrava giusto
riprendere in mano la questione, anche se il testo base è da
migliorare, per affrontarla a tutto tondo. Abbiamo
constatato la ...
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Con
il decreto del Governo le Province scendono a 51.
Dal 2014 addio a 35 enti - Via le giunte già dal 2013.
CITTÀ METROPOLITANE/
Firenze apre le porte non solo a Prato ma anche a Pistoia,
conferma per Milano che acquista Monza-Brianza Venezia resta
da sola.
Il Governo affonda il bisturi nella carne delle Province un
centimetro più in basso del previsto. E si avvia a
cancellarne 35 anziché 34 come anticipato ieri su questo
giornale.
Per effetto del
decreto approvato durante la
sessione mattutina del Consiglio dei ministri, dal 2014, gli
enti di area vasta delle Regioni ordinarie passeranno da 86
a 51, incluse le 10 città metropolitane. Ma un antipasto del
taglio si avrà già dal 01.01.2013 quando decadranno
tutte le giunte locali. Sul risultato complessivo della
riorganizzazione pesano però due interrogativi: le autonomie
speciali attueranno la stretta? E il Parlamento riuscirà, in
sede di conversione, a respingere le spinte campanilistiche?
Dalla risposta a questi due quesiti dipenderà l'impatto
dell'intera operazione-Province. Sia economico, visto che
per ora non sono cifrati i risparmi; sia in termini di
equità, poiché il mancato adeguamento di alcune realtà
renderebbe ancora più veementi le proteste delle altre,
costrette dal Dl a stringere unioni forzate. E i segnali
giunti fin qui non promettono nulla di buono. A parte la
Sardegna (dove un referendum popolare ha deciso di ridurre
da 8 a 4 gli "enti di mezzo") le altre "super-autonomie" non
si sono ancora poste il problema di avviare l'iter che, in
base alla spending, dovrà concludersi entro il 7 gennaio
sulla base dei due requisiti decisi dall'Esecutivo: 350mila
abitanti e 2.500 chilometri quadrati di estensione. Senza
contare che, nel corso della conferenza stampa di
presentazione delle misure, il ministro della Pubblica
amministrazione, Filippo Patroni Griffi, si è limitato a
dire: «Ci occuperemo in seguito delle speciali». Pur
definendo «irreversibile» l'intero processo in atto.
Stesso discorso per le Camere che già a luglio hanno dovuto
respingere richieste di eccezioni di ogni tipo. Ed è
presumibile che il copione si ripeta identico nelle prossime
settimane vista la levata di scudi già partita lungo la
penisola. Con formule diverse –appelli al premier, minacce
di ricorso alla Consulta, proposte di passare alla Regione
limitrofa e, addirittura, interviste concesse sul water– ma
un unico obiettivo: ottenere l'agognata deroga. Anche perché
alcuni distinguo sono stati operati dallo stesso decreto:
Sondrio e Belluno escluse perché montane al 100% e Arezzo
"salvata" dai dati anagrafici in quanto superiori all'ultimo
censimento Istat.
Rimandando alla cartina accanto per capire come cambierà dal
2014 l'intera geografia provinciale, qui appare opportuno
sottolineare alcune novità rispetto alla bozza del giorno
precedente. In primis in Lombardia, dove Lodi va con Cremona
e Mantova, oppure in Toscana, dove nasce la maxi-Provincia
di Lucca-Massa-Pisa-Livorno e Pistoia confluisce insieme a
Prato nella città metropolitana di Firenze. E, restando alle
città metropolitane, va segnalata un'altra novità rispetto
ai desiderata dei territori: Padova non confluirà in Venezia
ma si unirà alla Provincia di Treviso. E due conferme:
Milano che acquista Monza-Brianza e Bari che non "vince" la
Bat. Barletta-Andria-Trani finirà infatti con Foggia.
Tra gli altri cambiamenti rispetto al testo d'ingresso in
Cdm va segnalata la retromarcia innestata sulla composizione
dei futuri consigli provinciali. In attesa della sentenza
della Consulta prevista per il 6 novembre, è stata eliminata
la modifica all'articolo 23 del salva-Italia che li
trasforma in organi di secondo livello eletti dai Comuni del
circondario. Anziché salire fino a 16 per gli enti con più
di 700mila abitanti, come immaginato in un primo momento, il
numero massimo di membri eleggibili resta fermo a 10. E lo
stesso limite varrà anche per le città metropolitane.
Passando alle altre disposizioni degne di nota spicca la
conferma della previsione che vuole l'indizione delle nuove
elezioni in una domenica compresa tra il 1° e il 30.11.2013. E ciò sia che l'amministrazione resti in vita sia che
scompaia. Fermo restando che il mandato del presidente e dei
consiglieri attualmente in carica scadrà il 31 dicembre, a
meno che l'ente non venga sciolto. In quel caso arriverà il
commissario ad acta governativo. Vita più breve avranno
invece gli assessori che decadranno dalla carica all'inizio
del 2013; al loro posto il numero uno dell'ente potrà
delegare alcune funzioni a massimo tre consiglieri. Una
stretta aggiuntiva che non è piaciuta all'Upi, già critica
per le «forzature» operate su alcuni territori.
L'ultima curiosità riguarda i futuri capoluoghi. In teoria
saranno tali gli enti più popolosi. A meno che un diverso
accordo dei sindaci, preso anche a maggioranza, non porti a
una soluzione alternativa. Con conseguenze non da poco anche
sulla vita di consiglieri e dipendenti. Durante l'ultimo
miglio a Palazzo Chigi il testo si è arricchito della
precisazione che gli organi dell'ente saranno ubicati nel
capoluogo e non ci saranno sedi decentrate
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.11.2012). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Contratti.
Lo schema del decreto varato dal Governo.
Per i pagamenti in ritardo la mora va in automatico.
ARTICOLO 1 - Modifiche al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231
1. Al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231, recante
attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta
contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l'articolo 1 è sostituito dal seguente: «Articolo 1. –
Ambito di applicazione. – 1. Le disposizioni contenute nel
presente decreto si applicano a ogni pagamento effettuato a
titolo di corrispettivo in una transazione commerciale.
2. Le disposizioni del presente decreto non trovano
applicazione per:
a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico
del debitore, comprese le procedure finalizzate alla
ristrutturazione del debito;
b) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno,
compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un
assicuratore.»;
b) l'articolo 2 è sostituito dal seguente: «Articolo 2. –
Definizioni. – 1. Ai fini del presente decreto si intende
per:
a) "transazioni commerciali": i contratti, comunque
denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche
amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o
prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi
contro il pagamento di un prezzo;
b) "pubblica amministrazione": le amministrazioni di cui
all'articolo 3, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163 e ogni altro soggetto, allorquando svolga
attività per la quale è tenuto al rispetto della disciplina
di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
c) "imprenditore": ogni soggetto esercente un'attività
economica organizzata o una libera professione;
d) "interessi moratori": interessi legali di mora ovvero
interessi a un tasso concordato tra imprese;
e) "interessi legali di mora": interessi semplici di mora su
base giornaliera a un tasso che è pari al tasso di
riferimento maggiorato di otto punti percentuali;
f) "tasso di riferimento": il tasso di interesse applicato
dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni
di rifinanziamento principali;
g) "importo dovuto": la somma che avrebbe dovuto essere
pagata entro il termine contrattuale o legale di pagamento,
comprese le imposte, i dazi, le tasse o gli oneri
applicabili indicati nella fattura o nella richiesta
equivalente di pagamento.»;
c) all'articolo 3, dopo le parole: «interessi moratori» sono
inserite le seguenti: «sull'importo dovuto»;
d) l'articolo 4 è sostituito dal seguente: «Articolo 4. –
Decorrenza degli interessi moratori. – 1. Gli interessi
moratori decorrono, senza che sia necessaria la costituzione
in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per
il pagamento.
2. Salvo quanto previsto dai commi 3, 4 e 5, ai fini della
decorrenza degli interessi moratori si applicano i seguenti
termini:
a) trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del
debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di
contenuto equivalente. Non hanno effetto sulla decorrenza
del termine le richieste di integrazione o modifica formali
della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento;
b) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o
dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la
data di ricevimento della fattura o della richiesta
equivalente di pagamento;
c) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o
dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il
debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di
pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o
della prestazione dei servizi;
d) trenta giorni dalla data del l'accettazione o della
verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto
ai fini del l'accertamento della conformità della merce o
dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il
debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di
pagamento in epoca non successiva a tale data.
3. Nelle transazioni commerciali tra imprese le parti
possono pattuire un termine per il pagamento superiore
rispetto a quello previsto dal comma 2. Termini superiori a
sessanta giorni, purché non siano gravemente iniqui per il
creditore ai sensi dell'articolo 7, devono essere pattuiti
espressamente. La clausola relativa al termine deve essere
provata per iscritto.
4. Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una
pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purché
in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a
quello previsto dal comma 2, quando ciò sia giustificato
dalla natura o dall'oggetto del contratto o dalle
circostanze esistenti al momento della sua conclusione. In
ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono essere
superiori a sessanta giorni. La clausola relativa al termine
deve essere provata per iscritto.
5. I termini di cui al comma 2 sono raddoppiati:
a) per le imprese pubbliche che sono tenute al rispetto dei
requisiti di trasparenza di cui al decreto legislativo 11
novembre 2003, n. 333;
b) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria
e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine.
6. Quando è prevista una procedura diretta ad accertare la
conformità della merce o dei servizi al contratto essa non
può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data
della consegna della merce o della prestazione del servizio,
salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle
parti e previsto nella documentazione di gara e purché ciò
non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi
dell'articolo 7. L'accordo deve essere provato per iscritto.
7. Resta ferma la facoltà delle parti di concordare termini
di pagamento a rate. In tali casi, qualora una delle rate
non sia pagata alla data concordata, gli interessi e il
risarcimento previsti dal presente decreto sono calcolati
esclusivamente sulla base degli importi scaduti.»;
e) l'articolo 5 è sostituito dal seguente: «Articolo 5. –
Saggio degli interessi. – 1. Gli interessi moratori sono
determinati nella misura degli interessi legali di mora.
Nelle transazioni commerciali tra imprese è consentito alle
parti di concordare un tasso di interesse diverso, nei
limiti previsti dall'articolo 7.
2. Il tasso di riferimento è così determinato:
a) per il primo semestre del l'anno cui si riferisce il
ritardo, è quello in vigore il 1° gennaio di quell'anno;
b) per il secondo semestre del l'anno cui si riferisce il
ritardo, è quello in vigore il 1° luglio di quell'anno.
3. Il ministero dell'Economia e delle finanze dà notizia del
tasso di riferimento, curandone la pubblicazione nella
«Gazzetta Ufficiale» della Repubblica italiana nel quinto
giorno lavorativo di ciascun semestre solare.»;
f) l'articolo 6 è sostituito dal seguente: «Articolo 6. –
Risarcimento delle spese di recupero. – 1. Nei casi previsti
dall'articolo 3, il creditore ha diritto anche al rimborso
dei costi sostenuti per il recupero delle somme non
tempestivamente corrisposte.
2. Al creditore spetta, senza che sia necessaria la
costituzione in mora, un importo forfettario di 40 euro a
titolo di risarcimento del danno. È fatta salva la prova del
maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza per
il recupero del credito.»;
g) l'articolo 7 è sostituito dal seguente: «Articolo 7. –
Nullità. – 1. Le clausole relative al termine di pagamento,
al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i
costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte
nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique
in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e
1419, secondo comma, del Codice civile.
2. Il giudice dichiara, anche d'ufficio, la nullità della
clausola avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra
cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in
contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la
natura della merce o del servizio oggetto del contratto,
l'esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli
interessi legali di mora, ai termini di pagamento o
all'importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per
i costi di recupero.
3. Si considera gravemente iniqua la clausola che esclude
l'applicazione di interessi di mora. Non è ammessa prova
contraria.
4. Si presume che sia gravemente iniqua la clausola che
esclude il risarcimento per i costi di recupero di cui
all'articolo 6.
5. Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una
pubblica amministrazione è nulla la clausola avente a
oggetto la predeterminazione o la modifica della data di
ricevimento della fattura. La nullità è dichiarata d'ufficio
dal giudice.»;
h) all'articolo 8, comma 1, la lettera a) è sostituita dalla
seguente:
«a) di accertare la grave iniquità, ai sensi dell'articolo
7, delle condizioni generali concernenti il termine di
pagamento, il saggio degli interessi moratori o il
risarcimento per i costi di recupero e di inibirne l'uso.».
ARTICOLO 2 -
Modifiche alla legge 18.06.1998, n. 192
1. All'articolo 3, comma 3, della legge 18.06.1998, n.
192, le parole: «di sette punti percentuali» sono sostituite
dalle seguenti: «di otto punti percentuali».
ARTICOLO 3 -
Disposizioni finali
1. Le disposizioni di cui al presente decreto
legislativo si applicano alle transazioni commerciali
concluse a decorrere dal 1° gennaio 2013
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: La
camera dei deputati ha approvato definitivamente il disegno
di legge. Pacchetto anticorruzione.
Fino a tre anni per traffico di influenze illecite.
Anticorruzione, nuove norme al via. La camera ha approvato
ieri definitivamente il ddl sul quale aveva già votato il
giorno prima la fiducia al governo. Il provvedimento non è
stato modificato alla camera rispetto al voto del senato in
terza lettura e quindi diventa legge. I voti a favore sono
stati 480, 19 i contrari, 25 gli astenuti. Contrari i
deputati di Idv e Luca D'Alessandro (Pdl). Tra gli astenuti
10 deputati Pdl, un leghista, 3 di Popolo e Territorio, 4
del Gruppo Misto e i Radicali. Diviso, di fatto, in due
parti, il ddl contiene norme di prevenzione e norme sulla
repressione. Ed è su queste che il percorso in parlamento è
stato più complicato.
Tra le novità (si veda tabella in pagina) quelle che
riguardano la corruzione tra privati. Si sostituisce
l'articolo 2635 del codice civile: Salvo che il fatto
costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori
generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti
contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a
seguito della dazione o della promessa di denaro o altra
utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in
violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli
obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono
puniti con la reclusione da uno a tre anni.
Per quanto riguarda invece il traffico di influenze illecite
si prevede che chi sfruttando relazioni con un pubblico
ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio,
indebitamente, fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro
o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria
mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o
l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo,
in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di
ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo
ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Molte le novità sulla p.a. Via dagli appalti coloro che sono
stati condannati con sentenza passata in giudicato per reati
contro la pubblica amministrazione o per reati gravi, come
il 416-bis. Pubbliche e online le informazioni sulle opere e
gli appalti.
Arriva il codice etico del dipendente pubblico con sanzioni
che giungono fino al licenziamento per i casi più gravi.
Vietato accettare compensi, regali o altre utilità, in
connessione con le proprie funzioni
(articolo ItaliaOggi dell'01.11.2012). |
ENTI LOCALI: Il governo cancella 35 province.
Da 86 a 51 enti nelle regioni ordinarie. Via le giunte dal
2013.
Varato il decreto legge con gli
accorpamenti. Salve in extremis Arezzo, Belluno e Sondrio.
Da 86 a 51 province.
La nuova geografia dell'Italia riparte
da qui e lascia per strada 35 enti di secondo livello nelle
regioni a statuto ordinario. Dopo il dl Salva Italia (dl
201/2011), la spending review (dl 95/2012) e mesi di
discussioni e dibattiti tra chi non voleva cambiare nulla e
chi addirittura le province le avrebbe eliminate tutte, il
consiglio dei ministri di ieri ha approvato il decreto legge
che scrive per il momento la parola fine. Almeno per quanto
riguarda il lavoro del governo che chiude la porta a
qualunque ipotesi di ripensamento futuro.
«È un processo
irreversibile», ha dichiarato il ministro della funzione
pubblica Filippo Patroni Griffi, «un restyling coerente con
i modelli Ue nel solco della spending review». Ora quindi la
palla passa al parlamento. E all'esecutivo non resta che
augurarsi che la politica non smantelli piano piano (come
sta accadendo per esempio al decreto enti locali, dl
174/2012 ndr) la trama istituzionale faticosamente costruita
da Monti&Co.
Ma vediamo la mappa delle nuove province.
Come cambia la geografia italiana.
Molte le novità dell'ultim'ora. Resteranno in vita Sondrio e
Belluno perché bisogna «preservare la specificità delle
province il cui territorio è integralmente montano». Salva
anche la provincia di Arezzo che a discapito dei dati Istat
dovrebbe aver raggiunto in extremis il tetto minimo di 350
mila abitanti necessario per sopravvivere. Prato riabbraccia
Firenze confluendo nella città metropolitana del capoluogo
assieme a Pistoia. Stessa cosa in Lombardia dove la
provincia di Monza-Brianza entrerà a far parte dell'area
metropolitana di Milano invece che unirsi con
Varese-Como-Lecco. Una scelta, quest'ultima, presa contro il
volere dei diretti interessati che ieri hanno accusato il
governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, di aver
fatto pressioni perché la Brianza tornasse sotto Milano
piuttosto che confluire nella provincia di Varese. A
dispetto delle attese, Padova non confluisce nella città
metropolitana di Venezia, ma si aggrega con Treviso, mentre
Verona guadagna anche l'attuale provincia di Rovigo.
In Piemonte, ferme restando Torino (città metropolitana) e
Cuneo, nascono tre nuove realtà composite: Alessandria-Asti,
Novara-Verbania e Vercelli-Biella. In Toscana, detto di
Firenze e di Arezzo, spuntano due maxi province:
Siena-Grosseto e Massa Carrara-Lucca-Pisa-Livorno. In
Liguria, Imperia e Savona si fondono, mentre in
Emilia-Romagna, salve Bologna (città metropolitana) e
Ferrara, vanno a braccetto Piacenza e Parma e Modena e
Reggio Emilia. Ravenna, Forlì Cesena e Rimini si mettono
insieme per costituire un'unica provincia della Romagna.
Nelle Marche Ascoli, Fermo e Macerata andranno a costituire
un solo ente. In Abruzzo dalle attuali 4 province si passerà
a due: Pescara-Chieti e L'Aquila-Teramo. Nel Lazio, Roma
diventerà città metropolitana e le altre quattro province si
dimezzeranno andando a costituire Viterbo-Rieti e
Latina-Frosinone. In Campania, oltre a Napoli (città
metropolitana) si salvano Salerno e Caserta, mentre Avellino
si unisce a Benevento. In Puglia, Foggia ingloba l'attuale
provincia di Barletta-Andria-Trani, mentre Taranto si
aggrega con Brindisi. In Calabria, Catanzaro, Crotone e Vibo
Valentia torneranno insieme. Molise, Basilicata e Umbria
diventeranno regioni monoprovinciali.
La governance delle province.
Le nuove province vedranno la luce dal 01.01.2014.
Questo significa che le attuali amministrazioni resteranno
in carica fino al 31.12.2013, ma già dall'inizio
dell'anno prossimo le giunte scompariranno e gli unici
organi provinciali a restare in carica saranno i consigli e
i presidenti. Questi ultimi, in sostituzione delle giunte,
potranno delegare l'esercizio delle funzioni di governo a
non più di tre consiglieri. Non ci saranno i commissari a
traghettare gli enti verso il riordino. I commissari si
insedieranno solo negli enti che da oggi al 31.12.2013
vanno a scadenza (naturale o anticipata) per gestire la
macchina amministrativa fino all'insediamento dei nuovi
enti.
La elezioni per costituire i nuovi organi dovranno
tenersi in una domenica compresa tra il 1° e il 30.11.2013. Sarà una legge dello stato a definire le modalità
di elezione entro il 31.12.2012. Il consiglio
provinciale non sarà più composto inderogabilmente da dieci
componenti (come prevedeva il Salva Italia) ma il numero
potrà salire a 12 negli enti con popolazione compresa tra
300 mila e 700 mila abitanti e a 16 negli enti con più di
700 mila abitanti.
La successione tra enti.
Nelle province che avranno nuovi confini per effetto degli
accorpamenti il comune capoluogo sarà o il capoluogo di
regione (se rientra nel territorio della neonata provincia)
oppure il comune più popoloso tra quelli già capoluogo di
provincia. La denominazione delle nuove realtà locali potrà
comunque essere modificata con dpr, previa delibera del
consiglio dei ministri.
I nuovi enti subentreranno a quelli esistenti in tutti i
rapporti giuridici. Il passaggio dei dipendenti di ruolo
avverrà previa concertazione sindacale. Gli enti potranno
fare da sé solo in caso di mancato accordo con i sindacati.
Le dotazioni organiche saranno determinate tenendo conto
dell'effettivo fabbisogno. Le regioni trasferiranno ai
comuni le funzioni già conferite alle province a meno che
non decidano di tenerle per sé al fine di assicurarne un
esercizio unitario.
La governance delle città metropolitane.
Le città metropolitane vedranno la luce dal 2014 ad
eccezione di Reggio Calabria in cui il nuovo ente debutterà
90 giorni dopo il rinnovo degli organi del comune
attualmente commissariato. Le nuove realtà saranno rette da
un consiglio metropolitano composto da 18 membri negli enti
con più di 3 milioni di abitanti, 14 in quelli con
popolazione compresa tra 800 mila e 3 milioni di abitanti e
12 nelle altre città metropolitane. Saranno i sindaci e i
consiglieri comunali dei municipi ricompresi nel territorio
metropolitano ad eleggere i componenti del consiglio
(articolo ItaliaOggi dell'01.11.2012). |
APPALTI: Per il codice degli appalti la riforma a getto
continuo. Il ddl delega: regolamento
entro 6 mesi, poi aggiustamenti successivi.
Modifiche infinite per la normativa in materia di appalti
pubblici, con la delega a riordinare il Codice dei contratti
pubblici e il regolamento attuativo entro 6 mesi, con
ulteriori adeguamenti nell'anno successivo.
È quanto
prefigura il
disegno di legge in materia di infrastrutture e
trasporti, che incide anche con nuove norme sulla
bancabilità dei progetti, sulla riduzione dell'overdesign
nel settore ferroviario, sulla consultazione pubblica per le
grandi infrastrutture (il c.d. referendum o débat public).
Per quel che riguarda l'ennesima opera di rivisitazione del
Codice che fu approvato nel 2006 a seguito dei lavori della
Commissione De Lise, la delega per il «consolidamento del
quadro normativo» in materia di contratti avrà ad oggetto
anche il regolamento attuativo del decreto 163/2006 e dovrà
essere esercitata entro sei mesi dall'approvazione del
disegno di legge.
La formulazione della norma in realtà è
stata semplificata nel passaggio da una versione all'altra
del testo (è scomparsa, ad esempio, l'indicazione di
suddividere la normativa primaria da quella regolamentare),
ma rimane, di fondo, la scelta di intervenire in un'ottica
di semplificazione, razionalizzazione e riordino della
normativa vigente anche per evitare sovrapposizioni e
duplicazioni. La delega dovrebbe anche servire ad adeguare
le norme ai principi emersi in sede comunitaria, dove si
stanno mettendo a punto le nuove direttive appalti pubblici,
ma va detto che difficilmente entro sei mesi le direttive
saranno approvate (le posizioni tra Consiglio e Parlamento
sono molto distanti su molti punti e addirittura si parla di
un ritiro della direttiva concessioni) e quindi vi sarà
l'indubbia difficoltà di capire quali siano i principi
effettivamente «emersi».
In ogni caso una delega così ampia
con la finalità di stabilizzazione della normativa, ma con
la contestuale previsione di adeguare ulteriormente i
decreti delegati dopo un anno dalla loro approvazione,
sembra prefigurare un quadro di modifiche perpetue, che
molto difficilmente potrà creare quelle condizioni di
stabilità normativa che da anni il settore invano attende
(questo anno sono già 9 i provvedimenti che hanno cambiato
il Codice dei contratti pubblici). Il tutto considerando che
la stabilizzazione delle norme avviene con l'apparentemente
contraddittoria introduzione di ulteriori nuove norme di
modifica del Codice nello stesso disegno di legge.
Fra
queste (oltre a quelle sullo svincolo delle cauzioni, sui
raggruppamenti temporanei e sulle centrali di committenza,
vedi ItaliaOggi del 23 ottobre) si segnalano quelle relative
alle concessioni di lavori pubblici tese a favorire una
migliore bancabilità dei progetti attraverso il
coinvolgimento del settore bancario già nella fase di
offerta con una manifestazione di interesse a finanziare
l'opera e con la previsione di una clausola risolutiva in
caso di mancata sottoscrizione del finanziamento entro un
congruo termine, che potrebbe velocizzare l'iter.
Anche
l'estensione alle concessioni di lavori pubblici della norma
che consente di indire una consultazione preliminare sul
progetto posto a base di gara (oggi previsto per appalti
oltre i 20 milioni) dovrebbe favorire una maggiore certezza
degli elementi sui quali formulare le offerte e ridurre
l'aleatorietà sotto il profilo della bancabilità
dell'intervento. L'obiettivo finale è quello di attrarre
maggiormente la finanza privata, anche straniera, creando
condizioni di maggiore certezza giuridica e procedurale
rispetto a quanto avviene oggi.
Rilevante, soprattutto
politicamente, è poi l'introduzione della consultazione
pubblica (c.d. débat public o referendum) per la grandi
infrastrutture previste nel DEF al fine della gestione del
consenso sul territorio, che sarà gestita dai Provveditorati
interregionali alle opere pubbliche e si terrà sullo studio
di fattibilità o la massimo sul progetto preliminare.
Prevista anche una norma che limita a trenta giorni il
termine per presentare osservazioni al Ministero
dell'ambiente sui progetti di opere soggette a Via
(articolo ItaliaOggi dell'01.11.2012). |
LAVORI PUBBLICI: Grandi opere,
parola ai territori.
Prima di fare i lavori, il governo chiederà il parere dei
cittadini.
La novità nel disegno di legge delega
sulle infrastrutture, approvato ieri dal Consiglio dei ministri.
Consultazione pubblica prima della realizzazione di opere di
interesse strategico. Seguendo la strada del francese débat
public, il governo chiederà il parere dei cittadini prima
della realizzazione di importanti infrastrutture,
permettendo una maggiore condivisione delle informazioni e
delle finalità dei progetti con le comunità locali.
È una
delle novità contenute nel
disegno di legge delega approvato
ieri dal consiglio dei ministri che prevede anche, sempre
sul fronte infrastrutturale, nuove misure per agevolare
l’utilizzo degli strumenti di partenariato pubblico-privato
per la realizzazione delle opere pubbliche, anche attraverso
una ulteriore semplificazione e accelerazione delle
procedure.
Finanziabilità di progetti e bandi.
Per assicurare che i progetti da realizzare con contratti di
partenariato pubblico-privato siano idonei ad assicurare
adeguati livelli di «bancabilità» fin dalla gara per
l’affidamento, le amministrazioni aggiudicatrici potranno
chiedere che l’offerta presentata sia corredata da una
manifestazione di interesse da parte di una banca a
finanziare l’operazione. Attraverso questa consultazione
preliminare con gli operatori economici invitati a
presentare le offerte, sarà dunque possibile far emergere,
prima dell’affidamento, eventuali criticità del progetto
sotto il profilo della finanziabilità da parte del settore
bancario. Inoltre, vengono introdotti i «bandi-tipo» per
l’affidamento di contratti di partenariato.
Subentro di un
nuovo concessionario designato dagli enti finanziatori del
progetto. Il ddl interviene sull’istituto del subentro, che
consente di assicurare la continuità del rapporto concessorio in caso di risoluzione del rapporto stesso per
motivi addebitabili al concessionario. Viene introdotto, in
particolare, un termine minimo per legge (120 giorni,
prorogabile di altri 60 su richiesta motivata), sostitutivo
del termine rimesso al contratto tra le parti come è nella
situazione vigente, per la designazione del nuovo
concessionario da parte degli enti finanziatori, che hanno
in questo modo maggiore tempo per effettuare le proprie
scelte. Viene lasciata, inoltre, alla volontà negoziale
delle parti la determinazione dei criteri e delle modalità
di attuazione del diritto di subentro. Tramite questa
garanzia, il finanziamento dell’opera risulta maggiormente
attrattivo per il sistema bancario.
Centrale di committenza
per l’affidamento delle concessioni. Per favorire l’impiego
dello strumento della concessione anche da parte delle
amministrazioni di medie e piccole dimensioni, le quali
spesso non possiedono al loro interno le competenze
necessarie per attivare le particolari procedure previste,
si introduce la possibilità di fare ricorso alle centrali di
committenza, istituto già sperimentato per gli appalti
pubblici.
Consultazione pubblica. Per promuovere un più alto
livello di partecipazione delle popolazioni e dei territori
rispetto alla realizzazione di opere strategiche, viene
introdotta la procedura di consultazione pubblica che
permetterà di verificare preliminarmente la percorribilità
di un progetto e consentirà alle popolazioni coinvolte di
valutare e conoscere nel dettaglio le scelte riguardanti la
realizzazione e localizzazione delle grandi opere
infrastrutturali. Scopo della consultazione, che non sarà
vincolante per il decisore pubblico, è aumentare in modo
significativo il livello di coinvolgimento preventivo delle
comunità locali nei processi di realizzazione delle opere
strategiche per il sistema paese.
Semplificazione della
procedura di approvazione unica del Cipe del progetto
preliminare e della procedura di valutazione di impatto
ambientale. La nuova procedura, introdotta dal decreto legge
Salva Italia, di approvazione unica da parte del Cipe del
progetto preliminare di un’opera viene ulteriormente
perfezionata, inserendo una tempistica definita per il
pronunciamento delle singole amministrazioni e la previsione
di azioni conseguenti al mancato rispetto dei termini.
Inoltre, nell’ambito dell’istruttoria sui progetti relativi
alle opere soggette a procedura di valutazione di impatto
ambientale, si fissa il termine di 30 giorni per la
presentazione delle eventuali osservazioni rimesse al
ministero dell’ambiente dai soggetti pubblici e dai privati
interessati. In questo modo sarà più semplice fissare
termini stabiliti per la conclusione della conferenza di
servizi necessaria per l’approvazione del progetto
preliminare.
Semplificazioni normative e riduzione dell’overdesign.
Per ridurre il fenomeno dell’overdesign, e cioè la
fissazione di requisiti tecnici progettuali più stringenti
rispetto a quanto richiesto dalla normativa europea, in
particolare per le opere infrastrutturali ferroviarie, e i
relativi costi da esso generati, si prevede l’allineamento
delle regole minime di sicurezza alle norme europee, anche
già vigenti, limitando l’introduzione di ulteriori norme
nazionali non fondate su standard comuni ed i relativi
sovracosti.
Svincolo garanzie di buona esecuzione. Per
garantire maggiore liquidità alle imprese che operano nel
settore degli appalti pubblici, si prevede -per lo svincolo
progressivo della garanzia in base all’avanzamento
dell’esecuzione del contratto- la riduzione dal 25% al 20%
della percentuale relativa all’ammontare residuo
dell’importo garantito non svincolabile fino al collaudo.
Nei settori speciali (energia, acqua, trasporti, poste), la
messa in esercizio delle opere prima del loro collaudo, se
protratta per oltre 12 mesi, darà luogo allo svincolo
automatico delle garanzie di buona esecuzione. A tutela
della pubblica amministrazione rimane comunque una quota del
20% delle garanzie, che possono essere svincolate solo
all’emissione del certificato di collaudo, ovvero alla
scadenza del termine contrattuale per l’emissione dello
stesso certificato.
Recupero del patrimonio edilizio
esistente. Per incentivare il recupero del patrimonio
edilizio esistente, si prevede una politica di riduzione
degli oneri di costruzione relativi a ristrutturazioni e
recuperi edilizi, differenziando i contributi di costruzione
rispetto alle nuove opere, così da rendere più vantaggioso
il recupero e la ristrutturazione del patrimonio edilizio.
In questo modo si favorisce un utilizzo virtuoso degli
immobili esistenti, limitando il consumo del territorio
(articolo ItaliaOggi del 31.10.2012). |
LAVORI PUBBLICI: Grandi
opere, decolla la consultazione pubblica. Al Governo la
delega per rivedere i codici degli appalti e dell'edilizia.
NORME ANTI-NIMBY/ Il débat public vuole aumentare il
consenso sui progetti: ma alla regìa sarà il provveditore
alle opere pubbliche, non figure terze.
Il Governo manda in Parlamento la
proposta di istituzione della consultazione pubblica per le
grandi opere. È il confronto istituzionalizzato sul
territorio di derivazione francese, il débat public, che
dovrebbe aiutare a ridurre i tempi di approvazione delle
infrastrutture e contrastare l'effetto Nimby, cioè la
ribellione delle popolazioni locali contro la realizzazione
delle infrastrutture.
La norma è contenuta nel
disegno di legge di riforma
complessiva degli appalti che il Consiglio dei ministri ha
approvato ieri. La disciplina della consultazione pubblica
esce piuttosto stravolta dai vari confronti interni al
Governo: era partita, nel testo originario, come confronto
istituzionalizzato guidato da una commissione «neutra»
rispetto agli interessi in campo, per dare spazio a un
confronto preliminare ampio e aperto; ora a fare la regìa
dell'intera consultazione viene chiamato il provveditore
interregionale alle opere pubbliche. Anche la modifica
dell'ultima ora riduce gli spazi del débat public
all'italiana, precludendo la possibilità di presentare
progetti alternativi.
Le opere su cui si potrà attivare la consultazione sono
quelle indicate annualmente dal Def infrastrutture del
Governo, ma la consultazione potrà essere attivata anche dal
soggetto aggiudicatore, dal promotore, da un consiglio
regionale, da un insieme di consigli comunali o provinciali
rappresentativi di almeno 150mila abitanti o da 50mila
cittadini residenti nei comuni interessati all'opera.
Quello varato ieri è un disegno di legge che ora va in
Parlamento per un esame che appare piuttosto difficile da
concludere nei tempi restanti della legislatura. Come per le
semplificazioni, una riforma fondamentale rischia seriamente
di restare in mezzo al guado alla fine della legislatura.
La norma più importante per i settori interessati è
probabilmente la doppia delega per il riordino dei codici
degli appalti e dell'edilizia: si tratta delle due leggi
fondamentali rispettivamente sul fronte pubblico e privato e
devono tener conto delle molte modifiche fatte negli ultimi
mesi. Solo negli ultimi 15 mesi al codice dei contratti
pubblici (o appalti) sono state introdotte 120 modifiche dai
decreti legge e dalle leggi approvate in Parlamento. Un
terremoto continuo che spiazza gli operatori e rende
necessario un nuovo punto fermo sull'intera materia.
All'interno dei criteri di delega c'è un'altra delle novità
rilevanti del disegno di legge, là dove per garantire
«semplificazione delle procedure e creazioni di condizioni
favorevoli per il partenariato pubblico-privato e la finanza
di progetto» si esclude la possibilità di varare norme che
producano una reformatio in pejus dei contratti
rispetto alla disciplina vigente al momento della stipula.
Per il viceministro alle Infrastrutture, Mario Ciaccia, che
della riforma è il padre, anche per le consultazioni a tutto
campo avute in questi mesi con associazioni delle imprese,
banche e fondazioni (tra cui Astrid, Italiadecide e
Respublica hanno avuto un ruolo preminente), si tratta «del
necessario completamento e consolidamento della disciplina».
Ciaccia, così come il ministro delle Infrastrutture, Corrado
Passera, punta soprattutto al rafforzamento delle norme
agevolative dei contratti di partenariato pubblico-privato.
Per aumentare la bancabilità dei progetti –e la
finanziabilità dei progetti da parte del sistema bancario–
viene introdotta la cosiddetta «consultazione preliminare»
anche con le imprese prequalificate in gara, da tenersi
prima del termine di presentazione delle offerte. In questo
modo committenti e imprese potranno «verificare
l'insussistenza di criticità del progetto posto a base di
gara».
Il bando di gara potrà anche prevedere la risoluzione del
rapporto in caso di mancata sottoscrizione del contratto di
finanziamento, il cosiddetto closing finanziario, «o
di adeguati impegni al versamento delle risorse entro un
congruo termine dalla data di approvazione del progetto
definitivo». Per capire quanto sia delicato questo
aspetto, basti ricordare che grandi opere lombarde come Tem
e Brebemi, per cui sono già stati avviati da tempo i
cantieri, non hanno ancora raggiunto il closing
finanziario.
Un altro aspetto della riforma è la maggiore facilità del
subentro nel rapporto concessorio. Il Governo dà 120 giorni
al soggetto finanziatore per individuare l'impresa
subentrante nei lavori dopo la risoluzione per fatti
imputabili al concessionario e si elimina il decreto
ministeriale che avrebbe dovuto dettare «criteri e
modalità» per individuare il subentrante
(articolo Il
Sole 24 Ore del 31.10.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: I
crediti delle imprese. Slitta a oggi il via libera
dell'esecutivo al decreto legislativo che recepisce la
direttiva europea. Pa, dal primo gennaio pagamenti in 30-60
giorni.
L'IMPATTO IN AZIENDA/ Stessi termini anche per le imprese,
ma ci sarà maggiore libertà contrattuale sull'entità degli
interessi moratori e sulla soglia temporale.
Il governo prova a tener fede all'impegno di sciogliere, una
volta per tutte, il nodo degli eterni tempi di pagamento dei
debiti della pubblica amministrazione, oltre a quelli tra
imprese.
Approda stamattina in consiglio dei ministri il decreto
legislativo che recepisce la direttiva Ue sui tempi massimi
per saldare le fatture. Un Dlgs, arrivato già ieri sul
tavolo di Palazzo Chigi ma poi slittato alla riunione "supplementare"
di oggi, sul quale il via libera sembra scontato visto che
sul testo, seguito da vicino dal ministro per gli Affari
europei, Enzo Moavero, c'è già il consenso dei tecnici degli
altri ministeri.
I tre articoli della bozza di decreto –che riscrive il
precedente Dlgs 231 del 2002– prevedono che dal 01.01.2013
la Pa dovrà pagare i suoi fornitori entro 30 giorni, con
deroghe a 60 giorni in particolari casi. Un tetto a cui
potranno arrivare anche i pagamenti tra imprese e che potrà
essere superato per le loro transazioni commerciali nel caso
ci sia accordo tra le parti. Il Dlgs, che non dovrà passare
per i pareri del Parlamento, dovrebbe dunque rispettare la
data stabilita dalla legge sullo statuto di impresa (la
180/2011) che oltre a prevedere la delega ad hoc per il
Governo anticipa di quattro mesi –a metà novembre (invece
che a metà marzo)– l'introduzione della direttiva Ue 2011/7.
Un'accelerazione, dunque, che sarà molto probabilmente
rispettata anche se poi le nuove regole scatteranno per le
transazioni commerciali che si concluderanno dal 01.01.2013
in poi. Un lasso di tempo, questo, –spiega la relazione
illustrativa al decreto– necessario per dare tempo a tutti,
Pa in primis, di adeguarsi anche per quanto riguarda
la «modulistica contrattuale e le procedure interne di
pagamento».
Quella dei ritardi nei pagamenti è da sempre un'emergenza,
come sa bene anche l'Esecutivo, perché di fatto chiude i
rubinetti togliendo liquidità alle imprese e alle Pmi
costrette ad aspettare in media circa 180-190 giorni per
essere pagate, con punte record al Sud dove si superano
anche i 1.500 giorni. E le regole già in vigore –come quelle
previste ad esempio per i lavori pubblici– finora non hanno
sortito effetti. Da qui l'attesa per i nuovi paletti europei
che, come detto, fissano a 30 giorni il termine ordinario
che la Pa deve rispettare per pagare. Anche se ci saranno
delle deroghe: in particolare per asl, ospedali e imprese
pubbliche che possono portare a 60 giorni il termine
massimo. Ma anche tutte le altre Pa potranno accedere a
questa deroga nel caso "eccezionale" in cui l'eventuale
proroga sia giustificata «dalla natura o dall'oggetto del
contratto» oppure dalle «circostanze esistenti al
momento della sua conclusione».
Per le amministrazioni pubbliche che non rispetteranno i
tempi scatterà la "sanzione" degli interessi legali
di mora. Che decorreranno automaticamente dal giorno
successivo alla scadenza del termine del pagamento senza che
sia necessaria la costituzione in mora. Gli «interessi
legali di mora» si calcoleranno prevedendo una
maggiorazione di 8 punti percentuali sul tasso fissato dalla
Banca centrale europea: in sostanza si aggireranno intorno
alla soglia del 10 per cento.
Per le imprese invece ci sarà maggiore libertà contrattuale:
oltre a concordare l'entità degli interessi moratori
potranno decidere, pattuendolo per iscritto, anche di
superare la soglia massima dei 60 giorni per pagare. Il
decreto però prevede espressamente tutta una serie di
paletti per escludere automaticamente clausole vessatorie
che puntino ad aggirare i tempi massimi, il pagamento degli
interessi e l'eventuale risarcimento per i costi che sono
necessari per recuperare i crediti.
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I punti chiave
I PAGAMENTI DELLA PA -
Saldo entro 30 giorni
Il decreto legislativo prevede che dal 01.01.2013 la
Pubblica amministrazione provveda al saldo dei pagamenti
verso i suoi fornitori entro 30 giorni che scattano dal
ricevimento della fattura o dal ricevimento delle merci o
dalla data di prestazione dei servizi. Oppure
dall'accettazione o dalla verifica (se previsto) della
conformità della merce o dei servizi alla previsioni
contrattuali
LE DEROGHE
- Le proroghe a 60 giorni
Sono previste delle deroghe a 2 mesi per le imprese
pubbliche e per gli enti pubblici che forniscono assistenza
sanitaria. Anche le altre Pa potranno pagare a 60 giorni in
casi eccezionali, e cioè quando l'eventuale proroga sia
giustificata «dalla natura o dall'oggetto del contratto»
oppure dalle «circostanze esistenti al momento della sua
conclusione»
GLI INTERESSI DI MORA -
Decorrenza automatica
Gli interessi moratori decorrono automaticamente dal giorno
successivo alla scadenza del termine del pagamento senza che
sia necessaria la costituzione in mora. Nel caso il debitore
sia una Pa scattano gli «interessi legali di mora»
con una maggiorazione di 8 punti percentuali al tasso
fissato dalla Bce. Per i pagamenti tra imprese si potrà
invece concordare un tasso
LE FATTURE TRA IMPRESE -
Saldo tra 30 e 60 giorni
Anche nelle transazioni commerciali tra le imprese è
prevista la regola ordinaria dei 30 giorni per il pagamento
che possono allungarsi fino a 60 giorni. Un tetto, questo,
che può essere a sua volta superato nel caso sia stato
pattuito espressamente tra le parti un termine di pagamento
superiore. La clausola relativa al nuovo termine dovrà
essere però provata per iscritto e non dovrà risultare «iniqua»
per il creditore
NO A CLAUSOLE INIQUE -
Tutti i casi di grave iniquità
Prevista la nullità delle clausole relative al termine di
pagamento, al saggio degli interessi moratori e al
risarcimento dei costi di recupero. Sono considerate ex
lege gravemente inique le clausole che escludono il
diritto al pagamento degli interessi di mora e quelle
relative alla data di ricevimento della fattura, mentre si
presumono gravemente inique quelle che escludono il
risarcimento dei costi di recupero
I RISARCIMENTI -
Rimborsi automatici dei costi
Il creditore ha diritto anche al rimborso dei costi che ha
sostenuto per il recupero delle somme che non sono state
tempestivamente corrisposte. Al creditore spetta, infatti,
senza che sia necessaria la costituzione in mora, un importo
forfettario di almeno 40 euro (come soglia minima) a titolo
di risarcimento del danno. È comunque fatta salva la prova
del maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza
per il recupero del credito
(articolo Il
Sole 24 Ore del 31.10.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 31.10.2012 |
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ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Il
dl varato dal governo elimina la norma dall'origine per
evitare contenziosi. Prelievo sul tfr, tabula rasa. Estinti
i processi per la restituzione del contributo.
Estinti i processi per la restituzione
del contributo previdenziale obbligatorio del 2,5% sulla
base contributiva dei dipendenti pubblici.
Il decreto legge approvato lo scorso venerdì dal governo per
attuare la sentenza della Corte costituzionale 223/2012 non
si limita ad azzerare la norma considerata incostituzionale,
l'articolo 12, comma 10, del dl 78/2010, convertito in legge
122/2010, ma incide anche sulle vertenze attivate, con
l'intento di eliminare il contenzioso sorto nel frattempo.
L'estinzione dei processi potrà essere anche dichiarata
d'ufficio dal giudice e in ogni caso le sentenze emesse
resteranno prive di effetti.
La ragione della chiusura del contenzioso è semplice: il
governo, col decreto legge, non si limita ad attuare le
indicazioni della Consulta, ma azzera totalmente la norma «incriminata».
La sentenza 223/2010, a ben vedere, ha considerato
l'articolo 12, comma 10, del dl 78/2010 incostituzionale non
in quanto tale, ma poiché mentre fino al 31.12.2010 la
normativa imponeva al datore di lavoro pubblico un
accantonamento complessivo del 9,60% sull'80% della
retribuzione lorda, con una trattenuta a carico del
dipendente pari al 2,50%, calcolato sempre sull'80% della
retribuzione, l'articolo 12, comma 10, aveva imposto la
trasformazione del trattamento di fine servizio in vero e
proprio tfr.
La Consulta ha rilevato che la normativa antecedente
all'articolo 12, comma 10, imponeva «un accantonamento
determinato su una base di computo inferiore e, a fronte di
un miglior trattamento di fine rapporto, esigeva la rivalsa
sul dipendente, cioè il prelievo del 2,5%».
Il passaggio a una contribuzione del 6,91% operante
sull'intera retribuzione, mantenendo detto prelievo, aveva
comportato, spiega la Consulta, «una diminuzione della
retribuzione e, nel contempo, la diminuzione della quantità
del tfr maturata nel tempo», vulnerando gli articoli 3 e
36 della Costituzione, perché si era dettata una disciplina
peggiorativa dei lavoratori pubblici rispetto ai privati, a
parità di retribuzione.
Il decreto legge, dunque, elimina l'articolo 12, comma 10,
dal primo gennaio 2011 (esattamente la stessa data della sua
entrata in vigore) facendo tornare le cose com'erano prima.
Mancano, tuttavia, indicazioni ancora più strettamente
operative. È evidente che le amministrazioni dovranno
restituire le somme indebitamente trattenute ai dipendenti.
Sarebbe fondamentale, però, che Inps-Inpdap chiariscano
velocissimamente come le amministrazioni dovranno agire ai
fini dei versamenti successivi.
Essendo stata eliminata la disposizione che portava
l'aliquota contributiva al 6,91%, dovrebbe tornare
l'applicazione del precedente regime normativo.
Il decreto legge, in conseguenza della cancellazione
dell'articolo 12, comma 10, dispone anche di riliquidare i
trattamenti di fine servizio ai dipendenti che, nel
frattempo, erano cessati, nel rispetto alla disciplina
normativa antecedente. La riliquidazione deve avvenire entro
un anno e, comunque, si stabilisce di non recuperare nei
confronti dei dipendenti somme eventualmente erogate in
eccedenza
(articolo ItaliaOggi del 30.10.2012). |
COMPETENZE
GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Delibera
civit. Il sindaco nomina i valutatori.
È il sindaco l'organo comunale competente a incaricare e
nominare i componenti dell'organismo indipendente di
valutazione (Oiv).
Il chiarimento alla questione (per la verità piuttosto
scontato) proviene dalla Commissione per la valutazione, la
trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit),
che si è espressa con la
delibera 23.10.2012 n. 21.
Il dubbio espresso da non pochi comuni deriva dalla
formulazione dell'articolo 14, comma 3, del dlgs 150/2009 ai
sensi del quale l'Organismo indipendente di valutazione è
nominato, sentita la Commissione di cui all'articolo 13,
dall'organo di indirizzo politico–amministrativo: negli enti
locali operano tre organi di tale natura (consiglio, giunta
e sindaco o presidente della provincia), sicché potrebbero
darsi problemi per individuare quello al quale correttamente
attribuire la competenza. Esclusa la giunta, la quale altro
non è se non un supporto collegiale alle funzioni del
sindaco e non ha veri e propri compiti di indirizzo
politico, l'incertezza potrebbe riguardare l'alternativa tra
consigli e organi di vertice monocratici.
La Civit giunge alla conclusione che la competenza è del
sindaco sulla base di osservazioni trancianti. In primo
luogo, la commissione ricorda che esiste una norma già
risolutiva della questione: l'articolo 4, comma 2, lettera
g), della legge 15/2009 (la legge delega da cui è scaturito
il dlgs 150/2009) dispone che «i sindaci e i presidenti
delle province nominano i componenti dei nuclei di
valutazione», che poi il dlgs ha disciplinato come «Organismi
indipendenti di valutazione». Di per sé questo semplice
rilievo sarebbe sufficiente per escludere la competenza di
ogni altro soggetto.
La delibera 21/2012, comunque, ricorda che le competenze del
consiglio comunale e provinciale sono fissate dall'articolo
42 del dlgs 267/2000 in modo tassativo. I consigli possono
legittimamente esercitare esclusivamente le attribuzioni
elencate espressamente nell'articolo 42 e nelle altre
disposizioni di legge, contenute anche in altri articoli del
Testo unico degli enti locali. Tutte le altre competenze,
non rientranti nelle funzioni gestionali o nella sfera del
sindaco, cadono nelle competenze della giunta
(articolo ItaliaOggi del 30.10.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: In
consiglio dei ministri sbarca il ddl delega sui contratti
pubblici. Rotta sulle asseverazioni. Meno autorizzazioni
nell'edilizia. Verso procedure semplificate sui lavori di
trasformazione urbana.
Eliminare i provvedimenti autorizzatori per gli interventi
di trasformazione urbanistico-edilizia e di conservazione;
consultazione pubblica limitata alle grandi opere; eliminata
la corrispondenza fra quote di partecipazione al
raggruppamento temporaneo e quote dei lavori da svolgere.
Sono queste alcune delle norme proposte dal Governo nel
disegno di legge in materia di
infrastrutture, edilizia e trasporti che viene
esaminato oggi dal consiglio dei ministri.
Per quel che attiene all'attività edilizia e urbanistica
emerge con una certa chiarezza la scelta di semplificare
sempre più gli oneri procedurali, eliminando il ricorso a
provvedimenti autorizzatori per interventi di trasformazione
urbanistico-edilizia e di conservazione. Alla luce di questa
impostazione sarà dato inevitabilmente sempre maggiore
spazio alle asseverazioni dei professionisti chiamati ad
assumersi responsabilità e compiti sempre più delicati
rispetto a interventi che, per loro natura, investono una
pluralità di normative spesso complesse articolate di cui
tenere conto.
Nel disegno di legge non mancano però le novità rispetto al
testo che circolava la settimana scorsa (vedi Italia Oggi
del 23 ottobre).
In primo luogo scompare del tutto il Comitato dei ministri
per le infrastrutture strategiche che avrebbe dovuto
coordinare, unificare e rafforzare le linee di azione del
Governo per la realizzazione delle infrastrutture. Viene
espunta anche la norma che avrebbe consentito la
costituzione di un Fondo mobiliare chiuso per la
valorizzazione dei beni pubblici mobiliari e per favorire la
dismissione delle partecipazioni societarie al quale
avrebbero dovuto collaborare anche Anci e Upi. Sparisce
anche la norma di delega per l'ennesima revisione del Codice
della strada, mentre rimangono confermate le deleghe per il
«consolidamento» della normativa sui contratti
pubblici e per la revisione del codice della navigazione e
per i servizi di trasporto su autobus.
Vengono anche ritoccate le disposizioni in materia di
concessioni di costruzione e gestione, per le quali già il
testo della settimana scorsa prevedeva la possibilità di
indire una consultazione preliminare per verificare
eventuali criticità del progetto posto a base di gara di una
procedura ristretta, sul modello di alcune prassi
internazionali. In particolare i bandi per queste
concessioni, che in precedenza era previsto fossero
predisposti dall'Unità tecnica per la finanza di progetto,
saranno invece messi a punto sulla base di modelli forniti
dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici,
previo parere del ministero delle infrastrutture. In queste
operazioni le banche dovranno dare la loro «manifestazione
di interesse» (non più la «disponibilità») a
finanziare l'operazione di project finance.
Il nuovo testo all'esame oggi prevede poi l'abrogazione del
comma 13 dell'articolo 37 del Codice dei contratti pubblici,
con il risultato che neanche per il settore dei lavori sarà
più applicabile il principio di corrispondenza fra quote di
partecipazione nei raggruppamenti temporanei di imprese e
quota dei lavori svolti (corrispondenza che da agosto non
esisteva più per il settore dei servizi e delle forniture).
La nuova bozza prevede quindi che i lavori possano essere
svolti anche in percentuali diverse da quelle indicate nella
partecipazione al raggruppamento.
Un'altra significativa modifica riguarda la consultazione
pubblica (débat public) per la realizzazione di opere di
rilevante impatto ambientale, sociale ed economico che non
sarà più affidata a una «apposita Commissione» bensì
sarà gestita dal Provveditore interregionale per le opere
pubbliche competente per territorio, in coordinamento con il
prefetto.
Il nuovo testo elimina anche la possibilità di indire
commissioni per consultazioni pubbliche su opere di «interesse
locale» su proposta di regioni, province o enti locali.
Confermate le disposizioni in materia di svincolo cauzioni
per opere in esercizio da almeno un anno ma non ancora
collaudate e l'innalzamento all'80% della quota svincolabile
(articolo ItaliaOggi del 30.10.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Il
governo ha sanato il prelievo sanzionato dalla Consulta. Trattenuta del 2,5% sulle paghe, ora è legittima.
Al personale della scuola, come a tutti i lavoratori alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il trattamento
di fine servizio (buonuscita) continuerà ad essere liquidato
secondo le norme previste dal decreto 1032/1973 (l'80 per
cento dello stipendio in godimento comprensivo della
indennità integrativa speciale e della quota di tredicesima
mensilità da moltiplicare per il numero degli anni utili ai
fini della buonuscita) e non secondo quanto stabiliva il
comma 10 dell'articolo 12 del decreto legge 31.05.2010,
n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122.
La legge citata prevedeva, con effetto sulle
anzianità contributive maturate a decorrere dal 01.01.2011, che il computo dei trattamento di fine servizio fosse
effettuato secondo le regole di cui all'articolo 2120 del
codice civile, con l'applicazione dell'aliquota del 6,91 per
cento a carico della sola amministrazione e nessun onere per
il dipendente.
Il governo ha infatti abrogato, con un decreto legge
approvato nella seduta dello scorso 26 ottobre, la
disposizione contenuta nel comma 10. Per effetto di tale
abrogazione e del conseguente ripristino delle disposizioni
di cui al decreto 1032/1973 rimane in vigore e riacquista
legittimità la ritenuta mensile del 2,50 per cento sull'80
per cento della retribuzione utile ai fini del calcolo della
buonuscita, ritenuta che, a seconda della qualifica del
personale della scuola (dirigente, docente o personale
amministrativo, tecnico e ausiliario) e dell'anzianità
posseduta è compresa indicativamente tra i 30 e i 50 euro al
mese.
Il governo insomma ha sanato il prelievo che la
consulta aveva dichiarato illegittimo. Con riferimento ai
processi pendenti aventi ad oggetto la restituzione del
predetto contributo previdenziale, il decreto legge precisa
che si estingueranno di diritto. L'estinzione sarà
dichiarata con decreto, anche d'ufficio. Le sentenze
eventualmente emesse che hanno accolto le richieste di
restituzione della ritenuta del 2,50 per cento, operata
sugli stipendi mensili a decorrere dal 01.01.2011,
resteranno quindi prive di effetti, fatta eccezione per
quelle passate in giudicato.
Quanto infine ai trattamenti di fine servizio(buonuscita),
liquidati prima dell'entrata in vigore del nuovo decreto
legge secondo le norme del Tfr, dovranno essere riliquidati
d'ufficio secondo le norme di cui al citato decreto
1032/1973. Non si provvederà, invece, al recupero a carico
del dipendente di eventuali somme già erogate in eccedenza,
in conseguenza dell'applicazione delle norme che regolano il
trattamento di fine rapporto, trattamento che in casi
particolari può essere stato più favorevole rispetto a
quello del trattamento di fine servizio.
Questo in sintesi il contenuto del decreto legge che il
Governo è stato costretto ad approvare in seguito alla
dichiarazione di illegittimità costituzionale del citato
comma 10 contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale
n. 223/2012 e anche, presumibilmente, al fine di impedire la
inevitabile restituzione delle somme trattenute a decorrere
dal 01.01.2011. Spetterà ora ai deputati e ai senatori
trasformarlo in legge dello Stato entro sessanta giorni
dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
(articolo ItaliaOggi del 30.10.2012). |
APPALTI:
Appalti, basta
l'autocertificazione.
Ok alla dichiarazione sostitutiva sulla responsabilità
solidale. Lo ha chiarito l'Agenzia
delle entrate nella circolare n. 40. Sanzioni fino a 200
mila euro.
Nuove responsabilità per committenti e appaltatori. Il
regime di solidarietà introdotto dal dl 223/2006, modificato
dall'art. 13-ter del dl 83/2012 (decreto sviluppo), ha
dettato ulteriori regole in materia di responsabilità
fiscale nell'ambito dei contratti di appalto e subappalto di
opere e servizi.
A decorrere dai contratti stipulati il 12.08.2012, è stato introdotto il principio della
responsabilità dell'appaltatore e del committente per il
versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di
lavoro dipendente e dell'Iva dovuta dal subappaltatore e
dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate
nell'ambito del contratto.
La responsabilità viene meno laddove
l'appaltatore/committente acquisisca la documentazione
attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del
pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente
eseguiti dal subappaltatore/appaltatore.
In assenza della documentazione il committente (verso
l'appaltatore) e l'appaltatore (verso il subappaltatore)
devono sospendere il pagamento dei corrispettivi.
L'attuale normativa ammette che la documentazione possa
consistere in una asseverazione rilasciata da Caf o da
professionisti abilitati oppure, come recentemente affermato
dalla
circolare 08.10.2012 n. 40/E dell'Agenzia delle entrate, anche
nell'autocertificazione dell'impresa. In caso di violazione
della norma scattano le sanzioni che possono variare da un
minimo di 5 mila a un massimo di 200 mila euro.
La normativa. Il comma 28 dell'art. 35 del dl 223/2006 è stato
integralmente sostituito dall'art. 13-ter del dl 83/2012
convertito. Sulla materia è intervenuta la
circolare 08.10.2012 n. 40/E
dell'Agenzia delle entrate, che ha
precisato che gli adempimenti da porre in essere per evitare
la corresponsabilità negli appalti si riferiscono ai
pagamenti effettuati a partire dall'11 ottobre, in relazione
ai contratti di appalto o subappalto stipulati a decorrere
dal 12.08.2012.
L'adempimento al quale gli appaltatori devono fare
riferimento è la verifica del corretto versamento all'Erario
delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e
dell'Iva dovuta dal subappaltatore in relazione alle
prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di
subappalto.
In mancanza di tale controllo, l'appaltatore diviene
solidalmente responsabile con il subappaltatore, nei limiti
del corrispettivo dovuto, per i versamenti omessi. Inoltre
in mancanza della documentazione attestante la correttezza
dei versamenti dell'Iva e delle ritenute dell'appaltatore e
del subappaltatore, il committente, pur non essendo
corresponsabile, viene sanzionato, in caso di omissione del
versamento, con una sanzione amministrativa pecuniaria da 5
mila a 200 mila euro.
I soggetti interessati. L'ambito di applicazione della nuova
disposizione è ampio e abbraccia tutti i settori. La
disciplina infatti si applica alle obbligazioni nascenti dai
contratti di appalto e subappalto, di opere, forniture e
servizi, stipulati da soggetti nell'ambito di attività
rilevanti ai fini dell'Iva e, in ogni caso, dai soggetti
indicati agli artt. 73 e 74 del dpr n. 917/1986 («Testo
unico delle imposte sui redditi»). Rientrano pertanto nella
disciplina, ad esempio, i contratti aventi a oggetto la
costruzione di immobili e di impianti particolari, ma anche
quelli aventi a oggetto la pulizia periodica di uffici e
fabbriche.
Sono espressamente escluse dall'applicazione della
disposizione le (sole) stazioni appaltanti, di cui all'art.
3, comma 33, del dlgs n. 163/2006 («Codice degli appalti
pubblici»).
Le attestazioni. Il subappaltatore e l'appaltatore possono
attestare l'avvenuto adempimento degli obblighi fiscali
anche attraverso l'asseverazione rilasciata dai dottori
commercialisti, consulenti del lavoro, responsabili dei Caf-imprese. La circ. 40/2012 ha inoltre introdotto la
possibilità di rilasciare una dichiarazione sostitutiva di
atto notorio (dpr 445/2000), con cui
l'appaltatore/subappaltatore attesta l'avvenuto adempimento
degli obblighi richiesti dalla disposizione.
Il contenuto delle attestazioni. Per quanto riguarda la
dichiarazione sostitutiva (o l'attestazione da parte del
professionista o del Caf), tale documento deve contenere
l'indicazione:
- del periodo nel quale l'Iva relativa alle fatture
concernenti i lavori eseguiti è stata liquidata,
specificando se dalla liquidazione è scaturito un versamento
di imposta, ovvero se in relazione alle fatture oggetto del
contratto è stato applicato il regime dell'Iva per cassa
oppure la disciplina del reverse charge;
- del periodo nel quale le ritenute sui redditi di lavoro
dipendente sono state versate, mediante scomputo totale o
parziale; degli estremi del modello F24 con il quale i
versamenti dell'Iva e delle ritenute non scomputate,
totalmente o parzialmente, sono stati effettuati;
- dell'affermazione che l'Iva e le ritenute versate
includono quelle riferibili al contratto di
appalto/subappalto per il quale la dichiarazione viene resa.
I termini per i versamenti erariali.
La circ. 40 ha precisato che nell'autocertificazione deve
essere indicato «il periodo nel quale l'Iva relativa alle
fatture concernenti i lavori eseguiti è stata liquidata»
e «il periodo nel quale le ritenute sui redditi di lavoro
dipendente sono state versate», dando per certo che i
versamenti debbano già essere avvenuti alla data della
liquidazione del corrispettivo.
È indubbio che in assenza di correttivi futuri, se la
direttiva verrà applicata in base all'attuale versione,
molte imprese non potranno mai rispettare tali adempimenti,
dovendo incassare il corrispettivo per poter fare fronte
agli obblighi fiscali
(articolo ItaliaOggi Sette del
29.10.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA
PRIVATA: Burocrazia verde in
versione light.
Alleggerimenti per la gestione di rifiuti e procedure Via e
Aia. Dai siti inquinanti alle terre
da scavo: le misure del ddl semplificazioni in materia di ambiente.
Nuovi alleggerimenti per la gestione di materiali da scavo e
rifiuti agricoli, rimodulazione del confine tra acque e
rifiuti, autorizzazione alla bonifica dei siti inquinati in
«silenzio-assenso», velocizzazione delle procedure «Via» e
«Aia». Promette di intervenire su tutte le principali
tematiche ambientali il disegno di legge in materia di
semplificazione (meglio noto come «Semplificazioni-bis»)
licenziato lo scorso 16.10.2012 dal governo e ora
all'esame del parlamento.
«Materiali di riporto». La prima delle novità in materia di
gestione di terre e rocce da scavo riguarda la
riformulazione della nozione di «materiali di riporto»
contenuta nel dl 2/2012, ossia dei materiali paragonati
dallo stesso decreto legge al suolo dal punto di vista della
gestione ambientale.
Pur conservando la definizione base
dell'articolo 3 del dl 2/2012 che li individua «quali
materiali eterogenei (...) utilizzati per la realizzazione di
riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche
geologiche (...) al terreno (...) all'interno dei quali possono
trovarsi materiali estranei» il ddl in itinere interviene su
diversi aspetti nodali della loro gestione modificando
direttamente il citato dl 2/2012. In primo luogo il «Semplificazioni-bis»
rende autonoma la definizione generale di «materiali di
riporto» eliminando ogni rinvio al dm ambiente 161/2012 (il
nuovo provvedimento sull'utilizzo delle terre e rocce da
scavo come sottoprodotti, che appare dunque entrare in gioco
solo nel caso di gestione di detti materiali in deroga al
regime ordinario sui rifiuti).
Ancora, il ddl in esame specifica a monte il novero dei
materiali «estranei» che identificano i «materiali di
riporto» come tali, individuandoli come residui di
lavorazione industriale e residui generali, e indicandoli (a
titolo esemplificativo) quali materiali di demolizione, litoidi, pietrisco tolto d'opera, conglomerati bituminosi e
non, scorie spente, loppe di fonderia, detriti e fanghi di
lavorazione e lavaggio di inerti. Lo stesso ddl prevede
l'obbligo, in caso di potenziale contaminazione del suolo
contenente «materiali di riporto» di procedere alla sua
caratterizzazione con le modalità previste dall'allegato V
al dlgs 152/2006 e, in caso di superamento di determinate
concentrazioni, di effettuare ulteriori approfondimento
mediante test di cessione.
Le novità previste dal ddl governativo si innestano nel
restyling normativo sulla gestione delle terre e rocce da
scavo avviato dal citato dl 2/2012 (mediante la
parificazione dei «materiali di riporto» al suolo) e portato
avanti dal dm ambiente 161/2012 (che dallo scorso 6 ottobre
costituisce la nuova disciplina di riferimento per la
gestione delle stesse come sottoprodotti in sostituzione
delle regole ex articolo 186 del «Codice ambientale»). In
base all'attuale e vigente disciplina, è utile ricordarlo,
il suolo «non scavato» (contaminato o meno, salvo gli
obblighi di bonifica e anche se contenente i citati
«materiali di riporto» ex dl 2/2012) non rientra nel campo
di applicazione delle norme sui rifiuti, quello «scavato» è
invece suscettibile di diversa valutazione.
In particolare, il suolo scavato contaminato deve essere
gestito come rifiuto; quello scavato non contaminato può
essere considerato non rifiuto, rifiuto o sottoprodotto.
Precisamente, non è rifiuto se è riutilizzato in attività di
costruzione nello stesso sito. È invece rifiuto (salvo
riabilitazione all'esito del successivo recupero) se il
detentore decide a monte di «disfarsene» o se, pur volendolo
avviare a reimpiego in sito diverso da quello di origine,
non rispetta i parametri per i sottoprodotti dettati dal dm
161/2012. È, infine, sottoprodotto se reimpiegabile (e poi
realmente reimpiegato) in altro sito nell'osservanza delle
condizioni dettate dal citato dm 161/2012.
Gestione «semplificata» delle terre da piccoli cantieri.
Nell'ambito del descritto quadro normativo si inserisce
l'altra novità prevista dal ddl «Semplificazioni-bis», ossia
l'insieme delle regole che permette di gestire sempre come
sottoprodotti, ma con ulteriori semplificazioni, i materiali
da scavo provenienti da cantieri la cui produzione non
superi in totale i 6 mila metri cubi di materiale. Per
gestire tali materiali come sottoprodotti in deroga al dm
161/2012 (ma salva l'osservanza delle regole generali
dettate dall'articolo 184-bis del dlgs 152/2006) i relativi
produttori dovranno dimostrare (anche mediante
autodichiarazione alla provincia competente): che la
destinazione all'utilizzo sia certa e diretta in un
determinato sito o ciclo produttivo; che i materiali
derivanti dallo scavo non superano le concentrazioni soglia
di contaminazione (ex colonne «A» e «B», tabella 1, allegato
5 al Titolo V, Parte IV del Codice ambientale); che
l'utilizzo non comporta rischi per la salute né variazioni
di emissioni rispetto al normale utilizzo di materie prime.
Il deposito dei materiali destinati al riutilizzo non dovrà
però superare un anno e l'avvenuta reimmissione nel ciclo
produttivo dovrà esser comunicata alla provincia. Ancora, il
trasporto dovrà esser accompagnato dal relativo documento,
dalla copia del contratto di trasporto o dalla scheda
prevista dal dlgs 286/2005 (autotrasporto per conto terzi).
Nella logica del «Semplificazioni-bis» tali regole
costituiscono attuazione dell'articolo 266, comma 7 del dlgs
152/2006 che prevede la facoltà per il legislatore
(individuato dall'articolo in parola nel Minambiente, ma ora
sostituito dal consiglio dei ministri) di stabilire deroghe
al regime dei rifiuti per i materiali dai suddetti cantieri
di piccole dimensioni. A tal proposito è altresì utile
ricordare che il Minambiente aveva già dato attuazione al
dettato del «Codice ambientale» mediante dm 02.05.2006,
decreto poi dichiararlo in autotutela privo di ogni effetto
per un difetto di registrazione presso la Corte dei conti.
Gestione acque. Il confine tra regime delle acque e quello
dei rifiuti viene dal «Semplificazioni-bis» rivisitato
mediante un intervento sulla gestione delle acque
sotterranee emunte, ossia delle acque di falda estratte
nell'ambito di interventi di bonifica. Il ddl chiarisce,
attraverso la riformulazione del dlgs 152/2006, che sono
assimilate alle acque reflue industriali (e dunque
sottoposte al relativo regime delle «acque» previsto dalla
parte III del dlgs 152/2006) le acque sotterranee emunte e
convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che
collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo
delle stesse con il punto di immissione (previa depurazione)
nel corpo ricettore. Ragionando a contrario la disposizione
appare dunque ricondurre al regime dei rifiuti (liquidi) le
sole acque emunte non convogliate direttamente tramite
tubatura dal prelievo al corpo ricettore.
Bonifica siti inquinati. In base al «Semplificazioni-bis»
(che sul punto prevede la modifica diretta del dlgs
152/2006) l'operatore interessato all'intervento può
iniziare la bonifica trascorsi 90 giorni dalla presentazione
del progetto completo di «crono programma»
all'Amministrazione competente ove nello stesso termine non
sia intervenuto il rigetto dell'istanza. Ancora, ultimati
gli interventi, effettuata la caratterizzazione e comunicata
la stessa all'Agenzia ambientale regionale e all'Autorità
competente di cui sopra, l'operatore potrà autocertificare
l'avvenuta bonifica se entro 45 giorni da detta
comunicazione non interviene atto amministrativo contrario.
Dandone successiva comunicazione alla stessa Amministrazione
competente l'operatore acquisirà altresì la disponibilità
dell'area per gli usi legittimi. Altra novità è la
limitazione ai soli siti industriali dello strumento di
«messa in sicurezza operativa», riservando agli altri siti
(come i residenziali, commerciali e verdi) le meno grevi
procedure previste dal titolo V del dlgs 152/2006
(articolo ItaliaOggi Sette del
29.10.2012). |
CONDOMINIO: Immobili.
Difettosa realizzazione delle parti comuni.
Danni da infiltrazioni, risponde il condominio.
LA DECISIONE/
Si tratta di responsabilità del custode che deve eliminare
le caratteristiche lesive insite nella cosa propria.
Se i danni lamentati dal singolo condomino sui beni di
proprietà esclusiva derivano da difettosa realizzazione
delle parti comuni dell'edificio, nei confronti del
condomino è responsabile –in via autonoma in base
all'articolo 2051 del Codice civile– il condominio.
Quest'ultimo, infatti, come custode, deve eliminare le
caratteristiche lesive insite nella cosa propria.
Lo ha ribadito la II Sez. civile della Corte di Cassazione che, con la
sentenza
n. 17268/2012, ha affrontato il caso di due coniugi che, per le
infiltrazioni d'acqua nella loro cantina, avevano chiesto al
tribunale la condanna del condominio a eseguire le opere
necessarie per eliminare gli inconvenienti e a risarcire i
danni.
La domanda del condomino, respinta dal tribunale, è
stata invece accolta dalla Corte d'appello, che ha
condannato il condominio a eseguire le opere descritte nella
consulenza tecnica d'ufficio. La Corte ha infatti
evidenziato che, pur avendo la Ctu appurato che a generare
il danno erano stati i vizi di progettazione e di esecuzione
imputabili al costruttore, doveva comunque essere ravvisata
la responsabilità del condominio in base all'articolo 2051
del Codice civile: il danno era stato causato non da un
comportamento del custode, ma dalla cosa in custodia; e la
responsabilità era superabile solo dalla prova liberatoria
del superamento della presunzione di colpa o del caso
fortuito.
La Cassazione, a sua volta, nel respingere il ricorso del
condominio, ha precisato che se il fenomeno dannoso
lamentato dal singolo condomino sui beni di proprietà
esclusiva è originato da difettosa realizzazione delle parti
comuni dell'edificio (nella specie precaria situazione della
muratura perimetrale adiacente il giardino condominiale e
dei pozzetti), nei confronti di questi è responsabile, in
via autonoma, il condominio, che è tenuto, quale custode, a
eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa
propria.
Non si tratta di una responsabilità a titolo derivativo: il
condominio, pur successore a titolo particolare del
costruttore-venditore, non subentra nella sua personale
responsabilità, legata alla sua attività e fondata
sull'articolo 1669 del Codice civile. Ma si tratta di
autonoma fonte di responsabilità in base all'articolo 2051
del Codice civile, che non preclude, però, al condominio la
possibilità di agire nei confronti della società
costruttrice in base all'articolo 1669 del Codice civile se
sussistano i presupposti
(articolo Il Sole 24 Ore del
29.10.2012). |
aggiornamento al 29.10.2012 |
|
PUBBLICO
IMPIEGO: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/ Un decreto legge dà attuazione alla sentenza
della Consulta. Dipendenti pubblici, Tfr al 100%. Stop al
prelievo forzoso del 2,50% sull'80% delle somme.
Ripristinato il trattamento di fine servizio dei dipendenti
pubblici. Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri un
decreto legge che, in attuazione della recente sentenza
della Corte costituzionale n. 223 del 2012, ripristina la
disciplina del trattamento di fine servizio nei riguardi del
personale interessato dalla pronuncia.
Per quanto riguarda le altre parti della sentenza della
Consulta, il Consiglio ha stabilito che si procederà in via
amministrativa attraverso un dpcm ai sensi della
legislazione vigente.
La Consulta, con la pronuncia citata, ha azzerato gli
effetti della legge 122/2010 intervenendo su due punti.
In primo luogo ha dichiarato costituzionalmente illegittimo
il prelievo del 2,5% sull'80% della retribuzione fissato
dall'articolo 12, comma 10, nella parte in cui non era stata
esclusa l'applicazione a carico del dipendente della rivalsa
pari al 2,5% della base contributiva. Una disposizione che
aveva, in sostanza, modificato i rapporti tra datore di
lavoro e lavoratore, scaricando su di questo oneri tipici
del primo.
Sul piano finanziario, l'annullamento della norma dichiarata
costituzionalmente illegittima vale circa 3,8 miliardi di
euro, che dovranno essere restituiti al personale pubblico,
a carico delle casse dell'Inpdap.
Il decreto legge si è reso necessario sia per attuare le
indicazioni della Consulta, sia, soprattutto per uniformare
i comportamenti delle amministrazioni, che si sono trovate
disorientate su come operare e sono fin qui andate in ordine
sparso, anche perché i singoli dipendenti stanno richiedendo
ciascuno la restituzione delle trattenute.
Il Consiglio dei ministri, col decreto legge, agisce
sull'articolo 9, comma 10, della legge 122/2010, dichiarato
costituzionalmente illegittimo, allo scopo di cancellarlo
definitivamente.
La sentenza 223/2012 della Corte costituzionale ha inoltre
dichiarato l'illegittimità costituzionale del «contributo di
solidarietà» posto a carico dei dirigenti pubblici e del
blocco degli incrementi stipendiali dei magistrati.
L'articolo 9, comma 2, della legge 122/2012, dichiarato
incostituzionale, aveva posto a carico degli stipendi dei
dirigenti pubblici un prelievo del 5% sui redditi superiori
ai 90 mila euro; prelievo che andava al 10% per i redditi
superiori ai 150 mila euro.
Per quanto riguarda i magistrati, a saltare è il blocco
dell'avanzamento stipendiale automatico, blocco considerato
incompatibile con l'indipendenza della magistratura.
Per questo secondo aspetto, non parrebbe necessario un
intervento di natura normativa. In effetti, la sentenza
della Corte costituzionale produce automaticamente l'effetto
di ripristinare lo stato antecedente alla norma dichiarata
illegittima. Infatti, le sentenze che dichiarano
l'illegittimità costituzionale delle norme hanno efficacia
retroattiva, in modo da eliminare dall'ordinamento giuridico
sin dall'inizio una norma contrastante con l'ordinamento
stesso.
Il Consiglio dei ministri come detto ha comunque deciso di
dare corso all'attuazione delle ricadute della pronuncia
della Consulta per via amministrativa, mediante un decreto
del presidente del Consiglio dei ministri.
Anche in questo caso lo scopo è fornire alle amministrazioni
un sistema univoco per fare fronte alle richieste di
restituzione degli arretrati, che intanto i singoli
dipendenti stanno muovendo alle amministrazioni
(articolo ItaliaOggi del 27.10.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: La
Polizia anticipa i tempi, trattenuta addio.
Già nel prossimo stipendio di novembre, il personale della
Polizia di stato non troverà più la trattenuta del 2,5%
sull'80% della retribuzione, oggetto della dichiarata
illegittimità da parte della Corte costituzionale con la
recente sentenza n. 223/2012. Sul versante opposto, però, si
registra il grido d'allarme lanciato dall'Associazione
nazionale dei comuni italiani sugli effetti di tale
pronuncia, in quanto potrebbe avere effetti devastanti sui
bilanci dei comuni che rischierebbero seriamente il dissesto
finanziario. Preoccupazioni che hanno portato il presidente
Anci, Graziano Delrio, a inviare una lettera al ministro
dell'economia, Vittorio Grilli, chiedendo un parere in
merito alle determinazioni da assumere.
Gli effetti della citata decisione della Consulta (si veda
ItaliaOggi del 12 e 16.10.2012), come si vede, stanno
lasciando lo spazio a non pochi strascichi. Ma andiamo con
ordine.
La prima amministrazione centrale che si adegua alla
decisione della Consulta è senza dubbio il Dipartimento
della sicurezza del ministero dell'interno che, con la
circolare 24.10.2012 n. 333 di prot., ha informato il personale
amministrato che sul trattamento stipendiale di novembre non
sarà più operata la trattenuta dichiarata illegittima dalla
Consulta, oltre a non effettuare più le decurtazioni della
trattenuta nella misura del 5 o 10%, sui trattamenti
economici complessivi superiori, rispettivamente, a 90 mila
e 150 mila euro (anche queste oggetto della bocciatura della
Consulta nella stessa sentenza).
Quindi, oltre a rendere più
«pesante» la paga del personale della Polizia di stato dal
prossimo mese, il Viminale rassicura anche sulla
corresponsione delle illegittime trattenute sino ad oggi
operate. Infatti, si legge nella circolare, non appena
perverranno le assegnazioni finanziarie e le relative
istruzioni da parte del Mineconomia, sarà cura del dicastero
retto da Annamaria Cancellieri provvedere alla restituzione
degli importi per il periodo gennaio 2011-ottobre 2012.
Ma è proprio sotto il profilo della restituzione che si
registra la preoccupazione dei vertici Anci. Una lettera
inviata nei giorni scorsi dal presidente dell'Associazione
dei comuni, Graziano Delrio, al titolare di via XX
Settembre, Vittorio Grilli, evidenzia il fatto che sia
indiscutibile che «gli effetti di tale pronuncia hanno un
impatto fortissimo sui bilanci dei comuni».
Delrio quantifica in 200 milioni di euro l'esborso
complessivo cui saranno chiamate le amministrazioni comunali
nei confronti dei propri dipendenti. Una somma
considerevole, si legge, che rischia di portare al dissesto
i piccoli comuni e la cui restituzione, a ben vedere, «si
scontra con i limiti oggi vigenti in materia di spese di
personale e con quelli relativi al Patto di stabilità».
La lettera, pertanto, si conclude con l'espresso invito a «volersi
esprimere in merito alle conseguenti determinazioni da
assumere, data la rilevanza della situazione e i profili di
responsabilità ad essa connessi»
(articolo ItaliaOggi del 27.10.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Liquidazione
statali, ritorno al passato Il Governo si allinea alla
Consulta e rispolvera il Tfs - Gli arretrati arriveranno con
un Dpcm.
CONTRIBUTO DI SOLIDARIETÀ/ Restituzione anche per la «tassa»
sulle retribuzioni superiori a 90mila euro, pure dichiarata
illegittima dalla Corte costituzionale.
Per le liquidazioni dei dipendenti pubblici il Governo torna
all'antico e rispolvera il «trattamento di fine servizio». È
quanto prevede il decreto legge approvato ieri a Palazzo
Chigi per dare piena attuazione alla sentenza della Corte
Costituzionale (n. 223/2012) che ha dichiarato
incostituzionale sia il prelievo contributivo del 2,5% sul
Tfr dei dipendenti pubblici, sia il contributo di
solidarietà del 5 e del 10% sulla parte di retribuzione che
eccede, rispettivamente, i 90 e i 150mila euro lordi annui.
A introdurre le misure che la Consulta ha bocciato era stato
il decreto 78 del 2010 quando a Palazzo Chigi c'era Silvio
Berlusconi e a via Venti settembre Giulio Tremonti. Ma il
compito di correre ai ripari è toccato al Governo Monti. Per
gestire gli effetti della sentenza, il Consiglio dei
ministri di ieri ha deciso di imboccare due strade distinte.
Per l'abolizione della trattenuta del 2,5% sulle
liquidazioni è stato utilizzato il decreto legge. Per la
ripresa delle trattenute e le restituzioni delle somme
indebitamente prelevate ai dipendenti si procederà in via
amministrativa con un decreto del presidente del Consiglio (Dpcm).
E questo facendo leva sulla legislazione vigente, applicando
una sorta di clausola di salvaguardia secondo cui, se in
determinate circostanze dovessero venire meno le entrate
della manovra (da leggere anche con possibile pronunce
giurisdizionali), il Governo può procedere con un taglio
lineare sulle spese delle pubbliche amministrazioni. Al Dpcm
sarà demandata anche la definizione delle modalità operative
di erogazione dei rimborsi dovuti.
La partita più delicata resta comunque quella relative alle
liquidazioni dei dipendenti pubblici. Il decreto legge di un
solo articolo, inviato al Capo dello Stato, prevede che
l'articolo 12, comma 10, del Dl anticrisi del 2010 venga
abrogato a decorrere dal 01.01.2011. Per salvaguardare
la tenuta dei conti pubblici, lo stesso testo prevede il
ritorno al trattamento di fine servizio (Tfs) che –in virtù
della quota trattenuta direttamente sul dipendente– per il
datore di lavoro (pubbliche amministrazioni centrali e
locali) è meno oneroso rispetto al trattamento di fine
rapporto.
Sempre secondo il decreto legge approvato ieri gli oneri che
dovrà sostenere lo Stato per la riliquidazione dei "Tfs"
ammontano a 21 milioni complessivi per il 2012 (1 milione),
2103 (7 milioni) e 2014 (13 milioni), e in 20 milioni a
decorrere dal 2015.
Per le riliquidazioni dei trattamenti di fine servizio il
Governo si dà ora un anno di tempo. Infatti viene previsto
che i Tfs «comunque denominati», che sono stati liquidati
prima dell'entrata in vigore del nuovo Dl secondo quando
prevedeva il decreto 78, saranno riliquidati d'ufficio entro
un anno dall'entrata in vigore del decreto legge approvato
ieri. Si applicheranno cioè le regole in vigore prima della
stretta sugli statali introdotta dal Governo Berlusconi. E,
comunque sia, la rideterminazione delle liquidazioni
spettanti non potrà dare luogo ad alcun recupero delle somme
erogate in precedenza nei confronti del dipendente.
Per quanto riguarda, infine, le cause pendenti avviate dai
dipendenti pubblici per ottenere la restituzione del
contributo previdenziale obbligatorio del 2,5%, il
provvedimento messo a punto dall'Esecutivo ne dispone
l'estinzione di diritto. Un'estinzione che potrà essere
dichiarata anche d'ufficio. Al tempo stesso vengono
sterilizzati del tutto gli effetti di eventuali sentenze già
emesse, fatta eccezione per quelle nel frattempo passate in
giudicato
(articolo Il Sole 24 Ore del 27.10.2012
- link a www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Per i dipendenti la
busta paga sale di oltre 300 euro.
IL PASSO SUCCESSIVO/ Per la restituzione del maxi-arretrato
del 2011 e 2012 si dovrà aspettare il Dpcm annunciato sempre
ieri dal Governo.
Il decreto legge lampo varato ieri dal Governo comincia a
fare ordine nel polverone degli stipendi pubblici sollevato
dalla bocciatura inferta dalla Consulta ai pilastri
dell'austerità in busta paga innalzati dalla manovra estiva
del 2010. Il trattamento economico, in sostanza, dovrebbe
tornare in formula piena a partire dal prossimo mese, senza
più la trattenuta del 2,5% relativa al Tfr dichiarata
illegittima dalla Corte costituzionale.
Questo primo
tassello risolve soprattutto i problemi ai responsabili
degli uffici paghe, disorientati dopo che la sentenza
costituzionale aveva tolto base normativa alla trattenuta:
per disciplinare il nodo vero, cioè quello relativo alla
restituzione del maxi-arretrato accumulato con le trattenute
del 2011 e 2012, bisognerà aspettare il Dpcm annunciato
sempre ieri dal Governo per affrontare «le altre parti della
sentenza della Consulta».
L'intervento riporta dunque gli stipendi dei dipendenti
pubblici ai livelli pre-trattenuta. Le somme recuperate sono
a conti fatti più interessanti di un rinnovo contrattuale:
per un impiegato di un ente locale si tratta di 307 euro
netti all'anno, mentre per un dirigente si arriva a mille
euro. Il beneficio è naturalmente proporzionale ai livelli
stipendiali dell'interessato, e di conseguenza cresce
nell'amministrazione centrale dove gli stipendi sono un po'
più alti: un funzionario si attende il ritorno di quasi 340
euro all'anno se lavora nei ministeri e di quasi 370 se il
suo ufficio è in un ente pubblico non economico (Inps, Aci e
così via), per un dirigente di seconda fascia la partita
vale circa 690 euro all'anno mentre chi occupa i vertici
della scala gerarchica può contare su quasi 1.050 euro in
più.
L'arretrato da restituire, invece, ammonta a due volte
abbondanti le cifre annue appena citate; questo perché nel
2011 il Tfr era soggetto a tassazione separata, più leggera
di quella ordinaria, e di conseguenza la somma relativa al
2011 di cui gli interessati attendono il ritorno è più alta
del «netto in busta» del 2012. La partita degli arretrati,
però, mette a dura prova i bilanci degli enti pubblici, e in
particolare quelli dei piccoli Comuni dove la partita può
mandare in crisi i conti. Giovedì lo stesso presidente dell'Anci
Graziano Delrio ha parlato espressamente di «rischio
dissesto» nei Comuni più piccoli, chiedendo al Governo di
studiare modalità applicative in grado di garantire i
diritti dei dipendenti interessati senza mettere a rischio
gli equilibri dei conti. Un rompicapo, ma non è l'unico.
Le «altre parti della sentenza» citate dal comunicato stampa
del Governo riguardano anche la restituzione del contributo
di solidarietà che ha tagliato del 5% le quote di stipendio
superiore a 90mila euro e del 10% quelle sopra i 150mila. La
platea interessata è in questo caso molto più piccola,
composta dalle 26mila persone (divise a metà fra Stato ed
enti territoriali). Il problema, però, non è la copertura
finanziaria (29 milioni di euro all'anno): la trattenuta
riduceva il reddito degli interessati, per cui la sua
restituzione impone di ricostruire il vecchio imponibile
Irpef e chiedere le quote d'imposta che non sono state
pagate a causa della tagliola. Una ricostruzione della
storia fiscale recente da attuare caso per caso, senza
dimenticare gli effetti sulle addizionali regionali e
locali
(articolo ItaliaOggi del 27.10.2012
- link a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: I
comuni devono convenzionarsi col Mef per pagare gli stipendi.
Anche i comuni sono soggetti all'obbligo di convenzionarsi
con il Mef per la gestione degli stipendi ovvero, in
alternativa, di utilizzare i parametri di qualità e di
prezzo da esso stabiliti per l'acquisizione dei medesimi
servizi sul mercato di riferimento.
Con la
nota 12.10.2012, infatti, Via XX Settembre, rispondendo a una
richiesta dell'Anci, ha confermato che l'art. 5, comma 10,
del dl 95/2012 si applica anche agli enti locali. La
formulazione della norma, in effetti, non è chiarissima:
essa rinvia ad altre precedenti disposizioni (art. 1, comma
447, della legge 296/2006 e art. 2, comma 197, della legge
191/2009) che riguardavano le sole amministrazioni statali.
Il Mef, tuttavia, ha ritenuto che «sotto il profilo
soggettivo, i comuni sono sottoposti alla disciplina in
quanto inclusi tra le pubbliche amministrazioni (art. 1,
comma 2, del dlgs 165/2001), diverse da quelle statali già
obbligate dalla previgente normativa». La nota ha anche
chiarito che lo schema di convenzione per ora reso
disponibile costituisce «uno standard, da adattare e
utilizzare in relazione alle specificità e caratteristiche
delle singole amministrazioni».
Come evidenziato da ItaliaOggi del 7 settembre, in effetti, tale convenzione non
include alcune tipologie di servizi normalmente gestiti in
forma integrata con quelli prettamente riferiti agli
stipendi. Si tratta, in primo luogo, delle attività svolte
tipicamente dagli uffici del personale degli enti, o, presso
quelli più piccoli, da esperti/service esterni come, per
esempio, l'immissione di giustificativi di assenza,
l'aggiornamento degli anagrafici o le comunicazioni ai
centri per l'impiego. Rimangono fuori, inoltre, le attività
relative ad alcune tipologie di reddito quali quelli
assimilati, autonomi e diversi (dipendenti altra p.a.,
amministratori locali, collaboratori coordinati e
continuativi, Lsu, cantieri di lavoro, borse di lavoro,
borse di studio, forestali, professionisti, indennità di
esproprio, contributi ad enti e associazioni ecc.).
Un
problema ulteriore nasce dal fatto che, nella maggior parte
dei casi, gli enti hanno acquistato sul mercato un
«pacchetto» onnicomprensivo, il che rende non sempre agevole
il confronto di convenienza con i servizi offerti dal Mef.
Tali fattori inizialmente avevano disorientato molti enti,
spingendo l'Anci a richiedere una revisione della normativa.
Anche le difficoltà tecniche legate all'esigenza di far
dialogare le procedure gestionali in essere con quelle in
uso presso il Mef non sembrerebbero insuperabili.
Criticità
maggiori sembrano porsi per i piccoli comuni, anche a causa
dell'obbligo imposto dalla convezione del Mef di nominare un
referente tecnico-informatico e di un referente tecnico
amministrativo. Gli enti di minori dimensioni, infatti, sono
sprovvisti di simili figure, in quanto si avvalgono perlopiù
di consulenti esterni, né potrebbero agevolmente
procurarsele, visti i limiti al turnover
(articolo ItaliaOggi del 26.10.2012
- link a www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: Una
valanga di controlli si abbatte sugli enti locali.
Una valanga di controlli si abbatte sugli enti locali in
seguito all'entrata in vigore del decreto-legge 174 del 10
ottobre.
Con riferimento ai comuni e alle province vengono
introdotte numerose e sostanziali modifiche alle
disposizioni vigenti in materia contenute nel testo unico
267/2000 estendendo la gamma dei controlli interni alle
seguenti forme: controllo di regolarità amministrativa e
contabile, controllo degli equilibri finanziari della
gestione e dell'osservanza del patto di stabilità interno,
controllo di gestione, controllo strategico e, negli enti
con popolazione superiore a 10 mila abitanti, controllo
dello stato di attuazione di indirizzi e degli obiettivi da
parte degli organismi gestionali esterni, controllo della
qualità dei servizi erogati e controllo sulle società
partecipate. A tali controlli occorre poi aggiungere quelli
esercitati dai servizi finanziari e dagli organi di
revisione degli enti locali. Non tutte le indicate forme di
controllo sono nuove nell'ordinamento degli enti locali.
Il
decreto-legge 174, inoltre, potenzia i controlli esterni
sugli enti locali e, in primo luogo, quelli della Corte dei
conti. La verifica semestrale da parte delle sezioni
regionali della Corte riguarderà: la legittimità e la
regolarità delle gestioni, il funzionamento dei controlli
interni, il rispetto delle regole contabili e del pareggio
di bilancio, il piano esecutivo di gestione, i regolamenti e
gli atti di programmazione e pianificazione. Un area vasta
che si estende anche a documenti privi di efficacia esterna
e di grande rilevanza interna come il Peg che è un budget
operativo della gestione.
Per l'esercizio di tale forma di
controllo, il sindaco dei comuni con più di 10 mila abitanti
è tenuto a trasmettere ogni sei mesi alla Corte un referto
sulla regolarità della gestione e sull'efficacia e
adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato.
Addirittura il referto non è libero, ma va compilato secondo
linee-guida deliberate dalla Corte medesima. Per gli stessi
fini, la Corte potrà disporre, oltre a tale informativa, di
altri strumenti e in particolare degli accertamenti e delle
verifiche del Corpo della Guardia di finanza che potrà agire
con gli stessi poteri ad esso attribuiti ai fini degli
accertamenti relativi all'Iva e alle imposte sui redditi.
Sono inoltre previste verifiche da parte dei Servizi
ispettivi di finanza pubblica del Mef che si aggiungono ai
controlli del ministero della funzione pubblica. La norma è
accompagnata da una sanzione che va da cinque a venti volte
la retribuzione mensile. È questa una novità che conferma il
carattere centralista della riforma
(articolo ItaliaOggi del 26.10.2012
- link a www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Commissioni come consigli.
Vanno rappresentate tutte le forze politiche.
Il sindaco è ricompreso nel computo per la
determinazione degli organi.
È possibile ricomprendere il sindaco nella compagine delle
forze politiche presenti nel consiglio comunale ai fini
della composizione delle commissioni consiliari, considerato
che il consiglio è composto da due soli gruppi con lo stesso
numero di consiglieri?
In base a quanto disposto dall'articolo 38, comma 6, del
dlgs n. 267/2000, le commissioni consiliari, una volta
istituite sulla base di una facoltativa previsione
statutaria, sono disciplinate dall'apposito regolamento
comunale con l'inderogabile limite, posto dal legislatore,
relativo al rispetto del criterio proporzionale nella
composizione. Ciò significa che le forze politiche presenti
in consiglio devono essere il più possibile rappresentate
anche nelle commissioni, in modo che in ciascuna di esse sia
riprodotto il peso numerico e di voto.
Il legislatore non
precisa come debba essere applicato tale criterio di
proporzionalità. È da ritenersi che spetti al regolamento,
cui sono demandate la determinazione dei poteri delle
commissioni nonché la disciplina dell'organizzazione e delle
forme di pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi
idonei a garantirne il rispetto.
In merito, la Corte
costituzionale, nella sentenza n. 44/1997, ha precisato che
il sindaco «viene computato ad ogni fine tra i componenti
del consiglio stesso», con diritto di voto, e pertanto va
ricompreso nel computo per la determinazione dei
rappresentanti consiliari nelle commissioni nel rispetto,
ovviamente, del criterio proporzionale recato dal citato
art. 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000
(articolo ItaliaOggi del 26.10.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Composizione commissioni.
Qual è la procedura da applicare per la sostituzione, nelle
commissioni consiliari, di un consigliere uscito da un
gruppo e transitato ad un altro?
In base a quanto disposto dall'articolo 38, comma 6, del
dlgs n. 267/2000, le commissioni consiliari, una volta
istituite sulla base di una facoltativa previsione
statutaria, sono disciplinate dall'apposito regolamento
comunale con l'inderogabile limite, posto dal legislatore,
riguardante il rispetto del criterio proporzionale nella
composizione. Ciò significa che le forze politiche presenti
in consiglio devono essere il più possibile rispecchiate
anche nelle commissioni, in modo che in ciascuna di esse sia
riprodotto il peso numerico e di voto.
Il legislatore non
precisa come debba essere applicato tale criterio di
proporzionalità. È da ritenersi che spetti al regolamento,
cui sono demandate la determinazione dei poteri delle
commissioni nonché la disciplina dell'organizzazione e delle
forme di pubblicità dei lavori, stabilire i meccanismi
idonei a garantirne il rispetto. Secondo l'univoco e
consolidato indirizzo giurisprudenziale, il criterio
proporzionale può dirsi rispettato ove sia assicurata, in
ogni commissione, la presenza di ciascun gruppo presente in
consiglio in modo che, se una lista è rappresentata da un
solo consigliere, questi deve essere presente in tutte le
commissioni costituite assicurando una composizione delle
commissioni proporzionata all'entità di ciascun gruppo
consiliare.
Nel caso di specie, se lo statuto, nel
disciplinare le commissioni, stabilisce che queste debbano
essere costituite con criterio proporzionale e il
regolamento comunale fissa la determinazione numerica dei
commissari, demanda ai gruppi consiliari la designazione dei
consiglieri incaricati di far parte delle commissioni
consiliari in rappresentanza dei singoli gruppi -in modo da
garantire adeguata rappresentanza a ciascuno di essi- e
stabilisce il diritto di ogni consigliere a far parte di
almeno una commissione, ne consegue che gli eventuali
mutamenti in corso di consiliatura nel rapporto tra
maggioranza e minoranza consiliare, ovvero nella consistenza
numerica dei gruppi, dovrebbero implicare una revisione, a
cura del consiglio comunale, degli assetti preesistenti
nelle commissioni consiliari, al fine di ripristinare il
rispetto dei criteri a cui le stesse devono essere
conformate.
In tale prospettiva, l'ipotesi del distacco di
uno o più consiglieri dal gruppo di appartenenza originaria
per aderire o formare altro gruppo, va inquadrata
nell'ambito di un riequilibrio generale degli assetti
presenti nelle commissioni, e non già di mera sostituzione
degli stessi. Resta rimessa all'autonomia organizzativa
dell'ente locale l'individuazione, anche mediante opportune
integrazioni del regolamento comunale, del meccanismo
tecnico -quale voto plurimo, voto ponderato o altro-
reputato maggiormente idoneo ad assicurare a ciascun
commissario un peso corrispondente a quello del gruppo che
rappresenta.
Come rilevato dal Tar Lombardia nella sentenza
n. 567/1996, infatti, il criterio proporzionale «è posto dal
legislatore come direttiva suscettibile di svariate opzioni
applicative, egualmente legittime purché coerenti con la ratio
che quel principio sottende, e che consiste nell'assicurare
in seno alle commissioni la maggiore rappresentatività
possibile»
(articolo ItaliaOggi del 26.10.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Enti
locali. Dopo lo stop della Consulta. I sindaci: «Dal Tfr
rischi di dissesto»
L'ALLARME/ Il presidente dell'Anci chiede l'intervento di
Grilli per chiarire come restituire le trattenute senza far
saltare i conti.
La restituzione ai dipendenti pubblici delle trattenute del
2,5% per il trattamento di fine servizio dichiarate
illegittime dalla Corte costituzionale rischia di far
saltare i conti dei Comuni, soprattutto quelli medio-piccoli.
La partita, ha scritto ieri il presidente del l'Anci
Graziano Delrio al ministro dell'Economia Vittorio Grilli,
vale almeno 200 milioni di euro, e per evitare ai sindaci
uno "sforamento obbligato" del Patto di stabilità e
dei vincoli di spesa sul personale bisogna subito mettere
mano a una soluzione. Anche perché, si legge nella lettera,
«la rilevanza della situazione e i profili di
responsabilità a essa connessi» non consentono ritardi,
tanto più che nei piccoli Comuni l'obbligo di restituzione
può addirittura «portare al dissesto».
Il problema è quello sollevato dalla sentenza 223/2012, con
cui la Corte costituzionale ha bocciato «per evidenti
ragioni di equità» una serie sacrifici imposti solo ai
dipendenti pubblici e non a quelli privati. Tra le regole
cadute sotto le forbici della Consulta, il «contributo di
solidarietà» (taglio del 5% della quota di stipendio
superiore ai 90mila euro annui e del 10% di quella superiore
a 150mila euro) interessa soprattutto i vertici di Stato e
Regioni, mentre la trattenuta del 2,5% per il Tfr si fa
sentire parecchio anche dalla parte dei Comuni. A un
impiegato di un ente locale, la cancellazione della
trattenuta offre circa 24 euro netti al mese in più, e
impone la restituzione di 670 euro prelevati fra 2011 e
2012: nel caso di un dirigente, gli euro al mese in più
possono salire a 78 e gli arretrati netti a 2.238 (si veda
Il Sole 24 Ore del 22 ottobre).
Gli amministratori locali naturalmente non contestano il
merito della sentenza, ma lanciano l'allarme sulle
conseguenze contabili dell'obbligo di restituzione. Oltre al
rischio-dissesto dei piccoli enti, dove i bilanci sono più
tirati, l'aumento di spesa impatta ovviamente anche sui
limiti alle uscite per il personale e sui vincoli del Patto
di stabilità.
Intanto, nonostante le obiezioni parlamentari (si vedano gli
articoli in primo piano), si stringe la maglia dei controlli
aggiuntivi introdotti dal Dl 174/2012. La sezione Autonomie
della Corte dei conti ieri ha fissato il calendario e i
primi indirizzi attuativi delle nuove norme: in particolare,
sono state definite le modalità applicative sull'esame dei
bilanci preventivi delle Regioni e sul controllo preventivo
di regolarità degli atti regionali, mentre per i Comuni le
verifiche puntano soprattutto sugli appuntamenti semestrali
di controllo delle gestioni sulla base delle relazioni
inviate dai sindaci
(articolo Il
Sole 24 Ore del 26.10.2012
- link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Responsabilità
negli appalti dopo il decreto sviluppo 83/2012.
Responsabilità in solido: così la difesa L'impresa può
tutelarsi dall'obbligo che coinvolge versamenti fiscali,
paghe, contributi e sicurezza.
Lo scenario normativo che disciplina gli appalti è in
continua evoluzione ed è costituito da un puzzle di
disposizioni di difficile raccordo tra loro: un groviglio di
regole tra le quali i soggetti coinvolti sono costretti a
districarsi, rischiando pesanti conseguenze in tema di
responsabilità solidale e sotto il profilo sanzionatorio. La
mancanza di un testo unitario che faccia da contenitore
delle diverse norme intervenute in questo ambito ha spesso
avuto come risultato l'aumento dei vincoli solidaristici
della filiera dell'appalto, senza adeguati strumenti che
possano manlevare –in maniera agevole– il responsabile in
solido.
La finalità di questa Guida è proprio quella di mettere
ordine nella recente evoluzione legislativa e di fornire a
committenti e appaltatori gli spunti operativi per evitare
il coinvolgimento nel regime di solidarietà, che si estende
ormai a 360 gradi ai profili retributivi, contributivi,
fiscali e di sicurezza sul lavoro: un'esigenza sempre più
sentita dal momento che le aziende ricorrono con frequenza
all'outsourcing di processi produttivi o di servizi,
attraverso contratti di appalto.
Il fronte fiscale
Sono essenzialmente due i fronti interessati dalle recenti
modifiche. Il primo, sugli aspetti fiscali, è quello che
riguarda l'obbligazione in solido, in caso di appalto di
opere o di servizi, che lega l'appaltatore e il
subappaltatore, nei limiti dell'ammontare del corrispettivo
dovuto, a versare le ritenute sui redditi di lavoro
dipendente e l'Iva riferite alle prestazioni effettuate
nell'ambito dell'appalto: dopo il vero e proprio vuoto
legislativo che si era creato con la modifica al comma 28
dell'articolo 35 del Dl 223/2006 a opera del decreto sulle
semplificazioni fiscali (Dl 16/2012), è intervenuto il primo
decreto sullo sviluppo (Dl 83/2012). Infatti, la versione
previgente del testo consentiva –attraverso una formulazione
alquanto generica– l'esonero dal regime della solidarietà
solo nel caso in cui l'appaltatore avesse dimostrato «di
aver messo in atto tutte le cautele possibili per evitare
l'inadempimento».
Il Dl 83/2012 ha in parte corretto questa criticità con
l'indicazione di alcuni strumenti di verifica
(attestazione/asseverazione) propedeutici al pagamento del
corrispettivo, sebbene – all'atto pratico – presentino delle
difficoltà di attuazione, con il rischio di inciampi nei
pagamenti.
Il fronte del lavoro
La seconda modifica alla materia della responsabilità
solidale (articolo 29 della legge Biagi) è invece avvenuta
con il decreto sulle semplificazioni varato a inizio anno
(Dl 5/2012), poi ridisegnato dalla riforma del lavoro (comma
31, articolo 4, della legge 92/2012). In primo luogo, il
legislatore ha puntato a precisare che il vincolo della
solidarietà sui profili retributivi (comprese le quote di
Tfr), previdenziali e assicurativi si riferisce al periodo
di esecuzione dell'appalto.
Sono state introdotte poi alcune esimenti dall'alveo della
responsabilità, escludendo le sanzioni civili che possono
essere ascritte al solo responsabile dell'adempimento e
infine attenuando con qualche garanzia il previgente regime,
secondo il quale il mero affidamento di un appalto comporta
la responsabilità in capo al committente, sebbene non abbia
commesso alcuna irregolarità. Queste tutele consistono
nell'attribuzione ai Ccnl del compito di individuare
procedure ad hoc di verifica della regolarità degli appalti,
e nel coinvolgimento dei soggetti chiamati a rispondere per
incapienza dei beni di chi esegue l'opera, in caso di
contenzioso nella materia.
Secondo questa disposizione, il debitore solidale
(committente imprenditore o datore di lavoro), chiamato a
rispondere in sede giudiziale del pagamento con
l'appaltatore e con gli eventuali subappaltatori, può
proporre un'eccezione con la quale chiede che sia
preventivamente escusso il patrimonio di questi ultimi.
In queste ipotesi, anche se il giudice accerta la
responsabilità solidale, l'azione esecutiva può essere
promossa nei confronti del committente solo dopo che
l'esecuzione verso il patrimonio del responsabile ha dato
esito infruttuoso. Inoltre, la norma conferma una procedura
già esperibile nei casi di responsabilità solidale, che
consiste nella possibilità da parte del committente,
chiamato a rispondere al posto del responsabile, di
richiedere la restituzione di quanto pagato attraverso
l'azione di regresso.
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I risvolti fiscali.
Pagamenti vincolati alla regolarità. Salta il corrispettivo
del subappaltatore che non dimostra di aver versato le
imposte.
Il regime
della responsabilità solidale tra committente, appaltatore
ed eventuali subappaltatori per le ritenute Irpef e Iva
relative ai contratti di appalto o di subappalto di opere,
forniture e servizi è stato modificato dal decreto legge
83/2012 che ha sostituito il comma 28 dell'articolo 35 del
Dl 223/2006.
Con le nuove disposizioni, in vigore dal 12 agosto scorso,
viene meno la responsabilità in solido del committente con
l'appaltatore e gli eventuali subappaltatori, legata al
versamento all'erario delle ritenute fiscali sul lavoro
dipendente dovute dall'appaltatore o dal subappaltatore in
relazione all'appalto.
La responsabilità solidale per gli obblighi fiscali, è bene
precisarlo, si applica nei contratti di appalto e di
subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da
soggetti Iva e, in ogni caso, dai contribuenti Ires indicati
dagli articoli 73 e 74 del Tuir (enti non commerciali),
mentre da questo fronte sono escluse le stazioni appaltanti
dei contratti pubblici (Dlgs 163/2006).
Questa responsabilità, che rimane circoscritta al solo
rapporto tra appaltatore e subappaltatore, è limitata all'«ammontare
del corrispettivo dovuto» e non ha più il limite
temporale dei «due anni dalla cessazione dell'appalto»,
precedentemente fissato dal Dl 16/2012.
Nello specifico, le modifiche al comma 28 stabiliscono che i
soggetti responsabili in solido dei versamenti sono
l'appaltatore e il subappaltatore e prevedono che la
responsabilità riguardi, oltre alle ritenute sul lavoro
dipendente, l'Iva dovuta dal subappaltatore per le
prestazioni effettuate nel rapporto di subappalto.
Il vincolo solidale in capo all'appaltatore viene meno se
questi verifica, prima del pagamento del corrispettivo, che
il subappaltatore ha correttamente adempiuto gli obblighi
fiscali scaduti alla data del pagamento del compenso.
Anziché controllare materialmente i versamenti,
l'appaltatore può richiedere al subappaltatore
un'attestazione dell'avvenuto adempimento degli obblighi,
anche tramite un'asseverazione rilasciata da un
professionista abilitato o da un Caf Imprese. Nel frattempo,
può sospendere il pagamento del corrispettivo fino
all'esibizione della documentazione da parte del
subappaltatore.
Il ruolo del committente
Il committente è invece vincolato al solo controllo
degli adempimenti fiscali: pertanto, deve richiedere
all'appaltatore, sempre prima del pagamento del
corrispettivo, l'esibizione della documentazione citata che
attesta l'assolvimento degli obblighi fiscali sia da parte
di quest'ultimo sia dagli eventuali subappaltatori, scaduti
alla data del pagamento del compenso. Se l'appaltatore non
produce i documenti che provano gli avvenuti versamenti, il
committente può sospendere il pagamento di quanto dovuto per
gli avvenuti lavori. Per effetto della nuova disciplina, il
committente diventa destinatario di una sanzione
amministrativa che va da un minimo di 5mila euro a un
massimo di 200mila euro, che scatta qualora questi abbia
provveduto al pagamento del corrispettivo all'appaltatore
senza aver prima eseguito i necessari controlli sulla
regolarità dei versamenti fiscali, che risultino poi
irregolari.
I chiarimenti delle Entrate
Con la circolare 40/2012, l'agenzia delle Entrate ha fornito
i chiarimenti sugli aspetti più critici delle nuove
disposizioni, come la decorrenza dei relativi effetti e la
certificazione idonea ad attestare la regolarità dei
versamenti delle ritenute e dell'Iva.
La circolare specifica che le disposizioni relative alla
verifica da parte del committente/appaltatore
sull'esecuzione dei corretti obblighi fiscali trovano
applicazione solo per i contratti di appalto/subappalto
stipulati dal 12 agosto 2012 e per i pagamenti effettuati a
partire dall'11 ottobre 2012.
Sulla documentazione che l'appaltatore/subappaltatore deve
produrre per dimostrare la regolarità dei versamenti, la
circolare afferma che, in alternativa alle asseverazioni
rilasciate dai professionisti e dai Caf, è valida anche una
dichiarazione sostitutiva (in base al Dpr 445/2000) con cui
l'appaltatore/subappaltatore attesta l'avvenuto adempimento
degli obblighi richiesti (si veda la pagina a fianco)
(articolo Il Sole 24 Ore del 26.10.2012). |
ENTI LOCALI: P.a., ecco i costi da tagliare.
Fuori dal paniere le indennità e i buoni pasto.
Nota Rgs spiega cosa sono i consumi su cui si abbatterà la
spending review.
Dentro le spese per missioni, le manutenzioni ordinarie
degli immobili istituzionali, le consulenze legali, le spese
per il servizio mensa e i costi sostenuti per mantenere in
piedi il parco macchine. Fuori le spese per indennità e i
compensi agli organi di amministrazione e controllo, le
manutenzioni ordinarie sugli immobili messi a reddito e le
manutenzioni straordinarie, le spese per la tutela legale
dell'ente e quelle per i buoni pasto.
A fare chiarezza sulle
voci che rientreranno nella categoria dei consumi intermedi
su cui si abbatterà la scure della spending review è la
circolare n. 31/2012 firmata ieri dal ragioniere generale
dello stato Mario Canzio.
La nota, indirizzata alle amministrazioni centrali dello
stato (palazzo Chigi e ministeri) e per conoscenza alla
Corte dei conti, circoscrive il parametro di spesa preso in
considerazione dal dl 95. I consumi intermedi, secondo
quanto già chiarito dal Mef in una circolare del 2009 (n.
5), «rappresentano il valore dei beni e servizi consumati
quali input di un processo di produzione, escluso il
capitale fisso, il cui consumo è registrato come
ammortamento». Che per i non esperti di economia significa
che saranno considerati consumi intermedi «tutti i beni e
servizi consumati o ulteriormente trasformati nel processo
produttivo» della p.a.
Se questa è la regola generale, le declinazioni particolari
sono quelle viste sopra. Andranno quindi escluse dal paniere
le spese per indennità, i compensi degli organi di
amministrazione e controllo, gli oneri tributari, le
manutenzioni straordinarie e pure quelle ordinarie se
riguardano immobili messi a reddito da cui l'ente
proprietario acquisisce una rendita. Fuori anche le spese
per la tutela legale dell'amministrazione e i costi
sostenuti per i buoni pasto, mentre vanno incluse le spese
per il servizio mensa. Rientrano nella base di calcolo (che
terrà conto dei dati 2010) anche quelle spese, per esempio
per l'esercizio di autovetture, che siano già oggetto di
precise riduzioni.
Infine, si precisa che gli enti costituiti dopo il 2010
dovranno prendere in considerazione i dati contabili
risultanti dal primo bilancio approvato
(articolo ItaliaOggi del 24.10.2012
- link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Verso
il Cdm. In arrivo un pacchetto di interventi destinati a
rivedere le regole sui contratti.
Appalti, operazione riordino.
Dalla delega per la revisione del codice alla consultazione
pubblica.
IL QUADRO/
Il disegno di legge punta su semplificazione, anticipazione
delle regole Ue e partenariato fra pubblico e privato.
Non c'è soltanto la delega al riordino del codice appalti
nel disegno di legge del ministero delle Infrastrutture che
ieri è passato in pre-Consiglio dei ministri e oggi avrà
un'ulteriore messa a punto a Palazzo Chigi.
Nel testo diretto verso il Consiglio dei ministri di domani
o venerdì ci sono anche altre innovazioni di cui si è
parlato in questi ultimi mesi e che non avevano trovato
ancora posto in alcun provvedimento. È il caso
dell'introduzione in Italia del debat public, «la
consultazione pubblica –si legge nella relazione
illustrativa del Ddl– con gli attori locali che ha la
finalità di elevare il grado di tempestività e accuratezza
dell'informazione pubblica sugli interventi infrastrutturali
e di promuovere un più alto livello di consenso sociale e di
partecipazione delle popolazioni interessate alle scelte
progettuali e insediative effettuate dall'organo politico».
Una commissione composta di tre esperti avvierà e gestirà i
procedimenti e sarà «organismo di natura tecnica dotato di
alto grado di indipendenza, in quanto non deve essere
percepito come portatore di interesse di parte».
Il procedimento dovrà sempre prendere in considerazione
anche la «opzione zero» e dovrà concludersi in 120 giorni
con un documento non vincolante della commissione che darà
conto con oggettività di tutte le posizioni e potrà
contenere proposte di integrazione, modifica o
accompagnamento dell'opera.
Nel Ddl appalti ci sarà anche la gara di appalto «modello
World bank» proposta a suo tempo dal presidente dell'Ance,
Paolo Buzzetti, come modello di efficienza e di oggettività
nella selezione dell'appaltatore. Tra le innovazioni di cui
si dibatte da mesi e anni c'è anche la consultazione
preliminare delle imprese invitate a partecipare a una gara
per l'affidamento in concessione di un'opera. Oppure una
norma per le Ati (associazioni temporanee di imprese) che
impone la corrispondenza delle quote di partecipazione e
quelle di effettiva esecuzione dei lavori.
Per quel che riguarda il riordino del codice appalti, tre
sono i principi contenuti nella delega al Governo:
semplificazione, anticipazione degli orientamenti comunitari
e creazione di «condizioni favorevoli per il partenariato
pubblico-privato e la finanza di progetto, anche attraverso
disposizioni volte a dare certezza al quadro regolatorio
vigente alla stipula del contratto».
Il disegno di legge prevede anche tre altre deleghe per il
riordino dei codici dell'edilizia, della strada e della
navigazione.
In pre-Consiglio dei ministri ieri è arrivato anche il
decreto correttivo del codice antimafia (150/2011) che
prevede due novità: la stretta sugli obblighi di
tracciabilità dei flussi finanziari e le informative
atipiche. Per il resto, i suoi dieci articoli hanno il
merito di mandare finalmente in vigore tutta la sezione del
codice dedicata alle comunicazioni antimafia e alla banca
dati ad esse dedicata.
Solo il vertice di oggi a Palazzo Chigi permetterà di capire
se effettivamente questo pacchetto di provvedimenti andrà
all'esame del prossimo Consiglio dei ministri
(articolo Il Sole 24 Ore del 24.10.2012
- link a www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Grandi opere con consultazione. Le popolazioni
locali saranno sentite per evitare effetti Tav.
In arrivo in Consiglio dei ministri un ddl che
punta a ridisegnare tutti i contratti pubblici.
Al via le consultazioni pubbliche sulle
opere infrastrutturali per gestire il consenso a livello
locale, sulla scia del «débat public» francese con oggetto
lo studio di fattibilità; deleghe per riordinare entro 180
giorni la normativa sui contratti pubblici (Codice e
regolamento), sull'edilizia, sui trasporti pubblici e sulla
navigazione; bandi- tipo dell'Utfp per le concessioni di
lavori pubblici; consultazione sul progetto preliminare
anche per le concessioni; svincolo delle cauzioni anche
sulle opere in esercizio.
È quanto previsto nello
schema di disegno di legge esaminato che viene esaminato
oggi dal pre-Consiglio dei ministri.
Nella bozza che viene illustrata e discussa oggi è contenuta
anche una corposa e impegnativa norma di delega che tocca
l'intera disciplina in materia di contratti pubblici;
difficile però immaginare che possa essere portata a termine
prima della fine della legislatura. In particolare si
prevede che entro sei mesi si porti a compimento il «consolidamento
delle disposizioni nella materia dei contratti pubblici»
e «l'assestamento del quadro normativo di riferimento».
Ne dovrebbe uscire un nuovo Codice dei contratti diviso in
due parti, una legislativa e l'altra regolamentare, evitando
la dispersione in diverse fonti normative, nonché la
sovrapposizione e la duplicazione tra disposizioni di rango
legislativo e regolamentare.
L'operazione dovrà servire anche ad adeguare il quadro
regolatorio ai principi e agli orientamenti comunitari
emersi in sede di aggiornamento delle direttive in materia
di appalti pubblici e concessioni, ma anche a semplificare
le procedure e creare le condizioni favorevoli per il
partenariato pubblico-privato e la finanza di progetto.
Altre deleghe, peraltro, riguardano la materia della
circolazione stradale. Analoga operazione viene prevista per
la materia edilizia puntando, fra le altre cose, a toccare i
diritti edificatori, la semplificazione delle procedure, la
premialità fiscale e finanziaria.
Ma non basta, perché sono previste deleghe per riordinare
anche le norme sulla circolazione stradale, la navigazione e
il trasporto pubblico su autobus.
Nell'attesa dell'attuazione delle deleghe, intanto, si
propongono ulteriori norme di modifica dell'attuale Codice
dei contratti pubblici che in passato non erano poi entrate
nei diversi decreti-legge proposti dal governo e convertiti
dal parlamento. Fra queste spicca l'introduzione della
Consultazione pubblica per gestire il consenso relativo alla
realizzazione delle opere infrastrutturali di rilevante
impatto ambientale, sociale ed economico indicate nel Def
infrastrutture, una proposta già in passato avanzata dalle
Fondazioni Astrid, Italiadecide e Respublica e tesa ad
adattare l'istituto del «débat public» francese, una sorta
di referendum, limitato alle grandi opere, per gestire il
consenso sul territorio. La consultazione, prevista nella
fase iniziale dell'iter di individuazione delle
caratteristiche dell'infrastruttura con oggetto, di regola,
lo studio di fattibilità dell'opera, potrà essere richiesta
dal soggetto aggiudicatore, dal promotore o da un consiglio
regionale, o da un numero di consigli comunali o provinciali
rappresentativi di almeno 150 mila abitanti, ovvero 50 mila
cittadini residenti nel comune o nei comuni interessati
dalla realizzazione dell'opera.
Sarà una commissione istituita presso il Provveditorato
interregionale alle opere pubbliche a gestire la
consultazione che non potrà avere durata, prefissata,
superiore a 120 giorni; al termine della consultazione sarà
predisposto un documento che darà conto delle ipotesi
alternative emerse e del grado di consenso raggiunto e potrà
prevedere l'istituzione di un meccanismo permanente di
comunicazione e dialogo pubblico.
Sul fronte della disciplina delle concessioni si prevede la
possibilità che l'ente finanziatore, entro 180 giorni,
indichi un subentrante (nuovo concessionario) al posto del
concessionario affidatario a seguito della gara; si prevede
anche che sia attivabile anche per le concessioni la
consultazione preliminare sul progetto (prevista finora solo
per gli appalti) e che i bandi e i relativi allegati (da
definire sulla base di modelli che dovrà mettere a punto
l'Unità tecnica per la finanza di progetto) siano
predisposti in modo da prevedere il preventivo e graduale
coinvolgimento del sistema bancario nell'operazione e
assicurare la massima «bancabilità» del progetto. Ridotti
ulteriormente i tempi per l'approvazione dei progetti da
parte del Cipe, il testo promuove anche un maggiore ricorso
alle centrali di committenza che potranno riguardare anche
le concessioni e i contratti di Ppp (partenariato
pubblico-privato).
Modificando l'articolo 92 del dpr 207/2010, si consente poi
alle imprese di costruzioni che partecipano in
raggruppamento temporaneo di eseguire i lavori anche in
percentuali diverse da quelle previste a condizione che
siano qualificate per i singoli lavori da eseguire.
Riproposte le norme sullo svincolo delle cauzioni per opere
in esercizio da un anno e l'innalzamento all'80% della quota
svincolabile. Infine, fra le altre cose, si prevede un Fondo
mobiliare chiuso, da costituirsi da Cassa depositi e
prestiti, con la collaborazione dell'Anci e dell'Upi, per la
valorizzazione dei beni pubblici mobiliari (articolo
ItaliaOggi del 23.10.2012 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI:
Il ricorso all'arbitrato va limitato. Passera
avverte: amministrazioni quasi sempre soccombenti. La
direttiva del ministro alle infrastrutture. Clausole
compromissorie solo se funzionali all'appalto.
Limitare il ricorso agli arbitrati, che
vedono quasi sempre soccombenti le amministrazioni,
inserendo la clausola compromissoria soltanto se funzionale
alla specificità dell'appalto e se è opportuno il ricorso
alla giustizia arbitrale; i limiti devono essere tenuti
presenti anche per i contratti già affidati in cui è
possibile, in base alle vecchie norme, optare a controversia
in corso, per l'arbitrato.
È questo l'invito contenuto nella
nota 27.06.2012 n. 24189 di prot.
del ministro delle infrastrutture e trasporti, Corrado
Passera, registrata dalla Corte dei conti il 02.08.2012 e
resa nota in questi giorni.
L'atto ministeriale, indirizzato ai dipartimenti del
dicastero di Porta Pia, ai provveditorati interregionali
alle opere pubbliche e alle Capitanerie di porto, assume una
sua rilevanza di carattere generale per l'azione
amministrativa e per la gestione degli appalti pubblici. La
direttiva di Passera prende le mosse dalle considerazioni
che ormai da anni formula l'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici rispetto alle risultanze dell'impiego
degli arbitrati nel settore degli appalti pubblici. I
n base a questi dati è stato introdotto ad opera
dell'articolo 3, comma 19, della legge 244/2007 il divieto
di fare ricorso alla procedura arbitrale, più volte rinviato
nella sua entrata in vigore, fino a che il decreto
legislativo 53/2010, eliminando la norma-divieto del 2007,
ha ammesso l'arbitrabilità delle controversie, vietando,
relativamente ai contratti pubblici, il compromesso (art.
807 cpc) una volta insorta la controversia.
Sono pertanto arbitrabili solo le controversie relative a
contratti già contenenti la clausola compromissoria. Nella
direttiva si ricorda, quindi, che nella relazione del 2009
l'Autorità oggi presieduta da Sergio Santoro, aveva
stigmatizzato il fatto che i giudizi arbitrali «comportano
costi elevati per le pubbliche amministrazioni, anche in
ragione delle alte percentuali di soccombenza rilevate».
In particolare il dato diffuso all'epoca dall'Autorità
vedeva una soccombenza, con riferimento complessivo agli
arbitrati liberi e amministrati, pari a circa il 94%, mentre
soltanto nel 6% dei casi le domande delle imprese erano
state rigettate. Anche con la relazione del 2010 l'organismo
di vigilanza, come si legge nella direttiva del ministero
delle infrastrutture, avevano avuto modo di evidenziare che
negli arbitrati liberi le stazioni appaltanti, nella quasi
totalità, sono risultate in tutto o in parte soccombenti.
A ciò si deve aggiungere il fatto, sempre riportato nella
direttiva, che «solo una minoranza dei procedimenti si
conclude entro il termine ordinatorio previsto per
l'emissione del lodo» (240 giorni). Da qui l'invito,
contenuto nella direttiva di «limitare al massimo la
previsione della clausola compromissoria in considerazione
della specifica natura e delle caratteristiche dell'appalto
e dell'opportunità rispetto alla singola fattispecie, del
ricorso alla giustizia arbitrale.
Il ministro chiede alle stazioni appaltanti di regolarsi nei
termini descritti anche per le fattispecie regolate dalla
normativa precedente al 2010, quando era prevista la facoltà
di declinare la competenza arbitrale (articolo
ItaliaOggi del 23.10.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Maggiore tutela al responsabile servizi finanziari.
LA QUALIFICAZIONE/
Da valutare l'ipotesi di prevedere un albo di soggetti
idonei a ricoprire questo delicato ruolo.
Già nei primi mesi del 2008, su questo giornale, erano
usciti alcuni articoli che segnalavano i rischi insiti nella
debolezza del responsabile dei servizi finanziari e, per
questo, proponevano alcune soluzioni. Le norme introdotte
nel decreto enti locali (174/2012) vanno in quella direzione
e non possono che essere apprezzate.
Il ragioniere vede arricchirsi i suoi compiti, acquisendo un
ruolo di fatto sempre più di tutela della Repubblica prima
che di servizio al sindaco. Era già, certo, responsabile
della veridicità dei conti e tutore degli equilibri; oggi
diventa anche e soprattutto un importante presidio di
finanza pubblica. Da qui un aumento dei poteri (e delle
responsabilità). Il ragioniere dovrà apporre il suo visto su
ogni atto dell'ente locale che «comporti riflessi diretti o
indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul
patrimonio dell'ente». Praticamente su tutto.
È chiaro che, che a fronte di ciò, è necessario prevedere
una maggiore tutela di questa figura, che ha spesso
rischiato di diventare il vaso di coccio tra la prepotenza
di politici irresponsabili e la rigidità delle norme di
finanza pubblica.
Grazie al decreto, l'incarico di responsabile dei servizi
finanziari può essere revocato esclusivamente in caso di
gravi irregolarità nell'esercizio delle funzioni assegnate.
Non solo, la revoca può essere disposta solo previo parere
obbligatorio del ministero dell'Interno e della Ragioneria
generale dello Stato.
Non si può che essere d'accordo con una norma coraggiosa e
incisiva. Però tutto ciò non è ancora sufficiente: resta
comunque possibile, per limitarne l'effettività, disporre un
incarico a contratto a tempo determinato annuale (l'articolo
110 del Tuel prevede un tempo massimo pari a quello di
mandato, ma non uno minimo), così da poter tenere comunque
il dirigente sotto scacco.
Ancora si pensi all'assurdità (per altro non poco frequente)
del fatto che il comma 4 dell'articolo 110, preveda che il
contratto a tempo determinato è risolto di diritto nel caso
in cui l'ente locale dichiari il dissesto o venga a trovarsi
nelle situazioni strutturalmente deficitarie. In questo
caso, in pratica, è il ragioniere stesso, dopo aver avuto il
coraggio di denunciare la cosa a determinare il proprio
"licenziamento". Un evidente paradosso, che ha come
conseguenza il lasciare scoperta una posizione cruciale
proprio negli enti più in difficoltà.
Sarebbe giusto, piuttosto, prevedere una sanzione che
punisca tutti i dirigenti che hanno condotto l'ente in tale
stato, vietando l'inserimento di risorse aggiuntive nei
fondi per il trattamento accessorio del personale, anche di
livello dirigenziale, in modo da punire l'intero gruppo
dirigente del comune in crisi (e non solo il personale a
tempo determinato) e da rendere chiaro ai dipendenti per
primi i costi di una politica irresponsabile. Ancora,
dovrebbe essere assicurata una posizione di apicalità al
responsabile dei servizi finanziari. Oggi spesso si trovano
collocazioni strane e si ritrovano perfino interim a
dirigenti che fanno tutt'altro.
Infine occorre affrontare il tema della qualificazione
professionale dei ragionieri. A oggi, infatti, la scelta del
responsabile finanziario può essere fatta a completa
discrezione dell'ente, con il rischio di trovarsi in questa
posizione dentisti ed architetti. È dunque necessario
riflettere sulla opportunità di predisporre un registro di
idonei alla funzione, da cui i sindaci debbano attingere al
momento della nomina. Occorre gradualità, certo, ma il nodo
va affrontato.
Lo si è fatto per i revisori dei Comuni, i quali devono
avere una qualificazione professionale e frequentare dei
corsi di aggiornamento. Non si comprende perché non si possa
fare per i ragionieri degli enti locali (articolo Il Sole 24 Ore del 22.10.2012
- link a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Aumenti
(a sorpresa) per gli stipendi della Pa.
La Consulta boccia anche la trattenuta del 2,5% sul Tfr: da
20 a 80 euro netti in più al mese, oltre agli arretrati
LA MOTIVAZIONE/
Ingiustificata la disparità di trattamento tra i lavoratori
di enti e amministrazioni e quelli del settore privato.
Gli stipendi pubblici e i rinnovi contrattuali sono
congelati da più di due anni, ma mentre il Governo lavora
per prolungare il blocco totale (indennità di vacanza
contrattuale compresa) almeno fino al 2015, arriva una
stecca pesante nel coro dell'austerità: a farla è la Corte
costituzionale, che nella sentenza 223/2012 non si è
limitata a cancellare il "contributo di solidarietà" a
carico degli statali e a tagliare le indennità speciali dei
magistrati, ma ha bocciato anche la trattenuta del 2,5% sul
Tfr dei dipendenti pubblici, non imposta, invece, ai
lavoratori del settore privato. Con un duplice risultato:
l'obbligo di restituzione degli arretrati, e un aumento in
busta paga rispetto ai livelli previsti dalla manovra estiva
del 2010 che aveva ingabbiato gli stipendi pubblici.
Il 2,5%
caduto sotto le forbici dei giudici delle leggi si calcola
infatti sulla retribuzione del dipendente, comprese le
indennità di posizione, e non sul solo accantonamento per il
trattamento di fine rapporto o di fine servizio, per cui la
novità può valere per i 3,3 milioni di dipendenti pubblici
più di molti rinnovi contrattuali anche siglati in tempi più
generosi degli attuali.
Per rendersene conto basta dare un'occhiata alle tabelle
pubblicate qui a fianco, che fanno i conti in tasca alle
figure-tipo che lavorano negli uffici dell'amministrazione
centrale o negli enti locali. Per un impiegato di un ente
territoriale, per esempio, la pronuncia costituzionale vale
332 euro netti di arretrati del 2011, 307 di competenza 2012
(i due valori sono diversi perché nel 2011 il Tfr era
soggetto a tassazione separata, più leggera di quella
ordinaria) e un incremento netto in busta paga da quasi 24
euro al mese. Le cifre, naturalmente, salgono insieme alla
posizione occupata dall'interessato nella gerarchia
dell'amministrazione, e non solo per l'aumento dello
stipendio di base. Se il dipendente è anche titolare di
«posizione organizzativa», cioè in pratica ha la
responsabilità di un ufficio, pur non essendo un dirigente,
nel calcolo entrano anche i 12.911 euro dell'indennità di
posizione, e il conto si gonfia: tra 2011 e 2012 l'arretrato
vale mille euro, e l'aumento netto in busta si attesta poco
sopra i 34 euro al mese.
Per un dirigente, la cifra in gioco raddoppia
abbondantemente. Gli stessi calcoli si replicano
nell'amministrazione centrale, dove a parità di qualifica
gli stipendi sono più alti di quelli che si incassano nel
territorio. Al vertice della piramide si incontrano i
dirigenti di prima fascia, che dalla novità attendono 2.300
euro di arretrati e 80 euro al mese in più rispetto alla
retribuzione ricevuta fino al mese scorso. Un'ottima
notizia, che soprattutto per questa categoria si accompagna
all'addio, anch'esso retroattivo, al contributo di
solidarietà che chiedeva il 5% della quota di retribuzione
superiore a 90mila euro e il 10% di quella che supera quota
150mila euro. Pessima, invece, è la notizia letta con gli
occhi delle amministrazioni e dei conti pubblici (si veda
anche l'altro articolo in pagina): negli uffici si è già
avviata la macchina delle richieste di restituzione delle
trattenute diventate illegittime ex post, le amministrazioni
in genere prendono tempo in attesa di istruzioni
ministeriali ma presto occorrerà mettere mano alla cassa.
A motivare la presa di posizione dei giudici costituzionali,
che in un colpo solo hanno abbattuto tre pilastri centrali
nella gabbia con cui la manovra estiva 2010 ha provato a
imbrigliare i costi del pubblico impiego, ci sono ovvie
ragioni di equità. La Corte ha richiamato gli articoli 3 e
53 della Costituzione, che tutelano la parità dei cittadini
davanti alla legge e la proporzionalità fra le richieste
fiscali e la capacità contributiva del singolo. Un euro,
spiegano i giudici, Costituzione alla mano, ha lo stesso
valore sia quando va in tasca a uno statale sia quando
finisce a un lavoratore privato, per cui deve essere
sottoposto a una tassazione identica. Un principio chiaro,
che ora impone al Governo di trovare strade nuove se vuole
recuperare i risparmi caduti sotto i colpi della Corte
(articolo Il Sole 24 Ore del
22.10.2012 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Busta più pesante da novembre. Occorre riconoscere anche il pregresso.
La sentenza della Corte Costituzionale 223/2012 che ha
dichiarato illegittima la norma del Dl 78/2010 relativa alla
trattenuta sul Tfr rischia di far saltare i conti delle
amministrazioni pubbliche in materia di personale. I giudici
costituzionali non hanno portato solo vantaggi nelle tasche
dei dipendenti pubblici, ma hanno anche inflitto un duro
colpo alle casse comunali.
La norma bocciata
Da dove nasce il pasticcio? Nasce dall'obiettivo di togliere
un beneficio di cui i dipendenti pubblici godevano in
materia di trattamento di fine servizio, se assunti prima
del 2001, estendendo anche a questi lavoratori il regime del
Tfr previsto nel Codice civile. In sostanza, fino al 2010,
la normativa imponeva al datore di lavoro un accantonamento
sull'80% della retribuzione lorda (che è la base su cui si
calcola l'accantonamento del Tfr), con una trattenuta a
carico del dipendente pari al 2,5%, calcolata sempre sul
l'80% della retribuzione. La normativa pregressa prevedeva
dunque un accantonamento determinato su una base di computo
ridotta, e, a fronte di un miglior Tfr, esigeva la rivalsa
sul dipendente.
Nell'assetto che si è determinato in seguito alla norma
impugnata (Dl 78/2010, articolo 12, comma 10), la
percentuale di accantonamento opera sull'intera
retribuzione, con la conseguenza che il mantenimento della
rivalsa sul dipendente, solo per i dipendenti pubblici, in
assenza della «fascia esente», determina in un sol colpo una
riduzione della retribuzione e la riduzione della quantità
di Tfr maturata nel tempo.
Il legislatore aveva dunque dimenticato che, nel privato,
tutti gli oneri sono a carico del datore di lavoro, mentre
nei regimi pubblicistici era prevista appunto la ritenuta a
carico del dipendente (il 2,5% sull'80% della retribuzione).
L'illegittimità costituzionale si fonda sul principio di
parità di trattamento fra i dipendenti pubblici e quelli
privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di
lavoro.
L'impatto della sentenza
Che cosa succede a questo punto? Le pubbliche
amministrazioni non sono più legittimate a trattenere ai
dipendenti la trattenuta ex Enpas, ex Inadel, e così via.
Inoltre, dovranno restituire le stesse ritenute effettuate
dal 01.01.2011 fino a oggi. Infatti, l'articolo 136
della Costituzione prevede che la norma dichiarata
incostituzionale cessa di avere effetto dal giorno
successivo alla pubblicazione della decisione. Considerando
che la sentenza è stata pubblicata il 17.10.2012
(Gazzetta ufficiale, prima serie speciale, n. 41),
l'applicazione inizierà con gli stipendi del mese di
novembre, poiché gli stipendi di ottobre sono già stati
elaborati.
Peraltro, sembra non si possa sfuggire nemmeno al
riconoscimento degli arretrati, poiché le sentenze hanno
efficacia anche nei confronti dei rapporti sorti prima della
dichiarazione di illegittimità, con la sola eccezione dei
rapporti esauriti. Gli enti dovranno dunque fare una
variazione di bilancio per far fronte a questi oneri
sopravvenuti, che sono quantificabili in una quota pari al
2% delle retribuzioni annue utili ai fini Tfr (che equivale
al 2,5% dell'80% della retribuzione).
Questo vuol dire che,
nel 2012, dovranno essere reperite le risorse per rimborsare
le trattenute effettuate nel 2011, quelle già trattenute
nella prima parte del 2012 e quelle non più recuperabili nel
2012 a fronte della sentenza. In pratica si tratta di circa
il 4%, da calcolare non solo sullo stipendio tabellare ma
anche sulle altre voci utili (come indennità di
amministrazione e retribuzione di posizione). Gli enti si
troveranno in enorme difficoltà o, più probabilmente, nella
impossibilità di rispettare i vincoli sul contenimento della
spesa di personale
(articolo Il Sole 24 Ore del
22.10.2012 - link a www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 22.10.2012 |
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APPALTI: Verifica antimafia per i
revisori.
Controlli estesi ai professionisti dei collegi e organi
vigilanti. Lo prevede un decreto
correttivo del codice del 2011, pronto per il Consiglio dei ministri.
Verifica antimafia per i revisori e per i componenti
dell'organo di vigilanza.
Lo prevede lo schema di decreto
legislativo correttivo del codice delle leggi antimafia (dlgs
159/2011) che sarà il 23 ottobre prossimo in Consiglio dei
ministri e che ItaliaOggi è in grado di anticipare. Lo
schema stabilisce, infatti, che i controlli antimafia devono
essere espletati nei confronti dei membri dei collegi
sindacali di associazioni e società e anche dei componenti
dell'organo di vigilanza previsto dall'articolo 6 del
decreto legislativo 231/2001 (sulla responsabilità
amministrativa delle imprese).
CERTIFICAZIONI E INFORMAZIONI ANTIMAFIA. La documentazione
antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia e
dall'informazione antimafia. La comunicazione antimafia
consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una
delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto quali
misure di prevenzione (articolo 67 del codice antimafia).
L'informazione antimafia consiste nell'attestazione della
sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di
sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 citato, e
anche nell'attestazione della sussistenza o meno di
eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a
condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o
imprese interessate.
CATALOGO DEI SOGGETTI COINVOLTI. Il decreto correttivo
completa il catalogo dei soggetti da sottoporre a verifica
ai fini del rilascio della documentazione antimafia. In
materia si sono registrati dubbi applicativi, risolti con il
decreto in esame. In particolare viene definito
espressamente il regime dei controlli da effettuarsi nei
confronti dei gruppi europei di interesse economico (Geie):
è assimilato a quello previsto per i consorzi disciplinati
dall'articolo ex articolo 2602 codice civile. Trovano un
raccordo, quindi, il codice antimafia e il dlgs 240/1991,
che prevede l'applicabilità ai Geie delle normative
antimafia.
Viene inoltre stabilito che i controlli antimafia
devono essere espletati nei confronti dei membri dei collegi
sindacali di associazioni e società nonché dei componenti
dell'organo di vigilanza previsto dall'articolo 6, comma 1,
lettera b) del decreto legislativo 231/2001. Sono
assoggettate alle verifiche antimafia anche le imprese prive
di sede principale o secondaria in Italia. Il correttivo
colma una lacuna: il codice attualmente, consente di
effettuare tali verifiche soltanto nei confronti degli
operatori economici con sede legale o secondaria nel
territorio dello stato.
Vengono introdotte nel codice
specifiche disposizioni riguardanti i particolari controlli
antimafia da svolgersi nei confronti delle società
concessionarie di giochi pubblici. La documentazione
antimafia deve riferirsi anche ai soci persone fisiche che
detengono, anche indirettamente, una partecipazione al
capitale o al patrimonio superiore al 2%. Medesimo obbligo è
esteso ai direttori generali e ai soggetti responsabili
delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in
Italia di soggetti non residenti.
VALIDITÀ DEI CERTIFICATI. Il codice, come riscritto dal
decreto correttivo, stabilisce che la comunicazione
antimafia ha una validità di sei mesi dalla data
dell'acquisizione, mentre l'informazione antimafia ha, di
regola, una validità di dodici mesi dalla data
dell'acquisizione.
DECERTIFICAZIONE. Vengono soppresse le previsioni che
permettono al privato di utilizzare la copia autentica della
documentazione antimafia rilasciata. Inoltre vengono
soppresse, all'art. 87, le previsioni che consentono al
privato di richiedere il rilascio della comunicazione
antimafia. Quest'ultima ha una natura certificativa e può
essere prodotta esclusivamente nei confronti dei soggetti
pubblici (elencati all'articolo 83, commi 1 e 2, del
codice).
RILASCIO AUTOMATICO. Il provvedimento modifica, inoltre,
l'articolo 88 del codice, precisando che il rilascio
automatico della comunicazione antimafia può avvenire solo
se il soggetto interessato è già stato censito nella
apposita banca dati. Diversamente, il prefetto provvede a
effettuare i controlli antimafia secondo le modalità
ordinarie già previste per i soggetti nei cui confronti sono
emersi riscontri informativi indicativi dell'esistenza di
controindicazioni all'emissione del provvedimento.
TRACCIABILITÀ. Arricchito l'elenco delle circostanze dalle
quali il prefetto può desumere l'esistenza di tentativi di
infiltrazione mafiosa: sono ricomprese anche le violazioni
agli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari
derivanti da appalti pubblici, commesse con la condizione
della reiterazione.
INFORMAZIONI INTERDITTIVE. Le informazioni antimafia interdittive devono essere comunicate sempre ai vari
soggetti istituzionali interessati e non solo nella
specifica ipotesi di provvedimenti inibitori emessi a
seguito di accesso in cantiere. Inoltre si prevede che il
prefetto trasmetta i provvedimenti inibitori anche alla
Direzione nazionale antimafia, ai soggetti titolari del
potere di proposta di applicazione delle misure di
prevenzione, agli uffici dell'Agenzia delle entrate
competenti per il luogo di sede legale del soggetto
destinatario della misura interdittiva all'Autorità garante
della concorrenza (ai fini dell'attribuzione del rating
d'impresa) e all'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici per l'inserimento nella Banca dati nazionale dei
contratti pubblici
(articolo ItaliaOggi del 20.10.2012). |
ENTI LOCALI: Forniture
alle
p.a., fattura elettronica vicina.
Più vicina la fatturazione elettronica delle forniture alla
pubblica amministrazione.
Con il
parere 12.10.2012 n. 4267,
il Consiglio di Stato, preso atto delle modifiche apportate
al testo inizialmente predisposto dal ministero
dell'economia, ha dato infatti semaforo verde al
provvedimento attuativo delle disposizioni dell'art. 1,
commi 209-214, della legge n. 244/2007. In particolare,
osserva l'organo legale, risultano superate le criticità che
il consiglio aveva rilevato nel parere interlocutorio del
27.10.2011, concernenti la coerenza con l'art. 117 della
costituzione in relazione all'impatto della procedura di
fatturazione elettronica sulle autonomie locali.
In proposito, infatti, il ministero dell'economia, nel
trasmettere la nuova versione dello schema di regolamento,
ha osservato che l'art. 10, comma 13, del dl 201/2011 ha
modificato le predette disposizioni, riferendo l'obbligo
della fattura elettronica ai rapporti con le amministrazioni
di cui all'art. 1, comma 2, della legge 196/2009 e alle
amministrazioni autonome
(articolo ItaliaOggi del 19.10.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
SEGRETARI COMUNALI: Agenzia
per la gestione dei segretari. Gli enti continueranno a
pagare.
I comuni e le province dovranno continuare a versare i
contributi dovuti alla vecchia Agenzia per la gestione
dell'albo dei segretari non più fino alla fine del 2012 ma
fino alla fine del mese di luglio del 2013; la Scuola
superiore per la formazione e la specializzazione dei
dirigenti della pubblica amministrazione locale, cioè la
Scuola dei segretari, conosciuta anche come Sspal, viene
soppressa; viene istituito il consiglio direttivo per l'Albo
dei segretari comunali e provinciali presso il ministero
dell'interno: sono queste le principali novità dettate
dall'articolo 10 del dl n. 174/2012.
Viene per l'ennesima
volta prorogato (si veda ItaliaOggi di giovedì 4 ottobre)
l'obbligo per gli enti locali di versare al ministero
dell'interno i contributi provenienti dalla riscossione dei
diritti di segreteria già dovuti alla disciolta Agenzia per
la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali,
contributi che servono per la corresponsione del trattamento
economico ai segretari in disponibilità e per il
funzionamento dell'Agenzia e della Scuola dei segretari.
Tale termine era previsto per la fine del 2010, ma di
proroga in proroga (con questa disposizioni si sposta la
scadenza fissata dal dl 95/2012, cosiddetta spending review,
per la fine del 2012) si è arrivati alla fine del mese di
luglio del 2013. Da ricordare che, nel momento in cui questo
obbligo verrà meno, i trasferimenti ai comuni e alle
province saranno ridotti di una cifra complessiva analoga:
con le nuove regole si dovrebbe avere una ripartizione più
equa tra i singoli enti locali.
Viene chiusa la Scuola dei segretari, che gestisce sia i
corsi per l'accesso all'Albo dei segretari, sia quelli per
avanzare in tale carriera, sia l'aggiornamento; le sue
attività, nonché il suo personale, vengono assegnati al
ministero dell'interno. Con un regolamento da emanare entro
il termine del 31.07.2013, saranno dettate le modalità
attraverso cui il ministero dell'interno dovrà gestire le
attività svolte in precedenza dalla Agenzia per la gestione
dell'albo e quelle della Scuola.
È stato infine istituito, a far data dalla entrata in vigore
del decreto, il Comitato direttivo per l'Albo nazionale dei
segretari comunali e provinciali. Esso viene presieduto dal
ministro dell'interno ed è composto da rappresentanti del
Viminale, dell'Anci e dell'Upi: a differenza del vecchio
consiglio di amministrazione dell'Agenzia non vi sono i
rappresentanti dei segretari comunali e provinciali. Per la
partecipazione a tale organismo non è prevista la erogazione
di alcun compenso.
I suoi compiti sono fissati direttamente dalla disposizione:
definire le modalità di gestione dell'albo dei segretari,
ivi compresi i beni di proprietà della disciolta Agenzia;
fissare il fabbisogno di segretari comunali e provinciali
(ricordando al riguardo che il dl n. 95/2012 fissa nello 80%
dei cessati il tetto per le nuove assunzioni di segretari);
adottare gli indirizzi per la programmazione dell'attività
didattica e il piano generale annuale delle iniziative di
formazione e di assistenza, svolgendo altresì i compiti di
controllo; ripartire le risorse necessarie per la gestione
dell'albo, per i corsi concorso per l'accesso, per la
formazione e l'aggiornamento professionale dei segretari,
dei dirigenti degli enti locali e degli amministratori
(articolo ItaliaOggi del 19.10.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Controlli
preventivi e dirigenti svincolati. Due ricette anti-sprechi.
Solo i controlli preventivi di legittimità e merito possono
scongiurare il proliferare di spese incontrollate come
quelle del consiglio regionale del Lazio. E,
contestualmente, l'eliminazione definitiva del potere degli
organi di governo di incaricare i dirigenti.
Al di là dei rimborsi ai gruppi consiliari, sono emerse
spese davvero difficili da giustificare, legate al semplice
funzionamento degli uffici. Sono stati acquistati tablet per
i consiglieri a prezzi più che doppi rispetto ai listini,
così come altre attrezzature informatiche molto più care
dell'ordinario.
Di utilizzare la Consip, evidentemente, nemmeno ci si è
pensato. Come di responsabilizzare sull'utilità dei beni, la
congruità dei prezzi e del sistema di individuazione del
contraente.
Inutile pensare che questo modo di operare sia limitato e
circoscritto. La giusta necessità di assicurare autonomia
alle organizzazioni politiche e agli organi di governo viene
troppo spesso, però, scambiata per potere assoluto di
scegliere come, cosa, a quale prezzo e da chi spendere.
Senza troppa cura di procedure e sistemi, che, invece
valgono per tutti gli organi pubblici, politici o tecnici
che siano.
Il che dimostra come prevedere norme poste a regolare, per
esempio, le modalità di approvvigionamento di beni e
servizi, come da ultimo l'articolo 1 della legge 135/2012
che nella logica della spending review mira a potenziare
l'utilizzo delle convenzioni Consip, non sia di per sé
sufficiente.
Occorre al più presto a tutti i livelli di organizzazione
reintrodurre controlli esterni di legittimità, se non di
merito, imprudentemente e frettolosamente eliminati dalle
riforme-Bassanini, all'epoca della costruzione di un
«federalismo» in provetta, che oggi mostra tutta la sua
dannosità.
Controlli che sarebbe opportuno svolgessero organi
amministrativi, in modo da permettere alle amministrazioni
controllate di ricorrervi se erronei. Ma, l'organo di
controllo dovrebbe essere funzionalmente posto alle
dipendenze della Corte dei conti e a essa rispondere della
sua azione.
Un altro elemento di criticità è il cordone ombelicale che
lega la dirigenza agli organi politici, per effetto delle
norme che attribuiscono a questi ultimi il potere di
incaricarli, premiarli, assicurare loro «carriera», in nome
di una «fiduciarietà» che, per altro, la Consulta ha più
volte considerato contraria alla Costituzione, in quanto
l'apparato amministrativo deve assicurare efficienza alla
macchina e non fedeltà a questo o quel colore politico.
Lo stretto legame, molte volte accentuato dal potere degli
organi di governo di cooptare dirigenti esterni senza
nemmeno concorsi, può indurre gli alti funzionari ad agire
per assicurare, appunto, l'acquisto di beni o servizi fuori
mercato, per «compiacere».
Tanto strategico è il potere di «nomina» dei dirigenti, che
la presidente del Lazio ormai a fine mandato ne ha comunque
nominati 10. Allo scopo forse di assicurare una continuità
quanto meno nei gangli amministrativi o ad altri fini non è
dato saperlo. Il fatto che si possa porre il dubbio,
tuttavia, fa comprendere come la disciplina degli incarichi
dirigenziali e lo spoil system possano consentire a
dirigenti e funzionari di non vedere, non parlare, eseguire.
Sebbene non sia questo il loro ruolo
(articolo ItaliaOggi del 19.10.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ I possibili paletti al diritto di accesso
da parte dei consiglieri dell'ente. Rilascio copie con
giudizio.
Anche l'informatica può soddisfare le richieste.
Un ente locale può determinare, in relazione al diritto di
accesso da parte dei consiglieri, un limite al rilascio di
copie di documenti oltre il quale imporre un costo del
servizio?
In linea generale, per i consiglieri, vale il principio di
gratuità del diritto di prendere visione e di estrarre copia
di atti e documenti, che trova fondamento nell'esercizio del
munus agli stessi affidato, «_ perché l'esercizio del
diritto di accesso attiene alla funzione pubblica di cui il
richiedente è investito e non al soddisfacimento di un
interesse privato ed attuale_».
Pertanto «al consigliere che chieda copia di atti utili per
l'esercizio del proprio mandato non può essere addebitato il
costo», sia «perché l'esercizio del diritto di accesso
attiene alla funzione pubblica di cui il richiedente è
investito _», sia perché «in nessun caso il consigliere può
fare uso privato_ dei documenti così acquisiti».
(Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi
parere del 05.10.2004).
Con il parere del 05.10.2010, la Commissione per
l'accesso ai documenti amministrativi, esprimendosi
sull'esercizio di tale diritto, ha ribadito che è
illegittimo prevedere, per le richieste da parte dei
consiglieri comunali, il pagamento dell'imposta di bollo,
dei diritti di segreteria e dei costi di riproduzione.
La stessa Commissione ha richiamato il consolidato principio
giurisprudenziale (ex multis Consiglio di Stato, sez. V. n.
929/2007) secondo cui il diritto di accesso del consigliere
agli atti «non può subire compressioni per pretese esigenze
di natura burocratica dell'ente con l'unico limite di poter
esaudire la richiesta, qualora sia di una certa gravosità,
secondo i tempi necessari per non determinare interruzione
delle altre attività di tipo corrente_» .
Sotto tale profilo il consigliere deve, quindi, contemperare
il diritto di accesso con l'esigenza di non intralciare lo
svolgimento dell'attività amministrativa ed il regolare
funzionamento degli uffici comunali, comportando ad essi il
minor aggravio possibile, sia dal punto di vista
organizzativo che economico (Corte dei conti, sez. Liguria
n. 1/2004).
Al riguardo, la Commissione per l'accesso, sulla base
principio di economicità che incombe sia sugli uffici tenuti
a provvedere sia sui soggetti che chiedono prestazioni
amministrative, ha riconosciuto «la possibilità per il
consigliere di avere accesso diretto al sistema informatico
interno, anche contabile, dell'ente attraverso l'uso della
password di servizio _ proprio al fine di evitare che le
continue richieste di accesso si trasformino in un aggravio
dell'ordinaria attività amministrativa dell'ente locale»
(cfr. parere 29.11.2009).
In tale contesto anche il giudice amministrativo ha ritenuto
legittime norme regolamentari contenenti accorgimenti
finalizzati a ridurre i costi. In particolare, il Consiglio
di stato, V, con la sent. n. 6742/2007 ha condiviso l'avviso
del Ministero dell'interno in merito alla possibilità di
riprodurre planimetrie su cd-rom qualora il consigliere
chieda l'estrazione di copie di atti la cui fotoriproduzione
comporti costi elevati .
Peraltro il Tar Puglia (sent. n. 115 del 21.01.2011) ha
affermato che «gli unici limiti all'esercizio del diritto di
accesso dei consiglieri comunali si rinvengono, per un
verso, nel fatto che esso debba avvenire in modo da
comportare il minor aggravio possibile per gli uffici
comunali e, per altro verso, che non debba sostanziarsi in
richieste assolutamente generiche_, fermo restando che la
sussistenza di tali caratteri debba essere attentamente_
vagliata in concreto al fine di non introdurre
surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto
stesso».
Se quindi, da un lato, l'imposizione di costi di
riproduzione non appare di per sé in linea con gli
orientamenti espressi, per altro verso, ove sia valutato che
la richiesta di rilascio di copie comporti in concreto
particolare aggravio per gli uffici, l'ente potrà, di volta
in volta, trovare una soluzione organizzativa, anche in
chiave informatica, utile ad ovviare a tale inconveniente
(articolo ItaliaOggi del 19.10.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Ddl
corruzione, per i pubblici dipendenti arriva il divieto di
ricevere regali.
È una rivoluzione anche per la pubblica amministrazione
quella che metterà in moto il
disegno di legge approvato ieri al Senato. Il
provvedimento, che tornerà alla Camera per la quarta
lettura, rimanda al governo le deleghe ad adottare i decreti
legislativi anche in materia di prevenzione. Ed è proprio su
questo terreno, secondo i tecnici che hanno lavorato al
testo del ddl, che la sfida contro la corruzione sarà più
impegnativa.
Segretari anti-corruzione.
L’Autorità nazionale detterà le linee guida. Amministrazioni
pubbliche ed enti locali dovranno a loro volta darsi un
piano per assicurare il massimo della trasparenza. Il
responsabile del piano verrà individuato tra i dirigenti
amministrativi di prima fascia. In nessun caso comunque
potranno essere coinvolti soggetti estranei
all’amministrazione. Negli enti locali, «salvo altra
motivata determinazione», il ruolo verrà ricoperto dal
segretario comunale (o provinciale). Dovrà elaborare un
piano triennale e trasmetterlo al Dipartimento della
funzione pubblica.
Parenti e redditi sul web.
Oltre a definire i criteri per la rotazione dei dirigenti
nei settori classificati a rischio, le amministrazioni
saranno chiamate a monitorare i tempi della burocrazia
interna sul loro sito istituzionale. Chi non lo farà sarà
passibile di sanzioni. È un punto, questo dei tempi di
lavorazione delle pratiche, ritenuto molto delicato e
importante.
Spesso proprio nella dilazione all’infinito dei tempi di
concessione di permessi, licenze o di qualsiasi altra
documentazione, si rileva l’indizio di un
rischio-corruzione. Semplicità e velocità delle procedure
assicurano viceversa livelli di trasparenza più elevati
negli uffici pubblici. Il governo dovrà poi adottare, senza
ulteriori costi, entro sei mesi dall’entrata in vigore della
legge, un decreto legislativo per riordinare gli obblighi di
pubblicità e di trasparenza.
Tra le novità che dovranno essere introdotte ci sarà anche
l’obbligo «per i titolari di incarichi pubblici di
carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri» di
pubblicare su Internet la situazione patrimoniale. Case,
terreni, redditi, situazione all’inizio e alla fine del
mandato, titolarità in imprese, partecipazioni azionarie
proprie, del coniuge, persino dei congiunti entro il 2°
grado di parentela. Per i segretari comunali o chi per loro
insomma il lavoro non mancherà.
Le attività a rischio.
Viene elencato anche il core business della malavita
organizzata, i settori più sensibili alle infiltrazioni
mafiose: trasporto di materiale a discarica per conto terzi;
smaltimento rifiuti; estrazione, fornitura e trasporto di
materiali inerti e terra; guardianìa dei cantieri; fornitura
di ferro lavorato e autotrasporto per conto terzi.
Denunce on-line.
La commissione anti-corruzione, coordinata dal capo di
gabinetto Roberto Garofoli, si è ispirata a modelli europei,
fermo restando la forte tipicità italiana. Dove per «tipicità»
si intende ’ndrangheta, camorra e ogni genere di
infiltrazione mafiosa. Il documento parla chiaro: per
tornare ad essere un Paese «normale» il nostro dovrà
sottoporsi a dosi massicce di trasparenza.
Non potrà accollarsi in futuro i costi della corruzione,
secondo un calcolo della Corte dei Conti, circa 60 miliardi
di euro l’anno. Ogni amministrazione dovrà dunque dotarsi di
un indirizzo di posta elettronica certificato al quale i
cittadini potranno segnalare eventuali anomalie.
No regali.
I rapporti tra l’amministrazione e i soggetti che stipulano
contratti andranno monitorati per verificare eventuali
relazioni di parentela fra titolari, amministratori e soci.
Ai dipendenti sarà fatto divieto di chiedere o di accettare
«a qualsiasi titolo compensi o altre utilità in connessione
con l’espletamento delle proprie funzioni», «fatti salvi
si spiega regali d’uso purché di modico valore e nei limiti
delle normali relazioni di cortesia».
Andranno indicate anche durata e misura dei compensi;
un’attestazione verificherà «l’insussistenza» di
eventuali conflitti di interessi. E non è finita: ai
magistrati ordinari, contabili e amministrativi ma anche
agli avvocati e ai procuratori dello Stato e ai componenti
delle commissioni tributarie, sarà vietata la partecipazione
a collegi arbitrali. Pena la decadenza
(articolo Il
Messaggero del 18.10.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
La lotta alla corruzione.
LE MISURE DI PREVENZIONE.
Per gli appalti pubblici trasparenza online e «white list»
antimafia.
Le imprese nell'elenco eviteranno l'obbligo di certificato.
LE ALTRE MISURE/
In arrivo nuove ipotesi di risoluzione dei contratti:
sanzionate tra l'altro le sentenze per associazione mafiosa
e traffico di rifiuti.
Oltre alla repressione dei reati, attraverso le misure
penali, nella legge anticorruzione c'è la prevenzione che si
rivolge soprattutto ai settori economici più esposti al
rischio, come quello degli appalti pubblici (lavori, servizi
e forniture).
Il Ddl approvato al Senato prevede numerose
norme che mirano a dare maggiore trasparenza, e in alcuni
casi anche più efficienza nella vigilanza, sia alla fase
della gara sia all'esecuzione contrattuale.
Sul primo fronte, ci sono soprattutto nuovi obblighi di
trasparenza per le pubbliche amministrazioni che dovranno
pubblicare sui propri siti web istituzionali una serie di
informazioni relative al bando, come l'oggetto, l'elenco
degli operatori invitati a presentare offerte,
l'aggiudicatario, i tempi di completamento dell'opera.
Sull'obbligo vigilerà l'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici che già oggi riceve dalle stazioni appaltanti
analoga comunicazione. Si tratta, in sostanza, di un
rafforzamento -attraverso l'uso di tecnologie informatiche- degli attuali obblighi che non di rado vengono disattesi.
La banca dati dell'Autorità dovrebbe, in questo modo,
risultare più completa di quanto lo sia oggi.
D'altra parte le nuove norme si raccordano anche a quanto
già sta facendo la stessa Autorità che proprio martedì ha
varato il bando-tipo per uniformare le regole a cui tutte le
stazioni appaltanti dovranno attenersi nel fare i bandi di
gara e nell'escludere le imprese partecipanti dalle gare (si
veda Il Sole 24 Ore di ieri). «È una norma anticorruzione -spiega il presidente dell'Autorità, Sergio Santoro- che
punta a evitare uno dei comportamenti più gravi delle
stazioni appaltanti, quello di gare mirate a favorire un
soggetto specifico attraverso l'inserimento di requisiti
anomali». Se si aggiunge poi, il nuovo servizio che da
gennaio dovrebbe semplificare a imprese e stazioni
appaltante la presentazione di tutte le certificazioni e
documentazioni di gara, ecco che il cerchio si chiude.
Tra le certificazioni che dovrebbero essere semplificate c'è
anche quella antimafia che però nella legge approvata ieri
al Senato subisce un'ulteriore modifica, anche essa nel
senso di garantire maggiore efficacia nel contrasto alla
mafia e al tempo stesso alla tutela delle imprese oneste. Il
meccanismo, già più volte previsto in via sperimentale, è
quello delle «white list», vale a dire elenchi di
«fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori» al
riparo da qualsiasi sospetto di infiltrazione mafiosa. A
individuare le «imprese buone» dovranno essere le prefetture
che dovranno poi tenere e aggiornare le liste. Una volta
inserita nella lista, l'impresa non dovrà più presentare la
documentazione antimafia prevista dalla legge.
Viene rimaneggiata la disciplina degli arbitrati, con un
divieto di partecipazione ai collegi arbitrali che diventa
assoluto per i magistrati «ordinari, amministrativi,
contabili e militari». È una norma proposta molte volte che
ora sembra trovare un suo compimento (si veda anche
l'articolo nella pagina a fianco).
Cambia anche l'articolo 135 del Codice appalti con una serie
di nuove ipotesi di risoluzione del contratto. Saranno
sanzionate le sentenze passate in giudicato per reati come
l'associazione mafiosa,traffico di droga, contrabbando,
traffico di rifiuti, delitti con finalità di terrorismo,
oltre ai più classici reati di corruzione, concussione,
peculato e malversazione a danno dello Stato. Infine non
potranno fare parte delle commissioni giudicatrici i
condannati con sentenza passata i giudicato per delitti
contro la Pa come peculato, malversazione, corruzione, abuso
d'ufficio o interruzione di pubblico servizio (articolo Il
Sole 24 Ore del 18.10.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Adempimenti/
Alla Pa solo fatture online.
Forma elettronica obbligatoria per tutti ma con decorrenza
graduale. Il Consiglio di Stato ha dato il via libera al
decreto che sancisce le modalità attuative.
Via libera al secondo decreto attuativo del sistema di
fatturazione elettronica verso le pubbliche amministrazioni:
col
parere 12.10.2012 n. 4267 il Consiglio di Stato, Sezione
Consultiva per gli Atti Normativi, ha
espresso infatti parere favorevole allo schema di
regolamento ministeriale che individua regole tecniche e
linee guida per la gestione dei processi di fattura
elettronica verso le amministrazioni statali.
Il decreto, alla cui approvazione definitiva manca solo il
passaggio formale in Consiglio dei ministri, costituisce
l'ultimo tassello necessario all'avvio degli obblighi
dettati dall'articolo 1, commi da 209 a 214, della Legge 244
del 2007. Per le amministrazioni destinatarie vige infatti
il divieto di accettare le fatture emesse o trasmesse in
forma cartacea e di procedere al pagamento, anche parziale,
sino all'invio del documento in forma elettronica. I
fornitori delle amministrazioni pubbliche dovranno invece
gestire il proprio ciclo di fatturazione esclusivamente in
modalità elettronica, non solo nelle fasi di emissione e
trasmissione ma anche in quella di conservazione.
Gli impatti operativi saranno molti e rilevanti: da un lato,
gli enti pubblici dovranno adeguare infrastrutture
informatiche, sistemi contabili e procedure interne per la
ricezione e la contabilizzazione dei flussi elettronici di
fatturazione. Dall'altro, i fornitori privati sono invece
chiamati a sviluppare modalità di gestione elettronica dei
flussi documentali riorganizzando l'intero ciclo attivo di
fatturazione. Il tutto in un contesto normativo ormai maturo
e in linea con le indicazioni fornite dall'Unione Europea,
da ultimo con la Direttiva 2010/45/UE, di cui è in corso di
pubblicazione lo schema di decreto legislativo di
recepimento.
Perimetro soggettivo
L'articolo 10 del Dl 201/2011 ha delineato con precisione il
perimetro soggettivo delle pubbliche amministrazioni
destinatarie di fatture elettroniche. Si tratta di tutti i
soggetti, anche autonomi che, a norma dell'articolo 1, comma
2 della legge 196/2009, concorrono al perseguimento degli
obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale e
che sono inseriti nel conto economico consolidato e
individuati entro il 30 settembre di ciascun anno
nell'elenco Istat.
Prima delle modifiche i confini delle amministrazioni
destinatarie erano meno definiti, in quanto l'obbligo
riguardava genericamente le amministrazioni dello Stato,
anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici
nazionali.
Anche le amministrazioni locali sono state vincolate al
rispetto delle medesime regole applicabili a quelle centrali
introducendo così una regolamentazione unitaria a livello
nazionale.
Il contenuto
Per favorire il rapido passaggio al nuovo sistema in
sintonia con l'evoluzione dello scenario europeo, dovrebbe
essere adottato il formato fattura xml compatibile con gli
standard comunitari. La trasmissione delle fatture, anche
per il tramite di intermediari, avverrà attraverso il
sistema di interscambio (Sdi), la cui gestione è stata
assegnata, con decreto del 07.03.2008, all'agenzia delle
Entrate, che ha individuato in Sogei il soggetto tecnologico
deputato alla sua realizzazione.
Oltre alle informazioni obbligatorie per legge, sulla
fattura trasmessa attraverso lo Sdi dovranno comparire le
indicazioni sul soggetto trasmittente, con identificativo
fiscale, progressivo di invio e numero di trasmissione,
nonché sull'amministrazione destinataria, identificata con
un apposito codice. Quanto alla tempistica di decorrenza
dell'obbligo di fatturazione elettronica, è fissata in
dodici mesi dall'entrata in vigore del regolamento per
ministeri, agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza e
assistenza sociale; in 24 mesi per le altre amministrazioni
incluse nell'elenco Istat, a eccezione delle amministrazioni
locali, per le quali la data di decorrenza sarà determinata
con Dm dell'Economia, di concerto con il l'Innovazione e
d'intesa con la Conferenza Unificata (articolo Il
Sole 24 Ore del 18.10.2012). |
VARI:
La legge di stabilità arrivata alla camera esclude la spesa
dalla nuova soglia dei 250 euro. Deduzioni e detrazioni
definite.
Limature alle franchigie. In salvo l'assistenza medica.
Via la franchigia di 250 euro per le spese mediche e di
assistenza specifica dei disabili. Tolta la franchigia di
detrazione e la concorrenza al tetto dei 3 mila euro su base
annua per le spese sostenute per l'utilizzo dei cani guida
da parte dei soggetti non vedenti. Via le limitazioni e
ripristino dell'originario regime di detraibilità anche per
le spese per i servizi di interpretariato dei sordomuti.
Fuori dalle limitazioni anche le spese per gli addetti
all'assistenza personale delle persone non autosufficienti
(badanti) che tornano ad essere detraibili, senza alcuna
franchigia e senza concorrenza al tetto dei 3 mila euro, nel
limite originario di spesa su base annua pari a euro 2.100.
Sono queste le modifiche apportate al testo definito
dell'articolo 12 del
disegno di legge di stabilità in
materia di detrazioni e deduzioni d'imposta.
Nella versione definitiva dell'articolo 12 del testo del
disegno di legge compare anche un nuovo paragrafo nel quale
si specifica che subiranno le nuove franchigie di 250 e il
tetto massimo di detrazione di 3 mila euro su base annuale
anche le altre tipologie di oneri deducibili e detraibili
dal redditi previsti da altre disposizioni normative diverse
dal Tuir ma comunque riconducibili agli articoli 10 e 15 del
Testo unico delle imposte sui redditi.
Alcune delle modifiche sopra riportate tendono a evitare
alcune storture evidenziate dalla lettura della prima bozza
del provvedimento. È il caso ad esempio delle spese mediche
e di assistenza specifica dei soggetti disabili per i quali
inizialmente si prevedeva l'introduzione della franchigia di
deducibilità di 250 euro o quelle relative alle detrazioni
per le spese dei cani guida o per le badanti.
Si tratta di modifiche con le quali si tende a ripristinare
una sostanziale equità ed uniformità fra tipologie di spese
aventi natura similare.
Resta invece confermata, nonostante le polemiche sollevate
da più parti, la retroattività delle nuove limitazioni alla
deduzione e detrazione dal reddito che si applicheranno già
con riferimento all'anno 2012 (articolo
ItaliaOggi del 18.10.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: CORRUZIONE/ Via libera con fiducia dal Senato al disegno di
legge che ora va alla Camera. Pugno duro sugli illeciti
anti-p.a..
Arriva un codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
Via libera con fiducia nell'aula del Senato (228 sì, 33 no e
due astenuti) al maxi-emendamento del governo al
disegno di
legge anticorruzione (2156-B), che inasprisce le pene per
illeciti a danno della pubblica amministrazione, predispone
un codice di comportamento per i dipendenti e contiene una
delega per l'incandidabilità dei condannati alle cariche
elettive.
Il testo del ministro della giustizia Paola
Severino che sarà, dichiara il premier Mario Monti, «un
fattore di crescita per il paese», si compone di 84 commi e
passa all'esame della Camera. Di seguito e nella tabella le
novità principali.
Corruzione. Giro di vite per corruzione in atti giudiziari
(da tre–otto anni a quattro-dieci, per quella aggravata la
pena minima sale da quattro a cinque), corruzione propria
(da quattro a otto anni, non più due–cinque), peculato (la
pena minima cresce da tre a quattro anni) e abuso d'ufficio
(da sei mesi–tre anni aumenta da uno a quattro anni).
Concussione. Modifiche al codice penale (art. 317) con un
innalzamento della pena («reclusione da 6 a 12 anni») per il
pubblico ufficiale che, «abusando della sua qualità e dei
suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere
indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità».
Traffico di influenze illecite e corruzione fra privati. Il
testo di Severino comprende anche le formulazioni sui reati
di traffico di influenze e corruzione tra privati introdotti
alla Camera: nel primo caso, si viene puniti sempre con la
reclusione da uno a tre anni, ma solo in relazione «al
compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, o
all'omissione, o al ritardo di un atto».
Quanto alla
corruzione fra privati, arriva la procedibilità a querela di
parte, però con un'eccezione che consentirà interventi
d'ufficio alla magistratura inquirente, nel caso in cui «dal
fatto derivi una distorsione della concorrenza
nell'acquisizione di beni e servizi».
Incandidabilità. Il governo s'impegna per adottare una norma
sull'incandidabilità «alla carica di membro del Parlamento
Ue, di deputato e senatore della Repubblica, alle elezioni
regionali, provinciali comunali e circoscrizionali» dei
condannati per reati contro la p.a. entro un anno, tuttavia
il Guardasigilli promette di definire la delega in tempi
brevi, «entro un mese».
Giudici fuori ruolo. Le toghe che vorranno assumere funzioni
nell'apparato statale dovranno mettersi in «fuori ruolo» per
tutta la durata dell'attività. E il periodo non potrà
superare i dieci anni consecutivi.
La versione governativa
che sostituisce l'art. 18 del ddl, prevede la regola valga
per «tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti
pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in
posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di
titolarità dell'ufficio di gabinetto», affidati a
«magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari,
avvocati e procuratori dello stato»; e le mansioni in corso
all'entrata in vigore della normativa «cessano di diritto
se, nei 180 giorni successivi, non viene adottato il
collocamento in fuori ruolo».
Il governo fisserà altri
paletti: emanerà «entro 4 mesi» un dlgs per l'individuazione
di ulteriori incarichi da non assegnare. Sotto la lente
d'ingrandimento del legislatore «situazioni di conflitto di
interesse tra funzioni esercitate presso l'Amministrazione
di appartenenza e quelle in ragione del ruolo ricoperto
fuori ruolo». Il limite dei dieci anni non si applicherà ai
membri del governo, alle cariche elettive (Parlamento e
Authority) e ai componenti delle Corti internazionali.
Codice etico. L'esecutivo stilerà un codice di condotta dei
dipendenti delle amministrazioni pubbliche per «assicurare
la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di
corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di
diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla
cura dell'interesse» collettivo.
Amministrazioni trasparenti.
Sui siti istituzionali degli enti dovranno comparire i
bilanci e i conti consuntivi, oltre ai costi di
realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei
servizi (articolo ItaliaOggi
del 18.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: SEMPLIFICAZIONI/ Il disegno di legge modifica il codice del
processo amministrativo. Danni alla p.a. chiesti in un anno.
Al giudice ordinario le opposizioni alle sanzioni Bankitalia.
Più tempo per chiedere i danni alle pubbliche
amministrazioni; al giudice ordinario le opposizioni alle
sanzioni di Bankitalia e Consob.
Il
disegno di legge di
semplificazione approvato martedì dal Consiglio dei ministri
modifica, in questi due punti, il codice del processo
amministrativo: porta a un anno il termine per proporre
l'azione autonoma di danni e esclude la giurisdizione
amministrativa per le controversie sui provvedimenti
sanzionatori dell'istituto di via Nazionale. Il termine di
decadenza della speciale azione di danni viene dunque
triplicato (oggi è di 120 giorni). Ma vediamo dettagli degli
interventi che toccano il settore della giustizia.
AZIONE DI DANNI
CONTRO LA P.A.
Il ddl semplificazioni, spiega la relazione al
provvedimento, rimodula l'azione risarcitoria, ampliando il
termine per la proposizione dell'azione autonoma o diretta
di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno.
Si tratta dell'azione con cui si chiede il risarcimento del
danno all'amministrazione, senza impugnare un atto
amministrativo o dopo avere impugnato, in un separato
giudizio, un atto amministrativo lesivo.
Il cittadino ha, infatti, la possibilità di chiedere i danni
subito insieme alla richiesta di annullamento di un atto
lesivo oppure con un separato ricorso.
Questo separato ricorso può essere attivato subito (senza
avere impugnato l'atto) oppure a conclusione del processo di
annullamento.
Le regole attuali stabiliscono in entrambi questi ultimi due
casi il termine di 120 giorni. Il disegno di legge di
semplificazione sposta il termine rispettivamente a un anno
e a sei mesi. Vediamo come.
La domanda di risarcimento autonoma (senza avere impugnato
un atto) per lesione di interessi legittimi dovrà essere
proposta entro il termine di decadenza di un anno decorrente
dal giorno in cui il fatto si è verificato o comunque dalla
conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente
da questo.
Nell'altra ipotesi (e cioè quella in cui sia stata proposta
prima l'azione di annullamento dell'atto) la norma (articolo
30 del codice del processo amministrativo) prevede che la
domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del
giudizio o, comunque, sino a un certo termine dal passaggio
in giudicato della relativa sentenza (che annulla l'atto).
Il termine attuale è di 120 giorni, ma il disegno di legge
di semplificazione lo allunga a sei mesi.
SANZIONI
AMMINISTRATIVE
Secondo l'impianto attuale (articolo 133, comma 1, lettera
l) del codice del processo amministrativo) appartengono alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti,
compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai
rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca
d'Italia, dagli Organismi regolati dal Testo unico bancario,
dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato,
dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni,
dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, e dalle
altre Autorità, dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture, dalla Commissione
vigilanza fondi pensione, dalla Commissione per la
valutazione, la trasparenza e l'integrità della pubblica
amministrazione, dall'Istituto per la vigilanza sulle
assicurazioni private.
Il disegno di legge sulle semplificazioni toglie alla
giurisdizione amministrativa i provvedimenti sanzionatori,
che invece ora sono inclusi.
La norma tiene conto della sentenza n. 162 del 20-27.06.2012, della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale del processo amministrativo
nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, con cognizione estesa
al merito, e alla competenza funzionale del Tar Lazio – sede
di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate
dalla Consob.
Analoghi profili di legittimità costituzionale riguardano la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le
controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Banca
d'Italia.
Il disegno di legge sulle semplificazioni, dunque,
ripristina la giurisdizione del giudice ordinario anche per
le controversie aventi ad oggetto l'opposizione avverso i
provvedimenti a contenuto sanzionatorio emanati dalla Banca
d'Italia. Di conseguenza viene disciplinato il giudizio di
opposizione contro i provvedimenti sanzionatori della Consob
e della Banca d'Italia.
In proposito si segnala che il procedimento di opposizione,
verrà regolato dall'articolo 6 del dlgs 150/2011, usando il
rito del lavoro, anche se resta esclusa l'appellabilità
delle decisioni, in quanto i giudizi sono affidati alla
Corte d'appello.
CONFERENZA
DEI SERVIZI
Il ddl semplificazione modifica l'articolo 14-quater, comma
3, della legge 241/1990, prevedendo un allungamento a 90
giorni del termine attualmente previsto di trenta giorni,
per svolgere idonee procedure per consentire reiterate
trattative volte a superare le divergenze tra stato e
regioni: rimane ferma la possibilità per il governo, nel
caso in cui l'intesa non sia comunque raggiunta, di
deliberare unilateralmente. La modifica recepisce la
sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 2012 (articolo ItaliaOggi
del 18.10.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento al 18.10.2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/ Edilizia, il silenzio non ha valore.
Se ci sono vincoli l'inerzia del comune non vale come
rifiuto. Approvato il ddl con nuove
semplificazioni per cittadini e imprese.
Eliminato il silenzio rifiuto sul permesso di costruire in
caso di vincoli; semplificata la procedura per l'adeguamento
degli strumenti urbanistici; ammesse agli appalti le imprese
che hanno sottoscritto un contratto di rete, ridotta al 20%
la quota delle garanzie non svincolabili fino al collaudo
dell'opera pubblica; possibile lo svincolo delle garanzie di
buona esecuzione rese dalla imprese di costruzioni per le
opere in esercizio da almeno un anno e non ancora
collaudate.
Sono queste alcune delle novità previste nel disegno di
legge sulla semplificazione approvato dal Consiglio dei
ministri di ieri, che conferma molte delle norme che erano
state messe a punto nelle scorse settimane. Fra le modifiche
apportate nell'ultima versione si segnala la scomparsa della
norma sulla qualificazione delle imprese di costruzioni
operanti nell'ambito della categoria Og 11 (impianti
tecnologici) che avrebbe ridotto le percentuali di possesso
dei requisiti nelle categorie Os 3, impianti idrici, Os 28,
impianti termici e Os 30, impianti elettrici e telefonici,
rendendo più facile la qualificazione.
Viene invece confermata la norma sull'eliminazione del
silenzio rifiuto sul permesso di costruire per inerzia del
comune in relazione all'adozione del provvedimento
conclusivo del procedimento di rilascio del permesso di
costruire, quando esiste un vincolo ambientale,
paesaggistico o culturale. Con la modifica apportata dal
disegno di legge il governo richiede comunque che vi sia un
provvedimento espresso, derubricando il «silenzio»
dell'amministrazione a silenzio non avente valore di
provvedimento di diniego. Viene anche chiarito che sia per
immobile sottoposto a vincolo la cui tutela competa, anche
in via di delega, all'amministrazione comunale, sia per
immobile oggetto di vincolo che non compete al comune, non
vi sia differenza di procedura: nel secondo caso occorre
indire una conferenza di servizi che, con la novella del
disegno di legge, diventa invece facoltativa.
Per quel che riguarda l'adeguamento degli strumenti
urbanistici alle prescrizioni dei piani paesaggistici, il
disegno di legge restituisce all'amministrazione competente
il potere di provvedere sulla domanda di autorizzazione
decorsi inutilmente i termini indicati per l'espressione del
parere del soprintendente, senza la presunzione di parere
favorevole del soprintendente decorsi 90 giorni dalla
ricezione degli atti.
Viene confermata anche la modifica al Codice dei contratti
pubblici che consentirà alle le aggregazioni tra imprese
aderenti al contratto di rete ai sensi del comma 4-ter,
dell'articolo 3, del decreto legge 10.02.2009, n. 5 di
partecipare alle gare di appalto, con l'applicazione delle
regole previste per i raggruppamenti temporanei di imprese.
Così facendo si recepisce la richiesta formulata
dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici
(segnalazione n. 2 del 27.09.2012) anche se il mero
rinvio alla disciplina dei raggruppamenti non sembra idoneo
a fare completa chiarezza sulle modalità di partecipazione.
Eliminato anche l'obbligo di allegazione delle copie delle
procure quando le stesse siano iscritte nel registro delle
imprese.
Per quel che concerne le garanzie di buona esecuzione, si
tocca l'articolo 113 del Codice dei contratti pubblici
prevedendo che la quota dell'importo della garanzia non
svincolabile in corso di esecuzione del contratto, passi dal
25 al 20% dell'iniziale importo garantito, consentendo
quindi alle imprese di avere un livello minore di impegni.
Si introduce poi una norma sulle opere in esercizio
stabilendo che, anche prima del collaudo, l'esercizio
protratto per oltre un anno produca, a determinate
condizioni, lo svincolo automatico delle garanzie di buona
esecuzione prestate a favore dell'ente aggiudicatore, senza
necessità di alcun benestare, ferma restando una quota
massima del 20% da svincolare all'emissione del certificato
di collaudo.
Per gli appalti affidati alla data di entrata in vigore
della disposizione, le cui opere siano state in tutto o in
parte poste in esercizio prima dell'entrata in vigore della
legge nei termini indicati dalla norma, il termine per lo
svincolo automatico avviene a decorrere da tale data e ha
durata di 180 giorni.
Infine si interviene per semplificare e accelerare le
procedure per il rilascio dei provvedimenti di Via
(valutazione impatto ambientale) e di parere di Vas
(valutazione ambientale strategica) sopprimendo l'obbligo di
acquisire il parere dei ministeri diversi da quelli
concertanti
(articolo ItaliaOggi del 17.10.2012). |
APPALTI - EDILIZIA
PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO: LE
SEMPLIFICAZIONI/ I contenuti del Ddl. Nelle
semplificazioni-bis stop al «silenzio-rifiuto» e Durc valido
180 giorni. Il Governo non accelera: niente decreto, avanti
con il Ddl.
LE MISURE PER I CITTADINI/ I certificati di malattia
professionale vanno inviati solo online, la documentazione
Tarsu va rilasciata insieme al cambio di residenza e
arrivano i titoli di studio in inglese.
Con una settimana di ritardo rispetto alla tabella di marcia
originaria arrivano le
semplificazioni
bis. I
sette giorni trascorsi tra il Consiglio dei ministri di
martedì scorso, che doveva vararle, e quello di ieri, che le
ha approvate, non sono serviti a cambiare "pelle" al
provvedimento, da disegno di legge a decreto, come
chiedevano le imprese e il Garante per le Pmi, Giuseppe
Tripoli. Ddl era e tale è rimasto.
Le speranze di una sua introduzione in tempi stretti è ora
affidata alla possibilità di approvarlo in almeno una delle
due Camere in commissione in sede deliberante. Pressoché
immutati anche i pilastri del testo: Durc valido 180 giorni;
addio al "silenzio-rifiuto" per il permesso di
costruire sui beni vincolati; imprese individuali esonerato
dal Codice della privacy; invio on-line del certificato di
malattia. Mentre è scomparso all'ultima curva il taglio del
2% sugli interessi da versare sui crediti contributivi
dilazionati.
I 33 articoli del Ddl proseguono nello snellimento della
burocrazia avviato con il Dl "Semplifica-Italia" di
febbraio. Agli 8,14 miliardi di oneri amministrativi su cui
si è intervenuti all'epoca si aggiungono ora altri 4,6
miliardi. Molti dei quali (circa 3,7) concentrati nel
pacchetto sulla sicurezza lavoro. Tra gli adempimenti
destinati a sparire vanno segnalati quelli sui lavoratori
assunti per meno di 50 giorni l'anno, che toccherà a un
decreto di Lavoro e Salute individuare. I datori di lavoro
si vedranno ridotti anche gli obblighi di comunicazione dei
dati sanitari che da soli costano 372 milioni. Confermata
inoltre la sostituzione del documento di valutazione dei
rischi da interferenze (il cosiddetto Duvri) con la nomina
di un incaricato ad hoc. Un adempimento che pesa per 390
milioni a cui vanno aggiunti i 308 milioni prodotti
dall'obbligo di presentare il Duvri nelle attività a basso
rischio.
Ancora più cospicua la massa di spesa "aggredibile"
nei piccoli cantieri: 2,6 miliardi dovuti ai vari piani di
sicurezza che un decreto attuativo snellirà. Completano il
quadro delle semplificazioni sulla sicurezza le verifiche
più rapide delle attrezzature da lavoro e l'obbligo del
datore di inviare on-line all'Inail le denunce di
infortunio. E, sempre in zona Inail, va segnalata la
necessità per il medico di trasmettere per via telematica i
certificati di malattia professionale e non solo quelli di
malattia semplice. Una misura che, insieme alla possibilità
di ottenere la certificazione ai Tarsu in abbinata al cambio
di residenza e ai titoli di studio in lingua inglese,
completa il mini-pacchetto per i cittadini.
Più di una norma è dedicata invece all'edilizia. A
cominciare dall'eliminazione del silenzio-rifiuto per i
permessi di costruire in presenza di vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali: la Pa dovrà pronunciarsi in
maniera espressa. Senza dimenticare la fissazione a 45
giorni del termine di conclusione del procedimento di
autorizzazione paesaggistica.
Tra le misure più attese dalle aziende vanno segnalate le
semplificazioni per autorizzazione (Aia) e valutazione
d'impatto ambientale (Via) e l'estensione a 180 giorni della
durata del documento unico di regolarità contributiva (Durc)
per partecipare agli appalti. Oltre alla possibilità di
ottenere il Durc pure in presenza di debiti contributivi
purché abbia crediti vero la Pa certi ed esigibili. Ma anche
l'esonero delle imprese individuali dal Codice della
privacy. Degne di nota infine la chance degli hotel dotati
di bar o ristoranti di somministrare cibi e bevande senza
richiedere l'apposita autorizzazione e quella delle reti di
impresa di accedere alle gare di appalto
(articolo Il Sole 24 Ore del 17.10.2012). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: SEMPLIFICAZIONI/
Lavoro più facile nei cantieri. Imprese e autonomi non
dovranno più produrre il Durc. Oggi
il disegno di legge approda all'esame del consiglio dei
ministri.
Accesso al lavoro più facile nei
cantieri. Imprese e lavoratori autonomi, infatti, non
dovranno più produrre il Durc per la propria regolarità
contributiva: basterà una dichiarazione sostitutiva da parte
del legale rappresentante o dello stesso lavoratore
autonomo.
Lo stabilisce, tra l'altro, il
pacchetto semplificazioni oggi all'esame del
consiglio dei ministri. Pacchetto costretto a dura cura
dimagrante con la scomparsa delle norme di semplificazione
relative a collocamento obbligatorio, estensione della
prosecuzione volontaria ai lavoratori parasubordinati,
armonizzazione base di calcolo delle prestazioni non
pensionistiche dell'Inps e alla comunicazione (Co) sui
rapporti di lavoro (si veda ItaliaOggi del 18 e 19
settembre). Confermate, invece, le disposizioni in materia
di sicurezza sul lavoro.
Stop al Durc nei cantieri.
La modifica riguarda l'articolo 90 del T.u. sicurezza (dlgs
n. 81/2008), relativo agli obblighi per il committente o
responsabile dei lavori nei cantieri.
La norma stabilisce che il committente o il responsabile dei
lavori, nelle fasi di progettazione dell'opera, devono
attenersi ai principi e misure generali di tutela, nonché,
nel caso di affidamento dei lavori, a: a) verificare
l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa o del
lavoratore autonomo a cui vengono affidati i lavori; b)
chiedere alle imprese esecutrici una dichiarazione
sull'organico medio annuo; c) trasmettere
all'amministrazione concedente, prima dell'inizio dei lavori
oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio
attività, tra l'altro, il Durc.
Il pacchetto semplificazioni abroga quest'ultima previsione
(consegna del Durc) e la sostituisce con l'obbligo di
consegnare «in luogo del documento unico di regolarità
contributiva, una dichiarazione sostitutiva del legale
rappresentante dell'impresa o del lavoratore autonomo_ che
l'amministrazione concedente è tenuta a verificare_».
Un solo Durc.
Sempre in materia di Durc, il pacchetto semplificazioni
estende la vigente previsione della misura «compensativa»
per chi ha crediti nei confronti dello stato per il Durc
richiesto per fruire di benefici normativi e contributivi a
ogni tipologia di Durc.
Infatti, è oggi previsto il rilascio del Durc, anche in
presenza di debiti contributivi, qualora l'impresa sia in
possesso di una certificazione che attesti la sussistenza e
l'ammontare di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati
nei confronti delle pubbliche amministrazioni di importo
almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora
versati (che darebbero esito ad un Durc negativo).
Tuttavia, la norma fa riferimento esclusivo al Durc
rilasciato per la fruizione di benefici «normativi e
contributivi», per cui restano fuori i Durc richiesti
per gli appalti pubblici e nell'ambito degli appalti privati
in edilizia. Il pacchetto semplificazioni elimina questa
disparità.
Sicurezza più facile.
Il pacchetto semplificazioni conferma, invece, le novità
sulla valutazione rischi con la previsione di una
semplificazioni del documento per le piccole e medie
imprese, addirittura con un procedimento più semplice.
La fissazione di tale disciplina semplificata viene rimessa
a un decreto del ministro del lavoro, da adottarsi sentita
la commissione consultiva per la salute e sicurezza sul
lavoro, entro 60 giorni dalla conversione in legge di quello
che sarà il decreto legge semplificazioni (pacchetto).
Compiti fondamentali affidati al decreto sono: a)
l'individuazione dei settori di attività a basso rischio
infortunistico, per i quali sarà possibile effettuare la
valutazione dei rischi standard; b) la predisposizione del
modello ad hoc che servirà per attestare di avere
effettuato la valutazione rischi
(articolo ItaliaOggi del 16.10.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: LEGGE
DI STABILITA'/ Assistere i genitori costerà caro.
Retribuzione dimezzata per chi utilizza i permessi della
104. La valutazione della diagnosi
funzionale passa dall'Asl all'Inps.
Dal 01.01.2013 avrà un costo anche la
fruizione dei tre giorni di permesso mensile consentiti, per
assistere i parenti disabili in situazione di gravità,
previsti dall'articolo 33 della legge-quadro 05.02.1992, n.
104 e successive modificazioni e integrazioni. In
particolare, se bisognosi di aiuto saranno i genitori del
lavoratore pubblico.
É una delle modifiche alla legge 104 che sarebbero state
inserite, il condizionale è d'obbligo fino a quando non sarà
depositato in Parlamento il testo firmato dal presidente del
consiglio dei ministri), nel
disegno
di legge di Stabilità.
L'altra attiene alla indicazione delle commissioni mediche a
cui affidare le funzioni di valutazione della diagnosi
funzionale propedeutica all'assegnazione del docente di
sostegno all'alunno disabile. Delle due modifiche quella che
avrà maggiore impatto sul personale della scuola è
certamente quella relativa alla fruizione dei permessi
previsti dall'articolo 33 della legge 104.
Il comma 3 dell'articolo 7 del disegno di legge dispone
infatti che, a partire dal 01.01.2013 i permessi previsti
dal predetto articolo 33 fruiti dai dipendenti pubblici, ivi
compreso il personale direttivo, docente, amministrativo,
tecnico ed ausiliario, dovranno essere retribuiti al 50 per
cento anziché al 100 per cento come dispongono il comma
3-ter dell'articolo 2 del decreto legge 324/1993 e il comma
6 dell'articolo 15 del contratto collettivo nazionale del
comparto scuola 27.11.2007.
Ai solo fini previdenziali tre giorni di permesso, da
chiunque fruiti continueranno, invece, ad essere coperti da
contribuzione figurativa. La penalizzazione non si applica,
si legge sempre nel comma 3, se i tre giorni di permesso
sono fruite direttamente dal personale disabile, dai
genitori per assistere i figli o l'altro coniuge disabili in
situazione di gravità.
I permessi indicati nell'articolo 33 in vigore sono:
a)
quelli cui hanno diritto i genitori di minore con handicap
in situazione di gravità (due ore di permesso giornaliero
retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del
bambino) in alternativa al prolungamento fino a tre anni del
periodo di astensione facoltativa;
b) quelli cui hanno
diritto i lavoratori che assistono il coniuge, un parente o
affine entro il secondo grado handicappato in situazione di
gravità( tre giorni mensili retribuiti coperti da
contribuzione figurativa).
Se il contenuto del predetto comma 3 dovesse essere
integralmente recepito nella legge che dovrà essere
approvata dal Parlamento entro la fine del 2012, la prevista
riduzione dello stipendio giornaliero dovrebbe riguardare
esclusivamente i permessi di cui alla precedente lettera b),
fatta eccezione per quelli previsti dal predetto comma 3)
essendo impensabile che possa riguardare anche quelli di cui
alla lettera a).
Per ognuno dei tre giorni di permesso eventualmente fruiti
lo stipendio dovuto subirebbe una riduzione nella misura del
50 per cento di quello spettante al lordo. Al netto la
riduzione potrebbe essere compresa, a seconda della
qualifica ricoperta e della misura dello stipendio di
anzianità in godimento, tra il 30 e il 40 per cento della
retribuzione giornaliera netta.
La seconda modifica riguarda l'articolo 4 della legge 104.
Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà,
alla necessità dell'intervento assistenziale, unitamente
alle funzioni di valutazione della diagnosi funzionale
propedeutica all'assegnazione del docente di sostegno
all'alunno disabile previste dall'articolo 19, comma 11, del
decreto legge 98/2011, saranno affidate non più, come
disponeva l'articolo 4, alle commissioni mediche di cui
all'articolo 1 della legge 295/1990 (unità sanitarie locali)
ma a quelle dell'Inps
(articolo ItaliaOggi del 16.10.2012
- link a www.corteconti.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Consip
in campo per gli acquisti. Torna la Consip e gli acquisiti
in e-commerce per le scuole.
La novità è contenuta nella
bozza di
legge di stabilità varata dal governo martedì scorso.
Il provvedimento estende alle istituzioni scolastiche ed
educative l'obbligo di approvvigionarsi facendo riferimento
alle cosiddette convenzioni quadro. Vale a dire giovandosi
degli accordi secondo i quali imprese fornitrici,
aggiudicatarie di gare indette dalla Consip su singole
categorie merceologiche, s'impegnano ad accettare (alle
condizioni e ai prezzi stabiliti in gara e in base agli
standard di qualità previsti nei capitolati) ordinativi di
fornitura da parte delle pubbliche amministrazioni, fino al
limite massimo previsto (il cosiddetto massimale).
Le convenzioni attivate dalla Consip riguardano una spesa
standard, cioè l'acquisto di quei beni e servizi che vengono
largamente utilizzati da tutte le amministrazioni: computer,
stampanti, gasolio per il riscaldamento degli edifici, ma
anche pulizie. Acquistando attraverso la convenzione Consip,
tutte le amministrazioni possono evitare di sostenere i
costi di una gara d'appalto, anche nel caso in cui
l'acquisto superi le soglie previste dalla legge (la soglia
comunitaria che è di 206mila euro) e possono ottenere
notevoli risparmi di processo oltre che sul prezzo dei beni.
Infatti, aggregando la domanda delle amministrazioni, la
Consip riesce ad abbattere i costi unitari d'acquisto (in
media il 15-20% in meno, secondo rilevazioni dell'Istat),
mantenendo al contempo standard qualitativi elevati nelle
forniture.
Il provvedimento dispone anche che le scuole procedano agli
acquisti utilizzando l'e-commerce. E a questo proposito è
prevista anche l'emanazione di linee guida indirizzate per
coordinare gli acquisti, suddivisi per natura merceologica,
tra più istituzioni
(articolo ItaliaOggi del 16.10.201). |
PUBBLICO
IMPIEGO: LEGGE
DI STABILITA'/ Il contratto non scatta fino al 2014.
Congelate tutte le retribuzioni, a rischio pure i gradoni.
Norma stralciata dal ddl, ricompare
identica in decreto ad hoc.
Retribuzioni bloccate fino al 2014 e
gradoni fermi per un altro anno. Il blocco era inizialmente
previsto nella bozza della legge di stabilità varata dal
governo martedì scorso. Ma poi è stato stralciato e sarà
oggetto di un provvedimento a parte.
Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, il governo può
procedere attraverso un semplice decreto, già in fase di
ultimazione da parte del Tesoro, visto che una proroga era
già ipotizzata dall'ultima manovra del precedente governo.
Resta il fatto che l'esecutivo Monti è fermo nella volontà
di procedere alla riduzione delle retribuzioni di fatto
degli operatori scolastici agendo in due direzioni: il
blocco dei rinnovi contrattuali fino al 2014, con
contestuale eliminazione anche dell'indennità di vacanza
contrattuale, e il blocco dei gradoni fino al 2013. Timida
apertura sulla monetizzazione delle ferie: sarà consentita
in via residuale solo per i periodi non coperti dalle
vacanze.
La mossa sulla contrattazione collettiva è in continuità con
quanto previsto dalla legge 15/2009 e dal decreto Brunetta (dlgs
150/2009). Fermo restando che quest'ultimo, almeno nelle
premesse, afferma comunque il primato della contrattazione
ai fini della regolazione dei diritti e dei doveri dei
lavoratori pubblici e della pubblica amministrazione in
qualità di datore di lavoro.
In modo particolare per quanto riguarda le retribuzioni.
Precisazione doverosa da parte del legislatore, dopo che le
Sezioni unite, con la sentenza n. 21744 del 14.10.2009,
avevano individuato nel contratto collettivo la fonte
primaria del rapporto di lavoro. Ma c'è dell'altro.
La Corte di cassazione, infatti, è costante nel ritenere che
la retribuzione sufficiente, di cui parla l'articolo 36
della Costituzione, sia da rinvenirsi negli importi
determinati dalla contrattazione collettiva e non dal datore
di lavoro. E quindi le disposizioni varate dal governo, per
ridurre unilateralmente l'importo delle retribuzioni
potrebbero addirittura essere «in odore di
incostituzionalità».
I contratti
Quanto alle disposizioni nello specifico, va anzitutto
segnalato il blocco delle retribuzioni per altri due anni.
Il decreto legge 78/2010, infatti, aveva previsto tale
blocco solo fino al 2012. E quindi, il governo ha ritenuto
di bloccare la contrattazione per altri due anni, fino al
2014 incluso. Giova ricordare che l'ultimo contratto è stato
sottoscritto il 29.11.2007.
Tra l'altro si prevede che non ci sia neanche il pagamento
dell'indennità di vacanza contrattuale, e che questa potrà
essere pagata nel triennio 2015-2017 facendo riferimento
all'inflazione programmata e non più all'Ipca, il tasso
europeo, più pesante di quasi mezzo punto percentuale
rispetto alla vecchia inflazione.
I gradoni
Da allora le retribuzioni sono ferme. Anzi, sono diminuite.
Da una parte per la perdita del potere di acquisto che ogni
anno, nella migliore delle ipotesi, si mangia quasi il 3%. E
dall'altra parte perché il governo Berlusconi ha bloccato i
gradoni per tre anni, dal 2010 al 2013. Il 2010 è stato
salvato in extremis con un accordo sindacale, traendo
i fondi da un terzo dei risparmi derivanti dal taglio di
circa 135mila posti di lavoro nella scuola, inizialmente
destinati a finanziare il merito.
Ma sul 2011 si stava ancora trattando, sebbene senza esito,
al punto che Cisl, Uil, Gilda e Snals hanno già avviato le
procedure per lo sciopero ( la Cgil ha scioperato il 12
ottobre scorso). E mentre la tensione tra governo e
sindacati era già arrivata al punto di non ritorno,
l'esecutivo ha previsto la proroga di un altro anno del
blocco dei gradoni: fino al 2013.
Torna la monetizzazione
Nella bozza di legge di stabilità è contenuta anche una
disposizione che reintroduce la monetizzazione parziale
delle ferie per i precari che, a causa della ridotta durata
del contratto, non abbiano potuto fruirne nei periodi di
sospensione delle lezioni.
In particolare, il dispositivo prevede una deroga al divieto
previsto dall'articolo 5, comma 8, del decreto legge
06.07.2012, n. 95. E dispone che il divieto non si applichi
al personale docente supplente breve e saltuario o docente
con contratto sino al termine delle lezioni o delle attività
didattiche, limitatamente alla differenza tra i giorni di
ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in
questione fruire delle ferie
(articolo ItaliaOggi del 16.10.2012). |
APPALTI - ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Legge di stabilità/
LE NOVITÀ PER LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA.
Appalti, liti a costo variabile.
Il contributo unificato è calcolato in proporzione al valore
della causa.
RICHIAMO DELLA UE/
La modifica è stata indotta da una lettera dell'Unione a
Palazzo Chigi nella quale si prefigura l'infrazione
comunitaria.
Dissuadere i ricorsi ma anche incentivarli. È la linea su
cui si muove il
disegno
di legge di Stabilità approvato dal
Governo nella notte tra martedì e mercoledì. Quello che
sembra all'apparenza un comportamento schizofrenico, in
realtà ha obiettivi ben precisi. Da un lato, infatti, si è
calcata la mano sul contributo unificato da pagare in caso
di impugnazione quando le controversie si rivelano, alla
fine, pretestuose, cioè portate avanti con evidenti scopi
dilatori: sulle cause di appello respinte integralmente,
dichiarate inammissibili o improcedibili, gli importi,
infatti, raddoppiano. L'intento è di evitare che le aule
delle corti vengano affollate di ricorsi destinati fin
dall'origine a bocciatura certa, che distolgono il personale
togato e non dal lavoro su altri fronti del contenzioso.
Dall'altro lato, il contributo unificato è stato
differenziato per permettere un accesso meno restrittivo
alla giustizia. È il caso degli importi versati per le cause
in materia di appalti e per quelle relative ai provvedimenti
delle Autorità di garanzia. Ricorsi, dunque, di competenza
dei giudici amministrativi. Il Dl 98 del 2011, convertito
dalla legge 111, ha ritoccato verso l'alto il contributo
unificato e ha raddoppiato gli importi per il contenzioso
sulle opere pubbliche, portandolo da 2mila a 4mila euro.
Spesa che non ha eguali fra quelle che, in tutte le
giurisdizioni, si devono versare per chiedere giustizia.
È pur vero che le cause di appalti hanno un valore molto
alto, che facilmente supera i milioni di euro. Esistono,
però, anche ricorsi il cui valore ha molti meno zeri, sui
quali un contributo unificato di 4mila euro diventa un peso
significativo, inducendo la parte a rinunciare, per
questioni economiche, al processo.
È una riflessione a cui il nostro Governo è stato indotto
dalla Commissione europea, che ha scritto una lettera a
Palazzo Chigi e al ministero dell'Economia per chiedere
ragguagli sugli effetti dell'aumento del contributo
unificato, in particolare di quello relativo ai ricorsi
sugli appalti pubblici. La Ue ha domandato come mai
quest'ultimo importo sia stato stabilito in misura fissa e
non proporzionale rispetto al valore della causa.
Le delucidazioni chieste dall'Europa non sono mosse da
semplice curiosità. Alle spalle c'è il rischio da parte
dell'Italia dell'ennesima infrazione comunitaria, perché
l'aumento del contributo unificato sugli appalti si porrebbe
in contrasto con la direttiva 89/665/Ue, modificata dalla
direttiva 2007/66/Ce, entrambe in materia di appalti
pubblici, e sarebbe non in linea anche con i principi
fondamentali del Trattato. Ciò che si potrebbe configurare
è, infatti, una compressione del diritto alla concorrenza
attraverso vincoli eccessivi al diritto di giustizia.
La lettera ha innescato un confronto tra Palazzo Chigi, Mef
e giudici amministrativi, sfociato, appunto, nella norma
contenuta nel Ddl di stabilità. Disposizione che ha
scaglionato il contributo unificato dovuto per i ricorsi
sugli appalti pubblici, diminuendo l'importo da versare per
le cause di minor valore e aumentando, fino a 6mila euro,
quello per le controversie più ricche.
Per riequilibrare i conti, il Governo ha però aumentato il
contributo unificato per i ricorsi in cui si applica il rito
abbreviato comune (l'importo è passato da 1.500 a 1.800
euro) e quello per tutte le altre cause, compresi i ricorsi
al presidente della Repubblica, che è cresciuto di 50 euro,
da 600 a 650. Inoltre, il contributo unificato aumenta del
50% per le controversie che dal Tar vanno all'appello del
Consiglio di Stato.
Il nuovo impianto trova d'accordo i giudici amministrativi.
Secondo il presidente del Consiglio di Stato, Giancarlo
Coraggio, in questo modo si è riequilibrato il carico delle
spese di giustizia per chi deve fare ricorso e si è
allontanato il rischio dell'apertura di un caso da parte del
l'Unione europea (articolo Il Sole 24
Ore del 15.10.2012). |
APPALTI:
Obblighi fiscali. L'intermediario o il Caf possono
certificare il versamento delle ritenute e dell'Iva relative
ad appaltatore e subappaltatore.
Appalti solidali, professionisti in guardia.
Nella circolare 40/E niente modello standard di
asseverazione né chiarimenti sui rischi.
La nuova disciplina sulla responsabilità fiscale «solidale»
tra appaltatore e subappaltatore per il versamento delle
ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva
nell'ambito dei contratti di appalto e subappalto di opere e
servizi, prevista dal Dl 83/2012, chiama in causa non
soltanto i soggetti della "catena" (committente, appaltatore
e subappaltatore), ma anche i professionisti e i Caf che li
assistono.
Come talvolta accade, anche con riferimento alla verifica
degli adempimenti in materia tributaria prevista dal Dl
83/2012, il legislatore "scarica" agli operatori in materia lavoristica e fiscale la responsabilità di attestare la
regolarità degli stessi.
Infatti, secondo quanto previsto dalla norma e in parte
chiarito dalla circolare delle Entrate 40 dell'08.10.2012 (si veda Il Sole 24 Ore del 9 ottobre), oltre alla
soluzione «fai da te», gli appaltatori e i subappaltatori
potranno rivolgersi ai professionisti abilitati per
richiedere l'asseverazione dell'attestazione dell'avvenuto
adempimento degli obblighi fiscali, utile a dimostrare il
regolare versamento dell'Iva e delle ritenute sui redditi da
lavoro dipendente (Irpef e addizionali regionali e
comunali), scaduti alla data del pagamento del
corrispettivo.
Il rilascio dell'attestazione
La circolare delle Entrate non illustra, però, le
conseguenze che si potrebbero verificare se l'attestazione
rilasciata dovesse risultare non corretta: in particolare,
non spiega in quali rischi potrebbe incorrere il
professionista.
Peraltro, non essendo stata fissata una validità
dell'asseverazione, questi dovrà prestare molta attenzione
alle tempistiche del rilascio, eventualmente indicando che
il controllo comprende i versamenti effettuati fino a una
certa data: in caso contrario, il rischio è quello di
produrre una dichiarazione non allineata.
Sarebbe stata comunque auspicabile l'adozione di una
modulistica standard da adottare sia in caso di
asseverazione, sia in caso di dichiarazione sostitutiva,
così da garantire una maggiore chiarezza.
La verifica dei dati
Il professionista, se non già in possesso dei dati
necessari, potrebbe chiedere al cliente l'elenco dei
lavoratori adibiti all'appalto-subappalto e delle relative
buste paga, per verificare la rispondenza delle ritenute
operate rispetto a quelle versate con il modello F24.
Questo aspetto si rivela molto complicato, soprattutto nel
caso di imprese di dimensioni elevate e con diversi
contratti di appalto-subappalto in atto: in queste ipotesi,
solo un controllo capillare (su tutto il complesso
aziendale) può garantire -per esclusione- che siano stati
assolti anche gli obblighi riferiti al contratto in
questione.
L'altro aspetto dai contorni ancora nebulosi riguarda
proprio quale tipologia di controlli sia chiamato a svolgere
l'intermediario: in caso contrario, difficilmente
quest'ultimo si sentirà di rilasciare un'asseverazione di
regolarità. A meno che non disponga di una conoscenza
approfondita della situazione del cliente.
Dal tenore della circolare emerge altresì che il contenuto
dell'attestazione deve comprendere anche i riferimenti
inerenti l'Iva e le ritenute sui redditi da lavoro
dipendente non versate, perché ad esempio l'obbligo di
versamento non è mai sorto (reverse charge) o perché il
tributo è stato compensato.
Infine, rimane da chiarire se nel controllo dei versamenti
debbano essere comprese anche le ritenute sui redditi
assimilati a quelli di lavoro dipendente quali -ad esempio- quelle operate sui compensi di eventuali lavoratori
parasubordinati impiegati nelle prestazioni in
appalto-subappalto.
Poiché, come è stato anche chiarito dalla circolare del
Lavoro n. 5/2011, questi soggetti possono godere delle
tutele derivanti dalla solidarietà, è possibile che vi
rientrino anche le ritenute sui relativi compensi.
--------------
Gli altri adempimenti. Sanzione
da 5mila a 200mila euro.
Il committente paga se omette il controllo.
La circolare delle Entrate 40/2012 non ha risolto la
totalità dei dubbi sul tema della responsabilità solidale
tra appaltatore e subappaltatore per il versamento delle
ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva
(dettata dal Dl 223/06, articolo 35, comma 28, come
riscritto dall'articolo 13-ter del Dl 83/2012) ma ha offerto
un primo importante chiarimento: i nuovi obblighi operano
solo per i contratti di appalto-subappalto stipulati a
partire dal 12.08.2012 e in relazione ai pagamenti dei
corrispettivi effettuati dall'11 ottobre scorso.
La materia è complessa, non solo per la mancanza di un
Codice che raccolga tutte le norme, ma anche per le
modifiche che, nel 2012, hanno interessato il quadro
legislativo. Peraltro, le conseguenze per gli "attori" del
contratto di appalto possono essere molto pesanti, sia per
il coinvolgimento nel meccanismo solidaristico, sia per le
sanzioni previste.
Il Dl sulle semplificazioni fiscali, varato a marzo (Dl
16/2012, comma 5-bis dell'articolo 2) aveva disposto la
responsabilità solidale tra i soggetti della filiera
dell'appalto per il versamento delle ritenute sui redditi di
lavoro dipendente e dell'Iva riferite all'appalto, nel
limite di due anni dalla cessazione dell'appalto stesso.
Il regime della solidarietà tracciato da questa disposizione
sarebbe scattato se il soggetto coinvolto non avesse
dimostrato di aver messo in atto tutte le cautele possibili:
era una formulazione talmente ampia e priva di parametri di
riferimento da non lasciare -in pratica– alcun
"paracadute" per salvarsi dalle nuove regole sulla
solidarietà (in vigore, peraltro, dal 29 aprile all'11.08.2012).
Nel sistema in vigore oggi, dopo le modifiche del Dl
83/2012, sebbene il campo di applicazione sia lo stesso, ci
sono due diversi livelli di coinvolgimento per i soggetti
interessati nell'appalto, a cui corrispondono specifici
oneri amministrativi.
L'appaltatore risponde in solido con il subappaltatore, nei
limiti dell'ammontare del corrispettivo dovuto, del
versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi da
lavoro dipendente e dell'Iva dovuta dal subappaltatore in
relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito
dell'appalto. Nell'attuale versione della norma, la
solidarietà non è più limitata a una scadenza temporale ma
alla prescrizione ordinaria riferita alle ritenute in
questione.
Il committente invece, pur non essendo chiamato a rispondere
dei mancati versamenti all'erario da parte dei soggetti
della filiera, è obbligato a una stringente azione di
controllo sulla regolarità degli stessi che –in caso di
mancata attuazione– può comportare una sanzione
amministrativa da 5mila a 200mila euro.
Infine, la circolare 40/2012 sembra estendere la
responsabilità anche al committente, fattispecie che la
norma non prevede (articolo Il Sole 24 Ore del
15.10.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Procedure amministrative. Le semplificazioni introdotte dal
decreto 83/2012.
Permessi edilizi più veloci in conferenza dei servizi.
Gli assenti possono inviare il parere favorevole.
Con le novità dettate dal decreto sviluppo –il Dl 83/2012–
lo sportello unico per l'edilizia (Sue) costituisce l'unico
punto di accesso per il privato interessato in relazione a
tutte le vicende amministrative riguardanti il titolo
abilitativo e l'intervento edilizio, che risponde al posto
di tutte le Pa coinvolte.
Tra i compiti dello sportello c'è
anche quello di acquisire – anche mediante conferenza dei
servizi – gli atti di assenso delle amministrazioni preposte
alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del
patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e
della pubblica incolumità (articolo 5, comma 1-bis, del Dpr
380/2001) nonché gli altri pareri di autorità eventualmente
coinvolte nel procedimento, come ad esempio il parere
vincolante della Commissione per la salvaguardia di Venezia
per gli interventi in quell'area. E proprio
all'accelerazione della conferenza dei servizi è dedicata
un'altra delle modifiche del Dl 83.
La conferenza dei servizi è uno strumento di semplificazione
procedimentale disciplinato in via generale dagli articoli
14 e seguenti della legge 241/1990. Esistono due tipi di
conferenza dei servizi. Quella istruttoria, prevista dal
comma 1 dell'articolo 14 della legge, può essere indetta
quando è opportuno che l'attività istruttoria relativa a un
certo procedimento si svolga con la collaborazione di più
soggetti pubblici variamente interessati.
La riunione «decisoria»
Più complessa è la disciplina del l'altro tipo di conferenza
dei servizi, quella decisoria. L'adozione di un determinato
provvedimento amministrativo è sempre competenza di una
specifica amministrazione (per i titoli edilizi, il Comune).
Tuttavia, nei procedimenti più complessi, la competenza
dell'amministrazione procedente si integra con quella di
altre amministrazioni a tutela di determinati interessi
superiori. E così, ad esempio, l'attività dei permessi
edilizi è sempre soggetta al parere delle Pa poste a tutela
del paesaggio, dell'ambiente, della salute pubblica, del
patrimonio storico e archeologico.
Quando ciò avvenga, ciascuna di queste amministrazioni è
chiamata a dare il proprio assenso. Quando queste
amministrazioni siano più d'una e le valutazioni da compiere
siano particolarmente complesse, l'esercizio dei loro poteri
potrebbe rallentare notevolmente il procedimento. La
conferenza dei servizi, obbligatoria ormai per la stragrande
maggioranza dei procedimenti, consente la valutazione, in
un'unica sede di tutti gli interessi variamente coinvolti
nel procedimento. Tutte le amministrazioni sono convocate in
un'unica sede secondo le forme previste dall'articolo 14-ter
della legge 241 perché esprimano nella medesima sede il
proprio assenso o dissenso all'interno della conferenza dei
servizi entro un dato termine.
La conferenza e gli assenti
La regola è che le determinazioni in sede di conferenza dei
servizi vengano prese a maggioranza degli enti coinvolti:
meglio, l'amministrazione che ha la competenza ad adottare
il provvedimento finale può provvedere se ha l'assenso della
maggioranza degli enti interessati. In alcuni casi,
tuttavia, esigenze di tutela di interessi superiori
giustificano dei correttivi. E così, ad esempio, se il
procedimento ha ad oggetto permessi relativi ad opere
soggette a valutazione di impatto ambientale, la decisione
finale non può essere assunta prescindendone, mentre il
dissenso di un'amministrazione preposta alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale, o del patrimonio
storico e artistico può essere superato solo con la
remissione della decisione alla Presidenza del Consiglio dei
ministri.
In ogni caso le amministrazioni coinvolte hanno l'onere di
intervenire in conferenza dei servizi manifestando la
propria posizione. Qualora ciò non avvenga, salvo per i
provvedimenti in materia di Via e Vas, si considera assunto
l'assenso dell'amministrazione, anche se preposta alla
tutela paesaggistico territoriale e ambientale, il cui
rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà
dell'amministrazione rappresentata.
Da ultimo, dopo le modifiche del Dl 83/2012, le
amministrazioni che intendono esprimere parere positivo
possono non intervenire alla conferenza di servizi e
trasmettere i propri atti di assenso. Non sarà necessario,
pertanto, che le amministrazioni volta per volta interessate
al procedimento partecipino fisicamente alle riunioni della
conferenza dei servizi inviando un loro rappresentante
autorizzato a esprimere la volontà per l'ente, essendo
sufficiente l'invio tempestivo di un atto d'assenso allo
sportello. Infine la determinazione adottata dalla
conferenza di servizi è, ad ogni effetto, titolo per la
realizzazione dell'intervento.
---------------
La giurisprudenza. Gli
orientamenti del Consiglio di Stato.
L'atto finale va impugnato verso tutte le Pa coinvolte.
I PIANI DI SVILUPPO/
In caso di ristrutturazione degli impianti industriali
l'assenso adottato dagli enti si traduce in una variante da
sottoporre al Comune.
La conferenza dei servizi è uno strumento procedimentale di
semplificazione. Ha lo scopo di far riunire in un unico
luogo, fisico o anche virtuale (conferenza dei servizi
telematica), tutte le amministrazioni che possono essere
interessate, per la tutela degli interessi alla quale sono
preposte, ad esprimere il proprio parere su un procedimento.
Quello che occorre sempre tenere a mente è che, anche quando
viene utilizzato lo strumento della conferenza dei servizi,
da un lato l'amministrazione competente a emettere il
procedimento finale è sempre una, dall'altro che il modulo
procedimentale della conferenza dei servizi non supera la
soggettività delle singole amministrazioni coinvolte nel
procedimento.
La conferenza dei servizi non è pertanto un organo nuovo e
diverso rispetto ai soggetti che vi partecipano, ma
rappresenta solamente un modo operativo col quale queste
prendono coscienza del procedimento in corso ed esprimono il
loro parere sul progetto. E così, nel caso di procedimenti
complessi per il rilascio di titoli edilizi l'autorità
competente sarà sempre una, ossia il Comune, mentre tutte le
altre amministrazioni preposte alla tutela di interessi
diversi hanno l'onere di esprimere il proprio parere sul
progetto per il quale è richiesto il permesso di costruire
nell'ambito della conferenza dei servizi.
Questa è l'impostazione ribadita recentemente dal Consiglio
di Stato, sezione V, con la sentenza del 02.05.2012, n.
2488, secondo il quale «l'utilizzo del modulo procedimentale
della conferenza di servizi, che come tale non configura un
ufficio speciale della pubblica amministrazione, autonomo
rispetto ai soggetti che vi partecipano, non altera le
regole che presiedono, in via ordinaria e generale,
all'individuazione delle autorità emananti».
Con questa decisione il Consiglio di Stato, oltre a
precisare ancora una volta i caratteri della conferenza dei
servizi, si preoccupa di ribadire che l'impugnazione del
provvedimento finale di assenso o dissenso deliberato in
sede di conferenza dei servizi deve essere impugnato non nei
confronti della «conferenza dei servizi», non costituendo
questa un organo nuovo e distinto dai suoi partecipanti,
bensì nei confronti di tutte le singole amministrazioni
coinvolte.
I caratteri della conferenza dei servizi sono confermati
anche dalla sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato
n. 2170 del 16.04.2012, in materia di piani di sviluppo
industriale ex Dpr 447 del 1998, secondo la quale la
ristrutturazione o l'ampliamento degli impianti industriali
sono soggetti a un iter semplificato che si risolve in un
procedimento che, mediante la conferenza di servizi indetta
dal responsabile del procedimento, porta alla formazione di
una proposta di variante sulla quale il consiglio comunale
si pronuncia definitivamente per giungere, con una variante
urbanistica adottata nell'ambito della conferenza di
servizi, alla rapida realizzazione di tali iniziative, anche
quando esse siano in contrasto con gli strumenti urbanistici
in vigore, purché il relativo progetto sia conforme alle
norme in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del
lavoro e lo strumento urbanistico non individui aree
destinate all'insediamento di impianti produttivi o queste
siano insufficienti in relazione al progetto presentato.
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Il caso della Dia.
È ancora possibile rivolgersi all'ufficio.
Allo sportello unico per l'edilizia, del quale si discuteva
l'abolizione visto l'insuccesso relativo che l'istituto
aveva avuto sul piano pratico –specie se paragonato con lo
sportello per le attività produttive– sono ora attribuiti
poteri e competenze che appaiono idonei a garantire un buon
impulso procedimentale. Questo, pertanto, nelle intenzioni
del legislatore, dovrebbe essere lo strumento di
accertamento di tutte le attività di competenza comunale
relative alle pratiche edilizie, oltre che l'ufficio
deputato a dare impulso al procedimento edilizio.
Tant'è vero che le comunicazioni al richiedente sono
trasmesse esclusivamente dallo sportello unico per
l'edilizia; gli altri uffici comunali e le amministrazioni
pubbliche diverse dal Comune, che sono interessati al
procedimento, non possono trasmettere al richiedente atti
autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche
a contenuto negativo, comunque denominati e sono tenuti a
trasmettere immediatamente allo sportello unico per
l'edilizia le denunce, le domande, le segnalazioni, gli atti
e la documentazione ad esse eventualmente presentati,
dandone comunicazione al richiedente.
Viene da chiedersi, a questo punto, se sia ancora possibile,
come avviene oggi nella prassi, che gli interessati si
facciano parte diligente e si rivolgano direttamente alle
amministrazioni interessate per risolvere i profili di
tutela dei valori vincolati, prima di presentare al Comune
il progetto edilizio. A giudicare dalle nuove disposizioni
parrebbe di no, e che il Sue accentri e assorba ogni
competenza. Anche perché secondo il nuovo comma 7-bis
dell'articolo 5 del Dpr 380/2001 «le amministrazioni
pubbliche diverse dal Comune, che sono interessate al
procedimento sono tenute a trasmettere immediatamente allo
sportello unico per l'edilizia le denunce, le domande, le
segnalazioni, gli atti e la documentazione ad esse
eventualmente presentati, dandone comunicazione al
richiedente», con la conseguenza che la domanda di nulla
osta presentata direttamente all'ente competente sarebbe
destinata a tornare in Comune prima ancora di essere
istruita nel merito.
Eppure un'attività preventiva del
privato che scegliesse di rivolgersi alle amministrazioni
interessate per ottenerne l'assenso prima della
presentazione del progetto parrebbe consentita, almeno per
gli interventi soggetti a Dia, dall'articolo 23, Dpr
380/2001, non modificato in parte qua, laddove consente
l'allegazione alla Dia del parere favorevole
dell'amministrazione preposta, ad esempio, alla tutela
paesaggistica e ambientale.
Sempre in termini di accelerazione e semplificazione, il
decreto sviluppo è intervenuto anche sul procedimento di
rilascio del permesso di costruire (articolo 20 Dpr
380/2001) prevedendo che, se entro i 60 giorni non siano
intervenute tutte le intese, i concerti, i nulla osta o gli
assensi, il responsabile dello sportello unico indice la
conferenza di servizi (articolo Il Sole 24 Ore del
15.10.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Decreto enti locali/1. Moltiplicate le forme di
monitoraggio: sono definiti contenuto minimo, responsabili e
tipologie.
Controlli interni, si riparte da sei.
Le nuove verifiche si aggiungono alla valutazione prevista
dalla legge Brunetta.
I controlli interni passano da quattro a sei, o meglio a
sette se consideriamo che la valutazione è disciplinata
dalla legge Brunetta, anche se due di questi non si
applicano agli enti locali con meno di 10mila abitanti. Il
loro contenuto minimo viene per la prima volta definito in
modo preciso dallo stesso legislatore nel D.L.
10.10.2012 n. 174.
A queste regole si devono aggiungere le forme di controllo
interno previste da altre disposizioni: basta ricordare
oltre alla valutazione dei dirigenti, dei responsabili e del
personale, anche le relazioni sulla performance e sulla
trasparenza imposte dal Dlgs 150/2009, oltre
all'intensificazione del ruolo della Corte dei conti
prevista dallo stesso Dl, il monitoraggio della spesa del
personale e della contrattazione integrativa e le verifiche
che ogni ente locale dovrà attivare una volta che le norme
anticorruzione diventeranno legge.
Dal primo esame delle norme si può concludere che da una
condizione di sostanziale assenza di controlli, e dalla loro
sostituzione in modo assai limitato e spesso casuale con gli
interventi censori delle magistrature penali, civili,
contabili e amministrative e dalle visite ispettive, si
passi a una condizione di eccesso di controlli. E, inoltre,
non è affatto detto che le nuove regole permettano di
raggiungere lo scopo di migliorare la qualità dell'attività
amministrativa e il tasso di legittimità dell'attività degli
enti locali.
Il vecchio testo del Dlgs 267/2000 prevedeva, in analogia a
quanto dettato per tutte le amministrazioni statali dai Dlgs
286/1999 e 165/2001, quattro forme di controllo interno,
lasciando un'amplissima autonomia di regolamentazione alle
singole amministrazioni: regolarità amministrativa e
contabile, di gestione, valutazione dei dirigenti e
realizzazione dei programmi politico amministrativi. Forme
di controllo che non sono sostanzialmente decollate nella
gran parte delle amministrazioni. Con le modifiche
introdotte dal Dl si introduce il pacchetto dei sei nuovi
controlli: di regolarità amministrativa e contabile, di
gestione, strategico, di verifica degli equilibri finanziari
della gestione, della gestione degli organismi esterni,
della qualità dei servizi erogati.
Gli enti locali che hanno
una popolazione inferiore a 10mila abitanti (quindi non solo
i comuni, ma anche le unioni, le superstite comunità montane
eccetera) non devono attivare i controlli della gestione
degli organismi esterni (cioè in primo luogo le società
partecipate o controllate) e della qualità dei servizi
erogati, anche attraverso la customer satisfaction. Viene
prevista la possibilità di realizzare questi controlli in
forma associata attraverso lo strumento della convenzione.
L'altro elemento che più caratterizza queste disposizioni è
costituito dalla previsione del contenuto minimo che le
varie forme di controllo interno devono soddisfare. Infatti
vengono individuati i soggetti chiamati a svolgere tali
attività, il contenuto ed il flusso delle informazioni con
gli organi di governo dell'ente. La norma si preoccupa di
garantire che lo svolgimento di queste attività non
determini oneri aggiuntivi, preoccupazione sicuramente assai
importante, ma non tiene conto della possibilità di
prevedere forme di migliore utilizzazione degli organismi di
valutazione, di recente potenziati, senza costi aggiuntivi,
dalla legge Brunetta (articolo Il Sole 24
Ore del 15.10.2012 - link a www.corteconti.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI: Per la regolarità amministrativa direzione affidata al
segretario.
Il marcato potenziamento dei compiti di controllo successivo
assegnati ai segretari è uno degli effetti di maggiore
rilievo contenuti nel D.L.
10.10.2012 n. 174. Questo effetto si farà
ancor più sentire con l'approvazione della legge
anticorruzione, che responsabilizza direttamente i segretari
nel coordinamento delle iniziative che le singole
amministrazioni devono assumere sul versante della
prevenzione di questo fenomeno.
Il risultato combinato di queste disposizioni non potrà che
determinare conseguenze anche sullo status dei segretari, a
partire dall'accelerazione del processo di convenzionamento
di questa figura nella gran parte dei piccoli Comuni, oltre
che dalla necessità di differenziare le attribuzioni di
controllo e garanzia da quelle che sono più intimamente
collegate alla gestione e di rafforzare la sua indipendenza.
Il decreto responsabilizza direttamente i segretari nella
direzione del controllo di regolarità amministrativa e
contabile nella fase successiva allo svolgimento della
attività amministrativa; va ricordato che nella fase
preventiva questo controllo è rimesso ai pareri tecnici dei
singoli dirigenti e a quello del dirigente finanziario. Il
controllo di regolarità amministrativa e contabile nella
fase successiva si deve dirigere sulle determinazioni, sugli
impegni di spesa, sui contratti e non sulle deliberazioni,
visto che nel procedimento di loro formazione il segretario
interviene già direttamente partecipando alle riunioni dei
consigli e delle giunte e avendo in quelle sedi il potere e
il dovere di evidenziare i profili di illegittimità.
Il
segretario viene inoltre responsabilizzato direttamente a
garantire la trasmissione delle risultanze di questa forma
di controllo interno agli organi di governo, ai dirigenti,
ai revisori dei conti e agli organismi di valutazione. Nel
rispetto di questi principi, le singole amministrazioni
avranno un'ampia autonomia regolamentare, ad esempio per la
scelta delle modalità con cui decidere gli atti da
controllare e con cui supportare il ruolo del segretario.
Una seconda importante scelta contenuta nel provvedimento è
quella di imporre alle singole amministrazioni l'obbligo di
garantire comunque uno ruolo specifico del segretario nella
«organizzazione del sistema dei controlli interni».
Si deve inoltre segnalare il vincolo che i segretari siano
direttamente coinvolti, anche se non con un ruolo di
direzione, nel controllo degli equilibri finanziari. Il che
sottolinea la crescente funzione di garanzia che il
segretario viene a svolgere in tale forma di controllo
interno.
Inoltre nelle province e nei comuni con popolazione
superiore a 10mila abitanti, i direttori generali o i
segretari sono impegnati a trasmettere, per conto del
vertice politico dell'ente, con cadenza semestrale alla
Corte dei conti il referto della regolarità della gestione e
dell'efficacia e adeguatezza dei sistemi di controllo
interno, informando anche il Presidente del Consiglio
comunale o provinciale (articolo Il Sole 24 Ore
del 15.10.2012 - link a www.corteconti.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Subito al via gli esami preventivi agli atti.
Il parere tecnico «vincola» tutte le delibere.
L'immediata operatività di alcune disposizioni del D.L.
10.10.2012 n. 174 determina la riorganizzazione di molte fasi dei
processi decisionali.
Le nuove norme relative ai pareri
sulle deliberazioni e a quelli dell'organo di revisione sono
in vigore dal 10 ottobre, con l'inserimento nel Tuel: di
conseguenza, le amministrazioni devono adeguare le procedure
per la formazione degli atti di giunta e consiglio al nuovo
quadro di regole, a pena di illegittimità degli stessi.
In base alla nuova formulazione dell'articolo 49 del Dlgs
267/2000, per le deliberazioni di giunta e di consiglio va
richiesto il parere di regolarità tecnica del responsabile
di servizio, ma, se esse comportano riflessi diretti o
indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul
patrimonio dell'ente, va acquisito anche il parere del
responsabile del servizio finanziario in ordine alla
regolarità contabile (comma 1).
La resa dei pareri deve
avvenire in relazione alla proposta di deliberazione formata
e sottoposta all'organo collegiale per l'adozione, con il
loro inserimento nel testo della stessa. Giunta e Consiglio
possono discostarsene in sede di approvazione dell'atto, ma
devono darne adeguata motivazione nel testo della
deliberazione (comma 4). La norma ha contenuto analogo a
quello dell'articolo 6, comma 1, lettera e), della legge
241/1990 in linea generale per i provvedimenti
amministrativi.
La disposizione consente comunque ai due organi collegiali
di adottare altre decisioni, che potranno assumere la
configurazione di meri atti di indirizzo, tuttavia
restringendo di fatto l'ambito di utilizzo degli stessi.
Nel caso in cui l'ente non abbia i responsabili dei servizi
(quindi nelle ipotesi di Comuni di ridotte dimensioni), i
pareri sono espressi dal segretario dell'ente, in relazione
alle sue competenze.
In tema di pareri incide anche la nuova formulazione
dell'articolo 239 del Tuel, che riporta all'organo di
revisione la resa di una serie di pareri obbligatori su
alcune delle decisioni di massima rilevanza per la
situazione economico-finanziaria e organizzativa dell'ente
locale. La norma prevede, peraltro, che la resa dei pareri
sia disciplinata da un regolamento, che non potrà essere che
quello di contabilità, creando un singolare paradosso,
poiché i revisori devono svolgere la loro azione consultiva
anche sulle proposte di regolamenti relativi alla
contabilità (come pure quelli in materia di economato,
patrimonio e applicazione dei tributi locali). Le
valutazioni dell'organo di revisione sugli oggetti specifici
indicati nell'articolo 239 sono obbligatorie e vanno
formulate con un giudizio articolato su congruità, coerenza
e attendibilità contabile in rapporto alle previsioni di
bilancio.
Anche l'integrazione apportata all'articolo 109 del Tuel,
sui presupposti per la revoca del responsabile del servizio
finanziario e sul percorso per la formalizzazione della
stessa (comprensivo del parere obbligatorio del ministero
dell'Interno e del Mef-Rgs), comporta l'immediata
operatività della procedura. Di conseguenza, un atto di
revoca da parte del sindaco o del presidente della Provincia
(in forma di ordinanza) non sostenuto dal presupposto di
gravi irregolarità nell'esercizio delle funzioni assegnate,
e senza il parere obbligatorio dei due ministeri, sarebbe
illegittimo (articolo Il Sole 24 Ore
del 15.10.2012 - link a www.ecostampa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Controlli immediati del Consiglio.
La stretta coinvolge anche i lavori urgenti.
Sempre al fine di mettere un freno alle spese degli enti
locali, il Dl 174/2012 è particolarmente restrittivo anche
sui lavori pubblici di somma urgenza dovuti a eventi
eccezionali o imprevedibili, che spesso, anche per la
notevole frequenza cui vi si ricorre e per gli elevati
importi connessi, hanno ripercussione di notevole entità
sugli equilibri finanziari dell'ente.
Si supera il precedente ordinamento più "blando”, che
prevedeva una regolarizzazione dei lavori ordinati –a cura
del responsabile del procedimento– a pena di decadenza
entro 30 giorni, e comunque entro il 31 dicembre dell'anno,
e la comunicazione al terzo interessato
(appaltatore/fornitore) contestualmente alla
regolarizzazione. I lavori di somma urgenza vengono
ricondotti nell'ambito della casistica dei debiti fuori
bilancio, come tali soggetti alla relativa procedura,
coinvolgendo il responsabile del procedimento, la giunta e
il consiglio comunale. A quest'ultimo viene di fatto
demandato il compito di verificare la sussistenza dei
presupposti normativi e contabili in ordine alla legittimità
della procedura intrapresa e di apprestare la relativa
copertura finanziaria.
Infatti, nel sostituire l'articolo 191, comma 3, del Dl
267/2000, il D.L.
10.10.2012 n. 174 prevede che, «per i lavori pubblici
di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento
eccezionale o imprevedibile, la giunta, entro dieci giorni
dall'ordinazione fatta a terzi, su proposta del responsabile
del procedimento, sottopone all'organo consiliare il
provvedimento di riconoscimento della spesa con le modalità
previste dall'articolo 194, prevedendo la relativa copertura
finanziaria nei limiti delle accertate necessità per la
rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica
incolumità. Il provvedimento di riconoscimento è adottato
entro 30 giorni dalla data di deliberazione della proposta
da parte della giunta, e comunque entro il 31 dicembre
dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il
predetto termine. La comunicazione al terzo interessato è
data contestualmente all'adozione della deliberazione
consiliare».
Si tratta, quindi, di un controllo consiliare immediato (con
funzione di ratifica dell'operato del responsabile del
procedimento che ha ordinato i lavori). Una novità che
potrebbe limitare i lavori di somma urgenza ai casi in cui
l'intervento è assolutamente indifferibile e condivisibile (articolo Il Sole 24 Ore
del 15.10.2012 - link a www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 15.10.2012 |
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INCARICHI
PROFESSIONALI: LEGGE DI
STABILITÀ/ Un freno alle parcelle dei
legali.
Il giudice non può liquidare per valori superiori alla causa.
Chi vince non potrà ribaltare su chi
perde somme maggiori della controversia.
Parcelle degli avvocati calmierate in giudizio. La legge di
stabilità stabilisce che il giudice non può liquidare
compensi giudiziali in misura maggiore del valore della
causa. Se il giudizio riguarda una controversia del valore
di 2 mila euro, chi vince non potrà ribaltare su chi perde
una somma maggiore.
E se il compenso pattuito con il proprio avvocato fosse più
alto, la parte eccedente rimarrà a carico del cliente, anche
se ha vinto la causa.
Vediamo i dettagli della questione.
La legge di stabilità propone di sostituire il quarto comma
dell'articolo 91 del codice di procedura civile. La nuova
versione, come scritta nel disegno di legge, prevede che i
compensi liquidati dal giudice e posti carico del
soccombente non possono superare il valore effettivo della
causa.
L'attuale quarto comma dell'articolo 91 del codice di
procedura civile formula la stessa regola, ma limitatamente
alle cause previste dall'articolo 82 del medesimo codice: si
tratta delle cause il cui valore non eccede i 1.100 euro, di
competenza del giudice di pace.
Peraltro nella versione vigente il tetto riguarda non solo i
compensi per l'avvocato, ma ogni possibile voce: «spese,
competenze e onorari».
Nella modifica proposta dalla legge di stabilità il tetto
riguarda qualunque causa, anche se si precisa che i compensi
non comprendono le spese. Quindi il giudice potrà liquidare
i compensi con il tetto dell'importo del valore della causa,
mentre le spese si aggiungono. Si tratta di un criterio di
liquidazione delle spese di giudizio che si aggiunge a
quelli previsti dal decreto 140/2012 sui cosiddetti
parametri, sostitutivi delle tariffe forensi.
L'effetto di questa disposizione è un possibile vantaggio
per chi perde la causa e uno svantaggio per chi vince la
causa. Questo si verifica soprattutto quando il valore della
causa è basso e il compenso stabilito dal giudice (che deve
rispettare il tetto) è più probabile che sia minore della
cifra che l'interessato e l'avvocato hanno inserito nel
contratto stipulato tra di loro.
Inoltre la quantità e la qualità della prestazione
professionale può essere rilevante, anche per cause di
importo piccolo. Altro possibile effetto è quello di
disincentivare il ricorso alla giustizia, considerata la
prospettiva di non poter recuperare i soldi che si
spenderanno. Si deve aggiungere che l'avvocato dovrà
informare il cliente di questa regola, consentendo al
cliente di agire con consapevolezza dei costi.
Il disegno di legge di stabilità interviene anche sulle
entrate dei tribunali e in particolare sul contributo
unificato e cioè il balzello da pagare ogni volta che ci si
rivolge al sistema giustizia. Si tratta di aumenti del
contributo, soprattutto nel settore della giustizia
amministrativa.
Gli incrementi riguardano tutti i tipi di procedimento,
anche se rispetto a una prima versione del disegno di legge
c'è qualche differenza. Nella versione originaria aumentava
da 300 a 350 euro il contributo per ricorsi in materia di
accesso ai documenti amministrativi e quelli avverso il
silenzio dell'amministrazione: l'ultimo testo disponibile
non contempla più queste ipotesi.
Una ritocco (confrontando testo originario e ultimo testo
disponibile) riguarda anche gli appalti.
Nel disegno di legge sulla stabilità, per queste
controversie di competenza del Tar e del Consiglio di stato,
si individua una scaletta in base al valore della causa: il
contributo dovuto è di euro 2 mila (contro i 3 mila della
prima versione) quando il valore della controversia è pari o
inferiore a euro 200 mila; per quelle di importo compreso
tra 200 mila e 1.000.000 euro il contributo dovuto è di euro
4.000, mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000
euro è pari ad euro 6 mila (era 5 mila nella versione
originaria). Aumenta il contributo unificato anche per tutti
i processi amministrativi in materie diverse da quelle sopra
elencate: si passa, infatti, da 600 a 650 euro.
Incremento sensibile si deve registrare per tutti i giudizi
in cui si applica il rito abbreviato con termini ridotti a
metà (materie previste dal libro IV, titolo V, del codice
del processo amministrativo e altre disposizioni speciali):
il contributo unificato passa da 1.500 euro a 1.800 euro.
Inoltre si pagherà un contributo doppio per i giudizi di
impugnazione avanti al consiglio di stato e si paga un
secondo contributo nel caso in cui le impugnazioni anche
civili siano respinte o dichiarate improcedibili o
inammissibili
(articolo ItaliaOggi del 13.10.2012). |
APPALTI: Contratti
pubblici, alla Sogei la gestione della banca dati.
La gestione della Banca dati nazionale sui contratti
pubblici sarà affidata in house a una società del ministero
dell'economia (la Sogei), ma c'è il rischio di uno
slittamento della scadenza del primo gennaio 2013, data di
attivazione del sistema di verifica online dei requisiti di
ammissione alle gare; vietato alle autorità indipendenti il
conferimento di incarichi di consulenza informatica, salvo
casi eccezionali.
È quanto prevede una norma del disegno di legge di stabilità
che, per promuovere la razionalizzazione della spesa
pubblica in materia informatica, obbliga l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture a stipula una convenzione ad hoc con il ministero
dell'economia e delle finanze per la gestione, anche
attraverso «propria società in house» (e la scelta parrebbe
cadere sulla Sogei), della Banca dati nazionale dei
contratti pubblici di cui all'articolo 6-bis del Codice dei
contratti pubblici.
Si tratta della Banca dati che dovrebbe partire il 01.01.2013 (anche se si parla già di una possibile
proroga), che consentirà alle stazioni appaltanti di
effettuare online la verifica dei requisiti di
partecipazione alle gare di appalto di lavori, forniture e
servizi, snellendo e semplificando le procedure, con una
riduzione rilevante del contenzioso. Il governo sembra
quindi indicare un percorso diverso (la gestione in house)
da quello, finalizzato all'esternalizzazione della gestione
dei servizi informatici, che al momento l'Autorità sembra
avere seguito, con le gare di questi ultimi mesi.
La norma prevede che la convezione regoli la durata, i
compiti, le modalità operative e gestionali del servizio e
assicuri la copertura dei relativi costi (che è probabile
verranno «ribaltati» sull'utenza, cioè sui partecipanti alle
gare). L'Autorità manterrà vigilanza e controllo sulle
attività di gestione della Bdncp.
Peraltro l'Autorità sembra essere destinataria,
indirettamente, anche di un'altra norma del disegno di legge
che riguarda i servizi informatici e fa divieto alle
autorità indipendenti e alla Consob di conferire incarichi
di consulenza in materia informatica salvo casi eccezionali,
adeguatamente motivati, in cui occorra provvedere alla
soluzione di problemi specifici connessi al funzionamento
dei sistemi informatici. Se le Autorità e le altre
amministrazioni violeranno il divieto scatterà la
responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti
(articolo ItaliaOggi del 13.10.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: LEGGE DI STABILITÀ/ Partecipate nel mirino. Saltano blocco
contratti e contributo di solidarietà. P.a., consulenze non
rinnovabili.
Proroga solo in via eccezionale. E il compenso resta lo
stesso.
Tempi duri per l'esercito di consulenti degli enti pubblici.
Gli incarichi (per forza di cose temporanei e altamente
qualificati come prevede il Testo unico del pubblico
impiego) non potranno essere rinnovati e sarà ammessa la
proroga solo in via eccezionale se il progetto per cui sono
state conferite le consulenze non è ancora stato completato
a causa di ritardi non imputabili al collaboratore. E,
particolare non di poco conto, anche in caso di proroga, il
compenso resterà quello pattuito al momento del conferimento
dell'incarico. Il giro di vite sulle consulenze si estenderà
anche alle partecipate, ossia alla galassia delle società
controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche
amministrazioni, su cui si era già abbattuta la scure della
spending review. Oltre a essere soggette al tetto del 50%
della spesa 2009 per co.co.co. e contratti a termine,
saranno soggette ai limiti e agli obblighi di trasparenza
nel conferimento degli incarichi vigenti per tutta la
pubblica amministrazione.
Ancora una volta il taglio delle spese della p.a. passa
attraverso la messa a dieta delle consulenze. Il ddl di
stabilità 2013 non sfugge a questa regola ormai consolidata,
stabilendo un generale divieto di rinnovo degli incarichi,
salvo le eccezioni di cui si è detto.
Chi invece può sorridere sono i grand commis di stato per il
dietrofront sulla proroga a tutto il 2014 del contributo di
solidarietà (5% sopra i 90 mila euro lordi annui di
stipendio, 10% sopra i 150 mila) introdotto dalla manovra
2010 di Giulio Tremonti. Salta anche il blocco del rinnovo
dei contratti pubblici per il 2014.
Il doppio passo indietro è stato imposto dalla sentenza
della Corte costituzionale n. 223/2012 che giovedì ha
dichiarato incostituzionale il prelievo (si veda ItaliaOggi
di ieri). Stessa sorte è toccata alla trattenuta del 2,5%
sul tfr degli statali, anche questa prevista dal dl 78/2010
e spazzata via dalla Consulta. Con la conseguenza che ora le
p.a. dovranno restituire le somme illegittimamente
trattenute a decorrere dal 1° gennaio 2011. Secondo la
Uil-Fpl nelle tasche degli statali dovrebbero tornare in
media 600 euro l'anno per un lavoratore di fascia C. «Una
grande soddisfazione» che il sindacato guidato da Giovanni Torluccio rivendica rimarcando la differenza con le altre
sigle sindacali le quali, ricorda, «non hanno dimostrato
alcun interesse in proposito, ma anzi hanno fatto proprie le
tesi dell'Inpdap sulla correttezza della trattenuta del
2,50%».
«Sin dall'approvazione della norma, abbiamo sempre sostenuto
che fosse illegittima in quanto violava il principio di
eguaglianza e quello di parità di trattamento retributivo
rispetto al settore privato», ha proseguito.
Tornando al ddl di stabilità, l'unica novità confermata
rispetto all'impianto originario, riguarda il dimezzamento
della retribuzione (non sarà toccata invece la contribuzione
figurativa) dei permessi fruiti per assistere familiari
disabili (per esempio i genitori). Continueranno a essere
pagati al 100% i permessi richiesti per patologie dello
stesso dipendente o per l'assistenza ai figli o al coniuge.
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Giro di vite sugli acquisti di auto e immobili.
Scatta subito il divieto per le pubbliche amministrazioni di
acquistare o prendere in leasing autovetture. Divieto che,
però, non si applica per gli acquisti effettuati dalle
amministrazioni che ricadono nel cosiddetto comparto
sicurezza e per quelle che devono garantire i livelli
essenziali di assistenza sociale e sanitaria. Dal prossimo
Capodanno, le stesse p.a. non possono acquistare immobili né
stipulare contratti di locazione passiva, salvo che non si
tratti di rinnovi di contratti già in essere. Dal 2014,
invece, gli enti territoriali e quello del Servizio
sanitario nazionale potranno effettuare operazioni di
acquisto di immobili solo se sarà documentata e certificata
l'assoluta indispensabilità del predetto immobile ai fini
istituzionali.
Stretta, invece, per il biennio 2013-2014,
sull'acquisto di mobili e arredi. Le p.a. a tal fine, non
dovranno sforare il 20% della spesa sostenuta nel 2011.
Infine, anche le scuole e le università dovranno attingere
alle convenzioni presenti sul mercato telematico per
l'acquisto di beni e servizi. È quanto contenuto all'interno
della legge di stabilità varata dall'esecutivo nella serata
di mercoledì scorso e che, in pratica, fa stringere ancora
di più la cinghia al comparto della pubblica
amministrazione.
Auto nuove addio. Un divieto senza precedenti quello che si
abbatte sul parco auto della p.a. La legge di stabilità,
infatti, dispone che le amministrazioni pubbliche inserite
nel conto economico Istat (anche gli enti territoriali,
pertanto) a decorrere dalla data di entrata in vigore della
stessa, non possono acquistare autovetture né possono
acquisirle mediante la stipula di contratti di leasing.
E
per evitare qualche «furbetto», la norma tiene a precisare
che si intendono revocate anche le procedure di acquisto
iniziate dal 9 ottobre scorso. Da questo taglio netto con il
passato, escluse espressamente le amministrazioni del
comparto sicurezza e quelle che sono tenute a garantire
servizi sociali e sanitari. La norma, infine, sancisce che
per le regioni il divieto costituisce una condizione
inderogabile ai fini dell'erogazione dei trasferimenti
erariali.
Stretta sugli immobili. Per il prossimo anno, tutte le p.a.
e le authority non potranno acquistare immobili né stipulare
contratti di locazione passiva. Divieto che non opera nel
caso di rinnovi contrattuali ovvero nei casi in cui la
«nuova» locazione sia economicamente più vantaggiosa per
acquisire disponibilità di locali in sostituzione di
immobili dismessi.
Dal gennaio 2014, invece, scatterà il
divieto per gli enti territoriali e per quelli del Ssn di
acquistare immobili. Tranne nei casi in cui il responsabile
del procedimento attesti «l'indispensabilità e l'indilazionabilità»
dell'operazione. Quest'ultima, inoltre, dovrà essere
connotata dalla massima trasparenza in quanto, sia il prezzo
pattuito (che dovrà essere preliminarmente definito congruo
dall'Agenzia del demanio) che il soggetto alienante,
dovranno essere resi noti sul sito internet dell'ente.
A dieta su mobili e arredi. Per il prossimo biennio,
l'esecutivo intende sforbiciare anche la spesa sostenuta
dalle p.a. per mobili e arredi. Si dispone, infatti che
tutte le p.a., le authority e la Consob (ma non gli enti e
gli organismi vigilati dalle regioni, dalle province
autonome e dagli enti locali) non potranno sostenere spese a
tali fini di ammontare superiore al 20% della spesa
sostenuta nel 2011. I dirigenti responsabili dell'eventuale
violazione ne risponderanno sotto il profilo amministrativo
e disciplinare. I risparmi conseguiti dovranno essere
versati entro il 30 giugno al bilancio statale.
Scuola e mercato telematico.
Operando una modifica all'articolo 1, comma 449, della legge
finanziaria 2007 (la legge n. 296/2006), l'esecutivo ha
disposto che anche gli istituti e le scuole di ogni ordine e
grado, le istituzioni educative e quelle universitarie, sono
tenute ad approvvigionarsi dei beni e servizi disponibili
sul mercato telematico, utilizzando le cosiddette
convezioni-quadro
(articolo taliaOggi del 13.10.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Giunte provinciali a
dieta. Possibile nominare meno assessori del minimo.
Sì ai tagli se c'è la volontà politica. Ma
bisogna modificare lo statuto.
È possibile nominare un numero di assessori provinciali
inferiore al minimo fissato dallo statuto?
Ai sensi del comma 2 dell'art. 47 del Tuel, «gli statuti,
nel rispetto di quanto previsto dal comma 1, possono fissare
il numero degli assessori ovvero il numero massimo degli
stessi»; il comma 1 prevede il numero massimo nella
misura di un terzo e comunque non superiore a dodici unità.
Nel demandare all'autonomia statutaria la determinazione
numerica degli assessori, il legislatore statale ha
legittimato la possibilità di prevedere un numero «fisso»
ovvero «flessibile», senza fissare il numero minimo,
ma stabilendo un limite massimo inderogabile.
Prevedendo «che lo statuto possa stabilire il numero
effettivo degli assessori nominabili», lo stesso legislatore
impone «una verifica in sede locale dell'individuazione
del numero ottimale di componenti della giunta»
(Consiglio di stato V, 31/12/2003, n. 9315), che,
presupponendo una ponderata valutazione
politico-amministrativa delle esigenze dell'ente, consente
la nomina del numero di assessori reputato ottimale .
Nell'ambito del delineato criterio di riferimento definito
nel citato articolo 47, si deduce che la norma dello statuto
che stabilisce il numero dei componenti della giunta diviene
vincolante per l'ente locale e può essere derogata solo
attraverso una modifica della medesima disposizione.
A tal fine giova il riferimento alla sentenza n. 3357/2009,
con la quale il Consiglio di stato, pronunziatosi sul quorum
di maggioranza necessario per modificare il regolamento per
il funzionamento del consiglio comunale, ha affermato il
principio che «una volta adottato il regolamento
contenente una specifica previsione in ordine alle
maggioranze occorrenti per le proprie modifiche, l'adozione
di queste non può che trovare disciplina in quelle norme di
cui il consiglio stesso si è dotato, alle quali l'ente deve
attenersi essendo ben noto come una pubblica amministrazione
non possa disapplicare le regole da essa poste, se non
previo ritiro ed ancorché illegittime».
Ove, quindi, si delinei la volontà politica di ridurre la
compagine degli assessori occorrerà procedere,
preliminarmente, ad una apposita modifica della disposizione
statutaria inerente la quantificazione degli stessi, nel
senso ritenuto (articolo
ItaliaOggi del 12.10.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Numero assessori.
Un comune può nominare due assessori in più rispetto al
numero massimo previsto dalla vigente normativa, se la norma
statutaria tuttora vigente prevede un limite massimo
superiore?
La determinazione numerica
degli assessori rientra nella materia «organi di governo»
dei comuni rimessa, ai sensi dell'articolo 117, comma 2,
lett. p), della Costituzione, alla potestà legislativa
esclusiva dello stato.
Quest'ultima, invero, per il profilo considerato riconosce a
comuni e province, quale unico spazio di autonomia, la
possibilità di individuare nello statuto una misura «fissa»
ovvero «flessibile» di assessori, purché, in entrambi
i casi, entro il limite massimo prescritto, che non può mai
essere superato.
Peraltro, secondo l'articolo 1, comma 3, del decreto
legislativo n. 267, «l'entrata in vigore di nuove leggi
che enunciano espressamente i principi che costituiscono
limite inderogabile per l'autonomia normativa dei comuni e
delle province abroga le norme statutarie con essi
incompatibili. I consigli comunali e provinciali adeguano
gli statuti entro centoventi giorni dalla data di entrata in
vigore delle leggi suddette».
Pertanto l'eventuale disposizione statutaria incompatibile
con le intervenute modifiche normative non può trovare
applicazione.
Inoltre, come ha evidenziato la circolare del ministero
dell'interno prot. n. 2915 del 18.02.2011, a decorrere dal
2011, in occasione del successivo rinnovo elettorale, il
numero dei consiglieri sarà ridotto del 20% e di
conseguenza, nel caso dei comuni con più di 30 mila
abitanti, il numero massimo degli assessori dovrà essere
calcolato su 25 unità (24 consiglieri più il sindaco).
Nel caso di specie, pertanto, non è possibile la nomina di
ulteriori assessori (articolo
ItaliaOggi del 12.10.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - ENTI LOCALI:
DECRETO SALVA ENTI/ Spending review sterilizzata solo per i
comuni soggetti al Patto. Fondo anti-dissesto ricco nel 2012.
Dotazione extra di 500 mln per pagare stipendi e fornitori.
Previsione di un'extra dote per il fondo anti-dissesto 2012.
Correzione del decreto «Semplifica Italia» per superare i
rilievi del Consiglio di stato sul regolamento in materia di
Imu degli enti non commerciali. Obbligo di rendere pubblici
gli stati patrimoniali degli amministratori. Sterilizzazione
dei tagli della spending review solo per i comuni soggetti
al Patto.
Sono queste le principali novità per gli enti locali
contenute nel dl 174/2012, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 237 di mercoledì e quindi in vigore da ieri.
Rispetto alle bozze esaminate in consiglio dei ministri la
settimana scorsa, il testo finale del provvedimento
innanzitutto quantifica l'ammontare del «Fondo di rotazione
per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali».
Il nuovo strumento (destinato agli enti che presentano
pesanti squilibri strutturali di bilancio e che
richiederanno di aderire alla «procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale» disegnata dai nuovi artt. 243-bis,
243-ter e 243-quater del Tuel.) potrà contare per quest'anno
su 30 milioni di euro, che diventeranno 100 il prossimo e
200 per ciascuno degli anni dal 2014 e 2020.
Per il solo
2012, la dotazione finanziaria base sarà incrementata di
ulteriori 500 milioni destinati esclusivamente al pagamento
delle spese di parte corrente relative al personale, alla
produzione di servizi in economia ed all'acquisizione di
servizi e forniture, già impegnate e comunque non derivanti
dal riconoscimento di debiti fuori bilancio. Una parte della
copertura finanziaria è stata trovata utilizzando i 60
milioni stanziati dall'art. 1, commi 59 e 60, della legge
220/2010 (e mai utilizzati) per far fronte al pagamento
degli interessi passivi maturati dai comuni per il ritardato
pagamento dei fornitori, nonché una quota parte delle
risorse (1 miliardo) al medesimo fine appostate dall'art. 35
del dl 1/2012.
Il Fondo, precisa la norma, sarà altresì alimentato dalle
somme via via rimborsate dagli enti locali beneficiari.
Questi, infatti, potranno ricevere anticipazioni fino ad un
massimo di 100 euro per abitante ma dovranno restituirle
entro 10 anni. I criteri per la determinazione dell'importo
massimo dell'anticipazione, nonché le modalità per la
concessione e per la restituzione saranno definiti con un
decreto del ministero dell'interno da emanare entro il
prossimo 30 novembre. Al riguardo, si conferma che dal
beneficio sono esclusi gli enti per i quali è già stato
dichiarato il dissesto (è il caso del comune di Alessandria)
o è già stato fissato dalla Corte dei conti il termine per
l'adozione delle misure correttive (casi di Reggio Calabria
e Ancona). Agli altri enti, invece, potrà essere anche
concessa, sussistendo motivi di urgenza, una boccata
d'ossigeno immediata, da riassorbire in sede di
predisposizione e attuazione del piano di riequilibrio
finanziario.
La seconda novità rilevante riguarda l'inserimento nel testo
di una norma che integra l'art. 91-bis del dl 1/2012,
relativo all'applicazione dell'Imu agli enti non
commerciali. La novella estende il potere regolamentare del
governo alla definizione di tutti gli elementi necessari
all'applicazione dell'imposta, con particolare riguardo agli
immobili a uso promiscuo. In tal modo, vengono superati i
rilievi mossi dal Consiglio di stato alla proposta di
regolamento applicativo già elaborato dal Mef.
Ancora, va segnalata la previsione di un obbligo per gli
enti locali con popolazione superiore a 10.000 abitanti di
disciplinare le modalità di pubblicità e trasparenza dello
stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche
elettive e di governo di loro competenza. Dovranno essere
resi pubblici i dati di reddito e di patrimonio, con
particolare riferimento alle dichiarazioni annuali, ai beni
immobili e mobili registrati posseduti, alle partecipazioni
in società quotate e non quotate, alla consistenza degli
investimenti in titoli obbligazionari, titoli di stato, o in
altre utilità finanziarie detenute anche tramite fondi di
investimento, sicav o intestazioni fiduciarie.
Infine, viene precisato che la parziale sterilizzazione dei
tagli (500 milioni in tutto) previsti per il 2012 dall'art.
16 del dl 95/2012 a carico dei comuni riguarda solo quelli
soggetti al Patto, i quali potranno evitare la mannaia
destinando l'importo corrispondente alle riduzioni «teoriche»
(che saranno comunque calcolate entro fine mese)
all'estinzione anticipata dei debiti. Le relative somme,
tuttavia, non saranno valide ai fini del Patto e quindi
dovranno essere detratte dagli accertamenti delle entrate
correnti ai fini del calcolo del relativo saldo. Coloro che
non riusciranno a utilizzare tutto l'importo per ridurre il
«rosso» si vedranno decurtata la differenza nel 2013.
Una beffa ulteriore per gli enti virtuosi che avessero già
ridotto o addirittura estinto i mutui a loro carico e che in
tal caso subiranno il taglio per intero (articolo ItaliaOggi del
12.10.2012). |
LAVORI PUBBLICI:
Opere incompiute al test.
Entro il 31 marzo elenchi dalle p.a. appaltanti.
Lo prevede la nuova bozza di regolamento del
ministero infrastrutture.
Entro il 31 marzo di ogni anno le stazioni appaltanti
dovranno comunicare quali opere possono considerarsi
«incompiute»; al Ministero delle infrastrutture e alle
regioni spetterà il compito di mettere in linea
l'elenco-anagrafe delle opere incompiute al fine di
valutarne l'eventuale diversa destinazione d'uso o un
utilizzo parziale rispetto a quanto programmato e
progettato.
È quanto prevede la nuova bozza di regolamento
ministeriale (predisposta dal dicastero delle infrastrutture
e dei trasporti) sull'anagrafe delle opere incompiute, dopo
la riunione tecnica che si è svoltasi il 12 settembre che ha
consentito alle regioni e all'Anci di proporre diverse
modifiche allo schema trasmesso in questi giorni alla
Conferenza Unificata per il parere.
Lo schema attua l'articolo 44-bis, comma 6, della legge
214/2011 di conversione del decreto-legge «Salva Italia»
(201/2011) che affida al ministro delle infrastrutture e dei
trasporti il compito di emanare un regolamento che detti le
modalità di redazione dell'elenco-anagrafe delle opere
incompiute, nonché le modalità di formazione della
graduatoria e dei criteri in base ai quali le opere
pubbliche incompiute sono iscritte nell'elenco-anagrafe,
tenendo conto dello stato di avanzamento dei lavori ed
evidenziando le opere prossime al completamento.
Nel nuovo testo rimangono invariate le situazioni in
presenza delle quali si può definire «incompiuta» un'opera
pubblica: mancanza di fondi, cause tecniche che ne
impediscano l'ultimazione, sopravvenienza di nuove norme
tecniche o disposizioni di legge, fallimento dell'impresa
esecutrice o, ancora recesso dal contratto per motivi legati
a infiltrazioni malavitose, o infine «mancato interesse al
completamento da parte del gestore».
Cambiano invece sia i soggetti tenuti alla pubblicazione
dell'elenco, sia le modalità di pubblicazione.
Le regioni e le province autonome, per le opere di interesse
regionale e locale, dovranno direttamente pubblicare i dati
sui siti di cui al dm 06.04.2001, n. 20: sul sito
regionale per lavori di interesse regionale; laddove il sito
regionale non sia istituito, la pubblicazione deve invece
avvenire sul sito del Ministero delle infrastrutture.
Anche per le attività di raccolta, redazione, monitoraggio e
aggiornamento dei dati si modifica il testo precedente
stabilendo che siano il Dipartimento per le infrastrutture e
gli affari generali del Ministero (per le opere nazionali) e
gli Osservatori regionali dei contratti pubblici o altri
uffici regionali a ciò preposti (per le opere regionali e di
interesse locale), a svolgere le attività di controllo.
Novità anche per la tempistica: entro il 31 marzo di ogni
anno le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori tenuti
ad applicare il Codice dei contratti pubblici, dovranno
trasmettere i dati e le informazioni sulle opere incompiute
al Ministero delle infrastrutture o alle regioni, o province
autonome. Le stazioni appaltanti, una volta trasmessi i dati
dell'opera incompiuta, potranno pubblicarli anche sul
proprio sito istituzionale. Per quel che riguarda l'elenco
delle informazioni da fornire per ogni opera dichiarata
«incompiuta» il testo prevede anche l'inserimento del Codice
unico di progetto (Cup) e la denominazione della stazione
appaltante.
Entro il 30 giugno di ogni anno ministero e regioni (e le
province autonome) pubblicano i dati nelle due sezioni
dell'elenco-anagrafe. Nella prima fase di attuazione del
regolamento si prevede, come norma transitoria) che le
stazioni appaltanti trasmettano i dati entro 90 giorni dalla
pubblicazione del regolamento e nei180 giorni Ministero e
regioni provvedano alla pubblicazione sulle sezioni
dell'elenco (articolo ItaliaOggi del
12.10.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Pa. Dopo la sentenza della Corte saltano i tagli del 5 e 10%
sui superstipendi.
Congelati i contratti pubblici.
BLOCCO PER IL 2014/
Confermata la sospensione della vacanza contrattuale e il
dimezzamento dei salari per i giorni destinati alla cura dei
familiari disabili.
Esce dal testo della legge di stabilità in via di
perfezionamento la norma che congela il rinnovo dei
contratti pubblici anche per il 2014. Per confermare lo stop
si procederà con un atto amministrativo, esattamente come si
è già fatto l'anno scorso, in attuazione di quanto previsto
dal decreto legge 78/2010. E con quel provvedimento verrà
confermata pure la sospensione della vacanza contrattuale,
che potrà tornare solo in riferimento al biennio 2015-2017
con riferimento all'inflazione programmata (non al nuovo
indice Ipca, visto che non è mai stato raggiunta un'intesa
sindacale). Dalla legge di stabilità uscirà pure la proroga
del «contribuito di solidarietà» che era stato introdotto
sempre dal dl 78 (articolo 9) visto che quella norma è stata
giudicata incostituzionale dal giudice delle leggi (si veda
a pagina 13).
Nella versione del testo disponibile ieri resta invariata,
invece, la norma che prevede il dimezzamento della
retribuzione per i giorni utilizzati dai dipendenti pubblici
per l'assistenza a familiari con disabilità. La
retribuzione, secondo il provvedimento nella versione
attuale, rimarrà piena solo se il permesso ex lege 104/1992
è dovuto a patologie del dipendente o all'assistenza a figli
e coniuge: se l'assistito è un altro familiare (i permessi
possono essere ottenuti per assistere parenti o affini entro
il secondo grado, o entro il terzo grado se i genitori
dell'assistito sono over 65 o portatori di handicap), lo
stipendio della giornata sarà dimezzato, e si manterrà
intera solo la contribuzione figurativa.
Si tratta di una norma molto delicata, che ha già acceso
reazioni molto forti. L'obiettivo del Governo è tentare di
aggredire una spesa significativa, visto che nel 2010 (sono
gli ultimi dati disponibili) per garantire i permessi a
244.997 beneficiari (7,4% del totale dei dipendenti) è stata
sostenuta una spesa superiore ai 725 milioni di euro (articolo Il Sole 24 Ore
del 12.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO:
Enti locali. Il decreto legge 174/2012 in vigore da ieri.
Il ragioniere «vista» tutte le delibere di spesa.
LA FIGURA/
Il responsabile dei servizi finanziari opera in piena
autonomia può essere revocato solo in caso di gravi
irregolarità.
Con la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» 237 del 10.10.2012 del decreto legge 174, in vigore da ieri, è
ridisegnato il ruolo del responsabile dei servizi finanziari
degli enti locali.
Tale figura, in quattro modifiche apportate al Testo Unico
degli enti locali, si delinea come un "baluardo" della
tenuta della finanza locale. La prima riguarda il visto di
regolarità contabile. La nuova formulazione dell'art. 49 del
Tu prevede che ogni proposta di delibera che "comporti
riflessi diretti o indiretti sulla situazione
economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente" deve
obbligatoriamente ottenere il visto del ragioniere.
Le altre modifiche riguardano "status" e competenze del
responsabile finanziario. La rivisitazione del Tu degli enti
locali rende inamovibile il responsabile dei conti degli
enti. Attraverso una modifica all'articolo 109 l'incarico
del responsabile finanziario può essere revocato solo in
caso di "gravi irregolarità riscontrate nell'esercizio delle
funzioni". L'ordinanza del legale rappresentante dell'ente
(sindaco o presidente della Provincia), per essere
esecutiva, deve ottenere previamente un parere obbligatorio
sia del Viminale che di via XX settembre.
Questa "inamovibilità" assume ancor più rilevanza se letta
in modo coordinato, sia alle nuove tipologie di controlli
affidate a tale figura, sia alle disposizioni contenute nel
disegno di legge di stabilità 2013.
Rispetto alla mappatura dei controlli interni, il nuovo
articolo 147 dispone che spetta al responsabile finanziario
la funzione di garantire la gestione del bilancio e il
rispetto degli obiettivi e dei vincoli di finanza pubblica
determinati dal patto di stabilità interno. Per svolgere
tali funzioni, il responsabile deve agire in piena autonomia
e tenendo "conto degli indirizzi della Ragioneria generale
dello Stato".
La garanzia e la salvaguardia dei vincoli di finanza
pubblica sono esaltate dalla nuova normativa del Ddl
stabilità. Il Ddl impone alle pubbliche amministrazioni una
rigida programmazione finanziaria nell'esecuzione degli
investimenti. Dal 2013, gli enti locali possono avviare le
procedure per l'esecuzione dei lavori pubblici solo se sono
in grado di garantire i termini di pagamento previsti dalla
normativa, ossia, solo se sono è in grado di rispettare i
vincoli imposti dal patto di stabilità interno già in sede
di programmazione delle opere pubbliche e non, come accaduto
in passato, rinviando all'esercizio successivo i pagamenti.
La norma prosegue dando la facoltà alle amministrazioni
appaltanti di sospendere l'efficacia dei contratti già
sottoscritti, senza diritto ad alcun indennizzo delle parti,
nel caso in cui la prosecuzione del contratto non consenta
il rispetto dei vincoli di finanza pubblica.
Il responsabile "in autonomia" e tenendo conto degli
indirizzi che gli derivano dalla Ragioneria generale dello
Stato, dovrà garantire che i lavori già finanziati e da
programmare siano in linea con le norme relative alla
tempestività dei pagamenti e il rispetto del patto di
stabilità interno (articolo Il Sole 24 Ore
del 12.10.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento al 12.10.2012 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: DECRETO
SALVA-ENTI/ Più peso ai dirigenti nei comuni. I politici
devono giustificarsi se si discostano dai pareri.
Il provvedimento è stato pubblicato ieri in G.U.
(dl 174/2012).
Giunte e consigli di comuni e province dovranno esplicitare
le ragioni in base alle quali le delibere da essi approvate
risultino difformi dai contenuti del parere di regolarità
tecnica.
Il decreto legge sui controlli e gli equilibri finanziari di
regioni ed enti locali (dl 174 del 10/10/2012, pubblicato
sulla G.U. n. 137 di ieri) modifica l'articolo 49 del dlgs
267/2000, inserendo un nuovo comma 4, ai sensi del quale: «Ove
la giunta o il consiglio non intendano conformarsi ai pareri
di cui al presente articolo, devono darne adeguata
motivazione nel testo della deliberazione». Lo scopo
della disposizione è, ovviamente, rafforzare il valore
consultivo del parere espresso dai dirigenti o responsabili
di servizio sugli atti deliberativi.
Da sempre, dall'entrata in vigore della legge 142/1990,
sulle deliberazioni di consigli e giunte è richiesto il
parere di regolarità tecnica (un tempo, era previsto anche
quello di legittimità da parte del segretario comunale,
improvvidamente abolito dalle riforme Bassanini). Tale
parere è obbligatorio, salvo che per gli atti di mero
indirizzo politico (atti ispettivi, mozioni), ma non
vincolante.
Dunque, gli organi collegiali di governo possono adottare
una decisione che vada in una linea diversa, sul piano
dell'opportunità, del merito e anche della disciplina
normativa da seguire, da quella indicata dal parere. Fin
qui, impropriamente, in molte amministrazioni laddove il
responsabile esprimesse o intendesse esprimere un parere non
favorevole alla regolarità della proposta di deliberazione
accadeva che organi politici e tecnici andassero allo
scontro o che si facesse in modo di ricondurre il parere
alle indicazioni degli organi di governo, per evitare di
manifestare contrasti tra decisione adottata e parere in
merito.
Un sistema di aggiramento della norma, che invece intende
proprio evidenziare le eventuali alterità di visione e di
responsabilità nel procedimento di adozione delle delibere.
Non si deve dimenticare che i responsabili dei servizi, ai
sensi del comma 3 dell'articolo 49 del Tuel «rispondono
in via amministrativa e contabile dei pareri espressi»:
essi hanno il dovere di rilevare ogni aspetto di
irregolarità che possa ledere la corretta esplicazione del
potere amministrativo, essendo il parere l'estremo momento
nel quale rendere consapevoli gli organi di governo di
eventuali possibili danni o, appunto, irregolarità
discendenti dalle deliberazioni.
Con la modifica apportata dal decreto legge, non sarà più
possibile nascondere eventuali diverse visioni tra organi di
governo e responsabili di servizio. Il procedimento di
formazione delle deliberazioni si arricchisce di una fase in
più, eventuale: all'istruttoria e formulazione del testo
della proposta, si affianca la fase, eventuale, della
modifica della proposta in conseguenza del parere di
regolarità tecnica eventualmente negativo rispetto ai
contenuti della proposta. Gli organi collegiali sono
obbligati a spiegare perché non ritengono di conformarsi
alle indicazioni tecniche di chi è chiamato a illustrare
loro le strade più corrette e legittime per perseguire gli
interessi pubblici.
In questo modo, in analogia a quanto accade nel rapporto tra
responsabile del procedimento e autorità decidente ai sensi
dell'articolo 6, comma 1, lettera f), della legge 241/1990,
si distinguono necessariamente le responsabilità tecniche,
da quelle politico-amministrative. Indirettamente, il parere
finisce per essere uno strumento finalizzato a ponderare
molto bene le scelte dell'organo di governo. E i dirigenti o
responsabili di servizio non potranno più nascondersi dietro
un dito e non esprimere apertamente rilievi, nei confronti
di provvedimenti che contengono delle criticità
(articolo ItaliaOggi dell'11.10.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
No al confinamento di kebab, money transfer e
phone center.
No alla localizzazione di Kebab, money
transfer e centri di telefonia fissa solo in specifiche zone
urbane del territorio comunale. In quanto sono in contrasto
con i principi di concorrenza e con la disciplina nazionale
della liberalizzazione. L'ingresso di nuovi operatori non
deve incontrare ostacoli di tipo normativo o amministrativo,
diretti a predeterminare rigidamente limiti quantitativi
alle possibilità di entrata nel mercato.
Questo è quanto espresso dall'Autorità garante della
concorrenza e del mercato all'interno del
bollettino settimanale 17.09.2012 n. 35 – in ordine agli
effetti distorsivi della concorrenza derivanti dalle
disposizioni che regolano l'insediamento delle attività di «Kebap
e simili, compresi gli esercizi ove vi è asporto e
consumazione in loco di alimenti e bevande, centri di
telefonia internazionale e simili, centri di trasferimento
del denaro». Sotto osservazioni sono quattro delibere
comunali degli anni 2009 e 2010 aventi ad oggetto la «Definizione
di programma di localizzazione di particolari attività
suscettibili di determinare situazioni di disagio sociale,
viabilistico e di quiete pubblica ai fini del loro
insediamento sul territorio di...».
Le richiamate deliberazioni introducono il divieto di
insediamento delle attività sopra indicate in tutto il
territorio comunale, ad eccezione di alcuni ambiti
identificati, nei quali eventuali richieste di insediamento
saranno valutate nell'ambito di una apposita procedura
negoziale volta ad individuare «se la zona urbanistica
può accogliere l'insediamento richiesto; le particolari
prescrizioni a tutela della collettività insediata nella
zona; gli eventuali standard qualitativi dettati dalla
particolare attività in relazione alla situazione
viabilistica ed urbana consolidata nella zona d'insediamento».
Le delibere, prevedendo un divieto di insediamento di
esercizi di vendita di kebab, di telefonia in sede fissa e
trasferimento del denaro e simili, ovvero limitandolo a
specifiche zone, introducono un elemento di rigidità del
sistema tale da tradursi, nei diversi mercati interessati,
in una programmazione quantitativa dell'offerta, in
contrasto con le esigenze di salvaguardia della concorrenza
(articolo ItaliaOggi dell'11.10.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Statali,
costa cara l'assenza per assistere parenti.
LE CONFERME/ Blocco per un altro anno dei rinnovi. Mentre la
cancellazione della vacanza contrattuale era già stata
adottata dal vecchio governo.
Con la legge di stabilità 2013 arriva
solo la conferma del blocco per un altro anno del rinnovo
dei contratti, uno stop partito nel 2011 con il decreto
78/2010, perché la cancellazione della vacanza contrattuale
era già stata adottata dal vecchio Governo.
Come ha precisato ieri il ministro Filippo Patroni Griffi
per ripristinare la vacanza contrattuale sarebbe stato
necessario un nuovo intervento legislativo con tanto di
risorse aggiuntive e copertura finanziaria. Dopo la lunga
notte del varo della legge di stabilità e in attesa di
poterne leggere il testo definitivo, è nella risposta del
ministro alle reazioni sindacali di giornata l'unico
elemento di novità.
«Certe dichiarazioni di esponenti sindacali dovrebbero
tener conto delle reali disponibilità delle casse dello
Stato», ha detto Patroni Griffi dopo aver letto i
commenti critici di tutte le organizzazioni e i numeri
diffusi dalla Fp Cgil, secondo cui il blocco dei contratti e
dell'indennità di vacanza contrattuale comporterà tra il
2010 e il 2014 una perdita di salario complessiva di oltre 6
mila euro per gli statali, che si ritroveranno una busta
paga alleggerita in media di 240 euro. Ieri è anche
circolata l'ipotesi che la norma del blocco dei contratti
venga stralciata per scriverla in via amministrativa (come
del resto era già stato fatto in passato). Si vedrà.
Tutte confermate invece le altre misure del "pacchetto
statali", con la proroga, sempre a tutto il 2014, dei
tagli del 5 e 10% delle quote di stipendio superiori a 90 e
150mila euro (misura su cui pendono ricorsi alla Corte
costituzionale) e il dimezzamento della retribuzione nei
giorni di permesso per l'assistenza a parenti disabili che
non siano coniugi o figli riconosciuto dalla legge 104/1992.
Sui permessi ex legge 104 i tecnici della Funzione pubblica
stanno per diffondere i dati relativi al 2011, con qualche
mese di ritardo rispetto all'anno scorso per qualche
problema tecnico dovuto alla migrazione di banche dati dal
vecchio sistema al nuovo sistema Perla PA. Gli ultimi numeri
ufficiali, relativi al 2010, sintetizzano il ricorso a
questo permesso con le seguenti cifre: 244.997 beneficiari
(7,4% del totale dei dipendenti) per un totale di 4.835.263
giornate di permesso e un costo stimato (calcolato
considerando pari a 33mila euro lo stipendio medio annuo di
un dipendente pubblico, per un costo giornaliero di 150 euro
su 220 giornate lavorative) di 725milioni e 280mila euro. È
questo l'aggregato di spesa che si intende aggredire con la
nuova norma.
In attesa dell'invio alle Camere della Stabilità, a palazzo
Vidoni si lavora intanto sulle schede prodotte da tutte le
amministrazioni centrali, gli enti pubblici non economici e
le agenzie sulle dotazioni organiche. Si deve chiudere
l'istruttoria in tempo utile per il varo, entro fine mese,
dei Dpcm che definiscono i criteri per il taglio delle
dotazioni deciso con la spending review: il 20% del
personale dirigente e il 10% di funzionari e dipendenti.
Secondo le indiscrezioni trapelate, la ricognizione finora
condotta conferma che problemi di soprannumeri ci sarebbero
in Inps e Inail, dove per effetto dei piani industriali in
corso, le dotazioni organiche sono pressoché coincidenti con
il personale in servizio. Obiettivo del ministro è trovare
possibili compensazioni.
Secondo la Fp Cgil proprio i dipendenti di questi enti
sarebbero i più colpiti dal blocco dei contratti: se per i
dipendenti dei ministeri la perdita media in busta a regime
sarà di 210 euro e per i lavoratori delle agenzie fiscali di
270 euro, per quelli degli enti pubblici non economici (Inps
e Inail) sarà invece di 290 euro
(articolo Il
Sole 24 Ore dell'11.10.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Parere
tecnico obbligatorio su ogni delibera del Comune.
L'ALLARGAMENTO/ Il responsabile del servizio interessato
dovrà esprimersi su ogni atto con riflessi diretti o
indiretti sulla situazione finanziaria.
Ogni delibera di Giunta o Consiglio deve
essere accompagnata dal parere tecnico del responsabile del
servizio interessato e dal via libera del responsabile dei
servizi finanziari in tutti i casi in cui comporti «riflessi
diretti e indiretti» sulla situazione economico-finanziaria
o anche sul patrimonio dell'ente.
È questo il primo cambio di rotta nell'attività dei Comuni
determinato dall'entrata in vigore, oggi, del decreto enti
locali approvato giovedì scorso, che fa scattare anche il
conto alla rovescia per l'attuazione dei costi della
politica nelle Regioni. Con le regole pubblicate sulla «Gazzetta
Ufficiale» di ieri diventano operativi anche i
rafforzamenti dei controlli esterni, sia sulle Regioni sia
sugli enti locali, che però cominceranno a mostrare le loro
ricadute operative solo nei prossimi mesi.
I primi effetti concreti, da questo punto di vista, sono
sulle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti,
investite di nuovi compiti e che, in base al decreto,
potranno utilizzare anche uomini della Guardia di finanza
(d'intesa con il ministero dell'Economia) e di magistrati
delle sezioni giurisdizionali della stessa Corte.
Il primo dato applicativo con l'entrata in vigore del
decreto si concentra sui controlli interni e continui
nell'attività dei Comuni. I politici locali, in pratica,
potranno dribblare i pareri dei responsabili tecnici solo
con «adeguate motivazioni espresse», mentre il
responsabile dei servizi finanziari vede crescere
drasticamente il numero di atti su cui dovrà vigilare in via
preventiva.
Fino a ieri il passaggio sulla sua scrivania era
obbligatorio solo per gli atti che comportassero «impegno
di spesa o diminuzione di entrata», mentre ora il
riferimento a qualsiasi effetto diretto o indiretto su conti
o patrimonio lo porterà a mettere gli occhi preventivamente
su quasi tutte le scelte (sono esclusi solo gli «atti di
mero indirizzo»). Insieme al responsabile dei servizi
finanziari, di cui viene sancita meglio l'autonomia dagli
organi politici, si vedono ampliati i compiti di controllo
anche il segretario, il direttore generale (dove c'è) e i
revisori dei conti, che dovranno estendere per legge il loro
monitoraggio anche alle società partecipate.
In vigore da oggi anche il fondo rotativo anti-dissesto: la
dotazione finanziaria iniziale non è elevata (30 milioni di
euro per il 2012, 100 milioni per il 2013 e 200 milioni
all'anno dal 2014 al 2020), ma per il 2012 è accompagnato a
un maxi-assegno da 500 milioni per pagare spese correnti e
di personale negli enti in difficoltà. Il primo destinatario
dell'incentivo appare il Comune di Napoli, dove però nei
giorni scorsi il sindaco Luigi De Magistris ha avuto parole
molto dure nei confronti del nuovo strumento, anche perché
l'attivazione del fondo è subordinata al taglio di spese e
all'avvio di controlli stringenti sul piano di rientro
quinquennale che può prevedere anche l'aumento al massimo di
tasse e tariffe.
Manca poco, infine, alla scadenza per attuare le norme sui
costi della politica regionale: entro il 30 novembre le
Regioni dovranno tagliare posti, indennità e fondi ai
gruppi, e avranno sei mesi di tempo da oggi solo se la
sforbiciata dovrà passare da modifiche statutarie.
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In vigore da oggi
01 | LE DELIBERE
Il parere tecnico del responsabile del servizio interessato
e, in molti casi, il via libera del responsabile dei servizi
finanziari dovranno accompagnare ogni delibera di Giunta o
Consiglio in tutti i casi in cui comporti «riflessi diretti
e indiretti» sulla situazione economico-finanziaria o anche
sul patrimonio dell'ente
02 | L'ALLARGAMENTO
Finora il parere del responsabile del servizio era
obbligatorio solo per gli atti che comportassero «impegno
di spesa o diminuzione di entrata». Adesso il
riferimento a qualsiasi effetto diretto o indiretto su conti
o patrimonio porterà il responsabile tecnico a esprimere un
parere preventivo su quasi tutte le scelte
03 | FONDO ROTATIVO
In vigore anche il fondo rotativo anti-dissesto
(articolo Il
Sole 24 Ore dell'11.10.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento all'11.10.2012 |
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ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: DECRETO
SALVA ENTI/ Salta l'approdo in Gazzetta. Monti pensa a
blindare il dl.
Era stato tutto prenotato, con tanto di numero da assegnare
al decreto legge (si veda ItaliaOggi di ieri). Ma il
decreto con cui il governo taglia i costi di regioni ed enti
locali, dopo le abbuffate dei vari batman, oggi
non è in Gazzetta Ufficiale.
Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, la presidenza del
consiglio dei ministri ha preferito frenare sulla
pubblicazione per ragioni di merito ma anche di opportunità
e potrebbe addirittura decidere di rinunciare al decreto
legge per far confluire le norme direttamente nel disegno di
legge di stabilità. Una mossa un po' inconsueta dal punto di
vista della tecnica legislativa, ma non impossibile, e su
cui Palazzo Chigi dovrà sciogliere la riserva nel giro di 24
ore. L'intervento per decretazione d'urgenza sulle regioni
avrebbe più di un profilo di sospetta incostituzionalità
che, è il ragionamento, costringerebbe l'esecutivo, una
volta approdato il testo in parlamento, a mettersi sulle
barricate per difendersi dagli attacchi dei parlamentari,
già allertati dalle caste della politica locale affinché
anestetizzino i tagli.
E comunque il testo andrebbe poi modificato, con tutto
quello che ne consegue in termini di ricorso al voto di
fiducia. Tanto vale allora inserire i tagli all'interno del
ddl di Stabilità, che ha tempi più distesi per
l'approvazione e che già ci sa dovrà essere nei punti più
ostici modificato, ma nei limiti di un'invarianza di
obiettivi finanziari invalicabili. Tra l'altro, il governo
potrebbe così tenere aperto un solo provvedimento di fuoco
su cui concentrarsi in questo scorcio di legislatura. E su
cui porre la fiducia
(articolo ItaliaOggi
del 10.10.2012). |
ENTI LOCALI -
LAVORI PUBBLICI: LEGGE
DI STABILITÀ/ Lavori pubblici? Se ci sono soldi. E gli enti
locali dovranno anche tenere conto del Patto.
Le principali misure del ddl approvato ieri dal
consiglio dei ministri.
Lavori pubblici solo se ci sono soldi in
cassa. Le amministrazioni pubbliche potranno avviare le
procedure per l'esecuzione di lavori pubblici solo in
presenza delle risorse finanziarie, anche in termini di
cassa, necessarie al fine di rispettare i termini di
pagamento previsti dalla vigente normativa, anche attuativa
delle direttive dell'Unione europea.
Gli enti territoriali, inoltre, dovranno verificare la
compatibilità dei pagamenti con il rispetto dei vincoli
derivanti dal patto di stabilità interno.
È una delle previsioni contenute nella
bozza del disegno di legge di stabilità approvato ieri
dal consiglio dei ministri (le principali novità sono
riassunte nella tabella in pagina).
La norma prosegue stabilendo che l'efficacia dei contratti
per l'affidamento di lavori sottoscritti dalle
amministrazioni è sospesa, senza che le parti del contratto
abbiano diritto ad alcun indennizzo, nei casi in cui non sia
possibile rispettare le condizioni previste.
La sospensione cessa però nel caso in cui, anche a seguito
di eventuale rinegoziazione del contratto, l'organo
competente, su proposta del responsabile del procedimento,
attesta il rispetto delle condizioni, cioè la presenza delle
necessarie risorse finanziarie. Le disposizioni non si
applicano ad alcune tipologie di lavori, quali ad esempio
quelli relativi agli istituti scolastici e ospedalieri.
Da segnalare, a proposito di lavori pubblici, lo stop di
fatto al Ponte sullo Stretto di Messina. Per la «mancata
realizzazione» del Ponte sullo Stretto di Messina sono
stanziati 300 milioni di euro. Al Fondo per lo sviluppo e la
coesione, si legge nella norma, è assegnata una dotazione
finanziaria aggiuntiva di 300 milioni di euro per l'anno
2013 per far fronte agli oneri derivanti dalla mancata
realizzazione di interventi per i quali sussistano titoli
giuridici perfezionati alla data di entrata in vigore della
legge
(articolo ItaliaOggi
del 10.10.2012). |
APPALTI - ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
LEGGE DI STABILITÀ/ Nel civile contributo
unificato raddoppiato in caso di soccombenza. Salasso nel
processo al Tar e Cds. Un appello al Consiglio di stato
sugli appalti costerà 8 mila.
Salasso sul processo amministrativo e sulle impugnazioni
civili. Il
disegno di legge sulla stabilità mette le mani nelle
tasche di chi si rivolge ai Tar e al Consiglio di stato e
anche di chi propone un'impugnazione civile. La giustizia,
soprattutto amministrativa, costerà molto caro: si pensi, ad
esempio, che un appello al consiglio di stato in materia di
appalti, se il disegno di legge andrà in porto, costerà 8
mila euro, da versarsi subito. Contemporaneamente fissa un
tetto alle liquidazione giudiziale delle spese di
soccombenza, che penalizza gli avvocati e i clienti
vittoriosi in giudizio.
Per le impugnazioni civili (appelli e ricorsi in cassazione)
il ddl prevede un contributo unificato raddoppiato in caso
di soccombenza o di impugnazione dichiarata improcedibile o
inammissibile. In particolare viene proposta la
modificazione dell'articolo 13 del T.u. spese di giustizia,
disponendo che quando l'impugnazione, anche incidentale, è
respinta integralmente, è dichiarata inammissibile o
improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o
incidentale. Il versamento alla fine assume un carattere
sanzionatorio teso a punire chi ha fatto perdere tempo alle
corti.
La norma non prevede alcuna valutazione discrezionale da
parte del giudice, al fine di tenere conto della eventuale
buona fede dell'interessato. La scure è automatica in caso
di sconfitta piena, ma anche in caso di pronuncia sul rito
(inammissibilità o improcedibilità). Si tratta di un altro
tassello che disincentiva le parti a farsi le proprie
ragioni nei gradi di giudizio successivi al primo. Solo di
recente è stato inserito il filtro di ammissibilità
all'appello e ora con la prospettiva del raddoppio del
balzello, l'impugnazione diventa una pericolosissima corsa a
ostacoli.
Processo amministrativo.
Un aumento a tappeto, per primo e secondo grado, è proposto
per il processo amministrativo. Qui gli aumenti si spalmano
su tutti i tipi di procedimento. Aumenta il contributo
unificato per i ricorsi in materia di accesso ai documenti
amministrativi (articolo 116 del codice del processo
amministrativo, dlgs 104/2010) e di ricorsi avverso il
silenzio dell'amministrazione (articolo 117 del codice del
processo amministrativo, dlgs 104/2010): passa da 300 euro a
350 euro. Stesso aumento (a 350 euro) è previsto per i
giudizi aventi ad oggetto il diritto di cittadinanza, di
residenza, di soggiorno e di ingresso nel territorio dello
stato e per i ricorsi di esecuzione nella sentenza o di
ottemperanza del giudicato.
Incremento sensibile si deve registrare per tutti i giudizi
in cui si applica il rito abbreviato con termini ridotti a
metà ( materie previste dal libro IV, titolo V, del codice
del processo amministrativo e altre disposizioni speciali):
il contributo unificato passa da 1.500 euro a 1.800 euro. Ci
sono poi due materie speciali in cui si applica il rito
abbreviato, per cui la manovra del disegno di legge di
stabilità prospetta aumenti molto più pesanti. Si tratta
delle controversie in materia di provvedimenti concernenti
le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e
forniture e di provvedimenti adottati dalle Autorità
amministrative indipendenti, con esclusione di quelli
relativi al rapporto di servizio con i propri dipendenti Ora
il contributo previsto è di 4 mila euro.
Nel disegno di legge sulla stabilità si individua una
scaletta in base al valore della causa: il contributo dovuto
è di euro 3 mila quando il valore della controversia è pari
o inferiore a euro 200 mila; per quelle di importo compreso
tra 200 mila e 1.000.000 euro il contributo dovuto è di euro
4.000 mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro
è pari ad euro 5 mila. Aumenta il contributo unificato anche
per tutti i processi amministrativi in materie diverse da
quelle sopra elencate: si passa, infatti, da 600 a 650 euro.
Ad esempio costerà 650 euro impugnare un permesso di
costruire. Gli importi del contributo unificato per i
ricorsi amministrativi sono raddoppiati per l'impugnazione:
se si va in consiglio di stato per ottenere la riforma di
una sentenza del Tar l'esborso si moltiplica per due. Il
ddl, comunque, con una ragionevole disposizione transitoria,
attribuisce i nuovi balzelli ai ricorsi notificati
successivamente all'entrata in vigore della presente legge.
Spese di lite.
Altra novità in tema di giustizia riguarda la determinazione
delle spese di soccombenza da caricare a chi perde la causa.
Il ddl stabilisce un tetto massimo: i compensi liquidati dal
giudice e posti carico del soccombente non possono superare
il valore effettivo della causa. I compensi, però, almeno
non comprendono le spese. Si generalizza una regola che
riguarda ora le cause di modesto valore: si tratta di un
taglio ai compensi degli avvocati che potrà distogliere gli
interessati dal proporre le cause (visto che pur vincendo
devono pagare l'eventuale compenso aggiuntivo al proprio
legale) (articolo ItaliaOggi
del 10.10.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
DECRETO SALVA-ENTI/ Enti, on-line i redditi dei
politici. Pubblicazione sul sito web nei comuni sopra i 10
mila abitanti. Monti rispolvera una
norma già prevista da una legge del 1982.
On-line i redditi e i patrimoni dei
politici locali. Negli ultimi ritocchi al decreto
salva-enti, Mario Monti rispolvera un'altra norma mai
attuata del nostro ordinamento. Si tratta dell'anagrafe
degli eletti, prevista da una legge vecchia ormai di 30 anni
(n. 441/1982) e poco o nulla applicata nei comuni a
differenza di quanto avviene da qualche anno a questa parte
nella pubblica amministrazione centrale anche per merito
dell'ex ministro Renato Brunetta. Ma chi di anagrafe degli
eletti non ha proprio voluto saperne sono stati i sindaci
che, a parte qualche eccezione (Milano, Roma, Bari), hanno
sempre glissato sul punto o adempiuto all'obbligo
informativo in modo molto incompleto.
A rinfrescare la memoria ai primi cittadini ci ha pensato il
decreto salva-enti approvato giovedì scorso
dall'esecutivo che introduce una norma ad hoc (art.
41-bis) nel Tuel. Gli enti locali con popolazione superiore
a 10 mila abitanti dovranno «disciplinare, nell'ambito
della propria autonomia regolamentare, le modalità di
pubblicità e trasparenza dello stato patrimoniale dei
titolari di cariche pubbliche elettive e di governo di loro
competenza».
I dossier su sindaci, presidenti di provincia, consiglieri e
assessori dovranno essere pubblicati annualmente, all'inizio
e alla fine del mandato, e dovranno contenere: i dati di
reddito e di patrimonio con particolare riferimento ai
redditi annualmente dichiarati; i beni immobili e mobili
registrati posseduti; le partecipazioni in società quotate e
non quotate; la consistenza degli investimenti in titoli
obbligazionari, titoli di stato, o in altre utilità
finanziarie detenute anche tramite fondi di investimento,
Sicav o intestazioni fiduciarie.
Per rendere più dissuasivo l'obbligo di trasparenza la
novella legislativa si appella agli enti locali affinché
introducano con regolamento un sistema di sanzioni verso chi
continuerà a fare orecchie da mercante: le multe per la
mancata o parziale ottemperanza andranno da un minimo di 2
mila euro a un massimo di 20 mila.
Fondo anti-dissesto.
Con gli ultimi ritocchi al testo del decreto il governo ha
alzato il velo sulla dotazione finanziaria del fondo
rotativo anti-dissesto che dovrà servire a evitare il
default di molti comuni prossimi al tracollo (Napoli,
Palermo, Reggio Calabria). Il fondo prevede una dotazione di
90 milioni di euro per il 2012, 100 milioni per il 2013 e
200 milioni all'anno a partire dal 2014 e fino al 2020.
Solo per quest'anno la dotazione del fondo potrà contare su
ulteriori 500 milioni di euro destinati al pagamento delle
spese di personale, alla produzione di servizi in economia e
all'acquisizione di servizi e forniture, già impegnate e
comunque non derivanti da riconoscimento di debiti fuori
bilancio
(articolo ItaliaOggi
del 10.10.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Pubblico
impiego. Via l'indennità di vacanza contrattuale. Statali,
anche nel 2014 stipendi e rinnovi bloccati.
IL NUOVO TAGLIO/ Retribuzione dimezzata nei giorni di
permesso per l'assistenza a disabili che non siano i coniugi
o i figli dei dipendenti.
Il congelamento dei salari dei dipendenti pubblici
proseguirà anche nel 2014, ma si perderà anche l'indennità
di vacanza contrattuale e si dovrà dire ufficialmente addio
ai recuperi delle tornate contrattuali perse.
La
bozza del disegno di legge di stabilità
entrata ieri in consiglio dei ministri prosegue sui binari
già preannunciati dalla prima manovra estiva del 2011, ma
aggiunge un ingrediente che rischia di essere indigesto: il
dimezzamento della retribuzione per i giorni utilizzati dai
dipendenti pubblici per l'assistenza a familiari con
disabilità. La retribuzione, secondo la bozza del
provvedimento, rimarrà piena solo se il permesso ex lege
104/1992 è dovuto a patologie del dipendente o
all'assistenza a figli e coniuge: se l'assistito è un altro
familiare (i permessi possono essere ottenuti per assistere
parenti o affini entro il secondo grado, o entro il terzo
grado se i genitori dell'assistito sono over 65 o portatori
di handicap), lo stipendio della giornata sarà dimezzato, e
si manterrà intera solo la contribuzione figurativa.
Sul resto del pacchetto, che ieri ha registrato la secca
contrarietà da parte dei sindacati, il disegno di legge non
si scosta più di tanto dalle previsioni di fatto annunciate
fin dalla prima manovra estiva del 2011, quando il Governo
Berlusconi mise in agenda come «eventuali» una serie
di proroghe alle misure che bloccano le assunzioni e
congelano gli stipendi nel pubblico impiego.
Anche nel 2014, di conseguenza, si continueranno ad
applicare i tetti agli stipendi individuali, che non
potranno superare i livelli raggiunti nel 2010, i limiti ai
fondi per i trattamenti accessori, anch'essi vincolati alle
somme del 2010, e il contributo di solidarietà che taglia
del 5% la quota di retribuzione superiore a 90mila euro e
del 10% quella che supera i 150mila euro. A queste regole,
le nuove regole scritte nel nome dell'austerità aggiungono
lo stop all'indennità di vacanza contrattuale, che tornerà
ad affacciarsi solo a partire dal 2015 e sarà regolata dai
parametri scritti nel protocollo sul costo del lavoro del
23.07.1993.
Proseguirà nel 2014, naturalmente, anche il blocco delle
retribuzioni per insegnanti e tecnici della scuola e per il
personale non contrattualizzato, cioè docenti universitari,
esercito e magistrati: per questi ultimi, l'indennità
speciale di categoria sarà ridotta del 32% sia nel 2013 sia
nel 2014, dopo il taglio del 25% subito per il 2012 (senza
però effetti previdenziali). Per chi lavora in ambasciate e
istituti di cultura all'estero, viene tagliata del 10%
l'indennità speciale (anche per gli ambasciatori). In ambito
militare, dovranno dire addio ai loro incentivi gli
ufficiali piloti in servizio permanente effettivo e i
controllori del traffico aereo. Per forze armate e polizia,
inoltre, scompare l'indennità di trasferimento per chi viene
spostato in sedi limitrofe per la soppressione del reparto
in cui lavora oggi.
L'ennesimo colpo di freno alla spesa per retribuzioni non
trascura le consulenze. Gli attuali incarichi non potranno
essere rinnovati, e un'eventuale proroga potrà essere
disposta solo per completare un progetto non ancora arrivato
al traguardo per colpe non imputabili al collaboratore.
Anche in questo caso, comunque, il compenso rimarrà quello
stabilito all'inizio. Le consulenze in materia informatica
sono invece abolite, tranne che in «casi eccezionali
adeguatamente motivati» e legati alla «soluzione di problemi
specifici».
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LE RIDUZIONI
Blocco dei contratti
Niente rinnovi contrattuali e aumenti di stipendio
individuale nemmeno nel 2014; scompare l'indennità di
vacanza contrattuale, che potrà tornare solo in riferimento
al 2015-2017. Proseguono anche nel 2014 i tagli del 5% e del
10% alle quote di stipendio superiori a 90mila e 150mila
euro annui
Permessi
Taglio del 50% ai permessi per assistenza ai disabili quando
non dovuti a patologie del dipendente, del coniuge o dei
figli. Rimane la contribuzione figurativa
(articolo Il
Sole 24 Ore del 10.10.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Professioni.
Alla Camera Governo battuto sulle modalità di determinazione
dei compensi: passa la linea della Commissione.
Avvocati, preventivi solo su richiesta. Mazzamuto: «escluso
il ritorno alle tariffe» - Buongiorno: «indipendenza
salvata».
Preventivo solo su richiesta,
possibilità per il Consiglio nazionale forense di esprimere
pareri sulla congruità del compenso, niente socio di
capitale e riserva di consulenza stragiudiziale.
La riforma dell'ordinamento forense fa un passo avanti alla
Camera, con l'esame dei primi 16 articoli e regge senza
perdere pezzi sui punti fondamentali e controversi. A
cominciare dall'articolo 13 sul conferimento dell'incarico e
le tariffe professionali. Sul tema più caldo della riforma
l'avvocatura vince il braccio di ferro con il Governo,
battuto con una votazione che ha bocciato l'emendamento
presentato dall'Esecutivo per chiedere l'abolizione
dell'intero articolo 13.
Un parere contrario che ha indotto il sottosegretario alla
Giustizia Salvatore Mazzamuto a un compromesso per salvare
il salvabile. La scelta, dopo il no all'emendamento del
ministero è stata quella di rimettersi all'Aula, aderendo di
fatto al lavoro fatto dalla Commissione che, se da una parte
esclude il ritorno delle tariffe facendo salvo il principio
della libera determinazione del compenso, dall'altra concede
molto ai desiderata dei legali.
«Dopo la bocciatura del nostro emendamento -spiega il
sottosegretario alla Giustizia Salvatore Mazzamuto- abbiamo
scelto il male minore e deciso di rimetterci all'Aula per
far passare almeno le modifiche fatte dalla Commissione.
Diversamente c'era il rischio che l'articolo 13 restasse
com'era e che venissero ripristinate la tariffe. Il Governo
aveva chiesto la soppressione dell'articolo 13 perché si
tratta di una norma che non si armonizza né con il Dl
professioni né con il decreto parametri. Oggi -conclude il
sottosegretario- è passato "lo statuto speciale" degli
avvocati. Alla categoria sono riconosciute possibilità non
previste per altre professioni».
Dopo il voto della Camera, che molto difficilmente verrà
ribaltato dal Senato, gli avvocati faranno il preventivo
solo su richiesta e potranno usare i parametri come criterio
orientativo nei rapporti con il cliente. Inoltre al
Consiglio nazionale forense sarà consentito esprimere pareri
sulla congruità dei compensi mentre il consiglio dell'ordine
potrà tentare una conciliazione in caso di controversia .
Via libera anche alla riserva di consulenza legale
stragiudiziale, purché vengano rispettate due condizioni:
che si tratti di materie connesse all'attività
giurisdizionale e che venga esercitata in maniera
sistematica, organizzata e continuativa.
Pollice verso dell'aula anche per il socio di puro capitale.
«Il Governo aveva preso atto che la governance non poteva
essere in mano al socio capitalista, ma sono state respinte
anche le altre soluzioni -sottolinea Salvatore Mazzamuto-
per questo ci siamo rimessi all'Aula. Ora i tempi della
delega sono stati ridotti da un anno a sei mesi per restare
dentro la legislatura».
Tempi a cui pensa anche il presidente della commissione
giustizia della Camera Giulia Bongiorno, che respinge al
mittente le accuse di sostenere una legge che tutela
interessi di parte. «La riforma degli avvocati ha un solo
obiettivo: quello di assicurare l'indipendenza della
categoria. L'iter è ancora lungo -spiega Giulia Bongiorno-
ma lavoriamo per portare a casa lo statuto entro la
legislatura».
Soddisfatto ma scaramantico il presidente dell'Oua Maurizio
de Tilla. «Ora c'è il sole speriamo che non piova domani».
Ma sul domani non c'è certezza. Almeno per quanto riguarda
la data per completare l'esame del testo e passare al voto
degli altri emendamenti, fermi per ora all'articolo 16
(articolo Il
Sole 24 Ore
del 10.10.2012). |
ENTI LOCALI: Pubblica
amministrazione. La spesa per i mobili ridotta dell'80%.
Luci spente per le strade e stop all'acquisto di auto.
IMMOBILI/ Nuovo giro di vite: dal 2014 gli acquisti saranno
possibili solo se indispensabili e al «giusto prezzo» deciso
dal Demanio.
La crisi della finanza pubblica arriva a
spegnere l'illuminazione pubblica, almeno a giudicare dalla
bozza della legge di stabilità entrata ieri in Consiglio dei
ministri. Per risparmiare, Regioni e Comuni (ma anche lo
Stato per le aree di sua competenza) dovranno decidere in
quali strade spegnere le luci di notte, in quali prevedere
un'illuminazione «affievolita» e dove invece mantenere il
livello di luce normale.
L'operazione «cieli bui» si inserisce in un nuovo
capitolo di spending review concentrato ancora una
volta sul tema dei «consumi intermedi», già
protagonista del decreto di luglio. Oltre ai lampioni,
finiscono nel mirino gli acquisti e i leasing delle auto
(vietati da ieri), le acquisizioni di immobili, le spese per
arredamento (taglio dell'80%).
L'ennesima stretta si applica a tutte le pubbliche
amministrazioni centrali e periferiche e, più in generale, a
tutti gli enti inseriti nell'elenco Istat per il conto
economico consolidato della Pa. Una platea in cui, ancora
una volta, rischiano di essere coinvolte anche le casse
previdenziali professionali, proprio in queste settimane
impegnate in un braccio di ferro con il Governo
sull'applicabilità delle misure contenute nel decreto estivo
sulla revisione di spesa. In fatto di autovetture di
servizio, la norma è drastica: fino al 31.12.2014, le
pubbliche amministrazioni non potranno più acquistare
automobili o sottoscrivere contratti di leasing.
Le procedure di acquisto avviate fino a ieri, ma non ancora
arrivate al traguardo, sono revocate per legge, e negli enti
territoriali il rispetto di questa regola è condizione
indispensabile per accedere alle risorse del fondo
anti-dissesto appena introdotto dal decreto enti locali.
Esclusi dallo stop alle auto solo forze dell'ordine, vigili
del fuoco e servizi sociali e sanitari (ma in questo caso
solo se l'acquisto riguarda attività necessarie a garantire
i livelli essenziali di assistenza).
Anche sugli immobili, il blocco è quasi totale ma, almeno
secondo le bozze disponibili fino alla tarda serata di ieri,
partirà dal 01.01.2014. Nel nuovo regime, le pubbliche
amministrazioni potranno investire nel mattone solo se il
responsabile del procedimento mette la firma in fondo a un
atto in cui si attesta che l'acquisto è indispensabile e non
può essere differito, e l'agenzia del Demanio certifica
(dietro rimborso spese) che la il prezzo è giusto: nel caso
delle amministrazioni centrali, queste saranno condizioni
indispensabili per ottenere il via libera per decreto da
parte del ministero dell'Economia (introdotto dalla prima
manovra estiva del 2011).
La regola nasce per fermare il gigantismo immobiliare che ha
caratterizzato alcune amministrazioni centrali e non, ma
anche per evitare il ripetersi di vicende controverse come
il «caso di Via della Stamperia», un immobile venduto
per 44 milioni alla cassa psicologi da una società
immobiliare che l'aveva acquistato poche ore prima per 26
milioni.
Sempre nell'ottica di razionalizzazione del patrimonio, un
fondo da 500 milioni nel 2013 e un miliardo dal 2014 servirà
all'Economia per pagare gli affitti di immobili statali
conferiti a fondi immobiliari. La cura non dimentica poi
l'arredamento, che nel 2013 e nel 2014 non potrà assorbire
più del 20% delle risorse dedicate allo stesso scopo nel
2011. I risparmi così ottenuti andranno conferiti al
bilancio dello Stato: salvi da quest'ultimo obbligo enti
vigilati dalle Regioni e dalle Province autonome (ma non le
casse previdenziali).
Chiude il capitolo il rafforzamento dei parametri Consip,
che per gli acquisti di beni e servizi da parte dello Stato
potranno essere derogati solo per contratto
(articolo Il Sole 24 Ore
del 10.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: DECRETO
SALVA ENTI/ Ragionieri in una botte di ferro. Per revocarli
il sindaco dovrà avere l'ok di Viminale e Rgs.
Tecnici garantiti rispetto al potere politico. Dl
oggi in Gazzetta Ufficiale.
Ragionieri degli enti locali in una botte di ferro. Non
saranno più soggetti alle bizze del sindaco di turno e
potranno così sorvegliare la corretta tenuta dei conti senza
temere ritorsioni. Passa anche dal rafforzamento delle
prerogative dei responsabili finanziari di comuni e province
il giro di vite sui controlli contabili introdotto dal
decreto legge n. 173/2012 (c.d. salva-enti) approvato
giovedì scorso dal consiglio dei ministri e che sarà
pubblicato oggi in Gazzetta Ufficiale (n. 236 del
09.10.2012).
Con una norma nuova di zecca che modifica l'art. 109 del
Tuel, il decreto prevede che l'incarico di responsabile
finanziario possa essere revocato esclusivamente in caso di
gravi irregolarità riscontrate nell'esercizio delle funzioni
assegnate. Per mandar via il proprio ragioniere, il sindaco
dovrà emanare un'apposita ordinanza ma solo dopo aver
acquisito il parere obbligatorio del ministero dell'interno
e della Ragioneria generale dello stato. Senza l'ok del
Viminale e di Via XX Settembre i responsabili finanziari
saranno inamovibili e questo consentirà loro una maggiore
serenità nell'esercizio delle proprie funzioni rafforzandone
l'autonomia dal potere politico.
I ragionieri avranno così più voce in capitolo sugli atti
della giunta e del consiglio. D'ora in avanti la regola
generale sarà che su ogni proposta di deliberazione che non
sia mero atto di indirizzo debba essere richiesto il parere
di regolarità tecnica del responsabile del servizio. Ma,
qualora la delibera comporti «riflessi diretti o
indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul
patrimonio dell'ente», dovrà essere acquisito anche il
parere di regolarità contabile del responsabile del servizio
di ragioneria.
Se l'ente non ha in organico i responsabili dei servizi, gli
adempimenti potranno essere svolti dal segretario comunale.
Se intendono discostarsi dal parere, consiglio e giunta
dovranno spiegare il perché dandone «adeguata motivazione
nel testo della deliberazione»
(articolo ItaliaOggi
del 09.10.2012). |
APPALTI: I
chiarimenti delle Entrate. Al debutto la disciplina sulla
responsabilità comune per appaltatore e subappaltatore. Al
via gli appalti «solidali».
Le nuove regole applicate ai pagamenti effettuati da giovedì
prossimo
LA NOVITÀ/ Tra la documentazione da fornire alla controparte
per ottenere lo sblocco dei pagamenti ammessa anche
l'autocertificazione.
Arrivano le prime risposte dell'agenzia
delle Entrate sulle disposizioni che prevedono la
responsabilità solidale dell'appaltatore con il
subappaltatore in caso di omesso versamento dell'Iva e delle
ritenute fiscali da parte di quest'ultimo, oltre a una
pesante sanzione per il committente (si veda Il Sole 24 Ore
del 24 settembre scorso).
Con la
circolare 08.10.2012 n. 40/E
le Entrate affrontano i temi della decorrenza dei nuovi
adempimenti e delle modalità con cui essi possono essere
concretizzati.
L'articolo 13-ter del Dl 83/2012 ha riscritto il comma 28
dell'articolo 35 del Dl 223/2006, prevedendo, in caso di
appalti di opere e servizi la responsabilità solidale
dell'appaltatore con il subappaltatore, con riferimento al
versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e
dell'Iva dovuta dal subappaltatore nell'ambito del rapporto
di subappalto. Questa responsabilità è limitata
all'ammontare del corrispettivo dovuto e, può essere evitata
ottenendo, anteriormente al pagamento del corrispettivo, la
documentazione attestante che i versamenti scaduti sono
stati correttamente eseguiti.
Inoltre, il Dl 83 ha previsto una sanzione amministrativa da
5mila a 200mila euro in capo al committente, nel caso in cui
paghi l'appaltatore che non sia in possesso di questa stessa
documentazione (relativa sia all'appaltatore che a tutti i
subappaltatori). Peraltro, la circolare accenna a una
responsabilità solidale anche di questo soggetto che non
emerge dalla norma.
L'Agenzia riconosce che la disposizione sta generando
difficoltà applicative al punto che, essendo il pagamento
delle prestazioni il momento rilevante ai fini della
responsabilità, il risultato pratico è che "nessuno paga
nessuno".
Il primo punto chiarito è che le nuove disposizioni trovano
applicazione solo per i contratti di appalto o subappalto
stipulati a decorrere dal 12 agosto scorso, relativamente ai
soli pagamenti effettuati a partire dall'11 ottobre prossimo
(60 giorni dall'entrata in vigore, in applicazione dello
Statuto del contribuente). Incidendo sul pagamento del
corrispettivo, la norma potrebbe infatti alterare il
rapporto sinallagmatico relativo ai contratti già stipulati,
che vengono quindi posti fuori dal campo applicativo di
queste disposizioni. L'Agenzia sembra sottovalutare il fatto
che il comma 28 dell'articolo 35 era già stato sostituito
(con una disposizione in parte diversa dall'attuale)
dall'articolo 2, comma 5-bis, del Dl 16/2012, per cui
occorre in qualche modo "sterilizzare" anche il periodo di
vigenza di quella formulazione normativa, altrimenti in
vigore dal 29 aprile all'11 agosto.
Il secondo (e ultimo) aspetto affrontato dalla circolare
riguarda la documentazione da fornire alla propria
controparte per ottenere lo sblocco dei pagamenti, che "può"
(non "deve") consistere nell'asseverazione rilasciata da uno
dei soggetti abilitati previsti dalla norma (commercialisti,
consulenti del lavoro, responsabili Caf). Per cui,
suggerisce la circolare, «si può ammettere il ricorso ad
ulteriori forme di documentazione idonee a tale fine», come,
ad esempio, «una dichiarazione sostitutiva –resa ai sensi
del Dpr 445/2000– con cui l'appaltatore/subappaltatore
attesta l'avvenuto adempimento degli obblighi richiesti
dalla disposizione». Il problema sarà comprendere in che
misura appaltatori e committenti saranno disposti ad
accettare queste autocertificazioni, poiché si ha notizia
che molti contratti sono già stati modificati obbligando
espressamente la controparte alla attestazione resa da
terzi.
Circa il contenuto della dichiarazione sostitutiva (e,
quindi, di riflesso, anche dell'attestazione da parte del
professionista o responsabile Caf), essa deve contenere
l'indicazione: del periodo nel quale l'Iva relativa alle
fatture concernenti i lavori eseguiti è stata liquidata,
specificando se dalla liquidazione è scaturito un versamento
di imposta, ovvero se in relazione alle fatture oggetto del
contratto è stato applicato il regime dell'Iva per cassa
oppure la disciplina del reverse charge; del periodo
nel quale le ritenute sui redditi di lavoro dipendente sono
state versate, mediante scomputo totale o parziale; degli
estremi del modello F24 con il quale i versamenti dell'Iva e
delle ritenute non scomputate, totalmente o parzialmente,
sono stati effettuati; infine, dell'affermazione che l'Iva e
le ritenute versate includono quelle riferibili al contratto
di appalto/subappalto per il quale la dichiarazione viene
resa.
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Le questioni aperte
01 | L'AMBITO OGGETTIVO
Sulle nuove
disposizioni che prevedono la responsabilità solidale
dell'appaltatore con il subappaltatore in caso di omesso
versamento dell'Iva e delle ritenute fiscali dovrà essere
chiarito l'ambito oggettivo, che, oltre all'appalto di opere
e servizi, coinvolge anche quelli "di forniture",
accezione che necessita di un approfondimento
02 | IL PROFESSIONISTA
Se è chiaro che la mendace attestazione del subappaltatore
(o dell'appaltatore) determina l'applicazione delle sanzioni
previste dal Dpr 445/2000, occorre comprendere quando e cosa
rischia il professionista che rilascia una attestazione che
poi si rivela non corretta. Quali sono i controlli che vanno
esercitati? Come può essere assicurato il rischio derivante
da questa prestazione?
Va sottolineato che dalla circolare si comprende come
l'attestazione vada rilasciata anche quando l'obbligo dei
versamenti Iva non è mai sorto (reverse charge o Iva
per cassa), con una specie di "attestazione in negativo",
che potrebbe forse essere utilizzata anche quando si tratta
del primo pagamento non preceduto da fattura.
03 | LA LISTA DEI DIPENDENTI
Infine, la circolare, analizzando il contenuto della
dichiarazione da rilasciare, non fa menzione degli estremi
dei dipendenti che hanno lavorato nell'appalto/subappalto
considerato, ma è chiaro che una qualche forma di verifica
sulla lista nominativa da parte di chi deve rendere
l'attestazione è del tutto prevedibile
(articolo Il Sole 24 Ore
del 09.10.2012). |
APPALTI SERVIZI: Stop
nelle Regioni prive dei bacini. Servizi pubblici,
affidamenti solo in ambiti ottimali.
ENTRO FINE ANNO/ Le gestioni in house devono essere motivate
da una relazione pubblicata su Internet con le ragioni della
scelta.
Rischio-blocco per gli affidamenti di servizi pubblici nelle
Regioni che non hanno ancora costruito gli ambiti
territoriali ottimali chiesti dalla manovra-bis del 2011.
Il decreto crescita approvato la scorsa settimana al
Consiglio dei ministri torna a intervenire sui servizi
pubblici locali, rilanciando le "liberalizzazioni"
sopravvissute alla sentenza 199/2012 con cui la Corte
costituzionale ha cancellato a luglio le norme-fotocopia
(articolo 4 del Dl 138/2011) di quelle bocciate dai
referendum nel giugno 2011.
Per raggiungere l'obiettivo, il decreto prevede che nel caso
di servizi a rete a rilevanza economica gli affidamenti
siano «effettuati unicamente» dagli enti di governo
istituiti per gestire i bacini territoriali ottimali.
Problema: enti locali e Regioni avrebbero dovuto disegnare i
confini degli ambiti fin dal 30 giugno scorso, come indicato
dall'articolo 3-bis dello stesso Dl 138, ma in molti
territori l'individuazione dei bacini è lontana dal
traguardo, e in qualche caso non è nemmeno partita. In
questi casi, di conseguenza, diventerebbe impossibile
effettuare gli affidamenti, sia con gara sia in house.
Il quadro è articolato: tra le Regioni più avanti va citata
l'Emilia Romagna, che ha riunito i nove vecchi Ato
provinciali in un'agenzia unica, o il Veneto che a fine
settembre ha ridisegnato l'igiene urbana. In altre realtà è
stata avviata la costruzione degli ambiti, ma gli enti di
governance non sono ancora pronti (è il caso del
Piemonte), mentre altre Regioni non hanno nemmeno avviato la
macchina. La prospettiva, quindi, rischia di essere quella
di un blocco generalizzato degli affidamenti, superabile
solo se si tagliano drasticamente i tempi per la creazione
degli ambiti e dei loro organi di governo.
Sul fronte vero e proprio delle liberalizzazioni, invece, il
nuovo decreto non esce dai binari tracciati dalla Consulta
nella sentenza che ha cancellato i limiti all'in house. La
bussola per gli affidamenti diretti resta quella delle
regole Ue, che aprono questa strada solo se la società
affidataria è interamente pubblica, lavora in prevalenza con
l'ente affidante ed è soggetta a un controllo analogo a
quello che l'ente garantisce sui propri uffici.
Il decreto si limita ad aggiungere il tassello della
trasparenza, prevedendo che tutti gli affidamenti di questo
tipo siano accompagnati da una relazione da pubblicare sul
sito Internet dell'ente affidante in cui si dia conto delle
ragioni della scelta per l'in house e di eventuali
compensazioni economiche. Per gli affidamenti già attivi la
relazione va pubblicata entro fine anno.
Un'ultima novità riguarda gli affidamenti diretti a società
già quotate in Borsa al 01.10.2003: se i contratti non hanno
scadenza, decadranno automaticamente dal 31.12.2020
(articolo Il
Sole 24 Ore
del 09.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
VARI: IL
DECRETO CRESCITA/ Il decreto varato dal Consiglio
dei ministri. Le comunicazioni giudiziarie viaggiano solo
online. Start up, p.a. digitale, fallimenti Ecco la ricetta
per la crescita.
Infrastrutture e servizi digitali, agevolazioni per le nuove
imprese innovative, interventi di liberalizzazione in
particolare in campo assicurativo sulla responsabilità
civile auto, fallimenti telematici, procedura ad hoc per
risolvere la situazione di sovraindebitamento del
consumatore meritevole.
Queste le principali misure
introdotte dal decreto crescita, approvato giovedì scorso
dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dello
sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti.
Vediamo le norme nel dettaglio.
Agenda digitale. Con l'applicazione dell'agenda digitale, il
governo punta ad aumentare i servizi on-line per i
cittadini, che potranno avere un unico documento
elettronico, valido anche come tessera sanitaria, attraverso
il quale rapportarsi con la p.a. Via libera anche alle
ricette mediche digitali, al fascicolo universitario
elettronico, all'obbligo per la p.a. di comunicare
attraverso la posta elettronica certificata e di pubblicare
online i dati in formato aperto e riutilizzabile da tutti.
Viene inoltre integrato il piano finanziario necessario
all'azzeramento del divario digitale per quanto riguarda la
banda larga (150 milioni stanziati per il centro nord, che
vanno ad aggiungersi alle risorse già disponibili per il
Mezzogiorno per banda larga e ultralarga, per un totale di
750 milioni di euro).
È introdotto poi l'obbligo per le
amministrazioni pubbliche di accettare pagamenti in formato
elettronico, a prescindere dall'importo della singola
transazione. I soggetti che effettuano attività di vendita
di prodotti e di prestazione di servizi, anche
professionali, saranno inoltre tenuti, dal 01.01.2014,
ad accettare pagamenti con carta di debito (per esempio,
bancomat).
Giustizia digitale. Il decreto crescita introduce poi delle
disposizioni per snellire modi e tempi delle comunicazioni e
notificazioni giudiziarie. In particolare, nei procedimenti
civili tutte le comunicazioni e notificazioni a cura delle
cancellerie o delle segreterie degli uffici giudiziari
verranno effettuate esclusivamente per via telematica.
Modificata poi la legge fallimentare. Attraverso l'uso della
pec e di tecnologie online, le comunicazioni dei momenti
essenziali della procedura fallimentare avverranno per via
telematica.
Tra questi: a) la presentazione del ricorso per
la dichiarazione di fallimento; b) le comunicazioni ai
creditori da parte del curatore; c) la presentazione della
domanda di ammissione al passivo da parte dei creditori. Per
quanto riguarda l'amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in crisi, la disposizione concernerà il flusso di
comunicazioni tra curatore e creditori (nel fallimento) e
tra commissario giudiziale o liquidatore e creditori (nel
concordato preventivo) e tra commissario liquidatore e
creditori (nella liquidazione coatta amministrativa).
Impresa innovativa. Per le start up vengono messi subito a
disposizione circa 200 milioni di euro, tra i fondi
stanziati dal decreto sotto forma di incentivi e fondi per
investimento messi a disposizione dalla Fondo italiano
investimenti della Cassa depositi e prestiti. Il decreto
definisce anche l'incubatore certificato di imprese start up
innovative, qualificandolo come una società di capitali di
diritto italiano, o di una societas europaea, residente in
Italia, che offre servizi per sostenere la nascita e lo
sviluppo di start up innovative.
Viene infine istituita
un'apposita sezione del registro delle imprese con
l'iscrizione obbligatoria per le start up innovative e gli
incubatori certificati così da garantirne la massima
pubblicità e trasparenza
(articolo ItaliaOggi Sette
dell'08.10.2012). |
ENTI LOCALI -
VARI: Doppia
mossa sui pagamenti tracciabili.
Con due mosse il Governo mette sotto scacco l'uso del
contante e incentiva il ricorso a strumenti elettronici per
monitorare il regolamento delle transazioni commerciali.
I
provvedimenti emanati nelle ultime settimane, infatti,
intervengono in modo sempre più deciso per imporre la
tracciabilità dei pagamenti, da una parte, razionalizzando e
inasprendo il sistema sanzionatorio connesso all'uso del
contante, degli assegni e dei libretti al portatore e,
dall'altra, imponendo specifici obblighi a pubbliche
amministrazioni, a gestori di servizi pubblici e, più in
generale, a imprese e professionisti per consentire ai
cittadini l'utilizzo di carte di debito, di credito e di
altri strumenti elettronici di pagamento. Tutto questo allo
scopo chiaramente dichiarato di rafforzare i presidi di
lotta all'evasione fiscale e di monitorare in modo
tempestivo la formazione della spesa pubblica e privata.
Limiti e sanzioni
Il quadro normativo sull'utilizzo del contante, degli
assegni bancari e postali e dei libretti al portatore si
arricchisce di un ulteriore tassello che prevede per i
cambiavalute una nuova soglia e rivisita il sistema
sanzionatorio collegato all'articolo 49 del Dlgs 231/2007
(si veda la tabella pubblicata sotto). In particolare, con
il Dlgs 169 del 19 settembre 2012 (pubblicato sulla Gazzeta
n. 230 del 2 ottobre 2012), che integra le regole imposte
nel 2010 al credito al consumo, relativamente ai
cambiavalute, prevede che la negoziazione a pronti di mezzi
di pagamento in valuta abbia, in luogo del limite ordinario
di mille euro previsto per il trasferimento in contanti tra
privati, la soglia di 2.500 €.
Al contrario, per quanto riguarda le sanzioni l'articolo 18
il decreto legislativo prevede una razionalizzazione del
sistema e un innalzamento delle sanzioni pecuniarie per i
libretti di deposito bancari o postali al portatore con
importo saldo pari o superiore ad euro mille la nuova soglia
va da un minimo del 30 a un massimo del 40% (tale sanzione
per i libretti al portatore si applica anche per la mancata
estinzione al 31 marzo 2012 o per la mancata riduzione del
saldo o nel caso di trasferimento dei libretti qualora sia
stata omessa la comunicazione da parte del cedente alla
banca o alle Poste italiane entro il termine di 30 giorni).
Ulteriore intervento ha riguardo alla determinazione
dell'importo della sanzione amministrativa pecuniaria minima
applicabile che viene determinato in 3mila euro per tutte le
violazioni relative a contante, assegni e libretti al
portatore. Solo per i libretti al portatore se il saldo è
inferiore a 3mila euro la sanzione è pari al saldo.
Pagamenti elettronici
Sul versante dei pagamenti il Governo propone un'estensione
del ricorso a strumenti tracciabili rendendo obbligatori per
le pubbliche amministrazioni, per gli enti erogatori di
servizi pubblici, per imprese e professionisti l'adozione di
procedure che consentano all'utenza di regolare le singole
transazioni, almeno con la carta di debito. Sotto questo
profilo la prima misura messa in campo dal Governo è
prevista nel Dl 158/2012 ("Decreto Sanità") con cui si
impone che il pagamento di prestazioni sanitarie di
qualsiasi importo a enti o aziende del sevizio sanitario
debba essere fatto con mezzi di pagamento tracciabili. A
questo si aggiunga che per le stesse prestazioni sanitarie
erogate da studi professionali in rete il titolare dello
studio deve acquisire la necessaria strumentazione (a
esempio collegamento Pos) entro il 30.04.2013.
Sempre in materia di pagamenti tracciabili, altre novità
vengono ora dal Decreto sviluppo con cui il governo impone
alle pubbliche amministrazioni, alle società interamente
partecipate da enti pubblici o con prevalente capitale
pubblico, nonché ai gestori di servizi pubblici l'obbligo
nei confronti dell'utenza di accettare i pagamenti ad essi
spettanti anche con l'uso delle tecnologie dell'informazione
e della comunicazione. In pratica, la nuova norma dispone
che i predetti soggetti debbano consentire all'utenza di
utilizzare per i pagamenti, oltre al bonifico bancario o
postale, anche le carte di debito, di credito, le carte
prepagate ovvero, anche se questa possibilità è condizionata
all'emissione di un apposito decreto, telefoni cellulari o
altri supporti elettronici mobili. Per quanto riguarda,
infine, le imprese e i professionisti lo stesso decreto
dispone che dal 01.01.2014 tutti i soggetti che effettuano
la vendita di prodotti o l'erogazione di servizi anche
professionali, sono tenuti a accettare pagamenti effettuati
attraverso carte di debito (Bancomat)
(articolo Il Sole 24 Ore
dell'08.10.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA
PRIVATA: Ambiente.
Le novità previste dal Dm 161/2012
Via libera al riutilizzo delle terre da scavo derivanti dai
cantieri.
In vigore il regolamento che consente di impiegare i residui
come «sottoprodotti».
Dopo la pausa del fine settimana, oggi la riapertura dei
cantieri si svolge all'insegna di una grande novità:
l'applicazione del Dm 10.08.2012, n. 161 (in vigore da
sabato 6 ottobre). Si tratta del regolamento che detta la
disciplina dell'utilizzo delle terre e rocce da scavo che –se gestite a particolari condizioni- sono considerate
sottoprodotti da riutilizzare anziché semplici rifiuti da
portare in discarica. Una disciplina attesa da molto tempo.
Da sabato scorso è abrogato l'articolo 186 del Codice
ambientale, come previsto dall'articolo 49, legge 27/2012.
Tuttavia, per i progetti con una procedura in corso ai sensi
dell'articolo 186, entro il 4 aprile 2013, sarà possibile
presentare il piano di utilizzo previsto dal nuovo
regolamento, al fine di poter godere del particolare regime
di favore ora introdotto (articolo 15). Altrimenti, senza il
piano, i progetti saranno terminati secondo la procedura
prevista dall'abrogato articolo 186. L'autorità competente è
quella che autorizza la realizzazione dell'opera o, a
seconda dei casi, quella che concede la Via o l'Aia.
Anche se nel titolo si riferisce alle terre e rocce da
scavo, il regolamento ha una portata ben più vasta poiché
(articolo 3) si applica alla gestione dei materiali da scavo
cioè suolo o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto,
derivanti dalla realizzazione di un'opera. Ad esempio, il
decreto cita: scavi in genere (sbancamento, fondazioni,
eccetera); perforazione, trivellazione, palificazione,
consolidamento; opere infrastrutturali in generale
(galleria, diga, strada, eccetera); rimozione e livellamento
di opere in terra; materiali litoidi in genere provenienti
da escavazioni effettuate negli alvei, sia dei corpi idrici
superficiali che del reticolo idrico scolante, in zone
golenali dei corsi d'acqua, spiagge, fondali lacustri e
marini; residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi,
graniti, pietre, eccetera) anche non connessi alla
realizzazione di un'opera e non contenenti sostanze
pericolose (quali ad esempio flocculanti con acrilamide o
poliacrilamide).
I materiali da scavo possono contenere, sempreché la
composizione media dell'intera massa non presenti
concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti massimi
previsti dal presente regolamento, anche i seguenti
materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (Pvc),
vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo
meccanizzato. Il regolamento, invece, non si applica ai
rifiuti provenienti dalla demolizione degli edifici o di
altri manufatti preesistenti.
Il materiale da scavo può essere un sottoprodotto solo se
rispetta una serie di condizioni, tra le quali:
- deve essere generato durante la realizzazione dell'opera;
- deve essere riutilizzato nel l'esecuzione della stessa o
di un'altra opera.
In ogni caso, il materiale non deve subire alcun ulteriore
trattamento diverso dalla normale pratica industriale (i
criteri sono indicati nell'allegato III) e deve soddisfare i
requisiti di qualità ambientale presenti nell'allegato IV.
Il piano di utilizzo del materiale da scavo è fondamentale
poiché è il documento che prova la sussistenza delle
condizioni che il nuovo regolamento richiede affinché il
materiale passi dallo status giuridico di rifiuto a quello
di sottoprodotto. L'allegato VI reca lo schema dello
specifico documento di trasporto mentre l'avvenuto utilizzo
del materiale è attestato con la dichiarazione di cui
l'allegato VII.
La nuova disciplina è sicuramente più favorevole alle
imprese rispetto al pregresso sistema. La corte di
Cassazione, però, con sentenza 31.08.2012, n. 33577 ha
ritenuto che l'articolo 186 Codice ambientale ha natura di
«norma temporanea»; quindi, ai sensi dell'articolo 2 del
Codice penale, la relativa disciplina si applica «in ogni
caso» ai fatti commessi nella vigenza della normativa in
materia di terre e rocce da scavo. Per la Cassazione «non
sarebbe, infatti, possibile attribuire la qualifica di
sottoprodotto a determinati materiali sulla base di
disposizioni amministrative» che erano inesistenti all'epoca
della loro produzione.
----------------
I riporti. Semplificazione da potenziare.
Alle Pmi conviene trattare i materiali come «rifiuti».
Il regolamento 161/2012 era atteso da tempo in molti grandi
cantieri italiani: dalla variante di valico all'Expo
milanese, dall'alta velocità di Firenze alla Torino-Lione e
così via. Tuttavia, se per i grandi cantieri il complesso
sistema che ne deriva può essere attuato abbastanza
facilmente, le piccole imprese potrebbero, invece, avere più
di un problema (anche per il trasporto) e potrebbero
ritenere più conveniente continuare a trattare i materiali
come rifiuti.
Il Dm 161/2012 abbozza anche una disciplina dei materiali di
riporto di origine antropica –derivanti da scavo, da
demolizioni e così via– che si possono presentare frammisti
a suolo e sottosuolo. È quello dei riporti, dall'avvento del
Codice ambientale, uno dei principali problemi dei cantieri
italiani. La recente interpretazione autentica di cui
all'articolo 3, legge 28/2012 li qualifica come matrici
ambientali al pari del suolo.
Secondo il nuovo regolamento i
riporti, se frammisti al terreno naturale in quantità fino
al 20% in massa (ma il decreto nulla dispone in ordine a
come debbano essere effettuate le misurazioni, rendendosi
sul punto quasi inutile) sono considerati alla stregua del
terreno naturale e gestiti con il piano di utilizzo. Invece,
la quota di riporti in esubero rispetto al 20%, in assenza
di una precisa indicazione in tal senso nell'ambito del
nuovo Dm, potrebbe essere considerata come rifiuto; semmai,
gestibile come sottoprodotto nel rispetto dell'articolo
184-ter, comma 1, Codice ambientale (assai più gravoso e
incerto rispetto al sistema del piano di utilizzo). Ferma
restando la singolarità di tale disposizione, resta comunque
il problema di capire se essa si applichi solo ai riporti
che escono dal cantiere oppure anche a quelli che rimangono
al suo interno (articolo 185, comma 1, lettere b) e c) del
Codice ambientale), i quali, a rigore, in quanto assimilati
al "suolo", ove contaminati, sono oggetto di bonifica.
Tale distinzione sarebbe quantomai opportuna per evitare un
inutile quanto dannoso spostamento di tali materiali in giro
per l'Italia (e non solo) nei casi in cui i materiali di
riporto siano destinati, ove necessario previa bonifica, a
rimanere in sito e in tal caso (in quanto assimilati al
suolo) già esclusi dalla definizione di rifiuto. Di entrambe
le problematiche, il Governo sembra essersi reso conto; e
infatti, nel disegno di legge sulle semplificazioni che
l'Esecutivo sta predisponendo sono previsti appositi
articoli per risolvere oltre al problema dei cantieri di
piccola dimensione (cioè quelli ove la produzione di
materiale non superi i 6mila metri cubi) anche quello della
corretta disciplina dei riporti.
Quelli che restano nel cantiere (articolo 185, comma 1,
lettere b) e c) Codice ambientale con ciò superando anche il
nuovo regolamento) sarebbero da considerare come "suolo" a
prescindere dalle percentuali di materiale frammisto, mentre
la soglia del 20% prevista dal nuovo Dm 161/2012
continuerebbe ad applicarsi solo ai materiali di riporto
destinati a essere recapitati fuori dal cantiere (articolo
185, comma 4, Codice ambientale)
(articolo Il Sole 24 Ore
dell'08.10.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Servizi
finanziari, più poteri al «capo».
LE SANZIONI/
La mancata approvazione del bilancio nei termini fa scattare
lo scioglimento automatico del Consiglio comunale.
L'incarico di responsabile del servizio finanziario può
essere revocato esclusivamente per gravi irregolarità e
previo parere obbligatorio dei ministeri dell'Interno e
dell'Economia.
A riportare al centro dell'attenzione questa
figura è il
decreto legge salva-enti locali, che fa rientrare il
suo rafforzamento nell'ampia girandola di modifiche, mosse
soprattutto dalla preoccupazione di garantire la tenuta
degli equilibri del bilancio di tipo contabile. Tutto ciò va
ad aggiungersi alle novità inizialmente annunciate per il
provvedimento relative alla correzione del taglio di risorse
di 500 milioni per l'anno 2012 e alla nuova scadenza del
riequilibrio.
I compiti del responsabile del servizio finanziario
(articolo 153 del Dlgs 267/2000) sono estesi alla
salvaguardia degli equilibri finanziari e dei vincoli di
finanza pubblica, rispetto ai quali è ribadito che agisce in
autonomia. Qualora la gestione sia tale da pregiudicare gli
equilibri di bilancio, la segnalazione obbligatoria andrà
indirizzata anche alla Corte dei conti.
Il parere di regolarità contabile del responsabile di
ragioneria (articolo 49 del Tuel) diventa necessario su
tutti gli atti che comportano «riflessi diretti o indiretti
sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio del
l'ente» (non più solo per atti con impegno di spesa o
diminuzione di entrata). Sempre in tema di pareri, è
introdotto l'obbligo di motivazione per la Giunta e il
Consiglio nei casi in cui la delibera non si conformi agli
stessi.
Nell'ambito della riscrittura dei controlli interni è
inoltre assegnato alla direzione e al coordinamento del
responsabile del servizio finanziario il nuovo «controllo
sugli equilibri finanziari», che deve abbracciare anche la
valutazione degli effetti generati, sul bilancio finanziario
dell'ente locale, dagli andamenti economico-finanziari degli
organismi gestionali esterni.
Le ulteriori novità all'ordinamento contabile introducono
vincoli aggiuntivi per gli enti che si trovano in
anticipazione di cassa o che utilizzano entrate vincolate:
devono prevedere un fondo di riserva pari almeno allo 0,45%
(invece che lo 0,30%) delle spese correnti e non possono
utilizzare l'avanzo di amministrazione.
Tutti gli enti locali devono riservare la metà della quota
minima del fondo di riserva alla copertura di eventuali
spese non prevedibili. I lavori pubblici di somma urgenza
passano all'approvazione del Consiglio con le modalità
previste dall'articolo 194 del Tuel.
Finalmente è introdotta la sanzione dello scioglimento del
Consiglio per la mancata approvazione del rendiconto nei
termini di legge, correggendo il diverso trattamento
rispetto al preventivo. Inoltre, la tabella dei parametri di
deficitarietà va allegata al rendiconto e non al
certificato.
Per il 2012, infine, arrivano la rivisitazione del taglio
delle risorse e il posticipo al 30 novembre del termine per
la salvaguardia degli equilibri, insieme all'assestamento
(articolo Il Sole 24 Ore
dell'08.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - ENTI LOCALI: Trasparenza.
Risultati e indicatori on-line.
Nasce il «Pira»: i bilanci diventano più leggibili.
Le amministrazioni pubbliche devono rappresentare in modo
più semplice e comprensibile i risultati della propria
attività, anche quella contabile. Il Dpcm 18.09.2012
detta le linee guida per individuare criteri e metodologie
per costruire un sistema d'indicatori e misurare i risultati
attesi dai programmi di bilancio. Il Dpcm si applica alle Pa
di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 196/2009 (il
cosiddetto elenco Istat) con l'esclusione di Regioni, enti
locali e loro enti strumentali ed enti del servizio
sanitario.
Il «Piano degli indicatori e risultati attesi di bilancio»
(Pira) deve essere elaborato dalle Pa diverse dalle
amministrazioni statali. L'articolo 5, comma 4, del Dpcm
prevede che il Pira, per lo Stato, corrisponda alle note
integrative ex articolo 21, comma 11, e 35, comma 2, della legge
196/2009.
Il Pira deve illustrare sia gli obiettivi perseguiti dai
programmi di spesa in termini di livello, copertura e
qualità dei servizi, sia le finalità ultime che gli stessi
perseguono per la collettività ed il sistema economico di
riferimento.
I programmi di spesa sono le unità di bilancio che
identificano in modo sintetico gli aggregati omogenei di
attività realizzate dalla Pa per il perseguimento delle
finalità di ciascuna missione. La struttura per missioni e
programmi (unità di voto della parte spesa del bilancio di
tutte le Pa, a seguito dell'armonizzazione dei sistemi
contabili) è propedeutica all'attuazione del Dpcm.
Il Pira deve indicare per ogni programma una descrizione
sintetica degli obiettivi, il periodo di riferimento per la
sua realizzazione e gli indicatori che consentano di
misurare e monitorare la realizzazione di ciascun obiettivo.
Oltre ai programmi, i principali elementi del Pira (articolo
4), sono:
- gli obiettivi che la Pa si prefigge;
- i portatori di interesse, ossia gli individui e i gruppi
che possono influenzare o essere influenzati dal
raggiungimento o meno degli obiettivi della Pa, distinti in
cittadini, utenti e contribuenti;
- i valori preventivi (attesi) degli indicatori e quelli
effettivamente conseguiti;
- le risorse finanziarie impiegate;
- la fonte dei dati del sistema;
- le unità di misura utilizzate per gli indicatori.
Il Pira deve essere annualmente elaborato in via
programmatica e allegato al bilancio di previsione e deve
esporre il contenuto dei programmi di spesa insieme a
informazioni sintetiche sui principali obiettivi da
realizzare.
A consuntivo deve essere redatto il rapporto sui risultati,
allegato al rendiconto, che deve illustrare il conseguimento
o meno dei risultati e le cause di eventuali scostamenti.
Il Pira e il rapporto consuntivo devono avere la massima
pubblicità anche mediante pubblicazione sul sito della Pa
(articolo 7). Il fine del Dpcm è chiaro, condivisibile e
coerente con il percorso di omogeneizzazione dei bilanci
pubblici, che tende a rendere fruibili anche a soggetti
esterni al sistema le relative informazioni. Si è voluto
affiancare ai bilanci classici dei documenti sintetici che
li rendano comprensibili, in termini di obiettivi e risorse
anche a un pubblico ampio (articolo Il Sole 24 Ore
dell'08.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
TRIBUTI: Il
passaggio. Uffici sotto pressione per le necessarie
verifiche incrociate con il Catasto.
Gestione più difficile rispetto a Tia e Tarsu.
LE LACUNE/
Disciplinati solo i pagamenti non la riscossione Enti al
bivio tra la gestione interna e l'affidamento in appalto.
Tra meno di tre mesi entra in vigore il nuovo tributo sui
rifiuti e sui servizi previsto dall'articolo 14 del Dlgs
201/2011, in attuazione della normativa sul federalismo
fiscale. La Tares è destinata a sostituire definitivamente
la Tarsu, la Tia 1 e la Tia 2, ma prevede anche, per la
copertura dei costi dei servizi indivisi dei Comuni, una
maggiorazione di 0,30 centesimi per mq. di superficie
imponibile. La tariffa della maggiorazione può essere
aumentata dal Comune sino a 0,40 centesimi, ma l'entrata
relativa, a tariffa base, viene incamerata dallo Stato con
una riduzione equivalente del Fsr (fondo sperimentale di
riequilibrio).
L'aspetto più critico del nuovo tributo è tuttavia
costituito da alcune prescrizioni che ne rendono difficile
l'applicazione e che dovrebbero essere corrette per tempo
per evitare una partenza caotica.
Ad esempio, la superficie imponibile della Tares, per gli
immobili a destinazione ordinaria (categorie catastali A, B
e C) è costituita dall'80% della superficie catastale (anche
se questa dovesse essere superiore a quella accertata),
mentre per gli altri fabbricati (categorie D ed E) e le aree
è costituita dalla superficie calpestabile. Questo fatto,
oltre a creare una evidente disparità di trattamento, crea
notevoli problemi gestionali.
Infatti la norma costringe tutti i Comuni a incrociare con i
dati catastali quelli relativi alla Tarsu/Tia, con esiti
facilmente ipotizzabili, sia sul carico di lavoro che sul
contenzioso. Tra l'altro la norma prevede che in assenza,
nella banca dati catastale, del dato della superficie, si
applichi una superficie convenzionale (comunque calcolata
dall'agenzia del Territorio), con pagamento del tributo in
acconto, con un conguaglio non appena il dato relativo alla
superficie sarà acquisito. In questo modo si
costringerebbero i Comuni a gestire per anni pagamenti in
acconto e saldo.
La norma non prevede poi le modalità di riscossione della
Tares, limitandosi a regolare i versamenti. Il fatto che
vengano previste quattro rate e fissate le date di scadenza,
modificabili sia nel numero che nella scadenza da parte del
regolamento comunale, sembrerebbe ipotizzare una riscossione
con autoliquidazione, con una modifica sostanziale rispetto
a Tarsu e Tia, che si basavano sull'iscrizione a ruolo
volontario che si estrinsecava nell'invio di un avviso
bonario con la liquidazione del tributo e solo una
successiva notifica della cartella. I Comuni dovranno
comunque prevedere nel loro regolamento come intendono
riscuotere il nuovo tributo. L'attività di accertamento e
riscossione non potrà comunque, tranne forse nel caso di
azienda in house, essere affidata al soggetto gestore del
servizio di nettezza urbana. I Comuni dovranno, entro il
primo gennaio 2013, reinternalizzare il servizio, con tutti
i problemi di personale e di risorse, o riaffidarlo
all'esterno. E i gestori si troveranno con personale e
un'organizzazione inutilizzati.
Un'altra criticità è che le tariffe sono determinate in base
al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti
urbani, redatto dal gestore «ed approvato dall'autorità
competente». Ma nessuna altra norma fissa quale sia questa
autorità competente con il rischio di un ampio contenzioso
(articolo Il Sole 24 Ore
dell'08.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
aggiornamento all'08.10.2012 |
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ENTI LOCALI: DECRETO
SALVA ENTI/ Non soltanto sindaci, presidenti e assessori nel
mirino del dl. La tagliola anche sui revisori.
Niente incarichi per 10 anni a chi contribuisce al dissesto.
Anche i revisori che contribuiranno al dissesto degli enti
sui quali avrebbero dovuto vigilare incapperanno in pesanti
conseguenze, che nei casi estremi potranno arrivare a un
divieto decennale di assumere nuovi incarichi.
Non ci sono solo sindaci, presidenti e assessori nel mirino
delle misure anti-dissesto varate dal governo nel decreto
sulla finanza locale.
Certo, a fare notizia sono soprattutto le sanzioni previste
per i politici, ma la mannaia potrebbe colpire duro anche i
professionisti.
Qualora, infatti, a seguito della dichiarazione di dissesto,
la Corte dei conti accerti gravi responsabilità nello
svolgimento dell'attività del collegio dei revisori, o
ritardata o mancata comunicazione, secondo le normative
vigenti, delle informazioni, i relativi componenti
riconosciuti responsabili in sede di giudizio contabile non
potranno più essere nominati nel collegio dei revisori degli
enti locali e degli enti e organismi agli stessi
riconducibili fino a dieci anni, in funzione della gravità
accertata.
La Corte dei conti, inoltre, trasmetterà l'esito
dell'accertamento anche all'ordine professionale di
appartenenza per valutazioni inerenti all'eventuale avvio di
procedimenti disciplinari, nonché al ministero dell'interno
per la conseguente sospensione dall'elenco di cui
all'articolo 16, comma 25, del dl 138/2011. Ai revisori
distratti, infine, le sezioni giurisdizionali regionali
della magistratura contabile potranno irrogare una sanzione
pecuniaria pari a un minimo di cinque e fino a un massimo di
20 volte la retribuzione dovuta al momento di commissione
della violazione.
Sanzioni analoghe colpiranno i politici che verranno
riconosciuti dalla Corte dei conti, anche in primo grado,
responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o
gravemente colpose, sia omissive che commissive, al
verificarsi del dissesto. Essi non potranno ricoprire, per
un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di
revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di
enti locali presso altri enti, istituzioni e organismi
pubblici e privati.
I sindaci e i presidenti di provincia,
inoltre, non saranno candidabili, per un periodo di dieci
anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia,
di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei
consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee
e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento
europeo. Essi non potranno neppure ricoprire per un periodo
di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale,
provinciale o regionale, né alcuna carica in enti vigilati o
partecipati da enti pubblici. Anche per loro, infine, è
prevista una sanzione pecuniaria pari a un minimo di cinque
e fino a un massimo di 20 volte la retribuzione dovuta al
momento di commissione della violazione.
A ben vedere, misure analoghe erano già contenute nel
decreto «premi e sanzioni» (dlgs 149/2011), adottato
nell'ambito del federalismo fiscale.
Le nuove disposizioni, tuttavia, si inseriscono in un
contesto normativo decisamente cambiato. Il legislatore,
infatti, ha previsto nuovi strumenti volti a prevenire
l'emersione di nuovi casi di dissesto. In particolare, verrà
attivato un fondo rotativo a favore degli enti locali alle
prese con gravi criticità finanziarie, purché si impegnino a
definire un rigoroso piano pluriennale di riequilibrio, da
implementare sotto la stretta vigilanza di Viminale e
(soprattutto) della magistratura contabile.
Il piano dovrà essere accompagnato da un parere dell'organo
di revisione economico-finanziaria.
L'introduzione di simili meccanismi, ovviamente, non potrà
che aggravare la posizione di coloro che (amministratori o
revisori) continueranno a chiudere gli occhi sulle
problematiche contabili e finanziarie più rilevanti, nel
momento in cui queste esploderanno, come recentemente
avvenuto in non pochi comuni. In tali casi, il rischio di
incappare nelle pesanti sanzioni sopra ricordate diventa
sempre più elevato
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Regioni, controlli più duri che in comune.
Si stringe la morsa intorno alle regioni, che vengono a
assoggettate ad obblighi e controlli persino più stringenti
di quelli imposti agli enti locali.
Il dl approvato dal governo rafforza decisamente le
prerogative della Corte dei conti e impone una dieta
sostanzialmente obbligatoria per i costi della politica, con
il recupero delle misure già previste dal dl 138/2011 (quasi
tutte rimaste inattuale malgrado una pronuncia favorevole
della Consulta) e la previsione di ulteriori potature.
I controlli
Sul primo versante, viene reintrodotto il controllo
preventivo di legittimità sui principali atti regionali di
spesa, affidandolo alle sezione regionali di controllo della
magistratura contabile. Ma soprattutto, si prevede che
queste ultime verifichino ex ante l'attendibilità dei
bilanci di previsione proposti dalle giunte ai consigli, in
relazione alla salvaguardia degli equilibri contabili, al
rispetto del Patto di stabilità interno e alla sostenibilità
dell'indebitamento. Qualora siano accertati comportamenti
difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato
rispetto degli obiettivi di Patto, le sezioni regionali
adottano specifica pronuncia e vigilano sull'adozione, da
parte della regione, delle necessarie misure correttive e
sul rispetto dei vincoli e limitazioni ad essa imposte. A
completare il cerchio, viene disposto che i rendiconti
generali delle regioni siano sottoposti a giudizio di
parifica con modalità analoghe a quelle previste per il
bilancio consuntivo statale.
Previsti, poi, controlli semestrali, rispettivamente, sulla
tipologia delle coperture finanziarie adottate dalle leggi
regionali, sulla legittimità e regolarità delle gestioni,
nonché sul funzionamento dei controlli interni.
Laddove vengano accertati casi di squilibri
economico-finanziari, mancata copertura di spese o in
generale violazioni di norme a tutela della sana gestione,
scatta l'obbligo per le regioni di adottare, entro 60
giorni, gli opportuni provvedimenti. Nel frattempo, è
preclusa l'attuazione dei programmi di spesa oggetto di
rilievi.
L'occhio della Corte dei conti viene puntato anche sulle
assemblee e sui gruppi consiliari, che dovranno trasmettere
alle Sezioni Riunite un rendiconto annuale che attesti
(attraverso l'allegazione dei relativi giustificativi) il
regolare utilizzo dei finanziamenti ricevuti. Le eventuali
irregolarità dovranno essere sanate entro un termine
perentorio, a pena di decadenza dal diritto all'erogazione
(che fa scattare anche l'obbligo di restituire le somme
ricevute). Idem in caso di ritardo, inadempimento o di
violazioni palesi.
I costi della politica
A quanto già previsto dall'art. 14 del dl 138, si aggiungono
nuovi obblighi (si veda la tabella).
Questa volta, però, il legislatore sceglie una strada
diversa dal passato per garantire che tali misure vengano
recepire dalle regioni. Oltre a fissare a queste ultime un
termine (30.11.2012, ovvero entro 6 mesi dalla data di
entrata in vigore del dl, laddove sia necessario modificare
lo statuto), esso ha previsto che una quota dei
trasferimenti erariali a favore dei governatori (l'80% di
quelli non destinati a sanità e tpl e il 5% di quelli che
finanziano il Ssn) sarà riservata a chi farà i compiti a
casa. Gli atri resteranno a secco, ma non solo: alle regioni
inadempienti verrà fissato un termine di 90 giorni per
provvedere, decorso il quale potrà essere disposto lo
scioglimento del consiglio regionale ai sensi dell'art. 126
Cost.
Tali disposizioni, si cura di precisare la norma, vale anche
per le regioni speciali (sia pure con le modalità di cui
all'art. 27 della l. 42/2009), nonché per quelle nelle quali
il presidente «abbia presentato le dimissioni» ovvero si
debba andare ad elezioni (vedi Lazio). In tal caso, i
termini decorrono dall'insediamento dei nuovi consigli
(articolo ItaliaOggi del 06.10.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: DECRETO
SALVA ENTI/ Comuni, il controllato è controllore.
Il dirigente sarà chiamato a dare un parere sui propri atti.
Visto di regolarità contabile e
copertura finanziaria ex ante.
Un'invasione di burocrazia, con limitati effetti concreti.
Il «nuovo» sistema dei controlli interni previsto dal
decreto sulla finanza e il funzionamento degli enti locali
suscita più di una perplessità sul piano del funzionamento
pratico.
Ne costituisce esempio concreto il principale tra i
controlli disciplinati, quello di regolarità amministrativa
e contabile, che più si avvicina alla tipologia dei
controlli preventivi di legittimità troppo disinvoltamente a
suo tempo aboliti dalle riforme Bassanini.
Tale tipologia di controllo, prevede il nuovo articolo
147-bis del dlgs 267/2000 va svolto, dispone la norma,
«nella fase preventiva della formazione dell'atto, da ogni
responsabile di servizio ed è esercitato attraverso il
rilascio del parere di regolarità tecnica attestante la
regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa».
La norma è scritta come se vi fosse alterità tra il soggetto
che adotta i provvedimenti amministrativi ed il responsabile
di servizio, chiamato a controllarli. È un errore di
prospettiva e di concezione del procedimento di formazione
delle determine.
La maggior parte dei provvedimenti decisionali degli enti
locali sono le determine, adottate dal dirigente o dal
responsabile di servizio, cioè il medesimo soggetto che il
regime dei controlli chiama ad esprimere un parere,
paradossalmente rivolto, nella sostanza, a se stesso.
Il controllo di regolarità amministrativa è sempre stato da
considerare insito nella stessa sottoscrizione del
provvedimento da parte del vertice amministrativo, che nel
momento in cui lo sottoscrive lo adotta, implicitamente
dichiarandolo regolare.
Di fatto, dunque, il parere diviene un passaggio burocratico
in più, da gestire in una fase precedente la materiale
adozione del provvedimento, che andrà regolamentata con una
proposta di provvedimento o una relazione istruttoria, ai
sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera e), della legge
241/1990.
L'articolo assegna anche al responsabile del servizio
finanziario un ruolo rilevante nel controllo di regolarità
amministrativa, confermando che esso vada esercitato
«attraverso il rilascio del parere di regolarità contabile e
del visto attestante la copertura finanziaria», ma
stabilendo che tale parere vada rilasciato a sua volta nella
fase preventiva all'adozione dell'atto. Mentre sin qui, al
contrario, il visto del responsabile è sempre intervenuto
successivamente alla fase di formazione, anche allo scopo di
attribuire al provvedimento di spesa l'efficacia.
Un bel bailamme, involontariamente, tuttavia, coordinabile,
almeno per quanto riguarda le determinazioni a contrattare
precedenti la stipulazione dei contratti, con le previsioni
dell'articolo 18 della legge 134/2012, che rimette
l'efficacia concreta del titolo giuridico per erogare
legittimamente somme ai contraenti la pubblicazione sul sito
delle amministrazioni dei dati previsti dal medesimo
articolo 18. Il quale, dunque, aveva già indirettamente
privato il visto del responsabile del servizio finanziario
della piena efficacia.
Il sistema, in ogni caso, assegna al responsabile dei
servizi finanziari funzioni di controllo di particolare
rilievo. Tale soggetto sarà chiamato in causa per il
consolidamento dei conti dell'ente con le società
partecipate, ma, soprattutto sarà diretto protagonista del
controllo degli equilibri finanziari, fondamentale per il
rispetto dei vincoli di pareggio del bilancio statale (al
quale gli enti locali concorreranno).
Proprio con riferimento al responsabile dei servizi
finanziari, la riforma al dlgs operata dal decreto introduce
una sorta di forma di «garanzia» nella permanenza delle
funzioni, ma limitatamente agli enti privi di dirigenza. Un
rimedio allo spoils system troppo limitato per essere
considerato davvero efficace
(articolo ItaliaOggi del 06.10.2012
- link a www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: DECRETO
CRESCITA/ Utility con affidamenti a tempo.
Termine entro il 2020 a meno di scadenze precedenti.
Approvate nuove regole sulla gestione del servizio pubblico locale.
Gli affidamenti diretti di servizi pubblici locali disposti
prima dell'01.10.2003 termineranno entro il 2020, salvo
che non siano previste scadenze precedenti; se un ente
locale decide di procedere con affidamento diretto per la
gestione di un servizio pubblico ha l'obbligo di pubblicare
sul sito internet le ragioni della scelta e la sussistenza
dei presupposti.
Sono questi alcuni dei contenuti delle norme del
decreto-legge sulla crescita varato dal Consiglio dei
ministri di giovedì in materia di servizi pubblici locali Si
tratta dei commi da 13 a 16 dell'articolo 34 che si pongono
l'obiettivo, in questo nuovo intervento sulla materia, di
assicurare il rispetto del diritto comunitario, sotto il
profilo della concorrenza e della tutela del mercato e di
introdurre ulteriori elementi di trasparenza.
In particolare il comma 13 riguarda i servizi pubblici
locali di rilevanza economica e prevede in primo luogo che
gli enti competenti predispongano e rendano pubblica sul
sito istituzionale una relazione che spieghi le ragioni e la
sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento
comunitario in ordine alla scelta dell'affidamento
individuato per la gestione del servizio. L'obbligo di
rendere pubblica la relazione viene messo in rapporto alla
necessità di assicurare la trasparenza delle scelte di
affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, il rispetto delle regole europee per il mercato
interno e la concorrenza ovvero la sussistenza dei requisiti
previsti dall'ordinamento europeo per l'affidamento diretto,
implicitamente recependo anche le indicazioni della recente
sentenza della Corte costituzionale (la 119 di quest'anno).
Non si tratta di una particolare novità, dal momento che
tutti i provvedimenti amministrativi devono essere
ovviamente motivati in rapporto ai vincoli normativi
previsti dalla disciplina nella quale si collocano; semmai
la novità è rappresentata dal fatto che la relazione sia
resa pubblica sul sito internet dell'ente. Gli enti locali
sono destinatari di un divieto generale di istituire
organismi, aziende ed enti comunque denominati e di
qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più
funzioni fondamentali e funzioni amministrative attribuite
ai sensi dell'art. 118 della Costituzione.
Diversi i tempi per la pubblicazione della relazione: per
gli affidamenti in essere, entro il 31.12.2013; per
gli affidamenti per i quali non è prevista una data di
scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad
inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che
regolano il rapporto un termine di scadenza
dell'affidamento, pena la cessazione dell'affidamento
medesimo alla data del 31.12.2013.
Viene poi fissata alla fine del 2020 (salvo data anteriore a
fine 2020), la data limite per la cessazione degli
affidamenti diretti assentiti alla data del primo ottobre
2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in
borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai sensi
dell'articolo 2359 del codice civile, laddove non sia
prevista una data di scadenza In altre parole è come se si
prevedesse l'obbligo di inserire la scadenza del 2020 nei
contratti affidati prima del 2003 che non prevedono alcuna
scadenza.
Infine il comma 16 dell'articolo 34 del decreto-legge
prevede un intervento sul comma 1 dell'articolo 3-bis del
decreto legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14.09.2011, n. 148, e
successive modificazioni,
La norma sulla quale si interviene è quella che stabilisce
che i servizi pubblici locali di rilevanza economica abbiamo
come territorio di riferimento bacini ottimali e omogenei
tali da consentire economie di scala e di differenziazione
idonee a massimizzare l'efficienza del servizio.
La novella apportata dal decreto chiarisce che anche “le
procedure per il conferimento della gestione dei servizi
pubblici locali a rete di rilevanza economica sono
effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali
ottimali e omogenei e che tale onere spetta agli enti di
governo istituiti o designati dalla regioni o province le
quali, a loro volta, hanno definito «il perimetro» degli
ambiti e i bacini ottimali".
La norma, in sostanza, in coerenza con la necessità di
favorire le unioni fra enti locali per la gestione dei
servizi pubblici, rende applicabile il riferimento ai bacini
ottimali per tutte le fasi procedurali, dall'individuazione
dei bacini ad opera della regioni, alla programmazione, alle
procedure di affidamento e alla gestione del servizio
(articolo ItaliaOggi del 06.10.2012
- link a www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Responsabilità
per il dirigente che non usa strumenti informatici.
Un nuovo carico di responsabilità per i dirigenti pubblici.
Il decreto sviluppo-bis allo scopo di assicurare la completa
attuazione della digitalizzazione della pubblica
amministrazione introduce specifiche sanzioni a carico dei
dirigenti che non operino in modo da estendere gli strumenti
informatici.
Una prima tipologia di responsabilità è connessa alle
modalità di trasmissione dei documenti attraverso la posta
elettronica tra le pubbliche amministrazioni.
Il decreto prevede ipotesi di responsabilità dirigenziale e
disciplinare nei confronti dei dirigenti, nel caso in cui si
violi il disposto dell'articolo 47, comma 1, del dlgs
82/2005. Tale norma dispone che «le comunicazioni di
documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono
mediante l'utilizzo della posta elettronica o in
cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del
procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata
la provenienza».
Compito specifico della dirigenza, dunque, è organizzare gli
uffici in modo che si prestino a gestire le comunicazioni
con cittadini ed imprese senza più impedimenti. Lo strumento
della posta elettronica certificata, in particolare, deve
essere quello privilegiato.
La responsabilità a carico dei dirigenti è, tuttavia,
piuttosto delicata e al limite delle caratteristiche della
responsabilità oggettiva. È evidente, infatti, che la
dirigenza potrà assicurare la piena operatività delle
comunicazioni online solo ricorrendo una serie di
condizioni. In particolare, occorre ovviamente che gli enti
abbiano correttamente predisposto gli strumenti telematici
necessari. La responsabilità dirigenziale scatta laddove non
si assicuri ai dipendenti la necessaria formazione
sull'utilizzo di questi strumenti e non vengano adottate
chiare e specifiche direttive operative, per iscritto,
finalizzate all'attuazione della norma, come ad esempio la
previsione del divieto assoluto di inviare documenti ad
altre pubbliche amministrazioni se non mediante gli
strumenti telematici.
Simmetriche responsabilità, sempre di tipo «dirigenziale»
(dunque connessa alla valutazione e alla retribuzione di
risultato) e di carattere disciplinare deriva dalla mancata
attivazione del procedimento amministrativo in conseguenza
della ricezione di istanze telematiche.
Da tempo la legislazione ha preso la strada di favorire la
comunicazione telematica con le pubbliche amministrazione.
Non bisogna nascondere che non di rado proprio le strutture
amministrative costituiscano un ostacolo alla piena
esplicazione delle comunicazioni telematiche, in quanto gli
uffici non vengono organizzati in modo corretto.
Per questo, il decreto sviluppo-bis stabilisce che «il
mancato avvio del procedimento da parte del titolare
dell'ufficio competente a seguito di istanza o dichiarazione
inviate» con gli strumenti digitali fa scattare le
responsabilità evidenziate sopra.
La norma, dunque, introduce l'obbligo di avviare i
procedimenti amministrativi laddove i cittadini e le
imprese, chiamate, per altro, dal decreto sviluppo a dotarsi
della posta elettronica certificata (che addirittura diverrà
elemento delle schede della nuova anagrafe) o degli altri
mezzi previsti.
Anche in questo caso, la responsabilità dei dirigenti, per
non essere configurata come oggettiva, deve essere
commisurata alla capacità delle strumentazioni in dotazione
agli enti di dialogare mediante strumenti digitali.
Il protocollo informatico capace di registrare le istanze
pervenute con strumenti digitali costituisce non tanto un
dovere, ma anche solo un presupposto, affinché si attivino
una volta e per sempre modalità di gestione dei procedimenti
amministrativi di tipo informatico, che quanto meno siano in
grado di gestire, se non tutte le fasi dell'iter, almeno
quello dell'avvio del procedimento.
I dirigenti sono chiamati anche in questo caso ad aggiornare
e formare i dipendenti addetti ai procedimenti
amministrativi all'uso corretto degli strumenti e a
impartire indicazioni di dettaglio, volte a un chiaro favore
verso l'acquisizione senza alcun ostacolo alle comunicazioni
mediante strumenti telematici, come presupposto per attivare
i procedimenti
(articolo ItaliaOggi del 06.10.2012
- link a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
VARI: DECRETO
CRESCITA/ Le disposizioni sull'agenda digitale. Pec per le
ditte individuali. Versamenti alla p.a., info via web.
Iban e conti correnti nei siti. Per facilitare i pagamenti.
Iban e conti correnti nei siti delle p.a. per facilitare i
pagamenti dei cittadini. Certificati di malattia dei
bambini, ai fini della fruizione del congedo parentale, da
inoltrare telematicamente. I cittadini potranno comunicare
alla p.a. il proprio indirizzo di posta elettronica
certificata, con cui potrà «interfacciarsi» con le altre
amministrazioni pubbliche. Via libera al fascicolo degli
studenti universitari. Conterrà i dati a partire
dall'immatricolazione sino al conseguimento del titolo.
Anche le imprese individuali dovranno dotarsi della Pec.
Questo in sintesi il pacchetto Agenda digitale contenuto nel
decreto crescita entrato ieri all'esame del Consiglio dei
ministri.
P.a. con l'Iban. Nei siti istituzionali delle p.a., ma anche
in quelli di gestori di pubblici servizi che operano con
utenti, dovranno essere indicati i codici Iban
identificativi del conto di pagamento, ovvero i dati
relativi al conto corrente postale cui i cittadini potranno
effettuare i pagamenti mediante bollettino postale.
Possibile altresì per le p.a. di avvalersi di prestatori di
servizi di pagamento, da individuare attraverso Consip,
cosicché i cittadini potranno effettuare i pagamenti con
strumenti quali le carte di credito, di debito e le
prepagate. Da queste previsioni restano espressamente
escluse le operazioni di competenza delle Agenzie fiscali.
Domicilio digitale del cittadino. Ogni cittadino potrà
comunicare alla pubblica amministrazione un proprio
indirizzo di posta elettronica certificata, quale suo
domicilio digitale. Tale indirizzo verrà inserito
nell'anagrafe nazionale della popolazione residente e reso
così disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni e ai
gestori di pubblici servizi. Un successivo decreto del Mininterno metterà nero su bianco le relative modalità di
comunicazione. Il decreto prevede che, a partire
dall'01/01/2013, la p.a. comunicherà con i cittadini
esclusivamente attraverso il suo domicilio digitale, tranne
i casi in cui la normativa vigente prevede una diversa
modalità di comunicazione.
Fascicolo elettronico degli studenti. Dall'anno accademico
2013-2014, le università statali e non statali, legalmente
riconosciute, sono tenute a costituire il fascicolo
elettronico dello studente. Un documento che, nelle
intenzioni dell'esecutivo, ridurrà i costi e migliorerà i
servizi per gli stessi studenti. Il fascicolo conterrà tutte
le informazioni della carriera universitaria, a partire
dall'immatricolazione fino al conseguimento del titolo.
Libri digitali. Dall'anno scolastico 2013-2014, il collegio
dei docenti dovrà adottare libri esclusivamente nella forma
digitale o mista, costituita da un testo digitale o cartaceo
e da supporti digitali integrativi. Per le scuole del primo
ciclo, tale obbligo scatterà dal 2014. Il decreto prevede
che le regioni e gli enti locali potranno stipulare
convenzioni con il Miur, al fine di garantire l'offerta
formativa nei confronti di nuclei familiari in situazioni
svantaggiate. Tra queste, anche la possibilità di fornire
attività didattiche attraverso strumenti di e-learning.
Fascicolo sanitario elettronico. Tutti i dati di tipo
sanitario e socio sanitario saranno inseriti nel Fascicolo
sanitario elettronico. Ad istituirlo penseranno le regioni,
con fini di prevenzione, cura e diagnosi, ma anche di
sorveglianza sanitaria e di valutazione dell'assistenza
sanitaria.
Ricette elettroniche. Le regioni, entro sei mesi
dall'entrata in vigore del decreto crescita, dovranno
accelerare la conversione delle prescrizioni mediche in
formato cartaceo con quelle elettroniche. Anzi, dal prossimo
anno le percentuali e non dovranno essere inferiori al 60%
del totale delle prescrizioni emesse. Rapporto che nel 2014
sale all'80% e al 90% nel 2015. Anche i medici dovranno
adeguarsi a questi standard, pena l'applicazione di sanzioni
disciplinari previste dall'articolo 55-septies del dlgs
165/2001.
Malattia bimbi online. Anche la certificazione di malattia
necessaria al genitore per fruire dei congedi dovrà essere
effettuata per via telematica, al pari di quanto oggi
avviene per i lavoratori dipendenti dei settori pubblici e
privati. Sarà il medico convenzionato Ssn a inoltrare
l'istanza all'Inps e il lavoratore avrà l'obbligo, al
momento della comunicazione di indicare le generalità del
genitore che usufruirà di tale congedo.
Imprese individuali. Chi si iscrive al registro imprese,
entro il 31 dicembre 2013 dovrà comunicare il proprio
indirizzo Pec. In caso di inosservanza, iscrizione sospesa
per tre mesi in attesa di regolarizzazione.
Bus e metro. Il biglietto si acquisterà anche via pc e
smartphone.
Giustizia. Nei procedimenti civili, le comunicazioni e le
notifiche saranno effettuate per via telematica. In
particolare, le notifiche nei confronti dei soggetti per i
quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo
Pec e che non abbiano ancora ottemperato a tali
prescrizioni, saranno eseguite solo con il deposito in
cancelleria
(articolo ItaliaOggi del 05.10.2012). |
LAVORI PUBBLICI: DECRETO
CRESCITA/ Project financing defiscalizzato.
Alleggerimento per finanza di progetto superiore a 500 mln.
Misura per le opere da realizzare e
per quelle già programmate.
Defiscalizzazione per le nuove opere da realizzare in
finanza di progetto di valore superiore a 500 milioni e per
le opere già programmate, in corso di realizzazione o in
gestione, se il piano economico-finanziario non è in
equilibrio; 400 milioni per i pagamenti dei debiti Anas per
appalti di lavori e forniture; attribuzione delle funzioni
dalla soppressa Agenzia stare e autostrade al ministero
delle infrastrutture; previste risorse per i comuni
attraversati dalla Livorno - Civitavecchia.
È quanto prevede
per le infrastrutture la bozza di decreto-legge sulla
crescita approvato ieri in consiglio dei ministri.
Defiscalizzazione per infrastrutture in finanza di progetto.
Il decreto legge da il via libera alla defiscalizzazione, a
favore del soggetto realizzatore in partenariato pubblico
privato di nuove opere pubbliche infrastrutturali di importo
superiore a 500 milioni di euro per le quali non siano
previsti contributi pubblici a fondo perduto e per le quali
sia certa la non sostenibilità del piano economico
finanziario. Si tratta di un credito di imposta a valere
sull'Ires e sull'Irap direttamente generate dalla
costruzione e gestione dell'opera, nel limite del 50% del
costo dell'investimento, che dovrebbe consentire il
riequilibrio del Pef.
Sarà possibile utilizzare questa
misura sia per la fase della costruzione dell'opera, sia in
alcun casi, anche per la gestione dell'opera stessa. Il
credito di imposta è posto a base di gara per
l'individuazione dell'affidatario del contratto di
partenariato pubblico privato e successivamente riportate
nel contratto. L'ammissibilità dei benefici richiesti
avviene a valle della verifica da parte del Cipe -su
proposta del ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze.
La valutazione riguarda la capacità dei piani economico-finanziari, proprio per effetto del credito di imposta, di
conseguire, anche attraverso il mercato, la sostenibilità
necessaria per la realizzabilità degli obiettivi
programmati.
La defiscalizzazione sarà possibile anche per
le opere già affidate già programmate, affidate o in corso
di affidamento, il cui piano economico finanziario non sia
più in equilibrio. Il governo stima che la misura possa
interessare la Brebemi, la Pedemontana lombarda e veneta,
l'Autostrada tirrenica, il Porto di Ancona e la Strada dei
parchi.
Pagamenti appalti Anas. Il decreto legge affronta il tema,
più volte denunciato in queste ultime settimane anche
dall'Ance, delle difficoltà finanziarie di Anas, soprattutto
per quel che concerne l'esposizione debitoria nei confronti
delle imprese. Si interviene consentendo di utilizzare, in
via transitoria e a titolo di anticipazione, 400 milioni di
euro a valere sulle risorse del Fondo centrale di garanzia
per provvedere al pagamento di lavori e forniture già
eseguite. In un'altra norma si fa anche in modo che siano
destinate a Anas altri 100 milioni per le esigenze relative
ai contratti di programma 2010 e 2011, nelle more del
completamento delle procedure contabili.
Funzioni della soppressa Agenzia nazionale strade e
autostrade. Il decreto legge si occupa anche di risolvere il
problema delle attribuzioni di funzioni che erano state
affidate all'Agenzia strade e autostrade che, dal 30.09.2012, è soppressa
ex lege a causa della mancata
nomina dei commissari.
Scaduto il termine occorreva quindi
consentire l'effettiva operatività del trasferimento delle
funzioni di concedente della rete stradale e autostradale di
interesse nazionale da parte di Anas, prevedendo che
unitamente alle predette funzioni transitino
nell'amministrazione (ministero delle infrastrutture), oltre
alle risorse strumentali, umane e finanziarie relative a Ivca (struttura di Anas deputata a compiti di ispezione e
vigilanza sulle concessionarie autostradali), anche le
risorse delle strutture di Anas attualmente impiegate nelle
funzioni proprie del concedente che consistono in compiti e
attività ulteriori rispetto a quelli di vigilanza.
Si
tratta, fra le altre, delle funzioni concernenti la
selezione dei concessionari, l'approvazione dei progetti
relativi ai lavori inerenti la rete stradale ed autostradale
di interesse nazionale, la proposta di programmazione del
progressivo miglioramento e adeguamento della rete delle
strade e delle autostrade statali; le proposte sulla
regolazioni e variazioni tariffarie per le concessioni
autostradali.
Autostrada Livorno-Civitavecchia.
Al fine di reperire risorse da destinare ai comuni che
verranno attraversati dalla nuova infrastruttura
autostradale in corso di progettazione di realizzazione (per
agevolazioni tariffarie ai residenti), il decreto-legge
stabilisce che per i primi dieci anni di gestione della
nuova tratta Cecina - Civitavecchia si proceda a un
trasferimento alla Regione Toscana di una quota fino al 75%
del canone annuo versato dal concessionario (pari al 2,4%
dei proventi netti da pedaggio). Dovrebbe trattarsi di circa
15 milioni l'anno per dieci anni dal momento che il piano
economico finanziario stima proventi per 20 milioni annui
(articolo ItaliaOggi del 05.10.2012). |
ENTI LOCALI: DECRETO
SALVA ENTI/ Il governo imbriglia le regioni.
Chi non taglia i costi della politica perderà l'80% dei
fondi. Tornano i controlli
preventivi di legittimità e si rafforzano quelli interni.
Rafforzamento dei controlli interni negli enti locali e
ritorno dei controlli preventivi di legittimità sugli atti
delle regioni.
È un accerchiamento a tenaglia quello che il
governo intende realizzare con il decreto legge sulla
trasparenza e la riduzione dei costi degli apparati politici
regionali approvato ieri, per evitare il ripetersi di casi
di corruzione e malaffare come quello che ha travolto la
regione Lazio.
Con argomenti che si annunciano molto
«dissuasivi» per le regioni che non accetteranno di ridurre
i costi della politica. Perderà il 5% dei fondi destinati
alla sanità e l'80% di tutti gli altri finanziamenti (non
saranno toccati invece i contributi al trasporto pubblico
locale) chi entro sei mesi non avrà: ridotto il numero dei
consiglieri, introdotto il divieto di cumulo di indennità e
emolumenti, imposto la partecipazione gratuita alle
commissioni, pubblicizzato i redditi dei politici regionali
e soprattutto adeguato i contributi ai gruppi consiliari e
le indennità di funzione e di carica a quelli della regione
più virtuosa (che dovrà essere individuata entro fine
ottobre).
Nel caso in cui l'inadempienza persista è prevista
una diffida da parte del Governo e la successiva procedura
per lo scioglimento del consiglio. Stretta anche su pensioni
e vitalizi. Potranno essere erogati agli ex governatori,
consiglieri e assessori solo se hanno compiuto 65 anni di
età e ricoperto le cariche per non meno di 15 anni (non
continuativi).
Il taglio del numero di consiglieri e
assessori regionali dovrà essere realizzato entro 6 mesi
dall'entrata in vigore del provvedimento, ad esclusione
delle regioni in cui è prevista una tornata elettorale (per
le quali il limite verrà applicato dopo le elezioni). Il
decreto obbliga anche le regioni ad attenersi alle regole
statali in materia di riduzione di consulenze e convegni,
auto blu, sponsorizzazioni, compensi degli amministratori
delle società partecipate, ecc.
Passando dai costi della politica al controllo finanziario,
si segnala, come detto, una vera e propria entrata a gamba
tesa della Corte dei conti sull'autonomia regionale. Saranno
sottoposti al controllo preventivo di legittimità dei
giudici contabili il piano di riparto delle risorse ai
dirigenti titolari di centri di costo e tutti gli atti
emanati dal governo regionale aventi rilevanza esterna e
riflessi finanziari. Le regioni a statuto speciale e le
province autonome non potranno sfuggire alla stretta dovendo
recepire le novità del decreto legge entro sei mesi.
La
Corte dei conti inoltre controllerà l'attendibilità dei
bilanci di previsione regionali. Le proposte di preventivi
dovranno essere trasmesse alle sezioni regionali che avranno
20 giorni di tempo per verificare che non mettano in
pericolo gli equilibri di bilancio, il rispetto del patto di
stabilità e la sostenibilità dell'indebitamento. Qualora la
Corte accerti spese senza copertura, le regioni dovranno
rimediare entro 60 giorni. Nel frattempo non potranno dare
seguito alle spese.
Province e comuni. Negli enti locali si rafforzano invece i
controlli interni. Su ogni proposta di deliberazione
sottoposta alla giunta e al consiglio dovrà essere richiesto
il parere del responsabile del servizio e del responsabile
di ragioneria qualora comporti riflessi
economico-finanziari. La norma fa parte di un corposo
pacchetto di disposizioni contenute nella Carta delle
autonomie da tempo ferma su un binario morto al senato. Il
governo Monti ha deciso di estrapolarle dal testo e
inserirle nel decreto legge per renderle immediatamente
operative. Del pacchetto fanno parte anche l'introduzione
del controllo strategico per la verifica dello stato di
attuazione dei programmi e l'obbligo del controllo sulle
società partecipate.
Ma nemmeno le amministrazioni locali saranno immuni dai
controlli della Corte conti. Ogni tre mesi i giudici
dovranno verificare la regolarità delle gestioni e il
funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto del
pareggio di bilancio.
Confermata l'ulteriore stretta sui conti dei comuni
anticipata ieri da ItaliaOggi. Gli enti che utilizzano
entrate a specifica destinazione o chiedono ai propri
tesorieri anticipazioni di cassa non potranno utilizzare gli
avanzi di amministrazione. E dovranno iscrivere in bilancio
un fondo di riserva per far fronte a spese non prevedibili
più sostanzioso rispetto ad oggi. Perché il limite minimo
del fondo da inserire nel preventivo passerà dall'attuale
0,30 allo 0,45% del totale delle spese correnti.
Non solo incandidabilità per chi porta gli enti al dissesto.
Gli amministratori locali riconosciuti responsabili dalla
Corte conti di aver portato gli enti al dissesto con dolo o
colpa grave (conteranno anche le condotte omissive) non
potranno ricandidarsi per 10 anni. E non è una novità perché
la norma è già prevista nel decreto legislativo su premi e
sanzioni (dlgs n. 149/2011) attuativo del federalismo
fiscale. Ciò che cambia invece è che, oltre a restare a
casa, il politico sprecone, se riconosciuto responsabile del
default, dovrà pagare una multa che andrà da un minimo di 5
fino a un massimo di 20 volte la retribuzione percepite al
momento della violazione.
Sterilizzati i tagli della spending review. Come anticipato
da ItaliaOggi (si veda il numero del 3/10/2012) sui comuni
non si abbatteranno più le decurtazioni «cieche» del fondo
di riequilibrio (pari in totale a 500 milioni per
quest'anno, 2 miliardi nel 2013 e 2014 e 2,1 miliardi dal
2015) previste dalla spending review. Le amministrazioni
eviteranno i tagli ma saranno obbligate a dirottare una
cifra di pari importo sulla riduzione del livello di
indebitamento. In pratica dovranno alleggerire la propria
esposizione in mutui e prestiti.
Riscossione. Il provvedimento intervenendo sul tema
dell'attività di gestione e riscossione delle entrate degli
enti territoriali, ne annuncia una prossima riforma. Per
favorirla viene sostanzialmente stabilito il mantenimento
dell'attuale assetto (e quindi sostanzialmente la presenza
di Equitalia), ma non oltre il 30.06.2013.
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L'analisi/ Riforma giusta, ma va cambiata la Costituzione.
Un sistema di controlli a forte sospetto di illegittimità
costituzionale. Il ddl sugli equilibri finanziari degli enti
locali punta alla reintroduzione dei controlli preventivi di
regolarità amministrativa (in parte coincidenti con i vecchi
controlli di legittimità) scriteriatamente aboliti dalle
leggi-Bassanini, ma realizza un ibrido poco convincente sul
piano degli assetti istituzionali, nonché della concreta
efficacia.
Da un lato, il disegno di legge estrapola dalla bozza di
«Carta delle autonomie» ancora giacente in Parlamento il
Capo relativo ai controlli interni e dall'altro lo
arricchisce con una disposizione relativa a controlli
trimestrali della Corte dei conti.
Già di per sé la scelta di anticipare per decretazione
d'urgenza una riforma che interessa autonomie
costituzionalmente garantite come quelle locali suscita più
di una perplessità. La sede propria per una riforma
dell'ordinamento locale è una norma organica, di iniziativa
parlamentare.
In ogni caso, l'assegnazione alla Corte dei conti di un
sostanziale ruolo di controllore esterno si coordina con
estrema difficoltà con l'attuale assetto del Titolo V della
Costituzione. Non si può fare a meno di evidenziare che la
legge costituzionale 3/2001 ha abolito l'articolo 130 della
Costituzione, che precedeva espressamente controlli
preventivi sugli atti di regioni ed enti locali operati da
organi esterni.
Pensare a reintrodurre i controlli è certamente meritorio e
necessario. Ma, a questo scopo, onde evitare qualsiasi
rischio di illegittimità costituzionale, sarebbe altrettanto
necessario modificare la Costituzione stessa, in modo che
essa ponga direttamente la possibilità di controlli affidati
a soggetti esterni.
Si può obiettare che il disegno di legge non assegna alla
Corte dei conti compiti di controllo preventivo. In effetti,
si prevede che «il sindaco, relativamente ai comuni con
popolazione superiore ai 5.000 abitanti, o il Presidente
della provincia, avvalendosi del direttore generale, quando
presente, o del segretario negli enti in cui non è prevista
la figura del direttore generale, trasmette trimestralmente
alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti un
referto sulla regolarità della gestione e sull'efficacia e
sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato,
sulla base delle Linee guida deliberate dalla Sezione delle
autonomie della Corte dei conti; il referto è altresì
inviato al presidente del consiglio comunale o provinciale».
La magistratura contabile si pronuncia entro 15 giorni su
tale documentazione.
Per quanto non si tratti di controllo preventivo sui singoli
atti, in ogni caso l'ingerenza pervasiva della Corte dei
conti è forte ed evidente. Non si tratta più del solo
«controllo collaborativo» previsto dall'articolo 8 della
legge 131/2003, tanto è vero che la Corte irrogherebbe
pesanti sanzioni amministrative nel caso di mancato invio
sei referti o laddove rilevasse l'assenza o l'inadeguatezza
degli strumenti di controllo interno.
In ogni caso, al di là del forte problema di
costituzionalità che si pone, ancor più grave appare la
questione connessa all'efficacia di tali controlli. Essi
restano prevalentemente interni ed affidati alla regia di
soggetti come i segretari comunali o i direttori generali i
quali, essendo incaricati dai sindaci o presidenti della
provincia, non possono disporre della terzietà che, invece,
dovrebbe caratterizzare un controllore. A sua volta, la
Corte dei conti esamina non singoli atti, bensì un referto
complessivo.
Lo scopo vero dei controlli, prevenire atti e spese
illegittimi, nella sostanza non viene conseguito.
La strada più lineare resta un'urgente modifica alla
Costituzione tale da reintrodurre controlli preventivi, da
affidare ad autorità amministrative terze, da sottoporre
alla dipendenza funzionale della Corte dei conti. La quale
potrebbe, così, fissare gli indirizzi cui attenersi ed
intervenire per risolvere eventuali contenziosi sugli atti
di controllo
(articolo ItaliaOggi del 05.10.2012). |
ENTI LOCALI: DECRETO
SALVA-ENTI/ Comuni, ecco il fondo
anti-dissesto.
Gli enti dovranno presentare un piano di riequilibrio di 5
anni. I sindaci saranno costretti a
tagliare la spese. Vigilerà la Corte dei conti.
Un fondo rotativo a favore degli enti locali alle prese con
gravi criticità finanziarie che si impegnano a definire un
rigoroso piano pluriennale di riequilibrio, da implementare
sotto la stretta vigilanza di Viminale e (soprattutto) della
magistratura contabile.
Confermando le anticipazioni delle scorse settimane, il
decreto legge in materia di finanza locale approvato ieri
dal governo introduce il nuovo meccanismo di «pre-dissesto»
destinato alle province ed ai comuni che presentano pesanti
«squilibri strutturali di bilancio». Obiettivo di tale
misura è garantire la tempestiva adozione delle misure
correttive, scongiurando il rischio che la dichiarazione
formale di «default» arrivi quando la situazione dei conti è
ormai deteriorata.
Il provvedimento licenziato dal consiglio dei ministri
introduce tre nuovi articoli (243-bis, 243-ter e 243-quater)
nel Tuel.
Per avviare la nuova «procedura di riequilibrio finanziario
pluriennale», gli enti locali interessati devono adottare
un'apposta deliberazione consiliare, che entro cinque giorni
dalla data di esecutività va trasmessa alla competente
sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed al
ministero dell'interno.
Tale iniziativa ha un duplice effetto sospensivo: da un
lato, essa congela la possibilità per i giudici contabili di
assegnare un termine per l'adozione delle misure correttive,
ai sensi dell'art. 6, comma 2, del dlgs 149/2011 (ma se il
termine è già stato fissato il ricorso alla nuova procedura
è precluso); dall'altro, mette temporaneamente in naftalina
le procedure esecutive già intraprese nei confronti dei
medesimi enti.
In entrambi i casi, la sospensione dura fino alla data di
approvazione o di diniego di approvazione del piano di
riequilibrio pluriennale, che il consiglio degli enti che
ambiscono al «pre-dissesto» deve deliberare nel termine
(perentorio) di 60 giorni dall'esecutività della precedente
deliberazione di adesione alla procedura di riequilibrio.
Il piano (che va accompagnato da un parere dell'organo di
revisione) può avere una durata massima di cinque anni, deve
operare una dettagliata analisi dei fattori di squilibrio
rilevati (anche alla luce dell'eventuale disavanzo di
amministrazione risultante dall'ultimo rendiconto approvato
e di eventuali debiti fuori bilancio) e indicare precisare
le conseguenti misure correttive (tenendo conto di quella
già eventualmente adottate), con puntuale «quantificazione e
previsione dell'anno di effettivo realizzo».
Fra queste, il legislatore indica una «rigorosa revisione
della spesa» (con tanto di obiettivi dettagliati di
riduzione), l'incremento delle aliquote e delle tariffe fino
al massimo consentito e le dismissioni patrimoniali, che
aprono la strada all'assunzione di mutui per la copertura di
debiti fuori bilancio per investimenti e soprattutto al
nuovo «Fondo di rotazione per assicurare la stabilità
finanziaria degli enti locali».
Quest'ultimo potrà erogare anticipazioni fino ad un massimo
di 100 euro per abitante, che andranno restituiti entro
cinque anni (prorogabili fino a 10), sulla base di criteri e
modalità che verranno definiti con un decreto del Viminale
atteso entro il prossimo 30 novembre.
Le erogazioni del fondo, tuttavia, sono subordinate a una
duplice condizione. In primo luogo, occorre la preventiva
approvazione del piano di riequilibrio da parte della
Sezione regionale della Corte dei conti, sulla base di
un'istruttoria condotta da un'apposita commissione composta
da rappresentanti del Mef e dell'Interno. La Corte è
chiamata anche a vigilare sull'attuazione del piano, in
stretto raccordo con i revisori interni e con l'interno. I
provvedimenti di accoglimento e diniego potranno essere
impugnati davanti alle sezioni riunite, cosi come quelli
relativi all'ammissione al fondo rotativo.
La seconda condizione è legata ai meccanismi di
condizionalità imposti agli enti beneficiari. Essi dovranno
tagliare la spesa di personale, le spese correnti per
utilizzo di beni di terzi (almeno del 10% in tre anni), e
quelle per interessi passivi e oneri finanziari diversi
finanziate con risorse proprie (-25%). Essi, inoltre, non
potranno contrarre nuovi debiti (salvo i mutui di cui
sopra).
Per gli enti non ammessi alla nuova procedura e per quelli
che non rispettano le relative regole, scatta la procedura
di dichiarazione esterna del dissesto ai sensi del citato
dlgs 149
(articolo ItaliaOggi del 05.10.2012). |
ENTI LOCALI: Taglio province in ordine
sparso.
Regioni aggrappate a cavilli e deroghe per evitare
sforbiciate. Sono pochi i Consigli
delle autonomie locali (Cal) che hanno approvato il piano di
restyling.
Il taglio delle province, sulla carta, è deciso: via le 64
con meno di 350 mila abitanti, e che si estendono su una
superficie inferiore ai 2 mila 500 chilometri quadrati. E sì
alle città metropolitane (da Milano a Palermo ecc).
Tuttavia, incuranti della «spending review» (legge
135/2012), le regioni procedono in ordine sparso.
E si servono di cavilli, ricorsi e deroghe per fermare «la
mano del boia». La scorsa settimana si sono pronunciati i
Cal, i Consigli delle autonomie locali (o, dove non
presenti, altri organismi), ma in pochi hanno approvato il
piano di restyling, che spetterà all'amministrazione
regionale inoltrare al governo nei successivi 20 giorni
(entro il 23 ottobre), senza rivolgersi alla Corte
costituzionale segnalando, in considerazione delle
specificità del territorio, incongruenze.
La ricognizione di ItaliaOggi Sette restituisce l'immagine di una penisola che,
da Nord a Sud, oppone resistenza alla sforbiciata imposta
dall'esecutivo Monti. Cominciando dal Piemonte, la riduzione
(da 8 a 4) è definita così: non si tocca Cuneo, però Asti
viene unita ad Alessandria e nasce la provincia del Piemonte
Orientale, i cui confini sono quelli di Novara, Verbania
Cusio Ossola, Biella e Vercelli, in più Torino diviene città
metropolitana. La Lombardia ne ha 12, rinuncia a 4 (c'è
Milano città metropolitana), ovvero Pavia, Lodi - Cremona,
Mantova, Brescia, Bergamo, Sondrio, Como - Lecco - Varese,
Monza Brianza, mentre la Liguria passa da 4 a 2, più Genova
città metropolitana (insieme Savona e Imperia ed è salva La
Spezia).
Rimanendo nel Settentrione, verso Est, il Friuli-Venezia
Giulia non cede nulla, poiché vota lascia le province di
Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine (il legislatore impone
di fondere le prime due), cercando un «escamotage»: si
pensa, infatti, di delegare le funzioni amministrative a
regione e comuni, affidando ai 4 enti mansioni onorifiche e
consultive. Niente di nuovo in terra veneta: si opta per la
conservazione di tutte e 6 le amministrazioni (Belluno,
Padova, Rovigo, Treviso, Verona e Vicenza), oltre a Venezia
città metropolitana; si mette in moto ...
(articolo ItaliaOggi del 05.10.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: OSSERVATORIO VIMINALE/ L'albo pretorio
va in soffitta. Delibere e determine da pubblicare sul sito web.
Ma gli obblighi a carico delle
amministrazioni locali rimangono inalterati.
Quali sono gli adempimenti che il comune deve espletare in
ordine alla pubblicazione delle determinazioni dirigenziali
sui siti informatici, a seguito dell'emanazione dell'art. 32
della legge 28.06.2009, n. 69, recante norme per
l'eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di
documenti in forma cartacea?
L'art. 32, comma 1, della legge 28.06.2009, n. 69
dispone che «gli obblighi di pubblicazione di atti e
provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità
legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri
siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti
pubblici obbligati», e il successivo comma 5 prevede che a
decorrere dall'01.01.2011 le pubblicità effettuate in
forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale.
La disciplina ha implicitamente modificato l'art. 124 del
dlgs n. 267/2000 nella parte in cui dispone che la
pubblicazione avvenga «mediante affissione all'albo pretorio
nella sede dell'ente», sostituita dalla pubblicazione sul
sito istituzionale dell'ente, fermo restando il termine di
15 giorni consecutivi salvo specifiche disposizioni di
legge.
In merito il Consiglio di stato, con sentenza n. 1370 del 15.03.2006, ha stabilito che «la pubblicazione all'albo
pretorio del comune è prescritta dall'art. 124 T.u. n.
267/2000 per tutte le deliberazioni del comune e della
provincia ed essa riguarda non solo le deliberazioni degli
organi di governo (consiglio e giunta municipali) ma anche
le determinazioni dirigenziali».
Lo strumento informatico ha sostituito, dunque, il
tradizionale albo pretorio, rimanendo inalterati, sotto la
nuova forma, gli obblighi di pubblicazione.
L'ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica
amministrazione - Digit P.a., nelle due linee guida per i
siti web della pubblica amministrazione ed in particolare
nel «Vademecum sulle Modalità di pubblicazione dei documenti
nell'albo on-line», predisposto sulla base della direttiva
n. 8 del 26.11.2009 del ministro per la pubblica
amministrazione e l'innovazione, ha specificato che «per gli
enti locali l'attività dell'albo consiste nella
pubblicazione di tutti quegli atti sui quali viene apposto
il referto di pubblicazione», includendo tra tali atti
le deliberazioni ed altri provvedimenti comunali tra cui
anche le determinazioni in argomento
(articolo ItaliaOggi del 05.10.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Nomina capogruppo.
Come viene disciplinata la nomina di un capogruppo
consiliare nel caso in cui all'interno di un gruppo
consiliare composto da due consiglieri, pur in presenza di
regolare designazione del capogruppo consiliare con presa
d'atto del consiglio comunale, il secondo consigliere ha
rivendicato il proprio diritto alla designazione di
capogruppo avendo riportato il maggior numero di voti nella
lista?
L'esistenza dei gruppi consiliari non è espressamente
prevista dalla legge, ma si desume implicitamente da quelle
disposizioni normative che contemplano diritti e prerogative
in capo ai gruppi o ai capigruppo (in particolare, art. 38,
comma 3 – art. 39, comma 4 e art. 125 del dlgs n. 267/2000).
Pertanto, la materia dei «gruppi consiliari» è regolata
primariamente dalle norme statutarie e regolamentari proprie
di ogni singolo ente locale, per cui è alla stregua di tali
norme che occorre valutare e risolvere le questioni ad essa
afferenti.
Se, nel caso di specie, lo statuto comunale prevede che il
capogruppo è «eletto dagli appartenenti al Gruppo»,
rinviando al regolamento la disciplina della formazione, del
funzionamento e delle attribuzioni dei gruppi consiliari e
questo prevede che «i singoli gruppi devono comunicare, per
iscritto, al presidente ed al segretario comunale il nome
del proprio capogruppo alla prima riunione del consiglio neo
eletto»; che «con la stessa procedura dovranno segnalarsi le
successive variazioni della persona del capogruppo»; che «in
mancanza di tali comunicazioni viene considerato capogruppo
ad ogni effetto il consigliere del gruppo che abbia
riportato il maggior numero di voti nelle liste di
appartenenza», appare evidente che le variazioni della
persona del capogruppo debbano essere comunicate con nota
sottoscritta «dai singoli gruppi», stante la necessità di
seguire «la stessa procedura» utilizzata per la prima
designazione.
L'automatica individuazione del capogruppo nel consigliere
che abbia riportato il maggior numero di voti nelle liste di
appartenenza è un criterio residuale che può essere
utilizzato solo all'atto dell'insediamento del consiglio
comunale e in mancanza di comunicazioni
(articolo ItaliaOggi del 05.10.2012). |
TRIBUTI - VARI: Rifiuti e servizi, arriva la Tares.
Con l'avvio del nuovo tributo saranno soppressi quelli
attuali. Tutto quello che c'è da
sapere per prepararsi al debutto previsto per l'01.01.2013.
Dal 1° gennaio 2013 arriva la Tares.
Vale la pena di esaminare le principali novità che
riguardano il nuovo tributo comunale sui rifiuti e sui
servizi. Iniziamo a precisare che con l'introduzione della
Tares, a decorrere dall'01.01.2013, saranno soppressi
tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti
urbani, sia di natura patrimoniale che di natura tributaria,
compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli
enti comunali di assistenza.
La fonte normativa della Tares è l'art. 14 del dl 06.12.2011 n. 201 (salva Italia).
Il nuovo tributo è posto a copertura dei:
a) costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani
e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto
mediante l'attribuzione di diritti di esclusiva;
b) costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.
Il comune, nel territorio del quale insistono le aree
oggetto dell'imposta, è delegato all'accertamento, alla
riscossione e alla liquidazione della Tares.
Il tributo in questione è dovuto da chiunque possieda,
occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte,
a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti
urbani: non sono soggette all'imposta però le aree comuni
scoperte e le aree pertinenziali e accessorie delle civili
abitazioni.
Nel caso di locali in multiproprietà e di centri commerciali
integrati, il soggetto che gestisce i servizi comuni è
responsabile del versamento del tributo.
Ricordiamo che la Tares è dovuta per anno solare.
La tariffa è commisurata alle quantità e qualità delle medie
ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in
relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte,
sulla base dei criteri determinati con regolamento.
Per le unità immobiliari a destinazione ordinaria iscritte o
iscrivibili nel catasto edilizio urbano, la superficie
assoggettabile al tributo è pari all'80% della superficie
catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal
regolamento di cui al dpr 23.03.1998, n. 138.
Si noti che la superficie assoggettabile al tributo è
costituita da quella calpestabile.
Particolari regole, su cui non entriamo per esigenze di
sintesi, sono stabilite per gli immobili privi di
accatastamento o se si riscontri, da parte dell'ente locale,
la non corrispondenza della superficie con gli atti a
disposizione dei comuni.
Se vi sono aree promiscue in un locale, sono state previste
specifiche disposizioni per la determinazione della
superficie assoggettabile al tributo: non si tiene conto di
quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti
speciali, a condizione che il produttore ne dimostri
l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente.
La tariffa è composta: 1) da una quota determinata in
relazione alle componenti essenziali del costo del servizio
di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli
investimenti per le opere e ai relativi ammortamenti; 2) da
una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al
servizio fornito e all'entità dei costi di gestione, in modo
che sia assicurata la copertura integrale dei costi di
investimento e di esercizio.
Con regolamento da emanarsi entro il 31.10.2012, su
proposta dei ministri competenti e delle altre autorità
indicate, sono stabiliti i criteri per l'individuazione del
costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la
determinazione della tariffa.
Il regolamento cennato si applica a decorrere dall'anno
successivo alla data della sua entrata in vigore.
Alla tariffa determinata in base alle disposizioni
precedenti, si applica una maggiorazione pari a 0,30 euro
per metro quadrato, a copertura dei costi relativi ai
servizi indivisibili dei comuni, i quali possono, con
deliberazione del consiglio comunale, modificare in aumento
la misura della maggiorazione fino a 0,40 euro, anche
graduandola in ragione della tipologia dell'immobile e della
zona ove è ubicato.
Per il primo anno, in luogo di questa, la fonte normativa
precisa che si continuerà ad applicare la tariffa già
esistente e prevista dalle disposizioni di cui al decreto
del presidente della repubblica 27.04.1999, n. 158.
La legge n. 201/2011 ha previsto una potestà regolamentare
in capo al comune, il quale con l'emanazione dell'apposito
strumento giuridico può prevedere riduzioni tariffarie,
nella misura massima del trenta per cento, nel caso di:
a) abitazioni con unico occupante;
b) abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od
altro uso limitato e discontinuo;
c) locali, diversi dalle abitazioni, e aree scoperte adibiti
a uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente;
d) abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano
la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero;
e) fabbricati rurali a uso abitativo.
Si devono prevedere anche riduzioni per la raccolta
differenziata riferibile alle utenze domestiche.
Il consiglio comunale, in aggiunta a quelle già menzionate,
può deliberare anche ulteriori riduzioni ed esenzioni.
Tali agevolazioni sono iscritte in bilancio come
autorizzazioni di spesa e la relativa copertura è assicurata
da risorse diverse dai proventi del tributo di competenza
dell'esercizio al quale si riferisce l'iscrizione stessa.
Inoltre con regolamento da adottarsi ai sensi dell'articolo
52 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, il
consiglio comunale determina la disciplina per
l'applicazione del tributo, concernente tra l'altro i
seguenti punti:
a) la classificazione delle categorie di attività con
omogenea potenzialità di produzione di rifiuti;
b) la disciplina delle riduzioni tariffarie;
c) la disciplina delle eventuali riduzioni ed esenzioni;
d) l'individuazione di categorie di attività produttive di
rifiuti speciali alle quali applicare, nell'obiettiva
difficoltà di delimitare le superfici ove tali rifiuti si
formano, percentuali di riduzione rispetto all'intera
superficie su cui l'attività viene svolta;
e) i termini di presentazione della dichiarazione e di
versamento del tributo.
Il consiglio comunale deve approvare le tariffe del tributo
entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione
del bilancio di previsione, in conformità al piano
finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani,
redatto dal soggetto che svolge il servizio stesso ed
approvato dall'autorità competente.
Una regolamentazione specifica e separata è prevista per i
comuni che hanno realizzato (o realizzeranno dato che ancora
la norma non è vigente), sistemi di misurazione puntuale
della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico:
gli enti locali pertanto, possono, con regolamento,
prevedere l'applicazione di una tariffa avente natura
corrispettiva, in luogo del tributo (comma 29, art. 14).
Il costo del servizio da coprire con la tariffa già
accennata è determinato sulla base dei criteri da stabilirsi
con specifico regolamento.
Una particolarità del nuovo tributo risiede nel fatto che il
legislatore non ha previsto, ma anzi sembra escludere, la
possibilità che sia l'ente erogatore del servizio e non il
comune, a gestire le fasi di riscossione, accertamento e
liquidazione del tributo.
Al contrario, solo e soltanto nei confronti dei comuni che
hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della
quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, si rende
applicabile la deroga per l'affidamento di tali fasi alla
società che gestisce il servizio di raccolta, trattamento e
smaltimento dei rifiuti.
In questo caso, anche la tariffa determinata è applicata e
riscossa dal soggetto affidatario del servizio di gestione
dei rifiuti urbani. In tutti gli altri casi, e cioè la
stragrande maggioranza, sarà il comune a gestire
l'applicazione e la riscossione della Tares.
I comuni che misurano la quantità dei tributi, applicano il
tributo comunale sui rifiuti e sui servizi limitatamente
alla componente diretta alla copertura dei costi relativi ai
servizi indivisibili dei comuni determinata come cennato.
Per quanto attiene alla dichiarazione, i soggetti passivi
del tributo presentano la dichiarazione entro il termine
stabilito dal comune nel regolamento, fissato in relazione
alla data di inizio del possesso, dell'occupazione o della
detenzione dei locali e delle aree assoggettabili a tributo.
Nel caso di occupazione in comune di un fabbricato, la
dichiarazione può essere presentata anche da uno solo degli
occupanti.
La dichiarazione, redatta su modello messo a disposizione
dal comune, ha effetto anche per gli anni successivi
sempreché non si verifichino modificazioni dei dati
dichiarati; in tal caso, la dichiarazione va presentata
entro il termine stabilito dal comune nel regolamento.
Come dianzi riferito, il tributo comunale sui rifiuti e sui
servizi, in deroga all'articolo 52 dlgs n. 446/1997, è
versato esclusivamente al comune.
Infine, il versamento del tributo comunale per l'anno di
riferimento è effettuato, in mancanza di diversa
deliberazione comunale, in quattro rate trimestrali,
scadenti nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre,
mediante bollettino di conto corrente postale ovvero modello
di pagamento unificato. È consentito il pagamento in unica
soluzione entro il mese di giugno di ciascun anno.
Per quanto inerisce la fase di accertamento invece, ai fini
della verifica del corretto assolvimento degli obblighi
tributari, il funzionario responsabile può inviare
questionari al contribuente, richiedere dati e notizie a
uffici pubblici ovvero a enti di gestione di servizi
pubblici, in esenzione da spese e diritti, e disporre
l'accesso ai locali e aree assoggettabili a tributo,
mediante personale debitamente autorizzato e con preavviso
di almeno sette giorni.
In caso di mancata collaborazione del contribuente o altro
impedimento alla diretta rilevazione, l'accertamento può
essere effettuato in base a presunzioni semplici di cui
all'articolo 2729 c.c.; quest'ultima costituisce
un'ulteriore novità del nuovo tributo, che non mancherà di
essere oggetto di interesse da parte dei giuristi.
In caso di omesso o insufficiente versamento del tributo
risultante dalla dichiarazione, si applica l'articolo 13 del
decreto legislativo 18.12.1997, n. 471.
In caso di omessa presentazione della dichiarazione, si
applica la sanzione dal 100 al 200% del tributo non versato,
con un minimo di 50 euro. In caso di infedele dichiarazione,
si applica la sanzione dal 50 per cento al 100 per cento del
tributo non versato, con un minimo di 50 euro. In caso di
mancata, incompleta o infedele risposta al questionario,
entro il termine di legge, si applica la sanzione da euro
100 a euro 500. Le sanzioni previste sono ridotte ad un
terzo se, entro il termine per la proposizione del ricorso,
interviene acquiescenza del contribuente, con pagamento del
dovuto.
Concludendo, facendo un rapido commento generale
sulla Tares, si nota lo sforzo che il legislatore ha fatto
disciplinando più nel dettaglio la nuova imposta, anche se
saranno necessari, sui punti applicativi più controversi,
ulteriori approfondimenti in merito. Non è da escludersi,
infatti, l'introduzione di ulteriori modifiche, anche
sostanziali, nelle norme che disciplinano la Tares
(articolo ItaliaOggi del 05.10.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Il giudice
spieghi le spese compensate. La
mancata motivazione è una violazione di legge.
Commette una violazione di legge il giudice che compensa le
spese giudiziali senza motivare le ragioni poste a base
della decisione. Alla regione, infatti, devono essere
addebitati i costi sostenuti dal contribuente se notifica in
ritardo la cartella con la quale richiede il pagamento della
tassa automobilistica. L'errore dell'amministrazione
pubblica non può ricadere sul contribuente. Il giudice
tributario, dunque, non può compensare le spese processuali
ritenendo legittimo il provvedimento con un generico e
insignificante riferimento a giusti motivi.
È quanto
affermato dalla Commissione tributaria regionale di Roma,
sezione XIV, con la sentenza 11.07.2012 n. 488.
Nel
caso in esame, la regione Lazio aveva richiesto il pagamento
della tassa auto nonostante la cartella fosse stata
notificata oltre il termine di legge. Quindi, aveva preteso
un credito già prescritto, imponendo al contribuente di
sostenere dei costi per la difesa in giudizio. Per i giudici
capitolini, però, «la decisione di compensazione delle spese
del giudizio giustificata dal generico ed insignificante
riferimento a «giusti motivi» o addirittura senza alcun
riferimento causale come nel caso in esame, integra gli
estremi della violazione di legge».
Del resto, anche la
Cassazione (sentenza 14563/2008) ha sostenuto che qualora
l'azione giudiziaria intrapresa dal contribuente risulti
totalmente fondata, la sua difesa sarebbe compromessa se
fosse tenuto a pagare le spese di giustizia (legali e
fiscali). In effetti, con la riforma del processo civile
(legge 69/2009) è stato imposto al giudice di porre a carico
della parte soccombente l'onere di pagare le spese
processuali, salvo casi eccezionali che devono essere
motivati.
La regola è stata introdotta anche per
deflazionare il contenzioso. Secondo la commissione
tributaria regionale di Catanzaro (sentenza 495/2009), la
condanna alle spese di giudizio costituisce l'ipotesi
ordinaria, legata al fatto stesso della soccombenza, a
maggior ragione dopo la modifica dell'articolo 92 del codice
di procedura civile che ammette la compensazione delle spese
solo per ragioni o eventi eccezionali. Ma che esigono
un'adeguata motivazione. Peraltro, nonostante non via sia
alcun automatismo che comporti la condanna
dell'amministrazione, anche l'adozione del provvedimento di
autotutela in corso di causa non è privo di conseguenze.
Sempre la Ctr Roma, sezione XXIX, con la sentenza 43/2011,
ha stabilito che nel processo tributario il fisco deve
essere condannato a pagare le spese processuali anche nei
casi in cui gli atti di accertamento vengano annullati in
seguito all'attività di riesame. Tuttavia, non è così
semplice per l'amministrazione finanziaria scegliere il
comportamento da adottare. La giurisprudenza recente esclude
che gli errori possano ricadere sui soggetti accertati.
Se vengono annullati gli atti impositivi nel corso del
processo, la soccombenza è virtuale e l'amministrazione va
condannata a pagare le spese. Il rimedio, però, in alcuni
casi si è rivelato peggiore del male, perché dopo l'adozione
del provvedimento di autotutela il fisco è stato condannato
anche a risarcire i danni al contribuente
(articolo ItaliaOggi del 04.10.2012
- link a www.corteconti.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: È impossibile eludere il Tar.
E neppure i procedimenti d'urgenza fanno eccezione.
In vigore il dlgs 160/2012, secondo correttivo
del codice del processo amministrativo.
Non si elude la competenza territoriale del Tar. Neanche nei
procedimenti di urgenza. Il giudice amministrativo, cui si
chiede un provvedimento cautelare, deve controllare se è
competente per territorio. E se non lo è, deve passare la
mano.
Lo prevede il decreto legislativo n. 160/2012
(pubblicato sulla G.U. 18.09.2012 n. 218) noto come
secondo correttivo del codice processo amministrativo (dlgs
104/2010).
Il decreto correttivo è entrato in vigore ieri 03.10.2012 e si occupa anche di spese legali e condizioni di
ammissibilità del ricorso.
Vediamo le principali novità.
Competenza territoriale. Due le novità. La prima obbliga il
giudice a pronunciarsi sulla competenza anche rispetto a
richieste di sospensive.
Se dichiara la propria incompetenza, il Tar deve indicare
quale sia il tribunale ritenuto competente e le parti hanno
trenta giorni di tempo per riproporre la causa al giudice
individuato.
Se non c'è richiesta di provvedimento di urgenza, la parte
interessata deve eccepire l'incompetenza territoriale entro
il termine di costituzione, ma il giudice può sempre
rilevarla d'ufficio. Sulla competenza viene anche
specificato che la competenza territoriale relativa al
provvedimento da cui deriva l'interesse a ricorrere attrae
anche quella relativa agli atti presupposti dallo stesso
provvedimento (tranne atti normativi o generali).
Spese di giudizio. Il giudice, nell'adottare il
provvedimento sulle spese di giudizio, da accollare in via
di principio al soccombente, deve tenere conto
dell'osservanza dei principi di chiarezza e sinteticità
nella stesura degli atti. Atti troppo lunghi oppure oscuri
compromettono il rimborso delle spese legali.
Azione di adempimento. Viene codificata l'azione di condanna
al rilascio da parte dell'amministrazione di un determinato
provvedimento. Il Tar in ogni caso non può intervenire
quando l'atto da adottare sia riservato alla piena
discrezionalità dell'amministrazione, mentre può farlo
quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che
non residuano ulteriori margini di esercizio della
discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori
che debbano essere compiuti dall'amministrazione. L'azione
va proposta contestualmente al ricorso introduttivo con cui
si chiede l'annullamento di un atto oppure si impugna
l'inerzia dell'ente pubblico.
Ricorso. Diventa inammissibile, se i motivi di ricorso non
sono specifici. E i contenuti del ricorso (giudice, parti,
fatto, diritto, conclusioni, sottoscrizione) devono essere
tenuti ben distinti
(articolo ItaliaOggi del 04.10.2012). |
aggiornamento al 04.10.2012 |
|
ENTI LOCALI: Pareggio
di bilancio per gli enti locali.
Il vincolo previsto dalla legge di attuazione della riforma
costituzionale in arrivo al Senato.
COSTI DELLA POLITICA/
Per i consigli regionali che non riducono nei tempi previsti
il numero dei componenti possibile lo scoglimento anticipato.
Enti locali e Regioni tra incudine (Governo) e martello
(Parlamento). Mentre l'Esecutivo Monti si appresta a varare
il decreto sui costi della politica, le Camere stanno
ultimando la messa a punto del Ddl per l'attuazione del
pareggio di bilancio in Costituzione.
Nel testo –su cui
prosegue il confronto tra i tecnici di Palazzo Madama,
Montecitorio e Via XX settembre per definire il disegno di
legge da presentare al Senato– il Titolo IV è espressamente
dedicato all'equilibrio di bilanci delle Regioni e degli
enti locali, nonché al loro concorso alla sostenibilità del
debito pubblico. I loro bilanci faranno, dunque, parte con
quello dello Stato centrale di un «bilancio consolidato
nazionale», che dovrà centrare «gli obiettivi di finanza
pubblica».
Questo implica non solo i controlli ex post sulla
legittimità delle spese, da parte della Corte dei Conti, ma
anche ex ante. Il monitoraggio sui conti pubblici al fine di
blindare il pareggio di bilancio sarà affidato a un
organismo indipendente. Per assicurare l'equilibrio
finanziario l'articolo 10 prevede che, sia nella fase di
previsione che in quella di rendiconto, i bilanci registrino
un saldo non negativo in termini di cassa e di competenza
tra entrate finali e spese finali, nonché un saldo non
negativo (anche qui sia per cassa che per competenza) tra le
entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di
capitale delle rate di ammortamento dei prestiti.
Paletti più rigidi con l'articolo 11 anche sul ricorso
all'indebitamento da parte di Comuni, Province, Città
Metropolitane e Regioni. Il ricorso al debito potrà avvenire
solo con la contestuale adozione di uno specifico piano di
ammortamento di durata non superiore alla vita
del'investimento. Inoltre le operazioni di indebitamento
potranno essere effettuate solo sulla base di apposite
intese concluse in ambito regionale e dovranno garantire per
l'anno di riferimento l'equilibrio della gestione di cassa
finale del complesso degli enti della Regione interessata.
Oltre all'obbligo dell'equilibrio dei conti le Pa locali
saranno chiamati a contribuire alla «sostenibilità del
debito del complesso delle pubbliche amministrazioni». E
nelle fasi favorevoli del ciclo economico dovranno
partecipare al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.
Dal canto suo il Governo sta chiudendo sui tagli dei costi
della politica da introdurre nel Dl che potrebbe varare già
domani. Il punto di partenza è la piena operatività delle
disposizioni sul taglio delle poltrone già previste nella
manovra estiva di Berlusconi (Dl 138/2001) attraverso una
nuova tempistica e specifiche sanzioni per chi non si
adegua. Sanzioni che potrebbero essere pecuniarie con un
taglio ai trasferimenti oppure ordinamentali come lo
scioglimento del consiglio o l'esclusione dal circolo dei
"virtuosi".
Sul fronte dei controlli, che per i Comuni saranno
rafforzati per scongiurare i dissesti finanziari e per i
quali verrà costituito un apposito Fondo anti-crisi,
verranno ampliati i poteri dei giudici contabili, che per le
Regioni si concentreranno soprattutto proprio sui costi
della politica.
Sullo sfondo infine, una nuova riforma del Titolo V della
Costituzione. Il ministro Filippo Patroni Griffi lo ha già
annunciato: il federalismo va rivisto e l'Esecutivo entro
qualche settimana metterà a punto un Ddl costituzionale per
rivedere l'intero assetto dei poteri delle Regioni
(articolo Il Sole 24 Ore del 03.10.2012
- link a www.corteconti.it). |
CONDOMINIO:
LA RIFORMA DEL CONDOMINIO/ La riforma approvata alla Camera.
Basta la maggioranza per sorvegliare le parti comuni. Video,
riscaldamento, animali. Nuove regole per il condominio.
Via libera a maggioranza alla videosorveglianza
condominiale. La ripresa di spazi e aree comuni raggiunge
così certezza normativa, all'interno di una grande
confusione giurisprudenziale.
È una delle novità introdotte dalla riforma del condominio
approvata alla camera venerdì scorso in seconda lettura e
ora al senato per l'ormai sicuro sì definitivo (si veda
ItaliaOggi del 28 settembre). Ma vediamo le principali
novità.
La videosorveglianza. L'installazione di sistemi di
videosorveglianza viene sovente effettuata da persone
fisiche per fini esclusivamente personali. In tali ipotesi
possono rientrare, a titolo esemplificativo, strumenti di
videosorveglianza idonei a identificare coloro che si
accingono a entrare in luoghi privati (videocitofoni ovvero
altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche
tramite registrazione), oltre a sistemi di ripresa
installati nei pressi di immobili privati e all'interno di
condomini e loro pertinenze (quali posti auto e box). In tal
caso la disciplina del Codice non trova applicazione qualora
i dati non siano comunicati sistematicamente a terzi ovvero
diffusi.
Si ricorda però che, seppure non trovi applicazione
la disciplina del Codice, al fine di evitare di incorrere
nel reato di interferenze illecite nella vita privata,
l'angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato
ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio
antistanti l'accesso alla propria abitazione) escludendo
ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di
immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli,
scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti
l'abitazione di altri condomini.
Per le aree condominiali, invece, nel provvedimento dell'8
aprile 2010 sulla videosorveglianza il garante ha appurato
una lacuna normativa. In quella sede per i trattamenti
effettuati dal condominio (anche per il tramite della
relativa amministrazione), il garante ha evidenziato
l'assenza di una puntuale disciplina che permettesse di
risolvere alcuni problemi applicativi evidenziati
nell'esperienza di questi ultimi anni. Il garante
evidenziava, infatti, che non era chiaro se l'installazione
di sistemi di videosorveglianza possa essere effettuata in
base alla sola volontà dei comproprietari, o se rilevi anche
la qualità di conduttori; ancora non era chiaro quale fosse
il numero di voti necessario per la deliberazione
condominiale in materia (se occorra cioè l'unanimità oppure
una determinata maggioranza).
La legge di riforma del condominio affronta direttamente la
questione e stabilisce che le deliberazioni concernenti
l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti
volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono
approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al
secondo comma dell'articolo 1136 del codice civile.
Vediamo dunque cosa prevede l'articolo 1136 del codice
civile, che è stato modificato. In prima convocazione per
l'approvazione di una delibera ci vuole il quorum di 2/3 del
valore e maggioranza per teste, e voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore
dell'edificio. In seconda convocazione basta, invece, la
maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che
rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.
Una volta rispettate queste maggioranze si può passare a
installare le telecamere. Ma senza dimenticare che si devono
osservare le precauzioni previste dal provvedimento generale
del garante della privacy.
In particolare si devono osservare le seguenti cautele.
Informativa. Le persone che transitano nelle aree
sorvegliate devono essere informati con cartelli della
presenza delle telecamere, i cartelli devono essere resi
visibili anche quando il sistema di videosorveglianza è
attivo in orario notturno. Nel caso in cui i sistemi di
videosorveglianza installati siano collegati alle forze di
polizia è necessario apporre uno specifico cartello che lo
evidenzi.
Conservazione. Le immagini registrate possono essere
conservate per periodo limitato e fino ad un massimo di 24
ore, fatte salve speciali esigenze di ulteriore
conservazione in relazione a indagini.
Consenso. Contro possibili aggressioni, furti, rapine,
danneggiamenti, atti di vandalismo, prevenzione incendi,
sicurezza del lavoro ecc. si possono installare telecamere
senza il consenso dei soggetti ripresi, ma sempre sulla base
delle prescrizioni indicate dal Garante.
Addio riscaldamento centralizzato. La riforma modifica
l'articolo 1118 del codice civile per precisare che il
singolo condomino può distaccarsi dall'impianto
centralizzato di riscaldamento, ma solo in presenza di due
condizioni. La prima è che l'unità abitativa non gode della
normale erogazione di calore, per problemi tecnici
all'impianto condominiale, che non vengono risolti nel corso
di una intera stagione di riscaldamento. La seconda è che il
distacco non comporti squilibri tali da compromettere la
normale erogazione di calore agli altri condomini o aggravi
di spesa.
Più in dettaglio la norma prevede che il condomino, se viene
oggettivamente constatato che il proprio immobile non gode
della normale erogazione di calore, a causa di problemi
tecnici dell'impianto condominiale, e questi, nell'arco di
una intera stagione di riscaldamento, non sono risolti dal
condominio, può rinunciare all'utilizzo dell'impianto
centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, a
condizione che dal suo distacco non derivino squilibri tali
da compromettere la normale erogazione di calore agli altri
condomini o aggravi di spesa.
Chi si è distaccato non rimane esente da spese: è sempre
tenuto a concorrere esclusivamente al pagamento delle spese
di manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua
conservazione e messa a norma.
Si tratta questa di una specificazione dell'articolo 1118
del codice civile, nella parte in cui prescrive che il
condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose
anzidette, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro
conservazione.
Inoltre il nuovo articolo 1122 del codice civile, in
generale, esclude che il condomino possa eseguire opere che
rechino danno alle parti comuni o pregiudizio alla
stabilità, alla sicurezza e al decoro architettonico
dell'edificio. L'amministratore deve in ogni caso essere
avvisato prima dell'avvio dei lavori ai fini della relativa
comunicazione in assemblea (articolo
ItaliaOggi Sette dell'01.10.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA
PRIVATA: Terre e
rocce hanno gestione a sé.
Dal 6 ottobre la disciplina è fuori dal regime dei rifiuti.
Il dm ambiente 161/2012 ridisegna le regole per il
riutilizzo di sottoprodotti e materiali da scavo.
Dal 06.10.2012 la gestione dei materiali da scavo come
sottoprodotti sarà disciplinata dalle nuove regole dettate
dal dm ambiente 10.08.2012 n. 161 (G.U. del 21.09.2012, n. 221). La nuova disciplina, destinata a sostituire
quella prevista dall'attuale articolo 186 del dlgs 152/2006
(in virtù della delegificazione disposta dallo stesso
«Codice ambientale») stabilisce criteri qualitativi e
adempimenti burocratici per gestire terre e rocce da scavo
fuori dall'oneroso regime dei rifiuti, prevedendo un
controllo degli operatori lungo tutta la filiera delle
sostanze: dalla loro produzione al riutilizzo.
Il dm
161/2012 consentirà la «gestione in deroga» (al regime sui
rifiuti) anche delle terre e rocce da scavo contenenti
«materiali di riporto» così come il trattamento compatibile
con la «normale pratica industriale» prevista dal dlgs
152/2006, ma pretenderà una analitica pianificazione delle
operazioni di riutilizzo e il rispetto di precise scadenze
temporali.
Le novità e il «Codice ambientale». Il dlgs 152/2006 prevede
in termini generali due tipologie di materiali da scavo,
disciplinandone diversamente la gestione: da un lato vi è il
suolo non contaminato e il materiale allo stato naturale
riutilizzato nello stesso sito; dall'altro vi sono i
materiali da scavo non rientranti nella prima categoria.
I
materiali inclusi nella prima categoria (unitamente al
terreno) non sono considerati rifiuti «ex lege» (in forza
dell'articolo 185 dello stesso Codice, che li esclude dal
campo di applicazione della relativa disciplina); tutti gli
altri materiali possono non essere considerati rifiuti solo
in due casi: a) perché rispettano a monte i requisiti propri
dei sottoprodotti; b) perché hanno riacquistano, a valle, a
seguito dunque di operazioni di recupero, lo status di veri
e propri beni.
I materiali da scavo come «sottoprodotti». Il nuovo dm
161/2012 si inserisce nel quadro generale disegnato dal dlgs
152/2006 così come sopra delineato, stabilendo i nuovi
requisiti che le terre e rocce da scavo devono soddisfare
per essere gestiti come sottoprodotti. Le nuove regole
recate dal dm in esame riguarderanno i «materiali da scavo»,
ossia il suolo e il sottosuolo (compresi eventuali
«materiali di riporto» in essi presenti) derivanti dalla
realizzazione di opere di costruzione, demolizione (a
esclusione dell'abbattimento di edifici), recupero,
restauro, ristrutturazione manutenzione. A titolo
esemplificativo, il nuovo dm 161/202 elenca tra le opere in
parola gli scavi in generale (sbancamenti, fondazioni), le
perforazioni e trivellazioni, le opere infrastrutturali
(come gallerie, dighe, strade), la rimozione e il
livellamento di opere in terra.
Il nuovo dm 161/2012 ammette
altresì tra i «materiali da scavo» potenzialmente gestibili
come sottoprodotti quelli contenenti «materiali di riporto»,
ossia le miscele eterogenee di materiali di origine
antropica utilizzati nel corso del tempo per riempimenti del
terreno e sedimentatisi nel suolo, purché nella quantità
massima del 20%. Tale previsione, lo ricordiamo, è la
diretta conseguenza della norma recata dall'articolo 3 del
dl 2/2012, la quale (mediante un'operazione di
«interpretazione autentica») ha stabilito che la nozione di
«suolo» recata dall'articolo 185 del dlgs 152/2006 deve
essere riferita anche alle «matrici materiali di riporto».
Come accennato, non rientrano invece nel campo di
applicazione del nuovo dm 161/2012 i rifiuti provenienti
direttamente dall'esecuzione dei lavori di demolizione degli
edifici o di altri manufatti, per i quali il regolamento in
parola rinvia all'applicazione delle generali regole
previste dalla parte IV del dlgs 152/2006.
I requisiti tecnici. Il dm 161/2012 legittima la gestione
come sottoprodotti dei materiali da scavo a condizione che
siano osservati due ordini di condizioni, ossia: il rispetto
di precisi criteri tecnici e gestionali delle sostanze in
parola; l'adempimento di particolari obblighi formali (sia
da parte dei loro produttori che da parte dei successivi
soggetti della filiera).
In primo luogo, i materiali
dovranno rispondere ai seguenti requisiti (analoghi a quelli
previsti dall'articolo 184-bis del dlgs 152/2006 per i
sottoprodotti in generale), ossia: essere generati durante
la realizzazione di un'opera di cui costituiscono parte
integrante ma il cui scopo primario non è la loro
produzione; essere riutilizzati nel corso dell'esecuzione
della stessa opera dalla quale deriva, (oppure) in una
diversa opera per reinterri, rimodellazioni, miglioramenti
fondiari o viari, altri ripristini e miglioramenti
ambientali, (o, ancora) in processi produttivi, quale
sostituto di materiali di cava; essere riutilizzati
«direttamente», ossia senza subire preventivi trattamenti
diversi dalla «normale pratica industriale»; essere detti
materiali in linea con i parametri di qualità ambientale
previsti dall'allegato 4 al decreto ministeriale in parola
(parametri relativi ai livelli massimi di concentrazione di
sostanze inquinanti ammissibili).
Nel tenore del dm 161/2012
costituiscono, in particolare, «normale pratica industriale»
le operazioni di miglioramento delle caratteristiche
merceologiche dei materiali, finalizzate a renderne il
riutilizzo maggiormente produttivo e tecnicamente efficace.
Tra queste operazioni il dm 161/2012 richiama, a titolo
esemplificativo, quelle più comunemente adottate, come la
selezione granulometrica, la riduzione volumetrica, la
stabilizzazione, la stesa a suolo l'asciugatura, la
riduzione della presenza di materiale da scavo.
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Va rispettato il piano di utilizzo.
Dal punto di vista formale, invece, gli obblighi sono legati
all'intera filiera del riutilizzo. Infatti, sempre che
rispondano i suddetti requisiti, i materiali potranno essere
gestiti come sottoprodotti solo ove: vengano governati nel
rispetto del «piano di utilizzo» concordato con l'autorità
pubblica responsabile dell'autorizzazione dell'opera dalla
quale i materiali provengono (o a quella responsabile della
valutazione di impatto ambientale o autorizzazione
integrata, ove necessarie); siano depositati (nelle more del
riutilizzo) secondo le regole particolari dettate dal dm
161/2012; siano trasportati insieme al peculiare «documento
di trasporto»; siano certificati nel loro riutilizzo da una
apposita «dichiarazione di avvenuto utilizzo» rilasciata
dall'esecutore del medesimo. In caso di inosservanza delle
regole relative anche a un singolo anello della catena, i
materiali saranno considerati non più sottoprodotti, ma
rifiuti, con l'obbligo di doverli gestire come tali.
Il
«piano di utilizzo», in particolare, dovrà essere presentato
dal soggetto che intende gestire i materiali da scavo come
sottoprodotti alla Autorità competente almeno 90 giorni
prima dell'inizio dei lavori per la realizzazione dell'opera
da cui potranno derivare i materiali da scavo, dimostrando,
tramite lo stesso documento, la sussistenza di tutti i
citati requisiti oggettivi dei materiali, e indicando
altresì tempi, modi e luoghi di realizzazione delle opere (o
delle attività manutentive).
La gestione del materiale come sottoprodotto potrà iniziare
decorsi 90 giorni dalla presentazione del suddetto piano e
previa comunicazione della data di inizio lavori alla stessa
autorità competente ma comunque non oltre i 2 anni dalla
presentazione dello stesso. Lo stoccaggio del materiale
escavato in attesa di utilizzo potrà invece avvenire
esclusivamente all'interno del sito di produzione, dei siti
di deposito intermedio o dei siti di destinazione finale.
Il deposito dovrà altresì avvenire nel rispetto delle
indicazioni e della tempistica del citato piano di utilizzo,
separato dal deposito temporaneo di eventuali rifiuti
presenti in loco ed appositamente segnalato. In tutte le
fasi successive all'uscita dal sito di produzione il
materiale escavato dovrà essere accompagnato dal citato
«documento di trasporto» previsto dal dm 161/2012 (sulla
falsariga del formulario di trasporto ex dlgs 152/2006),
predisposto in tre copie e conservato per cinque anni.
Nuovo quadro normativo e regime transitorio. Dalla sua
entrata in vigore (coincidente con il 06.10.2012) le
nuove norme recate dal dm 161/2012 sostituiranno, come
accennato, le analoghe regole per la gestione delle terre e
rocce da scavo recate dall'articolo 186 del dlgs 152/2006. E
ciò in forza (a monte) dell'articolo 184-bis dello stesso
Codice ambientale che legittima il relativo dicastero a
stabilire con proprio decreto particolari regole sui
sottoprodotti per particolari tipologie di sostanze e (a
valle) dall'articolo 39 del dlgs 205/2010 che prevede
l'abrogazione del citato articolo 186 a partire dall'entrata
in vigore del nuovo decreto ministeriale (oggi decreto
161/2012).
Al fine di garantire una gestione dei
sottoprodotti in parola senza soluzione di continuità, il
nuovo dm riconosce però ai soggetti interessati a progetti
di riutilizzo in corso la facoltà di passare dal vecchio
(quello previsto dall'articolo 186 del dlgs 152/2006) al
nuovo regime di gestione tramite la presentazione del
previsto «piano di utilizzo» entro la metà del prossimo
aprile 2012.
In difetto, i progetti in itinere dovranno invece essere
portati a termine secondo le uscenti regole del dlgs
152/2006 (articolo ItaliaOggi
Sette dell'01.10.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Proprietà. Intervento a metà tra la manutenzione
straordinaria e la ristrutturazione.
Più semplice frazionare le unità immobiliari.
Ma l'esclusione dagli oneri urbanistici non è automatica.
IL TITOLO ABILITATIVO/
Permesso di costruire o Dia rafforzata nelle Regioni in cui
l'operazione non è ancora stata alleggerita.
Ville familiari ormai troppo grandi per i nuclei moderni,
crisi economica e necessità di sfruttare al massimo gli
immobili: sono tante le ragioni che spingono i proprietari
di casa a dividere il proprio immobile e a ricavarne più
unità.
Il frazionamento di immobili è in crescita e lo dimostra
anche la recente legge del Veneto che ha deciso di favorirlo.
Ma diverse sono le procedure da seguire per questo tipo di
intervento edilizio, anche a seconda della disciplina
regionale. Se si abita in Lombardia o in Veneto l'intervento
sarà considerato di manutenzione straordinaria: basterà
presentare una Scia (segnalazione certificata di inizio
attività) e, senza alcun onere o tassa, si potrà procedere
ai lavori di frazionamento.
Se invece si abita in un'altra regione questo intervento
sarà classificato come una ristrutturazione e, di
conseguenza, sarà assoggettato a permesso di costruire (o
alla cosiddetta Super-Dia e persino alla Scia in Toscana) e
al pagamento di un contributo simile a quello del totale
rifacimento di un intero edificio.
Perché questa differenza? Per comprendere la discrepanza
bisogna considerare la definizione di manutenzione
straordinaria introdotta dalla legge 457/78 e confermata dal
Testo unico per l'edilizia del 2001. Quest'ultimo impone che
la manutenzione straordinaria non alteri le superfici delle
singole unità immobiliari, senza perciò possibilità di
aumentarne o diminuirne il numero.
Secondo la legge nazionale, frazionare non è quindi un
intervento classificabile come manutenzione straordinaria
(fatte salve le diverse discipline regionali).
Resta da stabilire se la modifica delle unità immobiliari è
sottoposta ad autorizzazione gratuita, qualora sia
considerata come risanamento conservativo, o al pagamento di
oneri, se considerata ristrutturazione. A questo proposito
entra in gioco il concetto di «carico urbanistico», ovvero
bisogna valutare se il frazionamento comporta un aumento
delle spese per servizi da parte dei Comuni. Secondo quasi
tutte le leggi regionali ed una giurisprudenza abbastanza
consolidata il carico urbanistico aumenta, quindi frazionare
un appartamento comporta il pagamento di oneri ed una
procedura più complessa di una mera opera interna, anche
quando per dividere l'immobile è sufficiente chiudere una
porta o un piccolo tratto di muro. La ratio di tale
posizione è che l'aumento dei nuclei familiari comporta
maggiori servizi, ma ad essa si potrebbe obiettare che il
numero di persone insediabili in un grande appartamento può
essere superiore a quello degli abitanti nella somma dei
monolocali corrispondenti alla stessa superficie e che il
calcolo dello standard è sempre stato fatto a superficie
invece che a numero delle unità.
Per riparare a tali contraddizioni, la regione Emilia
Romagna ha previsto, con l'articolo 28 della legge regionale
31/02, la possibile gratuità del frazionamento in caso di
opere ridotte o di minimo aumento del carico, ma la sua
applicazione è controversa (si veda Tar Emilia Romagna n.
352/2008).
Anche la Lombardia, con la legge regionale 12/2005, prevede
fusioni e frazionamenti compresi nella manutenzione
straordinaria. Ma alcuni Comuni non demordono e richiedono
comunque il pagamento di oneri per compensare il maggior
carico.
In conclusione, salvo Lombardia e Veneto, il frazionamento è
trattato come un intervento edilizio rilevante a prescindere
dal fatto che esso riguardi un intero fabbricato o un
singolo appartamento. Anche in Lombardia e Veneto, però, il
frazionamento non deve comportare una sostanziale modifica
dell'intero edificio ed in particolare delle parti comuni,
in tal caso si rientra nella ristrutturazione, a prescindere
dalla modifica del numero delle unità immobiliari.
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Leggi regionali. Le norme
a regime -
Lombardia apripista Ora tocca al Veneto
La spinta alla semplificazione dei frazionamenti immobiliari
viene soprattutto dalle leggi regionali. Da ultimo è
arrivato il Veneto con la legge 34/2012, nata da un'esigenza
del territorio: di famiglie, imprese, associazioni
industriali e della proprietà edilizia.
La norma modifica l'articolo 76 della legge 61/1985 e consente
ai cittadini di frazionare in più unità (o accorpare, al
contrario) una casa, senza dover pagare ai comuni pesanti
oneri di urbanizzazione.
Tutto dipende dalla nuova classificazione attribuita ai
frazionamenti. La legge, in un solo articolo, precisa,
infatti, che questi interventi non sono ristrutturazioni, ma
manutenzioni straordinarie e possono, perciò, essere
eseguiti senza che ciò comporti l'aumento di un carico
urbanistico. La norma vale per locali che mantengono "la
destinazione d'uso residenziale": nulla viene invece detto
per immobili terziari o industriali.
«La legge –spiega il consigliere Dario Bond, primo
firmatario– risponde a una domanda reale. In Veneto le
proprietà immobiliari individuali sono numerose. Ma oggi, a
fronte dei cambiamenti che investono i nuclei familiari, le
case troppo grandi non rispondono ai bisogni delle famiglie,
che invece spesso hanno necessità di avere due appartamenti
vicini e autonomi, da condividere con genitori anziani o
figli indipendenti».
Prima del Veneto, la strada innovativa era già stata
percorsa, e da parecchio, dalla Lombardia. Del tutto diverso
è, invece, il caso dei frazionamenti consentiti dai piani
casa regionali, ma come interventi straordinari in deroga ai
Prg, a tempo limitato e, soprattutto, a fronte spesso di
pesanti restyling dell'edificio. «Il frazionamento senza
oneri –tira le somme Camillo Bertocchi, funzionario del
settore Urbanistica della Lombardia– è stato inserito
all'articolo 27 della legge 12 dell'11 marzo 2005, che
disciplina il governo del territorio. Si tratta di una
possibilità che è stata utilizzata sul territorio ed è molto
attuale. Anche perché è realizzabile presentando in Comune
una semplice Scia o addirittura una comunicazione libera».
Positivo il riscontro delle associazioni che tutelano la
proprietà edilizia. «La legge veneta –commenta Michele
Vigne, presidente della sezione regionale di Confedilizia–
recepisce nel migliore dei modi una proposta che noi stessi
avevamo avanzato. Del resto, se un'unità viene frazionata
senza variare superficie, volume o destinazione d'uso, non
ha senso il pagamento di oneri molto gravosi». L'unica
incertezza aperta è sul fronte delle imposte sulla casa. Il
frazionamento comporta un aggiornamento della situazione
catastale e la definizione di una nuova rendita
indispensabile per il calcolo di tasse e Imu (si veda
l'articolo a fianco). «C'è da augurarsi –conclude Vigne–
che l'ostacolo non arrivi da qui».
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Il Territorio. L'aggiornamento dei dati -
Cambia anche la rendita catastale
Ultimati i lavori di frazionamento di unità immobiliari, va
completata la pratica sotto il profilo catastale. Il
proprietario dovrà rivolgersi a un tecnico professionista –autorizzato a operare negli atti catastali, iscritto
all'albo degli ingegneri, architetti, geometri, dottori
agronomi, periti edili e agrari, agrotecnici diplomati e
laureati– che, esaminata la porzione di fabbricato su cui
operare, dovrà richiedere la visura catastale, contenente
tutti i dati relativi ai possessori, alla consistenza,
categoria, classe e rendita, oltre alla copia della
planimetria originale, previa autorizzazione scritta del
proprietario, sulla quale sono rappresentate le eventuali
pertinenze (cantina, soffitta, eccetera), oltre alle
dipendenze (giardini, terrazzi, orticelli e così via).
Disponendo di questi elementi, il tecnico dovrà individuare
le porzioni in cui è suddivisa l'unità, generalmente due nel
caso di un appartamento di media grandezza, ma anche diverse
nel caso di ville di grande consistenza, o dei grandi
negozi, capannoni e depositi.
Individuate le porzioni di fabbricato, da ricavare
dall'unità originale, il tecnico dovrà delineare le nuove
planimetrie, alle quali annettere eventuali pertinenze e,
quindi,utilizzando il programma Docfa, dovrà attribuire a
ciascuna nuova unità ricavata, un nuovo subalterno
identificativo, una rendita proposta, e quindi trasmetterle
per via telematica all'ufficio provinciale dell'Agenzia
competente. Con lo stesso mezzo l'ufficio, verificata la
correttezza formale di ogni unità dichiarata, trasmette in
automatico la ricevuta di presentazione e, da quel momento,
il possessore potrà utilizzare i nuovi dati catastali per
ogni necessità, sia civilistica (trasferimento di proprietà,
divisone, conferimenti, successione) che fiscale (denuncia
dei redditi, Imu).
Tuttavia, qualora l'ufficio ritenga non congrua la rendita,
potrà modificarla, notificando al possessore la nuova
rendita, che risulterà efficace dalla data di presentazione
della denuncia, se la notifica verrà effettuata entro 12
mesi, mentre se sarà notificata dopo la sua efficacia
decorrerà dalla data della notifica (Cassazione, sentenza
17818/2007).
Il costo delle denunce, oltre al tributo speciale catastale
di 35 euro per ogni unità denunciata, e il bollo, richiede
il pagamento del professionista, sulla base delle vacazioni
orarie impiegate, che per un appartamento di 10o metri
quadrati può variare da 300 a 500 euro.
Se la variazione dovesse riguardare l'ampliamento del sedime
del fabbricato, è necessario effettuare l'aggiornamento
della mappa, mediate il rilievo del fabbricato e l'utilizzo
del programma Pregeo, fornito dalla stessa Agenzia.
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Semplificazioni. Nessun via libera preventivo per chi
accorpa -
La fusione è sempre ammessa
La manutenzione straordinaria, come definita dalla legge
457/1978, non può alterare le superfici delle singole unità
immobiliari e non permette, perciò, di aumentarne o
diminuirne il numero. Cosa fare quindi nel caso in cui si
intenda unire due appartamenti o semplicemente spostare una
stanza da uno all'altro? In realtà il divieto di modificare
la superficie delle unità immobiliari ha sempre riguardato
solo il caso del frazionamento e non la fusione.
Malgrado,
infatti, la definizione di manutenzione straordinaria non
ammetta modifiche alla superficie delle unità immobiliari,
la fusione tra due o più unità è sempre stata trattata in
modo diverso, rispetto al frazionamento, ed ammessa anche
quando non erano in vigore le leggi che lo consentivano, in
ragione del minore carico urbanistico e della conseguente
impossibilità di richiedere oneri per i Comuni.
Dopo la legge 457/78, la legge 47/1985, all'articolo 26, ha
consentito di asseverare opere interne senza aumento del
numero delle unità immobiliari, (consentendone quindi la
diminuzione). Essa ha chiarito altresì che non è considerato
aumento delle superfici utili l'eliminazione o lo
spostamento di pareti. Era quindi possibile accorpare
appartamenti ma non frazionarli. A partire dal 1996 la
situazione si è complicata, infatti la legge 662/1996,
istituendo la Dia (denuncia di inizio attività), ha
assoggettato ad essa le opere interne di singole unità
immobiliari, contraddicendo quindi l'articolo 26, ma senza
abrogarlo.
Dall'entrata in vigore del Testo unico per
l'edilizia nel 2003, l'articolo 26 è scomparso, rendendo
impossibile modificare il numero delle unità immobiliari. Ma
la legge 73/2010 (di conversione del Dl 40/2010)
intervenendo ancora sul Testo unico, ha compreso tra gli
interventi che non richiedono titolo edilizio le opere di
manutenzione straordinaria che non comportino aumento del
numero delle unità immobiliari, per le quali è sufficiente
presentare un'asseverazione di un tecnico, senza alcuna
procedura comunale, rendendo di nuovo possibile modificare
il numero delle unità e ritornando, in pratica, all'articolo
26 del 1985.
Bisogna però sempre ricordare che l'intervento non deve
modificare la destinazione d'uso o, secondo la norma più
recente, comportare incremento dei parametri urbanistici,
passando da una destinazione con minore ad una con maggiore
richiesta di infrastrutture (ad esempio da residenza a
terziario).
Al contrario, se il frazionamento comporta oneri, può anche,
se ammissibile per il Piano regolatore cambiare la
destinazione.
Un'ultima verifica che deve essere fatta è quella della
presenza di vincoli: in caso di vincolo paesaggistico, se le
opere da eseguire sono solo interne, non è necessaria alcuna
autorizzazione; se invece l'immobile è gravato da un vincolo
monumentale la modifica delle unità è sottoposta a
preventivo nullaosta della Soprintendenza
(articolo Il
Sole 24 Ore dell'01.10.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Spending review. Contenzioso.
Obbligo di appello sulle promozioni decise dal giudice.
LA DIRETTIVA/
Le amministrazioni pubbliche devono proporre ricorso contro
gli aumenti e le progressioni di carriera riconosciuti ai
dipendenti.
Le amministrazioni pubbliche devono proporre ricorso contro
le sentenze con cui sono condannate a riconoscere
miglioramenti economici e progressioni di carriera ai propri
dipendenti. Questo vincolo si aggiunge al divieto di
estensione del giudicato, all'obbligo di realizzare in ogni
ente un ufficio per gestire il contenzioso con il personale,
all'obbligo di segnalare alla Funzione Pubblica e al
ministero dell'Economia tutte le cause di lavoro da cui
potrebbero risultare oneri rilevanti per il complesso delle
amministrazioni pubbliche.
L'Aran può infine intervenire nei
processi di lavoro pubblico. Sono questi gli strumenti
attraverso cui si cerca di evitare che gli enti pubblici
sostengano oneri aggiuntivi derivanti dalla conclusione con
esito negativo dei contenziosi di lavoro pubblico. Si deve
inoltre aggiungere la necessità, non sempre rispettata, che
le Pa si costituiscano nei processi del lavoro in cui sono
parte.
L'obbligo più recente è quello della proposizione
dell'appello, introdotto dalla direttiva del presidente del
Consiglio dei ministri «Indirizzi operativi ai fini del
contenimento della spesa pubblica», pubblicata sulla
«Gazzetta ufficiale» del 23 luglio scorso. Nell'ambito delle
misure di spending review, la disposizione è dettata per le
amministrazioni statali ma è un principio di carattere
generale che vale per tutte le Pa, compresi gli enti locali.
Lo scopo è «evitare che le sentenze di primo grado che
riconoscono miglioramenti economici, progressioni di
carriera per dipendenti pubblici passino in giudicato».
Le amministrazioni pubbliche hanno, a tempo indeterminato
(in base all'articolo 41, comma 6, del Dl 207/2008) il
divieto «di adottare provvedimenti per l'estensione di
decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, o
comunque divenute esecutive, in materia di personale delle
amministrazioni pubbliche». Né un'altra pubblica
amministrazione, né lo stesso ente, possono estendere il
giudicato in materia di lavoro al di là del caso che è stato
oggetto di sentenza sfavorevole per il soggetto pubblico. È
evidente la sfiducia con cui il legislatore guarda alla
giurisprudenza del lavoro, anche nei casi in cui essa sia
definitiva.
Un insieme di previsioni del Dlgs 165/2001 mirano a
rafforzare la posizione delle Pa nel contenzioso del lavoro.
In primo luogo, si richiede la maturazione di
professionalità specifiche, con l'attivazione, anche in
forma associata, dell'ufficio per la gestione del
contenzioso del lavoro. Si impone poi a tutte le Pa di
segnalare alla Funzione pubblica e al ministero
dell'Economia tutti i contenziosi che possono determinare il
maturare di oneri significativi.
Questi enti possono
intervenire nei processi (in base all'articolo 105 del
Codice di procedura civile). Anche l'Aran, per garantire
l'omogeneità nell'interpretazione dei Ccnl, può intervenire
nei contenziosi sul lavoro pubblico (articolo Il
Sole 24 Ore dell'01.10.2012). |
aggiornamento all'01.10.2012 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI - PROGETTUALI: Integrativo 4% anche
con le p.a.. La risposta del Lavoro
ai professionisti.
Anche le pubbliche amministrazioni sono tenute a pagare al
professionista il contributo integrativo al 4% e non al 2%.
Questo il senso della risposta fornita dal viceministro al
Lavoro Michel Martone a un'interrogazione proposta alla
camera dal deputato Antonino lo Presti. Un'apertura di
credito nel senso dalla possibilità di applicazione a pieno
titolo anche nel caso delle pubbliche amministrazioni, che
coinvolge e interessa tutti i liberi professionisti iscritti
alle Casse di nuova generazione finora penalizzati da
un'interpretazione in senso contrario del ministero
dell'economia.
La legge «Lo Presti», dal luglio 2011, ha
fornito la possibilità ai liberi professionisti di aumentare
la loro pensione attraverso l'utilizzo di una parte del
contributo integrativo riconosciuto in fattura dal cliente
al momento di liquidare una prestazione professionale. Ma a
una condizione: che il contributo fosse debitamente
aumentato dal 2 al 4%. Questo principio, però, era stato
circoscritto dal ministero dell'economia che metteva al
riparo le pubbliche amministrazioni dal riconoscere la
possibilità di applicare il 4% al posto del 2, coinvolgendo
i professionisti iscritti alle Casse del 103: biologi,
infermieri, psicologi, periti industriali e le quattro
professioni legate alla Cassa pluricategoriale (attuari,
chimici, dottori agronomi e forestali, geologi).
Insomma, il ministero dell'economia introduceva il principio
del doppio binario: quando lavori per un privato, il
contributo integrativo si applica al 4%, quando lavori per
il pubblico, quel contributo resta fermo al 2%. In questo
caso, per i liberi professionisti avrebbe significato niente
possibilità di mettere da parte più denari per la futura
pensione.
Il viceministro Martone, però, ha aperto a una revisione
dell'interpretazione, rispondendo all'interrogazione
parlamentare presentata dallo stesso onorevole Lo Presti
(seduta
20.09.2012 n. 689). Martone ha riconosciuto che
sono intervenuti due fattori che meritano un ripensamento
della lettura limitativa della legge 133/2011: anzitutto
sono stati aboliti i minimi tariffari e, in secondo luogo, è
palese come sia incostituzionale discriminare alcune
categorie professionali rispetto ad altre, spesso coinvolte
in lavori sostanzialmente simili
(articolo ItaliaOggi del 28.09.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
CONDOMINIO: Amministratori, revoca più facile.
Basta una sola firma. Arrivano il registro e l'assicurazione.
Ok della Camera al ddl, ora l'ultimo
sì del Senato. Animali in libertà.
L'amministratore del condominio dovrà avere una polizza di
responsabilità civile e basterà la firma anche di un solo
condomino per chiederne la revoca. L'amministratore dovrà
inoltre iscriversi al registro gestito dall'Agenzia del
territorio e seguire corsi di formazione. Nessun divieto a
chi vuole tenere cani o gatti. Possibilità per il condominio
di aprire un sito Internet dove scambiarsi rendiconti e
delibere, e per il condomino di distaccarsi dal
riscaldamento centralizzato, anche se dovrà continuare a
pagare le spese di manutenzione straordinaria dell'impianto.
Chi acquista è responsabile delle spese condominiali non
pagate alla data del subentro senza limiti.
Sono queste
alcune delle novità del
ddl
C-4041 di riforma del condominio,
approvato ieri dalla Camera in seconda lettura e che adesso
passa al Senato per il sì definitivo.
Riscaldamento. Riprendendo un orientamento della cassazione,
da un lato si consente al singolo condomino di staccarsi
dall'impianto di riscaldamento centralizzato: il presupposto
è che abbia riscontrato un malfunzionamento per un anno e
sempre che li disservizio sia da imputare all'impianto
condominiale; dall'altro lato il singolo condomino dovrà
continuare a partecipare alle spese straordinario
dell'impianto comune.
Animali da compagnia. Il regolamento condominiale non può
porre limiti alle destinazioni d'uso delle unità di
proprietà esclusiva e non può vietare di possedere o
detenere animali da compagnia.
Videosorveglianza. Il garante della privacy più volte ha
sollevato il problema della mancanza di una disposizione
specifica sulla maggioranza relativa all'installazione di
impianti di videosorveglianza sulle parti comuni. La riforma
specifica che basta la maggioranza (articolo 1136, secondo
comma, codice civile) e non ci vuole l'unanimità.
Maggioranze. Viene riscritto articolo 1136 del codice
civile. In prima convocazione per l'approvazione di una
delibera ci vuole il quorum di 2/3 del valore e maggioranza
per teste, e voto favorevole della maggioranza degli
intervenuti e almeno metà del valore dell'edificio. In
seconda convocazione basta, invece, la maggioranza degli
intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un
terzo del valore dell'edificio.
Amministratore dimezzato. L'amministratore non potrà
accedere nei singoli alloggi per verificare se sono stati
fatti lavoro che mettono in pericolo la sicurezza degli
edifici. La prerogativa prevista nel testo originario è
stata annullata durante l'iter parlamentare.
Polizza dell'amministratore. L'amministratore deve prestare
una polizza di responsabilità civile; anche se il premio è
caricato sul bilancio condominiale.
Revoca dell'amministratore. Basta la firma di un solo
condomino per chiedere la convocazione dell'assemblea per
revocare l'amministratore infedele.
Subentro nell'alloggio. Chi acquista un alloggio diventa
responsabile di tutte le spese condominiali non pagate alla
data del subentro senza limiti di tempo. Occorre, quindi,
che la situazione venga messa in chiaro per evitare un
decreto ingiuntivo del condominio. Sempre in materia di
spese si segnala che il nudo proprietario e l'usufruttuario
diventano responsabili in solido per il pagamento dei
contributi dovuti all'amministrazione condominiali.
Assemblee. La riforma stabilisce il divieto di tenerle nei
giorni di feste religiose.
Millesimi. La possibilità di rettifica a maggioranza dei
millesimi sbagliati riguarda tutti i casi di errore e non
solo quello (unico originariamente previsto) di errore di
calcolo materiale.
Repertorio dei condomini. Viene istituito presso l'agenzia
del territorio il repertorio dei condomini. Saranno annotate
le deliberazioni delle assemblee, i bilanci, le modifiche di
destinazioni di uso, contratti, le ordinanze e sentenze
riguardanti il condominio.
Registro degli amministratori. Sempre presso l'Agenzia del
territorio (e non preso le camere di commercio) è istituito
il registro degli amministratori, in cui possono iscriversi
anche le società. Potranno iscriversi da subito coloro che
hanno un triennio di attività; poi è richiesta la frequenza
a un corso di formazione.
Sito web. Il condominio potrà aprirsi un sito internet on la
maggioranza dell'articolo 1136 codice civile: servirà a
scambiare rendiconti e delibere.
Conciliazione.
Per le mediazioni, precedenti una causa, si deve andare ad
un organismo di conciliazione nella circoscrizione del
tribunale in cui ha sede il condominio
(articolo ItaliaOggi del 28.09.2012). |
APPALTI: Appalti
incagliati sull'asseverazione.
Il giallo su come e chi deve redigere il documento di
asseverazione obbligatorio per liquidare le fatture negli
appalti di lavori, forniture e servizi, sta di fatto
bloccando i pagamenti tra la p.a. e le imprese e tra
appaltatore e subappaltatore.
La nuova difficoltà è stata
segnalata ieri dall'associazione nazionale dei costruttori
edili (Ance) che ha chiesto al governo di sospendere la
norma entrata in vigore ad agosto con il decreto Sviluppo
fino a quando non saranno chiarite le specifiche attuative.
Il documento di asseverazione è previsto dall'articolo
13-ter: stabilisce la responsabilità solidale fiscale
dell'appaltatore con il suo subappaltatore e il suo
committente e certifica che il subappaltatore è in regola
con l'erario sulle ritenute fiscali sui dipendenti e il
pagamento dell'Iva relativa all'appalto. Diversamente, in
mancanza del documento di asseverazione, scatta il
meccanismo della responsabilità fiscale e delle sanzioni.
Il
risultato, ha denunciato ieri l'Ance, è che la poca
chiarezza sui contenuti del documento e su chi è autorizzato
a redigerlo, di fatto sta portando al blocco dei pagamenti
per mancanza dell'asseverazione
(articolo ItaliaOggi del 28.09.2012). |
APPALTI - EDILIZIA
PRIVATA: SEMPLIFICAZIONI/ Il silenzio rifiuto finisce in soffitta.
Provvedimento espresso sulle costruzioni in caso di vincoli.
Le disposizioni della bozza di
decreto in materia di contratti pubblici.
Ammesse alle gare di appalto le imprese che hanno
sottoscritto un contratto di rete, ma con le regole dei
raggruppamenti temporanei e dei consorzi; agevolato lo
svincolo delle garanzie di buona esecuzione rese dalla
imprese di costruzioni, anche per le opere in esercizio non
ancora collaudate; eliminato il silenzio rifiuto sul
permesso di costruire in caso di vincoli; più agevole la
qualificazione delle imprese che operano nel settore
impiantistico.
Sono queste alcune delle novità previste nella bozza di
decreto legge sulla semplificazione che dovrebbe andare oggi
in Consiglio dei ministri.
Diverse le modifiche apportate al
Codice dei contratti pubblici, in primis per quel che
riguarda la qualificazione delle imprese di costruzioni
operanti nell'ambito della categoria OG11 (impianti
tecnologici), la bozza di decreto legge prevede (anche se
sono possibili ancora riformulazioni da parte del ministero
delle infrastrutture) che siano modificate le percentuali
previste dal regolamento del Codice dei contratti pubblici
di possesso di requisiti speciali previsti per tre categorie
specialistiche (OS3, impianti idrici, OS28, impianti
termici e OS30, impianti elettrici e telefonici). In
particolare le percentuali passano dal 40% al 20% per la
OS3, dal 70% al 40% per la OS28 e per la OS30.
Un'ulteriore novità è rappresentata dall'inserimento fra i
partecipanti alle gare di appalto possano esservi anche le
aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete ai
sensi del comma 4-ter, dell'articolo 3, del decreto legge 10.02.2009, n. 5. Si tratta di imprese appartenenti a un
network ma che mantengono la propria individualità regolando
i rapporti giuridici derivanti da una collaborazione stabile
basata su obiettivi strategici. Il decreto prevede che alle
aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete si
applichino le disposizioni dell'articolo 37 del Codice dei
contratti pubblici, che a sua volta detta le regole per la
costituzione e il funzionamento dei raggruppamenti
temporanei di imprese e dei consorzi ordinari di
concorrenti. Ciò dovrebbe significa che le imprese che
abbiano sottoscritto il contratto di rete dovranno
configurare la propria «aggregazione» secondo le regole
proprie di queste due tipologie di soggetti raggruppati.
Va
anche rilevato, però, che il decreto prevede comunque che
qualche problema di adeguamento e coordinamento vi possa
essere, dal momento che si premura di precisare che le
disposizioni dell'articolo 37 trovano applicazione alla
partecipazione alle procedure di affidamento delle
aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete,
«in quanto compatibili». Con ulteriori modifiche al Codice
dei contratti pubblici vengono anche modificate le
percentuali per lo svincolo delle garanzie di buona
esecuzione (la cauzione definitiva) La norma toccata è
l'articolo 113 del Codice dei contratti che stabilisce che
la cauzione prestata sia progressivamente svincolata, a
misura dell'avanzamento dell'esecuzione, nel limite massimo
del 75 per cento dell'iniziale importo garantito.
Il decreto
alza del 5% questa percentuale, arrivando fino all'80%,
consentendo quindi alle imprese di avere un livello minore
di impegni. Si introduce poi una norma sulle opere in
esercizio stabilendo che, anche prima del collaudo,
l'esercizio protratto per oltre un anno produca, a
determinate condizioni, lo svincolo automatico delle
garanzie di buona esecuzione prestate a favore dell'ente
aggiudicatore, senza necessità di alcun benestare, ferma
restando una quota massima del 20% da svincolare
all'emissione del certificato di collaudo.
Viene poi modificata la norma del codice dei beni culturali
che disciplina l'autorizzazione paesaggistica su immobili e
aree vincolate rilasciata dalla regione, dopo avere
acquisito il parere vincolante del soprintendente eliminando
il silenzio assenso decorsi 90 giorni. Si prevede inoltre
che l'autorizzazione paesaggistica sia resa nel rispetto
delle previsioni e delle prescrizioni del piano
paesaggistico, entro il termine di quarantacinque giorni
dalla ricezione degli atti, decorsi i quali
l'amministrazione competente provvede sulla domanda di
autorizzazione.
Una seconda modifica viene introdotta al comma 9 dello
stesso articolo 146, ove si prevede che decorsi inutilmente
venti giorni senza che il soprintendente abbia reso il
prescritto parere, è direttamente l'amministrazione a
provvedere sulla domanda di autorizzazione. Viene quindi
eliminata la parte della precedente disposizione che
prevedeva la facoltà di richiedere l'autorizzazione alla
regione anche attraverso un commissario ad acta.
Viene anche
prevista l'eliminazione del silenzio rifiuto sul permesso di
costruire in caso di vincoli prevedendosi che il
procedimento sia comunque concluso con l'adozione di un
provvedimento espresso, seguendo le regole previste
dall'articolo 2 della legge sul procedimento amministrativo.
Importante notare che viene soppressa la norma che
consentiva di applicare le regole del procedimento per il
rilascio del permesso di costruire anche ad interventi in
deroga agli strumenti urbanistici, a seguito
dell'approvazione della deliberazione del Consiglio comunale
(articolo ItaliaOggi del 28.09.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Surroga solo ai consiglieri.
L'istituto non si estende al sindaco sospeso.
L'articolo 45 del decreto 267/2000 non si
applica al primo cittadino.
L'istituto della surroga provvisoria del consigliere
comunale, disciplinato dall'art. 45 del dlgs n. 267/2000, è
applicabile anche all' ipotesi della sospensione del Sindaco
disposta ai sensi dell' art. 59 del dlgs citato?
L'art. 45 del dlgs n. 267/2000, al comma 2, dispone che «nel
caso di sospensione di un consigliere ai sensi dell'art. 59,
il consiglio (_) procede alla temporanea sostituzione
affidando la supplenza per l'esercizio delle funzioni di
consigliere al candidato della stessa lista che ha
riportato, dopo gli eletti, il maggior numero di voti».
Tuttavia, la fattispecie in questione, relativa alla
sospensione del Sindaco, non ricade nell'ambito applicativo
dell'art. 45, ma in quello dell'art. 53, il quale,
inequivocabilmente, prevede che il vicesindaco sostituisce
il sindaco «in caso di assenza o impedimento temporaneo,
nonché nel caso di sospensione dall'esercizio della funzione
ai sensi dell'art. 59»
Pertanto, la disciplina dell'art. 45, che si riferisce
unicamente ai consiglieri comunali, non può trovare
applicazione in caso di sospensione dall'esercizio delle
funzioni del sindaco, il quale è sicuramente componente del
consiglio comunale, ma non consigliere comunale
(articolo ItaliaOggi del 28.09.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Consigliere decaduto.
Quesito: Può considerarsi decaduto un consigliere comunale
per mancata partecipazione alle sedute del consiglio? È
applicabile la disciplina statutaria -ai sensi della quale
sono dichiarati decaduti i consiglieri che, senza
giustificato motivo, siano assenti dal consiglio per tre
sedute consecutive- in caso di autosospensione, da parte di
consiglieri comunali di minoranza, effettuata allo scopo di
evidenziare il proprio dissenso?
L'istituto della decadenza per mancata partecipazione alle
sedute è previsto dall'art. 43, comma 4, del dlgs n.
267/2000 che demanda allo statuto comunale la relativa
disciplina, «garantendo il diritto del consigliere a far
valere le cause giustificative».
La giurisprudenza ha chiarito che la decadenza dalla carica
di consigliere appartiene alla categoria di quelle
limitazioni all'esercizio di un diritto al munus publicum
che devono essere interpretate restrittivamente.
Di conseguenza la decadenza non può riguardare il deliberato
astensionismo di un gruppo politico che rientra nel novero
delle facoltà ordinariamente a disposizione delle forze di
opposizione, ma piuttosto sanziona comportamenti negligenti
dei consiglieri dai quali possano derivare disagi
all'attività dell'organo la cui valutazione, meramente
discrezionale e di esclusiva competenza del solo consiglio
comunale , costituisce il fondamento giuridico del
provvedimento.
Il Tar Lombardia, Brescia sez.
II, con la sentenza del 28.04.2011 n. 638, nell'accogliere un
ricorso avverso una deliberazione di decadenza di un
consigliere per mancata partecipazione alle sedute del
consiglio, ha ribadito che l'astensionismo ingiustificato di
un consigliere comunale costituisce legittima causa di
decadenza sul presupposto del disinteresse e della
negligenza che l'amministratore mostra nell'adempiere il
proprio mandato e che rientra nel diritto del consigliere
comunale l'impiego di tutti gli strumenti giuridici offerti
dall'ordinamento per opporsi a decisioni non condivise
(quali, ad esempio, l'espressione di voto contrario,
l'astensione dal voto o l'omessa partecipazione alla seduta
anche al fine di impedire il formarsi del quorum
strutturale).
Pertanto, tali principi giurisprudenziali dovrebbero
costituire paradigma di riferimento di un'eventuale
deliberazione del consiglio del comune ai sensi del proprio
statuto comunale, pur rientrando nella discrezionalità del
suddetto organo assembleare la valutazione in ordine alla
sussistenza dei presupposti previsti dalla citata fonte
normativa.
Si soggiunge che l'art. 43 del dlgs n. 267/2000 demanda allo
statuto dell'ente di stabilire i casi di decadenza per
mancata partecipazione alle sedute, fermo restando il
diritto del consigliere a far valere le cause giustificative
delle assenze nonché fornire eventuali documenti probatori
(ex multis Tar Sicilia sent. 14.03.2011, n. 464)
(articolo ItaliaOggi del 28.09.2012). |
APPALTI: Adempimenti.
Sono in vigore dal 12 agosto le disposizioni che
disciplinano il meccanismo di solidarietà che coinvolge
anche il subappaltatore.
Appalti, timbro taglia-responsabilità.
L'attestato del professionista sblocca i pagamenti dei
committenti ma la strada è in salita.
Scatta la responsabilità solidale dell'appaltatore con il
subappaltatore e il rischio di una pesante sanzione per il
committente in caso di omesso versamento dell'Iva e delle
ritenute fiscali. Con la conversione in legge del Dl 83/2012
è stato nuovamente modificato il testo dell'articolo 28,
comma 35, del Dl 223/2006, già oggetto di un primo intervento
(articolo 2, comma 5-bis, del Dl 16/2012). Le novità attuali
sono state introdotte dall'articolo 13-ter del Dl 83/2012.
L'appaltatore
Viene prevista la sua responsabilità solidale con il
subappaltatore con riferimento «al versamento all'erario
delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e
del versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal
subappaltatore all'erario in relazione alle prestazioni
effettuate nell'ambito del rapporto di subappalto». Questa
responsabilità è limitata all'ammontare del corrispettivo
dovuto e, contrariamente alla precedente versione della
disposizione, non ha più il limite temporale dei due anni
dalla cessazione dell'appalto.
La possibilità
dell'appaltatore di liberarsi dalla responsabilità non è più
legata a una generica (e, come tale, pericolosamente
indefinita) dimostrazione «di aver messo in atto tutte le
cautele possibili per evitare l'inadempimento», quanto
all'aver ottenuto, anteriormente al pagamento del
corrispettivo, la documentazione attestante che i versamenti
di ritenute e Iva scaduti sono stati correttamente eseguiti.
Tale documentazione "può" (non "deve") consistere
nell'asseverazione rilasciata da uno dei soggetti abilitati
previsti dalla norma (commercialisti, consulenti del lavoro,
responsabili Caf, eccetera). Nell'attesa della
documentazione, l'appaltatore può sospendere il pagamento
delle prestazioni. In caso di pagamento senza verifica
scatta la responsabilità solidale verso l'erario.
Il committente
Analoga solidarietà è prevista a carico del committente se
paga l'appaltatore senza aver prima preteso l'esibizione
della stessa documentazione (relativa sia all'appaltatore
che a tutti i subappaltatori), ma tale rischio non consiste
nella responsabilità solidale con gli altri "attori" quanto
nella sanzione amministrativa da 5.000 a 200.000 euro, che
gli verrà comminata se qualche soggetto della "catena"
dell'appalto non ha correttamente eseguito i versamenti di
ritenute e Iva. Il legislatore precisa che queste regole si
applicano agli appalti conclusi da soggetti Iva e, in ogni
caso, dai soggetti degli articoli 73 e 74 Ires (società,
enti commerciali e non, pubbliche amministrazioni, eccetera)
con l'esclusione delle stazioni appaltanti dei contratti
pubblici (decreto legislativo 163/2006).
Le conseguenze
Attualmente, in settori che già soffrono di liquidità
(l'edilizia in particolare), il committente ha una valida
ragione per ritardare i pagamenti in attesa che appaltatori
e subappaltatori consegnino alla propria controparte la
documentazione prescritta a discarico della responsabilità
del destinatario della prestazione. Un professionista
incontra difficoltà per rilasciare una asseverazione se non
ha idea di quali verifiche è tenuto a effettuare per poter
serenamente apporre il "visto" (check list o simili), di
quali situazioni possono determinare un visto "infedelmente"
rilasciato e quali sanzioni sono previste, senza dimenticare
l'aspetto dell'eventuale "assicurabilità" di queste
attestazioni.
Non mancano i dubbi applicativi: per esempio, come può il
soggetto abilitato attestare che i lavoratori che hanno
prestato la propria opera in quel determinato appalto sono
proprio quelli per cui sono state versate le ritenute? Come
regolarsi con il pagamento degli acconti che precedono
l'inizio lavori? Come attestare il versamento dell'imposta
sulle fatture relative all'appalto nell'ambito di una
posizione che globalmente chiude a credito? È sufficiente
attestare che la fattura ha regolarmente concorso alla
liquidazione di periodo? E come regolarsi nei casi di
reverse charge (senza Iva esposta in fattura) o di "Iva per
cassa"?
Il vero problema è che prima si scrive la norma (che
non avendo disposizioni transitorie, è già in vigore dal 12
agosto) e solo dopo si riflette sul suo funzionamento. Nel
frattempo, i pagamenti delle prestazioni si bloccano (ora
anche con una giustificazione "legale"), e chi (in ritardo
nei versamenti fiscali) confidava in questi incassi e nel
ravvedimento operoso per mettersi in pari, deve
drammaticamente rivedere i propri conti.
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Compensi e previdenza. L'obbligazione tutela i lavoratori
che eseguono l'opera o prestano il servizio.
Un vincolo biennale per gli obblighi contributivi.
TEMPI STRETTI/
In questi casi c'è il termine di due anni dalla fine
dell'appalto per la chiamata in causa.
La norma riformulata sulla solidarietà per ritenute e Iva
negli appalti si affianca a quella che disciplina la
responsabilità (altrettanto solidale) di committente,
appaltatore e subappaltatori per retribuzioni, Tfr,
contributi previdenziali e premi assicurativi dei
lavoratori, già in essere da anni e recentemente modificata
dalla "riforma Fornero" (articolo 4, comma 31, della legge
92/2012).
La disposizione in parola (che si affianca al più
generale obbligo previsto dall'articolo 1676 del Codice
civile) è l'articolo 29 del Dlgs 276/2003 e prevede che
(fatta salva una diversa regolamentazione a livello di
contratto nazionale), in caso di appalto di opere o di
servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro
(diverso dalla persona fisica che non esercita attività
d'impresa o professionale) «è obbligato in solido con
l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali
subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione
dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti
retributivi, comprese le quote di trattamento di fine
rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi
assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione
del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo
per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile
dell'inadempimento». La disposizione è stata oggetto della
circolare Inps n. 106 del 10 agosto scorso.
Risultano alcune differenze con la norma che regola la
responsabilità per Iva e ritenute:
- è previsto un limite temporale alla "chiamata in causa"
del committente o dell'appaltatore (due anni da fine
appalto);
- non è previsto un limite quantitativo al rischio, che
invece l'articolo 35, comma 28, del Dl 223/2006 individua
nell'ammontare del corrispettivo;
- non è prevista alcuna attestazione "liberatoria", anche
se, almeno per i contributi, la disciplina in merito al
rilascio del Durc è sicuramente meglio formulata rispetto a
quella relativa all'Iva e alle ritenute;
- non viene attribuito alcun ruolo al pagamento della
prestazione, che, invece, costituisce il momento
qualificante per la responsabilità solidale sui versamenti
fiscali;
- viene assimilata la posizione di committente e
appaltatore, i quali, invece, nel sistema ora delineato dal
Dl 83/2012, hanno un grado di rischio molto differente.
Per completezza, ricordiamo che l'articolo 4, comma 2, del
Dl 207/2010 prevede che nelle ipotesi previste dal
legislatore «in caso di ottenimento da parte del
responsabile del procedimento del documento unico di
regolarità contributiva che segnali un'inadempienza
contributiva relativa a uno o più soggetti impiegati
nell'esecuzione del contratto, il medesimo trattiene dal
certificato di pagamento l'importo corrispondente
all'inadempienza»
(articolo Il Sole 24 Ore del 26.09.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Statali,
in arrivo nuovi sistemi di valutazione dell'attività.
LA QUESTIONE INCENTIVI/
Palazzo Vidoni pensa a premi di produttività selettivi ed
«elastici» ma solo quando saranno disponibili altre risorse.
Un'operazione in tre tappe. È quella che si sta congegnando
al ministero della Pubblica amministrazione per alzare gli
standard di produttività dei dipendenti pubblici.
La prima
fase sarà imperniata sulla creazione di nuovo sistema di
valutazione degli statali in raccordo con l'operazione spending review. Dovrebbe poi prendere il via un dispositivo
innovativo di misurazione di tutta l'attività svolta dagli
uffici anche per verificare sovracosti interni e oneri
impropri. Il terzo e ultimo step dovrebbe essere quello per
introdurre un meccanismo di incentivi selettivi per premiare
la produttività. Meccanismo che però potrà essere attivato
solo nel momento in cui saranno utilizzabili risorse di cui
attualmente il Governo non dispone, come ieri ha nuovamente
lasciato intendere lo stesso ministro della Pubblica
amministrazione, Filippo Patroni Griffi.
Per il momento il percorso è solo abbozzato. Ma il lavoro
sui nuovi sistemi di valutazione dei dipendenti e di
misurazione dell'attività svolta dagli uffici è in fase
avanzata. E una conferma arriva indirettamente da Patroni
Griffi: «Siamo impegnati nell'assicurare una migliore
performance organizzativa più che individuale, perché quello
che interessa è ciò che la pubblica amministrazione produce,
non tanto chi produce e come si lavora al suo interno», ha
detto ieri mattina a Bologna il ministro.
Patroni Griffi ha sottolineato che «la produttività nel
pubblico è importante» ma anche evidenziato che quando il
datore di lavoro è lo Stato è difficile, soprattutto nella
situazione attuale, reperire le risorse per incentivarla. In
ogni caso la priorità resta il dimagrimento degli organici e
la riduzione dei costi della pubblica amministrazione.
Concetti espressi nel pomeriggio dal ministro nell'incontro
con i sindacati in cui è stata presentata la direttiva
sull'attuazione della prima fase di spending review (si veda
altro articolo in questa pagina).
I nuovi criteri di valutazione e di misurazione dovrebbero
vedere la luce entro la fine dell'anno, anche se non è
escluso che le linee guida possano essere delineate dalla
"fase due" della spending review che scatterà a metà ottobre
insieme alla legge di stabilità. Sul fronte della
misurazione Palazzo Vidoni sta valutando anche l'ipotesi di
ricorrere a un dispositivo simile a quello dei costi
standard anche per individuare le eventuali sacche di spreco
nell'attività di funzionamento degli uffici pubblici.
Nonostante la carenza di risorse a palazzo Vidoni si sta
anche cominciando a ipotizzare un nuovo sistema per premiare
i dipendenti maggiormente produttivi. L'idea sarebbe quella
di attribuire gli incentivi di produttività sulla base di
criteri di selettività ed elasticità superando il sistema
delle quote congegnato dall'ex ministro della Funzione
pubblica, Renato Brunetta, che prevedeva l'esclusione certa
dai premi di una fetta di personale pari al 25 per cento.
Nella stessa agenda per la crescita stilata dal premier
Mario Monti il 24 agosto scorso si parla, del resto, in
relazione alle azioni da attivare nel pubblico impiego, di «sistemi
di performance per gestire in modo efficiente le risorse
assegnate, premiare il merito, orientare le priorità»
(articolo Il Sole 24 Ore del 26.09.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Nuovi acquisti solo con
la Consip.
Cellulari e telefoni fissi. E presto anche pulizie, energia
e gas. Debutta il mercato unico per
l'istruzione: sanzionato il dirigente che non si attiene
alle convenzioni.
Cellulari e telefoni fissi a carico delle scuole da
acquistare solo tramite Consip spa, acronimo di
concessionaria servizi informativi pubblici, società
pubblica il cui azionista unico è il ministero dell'economia
e delle finanze e che proprio in questi giorni, comunicato
del 18 settembre, ha annunciato l'avvio del progetto MePi,
mercato elettronico della pubblica istruzione.
E sanzioni di carattere disciplinare e amministrativo per i
responsabili degli acquisti di altri beni e servizi nelle
pubbliche amministrazioni, scuole comprese, che non
ricorrano agli strumenti messi a disposizione da Consip. Non
solo, ma contratti nulli, se stipulati in violazione
dell'obbligo di servirsi di tali strumenti. I quali
strumenti sono rappresentati dalle convenzioni che Consip
stipula con ditte fornitrici di beni e servizi, alle quali
quindi ci si deve rivolgere per chiederne la fornitura e, ai
prezzi concordati nelle convenzioni, stipulare contratti di
acquisto.
Una convenzione sarà presto stipulata, dopo il 25
ottobre, quando scadranno i termini di gara, indetta l'11
luglio scorso, per l'aggiudicazione dei servizi di pulizia
per le scuole di ogni ordine e grado e per i centri di
formazione della pubblica amministrazione, per un importo
complessivo di un milione e ottocentomila euro. Per questa
come per le altre forniture di beni e servizi, le
amministrazioni pubbliche, scuole comprese, possono anche
rivolgersi ad altri fornitori, ma in tal caso devono
assumere i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi,
individuati nelle stesse convenzioni Consip, purché
ovviamente si tratti di beni e servizi comparabili.
Insomma,
gli imperativi sono: maggiore attenzione nel disporre gli
acquisti e realizzazione di risparmi di gestione e di spesa.
Che è poi lo scopo contenuto nei provvedimenti legislativi
comunemente definiti di spending review, in particolare, per
lo specifico caso degli acquisti, l'art. 1, primo e settimo
comma, del decreto legge 06.07.2012, n. 95, convertito
nella legge n. 135/2012. Con il progetto MePi, citato
all'inizio e specificatamente dedicato agli istituti
scolastici di ogni ordine e grado, Consip intende proporre e
presentare beni e servizi a destinazione didattica secondo
ambiti omogenei, con la conseguenza che potranno essere
personalizzati i requisiti tecnici, tecnologici e di
servizio dei singoli prodotti e delle relative soluzioni.
Le
procedure di acquisto saranno rese così più semplici e
rapide e consentiranno alle scuole di accedere a soluzioni
più idonee alle loro esigenze di approvvigionamento. Con
tale iniziativa Consip continua la collaborazione con il
Miur, avviata gli anni scorsi con il Piano nazionale scuola
digitale, progetto Lim (Lavagne interattive multimediali) e
iniziativa Editoria digitale scolastica.
Va ricordato poi
che Consip nel mese di maggio ha aggiudicato la gara per la
fornitura di personal computer a basso impatto ambientale e
di servizi connessi per le pubbliche amministrazioni, la
durata della convenzione è tuttora in corso e le scuole se
ne possono così avvalere.
L'obbligo di servirsi degli
strumenti messi a disposizione da Consip era per altro già
in vigore, essendo stato sancito dalla finanziaria del 2000
(art. 26, terzo comma, della legge 23.12.1999, n.
488), esplicitamente richiamata dalle norme predisposte dal
supertecnico Enrico Bondi ed emanate dal governo presieduto
da Mario Monti.
Forse la norma del 1999 non era molto
incisiva o non è stata applicata con il dovuto rigore, e
allora si è dovuti intervenire nuovamente, aggravando le
conseguenze della sua violazione e aggiungendo l'obbligo di
servirsi in ogni caso delle convenzioni per l'acquisto di
“energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti
extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa
e telefonia mobile”, solo queste ultime due, tuttavia, di
stretta pertinenza delle scuole.
A dire il vero, anche per queste categorie merceologiche è
possibile esperire autonome procedure ma in tal caso
bisognerà comunque utilizzare «i sistemi telematici di
negoziazione sul mercato elettronico e sul sistema dinamico
di acquisizione messi a disposizione» da Consip S.p.A. o
dalle analoghe strutture regionali di riferimento,
costituite ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge
27.12.2006, n. 296
(articolo ItaliaOggi del 25.09.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Spending review. Entro l'anno vanno avviata la gestione in
forma unita di tre funzioni fondamentali.
Rischio prefetti sui mini-enti.
Intervento «statale» per chi non rispetta gli obblighi di
associazione.
L'ALTERNATIVA/
Possibile attivare anche le convenzioni che per sopravvivere
dovranno superare la verifica di efficienza dopo tre anni.
L'articolo 19 del decreto legge 95/2012 sulla spending
review interviene sulla normativa in materia di gestione
associata delle funzioni e dei servizi comunali fondamentali
e recepisce alcune puntuali sollecitazioni pervenute dalle
rappresentanze delle autonomie locali, cogliendo l'occasione
per cercare di fare chiarezza sul l'intera disciplina.
Pur dovendo sottolineare l'assoluta inadeguatezza della
decretazione d'urgenza in tema di riforme, va riconosciuto
tuttavia che il decreto pone rimedio ad una lunga, colpevole
inerzia del legislatore.
La principale novità, inserita in sede di conversione del
decreto, consiste nella perentorietà dei nuovi termini di
legge per l'avvio del processo associazionista, con un ruolo
determinante assegnato al prefetto.
Le scadenze da rispettare sono: il 01.01.2013, per
associare almeno tre delle funzioni fondamentali di cui al
comma 28, e il 01.01.2014 per le restanti funzioni
fondamentali. In caso di decorso dei termini, il prefetto
assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro
il quale provvedere. Decorso inutilmente anche questo
termine, trova applicazione l'articolo 8 della legge 131 del
05.06.2003: nell'ambito dei poteri sostitutivi previsti
dall'articolo 120 della Costituzione viene nominato un
commissario il quale provvede in senso conforme alla norma,
sentito il Consiglio delle autonomie locali, tenuto conto
dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione tra
i vari livelli istituzionali
Le unioni ordinarie sono regolate dall'articolo 14, comma
28, del Dl 78/2010; a differenza della precedente
disciplina, l'ambito applicativo comprende ora anche i
comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, in precedenza
esclusi in quanto soggetti all'obbligo specifico previsto
dall'articolo 16, commi 1-16 del Dl 138/2011 (unioni
"speciali" o "micro-unioni" nelle quali si associano tutte
le funzioni).
Ora la disciplina dell'articolo 16 costituisce una mera
facoltà per questi enti : per tutti i Comuni con popolazione
fino a 5.000 abitanti valgono gli stessi obblighi (articolo
14 Dl 78/2010; articolo 32 del Testo unico enti locali).
I Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti devono
esercitare le loro funzioni fondamentali in forma associata,
ma possono farlo anche mediante una semplice convenzione; il
nuovo comma 31-bis dell'articolo 14, del Dl 78/2010, rimanda
all'articolo 30 del Tuel in materia di convenzioni,
prescrivendo una durata almeno triennale.
Si dispone, tuttavia, l'obbligo di verificare il
raggiungimento –entro il triennio– di «significativi
livelli di efficacia e di efficienza» subentrando, in caso
contrario, l'obbligo di costituire l'unione, analogamente a
quanto prescritto dal l'articolo 16 del Dl 138/2011 per le
micro unioni. In altri termini, o si dimostrano gli
effettivi risultati raggiunti o si deve fare l'unione.
In definitiva, ora si fa sul serio. La riforma è stata
progressivamente bilanciata e resa flessibile nei suoi
contenuti, ma diventano più stringenti e tassativi i tempi
di attuazione. La riduzione della spesa pubblica non può più
attendere.
---------------
Le due strade
COMUNI FINO A 5MILA ABITANTI
Obbligo di gestione associata delle funzioni fondamentali,
tramite:
- unione ordinaria (articolo 14 Dl 78/2010; articolo 32 Tuel);
- oppure convenzione (articolo 14 Dl 78/2010; articolo 30
Tuel), con dimostrazione dei risultati raggiunti nei tre
anni
COMUNI FINO A MILLE ABITANTI
- possono partecipare alle unioni ordinarie o alle
convenzioni;
- in alternativa, possono costituire unioni speciali solo
con altri Comuni sotto i mille abitanti (articolo 16, Dl
138/2011) (articolo Il Sole 24 Ore del
24.09.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Centrale unica per bandire le gare d' appalto.
Le procedure. I servizi da
accorpare.
L'articolo 19 del decreto legge sulla spending review (Dl
95/2012) riformula la normativa in materia di esercizio
associato delle funzioni, secondo modalità più graduali ed
equilibrate. Mentre si continua ad arricchire la normativa
speciale sulle micro-unioni (articolo 16 Dl 138/2011), che
difficilmente prenderanno piede, la disciplina dettata per
le unioni "ordinarie" di Comuni appare tuttora piuttosto
lacunosa.
Viene ridefinito e leggermente ampliato l'elenco delle
funzioni fondamentali che i Comuni fino a 5mila abitanti
devono gestire in forma associata, tramite unione o
convenzione. Con un parziale passo indietro relativo ai
servizi demografici, inclusi tra le funzioni fondamentali ma
esclusi espressamente dall'ambito di quelle da gestire
obbligatoriamente in forma associata; resta peraltro a
nostro avviso la possibilità di un loro accentramento, alla
luce anche dell'articolo 16 del Dl 138/2011 che qualora
applicato prevede l'unificazione di tutte le funzioni -
compresa dunque l'anagrafe, lo stato civile, la materia
elettorale e statistica.
La terminologia utilizzata nell'elenco non è sempre chiara e
univoca: si ritiene in particolare che le funzioni di
amministrazione generale comprendano la globalità dei
servizi interni, sia amministrativi che finanziari, ferma
restando la facoltà di considerare in modo specifico le
segreterie comunali e di mantenere in essere le relative
convenzioni. Tra i servizi interni da associare vi è
certamente quello informatico: il comma 7 dell'articolo 19
dispone l'abrogazione dei commi da 3-bis a 3-octies
dell'articolo 15 del Dlgs 82/2005, superando cosi
l'antinomia dovuta alla sovrapposizione delle due diverse
normative sulla gestione associata delle funzioni Ict.
Altro servizio interno è quello che si occupa di appalti, da
accentrare secondo lo schema della centrale unica di
committenza (articolo 33 del Dlgs 163/2006) dal 01.04.2013. L'obbligo riguarda solo le procedure di gara; ogni
ente rimane responsabile delle fasi a monte (programmazione)
e a valle (esecuzione) e provvede autonomamente agli
affidamenti diretti nei casi consentiti (si veda Corte dei
conti sezione Piemonte, parere n. 271/2012).
Nulla dice, infine, l'articolo 32 del testo unico enti
locali sul trasferimento delle competenze, politiche e
gestionali, dagli organi comunali a quelli del l'unione;
l'articolo 16 del Dl 138 rappresenta un utile punto di
riferimento ma sarebbe opportuno recepire il principio nella
disciplina generale delle unioni.
Con riferimento alle funzioni conferite, tutte le competenze
gestionali spettano agli organi tecnici dell'unione. Lo
stesso principio sembra applicabile sul piano politico, pur
dovendosi individuare alcune fattispecie riservate agli
organi di governo del singolo comune (ad esempio, gli atti
del sindaco come ufficiale di governo citati dall'articolo
16, comma 8). In attesa di ulteriori sviluppi in fase
legislativa è necessario delimitare in sede interpretativa
tali fattispecie. Dovremmo cercare di creare un quadro
giuridico chiaro ed esaustivo prima dell'avvio della
riforma, senza demandare decisioni fondamentali al
l'improvvisazione e, quindi, al diritto vivente.
---------------
Le materie
01 | APPALTI
Va centralizzata con il meccanismo della centrale di
committenza la fase delle gare, mentre resta di competenza
esclusiva dell'ente locale sia la programmazione degli
appalti, che la fase di esecuzione dei contratti di lavori,
servizi e forniture
02 | INFORMATICA
Sono da mettere in comune anche i servizi informatici. La
spending review ha abolito la norma (articolo 15 Dlgs
82/2005) che indicava altre strade per la gestione dei
servizi di Ict nei piccoli comuni
03 | AMMINISTRAZIONE
La gestione associata può riguardare tutti i servizi
interni, amministrativi e finanziari, con la possibilità di
esonerare le segreterie comunali (articolo Il
Sole 24 Ore del 24.09.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA
PRIVATA: Una
domanda e permessi multipli. Accorpate 7 abilitazioni
nell'autorizzazione unica ambientale.
Introdotta l'Aua che toccherà micro, piccole, medie
imprese e attività a basso rischio.
Sarà un singolo provvedimento
amministrativo rilasciato dallo sportello unico per le
attività produttive, sull'esito di una sola e cumulativa
domanda, ad autorizzare emissioni di inquinanti in aria,
acqua, suolo e gestione dei rifiuti per micro, piccole e
medie imprese così come per le altre imprese a basso impatto
ambientale.
Con l'approvazione, avvenuta lo scorso 14 settembre, in
prima lettura da parte del governo del decreto istitutivo
della «autorizzazione unica ambientale» (già
battezzato come «Aua») si avvicina lo snellimento
della burocrazia verde previsto a monte dal dl 5/2012 (c.d.
«decreto semplificazioni»).
Il decreto in itinere, formalizzato come dpr e ora in attesa
dei rituali pareri del parlamento e della conferenza
unificata, introdurrà la nuova figura di autorizzazione
unica tra l'istituto della (analoga ma più complessa) «autorizzazione
integrata ambientale» (obbligatoria per gli impianti ad
alto potenziale di inquinamento) e il novero delle singole
procedure previste dalle diverse norme per il rilascio dei
necessari e plurimi titoli a inquinare.
Cos'è l'Aua.
L'autorizzazione unica ambientale sarà il provvedimento
rilasciato dal c.d. «Suap» (Sportello unico per le attività
produttive) che, nel tenore del decreto in corso di
approvazione, sostituirà numerosi atti di comunicazione,
notifica e autorizzazioni in materia ambientale previsti a
livello statale e locale.
Per quali imprese.
Due le categorie di imprese che saranno ammesse
all'autorizzazione unica ambientale. La prima è costituita
dalle micro, piccole e medie imprese, ossia dalle imprese
rientranti nei parametri dimensionali e di fatturato
previsti dall'articolo 2 del dm 18.04.2005 del ministero
delle attività produttive. La seconda è invece costituita
dagli impianti non soggetti alle disposizioni sulla
autorizzazione integrata ambientale (c.d. «Aia») recate dal
dlgs 152/2006.
Sono soggette all'Aia, le grandi industrie elencate
dall'allegato VIII alla parte seconda del «Codice
ambientale» che svolgono particolari attività, come
quella energetica (combustioni a elevate potenze termiche,
raffinerie), della produzione (a elevata capacità) dei
metalli, della fabbricazione di alcuni prodotti chimici (tra
cui idrocarburi e coloranti), dello smaltimento o recupero
di elevate quantità di rifiuti.
Per quali titoli.
L'Aua sostituirà tutti gli atti abilitativi previsti dal dpr
in itinere più quelli che stabiliranno localmente le singole
regioni e le province autonome (nel rispetto dei criteri
generali del decreto statale).
In base allo schema di dpr licenziato dal governo, potranno
essere fin da subito sostituiti dalla Aua: l'autorizzazione
allo scarico nelle acque ex dlgs 152/2006; la comunicazione
preventiva ex articolo 112 del dlgs 152/2006 per utilizzo
agronomico di effluenti di allevamento, acque di vegetazione
di frantoi oleari, acque reflue da parte di aziende del
settore; l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera per
gli stabilimenti produttivi ex articolo 269, dlgs 152/2006;
l'autorizzazione generale per le emissioni «scarsamente
rilevanti» in aria ex articolo 272, dlgs 152/2006; il
nulla osta alle emissioni sonore ex articolo 8, legge
447/1995 da parte degli impianti produttivi, sportivi,
ricreativi commerciali; l'autorizzazione ex articolo 9, dlgs
99/1992 per utilizzo fanghi da depurazione in agricoltura;
le comunicazioni per auto smaltimento e/o recupero rifiuti
in procedura semplificata ex articoli 215 e 216, dlgs
152/2006.
Saranno poi eventualmente, come accennato, gli enti locali a
individuare ulteriori atti di comunicazione, notifica e
autorizzazione ambientale che potranno essere ricompresi
dell'Aua.
Obbligo o facoltà?
L'Aua costituirà la via autorizzatoria obbligatoria per le
imprese che intendono acquisire l'intero novero dei titoli
elencati dal dpr, mentre costituirà una mera facoltà sia per
le imprese che agiranno per ottenere un singolo titolo sia
per quelle tenute a presentare semplici comunicazioni ai
sensi delle vigenti norme ambientali.
Rilascio, procedura.
La domanda per il rilascio dell'Aua andrà presentata al Suap
(comunale) di competenza unitamente ai documenti, alle
dichiarazioni e alle altre attestazioni necessarie (a tal
riguardo, il dpr prevede la possibilità per il Minambiente
di adottare un modello di domanda semplificato e unificato).
Verificatane la completezza, il Suap li trasmetterà
all'autorità competente (ossia alla regione, alla provincia
autonoma o all'ente da essi indicato come competente in
relazione alla autorizzazione unica ambientale) chiedendo
poi al soggetto istante (entro 30 giorni) l'eventuale
integrazione della domanda con documenti richiesti
dall'autorità. Subordinatamente all'assenso da parte della
autorità competente, il Suap rilascerà l'autorizzazione
unica ambientale entro un termine «standard» compreso
tra 90 e 150 giorni dalla presentazione della domanda (in
base alla complessità dell'istruttoria prevista dalla
legge).
Durata.
L'Aua avrà una durata di 15 anni dalla data di rilascio,
fatti salvi gli obblighi di comunicazione intermedi alla
citata autorità competente da parte delle imprese a più alto
rischio di inquinamento (es: scarichi di reflui contenenti
sostanze pericolose) o in caso modifiche di attività o
variazioni agli impianti.
Rinnovo, procedura.
Il rinnovo dell'autorizzazione unica dovrà essere richiesto
(sempre tramite Suap) almeno sei mesi prima della scadenza
(a pena della sospensione dell'attività), secondo una delle
due procedure (ordinaria e semplificata) previste dal
decreto.
La procedura ordinaria (che prevede una domanda pedissequa a
quella di primo rilascio) dovrà essere adottata: dagli
impianti che pur non superando le soglie dimensionali del
dlgs 152/2006 per l'assoggettamento all'Aia svolgono
comunque le attività inerenti; dai titolari di scarichi
idrici con sostanze pericolose ex articolo 108 del dlgs
152/2006; i soggetti che emettono in atmosfera alcune
sostanze pericolose previste dal dlgs 152/2006; gli impianti
che utilizzano le sostanze pericolose disciplinate dal dlgs
52/1997.
Per tutte le altre e diverse imprese, sempre che non siano
intervenute modifiche di attività e impianti rispetto alla
autorizzazione in scadenza, il rinnovo avverrà invece
tramite la presentazione di una istanza in autodichiarazione
(dpr 445/2000 e successive modifiche) che attesterà
l'immutata condizione di esercizio. Il rispetto del termine
di sei mesi dalla scadenza dell'autorizzazione consentirà
all'istante di proseguire l'attività fino al provvedimento
di rinnovo.
Modifiche impianti, procedura.
Come accennato, le variazioni di attività o impianti
necessiteranno di una nuova procedura amministrativa che ne
formalizzi la liceità.
A tal proposito il dpr in esame distingue le «semplici
modifiche», legittimate da una semplice comunicazione
indirizzata (direttamente) all'Autorità competente (e in
assenza di una sua opposizione nei successivi 60 giorni)
dalle «modifiche sostanziali» (ossia variazioni
considerate tali dalle norme ambientali di riferimento) per
le quali dovrà essere invece presentata una domanda
pedissequa a quella di prima autorizzazione. Tale ultima e
più rigida procedura ordinaria dovrà altresì essere sempre
utilizzata dagli impianti a più alto rischio (ossia quelli
sottoposti a alla citata procedura ordinaria di rinnovo)
anche per le «semplici modifiche».
Oneri.
Le spese per il procedimento relativo all'Aua saranno a
carico del richiedente, ma esse non potranno comunque
superare quelle complessivamente previste per i singoli
titoli abilitativi disciplinati dalla normativa di
riferimento.
Regime transitorio.
I procedimenti autorizzatori in itinere alla data di entrata
in vigore della nuova disciplina Aua proseguiranno in base
alla pregressa normativa, ossia sfoceranno negli eventuali
titoli abilitativi già previsti. Le imprese, invece, già
titolari di autorizzazioni rilasciate in base al «vecchio»
regime dovranno attendere la scadenza di queste per poterle
rinnovare secondo il nuovo meccanismo dell'Aua
(articolo ItaliaOggi
Sette del
24.09.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ Dagli ordini i
facsimile delle lettere di incarico. Prima regola: mettere
tutto per iscritto. Niente tariffe e infinite clausole È il
nuovo contratto professionale.
Fra professionista e cliente patti chiari e amicizia lunga.
Sembra essere questo lo spirito che sta animando gli ordini
in questi giorni che, pur non essendo previsto l'obbligo di
preventivo scritto, si stanno dando da fare per dare
istruzioni ai propri iscritti su come rendere chiari, e
quindi evitare problemi in futuro, gli accordi sul
conferimento dell'incarico.
Ed ecco quali sono i punti che non possono mai mancare in un
contratto-tipo: l'oggetto e il grado di complessità
dell'incarico, da esplicitare il più possibile, il compenso
e gli oneri ipotizzabili, il recesso, gli estremi della
polizza professionale, la clausola di mediazione. Ma
comunque l'indicazione unanime degli ordini è: mettere tutto
per iscritto e non lasciare nulla di sottinteso al cliente.
Riguardo la determinazione del compenso, invece, se da un
lato i minimi tariffari sono stati aboliti, dall'altro, con
tutta probabilità, i nuovi parametri elaborati dal ministero
della giustizia per la liquidazione dei compensi da parte
del giudice (dm n. 140/2012) saranno presi a riferimento dai
professionisti per quantificare la propria prestazione
professionale. E metterla al riparo da eventuali
contenziosi. Il resto è lasciato al libero mercato. Ma
vediamo meglio le indicazioni degli ordini ai professionisti
alla luce del dl liberalizzazioni, del dpr di riforma delle
professioni e del dm parametri.
Gli ordini giuridico-economico-contabili. Il Consiglio
nazionale forense, da ultimo, ha elaborato un modello di
contratto per gli iscritti (si veda ItaliaOggi del 20
settembre). Le clausole più importanti riguardano la
privacy, la conciliazione, l'antiriciclaggio, la difficoltà
dell'incarico, eventuali imprevisti, la quantificazione del
compenso, o per fasi o per ore di attività.
Anche il
Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli
esperti contabili ha messo a disposizione il facsimile di
lettera di incarico professionale. Dove non devono mai
mancare le clausole riferibili a: oggetto e grado di
complessità dell'incarico, compenso e oneri ipotizzabili,
recesso, estremi della polizza professionale.
«La principale
indicazione da dare ai professionisti è che il conferimento
dell'incarico venga fatto per iscritto», afferma Massimo Mellacina, consigliere delegato alle tariffe, «lo stesso
decreto sui parametri prevede che il professionista debba
dare prova del preventivo onorario pre-concordato. Quanto ai
parametri, lo consideriamo uno strumento a uso esclusivo
dell'organo giudiziale. Detto ciò, che poi possa essere
assunto dal professionista come base di riferimento la
considero un'opzione possibile e ragionevole. Chiaramente,
non è più vincolante come lo era la tariffa minima».
Pure i
consulenti del lavoro hanno diramato un facsimile di
conferimento di incarico professionale. Gli elementi chiave
sono: l'oggetto e grado di complessità del mandato, il
compenso, durata e recesso, obblighi del professionista e
del mandante. «In seguito all'abolizione delle tariffe è
sorta l'esigenza di predisporre un facsimile di conferimento
di incarico professionale», afferma il presidente, Marina
Calderone, «uno strumento utile, visto che il mandato è
diventato un elemento basilare del rapporto tra il
professionista e il proprio cliente».
Le professioni tecniche. Il Consiglio nazionale degli
ingegneri ha elaborato, tramite il proprio Centro studi, un
documento con una serie di linee guida per ogni fattispecie
di contratto: dall'incarico professionale con committenti
privati, ai mansionari, agli incarichi per i lavori
pubblici. «Ora la difficoltà, per il professionista, è
individuare il compenso senza potersi riferire alle
tariffe», afferma il presidente del Cni, Armando Zambrano,
«si tratta di una contraddizione perché l'utente ha
un'informazione in meno. Con i nuovi parametri, poi, siamo
al paradosso, perché le indicazioni che utilizza il giudice
alla fine del procedimento diventano il compenso del
professionista, mentre non possono essere utilizzate dal
professionista prima del contenzioso».
Il Consiglio
nazionale dei periti industriali sta lavorando in questi
giorni per predisporre un contratto tipo «che sarà molto
complesso», assicura il presidente, Giuseppe Jogna, «perché
abbiamo parecchie specializzazioni. Cercheremo di mettere a
disposizione una sorta di scrittura privata di contratto di
incarico lasciando poi ampio spazio a quella che è
l'attività vera propria. Detto ciò, l'importante, per il
professionista, è che il contratto sia molto chiaro ed
esplicito perché le attività professionali tecniche, come
quella di progettazione, hanno la particolarità di poter
subire modifiche in corso d'opera. È necessario quindi che
il committente ne sia ampiamente informato, perché spesso ci
si nasconde dietro l'asimmetria delle conoscenze».
«Per
quello che riguarda i parametri», continua Jogna, «è
chiaro che il professionista non può utilizzarli. Però dico
anche che se il cliente si lamenta del prezzo e non ha la
capacità di individuare qual sia il meccanismo utilizzato
dal professionista per determinare quella cifra, se si fa
riferimento ai parametri non si sbaglia. Anche perché in un
eventuale contenzioso il giudice può trovare coerente questo
comportamento. In altre parole: come si fa a definire una
prestazione complessa se non dando un'occhiata ai parametri,
in modo tale che il contratto sia salvo in caso di
contenzioso».
Anche il Consiglio nazionale degli agrotecnici sta mettendo
a punto un facsimile. «Non è una semplice lettera di
incarico», afferma il presidente, Roberto Orlandi, «vogliamo
chiarire come costruire il contratto per evitare eventuali
contenziosi. Anche perché, per quanto riguarda la
determinazione del compenso, i nuovi parametri escludono
molte nostre competenze. Il punto principale da chiarire,
comunque, è la descrizione puntuale della prestazione» (articolo
ItaliaOggi Sette del 24.09.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ L'eliminazione delle
tariffe affida alle parti la negoziazione. Unico riferimento
i nuovi parametri. Il prezzo lo fa il libero mercato.
Un contratto con il professionista: l'abbandono delle
tariffe affida al mercato e, quindi, alle parti di negoziare
il compenso. Anche se si rischia di lasciare nell'indefinito
una materia che prima era regolata da decreti ministeriali.
In mancanza delle tariffe, però, l'unico punto di
riferimento è rappresentato dai parametri stabiliti con il
decreto ministeriale n. 140/2012. Anche se non bisogna
cadere in un equivoco.
I parametri del decreto 140/2012 non
sono un tariffario sopravvissuto finalizzato a regolare i
rapporti con la clientela; i parametri sono linee guida per
il magistrato, chiamato a decidere quale sia il giusto
compenso per il professionista, in una controversia con il
cliente o, per gli avvocati, in sede di liquidazione
giudiziale dei compensi. Non sono invece una griglia
obbligatoria nei rapporti interni tra professionista e
cliente. Anzi la legge vorrebbe eliminare qualsiasi griglia
cogente per la determinazione delle tariffe e lasciare tutto
alla libera negoziazione tra le parti.
D'altro canto c'è una ragione che incentiva il
professionista a stendere il contratto vincolante per il
cliente: il contratto stipulato e accettato dal cliente,
infatti, è intoccabile anche dal magistrato. L'articolo 1
del decreto 140/2012 prevede che l'organo giurisdizionale
che deve liquidare il compenso dei professionisti applica i
parametri, ma solo in difetto di accordo tra le parti in
ordine allo stesso compenso.
Questo significa che il giudice deve valutare innanzitutto
se sia stato stipulato un contratto valido tra le parti; in
questo caso deve applicare il contratto e non può passare
alla applicazione dei parametri.
Naturalmente il cliente potrà contestare la validità del
contratto e sostenerne la nullità totale o parziale;
tuttavia si parte dal contratto; mentre se il contratto non
c'è, allora il professionista non può che affidarsi alla
discrezionalità giudiziale.
L'interesse del professionista a bloccare la discrezionalità
giudiziale nella determinazione del compenso è molto alto.
Si noti, infatti, che i parametri stabiliti dal decreto
140/2012 innanzitutto non sono vincolanti nemmeno per il
giudice, che può discostarsene nei casi concreti; in secondo
luogo i parametri sono fissati con una forbice molto ampia
tra il valore più basso e il valore del maggiore incremento.
Non essendoci più un tariffario unico, seppure modulabile,
considerata la forbice minimo-massimo per singole
prestazioni, il professionista, per regolare i rapporti
economici con la propria clientela, è, dunque, incentivato a
costruire un proprio tariffario di studio.
Anzi il cliente che entra in uno studio professionale e
assegna un incarico si vedrà consegnare il contratto, magari
a seguito di un preventivo di massima, oltre che alcune
specifiche informazioni previste da leggi di settore (dalla
privacy alla conciliazione).
Secondo il disegno del legislatore l'abolizione delle
tariffe e la riconduzione dei compensi ai rapporti
contrattuali dovrebbe incentivare la concorrenza tra
professionisti, singoli e associati, e tra società
professionali.
Non a caso i compensi possono essere oggetto della
pubblicità informativa (su cui si veda il dpr 07/08/2012 n.
137, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14.08.2012, regolamento di attuazione dei principi dettati
dall'articolo 3, comma 5, del decreto legge n. 138 del 2011
in materia di professioni regolamentate).
Quindi lo studio professionale potrà preparare una brochure
informativa con il proprio preziario e magari diffonderlo
tramite il sito internet. Così sarà data al cliente la
possibilità di scelta del professionista anche sulla base
del fattore compenso praticato.
A questo proposito va richiamato il decreto ministeriale n.
137/2012 sulla disciplina delle professioni regolamentate,
che dedica un apposito articolo alla libera concorrenza e
alla pubblicità informativa. Innanzi tutto la pubblicità
informativa è ammessa con ogni mezzo purché attinente
l'attività delle professioni regolamentate, le
specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla
professione, la struttura dello studio professionale e anche
i compensi richiesti per le prestazioni.
La pubblicità informativa deve essere funzionale
all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare
l'obbligo del segreto professionale e non dev'essere
equivoca, ingannevole o denigratoria.
Infine, così si chiude l'articolo 4 del decreto 137, la
violazione della disposizione sui principi della pubblicità
informativa costituisce illecito disciplinare, oltre a
integrare una violazione delle disposizioni previste dal
codice del consumo e dalle norme sulla pubblicità
ingannevole.
Questi ultimi riferimenti potrebbero però mettere in dubbio
la qualifica del professionista e spostarla sul versante
imprenditoriale, esito questo fortemente avversato dagli
ordini. A parte queste considerazioni generali, va
sottolineato che la possibilità di mettere a confronto le
tariffe pratiche attraverso le forme lecite di pubblicità
comparativa è ulteriore elemento che spinge alla
individuazione di un tariffario di studio e di una
contrattualistica standard a uso del singolo professionista,
dello studio associato e della società tra professionisti (articolo
ItaliaOggi Sette del 24.09.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/
Gli avvocati potranno
esporre i prezzi. Via la distinzione tra diritti e onorari
in nota spese. Tariffario pubblico per i legali.
Gli avvocati potranno costruirsi il tariffario di studio e
pubblicizzarlo. I parametri stabiliti con il decreto
140/2012 sono certo un punto di riferimento, ma il
professionista potrà discostarsene nel contratto con il
cliente. La struttura della nota spese presentata al cliente
non prevede più la distinzione tra diritti e onorari, come
nel vecchio tariffario. Sussiste, quindi, libertà sia nella
modulazione delle voci di spesa sia nella quantificazione
degli importi.
Le voci di spesa potranno essere individuate
per fasi di attività con un importo onnicomprensivo per
singola fase; oppure si potrà ricorrere al compenso orario.
Altre possibilità sono quelle del patto di quota lite o del palmario. Con il palmario il cliente attribuisce
all'avvocato un compenso aggiuntivo per la favorevole
conclusione della pratica. Con il patto di quota lite
l'avvocato viene pagato solo in caso di esito favorevole con
una quota su quanto percepito dal cliente.
Lo schema di contratto elaborato dal Consiglio nazionale
forense prevede il sistema del compenso per fasi in
alternativa al compenso su base oraria. Il modello contiene,
poi, una limitata forma di palmario in caso di conciliazione
della controversia. Il modello del consiglio nazionale
forense non disciplina, invece, una forma di quota lite. La
liquidazione del compenso per fasi rispecchia l'impostazione
del decreto sui parametri per la liquidazione giudiziale,
anche se le fasi individuate nel modello di contratto
proposto dal Consiglio nazionale forense sono diverse da
quelle inserite nel decreto ministeriale sui parametri. Il
modello di contratto prevede queste fasi: mediazione,
studio, cautelare, fase introduttiva, istruttoria, decisoria
ed esecutiva.
Peraltro è possibile articolare le fasi in
maniera differente, senza essere vincolati a uno schema
predefinito. Una questione particolare riguarda il rapporto
tra il compenso stabilito nel contratto e le spese liquidate
dal giudice al termine della causa. Ad esempio Tizio accetta
di pagare all'avvocato Caio la somma di 100 per la
rappresentanza in un determinato giudizio; la causa va bene,
ma il giudice riconosce a Tizio la somma di 50 da chiedere
all'avversario che ha perso; nel modello del Cnf in questo
caso Tizio rimane obbligato a pagare all'avvocato a somma di
100 e recupererà 50 da controparte (rimane, quindi, a carico
di Tizio la differenza di 50).
Altra ipotesi è quella in cui il giudice liquidi spese
legali per un importo superiore a quello contrattuale: la
somma eccedente viene assegnata nello schema di contratto
all'avvocato, che la recupererà dalla controparte
soccombente. Si tratta di una clausola per la quale si
prevede una doppia sottoscrizione (articolo ItaliaOggi
Sette del 24.09.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Atti difensivi sintetici e chiari. Processo amministrativo, la
p.a. non avrà più vie di fuga. Le
novità del correttivo al dlgs 104/2010 (sulla Gu n. 218).
P.a. condannata al rilascio del provvedimento utile al
cittadino. Il processo amministrativo è un giudizio in cui
la pubblica amministrazione non può sfruttare vie di fuga.
Una volta il processo amministrativo era solo un processo
finalizzato a ottenere l'annullamento di un atto
illegittimo.
Ma questo non necessariamente corrispondeva agli interessi
concreti del cittadino. Magari l'amministrazione rifaceva
l'atto con un'altra motivazione o comunque, annullato
l'atto, non ne seguiva in positivo una determinazione in
grado di soddisfare chi aveva vinto la causa.
Il codice del processo amministrativo (dlgs 104/2010),
invece, si preoccupa ora della effettiva tutela del
cittadino e ha dedicato un apposito articolo alle domande
che si possono formulare in giudizio.
Una di queste domande è in grado di soddisfare le esigenze
effettive del cittadino: si tratta della domanda di condanna
dell'amministrazione all'adozione delle misure idonee a
tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in
giudizio (articolo 34, comma 1, lettera c).
Questo significa che al Tar si può chiedere non solo una
pronuncia di annullamento di un atto, ma anche una pronuncia
con cui si ordina all'ente pubblico di fare qualcosa per
corrispondere ai diritti e agli interessi di chi fa il
ricorso. L'oggetto della domanda è molto ampio (qualunque
pronuncia idonea) e gli avvocati possono elaborare le
richieste più consone.
Il secondo decreto correttivo del codice del processo
amministrativo (decreto legislativo n. 160 del 14.09.2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 218 del 18.09.2012) ha aggiunto una prescrizione di carattere
procedurale, che però spingerà a mettere l'amministrazione
da subito di fronte alle sue responsabilità.
La novella legislativa integra l'articolo 34 prescrivendo
che l'azione di condanna al rilascio di un provvedimento
richiesto è esercitata contestualmente all'azione di
annullamento del provvedimento di diniego o all'azione
avverso il silenzio.
Questo significa anticipare la richiesta di condanna
dell'amministrazione e, anziché un trabocchetto per gli
avvocati (che non devono dimenticarsi di inserire la domanda
specifica), potrà diventare un pungolo in più verso le
amministrazioni riottose.
Naturalmente il giudice non può sostituirsi
all'amministrazione: il Tar avrà ampio spazio di azione
quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che
non residuano ulteriori margini di esercizio della
discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori
che debbano essere compiuti dall'amministrazione. In questo
caso nella sentenza c'è già l'ordine all'amministrazione di
adeguarsi.
Negli altri casi sarà l'amministrazione a dover emettere un
nuovo provvedimento, esercitando la sua discrezionalità, ma
nel rispetto della sentenza.
Il secondo correttivo interviene anche sulla formulazione
degli atti rafforzando la regola per cui gli atti difensivi
devono essere sintetici e chiari. Il codice del processo
amministrativo detta, infatti, una disposizione rigorosa
quanto a rispetto del principio di sinteticità degli atti.
Richiamando il codice di procedura civile, l'articolo 26 del
codice del processo amministrativo dispone che il giudice
deve provvedere alla condanna alle spese del giudizio. La
regola è che chi perde paga e le spese, anche per i giudici
amministrativi, sono liquidate in base ai parametri del
decreto del ministero della giustizia n. 140/2012. Il
secondo correttivo prevede che la decisione sulle spese deve
essere presa tenendo conto dell'obbligo che le parti hanno
di redigere atti sintetici e chiari (articolo 3, comma 2 del
cpa). Questo significa che gli atti difensivi troppo lunghi
o troppo oscuri aumentano il rischio di dovere pagare un
conto salato di spese di soccombenza.
Si tratta di una regola per giudice, che va ad aggiungersi
ai parametri previsti dal decreto n. 140/2012, sulla
liquidazione giudiziale dei compensi professionali.
Il decreto 140/2012 contiene la regola per cui costituisce
elemento di valutazione negativa, in sede di liquidazione
giudiziale del compenso, l'adozione di condotte abusive tali
da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi
ragionevoli. E la prolissità degli atti difensivi potrebbe
avere anche questo scopo: si pensi al fatto che la
controparte possa essere indotta a chiedere un rinvio per
poter analizzare e replicare a un atto lunghissimo.
La novella sul processo amministrativo prescinde da un
intento dilatorio e colpisce la prolissità in sé degli atti
e aggiunge un parametro non scritto nel decreto 140/2012, ma
è direttamente applicabile. Dunque le difese troppo
prolisse, con riferimento alle spese di lite sono un
azzardo. Anche se si ritiene che i giudici distingueranno i
casi in cui la prolissità è irragionevole, da quelli in cui
la complessità della questione merita un approfondimento.
Gli atti, infine, dovranno essere informatizzati in un
processo amministrativo telematico, che è ormai alle porte.
Il decreto correttivo, infatti, stabilisce che tutti gli
atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del
personale degli uffici giudiziari e delle parti potranno
essere sottoscritti con firma digitale (articolo
ItaliaOggi Sette del 24.09.2012). |
VARI:
Autovelox solo a
debita distanza.
Almeno un chilometro tra il dispositivo e la segnalazione.
Tre risoluzioni per allargare
l'obbligo anche all'accertamento da parte di una pattuglia.
Almeno un chilometro tra autovelox e segnale che impone il
limite di velocità. Presegnalamento e visibilità delle
postazioni. Sono di grande rilievo e impatto le disposizioni
introdotte dal legislatore negli ultimi anni per
regolamentare l'uso dei dispositivi che controllano la
velocità dei veicoli.
Ma in questi giorni le interpretazioni ministeriali su
alcuni specifici aspetti dell'impiego degli autovelox, in
particolare quelle sulla distanza dal segnale di velocità,
sono state oggetto di critiche dagli organi parlamentari.
La
commissione trasporti della camera nella seduta del 13.09.2012 ha infatti approvato tre risoluzioni che
impegnano il governo a riconsiderare le indicazioni
contenute nella circolare del 12.08.2010, nel senso di
chiarire che la disposizione di cui all'art. 25 della legge
n. 120/2010 relativa alla distanza non inferiore a un
chilometro dei dispositivi di controllo rispetto al segnale
che impone il limite di velocità è applicabile anche ai casi
in cui l'accertamento dell'illecito è effettuato con la
presenza di un organo di polizia stradale.
Distanza dal segnale di velocità. L'ultima modifica
introdotta dall'art. 25 della legge 120/2010 prevede che con
decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
devono essere definite le modalità di collocazione e uso dei
dispositivi o mezzi tecnici di controllo, finalizzati al
rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di
comportamento di cui all'art. 142 del codice della strada,
che fuori dei centri abitati non possono comunque essere
utilizzati o installati a una distanza inferiore a un
chilometro dal segnale che impone il limite di velocità.
Ma con la circolare prot. n. 300/A/11310/10/10/101/3/3/9 del
12.08.2010, il ministero dell'interno, discostandosi dal
dettato normativo e sostituendosi di fatto al previsto
decreto attuativo mai emanato, ha affermato che fuori dai
centri abitati solo gli autovelox fissi devono essere
posizionati ad almeno un chilometro dal segnale stradale che
impone il limiti di velocità.
L'obbligo di rispettare la
distanza minima non riguarda invece i casi in cui
l'accertamento dell'illecito è effettuato dalla polizia
stradale. Di fronte a questa discrasia fra il dettato
normativo e l'interpretazione del ministero dell'interno, la
commissione trasporti della camera ha approvato le tre
risoluzioni.
Presegnalamento e visibilità. Ai sensi dell'art. 3 del
decreto legge n. 117 del 03.08.2007 tutti i dispositivi
per il controllo elettronico della velocità in funzione
sulla rete stradale devono essere ben visibili e segnalati.
In attuazione di tale disposto, il decreto del ministero dei
trasporti del 15.08.2007 ha specificato che le
postazioni di controllo possono essere segnalate con
cartelli stradali di indicazione temporanei o permanenti,
con segnali stradali luminosi a messaggio variabile o con
dispositivi di segnalazione luminosi installati su veicoli.
I segnali stradali di indicazione devono essere realizzati
con un pannello rettangolare, di dimensioni e colore di
fondo propri del tipo di strada sul quale sono installati.
Sul pannello deve essere riportata l'iscrizione «controllo
elettronico della velocità» oppure «rilevamento elettronico
della velocità», eventualmente integrata con il simbolo o la
denominazione dell'organo di polizia stradale che attua il
controllo. I segnali stradali e i dispositivi di
segnalazione luminosi devono essere installati con adeguato
anticipo rispetto al luogo in cui viene effettuato il
rilevamento della velocità, e in modo da garantirne il
tempestivo avvistamento, in relazione alla velocità locale
predominante.
La distanza fra i segnali o i dispositivi e la
postazione di rilevamento della velocità deve essere
valutata in relazione allo stato dei luoghi; in particolare
è necessario che non vi siano tra il segnale e il luogo di
effettivo rilevamento intersezioni stradali che
comporterebbero la ripetizione del messaggio dopo le stesse,
e comunque non superiore a 4 km. Come indicato dalla
direttiva ministeriale del 14.08.2009, salvo casi
particolari in cui l'andamento plano-altimetrico della
strada o altre circostanze contingenti rendono consigliabile
collocarlo a una distanza maggiore, come distanza minima
adeguata fra il segnale e la postazione di controllo si può
considerare quella indicata, per ciascun tipo di strada,
dall'art. 79, c. 3, del regolamento di esecuzione e
attuazione del codice della strada per la collocazione dei
segnali di prescrizione. Questa distanza minima, infatti,
consente di garantire il corretto avvistamento del segnale
da parte degli utenti in transito.
Circa l'obbligo di piena
visibilità delle postazioni di controllo, comunque, il
riferimento deve essere fatto sempre solo alle
strumentazioni e non anche agli agenti operanti. Questo
aspetto è già stato chiarito anche dal ministero dei
trasporti con un parere del 6 ottobre 2009. L'art. 183 del
regolamento stradale, infatti, richiede che gli agenti del
traffico siano ben percepibili quando effettuano
segnalazioni in mezzo alla strada o si trovino ad operare in
condizioni di scarsa visibilità, serali o notturne.
L'obbligo di conoscibilità del controllo autovelox riguarda
la sola postazione, e dunque gli agenti non sono tenuti a
rendersi visibili.
E se l'accertamento della velocità viene
effettuato utilizzando il telelaser? Con una circolare del
15.03.2010 il Ministero dell'interno ha chiarito che in caso
di utilizzo di dispositivi che rilevano la velocità dei
veicoli in avvicinamento, la distanza minima di
posizionamento della segnaletica di preavviso va riferita
alla distanza che deve almeno intercorrere fra il luogo di
posizionamento della segnaletica e il punto di rilevamento
delle infrazioni, senza dunque fare riferimento al punto in
cui è collocata la strumentazione. Questo perché la distanza
deve essere adeguata per garantire il tempestivo
avvistamento della postazione (articolo
ItaliaOggi Sette del 24.09.2012). |
aggiornamento al 24.09.2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Pronto
il dm. Edifici, fine dell'energia autocertificata.
Precluso in caso di vendita al proprietario degli immobili
di poter optare per un'autodichiarazione sull'appartenenza
alla classe energetica più bassa, evitando così la
certificazione energetica del tecnico abilitato.
Come anticipato da ItaliaOggi il 14/09/2012, sono in arrivo
modifiche al dm 26/06/2009 «Linee guida nazionali per la
certificazione energetica degli edifici» da parte di un
provvedimento interministeriale (Mise, Trasporti e Ambiente)
diffuso nei giorni scorsi e trasmesso alla Conferenza delle
Regioni per l'approvazione. Si deve ricordare che la
certificazione energetica è obbligatoria nel caso di
richiesta di incentivi o agevolazioni pubbliche per la
riqualificazione degli edifici esistenti (detrazioni del 55%
e premio conto energia impianti fotovoltaici).
Il dm si è reso necessario dopo il deferimento dell'Italia
alla Corte di giustizia Ue del 26.04.2012 per l'incompleto
recepimento della direttiva 2002/91/Ce. La direttiva
2002/91/Ce è stata recepita nel nostro ordinamento con dlgs
19.08.2005 n. 192 (e successive modifiche). Il
provvedimento, definisce chiaramente gli edifici esentati
dall'obbligo di certificazione energetica, escludendo dagli
stessi solo quegli edifici per cui risulta tecnicamente non
possibile o non significativo procedere alla certificazione
energetica.
Tra gli edifici esentati risultano: box, cantine,
autorimesse, parcheggi multipiano, depositi, strutture
stagionali a protezione degli impianti sportivi e altri
edifici a questi equiparabili; nonché ruderi e immobili
venduti nello stato di «scheletro strutturale».
Inoltre vengono meglio specificati i ruoli degli enti
tecnici, Cti, Enea e Cnr, per la qualificazione dei software
commerciali per il calcolo della prestazione energetica nel
caso si utilizzino i metodi più rigorosi o quelli
semplificati.
È stata inoltre dettagliata la forma dei sistemi di calcolo
di riferimento nazionale che gli enti devono rendere
disponibili, tra questi raccolte di casi di studio e fogli
di calcolo
(articolo ItaliaOggi del
21.09.2012). |
APPALTI - ENTI
LOCALI:
L'impatto inatteso della norma sulla trasparenza
via web dei benefici concessi dalle p.a.. Trappola
amministrazione aperta. Dietro l'angolo nuovi adempimenti. E
spese incontrollate.
La norma sull'amministrazione «aperta» introdotta col
decreto sviluppo potrebbe essere fonte di una valanga di
nuovi adempimenti burocratici.
Esattamente al contrario dell'intento enunciato dal governo,
semplificare e rendere più trasparente l'azione
amministrativa, l'articolo 18 del dl 83/2012, convertito in
legge 123/2012, si rivela una fonte di problemi e
adempimenti burocratici difficili da attuare.
E una pericolosa spesa per le amministrazioni pubbliche.
Oggetto delle pubblicazioni.
L'articolo 18 elenca dettagliatamente tutti gli elementi che
debbono essere pubblicati sui portali delle amministrazioni,
in conseguenza dell'assegnazione a persone fisiche o
giuridiche di benefici economici di qualsiasi natura, dai
contributi ai contratti di appalto.
Nell'elencazione, tuttavia, manca la previsione dei
provvedimenti di liquidazione o pagamento delle spettanze ai
terzi. Oggettivamente, essendo questi aspetti
dell'esecuzione delle obbligazioni contratte, forse con le
esigenze di trasparenza non avrebbero molto a che vedere.
Tuttavia i commi 1 e 6 fanno, con maggiore o minore
chiarezza, riferimento proprio anche ai pagamenti. Infatti,
al comma 1 si parla di pubblicizzare l'«attribuzione dei
corrispettivi e dei compensi»; al comma 6 si rinvia ad
un regolamento per «disciplinare le modalità di
attuazione del presente articolo in relazione ai pagamenti
periodici e per quelli diretti ad una pluralità di soggetti
sulla base del medesimo titolo».
Nell'incertezza, allora, nonostante la voce «pagamento»
non sia compresa tra quelle obbligatoriamente oggetto della
pubblicazione, è bene inserirle. Questo renderebbe, però, la
pubblicizzazione delle informazioni un'operazione di
aggiornamento progressiva, per ovvie ragioni. Non si vede,
allora, come possa operare la sanzione della responsabilità
amministrativa, che ai sensi del comma 5 dell'articolo 18
deriverebbe dall'incompletezza delle informazioni, posto che
esse non saranno mai del tutto complete.
Rischi di spese incontrollate.
Il comma 5 stabilisce che la pubblicità delle informazioni
previste dall'articolo 18 costituisce «condizione legale
di efficacia del titolo legittimamente delle concessioni e
attribuzioni di importo complessivo superiore ai mille euro».
Contestualmente, si dà ai privati beneficiari la possibilità
di controllare la mancata, incompleta o ritardata
pubblicazione e, sulla base di ciò, di richiedere il
risarcimento per il danno da ritardo che deriverebbe,
evidentemente, dalla ritardata attivazione dei contratti o,
è da ritenere, anche dei pagamenti.
Un adempimento meramente informativo, insomma, viene
trasformato in condizione di efficacia delle erogazioni,
incidendo, per altro, indirettamente sulla disciplina
dell'efficacia non tanto degli atti amministrativi, ma
addirittura delle negoziazioni tra privati. Infatti, il
titolo legittimante per gli appalti, gli incarichi di
collaborazione, ma anche le concessioni dei contributi, non
sono i provvedimenti amministrativi di aggiudicazione e
impegno di spesa, che hanno rilevanza, come noto, solo
interna, bensì i contratti o le convenzioni che regolano,
poi, i rapporti obbligatori tra le parti.
Il rischio è che per inadempimenti formali, l'intero
rapporto negoziale risulti attivato illegittimamente, con
spostamento degli oneri obbligatori dall'amministrazione
pubblica al funzionario competente, a tutto danno della
posizione del privato. Ma, ulteriore rischio, è il
proliferare di vertenze per il risarcimento del danno da
ritardo, col rischio dell'esplosione di nuove ed
incontrollabili spese per l'amministrazione pubblica. Il
tutto, lo si ribadisce, per la scelta non ben meditata di
attribuire ad un adempimento formale, una pubblicazione,
addirittura valore della condizione di efficacia dei
contratti e persino dei pagamenti.
Per i pagamenti occorre già una trafila complicatissima, tra
acquisizione del Durc e verifiche ad Equitalia, per effetto
delle quali il termine dei 30 giorni previsto dalle
direttive europee è una chimera. In più si aggiunge un nuovo
adempimento. Senza per altro sapere cosa occorra pubblicare
per il pagamento: il provvedimento di liquidazione, oppure
il mandato? E senza tenere conto che, in ogni caso, il
titolo per i pagamenti resta sempre e solo il contratto o la
convenzione, sicché la pubblicizzazione dei provvedimenti di
materiale erogazione della spesa appare un eccesso
burocratico difficilmente giustificabile
(articolo ItaliaOggi del
21.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Numero legale blindato. Chi manca all'appello non
si calcola presente. Il caso del
consigliere assente dall'aula dopo aver richiesto la
verifica.
Deve essere computato tra i presenti il consigliere che,
dopo aver chiesto la verifica del numero legale del
consiglio comunale, si sia assentato?
Le modalità di determinazione del numero legale per la
validità delle sedute sono demandate all'autonomia normativa
degli enti locali. È importante, pertanto, che i medesimi si
dotino di una disciplina chiara ed esaustiva in materia.
Ciò anche al fine di sottrarre l'ente a possibili
contestazioni. Numerose fonti regolamentari recanti la
disciplina di organi collegiali prevedono che i richiedenti
la verifica del numero legale debbano essere considerati
presenti (cfr art. 46, comma 6, regolamento della Camera dei
deputati e art. 108 del Senato) ancorché siano assenti
dall'aula al momento del conteggio.
Tuttavia, se tale criterio non è stato recepito dal
regolamento del consiglio comunale ovvero nello stesso viene
previsto che la verifica dei presenti sia compiuta tramite
appello nominale, o apparecchiatura elettronica e che i
consiglieri che si astengono dal votare sono computati nel
numero dei presenti, sembrerebbe evincersi che i consiglieri
assenti dall'aula al momento dell'appello non possano essere
considerati presenti ai fini del numero legale della seduta
(articolo ItaliaOggi del
21.09.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Giunta a ridotta
composizione.
Quesito: La giunta provinciale può deliberare in una
composizione ridotta, nel caso in cui sia stato revocato e
non ancora sostituito uno degli assessori della sua
compagine?
È necessario che la sostituzione dell'assessore revocato
avvenga in tempi brevi, allo scopo di ricostituire il plenum
dell'organo collegiale qualora la composizione dello stesso
sia determinata in modo rigido dallo statuto dell'ente.
Infatti tale fonte può individuare il numero degli assessori
in modo fisso oppure, in alternativa, in modo “flessibile”
entro il limite massimo consentito dalla legge statale (v.
art. 47, comma 2, del Tuel n. 267/2000); nel caso sia stata
prescelta dall'ente locale la prima opzione, lo stesso è
vincolato all'osservanza della prescritta composizione
numerica, senza margini di discrezionalità, per tale
profilo, da parte del Presidente. Per quanto concerne la
tempistica riguardante la sostituzione dell'assessore
revocato, nulla stabilisce sul punto l'art. 46, comma 4 del
Tuel.
È appena il caso di rammentare che l'istituto della revoca
dell'incarico assessorile, nella previgente legislatura,
prevedeva la contestualità della sostituzione; più
precisamente, revoca e sostituzione dell'assessore erano
configurati quali adempimenti di competenza del consiglio
–adottati su proposta del sindaco ovvero del presidente
della provincia– che dovevano avere luogo «nella stessa
seduta». Nell'attuale sistema, conformato a tutt'altre
modalità di elezione della giunta ed alla sua configurazione
di organo fiduciario del sindaco ovvero del presidente della
provincia, ora eletto a suffragio diretto, mancano
riferimenti espressi a un termine entro il quale l'organo di
vertice deve provvedere alla sostituzione dell'assessore
revocato.
Ciò non impedisce che sia insita nel sistema la necessità
che l'adempimento in questione debba essere effettuato
tempestivamente, al fine di rendere conforme alle
prescrizioni statutarie la composizione numerica della
giunta. Per quanto concerne l'evenienza che l'incompleta
composizione dell'organo collegiale comporti, nelle more
della sostituzione, l'impossibilità di deliberare
validamente, si rileva che l'indirizzo giurisprudenziale
formatosi sul punto è impostato sul principio per cui la
completezza dell'organo collegiale è indispensabile ai fini
della sua operatività soltanto all'atto della costituzione
originaria.
Pertanto, se qualcuno dei componenti viene a mancare
successivamente deve ritenersi che il collegio possa
continuare legittimamente a svolgere le sue funzioni, nelle
more della reintegrazione del plenum, purché sia sussistente
il quorum strutturale (così Cons. St., Sez. V, 08.07.1977 n.
767); la giurisprudenza in parola motiva tale soluzione con
la necessità di impedire la paralisi dell'organo,
privilegiando l'efficienza rispetto alla rappresentatività
(articolo ItaliaOggi del
21.09.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Dal
Consiglio nazionale forense il modello di contratto dopo lo
stop definitivo alle tariffe. Patti chiari tra avvocato e
cliente.
Per iscritto il compenso fissato a ore o per fasi di
attività.
Compenso orario o compenso per fasi di attività. La
struttura a due vie del compenso da pattuire nel
conferimento di incarico all'avvocato è prevista dal
modello
di contratto, elaborato dal Consiglio nazionale forense. Il
contratto tra cliente e avvocato, a seguito dell'abolizione
delle tariffe, è necessario per stabilire l'onorario del
professionista. Il compenso va determinato per iscritto in
una apposita scrittura privata, che segue il preventivo di
massima.
Tra l'altro il contratto scritto produce effetti vincolanti
(nei rapporti avvocato-cliente) per la determinazione del
compenso da parte del giudice (decreto ministeriale n.
140/2012), e può rappresentare un punto di riferimento per
la determinazione, sempre giudiziale, delle spese di
soccombenza. A quest'ultimo proposito va ricordato che non
potendosi più elaborare una nota spese da produrre al
giudice, è opportuno produrre copia del contratto, previa
prudenziale autorizzazione del cliente. Il giudice, nella
liquidazione delle spese, potrà tenere conto del livello del
compenso pattuito documentato con il contratto.
Vediamo le clausole più rilevanti.
Privacy. Il contratto di incarico professionale è la sede in
cui il cliente dichiara di avere ricevuto l'informativa
prevista dall'articolo 13 del codice della privacy e di
avere prestato il consenso di cui all'articolo 23 dello
stesso codice. Peraltro va ricordato che il modello di
contratto presuppone una separata informativa, che può
essere consegnata su foglio a parte o inserita come allegato
del contratto stesso.
Conciliazione. Nel modello di contratto si trova anche
l'informativa sulla media-conciliazione, con espresso
riferimento ai benefici fiscali conseguibili dal ricorso a
questo sistema stragiudiziale di soluzione delle
controversie. Peraltro va segnalato che l'informativa va
allegata al primo atto difensivo (articolo 4 dlgs 28/2010),
e questo significa che il contratto va depositato in
tribunale.
Antiriciclaggio. Il modello di contratto del Cnf contiene
l'informativa relativa agli obblighi di segnalazione delle
operazioni sospette previsto dal decreto legislativo
56/2004.
Difficoltà dell'incarico. Una clausola specifica del
contratto riguarda l'informazione da dare al cliente, anche
per obblighi deontologici, sul grado di difficoltà
dell'incarico. Viene stabilita la seguente scaletta:
questione ordinaria; questione difficile; questione
complessa.
Imprevisti. L'iter del giudizio potrebbe presentare sviluppi
non prevedibili. Il modello di contratto, da un lato,
obbliga l'avvocato a fare una prognosi delle attività e dei
connessi costi prevedibili; dall'altro consente all'avvocato
di far presente le circostanze non prevedibili al momento
della stipulazione del contratto, che determinano un aumento
dei costi. Si tratta di una valvola aperta alla possibile
integrazione del contratto.
Importi. Il modello di contratto offre alcune strade
alternative per la quantificazione del compenso.
In primo luogo si sceglie una strada simile a quella
adottata dal decreto 140/2012 sulla liquidazione giudiziale
dei compensi e cioè una quantificazione per fasi
(mediazione, studio, cautelare, fase introduttiva,
istruttoria, decisoria ed esecutiva). In alternativa si
propone un modello di calcolo in base alle ore di attività.
Questa modalità era riservata, dalle «vecchie» tariffe, solo
all'attività stragiudiziale, ma ora può essere esteso anche
all'attività giudiziale.
Spese. Le spese, secondo il modello, possono essere
determinate in modo forfettario oppure in base alla
documentazione che verrà prodotta successivamente: in questo
caso il modello indica di inserire al momento della
conclusione del contratto di conferimento di incarico
professionale, un tetto massimo oppure dei riferimenti al
tipo di mezzo di trasporto che sarà utilizzato (treno,
aereo, autovettura), classe del treno o dell'aereo,
categoria alberghiera per il pernottamento.
Transazione. Analogamente a quanto previsto dal decreto
140/2012 sulla liquidazione giudiziale, il contratto premia
l'avvocato che favorisce una soluzione bonaria con un
surplus di compenso. Il modello non offre una clausola tipo,
invece, sul patto di quota lite (compenso legato al
risultato, come quota di quanto incassato).
Acconti e saldo. Il modello di contratto contiene la
specifica indicazione dei tempi di pagamento di acconti e
saldo. Se il cliente non paga nei termini, il contratto
viene dichiarato risolto.
Liquidazione del giudice. All'esito della causa il giudice
potrà riconoscere alla parte vittoriosa il recupero delle
spese legali, ma eventualmente in misura inferiore a quella
pattuita dal cliente con il proprio legale. Per questi casi
il contratto stabilisce la prevalenza dell'accordo rispetto
alla liquidazione del giudice. La parte eccedente rimane a
carico del cliente. Se il giudice riconoscesse di più, il
modello di contratto riserva all'avvocato questa somma
ulteriore.
Clausole vessatorie. Il modello di contratto prevede la
doppia firma del cliente sulle clausole vessatorie
(integrazione del contratto per cause imprevedibili,
clausola risolutiva espressa in caso di mancato pagamento,
riconoscimento al legale della cifra maggiore tra quella
prevista dal contratto e quella liquidata dal giudice ecc.).
Il modello precisa che non si è ritenuto opportuno prevedere
il riferimento alla disciplina del contratto con il
consumatore e, quindi, alla trattativa individuale delle
clausole vessatorie: questo per evitare che la
qualificazione di contratto con il consumatore sia lo
strumento per l'applicazione al professionista dello
«statuto» dell'imprenditore
(articolo ItaliaOggi del
20.09.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: PACCHETTO
SEMPLIFICAZIONI/ Lo stop a costruire va dichiarato.
Sugli immobili vincolati il diniego del permesso va
esplicitato. Provvedimento presto al vaglio del Consiglio
dei ministri.
Diniego espresso del permesso di costruire su immobili
vincolati. Se il comune non adotta il provvedimento
conclusivo entro il termine previsto, l'istanza non si
considera automaticamente rigettata, ma l'ente locale deve
comunicare in maniera esplicita la sua decisione.
È quanto
prevede la bozza di decreto sulle semplificazioni, presto
all'esame del Governo. Ma vediamo di illustrare tutte le
novità, anche in materia di privacy.
Immobili vincolati. Il decreto chiarisce le conseguenze
dell'inerzia del comune nell'adozione del provvedimento
conclusivo del procedimento di rilascio del permesso di
costruire, in caso di esistenza di un vincolo ambientale,
paesaggistico o culturale e di diniego del relativo atto ampliativo. Nella formulazione vigente è previsto il
«silenzio-rifiuto»: questo significa che la risposta del
comune è negativa. La novità cambia la natura del silenzio
in silenzio non significativo, cioè non avente valore di
provvedimento di diniego. La relazione di accompagnamento
precisa che rimane ferma, anche a seguito dell'esito
negativo del procedimento di rilascio del titolo abilitativo
reso necessario dalla presenza di un vincolo, la necessità
che il comune concluda il procedimento di rilascio del
permesso di costruire con un provvedimento espresso.
Questo significa, anche, che in caso di ulteriore inerzia
l'interessato potrà rivolgersi al Tar contro il silenzio
dell'amministrazione.
Con un secondo intervento viene semplificata la procedura di
conferenza dei servizi nel caso in cui l'immobile oggetto
dell'intervento sia sottoposto a un vincolo la cui tutela
non compete, anche in via di delega, alla amministrazione
comunale. Le regole attuali obbligano il comune a indire
necessariamente la conferenza di servizi. Questo anche
nell'ipotesi in cui sussista un solo vincolo e, quindi, la
conferenza si risolva nella convocazione di un tavolo cui
partecipa una sola amministrazione, oltre a quella
procedente. Peraltro la relazione al decreto spiega che ciò
non preclude al comune, se ne ravvisa l'opportunità (in
particolare quando coesistano più vincoli sul medesimo
immobile) la facoltà di convocare una conferenza di servizi.
Parere del soprintendente. Il decreto restituisce
all'amministrazione competente il potere di provvedere sulla
domanda di autorizzazione, prevista dall'articolo 146 del
codice del paesaggio, decorsi inutilmente i termini indicati
per l'espressione del parere del soprintendente. L'articolo
146, infatti, in caso di avvenuto adeguamento degli
strumenti urbanistici alle prescrizioni dei piani
paesaggistici, il parere del soprintendente assume natura
obbligatoria non vincolante e si considera favorevole se non
sia stato reso entro il termine di novanta giorni dalla
ricezione degli atti.
Inoltre, il medesimo articolo prevede
che, in caso di mancata pronuncia da parte della
Soprintendenza entro il termine di 45 giorni dalla ricezione
degli atti, l'amministrazione competente può indire una
conferenza di servizi che si pronuncia entro 15 giorni.
Appalti. Il decreto modifica le percentuali di
qualificazione denominata OG11. Per effetto delle modifiche
le imprese attualmente svantaggiate possono partecipare alle
gare di appalto per la loro potenzialità complessiva in
OG11, oppure di partecipare alle gare di appalto indette
nelle categorie specialistiche (principio di assorbenza),
nei limiti delle percentuali relativamente corrispondenti.
Il decreto prevede poi la disciplina espressa del contratto
di rete per favorire l'aggregazione tra imprese e la loro
partecipazione alle gare di appalto. Con il contratto di
rete viene instaurato un rapporto di collaborazione duraturo
e continuativo, non limitato a una specifica gara, ma, al
contrario, finalizzato al perseguimento di un programma di
sviluppo di ampia portata. Per la partecipazione alle gare
gli operatori economici devono pattiziamente regolare la
partecipazione congiunta alle procedure di gara nell'oggetto
del contratto di rete. Il mandato, in fase di
partecipazione, potrebbe essere sostituito dall'impegno
scritto al conferimento dello stesso a valle
dell'aggiudicazione o avere, alternativamente, la forma
della scrittura privata autenticata ovvero dell'atto
sottoscritto digitalmente.
Distanze. Vengono modificate le distanze tra edifici,
limitatamente ai territori interessati da eventi sismici e
da calamità naturali, per gli interventi di ristrutturazione
edilizia, anche con sopraelevazioni e aumenti di volume. Il
decreto prevede il rispetto delle distanze vigenti all'epoca
della costruzione originaria, salvo deroga, nel caso di
gruppi di edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati qualora rientrino in piani di recupero e
riconversione urbana.
Privacy. Il decreto estende al concetto più ampio di
impresa, anche se esercitata in forma individuale (cioè da
una persona fisica), l'esclusione dal campo di applicazione
del Codice della privacy già prevista per il trattamento di
informazioni relative alle persone giuridiche e, quindi,
sostanzialmente alle società (cioè ad imprese gestite in
forma societaria).
Con una eccezione: viene fatta salva la speciale disciplina
nazionale Capo II, Tit. X, Codice e comunitaria (direttiva
58/2002/CE) posta a tutela degli interessi giuridici di
persone giuridiche e imprese contraenti di servizi di
comunicazioni elettronica
(articolo ItaliaOggi del
18.09.2012). |
APPALTI:
La solidarietà
non blocca il Durc.
Sì alla regolarità in presenza di corresponsabilità nei
debiti. Il quadro della disciplina vigente negli appalti
privati dopo le novità del decreto semplificazioni.
La solidarietà non pregiudica il Durc (Documento unico di
regolarità contributiva). La presenza di debiti contributivi
scaturenti da un regime di solidarietà di un appalto,
infatti, non compromette la regolarità contributiva
dell'impresa ai fini del rilascio del documento unico (Durc
regolare).
La precisazione è dell'Inps che, con
circolare
10.08.2012 n.
106/2012, ha illustrato le novità della legge n. 44/2012
(conversione del dl n. 16/2012) in materia di responsabilità
solidale che lega committenti e appaltatori negli appalti
del settore privato.
La responsabilità solidale. Con questa espressione viene
indicato il vincolo che lega, negli appalti, la ditta che
affida un lavoro e quella che tale lavoro esegue. Un vincolo
che ha efficacia relativamente ai diritti retributivi,
fiscali e contributivi dei lavoratori che sono impiegati
nell'esecuzione dei lavori di quell'appalto.
Ai sensi degli
articoli 1292 e seguenti del codice civile, in particolare,
si ha obbligazione solidale passiva quando «più debitori
sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo
che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la
totalità e l'adempimento da parte di uno di loro libera gli
altri (_)».
Per l'Inps, dunque, la solidarietà passiva nasce
per rafforzare il credito, in quanto attribuisce al
creditore (proprio l'Inps nel caso di obbligazioni
contributive) la facoltà di chiedere l'adempimento
dell'esatta prestazione a uno qualunque dei debitori.
Le regole oggi vigenti. Le norme di riferimento in materia
di responsabilità solidale per i trattamenti contributivi
nel contratto di appalto privato sono state soggette, nel
tempo, a diverse modifiche (si veda tabella). Dall'analisi
complessiva della normativa ne deriva che:
a) il committente è chiamato a rispondere in solido con
l'appaltatore, nonché con gli eventuali subappaltatori, per
l'intero importo della contribuzione previdenziale nonché
della retribuzione dovuta, con esclusione (dal 10.02.2012), delle sanzioni civili. Il ministero del lavoro, in
merito alle somme per le quali il committente viene chiamato
a rispondere in solidarietà, ha precisato che, anche a
seguito della modifica legislativa intervenuta (dal 10.02.2012), il regime di solidarietà permane sulle somme
dovute a titolo di interesse moratorio sui debiti
previdenziali (sia contributivi e assistenziali che
assicurativi), nascenti sul debito contributivo una volta
raggiunta l'entità massima prevista della sanzione civile,
considerata la portata generale dell'articolo 1294 del
codice civile e in mancanza, sul punto, di una previsione
contraria della legge.
Inoltre, ha chiarito che il dies a
quo a partire dal quale il committente, ex articolo 21 del
dl semplificazioni, non risponde dell'obbligo relativo alle
somme aggiuntive, coincide con tutti gli obblighi
contributivi la cui scadenza del versamento è successiva al
10.02.2012, data di entrata in vigore del predetto
decreto. Il vincolo della solidarietà viene meno dopo due
anni dalla cessazione dell'appalto (ovvero, in presenza di
subappaltatori, dopo due anni dalla cessazione del
subappalto).
Sono tutelati tutti i lavoratori, ovvero non
solo i lavoratori subordinati ma anche quelli impiegati
nell'appalto con altre tipologie contrattuali (per esempio i
collaboratori a progetto), nonché quelli in nero, purché
impiegati direttamente nell'opera o nel servizio oggetto
dell'appalto;
b) l'appaltatore è chiamato a rispondere in solido con il
subappaltatore:
1) ex articolo 35, comma 28, (fino al 28.04.2012), oltre che senza limiti economici, anche senza
termine di decadenza, con la conseguente applicazione del
termine di prescrizione previsto ex lege per i contributi.
Sono tutelati i lavoratori regolarmente iscritti al Lul o
per i quali è stata effettuata la comunicazione di
instaurazione del rapporto di lavoro (Unilav);
2) ex
articolo 29, comma 2, (dal 29.04.2012) in virtù di
consolidata giurisprudenza che considera il contratto di
subappalto null'altro che un vero e proprio appalto (che si
caratterizza, rispetto al contratto-tipo, solo per essere un
contratto derivato da altro contratto stipulato a monte, che
ne costituisce il presupposto).
Insomma, a partire dal 29.04.2012, il regime di
solidarietà complessivamente previsto per il committente
obbligato in solido è da ritenersi esteso anche
all'appaltatore chiamato in solidarietà (articolo ItaliaOggi Sette del
17.09.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Permessi light e sportello unico per i cantieri.
Ampliato il ricorso all'autocertificazione. Comuni attesi
alla sfida dei tempi brevi.
Puntuale come ormai succede da un paio d'anni, con l'ultimo
decreto sviluppo arriva anche un pacchetto di
semplificazioni edilizie. Questa volta, però, accanto al
consueto ritocco delle procedure, il Governo gioca la carta
dell'attività amministrativa: lo sportello unico
dell'edilizia, infatti, è destinato a diventare un
front-office universale per cittadini, imprese e
professionisti. Di fatto, i funzionari comunali dovranno
dialogare con tutte le amministrazioni coinvolte –dalle
soprintendenze al genio civile– raccogliendo gli atti e
permessi necessari. E convocando, quando serve, una
conferenza di servizi per accelerare la decisione.
L'attuazione
Tra le righe del Dl 83/2012 (convertito dalla legge 134) si
annida una rivoluzione che potrebbe spazzare via in un solo
colpo tutte le frasi come «non è di nostra competenza» e «si
rivolga a un altro ufficio». Ma tutto dipenderà
dall'attuazione concreta delle nuove regole, che pongono una
sfida organizzativa molto impegnativa a Comuni già sotto
pressione per il blocco del turn-over e il patto di
stabilità.
Il rischio, quindi, è che l'accentramento delle pratiche in
un unico ufficio si traduca in un allungamento dei tempi.
Senza che i cittadini possano rivolgersi alle altre
amministrazioni per procurarsi gli atti o accelerare l'iter.
Proprio per scongiurare questi inconvenienti è stato
assegnato ai Comuni un termine di sei mesi per implementare
le nuove procedure, ed è stato previsto anche un meccanismo
che –in caso di inerzia– consentirà ai cittadini di far
intervenire un funzionario che si "sostituirà" a quello
inadempiente.
Un possibile effetto a doppio taglio è contenuto anche in
un'altra delle novità inserite nel decreto sviluppo, e cioè
l'estensione alla Dia di tutte le autocertificazioni
previste dalla Scia. Il vantaggio è evidente: il
professionista certifica il possesso di tutta una serie di
requisiti e non serve reperire alcuna documentazione. Ma, di
contro, dove le norme sostanziali non sono chiarissime –e
spesso succede– il tecnico è chiamato ad assumersi una
grande responsabilità, sia nei confronti
dell'amministrazione (che potrebbe bloccare i lavori anche
dopo i canonici 30 giorni azionando il potere di autotutela)
sia nei confronti del committente (che potrebbe chiedere il
risarcimento dei danni derivanti da eventuali errori). Non è
un caso, a ben vedere, che poche imprese abbiano scelto il
permesso di costruire con il silenzio-assenso (introdotto un
anno fa dal Dl 70/2011) preferendo invece avere un via
libera esplicito ai lavori.
I vincoli
Tutta da sperimentare è anche la semplificazione nei casi di
interventi in zone vincolate: finora il dialogo preventivo e
informale tra professionista e tecnici della soprintendenza
è servito in molti casi ad avvicinare le parti, a plasmare i
progetti in modo da rendere più facile il parere favorevole
dell'organo di tutela.
Cosa succederà ora che di fatto tecnici e privati saranno
"scavalcati" dallo sportello? L'accentramento riuscirà a
garantire la stessa flessibilità anche di fonte a
soprintendenze in perenne deficit di organico?
Dubbi di non poco conto se si pensa che in alcune regioni
italiane metà del territorio italiano è coperta da un
vincolo, ambientale o paesaggistico. E che dunque
conquistare anche attraverso il dialogo e la flessibilità il
via libera degli enti incaricati della tutela è un passaggio
cruciale per molti interventi edilizi. Insomma: anche per
quest'ultima innovazione normativa occorre quanto meno un
primo periodo di sperimentazione, e magari qualche
chiarimento interpretativo, un po' come è capitato con la
Scia.
Del resto sulle procedure edilizie –dopo le modifiche
normative degli ultimi due anni– resta poco da
semplificare: è ormai notevolmente ampliata l'area
dell'edilizia libera, con il nuovo strumento della
comunicazione di inizio attività che assomiglia da vicino
alla Dia ma consente di iniziare subito i lavori anche per
la manutenzione starordinaria (Dl 40/2011), fino all'ultima
deregulation contenuta proprio nel decreto sviluppo che ha
portato in edilizia libera le modifiche interne e il cambio
di destinazione d'uso dei fabbricati di impresa.
Il tutto in nome di un effetto anticrisi attribuito da
sempre ai lavori edili. Ma al di là delle semplificazioni di
procedure e organizzative, una forte spinta adesso è attesa
dai robusti incentivi fiscali, cioè da quel 50% di
detrazione sulle spese di ristrutturazione fino a 96mila
euro che proprio il decreto sviluppo ha portato con sé, a
partire dal 26 giugno scorso e fino al 30.06.2013 (articolo Il Sole 24 Ore del
17.09.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il nuovo front-office accentra le pratiche di tutti gli
altri enti.
Lo sportello comunale «dialoga» con le amministrazioni
pubbliche.
PRO E CONTRO/
I cittadini ora hanno un solo referente ma se servono i
pareri di soggetti diversi i tempi si allungano.
Lo sportello unico per l'edilizia (Sue) accentra tutti i
rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione in merito
a permessi e assensi edili, senza che sia più possibile con
le modifiche introdotte dal Dl 83/2012 bypassarlo, ottenendo
da altri uffici documentazione, informazioni o permessi,
comunque definiti.
Con «tutti i rapporti» si intende davvero tutti, fatta
l'unica eccezione di quelli di competenza di un altro
sportello unico, quello delle attività produttive (Suap),
che può a buon diritto entrare in gioco quando, insieme a
opere edili propriamente dette, occorre ottenere assensi in
merito all'apertura, alla cessazione, localizzazione,
trasformazione, ristrutturazione, riconversione,
ampliamento, trasferimento di un'attività produttiva o di
servizi.
Gli sportelli unici –da attivare entro il 12.02.2013– posso essere aperti dai Comuni, soprattutto se di piccole
dimensioni, anche in forma associata, per diminuire i costi
e razionalizzare il servizio.
Le funzioni dello sportello unico, così come ridisegnato dal
Dl 83 sono le seguenti:
- ricevere tutte le comunicazioni o le domande relative al
l'attività edilizia (comunicazioni con o senza relazione
asseverata, segnalazioni di inizio attività, denunce di
inizio attività, permessi di costruire, certificati di
agibilità) ivi comprese quella relative alle opere per le
fonti rinnovabili di energia (fatta eccezione per
l'autorizzazione unica che è curata dalla Regione o dalle
province da essa delegate con procedimenti assai simili a
quelli previsti per gli sportelli unici comunali);
- rilasciare tutti i permessi e gli assensi relativi;
- fornire informazioni del tutto gratuite in merito al
l'iter delle pratiche, alle normative d riferimento, ai
documenti e provvedimenti amministrativi;
- essere tramite obbligatorio tra il privato e tutte le
amministrazioni pubbliche chiamate a pronunciarsi
sull'intervento edilizio, richiedendo a tali amministrazioni
gli atti di assenso, comunque denominati, necessari per
realizzare le opere, direttamente (se possibile) o anche
tramite le cosiddette conferenze di servizi (si veda
l'articolo in pagina).
Il tipo e il numero di assensi integrativi che possono
essere necessari sono riportati nella tabella pubblicata a
fianco: si tratta di un elenco molto nutrito, più
dettagliato di quello riportato nel Testo unico
dell'edilizia (Dpr 380/2011), ma che non esaurisce tutte le
possibilità.
In buona sostanza gli sportelli unici sono nati per offrire
un solo referente al cittadino, dando un colpo di spugna
alla vecchia prassi dello "scaricabarile" tra le diverse
amministrazioni coinvolte in un intervento edile e fornendo
tempi certi per l'esame delle pratiche. Ai sensi della legge
241/1990, anzi, il cittadino deve essere informato di chi,
al l'interno del Sue, è «responsabile del procedimento»,
fornendo le informazioni base per potersi mettere in
contatto (per esempio, telefono,indirizzo ed e-mail): quindi
il rapporto non è con un'entità astratta (il Sue) ma con una
persona ben definita.
Il Testo unico privilegia comunque espressamente sia l'invio
delle domande da parte dei cittadini che l'acquisizione di
pareri e assensi per via telematica. Qualora sia possibile,
lo sportello unico raccoglie pareri, autorizzazioni o
documenti direttamente dalla diversa amministrazione
competente. Se non riesce a riceverli entro 30 giorni,
oppure entro lo stesso termine una della amministrazioni
esprime il suo dissenso, o il tipo di opere lo prevede
comunque (interventi di particolare complessità, opere
pubbliche, necessità della valutazione di impatto
ambientale), lo sportello convoca la conferenza di servizi.
Anch'essa può svolgersi per via telematica, ma, ovviamente,
l'iter della pratica finirà per prolungarsi.
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IN PRATICA
Il divieto di chiedere atti già in possesso della Pa
In base all'articolo 9-bis del Testo unico dell'edilizia (Dpr
380/2001), introdotto dalla legge di conversione del Dl
83/2012, ai fini della presentazione, rilascio o formazione
dei titoli abilitativi previsti dal Testo unico, la pubblica
amministrazione è tenuta «ad acquisire d'ufficio i
documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli
catastali, che siano in possesso delle pubbliche
amministrazioni», senza possibilità di «richiedere
attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla
veridicità e sull'autenticità
di tali documenti, informazioni
e dati».
L'acquisizione del nulla-osta paesaggistico
I compiti di acquisizione indicati in precedenza sono
riferibili allo sportello unico per l'edilizia (Sue), al
quale
l'attuale formulazione dell'articolo 5 del Testo unico
assegna anche il compito di acquisire –direttamente o
tramite conferenza di servizi– tutti gli atti di assenso,
comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione
dell'intervento, tra cui quelli per eseguire interventi
edilizi su immobili assoggettati a vincolo storico-artistico
o paesaggistico ai sensi del Dlgs 42/2004, «fermo restando
che, in caso di dissenso manifestato dall'amministrazione
preposta alla tutela dei beni culturali, si procede ai sensi
del medesimo codice».
Il rinvio, quindi, è all'articolo 25
del codice del 2004 –che a sua volta richiama l'istituto
della conferenza di servizi– e riguarda unicamente quelli
assoggettati a vincolo storico-artistico, poiché la norma
utilizza il termine «beni culturali» e non «patrimonio
culturale», così escludendo i «beni paesaggistici», che ne
sono una delle due distinte componenti, ai sensi
dell'articolo 2 del medesimo codice. La sostanza, tuttavia,
non cambia, poiché anche nel caso del nulla-osta
paesaggistico, se non direttamente acquisito dal Sue, dovrà
farsi ricorso alla conferenza di servizi, che questo
ufficio, come in passato, è tenuto ad indire.
L'orientamento del Consiglio di Stato
Sul punto va peraltro segnalata la recente sentenza del
Consiglio di Stato 4312/2012, contenente specifici rilievi
sui poteri del Sue. La pronuncia richiama innanzitutto il
consolidato indirizzo giurisprudenziale (tra le tante,
Consiglio di Stato, 6878/2011) secondo cui il procedimento
per il rilascio del permesso di costruire e quello per il
nulla-osta di compatibilità paesaggistica dell'intervento,
ancorché connessi, sono due procedimenti distinti, avendo a
oggetto la tutela di beni diversi ed essendo articolati
sulla base di competenze diverse.
Se ne fa conseguire che
l'articolo 5 del Dpr 380/2001, nell'assegnare al Sue
l'acquisizione di tutti gli «atti di assenso, comunque
denominati, necessari ai fini della realizzazione
dell'intervento edilizio», si riferisce ai soli pareri e
nulla-osta endoprocedimentali volti al rilascio del permesso
di costruire, ma non può estendersi anche a
un'autorizzazione diversa ed esterna rispetto a tale
procedimento, quale è l'autorizzazione paesaggistica
eventualmente richiesta per l'esecuzione dell'intervento.
Tale orientamento, espresso dai giudici di Palazzo Spada
pochi giorni prima della pubblicazione della legge 134/2012,
andrà oggi rimeditato, alla luce della esclusività delle
funzioni assegnate al Sue (articolo Il Sole 24 Ore del
17.09.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il catalogo degli interventi/
L'edilizia libera guadagna spazio.
Senza titoli abilitativi anche i lavori interni e i cambi
d'uso sui capannoni.
TEMPI RAPIDI/
In tutti i casi diversi da permesso di costruire e denuncia
d'inizio attività il proprietario può avviare subito il
cantiere.
All'insegna della semplificazione, la disciplina dei titoli
edilizi cambia ancora nello sforzo di agevolare la ripresa
economica. In sede di conversione del decreto legge 83/2012
(da parte della legge 134) sono stati ulteriormente
modificati l'iter per il rilascio del permesso di costruire
e il novero degli interventi realizzabili con comunicazione
di inizio attività (Cia), ai sensi dell'articolo 6 del Testo
unico in materia edilizia, Dpr 380/2001.
Per quanto attiene
al permesso di costruire, è ora previsto che se entro 60
giorni dalla presentazione della domanda non siano
intervenuti gli assensi eventualmente necessari da parte
delle altre amministrazioni (o se sia intervenuto il
dissenso di una o più amministrazioni), il responsabile
dello sportello unico indica una conferenza di servizi.
In tema di Cia, sono invece state assoggettate a
comunicazione anche le «modifiche interne di carattere
edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad
esercizio d'impresa, ovvero le modifiche della destinazione
d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa».
Anche per queste opere, così come per gli interventi di
manutenzione straordinaria, l'interessato, insieme alla
comunicazione, dovrà però trasmettere i dati dell'impresa e
una relazione tecnica che attesti la conformità agli
strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi, oltre a una
dichiarazione riguardo alla non necessità di titolo
abilitativo.
La riforma si pone del solco delle precedenti che hanno
complessivamente delineato cinque distinti modelli
abilitativi, ciascuno corrispondente a determinate categorie
di interventi edilizi:
- l'attività edilizia libera, attuabile senza alcuna
formalità;
- l'attività soggetta a Cia (asseverata in caso di
manutenzione straordinaria e modifiche interne o funzionali
a fabbricati d'impresa), realizzabile previa comunicazione;
- l'attività soggetta a segnalazione certificata di inizio
attività (Scia), anch'essa eseguibile contestualmente alla
presentazione della prevista documentazione e soggetta ad
eventuale inibitoria comunale entro 30 giorni;
- l'attività soggetta a denuncia di inizio attività (Dia),
realizzabile decorsi 30 giorni dalla presentazione del
relativo modello;
- le opere subordinate a rilascio di permesso di costruire,
espresso o ottenuto mediante silenzio-assenso.
Nel novero dell'attività edilizia libera ricadono la
manutenzione ordinaria, gli interventi per l'eliminazione di
barriere architettoniche che non alterino la sagoma
dell'edificio, le opere temporanee per ricerca nel
sottosuolo, i movimenti di terra pertinenti all'attività
agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali ed, infine, le
serre mobili stagionali, non in muratura.
Sono, invece, soggetti a Cia gli interventi di manutenzione
straordinaria (sempre che non riguardino parti strutturali,
non comportino aumento delle unità immobiliari e non
implichino incremento dei parametri urbanistici); le opere
per esigenze contingenti (destinate ad esser rimosse
comunque entro novanta giorni); le opere di pavimentazione e
di finitura di spazi esterni; l'installazione di pannelli
solari, fotovoltaici, al di fuori delle zona omogenee A); le
aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo
delle aree pertinenziali ed infine, come visto, le modifiche
edilizie interne e quelle funzionali dei fabbricati adibiti
ad esercizio d'impresa.
Il rilascio del permesso di costruire permane per le
attività edilizie più rilevanti ed, in particolare per:
- interventi di nuova costruzione;
- interventi di ristrutturazione urbanistica;
- interventi di ristrutturazione edilizia "maggiori", cioè
che portino a un organismo edilizio diverso dal precedente e
che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del
volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, o che
–solo per gli immobili compresi nelle zone A (centri
storici)– comportino cambi d'uso.
Infine, quali modelli residuali restano la Scia e la Dia. La
Scia è prevista in relazione agli interventi non
qualificabili né come attività edilizia libera, né come
attività soggetta a permesso di costruire o a Cia (come, ad
esempio, per gli interventi di restauro o di risanamento
conservativo e le ristrutturazioni cosiddette "minori") e
per le varianti a permessi di costruire che non incidano sui
parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modifichino la
destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterino la
sagoma e non violino le prescrizioni del permesso di
costruire.
La Dia è ancora prevista (come chiarito all'articolo 5,
comma 2, lettera c) del Dl 70/2011) nelle fattispecie in cui
essa si configuri quale alternativa al permesso di costruire
–la cosiddetta Super-Dia– cioè relativamente alle
ristrutturazioni edilizie maggiori, agli interventi di nuova
costruzione o di ristrutturazione urbanistica disciplinati
da piani attuativi con precise disposizioni
plano-volumetriche e per le nuove costruzioni in esecuzione
di strumenti urbanistici generali recanti precise
disposizioni plano-volumetriche. Rimangono altresì soggetti
a Dia, gli interventi per i quali tale strumento sia stato
previsto dalle Regioni in base all'articolo 22, comma 4 del
Testo unico dell'edilizia.
Un'altra novità (si veda l'articolo a fianco in basso) è
l'estensione alla Dia del principio di "autocertificazione"
già previsto con l'introduzione della Scia. Il Governo, in
particolare, rilevando che le leggi regionali prevedono per
analoghi interventi Dia o Scia in termini spesso confusi e
alternativi, ha espressamente inteso rimettere ordine
quantomeno procedimentale, dettando regole di
semplificazione analoghe.
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LE RICADUTE
1 -
REGIONI E COMUNI -
La Consulta boccia le modifiche locali
Il quadro normativo statale può dirsi definito, ma quale
spazio resta alle Regioni e ai Comuni per differenziare la
disciplina delle costruzioni rispetto alle nuove
semplificazioni? Davvero poco a detta della Corte
Costituzionale che, con la decisione n. 164 dello scorso 4
luglio, ha stabilito che la Pa presta un "servizio" ai
cittadini mentre evade le pratiche edilizie (attraverso
l'istruttoria, il rilascio o il diniego dei titoli
edificatori, l'esercizio o il mancato esercizio della
potestà inibitoria rispetto alle Dia e alle Scia degli
interessati).
Secondo la Corte, il legislatore statale può legittimamente
ritenere opportuno che il servizio, ora di esclusiva
competenza dello sportello unico sia assicurato in termini
omogenei su tutto il territorio nazionale, determinando i
livelli essenziali delle prestazioni in relazione ai diritti
civili e sociali (articolo 117, comma 2, lettera m) della
Costituzione).
Se dunque il legislatore nazionale ritiene –come ha fatto–
che le nuove semplificazioni edilizie siano necessarie per
assicurare a tutti il godimento di prestazioni garantite,
ecco che per la Consulta la legislazione regionale non può
introdurre limitazioni o condizioni che possano appesantire
l'esercizio dello ius aedificandi (si vedano le sentenze
322/2009 e 282/2002). Alle Regioni non resta dunque che
prendere atto delle nuove disposizioni in materia di
formazione dei titoli edilizi.
Discorso solo leggermente diverso va fatto rispetto alla
documentazione da allegare a Dia, Scia, comunicazioni e
domande in genere. Le amministrazioni sono ora tenute ad
acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati
che siano in possesso della Pa. Mentre resta fermo che le
Regioni e, a maggior ragione, i Comuni non possono stabilire
regole differenti rispetto alle modalità di reperimento e
messa a disposizione degli allegati progettuali, i
regolamenti comunali restano pienamente titolati a stabilire
quali atti e rappresentazioni (tavole progettuali, tabelle
quantificative, rendering architettonici, relazioni
illustrative) debbano essere prodotti o acquisiti. Certo, le
richieste non possono mai essere ingiustificatamente onerose
o illogiche, nel qual caso l'interessato può rivolgersi al
Tar per impugnare le indebite richieste, le norme
regolamentari che le prevedessero e l'eventuale diniego del
titolo edilizio o l'ordine di fermare i lavori.
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2 -
RAPPORTI CON LA PA -
Più oneri ai privati con la nuova Dia
La Dia come la Scia, almeno dal punto di vista delle
autocertificazioni. Il nuovo comma 1-bis dell'articolo 23
del Testo unico prevede che –anche per la Dia– quando è
prevista l'acquisizione di «atti o pareri» di organi o enti
o l'esecuzione di «verifiche preventive», tali atti, pareri
e verifiche siano sostituiti da autocertificazioni,
attestazioni e asseverazioni o certificazioni di tecnici
abilitati. Resta fermo il potere della Pa di verificare la
correttezza delle valutazioni dei tecnici. La misura –che
non si applica a vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali e agli atti delle amministrazioni preposte alla
tutela di altri interessi preminenti– se rafforza la
posizione del privato nella dialettica con la Pa in qualche
misura ne appesantisce la posizione, in quanto l'interessato
deve ora farsi carico dell'assunzione di ulteriori
responsabilità e spese tecnico-professionali.
Per contro, la nuova funzione di controllo rispetto alle
attestazioni del privato può essere più rischiosa per la Pa
in termini di danni da risarcire qualora, nonostante le
attestazioni di conformità predisposte dal privato, sia
disposto un ordine di non eseguire i lavori, poi ritenuto
illegittimo dal Tar.
La giustizia amministrativa ha già evidenziato che, a
seguito dell'annullamento di un provvedimento inibitorio, la
Pa ha il potere di verificare di nuovo la sussistenza dei
requisiti per l'esercizio dell'attività costruttiva, ma è
responsabile dei danni causati dalla sospensione illegittima
dei lavori (Tar Milano Lombardia, sez. II, 5901/2011 e
1092/2010).
Per ottenere la condanna della Pa, il danneggiato può
limitarsi a invocare l'illegittimità dell'atto quale indice
presuntivo di colpa. Spetterà, per contro, alla Pa
dimostrare che si è trattato di un «errore scusabile» o che
comunque non fosse esigibile una alternativa condotta lecita
(Consiglio di Stato, sez. IV, 483/2012). A fronte di un
provvedimento inibitorio illegittimo, mediante il quale
siano state confutate considerazioni tecniche, poi giudicate
corrette e conformi alla legge, il Comune difficilmente
potrà sostenere di essere ricaduto in un errore scusabile e
che una diversa valutazione non fosse possibile (articolo Il Sole 24 Ore del
17.09.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La vigilanza/
Al Comune 30 giorni per bloccare i lavori.
Ma lo stop è sempre possibile per gravi motivi.
L'AUTOTUTELA/
Scaduto il termine per le verifiche l'ente può intervenire
per garantire il bene primario della tutela del territorio.
Anche di fronte a interventi realizzati in edilizia libera o
con una semplice comunicazione o segnalazione di inizio
attività, senza quindi un esplicito controllo e assenso del
Comune, all'ente locale restano dei poteri di intervento di
fronte a opere illegittime. Ma come può il Comune
intervenire quando l'intervento edilizio è già partito?
Una risposta si può certamente ricavare dalla sentenza
188/2012, con cui la Corte costituzionale, dando una
interpretazione autentica del l'articolo 19 della legge
241/1990, ha definito l'ambito dei poteri di intervento
delle amministrazioni.
La Regione Emilia Romagna aveva paventato l'illegittimità
costituzionale della norma se interpretata nel senso che,
decorso il termine di 30 giorni concesso dal comma 3 per
inibire la prosecuzione dell'attività e non ricorrendo
nessuna delle ipotesi tassative indicate dal comma 4,
all'amministrazione fosse preclusa la repressione di abusi
edilizi esercitando il potere di autotutela.
Secondo la Consulta, l'articolo 19 può e deve essere letto
nel senso che il decorso del termine di legge non esclude
affatto il ricorso all'autotutela previsto dal comma 3, il
quale si aggiunge alla ulteriore potestà di intervento
configurata dal comma 4, esercitabile «in caso di pericolo
di danno per gli interessi ivi indicati».
L'esame della disposizione, infatti, deve essere effettuato
inserendola «nel più ampio contesto costituito dalla
configurazione normativa dei poteri amministrativi di
repressione dell'abuso edilizio con cui il legislatore ha
inteso accompagnare e completare la riforma dei titoli
abilitativi all'edificazione, culminata con l'introduzione
della segnalazione certificata di inizio attività».
La sentenza evidenzia come proprio il rilevante interesse
costituzionale di garantire un armonico sviluppo del
territorio e preservarne l'integrità, abbia indotto il
legislatore ad introdurre «un rimedio che, per i casi di più
grave sacrificio del bene pubblico, possa consentire di
superare l'affidamento ingenerato dalla Scia».
Negli stessi termini si è espressa di recente anche la
giurisprudenza di merito. Il Tar Emilia Romagna (sezione di Bologna sentenza
272/2912), ha evidenziato come indipendentemente dalla
natura giuridica della Dia (o della Scia), il mancato
rispetto del termine di legge di 30 giorni «comporta la
definitiva preclusione dell'esercizio del potere vincolato
di controllo inibitorio potendo venire in rilievo soltanto
il discrezionale potere di autotutela».
Questo sarebbe «l'unico concreto vantaggio per il privato,
in termini di tempestività del l'azione amministrativa e
conseguentemente di certezza e di affidamento, che ha
indotto il legislatore a sottoporre alcuni interventi
edilizi alla più snella disciplina della Dia in luogo del
procedimento necessario, per altri interventi edilizi più
rilevanti, di un titolo abilitativo espresso».
Alla luce di tali pronunce è quindi possibile individuare
distinte possibilità di intervento per la Dia e per la Scia
in materia edilizia:
- il potere inibitorio di carattere generale, esercitabile
nel termine di 30 giorni (articolo 19, commi 3 e 6-bis,
legge 241/1990, e articolo 23, comma 6, del Testo unico), in
caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti
per l'avvio dell'attività, salva la possibilità per il
privato di conformarsi alle previsioni di legge;
- la specifica potestà di intervento contemplata
dall'articolo 19, comma 4, esercitabile anche dopo il
decorso del termine di 30 giorni, ma unicamente nel caso di
pericolo di danno per:
- il patrimonio artistico e culturale;
- l'ambiente;
- la salute ;
- la sicurezza pubblica;
- la difesa nazionale;
sempre con possibilità di conformazione dell'attività dei
privati alla normativa vigente;
- il generale potere di autotutela, anche questo esercitabile
dopo lo scadere dei 30 giorni e nel rispetto dei presupposti
indicati agli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge
241/1990, quindi, nel caso di annullamento di ufficio,
comunque entro un termine ragionevole.
A tali poteri, inoltre, andrebbero aggiunte le possibilità
di intervento previste dall'articolo 27 del Testo unico,
visto l'esplicito richiamo dell'articolo 19, comma 6-bis
alle disposizioni relative alla vigilanza sull'attività
urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni di
cui al Dpr 380/2001 e alle leggi regionali in materia.
La vigilanza e il potere di autotutela sono senz'altro
esercitabili anche nelle ipotesi di attività di edilizia
libera, laddove questa non risulti rispettosa dei parametri
indicati dall'articolo 6 del Testo unico.
---------------
LE SANZIONI
1 - I TERZI -
Il vicino può chiedere alla Pa di fermare la Scia o la Dia
Contro la presentazione di una Dia o una Scia, ritenute dal
terzo contrarie alla legge, il regime della tutela
giurisdizionale è oggi contenuto nell'articolo 19, legge
241/1990. La norma, al comma 6-ter, esclude innanzitutto che
la Dia e la Scia siano provvedimenti amministrativi taciti
direttamente impugnabili, aderendo in tal modo alle
conclusioni cui era giunta l'adunanza plenaria del Consiglio
di Stato con la sentenza n. 15/2011, salvo poi discostarsene
per ciò che attiene alle forme di tutela giurisdizionale.
Il secondo periodo dello stesso comma stabilisce infatti che
i terzi possano solo sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, sia
loro consentita «esclusivamente», la proposizione
dell'azione prevista dall'articolo 31 del Dlgs 104/2010,
cioè l'azione contro il silenzio della Pa.
Secondo la giurisprudenza (da ultimo Tar Lombardia-Milano
1075/2012), la "sollecitazione" dei poteri di verifica della
Pa da parte del terzo non può essere una generica denuncia
di eventuali abusi edilizi e, anche se non necessita di
formule specifiche, deve comunque possedere alcuni requisiti
minimi, atti a garantire la serietà dell'istanza e a
delineare un obbligo di provvedere. Tra questi la forma
scritta, l'indicazione, almeno sommaria, della lamentata
illegittimità delle opere edilizie e la richiesta di
esercizio del potere/dovere di verifica e di eventuale
repressione dell'abuso. Se questo tipo di istanza rimane
inascoltata potrà configurarsi il silenzio-inadempimento
impugnabile.
A fronte della più restrittiva ipotesi normativa, il
Consiglio di Stato (Sez. IV, 4255/2012 e 6614/2011) ammette
più ampie forme di tutela del terzo, sempre traendo spunto
dalla pronuncia 15/2011, secondo cui Scia e Dia sono
dichiarazioni imputabili a manifestazione di volontà privata
dalla quale scaturisce un procedimento doveroso di verifica
che, in assenza di requisiti per l'avvio o la continuazione
dell'attività, si conclude con un diniego espresso o tacito
di adozione del provvedimento inibitorio.
Il terzo, a tutela del proprio interesse pretensivo al
corretto esercizio della potestà di verifica e controllo,
potrà proporre l'azione di annullamento dell'atto (espresso
o tacito) di diniego di adozione del provvedimento
inibitorio, entro l'usuale termine di impugnazione,
decorrente dalla piena conoscenza dell'atto lesivo (cioè la
percezione dell'esistenza di un provvedimento e degli
aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera
giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere
percepibile l'attualità dell'interesse ad agire). Inoltre,
congiuntamente o separatamente, potrà proporre l'azione di
adempimento dell'obbligo dell'amministrazione di adottare i
provvedimenti interdittivi o restrittivi, da esercitare
comunque nel termine di un anno previsto dall'articolo 31,
comma 3, Dlgs 104/2010, per l'azione avverso il silenzio.
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2 -
I PROFESSIONISTI -
Per i tecnici aumentano responsabilità e sanzioni
Procedure snelle aggravano la responsabilità dei
professionisti. Con lo sportello unico dell'edilizia ai
tecnici è chiesta una collaborazione di tipo sostitutivo nei
confronti della Pa, ma è una collaborazione rischiosa. In
materia edilizia, chi costruisce deve asseverare (cioè
dichiarare, assumendosene la responsabilità) che le opere da
realizzare siano conformi agli strumenti urbanistici, ai
regolamenti edilizi e alle leggi.
In caso di errore, il professionista risponde al committente
(se emergono danni o ritardi), verso l'amministrazione (per
i reati di falso, in base agli articoli 359 e 481 del Codice
penale), nonché verso l'ordine professionale (per le
sanzioni disciplinari).
Tutto ciò secondo un principio di gradualità che oscilla
dalla colpa lieve a quella grave, secondo una scansione che
valuta le difficoltà di accesso e comprensione dei dati
(norme di piano, circolari, prassi), la prestazione
richiesta (di routine oppure originale), i tempi e modi di
esecuzione dell'incarico. I casi più gravi sono quelli in
cui il tecnico espone una dolosa rappresentazione della
realtà (ad esempio, non rappresenta una distanza che andava
rispettata). È invece esclusa la responsabilità del
professionista che, non avendo una conoscenza diretta, è
indotto in errore dal comportamento del privato (ad esempio,
circa l'epoca di costruzione di un manufatto): in tal caso è
il privato a rispondere della stessa pena cui andrebbe
incontro il professionista nell'attività di attestazione.
L'errore professionale (commesso cioè senza dolo) genera
responsabilità se non è scusabile: il tecnico risponde, come
tutti i professionisti, anche per colpa lieve cioè per
errori dovuti a leggerezza o generica trascuratezza. Solo
nel caso in cui emergano particolari difficoltà
nell'espletamento dell'incarico, il professionista vede
alleviata la propria responsabilità, rispondendo solo per
colpa grave, cioè per grave ed inescusabile violazione di
principi o prassi consolidate.
È in ogni caso dovere del professionista rivolgersi a uno
specialista se emergono speciali difficoltà. Se il
professionista di media capacità non lo fa, risponde per
colpa lieve anche se la prestazione da lui svolta è di
particolare difficoltà.
La lettura dei piani urbanistici non è ritenuta di elevata
difficoltà e nei casi dubbi il tecnico potrà allegare
all'asseverazione un foglio illustrativo che chiarisca il
ragionamento adottato.
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3 -
IMPIEGATI PUBBLICI -
I funzionari in ritardo rischiano di pagare i danni
Se lo sportello unico non ritiene che le dichiarazioni
indirizzategli siano utili o sufficientemente chiare, può
chiedere integrazioni, e nei casi più rilevanti inviare una
comunicazione di preavviso di archiviazione della pratica:
questo è previsto dall'articolo 10-bis della legge 241/1990,
affinché il privato interessato possa effettuare rettifica o
cercare di convincere della validità della propria
dichiarazione.
Se lo sportello dubita del contenuto della dichiarazione non
può chiedere ulteriori attestazioni o perizie (articolo
9-bis, Dpr 380/2001) ma se ritiene che la dichiarazione non
sia corrispondente al vero, può segnalare la circostanza
all'autorità giudiziaria (articolo 19, comma 6, legge
241/1990, articoli 359 e 481 del Codice penale).
Se il funzionario incaricato della pratica presso lo
sportello ritarda indebitamente la procedura, vi sono rischi
di risarcimento danni e conseguenze di carriera a carico del
funzionario stesso.
Ma perché il privato ottenga il risarcimento danni occorre
dimostrare che il ritardo ha frenato un procedimento che
sicuramente sarebbe giunto a risultati favorevoli. Se, al
contrario, una procedura tempestiva sarebbe stata inutile
perché non avrebbe comunque condotto ad un provvedimento
favorevole per il privato, non è possibile chiedere il
risarcimento per i danni causati dal mero ritardo (Consiglio
di Stato sentenza 2535/2012). Se il ritardo non è
giustificato, si possono chiedere i danni sia commerciali
(il ritardo nella vendita di un bene, la perdita di
occasioni) sia i danni biologici (affanni, ansia,
depressione, problemi neurologici): ad esempio, il Consiglio
di Stato (sentenza 1271/2011) ha riconosciuto un indennizzo
di 11mila euro per danni biologici e 44mila per danni
economici conseguenti ad un ritardo di due anni nel rilascio
di un permesso di costruire.
In proprio, il pubblico dipendente che omette o ritarda atti
rischia danni alla carriera (articolo 2, comma 9, della
legge 241/1990, articolo 72, comma 3, Dpr 445/2000) cioè
valutazioni negative di performance, oltre a responsabilità
disciplinari e amministrativo contabili.
In particolare il decreto sviluppo (Dl 83/2012) impone al
Comune, in caso di inerzia del responsabile del procedimento
di individuare (e pubblicare sul sito) il soggetto a cui
attribuire poteri sostitutivi che dovrà sbloccare la pratica
nella metà del tempo originariamente previsto e segnalare il
dipendente inadempiente all'ufficio per i provvedimenti
disciplinari.
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DOMANDE E RISPOSTE
1 -
Documenti dal privato
Il professionista può raccogliere i pareri di varie
amministrazioni prima di rivolgersi allo sportello unico
comunale, oppure deve attender che la raccolta dei vari
pareri avvenga attraverso il Comune?
Se il privato ha interesse ad ottenere una Dia invece di una
Scia, o un permesso di costruire invece di una Dia, può
scegliere la strada più articolata (ad esempio, per meglio
presentarsi a terzi acquirenti o a banche finanziatrici).
Chiedendo una Dia, si rinuncia ai vantaggi di rapidità della
Scia ma si riesce ad evitare l'obbligo di utilizzare lo
sportello unico comunale e quindi si possono raccogliere
dalla Soprintendenza o dalla Regione i pareri ambientali o,
ad esempio, sulla normativa antisismica (articolo 23, comma
4, Dpr 380/2001).
2 -
Il «no» come ultima ratio
Lo sportello unico del Comune può rifiutare alcuni documenti
forniti dal cittadino o dal professionista?
Un rifiuto immotivato, un respingimento dell'utente per
incompletezza della domanda, non è previsto, né, tutto
sommato, necessario. Domande incomplete o incomprensibili
possono essere archiviate dopo aver informato l'utente con
un motivato preavviso di archiviazione a norma dell'articolo
10-bis della legge 241/1990, dando cioè un termine per
regolarizzare.
L'accentramento di varie attività nello sportello unico
consentirà ai professionisti di seguire la pratica
all'interno dell'ufficio con maggiore facilità. Anzi è
auspicabile che lo sportello adotti protocolli di buona
prassi, unificando la trattazione di domande analoghe
(articolo Il Sole 24 Ore del
17.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 17.09.2012 |
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URBANISTICA: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/ Il governo vara il ddl contro il consumo di
suolo agricolo. Terreni agevolati, 5 anni di vincolo.
Dimezzato il tempo di blocco per i cambi di destinazione
d'uso.
Scende da 10 a 5 anni l'obbligo per i terreni agricoli che
hanno beneficiato di aiuti di stato o aiuti comunitari di
mantenere la stessa destinazione d'uso. Sarà, però,
possibile realizzare sul terreno interventi e costruzioni
strumentali alla attività agricola. Niente più incentivi per
i comuni e le province che recuperano i nuclei abitati
rurali, che mantengono però la priorità nella concessione
dei finanziamenti statali e regionali previsti in materia
edilizia. Priorità che viene estesa anche ai privati.
Sono
essenzialmente queste le novità presenti nel
testo del
disegno di legge sulla valorizzazione delle aree agricole e
di contenimento del consumo del suolo, proposto dal ministro
delle politiche agricole Mario Catania e approvato ieri dal
consiglio dei ministri. Relativamente al suo iter
parlamentare proprio Catania ha detto: «Non escludo che il
ddl possa essere approvato entro questa legislatura.
Potrebbe avvenire se il testo venisse esaminato in sede
deliberante».
Rispetto alla versione iniziale illustrata a
luglio (si veda ItaliaOggi 25/07/2012), il testo presenta
alcune limature e risulta più flessibile, in seguito ad una
serie di consultazioni avvenute in questi mesi. La novità
più rilevante riguarda il limite temporale per il divieto di
mutamento di destinazione dei terreni. Il ministro ha
spiegato che, fermo restando l'obiettivo di bloccare il
progredire dell'urbanizzazione in luoghi agricoli, la
riduzione a 5 anni dall'ultima erogazione di aiuto statale o
europeo è stata introdotta per non irrigidire troppo il
vincolo. Vengono però fatte salve eventuali disposizioni
esistenti più restrittive e, ad ogni modo, il vincolo dovrà
essere espressamente richiamato negli atti di compravendita
dei terreni, a pena di nullità dell'atto.
È stata inoltre
prevista la possibilità di realizzare, nel rispetto degli
strumenti urbanistici vigenti, interventi strumentali alla
coltivazione del fondo, all'allevamento del bestiame, alla
silvicoltura, nonché quelli funzionali alla conduzione
dell'impresa agricola e alle attività di trasformazione e
commercializzazione dei prodotti agricoli.
Per quanto
riguarda le misure di incentivazione, secondo quanto risulta
a ItaliaOggi, per evitare che la Ragioneria di Stato
muovesse eccezioni sulla copertura economico-finanziaria, è
stata eliminata la previsione degli incentivi per i comuni e
le province che procedono al recupero dei nuclei abitati
rurali. Tuttavia, resta per le amministrazioni locali che
effettuano opere di manutenzione, ristrutturazione,
restauro, risanamento conservativo di edifici esistenti e
conservazione ambientale del territorio, la priorità nella
concessione di finanziamenti statali e regionali previsti in
materia edilizia. Beneficio che viene esteso anche ai
privati singoli o associati, che intendano realizzare il
recupero di edifici nei nuclei abitati rurali.
Invariato il cuore del provvedimento, sul cui testo sarà
acquisito il parere della Conferenza unificata. Viene creato
un meccanismo di identificazione, a livello nazionale,
dell'estensione massima di terreni agricoli edificabili che
tiene conto dell'estensione e della localizzazione dei
terreni agricoli rispetto alle aree urbane, dell'estensione
del suolo che risulta già edificato, dell'esistenza di
edifici inutilizzati, dell'esigenza di realizzare
infrastrutture e opere pubbliche. L'estensione massima viene
determinata con decreto del ministro delle politiche
agricole d'intesa con quello dell'ambiente e delle
infrastrutture e la quota viene ripartita tra le Regioni
che, a loro volta, la ripartiscono tra i comuni.
Il provvedimento interviene infine sugli oneri di
urbanizzazione dei comuni abrogando la norma che consente
che i contributi di costruzione siano distolti dal
finanziamento delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria e che consente agli enti locali di utilizzare una
percentuale dei proventi delle concessioni edilizie e delle
sanzioni per il finanziamento delle spese correnti
(articolo ItaliaOggi del 15.09.2012). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/ Approvato in via definitiva il correttivo al dlgs 104/2010. Codice amministrativo, atti short.
Condanna alle spese per i ricorsi lunghi. Competenze rigide.
Condanna alle spese se l'atto è troppo lungo e incompetenza
per territorio sollevata d'ufficio dal Tar.
Queste le novità
più importanti del decreto correttivo al decreto legislativo
104/2010 (cpa, codice del processo amministrativo) approvato
definitivamente dal Consiglio dei ministri di ieri 14.09.2012. Il provvedimento si propone di ridurre i
tempi dei processi e di migliorare la funzionalità di alcuni
istituti processuali.
Competenza del giudice amministrativo.
Il difetto di
competenza territoriale può sempre essere rilevato d'ufficio
dal giudice amministrativo. La misura è finalizzata a
ridurre la durata del giudizio. Inoltre si argina un
malcostume della prassi giudiziaria, per cui le parti si
rivolgevano al Tar più propenso a concedere provvedimenti
cautelari favorevoli, violando le regole sulla competenza
territoriale. Il secondo correttivo (con modifica
all'articolo 13) prescrive che l'inderogabilità della
competenza territoriale del Tar (regola generale) vale anche
in ordine alle misure cautelari.
Anzi il giudice deve
decidere sulla competenza prima di provvedere sulla domanda
cautelare e, se non riconosce la propria competenza, non
deve nemmeno pronunciarsi sulla sospensiva. La domanda
cautelare può, peraltro, essere riproposta al giudice
dichiarato competente. Le parti hanno comunque la
possibilità di eccepire il difetto di competenza con una
richiesta espressa rivolta al giudice entro un tempo
determinato. In mancanza di domanda cautelare, infatti, il
difetto di competenza, può essere eccepito entro il termine
previsto per la costituzione in giudizio; a quel punto il
presidente fissa la camera di consiglio per la pronuncia
immediata sulla questione di competenza.
Atti difensivi sintetici e chiari.
Il codice del processo
amministrativo detta una disposizione rigorosa quanto a
rispetto del principio di sinteticità degli atti.
Richiamando il codice di procedura civile, l'articolo 26 del
codice del processo amministrativo dispone che il giudice
deve provvedere alla condanna alle spese del giudizio. La
regola è che chi perde paga e le spese, anche per i giudici
amministrativi, sono liquidati in base ai parametri del
decreto del ministero della giustizia n. 140/2012. Il
secondo correttivo prevede che la decisione sulle spese deve
essere presa tenendo conto dell'obbligo che le parti hanno
di redigere atti sintetici e chiari (articolo 3, comma 2 del cpa).
Questo significa che gli atti difensivi troppo lunghi o
troppo oscuri aumentano il rischio di dovere pagare un conto
salato di spese di soccombenza. Questo parametro non è
scritto nel decreto 140/2012, ma è direttamente applicabile.
Dunque le difese troppo prolisse, con riferimento alle spese
di lite sono un azzardo.
Ricorso.
Le singoli parti del ricorso devono essere indicate
distintamente. L'atto deve essere scritto separando in
maniera netta sette parti: 1) indicazione parti; 2) oggetto
della domanda; 3) fatti di causa; 4) motivi di ricorso; 5)
mezzi di prova; 6) provvedimenti chiesti al giudice; 7)
firme. Il decreto, poi, prevede una specifica causa di
inammissibilità in caso di violazione della regola della
indicazione di motivi specifici; il giudizio si chiuderà con
una pronuncia sul rito, senza passare alla valutazione di
merito.
Condanna ad adottare un provvedimento.
Il decreto correttivo
interviene, anche, sulle azioni proponibili al giudice
amministrativo (modifiche all'articolo 34 cpa). In
particolare si specifica che l'azione di condanna al
rilascio di un provvedimento richiesto deve essere proposta
contestualmente all'azione di annullamento del provvedimento
di diniego o all'azione avverso il silenzio. Quindi
nell'atto di ricorso contro l'inerzia della pubblica
amministrazione o contro un provvedimento che respinge una
istanza si deve inserire la domanda di condanna specifica
dell'amministrazione resistente.
Il secondo correttivo, sul
punto, richiama l'articolo 31 del cpa: questo significa che
il giudice potrà pronunciare sulla fondatezza della pretesa
dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività
vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e non sono
necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti
dall'amministrazione. In caso di attività discrezionale il
giudice condannerà la p.a. a emanare un provvedimento.
Processo amministrativo telematico.
Tutti gli atti e i
provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale
degli uffici giudiziari e delle parti potranno essere
sottoscritti con firma digitale. Fa un passo avanti, quindi,
il processo amministrativo telematico.
Processo elettorale.
In materia elettorale (articolo 129 cpa)
il correttivo precisa che i provvedimenti immediatamente
lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al
procedimento elettorale preparatorio per le elezioni sono
impugnabili innanzi al tribunale amministrativo regionale
competente nel termine di tre giorni; mentre gli altri atti
sono impugnati alla conclusione del procedimento unitamente
all'atto di proclamazione degli eletti
(articolo ItaliaOggi del 15.09.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Ambiente,
un'autorizzazione al posto di sette.
Al posto di sette diverse autorizzazioni ambientali le Pmi
dovranno presentarne una sola. Utilizzando tutte lo stesso
interlocutore: lo sportello unico per le attività produttive
(il cosiddetto Suap).
A prevederlo è il
regolamento di
attuazione dell'articolo 23 del decreto «Semplifica Italia»,
che il Governo ha approvato ieri in via preliminare e che
comincerà ora la trafila di rito (Conferenza unificata,
Consiglio di Stato, commissioni parlamentari), prima di
tornare a Palazzo Chigi per l'ok definitivo.
Per la
soddisfazione del premier Mario Monti: questa misura, ha
detto, «renderà più semplice la vita delle imprese,
particolarmente per quelle piccole e medie» e «sarà di
grande aiuto per la crescita». Mentre il ministro della
Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, ha
insistito sugli 1,3 miliardi di risparmi che il
provvedimento consentirà al nostro sistema produttivo.
Che l'argomento gli stesse a cuore il presidente del
Consiglio lo aveva già dimostrato nell'intervista in
esclusiva al Sole 24 Ore del 29 agosto scorso quando aveva
indicato nella «certificazione unica ambientale» il primo
tassello attuativo da emanare dopo la pausa estiva. E così è
stato. Ma l'attuazione delle norme varate sin qui sta a
cuore anche a questo giornale che, con l'iniziativa «rating
24», ha deciso di monitorare passo passo il follow up delle
singole riforme.
Una circostanza a cui sembra essersi
riferito lo stesso Monti nella conferenza stampa post Cdm di
ieri quando ha dichiarato che «in quest'ultimo periodo si è
molto discusso della necessità di attuare fino in fondo
nella concretezza i provvedimenti di riforma che questo
Governo ha assunto». Nel ricordare che il visto unico
ambientale è stato introdotto dal «Semplifica-Italia», il
premier ha poi assicurato: «Sono passati tre o quattro mesi,
cerchiamo di abbreviare il tempo tra il varo delle riforme e
il loro impianto nel terreno».
Il Dpr messo a punto dall'Unità per la Semplificazione
amministrativa di Palazzo Vidoni, in coordinamento con
l'Ambiente e lo Sviluppo, ricalca quello anticipato sul Sole
24 ore di mercoledì. I 12 articoli che lo compongono
consentono alle Pmi di richiedere al Suap –al posto dei
sette «titoli abilitativi» attualmente rilasciati da Pa
diverse– la nuova autorizzazione unica ambientale (Aua).
Che affiancherà l'Aia per le grandi imprese e la Via.
Salvo
modifiche dell'ultim'ora, i sette documenti dovrebbero
riguardare gli scarichi, l'utilizzo di acque reflue, le
emissioni in atmosfera (anche di ...
(articolo Il Sole 24 Ore del 15.09.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Diagnosi energetica
sugli immobili.
Nelle compravendite qualità testata da tecnici. Stop al
fai-da-te. In arrivo un decreto
interministeriale sulle autodichiarazioni e un sistema
omogeneo di certificazione.
Stop all'autodichiarazione dei proprietari di immobili di
cattiva qualità energetica al momento della compravendita.
Al suo posto arriverà una procedura semplificata, che
prevede una diagnosi energetica svolta da un tecnico. La
certificazione energetica sarà anche più omogenea ed estesa
a tutti gli edifici; ad eccezione di quelli per cui risulta
tecnicamente impossibile effettuarla.
Inoltre, verrà dato maggior ruolo ai tecnici di Cti, Enea e
Cnr per la qualificazione dei software commerciali volti al
calcolo della prestazione energetica.
È quanto prevede uno
schema di decreto interministeriale di modifica del dm 26.06.2009 sulle «Linee guida nazionali per la
certificazione energetica degli edifici», proposto dal
ministero dello sviluppo economico di concerto con quello
delle infrastrutture e dell'ambiente.
Composto da quattro articoli, il decreto, che non comporterà
maggiori oneri per l'erario, intende estendere in modo
omogeneo a tutti gli edifici del territorio nazionale la
certificazione energetica. Che diventa dunque obbligatoria
al momento dei trasferimenti di proprietà (non in caso di
locazione) per tutti gli immobili ad eccezione di box,
cantine, autorimesse, parcheggi multipiano, depositi,
strutture stagionali a protezione degli impianti sportivi.
Restano esclusi dall'obbligo di certificazione energetica
anche i ruderi, ma solo previa dichiarazione di tale stato
nell'atto notarile di trasferimento, e gli immobili venduti
nella stati di scheletro strutturale, privi cioè di pareti
verticali esterne, o al rustico. Vengono poi definite
specifiche indicazioni per il calcolo della prestazione
energetica di edifici sprovvisti di impianto di
climatizzazione invernale e di produzione di acqua calda.
La
possibilità per il proprietario di utilizzare, al momento
del trasferimento immobiliare, un'autodichiarazione in caso
di immobili di cattiva qualità energetica verrà sostituita
da una diagnosi energetica svolta da un tecnico. Inoltre, lo
schema di decreto specifica meglio i ruoli degli enti
tecnici Cti, Enea e Cnr per la qualificazione dei software
commerciali per il calcolo della prestazione energetica nel
caso utilizzino i metodi più rigorosi o quelli semplificati.
Gli strumenti di calcolo, secondo il dettato normativo,
dovranno garantire che i valori degli indici di prestazione
energetica abbiano uno scostamento massimo di più o meno il
5% rispetto ai corrispondenti parametri determinati con
l'applicazione dei sistemi di riferimento nazionali. Va
detto che il decreto risponde alla necessità di ovviare alla
procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea nei
confronti dell'Italia per incompleta e non conforme
attuazione della direttiva 2002/91/Ce sul rendimento
energetico in edilizia.
Tre gli obblighi disattesi secondo il parere motivato del
29.09.2011 della Commissione europea: la deroga concessa
nella legislazione nazionale all'obbligo di rendere
disponibile l'attestato di certificazione energetica al
momento della stipula del contratto nel caso di edifici non
ancora in possesso del certificato; la possibilità, inserita
nel dm 26.06.2009, dei proprietari di determinati immobili
di emettere un'autodichiarazione sulla classe energetica più
bassa; la mancata notifica alla Commissione delle misure
attuative riguardanti le ispezioni sugli impianti di
climatizzazione estiva
(articolo ItaliaOggi del 14.09.2012). |
ENTI LOCALI: Piccoli
enti e servizi. La gestione associata non è una panacea per
i comuni. Vanno raggiunti elevati livelli di efficienza,
efficacia ed economicità. Sennò si passa all'unione.
I piccoli comuni possono utilizzare le convenzioni per la
gestione associata, uno strumento che offre occasioni di
flessibilità molto più ampi delle unioni, ma devono
preoccuparsi che esse raggiungano elevati livelli di
efficienza, efficacia ed economicità della gestione dei
servizi. Il mancato raggiungimento di tali risultati viene
sanzionato con il superamento della convenzione in favore
della unione.
In altri termini, il legislatore è preoccupato
di impedire che i comuni utilizzino questo strumento per
aggirare i vincoli stringenti dettati dalla normativa alla
attivazione delle gestioni associate, ma devono operare una
scelta consapevole che assuma comunque come proprio elemento
caratterizzante il raggiungimento di risultati di
miglioramento della qualità dei servizi e/o di riduzione dei
costi.
Occorre sottolineare che questo rischio, alla luce
delle disposizioni dettate dal dl n. 95/2012, è ancora
maggiore poiché i vincoli alla stipula di convenzioni sono
molto minori rispetto a quelli dettati per le unioni, per
cui i comuni sono più «stimolati» a preferire le
convenzioni. A favore del ricorso alle convenzioni si deve
ricordare che i municipi con popolazione inferiore a 5.000
abitanti, soglia che scende a 3.000 nei territori delle
comunità montane, devono raggiungere la cifra minima di
10.000 abitanti per le unioni, mentre il legislatore non
pone alcuna soglia minima obbligatoria di popolazione da
raggiungere nel caso di convenzioni. Ed ancora, si deve
ricordare che nel caso del conferimento della gestione di
una funzione amministrativa alle convenzioni non vi sono
obblighi di trasferimento del personale, mentre nel caso in
cui il destinatario sia una unione, diventa obbligatorio il
trasferimento del personale.
Il che costituisce un forte
incentivo a dare corso alle convenzioni, visto che il
personale dipendente ha una forte ostilità al trasferimento
alle dipendenze di altri soggetti, sia per il variare delle
condizioni di lavoro sia per la condizione di aumento della
incertezza del rapporto che si determina. E inoltre, si deve
sottolineare che i comuni mantengono una capacità di
controllo e di influenza molto maggiore verso le convenzioni
rispetto alle unioni: basta considerare che non nasce una
nuova amministrazione e che nel contenuto della intesa
devono essere necessariamente previste le forme di
coinvolgimento dei sindaci.
Ed infine, i margini di
flessibilità nella gestione sono molto maggiori nelle
convenzioni, sia per la durata sia per la possibilità di
dare vita alla istituzione di uffici unitari o alla delega o
all'avvalimento, nonché per la possibilità di limitazione
alla individuazione del solo responsabile. Si deve inoltre
ricordare che l'esperienza degli ultimi anni ci dice che il
numero delle convenzioni è molto più elevato delle altre
forme di gestione associata, sia come valore assoluto che
come rilievo delle funzioni.
Nella scelta che i comuni andranno ad effettuare entro la
fine del 2012 per la gestione associata di almeno tre
funzioni fondamentali e, entro la fine del 2013, delle altre
sei funzioni fondamentali, occorre scegliere con oculatezza
tra le convenzioni e le unioni. Senza farsi prendere dalla
«pancia», che va nella direzione della convenzione perché
gli amministratori dei singoli comuni contano di continuare
comunque ad avere una capacità di influenza maggiore, perché
i dipendenti si sentono più tutelati in quanto il loro
datore di lavoro continua a essere il municipio e in quanto
il «campanile» si può dire soddisfatto dal permanere della
titolarità della gestione di funzioni e servizi. La
eventuale scelta della convenzione per la gestione associata
di una o più funzioni fondamentali deve essere ancorata alla
realizzazione di un preciso e cadenzato programma di
obiettivi da raggiungere.
Tale programma deve
caratterizzarsi sul terreno della qualità dei servizi nuovi,
innovativi e/o aggiuntivi che ci si propone di attivare,
indicando i tempi di attuazione e descrivendo in modo
preciso le loro caratteristiche. Ma, per molti versi
soprattutto, essa deve indicare gli obiettivi di
contenimento della spesa ovvero del numero dei dipendenti
addetti che si conta di raggiungere. E questi obiettivi
devono essere strutturati in termini operativi, cioè con la
indicazione delle modalità e la fissazione delle scadenze
(articolo ItaliaOggi del 14.09.2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Registrazioni senza segreti.
Accesso garantito alla sbobinatura della seduta.
C'è trasparenza in consiglio comunale ai
sensi della legge 241 del 1990.
Quesito: L'ente locale è tenuto a dare positivo riscontro
alla richiesta di accesso al c.d. «sbobinamento» della
registrazione sonora di una seduta di consiglio comunale?
Ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. d), della legge n.
241/1990, deve intendersi per «documento amministrativo» di
cui può essere chiesto l'accesso «ogni rappresentazione
grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di
qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni
o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da
una pubblica amministrazione e concernenti attività di
pubblico interesse, indipendentemente dalla natura
pubblicistica o privatistica della loro disciplina
sostanziale».
A tale proposito, la giurisprudenza amministrativa si è più
volte pronunciata nel senso di ritenere che semplici
appunti, come devono essere considerate le registrazioni
effettuate dal segretario comunale a proprio uso, non ancora
tradotti in atti, «_ non assurgono alla qualificazione di
documento amministrativo». (Tar Veneto n. 60 del 2002, Tar
Lombardia, Milano, n. 1914 del 2009).
In senso contrario si è espresso recentemente il Tar
Piemonte ritenendo che «_ la registrazione sonora delle
sedute consiliari è suscettibile di essere inclusa nella
nozione di «documento amministrativo» rilevante, ai sensi
dell'art. 22, comma 1, lettera d), della legge n.241/90, ai
fini dell'esercizio del diritto di accesso_». (Tar Piemonte
sentenza 27/05/2011, n. 563).
Con parere reso in data 22 ottobre 2002 in riferimento alla
medesima problematica, la Commissione per l'accesso ai
documenti amministrativi, istituita nell'ambito della
presidenza del Consiglio dei ministri, ha precisato che
occorre «_ distinguere il caso in cui il segretario comunale
raccolga per proprio uso personale dei meri appunti
informali dell'adunanza consiliare, anche eventualmente su
supporto magnetico per la redazione del successivo verbale,
dall'ipotesi in cui la registrazione dello svolgimento della
seduta consiliare costituisca adempimento di una mansione
d'ufficio.
Nel primo caso, gli appunti raccolti dal segretario sono da
considerarsi alla stregua di una bozza strettamente
personale, che potendo essere liberamente modificata non ha
alcun carattere di documento amministrativo. Nel secondo
caso, invece, la registrazione non è modificabile, ed il
segretario o il personale espressamente incaricato di essa
rispondono della sua genuinità; sicché la registrazione,
dovendosi ritenere fedele riproduzione del dibattito
consiliare, costituisce documento amministrativo, come tale
accessibile da parte degli interessati.»
Nel parere del 25.11.2008, la medesima Commissione ha
ritenuto ostensibile la registrazione della seduta di un
consiglio comunale confermandone la natura di «documento
amministrativo» al quale è garantito il diritto di accesso
degli interessati, «_ senza che sia necessario fare richiamo
alla normativa di speciale favore prevista per i consiglieri
comunali».
Pertanto, nel caso in cui il comune si avvalga, in via
istituzionale, di un apposito servizio di trascrizione da
nastro di interventi delle sedute consiliari, sussistono i
presupposti oggettivi circa la natura di «documento
amministrativo» delle registrazioni in discorso, richiesti
dall'art. 22, comma 1, lett. d) della legge n. 241/1990 ai
fini dell'esercizio del diritto di accesso.
Per quanto concerne il requisito soggettivo previsto dalla
normativa in commento, si rammenta che ai sensi dell'art.
22, comma 1, lett. b), della legge n. 241/1990 si definiscono
«interessati» tutti i soggetti privati, compresi quelli
portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un
interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento
al quale è chiesto l'accesso.
Tale nozione è stata interpretata in giurisprudenza in senso
più ampio rispetto all'interesse all'impugnativa
qualificabile in termini di diritto soggettivo o di
interesse legittimo. «La legittimazione all'accesso,
conseguentemente, viene riconosciuta a chiunque possa
dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell'accesso
abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o
indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla
lesione di una posizione giuridica, stante l'autonomia del
diritto d'accesso, inteso come interesse ad un bene della
vita distinto rispetto alla situazione legittimante alla
impugnativa dell'atto» (Cds, sez. VI, sent. n. 6440 del
27/10/2006, Tar Lazio, n. 3115 del 2008).
La sussistenza dell'interesse, quale requisito soggettivo ex
art. 22, comma 1, lett. b), citato, del soggetto richiedente
l'accesso dovrà essere valutata alla luce dei principi
giurisprudenziali sopra evidenziati ed in base alle
disposizioni regolamentari recanti la disciplina del diritto
di accesso adottate dall'ente locale
(articolo ItaliaOggi del 14.09.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Gli
impianti installati sugli edifici p.a. accedono agli
incentivi. Fotovoltaico, tariffe facili sui tetti dei pubblici
uffici.
Accesso diretto alle tariffe incentivanti del Quinto Conto
energia senza obbligo di iscrizione al Registro per gli
impianti fotovoltaici realizzati sugli edifici e sulle aree
della pubblica amministrazione (art. 1, 2 comma, dlgs
165/01). Non sono soggetti all'obbligo di iscrizione al
Registro e accedono direttamente alle tariffe incentivanti
(dm 05.05.2011) gli impianti realizzati sugli edifici
pubblici e sulle aree delle amministrazioni pubbliche, a
condizione che: l'edificio o l'area ove sono ubicati gli
impianti siano di proprietà delle p.a. già alla data di
entrata in esercizio dell'impianto e per tutta la durata del
periodo di incentivazione; gli impianti entrino in esercizio
entro il 31.12.2012.
Questa è una delle risposte fornite dal Gestore dei Servizi
energetici (Gse), in merito ai quesiti ricevuti per le
modalità procedurali da seguire per l'iscrizione al
Registro. Il Gse fornisce inoltre un secondo chiarimento
sulle cause di esclusione della graduatoria. La graduatoria
degli impianti rientranti nel limite di costo è formata
applicando i criteri di priorità previsti dal dm 05.07.2012, utilizzando i dati e le informazioni di cui alle
dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà (dpr
445/2000), della cui correttezza e veridicità il dichiarante
si assume piena ed esclusiva responsabilità.
Come previsto
dal dm 05.07.2012, il mancato inserimento dei documenti
previsti ai fini dell'iscrizione comporta l'esclusione dalla
graduatoria. Il Gse, al fine di sensibilizzare gli operatori
al caricamento corretto dei dati e dei documenti necessari,
ritiene utile segnalare di seguito le cause più frequenti di
possibile esclusione dalla graduatoria riscontrate nei
precedenti registri:
-
mancata allegazione del documento di identità del
sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà, in corso di validità;
-
assenza della dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà;
-
mancata sottoscrizione della dichiarazione sostitutiva di
atto di notorietà;
-
presenza di modifiche, integrazioni e/o alterazioni
apportate manualmente alla dichiarazione sostitutiva di atto
di notorietà;
-
incertezza sul contenuto o sulla provenienza della
dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà o del
documento di identità del sottoscrittore della
dichiarazione, per difetto di elementi essenziali o per
presenza di parti non leggibili.
Il Gse ricorda che l'applicazione informatica consente di
verificare i documenti inseriti e, se necessario, di
annullare la richiesta di iscrizione al Registro già inviata
e di ripresentarne una nuova purché tali operazioni
avvengano durante il periodo di apertura del Registro. Il
Gse ha inoltre redatto un documento nel quale vengono
forniti agli operatori alcuni chiarimenti da tenere in
considerazione per l'ammissione alle tariffe incentivanti,
relativi alla definizione di edificio energeticamente
certificabile e alle certificazioni/attestazioni richieste
per i moduli e gli inverter ai sensi del quinto Conto
energia
(articolo ItaliaOggi dell'11.09.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Trasferimenti bloccati anche
con una disabilità non grave. La
sentenza della cassazione potrebbe richiedere la revisione
del contratto sulla mobilità.
Trasferimenti bloccati per chi assiste un parente disabile
anche se la disabilità non è grave.
Una recente sentenza in
materia di assistenza ai soggetti dichiarati disabili dalle
commissioni mediche dell'Asl, pronunciata dai giudici della
sezione lavoro della Corte di cassazione e depositata in
cancelleria lo scorso 7 giugno, se dovesse essere confermata
da altre sentenze della medesima Suprema Corte, renderebbe
necessaria una importante modifica della disposizione
contenuta nell'articolo 33, comma 5, della legge quadro per
l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappata n. 104/1992 e successive modificazioni,
Il predetto comma 5, nella formulazione attualmente in
vigore dispone che il lavoratore che assiste un parente con
handicap in situazione di gravità (coniuge, parente o affine
entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora
i genitori o il coniuge della persona con handicap in
situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni
di età oppure siano anche essi affetti da patologie
invalidanti o siano deceduti o mancanti) ha diritto a
scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al
domicilio della persona da assistere e non può essere
trasferito senza il suo consenso in altra sede.
Ad avviso dei giudici il diritto del lavoratore a non essere
trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso
non può, invece, subire limitazioni neppure allorquando la
disabilità del familiare non si configuri come grave.
L'inamovibilità del lavoratore è giustificata dalla cura e
dall'assistenza del familiare disabile, sempre che non
risultino provate da parte del datore di lavoro –a fronte
della natura e del grado di infermità psico-fisica del
familiare– specifiche esigenze datoriali che, in
equilibrato bilanciamento tra interessi, risultino
effettive, urgenti e comunque suscettibili di essere
diversamente soddisfatte.
Sempre ad avviso dei giudici della
sezione lavoro della Suprema Corte, la limitazione contenuta
nel comma 5, producendo l'effetto di privare i disabili di
una assistenza indispensabile alla loro esistenza e
finalizzata alla tutela psico-fisica e all'integrazione
nella famiglia e nella collettività, contrasterebbe anche
con quanto dispone la Convenzione Onu del 13.12.2006
sui diritti delle persone con disabilità recepita dalla
legge 15/2009. Fin qui la tesi dei predetti giudici. Una
estensione del diritto alla inamovibilità alle condizioni e
con le finalità indicate nella sentenza appare, tuttavia,
improbabile a meno che non si definiscano preliminarmente e
con chiarezza le cause che possono determinare lo stato di
disabilità e soprattutto il tipo di assistenza di cui il
disabile avrebbe bisogno.
Una eventuale modifica legislativa del comma 5, nel senso
ipotizzato dai giudici della Corte di Cassazione,
costringerebbe l'amministrazione scolastica e, per quanto di
competenza, anche le organizzazioni sindacali del comparto
scuola, a rivedere le norme sulla mobilità e soprattutto
quelle che disciplinano la formazione delle graduatorie
d'istituto da compilare annualmente per l'individuazione del
personale eventualmente in soprannumero che dovrà essere
trasferito ad altra sede.
La modifica, in particolare, di
queste ultime norme avrebbe peraltro conseguenze devastanti
tra il personale di ruolo sia docente che Ata il cui
mantenimento della sede di titolarità verrebbe ad essere
condizionato dalla presenza in tutte le scuole di numeroso
personale, anche di prima nomina, che assiste un parente
disabile non in situazione di gravità
(articolo ItaliaOggi dell'11.09.2012). |
CONDOMINIO:
Fotovoltaico, il condomino è
spa.
Con impianti oltre 20 kw o vendita scatta la società di
fatto. I chiarimenti delle Entrate a
un quesito del Gse. Nessuna rilevanza fiscale agli
incentivi.
Sconta l'Iva e la ritenuta alla fonte del 4% la cessione di
energia da fotovoltaico effettuata dai condomini a favore
del Gse (Gestore dei servizi energetici). Ciò perché, ove
vengano superati i limiti di potenza previsti per
l'autoconsumo, si è in presenza di una vera e propria
società di fatto tra i soggetti (condomini) che di comune
accordo intraprendono l'attività; resta invece del tutto
esclusa qualsiasi rilevanza per il condominio, inteso come
soggetto autonomo che non può mai esercitare attività
d'impresa.
È la soluzione che l'Agenzia delle entrate ha adottato, con
risoluzione 03.08.2012 n. 84/E, in merito a un
quesito avanzato dallo stesso Gse.
Il punto di partenza, condiviso, è che le somme percepite a
titolo di tariffa incentivante in relazione all'energia
prodotta con impianti di potenza fino a 20 kw asserviti al
condomino, non assumono rilevanza fiscale, al pari di quella
percepita dalle persone fisiche e dagli enti non commerciali
che gestiscono impianti fotovoltaici della stessa potenza
per soddisfare principalmente le esigenze domestiche.
Ma cosa succede quando il condominio utilizza un impianto,
di potenza superiore a 20 kw o in relazione al quale opti
per la cessione integrale o parziale alla rete dell'energia
prodotta?
Il problema attiene all'individuazione del soggetto che, in
sostanza, esercita l'attività imprenditoriale.
Il Gse, nella propria soluzione interpretativa aveva
individuato nel condominio il soggetto cui attribuire
l'attività e i relativi obblighi tributari.
Per l'Agenzia delle entrate, però, il condominio resta
estraneo, in ogni caso, all'attività di produzione di
energia, in quanto, gli effetti economici (percezione dei
proventi) e fiscali (tassazione dei proventi) conseguenti
allo svolgimento di questa attività, si producono
direttamente sui condòmini. Il condominio, infatti,
disciplinato dagli articoli 1117 e seguenti del codice
civile, rappresenta una particolare forma di comunione che
riguarda le parti comuni dell'edificio che necessita di
essere amministrata o dall'assemblea dei condòmini, che
decide in base al principio di prevalenza della maggioranza,
nel bene degli interessi comuni, oppure, per gli edifici
condominiali con più di quattro condòmini,
dall'amministratore, avente compiti di carattere
amministrativo, esecutivo e rappresentativo che permettono
al condominio di agire in modo unitario nei rapporti con i
terzi (fornitori, utenze, amministrazione finanziaria,
eccetera). In sostanza il condominio è un ente di gestione
che opera per conto dei condòmini limitatamente
all'amministrazione e al buon uso della cosa comune senza
interferire nei diritti autonomi di ciascun condòmino.
Nell'ipotesi in cui negli spazi condominiali venga
realizzato un impianto fotovoltaico che configura lo
svolgimento di un'attività commerciale abituale, il
condominio non può mai configurarsi come soggetto che svolge
l'attività di produzione e vendita dell'energia.
Ebbene, secondo l'Agenzia l'accordo tra i condomini per la
realizzazione dell'impianto individua una società di fatto
tra gli stessi. Più precisamente, poiché la realizzazione
dell'impianto fotovoltaico per fini commerciali rientra tra
le «Innovazioni» che i condomini possono disporre ai sensi
dell'art. 1120 del codice civile «(_) dirette al
miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento
delle cose comuni» sono considerati soci della società di
fatto i condòmini che hanno deliberato con la maggioranza
richiesta dall'art. 1136 del codice civile, la realizzazione
dell'investimento. Restano esclusi, dalla società di fatto i
condòmini che non hanno approvato la decisione e che non
intendono trarre vantaggio dall'investimento. In questo caso
gli stessi, sulla base di quanto disposto dall'art. 1121,
primo comma, ultima parte, del codice civile «sono esonerati
da qualsiasi contributo di spesa».
Cosicché da un lato la società di fatto tra condòmini che
gestisce un impianto fotovoltaico è commerciale e deve
emettere fattura nei confronti del Gse, in relazione
all'energia che immette in rete e dall'altro il Gse che
eroga la tariffa incentivante deve operare nei confronti
della società di fatto la ritenuta del 4% di cui all'art. 28
del dpr n. 600 del 1973 sulla tariffa relativa alla parte di
energia immessa in rete (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.09.2012). |
ENTI LOCALI -
VARI:
Pass disabili, conto
alla rovescia.
Entro tre anni sostituiti contrassegni arancioni e
segnaletica. Pubblicato sulla
G.U. il decreto n. 151 del 30 luglio, che disciplina il
rilascio del permesso Ue.
Entro tre anni dovrà essere rilasciato il nuovo contrassegno
per disabili conforme al modello europeo, che consentirà la
sosta nei paesi dell'Unione europea che si sono conformati
alla raccomandazione del consiglio dell'Unione europea n.
98/376/Ce del 04.06.1998. E dovrà essere adattata la
corrispondente segnaletica verticale. Per i titolari
scatterà l'obbligo di esporre il permesso in modo visibile
nella parte anteriore del veicolo.
Lo prevede il decreto del
presidente della repubblica n. 151 del 30.07.2012
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 203 del 31.08.2012.
Il contrassegno comunitario è già stato adottato da
tempo da molti stati dell'Unione europea in adesione alla
raccomandazione n. 98/376/Ce del 04.06.1998 del
consiglio, modificata dalla raccomandazione n. 2008/205/Ce
del 03.03.2008. Sul modello di colore azzurro chiaro, con
il simbolo bianco della sedia a rotelle su fondo azzurro
scuro, saranno trascritti e apposti la data di scadenza, il
numero di serie e il nome e il timbro dell'autorità
nazionale che rilascia il contrassegno e nella parte
retrostante, non visibile, il nominativo e la fotografia del
soggetto autorizzato.
Il titolare può fruire delle
facilitazioni di sosta in tutti gli stati membri dell'unione
europea che hanno aderito alla raccomandazione, comunque con
l'obbligo di rispettare le specifiche disposizioni di ogni
singolo paese. L'Italia non aveva finora dato seguito alla
raccomandazione 98/376/Ce. Tuttavia, grazie alla riforma
stradale del 2010, si erano poste le basi per adottare il
contrassegno uniforme europeo per la sosta dei disabili.
Infatti, l'art. 58 della legge n. 120 del 29.07.2010
aveva modificato l'art. 74 del decreto legislativo n. 196
del 30.06.2003 (codice in materia di protezione dei dati
personali), sopprimendo il divieto di usare diciture o
simboli, dai quali si possa desumere la speciale natura
dell'autorizzazione per effetto della sola visione del
contrassegno.
Queste nuove disposizioni, in vigore dal 13.08.2010, avevano eliminato gli ostacoli normativi
all'adozione in Italia del contrassegno europeo per
invalidi. Restava da compiere però un ultimo passo, ovvero
l'emanazione di un decreto del presidente della repubblica,
che, modificando l'art. 381 del regolamento di esecuzione e
attuazione del codice della strada, recepisca la
raccomandazione 98/376/Ce. Ora, il decreto del presidente
della repubblica n. 151/2012, in vigore dal 15.09.2012, oltre a introdurre nell'ordinamento interno il
contrassegno invalidi comunitario, prevede altre importanti
novità per i veicoli al servizio di persone invalide,
apportando modifiche all'art. 381 del regolamento di
esecuzione e attuazione del codice della strada).
Il nuovo
«contrassegno di parcheggio per disabili» (denominazione
diversa da quella finora usata di «contrassegno invalidi»),
dovrà essere conforme al modello previsto dalla
raccomandazione del consiglio dell'Unione europea del 04.06.1998, e sarà rilasciato a chi abbia capacita di
deambulazione sensibilmente ridotta o (e questa è la novità)
impedita. La sostituzione del vecchio contrassegno con
quello nuovo dovrà avvenire entro tre anni dalla data di
entrata in vigore del regolamento. I comuni potranno però
fissare tempi inferiori. Durante il periodo transitorio di
tre anni i permessi già rilasciati resteranno validi, ma in
sede di rinnovo dovrà essere rilasciato il nuovo modello.
Nell'ambito dell'art. 381 viene inserito l'obbligo di
esporre il permesso in originale nella parte anteriore del
veicolo in modo che sia chiaramente visibile per i
controlli. L'esposizione nella parte anteriore del mezzo è
già imposta dall'art. 12 del decreto del presidente della
repubblica n. 503 del 24.07.1996; viene però specificato
che si deve esporre l'originale in modo visibile. Resta
isolato e ampiamente contraddetto il parere prot. n.
300/A42756/103/48 del 05.05.1999 con il quale il
ministero dell'interno aveva affermato che la mancata
esposizione del contrassegno per disabili, dovuta a
dimenticanza o caso fortuito, non era sanzionabile.
Con la
modifica del comma 4 dell'art. 381 viene chiarito che,
scaduto il periodo di validità del contrassegno a tempo
determinato, potrà esserne emesso uno nuovo previa ulteriore
certificazione medica rilasciata dall'ufficio medico legale
dell'azienda sanitaria locale di appartenenza con la quale
si attesti che le condizioni della persona invalida danno
diritto all'ulteriore rilascio.
Viene introdotta
un'importante condizione per l'assegnazione a titolo
gratuito di uno spazio di sosta nei casi di particolare
invalidità, nelle zone ad alta densità di traffico. Infatti,
non occorre più che il titolare del contrassegno sia
abilitato alla guida e disponga di un autoveicolo, ma è
necessario che l'interessato dimostri di non avere la
disponibilità di uno spazio di sosta privato accessibile e
fruibile. Il comune potrà prevedere la gratuità della sosta
per gli invalidi nei parcheggi a pagamento, qualora
risultino già occupati o indisponibili gli stalli a loro
riservati.
Pur essendo pregevole l'intento del legislatore,
non sarà del tutto agevole per gli organi di polizia
stradale accertare se tali posti, a una certa ora e in un
dato momento, erano occupati da altri veicoli. Il comune
potrà stabilire, anche nelle aree a pagamento gestite in
concessione, un numero di posti destinati alla sosta
gratuita degli invalidi muniti di contrassegno superiore al
limite minimo di un posto ogni cinquanta o frazione di
cinquanta posti disponibili, previsto dal decreto del
presidente della repubblica n. 503 del 24.07.1996.
L'introduzione del nuovo modello di contrassegno invalidi
sarà accompagnata dall'aggiornamento della corrispondente
segnaletica stradale.
Entro tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto
del presidente della repubblica n. 151 del 30.07.2012 la
segnaletica riguardante la mobilità delle persone disabili
dovrà essere adatta recependo la rappresentazione grafica
del nuovo contrassegno. In dettaglio, per quanto riguarda la
segnaletica orizzontale, le strisce che delimitano lo stallo
di sosta restano gialle, ma il simbolo della carrozzella
diventa blu.
Con riferimento alla segnaletica verticale vengono
modificati il cartello che individua lo stallo di sosta e i
segnali di area pedonale e di zona a traffico limitato,
nella parte relativa alle eccezioni (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.09.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI/PROGETTUALI:
Mandato professionale, mai
più senza l'accordo sul compenso.
Gli effetti del regolamento del Mingiustizia. Parametri
applicati solo in caso di dissenso.
Per il professionista è ormai indispensabile che il mandato
professionale contenga anche l'accordo sul compenso.
I parametri previsti dal regolamento emanato dal ministero
della giustizia verranno applicati dal giudice solo in caso
di mancato accordo tra le parti sul compenso stesso. Qualora
il professionista sia in grado di dimostrare che tra le
parti era stato raggiunto un accordo sul compenso il giudice
non potrà che prenderne atto e liquidare il compenso sulla
base dell'accordo sottoscritto.
Nell'ambito delle regole generali dettate dal regolamento,
viene precisato come nel compenso determinato con
l'applicazione dei parametri non siano ricomprese le spese
da rimborsare, «secondo qualsiasi modalità, compresa quella
concordata in modo forfettario», né tantomeno non vi sono
ricompresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo per
lo svolgimento dell'incarico. Sono a carico del
professionista i costi per le prestazioni rese dai suoi
collaboratori.
Il compenso così liquidato comprende l'intero corrispettivo
dovuto per la prestazione resa, ivi comprese le attività
accessorie alla stessa.
In caso di incarichi collegiali il compenso, che rimane
sempre unico, può essere aumentato fino al doppio; l'unicità
del compenso nel caso di incarico conferito a una società
tra professionisti, anche se la prestazione è stata resa da
più soci.
Per gli incarichi non portati a compimento ovvero per quelli
che sono prosecuzione di incarichi precedentemente affidati
ad altri si dovrà tener conto dell'opera effettivamente
svolta.
L'assenza di prova del preventivo di massima costituisce
elemento di valutazione negativa da parte del giudice per la
liquidazione del compenso.
In nessun caso le soglie numeriche indicate, sia come minimi
che come massimi, sono elementi vincolanti per la
liquidazione stessa: cioè i parametri costituiscono un mero
riferimento per il giudice, e quindi possono essere anche
disattesi.
Secondo quanto riportato dalla relazione ministeriale,
quest'ultima disposizione, si è resa necessaria, per evitare
che i parametri assurgessero al ruolo di tariffa.
Rimangono sul punto delle perplessità, soprattutto alla luce
delle prassi che sembrano ormai prevalere da alcuni anni in
alcuni tribunali, di liquidare sempre e comunque i compensi
minimi, quando non addirittura sotto i minimi, per gli
incarichi di ausiliario del giudice (ctu) o nelle procedure
concorsuali, e ciò indipendentemente dal lavoro
effettivamente svolto e dalle singole circostanze che
possono aver interessato lo svolgimento dell'incarico
stesso.
Sarà pertanto opportuno che l'accordo sul compenso sia
trasfuso nel mandato professionale, divenuto oramai sempre
più uno strumento indispensabile per il professionista e per
l'organizzazione del proprio lavoro.
Rileggendo con attenzione il 4 comma dell'art. 9, dl 1/2012,
nella parte che riguarda il preventivo di massima, si rileva
come l'attenzione della norma sia posta alla «misura» del
compenso, e non al compenso stesso inteso quale puntuale
riferimento a un univoca misura di valore: oggetto della pattuizione tra il cliente ed il professionista è quindi la
modalità di determinazione del compenso, cioè rendere noto
al cliente come verrà determinato il compenso per la
prestazione richiesta, esplicitando tutte le voci di costo
relative alle singole prestazioni che si rendono necessarie
o, per meglio dire, che si presume si rendano necessarie per
l'adempimento dell'incarico conferito (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.09.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Lavori in edilizia
semplificati.
Prevalgono le autocertificazioni al posto dei pareri degli
enti.
Alcune delle misure contenute nel
decreto crescita. Meno adempimenti per presentare la Scia.
Ancora più semplificazione in edilizia. L'autocertificazione
la fa da padrona, diventano libere le opere interne e i
mutamenti di destinazione d'uso per gli edifici non
abitativi. Lo sportello unico deve liberare da incombenza di
presentazione di certificati e nulla osta. E la Dia somiglia
sempre di più alla Scia.
Il decreto legge 83/2012, convertito nella legge 134/2012,
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11.08.2012 modifica alcune norme del T.u. dell'edilizia (dpr
380/2001) relative alla disciplina dei procedimenti
amministrativi relativi alla Scia e prevede che, nei casi
ordinari, per iniziare i lavori sarà sufficiente
accompagnare i due titoli abilitativi con autocertificazioni
o certificazioni di tecnici abilitati, anziché con i pareri
tecnici e gli altri atti preliminari.
Il comma 1 dell'articolo 13 del decreto 83/2012 semplifica
ulteriormente le modalità di presentazione della Scia.
Prevalgono l'autocertificazione e le attestazioni e le
asseverazioni di tecnici: sono sostitutivi dei pareri degli
enti o organi preposti e delle verifiche previsti non solo
dalla normativa di rango legislativo, ma anche di rango
regolamentare, salve le verifiche successive degli organi o
amministrazioni competenti. A livello regionale e locale,
continuano a essere in vigore passaggi procedimentali
previsti da atti regolamentari, formalmente non intaccati
dall'articolo 19 della legge 241/1990 (dedicato alla Scia),
che, nella versione ante dl 83/2012, dichiarava la
possibilità di sostituire pareri e nulla osta previsti dalla
«legge», lasciando in piedi quelli previsti da regolamenti.
Dell'allargamento dell'autocertificazione beneficeranno non
solo i procedimenti edilizi, ma anche l'attività
imprenditoriale, commerciale e artigianale.
Per completezza va ricordato che non possono essere
sostituiti dalla Scia e, rimangono, pertanto, soggetti a
pareri e verifiche preventive tutti gli interventi che
interferiscono con vincoli ambientali, paesaggistici,
culturali, di pubblica sicurezza, difesa nazionale,
costruzioni in zone sismiche, normativa comunitaria e gli
altri elencati nel primo periodo del comma 1 dell'articolo
19 della legge 241/1990.
La Scia consente di iniziare l'attività immediatamente e
senza necessità di attendere la scadenza di alcun termine;
mentre per la Dia bisogna attendere un termine iniziale,
entro il quale l'amministrazione può bloccare l'avvio
dell'attività.
Già con circolare del 16.09.2010 il ministero per la
semplificazione normativa ha chiarito che la Scia non si
applica solo all'avvio dell'attività di impresa, ma
sostituisce anche la Dia in edilizia, eccetto la Dia
alternativa al permesso di costruire (cosiddetta superDia) e
nei casi in cui le leggi regionali abbiano previsto
l'utilizzo della Dia per ulteriori tipi di intervento
rispetto a quelle previste dal T.u. dell'edilizia. La Scia
consente di avviare i lavori il giorno stesso della sua
presentazione, mentre con la Dia occorre attendere 30
giorni.
L'articolo 5 del decreto legge n. 70/2011 ha
precisato che la Scia deve essere corredata delle
dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni dei relativi
elaborati tecnici a cura del professionista abilitato. Per
il settore edilizio sono stati esclusi dalla Scia i casi
relativi alla normativa antisismica e quelli in cui
sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.
L'articolo 6 del decreto legge n. 138/2011 ha previsto che
la Scia venga corredata dalle attestazioni e asseverazioni
dei tecnici abilitati non più in via generale, ma solo se
previsto dalle norme di settore.
Il decreto 83/2012 estende alla Dia le semplificazioni
procedimentali prevista per la Scia, in relazione alla
possibilità di sostituire atti o pareri di enti o organi con
autocertificazioni o certificazioni di tecnici abilitati.
Anche per la Dia, analogamente alla Scia, le
autocertificazioni, attestazioni, asseverazioni o
certificazioni di tecnici abilitati sostituiscono gli atti o
pareri di organi o enti appositi o le verifiche preventive,
salve le verifiche successive degli organi e delle
amministrazioni competenti.
Conseguentemente i pareri preliminari di stampo tecnico
saranno sostituiti da attestazioni e asseverazioni di
professionisti abilitati, andandosi ad ampliare il sistema
delle autocertificazioni sostitutive del controllo pubblico
preventivo. Il controllo preventivo rimane sempre
obbligatorio nel caso di vincoli ambientali, paesaggistici,
pubblica sicurezza e negli altri casi previsti nello stesso
comma 1-bis dell'articolo 23 del Testo unico per l'edilizia.
Le certificazioni devono essere prodotte da tecnici
abilitati e attestare la sussistenza dei requisiti previsti
dalla legge, dagli strumenti urbanistici approvati o
adottati e dai regolamenti edilizi. Esse devono essere
prodotte a corredo della documentazione richiesta nel
momento della presentazione della Dia.
Con il dl 83/2012 Dia
e Scia si somigliano sempre di più, anche per le modalità di
presentazione. Innanzi tutto è prevista l'emanazione di un
regolamento per la presentazione della Dia con strumenti
telematici. Fino all'emanazione del regolamento, la Dia,
corredata dalle dichiarazioni e asseverazioni nonché dai
relativi elaborati tecnici, può essere presentata mediante
posta raccomandata con avviso di ricevimento, a eccezione
dei procedimenti per cui è previsto l'utilizzo esclusivo
della modalità telematica e, in tal caso, essa si considera
presentata al momento della ricezione da parte
dell'amministrazione.
Altri ritocchi apportati dal dl
83/2012 riguardano il caso in cui l'immobile oggetto
dell'intervento sia sottoposto a un vincolo la cui tutela
compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione
comunale: il termine di 30 giorni per l'effettivo inizio dei
lavori decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Se
tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di
effetti. Qualora l'immobile sia, invece, sottoposto a un
vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione
comunale, se il parere favorevole del soggetto preposto alla
tutela non sia allegato alla denuncia, l'ufficio comunale
deve convocare una conferenza di servizi e il termine di 30
giorni decorre dall'esito della conferenza. Le nuove
disposizioni si applicano entro il 12.02.2013.
---------------
Imprese, la modifica interna è senza
vincoli.
L'attività edilizia conquista spazi di libertà. Il decreto
83/2012 introduce un'ulteriore tipo di interventi per i
quali non è necessario alcun titolo abilitativo: le
modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie
coperta dei fabbricati adibiti a esercizio di impresa e le
modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti a
esercizio d'impresa (nuova lettera e-bis dell'articolo 6,
comma 2, del Testo unico per l'edilizia).
Inoltre, viene
eliminato l'obbligo generalizzato di allegare alla
comunicazione di inizio dei lavori le autorizzazioni
eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di
settore. Viene mantenuto, per gli interventi di manutenzione
straordinaria e per la nuova categoria di interventi
introdotti con la lettera e-bis), l'obbligo di allegare alla
comunicazione di inizio dei lavori i dati identificativi
dell'impresa alla quale si intende affidare la realizzazione
dei lavori, nonché una relazione tecnica con la quale un
tecnico abilitato asseveri che i lavori sono conformi agli
strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti e che
per essi la normativa statale e regionale non prevede il
rilascio di un titolo abilitativo.
Il tecnico deve inoltre
dichiarare di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa
né con il committente. Viene introdotta una disposizione per
i nuovi interventi di cui alla lett. e-bis) per i quali si
prevede la trasmissione delle dichiarazioni di conformità,
che attestino la sussistenza dei requisiti previsti dalla
normativa, da parte delle agenzie per le imprese.
L'articolo 6 del c.d. T.u. dell'edilizia elenca gli
interventi rientranti nell'attività edilizia libera che
include la manutenzione ordinaria, l'eliminazione di
barriere architettoniche e le opere temporanee per attività
di ricerca nel sottosuolo, interventi di manutenzione
straordinaria, opere dirette a soddisfare obiettive esigenze
contingenti e temporanee, opere di pavimentazione e di
finitura di spazi esterni, pannelli solari, fotovoltaici e
termici, aree ludiche senza fini di lucro ed elementi di
arredo delle aree pertinenziali degli edifici. Questi
interventi sono realizzabili senza alcun titolo abilitativo
anziché mediante segnalazione certificata di inizio attività
(Scia).
La norma differenzia le tipologie di intervento in due
categorie, a seconda che occorra una previa comunicazione
all'amministrazione comunale dell'inizio dei lavori, anche
per via telematica, da parte dell'interessato, insieme con
le autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle
normative di settore.
Esclusivamente per i lavori di manutenzione straordinaria e
per le nuove categorie di intervento introdotte dal decreto
legge 83/2012 è prevista comunicazione e allegazione
documentale.
La mancata segnalazione di inizio attività o la mancata
trasmissione della relazione tecnica comportano la sanzione
pecuniaria di 258 euro, che può essere ridotta a due terzi
se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando
l'intervento è in corso di esecuzione. L'articolo 6 del T.u.
edilizia, infine, prevede che le regioni a statuto ordinario
possono estendere la semplificazione a interventi edilizi
ulteriori rispetto a quelli previsti, individuare ulteriori
interventi edilizi per i quali è necessario trasmettere al
comune la relazione tecnica o stabilire ulteriori contenuti
per la medesima relazione tecnica (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.09.2012). |
aggiornamento al 10.09.2012 |
|
INCARICHI
PROGETTUALI:
Appalti, stop ai
ribassi selvaggi.
Il compenso del progettista deve salvaguardare l'interesse
pubblico. In arrivo un dm
giustizia-infrastrutture che rivede le liberalizzazioni in
materia di tariffe.
Appalti con tariffe professionali in chiaro. Si avvia al
tramonto l'era in cui le stazioni appaltanti si presentavano
alle gare offrendo progettazione ed esecuzione delle opere a
prezzi stracciati (con ribassi anche del 90% rispetto al
prezzo iniziali) svilendo così il ruolo del professionista.
Sta, infatti, per arrivare un decreto con nuovi parametri
precisi: il corrispettivo del tecnico dovrà, infatti, essere
composto da compenso, spese ed oneri accessori, essere
congruo, salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la
qualità delle opere.
Dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la liquidazione dei corrispettivi in caso di
contenzioso, un altro provvedimento si occuperà di comporre
lo scenario complessivo di riforma delle professioni che,
tra i suoi capisaldi ha visto l'abolizione delle tariffe
professionali e un nuovo sistema per la definizione dei
compensi: si tratta del decreto interministeriale
giustizia-infrastrutture (ora all'attenzione di
quest'ultimo) che dovrà definire i parametri da utilizzare
per la determinazione dell'importo da porre a base di gara
nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria
e architettura.
Un passaggio necessario dopo che il decreto
legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto
cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni
appaltanti di regole per calcolare gli importi e per
determinare, di conseguenza, le procedure per l'affidamento.
Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle
professioni tecniche che, tra le altre cose, rischiava di
alimentare un'eccessiva discrezionalità delle stazioni
appaltanti che, invece, con il nuovo regolamento avranno a
disposizione un riferimento sulla base del quale impostare
le gare. Ma l'assenza di riferimenti tariffari per i servizi
di ingegneria e di architettura non è uno scenario nuovo per
il settore già colpito in questo senso da modifiche
significative nel 2006 con l'eliminazione delle tariffe
minime obbligatorie, introdotta dalle lenzuolate Bersani.
Questa abolizione pur con delle eccezioni (giacché il
ricorso alle tariffe non era vietato del tutto se utilizzate
come parametri di riferimento) non contemplava comunque più
l'obbligo per le stazioni appaltanti di applicare tariffe
fisse o minime con il risultato di avere ribassi delle
offerte nelle gare pubbliche anche del 90% del loro valore
iniziale. Una situazione che il decreto in questione punta a
correggere, pur avendo dall'altra parte abolito le tariffe
per i compensi.
Il corrispettivo, si legge infatti nel dm, composto da
compenso, spese ed oneri accessori, deve essere congruo,
salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la qualità
delle opere. Il provvedimento richiama nella valutazione del
compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri
giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi
professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e
del grado di complessità. All'interno della stessa categoria
d'opera sono qualificanti «le destinazioni funzionali
delle opere con grado di complessità uguale o maggiore a
quello di base di gara».
Si ottiene così un metodo che quantifica il prezzo in base
alla complessità dell'incarico, all'importanza dell'opera e
alle voci di costo. L'importo delle spese e degli oneri
accessori, invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente»
in una percentuale del compenso pari al 25% per importo
delle opere fino a 1 milione di euro e pari al 10% per
importo di opere pari o superiore a 25 mila euro; per gli
importi intermedi infine dicono i ministeri le percentuali
si applicano per interpolazione lineare»
(articolo ItaliaOggi dell'08.09.2012). |
VARI: Patenti
al compleanno, la Motorizzazione si adegua.
Dal 17 settembre chi otterrà la patente o ne richiederà il
rinnovo in tempo si vedrà allungare la scadenza normale fino
al giorno del compleanno. Ma questo riordino generale varrà
solo per le patenti di categoria A e B con scadenza
ordinaria.
Lo ha confermato il Ministero dei trasporti con
la
nota 07.09.2012 n. 23907 di prot. che abroga la precedente
disposizione contraria 05.03.2012 n. 6193 (si veda ItaliaOggi del 21/08/2012).
L'art. 7 del dl 5/2012 dispone
che i documenti di identità e di riconoscimento di cui
all'art. 1 del dpr n. 445 del 28.12.2000 sono
rilasciati o rinnovati con validità allungata fino alla data
del compleanno del titolare immediatamente successiva alla
scadenza che sarebbe altrimenti prevista per il documento
stesso.
Da subito erano stati avanzati dubbi sulla
possibilità di ricomprendere le patenti fra i documenti
soggetti alla semplificazione imposta dalla novella (ItaliaOggi
del 21/02/2012). E immediatamente il ministero dei trasporti,
con la circolare n. 6193 del 05.03.2012 aveva precisato
che alla patente di guida non si applica l'allineamento
della scadenza al compleanno dell'interessato (ItaliaOggi
del 07/03/2012) trattandosi di normativa speciale.
Con la
circolare n. 7 del 20.07.2012 (pubblicata sulla G.U. n.
207 del 05/09/2012) la presidenza del consiglio di ministri
interpreta invece in senso estensivo la portata dell'art. 7
del dl 5/2012, affermando che la nuova regola che fissa la
scadenza dei documenti in coincidenza con la data del
compleanno si applica anche alle patenti di guida. Peraltro
la novella non si applica alle patenti rilasciate per le
categorie superiori C e D, a quelle la cui durata è fissata
in misura ridotta, rispetto alla durata ordinaria, dalla
commissione medica legale, e alla carta di qualificazione
del conducente.
Per correre ai ripari la motorizzazione ha
quindi diramato le istruzioni operative di ieri. Le nuove
procedure informatiche che consentiranno l'adeguamento
entreranno in linea dal 17.09.2012. In pratica da
quella data in occasione del primo rilascio o del primo
rinnovo tempestivo della patente di guida AM, A1, A2, A, B1,
B e BE con scadenza ordinaria «la scadenza di validità
della stessa è prorogata alla data del compleanno del
titolare». Restano escluse dalla riforma le patenti
superiori (C, D ecc.) e quelle rilasciate con limitazioni
mediche
(articolo ItaliaOggi dell'08.09.2012). |
TRIBUTI - VARI: Tarsu, lo
spettro dell'illegittimità. Ctp
grosseto: prelievo non dovuto dal 2010 in avanti.
A partire dal 31.12.2009, la Tassa sui rifiuti solidi
urbani non esiste più e, pertanto, la pretesa avanzata dai
comuni per gli anni 2010 e seguenti è illegittima; la
conseguenza è che i comuni che non sono ancora passati alla Tia (attualmente la maggior parte) potrebbero trovarsi alle
prese con richieste di rimborso di quanto versato dai
cittadini per il 2010 e seguenti, e contestazioni relative
agli atti di riscossione per questi stessi anni.
Con la
sentenza 19.04.2012 n. 124/4/12, solo ora resa nota,
la Ctp Grosseto ha disposto la non legittimità della Tarsu
dopo il 31.12.2009, rendendo di fatto illegittima la
richiesta del Comune di Castiglione della Pescaia. Questi
effetti derivano dalla soppressione della Tarsu, disposta
dal primo comma dell'art. 49 del dlgs 22/1997 (decreto
Ronchi), efficace, in mancanza di ulteriori proroghe, sin
dal 31/12/2009.
Lo stesso art. 49 prevedeva un regime
transitorio da disciplinarsi mediante un regolamento
attuativo (dpr 158/1999), in base al quale i comuni avrebbero
dovuto raggiungere la piena copertura dei costi di gestione
del servizio rifiuti urbani introducendo la Tariffa di
igiene ambientale (cosiddetta Tia/1) in sostituzione della
Tarsu, in un lasso temporale di 8 anni (termine poi esteso
sino al 01.01.2010).
Col successivo dlgs 152/2006, art.
238, la stessa Tia/1 è stata soppressa e sostituita dalla
Tariffa integrata ambientale (Tia/2); tuttavia, la
disciplina della nuova tariffa resta sospesa sino
all'emanazione di un regolamento ministeriale (che avrebbe
dovuto essere emanato entro il 30.06.2010), in mancanza
del quale «continuano ad applicarsi le discipline
regolamentari vigenti» (comma 10 dell'art. 238 cit.), ossia
le disposizioni previste dal dpr 158/99 (regolamento
attuativo della Tia/1).
Al momento, dunque, a prescindere
dalle difficoltà interpretative legate all'applicazione
della nuova Tia, il prelievo che la maggior parte dei comuni
opera per la copertura del servizio di gestione dei rifiuti
è ancora basato sulla vecchia Tarsu; ed è proprio qui che si
prospetta il problema, in quanto non esiste più dal 2010 una
normativa primaria a sostegno di questa tassa, che i comuni
continuano a richiedere sulla base dei regolamenti
(normativa secondaria).
Per cui, ogni pretesa avanzata dai comuni a titolo di Tarsu,
non trovando riscontro in alcuna normativa primaria
attualmente vigente, potrebbe ritenersi illegittima anche in
ragione dell'art. 23 della Costituzione, secondo cui
«nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere
imposta se non in base alla legge». Il tutto assume una
rilevanza ancora maggiore se si considera che i comuni
continuano a vedere nella Tarsu l'unico strumento
chiaramente applicabile e idoneo a garantire quell'entrata
necessaria alla copertura del servizio rifiuti, in assenza
di una disciplina ben delineata della nuova Tia (ed è anche
per questo che circa l'80% di essi rimane ancorato alla
vecchia tassa).
La risposta dei comuni potrebbe volgere nel
senso che, a prescindere dalla tipologia di strumento di
riscossione adottato, il servizio di gestione rifiuti è
obbligatorio e deve obbligatoriamente essere coperto (in
parte o in tutto) mediante tassa o tariffa; per cui, a
fronte della obbligatorietà ed esecutività del servizio
fornito, l'eventuale illegittimità del tributo potrebbe
avere natura meramente formale, non potendo essere messa in
discussione la piena debenza dei versamenti da parte dei
cittadini. Tale interpretazione troverebbe però un preciso
limite proprio nel precitato art. 23 della Costituzione.
La
stessa posizione della Cassazione sul punto verte in una
direzione poco favorevole alle amministrazioni: per esempio,
nella sentenza n. 23583/2009 (ItaliaOggi del 17.11.2009), gli ermellini, esprimendosi circa la legittimità
della Tarsu nelle aree portuali, ne affermavano la non
debenza anche in considerazione del fatto che «il potere
impositivo deve trovare la sua fonte necessariamente nella
legge e non può pertanto rinvenirsi in ragione dello
svolgimento di una mera attività di fatto da parte di un
soggetto»
(articolo ItaliaOggi dell'08.09.2012). |
ENTI LOCALI -
VARI: Se il
semaforo è rotto responsabilità al 50%.
In caso di incidenti il comune risponde col gestore.
Sono responsabili in egual misura dell'incidente stradale
provocato dal semaforo mal funzionante il comune e la
società che gestisce la manutenzione stradale.
Lo ha sancito
la Corte di Cassazione che, con sentenza 06.09.2012 n. 14927, ha
respinto il ricorso della società di manutenzione che
rivendicava l'esclusione da ogni responsabilità per il
sinistro.
Sulla base del rapporto della polizia stradale, al
momento dell'incidente, l'impianto semaforico comunale posto
all'incrocio era mal funzionante: mostrava
contemporaneamente la luce verde nei confronti della
direzione di marcia di entrambi i conducenti coinvolti.
Dunque in sentenza è stato ricostruito che il
malfunzionamento del semaforo è stata la causa esclusiva
dell'incidente. Questa circostanza è stata anche confermata
nella testimonianza di uno degli agenti che, raggiunto il
luogo del sinistro, ha redatto il verbale.
Il giudice di
pace, cui gli automobilisti hanno presentato ricorso i primo
grado, aveva escluso la corresponsabilità di comune e
società. Poi il Tribunale di Roma ha ribaltato il verdetto.
La terza sezione civile, in linea con il Tribunale di Roma,
ha sancito la responsabilità concorrente e solidale della
società e del comune, accogliendo la richiesta di
risarcimento dei danni riportati dopo lo scontro tra due
veicoli perché il semaforo segnalava costantemente la luce
verde verso entrambe le direzioni opposte.
Piazza Cavour ha
ritenuto erronea la linea sostenuta dalla difesa dell'ente
locale e della società aggiudicataria dell'appalto di
manutenzione secondo cui solo l'ente proprietario ha
l'obbligo del controllo del funzionamento degli impianti
semaforici e tale obbligo non è estensibile alla società cui
affidata i lavori, non incombendo alcun obbligo di vigilanza
in capo all'impresa manutentrice.
La Suprema corte, invece,
ha riconosciuto contestualmente la responsabilità del comune
quale proprietario dell'impianto semaforico e della società
in quanto contrattualmente responsabile a provvedere alla
manutenzione e al controllo dell'efficienza tecnica dei
dispositivi di accensione a fasi alterne delle lanterne
semaforiche veicolari. Quindi all'azienda non resta che
risarcire i due automobilisti rimasti coinvolti
nell'incidente
(articolo ItaliaOggi del 07.09.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: SPENDING
REVIEW/ Caos stipendi nei comuni.
Convenzioni Mef obbligatorie. Ma incomplete.
Gli enti brancolano nel buio. Rischio danno erariale.
C'è grande incertezza, fra i comuni, sulla portata dell'art.
5, comma 10, del dl 95/2012. Tale disposizione impone a
tutte le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1 del
dlgs 165/2001 (ivi compresi, quindi, gli enti locali) di
stipulare convenzioni con il ministero dell'economia e delle
finanze per la fruizione dei servizi connessi al pagamento
delle retribuzioni ai dipendenti, ovvero, in alternativa, di
utilizzare i parametri di qualità e di prezzo stabiliti
dallo stesso Mef per l'acquisizione dei medesimi servizi sul
mercato di riferimento. Ove non si ricorra alle convenzioni,
il mancato rispetto di tali standard determina nullità dei
contratti, illecito disciplinare e responsabilità erariale.
Per i contratti già in essere, inoltre, è previsto un
obbligo di rinegoziazione che garantisca un abbattimento
degli attuali costi non inferiore al 15%.
A ben vedere, la formulazione di tali norme non è
chiarissima: i servizi cui esse fanno riferimento, infatti,
sono individuati mediante un rinvio ad altre precedenti
disposizioni (art. 1, comma 447, della l. 296/2006 e art. 2,
comma 197, della legge 191/2009) che riguardavano le sole
amministrazioni statali. Ma al di là di tali aspetti
formali, la questione è di merito. La «Convenzione per
l'utilizzo dei servizi stipendiali», resa disponibile sul
sito del Mef nello scorso mese di luglio, infatti, non
contempla tutta una serie di servizi indispensabili che per
gli enti locali sono gestiti in forma integrata con quelli
(gestione dipendenti a tempo determinato e indeterminato,
cedolini paga, versamenti contributivi ed erariali, altri
adempimenti contributivi, fiscali e normativi, cessioni del
quinto, riscatti e ricongiunzioni, monitoraggio assenze
mensile, dichiarativi annuali) prettamente riferiti alla
corresponsione degli emolumenti. I servizi non inclusi
riguardano tutte le attività svolte tipicamente dagli uffici
del personale degli enti, o, presso quelli più piccoli, da
esperti/service esterni (per esempio, immissione di
giustificativi di assenza, aggiornamenti anagrafici,
comunicazione ai centri per l'impiego).
Rimangono fuori, inoltre, tutte le attività relative alle
tipologie di reddito non elaborate dal Mef quali redditi
assimilati, autonomi e diversi (dipendenti altra p.a.,
amministratori locali, collaboratori coordinati e
continuativi, Lsu cantieri di lavoro, borse di lavoro, borse
di studio, forestali, professionisti, indennità di
esproprio, contributi ad enti e associazioni ecc.). Un
problema ulteriore nasce dal fatto che, nella maggior parte
dei casi, gli enti hanno acquistato sul mercato un
«pacchetto» onnicomprensivo, il che rende assai complessa la
comparazione fra i relativi prezzi e quelli fissati dal Mef.
Non è chiaro, inoltre, come si possa garantire il
collegamento fra il programma paghe del Mef e i diversi
programmi di contabilità in uso presso i singoli comuni, né
è precisato come avverrà l'interscambio di dati fra il nuovo
sistema e gli attuali rilevatori (che sono centinaia, di cui
alcuni fuori commercio).
Più in generale, l'adesione alla convenzione imporrebbe di
adeguare la struttura procedurale di ogni ente ai tempi e
modi per l'invio dei dati utili all'elaborazione delle
retribuzioni, e per la ricezione degli elaborati imposti dal
Mef, con complessità e costi tutti da stimare e tutti a
carico delle singole amministrazioni.
Infine, per la gestione del sistema, la convezione quadro
richiede la nomina, da parte di ciascuna amministrazione, di
un referente tecnico-informatico e di un referente tecnico
amministrativo. È evidente che molti enti, e specialmente i
piccoli comuni, sono sprovvisti di simili figure, in quanto
si avvalgono perlopiù di consulenti esterni, ne potrebbero
agevolmente procurarsele, visti i limiti al turnover e alle
spese per la formazione specialistica
(articolo ItaliaOggi del 07.09.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Referendum non vincolanti.
L'ente resta autonomo e può discostarsi dall'esito.
Secondo la giurisprudenza la consultazione non
incide sull'azione di governo.
È possibile indire un referendum popolare al fine di
annullare le scelte adottate dall'amministrazione comunale
con deliberazione avente per oggetto una variante a un piano
particolareggiato?
L'istituto dei referendum locali, contemplato dall'art. 8,
comma 3 del Tuel, costituisce un tipico istituto di
democrazia diretta, una forma di partecipazione popolare di
carattere opzionale, in quanto si configura quale elemento
meramente eventuale e facoltativo dello statuto comunale.
Rispetto alla normativa previgente è stata ampliata la
valenza dell'istituto del referendum popolare, attualmente
configurabile non solo più come consultivo (unica tipologia
prevista nell'originale formulazione della legge n. 142 del
1990 e volta a consentire la consultazione della popolazione
su rilevanti questione di interesse locale), ma anche come
abrogativo (di provvedimenti a carattere generale degli
organi istituzionali e burocratici dell'ente), propositivo
(per approvare proposte di atti avanzate dalla stessa
amministrazione o da altri soggetti), confermativo, di
indirizzo e oppositivo-sospensivo.
Come sottolineato dalla prevalente dottrina, il dlgs n.
267/2000 nulla dice circa l'effetto dell'esito del
referendum consultivo e gli statuti comunali tendono a
escludere che l'esito sia vincolante per l'amministrazione,
preferendo precisare che l'ente locale possa discostarsi
dallo stesso, con adeguata motivazione, al fine di tutelare
la piena autonomia politica del consiglio.
In tal senso, si è anche affermato che il potere statutario
in materia resta ampio con riguardo all'oggetto del
referendum (che è sufficiente che rientri tra le materie di
competenza esclusiva dell'ente), alla determinazione del
numero dei partecipanti per la sua validità, alla
possibilità di prevedere effetti consequenziali per
l'amministrazione locale legati all'esito del referendum con
il solo limite della conservazione del potere decisionale in
capo agli organi di governo.
La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha affermato che
«il referendum consultivo impone solo all'amministrazione
che l'ha indetto di tener conto della volontà popolare, ma
non esplica alcun effetto sull'azione amministrativa che ne
è stato oggetto, né tanto meno su vicende successive o di
altre amministrazioni, né la volontà popolare espressa con
il referendum è idonea ad attribuire all'ente locale poteri
estranei alla sfera di attribuzione fissate con legge»
(Consiglio di stato, sez. VI, 20.05.2004, n. 3263 e Tar
Puglia, Bari, sez II, 10.03.2003, n. 1098).
Tale orientamento è stato confermato da successive pronunce
(Consiglio di stato, sez IV, 29.07.2008, n. 3769 e Tar
Veneto, Venezia, sez. II 21.03.2007, n. 807), nelle quali si
legge che «le consultazioni costituiscono strumento di
partecipazione popolare all'elaborazione delle scelte
amministrative, non strumento di verifica a posteriori da
parte dei cittadini di scelte già definite con formali
provvedimenti amministrativi (_). L'attività consultiva, per
propria natura, deve precedere l'attività decisionale, non
seguirla»
(articolo ItaliaOggi del 07.09.2012). |
APPALTI SERVIZI: Alle cooperative sociali affidamenti senza
gara. L'authority di vigilanza sui
contratti pubblici detta i chiarimenti sulla procedura.
Pubblicate dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture le linee guida per
gli affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell'art. 5,
comma 1, della legge n. 381/1991.
Con la
determinazione 01.08.2012
n. 3 l'Authority, a
conclusione del procedimento di consultazione avviato
nell'aprile scorso, fornisce chiarimenti riguardo alle
deroghe applicabili alle procedure di affidamento ex dlgs
163/2006 per gli appalti di importo sotto soglia comunitaria
in caso di convenzioni stipulate con cooperative sociali di
tipo B.
L'art. 5 della legge 381/1991, contenente la disciplina
delle cooperative sociali, dispone, infatti, che gli enti
pubblici, inclusi quelli economici, e le società a
partecipazione pubblica possono stipulare, in deroga al
principio generale della gara, direttamente con le
cooperative sociali convenzioni per la fornitura di beni e
servizi diversi da quelli socio-sanitari e educativi al
verificarsi di determinate condizioni.
Per prima cosa ai fini dell'applicabilità della
disposizione, come ricorda l'Autorità, i soggetti
beneficiari delle convenzioni devono essere ascrivibili alla
tipologia delle cooperative sociali di tipo B, vale a dire
quelle che, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera b) della
legge 381/1991, svolgono attività diverse (agricole,
industriali, commerciali o di servizi) finalizzate
all'inserimento lavorativo di «persone svantaggiate» così
come definite dall'art. 4 della stessa legge 381/1991; in
tali cooperative, inoltre, le «persone svantaggiate», sempre
come previsto dal predetto art. 4, devono costituire almeno
il 30% dei lavoratori.
È necessario, inoltre, per la stipula delle convenzioni che
le cooperative sociali risultino iscritte all'albo regionale
introdotto dallo stesso articolo 5. In caso di mancata
istituzione dell'albo da parte delle regioni le cooperative
sociali devono, comunque, attestare il possesso dei
requisiti previsti dai citati articoli 1 e 4 della legge n.
381/1991. Le convenzioni, inoltre, potranno essere stipulate
anche con operatori avente sede in altri stati dell'Unione
europea a condizione che siano in possesso dei requisiti
equivalenti per l'iscrizione all'albo e siano iscritte nelle
liste regionali dei soggetti idonei per la stipula delle
stesse (art. 5, commi 2 e 3, legge 381/1991).
Le convenzioni in esame dovranno avere ad oggetto, come
disciplinato dallo stesso articolo 5, la fornitura di beni e
servizi diversi da quelli socio-sanitari e educativi il cui
importo contrattuale al netto dell'Iva sia inferiore alle
soglie comunitarie previste per gli appalti pubblici e
dovranno essere finalizzate a creare opportunità di lavoro
per «le persone svantaggiate».
Come sottolineato dall'Autorità, per la deroga alle regole
previste dal dlgs 163/2006 per gli appalti sotto soglia,
«l'oggetto della convenzione non si esaurisce nella mera
fornitura di beni e servizi, ma è qualificato dal
perseguimento di una peculiare finalità di carattere
sociale, consistente nel reinserimento lavorativo di
soggetti svantaggiati. Occorre, pertanto, che il profilo del
reinserimento lavorativo, unitamente al successivo
monitoraggio dello stesso in termini quantitativi e
qualitativi, sia posto al centro della convenzione e, a
monte, della determina a contrarre adottata dalla stazione
appaltante ex art. 11, comma 2, del Codice dei contratti».
Sempre dal punto di vista dell'oggetto contrattuale l'organo
di vigilanza rileva come l'ambito di operatività delle
convenzioni riguardi in linea generale la fornitura di beni
e servizi strumentali agli enti affidanti; non è ammissibile
il ricorso alle convenzioni per l'esecuzione di lavori
pubblici o per la gestione di servizi pubblici locali a
rilevanza economica.
Sotto il profilo temporale, le amministrazioni dovranno
definire «adeguatamente la durata delle convenzioni,
affinché non sia di fatto preclusa ad altre cooperative la
possibilità di presentare domanda di convenzionamento,
nonché verificare che gli obiettivi stabiliti siano
effettivamente perseguiti ed attuati».
Sul fronte delle modalità di affidamento l'Autorità,
richiamandosi all'orientamento della giurisprudenza
amministrativa (Tar Lazio Roma, sez. III-quater, 09.12.2008, n. 11093; n. 3767 del 26.04.2012), «secondo cui
non può ammettersi che l'utilizzo dello strumento
convenzionale si traduca in una deroga completa al generale
obbligo di confronto concorrenziale», suggerisce alle
stazioni appaltanti di procedere all'individuazione delle
forniture di beni e servizi che possono essere oggetto di
convenzioni ex art. 5 e, conseguentemente, alla
pubblicazione di un avviso pubblico volto a comunicare la
volontà di ricorrere per tali appalti alle cooperative
sociali in questione per la finalità di reinserimento
lavorativo di «persone svantaggiate»; in caso di più
soggetti interessati consiglia all'ente di promuovere una
procedura competitiva di tipo negoziato specificando nella
lettera di invito «gli obiettivi di inserimento sociale e
lavorativo che intende perseguire mediante la stipula della
convenzione e i criteri in base ai quali verranno comparate
le diverse soluzioni tecniche presentate da parte delle
cooperative».
L'organo di vigilanza precisa, poi, che la deroga al Codice
dei contratti è relativa soltanto alle procedure di
aggiudicazione restando, quindi, applicabili la disciplina
in materia di requisiti di partecipazione, comunicazioni
all'Autorità, specifiche tecniche per l'esecuzione delle
prestazioni e tutte le altre disposizioni normative previste
per gli appalti sotto soglia.
Si sofferma anche sui controlli da compiere in sede di
esecuzione delle prestazioni volti a verificare la
permanenza delle condizioni necessarie per la stipula delle
convenzioni e il perseguimento della finalità di
reinserimento lavorativo
(articolo ItaliaOggi del 07.09.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Pmi,
arriva a fine mese il visto unico ambientale.
La banca dati per gli appalti attiva entro l'anno.
Attuazione delle semplificazioni. È il dossier più corposo
nel fascicolo del ministero della Pa che sta ancora limando
la griglia dei provvedimenti da portare al Cdm di oggi
pomeriggio. Uno dei primi regolamenti in agenda è
l'autorizzazione unica ambientale per le Pmi. Il nuovo visto
(da adottare insieme ai ministeri dell'Ambiente e dello
Sviluppo) eviterà le sovrapposizioni di passaggi tra comuni,
province e altre strutture pubbliche, con un'unica
autorizzazione per acque reflue, emissioni inquinanti e
impatto acustico, da parte dello sportello unico per le
imprese.
Doveva essere approvato entro il 10 agosto, in
attuazione del Dl Semplifica Italia. Arriverà entro fine
mese. Così come la direttiva che sancisce l'obbligo di
pubblicare la modulistica di tutte le autorizzazioni
amministrative, con l'indicazione del responsabile del
procedimento. Atteso entro settembre anche il decreto sullo
scambio di pratiche per via telematica da parte delle
pubbliche amministrazioni (in questo caso palazzo Vidoni ha
un ruolo di concerto con il Viminale) che garantirà tempi
più rapidi nella trascrizione degli atti di stato civile,
nella cancellazione e iscrizione alle liste elettorali e nei
cambi di residenza.
Nell'agenda del ministero guidato da
Filippo Patroni Griffi è fissato a ottobre il via libera ai
decreti di semplificazione in materia di autorizzazioni per
l'esercizio delle attività economiche e di controlli sulle
imprese. Entro fine anno sarà invece avviata la banca dati
sugli appalti. Mentre, sul fronte della spending review,
entro il 31 ottobre sarà approvata la direttiva sul riordino
delle province. A seguire (entro il 2012) il trasferimento
delle risorse e delle funzioni dalla province soppresse.
Non ci sono però solo i regolamenti attuativi di leggi già
entrate in vigore. Sono in cantiere anche nuove misure, da
realizzare soprattutto insieme con il ministero dello
Sviluppo. A partire dal provvedimento finalizzato alla
nascita della Isrl (dove la "i" sta per innovazione): una
società semplificata, che potrà adottare uno statuto
standard e costituirsi online con una comunicazione
direttamente alla Camera di commercio. E dalla creazione di
un "Desk investitori esteri" presso uffici dell'Ice nelle
principali piazze internazionali. Insieme ai Beni culturali
si lavora invece alla semplificazione delle procedure per i
via libera paesaggistici.
Mentre nell'ambito del processo
collegato all'Agenda digitale, appannaggio dello Sviluppo
economico, i tecnici di palazzo Vidoni lavorano al lancio
della nuova carta di identità elettronica: documento
unificato in cui far confluire carta d'identità, carta
nazionale dei servizi, compreso il codice fiscale, e tessera
sanitaria. Una card che entrerà in vigore non appena saranno
sciolti i nodi sulla copertura finanziaria e sull'eventuale
contributo da chiedere ai cittadini
(articolo Il Sole 24 Ore del 05.09.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Non
disturbano le farmacie con insegne vivaci e bizzarre.
Le insegne luminose delle farmacie possono anche essere di
colore vivace e bizzarro ma quando sono posizionate vicino
ai segnali non devono creare interferenze. In ogni caso
vanno sempre rispettate le distanze minime previste dal
regolamento e il comune può imporre agli esercenti il
rispetto di particolari prescrizioni finalizzate a elevare
la sicurezza della circolazione.
Lo ha evidenziato il Ministero dei trasporti con il
parere 27.08.2012 n. 4761 di prot..
Un comune ha richiesto chiarimenti circa il corretto
posizionamento di insegne luminose sulla strada statale, in
prossimità di impianti semaforici, stante la particolare
tecnologia a led che rende molto brillanti le nuove insegne
farmaceutiche. A parere del ministero oltre all'art. 23 del
codice della strada occorre prestare particolare attenzione
al regolamento comunale e agli artt. 50 e 51 del regolamento
stradale. In particolare l'art. 23 del codice specifica che
qualsiasi insegna non deve arrecare disturbo alla
circolazione ovvero deve essere evitata qualsiasi
interferenza con la guida.
Stante l'obbligatorietà dell'insegna farmaceutica da un lato
e la necessità di salvaguardare la sicurezza della
circolazione stradale dall'altro il comune ha richiesto
istruzioni di dettaglio. L'art. 50 del regolamento del
codice stradale, specifica la nota centrale, prevede che
dentro ai centri abitati trovi applicazione il locale
regolamento anche in riferimento all'apposizione delle
insegne farmaceutiche.
In buona sostanza è nella piena facoltà del comune adottare
provvedimenti che limitino l'intensità e la direzionalità
dei fasci luminosi emessi dall'impianto pubblicitario. In
pratica per garantire la sicurezza della circolazione il
primo cittadino può sempre imporre ulteriori restrizioni
all'esercente anche in considerazione della resa cromatica
degli impianti. Ma prima di tutto andrà verificata la
corrispondenza delle installazioni con le previsioni del
codice stradale e in particolare con le distanze minime
previste dall'art. 51 del regolamento stradale.
Queste distanze, prosegue il parere ministeriale, potranno
essere derogate solo nel caso in cui l'insegna di esercizio
sia collocata parallelamente al senso di marcia e in
aderenza a un fabbricato esistente. In buona sostanza se
l'insegna è perpendicolare al traffico la sua posizione è
strettamente vincolata alle distanze
(articolo ItaliaOggi del 04.09.2012). |
VARI: Dpr
in Gazzetta. Si parte il 15/09. Al via il restyling dei pass
invalidi.
Dal 15 settembre gli interessati al rilascio o al rinnovo
del nuovo contrassegno invalidi europeo possono rivolgersi
al comune che però ha tre anni di tempo per regolarizzare
tutta la modulistica e la segnaletica stradale in
circolazione. Di certo però i vecchi tagliandi arancioni in
scadenza dovranno essere sostituiti in fretta mentre per
adeguare i segnali e gli stalli di sosta è comprensibile che
gli enti impiegheranno più tempo.
Sono queste le conseguenze immediate con ricadute anche sui
bilanci degli enti derivanti dall'avvenuta pubblicazione
sulla G.U. n. 203 del 31.08.2012 del dpr 151/2012
«regolamento recente modifiche al decreto del presidente
della repubblica 16.12.1992, n. 495, concernente il
regolamento di esecuzione e attuazione del nuovo codice
della strada, in materia di strutture, contrassegno e
segnaletica per facilitare la mobilità delle persone
invalide» (si veda ItaliaOggi del 01/09/2012).
Con un semplice colpo di penna che modifica quasi
integralmente l'art. 381 del regolamento stradale l'Italia
entra in Europa anche per quanto riguarda i permessi
invalidi, con un ritardo clamoroso di tanti anni.
Anni complicati per gli utenti titolari del pasticciato
contrassegno arancione a causa dell'avvento delle regole
sulla privacy che invece di favorire hanno finito per
penalizzare le persone disabili.
Torna, finalmente, il simbolo della carrozzella su sfondo
azzurro, con un nuovo modulo standard europeo che sul retro
ospiterà la fotografia dell'interessato e tutti i suoi dati.
Questa autorizzazione dovrà essere sempre apposta in
originale nella parte anteriore del veicolo per non
incorrere in sanzioni.
Non cambiano sostanzialmente le istruttorie per accedere al
titolo ma muta aspetto oltre al contrassegno anche la
segnaletica. Innanzitutto per quanto riguarda la
sostituzione del vecchio contrassegno invalidi con il nuovo
«contrassegno di parcheggio per disabili» europeo, l'art. 3
del dpr 151 prevede un termine massimo di tre anni, salvo
che i comuni ritengano di accelerare. Alla progressiva
scadenza dei titoli però i comuni dovranno garantire il
rinnovo dei tagliandi con il nuovo modello. Almeno nelle
intenzioni del legislatore quindi per la sostituzione
massiva dei tagliandi in circolazione il comune ha a
disposizione un lasso di tempo lungo ma in caso di rinnovo
singolo sembra che sia opportuno procedere con il rilascio
dei nuovi permessi già dal 15.09.2012, data di
entrata in vigore della novella.
Per quanto riguarda la segnaletica stradale i comuni
potranno prevedere la gratuità della sosta per gli invalidi
nei parcheggi a pagamento, qualora risultino già occupati o
indisponibili gli stalli a loro riservati. Inoltre, i
medesimi enti locali potranno stabilire, anche nelle aree a
pagamento gestite in concessione, un numero di posti
destinati alla sosta gratuita degli invalidi muniti di
contrassegno superiore al limite minimo di un posto ogni
cinquanta o frazione di cinquanta posti disponibili,
previsto dal dpr 503 del 24.07.1996.
Mentre queste
disposizioni però sono innovative e quindi andranno
evidenziate con la nuova segnaletica resta sul tappeto il
problema dell'adeguamento della segnaletica ai nuovi simboli
grafici. Anche per questa sistemazione i comuni hanno a
disposizione un periodo transitorio di tre anni ma,
specifica il dpr, se nel frattempo verrà sostituito qualche
segnale le nuove installazioni dovranno già essere a norma
di legge
(articolo ItaliaOggi del 04.09.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
VARI: Parere
Autovelox, box liberi nelle città.
I diffusi armadietti porta autovelox possono essere
posizionati anche in centro abitato per svolgere attività
preventiva e all'occorrenza ospitare i severi controllori
elettronici della velocità con la presenza dei vigili.
Lo ha ribadito il Ministero dei trasporti con il parere
27.07.2012 n. 4295 di prot..
Molti comuni hanno disseminato sul territorio gli armadietti
colorati porta autovelox con evidenti finalità dissuasive.
Questa pratica però non risulta molto gradita a tutti e per
questo motivo una prefettura ha richiesto chiarimenti al
ministero.
I manufatti porta autovelox, specifica la nota, «non sono
inquadrabili in alcuna delle categorie previste dal nuovo
codice della strada e dal connesso regolamento di esecuzione
e di attuazione e dunque per essi non risulta concessa
alcuna approvazione ai sensi dell'art. 45, comma 6, del codice
e dell'art. 193, comma 3, del regolamento».
Neppure la nuova direttiva in corso di approvazione se ne
occuperà, prosegue il ministero, trattandosi di manufatti
non classificabili né come impianti né come segnaletica.
L'unico impiego consentito è quindi quello di ospitare i
vigili elettronici in sede fissa o saltuaria
(articolo ItaliaOggi del 04.09.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Sospensione feriale agli
sgoccioli.
Termini processuali ancora congelati fino al 17 settembre.
Come cambia l'agenda per gli atti
della giustizia civile, tributaria e amministrativa.
Ancora due settimane di stop per i termini processuali, in
stand by fino al 17 settembre prossimo (il 16 è domenica).
La sospensione feriale dei termini (articolo 1, legge
742/1969) opera dal 1° agosto al 15 settembre e interessa
tutti gli atti relativi a processi civili, amministrativi e
tributari. Durante la pausa i termini processuali restano
sospesi e il conto dei giorni entro i quali le parti in
causa possono procedere al deposito di atti e documenti,
previsti dai singoli riti, riparte, appunto, dal 17
settembre. Se poi i suddetti termini dovessero iniziare nel
periodo di sospensione, gli stessi vengono differiti
direttamente alla fine del periodo di sospensione.
In particolare, la pausa determina un allungamento delle
scadenze entro le quali le parti possono procedere al
deposito di atti e documenti. I termini così congelati
riprendono a decorrere dalla fine del periodo di
sospensione. Se l'inizio del decorso dei termini processuali
cade durante il periodo di sospensione feriale, i termini
iniziano a decorrere alla fine del periodo di sospensione.
Così, con riferimento al 2012, se il termine iniziale di
decorrenza processuale cade prima del 01.08.2012: si ha
la sospensione feriale dei termini processuali dal 1° agosto
al 15.09.2012, con ripresa della decorrenza dei
termini dal 16 settembre compreso anche se il 15 cade di
sabato e il 16 di domenica (periodo di sospensione di 46
giorni); se invece il termine iniziale di decorrenza
processuale cade all'interno del periodo 1° agosto - 15.09.2012: il decorso dei termini parte dal 16
settembre, anche se il 15 cade di sabato e il 16 di domenica
(periodo di sospensione di 46 giorni), salvo che il 16
rappresenti l'ultimo giorno per il compimento di un atto
processuale; in quest'ultimo caso, infatti, il termine per
il compimento dell'atto slitta dal 16 settembre al 17.09.2012 (periodo di sospensione di 47 giorni).
Nell'ordinamento tributario, la sospensione interessa, in
primis, le scadenze relative alla presentazione del ricorso
contro gli atti impositivi, sia introduttivo sia
costitutivo, in tutti i gradi di giudizio, dal primo alla
Cassazione, ma anche, per esempio, i depositi di documenti
e/o memorie illustrative.
Ne deriva, per esempio, che nel caso in cui la notifica
dell'atto di accertamento sia intervenuta prima del periodo
di sospensione feriale, ossia prima del 01.08.2012, il
computo dei 60 giorni utili per la proposizione del ricorso
si ottiene sommando il periodo decorso anteriormente al 1°
agosto a quello successivo al 15.09.2012.
Nel caso, invece, in cui la notifica dell'atto di
accertamento sia intervenuta tra il 01.08.2012 e il 15.09.2012, ossia durante il periodo feriale, il computo
del termine di 60 giorni inizierà dal 16.09.2012,
salvo che il 16 rappresenti l'ultimo giorno per il
compimento di un atto processuale; in quest'ultimo caso,
infatti, il termine per il compimento dell'atto slitta dal
16 settembre al 17.09.2012 (il periodo di sospensione
diventa di 47 giorni). Particolare attenzione deve essere
posta alla gestione degli strumenti deflattivi del
contenzioso; in generale i termini previsti per la
definizione con adesione godono della sospensione feriale.
Così si cumulano i giorni previsti per il perfezionamento
dell'adesione con quelli relativi alla sospensione feriale.
In generale lo stop si applica a tutti quegli atti avverso i
quali le parti possono proporre ricorso (o resistere) entro
un certo termine; in determinate circostanze la sospensione
interessa anche i termini per il pagamento degli importi
indicati negli atti impositivi; ciò avviene quando gli
stessi atti fanno riferimento, per il versamento, al termine
per la proposizione del ricorso. È il caso dei nuovi
accertamenti esecutivi (articolo 29, dl 78/2010) per i quali
si prevede che l'avviso contenga anche l'intimazione ad
adempiere «entro il termine di presentazione del ricorso,
all'obbligo di pagamento degli importi negli stessi
indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del
ricorso e a titolo provvisorio, degli importi stabiliti
dall'articolo 15 del dpr 29.09.1973, n. 602».
Al di
là dei casi appena visti, la sospensione feriale non
riguarda gli altri adempimenti previsti dalla disciplina
tributaria, primi fra tutti i termini di versamento delle
imposte. E la sospensione non si applica per i procedimenti
cautelari, relativi alla concessione di ipoteca o sequestro
conservativo (articolo
ItaliaOggi Sette del 03.09.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti, in
autunno si cambia.
Nuove regole su Sistri, sottoprodotti e sostanze pericolose.
Con tre provvedimenti il legislatore
di agosto ha riformulato le principali norme ambientali.
Conferma dell'attuale sospensione del Sistri, ma con
parallelo rinnovo delle regole operative in vista del suo
futuro funzionamento e «querelle» sul pagamento del
contributo per l'anno 2012. Queste, insieme alla
rivisitazione delle norme su sottoprodotti, rifiuti
agricoli, export di sostanze pericolose e recupero dei
vapori di benzina nei distributori di carburanti, le novità
ambientali che caratterizzeranno l'autunno di imprese e
operatori del settore.
A veicolare le numerose novità tre
provvedimenti: la legge 134/2012 di conversione del cd. «dl
crescita» (in tema di sospensione Sistri, sottoprodotti,
rifiuti agricoli, export di «Cov»), il dm Minambiente
141/2012 (di riformulazione delle regole Sistri), il dlgs
125/2012 (sul recupero dei vapori di benzina).
Sistri. La legge 134/2012 (Supplemento ordinario n. 171 alla
G.U. 11.08.2012 n. 187) di conversione del dl 83/2012 ha
confermato la sospensione del sistema di tracciamento
telematico dei rifiuti così come prevista dall'originaria
formulazione del decreto d'urgenza, ossia fino al nuovo
termine iniziale di operatività che sarà stabilito dal Minambiente con proprio decreto all'esito delle verifiche
amministrative e funzionali del sistema (verifiche affidate
allo stesso dicastero dal precedente dl 138/2011) e comunque
non oltre il 30.06.2013.
La stessa legge 134/2012 ha
confermato la sospensione dell'obbligo di pagamento del
contributo Sistri per l'anno 2012 prevista dal dl 83/2012.
Ma il dm ambiente 25.05.2012, n. 141 recante modifiche
al Tu Sistri (G.U. 23.08.2012 n. 196) ne ha invece
previsto il suo ripristino, mediante una disposizione che
fissa quale termine ultimo per il pagamento quello del
prossimo 30.11.2012. Disposizione che, allo stato
attuale, appare priva di un fondamento di legittimità, per
essere veicolata da un provvedimento (il decreto
ministeriale in parola) in contrasto con l'opposta e citata
disposizione recata invece da fonte di diritto
gerarchicamente superiore (la legge 134/2012).
Obblighi e responsabilità operatori Sistri. Il nuovo e
citato dm ambiente 141/2012 opera la rivisitazione di alcuni
punti nodali del dm ambiente 18.02.2011, n. 52 (c.d.
Testo unico Sistri) relativi a procedure di iscrizione al
sistema, responsabilità dei produttori dei rifiuti,
adempimenti procedurali nella gestione dei medesimi.
In
relazione all'obbligo di iscrizione viene introdotta la
facoltà per gli enti titolari dell'autorizzazione di
impianti pubblici di trattamento di rifiuti di delegare, in
attesa della voltura dell'autorizzazione, iscrizione e
procedure Sistri a terzi soggetti in possesso dei requisiti
per la gestione impianti in conto terzi, ai quali è affidata
la gestione dell'impianto, dandone comunicazione al Sistri.
In relazione, invece, alla responsabilità dei produttori di
rifiuti, il nuovo dm 141/2012 prevede un ulteriore onere a
loro carico per evitare la diretta responsabilità in caso di
mala gestione dei rifiuti operata a valle.
I produttori di
rifiuti operanti in regime telematico Sistri che
consegneranno a terzi i rifiuti per la loro gestione, nel
caso in cui non riceveranno dal cervellone Sistri la (già)
prevista email che conferma la ricezione dei rifiuti da
parte dell'impianto di destinazione, dovranno infatti, per
essere esentati da ogni responsabilità, darne immediata
comunicazione al Sistri e alla provincia territorialmente
competente.
Il nuovo dm di riformulazione del T.u. Sistri
ritocca infine, e per l'ennesima volta, le regole
procedurali relativa all'interazione tra operatori e
cervellone informatico dello stato in relazione alla
gestione di rifiuti pericolosi, sanitari, rifiuti di
apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Nuovi sottoprodotti. Per effetto della citata legge 134/2012
di conversione del «dl crescita» esordisce nel novero dei
sottoprodotti (ossia delle materie non sottoposte alle
regole sui rifiuti ex dlgs 152/2006) il digestato ottenuto
da effluenti di allevamento o residui vegetali in impianti
aziendali e utilizzato per fini agronomici secondo, però, i
parametri che saranno individuati da un futuro Minambiente.
Gestione rifiuti agricoli. Non solo il trasporto verso una
cooperativa agricola, ma dal 12.08.2012 (data di entrata
in vigore della legge di conversione del dl crescita) anche
quello verso il consorzio agrario effettuato
dall'imprenditore agricolo socio e finalizzato al
raggiungimento del deposito temporaneo non è più considerato
tecnicamente un «trasporto di rifiuti».
La legge 134/2012
allarga, infatti, il novero delle ipotesi (già) previste dal dlgs 152/2006 per le quali non è giuridicamente «trasporto
di rifiuti» (con il conseguente venir meno degli obblighi di
tenuta del formulario di trasporto e del tracciamento
telematico Sistri, ove previsto) la movimentazione dei
rifiuti agricoli.
Export extra Ue di «Cov». È diventata definitiva dal 12.08.2012 la deroga al divieto di vendita a paesi extra Ue
di pitture, vernici e prodotti per carrozzeria con limiti di
composti organici volatili (c.d. «Cov») superiori a quelli
previsti nell'allegato II del dlgs 27.03.2006, n. 161.
Mediante la diretta modifica del decreto legislativo in
parola, la legge 134/2012 ha infatti eliminato ogni termine
finale alla deroga in parola, rendendo lecita l'esportazione
verso Paesi diversi da quelli Ue pitture, vernici e prodotti
per carrozzeria con concentrazioni di sostanze pericolose
superiori ai limiti citati.
Recupero vapori benzina. Scattato, invece, il 21.08.2012
per i grandi impianti di distribuzione di benzina l'obbligo
di dotarsi dei nuovi sistemi di recupero dei vapori dei
carburanti emessi in atmosfera durante il rifornimento dei
veicoli.
L'adeguamento ai nuovi sistemi di cd. «Fase II»
(che consentono un recupero dell'85% degli inquinanti) è
imposto attraverso la modifica del dlgs 152/2006 (cd.
«Codice ambientale») dal nuovo dlgs 30.07.2012 n. 125
(G.U. 06.08.2012 n. 182) sia agli impianti autorizzati
dopo 01/01/2012 (c.d. impianti «nuovi») che a quelli
preesistenti ma ristrutturati dopo tale data che hanno un
flusso anno di erogazione di carburante superiore a 500
metri cubi annui (100 se localizzati in prossimità di
edifici residenziali o lavorativi).
L'adeguamento ai sistemi
di «Fase II» sarà obbligatorio (entro però il più lontano
termine finale del 31/12/2018) anche per i vecchi impianti
con flusso superiore a 3000 metri cubi annui. Per tutti gli
altri e diversi impianti di distribuzione è invece
sufficiente un allineamento dei sistemi di recupero
esistenti ai nuovi requisiti di efficienza stabiliti dallo
stesso dlgs 125/2012 (articolo
ItaliaOggi Sette del 03.09.2012). |
VARI:
La telefonata
viaggia via internet.
I vantaggi: niente canone e costi al minuto molto ridotti.
Crescono gli utenti che ricorrono a
Google, Messagenet e
Skype per chiamare verso fissi e cellulari.
Telefonare a basso costo sfruttando la connessione a
internet. Sono in costante aumento gli utenti che per
chiamare o ricevere telefonate verso fissi e cellulari
ricorrono a piattaforme come Skype, Google o Messagenet.
Costi al minuto decisamente inferiori rispetto agli
operatori tradizionali e l'assenza del canone rendono,
infatti, il Voip (Voice over internet protocol) molto
vantaggioso in numerose situazioni come, per esempio, la
necessità di effettuare lunghe telefonate di lavoro o
chiamate all'estero.
Vediamo le offerte degli operatori.
Chiamate Voip in aumento. Secondo una ricerca di TeleGeography, osservatorio di ricerca specializzato nel
mercato delle telecomunicazioni, nel 2011 il traffico delle
chiamate internazionali effettuate attraverso il servizio
Skype to Skype è aumentato del 48% rispetto all'anno
precedente, contro il 4% registrato dagli operatori
telefonici tradizionali. Un fenomeno che, secondo gli
analisti, è destinato a prendere sempre più piede e che
nell'immediato futuro potrebbe soppiantare definitivamente
le chiamate telefoniche tradizionali.
Per questo, gli
operatori si stanno muovendo nel tentativo di limitare i
danni: entro fine anno dovrebbe, infatti, essere lanciata Joyn, una nuova piattaforma per chiamate via internet e
messaggistica istantanea, sponsorizzata dalle maggiori
compagnie telefoniche europee, tra cui Vodafone e Deutsche
telekom.
Le offerte degli operatori. Uno dei maggiori programmi per
parlare via internet è Skype che può essere scaricato
gratuitamente. La compagnia offre diversi pacchetti
tariffari: a consumo in cui il prezzo per una chiamata verso
fissi e cellulari parte da 2,2 centesimi di euro al minuto
oppure con abbonamento mensile che permette di effettuare
chiamate illimitate a partire da 1,02 euro al mese.
Le
chiamate vengono arrotondate al minuto successivo ed è
previsto un costo aggiuntivo legato allo scatto alla
risposta. Skype propone, inoltre, i pacchetti «Senza Limiti
Europa», che prevede chiamate illimitate verso i fissi di 20
paesi europei (articolo
ItaliaOggi Sette del 03.09.2012). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
Le forniture. Spetta al responsabile della spesa il
monitoraggio sugli appalti.
Contratti da aggiornare dopo i limiti agli acquisti.
I decreti sulla spending review comportano per i
responsabili di servizio degli enti locali un percorso con
alcuni passaggi preliminari obbligatori per la corretta
formalizzazione degli acquisti di beni e servizi.
Il soggetto che ha i poteri di spesa deve anzitutto
verificare che il bene o il servizio da acquisire non
rientri tra queste categorie merceologiche: energia
elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete,
combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia
mobile. Perché se vi rientra l'amministrazione deve
approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli accordi
quadro messi a disposizione da Consip e dalle centrali di
committenza regionali di riferimento.
L'ente può comunque esperire proprie procedure di acquisto
utilizzando i mercati elettronici di Consip o delle centrali
regionali.
Il responsabile di servizio può sviluppare anche una
procedura di gara «in proprio», secondo modalità
tradizionali o ricorrendo ad altre centrali di committenza
pubbliche, ma l'affidamento dovrà avvenire a prezzi
inferiori a quelli delle convenzioni di Consip e delle
centrali regionali. E i contratti dovranno contenere una
clausola risolutiva che scatta se sopravvengono convenzioni
centralizzate con prezzi più convenienti.
Per tutte le altre tipologie di beni e servizi, il
responsabile di servizio di un ente locale può sviluppare
un'autonoma procedura di acquisto (sia con gara sia in
economia), ma deve utilizzare i parametri di qualità e
prezzo delle convenzioni Consip come basi d'asta e di
riferimento, in prospettiva migliorativa.
In base al comma 13 dell'articolo 1 del Dl 95/2012 il
responsabile di servizio può recedere da un appalto per beni
o servizi con contratto in essere, se sopravvengono
convenzioni Consip o delle centrali regionali con prezzi più
vantaggiosi (tenendo conto di quanto già eseguito e di
quanto da eseguire) e se l'appaltatore non vuole adeguarsi a
questi prezzi.
La clausola di recesso (che si inserisce automaticamente nei
contratti in corso in base all'articolo 1339 del Codice
civile) deve essere specificata in tutti i contratti di
appalto e ogni patto contrario è nullo.
Il responsabile delle procedure di acquisto deve ricorrere
invece al mercato elettronico della Pa (Mepa), sia di Consip
che delle altre centrali o di altre amministrazioni, per
beni o servizi di valore inferiore alla soglia comunitaria,
in base a quanto previsto dall'articolo 1, comma 450 della
legge 296/2006.
Se l'amministrazione ha strutturato un proprio mercato
elettronico questo diventa lo strumento prioritario di
acquisto per beni e servizi sotto la soglia comunitaria.
Lo sviluppo di procedure di gara sottosoglia o l'affidamento
mediante procedure in economia sono possibili solo per i
beni e i servizi non acquisibili mediante il Mepa (articolo Il Sole 24 Ore
del 03.09.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 03.09.2012 |
|
VARI: Invalidi,
contrassegno europeo. Permessi già rilasciati validi per tre
anni, poi nuovo modello. Lo prevede
un dpr pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Segnaletica
stradale da modificare.
Via libera al nuovo contrassegno
invalidi europeo e alla conseguente necessaria modifica
della segnaletica stradale.
Lo prevede il dpr n. 151 del 30.07.2012 pubblicato sulla
gazzetta ufficiale n. 203 del 31.08.2012.
Il contrassegno per invalidi comunitario è già stato
adottato da tempo da molti stati dell'Unione europea. Con la
riforma stradale del 2010 sono stati eliminati gli ostacoli
normativi all'adozione anche in Italia del nuovo tagliando.
Ora, con il dpr n. 151/2012 (che entrerà in vigore il 15
settembre), viene finalmente disposta la modifica dell'art.
381 del regolamento stradale e l'Italia darà attuazione alla
raccomandazione del consiglio dell'Unione n. 98/376/Ce del 04.06.1998.
Per un periodo transitorio di tre anni i
permessi già rilasciati resteranno validi ma in sede di
rinnovo dovrà essere rilasciato il nuovo modello. I comuni
potranno però fissare tempi inferiori. Sempre entro 3 anni
la segnaletica stradale orizzontale e verticale riguardante
la mobilità delle persone disabili dovrà essere adatta
recependo la rappresentazione grafica e cromatica del nuovo
contrassegno.
Sul modello, di colore azzurro chiaro (con il
simbolo bianco della sedia a rotelle su fondo azzurro
scuro), saranno trascritti e apposti la data di scadenza, il
numero di serie e il nome e il timbro dell'autorità
nazionale che rilascia il contrassegno e nella parte
retrostante, non visibile, il nominativo e la fotografia del
soggetto autorizzato. Il nuovo contrassegno di parcheggio
per disabili sarà rilasciato a chi abbia capacita di
deambulazione sensibilmente ridotta o (e questa è una delle
novità) impedita. Dovrà essere esposto in originale nella
parte anteriore del veicolo in modo che sia chiaramente
visibile per i controlli.
Scaduto il periodo di validità del
contrassegno a tempo determinato potrà esserne emesso uno
nuovo previa ulteriore certificazione medica rilasciata
dall'ufficio medico legale dell'azienda sanitaria locale di
appartenenza con la quale si attesti che le condizioni della
persona invalida danno diritto all'ulteriore rilascio. Per
quanto concerne l'assegnazione a titolo gratuito di uno
spazio di sosta nei casi di particolare invalidità, nelle
zone ad alta densità di traffico, non occorre più che il
titolare del contrassegno sia abilitato alla guida e
disponga di un autoveicolo, ma è necessario che
l'interessato dimostri di non avere la disponibilità di uno
spazio di sosta privato accessibile e fruibile.
I comuni
potranno prevedere la gratuità della sosta per gli invalidi
nei parcheggi a pagamento, qualora risultino già occupati o
indisponibili gli stalli a loro riservati. Inoltre, i comuni
potranno stabilire, anche nelle aree a pagamento gestite in
concessione, un numero di posti destinati alla sosta
gratuita degli invalidi muniti di contrassegno superiore al
limite minimo di un posto ogni cinquanta o frazione di
cinquanta posti disponibili, previsto dal decreto del
presidente della repubblica n. 503 del 24 luglio 1996
(articolo ItaliaOggi dell'01.09.2012). |
CONDOMINIO: Resto
apostrofare condòmini con epiteti poco edificanti.
Apostrofare qualcuno con epiteti poco
edificanti durante una riunione condominiale può configurare
ipotesi di reato (nello specifico il delitto di cui all'art.
594 c.p.):
è quanto emerso nella
sentenza n. 33221/2012 della Corte di Cassazione.
La V Sez. penale ha, infatti, confermato il ragionamento
del giudice di merito, secondo il quale «l'espressione
“architetto del c_.” era stata pronunciata all'indirizzo
della persona offesa [_] in un atteggiamento gratuitamente
astioso e senza che vi fosse stato alcun previo tentativo di
relazionarsi con la controparte in modo da preservarne la
dignità».
È vero –afferma il collegio giudicante– che l'espressione
“che c_.” è entrata nell'uso comune e non ha rilevanza
penale «quando è proferita in posizione di parità rispetto
all'interlocutore»; ciò non toglie, però, che il linguaggio
ingiurioso con il quale l'imputato si era rivolto alla
persona offesa (etichettandolo, nell'ordine, “architetto del c_", “mafioso” ed “evasore fiscale”) veniva esternato
durante una seduta condominiale nella quale il malcapitato,
in rappresentanza del proprio genitore, aveva «soltanto»
insistito per effettuare dei lavori condominiali.
A nulla sono valse le deduzioni del difensore: nullità del
processo di primo grado e degli atti successivi, stante la
ripetuta assenza dell'imputato; vizio di motivazione sul
mancato proscioglimento, essendo state valutate come
elemento di prova di responsabilità anche le dichiarazioni
della persona offesa; mancata applicazione della causa di
non punibilità prevista ex art. 599 c.p..
Per i giudici di legittimità, in realtà, «la presenza di
una situazione patologica cronica legata all'età
dell'imputato [_] non costituisce legittima causa né della
sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato,
né di rinvio del dibattimento per legittimo impedimento a
comparire di quest'ultimo». In merito, poi,
all'inidoneità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa
a «costituire prova di responsabilità», hanno
precisato che quest'ultima «anche costituita parte
civile, partecipa al processo, di regola, in qualità di
testimone e, in tale veste, è tenuta a prestare giuramento
sicché le sue dichiarazioni sono idonee ad essere valutate
come elemento di prova anche a prescindere dalla ricerca e
dalla sussistenza di elementi di prova». Con queste
motivazioni hanno, quindi, dichiarato inammissibile il
ricorso
(articolo ItaliaOggi del 31.08.2012). |
ENTI LOCALI: Unioni, tempi stretti per le regioni.
Per modificare le soglie demografiche c'è tempo fino al 30/09.
Per le aggregazioni dei comuni fino
a 1.000 abitanti il termine scade già il 7 settembre.
Tempi stretti per le regioni che intendono ridefinire le
soglie demografiche minime per le gestioni associate
obbligatorie dei piccoli comuni. In base a quanto previsto
dal dl sulla spending review, infatti, la partita dovrà
chiudersi entro la fine di settembre. Ma per le unioni
«speciali», riservate ai municipi fino a 1.000 abitanti, il
termine scade addirittura fra una settimana.
Come noto, l'art. 19 del dl 95/2012 ha profondamente
modificato la disciplina sull'obbligo di gestione in forma
associata delle funzioni da parte dei comuni di minori
dimensioni (fino a 5.000 abitanti, che scendono a 3.000 per
quelli appartenenti o appartenuti a comunità montane).
In base alle nuove norme, per quanto concerne le funzioni
fondamentali (il cui elenco è stato ridefinito ed ampliato
dal comma 1) l'obbligo riguarda tutti i municipi senza più
la rigida distinzione fra quelli sopra e quelli sotto i
1.000 abitanti.
I primi (1.001-5.000 abitanti) dovranno scegliere fra
l'unione «classica» ex art. 32 del Tuel (anch'esso
parzialmente novellato) e la convenzione (art. 30 del Tuel),
che però dovrà avere durata almeno triennale e conseguire
«significativi livelli di efficacia ed efficienza nella
gestione» certificati dal Viminale (in mancanza dovrà essere
sciolta ed i comuni interessati dovranno confluire in una
unione).
Per i secondi (fino a 1.000 abitanti), oltre alle
precedenti, rimane aperta anche la strada dell'unione ex
art. 16 del dl 138/2011, che di fatto rappresenta una sorta
di «fusione a freddo» obbligando chi ne fa parte a mettere
insieme tutte le funzioni (non solo quelle fondamentali) e
soprattutto il bilancio. Tuttavia, non si tratta più (come
in precedenza) di un obbligo, ma di una mera facoltà.
Per chi opta per i primi due modelli (unione «classica» e
convenzione), la soglia demografica minima è fissata a
10.000 abitanti, salvo diverso limite individuato dalla
regione «entro i tre mesi antecedenti il primo termine di
esercizio associato obbligatorio delle funzioni
fondamentali» (art. 19, comma 31).
Poiché quest'ultimo è fissato dal successivo comma 31-ter all'01.01.2013 (per almeno 3 delle 9 funzioni fondamentali
da associare, mentre per le altre 6 l'obbligo scatterà un
anno dopo), la dead line per le regioni che vorranno (è una
facoltà e non un obbligo) alzare o abbassare la soglia è
fissata al 30 settembre.
Per i mini-comuni che, invece, opteranno per l'unione
«speciale», il minimo scende a 5.000 abitanti, che diventano
3.000 per quelli montani. Tale limite (che peraltro non pare
così perentorio, dato che il nuovo art. 16, comma 4, del dl
138 prevede che esso valga solo «di norma»), può essere
rivisto dalle regioni entro 2 mesi dalla data di entrata in
vigore del dl 95 (7 luglio), ovvero entro il 7 settembre
(art. 19, comma 5).
I governatori interessati ad avversi di tale prerogativa
dovranno, quindi, affrettarsi a decidere. Va detto,
peraltro, che saranno ben pochi i comuni che sceglieranno la
seconda strada, giacché essa comporterà, oltre allo
svuotamento della loro autonomia, anche l'assoggettamento
(dal 2014) al Patto di stabilità interno.
Più importante la scadenza di fine mese, che riguarda una
platea ben più vasta di municipi e che potrebbe interessare
anche quelle regioni (come, ad esempio, la Lombardia e
l'Abruzzo) che hanno già ridefinito le soglie sulla base
della disciplina previgente: il nuovo quadro normativo, in
effetti, potrebbe anche suggerire di rivedere le scelte
fatte in precedenza.
Dopo che le regioni avranno (eventualmente) ridefinito le
soglie (oltre che determinato la dimensione territoriale
ottimale e omogenea per area geografica ed il termine per
l'esercizio in forma associata delle funzioni relative alle
materie di propria competenza), la palla passerà ai comuni,
i quali (se già fanno parte di un'unione) dovranno optare
per una delle soluzioni organizzative illustrate in
precedenza a seconda della fascia demografica di
appartenenza (art. 19, comma 4). Quelli che sceglieranno
l'unione «speciale», inoltre, dovranno, entro il 07.01.2013, formulare una proposta di aggregazione alle regione di
appartenenza.
Stavolta il legislatore sembra fare sul serio: per chi non
rispetterà il timing imposto potranno scattare i poteri
statali sostitutivi
(articolo ItaliaOggi del 31.08.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Comuni, pagelle
a due velocità.
Criteri vincolanti solo per gli enti privi di sistemi di
verifica. La spending review ha un impatto limitato per le
amministrazioni in regola con la valutazione.
I criteri per la valutazione della performance previsti
dall'articolo 5, comma 11 e seguenti, della legge 135/2012 (spending
review) sono da considerare vincolanti solo per le
amministrazioni prive di un sistema di verifica dei
risultati aventi caratteristiche analoghe a quelle disposte
dalla legge. Le altre amministrazioni dovranno adeguare i
sistemi vigenti ai principi desumibili.
Nonostante l'articolo 5, comma 11, della legge 135/2012 sia
formulato con tenore prescrittivi, è evidente la sua
funzione suppletiva e sostitutiva nei confronti delle
amministrazioni inadempienti, che, nonostante le già
preesistenti disposizioni normative e contrattuali, non si
siano ancora dotate di un funzionate sistema di valutazione.
D'altra parte, la previsione contenuta nella spending review
è destinata anche a decadere, perché operante solo «nelle
more dei rinnovi contrattuali» nazionali collettivi e in
attesa dell'applicazione del sistema delle fasce di
valutazione previsto dall'articolo 19 della legge 150/2009.
Per altro, le indicazioni contenute nell'articolo 5, comma
11, non appaiono particolarmente innovative, per gli enti
già in regola coi sistemi di valutazione.
Infatti, per quanto riguarda i dirigenti si lega la
valutazione «al raggiungimento degli obiettivi individuali e
relativi all'unità organizzativa di diretta responsabilità,
nonché al contributo assicurato alla performance complessiva
dell'amministrazione» e anche «ai comportamenti
organizzativi posti in essere e alla capacità di valutazione
differenziata dei propri collaboratori, tenuto conto delle
diverse performance degli stessi». I criteri fissati dalla
spending review sono in tutto e per tutto sovrapponibili a
quelli stabiliti dall'articolo 9, comma 1, lettere da a) a
d) del dlgs 150/2009, che legano la valutazione dei
dirigenti.
La misurazione e la valutazione della performance
individuale dei dirigenti e del personale responsabile di
una unità organizzativa in posizione di autonomia e
responsabilità è collegata «agli indicatori di performance
relativi all'ambito organizzativo di diretta
responsabilità», al «raggiungimento di specifici obiettivi
individuali», alla «qualità del contributo assicurato alla
performance generale della struttura, alle competenze
professionali e manageriali dimostrate» e, infine «alla
capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata
tramite una significativa differenziazione dei giudizi».
Non è innovativa nemmeno l'indicazione secondo la quale gli
obiettivi dei dirigenti debbano essere «predeterminati
all'atto del conferimento dell'incarico» in modo che siano
«specifici, misurabili, ripetibili, ragionevolmente
realizzabili e collegati a precise scadenze temporali».
Identica previsione è contenuta nel combinato disposto
dell'articolo 19, comma 2, del dlgs 165/2001 e nelle
disposizioni dei contratti nazionali collettivi dei diversi
comparti.
Non diversa è la questione relativa alla misurazione e
valutazione della performance individuale del personale non
dirigenziale. La legge 135/2011 conferma che la valutazione
è di competenza dei dirigenti, affermando che essa va messa
in relazione «al raggiungimento di specifici obiettivi di
gruppo o individuali» nonché «al contributo assicurato alla
performance dell'unità organizzativa di appartenenza e ai
comportamenti organizzativi dimostrati». Si tratta, quasi
letteralmente, degli stessi parametri previsti dall'articolo
9, comma 2, lettere a) e b), del dlgs 150/2009.
La previsione realmente innovativa dell'articolo 5 della
legge 135/2001 resta il comma 11-quinquies, che prova a
introdurre una differenziazione nei premi per il risultato.
Infatti, si prevede di assegnare ai dirigenti e al personale
non dirigenziale più meritevoli, in misura comunque non
inferiore al 10% della totalità dei dipendenti oggetto della
valutazione «un trattamento accessorio maggiorato. La
maggiorazione, per un importo compreso tra il 10 e il 30%
del trattamento accessorio medio per categoria di
dipendenti, trova il suo finanziamento nel dividendo di
efficienza», previsto dall'articolo 16, commi 4 e 5, del dl
138/2011, convertito in legge 148/2011.
Dunque, il tentativo di introdurre un sistema per «fasce» o,
comunque, una premialità maggiore per una limitata parte dei
dipendenti, passa necessariamente attraverso le misure di
ulteriore risparmio oltre a quelle imposte dalle leggi, che
consentono di investirle per il 50% nel sistema di
valutazione. Solo presso quei pochissimi enti che si siano
avventurati in tagli e risparmi aggiuntivi a quelli
draconiani imposti dalla stessa legge 135/2012, dunque,
potrebbe dipanare pienamente i suoi concreti effetti
innovativi l'articolo 5, comma 11 e seguenti, che, in caso
contrario, resta solo una norma tesa ad obbligare gli enti
inadempienti a dotarsi di un sistema di valutazione
(articolo ItaliaOggi del 31.08.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Nei
contratti decentrati relazioni su qualità dei servizi e
performance.
La legittimità rispetto alle indicazioni dettate dai
contratti nazionali e la prospettazione delle conseguenze
che si vogliono raggiungere in termini di qualità dei
servizi sulla base delle scelte contenute nel piano delle
performance: sono questi gli elementi che devono essere
inseriti nelle relazioni illustrative e tecnico-finanziarie
da allegare ai contratti collettivi decentrati integrativi e
da pubblicare sul sito internet, nella pagina dedicata alla
trasparenza. Una particolare attenzione nella compilazione
di queste documenti deve inoltre essere dedicata alla
costituzione e ripartizione fondo per la contrattazione
decentrata.
La circolare della ragioneria generale dello
stato n. 25, redatta d'intesa con il dipartimento della
funzione pubblica, riassume gli elementi essenziali che
devono essere contenuti in tale documento. Siamo in
presenza, occorre subito premetterlo, di un vincolo diretto
a tutte le p.a. e che si applica ai contratti decentrati che
sono stati stipulati, anche solo come pre-intesa, a partire
dalla fine dello scorso mese di luglio, cioè dalla
pubblicazione delle circolare.
Le relazioni devono essere redatte dagli uffici dell'ente,
la soluzione migliore è senza dubbio che i dirigenti del
personale preparino quella illustrativa e i dirigenti del
settore finanziario quella tecnico-finanziaria. Tali
documenti devono essere attestati dal collegio dei revisori
dei conti prima della pubblicazione: ovviamente questo
organismo può richiedere tutte le integrazioni e
modificazioni che ritiene opportuno e ha il potere/dovere di
segnalare le eventuali anomalie che riscontra. Le
informazioni sono per molti aspetti sovrapponibili tra le
due relazioni, in particolare per le parti riguardanti la
costituzione del fondo e la sua ripartizione.
È evidente l'attenzione che si è voluto così dedicare a
questo aspetto: esso viene monitorato sia per dimostrare che
la composizione è avvenuta in modo da rispettare le regole
dettate dai contratti nazionali e, quindi, così da evitare
l'inserimento di risorse in modo aggiuntivo, sia per dare
conto della sua ripartizione e del volume delle risorse
considerate. Attraverso l'illustrazione dell'utilizzazione
del fondo si persegue un duplice obiettivo, da un lato
dimostrare il rispetto delle regole dettate dai contratti
nazionali e dall'altro spiegare ai cittadini le finalità che
si vogliono perseguire in termini di miglioramento della
qualità dei servizi.
È questo un elemento del tutto innovativo: fino a oggi i
dipendenti e i dirigenti delle p.a. si sono infatti mossi
sulla base di una logica autoreferenziale. La pubblicazione
sul sito internet di queste informazioni apre invece la
porta a una forma di controllo diffuso, mirata a verificare
l'effettivo impatto dei contratti sulla qualità dei servizi.
Per cui lo stanziamento di risorse per il turno dovrà essere
spiegato con l'esigenza di garantire che un dato servizio
possa essere erogato per un orario più lungo, senza
interruzioni e in modo da comprendere anche le giornate
festive.
L'erogazione della reperibilità serve così alla
remunerazione dell'impegno aggiuntivo richiesto ai
lavoratori per garantire la possibilità di interventi
immediati nei casi un cui ve ne fosse la necessità. E, in
modo ancora più significativo, l'erogazione delle
incentivazioni per la produttività dovrà essere accompagnata
dalla indicazione degli obiettivi assegnati e del loro grado
di raggiungimento
(articolo ItaliaOggi del 31.08.2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Vigili,
sì al cumulo dei compensi nei festivi infrasettimanali.
L'operatore di polizia municipale che presta servizio in
turno ha diritto a un riconoscimento aggiuntivo in caso di
prestazione effettuata in un giorno festivo
infrasettimanale, al di fuori del normale orario di lavoro.
Nessuna disposizione di legge vieta infatti la cumulabilità
dei compensi previsti dagli articoli 22 e 24 del contratto.
Lo ha chiarito il Sindacato autonomo della polizia locale (Siapol)
con una
nota datata agosto 2012.
La questione del turno
festivo infrasettimanale dei vigili è controversa e gli
orientamenti comunali non univoci. In caso di organizzazione
in turni, infatti, secondo un consolidato orientamento
l'agente di pm non potrebbe percepire alcun emolumento
ulteriore rispetto all'indennità di turnazione. Ma in caso
di prestazione lavorativa effettuata in turno in un giorno
festivo infrasettimanale la questione è ancora più
complessa.
Alcuni comuni valutano infatti tale attività non
come una prestazione ordinaria ma come una diversa
fattispecie che dà luogo alla possibilità per il lavoratore
di fruire, al pari di ogni altro dipendente, del riposo
compensativo corrispondente alla festività non goduta o del
trattamento alternativo, ossia il compenso per lavoro
straordinario festivo. Altri enti, invece, riconoscono in
questa ipotesi la possibilità di fruire del riposo
compensativo e della maggiorazione prevista dall'art. 24 del Ccnl 2000.
Diverse amministrazioni, infine, considerano il
servizio svolto in un turno ricadente in una festività
infrasettimanale alla stessa stregua di quello svolto in una
qualsiasi domenica in cui sia previsto il turno e quindi
riconoscendo una piccola maggiorazione oraria ma senza
l'applicazione del riposo compensativo e dello
straordinario. Per cercare di fare chiarezza sulla delicata
materia il Siapol ha diramato in questi giorni
un'interessante circolare. Innanzitutto i due istituti,
ovvero turno e riposo compensativo, si riferiscono a due
fattispecie diverse, disciplinate rispettivamente dagli
artt. 22 e 24 del Ccnl, e nessuna disposizione normativa ne
vieta la cumulabilità.
Secondo la Cassazione, specifica il sindacato, nel caso di
lavoro in turni la mancata fruizione del riposo compensativo
determina automaticamente l'applicazione della maggiorazione
prevista dall'art. 24 del contratto. In buona sostanza tutto
si gioca su un fraintendimento di base. Nel caso di
festività infrasettimanale il debito orario di tutti i
dipendenti comunali viene ridotto di una giornata. Questa
regola deve valere anche per i vigili che sono inseriti in
turni di servizio programmati.
Per il personale in divisa che lavora nella giornata festiva
infrasettimanale andrà quindi previsto un giorno di riposo
compensativo da aggiungere al riposo settimanale. Spetterà
al lavoratore rinunciare eventualmente al riposo per
usufruire di un compenso straordinario. Fermo restando che
anche il lavoratore che decide di effettuare il recupero
compensativo ha diritto comunque a una maggiorazione per
lavoro festivo
(articolo ItaliaOggi del 31.08.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Consigli con odg
diversi.
Argomenti differenti per le due convocazioni.
Il numero legale può mancare in corso di
seduta dopo aver esaminato alcuni punti.
È regolare lo svolgimento di una seduta consiliare, il cui
ordine del giorno includeva argomenti di prima e di seconda
convocazione se, a seguito di accertata mancanza del numero
legale, i lavori venivano fatti proseguire per la
trattazione dei soli argomenti di seconda convocazione?
L'art. 38, comma 2, del Tuel n. 267/2000 demanda la
disciplina del funzionamento del consiglio comunale al
regolamento consiliare che, nell'ambito dei principi
stabiliti dallo statuto, stabilisce anche le modalità per la
convocazione e per la presentazione e la discussione delle
proposte. Lo stesso comma 2 del citato art. 38 prevede che
il regolamento indichi il numero dei consiglieri necessario
per la validità delle sedute, prescrivendo come unico limite
la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per
legge all'ente.
Nella fattispecie, il regolamento consiliare del comune
disciplina le sedute di prima e seconda convocazione
prevedendo, per la validità della seduta di prima
convocazione, la presenza di almeno la metà dei consiglieri
assegnati al comune e stabilendo che, qualora in corso di
seduta si accerti che il numero dei consiglieri sia
inferiore a quello necessario, il presidente dichiara
deserta la stessa «per gli argomenti a quel momento rimasti
da trattare».
La norma regolamentare richiede inoltre, per la validità
della seduta di seconda convocazione, che intervengano
almeno un terzo dei membri del consiglio e prevede che «la
seduta che segue ad una prima iniziatasi col numero legale
dei presenti ed interrotta nel suo corso per essere venuto
meno il numero minimo dei consiglieri, è pure di seconda
convocazione per gli affari rimasti da trattare nella
prima».
Le richiamate disposizioni regolamentari, in particolare per
quel che concerne il numero minimo di consiglieri presenti
alle sedute, sono coerenti con le previsioni di legge.
Sulla problematica sollevata il Tar Campania, seppur con una
risalente sentenza del 12.12.1985, n. 397, ha ritenuto che «perché
possa parlarsi di seduta di seconda convocazione, non è
necessario che la mancanza del numero legale si sia
verificata a inizio di seduta ma può anche constatarsi in
corso di seduta. In tali casi occorrerà tener presente che
non si avrà seduta di seconda convocazione per quegli
oggetti che siano stati rinviati oppure discussi ma non
deliberati, mentre si avrà seduta di seconda convocazione
per quei punti dell'ordine del giorno che non è stato
possibile trattare a causa della sopravvenuta mancanza del
numero legale».
Pertanto, si ritiene che la procedura adottata dall'ente sia
conforme alle previsioni regolamentari
(articolo ItaliaOggi del 31.08.2012). |
VARI:
Autovelox, bacchettati i comuni con troppi box.
Negli armadietti posizionati a bordo
delle strade possono essere posizionati solo misuratori di
velocità omologati e compatibili con i manufatti di
contenimento. Ma senza il decreto del prefetto serve sempre
la presenza della pattuglia per accendere l'autovelox e
fermare i trasgressori che sfrecciano davanti ai vigili.
Lo ha chiarito la prefettura di Bergamo con la circolare
26.04.2012 n. 733 di prot., solo ora resa nota.
La questione dei box porta autovelox sta diventando molto
comune nei tratti stradali urbani. I sindaci hanno infatti
preso alla lettera le ultime modifiche del codice stradale e
disseminato le loro strade di armadietti che effettivamente
inducono i conducenti a moderare la velocità almeno in
prossimità dei misuratori.
L'uso effettivo dell'autovelox però nella generalità dei
casi deve avvenire con la presenza costante della pattuglia
che a parere dell'ufficio territoriale del governo di
Bergamo deve essere composta da almeno due operatori di
polizia stradale “che devono procedere alla contestazione
immediata delle violazioni”.
A dire il vero questo obbligo di fatto risulta ampiamente
superato dalla previsione normativa che ammette tra le cause
della mancata contestazione l'impiego di strumenti di
controllo in grado di immortalare il trasgressore troppo
tardi, a veicolo già transitato.
E anche la cassazione si è decisamente allineata a questa indicazione
lasciando intendere che la contestazione immediata delle
infrazioni per eccesso di velocità ormai appartiene al
passato. La prefettura evidenzia anche che all'interno di
questi manufatti devono “essere collocati esclusivamente
misuratori di velocità omologati e compatibili, sulla base
delle caratteristiche tecniche descritte nel manuale d'uso,
con il particolare tipo di box di contenimento”
(articolo ItaliaOggi del 30.08.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Passi carrabili, deroghe limitate. Distanze
inferiori ai 12 metri solo per gli accessi ante 1993.
Parere del ministero delle infrastrutture e
trasporti sui margini d'intervento dei comuni.
Per i passi carrabili i Comuni possono stabilire distanze
inferiori ai dodici metri dalle intersezioni solo per gli
accessi già esistenti prima del 1993. E non per tutti gli
accessi vige l'obbligo di posizionare il segnale con il
divieto di sosta.
Lo ha precisato il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti con un parere del 20.03.2012, da poco reso noto.
Il nuovo codice della strada e il regolamento di esecuzione
e attuazione, entrati in vigore l'01.01.1993, hanno previsto
per la realizzazione e l'apertura dei passi carrabili regole
differenti rispetto a quelle contenute nel vecchio testo
unico sulla circolazione stradale del 1959. L'art. 46, comma
2, del regolamento stabilisce per la realizzazione dei passi
carrabili una distanza di almeno dodici metri dalle
intersezioni.
Però, il successivo comma 6 prevede che i Comuni hanno la
facoltà di autorizzare distanze inferiori per i passi
carrabili già esistenti prima del 1993, qualora sia
tecnicamente impossibile procedere all'adeguamento imposto
dall'art. 22, comma 2, del codice della strada. Al riguardo,
il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il
parere del 20.03.2012, fa alcune importanti precisazioni.
La prescrizione relativa alla distanza dall'intersezione ha
carattere generale, senza specifiche relative al tipo di
strada, alla densità di traffico e alla geometria del passo
carrabile. La distanza deve essere calcolata a partire
dall'area di intersezione fino al margine più vicino del
manufatto che costituisce il passo carrabile e non dalla
mezzeria o da latri punti del manufatto stesso.
Fra i passi carrabili preesistenti rientrano anche le
aperture con regolare autorizzazione edilizia; ma non tutti
gli accessi sono anche passi carrabili. Secondo il
Ministero, infatti, sono da considerare passi carrabili
quelli definiti dall'art. 44, comma 4, del decreto
legislativo n. 507 del 15.11.1993, cioè i manufatti
costituiti generalmente da listoni di pietra od altro
materiale o da appositi intervalli lasciati nei marciapiedi
o, comunque, da una modifica del piano stradale intesa a
facilitare l'accesso dei veicoli alla proprietà privata.
Invece, vanno annoverati fra gli accessi carrabili i varchi
che, pur assolvendo alla stessa funzione dei passi
carrabili, sono posti al livello della strada e sono
realizzati senza un'opera visibile che renda concreta
l'occupazione e certa la superficie sottratta all'uso
pubblico. E solo per i passi carrabili vige l'obbligo di
apporre il segnale con il divieto di sosta.
Altro chiarimento infine con riferimento specifico ai passi
carrabili realizzati dopo l'01.01.1993; infatti, il
Ministero evidenzia che la distanza dalle intersezioni non è
derogabile con regolamento comunale, fatti salvi i casi
previsti dall'art. 22, comma 9, del codice della strada, in
sostanza nel caso di modifiche stradali intervenute per
costruzione di opere di pubblica utilità e realizzazione di
nuove intersezioni
(articolo ItaliaOggi del 30.08.2012). |
VARI: Autovelox
ok se visibili e segnalati.
Gli strumenti autovelox presidiati dalla polizia municipale
possono essere utilizzati su qualunque tratto stradale anche
senza necessità di contestazione immediata. Purché gli
impianti siano ben visibili, preventivamente segnalati e gli
agenti operino nell'ambito del territorio di competenza.
Lo ha ribadito il Ministero dei trasporti con il parere n.
734/2012.
Un comune ha richiesto chiarimenti sulle modalità operative
da adottare per l'espletamento dei servizi di controllo
elettronico della velocità. Qualora presidiati dagli organi
di polizia stradale, specifica la nota centrale, «i
dispositivi misuratori di velocità debitamente approvati
possono essere installati e impiegati su strade di qualunque
tipo nell'ambito del territorio comunale di competenza,
senza ulteriori formalità».
Come specificato anche dalla più recente giurisprudenza
(Corte di cassazione, sez. II civ., sentenza n. 484/2012) il
dl 121/2002, convertito nella legge 168/2002, non pone una
generalizzata esclusione dell'uso delle apparecchiature
elettroniche di rilevamento al di fuori delle strade prese
in considerazione «ma lascia, per contro, in vigore,
relativamente alle strade diverse da esse, le disposizioni
che consentono tale utilizzazione ma con l'obbligo della
contestazione immediata, salve le eccezioni espressamente
previste dall'art. 201, comma 1-bis, cod. strada».
In pratica la polizia municipale può tranquillamente
installare gli strumenti autovelox dove ritiene opportuno e
attivarli sotto il suo controllo, anche senza fermo del
veicolo, semplicemente evidenziando nel verbale una delle
ragioni che renda ammissibile la contestazione differita
dell'infrazione. Tra queste giustificazioni spicca quella
dell'impiego di uno strumento elettronico che permetta
l'accertamento solo contestualmente al passaggio del
trasgressore.
Circa la capacità di intervento dei vigili urbani su una
strada statale fuori centro abitato non c'è nessun dubbio.
La polizia municipale ha competenza estesa a tutte le strade
del territorio comunale con la sola eccezione delle
autostrade. Per questo motivo valgono gli accertamenti
svolti dai vigili in materia di circolazione stradale fuori
e dentro al centro abitato. Ma attenzione alla segnalazione
e alla visibilità dell'autovelox. Conclude infatti il
ministero evidenziando la necessità della massima
trasparenza
(articolo ItaliaOggi del 28.08.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Un
rebus normativo sul Sistri. Alla fine, contributo sospeso.
Il decreto con le semplificazioni alle procedure Sistri
(25.05.2012, n. 141, Gazzetta Ufficiale 196 del 23.08.2012)
stabilisce che «per l'anno 2012 il pagamento del
contributo deve essere effettuato entro il 30 novembre»
(si veda ItaliaOggi del 25/08/2012). Ma nel leggere il
decreto (firmato dal ministro dell'ambiente a maggio)
bisogna tener conto di quanto del dl 83/2012, convertito
nella legge 134/2012, che dispone la sospensione del termine
di operatività del Sistri e dei conseguenti adempimenti per
le imprese.
L'art. 52, comma 1, della legge n. 134 prevede, infatti, che
il termine di entrata in operatività del Sistri è sospeso
(...) non oltre il 30.06.2013, unitamente a ogni adempimento
informatico relativo. Il successivo comma 2 dispone, che «con
decreto del ministro dell'ambiente è fissato il nuovo
termine per l'entrata in operatività del Sistri e, sino a
tale termine (...) è altresì sospeso il pagamento dei
contributi dovuti dagli utenti per l'anno 2012».
In base al dl, la sospensione del Sistri va a braccetto con
la sospensione del pagamento del contributo.
Ma perché il decreto ministeriale del 25.05.2011
introduce inutilmente il termine del 30 novembre? La ragione
è in un comunicato stampa del 20 aprile del ministero
dell'ambiente che annuncia che lo stesso «sta procedendo a
una revisione del sistema Sistri in modo da semplificare e
rendere più efficienti le procedure» e «nell'ambito di
questo lavoro (_) è stato concordato un differimento al
30.11.2012 del termine per il pagamento dei contributi per
l'anno in corso, che scadeva il 30 aprile prossimo».
Il termine del 30 novembre è stato, quindi, inserito nel dm
del 25 maggio. Per effetto però dell'art. 52, comma 2 della
legge n. 134, l'entrata in operatività del Sistri sarà
affidata a un nuovo decreto ministeriale, che rimuoverà
anche la sospensione del pagamento del contributo. A meno
che non intervenga in materia una nuova legge che possa
superare quanto disposto dall'art. 52, comma 2 citato
(articolo ItaliaOggi del 28.08.2012). |
VARI:
Fotovoltaico,
bonus con distinguo.
Incentivi differenziati per kWh ceduti o autoconsumati.
Ai blocchi di partenza la tariffa relativa al
quinto conto energia: serve la preiscrizione ai registri.
Nuova tariffa incentivante per gli impianti fotovoltaici
allacciati con differenze a seconda che l'energia prodotta
venga autoconsumata o ceduta in rete, necessaria
preiscrizione in appositi registri a eccezione di impianti
con potenza inferiore a 12 kW, quelli oltre i 12 kW ma non
oltre i 20 kW seppur con una riduzione dell'incentivo del
20% o quelli fino a 50 kW laddove sostituiscano tetti in
amianto.
Tariffe migliorative, infine, per impianti con determinate
caratteristiche innovative e premi aggiuntivi sulla tariffa
incentivante per impianti con moduli e gruppi di conversione
prodotti in paesi Ue o che abbiano sostituito tetti in
eternit o amianto.
Sono le principali novità del quinto
conto energia così come da decreto ministeriale del 5 luglio
entrate, in vigore dal 27.08.2012.
Resta l'incognita delle risorse messe a disposizione dal
governo (6,7 miliardi di euro di incentivi) che potrebbero
terminare molto prima dei cinque semestri previsti dal
decreto: la corsa contro il tempo è appena iniziata.
La nuova tariffa: omincomprensiva o premiale. A partire
dalla data odierna, il meccanismo della tariffa incentivante
subirà forti cambia-menti rispetto al passato. Il decreto
ministeriale del 5 luglio infatti ha diviso la stessa in due
grandi blocchi: la omnicomprensiva e la premiale. Mentre nel
primo caso trattasi di una tariffa comprensiva della
rivendita dell'energia prodotta a un prezzo fisso oltre che
della tariffa incentivante, nel secondo si fa riferimento a
un premio per l'energia prodotta consumata dall'utente alla
quale si dovrà evidentemente sommare il risparmio per il
mancato acquisto della stessa (si veda la tabella in
pagina).
Da ciò deriva un chiaro vantaggio per tutti coloro
che intendano consumare l'energia prodotta vale a dire per i
piccoli impianti domestici o per quelli sopra i fabbricati
di imprese industriali il cui fine ultimo non è certo quello
di rivendere energia quanto di consumarla. Tenendo a mente
che acquistare energia ha un costo medio che si aggira
intorno ai 20 centesimi per KWh e che l'incentivo di un
impianto di 5 kW è pari a 11,4 centesimi, si avrebbe un
beneficio totale di 31,4 centesimi, somma quest'ultima ben
maggiore rispetto ai 19,6 centesimi previsti dalla tariffa
omnicomprensiva.
Va da sé dunque che, per impianti non
eccessivamente grandi il periodo di payback dell'impianto
sarà molto più basso nel primo piuttosto che nel secondo
caso: la realizzazione di un grande impianto fotovoltaico
invece, seppur vanterà una tariffa incentivante più bassa,
godrà di un prezzo di realizzazione per kW molto più
conveniente il che renderebbe l'investimento ugualmente
attraente o, addirittura, di maggior appeal.
L'iscrizione in appositi registri. L'altra importante novità
del quinto conto energia riguarda la preiscrizione in
appositi registri per l'installazione di nuovi impianti
fotovoltaici. Anche sotto tale aspetto, il nuovo conto
energia sembrerebbe agevolare fortemente gli impianti di
piccola taglia a discapito di quelli più grandi: al fine
dell'ottenimento degli incentivi infatti, la prescrizione
non sarà obbligatoria solamente per coloro che intendano
allacciare un impianto con potenza minore di 12 kW, per
coloro il cui impianto abbia una potenza maggiore di 12 kW
ma non superiore a 20 kW e che, allo stesso tempo, rinuncino
al 20% degli incentivi previsti e in ultimo, per coloro i
cui impianti raggiungano una potenza fino a 50 kW ma che
vadano a sostituire tetti in amianto.
Coloro invece che dovranno effettuare la suddetta
preiscrizione, si troveranno di fronte a delle importanti
limitazioni. Il decreto evidenzia infatti un limite
quantitativo ed uno temporale: quello quantitativo prevede
che il primo registro avrà un limite di costo di 140 milioni
di euro, il secondo di 120 milioni ed i successivi di 80
milioni sino al limite di costo del quinto conto energia
(700 milioni). Il limite temporale invece fa riferimento al
fatto che ciascun registro potrà essere aperto non prima di
sei mesi dall'apertura del precedente.
Sulla base di tali limitazioni, diventerà dunque
fondamentale conoscere i criteri di priorità con cui
accedere alle graduatorie. Nell'ordine, impianti su edifici
con classe energetica D o superiore in sostituzione di
coperture in eternit o amianto, impianti su edifici con
classe energetica D o superiore, impianti su edifici in
sostituzione di coperture in eternit o amianto, impianti che
utilizzino componentistica Ue/See, impianti realizzati in
siti contaminati, impianti realizzati su terreni del demanio
militare, impianti realizzati in discariche esaurite, in
cave dismesse, su miniere esaurite, impianti con potenza
sino a 200 kW asserviti ad attività produttive, impianti
realizzati nell'ordine su edifici, su serre, su pergole, su
tettoie, su pensiline e su barriere acustiche (articolo ItaliaOggi
Sette del 27.08.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
SICUREZZA
LAVORO:
La cartella
sanitaria è d'obbligo.
Rischia l'arresto il medico che non inserisce e aggiorna i
dati. Lo prevede il T.u. sicurezza
per i lavoratori esposti a rischio. Prima scadenza il 30.06.2013.
Rischia l'arresto il medico competente che non istituisce,
aggiorna e custodisce la cartella sanitaria e di rischio con
riferimento ai singoli lavoratori. È entrato in vigore il 25
agosto il decreto 09.07.2012 che individua i contenuti
della cartella sanitaria e le modalità di trasmissione
annuale al servizio sanitario da parte dei medici
competenti, come previsto dall'articolo 40 del Tu sicurezza
(dlgs n. 81/2008).
Per un anno, tuttavia, vigerà un periodo transitorio che
sposta la scadenza del termine della prima trasmissione dei
dati (relativi al 2012) dal 31 marzo (termine ordinario) al
30 giugno 2013, e sospende la sanzione a carico dei medici
inadempienti (da 1.000 a 4 mila euro).
Il medico competente. Il T.u. sicurezza definisce «medico
competente» il medico in possesso di uno di titoli e
requisiti, formativi e professionali indicati dallo stesso
T.u., nominato dal datore di lavoro per effettuare la
sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti
previsti dalla disciplina della sicurezza sul lavoro; nonché
per collaborare (sempre con il datore di lavoro) ai fini
della valutazione dei rischi.
In primo luogo, dunque, il
medico competente è tenuto a collaborare con il datore di
lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla
valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione,
se necessario, della sorveglianza sanitaria, alla
predisposizione della attuazione delle misure per la tutela
della salute ed integrità psico-fisica dei lavoratori,
all'attività di formazione e informazione nei confronti dei
lavoratori, per la parte di competenza, e all'organizzazione
del servizio di primo soccorso considerando i particolari
tipi di lavorazione ed esposizione e peculiari modalità
organizzative del lavoro.
La sorveglianza sanitaria. Il medico competente, inoltre,
deve programmare ed effettuare la sorveglianza sanitaria in
azienda, attraverso protocolli sanitari definiti in funzione
dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli
indirizzi scientifici più avanzati. A tal fine, deve
istituire, aggiornare e custodire, sotto la propria
responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni
lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria.
Tale
cartella è conservata con salvaguardia del segreto
professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per
l'esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione
dei relativi risultati, presso il luogo di custodia
concordato al momento della nomina del medico competente.
Alla cessazione dell'incarico professionale, è tenuto a
consegnare al datore di lavoro la documentazione sanitaria
in suo possesso, nel rispetto delle disposizioni sulla
privacy (dlgs n. 196/2003), e con salvaguardia del segreto
professionale.
Mentre alla cessazione del rapporto di lavoro
deve consegnare al lavoratore copia della cartella sanitaria
e di rischio, e deve fornirgli le informazioni necessarie
relative alla conservazione della medesima. L'originale
della cartella di rischio e sanitaria va conservata, nel
rispetto della privacy, da parte del datore di lavoro, per
almeno dieci anni, salvo il diverso termine previsto da
altre disposizioni del T.u. ... (articolo
ItaliaOggi Sette del 27.08.2012). |
aggiornamento al 27.08.2012 |
|
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Nell'agenda di Palazzo Chigi.
Previsto anche il rafforzamento della
valutazione.
Statali, arriva la nuova stretta con riforma
Fornero e mobilità
SINDACATI IN ALLARME/ Le organizzazioni
chiedono al Governo di chiarire se
nell'agenda per la crescita c'è un altro
giro di vite sul pubblico impiego.
Mobilità, rafforzamento dei sistemi di
valutazione delle performance. E,
soprattutto, armonizzazione della riforma
Fornero sul lavoro con quella del pubblico
impiego entro la fine del'anno. Su queste
coordinate, in parte tracciate dalla prima
fase di spending review, dovrà essere
orientata la partita sul pubblico impiego.
Che è già considerata una delle più delicate
d'autunno. Anche se il ministro della
Pubblica amministrazione, Filippo Patroni
Griffi, continua a garantire che non sarà
alcun intervento invasivo. Ma la
riorganizzazione degli statali resta un
punto fermo anche nell'agenda del governo,
che è stata stilata venerdì dal premier
Mario Monti, alla fine di un lungo Consiglio
dei ministri. E i sindacati sono in allarme.
«Nell'agenda sulla crescita c'è
un'ulteriore stretta sugli statali che non
comprendiamo bene», afferma il leader
della Cisl, Raffaele Bonanni. Che aggiunge:
l'armonizzazione della riforma del mercato
del lavoro privato con quella del lavoro
pubblico, ribadita dal Consiglio dei
ministri di venerdì, «va chiarita fino in
fondo nel confronto tra governo e sindacati».
La tensione, insomma, sale. Fp-Cgil, Uil-Fpl,
Uil-Pa e Ugl hanno già indetto per il 28
settembre lo sciopero generale nel pubblico
impiego (al quale non aderisce la Cisl)
contro le misure contenute nella prima
spending review. Che, tra l'altro,
prevedono la riduzione degli organici (-20%
per i dirigenti e -10% per gli altri
dipendenti) con la creazione, secondo le
stime del governo, di 24mila esuberi.
Ma secondo la Cgil il numero degli esuberi
sarà sensibilmente superiore ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.08.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI - ATTI
AMMINISTRATIVI:
P.a., trasparenza solo a cose fatte. Per
contributi sopra i 1.000 dati online a contratto siglato.
L'obbligo non sembra potersi
applicare prima che il provvedimento amministrativo sia
formato.
Le pubbliche amministrazioni che erogano
somme superiori a 1.000 euro a titolo di contratti o
contributi di qualunque tipo, devono far precedere queste
erogazioni dalla pubblicazione sul proprio sito internet di
una serie di informazioni tra le quali il nome del
beneficiario e i suoi dati fiscali; la norma o il titolo a
base dell'attribuzione; l'ufficio e il funzionario o
dirigente responsabile del relativo procedimento
amministrativo.
Se non vengono rispettate queste regole, le erogazioni sono
illegittime e ne va di mezzo, a titolo di responsabilità
patrimoniale, il funzionario che non le ha fatte rispettare.
Le nuove regole previste dal decreto sviluppo scatteranno
dall'01.01.2013. Ma le amministrazioni ancora non sanno se
la pubblicazione va effettuata prima ancora di formare il
provvedimento amministrativo alla base dell'erogazione del
contributo o subito dopo.
A partire dall'01.01.2013, la norma sulla cosiddetta «amministrazione
aperta» introdotta dal dl 83/2012, convertito in legge
134/2012 introduce un nuovo adempimento burocratico
(nonostante sia qualificata come norma di semplificazione)
di fondamentale importanza per la legittimità dei
procedimenti amministrativi. Il primo periodo del comma 5
dell'articolo 18 del «decreto sviluppo» stabilisce
infatti che «a decorrere dall'01.01.2013, per le
concessioni di vantaggi economici successivi all'entrata in
vigore del presente decreto-legge, la pubblicazione ai sensi
del presente articolo costituisce condizione legale di
efficacia del titolo legittimante delle concessioni e
attribuzioni di importo complessivo superiore a 1.000 euro
nel corso dell'anno solare previste dal comma 1, e la sua
eventuale omissione o incompletezza è rilevata d'ufficio
dagli organi dirigenziali e di controllo, sotto la propria
diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e
contabile per l'indebita concessione o attribuzione del
beneficio economico».
Quanto stabilisce la norma apparentemente è chiaro. Ma si
pone, invece, il problema di stabilire quando, in realtà, la
pubblicazione vada effettuata, se cioè prima ancora di
formare il provvedimento amministrativo alla base della
stipulazione del contratto o dell'erogazione del contributo
o dopo.
Non è una questione di poco conto, perché i dati da inserire
nel portale delle amministrazioni, ai sensi del comma 2
dell'articolo 18 sono parecchi: a) il nome dell'impresa o
altro soggetto beneficiario e i suoi dati fiscali; b)
l'importo; c) la norma o il titolo a base dell'attribuzione;
d) l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del
relativo procedimento amministrativo; e) la modalità seguita
per l'individuazione del beneficiario; f) il link al
progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato,
nonché al contratto e capitolato della prestazione,
fornitura o servizio.
Molti degli elementi richiesti sono ricavabili dal
provvedimento a contrattare o finalizzato alla concessione
del contributo, ma ovviamente il contratto sarà disponibile
solo una volta conclusa la fase di individuazione del
contraente.
Letteralmente, la disposizione prevede che la pubblicazione
prevista sia condizione legale di efficacia del titolo
legittimante. Si deve intendere per titolo legittimante
appunto il contratto o l'atto di regolazione del contributo
concesso.
Pare necessario, allora, concludere che l'amministrazione
possa legittimamente andare avanti con la procedura di gara
o di selezione del destinatario del contributo senza
pubblicare alcun dato fino alla stipulazione del contratto o
dell'atto convenzionale che legittima l'erogazione (si
ricorda che i provvedimenti a contrattare o che acconsentano
all'erogazione costituiscono meri atti interni e non sono
titoli validi per far suscitare il rapporto obbligatorio col
destinatario).
L'adempimento della pubblicazione, dunque, appare potersi e
doversi effettuare subito dopo la stipulazione del contratto
o la formazione di altro titolo per l'erogazione
(convenzione che disciplini l'erogazione di contributi, ad
esempio). Solo una volta formatosi il «titolo»,
infatti, la sua efficacia può risultare «condizionata».
Poiché la pubblicazione prevista dall'articolo 18 del
decreto sviluppo è una condizione di efficacia, il dirigente
o il responsabile del procedimento materialmente non potrà,
nel caso di contratti ad esempio, ordinare l'avvio della
prestazione, se non si sia provveduto alla pubblicazione.
Si comprende, dunque, che l'onere burocratico ricadrà
prevalentemente, a seconda di come sono organizzati gli
enti, o sugli uffici che gestiscono in modo accentrato
l'attività contrattuale; oppure su ciascun responsabile del
procedimento, se la scelta organizzativa è quella di
decentrare la gestione (articolo
ItaliaOggi del 25.08.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Stretta Ue sulla raccolta dei rifiuti
elettrici.
Aumentato l'obiettivo di raccolta dei
Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee):
entro l'anno 2016 bisognerà raccogliere 45 tonnellate di
Raee per ogni 100 di nuovi apparecchi elettronici immessi
sul mercato. Dal 2019, l'obiettivo verrà ulteriormente
innalzato a 65 tonnellate su 100.
Questo è quanto prevede, la
DIRETTIVA 2012/19/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
del 04.07.2012 pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale
dell'Unione europea L 197/38 del 24.07.2012. Il
provvedimento è entrato in vigore dal 13 agosto. Le nuove
regole europee hanno presentato un nuovo modo di calcolare i
tassi di raccolta, non più basati sui classici chilogrammi
per abitante.
È invece valida la quantità di rifiuti raccolti considerando
la media delle apparecchiature nei tre anni precedenti.
Altra novità introdotta dalla direttiva comunitaria, il
cosiddetto ritiro «uno contro zero» per i rifiuti
elettronici di piccole dimensioni. I vari distributori
devono in sostanza provvedere al ritiro gratuito degli
apparecchi anche in assenza di un prodotto nuovo equivalente
(ritiro «uno contro uno»).
Gli stati membri avranno 16 mesi di tempo per adeguarsi alle
novità, che dovranno essere recepite entro il 14.02.2014
allorquando scatterà l'abrogazione della direttiva
2002/96/CE del 27.01.2003, recepita in Italia
-congiuntamente alla direttiva 2002/95/CE sulla riduzione
dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature
elettriche ed elettroniche- attraverso il dlgs 25.07.2005,
n. 151 (articolo ItaliaOggi del 25.08.2012). |
CONDOMINIO:
I condomini fotovoltaici? Come i
commercianti.
I condomini che realizzano negli spazi condominiali un
impianto fotovoltaico di potenza superiore a 20 kw o che
cedono, a fini commerciali, tutta l'energia prodotta con
impianti fino a 20 kw, si configurano dal punto di vista
fiscale come società di fatto e come tali realizzano un
reddito d'impresa.
Più precisamente, poiché la realizzazione dell'impianto
fotovoltaico per fini commerciali rientra tra le
«Innovazioni» che i condomini possono disporre ai sensi
dell'art. 1120 del codice civile «(_) dirette al
miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento
delle cose comuni» sono considerati soci della società di
fatto i condomini che hanno deliberato con la maggioranza
richiesta dall'art. 1136 del codice civile, la realizzazione
dell'investimento. Restano esclusi dalla società di fatto i
condomini che non hanno approvato la decisione e che non
intendono trarre vantaggio dall'investimento.
In questo caso gli stessi, sulla base di quanto disposto
dall'art. 1121, primo comma, ultima parte, del codice civile
«sono esonerati da qualsiasi contributo di spesa». La
società di fatto tra condomini che gestisce un impianto
fotovoltaico è commerciale e deve emettere fattura nei
confronti del Gse, in relazione all'energia che immette in
rete. Il Gse che eroga la tariffa incentivante deve operare
nei confronti della società di fatto la ritenuta del 4%
(art. 28 del dpr n. 600 del 1973) sulla tariffa relativa
alla parte di energia immessa in rete. Ai fini delle imposte
dirette e dell'Iva, la società di fatto tra condomini
diventa, dunque, soggetto d'imposta autonomo e quindi è
tenuto a redigere un'autonoma dichiarazione dei redditi e
un'autonoma dichiarazione Iva.
Sono questi i principali chiarimenti forniti dai tecnici
delle Entrate con la
risoluzione
10.08.2012 n. 84/E.
Si ha una società di fatto in presenza di una intesa verbale
oppure quando si ha un comportamento concludente idoneo a
dimostrare l'intento collettivo delle parti di stipulare un
accordo per l'esercizio di un'attività imprenditoriale. La
sussistenza di un elemento oggettivo, rappresentato dal
conferimento di beni o servizi finalizzato alla formazione
di un fondo comune, e di un elemento soggettivo, costituito
dalla comune intenzione dei contraenti di vincolarsi e di
collaborare allo scopo di conseguire risultati patrimoniali
comuni, identifica, infatti, un contratto sociale.
Pertanto, a prescindere dalla modalità con cui si perfeziona
il contratto sociale, che può anche risultare esclusivamente
da manifestazioni esteriori dell'attività di gruppo, la
presenza della contemporanea sussistenza dei suddetti
presupposti oggettivo e soggettivo presuppone l'esistenza di
una qualunque società.
Nella fattispecie in esame sottolineano i tecnici delle
Entrate, si è in presenza di un accordo che interviene tra i
condomini caratterizzato da un elemento oggettivo,
rappresentato dal conferimento di beni e servizi, vale a
dire dall'impianto fotovoltaico e dagli spazi comuni, e da
un elemento soggettivo, dato dalla comune intenzione di
voler conseguire dei proventi (articolo ItaliaOggi del
25.08.2012). |
CONDOMINIO:
Cassazione. Quando le auto rendono
difficoltoso il passaggio. Vietato il parcheggio nel viale
del condominio.
La sosta nella stradina condominiale è vietata: anche se lo
spazio la consentirebbe senza impedire il transito. Il
parcheggio da parte di alcuni abitanti del palazzo ha
l'effetto di rendere meno agevole la manovra per entrare e
uscire dalle autorimesse per i condomini più ligi che usano
la stradina solo per entrare o uscire dai box.
La Corte di cassazione, con la sentenza 14633, torna a
censurare le abitudini e le consuetudini che hanno come
effetto quello di limitare «il
pari diritto di godimento del bene comune da parte degli
altri condomini».
La Suprema corte si schiera dalla parte dei condomini più
disciplinati e respinge le proteste di quelli più
permissivi, secondo i quali «il vialetto veniva da anni
pacificamente utilizzato sia per la sosta che per il
transito delle vetture, in quanto la sua larghezza
consentiva entrambi gli usi». Per gli appartenenti alla
"fazione" della sosta libera non si trattava di
un'occupazione stabile degli spazi comuni ma solo di un uso
«eventuale e temporaneo».
Ma la Corte di cassazione dirime la lite di condominio in
punta di codice affermando che, in base all'articolo 1102
del codice civile, «il singolo condomino può servirsi
della cosa comune a patto che non ne alteri la destinazione
e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti
uso secondo il loro diritto».
Una limitazione che per la Suprema corte è provata sulla
base di un sopralluogo sul luogo del "crimine",
disposto dal Tribunale nel corso del primo grado di
giudizio. Con l'indagine in loco si era, infatti, appurato
che la manovra per entrare e uscire dal garage era meno
agevole, ed era inoltre indispensabile mettere le macchine "a
filo" per evitare i problemi che potevano sorgere in
caso di affiancamento di due vetture.
Per i giudici solo la restituzione del bene alla sua
destinazione naturale (il passaggio), consente il pari
godimento a tutti gli abitanti (articolo
Il Sole 24 Ore del 25.08.2012). |
ENTI LOCALI
- VARI:
Piano «bis» anti-burocrazia. Controlli
semplificati sulle imprese, taglio degli oneri del 30-40%.
VIA I VISTI «LOCALI» - Regioni e Comuni dovranno ridurre le
autorizzazioni per le attività produttive sotto la
sorveglianza diretta di Palazzo Chigi.
STRETTA SUGLI STATALI - Si punta all'armonizzazione della
riforma Fornero con quella del pubblico impiego. Maggiore
spinta alla mobilità per i dipendenti in esubero.
Un nuovo sistema semplificato di controlli sulle imprese,
fondato sulla "proporzionalità". Completamento anche
a livello regionale, comunale e provinciale del processo di
liberalizzazione delle attività produttive, con la
soppressione di visti, nulla-osta e autorizzazioni, su cui
vigilerà direttamente la presidenza del Consiglio.
Rivisitazione della Scia e riduzione dei costi per la
costituzione di Srl. Taglio degli oneri burocratici e di
almeno il 30-40% degli adempimenti a carico di cittadini e,
soprattutto, imprese. Ulteriore accelerazione della fase
attuativa del decreto Semplifica-Italia e varo in tempi
rapidi del regolamento sull'autorizzazione ambientale unica
per le Pmi. Sono questi gli assi portanti della fase 2 delle
semplificazioni amministrative, che dovrà contribuire a dare
una significativa spinta alla crescita.
Il pacchetto è stato messo a punto dal ministro della
Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, in
collaborazione con i titolari di altri dicasteri, a
cominciare dal ministro dello Sviluppo economico, Corrado
Passera. L'obiettivo è velocizzare il più possibile la
macchina burocratica, fissando tempi certi per le procedure,
e diminuire gli adempimenti e gli oneri a carico degli
utenti, a partire dalle imprese. ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 25.08.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
VARI:
Anagrafi via pec, in tribunale per le false dichiarazioni.
Dal 9 maggio scorso è più facile effettuare una pratica
anagrafica anche per via telematica con pec e firma
digitale. Ma è anche possibile finire in tribunale per false
dichiarazioni se l'interessato dichiara situazioni
dolosamente artificiali per eludere i controlli del comune
in materia di iscrizioni anagrafiche.
Lo ha ribadito la
polizia municipale di Torino con la circolare 12.07.2012 n. 83.
La sbandierata semplificazione in materia di
iscrizione anagrafica interferisce anche con i compiti della
polizia municipale, da sempre tradizionalmente dedicata ad
approfondire la conoscenza dei nuovi residenti con
sopralluoghi dedicati al reperimento sul campo delle
informazioni necessarie. Con il dl 5/2012, convertito nella
legge 35/2012, a decorrere dal 9 maggio si sono però
invertiti i termini dell'intervento dei vigili. Non più
sopralluoghi preventivi per verificare la reale
compatibilità della richiesta con lo stato dei fatti ma
successivi. L'ufficiale d'anagrafe ha infatti a disposizione
45 giorni per procedere alle verifiche del caso da
effettuarsi, d'ora in poi, successivamente alla
registrazione anagrafica.
In buona sostanza mentre prima
l'anagrafe attendeva il resoconto degli informatori per
procedere con la registrazione anagrafica dal 9 maggio la
procedura è stata invertita. Per meglio dettagliare le
incombenze della polizia locale il comando torinese ha
quindi diramato una circolare ad hoc. I cittadini possono
inoltrare la richiesta anche a mezzo fax o per via
telematica mediante l'utilizzo della posta elettronica
certificata e della firma digitale.
L'ufficiale d'anagrafe
entro due giorni lavorativi registra le dichiarazioni e
richiede alla polizia municipale gli opportuni accertamenti.
All'esito di queste verifiche potranno però nascere delle
brutte sorprese per i furbi. Specifica infatti la nota
torinese che in caso di dichiarazioni mendaci scatterà la
denuncia dell'interessato alla procura della repubblica per
i reati previsti dall'art. 76 del dpr 445/2000 ovvero falsa
attestazione a pubblico ufficiale ex art. 495 cp.
Attenzione a farsi trovare in casa dai vigili per evitare il
rigetto delle richieste. Spiega infatti la circolare che
dopo tre passaggi negativi della polizia urbana la pratica
sarà rigettata. Ma prima sarà inviato all'interessato un
preavviso di rigetto (articolo ItaliaOggi del 24.08.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Esuberi indolore negli
enti locali.
Polillo: puntare sui prepensionamenti. Bilanci locali oscuri.
Il sottosegretario al Mef mette in
guardia: molti comuni stanno diventando la Grecia d'Italia.
Esuberi senza «macelleria sociale» negli enti locali. I 13
mila dipendenti di troppo che andranno sfoltiti dagli
organici di regioni, comuni e province saranno per gran
parte («oltre la metà») individuati tra coloro che stanno
per maturare i requisiti per il prepensionamento.
I conti comunque si faranno a fine anno, quando il governo
con dpcm individuerà il «giusto» livello medio delle
dotazioni organiche degli enti territoriali e chiederà alle
amministrazioni che si pongono al di sopra di questa
asticella di virtuosità di non assumere più personale (se lo
sforamento supera il 20%) o dare corso ai tagli (se lo
sforamento supera il 40%). In attesa di conoscere come
verranno spalmati i 24 mila esuberi preventivati
dall'esecutivo per tutto il pubblico impiego, il consiglio
ai comuni è di «limitare il più possibile le assunzioni,
soprattutto quelle fatte in modo surrettizio attraverso le
partecipate».
La reale tenuta dei bilanci locali preoccupa,
e non poco, il sottosegretario all'economia, Gianfranco Polillo, secondo cui la ricetta per accendere i riflettori
su alcune «gestioni allegre al limite del default» è solo
una: istituire un organismo indipendente di certificazione
dei bilanci. Perché l'idea, lanciata in un'intervista a ItaliaOggi (il 13 luglio scorso) dal presidente della Corte
dei conti, Luigi Giampaolino, di ripristinare i controlli
preventivi di legittimità, pur essendo «sacrosanta»,
è di difficile attuazione «in quanto richiederebbe una
modifica costituzionale». Mentre un freno va posto
subito visto che «molti enti locali sono diventati la
Grecia d'Italia» ...
(articolo ItaliaOggi del 24.08.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Dividendi di efficienza
congelati.
Impossibile investire le risorse nei fondi per la
produttività. La legge 135 tenta di
rilanciare i premi individuali. Ma per gli enti non ci sono
molti margini.
La spending review rende sostanzialmente impossibile
investire nei fondi contrattuali per la produttività le
risorse ottenute da misure di risparmio adottate dalle
pubbliche amministra ai sensi dell'articolo 16, comma 5, del
dl 98/2011.
La disposizione prevede che per effetto di piani triennali
di riorganizzazione e riqualificazione della spesa
«eventuali economie aggiuntive effettivamente realizzate
rispetto a quelle già previste dalla normativa vigente»,
possano utilizzarsi annualmente, per non oltre il 50%
destinandole alla contrattazione integrativa, a condizione
che per almeno il 50% siano destinate ai premi di
produttività, secondo le fasce regolate dall'articolo 19 del dlgs 150/2009. Aggiunge l'articolo 16, comma 5 che, tali
risorse «sono utilizzabili solo se a consuntivo è accertato,
con riferimento a ciascun esercizio, dalle amministrazioni
interessate, il raggiungimento degli obiettivi fissati per
ciascuna delle singole voci di spesa previste nei piani di
cui al comma 4 e i conseguenti risparmi. I risparmi sono
certificati, ai sensi della normativa vigente, dai
competenti organi di controllo».
Il dl 95/2012, convertito in legge 135/2012 tenta di
rilanciare la possibilità di incrementare le risorse del
bilancio destinandole a premi individuali, all'articolo 5,
comma 11-quinquies, che costituisce una sorta di
sperimentazione per ripristinare la mai attuata valutazione
per fasce.
Il problema, tuttavia, consiste nel fatto che non vi sono
sostanzialmente margini per dare corso ai piani di
riorganizzazione e riqualificazione della spesa, in modo da
ricavare economie da riversare in parte alla contrattazione.
Non deve sfuggire che tali economie debbono essere
«aggiuntive» rispetto a quelle fissate dalla legislazione
vigente. Per fare solo due esempi, ciò significa che il
piano dovrebbe prevedere una riduzione della spesa per il
parco macchine superiore al 50% rispetto al 2011, oppure una
riduzione dei buoni pasto a una cifra inferiore ai 7 euro,
due tra le misure di recente introdotte dalla spending
review.
Fin qui, l'applicazione dell'articolo 16, comma 5, del
dl98/2011 non pare abbia avuto molta fortuna, sia perché
richiede l'attivazione delle fasce di valutazione (invise ai
sindacati), sia perché l'operazione di recupero di risparmi
ulteriori a quelli già imposti dalla legge è molto
complicata. Ma, la spending review rende i piani di
riqualificazione della spesa ancora più complessi. Infatti,
al di là di puntuali interventi, come nell'esempio dei buoni
pasto, la legge 135/2012 prevede per gli enti locali tagli
rilevantissimi ai servizi intermedi. Per le province, per
esempio, si parla di 1,5 miliardi di tagli tra il 2012 e il
2013, una media di 10 milioni di taglio a provincia,
mediamente il 15% del totale dei loro bilanci.
Si comprende che tra i tagli puntuali a singole voci di
spesa previsti dalla legge e ancor maggiori limitazioni alle
spese per servizi intermedi dovute ai fortissimi tagli ai
trasferimenti ai fondi statali, margini per ulteriori
risparmi di spesa da riversare alla contrattazione
sostanzialmente non ve ne sono o sarebbero soltanto
simbolici.
Insomma, la differenziazione delle retribuzioni di risultato
di dirigenti e dipendenti privi di qualifica dirigenziale
che il legislatore vorrebbe attivare con l'articolo 5, comma
11-quinquies, del dl 95/2012, convertito in legge 135/2012
pare da subito un'arma spuntata, destinata a restare solo
enunciazione di principio (articolo ItaliaOggi del 24.08.2012). |
ENTI LOCALI:
Superbiciclette per i comuni.
Pronto uno stock di 1.000 esemplari a pedalata assistita. Un bando del ministero dell'ambiente punta a incentivare la
mobilità sostenibile negli enti.
Parte la sperimentazione del prototipo di bicicletta a
pedalata assistita ad alto rendimento e a emissioni zero,
denominato «e-bike zero» e sviluppato da Ducati Energia.
L'avviso del ministero dell'ambiente consente ai comuni di
beneficiare di uno stock di 1.000 prototipi di bicicletta e
di fondi per sperimentarne l'utilizzo.
Obiettivo del bando è rafforzare e integrare le azioni di
mobilità sostenibile già adottate dai comuni per ridurre
l'inquinamento atmosferico e la congestione derivante dal
traffico veicolare, diffondere la cultura della mobilità
sostenibile e l'utilizzo di mezzi di trasporto a impatto
ambientale nullo per gli spostamenti quotidiani dei
cittadini nonché aggiornare gli strumenti di pianificazione
della mobilità nelle città. I comuni dovranno manifestare il
proprio interesse alla sperimentazione entro il 30.09.2012
Fino a 100 bici per ciascun comune. Per attuare la
sperimentazione, il ministero mette a disposizione dei
comuni un totale di 1.000 biciclette a pedalata assistita,
le quali saranno assegnate in lotti da dieci unità. Il
numero minimo di biciclette assegnabili a ciascun comune è
pari a 10, mentre il numero massimo è pari a 100.
Fondi per 1,2 milioni di euro a sostegno della
sperimentazione. Oltre ad assegnare i prototipi di
bicicletta, il ministero stanzia fondi per 1,2 milioni di
euro destinati a cofinanziare i costi direttamente legati
alle attività di sperimentazione e sviluppo di servizi che
utilizzano il prototipo di bicicletta a pedalata assistita.
I fondi saranno assegnati nella misura di 1.200 euro per
ciascuna bicicletta assegnata.
Il contributo servirà a
coprire i costi per la realizzazione degli info points,
costi del personale dei comuni impiegato nella
sperimentazione, costi delle attrezzature, dei materiali,
delle strumentazioni anche tecnologiche utilizzate per la
realizzazione a livello locale della sperimentazione.
Inoltre potrà coprire i costi di comunicazione e
disseminazione anche via web, costi del personale per le
attività amministrative e di supporto tecnico, costi del
personale per le attività di analisi, ricerca e monitoraggio
delle azioni per tutta la fase di sperimentazione. Infine
finanzierà i costi del personale per le attività di
formazione tecnica specialistica e i costi di assicurazione
dei prototipi.
Beneficiari i comuni sopra 30 mila abitanti. Possono
presentare manifestazione di interesse i comuni con una
popolazione pari o superiore a 30 mila abitanti che siano
riconosciuti come comuni capoluogo di aree metropolitane ai
sensi dell'art. 22 del dlgs 18.08.2000, n. 267 oppure
non siano riconosciuti come comuni capoluogo di aree
metropolitane ai sensi dell'art. 22 del dlgs 18.08.2000,
n. 267 ma siano comunque individuati dalle regioni e dalle
province autonome nelle liste di zona e di agglomerati nelle
quali il livello di uno o più inquinanti eccedano il valore
limite aumentato del margine di tolleranza.
Inoltre, i
comuni devono aver già partecipato ai progetti predisposti
dal ministero e da Anci per il monitoraggio degli interventi
di tipo ambientale e in favore della mobilità sostenibile
sul territorio nazionale. La manifestazione di interesse
deve essere corredata dalla delibera di giunta comunale con
la quale il comune delibera l'interesse a partecipare alla
sperimentazione.
Possibile destinare le bici al personale comunale o a
servizi di bike sharing. Nella manifestazione di interesse i
comuni dovranno indicare i servizi, i soggetti o le figure
professionali cui saranno assegnate le biciclette. Si potrà
scegliere tra area politico-istituzionale quali sindaci,
assessori, agenti di polizia municipale, dipendenti
comunali; area socio-culturale quali rappresentanti delle
associazioni, fondazioni, organizzazioni; area professionale
quali manager, direttori di banca, rappresentanti delle
associazioni di categoria; area istruzione quali direttori,
presidi, rettori, professori; area servizi inteso come
servizio di bike sharing; altro (articolo ItaliaOggi del 24.08.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Paletti ai gruppi unipersonali.
Ammessi solo se il consigliere è l'unico eletto di una lista.
La materia è regolata dal
Tuel che però lascia spazio all'autonomia organizzativa
degli enti.
Quali norme regolano la costituzione dei gruppi consiliari?
La materia dei gruppi consiliari è regolata dalle apposite
norme statutarie e regolamentari, adottate dai singoli enti
locali nell'ambito dell'autonomia organizzativa dei
consigli, riconosciuta espressamente agli stessi dall'art.
38, comma 3, del Tuel n. 267/2000. In linea di principio
sono ammissibili i mutamenti che possono sopravvenire
all'interno delle forze politiche presenti in consiglio
comunale, per effetto di dissociazioni dall'originario
gruppo di appartenenza, comportanti la costituzione di nuovi
gruppi consiliari, ovvero l'adesione a diversi gruppi
esistenti.
Tuttavia, sono i singoli enti locali, nell'ambito della
propria potestà di organizzazione, i titolari della
competenza a dettare norme, statutarie e regolamentari,
nella materia e le relative problematiche dovrebbero trovare
adeguata soluzione nella specifica disciplina di cui l'ente
stesso si è dotato.
Nel caso di specie, la questione riguarda la possibilità di
un consigliere di tornare ad appartenere ad un gruppo i cui
tre componenti, compreso lo stesso, dopo averlo regolarmente
costituito ai sensi delle norme statutarie, «entro dieci
giorni dalla data di convalida degli eletti», si sono
determinati a costituire un gruppo diverso. Sembrerebbe,
pertanto, venuto a cessare, all'interno del consiglio
comunale, il gruppo originale in quanto tutti i componenti
hanno costituito il nuovo gruppo consiliare.
Peraltro, nella fattispecie, lo statuto del comune prevede
che, successivamente al termine su indicato, sia possibile
esclusivamente «la costituzione di nuovi gruppi quando non
meno di tre consiglieri si dissociano dal o dai gruppi cui
avevano originariamente aderito e dichiarino di voler
costituire il nuovo gruppo». Secondo le norme statutarie e
regolamentari richiamate, invece, i gruppi unipersonali, per
quanto riguarda l'ipotesi del consigliere che solo si è
distaccato dal gruppo ultimo costituito, sarebbero ammessi
solo se coincidenti con l'unico consigliere eletto in una
lista, mentre non potrebbe costituire un gruppo l'unico
consigliere che rappresenti la lista dopo il distacco degli
altri componenti.
Non è, invece, consentita, nel corso della consiliatura,
come nel caso di specie, la costituzione di un gruppo
formato da una sola persona, qualora lo statuto preveda che
«è consentita la costituzione di un gruppo misto, se a
comporlo siano almeno tre consiglieri».
In tal caso «il singolo consigliere che fuoriesca dal gruppo
di appartenenza ha una sola alternativa: confluire in altro
gruppo costituito, ma non può autonomamente formare un nuovo
gruppo consiliare» (Tar Sicilia–Palermo sentenza n. 1462
del 2003).
Peraltro, in relazione alla mancata previsione di costituire
gruppi c.d. unipersonali, la giurisprudenza ha ritenuto
legittima la norma regolamentare che prevede un numero
minimo di componenti per la formazione di un gruppo
nell'ambito del consiglio comunale, rientrando dunque, nella
scelta discrezionale dello stesso consiglio stabilire il
minimum necessario per la costituzione del gruppo (Tar
Sicilia ult.cit.).
Solo il consiglio comunale, nella sua autonomia e in quanto
titolare della competenza a dettare le norme cui conformarsi
in tale materia, è abilitato a fornire un'interpretazione
autentica delle proprie norme statutarie e regolamentari (articolo ItaliaOggi del 24.08.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
VARI:
Grupponi in bici solo in sicurezza. I
Trasporti: servono le luci e i campanelli.
Sono fuori legge i gruppi di ciclisti in tenuta sportiva che
circolano affiancati sulle strade carrabili con biciclette
da corsa e mountain bike senza dispositivi di segnalazione
visiva e campanelli. Una deroga particolare è infatti
prevista dal codice stradale solo in caso di competizioni
agonistiche ma non certo per le passeggiate domenicali
turistiche.
Lo ha chiarito il Mintrasporti con il
parere 01.08.2012 n. 4447 di prot..
È una doccia fredda per gli appassionati delle due ruote a
pedali che specialmente nei fine settimana scorazzano in
lungo e in largo su tutte le strade della Penisola non
sempre con comportamenti molto corretti. L'associazione
nazionale camperisti di Firenze ha infatti richiesto
chiarimenti circa la legittimità di queste pedalate e in
particolare sulle dotazioni minime che devono essere
applicate alle biciclette e alle regole di comportamento da
osservare.
Ai sensi dell'art. 68 del codice stradale, specifica
innanzitutto il ministero, i velocipedi devono essere muniti
anteriormente e posteriormente di luci. Ma anche di
catadiottri posteriori, laterali e sui pedali anch'essi
debitamente omologati ai sensi dell'art. 224 del regolamento
stradale. Solo quando i velocipedi sono utilizzati durante
competizioni sportive non trova applicazione questa
disposizione, prosegue la nota. E con strade chiuse al
traffico ben vengano pure i gruppi dei ciclisti in fuga
verso il traguardo.
Attenzione però al corretto comportamento sulle strade
aperte al traffico. L'art. 182 del codice specifica che i
ciclisti in questo caso devono procedere su unica fila in
tutti i casi in cui le condizioni della circolazione lo
richiedano e comunque mai affiancati in numero superiore a
due. Quando circolano fuori dai centri abitati i ciclisti
devono sempre procedere su unica fila, prosegue la nota, «salvo
che uno di essi sia minore di anni dieci e proceda sulla
destra dell'altro».
In ogni caso i ciclisti quando circolano in promiscuo con
altri veicoli sono tenuti a rispettare le norme di
comportamento previste dal titolo V del codice, in quanto
applicabili. Ovvero fermarsi ai semafori, agli incroci e
dare la precedenza dove previsto. Per cambiare direzione o
corsia, conclude la nota ministeriale, anche i ciclisti
devono assicurarsi di non creare pericolo segnalando in
anticipo le proprie intenzioni (articolo
ItaliaOggi del 22.08.2012). |
ENTI LOCALI:
Lucro sulle sanzioni stradali. Porta
chiusa per i privati.
L'importo che può essere erogato dai comuni per il noleggio
di sistemi autovelox non può mai essere collegato al numero
delle sanzioni accertate e neppure a quello delle multe
riscosse.
Lo ha ribadito il ministero dei trasporti con il parere
25.06.2012 n. 3639 di prot..
La questione dell'ingerenza dei privati nella gestione dei
proventi sanzionatori è ancora molto dibattuta a causa delle
frequenti irregolarità riscontrate sul campo con contratti
capestro a percentuale decisamente vietati dalla legge.
Nonostante le sonore e ripetute bocciature di questa pratica
ci sono ancora dubbi tra gli operatori di settore e per
questo il ministero dei trasporti ha divulgato ulteriori
istruzioni. Con la direttiva del Viminale del 14.08.2009
la questione delle modalità di intervento dei privati nelle
pratiche autovelox è già stata chiaramente trattata.
L'esercizio dell'attività di controllo spetta esclusivamente
alla polizia stradale che deve avere la gestione e la
disponibilità anche dei sistemi elettronici per il controllo
del traffico.
Al paragrafo 5.3 della nota 14.08.2009, viene inoltre
specificamente trattata anche la questione del corrispettivo
da erogare in caso di locazione degli strumenti. Questo
importo deve essere sempre commisurato al costo delle
operazioni effettuate o in funzione del tempo di utilizzo
delle apparecchiature e non alle sanzioni eventualmente
riscosse.
Del resto la stessa legge 120/2010, in vigore
definitivamente dal 13.08.2010, specifica all'art. 61 che
agli enti locali è consentita l'attività di accertamento
strumentale delle violazioni al decreto legislativo n. 285
del 1992 soltanto mediante strumenti di loro proprietà o da
essi acquisiti con contratto di locazione finanziaria o di
noleggio a canone fisso, da utilizzare ai fini
dell'accertamento delle violazioni esclusivamente con
l'impiego del personale dei corpi e dei servizi di polizia
locale.
Da quanto sopra, conclude la nota in commento, «appare
evidente come il legislatore, nel richiamare il noleggio a
canone fisso quale modalità di acquisizione degli strumenti
da utilizzare ai fini degli accertamenti delle violazioni al
codice della strada, abbia volutamente escluso la
possibilità di utilizzare il sistema a percentuale applicata
ai proventi sanzionatori, a fronte del corrispettivo da
elargire per il noleggio dei medesimi strumenti» (articolo
ItaliaOggi del 21.08.2012). |
APPALTI:
L'impresa bara? Un sito lo scopre. Le
p.a. verificano le autocertificazioni. Con un sito internet.
Il portale, realizzato da
InfoCamere, consente l'accesso diretto ai dati del Registro
Imprese.
Il servizio
per la verifica delle autocertificazioni delle imprese da
parte delle pubbliche amministrazioni è attivo. Le
amministrazioni pubbliche hanno a disposizione un nuovo
portale
https://verifichepa.infocamere.it, che consente loro di
controllare la veridicità delle dichiarazioni sostitutive
ricevute dalle imprese e dalle persone, relativamente ai
dati contenuti nel registro delle imprese.
Le p.a. che necessitano di verificare, a campione o
sistematicamente, le autocertificazioni prodotte dalle
imprese e dai cittadini, possono trovare immediata risposta
tramite questo servizio telematico anziché rivolgersi alla
Camera di commercio competente. Il sito VerifichePA è stato
realizzato da InfoCamere per conto delle Cciaa per
rispondere a quanto stabilito dall'art. 15 della legge n.
183/2011 (legge di Stabilità 2012), che ha sancito il
principio della «decertificazione».
Questa norma ha previsto che dall'01.01.2012 i certificati
rilasciati dalla pubbliche amministrazioni, relativi a
stati, qualità personali e fatti siano validi ed
utilizzabili solo nei rapporti tra privati e, pertanto, le
stesse p.a. devono acquisire d'ufficio tutti i dati in
possesso delle altre amministrazioni pubbliche, senza
chiederle direttamente all'interessato.
Il servizio, oltre a fornire documenti che attestano la
veridicità delle dichiarazioni sostitutive fornisce elenchi
di caselle Pec delle società di persone e di capitale,
secondo quanto previsto dall'art. 6, comma 1-bis, del dlgs
n. 82/2005 (Codice dell'amministrazione digitale). In
particolare, il sito «verifichepa.infocamere.it»
consente agli utenti abilitati, di ottenere due tipologie di
informazioni:
- documento di verifica autocertificazione;
- elenchi di Pec.
Tra i documenti disponibili non è compreso quello antimafia.
Per accedere al sito occorre registrarsi fornendo gli
estremi della propria p.a. (il codice Ipa e posta
elettronica certificata, Pec). Le p.a. che vorranno accedere
ai dati delle Camere di commercio in cooperazione
applicativa, in base a quanto previsto dal Cad, dovranno
sottoscrivere con InfoCamere una diversa Convenzione.
Per usufruire del servizio, completamente gratuito, bisogna:
- essere iscritti all'Indice delle pubbliche amministrazioni
(Ipa);
- inserire, tramite le pagine del sito, i dati anagrafici
del soggetto incaricato, l'ente di riferimento e l'indirizzo
Pec depositato all'Ipa;
- trasmettere al Call Center, via fax, il modulo cartaceo
scaricato dal sito, compilato e sottoscritto, accompagnato
dalla copia di un documento di identità valido dopo aver
ricevuto, alla propria casella Pec, le credenziali per
l'accesso, accettare via web le condizioni di utilizzo
specifiche del servizio (articolo
ItaliaOggi del 21.08.2012). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Pubblico impiego. Per invertire la rotta
si punta sulla flessibilità dei meccanismi di valutazione
prevista dalla spending review.
Produttività e premi, sfida d'autunno per la Pa.
ADDETTI IN CALO/ La Corte dei conti certifica la diminuzione
di 124.700 unità tra il 2007 e il 2010 A ottobre via al
confronto sui 24mila esuberi in agenda.
Il Governo sarà probabilmente celebrato per tanti obiettivi
che verranno raggiunti con il primo ciclo di spending
review ma non passerà alla storia per i nuovi interventi
sul pubblico impiego. Semplicemente perché, in questo campo,
i "risultati storici" sarebbero già stati acquisiti
anche senza l'ultimo decreto. Parlano i numeri messi in fila
dalla Corte dei conti in maggio: tra il 2007 e il 2010 i
dipendenti pubblici sono calati di 124.700 unità (-3,4%). In
quei quattro anni in Germania sono aumentati del 3% e in
Spagna dell'11%, mentre in Francia e Regno Unito la
flessione dello 0,5% è arrivata dopo anni di incrementi
consistenti.
Se si allunga lo sguardo al decennio 2001-2010, con
l'ausilio delle statistiche Ocse si scopre che solo in
Italia e Portogallo il numero dei dipendenti pubblici si è
ridotto (da noi del 4,4%, da 3,67 milioni a 3,51). Mentre in
Irlanda, Grecia e Spagna la crescita è stata attorno al 30%,
del 10% nel Regno Unito e in Belgio, del 5,1% in Francia e
del 2,5% in Germania. Che cosa succederà entro fine
legislatura? Nell'ultima Relazione annuale al Parlamento
sullo stato della Pa dello scorso novembre, Renato Brunetta
ha indicato un calo di addetti di oltre 300mila unità tra il
2008 e il 2013 (-8,4%). Si vedrà.
Tavolo d'autunno
Il tavolo che si aprirà in autunno per la gestione dei tagli
alle dotazioni organiche è naturalmente molto importante. E
la partita che su quel tavolo dovrà giocare il ministro
Filippo Patroni Griffi sarà cruciale. Secondo i calcoli
-prudenziali per i sindacati- della relazione tecnica alla
spending review, in ballo ci sarebbero 24mila addetti
(11mila delle Pa centrali e 13 mila degli enti territoriali)
da avviare al pensionamento anticipato oppure alla mobilità
collettiva in vista di un possibile trasferimento ad
amministrazioni in penuria di personale.
Ma la stessa relazione non stima i risparmi conseguibili,
preferendo rinviare la verifica a cosa fatte, vale a dire al
2014-2015. Anche qui, però, non c'è da aspettarsi più di un
miglioramento al margine. Perché gli obiettivi più grandi
sono già stati colti. È sempre la Corte dei conti a
rilevarlo: nel 2011 la spesa per redditi da lavoro
dipendente è scesa dell'1,2% (-0,8% in termini di cassa) a
170,05 miliardi, facendo segnare la prima inversione di
tendenza dal 1998.
Contratti e turn over
La spesa per stipendi è passata dall'11,1 al 10,8% del Pil.
Il perché è noto: il blocco del turn over e della
contrattazione, i limiti alla crescita dei trattamenti
individuali e la stretta sui fondi unici di amministrazione
che hanno di fatto azzerato lo slittamento salariale. Questi
motori, a legislazione invariata, continueranno a funzionare
fino al 2014 –anno del sostanziale allineamento tra la
dinamica delle retribuzioni pubbliche con quelle private–
con cali di spesa dello 0,6% quest'anno, dello 0,5% nel 2013
e dello 0,1% l'anno dopo. Se i contratti verranno sbloccati
si prevede un rialzo dello 0,5% nel 2015, anno in cui la
massa salariale dell'intera Pa scenderebbe però sotto il 10%
del Pil.
Dobbiamo credere in queste previsioni, contenute nel
Documento di economia e finanza firmato da Mario Monti lo
scorso aprile? L'Istat dice di sì, visto che negli ultimi
dieci anni lo scostamento tra le previsioni del governo con
i suoi dati a consuntivo ha avuto oscillazioni comprese tra
gli 8 e i 2 milioni, su un aggregato di 170 miliardi di
euro. E come siamo messi nelle classifiche europee sulla
spesa per i dipendenti pubblici? Ai primi posti, con un
incidenza pari al 23,2% del totale della spesa corrente del
2010, solo la Germania e i Paesi Bassi hanno fatto meglio
nell'Ue a 27, con un 17,8% e un 21,6 per cento.
La produttività perduta
Il gap che resta da colmare con gli altri Paesi riguarda la
produttività. Calcolata in termini di costo del lavoro per
unità di prodotto (clup), è in costante calo dal 2003,
passata dal 4 all'1,5% sul Pil, e dopo la ripresina del 2009
(4,1%) è precipitata sotto il 2 per cento. Una Pa efficiente
ovviamente eleva la produttività totale dei fattori e il Pil
potenziale. Su questo terreno le classifiche internazionali
(Ocse, Eurostat, Banca mondiale) si sprecano.
Tutte fotografano il ritardo italiano e la convergenza è
unanime nelle indicazioni di policy: serve una premialità
selettiva basata su merito e performance e serve più
formazione. Anche qui siamo indietro: l'ultimo Rapporto
sulla formazione fatto dalla Scuola superiore della Pa –ha
ricordato recentemente Luciano Hinna, ex membro della
Commissione indipendente per la valutazione e la trasparenza
(Civit)– dice che nel 2009, per le sole Pa centrali, sono
stati investiti 141 milioni (lo 0,65% della massa
salariale), in Francia si investe circa il 6% e in Germania
il 4,4.
In questo contesto non bisogna abbassare la guarda sul
fronte della valutazione delle performance degli uffici,
obiettivo che la spending review ha rilanciato: «Noi
in giugno avevamo allertato il governo che in troppe
amministrazioni centrali non erano state effettuate le
valutazioni individuali previste dalla riforma Brunetta»,
spiega Romilda Rizzo, presidente della Civit. Lo stop, oltre
alla mancanza di risorse da redistribuire, era legato alla
rigidità della vecchia norma, che prevedeva una premialità
su tre fasce, con l'ultima di fatto costretta a rinunciare a
risorse accessorie.
«Ora la previsione normativa è che non meno del 10% del
personale, dirigente e non, se supera gli obiettivi di
performance potrà contare su un trattamento accessorio
maggiorato del 10-30% –ricorda Rizzo–. C'è maggiore
flessibilità e semplicità per la misurazione degli
obiettivi, che devono essere specifici, ripetibili,
ragionevolmente realizzabili e collegati a scadenze
temporali. Ora vediamo come andrà ma mi sembra la strada
giusta» (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO - VARI:
La Suprema corte sulla giusta causa.
Licenziato l'impiegato maleducato di carattere.
Rischia il licenziamento il dipendente che con il suo
comportamento danneggia l'immagine dell'azienda presso i
clienti esterni.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 14575, si allinea ai
giudici di merito che avevano considerato legittima la
massima punizione nei confronti dell'impiegata di una
società che forniva servizi in materia di proprietà
intellettuale per l'Ufficio italiano brevetti e marchi di
Roma.
A far scattare il licenziamento erano state in primo luogo
le "dimenticanze" della ricorrente che,
sistematicamente, ometteva di riferire al suo datore di
lavoro le segnalazioni che l'Ufficio brevetti faceva sulle
imprecisioni riscontrate nelle pratiche eseguite dalla Spa.
Non paga della sua "reticenza" la dipendente aveva un
comportamento «scorretto e imbarazzante, offensivo nei
confronti di dirigenti e impiegati»: un pessimo
carattere che la portava a non fare discriminazioni e a
essere maleducata sia con i colleghi sia con i clienti.
Inevitabile il licenziamento, disposto soprattutto per il
danno all'immagine provocato alla società dalle inadempeinze
e dalle intemperanze dell'impiegata, accusata anche di
essere poco collaborativa con i colleghi, tanto da
deteriorare il clima lavorativo.
La sezione lavoro avalla il licenziamento ampliando così la
casistica di quello che si può o non si può fare all'interno
del posto di lavoro.
Con la sentenza 10426, del luglio scorso, gli stessi giudici
della Suprema corte erano stati più clementi verso un
lavoratore a cui era sfuggito un "vaffa" al capo,
liquidato come «mera intemperanza verbale, non seguita da
altri comportamenti scorretti e inidonea a dimostrare una
volontà di insubordinazione o di aperta insofferenza nei
confronti del potere disciplinare e organizzativo del datore
di lavoro».
Nel marzo 2011 (sentenza 6500) la sezione lavoro aveva
deciso di farla passare liscia anche a due colleghi che si
erano azzuffati. Troppo severa la misura del licenziamento
per «un diverbio litigioso che, seppur acceso, non aveva
degenerato né aveva dato luogo ad un blocco della produzione»
(articolo
Il Sole 24 Ore del 21.08.2012). |
ENTI LOCALI -
VARI:
Semafori laser ancora in stand by.
Mancano le norme attuative alla
legge 120/2010. Ferme le tabelle countdown e i pannelli
velocità.
Regolarizzazione dei semafori laser,
delle tabelle countdown e dei pannelli luminosi installati a
lato della strada per indicare la velocità dei veicoli.
Accertamenti relativi alla guida con droghe.
Sono questi gli aspetti più rilevanti della riforma del
codice stradale persi nel cammino ovvero che a distanza di
due anni dall'entrata in vigore della legge n. 120 del
29.07.2010 attendono disposizioni di attuazione per
diventare concretamente operativi.
Semafori laser e tabelle countdown.
Doveva essere
adottato entro il 12.10.2010 ma non è ancora stato emanato
il decreto ministeriale per definire le caratteristiche per
l'omologazione e l'installazione degli impianti di
regolazione della velocità, degli impianti che si attivano
al rilevamento della velocità dei veicoli in arrivo e dei
dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di
accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici.
Quindi, per la regolarizzazione si dovrà attendere quanto
meno il 2013, considerato che le disposizioni di cui
all'art. 60 della legge n. 120/2010 si applicheranno decorsi
sei mesi dalla data di adozione del decreto ministeriale.
Recentemente, il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti, con il parere 04.07.2012 n. 3925 di prot.,
ha ribadito che, in assenza del decreto attuativo, tutte le
postazioni attive e troppo creative non sono conformi alla
normativa stradale e pertanto vanno spente.
Pannelli luminosi della velocità.
Anche se l'art. 7 della legge n. 120/2010 ha ammesso la
regolamentazione dei pannelli luminosi che segnalano
all'utenza la velocità dei veicoli in transito, questi
strumenti restano tuttora fuori legge. Infatti, in assenza
delle regole tecniche necessarie all'omologazione dei
modelli, queste installazioni risultano essere al momento
ancora non conformi al codice della strada. Ciò è stato
ribadito più volte nel corso degli ultimi mesi dal ministero
delle infrastrutture e dei trasporti. E non è detto che gli
impianti esistenti possano poi essere regolarizzati. Gli
enti che impiegano i tabelloni possono incorrere in
responsabilità amministrative e civili e ingenerare inutili
contenziosi con l'utenza stradale.
Guida con droghe.
La riforma stradale introdotta dalle legge n. 120 del
29.07.2010 ha voluto potenziare l'utilizzo dei precursori,
ovvero strumenti portatili non invasivi facilmente
manovrabili, per l'accertamento della guida con droghe. Le
disposizioni dell'art. 187 del codice della strada, come
modificato dalla legge n. 120/2010, prevedono che se
l'accertamento preliminare ha dato esito positivo ovvero la
polizia ha comunque ragionevole motivo di ritenere che il
conducente è alterato dalla droga, il personale medico può
procedere ad accertamenti clinico-tossicologici ovvero a
prelievo di campioni di mucosa del cavo orale.
Però manca ancora all'appello il decreto ministeriale che
deve definire le modalità di effettuazione degli
accertamenti e le caratteristiche degli strumenti da
impiegare. Lo stesso decreto potrà prevedere e disciplinare
gli accertamenti sulla guida drogata anche su campioni di
fluido del cavo orale, anziché su campioni di mucosa.
Il ministero dell'interno con la circolare 16.03.2012 n.
300/A/1959/12/109/56, ha confermato che il prelievo veloce
in strada della saliva all'automobilista sospettato di guida
alterata dalla droga non è ancora stato approvato dal
ministero e pertanto non ha pieno valore legale. Ma ora
tutte le procedure di accertamento potrebbero essere rimesse
in discussione dai disegni di legge C 4662 e C 5361
all'esame della camera.
Multe a rate.
Per quanto riguarda il pagamento rateizzato delle sanzioni
per le multe stradali, pur non essendo stato ancora emanato
il decreto ministeriale di attuazione, il ministero
dell'interno con la circolare n. 6535 del 22.04.2011 ha
precisato che l'art. 202-bis è già direttamente applicabile.
Pertanto, per le sanzioni di importo superiore a 200 euro
l'interessato può chiedere, entro 30 giorni, la ripartizione
del pagamento in rate mensili, qualora si trovi in
condizioni economiche disagiate.
La presentazione dell'istanza preclude la facoltà di
ricorrere al prefetto o al giudice di pace. Entro novanta
giorni l'autorità deve adottare un provvedimento di
accoglimento o di rigetto. In caso di accoglimento della
richiesta il pagamento può essere ripartito fino a 60 rate,
con l'applicazione di interessi. L'ammontare di ciascuna
rata comunque non può essere inferiore a 100 euro.
Il beneficio decade in caso di mancato pagamento della prima
rata o successivamente di due rate.
Contrassegno invalidi.
Grazie alla riforma stradale del 2010, si erano poste le
basi per adottare il contrassegno uniforme europeo per la
sosta dei disabili. Infatti, l'art. 58 della legge n. 120
del 29.07.2010 aveva modificato l'art. 74 del decreto
legislativo n. 196 del 30.06.2003 (codice in materia di
protezione dei dati personali), sopprimendo il divieto di
usare diciture o simboli, dai quali si possa desumere la
speciale natura dell'autorizzazione per effetto della sola
visione del contrassegno.
Queste nuove disposizioni, in vigore dal 13.08.2010, avevano
eliminato gli ostacoli normativi all'adozione in Italia del
contrassegno europeo per invalidi. Finalmente, a distanza di
due anni, è stato recentissimamente firmato il decreto del
presidente della repubblica che introduce nell'ordinamento
interno il contrassegno invalidi comunitario, apportando
modifiche all'art. 381 del regolamento di esecuzione e
attuazione del codice della strada. Il nuovo «contrassegno
di parcheggio per disabili» sarà conforme al modello
previsto dalla raccomandazione del consiglio dell'Unione
europea del 04.06.1998.
Sul modello di colore azzurro chiaro, con il simbolo bianco
della sedia a rotelle su fondo azzurro scuro, saranno
trascritti e apposti la data di scadenza, il numero di serie
e il nome e il timbro dell'autorità nazionale che rilascia
il contrassegno e nella parte retrostante, non visibile, il
nominativo e la fotografia del soggetto autorizzato.
Entro tre anni dall'entrata in vigore del dpr i vecchi
modelli di contrassegno invalidi dovranno essere sostituiti
dal nuovo contrassegno salvo che i comuni stabiliscano un
periodo inferiore a tre anni. Durante il periodo transitorio
i permessi invalidi già rilasciati resteranno validi. Si
attende ora solo la pubblicazione del dpr sulla Gazzetta
Ufficiale.
---------------
Dal 2013 proventi autovelox da
ripartire.
Scatterà dal 2013 l'obbligo dell'attesa ripartizione dei
proventi autovelox con tutta la filiera burocratica
connessa. Il comma 16 dell'art. 4-ter del decreto legge n.
16/2012, inserito in sede di conversione dalla legge n.
44/2012, in vigore dal 29.04.2012, ha introdotto un
automatismo specificando che anche in mancanza dell'atteso
decreto necessario per avviare la ripartizione e la
rendicontazione dei proventi (frutto della riforma stradale
di agosto 2010) il meccanismo antiabusi entrerà ugualmente
in vigore.
La ripartizione dei proventi autovelox riguarderà gli
accertamenti alle violazioni dei limiti di velocità rilevati
dagli organi di polizia stradale sulle strade appartenenti a
enti diversi da quelli dai quali dipendono gli organi
accertatori.
Le somme derivanti dalla ripartizione dei proventi delle
sanzioni dovranno essere destinate alla realizzazione di
interventi mirati, preventivamente individuati dalla legge.
Inoltre, sarà necessario relazionare annualmente al
ministero, entro il 31 maggio, tutte le infrazioni stradali
accertate nel corso dell'anno precedente, con particolare
attenzione all'autovelox. Una criticità dell'impianto
normativo riguarda la data esatta dalla quale decorrono
questi nuovi obblighi.
L'Anci, con una nota interpretativa, ha affermato che il
dies a quo per il calcolo dei novanta giorni che daranno
il via all'automatismo si calcola dal 29.04.2012, data di
entrata in vigore della legge n. 44/2012. In tal caso,
dunque, l'obbligo di ripartizione dei proventi e tutta la
burocrazia connessa decorrono dal 29.07.2012. O meglio a
partire dall'esercizio finanziario immediatamente
successivo, cioè dall'01.01.2013. Infatti, secondo l'Anci la
novella non ha abrogato il comma 3° dell'art. 25 della legge
120/2010.
Questa disposizione consente di rinviare all'esercizio
finanziario dell'anno 2012 tutte le novità in materia di
autovelox con conseguente obbligo di relazione annuale
procrastinato al 31.05.2014 (articolo
ItaliaOggi Sette del 20.08.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Decreto sviluppo. L'obiettivo delle
nuove norme è creare un'interfaccia «globale» che dialoghi
con cittadini e professionisti.
Front-office unico per l'edilizia. Lo sportello comunale
dovrà ottenere tutti gli assensi dalle altre Pa coinvolte.
LE CRITICITÀ/ L'allargamento delle competenze pone una sfida
organizzativa non trascurabile a molte realtà locali.
Varie sono le novità, formali e sostanziali, che l'articolo
13 della legge 134/2012, di conversione del decreto sviluppo
83/2012, ha apportato alla disciplina dello sportello unico
per l'edilizia (Sue), del quale sono ridefinite e rafforzate
le funzioni, sia nei confronti del cittadino, che delle
altre amministrazioni. Il fatto che lo sportello debba
acquisire direttamente gli atti di assenso dalle altre
amministrazioni, comunque, porrà anche una sfida
organizzativa di non poco conto per molti uffici, chiamati
ad attrezzarsi per affrontare le nuove incombenze, senza
però poter contare su maggiori risorse.
All'articolo 5 del Dpr 380/2001 viene innanzitutto aggiunto
il comma 1-bis, in forza del quale il Sue costituisce da
oggi il solo front-office per il privato, essendo «l'unico
punto di accesso» al quale il soggetto interessato da
una pratica dovrà rivolgersi «in relazione a tutte le
vicende amministrative riguardanti il titolo abilitativo e
l'intervento edilizio oggetto dello stesso».
A rimarcare la peculiarità della funzione svolta dal Sue, lo
stesso comma stabilisce inoltre che sia questo l'ufficio
tenuto a fornire al cittadino una «tempestiva risposta»
alle sue istanze «in luogo di tutte le pubbliche
amministrazioni», che possono essere a vario titolo
coinvolte nel procedimento. A questo fine, ricalcando le
previsioni relative al responsabile del procedimento
(articolo 6, legge 241/1990), la norma dispone che il Sue,
anche attraverso l'indizione di conferenza di servizi, debba
acquisire gli atti di assenso eventualmente necessari e che
debbano essere rilasciati dalle Pa preposte alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale e storico-artistica o
alla tutela della salute e della pubblica incolumità.
Il comma lascia comunque espressamente inalterate le
competenze dello sportello unico per le attività produttive,
così come definite dal regolamento approvato col Dpr
160/2010.
Viene aggiunto anche il comma 1-ter, che ribadisce l'unicità
delle attribuzioni del Sue, che diviene l'unico ufficio
competente a intrattenere rapporti col soggetto interessato
e a trasmettergli qualunque comunicazione.
Ogni altro ufficio comunale o Pa interessata dal
procedimento dovrà inoltrare «immediatamente» al Sue
eventuali atti autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di
consenso, anche a contenuto negativo, comunque denominati,
senza avere rapporti diretti col cittadino, al quale dovrà
in ogni caso comunicare di avere trasmesso allo sportello la
documentazione che lo interessa.
Ulteriori modifiche riguardano l'abrogazione del comma 4, i
cui contenuti vengono in parte trasfusi nel nuovo comma 3,
che ridefinisce l'attività istruttoria dell'ufficio e tende
a escludere qualunque obbligo di produzione di certificati
da parte del cittadino, in coerenza con le disposizioni in
tema di decertificazione; finalità rimarcata anche dalle
modifiche introdotte all'articolo 20, comma 3, ove non si
prevede più che il richiedente possa autonomamente allegare
alla domanda per il rilascio del permesso di costruire
pareri o altri atti di assenso.
Spetta dunque unicamente allo sportello l'acquisizione
–diretta o tramite conferenza di servizi– degli atti di
assenso, comunque denominati, necessari alla realizzazione
dell'intervento edilizio.
Tra questi, oltre ai pareri della Asl e dei Vigili del
fuoco, già previsti dalle lettere a) e b) dell'originario
comma 3, vengono ricompresi quelli delle nuove lettere da c)
a m), che ricalcano le previsioni contenute nelle lettere da
a) a i) del soppresso quarto comma.
In particolare, sarà compito del Sue acquisire: dagli uffici
tecnici regionali le autorizzazioni relative alle
costruzioni in zone sismiche di cui agli articoli 61, 62 e
94 del Testo unico e dall'amministrazione militare quelle
relative alle costruzioni nelle zone di salvaguardia
contigue a opere di difesa dello Stato o a stabilimenti
militari, nei Comuni militarmente importanti, ai sensi
dell'articolo 333 del Dlgs 66/2010.
Le ulteriori autorizzazioni che il Sue, ove necessario, è
tenuto ad acquisire sono quelle del direttore della
circoscrizione doganale, nei casi di costruzione,
spostamento o modifica di edifici posti nelle zone di
salvaguardia in prossimità della linea doganale e del mare
territoriale (articolo 19, Dlgs 374/1990), nonché quelle
dell'autorità competente per le costruzioni su terreni
confinanti con il demanio marittimo (articolo 55, Codice
della navigazione).
Lo sportello unico dovrà inoltre acquisire gli atti di
assenso necessari per l'esecuzione di interventi edilizi su
immobili assoggettati a vincoli da parte del Codice dei beni
culturali e del paesaggio –fermo restando che, in caso di
dissenso manifestato dall'amministrazione preposta alla
tutela dei beni culturali, si procede ai sensi del medesimo
Codice (articolo 25, Dlgs 42/2004)– nonché il parere
vincolante della Commissione per la salvaguardia di Venezia,
ai sensi dell'articolo 6, legge 171/1973.
Di competenza dello sportello è infine l'acquisizione di:
- parere dell'autorità competente in materia di assetti e
vincoli idrogeologici;
- assensi in materia di servitù viarie, ferroviarie,
portuali e aeroportuali;
- nulla osta dell'autorità competente in materia di aree
naturali protette, ai sensi dell'articolo 13 della legge
quadro 394/1991 ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 20.08.2012). |
aggiornamento al 20.08.2012 |
|
PUBBLICO IMPIEGO: Permessi
disabili, le ferie non riducono i tre
giorni. Il Welfare: nessun
riproporzionamento in caso di assenze
giustificate.
La malattia (o la maternità o il permesso
sindacale o le ferie o le festività) non
riduce il diritto ai tre giorni di permesso
mensili per assistenza a familiari disabili
(legge n. 104/1992). Infatti, qualora in uno
stesso mese si trovi a fruire anche di altre
assenze «giustificate» perché riconosciute
per legge, il lavoratore ha comunque diritto
a fruire dei tre giorni di permesso mensili
in quanto aventi natura, funzione e
caratteri diversi.
Lo precisa il Ministero del lavoro nell'interpello
01.08.2012 n. 24/2012, spiegando che
il riproporzionamento dei giorni di permesso
scatta invece in caso di prima richiesta nel
corso del mese.
Interpello.
L'interpello, presentato da Federambiente
(federazione italiana servizi pubblici
igiene ambientale), concerne le modalità di
fruizione dei tre giorni mensili di permesso
retribuiti previsti dall'articolo 33, comma
3, della legge n. 104/1992. Si tratta,
spiega il ministero, del diritto spettante
al coniuge, parente o affine entro il
secondo grado, ovvero entro il terzo grado
qualora i genitori o il coniuge della
persona con handicap in situazione di
gravità abbiano compiuto i sessantacinque
anni di età oppure siano anche essi affetti
da patologie invalidanti o siano deceduti o
mancanti. In particolare, è stato chiesto al
ministero del lavoro:
● se sia legittimo un eventuale
riproporzionamento del diritto ai tre giorni
di permesso in base alla prestazione
lavorativa effettivamente svolta, qualora il
dipendente fruitore dei permessi abbia
legittimamente beneficiato di altre
tipologie di permessi o di congedi a lui
spettanti (quali, per esempio, permesso
sindacale, maternità facoltativa, maternità
obbligatoria, malattia, congedo
straordinario invalidi ecc.) e si sia,
pertanto, assentato dal lavoro durante il
mese di riferimento;
● se il dipendente che inoltri domanda di
riconoscimento del diritto ai tre giorni di
permesso per la prima volta nel corso del
mese (ad esempio, il giorno 19) abbia
diritto al riproporzionamento o il diritto
ai tre giorni spetti comunque in misura
intera.
Quando non c'è
riproporzionamento.
Nelle ipotesi in cui il dipendente, nel
corso del mese, fruisca di altri permessi,
quali ad esempio permesso sindacale,
maternità, malattia, il ministero non
ritiene giustificabile il riproporzionamento
del diritto, in quanto trattasi comunque di
assenze «giustificate», riconosciute
per legge come diritti spettanti al
lavoratore.
L'intento di garantire alla persona con
disabilità grave una assistenza morale e
materiale adeguata, anche attraverso la
fruizione, da parte di colui che la assiste,
dei permessi mensili, spiega il ministero,
non sembra possa subire una menomazione a
causa della fruizione di istituti aventi
funzione, natura e caratteri diversi.
Quando c'è il
riproporzionamento.
Viceversa, aggiunge il ministero, nella
diversa ipotesi in cui il dipendente
presenti istanza per la prima volta nel
corso del mese (per esempio nel giorno 19),
appare evidentemente possibile operare un
riproporzionamento del numero dei giorni
mensili di permesso spettanti.
In tal caso, aggiunge il ministero, il
riproporzionamento avviene in base ai
criteri indicati dall'Inps (circolare n.
128/2003 si veda ItaliaOggi del 12.07.2003),
secondo cui viene concesso un giorno di
permesso ogni dieci giorni di assistenza
continuativa e, per periodi inferiori a
dieci giorni, non si ha diritto a nessuna
giornata
(articolo ItaliaOggi
del 18.08.2012). |
ENTI LOCALI: Autunno caldo per gli enti locali.
Bonus Patto, poi riordino province e tagli a
consumi e organici. Pubblicata in G.U. la spending review,
scatta la fase attuativa con un fitto
calendario di scadenze.
Sarà un autunno caldo quello che attende gli
enti locali. Dopo la pubblicazione della
legge n. 135/2012 di conversione del dl 95
sulla spending review, sta per scattare la
fase attuativa delle numerose disposizioni
che toccano l'assetto organizzativo, la
finanza e le funzioni di province e comuni.
I primi provvedimenti sono attesi subito
dopo la pausa estiva.
Entro il 10 settembre, infatti, le regioni
dovranno ripartire i bonus destinati ad
alleggerire gli obiettivi del Patto di
stabilità interno. Sul piatto ci sono 800
milioni di euro di incentivi, per
aggiudicarsi i quali i governatori dovranno
mettere a disposizione di sindaci e
presidenti almeno 960 milioni di spazi
finanziari.
C'è tempo fino al 30 settembre, invece, per
raggiungere in Conferenza stato-città e
autonomie locali un accordo sulla
ripartizione dei nuovi tagli al fondo
sperimentale di riequilibrio ed ai residui
trasferimenti erariali, che per il 2012
valgono complessivamente 500 milioni per i
comuni e altrettanti per le province. A tal
fine, si dovrà tenere conto delle analisi
della spesa effettuate dal commissario
Bondi, nonché (solo per i comuni) degli
elementi di costo nei singoli settori
merceologici, dei dati raccolti nell'ambito
della procedura per la determinazione dei
fabbisogni standard e dei conseguenti
risparmi potenziali di ciascun ente.
Se non si troverà una quadra, la
ripartizione verrà operata entro il 15
ottobre da un decreto del ministero
dell'interno in proporzione alle spese
sostenute per consumi intermedi desunte, per
l'anno 2011, dal Siope.
Tra la fine di settembre e gli inizi di
ottobre entrerà nel vivo anche la complessa
partita relativa al riordino delle province,
che dovrà essere operato sulla base dei due
criteri (popolazione non inferiore a 350
mila abitanti e superficie non inferiore a
2.500 kmq) fissati dalla deliberazione del
consiglio dei ministri del 20 luglio scorso.
E proprio la data di pubblicazione di tale
provvedimento sulla G.U., ovvero il 24
luglio, rappresenta il riferimento per le
successive scadenze.
Entro 70 giorni, quindi entro il 2 ottobre,
i Consigli delle autonomie locali (o, in
mancanza dei Cal, gli altri organi regionali
di raccordo tra regioni ed enti locali)
dovranno approvare un'ipotesi di riordino
relativa alle province ubicate nel
territorio della rispettiva regione,
inviandola alla regione medesima entro il
giorno successivo. Entro i 20 giorni
successivi (quindi, al più tardi entro il 23
ottobre), le regioni dovranno trasmettere al
governo una proposta di riordino, formulata
sulla base dell'ipotesi elaborata dal
competente cal; in mancanza di quest'ultima,
le regioni dovranno comunque provvedere
autonomamente entro il 24 ottobre. Infine,
toccherà all'esecutivo, al quale è imposto
un termine di 60 giorni dalla data di
entrata in vigore della l 135 (8 agosto),
che scade il 7 ottobre e che, non essendo
coordinato con gli altri momenti
procedurali, va inteso come ordinatorio (si
veda ItaliaOggi del 7/8/2012).
Non è chiaro, inoltre, che forma avrà
l'«atto legislativo di iniziativa
governativa» che dovrà chiudere il
procedimento: se, come pare, si tratterà di
un disegno di legge, servirà anche un
passaggio parlamentare (per questo il
governo starebbe pensando a un decreto
legge, ma si tratta di una soluzione
problematica dal punto di vista
costituzionale, si veda ItaliaOggi
dell'11/08/2012).
Completato il riordino, occorrerà procedere
alla redistribuzione delle funzioni (che in
gran parte passeranno ai comuni) e di beni e
risorse umane, strumentali e finanziarie: a
tal fine, si procederà con una serie di dpcm
da adottare entro 60 e 180 giorni
dall'entrata in vigore del dl 95 (avvenuta,
lo ricordiamo, il 6 luglio): anche in tal
caso, pertanto, si ritiene trattarsi di
termini ordinatori.
Sempre con dpcm, ma entro il 31 dicembre, si
procederà, invece, a definire i parametri di
virtuosità per la determinazione delle
dotazioni organiche degli enti locali, sulla
base dei quali dovranno essere definiti i
margini di manovra di ogni amministrazione
sulla gestione del rispettivo personale.
Ha invece effetto immediato l'obbligo di
attenersi alle convenzioni Consip o a quelle
stipulate dalle centrali di committenza
regionali, anche se sono fatte salve le
procedure di gara il cui bando sia stato
pubblicato precedentemente alla data di
entrata in vigore del dl 95.
La stretta sulle spese per le locazioni
passive (con riduzione del 15% dei canoni
attuali) andrà a regime dall'01.01.2015,
ma scatta fin da subito il blocco degli
adeguamenti Istat, che durerà fino al 2014
compreso.
Tempi più lunghi per gli interventi sulle
società strumentali, ma occorre mettersi al
lavoro fin da subito perché quelle che non
riusciranno a beneficiare delle deroghe
previste in sede di conversione del dl 95
dovranno essere dimesse entro il 30.06.2013 con alienazione delle partecipazioni da
parte degli enti controllanti o, in
mancanza, sciolte entro il successivo 31
dicembre.
Dal 1° ottobre, infine, è operativo il tetto
ai buoni pasto, che non potranno superare il
valore giornaliero di 7 euro, mentre il
nuovo taglio alle spese per l'acquisto, la
manutenzione, il noleggio e l'esercizio di
autovetture, nonché per l'acquisto di buoni
taxi diverrà operativo nel 2013
(articolo ItaliaOggi
del 17.08.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Concertazione sugli esuberi. Torna il
confronto amministrazione-sindacati. La
legge 135 porta a 30 giorni il tempo per
definire le modalità di reimpiego.
È da considerare di trenta e non dieci
giorni dall'informazione alle organizzazioni
sindacali il tempo a disposizione delle
amministrazioni pubbliche per definire le
modalità per reimpiegare il personale in
esubero.
Le relazioni sindacali sulle procedure per
la rilevazione degli esuberi del personale
alle dipendenze della pubblica
amministrazione sono rese particolarmente
incerte dalla «spending review» (il dl
95/2012 convertito nella legge 135/2012
pubblicata nel Supplemento ordinario n. 173
allegato alla Gazzetta Ufficiale n. 189 del
14.08.2012) che gioca un cattivo
scherzo alle amministrazioni, complicando
non di poco il sistema per giungere alla
determinazione dei casi di eccedenza dei
dipendenti, a causa della classica modifica
normativa non coordinata con disposizioni
precedenti.
Il cortocircuito procedimentale è dovuto
all'articolo 2, comma 18, lettera b), della
legge 135/2012, che inserisce nell'articolo
6, comma 1, del dlgs 165/2001, il seguente
periodo: «Nei casi in cui processi di
riorganizzazione degli uffici comportano
l'individuazione di esuberi o l'avvio di
processi di mobilità, al fine di assicurare
obiettività e trasparenza, le pubbliche
amministrazioni sono tenute a darne
informazione, ai sensi dell'articolo 33,
alle organizzazioni sindacali
rappresentative del settore interessato e ad
avviare con le stesse un esame sui criteri
per l'individuazione degli esuberi o sulle
modalità per i processi di mobilità. Decorsi
trenta giorni dall'avvio dell'esame, in
assenza dell'individuazione di criteri e
modalità condivisi, la pubblica
amministrazione procede alla dichiarazione
di esubero e alla messa in mobilità».
La norma, come si vede, richiama l'articolo
33 del dlgs 165/2001, ma non si coordina con
esso. La spending review, nella sostanza,
reintroduce nel citato articolo 33 una fase
di confronto tra amministrazioni pubbliche e
sindacati che la legge 183/2011, modificando
appunto l'articolo 33, aveva eliminato.
Infatti, il testo vigente dell'articolo 33,
commi 4 e 5, dispone che laddove sia
individuato personale in esubero, il
dirigente responsabile deve dare
un'informativa preventiva alle
rappresentanze unitarie del personale e alle
organizzazioni sindacali firmatarie del
contratto collettivo nazionale del comparto
o area; trascorsi dieci giorni da detta
informativa, scattano le azioni per
ricollocare il personale all'interno del
medesimo ente o in altre amministrazioni.
La modifica all'articolo 6, comma 1, del
dlgs 165/2001 rende, però, di fatto
inoperante la previsione del comma 5
dell'articolo 33. Infatti, aggiunge
indirettamente alla procedura ivi descritta
l'obbligo, conseguente all'informazione
preventiva, di attivare un esame congiunto,
per concordare, laddove possibile, come
individuare gli esuberi e come attivare la
mobilità (cioè i trasferimenti) del
personale interessato.
Trattandosi di una disposizione tendente a
valorizzare la funzione dei sindacati, la
novellazione dell'articolo 6, comma 1, del
dlgs 165/2001 deve essere intesa come
prevalente sull'articolo 33, comma 5.
Insomma, la sola informazione preventiva ed
il decorso dei dieci giorni non possono più
bastare per legittimare le azioni di
ricollocazione del personale in esubero. I
sindacati hanno un diritto pieno all'esame
congiunto, anche se non possono pretendere
di avere l'ultima parola.
L'esame congiunto è nella sostanza una
procedura di concertazione della durata di
30 giorni, al termine della quale se
sindacati ed amministrazione non concordino
con criteri per gli esuberi e modalità per
porvi rimedio, comunque il potere
decisionale ultimo resta
all'amministrazione, che potrà agire in via
unilaterale
(articolo ItaliaOggi
del 17.08.2012 - link a
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ La rinuncia anticipata da parte
del primo dei non eletti è inefficace. Dimissioni subito operative.
Ma per il subentro serve la delibera di
surroga.
Qual è il presupposto giuridico per
l'adozione del provvedimento di
surrogazione?
L'articolo 38, comma 8, del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267, prevede
che le dimissioni dalla carica di
consigliere devono essere presentate
personalmente ed assunte immediatamente al
protocollo dell'ente nell'ordine temporale
di presentazione. In alternativa, le
dimissioni non presentate personalmente
devono essere autenticate ed inoltrate al
protocollo per il tramite di persona
delegata con atto autenticato in data non
anteriore a cinque giorni.
Esse sono
irrevocabili, non necessitano di presa
d'atto e sono immediatamente efficaci. Il
consiglio, entro e non oltre dieci giorni,
deve procedere alla surroga dei consiglieri
dimissionari, con separate deliberazioni,
seguendo l'ordine di presentazione delle
dimissioni quale risulta dal protocollo.
Ad avviso del Tar Lombardia (sentenza 28.02.2006, n. 245), «l'abdicazione dalla
carica di consigliere comunale, seppure
immediatamente operativa, è logicamente e
cronologicamente distinta dal subentro del
primo dei candidati non eletti, che si
realizza con l'adozione di un atto
consequenziale e subordinato entro il
termine di legge», rappresentando il
presupposto giuridico per l'adozione
dell'ulteriore provvedimento di
surrogazione.
Dunque, la lettera dell'art. 38 del Tuel è
sufficientemente chiara nel disporre che «lo
status di consigliere si acquista, in caso
di dimissioni, quale effetto immediato della
deliberazione di surrogazione da parte
dell'organo consiliare, la cui adozione è
peraltro preceduta dalla verifica,
normativamente prevista, dell'assenza di
eventuali cause di ineleggibilità e di
incompatibilità alla carica» (Tar ult.
cit.).
Tale premessa permette di comprendere meglio
e di condividere quell'orientamento
giurisprudenziale secondo cui, la
dichiarazione di indisponibilità resa dal
primo dei non eletti anticipatamente
rispetto all'adozione della delibera di
surrogazione deve ritenersi priva di ogni
effetto, non potendo egli disporre di un
munus di cui ancora non è investito.
Pertanto, ogni anticipata rinuncia a quel
diritto non può che essere radicalmente
inefficace (Tar Lazio, Latina, 05.05.2006, n. 651).
Per quanto riguarda la surroga del
consigliere dimessosi, si fa rilevare che
dalla lettura dell'art. 45 del dlgs n.
267/2000 non si evincono dubbi
interpretativi sull'individuazione del
successore, in quanto la norma stabilisce
che «il seggio che rimanga vacante è
attribuito al candidato che nella medesima
lista segue immediatamente l'ultimo eletto».
Si soggiunge che il vigente ordinamento non
prevede poteri di controllo di legittimità
sugli atti degli enti locali in capo
all'amministrazione dell'interno, pertanto
gli eventuali vizi di legittimità degli atti
adottati, potranno essere fatti valere solo
nelle competenti sedi giurisdizionali,
secondo le consuete regole vigenti in
materia
(articolo ItaliaOggi
del 17.08.2012). |
aggiornamento al 16.08.2012 |
|
VARI: Senza
pista ciclabile occhio al semaforo.
Se il ciclista pedala
fuori dalla sede stradale ordinaria deve
omologare il suo comportamento a quello
degli altri utenti deboli presenti sul
tracciato. In particolare nel caso di piste
ciclopedonali agli incroci dovrà osservare
le lanterne semaforiche dedicate ai pedoni
oppure quelle riservate alle biciclette
sulle piste ciclabili, se installate. In
mancanza di piste e tracciati riservati agli
utenti a pedali anche il ciclista osserverà
le normali regole del traffico veicolare e
dovrà quindi fermarsi al semaforo a fianco
dei mezzi a motore.
Lo ha chiarito il Ministero dei Trasporti
con il parere 04.07.2012 n. 3936 di prot..
La questione dell'arresto dei ciclisti ai
semafori pedonali è stata oggetto di
interpretazioni contrastanti a seguito di un
precedente parere del ministero
dell'01.06.2012. In pratica in questa nota
d'inizio estate l'organo centrale di
coordinamento tecnico del codice stradale
evidenziava la necessità per tutti i
ciclisti di osservare agli incroci (senza
piste ciclabili con semafori ad hoc)
le indicazioni delle lanterne semaforiche
pedonali.
La questione ha subito suscitato clamore tra
gli addetti ai lavori e per questo il
ministero è tornato sul punto articolando
meglio la precedente risposta. Nel caso di
piste ciclabili con tanto di attraversamento
dedicato possono essere impiegate lanterne
semaforiche speciali per velocipedi. Ma si
tratta di esperienze ancora poco diffuse sul
territorio nazionale.
Più comunemente in Italia i velocipedi
circolano in promiscuo con gli altri veicoli
oppure sulle piste ciclopedonali assieme ai
pedoni. Solo in questo caso i ciclisti sono
tenuti ad attraversare gli incroci sugli
attraversamenti pedonali, anche in sella
alla bicicletta, osservando le indicazioni
delle lanterne semaforiche
(articolo ItaliaOggi del 15.08.2012). |
CONDOMINIO: Giardino,
area destinata a parcheggio.
«La delibera assembleare di destinazione
a parcheggio di un'area di giardino
condominiale, interessata solo in piccola
parte da alberi di alto fusto e di ridotta
estensione rispetto alla superficie
complessiva, non dà luogo a una innovazione
vietata dall'art. 1120 cod. civ., non
comportando tale destinazione alcun
apprezzabile deterioramento del decoro
architettonico, né alcuna significativa
menomazione del godimento e dell'uso del
bene comune, e anzi, da essa derivando una
valorizzazione economica di ciascuna unità
abitativa e una maggiore utilità per i
condòmini».
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sent. n.
15319/2011, inedita)
(articolo ItaliaOggi del 15.08.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Una frenata ai documenti inutili.
In ogni atto pubblico lista degli oneri per
cittadini e imprese. Dopo l'ok del Consiglio
di stato il dpcm è in
dirittura. Obbligatorio il referente dei
reclami.
Un responsabile a cui i cittadini possano
inoltrare i reclami contro provvedimenti
amministrativi, circolari e regolamenti
ministeriali. I quali dovranno essere sempre
pubblicati sui siti internet delle p.a. allo
scopo di rendere trasparenti tutti gli oneri
informativi gravanti sui cittadini e sulle
imprese, introdotti o eliminati con gli atti
medesimi.
È ormai in dirittura il dpcm
attuativo dell'articolo 7, comma 2, della
legge 11.11.2011, n. 180, vale a dire
lo Statuto delle imprese, che punta a
responsabilizzare le amministrazioni dello
Stato per evitare oneri sproporzionati
rispetto alle esigenze di tutela degli
interessi pubblici e a rendere
immediatamente conoscibili ai cittadini e
alle imprese questi adempimenti.
Il Consiglio di stato, con il
parere 19.07.2012 n.
3326, ha dato il
via libera al decreto, con una serie di
spunti e suggerimenti di integrazione del
testo. Gli oneri informativi toccati dal
provvedimento sono tutti quegli adempimenti
che comportino la raccolta, elaborazione,
trasmissione, conservazione e produzione di
informazioni e documenti alla pubblica
amministrazione.
In parole povere, carte e
documenti da girare agli uffici. Con
riferimento, dunque, a ogni regolamento o
provvedimento amministrativo, il cittadino
dovrà sapere se tali atti introducono o
riducono gli oneri in questione, mentre in
relazione alle modalità di presentazione dei
reclami, la legge 180 e il dpcm specificano
che si tratta di un tassello essenziale ai
fini della valutazione degli eventuali
profili di responsabilità dei dirigenti
preposti agli uffici interessati. Insomma,
chi non risponde, paga.
Nei quattro articoli
del decreto si stabiliscono i criteri e le
modalità di pubblicazione delle informazioni
sui siti istituzionali, grazie a una
apposita sezione denominata «oneri
informativi» introdotti ed eliminati e
individuando i soggetti responsabili
dell'allegazione, dell'istruttoria e della
pubblicazione. L'articolo 3 riguarda invece
le modalità di presentazione dei reclami, e
prescrive la pubblicazione sul sito dei
riferimenti del responsabile del trattamento
reclami, nonché la casella di posta
elettronica a cui scrivere, e l'obbligo di
inoltrare i reclami anche all'Ispettorato
della funzione pubblica per il previsto
monitoraggio.
Entro nove mesi dell'entrata
in vigore del regolamento scatterà una
valutazione sulle modalità di attuazione
delle disposizioni, dopo aver sentito le
associazioni di categoria rappresentative a
livello nazionale, allo scopo eventualmente
di rivedere e integrare lo stesso
regolamento. Il giudizio di palazzo Spada
sul dpcm è «sostanzialmente positivo»,
ma non mancano osservazioni sullo schema di
regolamento, e non solo di forma. Il parere
suggerisce ad esempio di fare riferimento
alla pubblicazione dei regolamenti
ministeriali o interministeriali, dei
provvedimenti amministrativi a carattere
generale ma anche di circolari e atti di
indirizzo, ai quali allegare l'elenco degli
oneri informativi introdotti o eliminati.
Altro suggerimento, precisare che il
regolamento si applica soltanto alle
amministrazioni dello Stato e specificare
meglio la natura di «onere informativo»,
intendendo con esso qualunque adempimento
previsto per determinate categorie di
cittadini o imprese o per le generalità
degli stessi, di raccogliere, elaborare,
conservare, produrre e trasmettere dati,
notizie, comunicazioni, relazioni,
dichiarazioni, istanze e documenti alle
p.a., anche su richiesta di queste ultime, a
determinate scadenze o con periodiche
cadenze.
Ovviamente non rientrano tra gli oneri
informativi gli obblighi di natura fiscale,
né quelli che discendono dall'adeguamento di
comportamenti, di processi produttivi o di
prodotti. Da sottolineare infine come ai
giudici di palazzo Spada sembrino non
piacere gli anglicismi. E così, il termine
checklist andrebbe sostituito con «lista di
controllo», «box» con «quadro»
ed help desk con «ufficio per la
semplificazione amministrativa del
Dipartimento della funzione pubblica»
(articolo ItaliaOggi del 14.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Comunità montane salve come
unioni. Dopo
anni di tentativi di soppressione la spending review ribalta tutto. E le regioni
si adeguano.
Le comunità montane cambiano pelle, ma si
salvano di fatto dall'abrogazione. Anche
grazie al taglio delle province. Gli enti
montani potranno continuare a sopravvivere,
trasformati in unioni di comuni, e avranno
pure più poteri perché, sotto questa nuova
veste, svolgeranno le funzioni che i
minienti dovranno obbligatoriamente gestire
in forma associata a partire dal 2013.
Ci ha
pensato Mario Monti con la spending review a
mettere in cassaforte gli enti di montagna,
bersaglio cinque anni or sono del primo
tentativo di riduzione dei costi della
politica.
Con la Finanziaria 2008 il governo Prodi ha
provato a sopprimere gli enti di montagna,
ma poi la Corte costituzionale (sentenza n.
237/2009) ha affidato la competenza in
materia alle regioni stabilendo che lo Stato
non avesse il potere di eliminare le
comunità ma tutt'al più di decretarne una
morte lenta e graduale non finanziando il
fondo che le alimenta.
La patata bollente è passata così ai
governatori che in questi anni hanno fatto
poco o nulla. A parte qualche eccezione
(Basilicata, Liguria, Molise, Puglia,
Toscana e Friuli-Venezia Giulia) le regioni
hanno progressivamente ridotto i
trasferimenti alle comunità montane senza
però avere il coraggio di eliminarle del
tutto o trasformarle in unioni. Tanto che,
ad oggi, se ne contano ancora 161.
E mentre
in alcune regioni (Piemonte e Veneto), senza
l'intervento salvifico della spending review,
gli enti sarebbero dovuti scomparire entro
fine anno, in altre, come la Lombardia,
prendere tempo alla fine ha giovato. In
tutti questi anni l'assessore al bilancio
del Pirellone, Romano Colozzi, non ha mai
voluto saperne di staccare la spina alle
comunità montane, anzi ha puntualmente
compensato con 9 milioni di euro di
finanziamenti regionali i contributi
erariali soppressi.
C'è stato anche chi,
come il Molise, è arrivato a commissariare
gli enti attribuendo le loro funzioni
all'ennesima agenzia regionale costituita ad
hoc (con conseguente aggravio di spesa
pubblica) o chi, come la Calabria, ha
provato a fare lo stesso ma non ha avuto
abbastanza tempo. Perché, come detto, la spending review (art. 19 del dl 95/2012
atteso oggi in G.U.) ha rimesso le cose a
posto. Tanto che ieri le comunità montane
hanno celebrato una loro, particolarissima,
ricorrenza.
Esattamente un anno fa, il 13.08.2011, la manovra d'estate del governo
Berlusconi (dl 138/2011), con una norma
molto discussa (art. 16), aveva imposto ai
comuni con meno di mille abitanti di
mettersi insieme fondendo bilanci e
funzioni. Una forzatura che secondo il
presidente di Uncem Piemonte, Lido Riba,
«avrebbe distrutto la montagna» e con essa
«i territori marginali dove il comune è un
punto fermo e gli amministratori locali sono
volontari» al servizio dei cittadini.
A un
anno di distanza tutto è cambiato perché il
decreto sulla riduzione della spesa
pubblica, pur obbligando gli enti sotto i
5.000 abitanti (o sotto i 3.000 se montani)
a esercitare le funzioni fondamentali in
forma associata a partire dall'anno prossimo
(cominciando con tre su nove fino ad
arrivare a metterle insieme tutte dal 2014,
si veda tabelle in pagina), ha lasciato
ampia libertà di scelta sulla forma
associativa da scegliere tra unione e
convenzione. Non solo. Potrebbe sembrare un
paradosso, ma un punto a favore della
sopravvivenza delle comunità montane
potrebbe proprio arrivare dal riordino delle
province. «Se con il taglio degli enti
intermedi si stabilisce per esempio che le
competenze in materia di risorse
idrogeologiche passano ai comuni, si
dovranno costituire unioni di dimensioni
tali da ricomprendere un intero bacino»,
spiega a ItaliaOggi Enrico Borghi,
presidente della commissione montagna dell'Anci.
«In questa nuova prospettiva l'esperienza
di governo del territorio delle comunità
montane sarà fondamentale. Ecco perché la
nascita delle unioni montane rappresenta un
momento storico per far mantenere nelle mani
delle popolazioni locali le redini di un
destino che sembra sempre più deciso da
soggetti esterni». E così, a tempo di
record, le regioni, anche quelle che avevano
deciso di fare sul serio, tornano sui loro
passi. Lo farà il Piemonte che a settembre
porterà in consiglio un correttivo del ddl
sulla messa in liquidazione delle comunità
montane dal 31/12/2012.
E lo farà il Veneto che ha presentato un
progetto di legge bipartisan che trasforma
le comunità montane in unioni. Tirando le
somme, cinque anni di riforme annunciate per
un nulla di fatto. Un precedente che non
induce all'ottimismo quando il riordino
delle province entrerà nel vivo. Anche
perché l'iniziativa dovrà nuovamente partire
dalle regioni (articolo ItaliaOggi del 14.08.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti elettrici, non tutto si
butta.
Verifica pre-smaltimento per salvare ciò che
si può riusare. In
vigore la direttiva europea che spinge verso
il riciclaggio dei materiali per pc, tv e
cellulari.
Gli esportatori dovranno verificare il
funzionamento degli apparecchi, per evitare
che si tratti di rifiuti da smaltire invece
che materiale usato da riutilizzare.
Tuttavia, saranno anche semplificati gli
adempimenti previsti per la raccolta ed il
trattamento dei rifiuti elettronici.
Queste,
alcune delle novità contenute nella
DIRETTIVA 2012/19/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO
E DEL CONSIGLIO del 04.07.2012, sui
rifiuti di apparecchiature elettriche ed
elettroniche, entrata in vigore ieri con
l'obiettivo di aumentare la protezione
dell'ambiente perché riguarda articoli che
rientrano tra i rifiuti dal tasso di
crescita più elevato ma presentano anche un
grande potenziale in termini di
commercializzazione di materie prime
secondarie.
La raccolta sistematica, quindi, unitamente
al corretto trattamento sono indispensabili
per il riciclaggio di materiali come l'oro,
l'argento, il rame e i metalli rari usati
per la produzione, tanto per citarne alcuni,
di televisori, computer portatili e telefoni
cellulari. La normativa, che è stata
pubblicata sulla Gazzetta dell'Ue lo scorso
24 luglio, si colloca nell'ambito della
direttiva Raee (direttiva 2002/96/Ce),
entrata in vigore nel febbraio 2003 e che
prevedeva la restituzione gratuita dei
rifiuti elettronici da parte dei
consumatori.
Oggi, l'obiettivo del nuovo
provvedimento è quello di prevenire danni
alla salute umana e all'ambiente dovuti alle
sostanze pericolose contenute nei rifiuti
elettronici aumentando il riciclaggio e il
riutilizzo di prodotti e materiali. Ma
l'intento della direttiva è quello anche di
pervenire, a decorrere dal 2016, alla
raccolta pari al 45% delle apparecchiature
elettroniche.
In un secondo tempo, dal 2019,
l'obiettivo salirà al 65% delle
apparecchiature vendute, oppure all'85% dei
rifiuti elettronici prodotti e gli Stati
membri potranno scegliere liberamente quale
sistema adottare per la misurazione dello
scopo raggiunto. La direttiva comunque
entrerà in vigore, a regime, a partire dal
2018. Ciò in quanto, fino al 14.08.2018,
l'ambito di applicazione è limitato ai
prodotti espressamente individuati negli
allegati alla direttiva stessa. Solo per
questi, in pratica, fin da subito vige
l'obbligo del loro conferimento presso i
centri autorizzati.
Si tratta, in
particolare, dei grandi e piccoli
elettrodomestici, delle apparecchiature
informatiche e per telecomunicazioni, dei
pannelli fotovoltaici, delle apparecchiature
di illuminazione, degli strumenti elettrici
ed elettronici (ad eccezione degli utensili
industriali fissi di grandi dimensioni), dei
giocattoli elettronici e dei distributori
automatici.
I consumatori potranno
restituire i rifiuti elettronici di piccole
dimensioni presso i negozi al dettaglio,
eccetto nei casi in cui sistemi alternativi
già in uso diano prova di essere almeno di
pari efficacia. Al più tardi entro il 14.02.2014 gli stati membri saranno
tenuti a modificare la legislazione
nazionale in vigore in materia di Raee per
conformarsi alle disposizioni della nuova
direttiva e ai relativi obiettivi
(articolo ItaliaOggi del 14.08.2012). |
APPALTI:
Appalti. Istruzioni anche sugli affidamenti
alle cooperative sociali.
Gare, l'Autorità frena sul prestito dei
requisiti.
No all'avvalimento per certificazioni di
qualità e iscrizioni all'albo.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici ha tradotto in due determinazioni i
risultati delle consultazioni sull'istituto
dell'avvalimento e sui rapporti delle
amministrazioni pubbliche con le cooperative
sociali coinvolgenti nelle attività soggetti
svantaggiati, che assumono notevole
rilevanza per le stazioni appaltanti,
soprattutto in relazione ai percorsi (con
gara o derogatori) per l'acquisizione di
beni o servizi.
L'avvalimento
Secondo la
determinazione
01.08.2012 n. 2 le prospettive di ampio utilizzo
del l'avvalimento non possono permettere
l'elusione del dato normativo contenuto
nell'articolo 49 del Codice dei contratti
pubblici, il cui comma 2 è preordinato a
garantire la certezza del rapporto tra
concorrente e impresa ausiliaria in
relazione al prestito dei requisiti.
I documenti elencati nella disposizione
devono quindi essere allegati alla domanda
di partecipazione a pena di esclusione.
Secondo l'Autorità l'avvalimento non può
essere utilizzato per la certificazione di
qualità tranne nell'ipotesi in cui la stessa
sia compresa nell'attestazione Soa, in
quanto essa è assimilabile a un requisito
soggettivo, poiché attinente a uno specifico
"status" dell'imprenditore.
In simile prospettiva, l'Autorità non
ritiene assoggettabili al l'avvalimento
molti requisiti di idoneità professionale,
come l'iscrizione ad albi specifici o il
possesso di particolari licenze legate
all'esercizio dell'attività.
L'istituto può trovare applicazione nelle
gare per servizi di architettura e
ingegneria, ma solo in relazione ai
requisiti di partecipazione e non anche per
i tre servizi analoghi da considerare nella
parte tecnico-qualitativa dell'offerta.
Inoltre, l'avvalimento può aversi tra due
imprese che facciano parte dello stesso
raggruppamento temporaneo partecipante a una
gara. In ogni caso, il rapporto tra
operatore economico concorrente e impresa
ausiliaria deve essere documentato da un
contratto molto dettagliato, nel quale
devono essere specificamente indicati i
requisiti prestati.
Le cooperative
Per gli acquisti di beni e servizi di valore
inferiore alla soglia comunitaria l'Avcp
evidenzia invece nella
determinazione
01.08.2012 n. 3 i presupposti che
possono permettere il ricorso ad affidamenti
alle cooperative sociali di tipo B,
specificando anzitutto che questi organismi
devono avere in organico almeno il 30 per
cento dei lavoratori (soci o non) costituito
da persone svantaggiate (nell'accezione
dell'articolo 4 della legge n. 381/1991) e
che devono essere iscritte all'apposito albo
regionale (condizione necessaria per la
stipula delle convenzioni).
Focalizzando l'attenzione sui limiti per il
ricorso a tali affidamenti derogatori,
individuati dall'articolo 5 della stessa
legge n. 381/1991 nel valore inferiore alla
soglia comunitaria e nella riconduzione a
forniture di beni e di servizi non sociali,
l'Autorità richiede che essi avvengano in
base a un confronto concorrenziale.
Nella determinazione si evidenzia infatti la
necessità di procedere alla pubblicazione,
sul profilo committente, di un avviso
pubblico, per rendere nota la volontà di
riservare parte degli appalti di determinati
servizi e forniture alle cooperative sociali
di tipo B, per le finalità di reinserimento
lavorativo di soggetti svantaggiati. L'ente
locale, se rileva che sussistono più
cooperative interessate alla convenzione,
nel rispetto dei principi dell'ordinamento
comunitario è chiamato a promuovere una
procedura competitiva di tipo negoziato tra
tali soggetti (articolo
Il Sole 24 Ore del 13.08.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Decreto sviluppo. Cambi d'uso e manutenzione
straordinaria senza permessi.
Per gli immobili d'impresa si amplia
l'edilizia libera.
Le incertezze interpretative frenano però
l'applicazione.
I DUBBI/
Le modifiche urbanistiche non possono
interessare i fabbricati che non sono ancora
adibiti alle attività produttive.
Il legislatore nazionale torna a occuparsi
dell'attività edilizia libera, con
l'articolo 13-bis del Dl 83/2012, introdotto
dalla legge di conversione in attesa di
pubblicazione sulla «Gazzetta»). Dopo le
significative modificazioni già apportate
alla materia dal Dl 40/2010, la nuova norma
amplia ulteriormente il novero degli
interventi per la cui esecuzione non è
necessario un titolo abilitativo, inserendo
al secondo comma dell'articolo 6 del Dpr
380/2001 la lettera e-bis), specificamente
rivolta agli immobili utilizzati per lo
svolgimento di attività imprenditoriali, nel
cui ambito, stante la generalità (o
genericità) del termine, possono
ragionevolmente ricomprendersi di fatto
tutti gli immobili non destinati alla
residenza (capannoni e negozi, ad esempio).
Da domani, quindi, sarebbe sufficiente una
semplice comunicazione al Comune sia per
realizzare «le modifiche interne di
carattere edilizio sulla superficie coperta
dei fabbricati adibiti ad esercizio
d'impresa», sia per effettuare «le modifiche
della destinazione d'uso» di questi locali.
La disposizione solleva varie perplessità,
innanzitutto per il ricorso alla locuzione
"modifiche interne" senza alcuna ulteriore
specificazione tipologica. Appare azzardato
ipotizzare che il legislatore abbia inteso
consentire cambiamenti anche di tipo
strutturale, oppure interventi riconducibili
al novero della ristrutturazione o del
restauro e risanamento conservativo, poiché
in tal caso verrebbe a delinearsi una
incongrua disparità di trattamento e il
sospetto di incostituzionalità della
previsione. Infatti, solo i proprietari di
immobili adibiti ad attività imprenditoriali
risulterebbero esentati dalla necessità di
un titolo abilitativo per queste categorie
di interventi.
È quindi preferibile una lettura
costituzionalmente orientata, che riconduca
le modifiche interne nel novero degli
interventi di manutenzione straordinaria
ammessi dal comma 2, lettera a), che già
contempla «l'apertura di porte interne o lo
spostamento di pareti interne»; anche in
questo caso con ovvia esclusione delle opere
di tipo strutturale –per le quali è
richiesto in via generale il titolo
abilitativo– e senza alcun mutamento di
destinazione d'uso, trattandosi di modifiche
edilizie relative a fabbricati comunque già
adibiti a esercizio di impresa. Ma con
questa più prudente chiave interpretativa,
la previsione finisce con lo svuotarsi di
contenuto sostanziale.
Anche la seconda parte della disposizione
desta incertezze, nella misura in cui
prevede la possibilità di effettuare
«modifiche della destinazione d'uso dei
locali adibiti ad esercizio d'impresa».
Trattandosi di misure teoricamente volte a
favorire le iniziative produttive, la norma
avrebbe forse dovuto adoperare il termine
"da adibirsi", così sancendo la possibilità
di utilizzare a esercizio di impresa spazi
in precedenza destinati ad altro uso.
Inoltre, se i locali sono (già) adibiti ad
attività imprenditoriale, la modifica d'uso
non potrà che avvenire nell'ambito della
stessa tipologia ed essere di tipo
funzionale, quindi senza l'esecuzione di
opere. Diversamente si ricadrebbe in
un'ipotesi interpretativa sperequata e di
dubbia costituzionalità, esentando i soli
proprietari imprenditori dall'obbligo del
previo titolo abilitativo (che nelle zone
omogenee "A" è il permesso di costruire, ai
sensi dell'articolo 10, primo comma, lettera
c), Testo unico).
Secondo la giurisprudenza (si veda ad
esempio Consiglio di Stato, Sezione V,
1650/2010, 498/2009; Tar Lazio-Roma,
4622/2011; Cassazione penale, Sezione III,
20350/2010) il mutamento di destinazione
d'uso giuridicamente rilevante è quello tra
categorie funzionalmente autonome dal punto
di vista urbanistico, posto che nell'ambito
delle stesse categorie possono aversi
mutamenti di fatto, ma non diversi regimi
urbanistico costruttivi, stante le
sostanziali equivalenze dei carichi
urbanistici nell'ambito della medesima
categoria. Peraltro, in questo caso, la
modifica d'uso non dovrebbe comportare il
pagamento di un ulteriore contributo di
costruzione.
La previsione, dunque, dovrebbe essere letta
e interpretata tenendo presente le possibili
ripercussioni del mutamento d'uso sui
parametri urbanistici e sulle volumetrie
massime assentibili in relazione agli indici
della zona, così come individuati dai piani
regolatori generali, nonché i limiti di
carattere generale posti per l'attività
edilizia che può essere eseguita in assenza
di pianificazione urbanistica, specie per
ciò che attiene alle destinazioni produttive
(articolo 9, testo unico).
---------------
Le nuove definizioni
Le tipologie di attività edilizia libera
dopo l'intervento del decreto sviluppo
nell'articolo 6 del Testo unico
dell'edilizia
ARTICOLO 6, COMMA 1 -
Attività edilizia totalmente libera
●
lettera a) - manutenzione ordinaria;
●
lettera b) - eliminazione di barriere
architettoniche senza realizzazione di
rampe, di ascensori esterni o altri
manufatti che alterino la sagoma
dell'edificio;
●
lettera c) - opere temporanee per attività
di ricerca nel sottosuolo, eseguite in aree
esterne al centro edificato, di carattere
geognostico, ad esclusione di attività
di ricerca di idrocarburi;
●
lettera d) - movimenti di terra strettamente
pertinenti all'esercizio dell'attività
agricola e delle pratiche
agro-silvo-pastorali, compresi gli
interventi su impianti idraulici agrari;
●
lettera e) - serre mobili stagionali,
sprovviste di strutture in muratura,
funzionali allo svolgimento
dell'attività agricola
ARTICOLO 6, COMMA 2 -
Attività edilizia libera previa
comunicazione inizio lavori
●
lettera a) - manutenzione straordinaria,
compresa l'apertura di porte interne
o lo spostamento di pareti interne, che non
riguardi parti strutturali dell'edificio,
non aumenti il numero delle unità
immobiliari e non incrementi i parametri
urbanistici;
● lettera b) - opere dirette a soddisfare
esigenze contingenti e temporanee
e da rimuovere al cessare della necessità,
comunque, entro novanta giorni;
● lettera c) - pavimentazione e finitura
di spazi esterni, anche per aree di sosta,
contenute entro l'indice di permeabilità,
ove stabilito dallo strumento urbanistico
comunale, ivi compresa la realizzazione
di intercapedini interamente interrate
e non accessibili, vasche di raccolta
delle acque, locali tombati;
●
lettera d) - pannelli solari, fotovoltaici,
a servizio degli edifici, da realizzare
al di fuori delle zone A (centri storici);
●
lettera e) - aree ludiche senza fini di
lucro ed elementi di arredo delle aree
pertinenziali degli edifici;
●
lettera e-bis) - modifiche interne
di carattere edilizio sulla superficie
coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio
d'impresa e modifiche della destinazione
d'uso dei locali adibiti ad esercizio
d'impresa
ARTICOLO 6, COMMA 4, PRIMO E SECONDO PERIODO
-
Attività edilizia libera previa
comunicazione inizio lavori, trasmissione
dati identificativi dell'impresa esecutrice
dei lavori e relazione tecnica, con
elaborati progettuali, asseverante la
conformità
a strumenti urbanistici e regolamenti
edilizie e non necessità di titolo
abilitativo
●
interventi articolo 6, comma 2, lettera a) -
manutenzione straordinaria, compresa
l'apertura di porte interne o lo spostamento
di pareti interne, che non riguardi parti
strutturali dell'edificio, non aumenti
il numero delle unità immobiliari
e non incrementi i parametri urbanistici;
●
lettera e-bis) - modifiche interne di
carattere edilizio sulla superficie coperta
dei fabbricati adibiti ad esercizio
d'impresa e modifiche della destinazione
d'uso
dei locali adibiti ad esercizio d'impresa
(con dichiarazione di conformità da parte
dell'Agenzia per le imprese, su sussistenza
requisiti)
---------------
SEMPLIFICAZIONI/
Via anche i nullaosta da allegare
L'articolo 13-bis abroga l'intero comma 3
dell'articolo 6 del Dpr 380/2001, facendo
venire meno l'obbligo generalizzato di
allegare alla comunicazione di inizio dei
lavori «le autorizzazioni eventualmente
obbligatorie ai sensi delle normative di
settore», per tutti gli interventi di cui al
comma 2.
Con le contestuali modifiche apportate al
comma 4, questo onere permane solo nel caso
degli interventi di cui alla lettera a) e
alla nuova lettera e-bis), per i quali
andranno comunicati i dati identificativi
dell'impresa cui si intende affidare la
realizzazione dei lavori, nonché una
relazione, redatta da un tecnico abilitato.
Questi dovrà prima dichiarare di non avere
rapporti di dipendenza con l'impresa, né con
il committente, quindi asseverare, sotto la
propria responsabilità, che i lavori sono
conformi agli strumenti urbanistici
approvati e ai regolamenti edilizi e che non
è necessario il titolo abilitativo.
Infine, per i soli interventi di cui alla
lettera e-bis), dovranno essere trasmesse le
dichiarazioni di conformità da parte
dell'Agenzia per le imprese concernenti la
realizzazione, la trasformazione, il
trasferimento e la cessazione dell'esercizio
del l'attività di impresa.
---------------
INTERVENTO/
Sui tecnici gravano oneri impropri
Per comprendere appieno la portata delle
ultime modifiche in tema di attività
edilizia libera introdotte dall'articolo
13-bis della legge di conversione del
decreto-sviluppo occorrerà attendere un
chiarimento giurisprudenziale, se non
legislativo. Sino ad allora la complessità
delle questioni dovrebbe suggerire ai
professionisti di agire con la massima
prudenza e di interpretare in senso
restrittivo le nuove disposizioni.
Essi vengono chiamati dall'articolo 6, comma
4, del Testo unico dell'edilizia non solo ad
asseverare che i lavori progettati siano
conformi agli strumenti urbanistici
approvati e ai regolamenti edilizi vigenti
(e sin qui il compito sarebbe relativamente
facile, potendosi fare affidamento su fonti
certe e provenienti dalla stessa
amministrazione), ma anche a certificare al
Comune -e a garantire al committente- che
la normativa statale e regionale non prevede
il rilascio di un titolo abilitativo per
l'intervento che si intende eseguire.
In tal modo, ai tecnici abilitati risulta
assegnato un compito esegetico della portata
applicativa della norma che non solo li
espone a rilevanti responsabilità di natura
civile, penale e professionale, ma,
soprattutto, che istituzionalmente non
compete loro. La funzione interpretativa
della norma, infatti, non può che spettare
al giudice chiamato ad applicarla, oppure al
legislatore che l'ha formulata, operando un
chiarimento quando incerta si presenta
l'enunciazione normativa o il suo ambito di
operatività.
---------------
Le competenze. La Consulta ha chiarito che è il legislatore nazionale a
fissare il regime delle autorizzazioni.
Alle Regioni spazi limitati per incidere sui
titoli abilitativi.
LA RIPARTIZIONE/
Sulla materia del governo del territorio
ancora incerti i confini della potestà
normativa suddivisa tra Stato e governi
locali.
L'articolo 6, comma 6, lettera a), del Testo
unico dell'edilizia stabilisce che le
Regioni a statuto ordinario possono
estendere la disciplina dell'attività
edilizia libera a interventi edilizi
ulteriori rispetto a quelli previsti dai
commi 1 e 2. La previsione ripropone la
tematica dei rapporti tra il Dpr 380/2001 e
le leggi regionali in materia, dopo le
modifiche del titolo V della Costituzione e
solleva dubbi che non vengono sedati –ma
semmai ampliati– dal decreto sviluppo di
quest'anno.
Norma di riferimento è l'articolo 2 del
Testo unico, il cui comma 1 dispone che le
Regioni a statuto ordinario «esercitano la
potestà legislativa concorrente in materia
edilizia nel rispetto dei principi
fondamentali della legislazione statale
desumibili dalle disposizioni contenute nel
Testo unico». Inoltre (comma 3) le
disposizioni, anche di dettaglio, del Testo
unico, e attuative dei principi di riordino
in esso contenuti, operano direttamente nei
riguardi delle medesime Regioni, fino a
quando queste non adeguino la propria
legislazione a tali principi.
La prima difficoltà, quindi, è quella di
circoscrivere la categoria dei principi di
riordino e capire in cosa si differenzino
dai principi fondamentali. Il Consiglio di
Stato (adunanza plenaria del 07.04.2008,
n. 2) ha rilevato come il legislatore
nazionale, attraverso il Testo unico, ha
proceduto al complessivo riordino della
materia, assegnando alle disposizioni in
esso contenute carattere di norme di
principio, con la conseguente abrogazione
delle disposizioni regionali con esse confliggenti. Pertanto «fino al
l'adeguamento delle Regioni a statuto
ordinario alle norme di principio recate nel
Testo unico, le norme aventi tale portata in
questo contenute sono destinate a prevalere
sulle prime».
Anche l'adeguamento del legislatore
regionale dovrà però comunque avvenire nel
rispetto dei principi fondamentali, che, a
loro volta, non sono chiaramente indicati
dal Dpr 380/2001, bensì solo desumibili dal
Testo unico. Sul punto la Corte
costituzionale, con la sentenza 309/2011 ha
ribadito che nella normativa di principio in
materia di governo del territorio vanno
ricondotte tutte le disposizioni legislative
riguardanti i titoli abilitativi per gli
interventi edilizi. Con l'ulteriore
conseguenza che «a fortiori sono principi
fondamentali della materia le disposizioni
che definiscono le categorie di interventi,
perché è in conformità a queste ultime che è
disciplinato il regime dei titoli
abilitativi, con riguardo al procedimento e
agli oneri, nonché agli abusi e alle
relative sanzioni, anche penali».
Per la Consulta, quindi, l'intero corpo
normativo statale si fonda sulla definizione
degli interventi edilizi e l'individuazione
delle relative categorie spetta al
legislatore nazionale. Sarà quindi arduo il
compito del legislatore regionale che
volesse estendere la disciplina
dell'attività edilizia libera a interventi
tipologicamente diversi da quelli previsti
dalla norma statale, poiché l'esclusione per
un intervento dalla necessità del titolo
abilitativo potrebbe incorrere nella
violazione dell'articolo 117, comma 3 della
Costituzione e dei limiti posti alla
legislazione concorrente nella materia del
governo del territorio (articolo
Il Sole 24 Ore del 13.08.2012). |
aggiornamento al 13.08.2012 |
|
ENTI LOCALI - VARI: I
comuni possono installare i box
porta-autovelox.
I comuni possono installare box
porta-sistemi autovelox anche in centro
abitato senza necessità di alcuna
autorizzazione particolare da parte di
organi terzi. Il loro uso però sarà limitato
a una attività dissuasiva e preventiva
oppure all'accertamento non automatico
dell'eccesso di velocità con la presenza
costante dei vigili urbani.
Lo ha chiarito
il ministero dei trasporti con il parere
04.07.2012 n.
3937 di prot.
I box colorati
dissuasori dell'eccesso di velocità stanno
spuntando come funghi specialmente nei
centri abitati dove la normativa stradale
limita fortemente l'uso degli autovelox
fissi senza presidio. Per questo motivo una
provincia ha richiesto chiarimenti al
ministero dei trasporti che ha confermato la
legittimità sostanziale di queste
installazioni. I manufatti in oggetto,
specifica il parere centrale, «non sono
inquadrabili in alcuna delle categorie
previste dal nuovo codice della strada e dal
connesso regolamento di esecuzione e
attuazione e dunque per essi non risulta
concessa alcuna approvazione, ai sensi
dell'art. 45, comma 6, del codice e dell'art.
192, comma 3, del regolamento da parte di
questa direzione».
In pratica, gli
armadietti non sono classificabili come
segnaletica e nemmeno come sua componente.
Ma non si tratta neppure di impianti,
prosegue il Mit e «in quanto privi di
qualsivoglia dispositivo deputato alla
specifica funzione essi probabilmente non
potranno neppure essere ricondotti alla
futura nuova disciplina che sarà introdotta
in attuazione dell'art. 60 della legge n.
120/2010».
Il riferimento ministeriale è al
decreto che dovrà definire compiutamente le
caratteristiche e le modalità di impiego di
tutti gli impianti da utilizzare per il
controllo elettronico della velocità. In
buona sostanza, i manufatti porta-autovelox
possono essere utilizzati con misuratori
omologati, ma sempre con la presenza della
pattuglia se l'accertamento viene effettuato
in un tratto di strada non ricompreso tra
quelli autorizzati dal prefetto per il
controllo automatico
(articolo ItaliaOggi
dell'11.08.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti
in fuga dalle province. Boom di richieste di
mobilità volontaria per evitare gli esuberi.
A preoccupare i lavoratori anche
l'incertezza sulla nuova destinazione. Enti
in imbarazzo.
Fuga dalle province. È caos sulla normativa
e sulle modalità con le quali guidare e
regolare i processi di trasferimento dei
dipendenti delle amministrazioni provinciali
verso i comuni o le regioni, che dovranno
subentrare alle province nell'esercizio
delle loro competenze, per effetto
dell'articolo 17 del dl 95/2012.
La condizione di incertezza rispetto al
destino delle province, sta inducendo circa
4/5 mila dipendenti provinciali ad
anticipare decisamente i tempi ed a cercare
da subito una nuova attività lavorativa,
attraverso la «mobilità volontaria»
prevista dall'articolo 30 del dlgs 165/2001,
cioè il trasferimento verso altre
amministrazioni.
Non c'è, in effetti, dubbio che il
complicatissimo processo del passaggio delle
funzioni provinciali ai comuni o alle
regioni ponga almeno due elementi
problematici.
Il primo, è il rischio di essere coinvolti
negli «esuberi»: i dipendenti
provinciali potrebbero, cioè, trovarsi senza
una utile collocazione lavorativa e
rischiare di essere inseriti nelle liste di
«disponibilità» per 24 mesi, con
stipendio ridotto all'80%.
Tale evenienza dovrebbe essere scongiurata,
perché l'articolo 17, comma 9, del dl
95/2012 condiziona la decorrenza
dell'esercizio delle funzioni provinciali
trasferite a comuni o regioni al contestuale
ed effettivo trasferimento di beni, risorse
finanziarie, strumentali e di personale. In
linea teorica, dunque, dovrebbe esserci una
traslazione totale: le competenze
provinciali passano agli enti subentranti in
blocco col personale provinciale impiegato.
Il secondo elemento problematico, più
concreto, è dato dall'incertezza della sede
di nuova destinazione. In assenza di criteri
su come ripartire le funzioni provinciali e
su quali potranno essere degli 8.100 comuni
destinatari quelli che subentreranno (lo
stesso vale per l'eventuale subentro delle
regioni), i lavoratori impiegati nelle
province non sanno quale potrà essere il
nuovo lavoro, il nuovo ente di appartenenza,
la distanza, le condizioni di lavoro,
contrattuali ed organizzative.
Nulla di sorprendente, allora, che molti
cerchino di anticipare i tempi e di guidare
il proprio passaggio lavorativo dalla
provincia a un'altra amministrazione
(eventualmente anche non del comparto
regioni-autonomie locali) che possano in
qualche modo scegliere.
Le altre amministrazioni sanno bene di
questa situazione. E cercano di trarne
vantaggio, in particolare i comuni. Infatti,
le assunzioni per mobilità sostanzialmente
si ritiene non incidano sui tetti al
turnover e sui saldi finanziari, in quanto
neutrali. Per rimpinguare la dotazione
organica, dunque, la mobilità è una buona
opportunità. Del resto, l'articolo 30, comma
2, del dlgs 165/2001 obbliga tutte le
amministrazioni ad esperire una procedura
finalizzata ad attivare la mobilità
volontaria prima di espletare i concorsi.
A fronte del chiaro interesse dei dipendenti
delle province a partecipare alle procedure
di mobilità per cercare il trasferimento, le
amministrazioni provinciali si trovano in un
evidente imbarazzo.
L'articolo 16, comma 9, sempre del dl
95/2012 vieta alle province di assumere
nuovo personale a tempo indeterminato nelle
more dell'attuazione delle disposizioni
finalizzate alla loro riduzione e
razionalizzazione. Un divieto che si deve
intendere esteso anche alle assunzioni
mediante mobilità, per quanto ad oggi
l'ipotesi di dipendenti pubblici che
chiedano di trasferirsi presso una provincia
appare piuttosto improbabile.
In conseguenza del divieto assoluto di
assumere, se le province lasciassero andare
in mobilità il personale non potrebbero
sostituirlo.
Per questa ragione, alcune province, come
per esempio Siena, hanno disposto una sorta
di blocco totale alle mobilità in uscita,
riservandosi di non esprimere il «nulla
osta» alle domande di mobilità
presentate dai propri dipendenti.
La mobilità verso altri enti non
costituisce, per i dipendenti, un diritto
soggettivo, dunque ogni amministrazione,
comprese le province, possono negarla.
Di fatto, tuttavia, porte totalmente chiuse
alla mobilità non sembrano una scelta
corretta, considerando l'evidente favor del
legislatore per questa forma di
razionalizzazione della distribuzione dei
dipendenti tra amministrazioni.
La difficile gestione del personale
provinciale, circa 56 mila dipendenti,
potrebbe risultare più agevole se il
dipartimento della Funzione pubblica
pubblicasse con urgenza l'elenco dei posti
vacanti delle pubbliche amministrazioni e
indicasse regole specifiche sulla mobilità
dei dipendenti provinciali. Esiste, infatti,
un interesse indiretto ma sostanziale,
nell'organizzazione degli assetti del
personale, alla migliore distribuzione dei
dipendenti pubblici tra enti.
Processi di riordino come quelli previsti
dal legislatore richiedono come necessità la
regolazione dei trasferimenti da enti che
vanno verso il depotenziamento, ad altri
enti che, invece, risultino carenti di
personale. Un blocco totale, pertanto, delle
mobilità dalle province verso altri enti si
rivela contrario ai principi di corretta
amministrazione
(articolo ItaliaOggi
del 10.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Gestioni
unitarie solo per le competenze
fondamentali. Per le funzioni di Ict non
serve associarsi.
I piccoli comuni non devono gestire in forma
associata le attività di Ict in modo da
raggiungere la soglia minima di 30 mila
abitanti.
È quanto prevede la legge di conversione del
dl n. 95/2012, cd spending review,
che limita le gestioni associate
esclusivamente alle sole funzioni
fondamentali. In tal modo viene superata una
antinomia che si era determinata nella
sovrapposizione delle previsioni normative,
vincolando i piccoli comuni in modo duplice
alla unificazione sia della gestione delle
attività fondamentali, sia delle tecnologie,
ma prevedendo anche soglie minime
completamente diverse: per le funzioni
fondamentali essa è fissata in 10 mila
abitanti, che per scelta regionale possono
anche essere inferiori, mentre per le
attività di Ict veniva fissata nella soglia
inderogabile di 30 mila abitanti.
Sulla base delle nuove disposizioni il dato
prevalente, ai fini della individuazione
delle attività da svolgere necessariamente
in modo associato è costituito dalle
funzioni fondamentali, che ricordiamo essere
le seguenti: organizzazione generale della
amministrazione, gestione, contabilità e
controllo; organizzazione dei servizi
pubblici di interesse comunale, ivi compresi
i trasporti pubblici comunali; catasto;
pianificazione urbanistica ed edilizia
comunale e partecipazione a quella
sovraccomunale; pianificazione della
protezione civile e coordinamento dei primi
soccorsi; organizzazione e gestione della
raccolta e smaltimento dei rifiuti e dei
relativi tributi; progettazione del sistema
di servizi sociali ed erogazione delle
relative prestazioni ai cittadini; edilizia
scolastica e organizzazione e gestione dei
servizi scolastici; polizia municipale e
polizia amministrativa locale; tenuta dei
registri di stato civile ed anagrafe,
servizi anagrafici, elettorali e statistici.
Ciò che conta sono tali attività e non più
le modalità di svolgimento; infatti per
espressa previsione del dl n. 95/2012, cd
spending review, «se l'esercizio di tali
funzioni è legato alle tecnologie
dell'informazione e della comunicazione, i
comuni le esercitano obbligatoriamente in
forma associata secondo le modalità
stabilite dal presente articolo, fermo
restando che tali funzioni comprendono la
realizzazione e la gestione di
infrastrutture tecnologiche, rete dati,
fonia, apparati, di banche dati, di
applicativi software, l'approvvigionamento
di licenze per il software, la formazione
informatica e la consulenza nel settore
dell'informatica».
Di conseguenza, la gestione associata
comprende unicamente materie specifiche e
cessa di comprendere modalità di esercizio
di tali attività, cioè di essere «trasversale».
L'unica eccezione è costituita dall'obbligo
delle centrali uniche di committenza per
ogni tipo di acquisto, a prescindere dalla
destinazione a questa o a quella funzione.
Siamo cioè in presenza di un chiarimento
quanto mai opportuno, sul terreno
concretamente operativo, perché permette di
superare tutti i dubbi applicativi e di
evitare la sovrapposizione di modalità
diverse di gestione
(articolo ItaliaOggi
del 10.08.2012). |
ENTI LOCALI: I
consorzi locali si salvano ancora. Ma la
deroga può incentivare tentativi di elusione
del Patto. La spending review mette il
welfare al riparo dai tagli. E alcuni enti
subito ne approfittano.
A sorpresa, la spending review salva
i consorzi socio-assistenziali. Si tratta di
una deroga all'obbligo di sfoltire enti e
società strumentali, che tuttavia rischia di
dare la stura a nuovi tentativi di elusione
dei vincoli di finanza pubblica.
Facciamo un passo indietro. Correva l'anno
2009 quando il legislatore statale decise di
sopprimere tutti i consorzi di funzioni tra
gli enti locali. L'art. 2, comma 186, lett.
e), della legge 191/2009 non contemplava
eccezioni di sorta (una venne prevista
successivamente, dalla legge 42/2010, per
salvare i bacini imbriferi montani), sicché
la mannaia (come chiarito da varie pronunce
della Corte dei conti) avrebbe dovuto
colpire, fra gli altri, anche i consorzi
socio-assistenziali, a decorrere dal primo
rinnovo del rispettivo consiglio di
amministrazione successivo al 2011. Ben
pochi, in realtà, i consorzi fin qui davvero
sciolti e ora, con il decreto sulla
spending review (dl 95/2012), arriva per
tutti un inaspettato salvagente.
A fronte di un art. 9, comma 1, del dl 95
–che in modo draconiano prevede l'obbligo
per regioni ed enti locali di sopprimere «enti,
agenzie e organismi comunque denominati e di
qualsiasi natura giuridica» che
esercitino, anche in via strumentale,
funzioni amministrative anche fondamentali–
il successivo comma 1-bis (introdotto in
sede di conversione) precisa che la tagliola
non si applica «alle aziende speciali,
agli enti ed alle istituzioni che gestiscono
servizi socio-assistenziali, educativi e
culturali».
Quindi anche ai consorzi da sopprimere in
base alla disciplina pregressa? Parrebbe di
sì, almeno stando all'ordine del giorno
presentato dall'on.le Luigi Bobba (Pd) e
approvato dalla camera (con l'ok del
governo) in occasione del voto di fiducia al
provvedimento di revisione della spesa
proprio al fine di chiarire l'ambito di
applicazione del comma 1-bis. Del resto, non
è la prima volta che l'esecutivo si mostra
disponibile ad allentare la stretta sugli
organismi che operano nel sociale.
Già con l'art. 25, comma 2, del decreto
«Cresci Italia» (dl 1/2012), infatti, era
stata prevista (anche qui in sede di
conversione) una deroga a favore di aziende
speciali ed istituzioni (non per i consorzi)
«che gestiscono servizi
socio-assistenziali ed educativi, culturali
e farmacie», che vennero salvate
dall'assoggettamento al Patto e alle
limitazioni sul personale che per tutte le
altre scatteranno nel 2013. Non stupisce,
quindi, che molti comuni si stiano
interrogando sull'opportunità di costituire
nuovi enti strumentali cui assegnare le
funzioni «protette» . Il rischio,
però, è che, in tal modo, si incentivino
nuovi tentativi di elusione dei vincoli di
finanza pubblica, tanto faticosamente
combattuti in questi anni.
Senza voler essere maligni, fa certamente
riflettere il fatto che il comune di
Alessandria, che recentemente ha dovuto
dichiarare il dissesto, abbia deciso di
costituire un'azienda speciale per la
gestione dei servizi per l'infanzia.
Colpisce, soprattutto, il fatto che a
presiedere il cda sia, di diritto, il
sindaco malgrado la chiara causa di
ineleggibilità/incompatibilità sancita per
gli amministratori locali dal Tuel
(articolo ItaliaOggi
del 10.08.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Osservatorio
Viminale. Il sindaco non fa gruppo.
Se le disposizioni regolamentari di un
comune consentono la costituzione di gruppi
consiliari unipersonali, un sindaco, eletto
in una lista, può costituire e fare parte di
un nuovo gruppo consiliare?
La disciplina della materia relativa alla
costituzione dei gruppi consiliari è
demandata allo statuto e al regolamento del
consiglio, nell'esercizio della propria
autonomia funzionale ed organizzativa. Ne
deriva che le problematiche relative alla
costituzione e al funzionamento dei gruppi
consiliari dovrebbero essere valutate alla
stregua delle specifiche norme statutarie e
regolamentari di cui l'ente locale si è
dotato, competendo al consiglio comunale
l'eventuale interpretazione autentica delle
predette norme.
Tuttavia, l'attività interpretativa non può
essere disgiunta dall'osservanza dei
principi di buona amministrazione, né
possono essere utilizzate, a sostegno di
tale attività, massime giurisprudenziali che
non si adattino perfettamente alla
fattispecie esaminata. Occorre tenere
presente che la candidatura del sindaco, per
espressa previsione contenuta nell'art. 71
del Tuel, non è compresa ma «è collegata
alla lista di candidati alla carica di
consigliere comunale», unitamente alla
quale è presentato il relativo nominativo
del candidato. Il sindaco, pur se membro del
consiglio comunale ai sensi dell'art. 46
Tuel, ha, in effetti, una posizione
differenziata rispetto ai singoli
consiglieri comunali.
Il sindaco e il consiglio comunale, di cui i
gruppi consiliari sono organismi strumentali
e funzionali, svolgono ruoli distinti; il
primo, di organo responsabile
dell'amministrazione dell'ente, il secondo,
di organo di indirizzo e controllo
dell'operato del sindaco e della giunta, con
le specifiche competenze declinate dall'art.
42 del Tuel. Per lo svolgimento di siffatte
attribuzioni il consiglio si avvale dei
gruppi consiliari che rappresentano la
proiezione dei partiti politici all'interno
dell'ente.
Ne deriva che l'iscrizione del sindaco ad un
gruppo, e a maggior ragione la costituzione
di un gruppo unipersonale nel corso della
consiliatura da parte dello stesso sindaco,
può incidere sul corretto e bilanciato
esercizio delle funzioni di governo
dell'ente. Tale sbilanciamento può influire
anche sull'esercizio del fondamentale
diritto di iniziativa, nonché sull'attività
di sindacato ispettivo dei consiglieri,
ovvero, in casi estremi, venendo meno il
rapporto fiduciario, sulla presentazione
della mozione di sfiducia
(articolo ItaliaOggi
del 10.08.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Funzione
pubblica. Le vecchie ferie si possono
monetizzare.
Il divieto di
monetizzare le ferie non godute al termine
del rapporto di lavoro si applica a partire
dal 7 luglio, cioè dall'entrata in vigore
del Dl 95/2012. Le ferie non godute dai
dipendenti pubblici cessati dal servizio in
precedenza possono continuare a essere
monetizzate e, scelta ancora più rilevante,
anche le ferie non godute fino a quella data
dai dipendenti potranno essere monetizzate
alla cessazione anche se questa interverrà
dopo l'entrata in vigore della norma.
Lo sostiene la Funzione Pubblica in una
risposta all'Anci. Il dipartimento giunge a
questa conclusione per l'assenza di norme
transitorie e l'applicazione dei principi
generali di interpretazione delle leggi, che
dispongono solo per il futuro. Appare come
frutto di un'interpretazione "creativa"
l'esclusione dei casi in cui il divieto di
monetizzazione «risulti incompatibile con
la fruizione delle ferie a causa della
ridotta durata del rapporto o a causa della
situazione di sospensione del rapporto cui
segua la sua cessazione».
Per cui rimarranno per sempre al di fuori
dell'ambito di applicazione della norma i
casi eccezionali di sospensione del rapporto
seguiti da cessazioni, ma anche buona parte
delle assunzioni flessibili
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 10.08.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Addio ai superstipendi nella p.a..
Taglio della retribuzione per chi sfora il
tetto dei 293.656 €.
La funzione pubblica promette tolleranza
zero. E arriva un odg per estendere la stretta
alle regioni.
Tolleranza zero per chi riceve a carico
delle pubbliche finanze emolumenti che, in
virtù del disposto previsto dall'articolo
23-ter del decreto salva Italia, superano il
trattamento economico percepito dal primo
presidente della Cassazione.
Infatti, i soggetti che sforeranno il limite
oggi fissato a 293.656 euro, subiranno il
taglio tra la retribuzione in godimento fino
a concorrenza di quanto sopra.
Tale decurtazione non concorrerà a formare
l'imponibile fiscale e sarà evidenziata in
apposita nota nel cedolino delle spettanze
quale «trattenuta ex articolo 23-ter del dl
n. 201/2011».
Il trattamento da considerare, inoltre,
sconterà il criterio di competenza e non di
cassa e comprende anche il trattamento
accessorio, anche se questo, di norma, viene
erogato successivamente allo svolgimento
della prestazione lavorativa. Restano
comunque fuori da tale ambito applicativo
coloro che hanno in corso rapporti di lavoro
con amministrazioni regionali e locali.
Queste alcune delle indicazioni che il
dipartimento della funzione pubblica ha
ritenuto necessarie diffondere con la
circolare n. 8 del 6 agosto, in ordine alla
disciplina sui limiti retributivi operata
dalla norma richiamata e alla luce delle
indicazioni operative fissate dal relativo
dpcm 23.03.2012 che è divenuto operativo il
17 aprile scorso, ovvero il giorno dopo la
sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Ma il giro di vite sui super stipendi
potrebbe essere ancora più rigoroso ed
estendersi anche agli enti locali (in primis
ai governatori regionali) o ai presidenti
degli enti pubblici. In pratica non solo a
coloro che hanno un rapporto di lavoro
subordinato o autonomo con la p.a., ma anche
a tutti quelli che sono a carico delle
finanze pubbliche a vario titolo.
Il governo si è impegnato a non fare
eccezioni. E lo ha fatto accogliendo un
ordine del giorno alla spending review a
firma del deputato Pd Simonetta Rubinato. La
proposta punta proprio a rafforzare le
disposizioni del decreto Salva Italia che
potrebbero presentare più di un punto
debole. A cominciare dall'inadeguatezza di
un provvedimento come il dpcm a ridurre un
trattamento economico fissato con legge
ordinaria. Ecco perché l'odg Rubinato
prevede che l'adeguamento dei compensi debba
avvenire con un provvedimento avente forza
di legge e non con un dcpm che, per inciso,
non potrebbe obbligare una regione ad
adeguare i compensi dei propri
amministratori o dirigenti.
Un'altra falla nel sistema risiede nel fatto
che il dpcm del 23 marzo non esclude che
trattamenti inferiori al trattamento
economico del primo presidente della
Cassazione possano essere elevati a tale
limite. Basta leggere l'art. 5 del dpcm per
rendersene conto: «Per il personale con
qualifica dirigenziale cui non si applica la
disposizione di cui all'art. 3, a causa del
mancato raggiungimento del limite massimo
retributivo ivi previsto, le pubbliche
amministrazioni provvedono, in occasione del
rinnovo del contratto individuale di lavoro,
alla ridefinizione del relativo trattamento
economico».
«Ridefinizione», fa notare Rubinato, «è un termine assai generico che
non necessariamente significa riduzione e
che non esclude la possibilità di un ritocco
verso l'alto degli stipendi inferiori a
293.656 euro». Cosa che puntualmente si è
verificata in qualche Authority negli ultimi
mesi. Di qui l'impegno al governo a evitare
che il limite di stipendio di cui sopra
finisca per produrre un effetto paradossale
elevando tutti gli altri stipendi e quindi
contribuendo a incrementare la spesa
pubblica invece di ridurla.
Tornando alla circolare della funzione
pubblica, il dipartimento guidato da Filippo
Patroni Griffi chiarisce che il limite di
stipendio si applica a coloro che sono
titolari di rapporti con amministrazioni
«attratte» all'ambito statale. Per esempio
la presidenza del consiglio dei ministri, la
Corte dei conti, le agenzie fiscali, gli
enti pubblici non economici, nonché i
componenti e i presidenti delle Authority.
Vigilanza affidata ai diretti interessati.
Le operazioni di controllo sul corretto
rispetto del limite partono dagli stessi
interessati. Infatti, questi devono rendere
all'amministrazione di appartenenza, sotto
forma di dichiarazione sostitutiva di atto
notorio, l'elenco dell'incarico o degli
incarichi conferiti con il relativo importo.
Nel caso di soggetti che sono titolari di
uno o più incarichi di lavoro autonomo,
questi dovranno trasmettere la
documentazione all'amministrazione «con la
quale è in corso l'incarico prevalente dal
punto di vista economico».
L'inoltro delle dichiarazioni (se non già
effettuato dai soggetti obbligati per
effetto della pubblicazione del citato dpcm
23.3.2012), dovrà avvenire entro il 30
novembre di ciascun anno. Il controllo delle
amministrazioni riceventi è la parte più
delicata dell'intero iter di verifica.
Queste dovranno operare secondo il criterio
di competenza delle somme (e quindi non per
quello di cassa), accertando quanto spetti
al dipendente nel complesso «in ragione
d'anno». A tal fine, la circolare precisa
che deve essere incluso in tale ammontare
anche la parte di trattamento accessorio,
anche se, di regola, questo viene
corrisposto nell'anno successivo
all'espletamento della prestazione
lavorativa (è il caso, per esempio, della
retribuzione di risultato dei dirigenti). Il
taglio non avrà effetti sugli atti già
sottoscritti, nel senso che, come ammette la
circolare di Palazzo Vidoni, non sarà
necessario nei casi di sforamento
sottoscrivere un nuovo contratto o un nuovo
incarico.
Pertanto, i soggetti che sforeranno dal
limite di 293.656 euro, subiranno una
decurtazione pari alla differenza tra il
trattamento complessivo goduto e il predetto
limite. Quest'importo non sarà incluso nella
massa imponibile (ovvero non si pagheranno
le tasse) e sarà indicato separatamente nel
cedolino delle spettanze stipendiali. In
termini operativi, l'amministrazione
comunicherà al soggetto che sta procedendo
alla riduzione e, nell'anno successivo,
operare la decurtazione vera e propria.
Occorre considerare che il trattamento del
primo presidente della Cassazione varia di
anno in anno, per cui le riduzioni dei
trattamenti devono essere effettuati sulla
base del dato disponibile relativo all'anno
precedente. Per quanto riguarda i limiti per
i soggetti che prestano servizio presso
altre amministrazioni pubbliche, mantenendo
il trattamento economico previsto
dall'amministrazione di appartenenza (per
esempio, i fuori ruolo), la circolare di
Patroni Griffi ricorda che anche per tali
soggetti vige il limite di cui sopra, con la
precisazione che per l'incarico ricoperto,
questi non possono percepire più del 25%
dell'ammontare complessivo del trattamento
riconosciuto dalla propria amministrazione
(articolo ItaliaOggi
dell'08.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Procedure
edilizie. Il caso in cui il collegio è
integrato con esperti esterni.
Vincolo paesaggistico, serve la commissione.
Per il Consiglio di Stato l'organismo è
«indispensabile».
L'ALTRO ORIENTAMENTO/
Secondo i giudici di merito è possibile
affidare le valutazioni a un soggetto
tecnico con atto dirigenziale.
Il Comune può sempre fare a meno della
commissione edilizia? Due recenti pronunce
del Consiglio di Stato danno risposte
differenti, mentre per la legge da oltre un
decennio le commissioni edilizie comunali
non sono più un organo consultivo di natura
obbligatoria nell'ambito dei procedimenti
edilizi.
L'articolo 4 del Dpr 380/2001 –innovando le disposizioni contenute
nell'articolo 33 della legge urbanistica
fondamentale 1150/1942– ha infatti lasciato
ai Comuni, nell'ambito del regolamento
edilizio, la potestà di prevederne o meno
l'istituzione e precisare le relative
attribuzioni.
Nella prima pronuncia (Sezione IV,
975/2012), a conferma dell'orientamento già
espresso in passato dalla stessa sezione
(4793/2008), si ribadisce che l'articolo 4
del Dpr 380/2001, nel rendere per i Comuni
facoltativa l'istituzione della commissione
edilizia, ha introdotto un principio
fondamentale in materia di governo del
territorio, al quale il legislatore
regionale deve sottostare, ai sensi
dell'articolo 117, comma 3, della
costituzione.
Ne deriva che una norma
regionale che preveda l'obbligatorietà del
parere della commissione edilizia, deve
ritenersi implicitamente soppressa ai sensi
dell'articolo 10 della legge 62/1953, in
base al quale le leggi della Repubblica che
modificano i principi fondamentali abrogano
le norme regionali che siano in contrasto
con esse.
Di segno opposto è invece la
sentenza 05.04.2012 n. 2013 della VI Sez.
del Consiglio di Stato, che ha
ritenuto illegittima la delibera con cui
l'Unione di due Comuni aveva soppresso la
commissione edilizia, poiché, in questo
caso, si trattava di una commissione
integrata con due esperti in materia di
bellezze naturali e di tutela dell'ambiente,
che aveva il compito di esprimere un parere
nell'ambito dei procedimenti di rilascio
delle autorizzazioni paesaggistiche
(articolo 146 del Dlgs 42/2004).
I giudici di Palazzo Spada affermano che un
organo così costituito non può essere
ritenuto «non indispensabile» ai sensi e per
gli effetti dell'articolo 96, Dlgs 267/2000,
poiché, a differenza della commissione
edilizia prevista dall'articolo 4, si
tratterebbe di un organismo diverso e
«direttamente istituito da una legge
regionale e portatore di competenze già
delegate dallo Stato alla Regione e che solo
l'autorità delegante (o sub-delegante)
avrebbe potuto sopprimere avocando a sé le
relative funzioni, con atto normativo
primario o sub-primario».
Quest'ultima tesi, tuttavia, solleva alcune
perplessità e non sembra offrire una lettura
costituzionalmente orientata della normativa
di riferimento, finendo per incidere sulla
capacità organizzatoria e regolamentare
dell'ente locale, oltreché sui principi in
tema di attribuzione di funzioni, così come
attualmente disegnati dagli articoli 117 e
118 della costituzione. Ai Comuni, infatti,
il nostro ordinamento riconosce piena
potestà regolamentare in ordine alla
disciplina dell'organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite,
potendo quindi scegliere le modalità con cui
le stesse saranno espletate, pur nel
rispetto dei principi stabiliti dalla legge.
Questa, peraltro, non impone che il parere
in materia paesaggistica sia reso da un
organo collegiale e tantomeno ne definisce
una specifica composizione.
Appare quindi più convincente quel diverso
orientamento giurisprudenziale in base al
quale, in caso di soppressione della
commissione edilizia, il compito di
esprimere pareri in ordine agli interventi
in zone soggette a vincolo paesaggistico
venga riassegnato ad un organo tecnico
interno, con provvedimento dirigenziale
assunto sulla base di un atto di indirizzo
dell'organo politico dell'ente locale (Tar
Toscana, sezione III, 480/2004). Laddove
quest'ultimo non proceda all'autonoma
individuazione di un diverso ufficio in
sostituzione della commissione, le funzioni
di tutela saranno automaticamente riportate
all'organo regionale cui compete la gestione
del vincolo (Cassazione penale, sezione III,
42102/2006), senza necessità di un atto
avocazione da parte della Regione. Infatti,
la soppressione degli organismi non
identificati come indispensabili per la
realizzazione dei fini istituzionali
dell'amministrazione è una conseguenza
automatica che discende direttamente dalla
legge statale (Tar Calabria, Sezione Reggio
Calabria, 48/1999).
-------------
Le pronunce
01|PARERE NON OBBLIGATORIO
SE NON C'È LA COMMISSIONE
La legge regionale Piemonte 08.07.1999 n.
19 (norme in materia edilizia) deve essere
interpretata in senso costituzionalmente
coerente con i principi generali introdotti
in materia dal Dpr 380/2011. La scelta
comunale di non istituire la commissione
edilizia, conformemente all'articolo 4,
comma 2, del Dpr 380, implica
necessariamente la non obbligatorietà
dell'acquisizione del relativo parere.
Consiglio di Stato, sezione IV, 4793/2008
02|GLI ENTI LOCALI POSSONO SEMPRE
SOPPRIMERE LA COMMISSIONE
A seguito delle innovazioni introdotte dal
Dpr 380/2001, la commissione edilizia ha
perso il suo carattere di organo necessario
ex lege (articolo 4, comma 2), dal momento
che alla concessione si sostituisce
il permesso di costruire, secondo
procedimenti strutturati sul modulo dello
sportello unico comunale e dell'eventuale
intervento sostitutivo del competente organo
regionale con la conseguenza
che, data la natura attualmente facoltativa
della commissione edilizia, gli enti locali
potranno scegliere se conservarla,
adeguandone la composizione e indicando nel
regolamento edilizio gli interventi
sottoposti al suo preventivo
parere, oppure sopprimerla.
Consiglio di Stato, commiss. spec.,
n. 492/99/2003
03|UNA COMMISSIONE TECNICA
VALUTA IL VINCOLO PAESAGGISTICO
Ai sensi dell'articolo 96, Dlgs 267/2000,
direttamente applicabile alle Regioni a
statuto ordinario, spetta ai consigli e alle
giunte comunali, secondo le rispettive
competenze, individuare non solo gli organi
collegiali ritenuti indispensabili
per la realizzazione dei fini istituzionali
dell'amministrazione, con conseguente
soppressione di tutti gli altri, ma anche
l'ufficio che rivesta maggiore competenza in
materia, al quale –per legge– le relative
funzioni siano poi attribuite; deve perciò
ritenersi legittima, in caso di soppressione
della commissione edilizia, l'attribuzione
del compito di esprimere pareri in ordine
agli interventi in zone soggette a vincolo
paesaggistico ad una commissione tecnica
interna, individuata a mezzo provvedimento
dirigenziale.
Tar Toscana, sezione III, 480/2004
04|LE FUNZIONI DI TUTELA AMBIENTALE
SPETTANO ALL'ORGANO REGIONALE
In materia edilizia, a seguito dell'entrata
in vigore del Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali
(Dlgs 267/2000) le funzioni edilizie,
precedentemente esercitate a titolo
consultivo dalla commissione edilizia
comunale integrata, sono state trasferite,
ove non individuato come indispensabile ex
articolo 96 dello stesso Testo unico, al
competente ufficio comunale, mentre le
funzioni di tutela ambientale sono state
riportate all'organo regionale cui compete
la gestione del vincolo ambientale.
Cassazione penale, sezione III, 42102/2006
05|ORGANISMI NON INDISPENSABILI,
LA SOPPRESSIONE È UN ATTO DOVUTO
Dall'articolo 41, comma 1, legge 449/1997 si
desume che la soppressione di taluni
organismi non identificati come
indispensabili per la realizzazione
dei fini istituzionali dell'amministrazione
o dell'ente è una conseguenza che discende
direttamente dalla legge: mancando, al
riguardo, qualsiasi potestà di scelta
dell'amministrazione la soppressione si
configura, pertanto, come un atto dovuto.
Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 48/1999
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L'obiettivo
è il risparmio
Il Testo unico dell'edilizia, definendo la
«non obbligatorietà» delle commissioni
edilizie, riflette
le più generali e incisive previsioni
dell'articolo 96
del Testo unico degli enti locali, che
lascia alle singole amministrazioni il
compito
di individuare con cadenza annuale ed entro
sei mesi dall'inizio di ogni esercizio
finanziario, «i comitati, le commissioni, i
consigli e ogni altro organo collegiale
con funzioni amministrative ritenuti
indispensabili per
la realizzazione dei fini istituzionali».
Alla mancata individuazione degli organi non
identificati come indispensabili consegue la
loro automatica soppressione e
l'attribuzione delle relative funzioni
«all'ufficio che riveste preminente
competenza nella materia».
Il fine
dichiarato della norma –che ripropone
i contenuti dell'articolo 41, comma 1, della
legge 449/1997– è quello di conseguire un recupero di
efficienza nei tempi dei procedimenti
amministrativi e, soprattutto, un risparmio
della spesa pubblica per organi collegiali;
obiettivo che è stato perseguito da
successive previsioni normative e che anche
oggi
è di massima attualità.
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Le ricadute. Le implicazioni delle pronunce
di Palazzo Spada.
A rischio le sub-deleghe regionali.
La pronuncia 2013/2012 del Consiglio di
Stato suscita un'altra riflessione di
carattere generale, quella relativa al
permanere della possibilità per le Regioni
di sub-delegare ai Comuni funzioni in
materia paesaggistica, dopo le modifiche
introdotte nel 2001 al titolo V della
Costituzione; dubbio che riguarda non solo
le norme regionali, ma le stesse previsioni
del Dlgs 42/2004 in tale materia.
La
funzione autorizzatoria, con l'articolo 146
del Codice del 2004, è stata conferita dallo
Stato alle Regioni, che possono delegarla ad
altri soggetti, tra cui i Comuni, purché
essi dispongano di strutture in grado di
assicurare un adeguato livello di competenze
tecnico-scientifiche e possano garantire la
differenziazione tra attività di tutela
paesaggistica ed esercizio di funzioni
amministrative in materia
urbanistico-edilizia.
Tuttavia, in forza dell'articolo 118 della
Costituzione, comma 2, i Comuni sono
titolari di funzioni amministrative proprie
e di quelle conferite loro con legge statale
o regionale, secondo le rispettive
competenze. La tutela dei beni culturali,
tra cui rientrano quelli paesaggistici, è
materia di legislazione esclusiva statale
(ex articolo 117, comma 2, lettera s, della
costituzione), per cui è solo la legge
statale che può attribuire direttamente la
funzione amministrativa.
Nel caso dell'articolo 146, la scelta del
legislatore nazionale ha direttamente
riguardato la sola amministrazione regionale
e alle Regioni manca uno strumento
costituzionalmente valido per delegare ai
Comuni (o ad altri soggetti) le funzioni in
materia paesaggistica: non con legge
regionale, essendo del tutto priva di
competenza legislativa in materia; non con
atto provvedimentale (quale una delibera di
giunta), poiché le funzioni amministrative
possono essere assegnate ai Comuni solo con
legge e solo da parte del soggetto che ne ha
la corrispondente competenza, secondo il
riparto per materie sancito dalla
Costituzione. Tantomeno una legge regionale
potrebbe legittimamente imporre a un Comune
il modello organizzativo con cui esercitare
una funzione, laddove questa fosse
effettivamente delegabile, pena la
violazione della richiamata potestà
organizzatoria e regolamentare degli enti
locali.
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Organizzazione. La riduzione dei rimborsi.
Ai componenti compensi limitati.
La riduzione dei costi degli organismi
collegiali è un obiettivo che il legislatore
statale persegue ormai da anni e che è
oggetto di particolare attenzione anche da
parte del Governo Monti. Dopo le indicazioni
della prima Bassanini (articolo 12, comma 1,
lettera p), legge 59/1997) il primo intervento
è l'articolo 41 della legge 449/1997, che ha
sancito l'automatica soppressione degli
organismi non individuati come
indispensabili da parte degli organi di
direzione politica delle varie
amministrazioni. Previsione è stata poi
ripresa dall'articolo 96 del Tuel.
L'articolo 18 della finanziaria per il 2002
(448/2001) ha poi fatto divieto a tutte le
pubbliche amministrazioni, con l'esclusione
delle Regioni e degli enti locali, «di
istituire comitati, commissioni, consigli e
altri organismi collegiali, a eccezione di
quelli di carattere tecnico e a elevata
specializzazione».
Ulteriore intervento è
contenuto nell'articolo 26 del Dl 223/2006,
che ha disposto la riduzione del 30%
rispetto, a quella sostenuta nel 2005, della
spesa per organi collegiali e altri
organismi, anche monocratici, comunque
denominati, operanti in tutte le
amministrazioni; riduzione che andava ad
aggiungersi a quella del 10% già sancita
dall'articolo 1, comma 58 della finanziaria
per il 2005 (266/2005) per le «indennità,
compensi, gettoni, retribuzioni o altre
utilità comunque denominate».
Il programma è stato poi proseguito
dall'articolo 68 del Dl 112/2008, che ha
sancito la necessità che nei trattamenti
economici da versare ai componenti di tali
organi fossero «privilegiati i compensi
collegati alla presenza rispetto a quelli
forfettari od omnicomprensivi». Questo
principio è stato reso cogente dall'articolo
6 del Dl 78/2010, che ha sancito la natura
onorifica dei componenti degli organi
collegiali, disponendo che la partecipazione
può dar luogo solo al rimborso delle spese e
che eventuali gettoni di presenza non
possono superare i 30 euro per ogni seduta
giornaliera. La presidenza del Consiglio,
con direttiva del 04.08.2010, ha fornito
indirizzi interpretativi sul riordino degli
organismi collegiali e la riduzione dei
costi degli apparati amministrativi.
Nella
stessa direzione, peraltro, si muove
l'articolo 9 del Dl 95/2012 (spending review)
ove si prevede che anche i Comuni debbano
sopprimere –o accorpare, riducendo i
relativi oneri finanziari– gli enti, le
agenzie e gli organismi comunque denominati
e che svolgano compiti di amministrazione
attiva
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.08.2012). |
APPALTI FORNITURE: Spending
review. Canale centrale «aperto» anche ai
Comuni fino a mille abitanti (5mila in
montagna).
Acquisti Consip per tutti.
Esteso agli enti locali l'obbligo di
ricorrere alle convenzioni.
ADEGUAMENTI «AUTOMATICI»/
Se le convenzioni offrono prezzi inferiori a
quelli degli appalti già in corso si può
recedere dai contratti con preavviso di 15
giorni.
Le disposizioni del Dl 95/2012 che attende
ora il via libera definitivo della Camera
rafforzano il sistema delle convenzioni
Consip e obbligano anche gli enti locali a
farvi ricorso per alcune tipologie di beni e
servizi. Il quadro è stato ridefinito
dall'articolo 1 nella formulazione scaturita
dal maxiemendamento.
Il comma 3 evidenzia l'obbligatorietà del
ricorso a questa procedura in forza di
quanto stabilito dalla norma-chiave,
individuata nell'articolo 26, comma 3, della
legge 488/1999 e dall'articolo 1, comma 499,
della legge 296/2006 (recentemente
modificato dalla legge 94/2012).
Quest'ultima disposizione prevede l'obbligo
di adesione alle convenzioni Consip per le
amministrazioni statali (tranne scuole e
università) e l'obbligo di utilizzo delle
convenzioni stipulate dalle centrali
regionali da parte del servizio sanitario
nazionale.
La stessa norma delinea come facoltativo
l'utilizzo del sistema da parte delle altre
amministrazioni pubbliche (ad esempio gli
enti locali e le Camere di commercio),
stabilendo tuttavia che esse sono tenute a
utilizzare i parametri di qualità e prezzo,
sia delle convenzioni stipulate dalla
centrale di committenza statale che da
quelle regionali, come limiti massimi per la
stipulazione dei contratti (quindi come dato
massimo per le basi d'asta nelle gare e
negli affidamenti in economia).
L'articolo 26 della legge 488/1999 prevede
peraltro una specifica esclusione,
evidenziando come il meccanismo previsto dal
comma 3 non si applichi comunque ai Comuni
con popolazione fino a mille abitanti (5mila
abitanti in montagna). Rispetto alla fascia
degli enti di minori dimensioni, comunque,
l'articolo 1, comma 4, del Dl 95/2012 delinea
in alternativa alle gare aggregate, previste
dall'articolo 33 del codice dei contratti,
il ricorso agli strumenti di acquisto in
forma telematica gestiti da Consip e dalle
centrali di committenza regionali.
Tuttavia il comma 7 dello stesso articolo 1
del decreto spending review sancisce un
obbligo specifico per tutte le
amministrazioni pubbliche e per tutte le
società inserite nel «consolidato Istat»,
stabilendo che tali soggetti devono fare
ricorso alle convenzioni Consip o a quelle
delle centrali regionali per l'acquisto di
una serie di beni e servizi a consumo
intensivo: energia elettrica, gas,
carburanti rete e carburanti extra-rete,
combustibili per riscaldamento, telefonia
fissa e telefonia mobile.
Il comma 13 prevede anche un interessante
meccanismo, finalizzato ad assicurare
vantaggi economici alle amministrazioni
pubbliche, quando la Consip stipuli una
convenzione per l'acquisto di determinate
tipologie di beni o servizi e queste abbiano
prezzi inferiori a quelli dei contratti di
appalto che le stesse amministrazioni hanno
in corso per i medesimi beni o servizi con
altri operatori economici. In tal caso le
stazioni appaltanti possono recedere dal
contratto (pagando le prestazioni eseguite
oltre al decimo delle prestazioni non
eseguite) con un preavviso breve (quindici
giorni) qualora l'appaltatore non accetti la
proposta migliorativa formulata da Consip
rispetto ai parametri della propria
convenzione.
Questa modulazione del diritto di recesso si
inserisce automaticamente nei contratti in
corso ai sensi dell'articolo 1339 del Codice
civile, anche in deroga alle eventuali
clausole difformi apposte dalle parti.
Inoltre, nei futuri contratti le clausole di
recesso dovranno essere rese conformi, in
quanto ogni patto contrario alla
disposizione sarà nulla.
Un meccanismo particolare è reso regola
generale dall'articolo 1, comma 16-bis, del
Dl 95/2012, il quale integra l'articolo 26
della legge 488/1999 con una disposizione in
base alla quale le convenzioni centralizzate
possono essere stipulate con una o più
imprese alle condizioni contrattuali
migliorative rispetto a quelle proposte dal
miglior offerente.
Tale disposizione costituisce il primo dato
normativo in materia di contratti pubblici
che consente l'affidamento multiplo a più
operatori economici in base al risultato di
una gara.
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Beni e servizi.
Le clausole.
Appalti divisi in più lotti per aprirsi alle
Pmi
VINCOLI ALLE DEROGHE/
Per i requisiti di fatturato con valori
significativi serve la motivazione economica
e organizzativa nel bando o nel disciplinare.
Le gare di appalto per beni e servizi devono
essere impostate in modo tale da garantire
l'accesso al confronto anche alle Pmi, anche
quando gestite in forma aggregata.
L'articolo 1 del Dl 95/2012 introduce
ulteriori elementi di salvaguardia per le
piccole e medie imprese, rafforzando il
sistema impostato dalla legge 180/2011 e
sancito nel Codice Appalti, con il principio
della necessaria suddivisione in lotti degli
appalti, salve valutazioni (esplicite) di
convenienza economica (articolo 2, comma
1-bis).
La norma integra l'articolo 41 del DLgs
163/2006, specificando che sono illegittimi
i criteri che fissano, senza congrua
motivazione, limiti di accesso connessi al
fatturato aziendale.
Nelle gare di appalto per l'acquisizione di
beni e servizi, le stazioni appaltanti
devono motivare nel bando o nel disciplinare
le ragioni operative e di convenienza
economica che hanno indotto a realizzare una
procedura con lotto unico e i motivi che
hanno determinato i requisiti di capacità
economico-finanziaria fondati sul fatturato
secondo valori significativi.
Particolare attenzione è posta anche
all'ammontare della cauzione provvisoria e
definitiva, che nelle gare in forma
aggregata effettuate da centrali di
committenza è prevista rispettivamente nei
termini massimi del 2 e del 10 per cento.
Questo dato sembra compensare le linee di
massima razionalizzazione introdotte per gli
acquisti di beni e servizi di valore
inferiore alla soglia comunitaria
dall'articolo 7 della legge 94/2012 (di
conversione del primo decreto spending
review, il 52/2012).
La norma, infatti, riformulando l'articolo
1, comma 450, della legge 296/2006 stabilisce
che tutte le amministrazioni pubbliche
(compresi gli enti locali, le Camere di
commercio, le Asl, le aziende speciali) sono
tenute ad acquistare beni e servizi in tale
fascia di valore ricorrendo al mercato
elettronico della pubblica amministrazione
gestito da Consip o ad altri mercati
elettronici, gestiti ad altre
amministrazioni.
La disposizione vale peraltro per tutte le
tipologie di beni e servizi per i quali sia
presente un catalogo attivo, con fornitori
abilitati, ma comporta la necessaria
verifica da parte delle stazioni appaltanti,
le quali, in caso di rinvenimento della
tipologia di prodotto o di attività che
devono acquisire, hanno l'obbligo di fare
ricorso al Mepa.
Per i beni e servizi non rinvenibili nei
mercati elettronici della Consip, delle
centrali di committenza regionali o di altre
amministrazioni, gli enti locali possono
continuare ad acquisire con gare sottosoglia
o con procedure in economia.
La disposizione, peraltro, costituisce uno
stimolo per le singole amministrazioni a
costituire un proprio Mepa, facendo
riferimento all'articolo 328 del Dpr
207/2010, in modo tale da poter gestire con
lo questo sistema sia tipologie di beni e
servizi pienamente corrispondenti alle
proprie esigenze sia interazioni di mercato
più favorevoli rispetto a quelle nazionali o
regionali
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Personale.
Sulle ferie monetizzazione con rischi.
Dirigenti, incarichi solo con l'obiettivo.
Individuazione degli obiettivi già al
conferimento dell'incarico dirigenziale.
Divieto di conferimento di incarichi di
consulenza ai dipendenti collocati in
quiescenza nelle materie di cui si sono
occupati nell'ultimo anno. Divieto di
monetizzazione delle ferie non godute e, dal
prossimo ottobre, fissazione del tetto
massimo di 7 euro per i buoni pasto dei
dipendenti pubblici.
Sono queste alcune
importanti novità contenute nella legge di
conversione del Dl 95/2012.
Gli obiettivi su cui i dirigenti sono
valutati per il trattamento accessorio
collegato alle performance devono essere
«predeterminati all'atto del conferimento
dell'incarico dirigenziale». Si estende così
a tutti i dirigenti pubblici una previsione
fino a oggi limitata allo Stato; gli
obiettivi dovranno avere una durata per lo
meno triennale, e saranno assegnati dal
sindaco, che conferisce l'incarico. Negli
enti locali questa norma andrà raccordata
con il piano degli obiettivi annualmente
approvato dalla Giunta; si può ritenere che
la novità si applichi ai titolari di
posizione organizzativa nei Comuni
sprovvisti di dirigenti.
I dipendenti collocati in quiescenza non
potranno ricevere incarichi di consulenza,
studio e ricerca dalla propria
amministrazione nelle materie di cui si sono
occupati nell'ultimo anno. Tale vincolo si
aggiunge a quello (legge 724/1994) che vieta
l'uso da parte delle Pa dei dipendenti
collocati in quiescenza per ragioni diverse
dalla maturazione del limite massimo di età,
nei 5 anni successivi. La nuova norma vale
solo per l'amministrazione con cui si è
avuto l'ultimo rapporto di lavoro e ha
natura permanente.
I buoni pasto da ottobre dovranno rientrare
entro il tetto di 7 euro. I risparmi saranno
acquisiti al bilancio degli enti e non
potranno incrementare il fondo per le
risorse decentrate. I problemi con i
fornitori sono stati risolti attraverso la
garanzia, che si realizza con l'allungamento
della durata del contratto, dell'invarianza
del valore della fornitura.
Dallo scorso 7 luglio, è poi vietata la
monetizzazione delle ferie non godute e
viene ribadito il principio per cui esse
devono essere godute come previsto dal Dlgs
66/2003 e, ove contengano norme più
favorevoli per i dipendenti, dai contratti
nazionali. Tali disposizioni si applicano al
personale e ai dirigenti di tutte le Pa. La
monetizzazione delle ferie non godute era
fin qui consentita nel pubblico impiego solo
al momento della cessazione del rapporto di
lavoro. La concreta applicazione di questa
disposizione, per la mancanza di norme
transitorie, solleva numerosi problemi.
Peraltro, la disposizione induce ad una
lettura assai rigida visto che la sua
violazione determina per i dirigenti il
maturare di responsabilità amministrativa e
disciplinare ed obbliga le amministrazioni
al recupero a carico dei dipendenti
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Mini-comuni,
commissario per chi non si associa.
La norme (art. 19) del dl 95 sulla gestione
associata obbligatoria delle funzioni
fondamentali da parte dei piccoli comuni
subiscono una sola, ma assai rilevante
modifica.
È stato previsto che gli enti che
risulteranno inadempienti alle scadenze
fissate dal legislatore (31.01.2013 per
almeno 3 funzioni, 01.01.2014 per le
altre) subiranno un «richiamo» da parte del
prefetto, che fisserà loro un termine
perentorio per provvedere.
Decorso inutilmente tale termine, scatterà
il potere sostitutivo del governo ex art. 8
della l 131/2003, con possibilità anche di
nomina di un commissario ad acta.
Si tratta di una modifica importante, che
completa una disciplina che, malgrado le
numerose modifiche, risultava ancora monca
proprio sul versante «sanzionatorio». Per il
resto, viene confermato il testo originario
del decreto, che ridefinisce il «core
business» dei comuni, obbligando quelli
di minori dimensioni (fino a 5 mila
abitanti, senza più rigide distinzioni fra
quelli sopra e sotto i mille) a dare vita a
unioni o convenzioni
(articolo ItaliaOggi
Sette
del 06.08.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Pubblicate
in Guue le direttive su gestione dei rifiuti
elettronici e controllo delle sostanze
pericolose. Raee e Seveso III, al via i
cantieri.
È conto alla rovescia per adeguarsi ai nuovi
adempimenti.
Scatta il conto alla rovescia per
l'adeguamento nazionale alle nuove regole
comunitarie sui rifiuti elettronici e sulle
sostanze pericolose. Con la pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea
(Guue) dello scorso 24.07.2012 (n. L/197)
delle due attese direttive «Raee»
(2012/19/Ue) e «Seveso III» (2012/18/Ue)
assumono date certe (rispettivamente: 14.02.2014 e
01.06.2015) i termini
entro i quali gli stati dovranno far
rispettare sul piano interno le nuove regole
Ue su gestione dei rifiuti di
apparecchiature elettriche ed elettroniche e
controllo delle industrie a rischio di
incidenti rilevanti. Le nuove scadenze si
aggiungono alla già nota deadline del
prossimo gennaio 2013, data a partire dalla
quale la direttiva 2011/65/Ce imporrà una
stretta sulla fabbricazione ecocompatibile
delle apparecchiature elettriche ed
elettroniche (cd. «Aee»).
La gestione dei Raee. Le novità in arrivo
con la direttiva 2012/19/Ue sui rifiuti da
apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee)
riguardano sostanzialmente distributori di
nuove apparecchiature e gestori a valle dei
relativi rifiuti. Per i distributori di
nuove apparecchiature Aee si profila
l'estensione dell'obbligo del ritiro
gratuito dei Raee conferiti dagli utenti
finali.
Il ritiro sarà, infatti,
obbligatorio per i negozi al dettaglio con
superficie di vendita di Aee uguale o
superiore ai 400 metri quadrati e avrà a
oggetto i rifiuti da apparecchiature
elettriche ed elettroniche provenienti da
nuclei domestici di «piccolissime
dimensioni» (inferiori a 25 centimetri
esterni) e conferiti dagli utenti finali,
senza obbligo per questi di acquistare
all'atto del conferimento una Aee di tipo
equivalente.
L'obbligo potrà essere evitato
dai distributori solo ove sia pubblicamente
dimostrato che i regimi di raccolta
alternativa esistenti siano altrettanto
efficaci. Sul fronte della gestione a valle
dei Raee, ci sarà invece l'aumento delle
percentuali di raccolta differenziata e di
recupero che ogni stato dovrà assicurare sul
suo territorio nazionale, percentuali che
dagli attuali volumi del 70/80% dovranno
salire (a pieno regime) fino all'85%.
Dal
punto di vista tecnico, l'adeguamento alla
nuova direttiva 2012/19/Ue, destinata a
sostituire la 2002/96/Ce, renderà necessario
da parte del legislatore l'aggiornamento
entro il 2014 della disciplina prevista
dall'attuale dlgs 151/2005.
Le parallele novità sugli Aee. Entro
l'inizio del 2013, come accennato, dovrà
inoltre essere messa a regime dallo stesso
legislatore nazionale l'operatività della
nuova disciplina Ue sulla fabbricazione
delle Aee contenuta nella direttiva
2011/65/Ce (Guue dell'01.07.2011, n.
L/174), direttiva che riformulando l'intera
materia (con parallela rottamazione della
direttiva 2002/96/Ce, recepita tramite il
citato dlgs 151/2005) prevede un
allargamento del divieto di
commercializzazione delle apparecchiature
contenenti sostanze pericolose insieme a una
restrizione delle attuali deroghe e
all'aumento degli obblighi per fabbricanti,
importatori e distributori.
L'estensione del
divieto poggerà in particolare
sull'allargamento della definizione di «Aee»,
estesa a qualsiasi apparecchiatura che
dipende da correnti elettriche o campi
elettromagnetici per espletare «almeno una»
delle funzioni previste e ai relativi «pezzi
di ricambio». L'utilizzo in deroga di
determinate sostanze sarà invece permesso
solo in condizioni di compatibilità con il
regolamento Ce n. 1907/2006 (cd.
«regolamento Reach» su fabbricazione e
commercializzazione delle sostanze
chimiche).
La stretta sugli operatori
arriverà infine con l'obbligo per i
fabbricanti di corredare le Aee prodotte con
documentazione tecnica, dichiarazione di
conformità e identificazione seriale, con
l'onere per gli importatori di integrare i
prodotti con propri dati identificativi; con
il dovere per i distributori di effettuare a
valle un controllo sugli adempimenti di
fabbricanti e importatori.
La «Seveso III». Al centro delle novità
previste dalla direttiva 2012/18/Ue sul
«controllo dei pericoli di incidenti
rilevanti connessi con determinate sostanze
pericolose» vi saranno l'allargamento del
novero degli impianti rientranti nel campo
di applicazione della disciplina «Seveso» e
l'ampliamento degli adempimenti a carico dei
relativi gestori.
In particolare, a
provocare l'allargamento delle industrie
rientranti nel sistema «Seveso» è
l'inclusione di 14 nuove sostanze
nell'elenco di quelle che fanno scattare gli
obblighi previsti dalla disciplina. Ad
ampliare, invece, gli obblighi a carico dei
responsabili delle strutture è la maggiore
analiticità richiesta dalla nuova direttiva
alla documentazione comprovante l'avvenuta
attività preventiva degli incidenti. Una
stretta arriverà, infine, sui controlli
esterni, con l'obbligo per le Autorità
nazionali competenti di procedere a
ispezioni semestrali negli stabilimenti a
più elevato rischio.
L'adeguamento alla
nuova direttiva 2012/18/Ue renderà
necessaria la rivisitazione entro il 2015
dell'impianto normativo previsto dal dlgs
334/1999, provvedimento nazionale di
recepimento dell'uscente direttiva 96/82/Ce
(cd. «Seveso II»)
(articolo ItaliaOggi
Sette
del 06.08.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Pneumatici
usati, la Cassazione chiarisce il confine
con i beni ordinari.
Solo gli pneumatici usati non giacenti in
evidente stato di abbandono e obiettivamente
riutilizzabili (sia «tal quali» che tramite
ricostruzione) possono essere considerati
ordinari beni. Tutti gli altri sono invece
rifiuti, e come tali vanno gestiti.
A
chiarire a gommisti, demolitori di veicoli e
ricostruttori di pneumatici le due
condizioni che consentono di operare senza
sottostare alla gravosa disciplina sui
rifiuti dettata dal Codice ambientale (dlgs
152/2006) sono due sentenze della Corte di
cassazione dello scorso giugno. Con i due
provvedimenti della III Sez. penale,
rubricati come 25207/2012 e 25385/2012, la
Corte ha armonizzato e sintetizzato i
diversi principi espressi dalle pronunce di
legittimità stratificatesi fino a oggi.
Pneumatici, tra rifiuti e beni. Due i dati
normativi sui quali sono fondate le pronunce
della Cassazione: la fondamentale
definizione di «rifiuto», secondo l'articolo
183, comma 1, lettera a), del dlgs 152/2006
(in base alla quale è tale «qualsiasi
sostanza od oggetto di cui il detentore si
disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo
di disfarsi») e la voce «pneumatici fuori
uso» contenuta sotto il codice «16.01.03»
dell'allegato «D» dello stesso decreto
(allegato recante l'elenco dei rifiuti di
matrice comunitaria).
Sotto il primo profilo
la Cassazione, abbracciando
l'interpretazione estensiva della nozione di
«rifiuto» adottata dalla Corte Ue di
giustizia (fin dalla sentenza 15.06.2000
n. C-418/97), ritiene integrata la volontà
del «disfarsi» ogni qualvolta le circostanze
provino l'intenzione di abbandonare
l'oggetto, che deve di conseguenza essere
ritenuto un rifiuto con tutte le conseguenti
responsabilità per il suo produttore o
detentore. Sotto questo aspetto, ricorda la
Corte, qualsiasi pneumatico può essere
potenzialmente un rifiuto.
Sotto il secondo
profilo, lo stesso giudice sottolinea invece
come, anche in assenza di abbandono (fatto
che di per se qualificherebbe a monte
l'oggetto come rifiuto) gli «pneumatici
fuori uso», ossia gli pneumatici che per
condizioni di decadimento o per altre
ragioni non risultano ricostruibili, sono
comunque da considerarsi rifiuto quando
appaiono nella disponibilità degli operatori
in parola e devono dunque essere gestiti di
conseguenza. Escono invece sicuramente dal
novero dei rifiuti, precisano le due
sentenze, gli «pneumatici usati», ossia
quelli passibili di ricostruzione o
riutilizzabili tal quali.
Il ragionamento
della Cassazione è fondato sulla duplice
classificazione degli pneumatici che si
evince dall'attuale assetto normativo
nazionale, assetto generato dalla legge
179/2002 che (in attuazione della decisione
comunitaria 2000/532/Ce) ha provveduto a
mutare il contenuto della voce «16.01.03»
del Catalogo europeo dei rifiuti
(attualmente riprodotto nel Codice
ambientale) da «pneumatici usati» a
«pneumatici fuori uso», sancendo di
conseguenza una fuoriuscita dal novero dei
rifiuti (sempre che non si versino in stato
di abbandono) degli pneumatici
ricostruibili.
Il tutto però, conclude la
Corte, con l'onere della prova (della ricostruibilità) a carico dell'operatore che
li detiene, e ciò per il fatto che trattasi
di una disciplina (quella degli «pneumatici
usati») eccezionale rispetto a quella
ordinaria in tema di rifiuti (ossia di
«pneumatici fuori uso»).
Gli obblighi degli operatori. La corretta
condotta che la Cassazione suggerisce con le
pronunce a gommisti e riparatori varia in
funzione dello «status» dello pneumatico
detenuto ed è sostanzialmente la seguente:
nel caso in cui sia manifestamente evidente
l'impossibilità di procedere a una
ricostruzione dello pneumatico, il gommista
ha l'onere di conferirlo come rifiuto (con
codice «16.01.03: pneumatico fuori uso») a
un operatore autorizzato, ponendo nelle more
tutti gli accorgimenti stabiliti dal Codice
ambientale in materia (limiti quantitativi e
temporali del deposito temporaneo; tenuta
dei registri e dei formulari per il
tracciamento della loro gestione); nel caso
in cui invece lo pneumatico appaia
ricostruibile (sia dunque uno «pneumatico
usato»), il gommista può conferirlo come
merce ad un ricostruttore.
In quest'ultimo
caso, sottolinea la Cassazione, il
procedimento di ricostruzione va qualificato
come una operazione di «trattamento di
risanamento di un bene» e non come una
operazione di recupero di rifiuto, per cui
non soggiace agli adempimenti previsti dal
Codice ambientale per quest'ultimo
(articolo ItaliaOggi
Sette
del 06.08.2012). |
aggiornamento al 06.08.2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Semplificato
il percorso per i permessi edilizi. Niente
copie di documenti già in possesso
dell'amministrazione.
Le novità introdotte dal decreto sviluppo
incidono profondamente sull'attività
edilizia, liberalizzando le procedure
soprattutto se i lavori si svolgono
all'interno delle unità produttive.
Vediamole in sintesi.
Sportello unico
Lo sportello unico per l'edilizia diventa il
punto di riferimento obbligato per tutti gli
atti «riguardanti il titolo abitativo e
l'intervento edilizio oggetto dello stesso».
Lo sportello fornisce una risposta
tempestiva in luogo di tutte le Pa comunque
coinvolte.
Tutti gli atti dovranno essere gestiti da
questa struttura, e altri uffici comunali o
altre amministrazioni coinvolte dal
procedimento non potranno trasmettere
autonomamente «ai richiedenti» atti
autorizzatori, pareri, nulla osta o
consensi.
Dia e Scia
Viene stabilito che, nei casi in cui per la
Dia è prevista l'acquisizione di atti o
pareri di organi o enti, essi sono sempre
sostituiti dalle autocertificazioni o dalle
asseverazioni di tecnici abilitati che
potranno essere prodotte insieme alla
denuncia. Con alcune eccezioni, come i casi
di vincoli ambientali o di limiti dovuti
alla sismicità. Le amministrazioni avranno
la possibilità di effettuare le loro
verifiche in un secondo momento.
Permesso di costruire
Per il rilascio del permesso di costruire,
rientra nelle competenze dello sportello
unico l'acquisizione, diretta o tramite
conferenza di servizi, di pareri di
amministrazioni finora escluse. Tra queste,
Regione, Difesa e autorità sui vincoli
idrogeologici.
Il responsabile dello sportello unico ha
l'obbligo di indire la conferenza di servizi
se entro sessanta giorni dalla domanda manca
ancora qualche nulla osta o c'è il dissenso
di qualche amministrazione.
Documenti inutili
Scatta un taglio consistente della
documentazione richiesta per tutti gli
interventi, compresi quelli minori fatti in
casa, grazie all'acquisizione d'ufficio dei
documenti già in possesso degli uffici
pubblici, come documenti catastali o
variazioni di mappa.
In base alle nuove disposizioni contenute
nella versione definitiva del Dl Sviluppo le
amministrazioni «non possono richiedere
attestazioni, comunque denominate, o
perizie, sulla veridicità e l'autenticità di
tali documenti, informazioni e dati».
Lavori nelle imprese
Novità importanti nei fabbricati adibiti a
esercizio d'impresa, nei quali possono
essere realizzate modifiche interne di
carattere edilizio o mutamenti di
destinazione d'uso senza alcun titolo
abilitativo. Lo consente l'articolo 13-bis
del Dl Sviluppo.
Dal giugno 2012 tutti gli interventi edilizi
interni sono sottratti al passaggio
burocratico del Comune, perché sono
equiparati alle opere libere, che non
esigono titoli edilizi. Prima erano esclusi
solo manutenzione straordinaria, pannelli
solari e aree ludiche.
Cambi di destinazione d'uso
Vengono regolati anche i mutamenti di
destinazione d'uso dei locali adibiti a
esercizio di impresa: all'interno di un
immobile d'impresa i singoli locali (uffici,
magazzini, depositi, servizi) possono
trasmigrare da una destinazione all'altra.
Le nuove libertà riguardano non solo le aree
produttive, ma in generale tutte le
destinazioni a esercizio di impresa, quindi
anche qualsiasi intervento di tipo
produttivo purché interno all'attività (articolo Il
Sole 24 Ore del
04.08.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Edilizia.
Uno scatto procedurale nel nuovo accordo
Abi-Ance. Sconto dei crediti Pa: basta il
certificato lavori.
Le imprese appaltatrici
di lavori pubblici non avranno bisogno di
seguire la complessa procedura di
certificazione dei crediti con la Pa
prevista dalla legge per attivare presso gli
sportelli bancari gli strumenti di
smobilizzo o di anticipazione finanziaria
previsti dai protocolli Abi del 28 febbraio
e del 22.05.2012: sarà sufficiente
presentare invece il certificato lavori
emesso dall'amministrazione debitrice.
È quanto afferma l'addendum firmato ieri fra
Abi (associazione bancaria italiana) e Ance
(associazione nazionale costruttori edili)
per recepire le specificità del settore
edilizio nell'ambito degli accordi
sottoscritti nel corso dell'anno fra
l'associazione bancaria e il mondo
imprenditoriale. Di fatto, la procedura di
certificazione si azzera per le imprese
edili perché il certificato lavori è un
documento ordinario all'interno delle
procedure di appalto.
Le uniche integrazioni che le imprese di
costruzioni dovranno presentare sono un «estratto
conto elenco documenti di Equitalia relativo
alla presenza di inadempienze all'obbligo di
versamento derivante dalla notifica di una o
più cartelle di pagamento», le fatture
quietanzate per i subappalti, la
dichiarazione del l'amministrazione
debitrice in caso di anticipazione con
cessione del credito.
L'addendum Abi-Ance contiene una seconda
disposizione che prevede la possibilità per
l'impresa di ricevere dalla banca
un'anticipazione pari almeno al 70% del
credito certificato «al netto di eventuali
debiti verso la Pa». La condizione è
ovviamente che il fondo di garanzia per le
Pmi rilasci la propria copertura con
garanzia o controgaranzia, secondo quanto
previsto dall'accordo generale.
«L'addendum con l'Abi -commenta il
presidente del l'Ance, Paolo Buzzetti- è un
importante passo avanti ottenuto grazie al
forte appoggio dell'associazione bancaria.
Questa intesa non soltanto evita procedure
di certificazione che sarebbero state molto
lunghe e pesanti, ma consente, per la stessa
ragione, di anticipare l'applicazione degli
accordi, rendendola di fatto quasi immediata».
Anche questo passaggio, tuttavia, non basta
affatto rispetto a un problema generale che
per il 30-40% colpisce proprio le imprese di
costruzioni. «Anche questa intesa –dice
Buzzetti– non risolve il problema del
pagamento dei crediti che per il settore è
diventato drammatico» e l'Ance stima in
19 miliardi.
Per l'associazione dei costruttori «non è
con le anticipazioni bancarie che il
problema può essere risolto perché l'unica
vera soluzione è che lo Stato cominci a
pagare i suoi debiti. Il Governo non può
sfuggire questo passaggio obbligatorio».
Questo non soltanto perché «l'anticipazione
costa, andando quindi a ridurre i margini
dell'impresa sull'appalto, e perché
l'anticipazione andrà comunque restituita.
Ma anche perché –aggiunge il presidente
dell'Ance– l'anticipazione, così come i
decreti ingiuntivi che pure noi abbiamo
promosso, rischiano di risolversi in altri
palliativi in cui ci avvitiamo, se poi lo
Stato non paga».
Buzzetti lancia quindi un segnale chiaro al
Governo. «Sono state fatte cose
importanti –dice– con il decreto sviluppo e
noi lo abbiamo riconosciuto. Ma tutti devono
capire che senza una forte iniezione di
liquidità il settore non si rimette in moto.
Se lo Stato non paga i suoi debiti, anche le
misure positive del decreto sviluppo saranno
vanificate»
(articolo Il
Sole 24 Ore del
04.08.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Corte
conti: no a limiti di spesa sui dirigenti a
termine.
Negli enti locali da
oggi meno paletti sugli incarichi
dirigenziali con contratto a tempo
determinato.
La disposizione contenuta nei primi due
periodi dell'articolo 19, comma 6-quater,
del dlgs 165/2001, secondo cui negli enti
locali il limite massimo degli incarichi è
conferito in base alla dimensione
demografica dell'ente, è norma assunzionale
speciale e parzialmente derogatoria al
regime oggi vigente. ...
(articolo ItaliaOggi del
03.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: P.a.,
niente soldi dalle ferie residue. I giorni
di riposo non goduti non possono essere
monetizzati.
Dallo scorso 7 luglio le
ferie non fruite da parte dei dirigenti e
dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche non possono essere monetizzate.
Tale divieto sembra applicarsi anche alle
specifiche istanze avanzate prima di tale
data e che non hanno avuto una risposta
positiva. Si raccomanda ai dirigenti e ai
responsabili di prestare particolare
attenzione al rispetto di questa
disposizione. La sua violazione determina
infatti sia il maturare di responsabilità
disciplinare ed amministrativa sia l'obbligo
di restituzione da parte del dipendente.
Sono queste le principali indicazioni
contenute nel comma 8 dell'articolo 5 del dl
n. 95/2012, la cosiddetta spending review,
per come licenziato dal senato. Da
sottolineare che sul punto non si sono avute
variazioni di rilievo nel corso dell'esame
parlamentare.
Questa misura si inserisce nel quadro delle
iniziative per conseguire risparmi di spesa
nel pubblico impiego. Essa vuole inoltre
sanare una condizione di anomalia presente
in molte amministrazioni pubbliche in cui i
dipendenti e/o i dirigenti non godono dei
periodi di ferie fissati dai contratti
collettivi nazionali di lavoro. Ricordiamo
che le ferie sono un diritto «non
disponibile», che deve quindi essere
goduto da parte dei dipendenti perché
servono a garantirgli il recupero delle
energie psicofisiche: in questo senso vanno
i principi dettati nella nostra
Costituzione.
In applicazione di questi principi, i
dirigenti in quanto dotati dei poteri e
delle capacità del privato datore di lavoro
possono o, per molti aspetti, devono
collocare d'autorità in quiescenza i
dipendenti che non chiedono le ferie. La
normativa contrattuale, in particolare
quella del personale ...
(articolo ItaliaOggi del
03.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
pubblici punto e a capo. La Corte
costituzionale ha spazzato via la stretta
sull'in house. La decisione porta a
riflettere sull'opportunità di continuare a
osteggiare gli affidamenti.
Merita un approfondimento particolare lo
scenario dei servizi pubblici a esito
dell'ennesimo accadimento che ha riguardato
la materia, ovvero la sentenza della Corte
costituzionale n. 199/2012. Il termine non è
utilizzato per errore, poiché di reali
accadimenti occorre ormai parlare in
relazione a una materia, quella dei servizi
pubblici locali, oggetto da ormai più di un
decennio, a più livelli e a più riprese, di
tentativi di riforme organiche, di
correttivi in grado di modificare il
precedente assetto, di una cospicua
evoluzione delle discipline settoriali e
regionali e, come nell'ipotesi di specie, di
interventi della stessa Corte
costituzionale.
Ciò che deriva è un quadro desolante.
Certamente non sono in dubbio i moduli
gestionali dei servizi. Infatti, al di là
del tentativo del nostro legislatore di
limitare il ricorso alle forme dell'in
house providing, non si può disconoscere
che tale modello gestionale, unitamente a
quelli della concessione a terzi con gara e
al partenariato pubblico-privato,
rappresentino tutti dei modelli la cui
validità e vigenza è un dato ormai
acquisito. Ciò che, tuttavia, appare dubbio
è il problematico contorno ...
(articolo ItaliaOggi del
03.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - EDILIZIA PRIVATA:
La pubblicità sulle gru si paga
se eccede i limiti. Un decreto del Mef fissa
i paletti.
L'imposta sulla
pubblicità non è dovuta per il marchio di
fabbrica apposto sulle gru mobili, sulle gru
a torre adoperate nei cantieri edili e sulle
macchine da cantiere, purché la superficie
complessiva non ecceda i limiti disposti da
un recente decreto dal ministero
dell'economia e delle finanze.
Il provvedimento datato 26.07.2012, in corso
di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e
anticipato ...
(articolo ItaliaOggi del
02.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Illegittimità provata allegando
l'atto. Agevolato il percorso del cittadino
contro la p.a..
Per dimostrare la colpa
dell'amministrazione, il privato,
danneggiato da un provvedimento illegittimo,
può anche limitarsi ad allegare la sola
illegittimità dell'atto:
è quanto si evince nella
sentenza 12.06.2012 n. 3444 della V Sez.
del Consiglio di Stato. ...
(articolo ItaliaOggi del
02.08.2012 - tratto da
www.ecostampa.it).
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Osserva la Sezione che la pronuncia in
scrutinio correla il sorgere della
responsabilità dell’Amministrazione
direttamente all’illegittimità
provvedimentale emersa, senza svolgere
particolari argomentazioni circa l’elemento
della colpa.
Una simile impostazione, peraltro, si
inserisce nell’alveo di un preciso ordine
concettuale più volte condiviso anche da
questa Sezione, la quale ha avuto modo di
osservare che ai fini della configurazione
del diritto al risarcimento del danno
derivante dalla lesione di interessi
legittimi l'illegittimità dell'atto
amministrativo costituisce un indice
presuntivo della colpa della P.A., sulla
quale semmai incombe l'onere di provare la
sussistenza di un proprio errore scusabile
(C.d.S., V, 31.10.2008, n. 5453).
Più ampiamente, la giurisprudenza ha
sottolineato (cfr. ad es. C.d.S., VI,
09.03.2007 n. 1114 e 09.06.2008 n. 2751) che
al privato danneggiato da un provvedimento
illegittimo non è richiesto un particolare
impegno probatorio per dimostrare la colpa
dell’Amministrazione. Il privato può
limitarsi ad allegare l'illegittimità
dell'atto, potendosi ben fare applicazione,
al fine della prova dell'elemento
soggettivo, delle regole di comune
esperienza e della presunzione semplice di
cui all'art. 2727 del codice civile. E
spetta a quel punto all'Amministrazione
dimostrare, se del caso, che si è verificato
un errore scusabile, il quale è
configurabile, ad esempio, in caso di
contrasti giurisprudenziali
sull'interpretazione di una norma, di
formulazione incerta di norme da poco
entrate in vigore, di rilevante complessità
del fatto, di influenza determinante di
comportamenti di altri soggetti, o di
illegittimità derivante da una successiva
dichiarazione di incostituzionalità della
norma applicata (cfr., tra le tante, C.d.S.,
IV, 12.02.2010, n. 785; V, 20.07. 2009, n.
4527).
Nel caso di specie, però, nessuno dei
predetti fattori giustificativi è stato
fatto riscontrare, non avendo la parte
onerata addotto alcuna precisa e
significativa incertezza interpretativa che
potesse giustificare il suo operato dannoso.
Senza dire che la Corte di Giustizia
dell’U.E. ha recentemente chiarito che la
direttiva 89/665 deve essere interpretata
nel senso che essa osta ad una normativa
nazionale la quale subordini il diritto ad
ottenere un risarcimento a motivo di una
violazione della disciplina sugli appalti
pubblici, da parte di un'Amministrazione
aggiudicatrice, al carattere colpevole di
tale violazione. E questo anche nel caso in
cui l'applicazione della normativa in
questione sia incentrata su una presunzione
di colpevolezza in capo all'Amministrazione
suddetta, nonché sull'impossibilità per
quest'ultima di far valere la mancanza di
proprie capacità individuali e, dunque, un
ipotetico difetto di imputabilità soggettiva
della violazione lamentata (Corte giustizia
CE, sez. III, 30.09.2010, proc. C-314/09)
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: P.a., i tagli non bloccano i concorsi.
Assunzioni ok anche negli enti oggetto di
riorganizzazione. Il maxiemendamento al dl
9.5 consente l'immissione in servizio dei
vincitori rimasti al palo.
Nonostante i tagli agli organici, la p.a.
non smetterà di assumere là dove necessario.
Il maxiemendamento alla spending review (dl
95/2012) introduce nell'articolo 14 un comma
4-bis, che consente alle amministrazioni
interessate ai processi di riorganizzazione
previsti dall'articolo 2 del medesimo
decreto di attivare l'immissione in servizio
dei vincitori di concorso rimasti al palo, a
causa dei vari blocchi e tetti delle
assunzioni, anche avvalendosi delle
graduatorie di altre amministrazioni,
utilizzando quanto prevede l'articolo 3,
comma 61, della legge 350/2003, previo
accordo tra le amministrazioni.
L'emendamento sblocca le assunzioni dei
vincitori di concorso per rispondere
«all'esigenza di ottimizzare l'allocazione
del personale presso le amministrazioni
soggette agli interventi di riduzione
organizzativa» nonché «al fine di consentire
ai vincitori di concorso una più rapida
immissione in servizio» e consente le
assunzioni per il triennio 2012-2014.
Dette assunzioni potranno essere effettuate
...
(articolo ItaliaOggi dell'01.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
SPENDING REVIEW VERSO IL
TRAGUARDO/ Sanità, statali, enti locali:
tutti i tagli. Estensione del modello Consip,
tasse universitarie, limiti ai compensi dei
manager.
Tasse universitarie, prescrizioni dei
farmaci e tagli alle Spa pubbliche sono le
novità che hanno contrassegnato il rush
finale dell'esame a Palazzo Madama. Ma
particolarmente intenso è stato tutto il
lavoro svolto nelle ultime due settimane in
Commissione Bilancio, dove sono stati
numerosi gli interventi di modifica al testo
del Governo.
A partire dall'aumento dell'addizionale
regionale Irpef nelle otto Regioni in
disavanzo sanitario, fino al tetto per gli
stipendi dei manager delle società non
quotate partecipate dallo Stato. O come la
mancata deroga al taglio delle province e il
salvataggio di Covip, del Centro
sperimentale di cinematografia e della
Cineteca nazionale. Modifiche che, come ha
sottolineato ieri il ministro della
Cooperazione e l'Integrazione, Andrea
Riccardi, «non mettono in discussione
l'architettura fondamentale del provvedimento».
Il decreto, che entra ora nella sua
complessa fase attuativa era nato con
l'obiettivo primario di scongiurare
l'aumento delle due aliquote principali
dell'Iva del 10 e del 21% garantendo minori
spese per 3,7 miliardi quest'anno, 10,23
l'anno venturo e 11,17 miliardi nel 2014. A
questo obiettivo s'è aggiunto l'intervento
per la salvaguardia di una seconda platea di
esodati (55mila con una maggiore spesa
prevista nei prossimi sette anni di 4,1
miliardi) e gli stanziamenti per la
ricostruzione nelle zone colpite dal
terremoto in Emilia.
Norme non previste nel primo disegno del
decreto alle quali, come detto, si sono poi
aggiunti gli interventi di riordino delle
province, che verranno dimezzate, il decreto
dismissioni (con il trasferimento alla Cassa
depositi e prestiti di Sace, Simest e
Fintecna), il riordino delle Agenzie fiscali
e, altro provvedimento aggiunto,
l'intervento straordinario del ministero
dell'Economia per il rafforzamento
patrimoniale del Monte del Paschi di Siena
(3,9 miliardi). ...
(articolo Il Sole 24
Ore dell'01.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Spa pubbliche, colpito solo l'in house.
Salta l'estensione della riduzione di cda e
personale a tutte le società controllate
dalla Pa.
LIMITI AL METODO CONSIP/
Gli acquisti della Pa non saranno vincolati
alle regole se i contratti saranno stati
conclusi con uno sconto del 20%.
Arriverà soltanto nella mattinata di oggi il
primo via libera dell'Aula del Senato al
decreto sulla spending review. Dopo una
giornata iniziata con la mancanza del numero
legale e proseguita in attesa che il Governo
mettesse a punto il maxiemendamento,
soltanto nella serata è giunta la richiesta
di fiducia da parte del ministro Piero
Giarda. Il che ha spinto la conferenza dei
capigruppo a far slittare a oggi il via
libera al provvedimento d'urgenza.
Nel maxiemendamento depositato ieri sono
state recepite le modifiche apportate dalla
commissione Bilancio del Senato e
soprattutto è stato "imbarcato" il
cosiddetto decreto legge sulle dismissioni
con l'accorpamento delle agenzie fiscali nel
testo licenziato dalle commissioni Finanze e
Bilancio sempre di Palazzo Madama.
Operazione che ha obbligato il Governo a
ritornare in commissione Bilancio per un
veloce esame e far iniziare
soltanto dopo le 20 di ieri la discussione
sulla fiducia. Soltanto alle 9,00 di questa
mattina si partirà con le dichiarazioni di
voto e dopo le 10,20 avranno inizio le
votazioni.
Il testo, ricomposto in forma di
maxi-emendamento, conferma innanzitutto il
via libera al contributo via convenzione con
Abi per l'attivazione di un plafond di 6
miliardi per la ricostruzione nella zone
colpite dal terremoto in Emilia. Avrà la
forma del credito d'imposta con un costo di
450 milioni l'anno per l'Erario; minori
entrate che, dal 2015, troveranno
compensazione con i tagli di spesa ai
ministeri. Sul fronte sanitario, confermati
gli sconti a carico delle farmacie e delle
aziende farmaceutiche, arriva la norma
composta con la mediazione del
sottosegretario alla presidenza del
Consiglio dei ministri, Antonio Catricalà,
che impone ai medici di indicare nella
ricetta del Servizio sanitario nazionale la
sola denominazione del principio attivo
contenuto nel farmaco. Il Tesoro ha
sottolineato che «non c'è alcun passo
indietro» visto che permane
«l'obbligatorietà» per il medico di indicare
il principio attivo. Mentre è una «facoltà»
quella di prescrivere il «medicinale
specifico».
Per una delle misure più importanti del
decreto, vale a dire il ricorso al metodo
Consip per gli acquisti di beni e servizi di
tutte le amministrazioni, fa discutere la
scelta di lasciare libertà dal vincolo in
caso di contratti sottoscritti direttamente
con i fornitori a sconto rispetto ai valori
Consip. «La riduzione dei costi della
Amministrazione Pubblica –ha segnalato ieri
in una nota il presidente di Confindustria
digitale, Stefano Parisi– non si ottiene
con il “massimo ribasso”, ma procedendo alla
digitalizzazione “end to end” dei servizi,
alla razionalizzazione e interoperabilità
delle banche dati fino all'erogazione dei
servizi al cittadino e alle imprese via
web». Confermate le misure sul pubblico
impiego (si veda articolo in pagina) con due
novità: l'estensione dell'esame congiunto
con i sindacati dei processi di mobilità che
si apriranno con i tagli sulle dotazioni
organiche e il rilancio dei piani di
valutazione delle performance di dirigenti e
dipendenti, cui legare la distribuzione
selettiva dei trattamenti accessori in vista
dei rinnovi dei contratti collettivi (2015).
Passo indietro, invece, sul l'estensione dei
tagli alle società pubbliche controllate
(riduzione dei Cda e interventi sul
personale). Il Governo ha infatti stralciato
dal maxiemendamento, con disappunto dei
relatori e dei senatori della Commissione
Bilancio, la norma che estendeva
l'intervento inizialmente previsto per le
sole società che nel 2011 avevano fatturato
oltre il 90% con prestazione e servizi
offerti alle sole pubbliche amministrazioni.
Novità dell'ultima ora anche per gli
studenti universitari con redditi familiari
ridotti. Per i prossimi tre anni accademici
a decorrere dall'anno accademico 2013/2014,
l'aumento della contribuzione per gli
studenti in regola con i rispettivi corsi di
studio di primo e secondo livello, il cui
Isee familiare non sia superiore a 40mila
euro, non potrà essere superiore all'indice
dei prezzi al consumo dell'intera
collettività. Scatterà invece il forte
incremento per tutti i fuori corso: più 25%
per i ragazzi con un Isee familiare fino a
90.000 Euro; più 50% per chi ha un Isee
familiare tra i 90.000 e i 150.000 euro;
addirittura il 100% per i redditi oltre i
150.000.
Nel testo coordinato entra, come detto,
l'articolato del decreto legge sulle
dismissioni e l'accorpamento delle agenzie
fiscali. Si prevede il passaggio di Sace,
Simest e Fintecna sotto il controllo della
Cassa depositi e prestiti. Un'operazione che
verrà perfezionata entro l'autunno e che
determinerà maggiori entrate per il bilanci
dello Stato dell'ordine di 9-10 miliardi di
euro, secondo le ultime stime della
Relazione tecnica. Confermata infine la
decorrenza della soppressione dell'Agenzia
del Territorio e dei Monopoli di Stato a
partire dall'01.12.2012, come indicato dalla
Commissione Finanze. Inoltre con il
maxi-emendamento viene confermata la
possibilità di attivare 380 nuove posizioni
non dirigenziali all'interno delle Agenzie
per garantirne la piena funzionalità dopo il
riordino
(articolo Il Sole 24
Ore del 31.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Dirigenti
messi al bando nella p.a.. I manager
pubblici tagliati saranno rimpiazzati da
quadri. Gli emendamenti approvati al senato
riducono l'autonomia organizzativa in
materia di personale.
Stretta agli incarichi dirigenziali nelle
amministrazioni dello stato e nelle agenzie.
Gli emendamenti dei relatori all'articolo 2
della spending review (dl 95/2012),
approvati venerdì scorso in commissione al
senato, irrigidiscono ulteriormente la
possibilità delle amministrazioni di
assumere e incaricare i dirigenti.
Per le
amministrazioni dello stato, anche a
ordinamento autonomo, delle agenzie, degli
enti pubblici non economici, degli enti di
ricerca, nonché degli enti pubblici di cui
all'articolo 70, comma 4, del dLgs 165/2001,
si emenda l'articolo 2, nel quale si
inserisce un comma 10-bis, finalizzato a
sottrarre alle varie amministrazioni una
forte parte dell'autonomia organizzativa e
normativa.
Infatti, dette amministrazioni
non potranno più incrementare il numero
degli uffici di livello dirigenziale
generale e non generale con i regolamenti di
organizzazione, perché occorrerà, invece,
una -disposizione legislativa di rango
primario-. Il legislatore mostra poca
fiducia sull'autonomia organizzativa delle
amministrazioni anche con il nuovo comma
10-ter dell'articolo 2. Esso, allo scopo di
semplificare ed accelerare il riordino
organizzativo disposto dal comma 10, prevede
che i regolamenti di organizzazione dei
ministeri siano adottati con decreto del
presidente del consiglio dei ministri, su
proposta del ministro competente, di
concerto con il ministro per la pubblica
amministrazione e la semplificazione e con
il ministro dell'economia e delle finanze.
E
sui dpcm si impone il controllo preventivo
di legittimità della Corte dei conti. Una
volta vigenti i decreti del presidente del
consiglio, si disapplicheranno i regolamenti
di organizzazione vigenti. Per quanto ...
(articolo ItaliaOggi del 31.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Gestione delle attività. La disciplina dei
casi in cui non si può ricorrere al mercato.
Società strumentali in salvo con l'ok
dell'Authority.
I CRITERI/
Le norme sullo scioglimento non riguardano
realtà che svolgono servizi pubblici o che
gestiscono banche dati strategiche.
Le amministrazioni pubbliche possono
mantenere le società per la gestione di
servizi strumentali, se particolari
condizioni non consentono il ricorso al
mercato, ma devono acquisire il parere
vincolante dell'Autorità garante della
concorrenza e del mercato (Agcm).
Il maxiemendamento alla legge di conversione
del Dl 95/2012 (spending review) introduce
importanti innovazioni e integrazioni alle
regole per lo scioglimento delle società che
realizzano, a favore delle amministrazioni
socie, almeno il 90% del proprio fatturato,
contenute nell'articolo 4 dello stesso
decreto sulla revisione della spesa.
La completa riformulazione del comma 3
precisa le esclusioni dall'ambito
applicativo della disposizione.
Le norme sullo scioglimento non riguardano
anzitutto le società che svolgono servizi di
interesse generale (quindi servizi pubblici)
sia con rilevanza economica che privi di
tale caratteristica. L'esclusione riguarda
anche le società che svolgono
prevalentemente attività di centrali di
committenza, la Consip e la Sogei, le
società finanziarie delle Regioni, nonché
quelle che gestiscono banche dati
strategiche per il conseguimento di
obiettivi economico-finanziari (e questa
formulazione dovrebbe finalmente determinare
la non sottoposizione alle norme di
scioglimento per le società di gestione
delle attività di accertamento e di
riscossione dei tributi).
Nel novero delle società strumentali escluse
sono destinate a rientrare anche molte
realtà che saranno individuate con un
apposito decreto interministeriale, sulla
base della necessità di mantenimento
determinata dalla gestione (da parte delle
stesse) di dati riservati.
Il profilo di maggiore innovazione è dato
dalla possibilità, per le amministrazioni
pubbliche, di sottrarre le società che
gestiscono per esse servizi strumentali
quando particolari caratteristiche del
contesto territoriale e socioeconomico di
riferimento non rendano possibile un
efficace e utile ricorso al mercato.
Tuttavia, queste situazioni dovranno essere
dimostrate mediante un'analisi del mercato,
che dovrà essere trasmessa all'Agcm per
l'acquisizione di un parere, da parte della
stessa autorità, definito come vincolante.
Una volta reso, il parere sarà trasmesso
alla presidenza del Consiglio dei ministri.
La stessa disposizione precisa, però, che
anche alle società escluse dalla disciplina
sullo scioglimento, al pari di tutte le
società a totale partecipazione pubblica
(indipendentemente dall'attività esercitata
e dai servizi gestititi) si applicano le
norme che regolano la composizione dei
consigli di amministrazione (contenute nel
comma 5).
Il maxiemendamento introduce novità
importanti anche in ordine al procedimento
alternativo allo scioglimento delle società,
che prevede (comma 1, lettera b
dell'articolo 4) l'alienazione delle
partecipazioni del l'amministrazione nel
l'organismo gestore dei servizi strumentali.
Le nuove disposizioni integrano il quadro
esistente, specificando che l'alienazione
deve riguardare l'intera partecipazione del
soggetto pubblico controllante: pertanto, un
ente locale che decida di vendere le proprie
quote o azioni (anche il 100%) della società
strumentale dovrà porle tutte sul mercato,
non potendo conservare nemmeno una
partecipazione simbolica.
Nella gara per l'alienazione il bando
considera, tra gli elementi di valutazione
dell'offerta, quello costituito dal
l'adozione di strumenti di tutela
dell'occupazione da parte del soggetto
privato acquirente. Il conseguente
affidamento del servizio alla società così
"privatizzata" viene mantenuto nel termine
di cinque anni, ma nella norma viene a
essere espressamente prevista l'esclusione
del rinnovo alla scadenza del quinquennio.
In relazione al comma 6 dell'articolo 4 del
decreto spending review, il maxiemendamento
alla legge di conversione precisa che i
limiti nei rapporti con organismi non
societari non si applicano alle relazioni
con le aziende speciali e le istituzioni che
gestiscono servizi sociali e culturali
oppure farmacie, nonché a un'ampia serie di
soggetti appartenenti all'area non profit
(vale a dire associazioni di promozione
sociale, cooperative sociali, associazioni
sportive dilettantistiche, associazioni
rappresentative degli enti locali, come Anci
e Upi) (articolo
Il Sole 24 Ore del 30.07.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Interrogazioni. Tra Unioni e municipi.
Niente segreteria in convenzione
IL DIVIETO/
Il ministro Giarda ha motivato la sua
risposta in base al Tuel, auspicando però un
ripensamento.
Non possono essere stipulate convenzioni di
segreteria tra i Comuni e le Unioni: è
quanto ha chiarito il ministro per i
Rapporti con il parlamento, Piero Giarda, in
risposta a una interrogazione che era stata
presentata dall'onorevole Daniela
Melchiorre.
Per il ministro è necessario ripensare tale
divieto per arrivare a risultati di
«razionalizzazione delle risorse e di
ottimizzazione dell'esercizio delle funzioni
degli enti locali». Questa esigenza è
ulteriormente rafforzata dall'accelerazione
impressa dal legislatore alla gestione
associata tra i piccoli Comuni e dalla
progressiva riduzione del numero dei
segretari in servizio. Tanto più che quasi
dappertutto, ai vertici delle Unioni, vi
sono proprio segretari dei Comuni aderenti,
sulla base di disposizioni dettate dagli
statuti e della possibilità offerta dalla ex
Agenzia di ricevere questo come un incarico
aggiuntivo.
Il ministro ha detto "no" alla stipula di
convenzioni di segreteria tra Unioni e
Comuni perché «il segretario comunale e
provinciale, come figura professionale,
esercita le proprie attribuzioni, in
conformità con quanto previsto dal proprio
ordinamento e dal testo unico degli enti
locali, solo presso i Comuni e le Province,
o presso le convenzioni di segreteria, le
quali tuttavia non riguardano né le Unioni
di Comuni né le Comunità montane. Queste
ultime, infatti, hanno facoltà di avvalersi
per i servizi di segreteria di personale non
iscritto all'apposito albo. Il quadro
normativo di riferimento non contempla
dunque la possibilità di stipulare una
convenzione con l'Unione per il servizio di
segreteria».
Giarda ha citato, a sostegno della propria
tesi, la deliberazione della soppressa
Agenzia nazionale dei segretari comunali e
provinciali del 02.05.2001.
Implicitamente ha confermato che queste
disposizioni continuano ad applicarsi anche
dopo che –con il Dl 95/2012, la cosiddetta
spending review– è stato previsto che i
Comuni possano stipulare in generale
convenzioni con le Unioni.
Ma il blocco alle convenzioni per la
segreteria non ha impedito che i segretari,
previa autorizzazione dei sindaci, possano
svolgere l'incarico di segretari
dell'Unione. Tale incarico è da considerare
(secondo la deliberazione 200/2001 della
disciolta Agenzia) come extra-istituzionale,
quindi disciplinato dall'articolo 53 del
Dlgs 165/2001, e remunerato come tale.
Con la gestione associata tra i piccoli
Comuni si viene a modificare in modo
significativo il ruolo dei segretari nei
piccoli centri, stimolando ulteriormente
l'utilizzazione dello strumento convenzioni.
Nella stessa direzione va anche la tendenza,
consacrata da ultimo dal Dl 95/2012 con il
tetto alle nuove assunzioni, alla
progressiva riduzione dei segretari in
servizio. Tutte queste ragioni spingono
verso l'utilizzazione delle convenzioni di
segreteria tra Comuni e Unioni.
Peraltro, sulla base della riscrittura delle
funzioni fondamentali dei Comuni contenuta
in tale provvedimento, non è più necessario
che esse siano inserite nelle forme
associate scelte dall'ente, potendo
continuare a mantenere la loro specificità,
anche per la individuazione dei Comuni (articolo
Il Sole 24 Ore del 30.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Personale. Intervento sul trattamento
accessorio.
Si ripresentano le fasce di merito.
Rispuntano le fasce di merito nel decreto
sulla spending review. In realtà, si tratta
di ben poca cosa rispetto all'idea
originaria, ma la filosofia è la stessa:
programmazione degli obiettivi, sistema di
misurazione e valutazione della performance
e sistema premiale selettivo e
meritocratico. Gli ingredienti di questa
ricetta, che potrà essere utilizzata fino
alla prossima tornata contrattuale, sono
due: il sistema di valutazione e la
differenziazione. Su questi due aspetti si
concentra il decreto 95/2012 (forse
dimenticando che manca l'ingrediente
principe: le risorse).
Per quanto attiene ai sistemi di misurazione
e valutazione della performance, vengono
ridefinite le direttrici per il
riconoscimento del relativo trattamento
accessorio. Per i dirigenti andranno
considerati due elementi: da una parte il
grado di raggiungimento degli obiettivi
individuali e dell'unità organizzativa di
diretta responsabilità nonché il contributo
alla performance complessiva, e dall'altra
il comportamento organizzativo e la capacità
di differenziare la valutazione dei propri
collaboratori. Per il restante personale si
considereranno, oltre al comportamento
organizzativo, il raggiungimento degli
obiettivi individuali, di gruppo e il
contributo alla performance dell'unità
organizzativa.
Nella sostanza, cambia poco o nulla. Il
quadro complessivo continua a basarsi su tre
fattori: obiettivi, comportamento e capacità
di valutare. Rimane confermato che non sono
considerati i periodi di congedo di
maternità, di paternità e parentale.
L'elemento, forse, più interessante sono le
nuove fasce di merito. Ai dipendenti
classificati ai vertici della graduatoria
della performance individuale dovrà essere
garantito un trattamento accessorio più
elevato di una percentuale tra il 10 e il
30% del trattamento accessorio medio
riconosciuto ai colleghi di pari categoria.
La percentuale dei dipendenti virtuosi che
attingeranno a questo "superpremio" non
potrà essere inferiore al 10% del totale dei
dipendenti oggetto di valutazione.
Quali risorse verranno destinate a questo
meccanismo? Si sta parlando di quelle
previste dall'articolo 6, comma 1, del Dl
141/2011, che richiama l'articolo 16, comma
5, del Dl 98/2011, ovvero dei «piani
triennali di razionalizzazione e
riqualificazione della spesa», i cui
risparmi devono essere destinati per almeno
il 50% a questo nuovo meccanismo premiale.
Norma che, secondo la Corte dei conti
Lombardia (deliberazione 299/2012/Par), non
troverebbe applicazione agli enti locali (articolo
Il Sole 24 Ore del 30.07.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento al 30.07.2012 |
|
APPALTI FORNITURE:
Forniture. Le nuove regole si
applicheranno solo agli acquisti conclusi
dopo la conversione del decreto.
Metodo Consip solo sui nuovi contratti.
I contratti di acquisto di beni e servizi
già stipulati dalla Pa, anche se non
conformi al metodo Consip –cioè alla
standardizzazione dei parametri di valore–
sono salvi. Le regole contenute nel testo
sulla spending review si
applicheranno solo ai nuovi accordi, in
particolare a quelli successivi all'entrata
in vigore del decreto di conversione.
È questa una delle due modifiche di sostanza
uscite dal passaggio del testo alla
Commissione bilancio del Senato, alla
vigilia dell'approdo in Aula per la
conversione, attesa per lunedì e che sarà
probabilmente accorpata al provvedimento
sulle dismissioni. ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 29.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Processo amministrativo a dieta.
Atti brevi e chiari. Ne va
dell'ammissibilità del ricorso. Il consiglio
dei ministri ha approvato il secondo decreto
correttivo della riforma del Cpa.
Atti brevi e chiari. Davanti al giudice
amministrativo la prolissità e la confusione
nell'esposizione può costare caro in termini
rispettivamente ... (articolo
ItaliaOggi del 28.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI PUBBLICO IMPIEGO:
Nella p.a. ritornano le pagelle.
Dirigenti, contano obiettivi individuali e
capacità organizzative. Gli emendamenti al
dl 95 rispolverano il tormentone della
valutazione delle performance.
Tornano le fasce di valutazione, sia pure
edulcorate e semplificate. Si ripresenta,
dunque, ... (articolo
ItaliaOggi del 28.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Contrattazione decentrata doc.
Relazioni illustrative complete e
certificazione dei revisori. Circolare della
Ragioneria dello Stato dà attuazione alle
norme della legge Brunetta.
Le amministrazioni possono procedere
unilateralmente nelle materie relative alla
organizzazione interna che sono state
sottratte alla contrattazione dalla legge
Brunetta. ... (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI FORNITURE:
Nulli i contratti stipulati senza
la Consip. Ma la sanzione vale solo per il
futuro.
I contratti di appalto stipulati senza
ricorrere alla Consip e alle centrali di
acquisto regionali saranno considerati
nulli, ma soltanto dopo la conversione in
legge del decreto 95 sulla spending
review; sono quindi salvi i contratti
... (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
P.a., più certezza sul danno
all'immagine.
Fra i tanti effetti della crisi finanziaria
che scuote un'Eurozona ormai in forte
sofferenza e ingenera una diffusa sensazione
... (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/
Interrogazioni ai politici. Ai quesiti
rispondono solo il sindaco o l'assessore.
Esistono disposizioni
che consentono ai responsabili d'area di
rispondere, in luogo degli organi politici,
alle interrogazioni presentate dai
consiglieri ex art. 43 del dlgs 267/2000?
L'art. 43 del dlgs n. 267/2000, al comma 3,
riconosce ai consiglieri comunali ... (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Quorum.
Qual'è il quorum deliberativo ai fini della
votazione delle deliberazioni del consiglio
comunale, con particolare riferimento alla
problematica del computo degli astenuti?
L'art. 38, comma 2, dlgs 267/2000 demanda al
regolamento comunale ... (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fisco,
edilizia e lavoro: primo sì al Dl sviluppo.
La Camera approva le misure dopo la
trentesima fiducia.
Con la trentesima fiducia in 8 mesi il
Governo Monti mette in sicurezza il decreto
sviluppo e "ipoteca" la sua conversione in
legge. La Camera ha dato ieri il via libera
in prima lettura al provvedimento che
riforma gli incentivi alle imprese e punta a
sostenere alcuni settori chiave come
infrastrutture ed energia. Approvando il
Dl
nella versione uscita lunedì sera dalle
commissioni competenti, che molto
probabilmente sarà anche quella finale.
L'Esecutivo conta infatti di far passare a
Palazzo Madama, se possibile già la
settimana prossima, lo stesso testo. Che a
Montecitorio si è arricchito di due nuovi
capitoli: le semplificazioni in edilizia e
la correzione della riforma Fornero sul
lavoro.
Incassare il disco verde dei deputati è
stato forse più complicato del previsto per
il Governo. Che è andato sotto per tre voti
di scarto su un ordine del giorno del
pidiellino Manlio Contento sull'udienza
filtro per le cause in appello. Anche se il
ministro della Giustizia, Paola Severino, ha
successivamente ridimensionato l'episodio,
dicendo di condividerne il contenuto ma non
la premessa che non era stata stralciata
dall'odg.
Nessuna sorpresa invece sulle votazioni che
hanno aperto e chiuso la giornata di ieri.
Sia in occasione del voto di fiducia
mattutino –che è passato con 475 sì, 80 no
e 9 astenuti– sia nell'ok serale
sull'intero Dl che ha avuto 382 voti a
favore, 80 contrari e 4 astenuti. Complice
l'assenza dai banchi di quasi metà Pdl.
Come dimostrano le schede in basso, dalla
Camera è uscito un provvedimento ancora più
ampio e articolato rispetto a quello
d'ingresso, di per sé voluminoso. I
capisaldi principali del decreto sono
rimasti gli stessi. Si va dall'addio a 43
norme settoriali di incentivazione alle
imprese con la contestuale nascita di un
unico Fondo per la crescita alla possibilità
di finanziare la realizzazione di opere
pubbliche in partenariato pubblico-privato
con l'emissione di project bond tassati al
12,5% per tre anni. Fino alla proroga al 30
giugno 2013 di due dei bonus fiscali più
"amati" dagli italiani: quello sulle
ristrutturazioni edilizie che sale dal 36%
al 50% con un tetto di spesa di 96mila euro
anziché 48mila; quello del 55%
sull'efficienza energetica.
Strada facendo il Dl si è arricchito di
altre misure. È il caso del lavoro (su cui
si veda la pagina accanto) e delle
costruzioni, che vedono uscire decisamente
rafforzato lo sportello unico per
l'edilizia. Senza dimenticare le norme
sull'emergenza terremoto. Tanto in Abruzzo
quanto in Emilia. Anche se, su quest'ultimo
punto, gran parte dei fondi arriverà
dall'altro decreto in odore di approvazione
(stavolta al Senato): quello sulla
spending review
(articolo Il Sole 24
Ore del 26.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: DECRETO SVILUPPO/
In azienda opere edili senza vincoli.
Ammesso anche il cambio di destinazione
d'uso dei locali adibiti alle attività.
VIA I PALETTI/
Gli interventi edilizi interni (sia in
muratura che prefabbricati) sono sottratti
al passaggio burocratico in Comune.
Novità per i fabbricati adibiti a esercizio
d'impresa, nei quali possono essere
realizzate modifiche interne di carattere
edilizio o mutamenti di destinazione d'uso
senza alcun titolo abilitativo.
Lo consente l'articolo 13-bis del
decreto
legge «sviluppo» (n. 83 del 22.06.2012),
che amplia una previsione valida in
precedenza solo per la manutenzione
straordinaria, le pavimentazioni, i pannelli
solari, le aree ludiche e le opere
temporanee.
Dal giugno 2012, quindi, gli interventi
edilizi interni (sia in muratura che
prefabbricati) sono sottratti al passaggio
burocratico del Comune, perché sono
equiparati alle opere libere, che non
esigono titoli edilizi. L'innovazione non
riguarda le aree produttive scoperte, né
quelle (quali le tettoie) che ricadono in
zone prive di delimitazioni e che quindi non
presentano caratteristiche di zone
«interne».
In aggiunta alle opere di carattere
edilizio, sono disciplinati in modo
innovativo anche i mutamenti di destinazione
d'uso dei locali adibiti a esercizio di
impresa: ciò significa che all'interno di un
immobile di impresa i singoli locali
(uffici, magazzini, depositi, servizi)
possono trasmigrare da una destinazione
all'altra.
Le nuove libertà riguardano non solo le aree
produttive, ma in generale le destinazioni
ad esercizio di impresa, quindi qualsiasi
intervento di tipo produttivo purché interno
all'attività.
Sino a oggi la materia era regolata dalla
circolare del ministero Lavori pubblici n.
1918 del 16.11.1977 in tema di opere
da realizzare all'interno di stabilimenti
industriali. Questa circolare riguardava
tuttavia soprattutto gli elementi
tecnologici, quali cabine, canalizzazioni,
serbatoi baracche, palloni pressostatici
chioschi, pali, passerelle basamenti e
tettoie di protezione.
Si tratta di elementi di libera
realizzazione purché non in contrasto con
aspetti ambientali igienico sanitari e
comunque senza incremento di densità
(aumento di addetti).
Solo in casi particolari (come stabilito dal
Tar Parma 537/2003) si riusciva a superare
le previsioni dei Comuni, ottenendo la
suddivisione di un ampio capannone
attraverso tramezzature interne e
l'ampliamento del numero degli accessi;
spesso poi la modifica interna era, per il
Comune, un'occasione per esigere il
pagamento di oneri di concessione, quanto
meno su una delle due frazioni di capannone
ottenuta sezionando la precedente unità.
Questi problemi sembrano ora superati dal
decreto legge del 2012, norma che va oltre
gli aspetti della tecnica produttiva (le
innovazioni necessarie per esigenze
tecnologiche e di sicurezza), poiché vengono
agevolate anche le modifiche di stampo
edilizio e le destinazioni d'uso.
Un limite all'agevolazione può tuttavia
desumersi dal comma 4 dell'articolo 6 del
Dpr 380/2001, introdotto dal l'articolo
13-bis del decreto legge 83/2012: subito
dopo aver reso liberi gli interventi nei
luoghi produttivi, il legislatore prevede
che l'interessato debba comunicare al Comune
l'inizio dei lavori, i dati dell'impresa
esecutrice e una relazione tecnica di data
certa, con elaborati progettuali, a firma di
un professionista abilitato.
Il tecnico deve asseverare, sotto la propria
responsabilità, che i lavori sono conformi
agli strumenti urbanistici approvati e ai
regolamenti edilizi vigenti e che per essi
la normativa statale e regionale non prevede
il rilascio di un titolo abilitativo.
Sembra quindi che il nuovo comma 4
dell'articolo 6 del Dpr 380/2001 (richiedendo
l'asseverazione) contrasti con il precedente
comma 2, lettera e-bis (che parla di
esecuzione senza alcun titolo abilitativo).
Ciò accade proprio ora che la Corte
costituzionale (164 del 27.06.2012) ha
sancito la supremazia della legislazione
nazionale in materia di Scia rispetto alle
più severe norme locali.
In ogni caso, la liberalizzazione delle
opere interne in edifici produttivi e quella
dei cambi di destinazione vede entrare in
azione le agenzie per le Imprese (regolate
dalla legge 112/2008, articolo 38, comma 3),
le quali devono certificare (su richiesta
degli interessati) la sussistenza dei
requisiti e i presupposti per considerare le
modifiche interne e quelle di destinazione
d'uso conformi al decreto legge 83/2012.
Anche in tal caso, quindi, la maggiore
snellezza della procedura è attuata
chiedendo un ausilio ai privati.
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Tutte le misure di snellimento
antiburocrazia
Le novità introdotte dal decreto sviluppo
incidono profondamente sull'attività
edilizia, liberalizzando
le procedure soprattutto se i lavori si
svolgono all'interno delle unità produttive
SPORTELLO UNICO
Lo sportello unico per l'edilizia diventa il
punto di riferimento obbligato per tutti gli
atti «riguardanti il titolo abitativo e
l'intervento edilizio oggetto dello stesso».
Lo sportello fornisce una risposta
tempestiva in luogo di tutte le Pa comunque
coinvolte.
Tutti gli atti dovranno essere gestiti da
questa struttura, e altri uffici comunali o
altre amministrazioni coinvolte dal
procedimento non potranno trasmettere
autonomamente «ai richiedenti» atti autorizzatori, pareri, nulla osta o consensi.
PERMESSO DI COSTRUIRE
Per il rilascio del permesso di costruire,
rientra nelle competenze dello sportello
unico l'acquisizione, diretta o tramite
conferenza di servizi, di pareri di
amministrazioni finora escluse. Tra queste,
Regione, Difesa e autorità sui vincoli
idrogeologici.
Il responsabile dello sportello unico ha
l'obbligo di indire
la conferenza di servizi
se entro sessanta giorni
dalla domanda manca
ancora qualche nulla osta
o c'è il dissenso di qualche amministrazione.
STOP ALLA DUPLICAZIONE DI DOCUMENTI
Scatta un taglio consistente della
documentazione richiesta per tutti gli
interventi, compresi quelli minori fatti in
casa, grazie all'acquisizione d'ufficio dei
documenti già in possesso degli uffici
pubblici, come documenti catastali o
variazioni di mappa.
In base alle nuove disposizioni
contenute nella versione definitiva del Dl
Sviluppo
le amministrazioni «non possono richiedere
attestazioni, comunque denominate, o
perizie, sulla veridicità e l'autenticità di
tali documenti, informazioni e dati».
LAVORI NELLE IMPRESE
Novità importanti nei fabbricati adibiti ad
esercizio d'impresa, nei quali possono
essere realizzate modifiche interne di
carattere edilizio o mutamenti di
destinazione d'uso senza alcun titolo
abilitativo. Lo consente l'articolo 13-bis
del Dl "sviluppo".
Dal giugno 2012 tutti gli interventi edilizi
interni sono sottratti al passaggio
burocratico del Comune, perché sono
equiparati alle opere libere, che non
esigono titoli edilizi. Prima erano esclusi
solo manutenzione straordinaria,
pannelli solari e aree ludiche.
CAMBI DI DESTINAZIONI D'USO IN AZIENDA
Vengono regolati anche i mutamenti di
destinazione d'uso dei locali adibiti ad
esercizio di impresa: all'interno di un
immobile d'impresa i singoli locali (uffici,
magazzini, depositi, servizi) possono
trasmigrare da una destinazione all'altra.
Le nuove libertà riguardano
non solo le aree produttive,
ma in generale tutte
le destinazioni ad esercizio
di impresa, quindi anche
qualsiasi intervento di tipo produttivo
purché interno all'attività
(articolo Il Sole 24
Ore del 26.07.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La conferenza di servizi detta legge. Le
indicazioni possono essere disattese solo in
casi eccezionali.
Molte le novità in materia di finanza di
progetto. E arriva il contratto di
disponibilità.
Per i project financing la conferenza dei
servizi preliminare sarà svolta sulla base
dello studio di fattibilità o del progetto
preliminare; ridotte le possibilità di
modificare successivamente quanto deciso in
conferenza di servizi. Lo studio di
fattibilità necessario a promuovere un'opera
in finanza di progetto dovrà essere
predisposto da tecnici delle amministrazioni
in possesso di adeguati requisiti tecnici o
affidati a terzi. Precisate le
responsabilità e i rischi dei soggetti che
intervengono nei contratti di disponibilità.
Sono queste alcune delle novità che il
decreto legge n. 83 sulla crescita approvato
ieri dall'aula della camera prevedono per la
finanza di progetto e il contratto di
disponibilità, innovativa tipologia
contrattuale da poco inserita nel nostro
ordinamento.
Project financing. Un primo intervento di
rilievo del provvedimento attiene allo
snellimento e alla semplificazione delle
procedure autorizzative per interventi in
materia di finanza di progetto. In
particolare si prevede che in relazione alle
procedure disposte per la opere realizzate
con finanza di progetto sia comunque indetta
la conferenza dei servizi e che questa si
esprima sulla base dello studio di
fattibilità oppure sulla base del progetto
preliminare.
Una importante precisazione
riguarda poi la possibilità di modificare le
indicazioni fornite in sede di conferenza
dei servizi: ciò sarà possibile soltanto -in
presenza di elementi significativi emersi
nelle fasi successive del procedimento.
Studi di fattibilità.
Il provvedimento interviene poi ...
(articolo ItaliaOggi
del 26.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Partecipate, il Governo ci ripensa.
Niente dismissioni delle società in house
controllate dalle P.a..
Il
dietrofront dell'esecutivo Monti arriva con
un emendamento alla Spending review.
Sulle dismissioni delle partecipate il
governo
Monti ha scherzato. E così la mannaia, che
nel testo originale della spending review
avrebbe dovuto portare allo scioglimento
entro il 31.12.2013 di tutte le
società in house -controllate direttamente o
indirettamente- da pubbliche amministrazioni
centrali e locali (compresi i colossi Consip
e Sogei controllati dal Met), diventerà un
intervento di micro-chirurgia. Perché
scamperanno ai tagli non solo le società
«che svolgono servizi di interesse generale»
o «compiti di centrali di committenza» (la Consip appunto) o «che gestiscono banche
dati strategiche per il conseguimento di
obiettivi economico-finanziari» (la Sogei),
ma anche quelle degli enti locali. I comuni
potranno infatti sempre dimostrare di essere
costretti agli affidamenti diretti tutte le
volte in cui -per le peculiari
caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto,
anche territoriale, di riferimento, non sia
possibile per l'amministrazione pubblica
controllante un efficace e utile ricorso al
mercato.
Basterà inviare una relazione
all'Antitrust per poter proseguire nelle
gestioni. Come anticipato da ItaliaOggi il
17/7/2012, il capitolo delle dismissioni, su
cui evidentemente il governo si è reso conto
di aver scritto una norma potenzialmente
esplosiva (perché, tra le altre, avrebbe
travolto anche la società per la gestione
dell'Expo 2015 di Milano) è stato uno dei
primi sui cui si sono concentrati gli
interventi correttivi dei relatori al
decreto legge di riduzione della spesa
pubblica (dl 95/2012).
Ma negli emendamenti
di Gilberto Pichetto Fratin e Paolo Giaretta,
approvati ieri dalla commissione bilancio
del senato, vi sono molti altri dietrofront
rispetto al testo iniziale e anche qualche
sorpresa. Tra i ripensamenti si segnala lo
stop ...
(articolo ItaliaOggi del 26.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: SPENDING REVIEW/
«In house», salta il taglio automatico.
Braccio di ferro su Province e pubblico
impiego - Ipotesi ritocchi al patto di
stabilità.
I NODI/
Sugli statali possibile ritorno alla
concertazione con vincolo di 30 giorni.
Maggiori risparmi dalle Prefetture e ufficio
per garantire i cittadini.
Salvataggio di una grande fetta delle
società pubbliche in house con lo stop al
meccanismo della chiusura automatica.
Eliminazione dell'obbligo di sopprimere o
accorpare enti strumentali e agenzie delle
autonomie locali a patto che venga comunque
garantita una riduzione di spesa del 20%
nella loro gestione. Raddoppio dei risparmi
previsti, dal 10% al 20% delle uscite
sostenute, dal riordino delle Prefetture e
nascita di un nuovo ufficio unico di
garanzia tra rapporti tra cittadini e Stato.
Su questo primo pacchetto di modifiche dei
relatori alla spending review ieri è
arrivato il via libera della commissione
Bilancio del Senato, dove fino a notte fonda
è andato avanti un serrato braccio di ferro
tra maggioranza e Governo sul taglio del
Province ed è proseguita una sorta di
trattativa a oltranza sugli altri nodi del
decreto: ricerca, pubblico impiego, sanità
ed enti locali.
Proprio sugli enti locali si è giocata una
partita nella partita per effetto del
pressing del Pd e dei comuni, con il Governo
che ha cominciato a valutare un
alleggerimento della stretta o ritocchi al
patto di stabilità mantenendo comunque
invariati i saldi del decreto. Dopo
l'incontro del leader del Pd, Pier Luigi
Bersani con Mario Monti e i successivi
contatti tra il premier e il ministro
dell'Economia Vittorio Grilli, un intervento
sugli enti locali veniva considerato
probabile.
Emendamento che potrebbe vedere la luce
oggi. Dopo i numerosi stop and go della
giornata di ieri con più di un momento di
tensione, uno slittamento della conclusione
dei lavori della Commissione veniva
considerato quasi scontato nonostante la
maratona notturna. Il testo, quindi, non
approderà più in Aula al Senato in giornata
ma domani.
Nel primo pacchetto modifiche dei relatori,
Paolo Giaretta (Pd) e Gilberto Pichetto
Fratin (Pdl), spicca la rivisitazione, quasi
integrale, del dispositivo previsto dal
decreto per tagliare le società pubbliche in
house, ovvero quelle che erogano servizi
alla Pa. Anzitutto viene precisato che la
soppressione non interessa le società che
svolgono servizi di interesse generale,
«anche aventi rilevanza economica», e quelle
che svolgono prevalentemente compiti di
centrali di committenza come Consip e Sogei.
Salve anche tutte le società finanziarie
regionali e quelle che gestiscono banche
dati necessarie per ottenere fondi Ue e per
la tutela della privacy. Salvataggio anche
per le società in house costituite
nell'ambito della realizzazione di Expo
Milano 2015. Soppressione evitabile, seppure
con un parere vincolante dell'Authority per
la concorrenza, anche quando «per le
peculiari caratteristiche economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto non sia possibile per la Pa
controllante un utile e efficace ricorso al
mercato».
Sempre per evitare il taglio
automatico è stata data la possibilità alle
amministrazioni di predisporre entro i
prossimi tre mesi piani di ristrutturazione
delle società controllate, che dovranno
essere approvati dopo il parere favorevole
del super-commissario Enrico Bondi.
Salta, con un altro emendamento dei
relatori, anche l'obbligo di abolizione di
agenzie ed enti strumentali degli enti
locali (dalle aziende speciali alle
istituzioni che gestiscono servizi
socio-assistenziali, educativi e culturali)
a patto che questi ultimi garantiscano la
prevista riduzione di spesa del 20%. Via
libera anche all'immediata istituzione di
una Conferenza metropolitana nelle nuove 10
città metropolitane.
Ma la vera partita si è giocata sulle
Province con Pdl e Pdl a spingere per tutto
il giorno per un alleggerimento del tagli, a
partire dal salvataggio di Terni, Matera e
Isernia (con conseguenti frizioni con
Coesione nazionale) e il ministro Filippo
Patroni Griffi ad opporsi fino a tarda sera.
Tensioni nella maggioranza anche sugli
statali. Con il Pd in pressing per tornare a
una concertazione vincolante per il
riassetto del pubblico impiego, su cui il Pdl però ha mostrato più di una perplessità.
In serata l'ipotesi di mediazione, anche
sulla base del lavoro di tessitura di
Patroni Griffi, era di inserire un termine
di 30 giorni per la consultazione dei
sindacati.
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Le ultime modifiche
SOCIETÀ IN HOUSE
Dai relatori è arrivata ieri la riscrittura
delle norme sulle società in house: non
saranno chiuse automaticamente, ma ci sarà
la possibilità di una selezione. L'articolo
in questione prevede la privatizzazione
delle società pubbliche e il ricorso al
mercato
SPA LOCALI
Salta l'obbligo per Regioni, Province e
Comuni di sopprimere o accorpare i propri
enti o agenzie, a patto che realizzino
comunque un risparmio del 20% per la loro
gestione. La norma è stata votata ieri in
Commissione al Senato
PROVINCE
Altra questione spinosa è quella delle
province, per cui il testo del governo
prevedeva un sostanziale dimezzamento, con
un taglio dei piccoli enti. Terni, Matera e
Isernia sono attualmente al centro di un
braccio di ferro tra il Governo e la
maggioranza.
SANITÀ
Gli interventi sui farmaci riguardano in
particolare gli sconti più leggeri richiesti
a farmacisti e industrie. Quelli sui beni e
servizi soprattutto i tagli ai contratti in
essere. Sul taglio dei posti letto negli
ospedali si è ragionato fino all'ultimo
sulla necessità di evitare automatismi
PUBBLICO IMPIEGO
Tensioni nella maggioranza sul pubblico
impiego. Con il Pd in pressing per tornare a
una concertazione vincolante per il
riassetto, su cui il Pdl però ha mostrato
perplessità. In serata l'ipotesi mediazione
di inserire un termine di 30 giorni per la
consultazione dei sindacati
PREFETTURE
I risparmi che dovrà assicurare la
trasformazione delle Prefetture da Ufficio
territoriale del Governo ad Ufficio
territoriale dello Stato, dovranno essere
del 20% e non più solo del 10%. Prevista la
nascita di un nuovo ufficio unico di
garanzia tra rapporti tra cittadini e Stato
(articolo Il Sole 24
Ore del 26.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Linea
dura sugli statali "inefficienti". Sanzioni
per chi non rispetta i tempi.
L'emendamento al decreto Sviluppo. Oggi il
voto di fiducia.
Tempi duri per il pubblico dipendente che
non completi un procedimento nei tempi
prescritti.
Un emendamento al decreto Sviluppo,
presentato dai relatori Alberto Fluvi (Pd) e
Raffaello Vignali (Pdl) con il parere
favorevole del governo ...
(articolo
Corriere della Sera del 25.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti
del settore pubblico senza responsabilità
solidale.
LE PREVISIONI/ L'esonero riguarda anche le
società partecipate e i privati che
appaltano i lavori a scomputo.
Stazioni appaltanti pubbliche escluse dalla
responsabilità solidale, che in tutti gli
altri casi si applica nell'ambito degli
appalti di lavori, servizi e forniture. In
questi casi, prima di effettuare il
pagamento, il committente deve prendere
visione dei documenti che attestano da parte
dell'appaltatore e di eventuali
subappaltatori il rispetto degli obblighi
fiscali. Se non vede i documenti, il
committente può sospendere i versamenti,
anche perché un pagamento che non passi da
questa verifica comporta una sanzione fino a
200mila euro.
Viene corretta in questi termini la materia
della responsabilità solidale degli appalti
nel nuovo articolo 13-ter del decreto
sviluppo, inserito nel maxiemendamento alla
legge di conversione.
La novità principale è l'esclusione del
mondo pubblico, rappresentato dagli enti ma
anche dalle società partecipate: le
definizioni di riferimento sono quelle
contenute all'articolo 32 del Codice dei
contratti (decreto legislativo 163/2006), e
di conseguenza l'esclusione riguarda anche i
soggetti privati quando appaltino i lavori a
scomputo (lo prevede la lettera d
dell'articolo 32). Con il nuovo ambito
applicativo, la norma viene incontro in
particolare alle difficoltà degli enti
locali, che nell'ultima versione della
regola scritta nella legge di conversione al
decreto sulle «semplificazioni fiscali»
(Dl 16/2012) si erano visti arruolare nelle
verifiche sulla «fedeltà» fiscale e
contributiva delle imprese esecutrici o
fornitrici.
Sull'oggetto dei controlli, la nuova regola
conferma l'estensione della responsabilità
al versante fiscale, concentrata in
particolare sulle ritenute e sull'Iva, e
rafforza le procedure di controllo:
essenziale, in questa chiave, è il blocco
dei pagamenti da parte del committente a cui
non viene consegnata la documentazione che
attesta il rispetto degli adempimenti. Molto
alte, come accennato, le sanzioni per chi
effettua pagamenti senza seguire questo
passaggio.
Sempre in tema di Pa, il maxiemendamento al
decreto Sviluppo torna sul tema dell'«amministrazione
aperta» estendendo alle società
partecipate l'obbligo di pubblicare su
Internet la radiografia di tutti i pagamenti
superiori a mille euro, con nome del
beneficiario, curriculum, contratto e somma
erogata. Stretta drastica, invece, sugli
acquisti di software proprietari con
licenza: le Pubbliche amministrazioni
potranno imboccare questa strada solo dopo
aver verificato che è impossibile scegliere
un software sviluppato per conto di altre
amministrazioni oppure a sorgente aperta
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
aggiornamento al 23.07.2012 |
|
APPALTI SERVIZI:
Corte costituzionale. Accolto il
ricorso di sei regioni su affidamenti in
house, diritti di esclusiva e società
partecipate.
Servizi, liberalizzazioni bocciate.
Illegittime le nuove regole: sono la copia
di quelle abrogate dal referendum.
LA DECISIONE/ Con la manovra di Ferragosto
2011 è stato «tradito» il risultato delle
consultazioni di appena due mesi prima.
Le liberalizzazioni dei servizi pubblici
locali scritte nella manovra-bis del
Ferragosto 2011 sono la copia, ancor più
decisa rispetto all'originale, di quelle
abrogate per referendum solo due mesi prima,
quindi sono illegittime.
Sulla base di questo ragionamento, tanto
attendibile nei contenuti quanto deflagrante
negli effetti, la Corte costituzionale ha
assestato ieri (sentenza 199/2012:
presidente Quaranta, relatore Tesauro) la
bordata più dura all'ultima manovra
anti-spread dell'estate scorsa (l'altro
colpo arriva sui costi della politica: si
veda l'articolo sotto), dando ragione al
gruppo di sei Regioni (Emilia-Romagna,
Marche, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna)
che erano partite all'attacco della nuova
normativa.
A salvare l'intervento non è bastata
l'esclusione espressa del «servizio
idrico integrato», perché i referendum
abrogativi di giugno si erano concentrati
sull'acqua solo per la propaganda, ma in
realtà avevano cancellato tutte le
liberalizzazioni contenute nel primo
tentativo del 2008. Ancor meno utile è stata
la rubrica della norma, che parlava di «adeguamento
al referendum popolare». Riproporre
norme appena cancellate dal voto, per di più
a soli 23 giorni dal decreto di abrogazione,
non si può.
Anche per questa ragione, la sentenza agisce
di machete più che di bisturi, e dichiara
l'illegittimità dell'articolo 4 del Dl
138/2011 «sia nel testo originario che in
quello risultante dalle successive
modificazioni», compresi i ritocchi
apportati da ultimo con il «Cresci-Italia»
del Governo Monti (articolo 53 del Dl
83/2012). Addio, quindi, ai limiti economici
per gli affidamenti in house, preclusi per
servizi di valore superiore ai 900mila euro
annui (diventati poi 200mila con il decreto
liberalizzazioni 1/2012 del Governo Monti),
all'obbligo per gli enti locali di
effettuare analisi di mercato entro il 13
agosto prossimo per giustificare
l'attribuzione di diritti di esclusiva (già
si parlava di una proroga da inserire nella
legge di conversione al decreto di revisione
della spesa) e, ovviamente, a tutte le norme
dei provvedimenti attuativi. Ancora una
volta, quindi, cadono le regole che
provavano a chiudere le porte girevoli fra
la politica e le società partecipate,
impedendo agli ex amministratori locali di
sedere nei consigli di amministrazione delle
società.
Immediata l'esultanza della sinistra
referendaria, a partire dal presidente della
Puglia, Nichi Vendola, che sull'onda della
sentenza chiede di cancellare subito anche
la tagliola prevista dal decreto legge sulla
revisione di spesa per le società
strumentali della Pubblica amministrazione.
Secondo gli operatori, come spiega il
direttore generale di Federutility, Adolfo
Spaziani, la sentenza è l'occasione per «cambiare
rotta e pensare a normative serie di
settore, come si è fatto con energia e gas,
per premiare chi è efficiente e colpire chi
non lo è: bisogna smetterla con questi
continui tira e molla normativi, con i quali
si vuole fare di più ma si finisce per fare
di meno». Anche l'associazione dei
Comuni, per bocca del suo vicepresidente
Alessandro Cattaneo, chiede «regole certe
subito», mentre a livello locale la
pronuncia rinfocola le polemiche contro i
processi di cessione di quote, a partire
dalla romana Acea che si era appena
incagliata al Consiglio di Stato.
Cancellata tutta l'architettura legislativa
che si era accumulata con gli ultimi
provvedimenti, la bussola torna per ora a
essere la normativa europea (richiamata
dagli stessi giudici costituzionali), che
permette l'affidamento in house a tre
condizioni: la società affidataria deve
avere capitale interamente pubblico e
svolgere la quota prevalente della propria
attività con l'ente affidante, che a sua
volta deve esercitare su questa un controllo
«analogo» a quello assicurato sui
propri uffici. Naturalmente nulla vieta
nuove leggi, anche perché la stessa Corte
costituzionale in passato ha chiarito che «il
legislatore conserva il potere di
intervenire nella materia oggetto del
referendum», a patto che l'intento non sia
di «far rivivere la normativa abrogata».
Prima di tutto, però, occorrerà chiarire
bene alcuni punti rimasti aperti, come la
sottoposizione delle società in house ai
vincoli del Patto di stabilità (si attende
il regolamento attuativo), prevista sia
all'articolo 4 (abrogato) sia al 3-bis
(sopravvissuto) della manovra estiva (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.07.2012 - tratto
da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Via allo sportello unico
obbligatorio. Per edilizia e casa rafforzata
la struttura antiburocrazia comunale per
tutti i pareri.
IL PACCHETTO/ Semplificate le procedure per
il permesso di costruire e ridotta la
documentazione con il meccanismo
dell'acquisizione d'ufficio.
Sportello unico per l'edilizia rafforzato,
senza più passaggi frammentati tra varie
amministrazioni per costruzioni e lavori.
Semplificazione delle procedure per il
permesso di costruire facendo leva su una
sorta di gestione unificata. E –per tutti
gli interventi, compresi quelli minori fatti
in casa– divieto per gli uffici pubblici di
continuare a chiedere documenti catastali,
variazioni di mappa e altri certificati già
in possesso della pubblica amministrazione.
A far scattare la "fase due" del
piano di semplificazioni congegnato dal
Governo è il via libera arrivato dalle
commissioni Finanze e Attività produttive
della Camera, seppure in extremis e non
senza qualche tensione tra maggioranza ed
Esecutivo, a un emendamento al decreto
sviluppo firmato dai relatori del
provvedimento.
Alla fine di una lunga maratona, tutti i
gruppi parlamentari, di maggioranza e
d'opposizione, hanno dato l'ok al correttivo
che era stato congelato per qualche ora per
consentire di avere sul testo
dell'emendamento anche il parere del
ministero per i Beni ambientali e culturali
su alcuni aspetti relativi ai vincoli
paesaggistici. A far notare che nel testo
abbozzato dal Governo mancava l'assenso del
Mibac è stato uno dei relatori, Alberto
Fluvi (Pd), peraltro assolutamente d'accordo
con i contenuti del correttivo così come il
suo partito.
Di qui l'impasse in commissione con il
congelamento del testo, il cui via libera
era atteso giovedì. Questa mattina poco
prima della conclusione dei lavori in
commissione il parere è arrivato, e con una
sorta di procedura "straordinaria" di
recupero, grazie anche al lavoro di
tessitura svolto dal sottosegretario ai
rapporti con il Parlamento, Giampaolo
D'Andrea. Il correttivo, firmato da Fluvi e
dall'altro relatore Raffaello Vignali (Pdl)
è stato alla fine approvato. Anche se Fluvi
e altri parlamentari, dopo aver sottolineato
la necessità di rispettare sempre
l'autonomia del Parlamento, hanno mosso
qualche critica al Governo per la
ristrettezza dei tempi a disposizione delle
Commissioni per la gestione di alcuni testi.
Un ruolo decisivo nell'elaborazione
dell'emendamento l'ha avuto il ministero
della Pubblica amministrazione che, d'intesa
con quello delle Infrastrutture, ha
contribuito a mettere nero su bianco
l'accordo raggiunto nei giorni scorsi sul
pacchetto edilizia con Regioni, enti locali
e parti sociali. Non a caso il ministro
Filippo Patroni Griffi ha espresso grande
soddisfazione per il via libera delle
Commissioni.
«Le semplificazioni si fanno soprattutto sul
campo. Questa norma –ha affermato Patroni
Griffi– si affianca al lavoro che stiamo
facendo al tavolo tecnico della conferenza
unificata con le autonomie per migliorare in
concreto i servizi a cittadini e imprese
sull'intero territorio». Il ministro ha poi
voluto ringraziare i relatori e le forze
politiche: «Il Parlamento –ha detto– sta
svolgendo un ruolo fondamentale nel
miglioramento del provvedimento, in
particolare in materia di semplificazione
per le imprese».
Il cardine del pacchetto è lo sportello
unico per l'edilizia rafforzato. Tutti gli
atti dovranno essere gestiti da questa
struttura, e altri uffici comunali o altre
amministrazioni non potranno in alcun modo
trasmettere autonomamente «ai richiedenti»
pareri, nulla-osta o documenti di consenso.
Anche tutti gli atti collegati al rilascio
del permesso di costruire (dal parere della
asl, a quelli dei Vigili del fuoco o le
certificazioni degli uffici tecnici delle
Regioni) dovranno essere acquisiti dallo
sportello unico «direttamente o tramite
Conferenza dei servizi». Scatterà poi un
taglio consistente della documentazione oggi
richiesta per effetto dell'acquisizione
d'ufficio dei documenti già in possesso
degli uffici pubblici.
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Le novità nel settore costruzioni
SPORTELLO PER L'EDILIZIA -
Competenze accentrate
Lo sportello unico per l'edilizia diventa il
punto di riferimento obbligato per tutti gli
atti «riguardanti il titolo abitativo e
l'intervento edilizio oggetto dello stesso».
Lo sportello fornisce una risposta
tempestiva in luogo di tutte le Pa comunque
coinvolte.
Tutti gli atti dovranno essere gestiti da
questa struttura, e altri uffici comunali o
altre amministrazioni coinvolte dal
procedimento non potranno trasmettere
autonomamente «ai richiedenti» atti
autorizzatori, pareri, nulla-osta o
documenti di consenso
CONFERENZA DEI SERVIZI -
Più pareri acquisibili
Ai fini del rilascio del permesso di
costruire, rientra nelle competenze dello
sportello unico l'acquisizione, diretta o
tramite conferenza di servizi, di pareri di
amministrazioni finora escluse. Tra queste,
gli uffici tecnici della Regione, la Difesa,
le Dogane, le autorità competenti in materia
di vincoli idrogeologici.
Il responsabile dello sportello unico indice
la conferenza di servizi se entro sessanta
giorni dalla domanda manca ancora qualche
nulla osta o c'è il dissenso di qualche
amministrazione
DOCUMENTAZIONE -
Meno certificati richiesti
Scatta un taglio consistente della
documentazione richiesta per tutti gli
interventi, compresi quelli minori fatti in
casa, grazie all'acquisizione d'ufficio dei
documenti già in possesso degli uffici
pubblici, come documenti catastali,
variazioni di mappa e altri certificati già
a disposizione della pubblica
amministrazione.
In base alle nuove disposizioni le
amministrazioni «non possono richiedere
attestazioni, comunque denominate, o
perizie, sulla veridicità e l'autenticità di
tali documenti, informazioni e dati» (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.07.2012 - tratto
da www.ecostampa.it). |
APPALTI FORNITURE: SPENDING
REVIEW/ Senza Consip approvigionamenti
nulli. Non c'è una norma di diritto
transitorio.
Acquisti p.a., procedure a rischio.
Nessuna certezza sulla sorte delle gare già
in corso.
Nella spending review manca una norma di
diritto transitorio per regolamentare le
acquisizioni di beni e servizi al di fuori
del sistema Consip, che rischia di mettere
fortemente in crisi le amministrazioni.
l'articolo 1 del dl 95/2012, nel
regolamentare l'obbligo per tutte le
amministrazioni di avvalersi della Consip o
delle centrali di committenza regionali per
i contratti di beni e servizi, non ha
minimamente tenuto conto delle procedure di
gara avviate e non ancora concluse al
momento dell'entrata in vigore del decreto.
Le disposizioni in merito agli acquisti sono
sin troppo drastiche: «I contratti stipulati
in violazione dell'articolo 26, comma 3,
della legge 23.12.1999, n. 488 e i
contratti stipulati in violazione degli
obblighi di approvvigionarsi attraverso gli
strumenti di acquisto messi a disposizione
da Consip spa sono nulli, costituiscono
illecito disciplinare e sono causa di
responsabilità amministrativa. Ai fini della
determinazione del danno erariale si tiene
anche conto della differenza tra il prezzo,
ove indicato, dei detti strumenti di
acquisto e quello indicato nel contratto.
Non sono comunque nulli i contratti
stipulati tramite altra centrale di
committenza a condizioni economiche più
favorevoli».
Si sanziona con la nullità, che
è insanabile, non solo e non tanto
l'approvvigionamento che avvenga a costi
maggiori di quelli rilevabili dal sistema Consip-centrali di committenza, ma
specificamente qualsiasi procedura di
acquisizione al di fuori del
sistema. Il legislatore, ...
(articolo ItaliaOggi del 20.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Tagli ai comuni ma più funzioni.
Rispetto al federalismo cresce la lista
delle competenze. Ridisegnati i poteri dei
sindaci. Si complicano i fabbisogni
standard.
La nuova mappa delle funzioni fondamentali
dei comuni tracciata dal decreto sulla spending review ricalca solo in parte quella
contenuta nella legge sul federalismo
fiscale. Nel complesso, il nuovo elenco pare
più ampio di quello preesistente. E quindi
lecito attendersi un ulteriore allungamento
dei tempi per l'individuazione dei
fabbisogni standard di spesa.
L'art. 19,
comma 1, del dl 95/2012, nel quadro della
complessiva revisione della disciplina
sull'obbligo di gestione associata da parte
dei piccoli comuni, provvede a ridefinire il
core business dei municipi, «ai sensi
dell'art. 117, comma 2, lett. p), Cost.».
Proprio tale riferimento alla Carta
fondamentale rivela la portata generale
della disposizione, che sembra destinata ad
applicarsi (a differenza dei commi
successivi) anche agli enti di maggiori
dimensioni, sostituendo quella di cui
all'art. 21, comma 3, della legge 42/2009.
Quest'ultimo, come noto, aveva operato una
prima cernita delle funzioni fondamentali
comunali, al fine di avviare la
determinazione dei fabbisogni standard
relativi alle connesse spese, cui agganciare
i nuovi meccanismi di finanziamento previsti
dal federalismo fiscale. A completare il
quadro, era poi intervenuto il digs 85/2010,
che aveva affidato tale compito a Sose ed
Anci-Ifel, che lo stanno (faticosamente)
svolgendo.
Ora, la novella legislativa spariglia
nuovamente le carte. In effetti, mentre la
legge 42 aveva mutuato l'articolazione delle
funzioni (e relativi servizi) prevista dal
dpr 194/1996 sui modelli di bilancio,
«scremando. (per così dire) quelle
(ritenute) fondamentali, il dl 95 introduce
una classificazione meno «familiare ...
(articolo ItaliaOggi del 20.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Abusivismo, fondi alle demolizioni.
La Cdp anticiperà ai comuni le spese per gli
interventi. Le amministrazioni possono agire
più velocemente grazie alla Cassa depositi e
prestiti.
La Cassa depositi e prestiti mette a
disposizione finanziamenti senza interessi,
per anticipare ai comuni i fondi per la
copertura di spese per la demolizione di
opere abusive. Tutti i comuni italiani
possono accedere a sportello al
finanziamento previsto dl n. 269/2003.
Il
Fondo rotativo ha un importo massimo pari a
50 milioni. Questi possono essere erogati,
per concedere ai comuni anticipazioni senza
interessi sui costi da sostenere. Tra
questi, sono ammissibili anche le spese
giudiziarie, tecniche e amministrative,
relativi agli interventi di demolizione
delle opere abusive, anche disposti
dall'autorità giudiziaria. Il capitale
anticipato, unitamente alle spese di
gestione del Fondo, pari allo 0,1% annuo sul
capitale erogato, deve essere restituito
entro 5 anni, utilizzando le somme riscosse
a carico degli esecutori degli abusi.
Gli
enti locali possono quindi contare su una
maggior rapidità nell'esecuzione delle
demolizioni grazie alla possibilità di
ottenere liquidità dalla Cassa depositi e
prestiti, senza dover attendere il pagamento
dei lavori da parte di chi ha realizzato gli
abusi edilizi.
Necessario il provvedimento di demolizione.
Possono accedere alle anticipazioni
esclusivamente i comuni nel cui ambito
territoriale si è realizzata l'opera
abusiva, oggetto di un provvedimento di
demolizione. Sono oggetto delle
anticipazioni esclusivamente i costi
relativi agli interventi di demolizione
delle opere abusive.
Il finanziamento può
essere accordato esclusivamente per spese
per le quali il soggetto competente alla
demolizione, non abbia concluso la fase
contabile dell'impegno in data anteriore a
90 giorni. Non sono previste soglie minime o
massime di accesso al Fondo. Ogni domanda di
anticipazione può far riferimento ad un solo
intervento di demolizione. ...
(articolo ItaliaOggi del 20.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
bilico le semplificazioni in edilizia.
Confronto fino a notte sul Dl sviluppo ma il
Pd frena – Iva per cassa, il tetto sale a 2
milioni.
IN COMMISSIONE/ Via libera con tensioni alla
modifica sull'Abruzzo Ostruzionismo della
Lega superato con un'apertura sui Comuni
dell'Emilia.
Pacchetto sulle semplificazioni edilizie in
bilico alla Camera fino a tarda notte. Con
il Pd a frenare sull'intesa raggiunta
mercoledì tra Governo, Regioni, enti locali
e le parti sociali. Nel pomeriggio
inaspettatamente è stato uno dei due
relatori, Alberto Fluvi (Pd), a non
sottoscrivere l'emendamento che era stato
affinato dai ministeri delle Infrastrutture
e della Pubblica amministrazione, mentre
l'altro relatore, Raffaele Vignali (Pdl)
confermava la sua adesione. L'ossatura del
correttivo era quella ormai nota (si veda Il
Sole 24 Ore di ieri), con lo sportello unico
per l'edilizia "rafforzato", la
semplificazione del permesso di costruire e
l'acquisizione d'ufficio della
documentazione già in possesso della
pubblica amministrazione.
Misure anti-burocrazia soprattutto per
l'edilizia con cui il Governo punta a dare
la via alla "fase due" delle
semplificazioni. E proprio per accelerare il
più possibile l'Esecutivo aveva deciso di
sfruttare subito il veicolo del decreto
sviluppo, che la prossima settimana dovrà
essere approvato dalla Camera per poi
passare al Senato per l'ok definitivo,
facendo leva su un emendamento ad hoc.
Emendamento che nella mattinata di ieri era
stato discusso con i relatori senza grosse
obiezioni.
Nel pomeriggio però a sorpresa, il
correttivo è rimasto fuori dall'ultimo
pacchetto di correttivi dei relatori per lo
stop di Fluvi, motivato con perplessità su
alcuni aspetti del testo alla tutela
dell'ambiente, ma in gran parte collegato
alla giornata di tensione vissuta ieri alla
Camera tra maggioranza e Governo. A quel
punto è scattata la trattativa fino a tarda
notte per recuperare l'emendamento.
Era stato presentato già nel pomeriggio
quello dei relatori sull'estensione
dell'opzione Iva per cassa a imprese con
volume d'affari fino a 2 milioni (oggi il
limite è a 200mila euro). L'imposta diviene,
comunque, esigibile dopo il decorso di un
anno dal momento di effettuazione
dell'operazione. Per Vignali si libera «ossigeno
per le imprese più strutturate che operano
nella subfornitura del manifatturiero».
A firma dei relatori anche l'emendamento
che, i fini della bonifica, include tra i
siti di interesse nazionale quelli
interessati da raffinerie, impianti chimici,
raffinerie, e quello che stabilisce la
responsabilità degli impiegati pubblici che
determinano ritardi nel rilascio di
autorizzazioni.
Via libera, con momenti di tensione,
all'emendamento del Governo che dà il via
alla gestione ordinaria della ricostruzione
post-terremoto in Abruzzo. L'Esecutivo è
stato battuto su una subemendamento
Pd-Pdl-Idv relativo a procedure
amministrative e ha dovuto accettare la
cancellazione della norma che sopprimeva
diversi nuclei di valutazione attivi
nell'amministrazione. L'ostruzionismo della
Lega sull'emendamento del Governo si è
interrotto solo quando, con il sostegno del
Pd, è passata la norma che estende il numero
dei comuni che riceveranno gli aiuti dopo il
sisma dell'Emilia. Approvato l'emendamento
Pd e Pdl che importa nel Dl un disegno di
legge già in esame in commissione con
incentivi all'acquisto dei veicoli elettrici
da 3.000 a 5.000 euro e agevolazioni per
diffondere i punti di ricarica. Lo
stanziamento triennale, non senza polemiche
tra Governo e maggioranza, è stato però
dimezzato a 210 milioni.
Il decreto, al quale tra l'altro sono stati
presentati da deputati Pdl emendamenti sul
patto di famiglia ribattezzati «anti-Veronica
Lario», imbarca novità sul fronte
energetico. La durata delle concessioni
idroelettriche si riallunga per un periodo «da
venti anni fino ad un massimo di trenta
anni, rapportato all'entità degli
investimenti ritenuti necessari». Le
Regioni potranno destinare una quota dei
canoni alla riduzione dei costi
dell'energia. Una svolta per il settore,
secondo Stefano Saglia (Pdl) che aveva
proposto la prima versione dell'emendamento.
Lo stesso Saglia difende l'emendamento sulla
remunerazione della generazione elettrica di
riserva, criticato da Confindustria.
L'emendamento «intende rendere meno onerosa
la crescita delle fonti rinnovabili».
«Si è cercato inoltre di rendere
operativo il principio del Dl
liberalizzazioni che ha previsto
l'introduzione del servizio di flessibilità
per garantire la sicurezza e la qualità
delle forniture»
(articolo Il Sole 24
Ore del 20.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it).
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Sportello unico, nessuna
Pa esclusa.
IL PROJECT BOND/ Ciaccia lancia l'ipotesi di
una super-obbligazione che tenga insieme più
società di progetto in un piano integrato.
Contiene una norma di forte impatto, che
potrebbe cambiare la velocità di marcia di
un pezzo dell'economia italiana,
l'emendamento al decreto sviluppo che
rafforza lo sportello unico per l'edilizia e
la conferenza di servizi connessa,
attribuendogli competenze non solo
istruttorie, ma anche decisorie.
In sostanza, l'emendamento -messo a punto
con una lunga riunione notturna fra Funzione
pubblica e Infrastrutture con il consenso di
Regioni, enti locali e parti sociali- fa
rientrare nel perimetro di competenza dello
sportello unico pareri di amministrazioni
fino a oggi escluse: dagli uffici tecnici
della Regione alla Difesa, dalle dogane al
demanio marittimo, dalle tutele dei beni
culturali e paesaggistiche alle autorità
competenti sui vincoli idrogeologici.
Nel testo unico per l'edilizia finora erano
ricompresi nell'attività dello sportello
unico solo i pareri delle Asl e dei vigili
del fuoco. L'emendamento prevede inoltre che
lo sportello unico per l'edilizia «costituisce
l'unico punto di accesso per il privato
interessato in relazione a tutte le vicende
amministrative riguardanti il titolo
abilitativo e l'intervento edilizio oggetto
dello stesso che fornisce una risposta
tempestiva in luogo di tutte le pubbliche
amministrazioni, comunque coinvolte».
Tra queste sono ricomprese le
amministrazioni «preposte alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale, del
patrimonio storico-artistico o alla tutela
della salute e della pubblica incolumità».
Ieri, intanto, il viceministro alle
Infrastrutture, Mario Ciaccia, ha rilanciato
in un seminario organizzato dall'Ance il
tema del «project bond italiano», il
cui decollo è garantito dalle recenti
innovazioni introdotte nel decreto sviluppo.
Ciaccia ha confermato che entro fine mese
sarà emanato il decreto
Economia-Infrastrutture che regola le
garanzie prestate sui bond e i soggetti che
possono prestare queste garanzie. Il
viceministro ha anche ipotizzato un super
project bond emesso congiuntamente da più
società di progetto, «non solo al fine di
trarre beneficio dalle condizioni
finanziarie più favorevoli derivanti dal
merito di credito complessivo, ma spinti
anche dal forte grado di appetibilità del
progetto integrato».
Un ruolo importante nell'avvio dei project
bond in Italia sembra destinato ad averlo
Cassa Depositi e prestiti. Lo ha spiegato
Matteo Del Fante, direttore generale di Cdp:
«Siamo pronti a valutare –ha detto al
convegno Ance- la sottoscrizione di una
parte importante di titoli nella prima
emissione di project bond made in Italy,
ferma restando ovviamente la valutazione
sulla bontà del progetto». Cassa
depositi valuta anche l'ipotesi di lanciare
emissioni di project bond dove già è in
pista per il finanziamento di infrastrutture
(articolo Il Sole 24
Ore del 20.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Appalti, la p.a. non paga in
solido. Amministrazioni escluse dalla
responsabilità verso il fisco. Lo prevede un
emendamento dei relatori al dl crescita.
Cause di esonero certe per l'appaltatore.
Stazioni appaltanti escluse dalla
responsabilità solidale verso il fisco per
ritenute di acconto e Iva. Un emendamento,
presentato dai relatori ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 20.07.2012 - tratto da
www.ecostrampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Uno
sportello unico per l'edilizia. In arrivo
misure per semplificare i lavori: procedura
snella sulla licenza per costruire.
Il Governo è pronto ad avviare subito la "fase
due" delle semplificazioni. Un nuovo
pacchetto di misure, tarate soprattutto
sull'edilizia, è in avanzato stato di
definizione. E tra oggi e domani potrebbe
essere inserito con un emendamento ad hoc
nel decreto sviluppo, all'esame delle
commissioni Finanze e Attività produttive
della Camera. Anche se resta aperta
l'ipotesi di un provvedimento mirato da
varare nei prossimi giorni.
Tre i pilastri su cui poggiano gli
interventi su cui sta lavorando da diversi
giorni il Governo d'intesa con Regioni, enti
locali e parti sociali: sportello unico per
l'edilizia rafforzato, semplificazione del
permesso di costruire e acquisizione
d'ufficio della documentazione
amministrativa già in possesso degli uffici
pubblici.
A queste misure si aggiungerebbero altri
interventi di sburocratizzazione per
facilitare la definizione dei contratti nel
settore delle costruzioni e per ridurre i
passaggi amministrativi nell'intero settore
dell'edilizia. Il ministero della Pubblica
amministrazione, che ha gestito il grosso
del l'operazione, e quello delle
Infrastrutture starebbe apportando gli
ultimi ritocchi prima di dare l'ok
definitivo all'intervento.
Ma appare già chiaro che se il pacchetto
sarà presentato dal Governo nell'attuale
configurazione, il cuore della nuova fase di
semplificazione sarà rappresentato dallo
sportello unico per l'edilizia che
funzionerebbe quasi a 360 gradi. Attualmente
questo strumento anti-burocrazia funziona
solo per un numero limitato di atti. Con le
nuove misure la gamma di procedure,
adempimenti e autorizzazioni gestita
verrebbe sensibilmente ampliata. Tra le
ipotesi allo studio c'è anche quello della
Valutazione di impatto ambientale (Via) "standardizzata",
senza più distinzioni tra livello nazionale
e regionale. Ma nelle ultime ore questa
opzione sembra aver perso quota.
Il lavoro compiuto dall'Esecutivo in
sinergia con i governatori, anche sulla base
delle indicazioni provenienti dalle imprese,
ha comunque consentito di mettere a punto
altri interventi. A cominciare dalla
semplificazione del permesso di costruire
cui si aggiungerebbe un'altra
sburocratizzazione delle procedure sulla
demolizione delle costruzioni. Un sensibile
cambiamento di rotta ci sarebbe sul fronte
documentazione: gli atti già in possesso
della Pa verrebbero considerati acquisiti
d'ufficio.
Già ieri sembrava che il nuovo pacchetto di
semplificazioni fosse pronto ad entrare nel
decreto sviluppo. Ma alla fine è stato
deciso di valutare se ricorrere oggi o
domani a un emendamento ad hoc dei
relatori del provvedimento alla Camera,
Raffaele Vignali (Pdl) e Alberto Fluvi (Pd).
Sempre oggi dovrebbe essere presentato dai
relatori l'emendamento sul rafforzamento
dell'Iva per cassa.
Intanto ieri le commissioni hanno lavorato
fino a tarda notte ma con diversi stop
and go per un lungo braccio di ferro tra
Lega e maggioranza sulle misure sul
terremoto per l'Abruzzo. Per effetto del
l'approvazione di due sub-emendamenti
(presentati rispettivamente da Udc e Pd e
Pdl e Idv) all'emendamento originario del
ministro Fabrizio Barca sono stati esclusi
dal patto di stabilità interno i fondi che i
Comuni del l'Abruzzo spenderanno per la
ricostruzione post terremoto, con il
passaggio dalla gestione commissariale a
quella ordinaria. Ma il Carroccio ha
continuato a fare ostruzionismo chiedendo
che venissero discussi anche gli emendamenti
sul sisma in Emilia Romagna, Lombardia e
Veneto.
Prima della maratona notturna le commissioni
hanno comunque approvato qualche altro
ritocco: la velocizzazione delle procedure
per realizzare le opere di Expo 2015; la
remunerazione dei servizi di flessibilità
energetica offerti dagli impianti appositi
che entrano in funzione quando quelli a
energia rinnovabile "staccano";
l'istituzione a Palazzo Chigi del Comitato
per le politiche urbane (Cipu) che
coordinerà l'azione delle amministrazioni
centrali e di quelle locali. La commissione
Giustizia, nel suo parere al Dl, ha chiesto
di «riscrivere» la norma sull'udienza
filtro in appello, voluta dal ministro
Severino per accorciare la definizione dei
processi civili.
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Le quattro misure per le
costruzioni. Tempi certi e costi ridotti per
imprese e cittadini
LE CORREZIONI/ Modifiche al silenzio-assenso
per il permesso di costruire, riduzione dei
documenti e modifica della sagoma nelle
demolizioni e ricostruzioni.
Quattro misure per rilanciare e velocizzare
l'edilizia. È quello che ha proposto ieri il
nuovo tavolo istituzionale composto da
Governo, Regioni, enti locali e parti
sociali, riunitosi per la prima volta
chiedendo, in nome della crescita del Pil,
di varare un pacchetto di semplificazioni
buone soprattutto per il settore delle
costruzioni.
La prima misura è l'affidamento allo «sportello
unico» per l'edilizia di competenze
decisorie che possano velocizzare le
procedure amministrative e ridurre gli oneri
a capo dei privati. In questo modo si
semplifica il front office per
l'impresa: il procedimento diventa unico e
tutti gli adempimenti passano per lo stesso
ufficio.
Su questa misura il ministero delle
Infrastrutture non muove rilievi di fondo,
ma chiede che sia previsto un regime
transitorio di sei mesi su cui, peraltro,
non sembra esserci opposizione da parte di
nessuno. La probabilità che la norma entri
nel decreto sembrano quindi buone.
Anche sulla seconda proposta non sembrano
esserci ostacoli particolari. È quella che
prevede l'introduzione del principio
generale dell'acquisizione d'ufficio dei
documenti già in possesso della pubblica
amministrazione. Che senso ha che in una
domanda per una Dia presentata al comune si
debba allegare anche la mappa catastale che
è stata prodotta dal comune stesso?
L'obiettivo è anche in questo caso la
riduzione dei tempi e degli oneri
amministrativi in capo ai privati.
Più difficoltoso sembra il percorso della
terza norma proposta dal tavolo
istituzionale: l'eliminazione del limite
della sagoma nelle ristrutturazioni edilizie
svolte mediante demolizione e ricostruzione.
È una questione su cui hanno già legiferato
recentemente alcune Regioni, come la
Lombardia: una questione che si dibatte da
tempo e che ormai sembra matura, soprattutto
perché non viene meno l'obbligo di
rispettare né le norme sulla sicurezza né le
prescrizioni in materia architettonica.
Perché, se si demolisce e ricostruisce un
edificio con una ristrutturazione edilizia,
necessariamente la sagoma deve restare la
stessa, anche se si parla di un brutto
edificio?
Le innovazioni legislative regionali sono
state bloccate dalla Consulta che, con la
sentenza 309/2011, ha dichiarato illegittima
la legge della Lombardia, ribadendo la
titolarità esclusiva dello Stato a
legiferare sulla materia.
Su questa norma, forse proprio per un
presunto rispetto della sentenza della Corte
costituzionale, le obiezioni del ministero
delle Infrastrutture erano ieri più
consistenti, al punto che sembrava difficile
l'inserimento nel decreto legge sviluppo.
L'ultima modifica riguarda la correzione di
alcune criticità esistenti nella disciplina
del rilascio del permesso di costruire
previsto dall'articolo 20 del testo unico
per l'edilizia.
In sostanza si precisa che il termine per la
formazione del silenzio-assenso decorre
soltanto dalla presentazione della domanda
di permesso di costruire e non dalla
precedente fase istruttoria. La correzione
riguarda soltanto gli interventi non
soggetti a vincoli ambientali e
paesaggistici. Anche su questa norma sembra
esserci qualche difficoltà e la discussione
in seno al Governo è andata avanti fino a
tarda serata.
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MODIFICA ALLO STUDIO
Pa, sanzioni per chi non
rispetta i tempi.
Per i responsabili di procedimenti pubblici
la mancata osservanza dei termini relativi a
permessi, autorizzazioni, licenze potrebbe
portare come sanzione alla riduzione pari a
un terzo della normale retribuzione
giornaliera per ogni giornata di ritardo.
«I contratti di lavoro prevedono sanzioni
disciplinari più gravi per i casi in cui
l'inadempienza sia reiterata dai medesimi
soggetti». Lo prevede un emendamento
all'articolo 13 che, una volta superata
l'ultima valutazione del governo, dovrebbe
essere presentato oggi dal relatore
Raffaello Vignali (Pdl) (articolo Il Sole 24
Ore del 19.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Prende
piede la proposta del presidente della Corte
dei conti, Giampaolino, a ItaliaOggi.
Controlli preventivi sugli enti locali. Solo
così si può mettere il morso alla spesa
pubblica impazzita.
Martedì prossimo i comuni italiani
protesteranno davanti a palazzo Madama
contro i tagli alla spesa pubblica. Senza
distinzione di colore politico, i sindaci,
organizzati dall'Anci, faranno sentire ai
senatori le proprie doglianze. E chiaro a
tutti, meno che agli amministratori
comunali, che se la spesa pubblica va
bastonata, gli enti locali debbono pagare
come e più degli altri enti.
Se i comuni ottenessero di essere esenti o
quasi dalla diminuzione delle spese loro
imputate, è evidente che resteremmo ancora
fermi alla partenza, come siamo fermi da
mesi, perché le manovre (svolte prima dal
governo Berlusconi, poi dal governo Monti)
hanno sostanzialmente riguardato
l'incremento del carico fiscale, non la
decapitazione della spesa pubblica.
L'ascesa incontrollata della spesa periferica si può far risalire al
progressivo decadere dei controlli sugli
enti locali. In età liberale, nel ventennio,
successivamente fino all'istituzione delle
regioni, la cosiddetta tutela sui comuni (ma
non solo: pure sulle province, sui consorzi,
sulle ex opere pie, istituzioni di
assistenza e beneficenza, ospedali) era
svolta dalla giunta provinciale
amministrativa.
La presenza in essa del prefetto e di alti
funzionari di prefettura (c'erano poi membri
elettivi) era garanzia che il controllo, non
solo di legittimità, ma altresì nel ...
(articolo ItaliaOggi del 19.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Società
pubbliche in house al bivio. Uscita di scena
per chi riceve l'affidamento diretto di
servizi dalla p.a.. Escluse le quotate.
Società pubbliche in house al tramonto. Il
decreto sulla spending review (95/2012),
all'articolo 4, programma l'uscita di scena
delle società che ricevono l'affidamento
diretto di servizi da parte della pubblica
amministrazione e ridimensiona i consigli di
amministrazione.
Si chiude qualche rubinetto della spesa
pubblica (i compensi degli amministratori,
da scegliere in prevalenza tra dipendenti
pubblici) e si apre al mercato. Le novità
non si applicano, però, alle società quotate
e alle loro controllate. Il primo obiettivo
è, dunque, ridurre il numero delle società
in house esistenti, quando le stesse non
prestino almeno il 10% (in termini di
fatturato) delle proprie attività a favore
di soggetti diversi dalla pubblica
amministrazione, con alcune eccezioni
individuate dalla legge o da successivo dpcm,
motivate da particolare esigenze di
interesse pubblico.
Le società in house se non stanno sul
mercato devono eclissarsi e i servizi devono
essere gestiti da soggetti scelti su base
concorrenziale. Così si prevedono effetti
finanziari positivi, che potranno essere
accertati a seguito dell'avvenuto
scioglimento delle società in house con
conseguente affidamento del servizio a terzi
nel rispetto della normativa nazionale e
comunitaria, ovvero della alienazione delle
partecipazioni. Vediamo dunque le misure
previste per il settore delle public
company.
Nel dettaglio l'ipotesi è quella delle
società controllate direttamente o
indirettamente dalle pubbliche
amministrazioni istituzionali (articolo 1,
dlgs 165/2001), che abbiano conseguito
nell'anno 2011 un fatturato da prestazione
di servizi a favore di pubbliche
amministrazioni superiore al 90 per cento.
Queste società, che lavorano quasi
esclusivamente per il settore pubblico,
vanno incontro a una delle seguenti
alternative: sono sciolte entro il
31.12.2013; oppure le partecipazioni devono
essere ...
(articolo ItaliaOggi
Sette del 16.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Personale. Ricambio fermo all'80%
delle uscite dell'anno precedente. Un tetto
ai nuovi ingressi per i segretari comunali.
Una disposizione a sorpresa che si ritrova
nella bozza del decreto spending review
riguarda i segretari comunali laddove si
prevede (all'articolo 14, comma 6, del Dl
95/2012) che: «A decorrere dal 2012 le
assunzioni dei segretari comunali e
provinciali sono autorizzate con le modalità
di cui all'articolo 66, comma 10, del
decreto-legge 25.06.2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge
06.06.2008, n. 133 per un numero di unità
non superiore all'80 per cento a quelle
cessate dal servizio nel corso dell'anno
precedente».
Si tratta di fatto di una norma che limita
il turn-over dei segretari nella misura
dell'ottanta per cento, norma che si
ricollega a quelle in materia di personale
statale .
Una norma tuttavia che, se convertita in
legge, avrà effetti sia a breve che a lungo
termine sulla categoria ma anche
sull'organizzazione degli enti locali .
A breve termine, la disposizione andando a
limitare la possibilità di scelta dei
sindaci non potrà che determinare un
ampliamento delle convenzioni di segreteria
già esistenti. Convenzioni che, spesso
costituite da tre o quattro comuni, già oggi
con enorme difficoltà assicurano un servizio
ottimale ed efficiente anche se tale forma
associativa comunque per sua natura non può
consentire di ovviare alla carenza ormai
atavica della figura in determinate aree del
territorio nazionale.
A lungo termine la norma sancisce, di fatto,
la configurazione della categoria dei
segretari, come categoria ad esaurimento con
la conseguenza che per gli enti locali si
porrà, quanto prima, il problema del vertice
organizzativo atteso che la dotazione dei
segretari, via via, sarà sempre più
numericamente insufficiente a garantire il
servizio.
Questa scelta, infine, appare in contrasto
con la rivalutazione della figura del
segretario che sembrava emergere dal disegno
di legge anti-corruzione recentemente
licenziato dalla Camera che attribuisce
maggiori funzioni ai segretari.
In realtà, a ben vedere, la scelta di
ridurre il turn-over dei segretari comunali
si spiega con il collegamento con la
disciplina sempre prevista dal decreto sulla
spending review.
Il decreto legge sempre in materia di
gestioni associate, sostanzialmente lascia
presagire un aumento delle unioni e delle
convenzioni che di fatto determinerà una
riduzione di sedi di segreteria, almeno
quelle singole, nei piccoli comuni.
Questo nonostante sia noto che le
convenzioni di segreteria sono oggetto di
disciplina speciale che deve essere derogata
espressamente dalla normativa generale.
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L'operazione
01 | IL TAGLIO
Già da quest'anno il decreto sulla
spending review n. 2 (Dl 95/2012) ha
messo un tetto alle assunzioni di segretari
comunali.
I nuovi ingressi non devono superare l'80%
di quelli fuoriusciti nell'anno precedente
02 | GLI EFFETTI
A breve termine i sindaci saranno spinti ad
ampliare il ricorso alle convenzioni di
segreteria già esistenti, di solito
costituite fra tre-quattro comuni.
A lungo andare potrebbero sorgere problemi
nel reperimento di questa figura
professionale (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.07.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Decreto Sviluppo. Ora è possibile
sostituire pareri e nullaosta con le
dichiarazioni dei professionisti.
Dia con autocertificazione. Restano escluse
le autorizzazioni per paesaggio, ambiente e
sicurezza.
Semplificare, snellire, velocizzare. Con il
decreto legge 83 del 22 giugno (il decreto
sviluppo), il Governo ritorna sulla
disciplina dei titoli edilizi nel tentativo
di dare nuovo impulso alle costruzioni e
all'economia.
In buona sostanza, si tratta di estendere
alla Dia la possibilità, già prevista per la
Scia, di autocertificare il ricorso dei
presupposti e delle condizioni per lo
svolgimento dell'attività edilizia che la
legge (e ora anche i regolamenti) demandano
al parere o all'esecuzione di verifiche
preventive di organi o enti appositi (si
veda anche l'articolo a fianco).
Se la modifica è di poco conto per la Scia
(sono ora autocertificabili anche le
verifiche previste dai regolamenti, quali il
piano regolatore e il regolamento edilizio)
perché si limita a chiarire quanto poteva
essere fonte di dubbio, per la Dia (cui sono
soggette anche le opere di ristrutturazione
e che in alcune Regioni consente la
realizzazione di tutti gli interventi
edilizi) l'innovazione è rilevante e non è
detto che sia a tutta vantaggio del privato.
La novella dell'articolo 23, comma 1-bis,
del testo unico dell'edilizia, stabilisce
dunque che «nel caso in cui la normativa
vigente preveda l'acquisizione di atti o
pareri di organi e enti appositi, ovvero
l'esecuzione di verifiche preventive... essi
sono comunque sostituiti dalle
autocertificazioni, attestazioni e
asseverazioni o certificazioni di tecnici
abilitati relative alla sussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti».
Con l'eccezione dei pareri relativi ai
vincoli e ai vari profili della sicurezza
pubblica, la cui assunzione preventiva
continua a essere necessaria per l'avvio dei
lavori, la nuova disciplina modifica il
rapporto pubblico-privato. Mentre prima
l'interessato poteva limitarsi a presentare
la Dia demandando all'amministrazione di
assumere –nei 30 giorni entro cui il comune
può diffidare l'inizio dei lavori– i pareri
e le verifiche previste, ora di queste
attività (alcune con una forte componente
discrezionale, si pensi ad esempio, al
parere della commissione edilizia) deve
farsi comunque carico il privato,
assumendosi ulteriori responsabilità e spese
tecnico-professionali.
La semplificazione parrebbe così forse più a
vantaggio della Pa, anche se la nuova
funzione di controllo rispetto alle
attestazioni del privato può essere più
rischiosa in termini di danni da risarcire
qualora sia disposto un ordine di non
eseguire i lavori che sia riconosciuto
illegittimo dal Tar (si veda l'articolo a
fianco).
Scia promossa
La nuova previsione, che comunque rafforza
il ruolo del privato nella dialettica con
l'amministrazione, giunge in un momento in
cui si sono diradati i dubbi sulla
legittimità dell'intervento statale nella
disciplina dell'edilizia. La Corte
costituzionale, con la decisione 164
depositata lo scorso 27 giugno, ha infatti
chiarito che la Scia attiene ai livelli
essenziali delle prestazioni che un
cittadino vanta nei confronti della Pa ed è
dunque materia riservata alla competenza
esclusiva dello Stato. La sentenza ha così
rigettato i ricorsi promossi da Valle
d'Aosta, Toscana, Liguria, Emilia Romagna e
Puglia per l'illegittimità del Dl 78/2010
che aveva introdotto la Scia.
Di conseguenza, le diverse leggi regionali
che disciplinano compiutamente la procedura
della Dia in modo difforme dalla novella
statale sono da quest'ultima integrate,
dovendosi ritenere che la possibilità di
autocertificare i pareri, gli atti e le
verifiche è prevista in relazione ai «diritti
civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale».
Resta il rammarico che interventi non
secondari rispetto alla disciplina edilizia
vengano disposti attraverso la decretazione
d'urgenza, mettendo a rischio la coerenza
interna del sistema e creando -come accade
ora- l'incertezza che si sviluppa nei 60
giorni che vanno dalla pubblicazione del
decreto alla sua conversione in legge .
Senza peraltro che da questa innovazione si
possa ragionevolmente attendere un
contributo al rilancio dell'economia.
---------------
Dalla domanda ai controlli
01 | LA DIA
La denuncia di inizio attività è una
comunicazione che il proprietario
dell'immobile o chi ne ha titolo presenta al
Comune almeno 30 giorni prima dell'inizio
dei lavori, corredata da una relazione
dettagliata delle opere da eseguire e dagli
elaborati grafici sottoscritti da un
progettista abilitato
02 | I LAVORI
La Dia è necessaria per le opere di
ristrutturazione. La sua applicazione è
definita a livello regionale. In alcune
Regioni la Dia è necessaria per tutti gli
interventi edilizi, anche in sostituzione
del permesso di costruire. Sono esclusi
quelli liberi quali la manutenzione
ordinaria.
03 | LA PROCEDURA
Nella relazione di accompagnamento il
progettista deve asseverare la conformità
delle opere da realizzare agli strumenti
urbanistici adottati o approvati e ai
regolamenti edilizi vigenti, nonché il
rispetto delle norme di sicurezza e di
quelle igienico-sanitarie.
04 | LA SEMPLIFICAZIONE
Il decreto sviluppo
(Dl 83/2012, ora in fase di conversione alla
Camera) ha esteso alla Dia la possibilità
già prevista per la Scia di autocertificare
nella relazione del tecnico l'esistenza dei
presupposti che legittimano l'intervento
edilizio, ovvero i pareri e i nullaosta non
legati a vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali.
05 | I CONTROLLI
Resta al Comune il compito di controllare le
autocertificazioni, con l'onere di risarcire
i danni in caso di stop illegittimi.
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Gli oneri
01|I TECNICI
I professionisti abilitati che
autocertificano, attestano o asseverano gli
atti e i pareri a corredo di una Scia o di
una Dia si assumono l'onere con proprie
valutazioni anche discrezionali di valutare
la compatibilità dell'intervento
sostituendosi ai giudizi degli enti
preposti.
02|I COMUNI
L'ente pubblico non può più limitarsi a
evidenziare eventuali contrasti con la
normativa vigente. Deve individuare con
precisioni eventuali errori. Se sbaglia, può
essere condannato a pagare un indennizzo per
aver bloccato i lavori in modo illegittimo.
---------------
Sui progettisti ora gravano più
responsabilità. L'impatto. Devono verificare
la compatibilità
I COMUNI/ Più attenzione alla
vigilanza: l'ente rischia di dover pagare un
risarcimento se blocca in modo illegittimo i
lavori già avviati.
Forse per il Comune è più comodo verificare
la correttezza delle autocertificazioni del
privato anziché attestare la rispondenza del
progetto alle indicazioni di leggi e
regolamenti, ma in questo modo aumenta per
l'ente la responsabilità nel caso in cui il
punto di vista del privato sia erroneamente
disatteso bloccando la realizzazione di
lavori che invece erano in regola.
Il decreto sviluppo estende alla Dia il
principio di semplificazione già previsto
per la Scia, secondo cui gli atti, i pareri
e le verifiche preventive di organi o di
enti appositi da acquisire sono sostituiti
da autocertificazioni, attestazioni e
asseverazioni o certificazioni di tecnici
abilitati.
I tecnici devono così garantire la
sussistenza dei requisiti e dei presupposti
previsti dalla legge, dagli strumenti
urbanistici approvati o adottati e dai
regolamenti edilizi, sostituendo,
responsabilmente, le proprie valutazioni a
quelle dell'amministrazione.
Il Dl 83/2012, in ogni caso, fa salve le
verifiche successive delle amministrazioni
competenti, le quali, se riscontrano errori
nelle valutazioni dei tecnici, possono
diffidare dal realizzare l'intervento.
Ebbene, il nuovo procedimento certamente fa
ricadere sui tecnici importanti
responsabilità ma, a ben vedere, consente
all'interessato di avere qualche garanzia in
più sull'attuabilità dell'intervento e
maggiori certezze riguardo al risarcimento
del danno correlato a provvedimenti
inibitori illegittimi della pubblica
amministrazione.
L'amministrazione, infatti, non potrà
diffidare un intervento limitandosi ad
evidenziare un presunto contrasto con la
normativa vigente, ma dovrà argomentare
riguardo all'errata valutazione da parte del
tecnico del privato.
A fronte di ciò, in sede giudiziale, una
volta che è stato annullato un provvedimento
di inibitoria illegittimo, sarà più semplice
ottenere la condanna dell'ente a risarcire
il danno dovuto per l'ingiustificata
sospensione dei lavori.
La giustizia amministrativa ha già
evidenziato che, a seguito dell'annullamento
di un provvedimento di inibitoria,
l'amministrazione può verificare nuovamente
la sussistenza dei requisiti per l'attività
costruttiva, ma è responsabile dei danni
causati dall'illegittima sospensione dei
lavori (Tar Milano-Lombardia sezione II,
05.04.2011, n. 901; Tar Milano-Lombardia,
sezione II, 15.04.2010, n. 1092).
Per ottenere la condanna
dell'amministrazione, secondo l'orientamento
giurisprudenziale prevalente, nemmeno è
richiesto un particolare impegno probatorio:
l'interessato può limitarsi ad invocare
l'illegittimità dell'atto quale indice
presuntivo di colpa. Spetterà, per contro,
all'amministrazione dimostrare che si è
trattato di un "errore scusabile" o
che comunque non fosse esigibile una
alternativa condotta lecita (Consiglio di
Stato, sezione IV, 31.01.2012, n. 483;
Consiglio di Stato, sezione V, 06.12.2010,
n. 8549).
A fronte di un provvedimento inibitorio
illegittimo, mediante il quale siano state
confutate considerazioni tecniche, poi
giudicate corrette e conformi alla legge, è
evidente che l'amministrazione difficilmente
potrà sostenere di essere ricaduta in un
errore scusabile e che una diversa
valutazione non fosse possibile.
---------------
L'iter. Esclusi gli atti legati a
beni vincolati. Resta ancora necessario l'ok
del sovrintendente.
La
semplificazione che consente anche nella Dia
di sostituire i pareri o le verifiche
preventive necessarie con
un'autocertificazione del tecnico abilitato
prevista dal decreto sviluppo ha un limite:
non si applica a vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali e agli atti delle
amministrazioni preposte alla tutela di
altri interessi preminenti, specificamente
identificati dalla disposizione.
Con questa operazione il legislatore,
rilevando che le leggi regionali prevedono
per analoghi interventi Dia o Scia in
termini spesso confusi ed alternativi, ha
espressamente inteso rimettere ordine
quantomeno procedimentale, dettando regole
di semplificazione analoghe per i due
istituti.
Il nuovo comma 1-bis dell'articolo 23 del
Dpr 380/2001, introdotto dall'articolo 13
del decreto legge, prevede dunque che anche
per la Dia i tecnici abilitati debbano, con
la propria attestazione, garantire la
sussistenza dei requisiti e presupposti
previsti dalla legge, dagli strumenti
urbanistici approvati o adottati e dai
regolamenti edilizi. Resta fermo il potere
dell'amministrazione di verificare la
correttezza delle valutazioni dei tecnici.
La modifica del Testo unico edilizia
prevede, inoltre, che le denunce, corredate
da tutti gli elaborati previsti, possano
essere presentate mediante raccomandata con
avviso di ricevimento, fatti salvi i
procedimenti per i quali è previsto
l'utilizzo esclusivo della modalità
telematica, modalità che, sulla base di un
regolamento da adottare su proposta del
ministro delle Infrastrutture e dei
trasporti, dovrebbe diventare la via
esclusiva per la presentazione delle
denunce.
Il Governo ha, infine, modificato la
disciplina della Scia, precisando che sono
sostituiti da autocertificazioni,
attestazioni, asseverazioni o
certificazioni, non solo gli atti, i pareri
e le verifiche preventive previsti da legge,
ma anche quelli imposti da regolamenti.
Continua dunque il processo di
semplificazione dei procedimenti
amministrativi, basato sulla limitazione
dell'obbligo di ottenere un'autorizzazione
preliminare ai soli casi indispensabili e
sull'introduzione del principio comunitario
di tacita autorizzazione (direttiva
2006/123/CE, attuata con Dlgs 59/2010) (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.07.2012). |
aggiornamento al 16.07.2012 |
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ENTI LOCALI - ATTI AMMINISTRATIVI: PARLA
IL PRESIDENTE DELLA CORTE CONTI LUIGI
GIAMPAOLINO/ Tornare ai controlli preventivi
di legittimità. Più poteri di indagine alla
Corte.
Tornare ai controlli preventivi di
legittimità sugli atti degli enti locali. E'
questa, secondo il presidente della Corte
dei conti, Luigi Giampaolino, l'unica strada
da seguire per coniugare autonomia e
legalità. Aboliti nel 2001 per effetto della
riforma del titolo V della Costituzione (che
ha cancellato i Coreco), i controlli
andrebbero ripristinati sotto l'egida della
Corte dei conti «organo terzo e
imparziale» che consentirebbe di
orientare ex ante i sindaci verso
comportamenti improntati alla legalità e
all'economicità.
Sulla riforma del 2009, che impone un
elevato grado di determinatezza delle
denunce, Giampaolino ammette: «è un
principio di civiltà giuridica» anche se non
tiene conto di due fattori. Primo, le
procure contabili non godono degli stessi
ampi poteri di indagine attribuiti alle
procure presso i tribunali ordinari.
Secondo, la ritrosia dei pubblici dipendenti
nel denunciare. Ecco perché sul punto «sarebbe
opportuna una riflessione». A ItaliaOggi
il presidente della Corte conti propone la
sua ricetta: più controlli sulle società
partecipate e più poteri inibitori «in
modo da intervenire quando il danno erariale
è in atto».
Domanda.
I dati della relazione 2012 sul costo del
lavoro pubblico evidenziano una flessione
tutto sommato modesta del numero di
dipendenti del comparto regioni-autonomie
locali. E questo nonostante le politiche
restrittive di contenimento dei costi delle
ultime manovre. Il sospetto, dunque, è che i
sindaci continuino a fare assunzioni per
così dire -allegre- anche se, a giudicare
dal numero limitato di sentenze di condanna
della Corte conti sembrerebbe il contrario.
I sindaci sono diventati improvvisamente
virtuosi o questo tipo di illecito fa fatica
a venire a galla?
Risposta.
Credo che sarebbe errato attribuire alle
sentenze di condanna emesse dalla Corte dei
conti il valore di strumento di misurazione
della virtuosità o meno degli
amministratori. L'attività giurisdizionale,
ivi compresa quella che si svolge innanzi
alla magistratura contabile, ha valenza
episodica, in quanto legata alla singola e
specifica fattispecie portata all'esame del
giudice che, peraltro, è spesso chiamato a
valutarne solo gli aspetti patologici ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Enti
parco, nomine doc. Direttore scelto con
concorso o contratto. La decisione spetta
all'assemblea in base alla legislazione
regionale.
Qual'è la procedura di nomina del direttore
di un parco naturale regionale?
La legge quadro sulle aree protette n. 394
del 06.12.1991 disciplina direttamente la
materia dei parchi nazionali ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.07.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
APPALTI: Lavoro.
Le modifiche della legge Fornero alle
disposizioni sulla responsabilità.
Solidarietà negli appalti, committenti più
tutelati. Coinvolgimento per incapienza dei
beni di chi esegue l'opera.
Una giungla di norme
sulla responsabilità solidale prive di
coerenza giuridica che hanno la conseguenza
di generare incertezza applicativa sia per
le imprese sia per le amministrazioni
pubbliche.
È questo lo scenario in seguito all'ennesima
modifica apportata all'articolo 29 del
decreto legislativo 276/2003 da parte della
riforma del mercato del lavoro (legge
92/2012). A questo punto non è più
procrastinabile una riforma complessiva del
tema che si ponga anche l'obiettivo di
fornire al responsabile in solido (il
committente o l'appaltatore) gli strumenti
idonei e snelli ad esercitare il ruolo di "controllori"
della filiera.
Di fatto, l'articolo 4 della legge 92/2012
elimina le modifiche introdotte dalla legge
296/2006, attribuendo di nuovo alla
contrattazione collettiva un ruolo decisivo
e vincolante per le imprese in ordine al
controllo e alla verifica della regolarità
complessiva degli appalti che invece la
norma del 2006 aveva eliminato.
Inoltre, in caso di contenzioso nella
materia degli appalti il committente
imprenditore o datore di lavoro è convenuto
in giudizio per il pagamento non solo con
l'appaltatore ma anche con gli eventuali
ulteriori subappaltatori. Il coinvolgimento
di tutta la filiera dell'appalto non è
subordinata alla richiesta del ricorrente ma
è stabilito dalla legge. In altri termini la
legge 92 mira ad estendere, nei fatti, la
responsabilità solidale ai committenti solo
nel caso in cui gli appaltatori o ciascuno
dei subappaltatori non soddisfino con il
proprio patrimonio i crediti vantati dai
terzi interessati.
L'articolo 29 del decreto legislativo
276/2003 costituisce la norma di riferimento
in tema di responsabilità solidale, ma la
disciplina è stata oggetto di ripetute
modifiche. L'articolo 35 del Dl 223/2006 ha
avuto l'obiettivo di coinvolgere i soggetti
che intervengono nel contratto di appalto
(committente, appaltatore, subappaltatore)
nel controllo sul versamento dei contributi
previdenziali, assicurativi, nonché delle
ritenute fiscali, riferibili ai lavoratori
che sono utilizzati nell'appalto stesso.
Successivamente, l'articolo 1, comma 911,
della legge 296/2006, ha sostituito
l'articolo 29, comma 2, con effetto
dall'01.01.2007. Questa modifica ha
apportato le seguenti novità:
- la responsabilità solidale, oltre al
committente e all'appaltatore, è estesa
anche al subappaltatore;
- si è esteso a due anni il termine di
decadenza per l'attivazione del meccanismo
della responsabilità solidale
(precedentemente limitata a un anno);
- i Ccnl, su base contrattuale, non possono
più rimuovere la responsabilità solidale tra
i soggetti coinvolti.
L'articolo 3, comma 8, del Dl 97/2008 ha poi
abrogato i commi da 29 a 34 dell'articolo 35
eliminando, tra l'altro, la responsabilità
solidale sulle ritenute fiscali. A questo si
aggiunga che l'articolo 8 del Dl 138/2011 ha
stabilito che accordi collettivi aziendali o
territoriali possono derogare alle norme di
legge e avere efficacia per tutti i
lavoratori dell'azienda, anche con riguardo
"al regime della solidarietà negli
appalti".
Sono poi seguiti altri due interventi:
- l'articolo 21, comma 1, del decreto legge
5/2012 ha ulteriormente modificato
l'articolo 29, comma 2, del decreto
legislativo 276/2003 estendendo la
responsabilità solidale anche alle quote di
Tfr ma eliminandola per le sanzioni
amministrative;
- l'articolo 2, comma 5-bis, del Dl 16/2012
ha sostituito l'articolo 35, comma 28, del
Dl 223/2006 e reinserito la responsabilità
solidale sul versamento all'erario delle
ritenute sui redditi di lavoro dipendente,
ha esteso l'istituto all'Iva scaturente
dalle fatture inerenti alle prestazioni
effettuate nell'ambito dell'appalto, laddove
il committente o l'appaltatore non dimostri
di avere messo in atto tutte le cautele
possibili per evitare l'inadempimento
(articolo Il Sole 24
Ore del 12.07.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: P.a.,
una terza via per gli esuberi. Dopo
prepensionamenti e mobilità c'è il part-time
obbligatorio. Potrà accedervi solo il
personale non dirigenziale che ha più
anzianità contributiva.
Part-time obbligatorio per gli impiegati
pubblici in esubero. Se non collocabile a
riposo con la nuova procedura di
prepensionamento o in disponibilità per due
anni all'80% di stipendio, il rapporto di
lavoro del personale non dirigente in
soprannumero e non riassorbibile entro il
31.12.2015, andrà trasformato a tempo
parziale sulla base di criteri e modalità
che la pubblica amministrazione dovrà
definire con i sindacati.
Il part-time andrà definito in proporzione
alle eccedenze, con graduale riassorbimento
all'atto delle cessazioni dei rapporti di
lavoro (a qualunque titolo) e compensazione
dei contratti a tempo parziale del restante
personale.
Riduzione organico.
La novità arriva dalle disposizioni relative
alla riduzione delle dotazioni organiche
delle pubbliche amministrazioni (articolo 2
del dl sulla spending review) e
interesserà i dipendenti pubblici che
vengano dichiarati in esubero. Tale
dichiarazione di esubero da parte della pa
rappresenterà, perciò, condizione necessaria
e propedeutica per l'applicazione del
part-time obbligatorio.
In realtà, la norma stabilisce che, per il
personale eventualmente risultante in
soprannumero all'esito della riduzione
(fissata, in via ordinaria, in misura del
20% per gli uffici dirigenziali e per le
relative dotazioni organiche, nonché un
ulteriore 10% o più della spesa relativa al
numero dei posti di organico di tale
personale ...
(articolo ItaliaOggi del 11.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Nulli i contratti fuori dal
perimetro Consip.
Si fa sempre più pressante la stretta sugli
acquisti di beni e servizi nella Pubblica
Amministrazione. Tutti i contratti stipulati
in violazione dell'obbligo di adesione agli
strumenti messi a disposizione dalla Consip
sono da considerarsi nulli e determinano
responsabilità erariale. ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 10.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Tagli
anche alle società in house. Sul personale
stesso trattamento di chi detiene il
capitale. Ai dipendenti saranno applicate
come tutela soltanto le regole sui
licenziamenti collettivi.
Le società in house, a totale partecipazione
pubblica, saranno sottoposte a tagli
organizzativi e al personale simmetrici a
quelli previsti dalla spending review
per gli enti che ne detengono il capitale.
...
(articolo Il Sole 24
Ore del 10.07.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
La spending review.
Regioni e Comuni, nel mirino dei tagli chi
spende di più.
Beni e servizi: costi procapite al setaccio.
Penne carta, fotocopiatrici, e ovviamente
monitor e tastiere. Sono l'arredamento
tipico di tutti gli uffici, privati o
pubblici: il problema, messo a fuoco dal
decreto sulla spending review approvato dal
Governo nella notte fra giovedì e venerdì
riguarda questi ultimi, e si può riassumere
con un paio di numeri.
Per la «cancelleria e materiale
tecnico-informatico», per fare un esempio,
la Lombardia ha speso nel 2011 9 euro ogni
100 abitanti, il Piemonte 55 e la Sicilia
102, vale a dire 11,3 volte di più del
Pirellone. Cambiamo voce, e passiamo a
«studi, consulenze, indagini e gettoni di
presenza»: in Abruzzo sono costati l'anno
scorso 40 euro ogni 100 abitanti, in
Sardegna 683. Per far conoscere la propria
attività, poi, le Regioni (e i loro
politici) si trasformano in "editori", anche
qui con impegno diverso: pubblicare giornali
e riviste nel Lazio costa 3 euro all'anno
ogni 100 cittadini, in Lombardia il doppio
(6,2 euro) e in Calabria 33 volte tanto
(11,3 euro).
È il mondo multiforme dei «consumi
intermedi», vale a dire le spese che le
amministrazioni pubbliche sostengono ogni
giorno per funzionare. A fotografarli è il Siope, il sistema informatico del ministero
dell'Economia che monitora in tempo reale i
flussi di cassa degli enti pubblici locali e
non. Il decreto sulla revisione di spesa
varato dal Governo li mette nel mirino, con
lo scopo di superare la logica dei tagli
lineari finora sempre utilizzata per
graduare in modo "meritocratico" i
sacrifici, in base al principio secondo cui
«chi più spende più deve tagliare».
La spesa nel mirino è appunto quella dei
«consumi intermedi», che nei bilanci locali
individua sostanzialmente tre voci: le
uscite per l'acquisto di beni (dalla carta
al carburante delle auto di servizio),
quelle per le prestazioni di servizi (come
quelli per la manutenzione ordinaria o per
avviare nuovi strumenti informatici) e
l'utilizzo di beni di terzi (immobili in
affitto, auto a noleggio o in leasing e così
via).
A individuare chi spende di più, sempre
secondo il provvedimento, è proprio il
censimento telematico dei flussi di cassa
realizzato dal ministero dell'Economia.
Il meccanismo è chiamato a governare la
sforbiciata da 7,5 miliardi assestata agli
enti locali e alle Regioni: Governo e
amministratori locali hanno tempo fino al 30
settembre per affinare il tutto, ma la linea
è tracciata dalla stessa norma che prevede -in caso di mancato accordo nelle Conferenze
Stato-Regioni e Stato-Città- l'applicazione
automatica dal 15 ottobre della stretta
proporzionale alla spesa per i consumi
intermedi.
Con un sistema delineato così seccamente,
del resto, anche il lavoro delle Conferenze
non potrà spostarsi più di tanto dalla linea
tracciata per decreto.
Fra le Regioni, a temere di più sono
soprattutto quelle del Centro-Sud: nei
territori a Statuto ordinario, a primeggiare
nella spesa è la Basilicata, che nel 2011 ha
dedicato a queste voci 147,5 euro ad
abitante, seguita dalla Campania (113 euro)
e dalla Puglia (96,6), mentre la Liguria,
con 27,3 euro a residente, si ferma cinque
volte sotto la Regione in testa.
Naturalmente, nell'attuazione l'analisi
andrà "pesata" in base alle dimensioni e
alle caratteristiche della Regione, come
mostrano anche le graduatorie degli enti a
Statuto speciale per le quali si prevede un
meccanismo del tutto analogo. Questo tipo di
"pesatura", poi, diventa ancora più urgente
nei Comuni, essendo ovviamente impossibile
paragonare le spese di Balme (54 abitanti in
provincia di Torino) con quelle di Milano o
di Roma.
Proprio la graduatoria dei Comuni (qui a
fianco è pubblicata quella relativa ai
capoluoghi di Regione) mostra però qualche
sorpresa. Dietro il primato dell'Aquila
(3.068,8 euro ad abitante nel 2011, dovuto
però in buona parte alla gestione del
post-terremoto di cui si dovrà tenere
conto), sugli scalini occupati da chi spende
di più si incontra Milano (1.146,3 euro pro
capite) e Venezia (1.061,6), mentre per
esempio Palermo, nonostante lo stato di
quasi-dissesto dovuto alle patologie
storiche dei suoi conti, è nelle parti basse
della classifica, Napoli fa ancora meglio e
Catanzaro (fotografata come super-virtuosa
anche dal debutto dei fabbisogni standard
dedicato alle spese per la Polizia locale)
primeggia. Come mai?
L'efficienza della gestione c'entra solo in
parte. Il problema nasce dal fatto che nei
bilanci locali anche i «consumi intermedi»
rappresentano una realtà molto diversificata
al proprio interno, che insieme alle penne
abbraccia per esempio i contratti di
servizio per i trasporti o lo smaltimento
dei rifiuti. La stortura si vede di più nei
bilanci dei Comuni, che sono più piccoli di
quelli delle Regioni, ma è presente in tutti
i livelli di Governo e va corretta. Il
confronto fra Esecutivo ed enti locali ha
meno di tre mesi per farlo (articolo Il Sole 24 Ore del
09.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE:
Forniture. Sconti più alti nelle gare
d'appalto.
Con gli acquisti centralizzati risparmi del
25%.
L'AUTORITÀ/ Nelle gare c'è ancora poca
competizione: spesso i requisiti sono
tagliati su misura per un concorrente.
Ora è certificato: la pubblica
amministrazione che per i propri acquisti si
affida a una centrale unica, ovvero a un
ente che acquista all'ingrosso accorpando le
forniture, risparmia. E non poco: almeno
otto punti in percentuale. I numeri e le
cifre sono, nero su bianco, nella Relazione
dell'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici per il 2011, presentata il 4
luglio.
Ebbene l'anno scorso il campione di ribassi
(e quindi di risparmio) negli appalti di
fornitura è stata proprio la centrale di
committenza (per intenderci la Consip, più
la decina di realtà regionali, le cosiddette
mini-Consip). Sono loro ad aver spuntato dai
fornitori privati uno sconto medio del 24,9%
(si veda la tabella qui sotto) battendo,
appunto di otto punti lo sconto medio
complessivo, fermo al 16,8 per cento.
Appena meglio in realtà hanno fatto le
Camere di commercio con un 25,4% di ribasso
medio, ma su un importo poco significativo
dal punto di vista statistico (1,8 milioni).
All'altro lato della scala di risparmi si
collocano invece gli enti locali quando,
appunto, scelgono di approvvigiornarsi da
soli sul mercato. I Comuni ad esempio non
riescono ad andare oltre il 14% di ribasso,
11 punti in meno rispetto alle centrali di
committenza, mentre i ministeri salgono
appena al 16,5. Dietro a queste aride
percentuali c'è la realtà della spesa
pubblica, proprio quella che in questi
giorni il Governo sta tentando di aggredire
con le politiche di spending review.
Proviamo quindi a tradurre in «soldoni»,
sempre con l'aiuto dei dati forniti
dall'Authority, le percentuali di ribasso.
Nel 2011, ad esempio, i Comuni hanno
acquistato con gara beni per un totale di
81,2 milioni. Ebbene se per lo stesso
importo si fossero affidati alle centrali di
committenza, il risparmio totale sarebbe
stato di 8,9 milioni di euro (l'11% medio di
differenza con i prezzi centralizzati).
Certo, non tutte le forniture e gli appalti
sono intercambiabili, ma una buona fetta sì.
Economie ancora più grandi le avrebbero
potute realizzare (sempre con lo stesso
principio teorico) i ministeri che l'anno
scorso hanno speso ben 670 milioni in
forniture e hanno un distacco di 8,5 punti
in termini di ribassi ottenuti che, appunto,
significa circa 56 milioni pagati in più.
In questa direzione in effetti si è già
mosso il Governo. Già nel primo decreto
legge con i tagli alla spesa (il Dl 52/2012
alle ultime battute in Parlamento) ha
allargato il raggio d'azione della Consip. A
breve quindi le amministrazioni centrali
saranno obbligate ad acquistare tutti i
propri prodotti tramite Consip (oggi solo
otto categorie di beni). Con un risparmio
che nel caso record delle centrali
telefoniche può arrivare anche al 77% (si
veda il Sole 24 ore del 7 maggio). Il
secondo decreto varato la settimana scorsa
si spinge oltre e arriva a obbligare anche
gli enti locali a servirsi della Consip o
delle centrali territoriali per un elenco
ristretto di otto categorie: energia
elettrica, gas, carburanti, combustibili per
riscaldamento, telefonia.
E le sanzioni per chi viola questi nuovi
obblighi sono pesanti: non solo i contratti
sono considerati automaticamente nulli ma
per i funzionari che li firmano scatta
l'illecito disciplinare.
Il mercato delle forniture resta comunque
ristretto: «Abbiamo rilevato -spiega il
presidente dell'Autorità, Sergio Santoro- che a queste gare riescono a partecipare due
o tre concorrenti al massimo, mentre per i
lavori pubblici la media è di 25 offerte».
A
pesare sono i requisiti richiesti ai
fornitori dalle stazioni appaltanti: «I
criteri stabiliti -si legge nella Relazione-
risultano talmente selettivi da
estromettere di fatto gli ipotetici
partecipanti alla gara ad eccezione del
concorrente che si intende favorire».
Insomma bandi su misura: chissà se il metodo Consip
in questo caso potrà funzionare (articolo
Il Sole 24 Ore del 09.07.2012 - link
a www.corteconti.it). |
aggiornamento al 09.07.2012 |
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ENTI LOCALI:
Il riordino dei municipi. Gestione associata
delle funzioni fondamentali per i centri fra
mille e 5mila abitanti.
Tornano le unioni di piccoli Comuni.
SOTTO QUOTA MILLE/
Viene azzerata la Giunta, i sindaci vanno a
formare il consiglio dell'Unione, che
gestisce anche bilancio e programmazione
economica.
Gestione associata delle funzioni
fondamentali per i Comuni fra mille e 5mila
abitanti (in Italia sono 3.738), e Unioni di
Comuni "riformate" per quelli che non
arrivano a mille residenti (sono 1.948).
Insieme alla sfoltita delle Province e al
rilancio delle Città metropolitane, torna
nel testo finale del decreto 95/2012 sulla
spending review anche il riordino dei
piccoli Comuni (anticipato sul Sole 24 Ore
del 4 luglio).
Anche in questo caso, non si tratta di un
inedito, perché il tentativo di mettere
insieme le funzioni nei mini-enti era già
stato scritto nella manovra estiva del 2010,
ma era naufragato in un mare di proroghe
dettate dai problemi applicativi.
La riforma dell'amministrazione scritta nel
nuovo provvedimento prova a trarre
insegnamento proprio dagli errori iniziali,
e in questa chiave riscrive le regole. Prima
di tutto, si evolve l'elenco delle funzioni
fondamentali (questo aspetto riguarda anche
gli enti più grandi), che vengono articolate
in 10 punti anziché in 6. Ad allungare
all'elenco ci sono nuovi ingressi, dal
Catasto (con l'eccezione delle funzioni
statali) alla protezione civile, oltre a
voci scorporate da quelli che nel vecchio
elenco erano capitoli più generali (per
esempio la raccolta e lo smaltimento dei
rifiuti, con la riscossione dei tributi
collegati, viene separata dalla gestione dei
servizi pubblici: si veda la scheda qui a
fianco).
Su questa base di regole, la famiglia dei
mini-enti si divide ancora una volta in due:
quelli sotto i mille abitanti, per i quali
si torna a prevedere l'affidamento
obbligatorio di tutte le funzioni
all'Unione, che si fa carico anche della
programmazione economico-finanziaria e della
gestione del bilancio sulla base della
delibera programmatica votata da ogni ente
entro il 30 novembre dell'anno prima). I
mini-Comuni perdono la Giunta, e i loro
sindaci vanno a formare il consiglio
dell'Unione, ma si evita il meccanismo
cervellotico scritto nel Dl 78/2010 in base
al quale il primo Comune dell'Unione che
fosse arrivato al voto avrebbe fatto
decadere in automatico anche le Giunte dei
municipi vicini. Le Unioni dovranno contare
almeno 5mila abitanti (3mila in montagna), e
costituirsi entro la fine del 2013: dal 2014
saranno soggette al Patto di stabilità.
Fin qui, la regola, ma la nuova norma porta
con sé anche l'eccezione: si apre infatti
anche ai Comuni fino a mille abitanti la via
alternativa della convenzione, meno
vincolante, che probabilmente sarà sfruttata
da molti gelosi di non veder sciogliere la
propria «individualità istituzionale»
nell'Unione.
Per gli enti fra mille e 5mila abitanti,
invece, cambia il calendario della gestione
associata: le prime tre funzioni andranno
messe insieme entro l'01.01.2013 (la
vecchia scadenza, dopo la girandola di
proroghe, si era attestata al 30 settembre
prossimo), e il quadro dovrà completarsi
entro l'01.01.2014 con le altre
funzioni. Le gestioni associate dovranno
abbracciare almeno 10mila abitanti, ma le
Regioni avranno tempo fino al 30 settembre
per rivedere i limiti demografici (qualcuna
l'aveva già fatto in relazione alla vecchia
normativa).
Il riordino degli obblighi gestionali per i
piccoli enti era atteso dagli amministratori
locali, alle prese con gli inciampi
applicativi delle norme del 2010, anche se è
presto per capire se le novità sono
sufficienti a migliorare il giudizio dei
diretti interessati. Il tema sarà al centro
oggi dell'Assemblea nazionale dell'Anci
piccoli Comuni, in corso a Roma.
Nella
giornata inaugurale di ieri (quando ancora
non era noto il testo finale del decreto),
il presidente dell'Anci Graziano Delrio ha
rivendicato che il riordino degli enti
locali deve essere uno dei «pilastri
dell'autonomia», aggiungendo l'esigenza che
sia «evitato il rischio di fusioni» che
farebbero scomparire «il presidio
rappresentato dal sistema dei piccoli
Comuni». Il riferimento critico era alla
vecchia normativa: ora si vedrà se la
riscrittura rilanciata dal decreto è in
grado di attenuare l'ostilità degli
amministratori locali.
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FUNZIONI E OBBLIGHI
Le funzioni
L'articolo 19 del decreto 95/2012 sulla
spending review riscrive l'elenco delle
funzioni fondamentali dei Comuni, che
diventano:
a) Organizzazione generale
dell'amministrazione, gestione finanziaria e
controllo
b) Organizzazione dei servizi pubblici di
interesse generale di ambito comunale,
compreso il trasporto pubblico locale
c) Catasto, ad eccezione delle funzioni
dello Stato
d) Pianificazione urbanistica ed edilizia
e) Attività in ambito comunale di
pianificazione di protezione civile e
coordinamento dei primi soccorsi
f) Organizzazione e gestione dei servizi di
raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei
rifiuti urbani e riscossione dei relativi
tributi
g) Progettazione e gestione dl sistema
locale dei servizi sociali ed erogazione
delle prestazioni
h) Edilizia scolastica, organizzazione e
gestione dei servizi scolastici
i) Polizia municipale e amministrativa
locale
l) Tenuta dei registri di stato civile e di
popolazione, servizi anagrafici ed
elettorali e statistici
Gli obblighi
Comuni fino a mille abitanti: Gestione di
tutte le funzioni in Unioni o convenzioni di
almeno 5mila abitanti (3mila in montagna)
entro l'01.01.2014.
Comuni fra mille e 5mila abitanti: gestione
associata di 3 funzioni entro l'01.01.2013 e delle altre entro l'01.01.2014 (articolo Il Sole 24
Ore del 07.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO -
VARI:
La cura dimagrante inizia dalla Pa.
Per il personale scatta la procedura di
mobilità.
Iniziamo la pubblicazione del testo del
decreto legge 06.07.2012, n. 95 con le
«Disposizioni urgenti per la revisione della
spesa pubblica con invarianza dei servizi ai
cittadini».
Il provvedimento è stato
pubblicato sul supplemento 141/L alla
«Gazzetta Ufficiale» 156 del 06.06.2012.
Sul Sole 24 Ore di domani la seconda parte.
... (articolo Il Sole 24
Ore del 07.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti
pubblici messi a dieta. Dal 1° ottobre buono
pasto per gli statali ridotto a 7 euro.
Dal prossimo anno si ridurranno del 50% le
spese sostenute dalla pubblica
amministrazione per l'acquisto o il noleggio
delle auto di servizio. Inoltre, il buono
pasto per gli statali, dal prossimo 1°
ottobre, non potrà superare il valore
nominale di 7 euro, ...
(articolo ItaliaOggi
del 07.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
Piccoli comuni, unioni in
libertà. Gestione associate obbligatorie. Si
riparte del 1° gennaio 2013. Ma gli enti
potranno scegliere le modalità più opportune
per svolgere insieme le funzioni
fondamentali.
Obbligo di dare vita ad unioni o convenzioni
per gestire la gran parte delle proprie
funzioni, oggetto di una mappatura più
precisa di quella contenuta nella legge
delega sul federalismo fiscale. ...
(articolo ItaliaOggi del 07.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Ancora
sacrifici per gli enti locali. Attesi 7,2
mld di tagli in 24 mesi. Indebitamento su
base annua. Le assunzioni di segretari non
potranno superare l'80% delle cessazioni.
Nuovi tagli per più di 2 miliardi nel 2012 e
per oltre 5 miliardi a regime. E un conto
piuttosto salato quello che il decreto legge
sulla spending review, varato ieri
dal governo, presenta a regioni, province e
comuni. Tanto salato da far dubitare che il
titolo del provvedimento (-Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa
pubblica, a invarianza dei servizi ai
cittadini-) rappresenti un auspicio, più che
una certezza.
In effetti, un impatto sulla quantità e
qualità delle prestazioni erogate non può
essere escluso in partenza, anche perché le
nuove sforbiciate si aggiungono a quelle già
previste dalle pesanti manovre correttive
varate negli ultimi due anni. A calare
ancora una volta la mannaia sulle spettanze
regionali e locali è l'art. 16 della bozza
di decreto, che impone agli enti
territoriali un nuovo, consistente
contributo alla realizzazione degli
obiettivi di finanza pubblica, da garantire
-anche mediante riduzione delle spese per
consumi intermedi-.
Il comma 2 agisce sulle risorse a qualunque
titolo dovute dallo stato alle regioni
ordinarie, escluse quelle destinate al
finanziamento corrente del servizio
sanitario nazionale, riducendole di 700
milioni per il 2012 e di 1 miliardo a
decorrere dal 2013. Ancora più pesante la
decurtazione imposta a regioni speciali e
province autonome, cui il comma 3 taglia 500
milioni per quest'anno, 1 miliardo per il
prossimo e 1.500 milioni a decorrere dal
2014.
Brutte notizie anche per gli enti locali. Il
comma 4 fa nuovamente dimagrire il fondo
sperimentale di riequilibrio dei comuni
(destinato a essere sostituito dal fondo
perequativo, se e quando il federalismo
fiscale sarà pienamente attuato), nonché i
residui trasferimenti erariali erogati ai
municipi di Sicilia e Sardegna: meno 500
milioni per il 2012 e meno 2 miliardi dal
2013. Misure analoghe sono ...
(articolo ItaliaOggi del 06.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE: Forniture, nulli i contratti non
centralizzati.
Metodo Consip vincolante per gas, carburanti
e telefoni - Canoni di affitto della Pa
ridotti subito del 15%.
L'OBIETTIVO/
Si punta a far salire la spesa trattata con
il metodo Consip da 30 a 35 miliardi già nel
2012 per arrivare a 47 miliardi nel 2013.
Decadenza immediata di tutti i contratti di
acquisizione di beni e servizi stipulati
senza il ricorso al metodo adottato da
Consip e dalle Centrali di committenza
territoriale. Che diventa vincolante per
tutte le amministrazioni e gli enti
territoriali per le forniture di energia
elettrica, gas, carburanti, combustibili per
riscaldamento, telefonia fissa e mobile.
Riduzione del 15%, altrettanto immediata,
dei contratti di locazione a carico della
pubblica amministrazione per l'affitto di
immobili destinati a uffici.
È un giro di
vite significativo quello impresso dal piano
del commissario straordinario Enrico Bondi
al doppio capitolo delle spese per acquisti
di beni e servizi e per gli affitti delle
amministrazioni pubbliche.
Nel primo caso l'obiettivo è far salire
subito, già nel 2012, da quasi 30 miliardi a
quota 35 miliardi l'asticella della spesa
per approvvigionamenti affrontata con il
metodo Consip. E poi arrivare nel 2013 a 47
miliardi (circa un terzo dei 136 miliardi di
spesa complessiva per beni e servizi). Per
avere la garanzia di ottenere da questa
stretta risparmi certi il testo d'ingresso
del decreto sulla spending review prevede
anche una misura rafforzativa, con
configurazione da taglio lineare: la
riduzione del 5% nel 2012 e del 10% nel 2013
dei trasferimenti dal bilancio dello stato a
una lunga serie di enti intermedi, Authority
incluse, utilizzati per coprire le uscite
per consumi intermedi.
Uno dei pilastri del piano Bondi resta
l'estensione a vasto raggio del metodo
Consip facendo anche leva su una sorta di
raccordo "a rete" con le centrali di
committenza territoriali. Tutti i contratti
fuori da questo perimetro e non in linea con
il parametro qualità-prezzo fissato dalla
Finanziaria del 2000 vengono considerati
nulli, ad esclusione di quelli stipulati
tramite le centrali di committenza
territoriali a condizioni più favorevoli. La
bozza del decreto prevede che i contratti
fuori dal perimetro Consip «costituiscono
illecito disciplinare e sono causa di
responsabilità amministrativa».
E
altrettanto è previsto per quelli sulle
forniture di carburante, riscaldamento e
telefonia. Confermata la nascita, sotto
l'input del commissario Bondi, del nuovo
Albo delle centrali di committenza. Previsto
anche un ricorso più massiccio al Mercato
elettronico della pubblica amministrazione:
in alcune amministrazioni centrali sarà
istituita una sezione speciale. E anche i
piccoli Comuni potranno effettuare i loro
acquisti utilizzando gli strumenti
elettronici a disposizione.
Nel testo è inserita pure una misura ad hoc
per favorire il processo di dismissione dei
beni mobili anche attraverso l'utilizzo di
strumenti telematici: il ministero
dell'Economia, con il supporto di Consip,
avrà il compito di stilare un apposito
programma per centrare questo obiettivo.
Sul taglio degli affitti il governo fa un
altro giro di vite: la riduzione del 15% dei
canoni attualmente corrisposti avrà un
impatto diretto sui contratti in corso. E
questo anche in deroga alle eventuali
clausole presenti nel contratto. Inoltre il
rinnovo dei contratti di locazione saranno
vincolati a due specifiche condizioni che se
venissero a mancare consentirebbero alle
amministrazioni di risolvere di diritto i
contratti di locazione alla loro scadenza.
In questo senso i contratti di locazione
diventano rinnovabili solo se c'è
disponibilità delle risorse finanziarie per
il pagamento di canoni, costi d'uso e oneri
per la durata dell'intero contratto, nonché
la presenza di esigenze "allocative"
delle amministrazioni legate al
raggiungimento di piani di
razionalizzazione, riorganizzazione e
accorpamento delle strutture.
Confermato, infine, il blocco triennale
2012-2014 degli adeguamenti Istat dei canoni
di affitto pagati dalle amministrazioni per
l'uso di immobili in locazione passiva
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Aziende
partecipate. Stop entro il 2013 per le
attività strumentali alle amministrazioni.
Da
vendere o sciogliere le società di servizi
alla Pa
IN SINTESI/
Incerto il destino dei dipendenti Subito al
via i limiti alle spese.
Data di scadenza fissata al 31.12.2013
per tutte le società che «svolgono
prevalentemente» servizi a favore delle
Pubbliche amministrazioni proprietarie. Si
allarga ancora, rispetto alle versioni del
decreto circolate mercoledì (si veda Il Sole
24 Ore di ieri), lo stop alle società
«strumentali» dello Stato e degli enti
territoriali.
Nelle prime bozze del testo a decretare lo
scioglimento del l'azienda sarebbe stata la
presenza nell'oggetto sociale della
«prestazione di servizi a favore della Pa»,
mentre il testo circolato ieri mette gli
occhi sull'attività «prevalente». A
salvarle, in questo caso, può essere solo il
fatto che nel portafoglio della loro
attività si trovino anche «servizi in favore
dei cittadini».
Formulazione a parte, la ratio della norma è
chiara: le società strumentali, che lavorano
solo in appoggio all'amministrazione a cui
appartengono, e che in tante occasioni
possono aver rappresentato una strada aperta
per l'elusione dei vincoli di bilancio o dei
limiti alle assunzioni che regolano gli enti
proprietari, vanno alienate o sciolte entro
il prossimo anno.
Per il momento, alle Pubbliche
amministrazioni è vietato costruirne di
nuove, mentre quelle già esistenti, per il
tempo residuo che resta loro da vivere,
devono veder dimagrire le spese gestionali a
partire dai consigli di amministrazione:
massimo tre membri (per quelle degli enti
locali era già così), di cui due devono
essere però scelti fra i dipendenti
dell'amministrazione titolare della
partecipazione o controllante. A loro, non
può essere offerto nessun emolumento, perché
la Finanziaria 2007 e la manovra estiva 2010
impedisce di pagare ai dipendenti incarichi
in organismi partecipati.
Le società strumentali, in questa chiave,
diventano l'unico oggetto della norma
taglia-posti nei consigli di
amministrazione, che nelle prime versioni
aveva un raggio d'azione più ampio e mirava
direttamente alle grandi aziende di Stato.
Il meccanismo, almeno nelle versioni
presenti nelle bozze che finora è stato
possibile esaminare, lascia interamente
aperta la partita del personale. Non esiste
al momento un censimento ufficiale delle
società strumentali, ma i dati della Corte
dei conti sulle partecipate degli enti
locali e i database disponibili sulle
società di Regioni e Stato permettono di
stimare (prudenzialmente) in almeno 4-500 le
realtà interessate dalla nuova regola.
Ipotizzando per queste aziende una
dimensione media pari alla metà di quella
censita per il totale delle partecipate
locali, si arriverebbe a un numero di
dipendenti intorno ai 20mila. Che fine
faranno? La norma, per ora, non lo dice, ma
è naturalmente impensabile un loro
assorbimento all'interno degli enti
proprietari.
Negli altri casi, le norme approvate finora
nel tentativo di sfoltire la ramificazione
societaria intorno agli enti pubblici si
sono sempre occupate delle sorti del
personale, per esempio inserendo la tutela
dell'occupazione fra i parametri di
valutazione nelle gare per l'acquisto da
parte dei privati delle società in via di
dismissione. Oltre al personale, resta da
capire la sorte dell'indebitamento che
eventualmente si sia formato in capo a
queste società, e quella dei loro obblighi
fiscali. L'alienazione, tramite gara, è una
delle possibilità offerte oggi alle
strumentali, entro il 30.06.2013. Se la
procedura dovesse fallire, l'unica
alternativa è lo scioglimento della società,
da chiudere non più tardi della fine del
prossimo anno.
Salve, per espressa
previsione, solo la Sogei, che cura
l'infrastruttura informatica su cui vive
l'amministrazione finanziaria, e la Consip,
impegnata nel mercato unico degli acquisti
rilanciato proprio dal decreto sulla
revisione di spesa (nulla si dice di altre
realtà importanti come per esempio la Sose,
la società per gli studi di settore ora
attiva anche nella definizione dei
fabbisogni standard di Comuni e Province).
Anche per i servizi oggi garantiti dalle
società strumentali, la norma propone due
soluzioni: o riportarli direttamente
all'interno dell'amministrazione, ovviamente
senza deroghe ai vincoli sull'assunzione di
personale, oppure l'acquisto sul mercato (articolo Il Sole 24
Ore del 06.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Resta
la possibilità del turn-over.
LA RIFORMA/ Entro fine anno nuovi parametri
di virtuosità sul numero di dipendenti. Stop
agli ingressi se si supera del 20% la media
nazionale.
Salta la stretta sul turn-over degli enti
locali, ai quali viene riservata una più
generale revisione meritocratica degli
organici, sulla base di parametri da
individuare entro fine anno.
Stando alle ultime bozze, insomma, per i
Comuni (non per le Province, alle quali
viene impedito del tutto, in via
transitoria, di effettuare assunzioni a
tempo indeterminato), rimangono per il
momento in vigore le regole riviste a marzo
dalla legge di conversione del decreto sulle
«semplificazioni fiscali»: turn-over al 40%
(si può spendere in nuove assunzioni il 40%
dei risparmi ottenuti con le uscite del
servizio negli anni precedenti), disciplina
di favore per i contratti relativi ad
educatori, insegnanti delle scuole comunali
e Polizia locale, il cui costo viene
conteggiato al 50% nel calcolo delle facoltà
assunzionali.
L'allineamento ai parametri in vigore per il
resto delle amministrazioni pubbliche (turn-over al 20%) è stato infatti sostituito
nelle versioni del decreto circolate ieri da
una riscrittura più generale. In pratica,
stando al testo, il Governo e gli
amministratori locali dovranno stabilire
entro fine anno all'interno della Conferenza
Stato-Città i «parametri di virtuosità»
sulla base dei quali determinare le
dotazioni organiche degli enti locali. Il
primo criterio di riferimento è già scritto
nella norma, e punta sul rapporto fra
dipendenti dell'ente e cittadini
amministrati.
Il primo passaggio, spiega la bozza, sarà la
determinazione della «media nazionale»
(verosimilmente differenziata per fasce
demografiche), calcolando oltre al personale
dell'ente anche quello impiegato nelle
società strumentali e nelle affidatarie
dirette di servizi pubblici locali. Chi si
troverà a un livello del 20% superiore alla
media si vedrà bloccata ogni possibilità di
assumere (come accade oggi a chi dedica al
personale più di metà della spesa corrente),
e chi starà ancora più in alto subirà un
trattamento ancora più duro (da definire).
Confermato l'ingresso nel turn-over (con
parametro all'80%) dei segretari comunali
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.07.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Enti, gli organici scampano ai
tagli. Un dpcm definirà la dotazione
ottimale in rapporto ai residenti. Nel
calcolo saranno compresi anche i dipendenti
delle società partecipate dalle p.a..
Gli enti locali sono, per ora, fuori dai
tagli sostanzialmente lineari alle dotazioni
organiche previste dal decreto sulla
spending review in via espressa solo per le
amministrazioni statali.
Tuttavia, una cura dimagrante è egualmente
prevista anche per comuni e province ...
(articolo ItaliaOggi del 06.07.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Indennità non cumulabili. Ai
consiglieri gettone di presenza
onnicomprensivo. Le commissioni vanno
considerate un'articolazione dell'organo
consiliare.
Sussiste la possibilità
di cumulare i gettoni di presenza spettanti
ai consiglieri comunali per la
partecipazione, nell'ambito della stessa
giornata, alle sedute del consiglio
comunale, delle commissioni consiliari
permanenti e delle commissioni comunali
istituite da leggi statali, regionali o da
norme statutarie?
Le regole generali inerenti al
riconoscimento e alla corresponsione
dell'indennità collegata alla funzione
svolta dagli amministratori locali nonché
dei gettoni di presenza sono fissate agli
artt. ...
(articolo ItaliaOggi del 06.07.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazioni edilizie, tetto
annuale a 96mila euro. La risposta del
sottosegretario Ceriani al question-time.
Il limite di 96mila euro
per la detrazione Irpef del 50% sulle spese
di ristrutturazione edilizia sostenute dal
26.06.2012 al 30.06.2013, oltre ad essere
riferito allo stesso intervento (anche
pluriennale) effettuato nella stessa
abitazione (comprensiva di pertinenze), è
anche il limite massimo per il 2012 e il
2013 quali anni civili.
Se vi sono due interventi diversi nello
stesso immobile, il limite massimo per
quest'anno non potrà superare i 96mila euro
(per quell'immobile), neanche se il
pagamento di 48mila euro per il primo
intervento è avvenuto entro il 25.06.2012 e
il bonifico di 96mila euro per il secondo
intervento è stato effettuato
successivamente ed entro quest'anno.
Sono queste le conseguenze della risposta
04.07.2012 del sottosegretario al
ministero dell'Economia Vieri Ceriani, per
conto dell'agenzia delle Entrate, a
un'interrogazione parlamentare.
Per il 2012 spetta la detrazione del 36% per
le spese pagate fino al 25.06.2012 con un
limite massimo di 48mila euro e la
detrazione del 50% per quanto pagato «dal
26.06.2012 al termine del periodo di imposta
per un ammontare massimo di 96mila euro, al
netto delle spese già sostenute alla
predetta data, comunque nei limiti di 48mila
euro, per le quali resta ferma la detrazione
del 36 per cento».
In questo passaggio, le Entrate non
specificano se si tratti o meno di mera
prosecuzione dell'intervento, quindi, deve
ritenersi che la regola sostenuta valga
indipendentemente dal fatto che vi sia o
meno una mera prosecuzione dell'intervento.
Ad esempio, se alla data del 20 giugno sono
stati pagati, con bonifico “parlante”
(che riporta causale e relativi codici
fiscali), 50mila euro per un intervento e al
30 giugno ne sono stati pagati 100mila per
un altro, per il primo pagamento si potrà
detrarre il 36% di 48mila euro (non
recuperando i 2mila euro, che eccedono il
limite di 48mila euro del primo periodo),
mentre per il secondo pagamento si potrà
recuperare il 50% di 48mila euro, non
recuperando i 52mila euro che eccedono i
48mila euro agevolati nel primo periodo
(96mila euro del secondo periodo, meno i
48mila euro già agevolati).
La risposta non dice nulla circa la
possibilità del contribuente di considerare
rilevanti in Unico 2013 o nel 730, relativi
al 2012, solo i bonifici effettuati dopo il
25.06.2012 (nel limite di 96mila euro e
detraibili al 50%), ma si ritiene non
possibile questa scelta. Non si possono cioè
utilizzare solo i bonifici relativi a
interventi con detrazione del 50% escludendo
quelli con detrazione al 36 per cento. Vanno
riportati tutti in ordine cronologico.
Per il periodo d'imposta 2013, spetta la
detrazione del 50% per le spese sostenute
dall'inizio dell'anno fino al 30.06.2013, «per
un ammontare massimo di 96mila euro, tenendo
conto –in caso di mera prosecuzione dei
lavori– delle spese sostenute negli anni
precedenti. Se alla data del 30.06.2013 sono
state sostenute spese per un ammontare pari
o superiore a 48mila euro, le ulteriori
spesse sostenute nel periodo di imposta non
consentiranno alcuna ulteriore detrazione
del 36 per cento».
Si ritiene, però, che se non vi sia una mera
prosecuzione dell'intervento, debba valere
la regola dettata per il 2012, cioè che il
limite massimo di spesa annuale sia di
96mila euro anche per il 2013
(articolo Il Sole 24
Ore del 05.07.2012). |
APPALTI: Lavori
pubblici. La bozza dell'Autorità di
vigilanza: modelli base uniformi per le
stazioni appaltanti.
Gare d'appalto con bandi-tipo.
L'obiettivo è tipizzare le esclusioni per
evitare contenziosi.
Ridurre l'arbitrarietà delle amministrazioni
nel decidere l'esclusione delle imprese
dalle gare d'appalto e di conseguenza anche
la guerra di carte bollate che in genere
scoppia in coda ad ogni aggiudicazione.
È un
progetto ambizioso quello che sta dietro al
lavoro della Autorità di vigilanza per
definire i bandi-tipo cui dovranno attenersi
le oltre 12mila stazioni appaltanti attive
in Italia alle prese con la pubblicazione di
un avviso di gara.
Il documento -che prenderà la forma di una
determinazione- dettaglia in circa 49
pagine tutte le possibili «cause tassative
di esclusione» da inserire nei bandi di
gara. In pratica stabilisce i paletti entro
i quali le Pa possono e devono muoversi,
senza andare incontro al rischio di
innescare una nuova forma di contenzioso per
non aver rispettato le indicazioni di Via Ripetta e riducendo la prassi delle
esclusioni legate a violazioni «meramente
formali».
La determinazione, ancora in
bozza, è stata inviata dall'Authority alle
associazioni di imprese per un nuovo giro di
consultazioni prima del via libera finale
che dovrebbe arrivare prima delle ferie
estive. Almeno questa è l'intenzione del
presidente Sergio Santoro che proprio domani
presenterà a Roma presso la Camera dei
Deputati la relazione annuale 2011 al
Parlamento.
I bandi-tipo prendono le mosse dal Dl
70/2011 che ha dato all'Autorità il compito
di predisporre le regole quadro per le gare.
La determinazione -cui i tecnici di Via Ripetta lavorano ormai da tempo rincorrendo
le circa 100 modifiche introdotte per
decreto al Codice degli appalti (Dlgs
163/2006)- servirà da base per elaborare i
successivi bandi tipo distinti in base
all'oggetto del contratto (lavori, servizi e
forniture).
L'Authority individua tre tipologie di cause
di esclusione «tassativa». Primo: gli
adempimenti previsti da Codice e
regolamento. Secondo: l'incertezza sul
contenuto o sulla provenienza dell'offerta
«per difetto di sottoscrizione o di altri
elementi essenziali». Terzo: la non
integrità del plico con l'offerta o la
domanda di partecipazione alla gara «o altre
irregolarità relative alla chiusura dei
plichi, tali da far ritenere che sia stato
violato il principio di segretezza».
L'obiettivo è dare alle Pa una bussola
indicando quali irregolarità devono essere
sanzionate con l'esclusione. E, per contro,
quali prescrizioni siano da considerare
nulle, nonostante l'amministrazione ne
chieda, con il bando, il rispetto «a pena di
esclusione».
Nella categorie delle prescrizioni imposte
dalle norme, via Ripetta individua sette
cause di esclusione. Si va dal possesso dei
requisiti di partecipazione ai termini di
presentazione delle offerte, fino al mancato
versamento del contributo all'Autorità.
In
particolare, l'Autorità si sofferma sui
«requisiti speciali» e cioè quelle
caratteristiche di professionalità
necessarie richieste dalle stazioni
appaltanti per garantirsi la buona
esecuzione del contratto, che invece spesso
si traducono in un percorso a ostacoli,
ideato ad hoc per ridurre al minimo gli
spazi di partecipazione. In materia di
offerta, invece, si stabilisce che le
domande devono essere «debitamente
sottoscritte da parte del titolare
dell'impresa o del legale rappresentante».
Seguono l'accettazione delle condizioni
contrattuali, il divieto di offerte
condizionate o plurime, la presentazione
della cauzione, l'obbligo di sopralluogo
contenute nella documentazione di gara.
Infine un focus sulle irregolarità formali
dell'offerta con l'indicazione delle carenze
«veniali» che rendono illegittimo il
cartellino rosso.
---------------
Il quadro
01 | I BANDI TIPO
Previsti dal Dl 70/2011, i bandi tipo sono
predisposti dall'Autorità per dare un
bussola di orientamento uniforme alle circa
12mila stazioni appaltanti italiane. La
bozza del bando quadro si concentra sulle
cause di esclusione dalle gare che sono da
considerare «tassative».
02 | A CHE PUNTO SONO
L'Authority ha predisposto uno schema di
provvedimento che attualmente è stato
mandato in consultazione alle categorie
interessate. Prima del via libera definitivo
bisognerà sentire anche il parere del
ministero delle Infrastrutture
(articolo Il Sole 24
Ore del 03.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Decreto
sviluppo/ GLI INCENTIVI SULLE
RISTRUTTURAZIONI.
Il bonus del 50% scatta anche senza
cantiere. Sicurezza in casa e antifurto tra
i lavori agevolati.
Per brevità chiamato «bonus sulle
ristrutturazioni», il nuovo 50% riguarda in
realtà tutta una serie di lavori che non
richiedono sempre l'intervento del muratore.
E che possono essere avviati molto più
rapidamente di un cantiere edile. La
detrazione maggiorata al 50%, infatti, si
applica anche alle opere per prevenire furti
e atti illeciti, come l'installazione di una
porta blindata, o a quelle per la sicurezza
domestica, come l'applicazione dei
rilevatori per le fughe di gas.
Il 26 giugno data chiave
L'elenco degli interventi agevolati è lo
stesso dettato dall'articolo 16-bis del Tuir
(Dpr 917/1986), che dal 1° gennaio di
quest'anno disciplina la detrazione del 36
per cento. Il decreto sviluppo varato dal
Governo, di fatto, non fa altro che
stabilire che per le spese sostenute dal 26
giugno di quest'anno fino al 30.06.2013 la detrazione è maggiorata al 50% e
l'importo massimo su cui calcolarla sale da
48 a 96mila euro.
Chi ha già un cantiere in corso,
semplicemente, beneficerà del bonus del 50%
per i bonifici effettuati dal 26 giugno in
poi. Anche se la fattura ha una data
anteriore e anche se sono già stati pagati
acconti in precedenza (acconti che avranno
la detrazione del 36 per cento). L'unica
condizione da non mancare –ma questa non è
certo una novità– è che il bonifico sia
"parlante", e cioè indichi:
- la causale del pagamento (il riferimento
all'articolo 16-bis del Tuir);
- il codice fiscale del soggetto che paga (o
dei soggetti, se le persone che sostengono
la spesa e vogliono ottenere la detrazione
sono più di una);
- il codice fiscale o la partita Iva del
beneficiario del pagamento.
Chi non ha ancora avviato i lavori, invece,
potrà scegliere cosa fare pescando nel
catalogo delle opere ammesse al bonus. Ed è
evidente –considerati i tempi necessari a
pianificare e avviare una ristrutturazione–
che chi decide di rifare il tetto o di
modificare la distribuzione interna delle
stanze ben difficilmente sarà pronto a
partire prima dell'estate.
La prevenzione infortuni
Al di fuori delle opere edili, gli
interventi agevolati al 50% non si limitano
a quelli per la sicurezza e la prevenzione
degli atti illeciti, ma comprendono anche
l'eliminazione delle barriere
architettoniche, le opere per favorire la
mobilità dei disabili e la cablatura degli
edifici (si veda il grafico a destra). Ci
sarebbero anche gli interventi per il
risparmio energetico, ma in questo caso il
discorso è un po' più complesso, perché
quando non rientrano già in una categoria di
opere edilizie –come ad esempio la
manutenzione straordinaria del tetto che
include anche la coibentazione– la legge
impone di rispettare la «normativa vigente»
e acquisire l'«idonea documentazione». Due
concetti che le Entrate dovranno meglio
chiarire.
L'iter per la detrazione
Per beneficiare del 50% su interventi "non
edilizi", la procedura non cambia. E in
questo senso diventa sicuramente un
vantaggio l'eliminazione della comunicazione
di inizio lavori al centro operativo delle
Entrate di Pescara, che in passato era
dettata a pena di decadenza e che spesso
bloccava le piccole spese per le quali il
contribuente si accorgeva in ritardo di
poter beneficiare della detrazione. Idem per
l'obbligo di indicare la manodopera in
fattura, cancellato con effetto retroattivo.
In pratica, se le opere effettuate non
richiedono assensi edilizi (come nel caso
dell'installazione di una porta blindata)
basta che il proprietario prepari
un'autocertificazione in cui indica la data
di inizio lavori e attesta che gli
interventi realizzati rientrano tra quelli
agevolabili. Addirittura, se il pagamento
fosse già stato effettuato prima
dell'entrata in vigore del decreto sviluppo
con un bonifico non parlante (o con un
bonifico parlante, ma sbagliato) si potrebbe
rifare il pagamento con un bonifico
tracciabile, e a quel punto si avrebbe
diritto alla detrazione del 50 per cento.
---------------
IN SINTESI
50% - La nuova detrazione
I lavori agevolati con la classica
detrazione del 36% (così come disciplinata
dall'articolo 16-bis del Tuir) beneficiano
della detrazione del 50% per le spese
sostenute tra il 26.06.2012 e il 30.06.2013. Per i bonifici con data
anteriore o successiva a questa finestra
temporale, la detrazione era e resta del 36%
96mila euro - La spesa
massima
Di pari passo con la detrazione, aumenta
anche l'importo massimo su cui può essere
applicata, che sale da 48mila a 96mila euro,
per lo stesso periodo in cui sono stati
effettuati i lavori
10 rate - La suddivisione
La nuova detrazione del 50% segue tutte le
regole del 36%, a parte l'innalzamento del
limite massimo di spesa per unità
immobiliare, compreso il recupero, che dal
1° gennaio di quest'anno avviene in dieci
anni per tutti i contribuenti, compresi
quelli di età superiore a 75 anni
---------------
La lista degli interventi
Il dettaglio dei lavori agevolati al 50% che
non richiedono l'effettuazione di opere
edilizie, così come indicati nella Guida
fiscale dell'agenzia delle Entrate
ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE
ARCHITETTONICHE
LE OPERE
Lavori per l'eliminazione delle barriere
architettoniche riguardanti ascensori e
montacarichi
GLI ESEMPI
Realizzazione di un elevatore esterno
all'abitazioni
MOBILITÀ DEI PORTATORI DI
HANDICAP
LE OPERE
Interventi per realizzare strumenti atti a
favorire la mobilità di persone con handicap
gravi
GLI ESEMPI
Installazione di un servoscala.
Motorini elettrici per tapparelle
Non agevolati:
telefoni vivavoce, computer con touch screen
OPERE CONTRO GLI INFORTUNI
DOMESTICI
LE OPERE
Esecuzione di opere volte a evitare gli
infortuni domestici
GLI ESEMPI
Installazione di rilevatori di gas. Cambio
del tubo del gas.
Riparazione di una presa malfunzionante.
Installazione di un corrimano. Installazione
del salvavita
Non agevolato:
acquisto di elettrodomestici con dispositivi
di sicurezza
INTERVENTI CONTRO GLI
ATTI ILLECITI
LE OPERE
Adozione di misure che prevengono il rischio
di atti illeciti da parte di estranei
GLI ESEMPI
Installazione o cambio di una porta
blindata. Installazione o cambio di
serrature, lucchetti, eccetera.
Installazione di saracinesche
antisfondamento. Vetri antisfondamento.
Sistemi antifurto. Installazione di
telecamere. Cassaforti a muro.
Trasformazione del citofono in videocitofono
CABLATURA DEGLI EDIFICI
LE OPERE
Interventi per la cablatura degli edifici
GLI ESEMPI
Installazione di cavi o fibre ottiche che
interconnettano tutte le unità immobiliari
residenziali.
---------------
«Scontate» anche le
spese professionali.
Il perimetro delle spese che possono avere
la detrazione del 50% è un po' più ampio del
costo "nudo e crudo" dei lavori. L'importo
su cui applicare il bonus fiscale include
l'Iva, ma anche l'imposta di bollo e i
diritti pagati per eventuali concessioni,
autorizzazioni, Dia, Scia o comunicazioni,
oltre agli oneri di urbanizzazione.
Se queste sono voci di spesa che entrano in
gioco quasi solo quando si effettuano lavori
edilizi rilevanti (ma non sempre, basti
pensare agli oneri per il cambio d'uso) è
pur vero che si può avere il 50% anche sulle
spese per la messa in regola degli edifici
in relazione alle norme sugli impianti
elettrici e a metano, oltre che su tutta una
serie di spese in senso lato professionali:
per la progettazione, per le certificazioni,
per la relazione di conformità dei lavori
alle leggi vigenti, per le perizie e i
sopralluoghi.
Quanto alla documentazione da conservare,
nella maggior parte dei lavori che non
implicano opere edilizie ci si limiterà
all'autocertificazione del proprietario (si
veda l'articolo a fianco), corredata dalle
fatture o ricevute fiscali e dalle ricevute
dei bonifici di pagamento, oltre che dalle
ricevute Ici, che il provvedimento del
direttore delle Entrate del 2 novembre
scorso continua a richiedere
(articolo Il Sole 24
Ore del 02.07.2012). |
aggiornamento al 02.07.2012 |
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PUBBLICO IMPIEGO: I dipendenti comunali
che non fanno il loro dovere si possono
licenziare. Un sindaco del Veronese ne ha
già mandati a casa sei. E spiega come.
Lo chiamano SuperMario ma Ballotelli, il
bomber azzurro, non c'entra. L'accostamento
giusto è appunto al personaggio dei
videogiochi Nintendo, l'idraulico tuttofare
inarrestabile nell'aggiustare tutto. È Mario
Faccioli, sindaco di Villafranca di Verona
che licenzia i dipendenti comunali e non fa
pagare l'Imu.
SuperMario, classe 1964, da Nagrar (Verona),
perito in telecomunicazioni e impiegato
nella vita, guida il municipio a capo di una
lista civica ma è pidiellino lato An, come
molti da quelle parti, tanto che sotto
quelle insegne ha già fatto il consigliere
provinciale. SuperMario è diventato tale
agli occhi dei suoi 34mila amministrati da
quando s'è messo a usare il pugno duro nel
suo municipio. Non discorsi ma lettere di
richiamo ai dipendenti fannulloni e, in casi
di infedeltà clamorosa, licenziamenti veri e
propri. Un Renato Brunetta della Bassa
veronese che, a differenza dell'ex-ministro
veneziano, non scherza affatto: di travet
furbetti ne ha già cacciati ben sei. Fra
loro, un impiegato che prendeva soldi
indebitamente per pratiche funerarie, un
altro che aveva chiesto e ottenuto una
tangente da 10mila euro e un'altra ancora
che godeva permessi per assistere familiari
e che, al contrario, se ne andava
all'università. Con buona pace di chi
ritiene che i dipendenti statali godano
dell'impunità totale, anche i presenza di
mancanze gravi.
«Le norme per poterlo fare ci sono. Eccome»,
ha spiegato giorni fa al Corriere Veneto, «e
siccome sono un pignolo le conosco. È lo
stesso contratto nazionale che ti permette
di agire. E devi farlo subito, altrimenti
diventa tutto più difficile...». Il segreto?
Il puntiglio. «Sono una zecca fastidiosa e
mi controllo tutti gli atti amministrativi»,
ha chiarito, «non dico che sia facile ma è
probabile trovare anomalie in certi
comportamenti. Sono un pignolo, ripeto,
controllo tutto, faccio rifare. Basta fare
degli incroci e, se c'è qualcosa che non va,
lo scopri...».
Ma non basta essere vigili, non è
sufficienti essere attenti, SuperMario
sindaco ha svelato che occorre anche la
prontezza: «Bisogna anticipare l'atto
penale», ha teorizzato, «perché, quando
inizia l'iter in tribunale, sei fregato,
devi aspettare i tre gradi di giudizio prima
di licenziare. Ma se lo fai prima, avendo
tutte le carte che dimostrano la bontà del
tuo provvedimento, è fatta» Come? «Verifico
gli atti con i miei legali e applico il
licenziamento senza preavviso. Lo dico anche
ai miei colleghi sindaci: se conosci le
norme puoi fare».
Lui le norme dice di averle imparate
nientemeno che nel vecchio Movimento sociale
italiano, in cui militava sin da ragazzo,
tanto che amici e nemici ormai lo chiamano
«il Dux di Villaffranca», in omaggio alle
sue capacità di leadership certo, ma anche
al Capo cui il Msi si richiamava: Benito
Mussolini. «Un partito che faceva
formazione, che ti preparava», ha sospirato
e, sulla scorta di quel ricordo un po'
nostalgico, s'è dichiarato piuttosto
pessimista sulle sorti della politica
attuale: «A tutti i livelli, regionale,
provinciale o locale, molti non hanno una
preparazione politico-amministrativa», ha
osservato mestamente, «oggi si pensa alle
preferenze, alle lobby, non al buongoverno».
Critiche che valgono anche per il suo
partito, il Pdl: «È una storia che mi piace
poco», aveva già ammesso ai microfoni di
Radio Padova, «e sarebbe errato dire che è
una brutta cosa perché ha nei suoi principi
cose belle, ma non siamo stati all'altezza
come classe dirigente, a tutti livelli.
Abbiamo perso il senso dell'appartenenza».
Lui appartiene ai suoi amministrati e, nel
suo piccolo, fa cose importanti: per esempio
ha rinunciato alla quota di Imu di spettanza
municipale, alleggerendo di molto il
prelievo sul cittadino. «Come ho fatto? Da
quando hanno tolto l'Ici abbiamo
ristrutturato le nostre finanze: via mutui,
costi ridotti, nessuna auto di servizio,
niente telefonini, niente mazzette dei
giornali», ha chiarito, «siamo riusciti a
mantenere i servizi essenziali o ora
possiamo anche non chiedere l'Imu». Un duro
che però i suoi collaboratori li difende:
«Ho dei dipendenti di prim'ordine e non
voglio che, per il mal agire di qualcuno, si
pensi che tutti sono dei lavativi. Io li
voglio sul pezzo. E gli faccio la posta». A
suo modo gli vuol bene, SuperMario.
Con lui
l'antipolitica non avrebbe vita facile. Su YouTube circola ancora un video dei grillini
che lo ritrae mentre li ringrazia per le
riprese dei lavori in consiglio comunale:
una prassi contro cui più di un suo collega,
a destra e a sinistra, s'era ribellato. Lui,
invece, sorrideva lieve. O forse sfotteva
(articolo ItaliaOggi del
30.06.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Numero legale fai-da-te.
Il regolamento indica il quorum per le
sedute. Per l'elezione del
presidente alla terza votazione basta la
maggioranza assoluta.
Può ritenersi validamente costituito, ai
fini dell'elezione del presidente, un
consiglio comunale con un numero di
consiglieri inferiore a quello dei due terzi
prescritto per l'elezione in questione?
La disciplina del numero legale per la
validità delle adunanze, «quorum
strutturale», e delle votazioni, «quorum
funzionale o deliberativo», di cui all'art.
38 del dlgs n. 267/2000, si limita a
disporre che «il regolamento indica il
numero dei consiglieri necessario per la
validità delle sedute, prevedendo che in
ogni caso debba esservi la presenza di
almeno un terzo dei consiglieri assegnati
per legge all'ente, senza computare a tal
fine il sindaco».
Nel caso di specie, per quanto riguarda il
quorum strutturale, lo statuto comunale
prevede che «le sedute del consiglio
comunale sono valide con la presenza di 16
consiglieri, o in seconda convocazione, con
almeno undici di essi, computando a tal fine
anche il sindaco», facendo salvi i casi in
cui la legge o lo stesso Statuto «richiedano
una maggioranza qualificata o dispongano
particolari modalità di votazione».
Per lo specifico quorum funzionale, invece,
lo statuto prevede che «il presidente è
eletto tra i consiglieri con il voto
favorevole dei due terzi dei componenti il
consiglio comunale. Qualora tale maggioranza
non venga raggiunta, si procederà a una
nuova votazione con le stesse modalità della
prima. In caso di ulteriore esito negativo,
si procederà a una terza votazione, nella
quale sarà sufficiente raggiungere il voto
favorevole della maggioranza assoluta dei
componenti il consiglio».
Il regolamento consiliare, peraltro,
ribadisce sostanzialmente il contenuto delle
norme statutarie senza apportare ulteriori
integrazioni alle modalità di elezione del
presidente.
Pertanto, in base alle disposizioni sopra
richiamate, per la validità della seduta
sarà necessario il raggiungimento del quorum
strutturale indicato, ovvero la presenza di
16 consiglieri.
Ne consegue che, accertata la validità della
seduta con la presenza del numero dei
consiglieri prescritto dallo statuto,
qualora le prime due votazioni, che
necessitano del voto favorevole di due terzi
dei componenti, dovessero risultare
infruttuose, si potrà procedere alla terza
votazione per la quale è richiesta la
maggioranza assoluta.
Diversamente, qualora si accogliesse la tesi
secondo cui il quorum funzionale iniziale
dei due terzi dei componenti del consiglio
rende necessitato il raggiungimento del
medesimo quorum ai fini della validità della
seduta, ne deriverebbe l'oggettiva
impossibilità, in carenza del suddetto
quorum, di procedere alla terza votazione.
Tale conclusione è incongruente con il
meccanismo contemplato dalla norma
statutaria in argomento, mirante a pervenire
necessariamente all'elezione del presidente.
Si soggiunge, infatti, che il presidente è
un organo obbligatorio previsto dal nostro
ordinamento che svolge funzioni fondamentali
per l'attività del consiglio comunale e ne
garantisce l'ordinato svolgimento dei lavori
a tutela e garanzia della vita democratica
dell'ente stesso
(articolo ItaliaOggi del 29.06.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: La
malattia in vacanza non mina le ferie
retribuite.
Le ferie annuali retribuite sono un diritto
inviolabile. E come tali, non possono essere
sottratte al lavoratore nemmeno se
l'incapacità lavorativa dovesse sopravvenire
proprio durante il periodo di vacanza.
Lo ha stabilito la Corte di giustizia
europea confermando il diritto a recuperare
le ferie non godute. Il ricorso è arrivato
su istanza del Tribunal supremo spagnolo
(Corte suprema) chiamato a dirimere la causa
intentata dai sindacati dei lavoratori dei
grandi magazzini contro l'Associazione
nazionale delle grandi imprese di
distribuzione (Anged). I primi miravano a
far riconoscere il diritto dei lavoratori di
beneficiare delle ferie annuali retribuite
anche quando fossero coincise con periodi di
congedo per incapacità lavorativa.
Di parere contrario l'Anged secondo cui «i
lavoratori che si trovano in una situazione
di incapacità lavorativa -prima dell'inizio
di un periodo di ferie previamente
stabilito, o nel corso di tale periodo- non
hanno alcun diritto di beneficiare delle
ferie». Ebbene, la Corte di giustizia
europea ha sottolineato come il diritto alle
ferie annuali retribuite debba essere
considerato come un principio
particolarmente importante del diritto
sociale, sancito dalla Carta dei diritti
fondamentali dell'Ue. E come tale non può
essere interpretato in senso restrittivo.
Secondo i giudici europei, lo scopo del
diritto alle ferie annuali è quello di
consentire al lavoratore di riposarsi e di
beneficiare di un periodo di distensione e
di ricreazione. Le finalità sono quindi
diverse da quelle del diritto al congedo per
malattia, volto a consentire al lavoratore
di ristabilirsi da una malattia che dà luogo
a incapacità lavorativa. La Corte Ue ha così
rigettato le motivazioni dell'Anged
dichiarando che «un lavoratore che si
trovi in una situazione d'incapacità
lavorativa prima dell'inizio di un periodo
di ferie retribuite ha diritto di
beneficiarne in un periodo diverso da quello
coincidente con il periodo di congedo per
malattia. Il momento in cui l'incapacità
sopravviene è irrilevante».
Pertanto, il lavoratore ha diritto a fruire
delle ferie annuali retribuite coincidenti
con un periodo di congedo di malattia in un
periodo successivo. E ciò indipendentemente
dal momento in cui è sopravvenuta
l'incapacità lavorativa. Sarebbe infatti
aleatorio riconoscere questo diritto al
lavoratore soltanto a condizione che questi
si trovi già in una situazione di incapacità
lavorativa all'inizio del periodo di ferie
annuali retribuite (articolo ItaliaOggi
del 27.06.2012). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Lavori
senza gara, Italia a rischio.
Il decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto
salva Italia) ha modificato le norme
sull'esecuzione delle opere di
urbanizzazione primaria, ammettendo che
quelle d'importo inferiore alla soglia
comunitaria (5 milioni di euro) possano
essere realizzate dal titolare del permesso
di costruire, senza applicare il codice dei
contratti.
La disposizione è, di tutta evidenza, in
contrasto con l'orientamento comunitario, in
base al quale l'esecuzione delle opere di
urbanizzazione, indipendentemente dalla
natura del soggetto che realizza,
costituisce un «appalto pubblico di lavori»
e come tale dev'essere trattato all'interno
degli ordinamenti nazionali.
La disciplina antecedente faceva salva
questa impostazione, prevedendo che, a
scomputo totale o parziale degli oneri
concessori dovuti, il titolare del permesso
potesse obbligarsi a realizzare direttamente
le opere di urbanizzazione, nel rispetto del
codice dei contratti. Limitatamente alle
opere d'importo inferiore alla cosiddetta
soglia comunitaria il medesimo codice
ammetteva il ricorso a una procedura di
evidenza pubblica, seppure semplificata e
meno gravosa, rappresentata dalla cosiddetta
procedura negoziata.
L'operazione correttiva del governo Monti
non soltanto espone lo stato italiano
all'ennesima censura comunitaria, ma pone
problemi interpretativi, determinando il
rischio che la ricercata semplificazione dia
luogo a incertezza e stallo, visti gli
interrogativi cui le amministrazioni locali
dovrebbero dare una risposta prima di
applicare le nuove disposizioni.
L'interrogativo principale è: perché il
legislatore ha qualificato l'esecuzione
delle opere di urbanizzazione primaria
d'importo inferiore alla soglia comunitaria
come «a carico del titolare del permesso di
costruire» e non ha precisato, invece, che
si tratta di una prestazione obbligatoria,
effettuata dal titolare del permesso, in
alternativa al versamento degli oneri
concessori comunque dovuti e dunque a
scomputo di questi ultimi?
Nel caso in cui il governo (eludendo pure
due distinte interrogazioni presentate da
parlamentari radicali sull'argomento)
ritenga che la norma non abbia modificato
sostanzialmente il regime delle prestazioni
obbligatorie a carico del titolare del
permesso di costruire e dunque che le opere
di urbanizzazione primaria vengono comunque
effettuate «a scomputo» degli oneri
concessori dovuti, si pone comunque la
necessità di precisare la norma e di fornire
indicazioni operative.
Per questa ragione, in sede di conversione
in legge del decreto-legge per la crescita,
che contiene anche norme correttive del
testo unico per l'edilizia, sarebbe
opportuno un intervento del parlamento per
abrogare il comma 2-bis dell'art. 16 del dpr
n. 380 del 2001(modificato dal «salva
Italia») ed evitare all'Italia una probabile
procedura d'infrazione.
In via subordinata, nel caso in cui non ci
fossero le condizioni per cancellare la
norma, bisognerebbe emendare tale
disposizione, precisando in che modo debba
essere fissato il valore economico delle
opere di urbanizzazione, realizzate senza
applicare il codice dei contratti, al fine
di determinare l'importo delle somme (il
cosiddetto scomputo) che il privato detrae
da quanto dovuto a titolo di oneri
concessori.
Bisognerebbe altresì individuare la
procedura per assicurare un'appropriata e
corretta destinazione delle eventuali
economie che il privato (anche e soprattutto
grazie alla mancata applicazione del codice
dei contratti) può perseguire
nell'esecuzione delle opere
(articolo ItaliaOggi del 26.06.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Se la scuola è chiusa per neve o per altre
calamità naturali l'assenza non si recupera.
Così la Fornero sulle assenze negli uffici
pubblici. Chiusi per neve, non c'è recupero.
É quanto si evince dall'interpello
07.06.2012 n. 15/2012 emanato
dal ministero del lavoro e delle politiche
sociali.
Il dicastero guidato da Elsa Fornero, è
intervenuto in risposta a un interpello
concernente la chiusura degli uffici
pubblici a Roma, durante la nevicata del
febbraio scorso.
E ha chiarito che, nel settore pubblico, la
mancata effettuazione della prestazione
lavorativa nelle giornate di chiusura può
considerarsi ascrivibile alle ipotesi di
impossibilità sopravvenuta della prestazione
per causa non imputabile al lavoratore.
«Nello specifico» si legge nella nota «la
fattispecie prospettata sembrerebbe afferire
al c.d. factum principis, inteso quale
provvedimento autoritativo –ordinanza di
chiusura degli uffici pubblici causa neve–
che impedisce in modo oggettivo ed assoluto
l'adempimento della prestazione, ossia
l'espletamento dell'attività lavorativa,
fermo restando l'obbligo datoriale di
corrispondere la retribuzione nelle giornate
indicate». Insomma se la scuola è chiusa i
docenti e i non docenti sono impossibilitati
materialmente ad erogare la prestazione. E
ciò non dipende dalla loro volontà, ma da
fatti impeditivi non rimuovibili o
modificabili dagli stessi.
Pertanto, la
prestazione non è dovuta e, soprattutto, non
deve essere recuperata. Il chiarimento del minlavoro fa il paio con la nota 1000 del 22.02.2012 del ministero dell'istruzione.
In quell'occasione il dicastero di viale
Trastevere era intervenuto per spiegare ai
dirigenti scolastici che l'anno scolastico
vale lo stesso, anche se si scende al di
sotto dei 200 giorni di lezione, quando la
riduzione avviene per il verificarsi di «eventi imprevedibili e straordinari (ad
esempio gravi calamità naturali, eccezionali
eventi atmosferici) che inducano i sindaci
ad adottare ordinanze di chiusura delle sedi
scolastiche.».
Tale conclusione era già
stata anticipata dall'ufficio scolastico
regionale per l'Abruzzo che, in merito alle
assenze dovute alla chiusura delle scuole
per neve, nel 2005 (prot. 1700) aveva fatto
presente che: «Per quanto riguarda la
questione dell' obbligo o meno al recupero
delle giornate di lavoro non prestate»
si legge nella nota «lo scrivente ritiene
che in caso di blocco totale delle attività
didattiche ed amministrative delle
istituzioni scolastiche detto obbligo non
esista, avuto riguardo alle cause di forza
maggiore non imputabili al personale»
(articolo ItaliaOggi del 26.06.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
APPALTI - ENTI LOCALI: PAGAMENTI
P.A./ Riscossione dei crediti anticipata.
Con la certificazione l'impresa può avere
liquidità immediata. Pubblicati in GU due decreti del Mef.
È possibile anche cedere l'operazione alla
banca.
È possibile accelerare i pagamenti dei
crediti verso le pubbliche amministrazioni,
grazie a due misure ad hoc messe in campo
dal ministero dell'economia e delle finanze.
La prima misura riguarda la possibilità di
richiedere la certificazione dei crediti
verso le pubbliche amministrazioni, la
seconda di ottenere l'estinzione del credito
mediante il rilascio dei titoli di stato.
La
certificazione dei crediti permetterà di
ottenere l'anticipazione del credito dalla
banca e avere quindi subito liquidità,
oppure di effettuare la cessione del credito
in banca o in alternativa la compensazione
dei crediti verso le p.a. con le somme
iscritte a ruolo.
Certificazione dei crediti per accelerare i
pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni.
Con decreto del 22 maggio, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 143 del 21 giugno
scorso (si veda ItaliaOggi del 22 giugno) il
ministero dell'economia e delle Finanze ha
definito le modalità per richiedere la
certificazione del credito di somme per
somministrazione, forniture e appalti da
parte delle Amministrazioni dello Stato e
degli enti pubblici nazionali. La
certificazione dei crediti può essere
richiesta solo per crediti non prescritti,
certi, liquidi ed esigibili.
Con la
certificazione l'amministrazione o ente
debitore accetta preventivamente la
possibilità che il credito venga ceduto a
banche o intermediari finanziari abilitati
ai sensi della legislazione vigente. Gli
obbiettivi di questa misura, possono essere
così riassunti: fornire liquidità alle
imprese, rendere semplice per fornitori e
debitori il meccanismo della certificazione,
superando la frammentazione sul territorio,
ridurre il rischio di inerzia della pubblica
amministrazione ed infine favorire una
risoluzione per i debiti iscritti a ruolo.
Come presentare l'istanza di certificazione
del credito. La certificazione del credito
può essere richiesta in maniera ordinaria
(cartacea), oppure in maniera telematica. Al
momento la possibilità di presentare
l'istanza cartacea è già operativa, mentre
per la modalità telematica sarà necessario
attendere qualche mese affinché la
piattaforma telematica sia attivata.
Nel caso della procedura cartacea il
procedimento è il seguente: i titolari dei
crediti possono presentare
all'amministrazione o ente debitore
l'istanza di certificazione del credito
utilizzando il modello allegato 1
disponibile sul sito web del Mef. Entro 60
giorni dalla ricezione dell'istanza
l'amministrazione o ente debitore, certifica
che il credito è certo, liquido ed
esigibile, oppure ne rileva l'insussistenza
o l'inesigibilità, anche parziale del
credito. La certificazione non può essere
rilasciata qualora risultino procedimenti
giurisdizionali pendenti, per la medesima
ragione di credito.
Prima di rilasciare la
certificazione, per i crediti di importo
superiore a diecimila euro,
l'amministrazione o ente debitore procede,
ricorrendone i presupposti, alla verifica
prescritta dall'art. 48-bis del decreto del
Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602. Nel caso di accertata
inadempienza all'obbligo di versamento
derivante dalla notifica di una o più
cartelle di pagamento, la certificazione ne
da' atto e viene resa al lordo delle somme
ancora dovute, il cui importo viene comunque
indicato nella certificazione medesima.
Possibile la compensazione dei crediti vs le
p.a. con le somme iscritte a ruolo. Nel caso
di esposizione debitoria del creditore nei
confronti della stessa amministrazione, il
credito può essere certificato, e
conseguentemente ceduto o oggetto di
anticipazione, al netto della compensazione
tra debiti e crediti del creditore istante
opponibile esclusivamente da parte
dell'amministrazione debitrice.
Come procedere se entro la scadenza prevista
la p.a. non certifica il credito. Se entro
60 giorni dalla presentazione dell'istanza
di certificazione l'Amministrazione
debitrice non rilascia la certificazione ne
rileva l'inammissibilità del credito, il
creditore può presentare istanza di nomina
di un commissario ad acta alla competente
Ragioneria territoriale dello Stato
utilizzando l'apposito allegato 1-bis,
disponibile sul sito del Mef. Il direttore
della competente Ragioneria territoriale
dello Stato, entro il termine di dieci
giorni dal ricevimento dell'istanza nomina
un commissario ad acta.
Il commissario ad acta provvede al rilascio della
certificazione, entro i successivi cinquanta
giorni dalla nomina, e ne da' contestuale
comunicazione. Nel caso in cui la domanda di
certificazione sia stata fatta mediante
piattaforma elettronica, anche l'istanza di
nomina di un commissario ad acta deve essere
fatta mediante la procedura informatica. Il
commissario ad acta provvede al rilascio
della certificazione
in forme telematiche utilizzando il modello
generato dal sistema, conforme all'allegato
2-bis entro i successivi cinquanta giorni
dalla nomina, e ne dà contestuale
comunicazione all'ente debitore
(articolo ItaliaOggi
Sette del 25.06.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
ENTI LOCALI: Decreto
sviluppo. Le «determine». Dirigenti:
decisioni da pubblicare on-line.
Gli enti locali sono
tenuti a pubblicare le determine, cioè le
decisioni dei dirigenti, sull'albo pretorio
online.
A chiudere l'incertezza sull'esistenza o no
dell'obbligo è il decreto legge sviluppo,
approvato il 15 giugno dal Consiglio dei
ministri.
Il provvedimento, infatti, punta sulla
trasparenza nei rapporti economici tra Pa,
imprese e cittadini e introduce una
disposizione (dal titolo significativo «amministrazione
aperta») che prevede la pubblicità
obbligatoria su internet delle spese
superiori a 1.000 euro: sovvenzioni,
contributi, sussidi e compensi per servizi,
incarichi e consulenze. La pubblicazione
costituirebbe condizione legale di efficacia
del titolo legittimante le concessioni e
delle attribuzioni, vale a dire compensi per
prestazioni, appalti, contributi, sussidi
eccetera.
La norma ha ricadute sugli enti locali. In
primo luogo, ha l'effetto, implicitamente,
di porre fine in via definitiva alla
problematica della sussistenza o no
dell'obbligo di pubblicare i provvedimenti
gestionali, come le determine, che
costituiscono, di fatto, il titolo per lo
svolgimento di incarichi, prestazioni e
forniture nell'ambito dell'ente locale e il
titolo per percepire i compensi.
Finora, infatti, vi è stata incertezza
sull'obbligo di pubblicare le determine
sull'albo pretorio informatico comunale:
alcuni enti ritengono che questo obbligo
normativo non sussista, non ritenendo di
portata generale la sentenza del Consiglio
di Stato 1370 del 2006 secondo la quale «la
pubblicazione all'albo pretorio del Comune è
prescritta dall'articolo 124 del Testo unico
267/2000 per tutte le deliberazioni del
comune e della provincia ed essa riguarda
non solo le deliberazioni degli organi di
governo (consiglio e giunta municipali) ma
anche le determinazioni dirigenziali,
esprimendo la parola "deliberazione" ab
antiquo sia risoluzioni adottate da organi
collegiali che da organi monocratici ed
essendo l'intento quello di rendere pubblici
tutti gli atti degli enti locali di
esercizio del potere deliberativo,
indipendentemente dalla natura collegiale o
meno dell'organo emanante».
In base al decreto sviluppo, quindi, le
determine che comportano impegni di spesa e
in specifico quelle di liquidazione,
vedrebbero al loro interno un ulteriore
elemento costitutivo, ossia la necessaria
pubblicazione del loro contenuto sul sito
web del comune. Di conseguenza, l'ufficio di
ragioneria, prima di emettere il mandato,
dovrebbe verificare l'esecuzione di questo
adempimento per evitare di incorrere in
responsabilità
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.06.2012). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
pubblici sotto esame. Ridefinizione per
attribuire in esclusiva o liberalizzare le
gestioni. Concorrenza. Le indicazioni
dell'Antitrust sull'attuazione del percorso
delineato dalla legge 148/2011.
La verifica per l'attribuzione dei diritti
di esclusiva serve per una complessiva
ridefinizione del servizio pubblico locale,
consentendo anche di rilevare le criticità
più significative. Lo ha chiarito l'Autorità
garante della concorrenza e del mercato,
che, per voce di Arduino D'Anna, funzionario
della Direzione servizi pubblici locali e
promozione concorrenza, durante un convegno
organizzato il 20 giugno a Bologna, ha
fornito alcune indicazioni sul percorso
previsto dall'articolo 4 della legge
148/2011: in base al quale, entro il 13
agosto, gli enti territoriali con più di
10mila abitanti devono inviare all'Authority
per il parere obbligatorio le delibere con
cui devono decidere se liberalizzare o
attribuire diritti di esclusiva sulle
gestioni.
La legge 148 riguarda i servizi pubblici di
rilevanza economica. D'Anna ha evidenziato
come la rilevanza economica derivi dalla
possibilità del gestore di realizzare ricavi
in grado di coprire i costi, a prescindere
dalla circostanza che i primi siano frutto
di sussidi pubblici. È quindi irrilevante
che il servizio possa essere reso alla
collettività senza oneri diretti a carico
degli utenti, determinando quindi uno
spettro molto ampio di servizi qualificabili
come a rilevanza economica. Da questi,
tuttavia, l'Autorità sembra escludere quelli
sociali, per il loro carattere non profit.
Viene evidenziato come l'obbligo di servizio
pubblico sia direttamente legato
all'esigenza di assicurare l'universalità e
l'accessibilità dei servizi pubblici e
corrisponda a quella parte di servizi che
qualsiasi operatore, se dovesse avere a
riguardo solo il proprio interesse
commerciale, non assumerebbe o assumerebbe
solo se adeguatamente compensato.
L'Autorità rileva come nella verifica per
l'attribuzione dei diritti di esclusiva sia
necessario analizzare il profilo economico
connesso. Infatti le compensazioni per gli
obblighi del servizio, che gli enti possono
prevedere se necessario, possono celare
inefficienze del gestore uscente, ma possono
anche violare (in caso di eccesso) le norme
comunitarie sugli aiuti di stato. In base a
questa valutazione, la scelta tra
affidamento in esclusiva dell'intero
servizio o la sperimentazione di una
concorrenza nel mercato su porzioni di
questo (con la liberalizzazione) è legata ai
possibili benefici delle due alternative
sull'ammontare complessivo delle
compensazioni e sulle tariffe pagate
dall'utenza.
Rispetto al percorso previsto dall'articolo
4 della legge 148/2011, l'Agcm focalizza
vari aspetti critici, a partire dalla
definizione degli ambiti territoriali
ottimali: sul punto l'Antitrust fornisce un
input alle Regioni, evidenziando come
l'operazione dovrebbe avvenire non su
profili amministrativi, ma in modo da
ottenere economie di scala e di
differenziazione (con peculiarità per ogni
settore). Per l'Autorità l'elemento-chiave è
individuato nella definizione dei servizi
minimi e degli obblighi di servizio
pubblico: occorre aggiornare i dati relativi
alla domanda di servizio pubblico e arrivare
a una nuova decisione politica in merito
alla quantità e qualità di questa domanda
che si intende soddisfare con l'intervento
pubblico, anche per eliminare
sovrapposizioni tra servizi.
Una volta ridefinito il servizio pubblico,
l'amministrazione dovrebbe elaborare i dati
a disposizione per tracciare una stima della
redditività reale o potenziale del servizio
o di sue singole parti. Questi dati
dovrebbero essere quindi ricondotti a un
confronto con gli operatori economici
(pubblici e privati), anche per far emergere
le attività più redditive e quelle più
critiche. A fronte dei dati elaborati e dei
riscontri del mercato, secondo l'Agcm,
l'amministrazione dovrebbe verificare
l'esistenza degli eventuali benefici che
deriverebbe dal mantenimento della gestione
in esclusiva e quindi liberalizzare tutte le
attività per le quali questi benefici non ci
sono: come le attività risultanti da
sovrapposizioni di servizi, a loro volta
desumibili dalla pianificazione.
D'Anna ha proposto, interpretando la norma,
che l'obbligatorietà della verifica dovrebbe
essere esclusa in tutti quei casi in cui la
struttura dei mercati coinvolti sia tale da
anticipare ragionevolmente l'assoluta
impossibilità di sperimentare forme di
concorrenza «nel mercato», ossia nei
casi di monopolio naturale.
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le indicazioni sulle gare
01 | I LEGAMI
L'Antitrust raccomanda agli enti locali
anzitutto di evitare che la procedura
concorsuale possa risentire dell'intreccio
tra amministrazione appaltante e impresa
controllata. Attenzione quindi alle
disposizioni contenute nel bando e nel
capitolato di gara: soprattutto alla
delimitazione del servizio oggetto
dell'appalto, alla ripartizione in lotti, ai
requisiti richiesti alle imprese e ai
criteri di aggiudicazione.
02 | LE ASSOCIAZIONI
TEMPORANEE
Nella gara devono essere inserite clausole
per evitare che le associazioni temporanee
di operatori economici si configurino non
come strumenti di partecipazione, ma come
soluzioni per formare intese
anticoncorrenziali.
03 | I DIPENDENTI
Sulla clausola di tutela del personale del
gestore uscente, l'Agcm precisa che, dato
l'obiettivo principale del legislatore di
favorire la protezione dei lavoratori,
tuttavia l'obbligo di rispettare la clausola
sociale non impone un determinato modello di
contrattazione collettiva. L'Autorità ha
anzi evidenziato più volte le distorsioni
legate al fatto che un soggetto pubblico
affidante imponga un contratto per i profili
economici: la previsione riduce la
concorrenza, costituendo una barriera
all'entrata o innalzando i costi degli
operatori già presenti che adottano un
contratto di lavoro diverso.
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Obblighi verso i
cittadini, compensazioni eque.
LA PRECISAZIONE/ Nei mercati «aperti» la Pa
deve permettere a tutti gli imprenditori di
settore di operare contemporaneamente.
Sono in fase di completamento le regole per
la verifica finalizzata all'attribuzione dei
diritti di esclusiva nei servizi pubblici
locali. E alcune modifiche sono state
introdotte dal Consiglio di Stato. La
sezione consultiva per gli atti normativi ha
infatti dato parere favorevole, con il
documento 2805 dell'11 giugno, allo schema
di decreto ministeriale che definisce il
percorso dell'istruttoria e dei contenuti
della delibera quadro, previsto
dall'articolo 4, comma 33-ter, della legge
148/2011, e ha proposto la riformulazione di
numerose disposizioni: modifiche destinate a
essere recepite. Inoltre, il Consiglio di
Stato ha fornito chiarimenti e alcune
definizioni essenziali.
In particolare, il Consiglio di Stato ha
spiegato che nei mercati non ancora
completamente liberalizzati (nei quali,
cioè, non possono operare tutti i soggetti
interessati), la pubblica amministrazione si
limita a rispettare la concorrenza per il
mercato: vale a dire che deve scegliere
l'imprenditore cui affidare l'erogazione di
un determinato servizio mediante procedure a
evidenza pubblica, in modo da assicurare che
vengano individuati l'operatore più idoneo a
effettuare il servizio e gli investimenti
alle migliori condizioni possibili.
In un ambito di servizi liberalizzato,
invece, deve essere assicurata la
concorrenza nel mercato, che consente agli
imprenditori del settore di operare
contemporaneamente nel mercato rilevante ad
armi pari, riuscendo a soddisfare le
esigenze della comunità amministrata, con
accesso allo stesso mercato libero o, al
più, subordinato al rilascio di
autorizzazioni vincolate.
Nel parere si chiarisce anche che in
situazioni di monopolio naturale (come nel
caso di unicità dell'impianto da gestire),
la verifica deve essere anticipata rispetto
a quella relativa alla possibilità di
procedere a una liberalizzazione, per non
appesantire inutilmente l'attività degli
enti locali.
Gli enti affidanti, inoltre, dovranno porre
attenzione particolare nell'analisi delle
compensazioni corrisposte per gli obblighi
di servizio pubblico, verificando che non
siano eccessive e che non vadano a violare,
quindi, la normativa comunitaria in materia
(Comunicazioni e decisioni della commissione
del 20.12.2011), in quanto verrebbero a
configurarsi come aiuti di Stato.
Il Consiglio di Stato evidenzia anche
l'obbligatorietà della consultazione degli
operatori economici quando non sia possibile
stimare la redditività del servizio o non
emerga con chiarezza la possibilità di
liberalizzare il servizio, o singole fasi di
esso.
Per evitare elusioni delle finalità
principali della nuova disciplina, il
Consiglio di Stato chiede che nel decreto
ministeriale sia precisato che l'affidamento
in esclusiva dei servizi non deve essere
esteso o abbinato ad attività che possono
essere svolte in regime di concorrenza.
L'importanza della verifica ai fini del
riassetto strategico e dell'affidamento di
un servizio pubblico locale è dimostrata,
peraltro, da alcune esperienze, come quella
del Comune di Torino, che con la
deliberazione 78 dell'11 giugno ha approvato
il quadro per l'attribuzione dei diritti di
esclusiva in relazione ai servizi ambientali
(gestione del ciclo integrato dei rifiuti)
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.06.2012 - link a
www.corteconti.it). |
aggiornamento al 25.06.2012 |
|
INCARICHI PROGETTUALI: Parcelle
più leggere per i tecnici. Spese e oneri
dell'attività fuori dalla liquidazione dei
compensi. Il decreto con i parametri di
riferimento riduce gli onorari dei
professionisti fino al 30%.
Parcelle più leggere
fino al 30% per le prestazioni professionali
di area tecnica. Per lo meno nel calcolo
degli onorari giudiziari. Anche se, a detta
di molti, i nuovi parametri per la
liquidazione dei compensi diventeranno
implicitamente i nuovi riferimenti tariffari
nella contrattazione con i clienti.
Secondo l'atteso decreto che contiene i
criteri per la liquidazione degli onorari
per le professioni regolamentate (si veda
ItaliaOggi di ieri), infatti, sul calcolo
dovuto per esempio a un'opera di
progettazione o direzione lavori, di
verifica o collaudo di un impianto elettrico
scompare qualsiasi rimborso delle spese e
degli oneri sostenuti per svolgere
l'attività. Il che significa una media di
circa il 20-30% in meno dei compensi
professionali dovuti fino ad ora, quando
queste spese venivano calcolate a piè di
lista o su base forfettaria fino a un
massimo del 60% degli onorari. In sostanza
se, per esempio, per una ristrutturazione
edilizia del valore di 100 mila euro il
professionista fino ad ora avrebbe incassato
circa 13 mila euro e a queste, poi, aggiunto
tutti i rimborsi e spese sostenute per
l'attività, ora queste voci saranno
ricomprese nel calcolo totale.
Un passaggio che ha fatto andare su tutte le
furie le diverse rappresentanze delle
professioni tecniche. Basti pensare, spiega
Pasquale Caprio, presidente del dipartimento
competenze e compensi professionale del
Consiglio nazionale degli architetti, «che
secondo le nostre simulazioni effettuate
sulla base di questi parametri il compenso,
per esempio, su una progettazione di un
edificio scolastico, sarà decurtato ancora
di più rispetto al criterio tariffario
risalente a una vecchia legge del 1949 il
cui ultimo aggiornamento risale a oltre 30
anni fa, nel 1987». Ma non solo, perché
il regolamento messo a punto dal ministro
della giustizia, Paola Severino, lascia
anche un margine di discrezionalità nella
mani del giudice che, si legge nell'articolo
36 del testo, «in considerazione della
natura dell'opera, del pregio della
prestazione, dei risultati e dei vantaggi
anche economici, può aumentare o diminuire
il compenso di regola fino al 60%».
Una norma questa che sono in molti a
ritenere addirittura frutto di un svista: «mi
sembra un passaggio incongruo», spiega
il numero degli ingegneri Armando Zambrano,
«perché se c'è una complessità specifica
che nel testo è stata ricompresa in una
determinata forbice di valore, allora non si
capisce questo abbattimento o questa
maggiorazione a cosa serva. Se, poi, si
tratta di considerare l'eventuale urgenza
della prestazione allora la diminuzione non
ha alcun senso».
Dito puntato anche per la scomparsa di
qualsiasi riferimento di un parametro legato
alla prestazione a ora, quella che nei
vecchi tariffari era detta a vacazione: «Il
mio tempo, in sostanza non vale nulla»,
tuona ancora Capria, «perché qualora non
si possa far riferimento ai parametri ma si
debba considerare il fattore tempo, il
professionista non potrà essere pagato».
In tutto questo i professionisti di area
tecnica, dunque, salvano solo un principio:
il regolamento in questione una volta
entrato in vigore diventerà il nuovo punto
di riferimento per le stazioni appaltanti da
utilizzare per le gare di progettazione.
«Un passaggio importante», spiega il
numero uno dei periti industriali Giuseppe
Jogna, «che finalmente porrà fino
all'arbitrio delle amministrazioni pubbliche
nel calcolo degli onorari dovuto all'assenza
di riferimenti per la cancellazione delle
tariffe e soprattutto alla tentazione di
sottostimarne gli importi. D'ora in poi,
quindi, chi determinerà il bando farà
importi compatibili con tali parametri e
soprattutto con la logica del lavoro»
(articolo ItaliaOggi del
23.06.2012). |
EDILIZIA PRIVATA: DECRETO
CRESCITA/
Ristrutturazioni legate ai bonifici.
Detrazione del 50%: conta il pagamento entro
giugno 2013. Il nuovo beneficio scatterà
dalla pubblicazione del dl in Gazzetta.
Detrazione al 50% sulle ristrutturazioni
edilizie ancorata alla data di pagamento che
deve avvenire necessariamente mediante
bonifico bancario e/o postale,
nell'intervallo tra la data di entrata in
vigore del «dl crescita» e il 30.06.2013.
Con
l'articolo 11, del decreto citato
(si veda ItaliaOggi 16/06/2012), il
legislatore è intervenuto a innalzare le
soglie di detrazione ai fini Irpef delle
ristrutturazioni, in un tempo limitato di
circa un anno, prevedendo una nuova
percentuale di detrazione (50%) e una nuova
soglia (96 mila euro) per ciascuna unità
abitativa.La disposizione, come indicato
nella relazione illustrativa, tende a
favorire le imprese operanti nel comparto
edile, attualmente in forte crisi,
innescando un maggior interesse da parte dei
contribuenti a eseguire interventi di
ristrutturazione edilizia; la
contrapposizione di interessi tra il
committente e il prestatore comporta,
inevitabilmente, un incremento di fatturato
(e di maggiori imposte) per il prestatore e
il contenimento della pressione fiscale a
cura del contribuente (detrazione spendibile
in un decennio che abbatte, fino a
concorrenza, l'Irpef dovuta).
In pratica, dal
momento in cui il decreto in commento entra
in vigore (la pubblicazione è attesa per i
primi giorni della prossima settimana),
nonostante la presenza dell'articolo 16-bis,
dpr n. 917/1986 che prevede la detrazione
del 36% da calcolarsi su un tetto ridotto
pari a 48 mila euro, il committente potrà
ottenere maggiori benefici. Innanzitutto, la
disposizione fissa un criterio di «cassa»
per l'applicazione della nuova detrazione
(50% su 96 mila euro di spesa), facendo
riferimento alle spese «sostenute» dalla
data di entrata in vigore del decreto fino
al 30.06.2013, per gli interventi di
ristrutturazione indicati nel citato art.
16-bis del Tuir (manutenzione, restauro,
risanamento conservativo e quant'altro), a
prescindere dalla categoria catastale
attribuita all'unità abitativa, comprese le
rurali, di cui al comma 3, art. 9, dl n.
557/1993.
Se l'unità immobiliare è cointestata, il
nuovo limite deve essere suddiviso tra i
proprietari, tenendo conto che può
utilizzare il bonus anche solo il
contribuente che detiene l'unità abitativa,
a prescindere dalla proprietà che può essere
di altro soggetto (si parla di promittente
acquirente, di locatario e di comodatario).
Inoltre, il comma 4, del citato art. 16-bis
del Tuir dispone che se gli interventi sono
una mera prosecuzione di interventi iniziati
in anni precedenti, si deve tenere conto, ai
fini del computo della soglia, anche delle
spese sostenute nei medesimi (precedenti)
anni (Agenzia delle entrate, circ. 9/E/2002
§ 7.3 e n. 15/E/2002) mentre il tetto può
essere «sbancato» quando i lavori eseguiti
in un determinato anno consistono in nuovi
interventi di recupero (Agenzia delle
entrate, circ. 9/E/2012 § 7.4), con
riferimento ai contenuti di ogni
concessione, autorizzazione o comunicazione
di inizio lavori.
Di conseguenza, se il
contribuente nel corso del 2012 ha già
iniziato una ristrutturazione, raggiungendo
nel corso del mese di maggio la soglia di 48
mila, dopo l'emanazione del decreto in
commento potrà arrivare sino a 96 mila euro,
detraendo sull'ulteriore quota (48 mila
euro) il 50%, in luogo del 36%. Pertanto, il
limite di spesa, per il medesimo intervento
eseguito nel corso del 2012, passa da 48
mila a 96 mila anche se riferibili alla
stessa concessione o autorizzazione, mentre
il contribuente dovrà solo preoccuparsi,
salvo diverse precisazioni ministeriali, di
eseguire il pagamento (bonifico) in data
successiva all'entrata in vigore del decreto
sviluppo.
Infatti, il beneficiario del
bonus, oltre che ottenere la fattura del
prestatore emessa nel rispetto delle
disposizioni di cui all'art. 6, dpr n.
633/1972 (momento del pagamento o, se in
data anteriore, dell'emissione della fattura
o del pagamento dell'acconto) deve fare
attenzione che i pagamenti siano eseguiti
nell'intervallo tra la data di entrata in
vigore del decreto sviluppo e quella del
30/06/2013. È necessario, inoltre, eseguire
il pagamento mediante bonifico bancario e/o
postale, contenente la causale di pagamento,
nonché il codice fiscale del destinatario
della detrazione e il codice fiscale o la
partita Iva del beneficiario del bonifico
(Agenzia delle entrate, ris. n. 55/E/2012).
La procedura in commento si rende
applicabile, per espressa previsione
legislativa (comma 2, dell'art. 11 dl
sviluppo) anche alle spese destinate al
risparmio energetico (55%) e, pertanto, per
quelle sostenute nel corso dell'anno 2012 si
avranno due distinte entità di detrazione:
sino alla data di entrata in vigore del
decreto, infatti, ai bonifici eseguiti per
il pagamento delle fatture ricevute sino a
tale data, si rende applicabile la
detrazione del 36%, mentre per le spese
sostenute da tale data sino al 30/06/2013 si
renderà applicabile la detrazione del 50%.
Ciò in conseguenza della modifica introdotta
dal decreto in commento che anticipa
l'assorbimento di tali spese tra quelle
indicate nell'art. 16-bis del Tuir, a
decorrere dall'01/01/2012, anziché
dall'01/01/2013
(articolo ItaliaOggi del
22.06.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Pensionati, indennità piena. Metà
somma se il lavoratore non chiede
aspettativa. L'amministratore comunale ha
diritto a percepirla nella misura intera.
Qual è l'esatta
corresponsione dell' indennità di funzione
dovuta ad un amministratore comunale in
quiescenza?
L'art. 82 del decreto legislativo n.
267/2000, al comma 1, prevede il
dimezzamento dell'indennità di funzione per
i lavoratori dipendenti che non abbiano
richiesto di essere collocati in aspettativa
non retribuita.
La ratio di tale disposizione è di
differenziare il trattamento economico tra i
soggetti che si trovano in situazioni
diverse, ossia tra quelli cui la legge
riconosce il diritto di porsi in aspettativa
non retribuita e quelli che non possono
avvalersi di tale facoltà, quali i
lavoratori autonomi, i disoccupati, gli
studenti e, come nel caso di specie, i
pensionati.
Pertanto, l'amministratore comunale avrà
diritto a percepire l'indennità di funzione
nella misura intera
(articolo ItaliaOggi del
22.06.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità di
cui all'art. 63, comma 1, n. 1, a carico di
un consigliere ed assessore di un comune,
che riveste la carica di presidente di una
società sportiva legata all'ente da una
convenzione triennale, dal quale riceve un
contributo per la promozione dell'attività
sportiva, svolta in ambito comunale, che non
supera il 10% del bilancio dell'ente
beneficiario?
L'art. 63, comma 1, n. 1 del decreto
legislativo n. 267/2000 prevede due ipotesi
di incompatibilità con la carica di
consigliere alternative fra loro: l'una
relativa alla posizione dell'amministratore
di un ente soggetto a vigilanza del comune,
in cui vi sia almeno il 20% di
partecipazione da parte dello stesso;
l'altra connessa, invece, alla posizione
dell'amministratore di un ente che riceva
dal comune, in via continuativa, sovvenzioni
facoltative che superino nell'anno il 10%
del totale delle proprie entrate.
Il caso in esame ricade nella seconda delle
ipotesi sopra indicate, dato che la società
sportiva, legata all'ente da una convenzione
triennale, riceve un contributo per la
promozione dell'attività sportiva svolta
nell'ambito comunale; considerato che la
sovvenzione non supera il 10% del bilancio
dell'ente beneficiario, non sembrerebbero
sussistere forme di ingerenza dell'ente
nell'attività del sodalizio, tali da
consentire al comune di concorrere alla
formazione della volontà della società. Una
causa ostativa all'esercizio del mandato
potrebbe, invece, configurarsi in base
all'ipotesi di cui al n. 2 del comma 1 del
citato art. 63, qualora la società avesse
parte, direttamente o indirettamente, in
servizi nell'interesse del comune.
In proposito occorrerebbe accertare se il
consiglio comunale si fosse già espresso
sulla posizione dell'interessato in sede di
convalida degli eletti o, successivamente,
in esito alla procedura prevista dall'art.
69 del Tuel. Se il consiglio non si fosse
pronunciato, la questione dovrebbe essere
posta alla sua attenzione in ottemperanza al
principio generale per cui ogni organo
collegiale delibera circa la regolarità dei
titoli di appartenenza dei propri
componenti.
Pertanto, le eventuali determinazioni
autonomamente assunte dal consiglio comunale
possono formare oggetto di ricorso innanzi
all'autorità giudiziaria
(articolo ItaliaOggi del
22.06.2012). |
APPALTI: Durc a norma con
l'invito.
In caso di irregolarità 15 giorni per
rimediare. L'Inail
ricorda alle proprie sedi che l'avviso è
parte integrante dell'iter.
L'irregolarità contributiva ai fini del Durc
non può essere dichiarata se prima l'impresa
non è stata invitata alla regolarizzazione,
assegnando un termine di 15 giorni. Infatti,
l'invito è parte integrante del procedimento
amministrativo e, come tale, non può essere
omesso senza inficiare la regolarità e la
legittimità del conseguente certificato
unico di regolarità contributivo (Durc)
emesso.
Lo precisa, tra l'altro, l'Inail nella
nota 14.06.2012 n. 3760 di prot..
Durc e regolarità. I chiarimenti dell'Inail
arrivano in seguito a segnalazioni circa il
non corretto operato di alcune sedi
territoriali dell'istituto le quali,
appunto, rilascerebbero l'irregolarità
contributiva senza aver prima invitato
l'impresa alla regolarizzazione.
Quest'ultimo passaggio, invece, come
previsto dalle norme vigenti e come ribadito
dallo stesso istituto (tra l'altro nella
circolare n. 22/2011, si veda ItaliaOggi del
25.03.2011).
Infatti, l'articolo 7, comma
3, del decreto ministeriale 24.10.2007
stabilisce che, nel caso in cui l'impresa,
in sede istruttoria, risulti inadempiente,
gli enti previdenziali prima di emettere il
certificato attestante l'irregolarità hanno
l'obbligo di invitarla a regolarizzare la
posizione contributiva, assegnando un
termine di 15 giorni. In tal caso, l'invito
alla regolarizzazione sospende i termini di
rilascio del Durc.
I chiarimenti. Alla luce della normativa
vigente, precisa l'Inail, tranne le ipotesi
di richiesta di Durc per verifica di
autodichiarazione, l'invito alla
regolarizzazione è un atto dovuto per la
correttezza del procedimento amministrativo
e la successiva legittimità del certificato
emesso. Peraltro, aggiunge l'Inail,
l'eventuale rilascio di un Durc irregolare
ha delle conseguenze rilevanti, soprattutto
nel settore degli appalti, in quanto può
essere anche causa di risoluzione del
contratto e, dunque, è importante che le
sedi territoriali seguano scrupolosamente
l'iter previsto per il suo rilascio (per
evitare, evidentemente, di essere chiamate
direttamente in causa sulla responsabilità
di un'eventuale perdita dell'appalto da
parte dell'impresa).
Ancora, l'Inail
conferma l'opportunità che, in fase di
lavorazione dei Durc, le sedi territoriali
procedano preliminarmente alle eventuali
sistemazioni contabili (quali i giroconto
eccedenze, le sistemazione scarti ecc.) in
modo da mantenere costantemente aggiornata e
monitorata la situazione contributiva delle
aziende e così facilitare le relative
verifiche di regolarità.
Infine, l'Inail
ricorda che, nel caso di Durc richiesto
dalla stazione appaltante o
dall'amministrazione procedente per verifica
dell'autodichiarazione prodotta
dall'impresa, la regolarità deve sussistere
alla data della stessa dichiarazione
sostitutiva (con conseguenze, anche penali,
in ordine alla falsità di quanto auto
dichiarato dalla ditta) e quindi non può
ammettersi la regolarizzazione
(articolo ItaliaOggi del 19.06.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
DECRETO CRESCITA/
Permessi agevolati con le autocertificazioni.
Permessi edilizi più facili. Laddove la
normativa richieda l'acquisizione di atti o
pareri di enti appositi, oppure l'esecuzione
di verifiche preventive, sarà possibile
produrre delle autocertificazioni con
l'ausilio di un professionista e velocizzare
così la procedura. Naturalmente resta salva
la possibilità di operare successivamente la
verifica da parte delle amministrazioni
competenti. Ma tanto nel caso della denuncia
di inizio attività (Dia) tanto in quello
della segnalazione certificata di inizio
attività (Scia) sarà sufficiente, in via
generale, l'asseverazione di tecnici
abilitati che attestino il rispetto di tutti
i requisiti di legge.
È quanto prevede il
pacchetto sviluppo con lo scopo di rimuovere
gli ostacoli burocratici che spesso
rallentano gli interventi edilizi. Lo
snellimento, precisa tuttavia il
provvedimento, non opererà laddove
sull'immobile «sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali»
oppure qualora siano interessati edifici
preposti «alla difesa nazionale, alla
pubblica sicurezza, all'immigrazione,
all'asilo, alla cittadinanza,
all'amministrazione della giustizia o delle
finanze».
In arrivo con il decreto anche il Piano
nazionale per le città. Dedicato sia alla
riqualificazione delle aree urbane, in
particolare quelle più degradate, sia alla
realizzazione di nuove infrastrutture. Sarà
il ministro Corrado Passera a definire con
decreto la cabina di regia del progetto, che
sarà composta da rappresentanti dei vari
ministeri interessati, ma anche, tra gli
altri, dell'Agenzia del demanio, della Cdp,
della Conferenza delle regioni e delle
province autonome e dell'Anci.
Saranno
proprio i comuni a dover mettere a punto
appositi «contratti di valorizzazione
urbana», recanti l'insieme degli interventi
da effettuare nelle aree degradate, i
finanziamenti necessari (sia pubblici sia
privati), i soggetti coinvolti e il cronoprogramma. La cabina di regia
selezionerà le opere da effettuare sulla
base di criteri quali l'immediata
cantierabilità, la capacità di far
convergere fondi pubblici e privati, la
riduzione di fenomeni di tensione abitativa
e l'efficientamento dei trasporti urbani.
Per alimentare il Piano nazionale per le
città viene attivato un apposito fondo di
spesa, che sarà operativo per gli anni dal
2012 al 2017. Complessivamente, gli importi
messi subito a disposizione dal governo
ammontano a 224 milioni di euro. Uno dei
compiti principali della cabina di regia, si
legge nella relazione al pacchetto sviluppo,
sarà quello di «coordinare i diversi
soggetti istituzionali interessati, al fine
di ridurre al massimo possibili impedimenti
che rallentino l'attuazione degli stessi».
Previste pure norme per consentire la
razionalizzazione degli interventi
riguardanti i programmi integrati
disciplinati dall'articolo 18 del dl n.
152/1991, relativi alla costruzione di
alloggi di edilizia sovvenzionata ed
agevolata da concedere in locazione al
personale delle amministrazioni statali
impegnato nella lotta alla criminalità
organizzata (articolo
ItaliaOggi Sette del 18.06.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
DECRETO CRESCITA/ Gli interventi in
materia di costruzioni varate dal Cdm. Iva e
Imu per dare ossigeno alle
imprese. Maxidetrazione sui lavori edili.
Ristrutturare casa conviene di più.
Iva e Imu per aiutare le imprese edili a
uscire dalla crisi. Conferma delle
detrazioni Irpef per ristrutturazioni e
risparmio energetico per alleggerire le
spese delle famiglie e stimolare la domanda.
Sono questi gli interventi in materia di
costruzioni varati dal governo con il
pacchetto sviluppo approvato venerdì (si
veda ItaliaOggi del 16 giugno). Misure che
non si limitano all'ambito fiscale, ma che
includono anche semplificazioni
amministrative in tema di autorizzazioni e
pareri per le attività edilizie.
Senza
dimenticare il Piano nazionale per le città,
finalizzato a riqualificare le aree urbane
(specie quelle maggiormente degradate) e a
sviluppare una sinergia trasparente ed
efficiente tra sistema pubblico e imprese
private.
Iva. Una prima importante boccata d'ossigeno
per le imprese di costruzione arriva dalla
modifica dell'articolo 10, comma 1, numeri
8), 8-bis) e 8-ter) del dpr n. 633/1972. Per
effetto della normativa vigente finora,
infatti, le cessioni di immobili destinati
ad uso abitativo effettuate dalle imprese
dopo cinque anni dalla costruzione restavano
esenti da Iva. Allo stesso modo la maggior
parte delle locazioni effettuate
direttamente dal soggetto edificatore oltre
il predetto termine quinquennale. In tali
ipotesi, gli imprenditori edili non potevano
perciò compensare l'Iva pagata per
l'acquisto di beni e servizi relativi
all'immobile, dovendo semmai restituire
all'erario l'Iva a credito portata
provvisoriamente in detrazione. Con la
modifica introdotta dal pacchetto sviluppo,
invece, l'Iva sarà applicata anche decorsi i
cinque anni, riportando l'imposta a una
condizione di neutralità nei confronti degli
imprenditori edili.
Secondo l'Ance,
ipotizzando una percentuale di immobili
invenduti (o non locati) entro cinque anni
dalla costruzione pari al 6%, le risorse
economiche che potranno essere «liberate», e
quindi reinvestite dalle imprese, ammontano
a circa 840 milioni di euro annui, capaci di
innescare una ricaduta positiva sul sistema
economico di circa 2,8 miliardi, con un
aumento dei livelli occupazionali di 14 mila
unità.
Imu. Un altro salvagente lanciato da palazzo
Chigi a un settore in forte crisi come
quello dell'edilizia è rappresentato
dall'esenzione Imu sugli immobili invenduti.
La norma prevede l'esclusione, per un
periodo non superiore a tre anni
dall'ultimazione dei lavori, dei fabbricati
di nuova costruzione ancora in cerca di un
acquirente. La relazione governativa al
provvedimento stima in circa 35 milioni di
euro all'anno le somme risparmiate dalle
imprese. Risorse che potranno essere
reinvestite nel sistema produttivo, con una
ricaduta complessiva che i calcoli
dell'esecutivo quantificano in circa 100
milioni di euro.
Ristrutturazioni edilizie. Il terzo
intervento del governo va nella direzione di
aiutare sia le famiglie, che potranno
beneficiare di uno sgravio maggiore, sia le
imprese edili, che saranno investite da una
crescente richiesta di interventi di
ristrutturazione. Il pacchetto sviluppo,
infatti, prevede di elevare le detrazioni
Irpef dal 36% al 50%. Aumenta anche il
limite massimo di spesa agevolabile per
ciascuna unità immobiliare, che raddoppia
passando da 48 mila a 96 mila euro.
I costi dovranno essere documentati e
sostenuti nel periodo compreso tra la data
di entrata in vigore del dl e il 30.06.2013. L'agevolazione sarà ripartita in dieci
annualità. Le minori entrate per lo Stato,
determinate dall'incremento delle
detrazioni, «sono parzialmente compensate
dal maggior gettito di imposte che si
determinerebbe grazie all'aumento di entrate
connesse all'aumento del numero di
interventi che si prevede la norma possa
generare per l'Iva e Irpef/Ires/Irap»,
spiega la relazione. L'esecutivo ricorda che
l'introduzione di tale tax expenditure nel
periodo 1998-2006 ha generato un incremento
annuo degli investimenti in ristrutturazioni
stimabile in circa 1.150 milioni di euro.
Riqualificazione energetica. Attraverso una
novella al testo dell'articolo 1, comma 48,
della legge n. 220/2010, viene ammessa anche
nel periodo 01.01.2013-30.06.2013
una detrazione d'imposta per le spese per
interventi di riqualificazione energetica
degli edifici.
La misura dell'aiuto sarà pari al del 50%
dei costi sostenuti. Fino al 31.12.2012, tuttavia, resterà valida la detrazione
Irpef attualmente in vigore e pari al 55%.
Si ricorda che, come già sottolineato dalla
relazione tecnica al dl n. 201/2011, lo
sconto fiscale concesso dallo stato a chi
effettua interventi di risparmio energetico
pesa nel complesso per circa 1,1 miliardi di
euro all'anno (articolo
ItaliaOggi Sette del 18.06.2012). |
aggiornamento al 18.06.2012 |
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EDILIZIA PRIVATA: DECRETO
CRESCITA/ L'esecutivo ha allargato la
detrazione per lavori entro il
30/06/2013.
Ristrutturazione con tetto ampio.
Sconto del 50% su spese fino a 96 mila euro.
Ma a tempo.
Detrazione del 50% su un ammontare
raddoppiato delle spese per il recupero del
patrimonio edilizio (da 48 mila a 96 mila
euro), ma a tempo (fino al 30/06/2013).
Questo ciò che emerge dal tenore letterale
dell'articolo 11, dello
schema di decreto
crescita, come approvato dal consiglio dei
ministri (si veda ItaliaOggi dell'08 e 15.06.2012).
Le disposizioni sono da considerare fuori
sistema in quanto, per espressa previsione
normativa, le stesse non modificano i
contenuti dell'articolo 16-bis, dpr 917/1986
(Tuir) che ha messo a regime il bonus del
36% (e dal 2013 quello del 55% che sarà
assorbito dal 36%), ma intervengono in modo
straordinario sulla detrazione, innalzandola
al 50% e fissando un tetto maggiore (96 mila
euro).
Infatti, la conseguenza è che, fatti salvi
altri interventi su tali disposizioni, il
36% non sparirà dall'01.07.2013, ma
tornerà a regime con la soglia delle spese
fissata a 48 mila euro e con la percentuale
di detrazione al 36%, mentre dalla data di
entrata in vigore del decreto legge in
commento fino alla data del 30.06.2013,
il bonus sarà determinato applicando la
percentuale del 50% all'ammontare
raddoppiato e pari a 96 mila delle spese
sostenute per ogni unità immobiliare.
Inoltre, per il semplice fatto che la
detrazione per la riqualificazione
energetica degli edifici, fissata
attualmente nella misura del 55%, a partire
dall'01.01.2013 sarà assorbita da quella
sulla ristrutturazione edilizia, la
percentuale scende a regime al 36% da
calcolarsi su un tetto di spesa di euro 48
mila, con il contemporaneo innalzamento al
50% e su un ammontare di 96 mila a partire
dall'inizio del prossimo anno e sino al 30.06.2013.
La detrazione, inoltre, si rende applicabile
anche alle spese destinate agli interventi
di sostituzione di scaldacqua tradizionali
con scalda acqua a pompa di calore dedicati
alla produzione di acqua calda sanitaria.
In pratica, il contribuente che vorrà
beneficiare della detrazione maggiorata
dovrà velocizzare i tempi per l'ottenimento
delle autorizzazioni, se necessarie e se si
tratta di un nuovo intervento, procedendo
altrettanto celermente a disporre i
bonifici, in modo tale da eseguire i
pagamenti nell'intervallo indicato, compreso
tra la data di emanazione del decreto legge
in commento e il 30.06.2013.
Pertanto, i contribuenti, stante la
soppressione dell'obbligo di preventiva
comunicazione al Centro operativo di Pescara
(Agenzia delle entrate, circolare 19/E/2012
§ 1), dovranno ottenere e tenere a
disposizione, se necessario, il titolo
autorizzativo all'esecuzione dei lavori
(concessione, autorizzazione o comunicazione
inizio lavori), eseguire i lavori nel
rispetto del tetto complessivo di euro 96
mila con acquisizione delle relative fatture
dei prestatori al momento del pagamento
(art. 6, dpr n. 633/1972) nel periodo in cui
vale l'innalzamento del tetto, eseguendo i
relativi bonifici dai quali risultino, in
modo inequivocabile, la causale del
versamento, il codice fiscale del
beneficiario della detrazione e il numero di
partita Iva o il codice fiscale del soggetto
cui il bonifico è destinato (Agenzia delle
entrate, risoluzione n. 55/E/2012).
Sul punto è utile evidenziare, inoltre, che
il comma 3 dell'articolo 11 in commento ha
abrogato il tetto «complessivo» per unità
immobiliare, con la conseguenza che a
decorrere dall'01/01/2012, in presenza di
lavori che proseguono in più periodi
d'imposta sulla medesima unità e fatto salvo
che si tratti di un nuovo intervento, si
potrà replicare il bonus fino alla
concorrenza di 48 mila euro a regime, di cui
all'art. 16-bis del Tuir, per ogni
annualità.
Al contrario e stante il tenore letterale
delle disposizioni in commento, tale
situazione non può essere confermata per
quanto riguarda le spese sostenute (pagate)
nel periodo tra la data di entrata in vigore
del decreto e il 30/06/2013 giacché il
legislatore ha disposto che la detrazione
del 50% spetta «_ fino a un ammontare
complessivo delle stesse non superiore a 96
mila euro per unità immobiliare_»; di
conseguenza, salve diverse precisazioni, si
ritiene che nell'intervallo indicato il
massimo bonus ottenibile è pari a euro 48
mila euro (50% di 96 mila), da spalmare in
dieci annualità (4.800 euro per anno), sia
che l'ammontare sia sostenuto in due
esercizi distinti o tutto in un solo
esercizio.
Si ponga, per esempio, che il contribuente
dopo l'entrata in vigore del decreto e nel
corso del 2012, sostenga 50 mila euro di
spese e ne sostenga altrettante nel corso
del 2013, sino al 30 giugno: con Unico PF
2013, potrà iniziare a dedurre la prima
quota di dieci, pari a euro 2.500 (50.000 x
50% = 25.000 : 10) e con la dichiarazione
dell'anno successivo la prima quota pari a
euro 2.300 (46.000 x 50% = 23.000 : 10), per
un bonus complessivo, a fine del decennio,
pari a euro 48 mila
(articolo ItaliaOggi
del 16.06.2012). |
ENTI LOCALI: ENTI
LOCALI/ In G.U. l'avviso per le
candidature. Revisori, ora si parte.
Domande al Viminale entro il 15/7.
Al via l'elenco dei revisori degli enti
locali. L'avviso per presentare le domande
di inserimento nella lista degli aspiranti
controllori dei bilanci è stato pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale (serie speciale) di
ieri n. 138/2012. E con la pubblicazione in
G.U. parte ufficialmente il timing di 30
giorni per l'invio delle candidature al
ministero dell'interno. Ci sarà dunque tempo
fino al 15 luglio per trasmettere le domande
al dipartimento finanza locale del Viminale.
L'invio dovrà avvenire esclusivamente per
via telematica attraverso una procedura
messa a disposizione degli utenti a tempo di
record già dalla giornata di ieri. Sul sito
www.finanzalocale.interno.it i revisori
troveranno la procedura di iscrizione
cliccando sul link «elenco revisori enti
locali». Qui, utilizzando come
identificativo il proprio indirizzo di posta
elettronica certificata, dopo aver seguito
tutti gli step di registrazione, riceveranno
una password con cui accedere alla propria
domanda.
Sul sito della direzione guidata da
Giancarlo Verde i revisori possono anche
trovare un utile elenco di Faq per fugare i
dubbi più ricorrenti. Tra questi c'è
sicuramente la precisazione, ribadita anche
dal Viminale, che iscriversi all'albo non è
essenziale per le cariche in atto, ma se si
vuole partecipare ai sorteggi per altre
cariche future è necessario iscriversi.
Quanto ai requisiti di formazione, si
precisa che potranno essere inseriti solo
corsi sostenuti nel triennio 2009-2011. Il
ministero ha predisposto un servizio
assistenza attivo dal lunedì al venerdì
dalle ore 8,00 alle ore 16,00. Le
informazioni di natura amministrativa
potranno essere richieste a supporto.revisori@interno.it
(articolo ItaliaOggi
del 16.06.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Permessi di studio doc.
Serve il certificato d'iscrizione
all'università. La dichiarazione sostitutiva
utile solo per i titoli e gli esami
sostenuti.
Un dipendente comunale, per ottenere la
concessione dei permessi studio, deve
produrre obbligatoriamente il certificato di
iscrizione all'università, se il comune
presso cui presta servizio ha ritenuto non
idonea la dichiarazione sostitutiva di tale
certificazione?
L'art. 15 del Ccnl 14/09/2000 prevede una
particolare e dettagliata disciplina del
diritto allo studio.
In particolare, il comma 2 dispone che i
permessi straordinari retribuiti, nella
misura massima di 150 ore annue di cui al
comma 1 del medesimo articolo, sono concessi
per la partecipazione a corsi destinati al
conseguimento di titoli di studio
universitari, post-universitari, di scuole
di istruzione primaria, secondaria e di
qualificazione professionale ecc., e per
sostenere i relativi esami. Il successivo
comma 7 disciplina, altresì, le condizioni
per la concessione dei predetti permessi.
Invero, ai sensi di detto comma i dipendenti
interessati debbono presentare, prima
dell'inizio dei corsi, il certificato di
iscrizione e quello degli esami sostenuti e,
al termine degli stessi, l'attestato di
partecipazione e quello degli esami
sostenuti, anche se con esito negativo. In
mancanza di dette certificazioni, ai sensi
del medesimo comma 7, i permessi già
utilizzati vengono considerati come
aspettative per motivi personali. Dal tenore
letterale della richiamata normativa si
evince che condizione necessaria per essere
ammessi al beneficio dei permessi per studio
è quella di presentare in primis il
certificato di iscrizione.
Conseguentemente, non sembra possibile
produrre la certificazione sostitutiva dello
stesso. Peraltro, il dpr 445/2000, come
modificato da ultimo dalla legge 12/11/2011
n. 183, all'art. 46, nel disciplinare le
ipotesi per le quali è possibile ricorrere
alle dichiarazioni sostitutive delle
certificazioni, prevede alla lettera m)
solamente il titolo di studio e gli esami
sostenuti
(articolo ItaliaOggi
del 15.06.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Modifiche al profilo.
Il personale con il profilo di educatore di
asilo nido, al quale è stato modificato il
profilo professionale in istruttore
amministrativo, ha diritto alla
corresponsione dell'indennità di cui
all'art. 37, comma 1, lett. c), del Ccnl 06/07/1995 e dell'indennità di cui all'art.
31, comma 7, del Ccnl 14/09/2000?
L'art. 52 del dlgs 165/2001 prevede che il
lavoratore deve essere adibito alle mansioni
per le quali è stato assunto o alle mansioni
equivalenti nell'ambito dell'area di
inquadramento. Analoga previsione è
contenuta nell'art. 3 del Ccnl 31/03/1999.
L'assegnazione a nuove mansioni equivalenti,
che secondo l'interpretazione
giurisprudenziale devono salvaguardare la
professionalità del dipendente, non può
comportare una diminuzione del livello di
retribuzione che le mansioni in precedenza
svolte garantivano al lavoratore. In
particolare devono essere mantenuti quei
compensi che sono collegati a particolari
capacità professionali del dipendente, come
avviene nel caso in cui allo stesso vengano
riconosciute determinate indennità
professionali.
Conseguentemente, poiché al personale
educativo degli asili nido il citato art.
37, comma 1, riconosce una indennità
professionale, la stessa può essere
mantenuta anche nel caso di mutamento di
profilo, tenuto conto che il cambiamento di
mansioni è avvenuto, nel caso in esame,
nell'ambito della stessa categoria di
appartenenza.
Non sembra, invece, possibile corrispondere
l'indennità prevista dal richiamato art. 31,
comma 7, del Ccnl 14/09/2000, in quanto
detto compenso non si riconnette alla
professionalità, essendo riferito
espressamente alla durata del calendario
scolastico, e quindi alle modalità temporali
e all'effettivo svolgimento della
prestazione lavorativa presso l'asilo nido
(articolo ItaliaOggi
del 15.06.2012). |
ENTI LOCALI:
Mini-enti, matrimoni senza
strappi.
Fusioni gestionali optional. Accanto a
unioni e convenzioni. Le novità del
prossimo dl sull'associazionismo che darà
anche il via alle città metropolitane.
Unioni facoltative nei comuni fino a
1.000
abitanti e via libera dopo oltre 20 anni di
attesa all'istituzione delle città
metropolitane. La strada verso l'esercizio
associato di tutte le funzioni e i servizi
pubblici tracciata dall'art.16 della manovra
di Ferragosto 2011 (che secondo molti
avrebbe realizzato una fusione di fatto dei
piccoli centri) diventa meno vincolante. La
micro-unione infatti sarà solo un'opzione
per gli enti fino a 1.000 abitanti.
Un'opzione che si affianca alle altre forme
associative previste dal Testo unico enti
locali, ossia la convenzione e l'unione, per
così dire, «tradizionale» nella quale i
comuni si mettono insieme mantenendo la
propria individualità gestionale.
I nuovi
enti dovranno avere almeno 5.000 abitanti
(3.000 nelle zone montane) ma le regioni
potranno stabilire limiti demografici
diversi, anche inferiori. Per i comuni tra
1.000 e 5.000 abitanti l'obbligo di
esercizio delle funzioni in forma associata,
che sarebbe dovuto scattare dal prossimo 30
settembre per almeno due funzioni su sei,
slitterà ancora. Gli enti dovranno svolgerne
insieme tre entro il 01.01.2013 e altre
tre entro il 01.01.2014.
Sono queste le
principali novità del decreto legge
sull'associazionismo comunale che il governo
porterà nei prossimi giorni sul tavolo del
consiglio dei ministri.
L'esecutivo ha preso un impegno preciso con
l'Anci in tal senso (si veda a fianco
l'intervista al presidente Graziano Delrio)
nell'incontro di lunedì a palazzo Chigi.
L'utilizzo della decretazione d'urgenza, del
resto, è imposto dalla necessità di far
presto. Lo slittamento di nove mesi della
marcia forzata verso l'associazionismo
(disposto dal decreto milleproroghe) sta
infatti per esaurirsi a fine settembre e i
piccoli comuni necessitano subito di un
quadro normativo chiaro.
Tale non può essere
certamente considerato quello attuale in cui
le regole del dl 138/2011 si sovrappongono a
quelle (art. 14, commi 25-31) del dl 78/2010
generando confusione. Per questo il governo
Monti ha abbandonato l'idea di disciplinare
la materia all'interno della Carta delle
autonomie ferma da anni al senato e con
scarse chance di approvazione in tempi
brevi.
Le nuove norme sui piccoli comuni
(inserite come emendamenti alla Carta dai
relatori Enzo Bianco e Andrea Pastore) sono
state stralciate assieme a quelle sulle
città metropolitane. Confluiranno tutte nel
decreto legge «di rapidissima emanazione»
che consentirà il varo dei nuovi 10
macro-enti (Bari, Bologna, Firenze, Genova,
Milano, Napoli, Torino, Reggio Calabria,
Roma e Venezia) che porteranno alla
scomparsa delle rispettive province. In
attesa che il decreto prenda forma, le
novità in arrivo non dispiacciono agli
operatori.
«E' una soluzione ragionevole che
supera una situazione di impasse. Viene
stabilita una disciplina delle unioni
uniforme e rispettosa dell'autonomia degli
enti», ha commentato a ItaliaOggi
Maurizio Delfino, esperto di finanza locale
e consulente di molti piccoli comuni
(articolo ItaliaOggi
del 13.06.2012). |
ENTI LOCALI - URBANISTICA - VARI: IMU FACILE/
Le amministrazioni comunali
devono informare il contribuente dei cambi
di destinazione. Aree edificabili, conta il
mercato.
Il pagamento dell'imposta avviene in base al
valore venale.
Le aree edificabili sono soggette al
pagamento dell'Imu in base al loro valore di
mercato. I contribuenti, però, devono essere
informati delle variazioni apportate agli
strumenti urbanistici. Spetta infatti alle
amministrazioni comunali comunicare agli
interessati i cambi di destinazione dei beni
da terreni ad aree edificabili. La mancata
comunicazione impedisce che
l'amministrazione possa applicare sanzioni e
interessi al contribuente per omesso
pagamento del tributo.
Per pagare l'Imu su un'area edificabile
occorre stabilire il suo valore venale in
comune commercio al 1° gennaio dell'anno di
imposizione, vale a dire il suo valore di
mercato. In sede di acconto, entro il 18
giugno, deve essere pagato il 50% del
tributo che va calcolato applicando
l'aliquota del 7,6 per mille. A saldo,
invece, dovrà essere versata l'imposta
dovuta per l'intero anno prendendo a base
l'aliquota deliberata dal comune.
L'articolo 5 del decreto legislativo
504/1992 fissa dei criteri ai quali è
necessario fare riferimento per determinare
la base imponibile. In particolare: zona
territoriale di ubicazione dell'area, indice
di edificabilità, destinazione d'uso
consentita e oneri per eventuali lavori di
adattamento del terreno necessari per la
costruzione. Vanno presi in considerazione,
inoltre, anche i prezzi medi rilevati sul
mercato di aree aventi le stesse
caratteristiche. I valori possono essere
deliberati anche dalla giunta, sulla base di
una perizia redatta dall'ufficio tecnico.
Questi valori sono meramente indicativi.
Come per l'Ici, per la qualificazione delle
aree è necessario fare riferimento al piano
regolatore generale. In base all'articolo 2
del decreto legislativo 504/1992,
disposizione che viene espressamente
richiamata dall'articolo 13 del dl Monti
(201/2011), per area fabbricabile si intende
quella utilizzabile a scopo edificatorio in
base agli strumenti urbanistici generali o
attuativi oppure in base alle possibilità
effettive di edificazione determinate
secondo i criteri previsti agli effetti
delle indennità di espropriazione per
pubblica utilità.
Nelle ipotesi di
edificazione di un fabbricato, la base
imponibile è data dal valore dell'area (non
viene computato il valore del fabbricato in
corso d'opera) dalla data di inizio dei
lavori di costruzione fino a quella di
ultimazione, oppure fino al momento in cui
il fabbricato è comunque utilizzato, se
questo momento è antecedente a quello di
ultimazione. Durante il periodo di effettiva
utilizzazione edificatoria, anche per
demolizione o esecuzione di lavori di
recupero edilizio, il suolo va considerato
area fabbricabile, anche nel caso in cui
questa natura non sia riconosciuta dagli
strumenti urbanistici.
L'Imu è dovuta se l'area è inserita in un
piano regolatore generale adottato dal
consiglio comunale, ma non approvato dalla
regione. L'articolo 36, comma 2 del
decreto-legge legge 223/2006 ha chiarito che
un'area è da considerare fabbricabile se
utilizzabile a scopo edificatorio in base
allo strumento urbanistico deliberato dal
comune, indipendentemente dall'approvazione
della regione e dall'adozione di strumenti
attuativi. Quindi, un'area è edificabile
quando è inserita nel piano regolatore
generale ed è soggetta all'imposta a
prescindere dalla successiva lottizzazione
del suolo.
Naturalmente, se per la caratteristica
dell'edificabilità è sufficiente che essa
risulti da un piano regolatore generale, la
potenzialità di edificazione è maggiore
quando l'area è ricompresa in un piano
particolareggiato e ciò ha effetti nella
determinazione del valore dell'area e della
quantificazione della base imponibile. La
potenzialità del suolo tanto più è attenuata
quanto maggiori sono le incertezze
sull'effettiva possibilità di poterlo
utilizzare a scopo edificatorio.
Nonostante la questione sia dibattuta, sono
soggette al tributo le aree vincolate
destinate a essere espropriate. Anche se i
limiti incidono sul valore del bene. Secondo
la Cassazione (ordinanza 16562/2011), la
qualifica di area fabbricabile non può
ritenersi esclusa se esistono particolari
limiti che condizionano le possibilità di
edificazione del suolo. Anzi, i limiti
imposti a un terreno presuppongono la sua
vocazione edificatoria.
Il contribuente va informato delle
variazioni apportate agli strumenti
urbanistici. In caso contrario, il tributo
sull'area è comunque dovuto, ma non possono
essere chiesti sanzioni e interessi
(articolo ItaliaOggi
del 13.06.2012). |
APPALTI SERVIZI:
Dopo la pioggia di deroghe arriva l'ingorgo.
QUADRO CONFUSO/ Entro fine anno vanno attuate
le dismissioni nei Comuni fino a 50mila
abitanti e l'apertura al mercato ma manca il
regolamento.
L'ultimo piccolo colpo al faticoso processo
di liberalizzazione dei servizi pubblici
locali è arrivato con il decreto sviluppo,
che trasforma in silenzio-assenso il parere
obbligatorio che l'Antitrust dovrebbe dare
sulle delibere-quadro con cui i Comuni
devono indicare i settori in cui non è
possibile il ricorso al mercato.
A bloccare l'intero meccanismo, comunque,
finora è stato l'incrocio fra un calendario
ambizioso e un ritardo cronico
nell'applicazione delle misure previste
dalle varie manovre. Gli enti locali, per
esempio, dovrebbero individuare entro metà
agosto gli ambiti territoriali ottimali in
cui suddividere i servizi a rete (dai
trasporti all'idrico), ma ad oggi manca
ancora il decreto attuativo principale, cioè
quello che dovrebbe dire alle
amministrazioni locali come si fa la
delibera quadro chiamata a individuare quali
servizi affidare al mercato e in quali
mantenere diritti di esclusiva.
Anche ipotizzando che gli enti locali e gli
enti affidanti per i servizi di rete
riescano a rispettare il termine del 13
agosto, e anche nel caso in cui la novità
del silenzio-assenso dovesse essere
approvata, l'adozione della delibera
difficilmente potrà avvenire prima della
fine di novembre.
Da quella data al 31 dicembre, gli enti
locali dovrebbero quindi avviare i percorsi
per i nuovi affidamenti dei servizi pubblici
locali prima gestiti da società in house (se
incoerenti con i parametri comunitari e,
soprattutto, se di valore annuo superiore ai
200mila euro), scegliendo tra la gara a
spettro ampio e la costituzione di società
mista, con individuazione tramite gara del
socio privato a cui affidare anche compiti
operativi.
L'avvio delle procedure richiede un
passaggio in consiglio comunale (per la
definizione del modello organizzativo), ma
costituisce anche il presupposto essenziale
per permettere a una società interamente
partecipata dall'ente locale di prendere
parte alla gara per il servizio sino ad oggi
gestito.
In questa fase è inoltre necessario che sia
dettagliatamente analizzata la situazione
delle reti e delle dotazioni
infrastrutturali, passo essenziale per
avviare le gare.
Sempre entro fine anno, i Comuni fino a
30mila abitanti, poi, devono decidere se
dismettere le loro partecipazioni o
sfruttare una delle deroghe previste per le
aziende che vantano bilanci in utile o
riescono ad aggregarsi. La stessa Corte
segnala che più del 60% delle partecipazioni
sono in mano a Comuni medio-piccoli, a
conferma del l'enormità del processo che
dovrebbe partire.
La possibilità di evitare le dismissioni,
come accennato, è legata allo stato di
salute dei bilanci o alle possibilità di
aggregazione per superare la soglia dei
30mila abitanti serviti. Potrebbero quindi
realizzarsi situazioni nelle quali una
società di un Comune con popolazione
inferiore, ma con bilanci in pareggio
anziché in utile, debba essere assoggettata
alla liquidazione da parte dell'ente socio.
Per il servizio pubblico gestito non vi
sarebbe altra via che quella della gara tra
operatori, essendo inibita al Comune la
possibilità di costituire (almeno da solo)
società.
Ad accrescere ulteriormente il processo c'è
la situazione dei Comuni compresi tra i
30mila e i 50mila abitanti, che devono
ridurre le loro partecipazioni societarie ad
una sola. Il termine entro cui arrivare a
questa condizione, in realtà, secondo il
dato legislativo sarebbe già scaduto (il
31.12.2011), ma alcune interpretazioni di
sezioni regionali della Corte dei conti lo
hanno collegato al termine dell'adempimento
principale (la dismissione per i Comuni di
minori dimensioni), quindi alla fine del
2012 (articolo Il Sole 24 Ore
dell'11.06.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI FORNITURE: Acquisti
della Pa: c'è per tutti l'obbligo di passare
da Consip.
Su spese di Asl, comuni e ministeri cresce
l'utilizzo della centrale statale.
Shopping obbligato allo sportello Consip per
Ministeri, Asl e Comuni. Il decreto sulla
spending review, approvato in prima lettura
il giovedì scorso dal Senato, prova a
«forzare» le abitudini di acquisto di beni e
servizi per migliaia di enti pubblici con
l'obiettivo di tagliare in fretta tempi e
costi.
Tutto ruota intorno alla Consip: la centrale
acquisti del ministero dell'Economia, una
sorta di E-bay della pubblica
amministrazione, diventa l'unica via per gli
acquisti di beni e servizi dei ministeri.
Anche Asl e ospedali non avranno scelta: se
non trovano un bene nelle convenzioni delle
centrali acquisti regionali non possono più
cercarlo sul mercato, ma devono rivolgersi
alla Consip. E infine, tutte le
amministrazioni pubbliche (Comuni compresi)
devono pescare dal catalogo centralizzato
per i loro piccoli acquisti sotto la soglia
comunitaria (130mila per le amministrazioni
statali, 200mila per quelle locali).
Insomma niente più scuse: la spesa della Pa
si sposta in gran parte verso il
«maxisupermercato» Consip, non più con forme
di persuasione volontaria, ma con un obbligo
di legge. Del resto, con il «metodo Consip» (si veda la scheda a lato) il risparmio sui
prezzi ottenibile è in media del 19 per
cento. Un taglio notevole su un mercato
delle forniture pubbliche che nel 2011
valeva 136 miliardi totali, di cui però solo
29 transitati attraverso la Consip (si veda
il Sole 24 ore del 03.05.2012). L'ultima
correzione al decreto (varata con un
emendamento del Pd) va proprio nel senso
indicato dal Governo di allargare il raggio
d'azione della centrale nazionale, passando
in breve dai 29 miliardi ad almeno 39 e
ottenendo così un risparmio stimato di almeno
due miliardi.
Ma quanto tempo ci vorrà prima che il nuovo
meccanismo entri a regime? Gli obblighi
scatteranno dall'entrata in vigore della
legge di conversione del Dl 52, che ora deve
essere confermata dalla Camera. In ogni caso
al massimo entro il 7 luglio, pena la
decadenza di tutto il decreto. Di fatto la
Consip è pronta: sono già 65 le convenzioni
attive che coprono praticamente tutte le
esigenze di forniture. Qualche sforzo in più
potrebbe essere necessario per implementare
i prodotti destinati alla sanità, finora
poco richiesti. Mentre il mercato
elettronico (Mepa) oggi è già esteso a circa
3.500 fornitori per un catalogo di 1,3
milioni di articoli.
È difficile, invece, ipotizzare con le nuove
convenzioni una ulteriore diminuzione del
prezzo unitario dei beni (che già oggi tocca
punte del 70%, sulle stampanti ad esempio,
come documentato dal Sole 24 ore del 7
maggio). Le convenzioni hanno ormai
raggiunto una massa critica sul mercato. In
più già oggi il 50% delle richieste di
acquisto arriva da amministrazioni non
obbligate.
Il vero risparmio sarà per quegli acquirenti
finora poco propensi a rifornirsi da Consip.
Ma il problema saranno i controlli. Certo il
decreto abbassa da 150mila euro a 50mila la
soglia per segnalare gli appalti
all'Autorità di vigilanza e permette
verifiche anche sulle piccole forniture. Ma
il Dl ribadisce anche che la stessa
Authority deve rendere pubbliche le
informazioni sulle amministrazioni
aggiudicatrici, l'operatore economico
aggiudicatario e sulla fornitura. Insomma, i
primi controllori saranno i contribuenti che
quando l'Autorità offrirà le informazioni
potranno finalmente sapere come il proprio
Comune o la propria Asl investe i soldi
pubblici.
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Il perimetro
I SOGGETTI OBBLIGATI
01 | MINISTERI E AMMINISTRAZIONI STATALI
PERIFERICHE (ESCLUSE SCUOLE)
Le amministrazioni statali e le loro
organizzazioni periferiche dovranno
rivolgersi alle convenzioni Consip per ogni
acquisto di beni e servizi, a condizione che
esista una convenzione attiva per quel bene.
Solo se la convenzione è esaurita potranno
acquistare sul libero mercato. Oggi invece
sono solo otto le categorie merceologiche
per le quali la Consip è la strada
obbligata. Vengono individuate con un
decreto annuale, che da domani però, è
cancellato
02 | ASL E OSPEDALI
Oggi sono obbligati in prima battuta a
cercare di approvvigionarsi tramite le
centrali di acquisto regionali e, in
mancanza del prodotto richiesto, possono
bandire una propria gara. Con la nuova
versione del Dl spending review, non
potranno più fare da soli: dovranno, in
seconda battuta, rifornirsi dalla Consip
03 | TUTTE LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
STATALI E TERRITORIALI
Per le piccole forniture sotto le soglie
europee dei 200mila euro (per le
amministrazioni statali) o i 133mila euro
(per quelle locali) tutti gli enti pubblici
saranno obbligati a rivolgersi al Mepa
(mercato elettronico della pubblica
amministrazione) o altri mercati elettronici
esistenti in futuro.
GLI STRUMENTI
01 | LE CONVENZIONI
Sono contratti quadro stipulati da Consip
con i quali il fornitore vincitore di una
gara si impegna ad accettare richieste di
beni da parte delle singole amministrazioni,
fino a un tetto fissato dalla convenzione
stessa. Oltre al risparmio di prezzo dovuto
all'acquisto in grandi stock, le
amministrazioni tagliano sui costi e i tempi
di gestione della gara.
02 | MERCATO ELETTRONICO
Il Mepa (mercato elettronico della pubblica
amministrazione) è lo strumento di Consip,
pensato per i piccoli ordinativi, sotto la
soglia comunitaria di 133mila euro (enti
locali) o 200mila euro (Stato). Sulla
piattaforma elettronica
(www.acquistiinretepa.it) è disponibile un
catalogo di 1,3 milioni di articoli. Gli
enti registrati possono consultare i
cataloghi delle offerte ed emettere
direttamente ordini d'acquisto o richieste
d'offerta
03 | ACCORDO QUADRO
Consip conclude accordi quadro a cui le
amministrazioni possono ricorrere per beni e
servizi. Nell'accordo Consip stabilisce
condizioni base (prezzi, qualità, quantità)
dei successivi appalti (specifici) che
saranno aggiudicati dalle singole
amministrazioni durante un dato periodo. I
parametri prezzo-qualità Consip valgono da
benchmarking per le amministrazioni
(articolo Il Sole 24
Ore dell'11.06.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento all'11.06.2012 |
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ENTI LOCALI: Enti, ecco i soldi per le visite
fiscali.
Fondo di 70 mln ripartito in base al numero
degli accertamenti. Decreto Viminale con i
criteri per assegnare le risorse. Per il
2010 conterà anche il numero di abitanti.
In arrivo i contributi per le visite fiscali
degli enti locali. Il fondo di 70 milioni di
euro l'anno, che il ministero dell'economia
e delle finanze eroga complessivamente a
regioni, province, comuni, comunità montane
e unioni di comuni per finanziare i costi
delle visite fiscali ai dipendenti, dovrà
essere attribuito agli enti locali in
proporzione al numero degli accertamenti
medico-legali sui lavoratori assenti per
malattia. Per assegnare le spettanze a cui
le singole amministrazioni hanno diritto per
il 2011 e 2012 (il sistema andrà a regime
nel 2013) il Mef farà riferimento agli
ultimi dati disponibili sulle visite fiscali
forniti dalla Ragioneria generale dello
stato.
È questo l'accordo raggiunto tra
governo ed enti locali in Conferenza
stato-città sul decreto del ministero
dell'interno (di concerto con il Mef)
attuativo della manovra di luglio 2011 (dl
98).
Il provvedimento si è reso necessario perché
il dl 98 non specificava le modalità di
ripartizione (all'interno del comparto enti
locali) del fondo da destinare alla
copertura finanziaria delle visite fiscali.
In Stato-città Anci e Upi hanno espresso
parere favorevole sul testo, ma
l'Associazione dei comuni, nella seduta del
22 maggio, ha posto una condizione al
governo, impegnandolo ad individuare per il
2010 (anno di prima erogazione del
contributo) un criterio di calcolo
alternativo per gli enti che non abbiano
compilato il conto annuale.
La previsione che il riparto dei fondi venga
effettuato sulla base del numero di visite
fiscali desumibile dalla relazione allegata
al conto annuale potrebbe infatti
penalizzare gli enti che non lo hanno
compilato. Per questo, in Conferenza
stato-città il presidente dell'Anci,
Graziano Delrio, ha raccomandato al governo
di tenere conto di parametri diversi. Solo
per il 2010, l'Anci ha chiesto che i fondi
vengano assegnati prendendo in
considerazione il numero di abitanti del
comune e il valore medio delle visite
fiscali effettuate nel territorio di
riferimento in modo da erogare a tali enti
un rimborso forfettario medio.
Secondo l'Anci,
questo criterio ulteriore si rende
necessario in quanto, si legge nella nota
depositata in conferenza stato-città,
«l'art. 17, comma 5, del dl 98/2011 non àncora
l'erogazione del contributo alla
compilazione del conto annuale e dunque, in
assenza di un'espressa previsione normativa,
la mancata compilazione del conto non può
diventare una causa ostativa all'erogazione
del contributo».
Come detto, l'ammontare del fondo è di 70
milioni l'anno per il biennio 2011-2012 e
poi a regime dal 2013. Per il 2011-2012 il
governo troverà le risorse per coprire i
costi delle visite fiscali dalle
disponibilità finanziarie non utilizzate dal
Servizio sanitario nazionale. Dal 2013 la
legge di bilancio conterrà ogni anno una
dotazione non inferiore a 70 milioni di euro
(articolo ItaliaOggi
del 09.06.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
SICUREZZA LAVORO: Il
ministero sulla sicurezza nei cantieri edili. Formazione agli enti doc.
Organismi paritetici doc per la formazione
dei lavoratori edili sulla sicurezza lavoro.
Ossia, gli enti bilaterali emanati dalle
parti sociali con maggiore rappresentatività
in termini comparativi che hanno
sottoscritto i ccnl dei settori industria,
artigianato, cooperazione e industria pmi.
Lo stabilisce il Ministero del Lavoro nella
circolare
06.06.2012 n. 13/2012, con cui individua le
associazioni sindacali e di categoria
corrispondenti al predetto requisito e,
dunque, abilitate all'emanazione degli
organismi paritetici.
Il ministero risponde alle richieste di
chiarimento del personale ispettivo, circa
le problematiche della formazione dei
lavoratori nel settore edile e,
specificatamente, in merito al
coinvolgimento nell'attività formativa degli
«organismi paritetici», previsti
dall'articolo 2, lettera ee), del dlgs n.
81/2008 (T.u. sicurezza). In particolare, è
stato chiesto di conoscere quali organismi
del settore siano da ritenersi costituiti da
«una o più associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentativi sul piano nazionale».
Circostanza questa, spiega il ministero,
essenziale in quanto possono definirsi tali
solo gli enti bilaterali emanazione delle
parti sociali dotate del requisito della
maggiore rappresentatività in termini
comparativi, e non tutti gli organismi
genericamente frutto di qualsivoglia
contrattazione collettiva in ambito edile.
Per ora, precisa dunque il ministero, nel
settore dell'edilizia, i contratti
collettivi nazionali (ccnl) sottoscritti
dalla organizzazioni sindacati e datoriali
comparativamente più rappresentative sempre
a livello nazionale sono: industria (Ance;
Feneal-Uil; Filca-Cisl; Fillea-Cgil);
artigianato (Anaepa; Cna-costruzioni;
Fiae-Casartigiani; Claai; Feneal-Uil;
Filca-Cisl; Fillea-Cgil); Cooperazione (Ancpl-Legacoop;
Federlavoro e servizi-Confcooperative; Pls
Agci; Feneal-Uil; Filca-Cisl; Fillea-Cgil);
Piccola e media industria (Anieme;
Feneal-Uil; Filca-Cisl; Fillea-Cgil).
In conclusione, il ministero precisa che
soltanto gli organismi bilaterali costituiti
a iniziativa di una o di più associazioni
dei datori di lavoro o dei prestatori di
lavoro firmatarie dei predetti contratti
(sigle in parentesi) possono definirsi «organismi
paritetici» ai sensi del T.u. sicurezza
e, pertanto, legittimati a svolgere
l'attività di formazione, in collaborazione
con i datori di lavoro, come previsto sempre
dal T.u. sicurezza (articolo 37)
(articolo ItaliaOggi
del 09.06.2012). |
EDILIZIA PRIVATA: IL
DECRETO INFRASTRUTTURE/ Ristrutturazioni,
allargato il 36%. Il tetto è annuale: non si
cumulano le spese già sostenute.
Provvedimento in dirittura: ecco le novità
tributarie.
A decorrere
dall'01.01.2012, per la detrazione del 36%
per le ristrutturazioni il limite massimo
delle spese ammesse deve essere considerato
per periodo d'imposta, senza tenere conto
dall'ammontare delle spese sostenute negli
anni precedenti.
La bozza di decreto «infrastrutture»,
al vaglio di uno dei prossimi consigli dei
ministri, si aggiunge all'innalzamento
provvisorio del tetto di spesa (da 48 mila a
96 mila euro) e alla percentuale di
detrazione (dal 36% al 50%).
Innanzitutto, la modifica dispone che per le
spese documentate sostenute dalla data di
entrata in vigore del provvedimento in
commento fino al 30 giugno del prossimo anno
(2013), relativamente a tutti gli interventi
elencati nel nuovo art. 16-bis, dpr n.
917/1986 (Tuir), il contribuente potrà
tenere conto della soglia di spesa massima
di 96 mila euro, in luogo di quella prevista
a regime (48 mila) per singola unità
immobiliare, beneficiando di una detrazione
del 50% in luogo di quella del 36%. Stante
il fatto che dal 1° gennaio prossimo anche
il bonus sul risparmio energetico viene
ricondotto nell'ambito della detrazione
sulle ristrutturazioni, in luogo di un
abbattimento dal 55% al 36%, fino alla metà
del medesimo anno (30/06/2013) la detrazione
su tali spese sarà possibile nella nuova
misura (50%).
La detrazione in commento, ai sensi del
comma 48, dell'art. 1, della legge n.
220/2010 si applica anche alle spese per
interventi di sostituzione di scaldacqua
tradizionali con scaldacqua a pompa di
calore dedicati alla produzione di acqua
calda sanitaria, con ripartizione della
stessa in dieci quote annuali di pari
importo; il decreto in commento, con una
modifica al comma appena indicato, rende
applicabile, fermo restando i tetti di spesa
fissati, la detrazione nella misura del 50%,
limitatamente alle spese di questo genere
sostenute dall'01/01/2013 fino al 30 giugno
del medesimo anno.
Inoltre, l'ultimo comma sopprime il comma 4,
dell'art. 4 della legge n. 201/2011 che
disponeva sulla soglia di spese su cui
calcolare il bonus 36%, in presenza di una «mera
prosecuzione» di interventi iniziati in
anni precedenti; detta disposizione non
permetteva, in tal caso, di andare oltre il
tetto di 48 mila per i lavori relativi alla
medesima unità anche se realizzati (e
sostenuti) in periodi d'imposta diversi (per
esempio, 2010 euro 40 mila, 2011 euro 10
mila, massima detrazione ottenibile per
entrambi i periodi sarà pari al 36% su
48.000 per un ammontare di euro 17.280).
Come detto, infatti, il limite di spesa di
48 mila euro è fissato per ogni intervento
sulla stessa abitazione, pertinenze incluse,
e il limite è annuale e per immobile e per
tipo di intervento (anche se pluriennale).
Tale limite non è presente, però, se un
contribuente è in possesso di più abitazioni
in quanto, allo stato attuale, le spese
agevolate sono di 48 mila euro per ciascuna
unità (legge 266/2005) e, stante il fatto
che il limite deve essere riferito
all'abitazione, se l'unità risulta
cointestata e le spese per ristrutturazione
sono sostenute da tutti i cointestatari, il
limite (48 mila euro) deve essere suddiviso
tra i contribuenti proprietari.
Nel caso in cui, invece, per l'intervento di
ristrutturazione si renda necessario
l'ottenimento di una nuova e ulteriore
autorizzazione, magari per interventi
diversi da quelli già eseguiti, si configura
la presenza di un «nuovo» intervento
edilizio, con la conseguenza che il
contribuente potrà utilizzare un nuovo e
intero limite di spesa per l'ammontare
attuale pari a 48 mila euro; si è in
presenza di un nuovo intervento, come
chiarito anche dall'Agenzia delle entrate
(circolare n. 13/E/2001), anche nel caso in
cui non sia necessario chiedere una
specifica autorizzazione.
Con la novella inserita nel provvedimento in
commento, pertanto, si prevede l'abrogazione
di tale comma, a decorrere dal 1° gennaio
scorso (2012), con l'inevitabile possibilità
per il contribuente di sostenere, per ogni
periodo d'imposta, un limite di spesa «autonomo»
nei limiti previsti (48 mila o 96 mila)
dalle disposizioni vigenti.
Sul tema si ricorda che, in relazione «_
al computo del limite massimo di spesa, le
spese riferibili ai lavori sulle parti in
comune dell'edificio, essendo oggetto di
un'autonoma previsione legislativa, debbono
essere considerate in modo autonomo _»
(Agenzia delle entrate, risoluzione
19/E/2008), mentre l'attuale limite dei 48
mila euro, come detto, deve essere
considerato con riferimento all'abitazione e
alle relative pertinenze (Agenzia delle
entrate, risoluzioni n. 124/E/2007 e n.
181/E/2008)
(articolo ItaliaOggi
dell'08.06.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI:
Per i dipendenti p.a. stipendio
pieno. La neve scusa i lavoratori. L'assenza
è giustificata, ma l'azienda non paga. I
chiarimenti del ministero del lavoro.
La «neve» grazia gli
impiegati pubblici. Quale causa di mancata
prestazione lavorativa, infatti, giustifica
in pieno i dipendenti statali, che per il
giorno in cui saltano il lavoro (come è
successo per cinque giorni a febbraio, nel
Lazio), conservano comunque il diritto alla
retribuzione. Nel settore privato, invece,
la neve giustifica sia i lavoratori (per
l'assenza sul lavoro) che le imprese (per la
mancata erogazione della retribuzione).
Lo precisa il Ministero del Lavoro nell'interpello
07.06.2012 n. 15/2012.
La «causa neve».
I chiarimenti arrivano in risposta all'Ugl
che ha chiesto al ministero di sapere se
ricorre l'obbligo sul datore di lavoro di
corrispondere la retribuzione ai lavoratori
che non hanno potuto raggiungere il posto di
lavoro, «causa neve», nell'ambito
territoriale di Roma Capitale e delle altre
province del Lazio (giornate del 3, 4, 6, 10
e 11.02.2012).
Settore pubblico.
Con riferimento al settore pubblico, il
ministero precisa che la mancata prestazione
lavorativa può considerarsi ascrivibile alle
ipotesi di impossibilità sopravvenuta della
prestazione per causa non imputabile al
lavoratore. Nello specifico, la fattispecie
afferisce al cosiddetto factum principis
inteso quale provvedimento autoritativo
(ossia l'ordinanza di chiusura degli uffici
pubblici causa neve) che impedisce in modo
oggettivo e assoluto l'adempimento della
prestazione, ossia l'espletamento
dell'attività lavorativa; in tal caso,
pertanto, resta fermo l'obbligo per la parte
datoriale di corrispondere la retribuzione.
Peraltro, aggiunge il ministero,
l'interpretazione è sostenuta anche dalla
contrattazione collettiva, comparto
ministeri, laddove indica tra le motivazioni
per cui possono essere concessi i permessi
retribuiti, anche l'ipotesi di assenza
motivata da gravi calamità naturali che
rendano oggettivamente impossibile il
raggiungimento della sede di servizio.
Settore privato.
Completamente diverso il discorso per il
settore privato dove, invece, il
provvedimento autoritativo concernente il
divieto di circolazione dei mezzi privati
sprovvisti di apposite catene non
costituisce impedimento di carattere
assoluto all'effettuazione della prestazione
lavorativa, in quanto non preclude la libera
scelta del datore di lavoro di continuare a
svolgere le attività connesse al settore di
appartenenza.
In tali casi, tuttavia, precisa il
ministero, il mancato raggiungimento del
posto di lavoro potrebbe risultare comunque
estraneo alla volontà del lavoratore; di
conseguenza, la mancata prestazione
lavorativa, in presenza di tempestiva
comunicazione del lavoratore all'azienda,
qualora supportata da idonea motivazione,
non è qualificabile in termini di
inadempimento imputabile al lavoratore.
In conclusione, in tali fattispecie
l'impossibilità sopravvenuta libera entrambe
le parti del rapporto di lavoro: il
lavoratore dall'obbligo di effettuare la
prestazione e il datore dall'obbligo di
erogare la corrispondente retribuzione.
Restano ferme, in ogni caso, le disposizioni
dei contratti collettivi che, generalmente,
contemplano la possibilità per il lavoratore
di fruire di titoli di assenza retribuiti al
verificarsi di eventi eccezionali
(articolo ItaliaOggi
dell'08.06.2012 - link a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: La
p.a. diventa una casa di vetro. On-line i
pagamenti sopra i 1.000 a professionisti e
imprese. Nel decreto crescita il governo
punta sulla trasparenza della spesa pubblica
come volàno di sviluppo.
La via maestra per la
crescita? La massima trasparenza su come la
pubblica amministrazione e gli enti locali
spendono i propri soldi. Ministeri, regioni,
province e comuni, nessuno escluso, dovranno
pubblicare sul proprio sito internet i dati
relativi ai finanziamenti pubblici e agli
incentivi erogati alle imprese, nonché le
somme pagate per prestazioni, consulenze,
servizi e appalti quando l'importo supera i
1.000 euro. E dal 2013 la pubblicazione sul
web costituirà un requisito essenziale delle
prestazioni.
L'obiettivo che il governo Monti persegue
nel decreto crescita, atteso oggi in
consiglio dei ministri, è ambizioso:
realizzare quella trasparenza delle spesa (open
government) che è una realtà consolidata
nei paesi scandinavi, negli Usa e nel Regno
Unito e che «permette ai cittadini un
controllo generale e continuo nella gestione
dei fondi pubblici». Per questo
diventerà obbligatorio per le p.a.
pubblicare su internet tutte le somme
erogate a imprese e professionisti.
Come spiega la relazione tecnica al decreto
legge, l'obbligo riguarda la concessione di
vantaggi economici in senso lato e dunque
sovvenzioni, contributi, sussidi finanziari,
ma anche corrispettivi e compensi a persone
per forniture, servizi, incarichi e
consulenze. I dati dovranno essere caricati
su internet in formato tabellare accessibile
in modo semplice ai motori di ricerca. Le
amministrazioni dovranno indicare il nome
del soggetto beneficiario e i suoi dati
fiscali, l'importo, la norma o il titolo a
base dell'attribuzione, l'ufficio e il
funzionario o dirigente responsabile del
relativo procedimento amministrativo e le
modalità seguite per l'individuazione del
beneficiario.
Dovrà inoltre essere indicato un link al
progetto selezionato, al curriculum
del soggetto incaricato, nonché al contratto
e capitolato della prestazione, fornitura o
servizio. Come detto, la pubblicazione dei
dati su internet costituirà condizione
legale di efficacia del beneficio.
L'inadempimento dovrà essere rilevato
d'ufficio dagli organi dirigenziali e di
controllo sotto la propria diretta
responsabilità. Non solo. La mancata
pubblicazione potrà essere denunciata anche
dal beneficiario del contributo o del
pagamento e anche da chiunque altro vi abbia
interesse «ai fini del risarcimento del
danno da parte dell'amministrazione,
mediante azione davanti al tribunale
amministrativo regionale».
Servizi pubblici locali.
Il decreto crescita (si veda ItaliaOggi del
06/06/2012) alleggerisce gli adempimenti
burocratici per facilitare la
liberalizzazione dei servizi pubblici
locali. Ma a farne le spese è l'Antitrust
che vede sensibilmente ridotti i propri
poteri. La delibera quadro con cui i comuni
devono giustificare la mancata apertura al
mercato e il mantenimento di diritti di
esclusiva andrà trasmessa all'Authority solo
se il valore del servizio da assegnare senza
gara supera i 200 mila euro (la stessa
soglia per gli affidamenti diretti in
house).
Il parere dell'Antitrust, inoltre, non
costituirà più una condicio sine qua non
per l'adozione della delibera. E varrà il
principio del silenzio-assenso: in caso di
mancata risposta entro il termine di 60
giorni, il parere dell'organismo presieduto
da Giovanni Pitruzzella si intenderà
favorevolmente acquisito. La delibera quadro
potrà comunque essere adottata trascorsi 90
giorni dalla trasmissione all'Antitrust.
Le novità intervengono a modificare la
disciplina delle liberalizzazioni delle
utility riscritta dal governo Berlusconi con
la manovra di Ferragosto 2011 (l'intervento
si rese necessario a seguito
dell'abrogazione delle norme previgenti a
opera dei referendum). E puntano, come si
legge nella relazione illustrativa del
provvedimento, a «semplificare le
procedure relative all'approvazione della
delibera quadro, quando non strettamente
necessaria ai fini della promozione della
concorrenza».
Federalismo demaniale, le miniere dalle
province alle regioni. Lo schema di decreto
interviene anche a correggere il dlgs sul
federalismo demaniale (n. 85/2010) rimasto
finora sulla carta per la mancata
approvazione dei dpcm attuativi. Le miniere,
originariamente attribuite alle province
anche se queste non hanno alcuna competenza
in materia, vengono trasferite al patrimonio
indisponibile delle regioni a cui la riforma
del Titolo V ha attribuito la competenza
legislativa e gestionale in materia
(articolo ItaliaOggi
dell'08.06.2012 - link a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Elenco
dei revisori, tutto pronto per l'invio delle
domande. Via alle istanze quando l'avviso
pubblico sarà approdato in gazzetta
ufficiale.
Tutto pronto per la
presentazione delle domande di inserimento
nell'elenco dei revisori dei conti degli
enti locali. Infatti, a breve sarà
pubblicato in G.U. l'avviso pubblico
contenente le indicazioni per poter
richiedere l'inserimento nel predetto
elenco, al momento riservato agli enti
locali ricadenti nei territori delle regioni
a statuto ordinario. Le domande dovranno
essere presentate esclusivamente per via
telematica, entro trenta giorni dalla
predetta pubblicazione e sottoscritte con
firma digitale.
È quanto contenuto nell'avviso pubblico per
la presentazione delle domande di
inserimento nell'elenco dei revisori dei
conti (solo per la fase di prima
applicazione), che è stato approvato dal
recente decreto Mininterno 05/06/2012.
I requisiti.
Alla data di scadenza del termine utile per
la presentazione, ovvero trenta giorni
decorrenti dalla pubblicazione dell'avviso
in Gazzetta Ufficiale (termine questo
perentorio), l'avviso rende noto che i
soggetti richiedenti dovranno essere in
possesso dei requisiti indicati all'articolo
4 del citato dm 15/02/2012.
In pratica, per i comuni fino a 5.000
abitanti (fascia 1 del dm) è necessaria
l'iscrizione da almeno due anni nel registro
dei revisori legali o all'Ordine dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili,
l'aver già avanzato richiesta di svolgere la
funzione quale organo di revisione di ente
locale e aver conseguito almeno 15 crediti
formativi, acquisiti nel triennio 2009-2011
e riconosciuti dai competenti ordini
professionali.
Per gli enti locali tra 5.000 e 15.000
abitanti (fascia 2), occorrerà l'iscrizione
da almeno 5 anni nel registro dei revisori
legali, l'aver già svolto un incarico di
revisore per almeno tre anni e il
conseguimento di almeno 15 crediti
formativi. Per gli enti con maggiore
dimensione (fascia 3) sono inseriti i
richiedenti con almeno dieci anni di
iscrizione, l'aver svolto almeno due
incarichi di revisore dei conti, ciascuno
per la durata di tre anni e il conseguimento
di almeno 15 crediti formativi.
L'iter di presentazione.
L'avviso specifica che le domande vanno
presentate al dipartimento per gli affari
interni e territoriali del Viminale
esclusivamente per via telematica, tramite
apposito modello contenente i dati
anagrafici e la dichiarazione del possesso
dei requisiti. A tal fine, sul sito
www.finanzalocale.interno.it, sarà attivato
il link «elenco revisori enti locali».
Al termine della compilazione, sarà generato
un file che il richiedente dovrà
sottoscrivere con firma digitale e
trasmettere alla casella di posta
elettronica certificata indicata al momento
dell'accesso nel portale.
Al fine di supportare i richiedenti nella
compilazione del modello, l'avviso rende
noto che sul sito sopra indicato saranno
messe a disposizione degli utenti, apposite
istruzioni anche in forma audio-video.
Nell'istanza, i richiedenti dovranno altresì
autocertificare il possesso dei requisiti,
fermo restando che il mininterno potrà
esercitare i poteri di controllo sulla loro
veridicità.
Precisazioni.
Dall'elenco formato al termine della
procedura, saranno estratti (a sorte) i
nominativi dei revisori in fase di prima
applicazione, ovvero sino al 28.02.2013.
Saranno nominati, per ciascun organo di
revisione da rinnovare sia i soggetti
designati che eventuali subentranti in
ordine di estrazione.
In breve, nel caso di organo di revisione
collegiale i primi tre nominativi estratti
saranno designati per la nomina e, in caso
di rinuncia o impedimento ad assumere
l'incarico, subentreranno gli altri
nominativi estratti in rigoroso ordine dal
quarto sino al nono
(articolo ItaliaOggi
dell'08.06.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Enti liberi sugli organici. Dai
dirigenti incarichi ai dipendenti di
categoria D. I manager possono delegare il
potere di emanare i pareri di propria
competenza.
Un comune che ha nella
dotazione organica n. 11 posizioni
dirigenziali, di cui n. 9 coperte da
dirigenti assunti a tempo determinato, con
contratto in scadenza, e n. 2 da dirigenti a
tempo indeterminato –che non può rinnovare i
predetti contratti in quanto il rapporto tra
la spesa di personale e la spesa corrente
supera il 40%- può istituire le posizioni
organizzative e attribuire ai titolari delle
stesse, con delega del dirigente, le
attività di cui all'art. 107 del dlgs
267/2000, nonché i pareri di cui all'art. 49
del medesimo decreto legislativo? È
necessario, al termine del procedimento, il
visto ovvero la firma del dirigente?
La struttura organizzativa è tipica
manifestazione dell'autonomia di cui gode
ogni singolo ente che, attraverso lo
strumento del regolamento sull'ordinamento
degli uffici e dei servizi, stabilisce le
modalità di conferimento dei compiti ai
dirigenti ovvero ai responsabili degli
uffici, dettando, altresì, i criteri secondo
i quali gli stessi devono dirigere gli
uffici.
Il citato regolamento provvede, inoltre,
all'individuazione delle posizioni
organizzative e, al fine di assicurare
l'efficacia e l'efficienza dell'azione
amministrativa, a collocare nell'ambito di
ciascuna unità organizzativa, i vari
procedimenti amministrativi.
A tal proposito si rammenta che l'art. 5
della legge 241/1990 (e successive
modificazioni e integrazioni) prevede
espressamente che il dirigente di ciascuna
unità organizzativa possa assegnare a sé, o
ad altro dipendente addetto all'unità, la
responsabilità dell'istruttoria e di ogni
altro adempimento inerente il singolo
procedimento nonché l'adozione del
provvedimento finale, compatibilmente con le
vigenti norme in materia di competenza
nell'emanazione dei vari atti.
In merito, l'istituzione dell'area delle
posizioni organizzative, ai sensi dell'art.
8 del Ccnl 31/03/1999, è caratterizzata
proprio dall'assunzione diretta di elevata
responsabilità di prodotto e di risultato
per lo svolgimento anche di funzioni di
direzione di unità organizzative di
particolare complessità e caratterizzate da
elevato grado di autonomia, sia gestionale
che organizzativa.
Conseguentemente, il comune potrebbe
procedere a una nuova organizzazione
amministrativa creando due macrostrutture al
vertice delle quali porre i due dirigenti
assunti a tempo indeterminato.
All'interno di dette strutture potrebbero
essere previsti i vari servizi o settori con
l'istituzione delle posizioni organizzative,
secondo la disciplina del richiamato art. 8.
Gli incarichi di posizione organizzativa
dovranno essere conferiti dai dirigenti, ai
dipendenti di categoria D, previa
determinazione di criteri generali fissati
dall'ente.
Con il meccanismo della delega potranno,
quindi, essere delegate ai predetti
dipendenti talune particolari funzioni o
attività, ivi compresa la possibilità di
emanare i pareri di propria competenza.
Pertanto, fermo restando che il conferimento
delle funzioni dirigenziali ex art. 107 del
dlgs 267/2000 ai responsabili degli uffici e
dei servizi è previsto dal comma 2 dell'art.
109 del medesimo dlgs 267/2000 solo per i
comuni privi di personale di qualifica
dirigenziale, devono essere mantenuti in
ogni caso in capo al dirigente i poteri di
indirizzo, di coordinamento e di controllo
dell'attività svolta dai titolari di
posizione organizzativa
(articolo ItaliaOggi
dell'08.06.2012 - link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Dal
31 maggio fonti rinnovabili nei titoli
edilizi.
Dal 31.05.2012 la presentazione dei
titoli edilizi dovrà obbligatoriamente
essere integrata dalle fonti energetiche
rinnovabili negli edifici.
È l'articolo 11
del dlgs 03.03.2011, n. 28 a prevede che
le fonti rinnovabili debbano coprire i
«consumi di calore, di elettricità e per il raffrescamento secondo i principi minimi di
integrazione e le decorrenze di cui
all'allegato 3». È l'allegato 3 al dlgs
03.03.2011, n. 28 a stabilire che gli
obblighi sono previsti solo a partire dal 31.05.2012 e sono crescenti nel tempo.
Nel
caso di edifici nuovi o edifici sottoposti a
ristrutturazioni rilevanti, gli impianti di
produzione di energia termica devono essere
progettati e realizzati in modo da garantire
il contemporaneo rispetto della copertura,
tramite il ricorso a energia prodotta da
impianti alimentati da fonti rinnovabili,
del 50% dei consumi previsti per l'acqua
calda sanitaria più una percentuale
variabile calcolata sulla somma dei consumi
previsti per l'acqua calda sanitaria, il
riscaldamento e il raffrescamento.
Le
percentuali variabili, secondo i tempi delle
relative costruzioni sono: 20% se la
richiesta del titolo edilizio è presentata
dal 31.05.2012 al 31.12.2013; 35%
se la richiesta del titolo edilizio è
presentata dall'01.01.2014 al 31.12.2016; il 50% quando la richiesta
del pertinente titolo edilizio è rilasciato
dall'01.01.2017. Questi obblighi non si
applicano qualora l'edificio sia allacciato
ad una rete di teleriscaldamento che ne
copra l'intero fabbisogno di calore per il
riscaldamento degli ambienti e la fornitura
di acqua calda sanitaria. Il dlgs 28/2001 ha
ridefinito la tempistica e i criteri di
integrazione delle energie rinnovabili negli
edifici di nuova costruzione e negli edifici
«sottoposti a ristrutturazione rilevante».
È
l'articolo 2, comma 1, lettera m), del dlgs
28/2011 che contiene la definizione di
«edificio sottoposto a ristrutturazione
rilevante». Definendolo come un «edificio
che ricade in una delle due seguenti
categorie: edificio esistente avente
superficie utile superiore a 1000 metri
quadrati, soggetto a ristrutturazione
integrale degli elementi edilizi costituenti
l'involucro; edificio esistente soggetto a
demolizione e ricostruzione anche in
manutenzione straordinaria».
L'articolo 11,
2 comma, del dlgs 28/2011 prevede che le
disposizioni suindicate non vengono
applicate agli edifici protetti dal Codice
dei beni culturali e del paesaggio (dlgs 22.01.2004, n. 42) e a quelli
specificamente individuati come tali negli
strumenti urbanistici, qualora il
progettista evidenzi che il rispetto delle
prescrizioni implica un'alterazione
incompatibile con il loro carattere o
aspetto, con particolare riferimento ai
caratteri storici e artistici.
Per gli
edifici pubblici gli obblighi di
integrazione sono incrementati del 10%. Le
regioni possono stabilire anche valori di
integrazione superiori a quelli stabiliti
dal dlgs 28/2011
(articolo ItaliaOggi
del 07.06.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Corte
dei conti. La sezione Puglia ha riconosciuto
le somme incentivanti destinate ai
dipendenti comunali che svolgono controlli
nel 2012.
Restano i compensi per chi accerta l'Ici.
Via libera ai compensi incentivanti al
personale comunale dell'ufficio tributi,
commisurati al gettito Ici. La previsione
contenuta nell'articolo 59, lettera p), Dlgs
446/1997, non è stata infatti abrogata.
La
conferma giunge dal parere reso in questi
giorni, in sede consultiva, dalla Corte dei
Conti della Puglia.
Il dubbio nasceva dal fatto che la legge
44/2012 ha eliminato l'articolo 59 suddetto
dalle norme richiamate ai fini dell'Imu. Ciò
ha reso inapplicabile la disposizione in
oggetto nell'ambito del nuovo tributo
comunale. Per il 2012, tuttavia, i progetti
di recupero dell'evasione non hanno a
oggetto l'Imu ma l'attività di controllo
dell'Ici. Da qui il quesito rivolto da un
Comune in ordine alla possibilità di
deliberare, in via regolamentare, anche
quest'anno programmi che prevedano
l'erogazione di compensi parametrati al
gettito dell'Ici.
La Corte dei Conti della Puglia ha risposto
positivamente, osservando come nessuna
disposizione abbia abrogato l'articolo 59,
del Dlgs 446/1997. Tale articolo, essendo
specificamente rivolto all'Ici, non appare
altresì in alcun modo incompatibile con
l'ordinamento attuale.
Va inoltre evidenziato che anche la
circolare n. 3 del 2012 del Dipartimento
delle politiche fiscali, sul punto, si è
limitata a rilevare che il medesimo articolo
59 «non può trovare applicazione per l'Imu».
Nulla è invece precisato in ordine alla sua
vigenza nel contesto della gestione
dell'Ici. Il problema si porrà non appena
inizieranno i controlli dell'Imu. E appare
incoerente promuovere la lotta all'evasione
con la collaborazione dei Comuni, eliminando
uno strumento che si è già rivelato di
indubbia utilità allo scopo
(articolo Il Sole 24
Ore 07.06.2012 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Anche la Funzione Pubblica conferma: spetta
alla P.A. richiedere il DURC.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica
ricorda che nei pubblici appalti e nei
lavori privati in edilizia, spetta alla P.A.
richiedere il rilascio del DURC alle
Amministrazioni preposte al rilascio ed alle
Cassa Edili le quali, a loro volta, dovranno
inviarlo per PEC.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con
circolare 31.05.2012 n. 6/2012, conferma che,
in virtù del D.L. n. 5/2012, convertito con
modificazioni dalla Legge n. 35/2012, è
escluso che un privato possa consegnare il DURC all’Amministrazione nei pubblici
appalti e nei lavori privati in edilizia,
perché spetta alla P.A. richiedere il
rilascio dello stesso alle Amministrazioni
preposte al rilascio ed alle Cassa Edili.
Tuttavia il privato può richiedere il
rilascio del DURC -su cui dovrà essere
apposta a pena di nullità la dicitura: “Il
presente certificato non può essere prodotto
agli organi della P.A. o ai privati gestori
di servizi pubblici”- da consegnare ad
altro privato.
Unico caso in cui le Amministrazioni
procedenti potranno accettare una
dichiarazione sostitutiva è quello in cui
sia la normativa di settore ad ammetterlo
ma, in tal caso, le Amministrazioni dovranno
verificare la veridicità di quanto
dichiarato dal privato.
In relazione ai lavori pubblici, sottolinea
inoltre la circolare, è necessario che il
DURC sia acquisito d’ufficio in tempi
rapidi, sia nella fase di gara che in quella
successiva in cui il controllo sulla
regolarità contributiva è condizione
necessaria per il pagamento degli stati
avanzamento lavori e per il pagamento del
saldo finale.
In conclusione, la Funzione Pubblica invita
le Amministrazioni ad utilizzare, per
l’inoltro della richiesta del DURC, il
servizio on-line disponibile all’indirizzo
www.sportellounicoprevidenziale.it, mentre
gli Istituti previdenziali e le Casse edili
dovranno utilizzare, per la trasmissione del
certificato, la PEC.
Nel caso in cui il certificato sia
rilasciato d’ufficio, sullo stesso deve
essere apposta la dicitura: “rilasciato
ai fini dell’acquisizione d’ufficio”
(06.06.2012 - tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Il
Durc sopravvive su carta. Le indicazioni del
ministero del lavoro.
Il Durc sopravvive alla
decertificazione. Per i rapporti tra
privati, infatti, resta ancora richiedibile
in formato cartaceo (per esempio per la
verifica da parte del committente o del
responsabile dei lavori dell'idoneità
tecnico professionale delle imprese
affidatarie, come impone il T.u. sicurezza);
in tutti i rapporti tra le p.a., invece,
l'obiettivo è la sua completa
dematerializzazione con ricorso alla Pec,
canale obbligatorio di consegna del Durc a
partire dall'01.07.2013.
È quanto precisa, tra l'altro, il Ministero
del lavoro nella
circolare 01.06.2012 n. 12/2012.
Il ministero sottolinea, in primo luogo, che
le stazioni appaltanti sono tenute ad
acquisire d'ufficio il Durc non soltanto
nell'ambito dei lavori pubblici (in tutti i
contratti pubblici), ma anche nei lavori
privati dell'edilizia. In quest'ultimo
ambito, tuttavia, sopravvive la possibilità
di emissione del Durc a privati, ai fini
dell'utilizzo esclusivo nei rapporti fra
privati.
Ciò è previsto, precisa il ministero, dal
T.u. sicurezza laddove richiede, a carico
del committente o del responsabile dei
lavori privati, alcuni adempimenti
concernenti la verifica dell'idoneità
tecnico-professionale delle imprese
affidatarie, delle imprese esecutrici e dei
lavoratori autonomi anche attraverso il Durc
(adempimenti peraltro sanzionati
penalmente).
In secondo luogo, il ministero ribadisce
quanto già affermato in precedenza circa
l'impossibilità di sostituire il Durc con
un'autocertificazione, in quanto la
regolarità contributiva non può essere «oggetto
di sicura conoscenza». Rispetto a quanto
avviene per stati, qualità personali e
fatti, è cosa del tutto diversa, spiega il
ministero, la certificazione relativa al
regolare versamento dei contributi
obbligatori, poiché non costituisce una mera
certificazione del versamento di una somma a
titolo di contribuzione, ma è
un'attestazione di istituti previdenziali e
casse edili circa la «correttezza della
posizione contributiva di una realtà
aziendale».
Tuttavia, aggiunge il ministero, resta
possibile per l'impresa presentare la
dichiarazione in luogo del Durc nelle
specifiche ipotesi previste dalla legge (nei
contratti di forniture e servizi fino a 20
mila euro tra p.a. e società in house).
Il ministero, ancora, spiega che, per il
necessario risparmio di risorse economiche e
amministrative, gli istituti previdenziali e
le pubbliche amministrazioni sono tenute ad
adottare ogni accorgimento utile per la
dematerializzazione del Durc.
In particolare, il ministero ritiene che la
sua acquisizione non possa più operarsi
attraverso i canali della posta cartacea
che, oltre a dare luogo a costi elevati, non
garantiscono certezza dei tempi di consegna
materiale del certificato. Pertanto, gli
istituti sono tenuti ad attivare ogni
iniziativa utile alla progressiva diffusione
dell'utilizzo della Pec per la consegna del
Durc, fermo restando l'obbligatorietà
dell'invio esclusivo a partire
dall'01.07.2013.
Infine, nel ribadire l'esclusività delle
casse edili abilitate alla competenza e al
rilascio del Durc nel settore edile, il
ministero precisa che eventuali
certificazioni di regolarità rilasciate da
casse edili non abilitate, pur se
accompagnate da certificazioni di regolarità
separate da parte degli istituti di
previdenza, non potranno in alcun modo
sostituirsi al Durc, ancorché le predette
casse abbiano in passato sottoscritto
accordi a livello locale e abbiano in corso
contenzioso sul loro riconoscimento.
---------------
Un garbuglio infinito.
Indicazioni contrastanti sul documento.
Il garbuglio infinito del Durc si
arricchisce di un nuovo filone. La
circolare 01.06.2012 n. 12/2012
del ministero del lavoro posta a risolvere
alcune questioni concernenti il Durc dopo la
disciplina della cosiddetta decertificazione,
si pone indirettamente in contraddizione con
precedenti note dello stesso ministero e di
Inps e Inail.
Si tratta della nota ministeriale
16.01.2012, n. 619 e della nota congiunta di
513/2012, con le quali si è sostenuta la
tesi secondo la quale il Durc sfuggirebbe
all'applicazione delle nuove regole sui
certificati (che ne determinano l'invalidità
se scambiati tra amministrazioni pubbliche)
disposte dall'articolo 15 della legge
183/2012.
Secondo tali note, il Durc come certificato
continuerebbe a sopravvivere, per la
semplice ragione che i suoi contenuti,
caratterizzati da una rilevante attività di
tipo tecnico, non sono del tutto conoscibili
dai privati. Che, di conseguenza, non
potrebbero presentare dichiarazioni
sostitutive del documento, il quale, del
resto, deve essere acquisito d'ufficio dalle
amministrazioni appaltanti.
Molti hanno fatto notare che tale tesi non
regge per una serie di motivi, il principale
dei quali consiste nell'espressa previsione
contenuta nell'articolo 38, comma 2, del
dlgs 163/2006 da cui discende la piena
autocertificabilità del Durc, a sua volta
qualificato espressamente come certificato
dall'articolo 6, comma 1, del dpr 207/2010.
Ora, la circolare 37/2012 del ministero del
lavoro indirettamente contribuisce a privare
ulteriormente di pregio le indicazioni
precedenti. Nel paragrafo dedicato alla
validità trimestrale del Durc, detta
circolare indica: «Ha validità
trimestrale il Durc emesso ai fini del
controllo delle autocertificazioni
presentate ai sensi del dpr n. 445/2000 che
attesta la regolarità alla data
dell'autocertificazione che è stata indicata
nella richiesta». Smentendo totalmente i
precedenti assunti, dunque, il ministero
considera perfettamente legittimo che le
imprese, nell'ambito degli appalti pubblici,
presentino autocertificazioni, precisando la
validità trimestrale del Durc emesso, poi,
in risposta alle richieste delle
amministrazioni appaltanti in merito alla
verifica della veridicità di quanto
dichiarato dalle imprese.
La circolare, per altro, si pone a sua volta
in contrasto con la decertificazione. Scopo
primo e fondamentale dell'articolo 15 della
legge 183/2011 è vietare in via assoluta che
le amministrazioni tra loro dialoghino
mediante scambio di certificati. Ammettere
che la verifica del contenuto delle
autocertificazioni in merito alla posizione
contributiva e previdenziale degli
appaltatori si svolga mediante il rilascio
del Durc, significa legittimare la
violazione frontale e irrimediabile della
disciplina della decertificazione e indicare
indirettamente, ma senza alcun fondamento
legislativo, che sul Durc non vada inserita
la dicitura prevista dall'articolo 40, comma
02, del dpr 445/2000.
In senso diametralmente opposto al
pronunciamento del ministero del lavoro è,
invece, la
circolare 31.05.2012 n. 6/2012
della funzione pubblica, secondo la quale il
Durc ricade pienamente nella disciplina
dell'articolo 15 della legge 183/2011. Un
contrasto di opinioni che disorienterà non
poco operatori e imprese, tale da meritare
un urgente ripensamento della normativa
sulla semplificazione che, a ben vedere,
come si dimostra, di semplificazione ha ben
poco
(articolo ItaliaOggi
del 06.06.2012). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Il
richiamo di Patroni Griffi alle p.a.. Durc da
acquisire solo on-line.
L'acquisizione d'ufficio del Durc (il
documento unico di regolarità contributiva)
da parte delle p.a. deve avvenire in tempi
rapidi in modo da non provocare ritardi nei
pagamenti che possono far scattare
responsabilità erariale a carico del
dipendente pubblico. Per questo le pubbliche
amministrazioni per richiedere il
certificato dovranno utilizzare, «salvo
motivati casi eccezionali», i servizi on-line
offerti dal portale
www.sportellounicoprevidenziale.it. Gli
istituti di previdenza e le casse edili dal
canto loro dovranno trasmettere il Durc
esclusivamente tramite Pec (posta
elettronica certificata).
A richiamare
l'attenzione delle p.a. sulle novità in
materia di decertificazione contenute nella
legge di stabilità 2012 (legge n.183/2011) è
il ministero per la pubblica amministrazione
e la semplificazione nella
circolare 31.05.2012 n. 6/2012.
Nella nota, il
ministro Filippo Patroni Griffi, ricorda che
negli appalti pubblici e nei lavori privati
di edilizia il Durc non può più essere
consegnato dal privato all'amministrazione,
ma sarà la p.a. a doverlo chiedere agli enti
preposti al suo rilascio.
Se la normativa di settore lo prevede, al
posto del Durc il privato potrà presentare
una dichiarazione sostitutiva, la cui
attendibilità andrà attentamente valutata
dall'amministrazione. Il privato potrà
richiedere il rilascio del Durc se intende
consegnarlo ad altro privato, ma sul
documento dovrà essere apposta la dicitura
«il presente certificato non può essere
prodotto agli organi della pubblica
amministrazione o ai privati gestori di
pubblici servizi».
Ribaditi i paletti
normativi imposti dalla legge di stabilità e
dal decreto semplificazioni di Mario Monti
(dl n. 5/2012), la nota di Patroni Griffi
raccomanda che l'acquisizione d'ufficio del
documento avvenga in tempi rapidi «sia nella
fase di gara che in quella successiva nella
quale il controllo della regolarità
contributiva è condizione necessaria per il
pagamento degli stati di avanzamento lavori
o delle prestazioni relative a servizi e
forniture o per il pagamento del saldo
finale».
«In queste ultime ipotesi», scrive
il ministro, «un eventuale ritardo nella
richiesta del Durc può tradursi in uno
slittamento dei pagamenti con conseguente
maggiore onerosità degli stessi e
responsabilità erariale del dipendente
incaricato». Per questo va usato il portale
di cui sopra che attraverso un apposito
applicativo consente di verificare in tempo
reale l'inoltro della richiesta di Durc da
parte delle p.a.
(articolo ItaliaOggi
del 05.06.2012). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Le PP.AA. devono acquisire il DURC d’ufficio.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali fornisce chiarimenti sul rilascio
del DURC, con riferimento ai lavori edili
pubblici e privati, in relazione alla
possibilità di sostituire il DURC con
l’autocertificazione e sulla sua validità,
sulla dematerializzazione e consultazione
dello stesso ed infine sulle Casse Edili
abilitate al rilascio.
Con la
circolare 01.06.2012 n. 12/2012, il Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali ha
fornito indicazioni sul rilascio del DURC
per gli operatori del settore e per
uniformare il comportamento del personale
ispettivo.
DURC per lavori edili pubblici e privati
Innanzitutto la circolare ministeriale
chiarisce che nell’ambito dei lavori
pubblici le stazioni appaltanti sono tenute
ad acquisire d’ufficio il DURC, sia in forza
dell’art. 16-bis, c. 10, del D.L. n.
185/2008, convertito dalla Legge n. 2/2009,
sia in forza dell’art. 44-bis del DPR n.
445/2000. Inoltre, anche l’art. 14, c.
6-bis, D.L. n. 5/2012, le Amministrazioni
pubbliche devono acquisire d’ufficio il DURC
sia nell’ambito dei lavori pubblici che nei
lavori privati dell’edilizia.
Nell’ambito dei lavori privati in edilizia è
comunque possibile, da parte dei privati
richiedere il Documento ai fini di un suo
utilizzo nei rapporti fra privati ma, in tal
caso, gli Istituti e le Casse Edili devono
apporre sulla certificazione, a pena di
nullità, la dicitura “il presente
certificato non può essere prodotto agli
organi della P.A. o ai privati gestori di
servizi pubblici" (art. 40, c. 2, DPR n.
445/2000).
Per quanto concerne, invece, l’acquisizione
del DURC da parte dell’Amministrazione
concedente, l’acquisizione del DURC relativo
alle imprese affidatarie, alle imprese
esecutrici ed ai lavoratori autonomi
interessati deve essere effettuata d’ufficio
dalla medesima amministrazione.
Sostituzione del DURC con autocertificazione
Come già chiarito in altre occasioni, il
Ministero del Lavoro conferma che la
regolarità contributiva non può essere
autocertificabile. Cosa diversa è la
certificazione relativa al regolare
versamento della contribuzione obbligatoria
che non costituisce mera certificazione del
versamento di una somma a titolo di
contribuzione, per cui l’impresa può
presentare una dichiarazione in luogo del
DURC in specifiche ipotesi previste dal
Legislatore, come nel caso dell’art. 38, c.
1, lett. i), del D.Lgs. n. 163/2006 e l’art.
14-bis del D.L. n. 70/2011, convertito dalla
Legge n. 106/2011 (contratti di forniture e
servizi fino a 20.000 € stipulati con la
P.A. e con le società in house)
Validità del DURC
La circolare n. 12/2012, costituisce
occasione per il Ministero per ricordare che
il DURC, anche nell’ambito pubblico ha
validità trimestrale, inoltre:
- nell’ambito delle procedure di selezione
del contraente, va acquisito un DURC per
ciascuna procedura e lo stesso ha validità
trimestrale; analogamente ha validità
trimestrale il DURC emesso ai fini del
controllo delle autocertificazioni
presentate ex DPR n. 445/2000 che attesta la
regolarità alla data dell’autocertificazione
che è stata indicata nella richiesta. In
entrambi i casi il DURC può essere
utilizzato dalla stazione appaltante
all’interno della medesima procedura di
selezione, anche ai fini dell’aggiudicazione
e sottoscrizione del contratto, purché
ancora in corso di validità.
- per le fasi di stato avanzamento lavori o
stato finale/regolare esecuzione - fermo
restando l’obbligo di richiedere un nuovo
DURC per ciascun SAL o stato finale riferiti
ad ogni singolo contratto
- il DURC ha validità trimestrale.
- il DURC deve essere richiesto anche nel
caso di appalti relativi all’acquisizione di
beni, servizi e lavori effettuati in
economia ex art. 125, c. 1, lett. b), D.Lgs.
n 163/2006 ed ha validità trimestrale con
riferimento allo specifico contratto.
Dematerializzazione e consultazione del DURC
Gli Istituti e le PP.AA. devono adottare
ogni possibile misura per dematerializzare
il DURC e quindi per diffonde l’uso della
PEC per la consegna. Gli Istituti, inoltre,
potranno adottare misure tecniche per
rendere accessibili via web, a chi abbia un
interesse qualificato (Casse edili abilitate
comprese), le informazioni concernenti
richieste e contenuti dei DURC già
rilasciati. DURC e Casse Edili abilitate.
Infine, la circolare n. 12/2012 ribadisce
che le stazioni appaltanti debbono tenere in
conto solo le certificazioni rilasciate
dalle Casse Edili abilitate al rilascio del DURC.
Eventuali certificazioni rilasciate da Casse
edili non abilitate non possono sostituire
il DURC anche se le Casse abbiano in passato
sottoscritto accordi a livello locale o
abbiano in corso contenziosi relativi alla
possibilità di rilasciare attestazioni di
regolarità
(04.06.2012 - tratto da
www.ipsoa.it). |
APPALTI SERVIZI: Liberalizzazioni.
Ancora fermo lo schema di delibera-quadro
per l'analisi di mercato.
La burocrazia sposta al 2013 la riforma dei
servizi pubblici.
L'impasse sui decreti rende impossibile
rispettare i tempi.
VUOTI NORMATIVI/
Mancano anche le misure per assoggettare al
Patto di stabilità le imprese in house e le
aziende speciali.
Il processo per i nuovi affidamenti dei
servizi pubblici locali è partito, ma i
ritardi nell'emanazione di alcuni decreti
attuativi rischiano di rendere impossibile
il rispetto delle scadenze nel corso per
2012, per l'attribuzione dei diritti di
esclusiva e in relazione alla cessione delle
gestioni esistenti.
Il 31 maggio era l'ultima data utile per i
Comuni che volevano definire proposte per
Ato con dimensionamento diverso da quello
provinciale, da presentare alle Regioni per
la revisione di ambiti e bacini per i
servizi a rete, che dovrà essere adottata
entro il 30 giugno di quest'anno.
Lo sviluppo di questa fase, strategica per
servizi come il ciclo integrato dei rifiuti,
è stato però fortemente penalizzato dalla
mancanza di un riferimento certo per la
verifica istruttoria che gli enti locali
devono fare sull'attribuzione dei diritti di
esclusiva: le particolarità rilevabili in un
Ato possono infatti risultare decisive per
orientare gli enti affidanti sull'opzione
della gestione unitaria.
Il decreto ministeriale che doveva essere
adottato entro il 31 marzo è, invece, ancora
in itinere (dopo un passaggio nella
Conferenza unificata del 19 aprile, al quale
non ha avuto seguito la produzione di un
nuovo testo ufficiale) e il ritardo
compromette l'avvio dei processi di
affidamento entro l'anno.
Come rilevato da Federutility (si veda anche
il grafico a fianco) la mancanza del decreto
ministeriale e, quindi, l'assenza di
parametri certi per la definizione della
delibera-quadro, incidono sulla possibilità
degli enti affidanti di rispettare la prima
scadenza fondamentale, individuata nella
data del 13.08.2012, entro la quale
dovranno trasmettere all'Antitrust
l'istruttoria complessiva sui servizi
pubblici liberalizzabili o riconducibili a
un unico gestore.
La situazione rischia di condurre a una
corsa contro il tempo, ma, soprattutto, di
produrre il congestionamento del l'Authority
per i troppi pareri da rendere. L'autorità,
una volta investita della richiesta di
parere, deve rendere la sua valutazione
entro 60 giorni, con una proiezione che
permetterebbe agli enti affidanti di avere
solo alla metà di ottobre (nella migliore e
più teorica delle ipotesi) il quadro di
analisi dei servizi da liberalizzare e di
quelli da affidare in base al l'articolo 4
della legge 148/2011, per poter definire la
delibera-quadro.
Il passaggio è, peraltro, obbligatorio per
poter procedere almeno all'avvio dei nuovi
affidamenti entro la prima scadenza del 31.12.2012, prevista per gli affidamenti
in house non più compatibili con i
riferimenti normativi.
Lo slittamento della verifica istruttoria
per l'attribuzione dei diritti di esclusiva
renderebbe impossibile il rispetto della
tempistica prevista per il periodo
transitorio, mentre l'ipotesi di un
meccanismo di silenzio-assenso rispetto al
parere dell'Agcm rischierebbe di vanificare
il significato stesso della verifica.
Il decreto ministeriale, inoltre, dovrebbe
risolvere alcuni punti oscuri del quadro
normativo generale, primo tra tutti lo
scioglimento del dubbio circa la necessità o
meno che la verifica per l'attribuzione dei
diritti di esclusiva debba essere fatta
anche in relazione agli affidamenti in house
(compresi quelli alle potenziali società
uniche d'ambito). Oltre al Dm sulla
delibera-quadro mancano, tuttavia, altri
decreti attuativi di norme cruciali per il
sistema dei servizi pubblici locali.
Il più rilevante è senza dubbio quello che
deve definire i criteri per l'applicazione
del Patto di stabilità alle società in
house, previsto sia dall'articolo 18 della
legge 133/2008 sia dallo stesso articolo 4
della legge 148/2011. Altrettanto critica
risulta la mancata adozione, ad oggi, del
decreto per l'assoggettamento al Patto di
stabilità delle aziende speciali
(articolo Il Sole 24
Ore del 04.06.2012 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti
e gare pubbliche. Tutte le novità per gli
affidamenti della PA.
Iter più snello per «conquistare» un
contratto. Oggi è possibile accedere alle
procedure utilizzando sempre
l'autocertificazione.
La valanga di ben 70 modifiche correttive
del Codice dei contratti pubblici disperse
nel l'ultimo anno in 15 provvedimenti (dal
decreto sviluppo di maggio 2011 a quello
sulla spending review di pochi giorni
fa) ha avuto almeno il merito di introdurre
strumenti e soluzioni che semplificano
l'accesso alla gara degli operatori
economici, in particolar modo delle Pmi.
Le Pmi
Per le micro, piccole e medie imprese le
norme contenute nel l'articolo 13 della
legge 180/2011 (Statuto delle imprese)
facilitano la partecipazione alle procedure
selettive, con l'introduzione di un
principio di suddivisione in lotti
funzionali degli appalti, trasformato in
obbligo vero e proprio dal decreto salva
Italia (Dl 201/2011), con una specifica
previsione, condizionata a una valutazione
di economicità e convenienza da parte delle
amministrazioni.
Lo Statuto delle imprese sollecita le
stazioni appaltanti a semplificare le regole
di gara, per consentire la maggiore
partecipazione di raggruppamenti temporanei
tra micro, piccole e medie imprese, ma
prevede anche ottimizzazioni della
procedura, attraverso requisiti di capacità
non sproporzionati rispetto all'appalto,
oppure limitando il controllo dei requisiti
all'aggiudicataria e consentendo
l'autocertificazione di tutti i requisiti.
L'autocertificazione
Questo aspetto è stato esteso a tutte le
tipologie di gara con le disposizioni sulla
"decertificazione", introdotte nel
Testo unico sulla documentazione
amministrativa (Dpr 445/2000) dalla legge di
stabilità (legge 183/2011) dal primo gennaio
di quest'anno.
Con tali disposizioni, infatti, le
dichiarazioni sostitutive di certificazione
e di atto di notorietà diventano definitive,
in quanto i certificati emessi da pubbliche
amministrazioni (ad esempio un certificato
del casellario giudiziale) non possono più
essere utilizzati nei confronti di soggetti
pubblici. Le stazioni appaltanti, quindi,
non possono più chiedere certificati ai
concorrenti e sono tenute ad acquisire i
riscontri per le dichiarazioni sostitutive
rese, mediante verifiche d'ufficio. Così
come d'ufficio sarà l'acquisizione della
documentazione antimafia presso le
Prefetture, secondo quanto sta per chiarire
il decreto che anticipa l'entrata in vigore
del Codice antimafia, approvato in prima
lettura dal Consiglio dei ministri il 25
maggio.
Ma c'è un risvolto della medaglia: le
imprese e gli operatori devono essere molto
attenti a preparare le autocertificazioni.
Devono verificare, ad esempio, se tutti gli
amministratori e i vertici della società non
abbiano, ad esempio, magari cartelle
esattoriali in sospeso o condanne per reati
che incidono sulla moralità professionale.
La sanzione per le false dichiarazioni rese
con dolo o colpa grave è stata di recente
graduata (Dl 5/2012, in vigore dal 10
febbraio) e consiste nell'esclusione dal
mercato fino a un anno, a giudizio
dell'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici.
Le imprese possono comunque richiedere i
certificati attestanti lavori, forniture o
servizi eseguiti presso il committente
pubblico. Questi documenti, meglio se
aggiornati, possono risultare utilissimi per
controllare tutte le informazioni da rendere
in sede di partecipazione alla gara. Una
delle modifiche più significative al Codice
dei contratti è l'introduzione del principio
della tassatività delle cause di esclusione,
i cui termini applicativi sono definiti nel
comma 1-bis dell'articolo 46 del Dl sviluppo
(Dl 70/2011).
Ora le stazioni appaltanti possono inserire
nei bandi clausole che prevedano
l'esclusione solo in rapporto a obblighi
prescritti dal Codice, dal regolamento
attuativo o da norme di legge (ad esempio il
pagamento del contributo all'Autorità
contratti), nonché per ragioni legate alla
completezza o alla segretezza delle offerte
(ad esempio in caso di lesione del plico).
Se il bando o il disciplinare prevedono
clausole non rispondenti a questo principio,
queste sono nulle. L'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici sta
elaborando dei bandi-tipo, che conterranno
le clausole di esclusione specifiche.
I requisiti
Un'impresa che voglia partecipare a una gara
di lavori, servizi o forniture deve comunque
possedere un'ampia serie di requisiti di
ordine generale, che dimostrano
l'insussistenza di cause ostative a
contrattare con le pubbliche
amministrazioni. Il catalogo di questi
requisiti è delineato dall'articolo 38 del
Codice dei contratti pubblici, più volte
integrato negli ultimi mesi
(articolo Il Sole 24
Ore del 04.06.2012 - link a www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 04.06.2012 |
|
VARI: Mail
selvaggia, imprese senza tutela.
Imprese ed enti pubblici senza tutela contro
telefonate, fax e mail selvaggi. La modifica
dell'articolo 4 del codice della privacy
lascia sguarnite persone giuridiche, enti e
associazioni. E non basta sostenere che le
tutele sono appannaggio del contraente o
dell'utente del servizio di comunicazioni.
Dunque difficile sanzionare per trattamento
illecito dei dati delle persone giuridiche.
Queste le conseguenze da trarre anche a
seguito dei decreti legislativi 69 e
70/2012, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale
del 31.05.2012.
A questo punto si rischia che venga
contestato all'Italia un procedimento di
infrazione per violazione della direttiva
2000/58, che tutela l'abbonato, anche se è
persona giuridica.
Nel frattempo il Garante interviene in
materia di telemarketing e precisa che chi
acquista dati deve verificare che gli
abbonati contattati abbiano espresso il loro
consenso (provvedimento 136 del 05.04.2012).
IMPRESE E P.A. INDIFESE
L'articolo 121 del dlgs 196/2003 (codice
sulla protezione dei dati), apre la sezione
dedicata alla privacy nei servizi di
telecomunicazione e descrive l'ambito di
applicazione delle norme lì contenute (tra
cui l'articolo 130 sulle forme di tutela
contro le comunicazioni indesiderate).
L'articolo 121 limita, dunque, l'ambito
d'applicazione al trattamento di «dati
personali» connesso ai servizi
telecomunicazioni. Se si confronta questa
disposizione con l'articolo 4 del codice
della privacy (dopo le modifiche apportate
dal dl 201/2011) si scopre che per «dato
personale» si intende qualunque
informazione relativa alla sola persona
fisica.
In sostanza rimangono fuori persone
giuridiche, enti e associazioni. Rimane,
quindi, almeno, un'ambiguità legislativa,
con la conseguenza che il trattamento dei
dati relativi a enti collettivi sarebbe
sfornito di tutela e potrebbe essere
utilizzato e conservato addirittura senza
limiti di tempo. Inoltre diventa difficile
applicare sanzioni penali o amministrative
per trattamento illecito dei dati degli enti
collettivi. Eppure la direttiva 2000/58
prevede tutele per gli abbonati (sia persone
fisiche sia persone giuridiche, si veda il «considerando»
n. 12 della direttiva): di qui il rischio di
sanzioni europee all'Italia per inosservanza
della direttiva.
TELEMARKETING
L'azienda che per attività di telemarketing
acquisisce da società specializzate banche
dati con numeri telefonici, deve accertarsi
che gli abbonati abbiano espresso il loro
consenso a ricevere telefonate
pubblicitarie. La responsabilità sull'uso
illecito dei dati potrebbe infatti ricadere
non solo sulla società che li ha venduti, ma
anche sull'azienda che li ha acquistati, che
è da considerare titolare di trattamento,
con le conseguenti responsabilità connesse
al ruolo.
Il Garante privacy è intervenuto, con il
provvedimento n. 136/2012, non ha tra
l'altro ritenuto valida la clausola di
garanzia del fornitore dei dati, che pure ha
dichiarato di tenere indenne la società
acquirente da sanzioni o condanne: si tratta
di clausole ritenute illecite, in quanto
elusive delle norme imperative del Codice
che disciplinano, appunto, obblighi, oneri e
responsabilità del titolare del trattamento.
Il Garante, in conclusione, non solo ha
vietato alla società fornitrice l'ulteriore
utilizzo di numeri telefonici senza un
valido consenso, ma ha anche dichiarato
illecito il trattamento dei dati effettuato
dalla società acquirente, disponendo per
entrambe l'avvio di procedimenti
sanzionatori
(articolo ItaliaOggi
del 02.06.2012). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Regolarità
contributiva sul web. Gli uffici possono
rendere pubblico il Durc che (per ora) ha
validità trimestrale.
Le pubbliche
amministrazioni acquisiscono d'ufficio il
documento unico di regolarità contributiva (Durc),
sia per i contratti pubblici che per i
lavori nel privato. Questa semplificazione
deriva dalla decreto legge 5/2012, articolo
14, comma 6. Tuttavia i privati possono
sempre chiedere il documento unico di
regolarità contributiva per verificare, per
esempio, l'idoneità professionale di
un'impresa.
Il chiarimento arriva dal Ministero del
Lavoro, con la
circolare
01.06.2012 n. 12/2012. Alla
stessa conclusione arriva, peraltro, la
circolare 31.05.2012
n. 6/2012 del ministro per la
Pubblica amministrazione.
Il documento destinato ai privati dovrà
essere contrassegnato –a pena di nullità–
dalla dicitura «il presente certificato
non può essere prodotto agli organi della
Pubblica amministrazione o ai privati
gestori di pubblici servizi».
Nella circolare del ministero del Welfare
non hanno trovato risposta le criticità
sollevate durante il Forum lavoro,
organizzato mercoledì dal Sole 24 Ore, dal
Consiglio nazionale dei consulenti e dalla
Fondazione studi di categoria (si veda Il
Sole 24 Ore di giovedì). In particolare,
resta confermato il periodo di validità del
Durc circoscritto a tre mesi. I consulenti
del lavoro, invece, chiedono l'estensione
temporale in modo che le aziende abbiano a
disposizione un periodo maggiore per
regolarizzare in modo spontaneo eventuali
irregolarità nei versamenti, dovute per
esempio a scarsa liquidità o ad altre
difficoltà temporanee. Il direttore generale
per l'Attività ispettiva, Paolo Pennesi, che
ha partecipato al Forum insieme con il
collega Fabrizio Nativi, ha condiviso la
richiesta dei consulenti.
Tuttavia, la circolare di ieri ha scelto di
confermare l'orientamento già espresso dal
ministero nel 2010. Probabilmente si è
arrivati alla conclusione che un documento
dell'amministrazione non è adeguato a
prolungare la validità del Durc. Per altro,
già durante il Forum era emersa
l'impossibilità di modificare per circolare
l'importo oltre il quale il documento di
regolarità contributiva è negativo: oggi il
limite è 100 euro. La cifra –per consulenti
e aziende– è troppo contenuta; un limite un
po' più alto cancellerebbe probabilmente i
documenti di irregolarità collegati a
piccole mancanze o distrazioni.
Quanto al periodo di validità, il ministero
del Lavoro, sulla base della circolare
35/2010, ha ribadito che per le procedure di
selezione del contraente il Durc attesta la
regolarità al momento del rilascio e ha
validità trimestrale rispetto alla gara: è
possibile far riferimento allo stesso
documento anche per aggiudicazione e firma
del contratto purché la certificazione non
sia anteriore a tre mesi. Per ogni fase di
avanzamento lavori o per lo stato finale di
regolare esecuzione occorre il relativo Durc:
su questo si può "appoggiare" il
pagamento, purché nell'arco dei tre mesi.
Nella circolare firmata ieri un capitolo è
dedicato alla «dematerializzazione»:
per risparmiare, ma anche per rendere più
efficiente la comunicazione tra
amministrazioni si dovrà utilizzare sempre
più la posta elettronica certificata, che
comunque diventerà obbligatoria dal 2013.
Infine, la circolare del ministero del
Lavoro spiega come le richieste e i
contenuti del Durc possano essere «accessibili
via web a chiunque abbia un interesse
qualificato, ivi comprese le Casse edili
abilitate». Dunque le amministrazioni
potranno organizzarsi per pubblicare sul web
le verifiche di regolarità contributiva. Il
presupposto è costituito da una previsione
contenuta nel decreto legge 201/2011, che ha
escluso (articolo 40, comma 2) le persone
giuridiche dal campo di applicazione della
privacy. La "pubblicità" riferita a
chiunque abbia un interesse qualificato
potrebbe preludere a una consultazione del
Durc anche da parte di aziende private
(articolo Il Sole 24
Ore
del 02.06.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Stop
regali e più etica nella p.a..
Niente regali agli statali («in connessione
con l'espletamento delle proprie funzioni»),
e disco verde al codice comportamentale per
dirigenti e impiegati che, in caso di
violazioni, rischiano sanzioni fino al
licenziamento. Congelato, invece, lo stop di
tre anni a ex politici e candidati che
aspirano a ricoprire incarichi di vertice
nelle amministrazioni pubbliche.
Fa due
passi avanti e uno indietro il disegno di
legge per la lotta alla corruzione (C 4434-A
e abb.), in votazione nell'aula della
camera, dove tornerà lunedì 4 giugno,
malgrado il Pdl, in disaccordo con alcune
norme governative, avesse chiesto un rinvio.
Via libera ieri a un emendamento del
ministro della funzione pubblica, Filippo
Patroni Griffi, che impone l'adozione di un
regolamento ispirato ai principi
costituzionali di «diligenza, lealtà,
imparzialità e servizio esclusivo alla cura
dell'interesse» generale, secondo cui se
verrà arrecato un danno economico per
condotta scorretta, sarà il dipendente a
doverlo rimborsare di tasca sua; codice
valido anche per le magistrature, toccherà
alle associazioni di categoria o, in caso di
loro inerzia, agli organi di autogoverno
varare le norme di condotta, la cui
violazione comporterà responsabilità
disciplinare. Sì, poi, a dati su opere e
appalti raccolti in file «aperti» ai
cittadini, ma l'esecutivo finisce sotto
quando passa con i voti di Pd, Idv, Lega,
Api e Mpa una proposta che prevede che un
pubblico impiegato che abbia percepito soldi
in maniera indebita sia sottoposto al
giudizio sulla responsabilità erariale da
parte della Corte dei conti.
Stand-by sul divieto di ricorso agli
arbitrati, sulle regole antimafia nelle gare
pubbliche, sul veto di conferire ruoli
dirigenziali per un triennio a chi ha svolto
incarichi politici, o è stato in lizza per
cariche elettive: il governo, riferisce a
ItaliaOggi uno dei relatori Angela Napoli (Fli)
«sta tentando una mediazione coi partiti,
soprattutto con il Pdl. Capisco la posizione
dell'esecutivo, che vuole approvare un testo
così importante con un'ampia maggioranza, ma
il pericolo è che possa essere annacquato».
Lunedì nuovo vertice con i ministri Patroni
Griffi e Paola Severino (Giustizia) e i
rappresentanti dei partiti, per cercare di
superare lo stallo
(articolo ItaliaOggi
dell'01.06.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Sì al cedolino
elettronico.
Possibile la consegna per e-mail, anche
senza Pec. Le precisazioni del ministero in
risposta a un interpello dei consulenti.
Sì al cedolino elettronico. Può essere
consegnato per e-mail, e non necessariamente
posta elettronica certificata (Pec), e può
anche essere reso disponibile in un'area
riservata di un sito web a cui i lavoratori
hanno accesso con password.
Lo precisa il
Ministero del Lavoro nell'interpello
30.05.2012 n.
13/2012.
Il cedolino elettronico. Il ministero
risponde ai consulenti del lavoro che hanno
chiesto di sapere se è possibile, per il
datore di lavoro privato (nella p.a. il
cedolino elettronico è già una realtà),
assolvere agli obblighi della legge n.
4/1953 in merito alla consegna del prospetto
paga, oltre che mediante l'utilizzo della
posta elettronica certificata (soluzione che
ha già ottenuto l'ok del ministero
nell'interpello n. 1/2008, si veda ItaliaOggi del 12.02.2008), anche
attraverso un sito web, dotato di un'area
riservata con accesso consentito al proprio
personale mediante password individuale.
In
particolare, i consulenti chiedono se possa
ritenersi sufficiente la semplice
collocazione dei prospetti di paga di volta
in volta elaborati (contestuale al pagamento
mensile della retribuzione con bonifico
bancario e/o con altro mezzo), nell'apposita
area riservata del sito web, prospetti
consultabili e scaricabili esclusivamente da
parte del lavoratore interessato con una
password individuale.
I chiarimenti.
La risposta è affermativa. Il ministero
richiama i chiarimenti forniti
nell'interpello n. 1/2008 prima di tutto per
ribadirli ma soprattutto per precisare la «legittimità
della consegna del documento anche mediante
posta elettronica non certificata», cioè
a un comune indirizzo e-mail. Analogamente a
quanto avviene in tema di obblighi di
certificazione fiscale del sostituto
d'imposta, spiega il ministero, la legge n.
4/1953 fa riferimento a un obbligo di «consegnare»
il prospetto paga senza alcun richiamo alla
necessità che sia consegnata in forma
cartacea, con la conseguenza che non si
ravvisa uno specifico divieto di trasmettere
al lavoratore il documento per posta
elettronica anche non certificata.
Ciò, aggiunge il ministero, a condizione che
sia garantita al dipendente la possibilità
di entrare nella disponibilità del prospetto
e di poterlo materializzare. Il ministero
precisa poi di «ritenere possibile
l'assolvimento degli obblighi di cui agli
articoli 1 e 3, della legge n. 4/1953 da
parte del datore di lavoro privato anche
mediante la collocazione dei prospetti di
paga su sito web dotato di un'area riservata
con accesso consentito al solo lavoratore
interessato, mediante utilizzabilità di
postazione internet dotata di stampante e
l'assegnazione di apposita password o codice
segreto personale».
Il ministero, inoltre, per garantire la
verifica immediata da parte del lavoratore,
ritiene necessario che della collocazione
mensile dei cedolini risulti traccia nello
stesso sito
(articolo ItaliaOggi
dell'01.06.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Simboli, sì alle variazioni.
Mani libere al gruppo consiliare sulla
modifica. La linea da seguire in
assenza di disciplina statutaria o
regolamentare.
In assenza di una specifica disciplina
statutaria e regolamentare, un gruppo
consiliare di opposizione può modificare o
sostituire il simbolo col quale la lista si
era presentata al corpo elettorale?
La materia concernente la costituzione dei
gruppi consiliari è interamente demandata
allo statuto e al regolamento del consiglio,
nell'ambito della propria autonomia
funzionale ed organizzativa (art. 38, comma
3, dlgs n. 267/2000).
Ne deriva che le problematiche relative alla
costituzione e al funzionamento dei gruppi
consiliari dovrebbero essere valutate alla
stregua delle specifiche norme statutarie e
regolamentari di cui l'ente locale si è
dotato. Pertanto soltanto il consiglio
comunale, nella sua sovranità ed in quanto
titolare della competenza a dettare le norme
cui uniformarsi in tale materia, è abilitato
a fornire un'interpretazione autentica delle
norme statutarie e regolamentari,
pronunciandosi in merito a quanto richiesto.
Nel caso di specie, se lo statuto comunale e
il regolamento non dettano specifiche
disposizioni in materia ma prevedono che i
consiglieri si costituiscano «di regola» nei
Gruppi individuati nelle liste che si sono
presentate alle elezioni e stabiliscono che
i consiglieri possano costituire gruppi non
corrispondenti alle liste elettorali nelle
quali sono stati eletti, sembra di poter
ritenere ammissibile la facoltà di operare
variazioni all'interno degli schieramenti
che possono, dunque, non corrispondere alla
composizione scaturente dalle elezioni.
Il principio generale del divieto di mandato
imperativo sancito dall'art. 67 della
Costituzione, pacificamente applicabile ad
ogni assemblea elettiva, assicura ad ogni
consigliere l'esercizio del mandato ricevuto
dagli elettori, pur conservando verso gli
stessi la responsabilità politica, con
assoluta libertà, ivi compresa quella di far
venir meno l'appartenenza dell'eletto alla
lista od alla coalizione di originaria
appartenenza (Tar Trentino-Alto Adige, sez.
di Trento sent. n. 75 del 2009)
In linea con il principio generale secondo
cui, all'elemento «statico» dell'elezione in
una lista si sovrappone quello «dinamico»,
fondato sull'autonomia politica dei
consiglieri, sono da ritenere in genere
ammissibili anche eventuali mutamenti,
all'interno delle forze politiche, che
comportano altrettanti cambiamenti nei
gruppi consiliari.
Pertanto, la denominazione dei gruppi
consiliari, con eventuale variazione dei
simboli (contrassegni) a cui tali gruppi
fanno riferimento, in assenza di una
specifica disposizione statutaria o
regolamentare, appare rientrare nelle scelte
proprie delle formazioni politiche presenti
in consiglio
(articolo ItaliaOggi
dell'01.06.2012). |
COMPETENZE GESTIONALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Ordinanza
del comandante.
Quesito: il comandante della polizia
municipale può adottare un'ordinanza con la
quale vengono apportate modifiche alla
viabilità urbana?
Il Piano urbano del traffico (Put) –da cui
dovrebbero derivare le eventuali
modificazioni alla viabilità- secondo
quanto previsto dall'art. 36, comma 5, del Cds viene aggiornato ogni due anni. Il
predetto Put, essendo uno strumento di
programmazione e, dunque, a valenza
generale, è demandato all'approvazione degli
organi collegiali del Comune.
Occorre tenere
presente, tuttavia, che l'art. 107, comma 5
del dlgs n. 267/2000 prevede che «le
disposizioni che conferiscono agli organi di
cui al capo I titolo III (consiglio, giunta
e sindaco) l'adozione di atti di gestione e
di atti o provvedimenti amministrativi, si
intendono nel senso che la relativa
competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto
previsto dall'art. 50, comma 3, e dall'art.
54» dello stesso decreto legislativo.
Talché, le competenze assegnate, in
particolare dal codice della strada, al
sindaco (fuori dei casi di cui ai citati
articoli 50 e 54 del dlgs n. 267/2000) si
intendono oggi demandate al dirigente. Sul
punto la giurisprudenza (Tar Lombardia,
sentenza 13/01/2003, n. 904) ha
specificato che «al di fuori dei
provvedimenti contingibili e urgenti, il
sindaco non può adottare un'ordinanza in
materia di viabilità ordinaria, esercitando
altrimenti un atto di gestione che compete
in via esclusiva al dirigente».
In particolare il Tar Lombardia –sezione di
Brescia- con la sentenza 08.01.2011, n. 10
ha ribadito tale principio affermando che
l'art. 7 del codice della strada, che
assegna al sindaco il potere di
regolamentare la circolazione dei veicoli,
va coordinato con la posteriore norma del
già citato art. 107. La competenza del
sindaco in tema di limitazioni della
circolazione deve, quindi, ritenersi
attratta nella competenza propria del
dirigente di settore, in quanto si tratta di
funzioni di gestione ordinaria
(articolo ItaliaOggi
dell'01.06.2012). |
ENTI LOCALI: Patto solo per le società in house.
Obiettivo: evitare aggiramenti delle norme
sulle assunzioni. La recente disciplina dei
servizi pubblici locali palesa una spinta
verso logiche di mercato.
La recente disciplina in materia di servizi
pubblici locali (artt. 3-bis e 4 dl
n. 138/2011 convertito in legge n. 148/2011)
pone un tema di estremo interesse e viva
preoccupazione, non soltanto dal punto di
vista teorico e concettuale ma prim'ancora
sotto il profilo pratico e operativo, per
tutto il mondo delle società pubbliche
operanti nelle public utilities: quello
relativo all'assoggettamento delle «società
cosiddette in house affidatarie dirette
della gestione di servizi pubblici locali
(_) al patto di stabilità interno (...)»
nonché alle «disposizioni che stabiliscono a
carico degli enti locali divieti o
limitazioni alle assunzioni di personale,
contenimento degli oneri contrattuali e
delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per le consulenze anche degli
amministratori»
Senza voler entrare nel merito della scelta
legislativa, riteniamo tuttavia opportuna
una riflessione circa la portata della
disposizione in commento, anche a fronte di
alcuni orientamenti volti a estenderne
l'applicazione anche al di là del dato
letterale.
Non sfugge, infatti, che la norma in
commento riferisce la sua portata precettiva,
non già genericamente alle società a
capitale pubblico (totalitario e/o
maggioritario), bensì solo a una particolare
e specifica categoria di esse: le cosiddette
società in house, in quanto tali affidatarie
dirette di servizi pubblici locali.
Al di là delle valutazioni di merito, ci
sembra piuttosto chiara la ratio antielusiva
della norma: evitare che gli enti locali,
per il tramite della costituzione delle
cosiddette società in house alle quali
affidino direttamente i relativi servizi,
possano aggirare i limiti posti dal Patto di
stabilità e/o dalle norme relative al
cosiddetto blocco delle assunzioni.
Sennonché in taluni casi, è stata
prospettata l'applicazione della
disposizione in commento anche al di là dei
limiti letterali della norma: dunque, alle
società a totale capitale pubblico che
operano non già in via di affidamento
diretto bensì a seguito dell'aggiudicazione
di gare pubbliche ovvero alle società miste
pubblico-private il cui socio privato sia
stato selezionato a seguito di una regolare
procedura di evidenza pubblica.
Ebbene, tale interpretazione non convince
affatto: vuoi perché contrasta con il dato
letterale della norma; vuoi perché i citati
artt. 3-bis e 4 distinguono in modo molto
attento le disposizioni applicabili alle
sole società in house da quelle che invece
hanno una portata più ampia, riferendosi in
generale alle società a partecipazione
pubblica (totalitaria e/o maggioritaria).
Non sfugge, infatti, che lo stesso art. 4
mentre, da un lato, limita l'assoggettamento
al Patto di stabilità alle sole società in
house, dall'altro lato prevede che «le
società a partecipazione pubbliche che
gestiscono servizi pubblici locali (_)»,
indipendentemente dalla natura giuridica e
dal titolo di affidamento, «(_) adottano,
con propri provvedimenti, criteri e modalità
per il reclutamento del personale e per il
conferimento degli incarichi nel rispetto
dei principi di cui all'art. 35, 3°, dlgs
165/2001» o ancora estende l'obbligo di
applicazione del Codice dei contratti
pubblici, oltreché alle società in house
anche «alle società a partecipazione mista
pubblica/privata».
Al di là delle predette, non v'è dubbio che
con l'intervento riformatore in commento, il
legislatore abbia inteso traguardare il
sistema delle società pubbliche verso
logiche di mercato e concorrenziali
(costringendole, sostanzialmente, ad
abbandonare il vecchio alveo delle gestioni
esclusive e protette degli affidamenti
diretti secondo il modulo in house providing):
sul punto basta pensare al favor legislativo
verso la liberalizzazione dei spl e dunque
per la concorrenza nel mercato (in luogo di
quella per il mercato); alla scadenza
anticipata ope legis degli affidamenti non
conformi ai nuovi modelli; al regime dei
divieti per le società affidatarie dirette
di spl.
In questo contesto sarebbe oltremodo
contraddittorio e persino discriminatorio
porre tali vincoli nei confronti di quelle
società la cui stessa sopravvivenza
dipenderà dalla capacità di confrontarsi sul
mercato concorrenziale con tutti gli altri
operatori (pubblici e/o privati).
Sarà, dunque, il mercato l'arbitro ultimo
della virtuosità dell'intero sistema e della
capacità delle attuali società pubbliche di
cambiare passo, abbandonando logiche ormai
anacronistiche per adeguarsi a un assetto
nuovo che tuttavia potrebbe, nell'attuale
panorama delle public utilities italiane,
offrire loro significative prospettive di
crescita industriale.
Una strada, per quanto opinabile (come tutte
le cose della vita), è stata tracciata in
modo abbastanza netto e preciso: sarà
necessario mantenerla e verificare la
capacità di risposta del sistema pubblico
(articolo ItaliaOggi
dell'01.06.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: Al
bando i regali ai dipendenti pubblici.
Niente regali ai dipendenti pubblici se
connessi all'espletamento delle loro
funzioni, a meno che non siano di valore
modesto e rientrino nei limiti di cortesia.
Lo prevede un emendamento al ddl corruzione
delle commissioni Affari costituzionali e
Giustizia della Camera, stabilendo di
inserire nel codice etico previsto dal
governo «il divieto per tutti i dipendenti
pubblici di chiedere o accettare a qualsiasi
titolo, compensi regali o altre utilità in
connessione con l'espletamento delle proprie
funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi
i regali d'uso, purché di modico valore e
nei limiti delle relazioni di cortesia».
La
Camera ha approvato l'art. 1 con cui si
stabilisce la nascita dell'autorità
nazionale anticorruzione. Disco verde anche
all'emendamento che prevede che «ai
magistrati ordinari, amministrativi,
contabili e militari, agli avvocati e
procuratori dello Stato e ai componenti
delle commissioni tributarie è vietata, pena
la decadenza dagli incarichi e la nullità
degli atti compiuti, la partecipazione a
collegi arbitrali o l'assunzione di arbitro
unico».
Un altro emendamento del governo
prevede di disciplinare i casi di non conferibilità
di incarichi dirigenziali ai soggetti
estranei alle amministrazioni che, per un
adeguato periodo di tempo, non inferiore ai
tre anni, antecedente al conferimento,
abbiano fatto parte di organi di indirizzo
politico, abbiano rivestito incarichi
pubblici elettivi o siano stati candidati
agli stessi incarichi, escludendo in ogni
caso il conferimento di incarichi
dirigenziali a coloro che presso le medesime
amministrazioni abbiano svolto incarichi di
indirizzo politico o incarichi pubblici
elettivi, nel periodo immediatamente
precedente al conferimento dell'incarico,
comunque non inferiore ai tre anni
(articolo ItaliaOggi
del 31.05.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI: Scarichi,
bollino blu fuorigioco.
Dal 10 febbraio scorso il tradizionale
bollino blu è andato definitivamente
fuorigioco. Non può più essere ne richiesto
ne rilasciato agli utenti stradali in quanto
il controllo obbligatorio dei dispositivi di
combustione e scarico degli autoveicoli e
motoveicoli è effettuato esclusivamente al
momento della revisione periodica del mezzo.
Sono state infatti abrogate dal dl 5/2012
tutte le diverse disposizioni locali che
impongono operazioni tecniche ulteriori sul
controllo dello smog dei veicoli.
Lo ha
messo nero su bianco il Ministero dei
Trasporti con la
circolare
30.05.2012 n. 15241 di prot..
L'art. 11, comma 8, del decreto legge
09.02.2012, n. 5, convertito nella legge
04.04.2012, n. 35, ha specificato
chiaramente che a decorrere dall'anno 2012 «il
controllo obbligatorio delle emissioni dei
gas di scarico degli autoveicoli e dei
motoveicoli è effettuato esclusivamente al
momento della revisione obbligatoria
periodica del mezzo».
Per chiarire definitivamente la portata
della semplificazione in relazione alla
vigenza delle diverse e a volte contrastanti
indicazioni locali è però dovuto intervenire
il ministero dei trasporti. La formulazione
della disposizione a parere dell'organo
tecnico centrale lascia spazio a poche
incertezze applicative. Dal 10.02.2012, data
di entrata in vigore del dl semplificazione,
l'unica verifica obbligatoria relativa al
rispetto delle emissioni dei gas di scarico
dei veicoli a motore è quella che si
effettua in occasione della revisione
periodica dei mezzi in conformità all'art.
80 del codice stradale.
In buona sostanza la novella ha tacitamente
abrogato ogni diversa disposizione comunale,
provinciale o regionale inerente al
controllo programmato dello smog prodotto
dai veicoli a combustione. La verifica
periodica del rispetto dei limiti di
emissione, prosegue la circolare a firma del
direttore generale del dipartimento per i
trasporti terrestri, Maurizio Vitelli, si
effettua solo in occasione della revisione
periodica del veicolo.
Qualsiasi operazione tecnica, diversa da
quella di revisione, finalizzata al
controllo delle emissioni di scarico a
parere del ministero deve considerarsi
arbitraria. E pure inefficace il relativo
titolo. In buona sostanza il bollino blu non
ha neppure alcun valore in caso di controllo
stradale
(articolo ItaliaOggi
del 31.05.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti pubblici, codice etico.
Previsto anche il licenziamento per chi non
rispetta i doveri. Emendamenti del governo
al ddl sulla corruzione. Condannati fuori
dalle commissioni d'esame.
Sanzioni che vanno fino al licenziamento per
il dipendente statale che non rispetterà i
doveri costituzionali di «diligenza, lealtà,
imparzialità e servizio esclusivo alla cura
dell'interesse» collettivo. E, se arrecherà
danni patrimoniali all'amministrazione, li
risarcirà di tasca sua.
Una vera e propria
rivoluzione il codice etico per i lavoratori
della p.a. contenuto negli emendamenti del
governo al disegno di legge contro la
corruzione (C. 4434-A e abb.) presentati
ieri, e in votazione da questo pomeriggio
nell'aula della Camera.
Il regolamento,
depositato dal ministro per la Funzione
pubblica, Filippo Patroni Griffi, si rivolge
a impiegati e dirigenti, individuando norme
improntate all'onestà di carattere generale,
ma anche doveri «articolati in relazione
alle funzioni attribuite» alla persona.
L'insieme di principi dovrà essere approvato
con decreto del presidente della repubblica
(previa deliberazione di palazzo Chigi, e
d'intesa con la conferenza Stato-Regioni),
pubblicato in Gazzetta Ufficiale e
consegnato al dipendente, tenuto a
sottoscriverlo all'atto dell'assunzione.
Una
violazione delle norme rappresenterà «fonte
di responsabilità disciplinare», ma sarà
«altresì rilevante ai fini della
responsabilità civile, amministrativa e
contabile ogni volta le stesse
responsabilità siano collegate alla
violazione di doveri, obblighi, leggi o
regolamenti» di cui i lavoratori statali
saranno tenuti all'osservanza. Inoltre,
violazioni gravi o reiterate comporteranno
«l'applicazione delle sanzioni di cui
all'articolo 55-quater, comma 1» (del dlgs
n. 165 del 2001 sull'ordinamento del lavoro
pubblico), ossia il licenziamento
disciplinare; ci sarà anche un codice per
gli appartenenti alla magistratura, e
all'avvocatura dello stato, predisposto
dagli organi di categoria.
E non è tutto. Un'altra norma redatta dal
ministro fissa paletti importanti, poiché
non potranno fare parte, anche con compiti
di segreteria, delle commissioni per
l'accesso o la selezione di pubblici
impieghi, i condannati, anche con sentenza
non passata in giudicato, per reati contro
la pubblica amministrazione (peculato,
malversazione a danno dello stato,
concussione, corruzione, abuso d'ufficio
ecc). Altolà, poi, al loro ingresso negli
uffici preposti alla gestione delle risorse
finanziarie, all'acquisizione di beni,
servizi e forniture, nonché alla concessione
o erogazione di sovvenzioni, contributi,
sussidi, ausili finanziari.
Per Angela Napoli (Fli), relatore del ddl,
sono iniziative «utilissime soprattutto sul
versante della prevenzione dei fenomeni. Mi
auguro il parlamento le approvi, così la
politica potrebbe finalmente segnare una
pagina positiva, dimostrando al paese di
avere senso di responsabilità», dice a ItaliaOggi. Il Pdl chiede che sulla
corruzione per atto contrario al dovere
d'ufficio si torni all'idea governativa di
pena da 3 a 7 anni (in commissione è stata
alzata da 4 a 8) e ripresenta la «salva-Ruby»
(c'è concussione solo se vi è passaggio di
denaro, o altra utilità patrimoniale), poi
ritirata in serata. L'Udc, invece,
«ammorbidisce» il testo di Roberto Giachetti
(Pd) sui limiti ai «fuori ruoli» (ItaliaOggi
di ieri) dei giudici, escludendo incarichi
presso presidenza della Repubblica, Camera,
Senato e Consulta
(articolo ItaliaOggi
del 30.05.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La firma elettronica diventa
avanzata. Le novità del Codice
dell'amministrazione digitale.
Chi avrebbe mai pensato che con quegli
stessi tablet che oramai «piovono dal cielo»
(come ci ha suggestivamente mostrato la
pubblicità di un importante gestore
telefonico) fosse possibile firmare «a mano
libera» i documenti informatici, con pieno
valore legale ai sensi dell'art. 2702 del
codice civile, senza più vincoli di
smart-cart, certificati che scadono, pin
dimenticati, rischi di furti o smarrimenti,
e utilizzi impropri da parte di terzi contro
i quali sarebbe ben difficile fare
opposizione?
È una delle novità più importanti contenute
nel codice dell'amministrazione digitale
(Cad), disciplinato dal decreto legislativo
n. 82 del 07/03/2005, recentemente
modificato dal dlgs n. 235 del 30/12/2010,
che ha uniformato il sistema della
sottoscrizione elettronica al quadro
comunitario per le firme elettroniche
tracciato dalla direttiva 1999/93/CE,
introducendo la nuova tipologia di Firma
elettronica avanzata.
Le nuove soluzioni di firma «a mano libera»,
che prende il nome di firma «grafometrica»,
sono già in fase avanzata di
sperimentazione. Alcuni Caf e
professionisti, con il supporto tecnico di
software house associate ad Assosoftware,
stanno utilizzando in questi mesi tablet con
standard di sicurezza molto elevati (per
esempio con certificato digitale integrato)
per far apporre ai contribuenti la propria
firma autografa a video direttamente sui pdf
dei modelli 730 e Unico.
Le soluzioni saranno disponibili sul mercato
dopo la pubblicazione del decreto contenente
le regole tecniche del Cad (atteso per fine
giugno) a prezzi assolutamente accessibili.
Per far chiarezza su questa e sulle altre
importanti novità contenute nel nuovo Cad,
sugli scenari che si prospettano anche in
relazione agli adempimenti nei confronti
della pubblica amministrazione, in
particolare dell'Agenzia delle entrate e del
ministero del lavoro, Assosoftware ha
organizzato un convegno dal taglio tecnico
che si terrà a Bologna il 22.06.2012,
presso l'Hotel NH Bologna De La Gare, dal
titolo «Il nuovo cad e le regole tecniche
per la formazione del documento informatico
e per la gestione documentale: analisi
dell'impatto del provvedimento sui sistemi
di conservazione sostitutiva e gestione
documentale. Il confronto con DigitPA,
Agenzia delle entrate e gli esperti del
settore».
Tipologie di firma e valenza probatoria.
Nell'attuale scenario normativo sono
previste quattro tipologie di firma del
documento informatico, che assicurano
diversi livelli sicurezza, cui sono
riconosciuti differenti effetti giuridici la
cui valenza probatoria è espressamente
disciplinata dall'art. 21 del Cad.
Firma elettronica. È la cosiddetta «firma
debole», permette l'identificazione
informatica dell'autore senza l'utilizzo di
un dispositivo fisico di firma.
Valore giuridico: il valore probatorio è
basso ed è liberamente valutabile dal
giudice in fase di giudizio in base a
caratteristiche oggettive di qualità e
sicurezza. I casi di applicazione pratica
sono pochissimi e di solito correlati a
specifiche realtà aziendali.
Firma elettronica avanzata. È un particolare
tipo di firma costituita da un insieme di
dati che, connessi o allegati ad un
documento informatico (es. Pdf), permettono
di garantire l'autenticità del documento,
l'integrità rispetto a successive modifiche
e che assicura il controllo esclusivo dello
strumento fisico di firma e quindi la
paternità giuridica del documento. Valore
giuridico: è quello previsto dall'art. 2702
del codice civile per la scrittura privata.
A livello probatorio l'utilizzo del
dispositivo di firma si presume
riconducibile al titolare, salvo che questi
dia prova contraria.
Firma elettronica qualificata. È un
particolare tipo di Firma elettronica
avanzata basata su un certificato
qualificato, realizzata mediante un
dispositivo sicuro per la creazione della
firma (SSCD), che garantisce
l'identificazione univoca del titolare.
Valore giuridico: il documento è
riconosciuto valido a tutti gli effetti di
legge e soddisfa sia i requisiti dall'art.
2702 del codice civile per la scrittura
privata, che quelli dell'art. 1350, comma 1,
nn. 1-12, del codice civile, per la forma
scritta. È prevista l'inversione dell'onere
della prova, per cui chi intende
disconoscere la sottoscrizione di un
documento deve provare che l'apposizione
della firma è riconducibile ad altri e che
detta apposizione non è imputabile a sua
colpa. Firma digitale.
La Firma digitale è
anch'essa un particolare tipo di Firma
elettronica avanzata, che garantisce
l'identificazione univoca del titolare. Si
basa su un certificato qualificato e su un
sistema di chiavi crittografiche, una
pubblica e una privata, correlate tra loro,
che consente al titolare tramite la chiave
privata e al destinatario tramite la chiave
pubblica, di garantire e verificare la
provenienza e l'integrità di un documento
informatico o di un insieme di documenti
informatici. Grazie a questa caratteristica
il Cad non prevede espressamente l'utilizzo
di un dispositivo sicuro (art. 1, comma 1,
lettera s).
Valore giuridico:
è il medesimo della Firma elettronica
qualificata
(articolo ItaliaOggi
del 30.05.201). |
PUBBLICO IMPIEGO: Giustizia.
Emendamento presentato da Patroni Griffi.
Corruzione, anonimato garantito al
dipendente-spia.
PROCESSO RUBY/
Il Pd punta il dito contro la norma ad
personam del Pdl che ribatte: voi vi siete
rimangiati l'abrogazione della concussione.
L'un contro l'altro armati, ma con un
obiettivo comune: non arretrare (o avanzare,
secondo i punti di vista) rispetto alla
mediazione-Severino. Così si presenta la
«strana» maggioranza alla vigilia del voto
in aula sul ddl anticorruzione: il Pd
presenta emendamenti per aumentare le pene e
la prescrizione, il Pdl per diminuirle e
cancellare alcuni reati, come il traffico di
influenze illecite e la (ex) concussione per
induzione (o per restringerne il campo).
Il
Pd accusa il Pdl di «non perdere il vizio di
norme ad personam» a causa dell'emendamento-Sisto
sulla concussione "patrimoniale" e delle sue
ricadute sul processo-Ruby; il Pdl accusa il
Pd di «incoerenza» perché si è rimangiato un
emendamento «soppressivo» della concussione
che era «in linea con le esigenze europee».
L'opposizione, con Federico Palomba (Idv),
dice che l'emendamento-Sisto è «indecente»
ma «strumentale» perché mira a «deviare
l'attenzione dell'opinione pubblica dal vero
obiettivo: alzare una cortina fumogena sulla
scomparsa della concussione per induzione e
sulla sua trasformazione in un reato meno
grave che porterà all'estinzione molti
processi, compresi quelli a carico di
imputati eccellenti dei partiti di governo
(Berlusconi, Penati ecc. - ndr). Aspettiamo
ancora una risposta del ministro Severino».
Da oggi l'aula della Camera comincia a
votare: i primi 12 articoli riguardano la -non meno importante- prevenzione della
corruzione e (articolo 12) il delicato tema
del rientro in servizio dei magistrati
"fuori ruolo", su cui l'Udc propone di
correggere l'emendamento Giachetti (Pd)
passato in commissione, così da escludere le
toghe in servizio presso il Quirinale, il
Csm e la Consulta dai vincoli sul doppio
mandato.
La vera novità di ieri sono stati
gli 8 emendamenti del governo, più volte
annunciati dal ministro della Pubblica
amministrazione Filippo Patroni Griffi per
rafforzare la prevenzione. Tra questi,
quello sulla garanzia di anonimato
riconosciuta al dipendente pubblico che
segnalerà gli illeciti consumati nella Pa
(sempre che sia in grado di fornire una
prova inconfutabile).
Patroni Griffi propone
poi varie deleghe al governo, per esempio
sui criteri di incompatibilità di dirigenti
e dipendenti con altri incarichi e sul
codice di comportamento dei dipendenti.
Prevede che i bilanci delle diverse
istituzioni e i costi unitari di
realizzazione delle varie opere siano
pubblicati on-line, comprese le informazioni
sui titolari degli incarichi dirigenziali
della pa; l'attuazione del «Piano di
prevenzione della corruzione»; l'esclusione
dei condannati (anche se non definitivi) da
commissioni per l'accesso o la selezione a
posti di pubblico impiego.
Sui primi 11 articoli dovrebbe andare tutto
liscio. Sul 12 potrebbe già sorgere qualche
problema. Ma le scintille sono in programma
sull'articolo 13 (reati e pene). E con il
voto segreto (se richiesto) potrebbero
esserci sorprese per tutti. Di qui
l'ipotesi-fiducia. Gli emendamenti sono meno
numerosi di quelli presentati in
commissione, ma sulla carta molto distanti,
anche dalle posizioni del ministro Severino.
Ieri l'attenzione si è focalizzata sul Pdl,
poiché Francesco Sisto ha ripresentato la "norma-Ruby"
che restringe la nuova concussione per
induzione (creata dal governo in
contrapposizione alla concussione per
costrizione) ai casi in cui vi sia un
«vantaggio» o «un'utilità patrimoniale».
Sisto, però, propone prima di «sopprimere»
la nuova «induzione».
E a chi gli fa notare
che così il colpo di spugna sarebbe
garantito, risponde: «È solo una
provocazione politica, un pretesto per
dimostrare in aula l'incoerenza del Pd che,
con un emendamento poi ritirato, cancellava
del tutto la concussione. Io voglio parlare
di come si è arrivati alla norma-Severino e
mettere in risalto le contraddizioni
politiche rispetto alle esigenze tecniche e
europee. Ma sia chiaro: nessun sabotaggio».
Insomma, per difendere il testo Severino,
bisogna attaccarlo.
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GLI EMENDAMENTI
L'anonimato
Tra gli emendamenti depositati dal ministro
per la Pa Patroni Griffi al Ddl
anticorruzione, quello che prevede la
garanzia del totale anonimato per il
dipendente pubblico che segnalerà gli
illeciti che accadono nella pubblica
amministrazione
Il codice di comportamento
Tra le proposte di modifica di Patroni
Griffi, da segnalare le deleghe al Governo
ad adottare, tra l'altro, un decreto
legislativo sulla Trasparenza nella Pa o per
la creazione di un codice di comportamento
dei dipendenti pubblici
Bilanci online
Tutti i bilanci delle diverse istituzioni e
i costi unitari di realizzazione delle varie
opere dovranno essere pubblicati online.
Comprese le informazioni sui titolari degli
incarichi dirigenziali nelle Pa
(articolo Il Sole 24
Ore
del 30.05.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
aggiornamento al 30.05.2012 |
|
ENTI LOCALI: PAGAMENTI P.A.
- Procedura semplificata: il
riconoscimento dei crediti verso la p.a.
avviene tramite moduli. La certificazione è
standardizzata.
Certificazione semplificata per i crediti
relativi a somministrazioni, forniture e
appalti vantati dalle imprese nei confronti
di amministrazioni statali, regioni, enti
locali ed enti del Servizio sanitario
nazionale da utilizzare per compensare
debiti contributivi, assistenziali,
previdenziali e assicurativi iscritti a
ruolo alla data del 30.04.2012, o per
ottenere un'anticipazione bancaria
(eventualmente anche assistita dalla
garanzia del Fondo centrale di garanzia), o
per cedere il proprio credito.
Sono le
novità del pacchetto di misure annunciato
dal governo il 22 maggio scorso, che si
compone di quattro decreti ministeriali e un
accordo Abi-Imprese. Si tratta di un primo
tassello di un progetto riformatore del
governo.
Le prossime fasi, stando alle
dichiarazioni dei giorni scorsi,
riguarderanno l'obiettivo di trovare spazio
nel bilancio per pagare i debiti pregressi
(fase 2) e la necessità di dare completa
attuazione alla direttiva sui ritardi dei
pagamenti nelle transazioni commerciali
(fase 3).
La certificazione. La novità della
standardizzazione del procedimento consiste
in questo: la certificazione si ottiene
mandando un semplice modulo standard
all'ente debitore. Con tale istanza, il
creditore fornisce fatture ed estremi della
prestazione, precisando se intende
utilizzare il credito in compensazione con
somme iscritte a ruolo e si impegna a non
attivare procedimenti in sede
giurisdizionale fino alla data indicata per
il pagamento (o 12 mesi se la data non è
indicata).
L'ente ha 60 giorni di tempo per
rispondere, riconoscendo il debito oppure
argomentandone l'inesigibilità totale o
parziale. Per rispondere utilizza anche in
questo caso un modulo standard. Se la p.a.
non risponde in tempo, viene nominato un
commissario ad acta che nei successivi 60
giorni risponderà al debitore, utilizzando
un altro modulo standard. La semplificazione
che si ottiene tramite l'utilizzo delle
modalità elettroniche è di rilevante
importanza per i soggetti interessati, in
quanto si evitano così gli obblighi di
redazione di atto pubblico e di
notificazione nel caso di cessione.
La
compensazione. Con la certificazione
l'amministrazione debitrice accetta
preventivamente la possibilità che il
credito venga ceduto a banche o intermediari
finanziari abilitati. In alternativa alla
cessione, una volta seguito il procedimento
della certificazione, il fornitore potrà
scegliere di optare per l'istituto della
compensazione avvalendosi di un processo
semplice e rapido (con comunicazioni in Pec
e termini molto stretti).
La compensazione
può essere operata solo in caso di imposte
iscritte a ruolo entro il 30/04/2012 sia
erariali sia locali, anche per crediti verso
gli enti del Servizio sanitario nazionale,
nonché per contributi sociali e premi
assicurativi Inail. L'estensione ad altre
entrate riscosse mediante ruolo potrà essere
estesa con successivo decreto del Mef.
Il procedimento è il seguente:
1. Il
creditore presenta la certificazione del
credito all'agente di riscossione e indica
le posizioni debitorie che intende
estinguere;
2. L'agente (entro 3 gg. con
Pec) invia richiesta all'ente debitore per
verificare la veridicità della
certificazione;
3. L'ente debitore risponde
entro dieci gg.;
4. In caso di esito
positivo, il debito si compensa con il
credito e l'agente comunica all'ente entro
cinque gg. con Pec l'avvenuta compensazione.
L'ente debitore è tenuto al pagamento
dell'importo compensato entro 12 mesi dalla
certificazione. In caso di mancato pagamento
spontaneo da parte dell'ente debitore
dell'importo certificato utilizzato in
compensazione, questo viene recuperato
mediante riduzione delle somme dovute dallo
stato all'ente territoriale a qualsiasi
titolo (eccezione per le risorse destinate
al finanziamento corrente del Ssn).
---------------
Cessione con procedura semplificata.
Il pacchetto di decreti presentato dal
governo in tema di certificazione dei
crediti commerciali promette di semplificare
e favorire l'accelerazione dei pagamenti dei
fornitori di beni e servizi della pubblica
amministrazione. Ciò potrà avvenire in modi
e forme diversi, a scelta del creditore, che
potrà optare per la compensazione dei propri
crediti con debiti iscritti a ruolo, per
l'assegnazione di titoli di stato in luogo
dell'adempimento del proprio credito da
parte della p.a. ovvero per l'anticipazione
o la cessione dei crediti a banche o
intermediari finanziari.
Ciascuna di queste
opzioni presuppone che il credito sia stato
certificato attraverso la procedura prevista
nei decreti. I crediti oggetto della
certificazione sono crediti connessi a
transazioni commerciali vantati per
l'acquisizione di servizi, forniture, che
siano certi, liquidi ed esigibili. La
certificazione sarà, tra l'altro, funzionale
alla cessione del credito a istituti bancari
o finanziari e prevederà modalità
semplificate di stipula e notifica della
cessione, per cui verrebbe meno il requisito
della forma dell'atto pubblico o scrittura
autenticata per la cessione, e quello della
notifica sarebbe assolto attraverso la
piattaforma telematica.
Con la
certificazione, inoltre, la cessione del
credito sarebbe preventivamente accettata
dall'amministrazione. Occorrerà attendere la
formalizzazione degli accordi tra l'Abi e le
associazioni imprenditoriali per comprendere
meglio le modalità di attuazione per lo
smobilizzo dei crediti delle imprese. Al
momento della certificazione di crediti
superiori a 10 mila euro verrà effettuata
anche la verifica di eventuali inadempienze
all'obbligo di versamento derivanti da
cartelle di pagamento ai sensi dell'art.
48-bis del dpr 602/1973.
Non è chiaro, allo
stato, se una volta che il credito sia stato
ceduto, e la cessione accettata nelle forme
semplificate, tale verifica non verrà poi
più ripetuta dall'amministrazione sul
cedente/fornitore, ma soltanto sul
cessionario del credito, al momento del
pagamento. Con l'istanza di certificazione,
si richiederà al creditore di impegnarsi a
non attivare procedimenti in sede
giurisdizionale per un certo periodo di
tempo, fino a un massimo di 12 mesi. La
certificazione tuttavia, non dovrebbe
pregiudicare i diritti dei creditori a
percepire gli interessi dovuti in relazione
ai crediti certificati.
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Compensazione, i sette step.
La compensazione tra crediti commerciali
verso stato, regioni ed enti locali e debiti
iscritti a ruolo non è di per sé una novità.
Chi ha rapporti commerciali con gli enti
pubblici ben conosce l'operatività dell'art.
48-bis del dpr 602/1973 che prevede già oggi
l'obbligo per ogni debitore pubblico di
verificare, prima di procedere al pagamento
di importi eccedenti 10 mila euro, che non
vi siano iscrizioni a ruolo a carico del
beneficiario, ciò al fine di consentire a Equitalia la compensazione del credito con
il debito d'imposta iscritto a ruolo.
Con i
decreti ministeriali alla firma di Monti si
introduce tuttavia un'importante novità: si
consente cioè anche
all'imprenditore/creditore dello stato di
prendere l'iniziativa e di anticipare il
pagamento del proprio credito commerciale
attraverso la compensazione con un debito
iscritto a ruolo relativamente a imposte o
contributi previdenziali e assistenziali.
Prima di attivare la compensazione è
necessario avere ben presente sia lo stato
dei debiti iscritti a ruolo che alcuni
elementi della procedura, che possiamo così
riassumere:
1) sarà opportuno chiedere
all'ufficio di Equitalia una visura
aggiornata delle iscrizioni a ruolo;
2)
individuare l'ammontare delle iscrizioni a
ruolo relative ai tributi erariali, locali e
ai contributi previdenziali e assistenziali
comprensive di sanzioni e interessi. Non
tutti gli importi iscritti a ruolo sembrano
oggetto di compensazione;
3) verificare con
il proprio consulente fiscale lo stato di
eventuali contenziosi fiscali, l'eventuale
iscrizione di ipoteca su immobili o fermo
amministrativo su mezzi di trasporto a
garanzia di specifiche cartelle esattoriali
o l'inizio di procedure esecutive, ciò al
fine di compensare per primi i debiti
iscritti a ruolo potenzialmente più onerosi;
4) acquisire dal creditore pubblico la
certificazione del credito che potrebbe non
costituire riconoscimento di debito, ma
esclusivamente un'attestazione
dell'esistenza del credito ai soli fini di
consentire la compensazione;
5) recarsi con
la certificazione del credito presso Equitalia con la lista dei debiti iscritti a
ruolo che si vuole compensare con il credito
commerciale;
6) ottenere (in 2/3 settimane)
la comunicazione di Equitalia di avvenuta
compensazione del credito a seguito dei
controlli con l'ente pubblico debitore;
7)
ritirare l'attestazione di avvenuta
compensazione
(articolo ItaliaOggi
Sette del 28.05.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Il
notaio non si può considerare organo della
p.a..
Lo
studio 16.02.2012 n. 21-2012/C del Consiglio nazionale del
notariato dedicato alle novità introdotte
dalla legge numero 183 del 2011 ha limitato l'applicazione delle
legge 183 nell'attività dei notai.
Nel dettaglio lo studio del Cnn arriva alla
conclusione che non è possibile estendere
l'autocertificazione anche nei rapporti che
si svolgono tra il privato e il notaio. Non
si può, infatti, considerare il notaio come
un organo della pubblica amministrazione. La
conseguenza di questa impostazione è che non
devono essere sostituiti dalle dichiarazioni
sostitutive sia i certificati da prodursi al
notaio e sia i certificati allegati agli
atti notarili, come ad esempio l'estratto
dell'atto di morte di cui all'articolo 620,
comma 3, codice civile, necessario per la
pubblicazione di un testamento olografo. Il
notaio, anzi, per ragioni di opportunità,
deve controllare che i certificati che gli
sono presentati, contengano la dicitura
sulla inutilizzabilità dello stesso presso
organi della pubblica amministrazione. Si
potrebbe sostenere che la mancanza della
dicitura sia un vizio solo formale, ma
questa interpretazione non è pacifica, e
quindi è meglio essere prudenti.
Inoltre l'articolo 40 citato non riguarda
tutti i certificati rilasciati dalla
Pubblica amministrazione, ma solo quelli che
si riferiscono a stati, qualità personali e
fatti: è escluso, quindi, il certificato di
destinazione urbanistica di cui all'articolo
30 del Testo unico per l'edilizia, dpr n.
380/2001. Altro aspetto è se la normativa
sia applicabile alle certificazioni che i
notai debbono utilizzare nei rapporti con
organi della pubblica amministrazione. La
risposta dello studio è affermativa. In
seguito alle novità, pertanto, non si
possono più presentare i certificati: alla
dichiarazione di successione sicuramente
potrà essere allegata la dichiarazione
sostitutiva di certificazione (come peraltro
già previsto dall'articolo 30, comma 3, del
dlgs 346/1990).
Tuttavia va ricordato che
l'articolo 6, comma 5, del dl 16/2012, in
tema di attività e certificazioni in materia
catastale, ha stabilito una deroga
all'articolo 40: le disposizioni sulla decertificazione
non si applicano ai certificati e alle
attestazioni da produrre al conservatore dei
registri immobiliari per l'esecuzione di
formalità ipotecarie, nonché ai certificati
ipotecari e catastali rilasciati
dall'Agenzia del territorio.
In conclusione i certificati continuano a
essere utilizzabili nei confronti dei notai,
del resto così come nei confronti dei
tribunali
(articolo ItaliaOggi
Sette del 28.05.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Lavoratori invalidi con più
tutele.
Un mese di congedo se la disabilità è
superiore al 50%. La novità introdotta dal dlgs 119/2011. Ecco
tutte le mosse per avvalersi delle
prerogative.
Un mese di congedo ai lavoratori invalidi.
Se superiore al 50%, infatti, l'invalidità
dà diritto a un congedo di 30 giorni
all'anno per cure mediche connesse con lo
stato d'invalidità, da fruire anche in
maniera frazionata.
La novità, introdotta
dalla riforma dei congedi dello scorso anno
(articolo 7 del dlgs n. 119/2011) è una
delle prerogative offerte ai lavoratori in
caso di disabilità.
Ecco quelle principali e i passi da fare per
avvalersene, sulla base delle indicazioni
del ministero del lavoro.
Il congedo per cura. Il lavoratore a cui
venga riconosciuta un'invalidità civile
superiore al 50% hai diritto a un periodo di
congedo retribuito per cure mediche connesse
con lo stato d'invalidità della durata
massima di 30 giorni all'anno, da fruire
anche in maniera frazionata. Il datore di
lavoro riconosce il congedo dietro domanda
del lavoratore interessato, accompagnata
dalla richiesta del medico convenzionato con
il servizio sanitario nazionale o
appartenente a una struttura sanitaria
pubblica, dalla quale risulti la necessità
della cura in relazione all'infermità
invalidante riconosciuta.
Il congedo è
retribuito e il relativo onere, calcolato
secondo il regime delle assenze per
malattia, è a carico del datore di lavoro. Qualora si tratti di trattamenti
terapeutici continuativi, il lavoratore può
produrre un'unica domanda e giustificazione
dell'assenza, valevole come attestazione
cumulativa.
I permessi. Il lavoratore che abbia ottenuto
il riconoscimento dello «stato di handicap
in situazione di gravità», ha diritto a
usufruire, a sua scelta, di un permesso
retribuito di due ore al giorno oppure di
tre giorni mensili (articolo 33, comma 6,
legge n. 104/1992). A tal fine è tenuto a
presentare un'apposita domanda all'Inps che
rilascerà una copia timbrata e firmata da
consegnare al tuo datore di lavoro.
La disciplina nei contratti collettivi. Ogni
contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl)
fissa la durata massima del periodo di
malattia. È questo il «periodo di comporto»
durante il quale il lavoratore ha diritto
alla conservazione del posto di lavoro.
Nelle ipotesi di specifiche malattia
invalidanti (come, per esempio, per le
patologie oncologiche), oltre al
prolungamento del periodo di comporto alcuni
contratti prevedono ulteriori agevolazioni
come ad esempio, sul passaggio al lavoro
part-time o sui periodi di aspettativa non
retribuita.
Altri contratti collettivi
escludono dal calcolo del periodo di
comporto i giorni di ricovero ospedaliero o
di day-hospital e i giorni di assenza dovuti
alle conseguenze delle terapie antitumorali,
purché debitamente certificati.
La conversione a part-time. In caso di
patologia oncologica, il lavoratore ha
diritto alla trasformazione del rapporto di
lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo
parziale verticale o orizzontale, qualora
residui una ridotta capacità lavorativa,
anche a causa degli effetti invalidanti
delle terapie salvavita.
Successivamente,
inoltre, il lavoratore ha diritto a
trasformare nuovamente il rapporto di lavoro
a tempo parziale in rapporto di lavoro a
tempo pieno. Infine, il lavoratore ha
diritto, ove possibile, a scegliere la sede
di lavoro più vicina al proprio domicilio;
inoltre, in caso di necessità del suo
trasferimento in un'altra sede, ciò può
avvenire solamente previo il suo consenso.
---------------
Malattie professionali, come dimostrarle.
La patologia oncologica può rappresentare
anche una «malattia professionale», cioè
connessa al proprio lavoro e come tale
assicurata presso l'Inail. A tal fine,
esistono tabelle dell'Inail, approvate con
decreto ministeriale, che contengono
l'elenco di malattia professionali contratte
nell'esercizio e/o a causa di alcune
specifiche lavorazioni. Se la malattia
professionale e il proprio lavoro rientrano
in queste tabelle, si può attivare con il
proprio medico anche la procedura per
richiedere il riconoscimento di prestazioni
economiche a carico dell'Inail. Se, invece,
la patologia non rientra tra quelle
contemplate nelle tabelle, ma si è comunque
convinti che possa esserci un nesso, allora
si rende necessario dimostrare l'origine
lavorativa mediante idonea documentazione
sanitaria.
In ogni caso, bisogna comunicare
al proprio datore di lavoro il sospeso
carattere professionale della malattia
mediante produzione di un certificato
medico, entro 15 giorni dall'avvenuta
conoscenza o prima manifestazione della
patologia; se il termine non viene
rispettato, si decade dal diritto
all'indennizzo per il periodo precedente la
denuncia (trascorsi 15 giorni, in altre
parole, l'eventuale indennizzo a carico
Inail decorrerà dalla data di presentazione
della denuncia). Il datore di lavoro di
conseguenza è tenuto a denunciare all'Inail
la malattia professionale del proprio
dipendente entro cinque giorni dalla data di
ricevimento del certificato medico.
Le ultime «tabelle delle malattia
professionali nell'industria e
nell'agricoltura» sono state approvate con
dm 09.04.2008, pubblicato in gazzetta
ufficiale n. 169 del 21.07.2008, e sono
entrate in vigore il giorno seguente. Le
tabelle sono state oggetto di revisione
delle precedenti, il cui ultimo
aggiornamento risaliva al 1994.
Le nuove tabelle prevedono 85 voci per
l'industria (prima erano 58) e 24 per
l'agricoltura (in precedenza 27) essendo
stati esclusi alcuni agenti chimici per i
quali vige ormai da tempo espresso divieto
di utilizzo.
Conservano la stessa struttura delle
precedenti con suddivisione in tre colonne
(malattie, lavorazioni e periodo massimo di
indennizzabilità) e, in ordine, sono
elencate le malattie da agenti chimici,
quelle dell'apparato respiratorio, della
pelle non descritte in altre voci e quelle
da agenti fisici. Per ciascuna voce di
tabella è stata inserita l'indicazione
nosologica delle malattie correlate ai
diversi agenti, con la relativa codifica
Icd10. Tra le diverse patologie hanno
trovato collocazione numerose forme
neoplastiche con l'indicazione dell'organo
bersaglio.
---------------
Permessi di tre giorni per i familiari.
I familiari di disabili hanno diritto a un
permesso retribuito di tre giorni mensili a
condizione che la persona da assistere non
sia ricoverata a tempo pieno. Inoltre hanno
diritto: a un permesso retribuito di tre
giorni lavorativi all'anno (articolo 4,
comma 1, della legge n. 53/2000); alla
priorità della trasformazione del contratto
di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo
parziale in caso di patologie oncologiche
riguardanti il coniuge, i figli o i genitori
della/del lavoratrice/tore, nonché nel caso
in cui la lavoratrice o il lavoratore
assista una persona convivente con totale e
permanente inabilità lavorativa, che assuma
connotazione di gravità; a un periodo di
congedo straordinario retribuito,
continuativo o frazionato, fino a un massimo
di due anni, a condizione che la persona da
assistere non sia ricoverata a tempo pieno,
salvo che, in tal caso, sia richiesta dai
sanitari la presenza di colui che presta
assistenza.
Quest'ultimo congedo può essere
usufruito dai familiari secondo il seguente
ordine di preferenza: coniuge convivente del
malato (non ricoverato) portatore di
handicap in situazione di gravità; genitori
(naturali, adottivi e affidatari) anche non
conviventi, in caso di mancanza o decesso
del coniuge o in presenza di altre cause impeditive;
figlio convivente, sempre che gli altri
familiari siano impossibilitati a fruire del
congedo per fornire assistenza; fratello o
sorella conviventi con il portatore di
handicap grave, in caso di decesso o di
impossibilità delle altre categorie di
familiari sopra indicate
(articolo ItaliaOggi
Sette del 28.05.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Semplificazione.
Senza regolamento.
Il Dg o il segretario tagliano i tempi.
L'OBBLIGO/
I vertici apicali sono le figure chiamate a
commissariare gli uffici che ritardano nella
risposta alle istanze dei cittadini.
Il direttore generale e, negli enti locali
che ne sono sprovvisti, il segretario, da
aprile (e fino a quando l'amministrazione
non si sarà data una norma regolamentare)
sostituiscono gli uffici in caso di mancata
risposta entro i termini alle istanze
presentate dai cittadini.
È il principale e
immediato effetto dell'entrata in vigore
della legge 35/2012, di conversione del Dl
5/2012 sulla semplificazione. Con questa
norma il legislatore offre ai privati uno
strumento aggiuntivo di tutela nei casi di
silenzio-rigetto delle amministrazioni che
si aggiunge alla possibilità di ricorso al
Tar.
La nuova regola chiede alle amministrazioni
di individuare il dirigente, o i dirigenti,
che si sostituiscono a quelli competenti nel
caso di mancata risposta. Fino a quel
momento la norma si applica comunque e
prevede l'automatica individuazione del
dirigente-sostituto nel dirigente generale
o, in mancanza, nel dirigente competente o,
in mancanza, nel funzionario più elevato.
Negli enti locali, in cui la dirigenza non è
articolata su due ruoli, i compiti di
coordinamento affidati a direttori generali
e segretari possono essere considerati per
molti versi analoghi a quelli affidati nelle
amministrazioni statali al dirigente
generale. Questa opportunità si applica a
tutti i procedimenti avviati a istanza di
parte, salvo quelli tributari o relativi ai
giochi. Occorre chiarire se questa
esclusione si può estendere anche ai
procedimenti che riguardano entrate extra
tributarie, quali ad esempio i canoni e le
tariffe.
Per attivare il nuovo istituto occorre una
richiesta proveniente dal privato
interessato. Il dirigente-sostituto deve
garantire la risposta entro un termine
massimo pari alla metà della scadenza
ordinaria: manca una specifica sanzione in
caso di suo inadempimento. Egli può
provvedere direttamente, avvalersi degli
uffici o nominare un commissario ad acta.
La norma determina un trasferimento di
competenza e individua una sorta di organo
straordinario. La possibilità di nomina di
un commissario ad acta è una previsione
inedita. Solleva qualche perplessità, quanto
meno in termini di opportunità e di costi
aggiuntivi, la possibilità di individuare
come commissario ad acta un soggetto esterno
all'ente. Il dirigente individuato come
sostituto deve inoltre annualmente informare
l'ente dei procedimenti in cui si è
sostituito: ovviamente se ne deve tener
conto nella valutazione dei dirigenti.
La norma prevede due vincoli ulteriori. In
tutti i provvedimenti adottati occorre
indicare il termine previsto
dall'ordinamento e quello effettivo, e le
sentenze che condannano le Pa in caso di
silenzio rigetto devono essere trasmesse
telematicamente alla Corte dei Conti: non è
individuato il destinatario, ma si deve
ritenere che sia la Procura in quanto la
comunicazione serve a verificare l'esistenza
di possibili profili di responsabilità
amministrativa
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.05.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: I
debiti della Pa. Con il decreto la
liquidazione dei debiti dovrebbe superare il
rischio che la cessione sia «elusiva».
Pagamenti ancora legati dal Patto.
Il meccanismo della certificazione non
aggira i vincoli di finanza pubblica.
I decreti sulla certificazione dei crediti
delle imprese non alleggeriscono i vincoli
di finanza pubblica.
Il decreto ministeriale sugli enti locali –che dovrà passare al vaglio della Conferenza
Stato-Regioni prima di concludere l'iter-
stabilisce infatti (articolo 2) che i
pagamenti in conto capitale degli enti
locali conseguenti alle certificazioni
concorrono al perseguimento degli obiettivi
del Patto. I pagamenti degli investimenti
continuano dunque a rappresentare uscite
rilevanti (si veda il Sole 24 Ore di lunedì
21 maggio).
La regolamentazione del procedimento di
certificazione, e il commissariamento in
caso di inerzia degli enti, consentono
semmai un'accelerazione della fase
propedeutica alla cessione del credito alle
banche, a cui spetta tuttavia la
sottoscrizione degli atti di cessione. La
certificazione non pregiudica inoltre il
diritto del creditore agli interessi sulle
somme dovute.
Il ritardo nel pagamento di somme
certificate comporta dunque il potenziale
sostenimento di oneri aggiuntivi per la
finanza pubblica, con evidenti ripercussioni
anche in tema di responsabilità
amministrativa ed erariale.
Secondo l'articolo 3, comma 3, del Dm, la
certificazione non può essere rilasciata in
caso di procedimenti giurisdizionali
pendenti per la medesima ragione di credito.
La norma poco aggiunge alle disposizioni
precedenti, secondo le quali la
certificazione è dovuta solo in caso di
certezza, liquidità ed esigibilità del
credito.
La liquidazione infatti (articolo 184 Tuel)
è la fase del procedimento di spesa
attraverso la quale, in base ai documenti e
ai titoli atti a comprovare il diritto, il
responsabile del procedimento determina la
somma certa e liquida da pagare nei limiti
dell'impegno definitivo assunto. Poiché il
decreto stabilisce l'obbligo a carico della
Pa di accettare sin dal momento della
certificazione la possibile cessione del
credito a banche o intermediari finanziari,
è necessario che si proceda alla verifica di
eventuali debiti fiscali (articolo 48-bis
del Dpr 602/1973). Questa indagine non mette
però al sicuro da potenziali situazioni
moratorie che potrebbero sussistere in data
successiva, cioè al momento della
formalizzazione dell'atto di cessione.
Come chiarito dall'Economia anche con
circolari 22/2008 e 29/2009, la Pa è infatti
tenuta a operare all'atto della cessione la
verifica a carico del cedente per tutti i
pagamenti superiori a 10mila euro.
Per evitare l'insorgere di casi
potenzialmente idonei a integrare la
fattispecie elusiva del Patto, il modello di
certificazione allegato al decreto prevede
la possibilità di rinviare il pagamento a
carico della Pa per un periodo non superiore
ai 12 mesi dalla data dell'istanza di
certificazione.
La norma, in linea con le decisioni Eurostat
sulla durata dei debiti di funzionamento,
contribuisce a chiarire alcune perplessità
sorte da interpretazioni della
giurisprudenza contabile, secondo cui le
operazioni finanziarie per esternalizzare a
terzi (compresi gli istituti finanziari) la
procedura di pagamento, rinviandone
l'imputazione a bilancio, potrebbero
configurare ipotesi elusive. Con la cessione
del credito, sostengono infatti alcuni
magistrati, la liquidità di tesoreria non
sarebbe rappresentativa delle reali
condizioni dell'ente locale.
---------------
I punti controversi
1 -
Patto di stabilità
I versamenti relativi a impegni in conto
capitale continuano
a essere considerati rilevanti
ai fini del Patto, per cui non possono in
ogni caso portare allo sforamento degli
obiettivi di saldo dell'ente
2 -
Cessioni
La cessione va accettata fin dal momento
della certificazione.
La verifica ex articolo 48-bis effettuata al
momento della cessione non mette quindi al
sicuro dalle situazioni successive
3 -
Elusioni
Alcuni magistrati contabili hanno
considerato «elusive» alcune forme di
cessione
del credito. Il decreto permette un rinvio
di 12 mesi dalla certificazione al pagamento
per evitare problemi
4 -
Contenzioso
Non sono certificabili (e quindi cedibili)
crediti oggetti di contenzioso. Questo era
già previsto dalla normativa precedente,
perché mancano i requisiti di certezza ed
esigibilità
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.05.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento al 28.05.2012 |
|
ENTI LOCALI - VARI: LA
CIRCOLARE SULL'IMU/ Terreni, variazioni da comunicare.
Niente sanzioni se l'ente non informa sui
cambi di destinazione. Se il comune è
inadempiente esclusi anche gli interessi moratori.
Anche per l'Imu, i comuni sono tenuti a
fornire informazioni ai contribuenti sulle
variazioni urbanistiche e i cambi di
destinazione dei terreni in aree
edificabili. Nel caso in cui non venga
inviata la comunicazione, non devono essere
irrogate al titolare dell'area né sanzioni
né interessi moratori sul tributo dovuto.
Lo
ha chiarito il dipartimento delle finanze
del ministero dell'Economia, con la
circolare 18.05.2012 n. 3/DF.
Dunque, la regola imposta dall'articolo 31,
comma 20, della legge 289/2002 (Finanziaria
2003) vale anche per l'Imu. Questa norma
prevede che debba essere informato il
contribuente delle variazioni apportate agli
strumenti urbanistici. Quando i comuni
attribuiscono a un terreno la natura di area
fabbricabile sono obbligati a darne
comunicazione al contribuente, a mezzo
posta, con modalità idonee a garantire
l'effettiva conoscenza.
Per il dipartimento,
spetta ai comuni «disciplinare autonomamente
la procedura adottando lo schema più
confacente alla propria organizzazione». Il
mancato rispetto dell'adempimento non
comporta alcuna conseguenza in ordine agli
obblighi che incombono sul contribuente: il
tributo sull'area è comunque dovuto.
Tuttavia, precisa la circolare, in base
all'articolo 10 dello Statuto dei diritti
del contribuente (legge 212/2000), non
possono essere richieste sanzioni e
interessi. Del resto «la norma ha il fine di
fornire le garanzie procedimentali poste a
tutela del contribuente assurte a principio
generale dell'ordinamento tributario».
Il ministero, correttamente, va oltre quanto
affermato dalla giurisprudenza che in
passato si è limitata ad annullare le
sanzioni irrogate dai comuni, riconoscendo
solo la causa di non punibilità stabilita
dall'articolo 6 del decreto legislativo
472/1997. Mentre lo Statuto esclude anche la
richiesta degli interessi quando il
comportamento del contribuente risulti posto
in essere in seguito a errori o omissioni
dell'amministrazione. In effetti, il
contribuente è tenuto a pagare le imposte su
un'area edificabile anche se il comune non
lo abbia informato delle variazioni
apportate allo strumento urbanistico e non
abbia comunicato il cambio di destinazione
del terreno.
La Corte di cassazione, con la
sentenza 15558/2009, ha ritenuto ininfluente
la mancata comunicazione al proprietario,
non essendo specificamente prevista una
sanzione ad hoc dalla norma che ne ha
imposto l'obbligo. La mancata comunicazione
del cambiamento urbanistico non può avere
un'incidenza sugli obblighi di dichiarazione
e versamento dell'imposta, che sono
autonomamente disciplinati dalla legge. Se
il comune non ha provveduto a comunicare,
formalmente, il cambio di destinazione del
terreno, e il contribuente violi l'obbligo
di dichiarazione e di versamento, si può
ritenere che ricorra una causa di non
punibilità.
Occorre precisare che l'articolo 31 non ha
alcuna efficacia retroattiva. Pertanto,
l'obbligo di comunicazione riguarda solo i
cambi di destinazione dei terreni attuati a
decorrere dall'01.01.2003. L'Imu è dovuta
dal momento i cui l'area è inserita in un
piano regolatore generale adottato dal
consiglio comunale, anche se non approvato
dalla regione. L'articolo 36, comma 2, della
legge 248/2006 dispone che un'area è da
considerare fabbricabile se utilizzabile a
scopo edificatorio in base allo strumento
urbanistico generale deliberato dal comune,
indipendentemente dall'approvazione della
regione e dall'emanazione di strumenti
attuativi
(articolo ItaliaOggi
del 26.05.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Evasione,
l'Inps arruola i comuni. Controlli su
edilizia, ambulanti, commercio e
artigianato. Un messaggio dell'Istituto di
previdenza detta le istruzioni sulle
segnalazioni qualificate.
Comuni in campo contro
l'evasione contributiva. Edilizia, commercio
ambulante e attività artigiane e commerciali
«fantasma» sono gli ambiti rilevanti ai fini
Inps per i quali, per ogni segnalazione
qualificata effettuata, i comuni riceveranno
una quota (33%) delle sanzioni eventualmente
riscosse. Ma, come detto, deve trattarsi di
«segnalazioni qualificate», ossia
segnalazioni evidenti di posizioni
soggettive irregolari, per evasione o
elusione, che non richiedono ulteriori
elaborazioni dell'Inps.
A precisarlo, tra l'altro, è lo stesso ente
di previdenza che, nel messaggio n.
8798/2012, detta le prime istruzioni per
la collaborazione con i comuni alle attività
di accertamento tributari e contributivi,
anticipando il provvedimento dell'Agenzia
delle entrate, di prossima pubblicazione,
attuativo dell'articolo 18 del dl n.
78/2010.
Comuni in campo.
Il dl n. 78/2010, come modificato dal dl n.
201/2011, al fine di potenziare l'azione di
contrasto all'evasione fiscale e
contributiva, incentiva la partecipazione
dei comuni all'accertamento fiscale e
contributivo con il riconoscimento di una
quota pari al 33% dei maggiori tributi
statali riscossi e delle sanzioni civili
applicate sui maggiori contributi riscossi a
titolo definitivo.
Al fine di realizzare questa collaborazione,
spiega l'Inps, le amministrazioni
interessate (Agenzia entrate, Inps, Agenzia
del territorio, Conferenza unificata), con
il supporto dell'Anci, hanno avviato un
percorso per definire gli ambiti di
collaborazione e le modalità tecniche di
accesso alle banche dati e l'invio delle «segnalazioni
qualificate» da parte dei comuni. Per
segnalazioni qualificate, precisa il
messaggio, «si intendono quelle posizioni
soggettive che a seguito di rilievi svolti
dai comuni devono evidenziare comportamenti
evasivi e/o elusivi senza ulteriori
elaborazioni logiche da parte dell'istituto».
Gli ambiti rilevanti.
L'attuazione dell'articolo 18 è rimessa al
provvedimento del direttore dell'Agenzia
delle entrate che, spiega l'Inps, sarà
pubblicato a breve dopo il recepimento di
alcune modifiche del Garante privacy. Il
provvedimento definisce le modalità di
accesso alle banche dati e di trasmissione
delle informazioni utilizzabili ai fini
dell'accertamento fiscale e contributivo.
Inoltre, per quanto riguarda l'Inps,
determina gli ambiti rilevanti ai fini
dell'accertamento dei contributi non
dichiarati. I predetti ambiti, in
particolare, riguardano i soggetti che:
- effettuano attività edilizia omettendo la
denunzia contributiva relativa all'impresa;
- svolgono attività «fantasma» di
commercio ambulante o su area pubblica
omettendo la comunicazione Unica ai fini
fiscali, amministrativi e previdenziali e/o
la denunzia contributiva relativa alla
impresa;
- svolgono attività commerciale o artigiana
«fantasma» omettendo sia la
Comunicazione Unica ai fini fiscali,
amministrativi e previdenziali, che la
denunzia contributiva relativa all'impresa.
Le convenzioni.
L'Inps, spiega ancora il messaggio, ha
avviato un tavolo di lavoro con l'Unione dei
comuni e con il supporto dell'Anci, per
definire un processo operativo di
partecipazione dei comuni all'attività di
accertamento. Il processo, in particolare,
prevede la messa a disposizione dei comuni
interessati, a seguito di sottoscrizione di
specifica convenzione (l'Inps sta
predisponendo una bozza di
convenzione-quadro), di una procedura che
consente di inviare all'Inps soltanto le
informazioni considerate «segnalazioni
qualificate».
Il processo sarà supportato da una procedura
telematica che consentirà anche di operare
le ulteriori verifiche amministrative e/o
ispettive da parte dell'Inps, nonché di
quantificare le somme per sanzioni civili
destinate ai comuni
(articolo ItaliaOggi
del 25.05.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Autovelox,
multe subito in bilancio. L'obbligo scatta
dal 1° giugno. Dal 2013 relazione al
ministero. I municipi navigano a vista sulla
ripartizione dei proventi. Serve una
delibera di giunta.
Scatterà potenzialmente
già dal prossimo mese di giugno l'obbligo di
ripartire con l'ente proprietario della
strada i proventi derivanti delle multe
accertate con autovelox e telelaser. Ma al
momento sarà sufficiente accantonare le
risorse e variare i bilanci. Solo dal
prossimo anno infatti gli enti locali
dovranno inviare al ministero la relazione
indicante l'importo dei proventi autovelox
ripartiti e l'ammontare di tutte le multe
stradali con le spese effettuate. E
procedere alla materiale destinazione delle
risorse.
Sono questi gli importanti effetti contabili
e gestionali introdotti automaticamente
dall'01.01.2012 (in mancanza di un decreto
ad hoc da adottare entro il 31 maggio e di
cui non vi è traccia) dal comma 16 dell'art.
4-ter del dl 16/2012, inserito in fretta e
furia in sede di conversione dalla legge n.
44/2012, in vigore dal 29.04.2012.
Sull'intera questione la prudenza è
d'obbligo anche in considerazione
dell'assoluta mancanza di indicazioni
ministeriali, peraltro molto attese dai
comuni.
L'unica certezza al momento è che la
ripartizione dei proventi autovelox
riguarderà gli accertamenti alle violazioni
dei limiti massimi di velocità rilevati
dagli organi di polizia stradale sulle
strade appartenenti a enti diversi da quelli
dai quali dipendono gli organi accertatori,
con esclusione delle strade Anas. Le somme
derivanti dalla ripartizione dei proventi
delle sanzioni dovranno essere destinate
alla realizzazione di interventi mirati,
preventivamente individuati dalla legge. E
sarà necessario relazionare annualmente al
ministero, a partire dal 31.05.2013, tutte
le infrazioni stradali accertate nel corso
dell'anno precedente, con particolare
attenzione all'autovelox.
Sono molte però le criticità da risolvere.
Innanzitutto la data esatta dalla quale
decorre questo nuovo obbligo. Stando a una
lettura formale della norma i 90 giorni
concessi per l'emanazione del dm fantasma
decorrono dal 02.03.2012, data di entrata in
vigore del decreto legge n. 16/2012.
Pertanto se il decreto, come risulta a
ItaliaOggi, non sarà emanato entro il 31
maggio, dall'01.06.2012 ai sensi della
novella di aprile troveranno immediata
applicazione formale le disposizioni del
codice della strada di cui all'art. 142,
commi 12-bis (obbligo di ripartizione dei
proventi), 12-ter (destinazione delle somme
derivanti dai proventi ripartiti) e
12-quater (relazione da inviare entro il 31
maggio di ogni anno al ministero dei
trasporti e al ministero dell'interno).
Non mancano però interpretazioni dottrinarie
che, disancorandosi dalla lettura formale
della disposizione introdotta in malo modo
nella conversione in legge del dl 16/2012,
individuano il dies a quo per il
calcolo dei novanta giorni non nel 2 marzo,
ma nel 29.04.2012, data di entrata in vigore
della legge di conversione n. 44/2012. In
tal caso, dunque, l'obbligo di ripartizione
dei proventi e tutta la burocrazia connessa
decorrerebbero dal 29.07.2012.
Altri considerano infine rinviato comunque
ogni effetto dell'automatismo all'01.01.2013
in virtù della disposizione prevista
dall'art. 25/3° della legge 120/2010.
Aderendo a una valutazione prudente è
corretto ritenere operativa già da
quest'anno la nuova destinazione dei
proventi autovelox da suddividere con l'ente
proprietario della strada e variare prima
possibile il bilancio di previsione
iscrivendo anche gli importi di spettanza di
altri enti. Ma anche adottare una nuova
delibera di giunta sulla destinazione degli
importi
(articolo ItaliaOggi
del 25.05.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/
Commissioni come consigli. Devono
rispecchiare la composizione dei gruppi. In
caso di cambio di casacca va garantita una
rappresentanza proporzionale.
È necessario provvedere
a un riequilibrio generale delle commissioni
consiliari permanenti originariamente
costituite se, a fronte dei molteplici
mutamenti politici intervenuti nel tempo, si
è modificata la compagine dei consiglieri e,
quindi, la composizione dei gruppi? Il
consigliere che ha cambiato gruppo, se
riveste le funzioni di presidente di una
commissione consiliare, deve continuare a
svolgere tali funzioni fino al termine del
mandato oppure si deve procedere alla sua
sostituzione?
Le commissioni consiliari previste
dall'articolo 38, comma 6 del dlgs n.
267/2000, una volta istituite sulla base di
una facoltativa previsione statutaria, sono
disciplinate dall'apposito regolamento
comunale con l'unico limite, posto dal
legislatore, riguardante il rispetto del
criterio proporzionale nella composizione.
Ciò significa che le forze politiche
presenti in consiglio devono essere il più
possibile rispecchiate anche nelle
commissioni, in modo che in ciascuna di esse
ne sia riprodotto il peso numerico e di
voto.
Il caso prospettato si inquadra nell'ambito
dei possibili mutamenti che possono
sopravvenire all'interno delle forze
politiche presenti in consiglio comunale per
effetto di dissociazioni dall'originario
gruppo di appartenenza, comportanti la
costituzione di nuovi gruppi consiliari
ovvero l'adesione a diversi gruppi
esistenti. Il principio generale del divieto
di mandato imperativo, sancito dall'articolo
67 della Costituzione, assicura ad ogni
consigliere l'esercizio del mandato ricevuto
dagli elettori -pur conservando verso gli
stessi la responsabilità politica- con
assoluta libertà, ivi compresa quella di far
venir meno l'appartenenza dell'eletto alla
lista o alla coalizione di originaria
appartenenza. (cfr. Tar, Trentino-Alto Adige,
Trento n. 75 del 2009)
Va da sé che i mutamenti in parola
modificano i rapporti tra le forze politiche
presenti in consiglio, incidendo sul numero
dei gruppi ovvero sulla consistenza numerica
degli stessi, e ciò non può non influire
sulla composizione delle commissioni
consiliari che deve, pertanto, adeguarsi ai
nuovi assetti. La fattispecie prospettata
va, pertanto, inquadrata nell'ambito di un
riequilibrio generale degli assetti presenti
nelle commissioni. Quanto al rispetto del
criterio proporzionale previsto dal citato
articolo 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000,
il legislatore non precisa come lo stesso
debba essere declinato in concreto. Spetta
al regolamento, cui sono demandate la
determinazione dei poteri delle commissioni
nonché la disciplina dell'organizzazione e
delle forme di pubblicità dei lavori,
stabilire i meccanismi idonei a garantirne
il rispetto.
Secondo quanto osservato dal Tar Lombardia,
nella sentenza n. 567/1996, il criterio
proporzionale è posto dal legislatore come
direttiva suscettibile di svariate opzioni
applicative, egualmente legittime purché
coerenti con la ratio che quel
principio sottende, e che consiste
nell'assicurare in seno alle commissioni la
maggiore rappresentatività possibile. Al
raggiungimento di questo risultato
concorrono, come esperienza e prassi
dimostrano, non soltanto la rappresentanza
individuale proporzionata alla consistenza
delle forze politiche presenti nell'organo
elettivo, ma anche –quando la varietà di
consistenza e di numero dei gruppi non
consenta di conseguire l'obiettivo con
precisione aritmetica, per quozienti interi–
meccanismi tecnici (quali il voto ponderato,
il voto plurimo e simili) idonei ad
assicurare a ciascun commissario un peso
corrispondente a quello della forza politica
che rappresenta.
Nel caso di specie se, in materia di
commissioni consiliari, il regolamento sul
funzionamento del consiglio comunale prevede
che la ripartizione dei membri delle
commissioni da parte dei singoli gruppi deve
essere effettuata con un criterio di
proporzionalità –garantendo, comunque a
ciascun consigliere la presenza in almeno
una commissione consiliare- e che nel caso
di dimissioni, decadenza od altro motivo che
renda necessaria la sostituzione di un
Consigliere, il presidente del gruppo
consiliare di appartenenza designi un altro
rappresentante, è necessario provvedere,
anche al fine di adeguare la composizione
delle commissioni al criterio proporzionale
previsto dal citato art. 38 del dlgs
267/2000, a una revisione complessiva delle
stesse con una deliberazione del consiglio
comunale che prenda atto della designazione
dei consiglieri in rappresentanza dei gruppi
neo costituiti e della sostituzione dei
consiglieri.
Il disposto recato dal regolamento comunale
in combinato disposto con il citato art. 38
Tuel è applicabile anche alla ipotesi
prospettata del consigliere eletto
presidente di una commissione in
rappresentanza di un gruppo dal quale
successivamente si sia dissociato
(articolo ItaliaOggi
del 25.05.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edilizia, bonus sale.
Ristrutturare con lo sgravio del 50%.
Nel dl infrastrutture incentivi per il
risparmio energetico.
La detrazione del 36% per la
ristrutturazioni edilizie potrebbe arrivare
al 50% con un tetto di 96 mila euro per
unità immobiliare (invece dell'attuale
limite di 48 mila euro). Sarà invece
prevista come stabile la detraibilità fino
al 55% delle spese per interventi di
riqualificazione energetica.
Sono queste
alcune delle proposte che il ministero delle
infrastrutture ha messo a punto e sulle
quali si dovrà confrontare con il ministero
dell'economia, in capo al premier Mario
Monti, in vista della prossima adozione di
un decreto-legge per il rilancio delle
infrastrutture, parte dell'intervento sulla
crescita di cui ha parlato in queste
settimane il ministro per le infrastrutture
e sviluppo economico, Corrado Passera. Per
le detrazioni sugli interventi di
ristrutturazione edilizia, la proposta del
governo è quella di innalzare dal 36 al 50%
la quota detraibile ai fini Irpef aumentando
anche l'importo massimo della spesa per
unità immobiliare da 48 mila a 96.mila euro.
L'obiettivo è quello di incentivare la
ripresa del mercato delle costruzioni e, in
particolare quello delle ristrutturazioni
che, dalle stime in possesso del governo,
nel periodo 1998-2006, attraverso
l'incentivo ha potuto contare su un
incremento annuo degli investimenti in
ristrutturazioni stimabile in circa 1,1
miliardi di euro che, con l'aumento dal 36
al 50% dovrebbe aumentare di altri 350
milioni.
L'aumento di percentuale di
detrazione di 14 punti percentuali
determinerà un minor gettito Irpef
complessivo pari a 1,2 miliardi in dici
anni, compensato da un incremento di gettito
conseguente all'effetto incentivante sugli
investimenti sia con riferimento
all'incremento del gettito Iva sia con
riferimento all'incremento delle imposte
dirette cioè Irpef-Ires-Irap. Oltre
all'intervento sulle ristrutturazioni
edilizie la proposta del governo prevede che
sia portato a regime la detrazione del 55%
per gli interventi di riqualificazione
energetica, anche in questo caso con la
finalità di incentivare la ripresa del
mercato delle costruzioni. Gli oneri che il
governo stima possano determinarsi per la
messa a regime dell'incentivo ammontano a
2.475 milioni di euro che ripartiti nelle
dieci quote annuali (come previsto per
legge) risultano 248 milioni di euro annui.
A questi interventi sulle ristrutturazioni e
sulla riqualificazione energetica si
aggiungono poi altri interventi che tendono
ad agevolare il regime fiscale per
l'invenduto a favore dei costruttori e altri
che incidono sull'acquisto degli immobili
(esenzione Imu biennale per le case il cui
valore dichiarato sia inferiore a 200 mila
euro e detrazione delle spese di registro
dell'atto di acquisto) e sulla detrazione
degli interessi passivi per i mutui (si
arriva alla totale detraibilità degli
interessi, con un costo, però per l'Erario
pari a più di un miliardo di euro per il
2013).
Trattandosi di proposte che potrebbero avere
ripercussioni non da poco sugli equilibri di
bilancio, il confronto con il ministero
dell'economia sarà evidentemente decisivo,
così come lo era ai tempi dell'ex ministro
Giulio Tremonti (articolo
ItaliaOggi del 23.05.2012 - link a
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Box,
comprare senza l'alloggio. Notai di Milano
su nuove opportunità.
Nuove opportunità dalla compravendita dei
box privati separatamente dagli
appartamenti. Il recente dl n. 5/2012 di
semplificazione e sviluppo ha consentito, a
determinate condizioni, la libera
circolazione dei cosiddetti parcheggi Tognoli, che fino a oggi non potevano essere
venduti senza l'abitazione di pertinenza,
pena la nullità del contratto. La disciplina
della circolazione dei box rimane molto
complessa e articolata.
Se ne parlerà oggi
pomeriggio alle 18 all'Urban Center di
Milano, nella Galleria Vittorio Emanuele,
nell'ultimo incontro dell'iniziativa
«Comprar casa senza rischi» organizzata dal
Consiglio notarile del capoluogo lombardo.
Nel quadro normativo attuale si possono
distinguere sostanzialmente tre categorie,
in ognuna delle quali la vendita separata
del box dall'appartamento è disciplinata in
maniera differente: parcheggi ponte o
standard (dal nome della legge ponte n.
765/1967), parcheggi Tognoli (anche in questo
caso dal nome attribuito alla legge n.
122/89) e parcheggi liberi (si veda la
tabella elaborata dal Consiglio notarile di
Milano).
I parcheggi Tognoli si suddividono
a loro volta in due categorie: pubblici (per
i quali la vendita separata è legittima
soltanto ove ciò sia espressamente previsto
dalla convenzione originaria stipulata con
il comune, perché in questi caso la
costruzione dei box avviene in proprietà
superficiaria su aree di proprietà pubblica)
e privati (per i quali sono state previste
dalla legge n. 122/1989 numerose agevolazioni
urbanistiche e civilistiche: si pensi, ad
esempio, alle maggioranze ridotte necessarie
per autorizzare la costruzione di parcheggi
interrati in ambito condominiale).
A seguito
della novella del 2012, come spiegato il
notaio Ugo Friedmann, i parcheggi Tognoli
privati possono essere venduti separatamente
dall'appartamento, nel rispetto delle norme
civilistiche sulla pertinenza e delle due
seguenti condizioni: la destinazione del
bene deve rimanere la stessa (dal box non
potrà essere ricavato un negozio o un
laboratorio) e l'acquirente dovrà destinarlo
a pertinenza di altra unità immobiliare sita
nel medesimo comune (articolo
ItaliaOggi del 23.05.2012). |
ENTI LOCALI - VARI:
LA CIRCOLARE SULL'IMU/ Lo sconto prima casa è uno solo.
Non rileva il fatto che il contribuente
utilizzi più immobili. Per usufruire del
beneficio è necessario accatastare insieme
le unità.
Il contribuente può fruire delle
agevolazioni per abitazione principale per
un solo immobile, anche se utilizzi di fatto
più unità immobiliari distintamente iscritte
in catasto, a meno che non abbia provveduto
al loro accatastamento unitario.
Lo ha
chiarito il dipartimento delle finanze del
ministero dell'economia, con la circolare
3/2012.
Rispetto a quanto previsto per l'Ici, la
definizione di abitazione principale
presenta dei profili di novità. L'articolo
13, comma 2, del dl 201/2011 prevede che per
abitazione principale si intende l'immobile,
iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio
urbano come unica unità immobiliare, nel
quale il possessore e il suo nucleo
familiare dimorano abitualmente e risiedono
anagraficamente. Dalla lettura della norma,
per il dipartimento, «emerge, innanzitutto,
che l'abitazione principale deve essere
costituita da una sola unità immobiliare
iscritta o iscrivibile in catasto a
prescindere dalla circostanza che sia
utilizzata come abitazione principale più di
una unità immobiliare».
Quindi, le singole unità vanno assoggettate
separatamente a imposizione, ciascuna per la
propria rendita. È il contribuente a
scegliere quale destinare ad abitazione
principale. Secondo la tesi ministeriale, la
nuova disposizione consente di superare per
l'Imu, «in maniera inequivocabile, i
contrasti interpretativi tra prassi e
giurisprudenza sorti in materia di Ici».
L'interpretazione ministeriale, però, non
può essere condivisa, in quanto richiama
nella circolare il principio affermato per
la prima volta dalla Cassazione (sentenza
25902/2008) per l'Ici, poi ribadito con
altre pronunce, ma lo ritiene superato dalla
nuova disposizione, secondo la quale il
beneficio fiscale è limitato a una sola
unità immobiliare, mentre le altre, ancorché
utilizzate di fatto come abitazione
principale, non possono fruire del
trattamento agevolato.
Invece, anche per l'Imu il contribuente
dovrebbe avere diritto all'aliquota ridotta
e alla detrazione, qualora utilizzi
contemporaneamente diversi fabbricati come
abitazione principale, visto che l'articolo
13 richiede che si tratti di un'unica unità
immobiliare «iscritta o iscrivibile» come
tale in catasto.
Occorre dare un senso alla formulazione
letterale della norma che fa riferimento ai
diversi immobili che sono potenzialmente
«iscrivibili» come un'unica unità
immobiliare. In questi casi, dunque, è
sufficiente che sussistano due requisiti:
uno soggettivo e l'altro oggettivo.
In particolare, le diverse unità immobiliari
devono essere possedute dallo stesso
titolare (o dagli stessi titolari) e devono
essere contigue. E l'Agenzia del territorio
dovrebbe certificare l'iscrivibilità come
unica unita immobiliare.
Del resto, la Cassazione più volte ha
chiarito che ciò che conta è l'effettiva
utilizzazione come abitazione principale
dell'immobile complessivamente considerato,
a prescindere dal numero delle unità
catastali.
Peraltro, per i giudici di legittimità, gli
immobili distintamente iscritti in catasto
non importa che siano di proprietà di un
solo coniuge o di ciascuno dei due in regime
di separazione dei beni. A patto che il
derivato complesso abitativo utilizzato non
trascenda la categoria catastale delle unità
che lo compongono.
Secondo la Cassazione, un'interpretazione
contraria non sarebbe rispettosa della
finalità legislativa di ridurre il carico
fiscale sugli immobili adibiti a «prima
casa». La tesi della Cassazione, però,
si pone in contrasto con quanto affermato
dal dipartimento delle finanze del
ministero, con la risoluzione 6/2002,
richiamata anch'essa nella recente
circolare, sui presupposti richiesti per
usufruire dei benefici fiscali.
Infatti il ministero già in passato, anche
per l'Ici, aveva precisato che due o più
unità immobiliari vanno singolarmente e
separatamente soggette a imposizione, «ciascuna
per la propria rendita». Il
contribuente, per avere diritto
all'agevolazione, era tenuto a richiedere
l'accatastamento unitario degli immobili,
per i quali fosse stata attribuita una
distinta rendita, presentando all'ente una
denuncia di variazione (articolo
ItaliaOggi del 23.05.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Pubblico
impiego. Un disegno di legge delega per
armonizzare l'ordinamento degli statali con
la riforma Fornero. Più autonomia ai
dirigenti, premi legati alla produttività.
REGIONI E SINDACATI/ Cambia la
contrattazione con il coinvolgimento di
tutti gli attori nella gestione della
mobilità e della riorganizzazione.
L'allineamento delle regole del pubblico
impiego al riassetto del mercato del lavoro
privato verrà garantito con l'attuazione di
una delega piena e non tramite nuove norme
subito operative.
Lo prevede il disegno di legge che il
ministro della Pa e la Semplificazione,
Filippo Patroni Griffi, presenterà domani in
Consiglio dei ministri. Sette articoli in
tutto e il rimando a decreti legislativi da
adottare entro nove mesi dall'entrata in
vigore della legge per completare un
percorso di privatizzazione del lavoro
pubblico introdotto all'inizio degli anni
Novanta e correggere alcuni aspetti della
riforma Brunetta che non hanno superato la
prova dell'attuazione.
Il testo parte dai principi fissati nel
protocollo d'intesa sottoscritto da Regioni,
enti locali e da tutti i sindacati il 4
maggio scorso. Si spazia dalla disciplina
del rapporto di lavoro nella Pa, con il
riconoscimento del contratto a tempo
indeterminato come forma dominante per
rispondere al fabbisogno di personale, alle
regole sui licenziamenti, con l'introduzione
di tipizzazioni di ipotesi legali per i casi
disciplinari, fino a misure di
semplificazione per favorire la mobilità «volontaria
e guidata» dei dipendenti, con la
previsione di ipotesi da definire in sede di
contrattazione di utilizzo del part time
e della mobilità professionale. Sui
contratti flessibili si prevede un loro
ridimensionamento con il rispetto della
specificità di comparti come l'istruzione e
gli enti di ricerca, mentre nei concorsi
pubblici (unico canale di accesso alla Pa)
verranno valorizzate le esperienze
professionali acquisite proprio con i
contratti flessibili.
Ma il testo va ben oltre e punta al riordino
del sistema della contrattazione collettiva
e delle relazioni sindacali con il
riconoscimento di una maggiore
rappresentanza di Regioni ed enti
territoriali e forme di partecipazione dei
sindacati ai processi di riorganizzazione
della Pa. È uno dei passaggi del Ddl che
ritocca la riforma Brunetta laddove si
prevedono possibilità di esame congiunto con
i sindacati dei processi di riassetto delle
amministrazioni nell'ambito di un riordino
dei comparti di contrattazione che rimane
con l'obiettivo di una loro forte riduzione.
Si metterà poi mano, con i decreti delegati,
anche al sistema di valutazione delle
performance, e qui l'obiettivo è di misurare
i meriti individuali partendo però dal
contesto organizzativo e dai diversi livelli
di responsabilità dei singoli. È questo
l'altro ritocco alla riforma Brunetta ma non
si prevede affatto di cancellare il
principio della premialità selettiva, che
dovrà rimanere «differenziata in
relazione ai risultati conseguiti fermo il
divieto di corresponsione di trattamenti
uniformi, automatici o a rotazione».
Un ampio capitolo, raccolto nell'articolo 5,
riguarda la dirigenza di cui si vogliono
ampliare e rafforzare i poteri assicurandone
una maggiore autonomia dagli organi di
indirizzo politico ma puntando, nel
contempo, a promuovere una maggiore
flessibilità e mobilità anche tra comparti
diversi. Cambieranno anche i conferimenti di
incarichi ai dirigenti e si prevede una
stretta sugli incarichi esterni. Confermato,
poi, il riordino delle scuole di formazione,
sempre con l'obiettivo di promuovere
l'interdisciplinarietà. Ulteriore delega,
infine, è stata aggiunta per rafforzare e
rendere più cogente tutta la normativa che
regola gli obblighi di trasparenza e
accessibilità alle informazioni di tutte le
amministrazioni
(articolo Il
Sole 24 Ore
del 23.05.2012 - link a
www.corteconti.it). |
aggiornamento al 23.05.2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: LA
CIRCOLARE SULL'IMU/ Pertinenze, comuni senza poteri.
I sindaci non possono più intervenire con
regolamento. Chi affitta parte della prima
casa paga solo l'Imu se il canone è
basso.
I comuni non possono individuare con
regolamento le pertinenze da considerare
parti integranti dell'abitazione principale.
Il dl Salva Italia, infatti, ha abrogato
tale facoltà riconosciuta agli enti locali
dall'art. 59 del dlgs n. 446/1997. Chi affitta
una camera dell'abitazione principale (per
esempio a uno studente) paga solo l'Imu se
il canone di locazione è inferiore alla
rendita catastale rivalutata. Diversamente,
oltre all'Imu va versata anche l'Irpef.
I chiarimenti sono contenuti nella
circolare 18.05.2012 n. 3/DF
del dipartimento
delle finanze.
Pertinenze. Il dl 201 individua con
precisione le unità immobiliari che possono
essere considerate pertinenze. Tali sono gli
immobili appartenenti alle categorie
catastali C/2 (magazzini, cantine, soffitte
se non unite all'abitazione), C/6 (stalle,
scuderie, rimesse, autorimesse), C/7
(tettoie). Il contribuente potrà considerare
come pertinenza della prima casa (e così
applicare ad esse l'aliquota del 4 per
mille) una unità immobiliare per ciascuna
categoria catastale fino a un massimo di tre
(in pratica una per categoria).
Ciò
significa che chi possiede per esempio una
cantina (accatastata come C/2) e due box
(C/6) dovrà scegliere quale dei due garage
collegare all'abitazione principale. Ma se
la cantina risulta già iscritta in catasto
congiuntamente alla prima casa, il
contribuente potrà applicare le agevolazioni
solo a pertinenze di categoria catastale
diversa da C/2. Questo perché, chiarisce la
nota del Mef, nel limite massimo di tre
pertinenze rientra anche quella iscritta in
catasto insieme all'abitazione principale.
Un altro caso particolare riguarda l'ipotesi
in cui due pertinenze della stessa categoria
(di solito la soffitta e la cantina,
entrambe C/2) siano accatastate insieme
all'abitazione principale. In questa ipotesi
il contribuente non dovrà rinunciare a una
delle due, ma per rispettare la regola del
tre potrà usufruire delle agevolazioni per
l'abitazione principale solo per un'altra
pertinenza di categoria C/6 o C/7.
Abitazione parzialmente locata. Si tratta di
un'ipotesi assai diffusa (soprattutto nelle
città universitarie) a cui la nota del Mef
dedica particolare attenzione all'interno
del capitolo dedicato ai rapporti tra Imu e
imposte sui redditi. Com'è noto, l'Imu
ingloba l'Irpef fondiaria e le relative
addizionali comunali e regionali. Ragion per
cui regola generale vuole che se un immobile
non è locato (e tali vanno considerati anche
quelli concessi in comodato d'uso gratuito o
utilizzati a uso promiscuo dal
professionista) si paga solo l'Imu, mentre
se è locato si paga l'Imu e anche l'Irpef
sul reddito da locazione.
Un caso
particolare è proprio quello dell'abitazione
principale «parzialmente locata». Ossia la
prima casa occupata dal proprietario per la
parte principale e data in affitto per la
parte rimanente. Le Finanze hanno chiarito
che, per capire se oltre all'Imu vada o meno
pagata anche l'Irpef sull'affitto, si debba
guardare al canone. Se è inferiore alla
rendita catastale rivalutata del 5% si paga
solo l'Imu. Se è più alto della rendita
rivalutata bisognerà pagare l'Imu e l'Irpef
(articolo ItaliaOggi
del 22.05.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: LA
CIRCOLARE SULL'IMU/ La dichiarazione Ici vale ancora.
Il contribuente che ha assolto l'obbligo non
deve ripresentarla. Se il presupposto è
sorto dal 1° gennaio c'è tempo fino al 1° ottobre.
La dichiarazione Ici vale anche per l'Imu. I
contribuenti che hanno già assolto
all'obbligo non sono tenuti a ripresentare
la dichiarazione, nonostante si tratti di un
tributo diverso. Con la nuova imposta locale
viene ridotto a 90 giorni il termine per
dichiarare gli immobili posseduti. Tuttavia,
per quelli per i quali l'obbligo è sorto dall'01.01.2012, la dichiarazione deve
essere presentata entro il 1° ottobre di
quest'anno.
Sono alcuni chiarimenti che ha
fornito il dipartimento delle finanze del
ministero dell'economia, con la
circolare 18.05.2012 n. 3/DF.
Secondo il dipartimento, il termine del 1°
ottobre va rispettato da tutti i
contribuenti (proprietari, usufruttuari e
titolari di altri diritti reali) per i quali
l'obbligo è sorto dall'inizio dell'anno.
Naturalmente, occorre comunque garantire
agli interessati il rispetto del termine
minimo di 90 giorni. «Pertanto, se l'obbligo
dichiarativo è sorto, per esempio, il 31
agosto il contribuente potrà presentare la
dichiarazione Imu entro il 29.11.2012». Mentre per i titolari di fabbricati
rurali non censiti in catasto, i 90 giorni
decorrono dal 30.11.2012, che è il
termine ultimo fissato dall'articolo 13 del
dl Salva Italia (201/2011) entro il quale i
fabbricati iscritti al catasto terreni
devono transitare in quello urbano.
Per semplificare la vita ai contribuenti,
non è disposto per la nuova imposta
municipale un autonomo obbligo di
ripresentare una tantum la dichiarazione.
Cosa che invece sarebbe stata auspicabile,
per consentire alle amministrazioni locali
di acquisire le informazioni necessarie alla
gestione dell'imposta e per aggiornare le
banche dati. Il problema riguarda, per
esempio, gli immobili adibiti dal
contribuente a pertinenze dell'abitazione
principale, nel caso in cui ne possieda più
di una della stessa tipologia (due garage
inquadrati catastalmente nella categoria
C/6). Essendo limitato il beneficio solo a
uno dei due garage, il contribuente dovrebbe
dichiarare quale dei due intende destinare
al servizio dell'abitazione, mentre
sull'altro il tributo va pagato in via
ordinaria, con l'aliquota del 7,6 per mille.
Invece è più semplice per il comune
accertare, attraverso l'anagrafe, se il
contribuente abbia diritto all'ulteriore
detrazione di 50 euro per ogni figlio, di
età non superiore a 26 anni.
Nella circolare viene posto in evidenza che
la lettura coordinata delle varie
disposizioni di legge che disciplinano l'Imu
fa ritenere che probabilmente verranno
ulteriormente ridotte le ipotesi in cui è
richiesto di presentare la dichiarazione.
L'articolo 13 del decreto Monti, infatti,
rinvia a un apposito decreto del ministero
dell'economia e delle finanze sia
l'approvazione del nuovo modello di
dichiarazione sia l'individuazione dei casi
in cui ancora persiste l'obbligo.
Del resto, già il decreto ministeriale del
23.04.2008 aveva esteso l'esclusione
dell'obbligo dichiarativo oltre i casi
previsti dall'articolo 37, comma 53 del dl
223/2006.
Come per l'Ici, il contribuente non è tenuto
a presentare la dichiarazione Imu se gli
elementi rilevanti ai fini dell'imposta sono
acquisibili dai comuni attraverso la
consultazione della banca dati catastale.
Nello specifico, tra i casi più
significativi, l'adempimento è richiesto
quando: l'immobile viene concesso in
locazione finanziaria, un terreno agricolo
diventa area edificabile o, viceversa,
l'area diviene edificabile in seguito alla
demolizione di un fabbricato.
Quindi, va dichiarato qualsiasi atto
costitutivo, modificativo o traslativo del
diritto che abbia avuto a oggetto un'area
fabbricabile. Il valore dell'area, che è
quello di mercato, deve sempre essere
dichiarato dal contribuente, poiché questa
informazione non è presente nella banca dati
catastale. Ecco perché l'obbligo non
sussiste quando viene alienata un'area
fabbricabile, se non ha subito modifiche il
suo valore di mercato rispetto a quello
dichiarato in precedenza.
Inoltre, le riduzioni d'imposta devono
essere dichiarate sia se si acquista sia se
si perde il relativo diritto. L'obbligo non
è abolito neppure per gli immobili posseduti
dalle imprese, che sono tenute a dichiarare
il valore sulla base delle scritture
contabili fino all'anno di attribuzione
della rendita catastale. La dichiarazione,
poi, deve essere presentata per gli immobili
relativamente ai quali siano intervenute
delle modifiche rilevanti ai fini della
determinazione dell'imposta dovuta e del
soggetto obbligato al pagamento. Dunque,
vanno dichiarate le modifiche che possono
riguardare la titolarità del possesso, la
struttura o la destinazione dell'immobile.
---------------
L'imposta municipale è
dovuta anche per i terreni incolti. La
nozione di imprenditore agricolo
professionale si estende anche alle società.
Anche per i terreni incolti è dovuta l'Imu.
La nozione di imprenditore agricolo
professionale va estesa anche alle società
di persone, cooperative e di capitale. Il
gettito dell'Imu va integralmente al comune
per gli immobili posseduti da anziani e
disabili che acquisiscono la residenza in
istituti di ricovero o sanitari a seguito di
ricovero permanente, a condizione che la
stessa non risulti locata e dai cittadini
italiani residenti all'estero.
Queste sono solo alcune delle precisazioni
contenute nella
circolare 18.05.2012 n. 3/DF del dipartimento delle finanze.
Tra queste l'ampliamento del presupposto
impositivo che a norma dell'art. 13, comma
2, del dl 06.12.2011, n. 201, è
costituito dal possesso di qualunque
immobile, ivi comprese l'abitazione
principale e le pertinenze della stessa.
Pertanto devono scontare l'Imu non solo i
terreni agricoli, i fabbricati e le aree
fabbricabili (per i quali restano ancora
ferme le definizioni stabilite dall'art. 2
del dlgs 30.12.1992, n. 504) ma anche
gli immobili che non rientrano in tali
categorie, come ad esempio, i terreni
incolti.
Una conferma di ciò, si trova, peraltro, nel
comma 5 dello stesso art. 13, il quale
stabilisce che il valore dei terreni
agricoli, anche non coltivati, posseduti e
condotti da coltivatori diretti e da
imprenditori agricoli professionali iscritti
nella previdenza agricola, è costituito da
quello ottenuto applicando all'ammontare del
reddito dominicale risultante in catasto,
vigente al 1° gennaio dell'anno di
imposizione, rivalutato del 25%, ai sensi
dell'art. 3, comma 51, della legge n. 662
del 1996, un moltiplicatore pari a 110. La
circolare, coerentemente precisa che per gli
altri terreni agricoli, anche non coltivati,
il moltiplicatore è, invece, pari a 135.
I coltivatori diretti e gli imprenditori
agricoli professionali.
Non solo le persone fisiche, come accadeva
per l'Ici, ma anche società di persone,
cooperative e di capitale possono godere del
trattamento agevolato Imu.
Le norme del nuovo tributo, infatti,
precisano a chiare lettere che i soggetti
richiamati dall'art. 2, comma 1, lettera b),
secondo periodo, del dlgs n. 504 del 1992 (e
cioè gli imprenditori agricoli che esplicano
la loro attività a titolo principale) sono
individuati nei «coltivatori diretti e negli
imprenditori agricoli professionali di cui
all'articolo 1 del decreto legislativo 29.03.2004, n. 99, e successive
modificazioni, iscritti nella previdenza
agricola».
In base a tale norma è Iap colui che dedica
alle attività agricole di cui all'art. 2135
del codice civile, direttamente o in qualità
di socio di società, almeno il 50% del
proprio tempo di lavoro complessivo e che
ricava dalle attività medesime almeno il 50%
del reddito globale da lavoro.
Questa nuova definizione supera nettamente
quella dettata dall'art. 58, comma 2, del
dlgs. n. 446 del 1997, in base al quale «si
considerano coltivatori diretti o
imprenditori agricoli a titolo principale le
persone fisiche iscritte negli appositi
elenchi comunali e soggetti al
corrispondente obbligo dell'assicurazione
per invalidità, vecchiaia e malattia».
Il legislatore ha, quindi, volutamente
abbandonato tale definizione a favore di
un'impostazione più adeguata all'evoluzione
normativa che ha caratterizzato il settore
agricolo.
L'art. 13, comma 5, del dl n. 201 del 2011,
come già precisato, prevede il
moltiplicatore ridotto, pari a 110, va
applicato anche nel caso in cui:
-
il terreno deve essere lasciato a riposo, ed
è quindi non coltivato, in applicazione
delle tecniche agricole (c.d. set aside).
-
le persone fisiche, coltivatori diretti e
Iap, iscritti nella previdenza agricola,
abbiano costituito una società di persone
alla quale hanno concesso in affitto o in
comodato il terreno di cui mantengono il
possesso ma che, in qualità di soci,
continuano a coltivare direttamente il
terreno.
Quest'ultima conclusione deriva
dall'applicazione dell'art. 9 del dlgs 18.05.2001, n. 228, il quale stabilisce che
«ai soci delle società di persone esercenti
attività agricole, in possesso della
qualifica di coltivatore diretto o di
imprenditore agricolo a titolo principale,
continuano a essere riconosciuti e si
applicano i diritti e le agevolazioni
tributarie e creditizie stabiliti dalla
normativa vigente a favore delle persone
fisiche in possesso delle predette
qualifiche».
L'immobile posseduto da anziani e disabili e
dai cittadini italiani residenti all'estero.
La circolare ha risolto in senso favorevole
per il comune una questione interpretativa
sulle nuove norme introdotte dal dl n. 16
del 2012 e ha escluso che lo stato possa
vantare la quota di riserva stabilita dal
comma 11 dell'art. 13 del dl n. 201 del
2011. Ciò in quanto il comune, nel «considerare
direttamente adibita ad abitazione
principale l'unità immobiliare»
posseduta dai soggetti in questione,
assoggetta automaticamente tali immobili
allo stesso trattamento previsto per le
abitazioni principali che sono appunto
escluse espressamente dall'anzidetta quota
erariale.
A completamento di tale assunto la circolare
precisa che ha perso di significato,
relativamente alle fattispecie in esame, la
disposizione presente nel comma 11, secondo
cui «le detrazioni e le riduzioni di
aliquota deliberate dai comuni non si
applicano alla quota di imposta riservata
allo stato» che aveva, invece, un senso
con l'originaria formulazione della norma
(articolo ItaliaOggi
del 22.05.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Lombardia sana i recuperi
«infedeli». Salvi Dia e permessi già
rilasciati per le demolizioni e
ricostruzioni con cambio di sagoma. Rimedio
allo stop della Corte costituzionale alla
legge che li considerava ristrutturazioni ma
resta una finestra temporale a rischio.
RISPARMIO ENERGETICO/ L'obbligo di
rispettare gli indici del Prg rende
difficile abbattere per riqualificare e
risanare i vecchi edifici.
La Lombardia stoppa gli effetti della
sentenza con cui la Corte costituzionale
aveva cancellato l'articolo 27, comma 1,
lettera d), della legge regionale 12/2005,
secondo cui erano di ristrutturazione gli
interventi di integrale sostituzione
edilizia con modifica della sagoma o del
sedime del fabbricato.
Ora secondo l'articolo 17 della legge
regionale 18.04.2012 n. 7, in relazione agli
interventi di ristrutturazione edilizia
oggetto della sentenza 30.11.2011 n. 309
della Consulta, al fine di tutelare il
legittimo affidamento dei soggetti
interessati, i permessi di costruire
rilasciati o le Dia esecutive alla medesima
data devono considerarsi titoli validi ed
efficaci fino al momento della dichiarazione
di fine lavori, a condizione che la
comunicazione di inizio lavori risulti
protocollata entro il 30.04.2012.
La Regione mette così una pezza sul
pasticcio della ristrutturazione edilizia
lombarda a tutela di chi, sulla base della
norma annullata dalla Corte -perché
contraria al principio fondamentale dettato
dal testo unico dell'edilizia, secondo cui
le opere di ristrutturazione non possono
spingersi sino all'integrale abbandono delle
caratteristiche fisiche dell'edificio- sta
realizzando o ha da poco ultimato interventi
potenzialmente abusivi in quanto
giustificati da una disposizione di legge
non più applicabile.
La pezza è però più piccola dello strappo
prodotto dalla Consulta, perché non mette al
sicuro gli interventi già impugnati al Tar o
che ancora potrebbero esserlo (si ricorda
che i titoli edilizi possono essere
contestati in sede amministrativa sino al
decorso di 60 giorni, 120 per il ricorso
straordinario al presidente della
Repubblica, da quando i lavori giungono al
rustico) e che dunque non possono essere
considerati "rapporti esauriti", ai
quali -come è noto- non si applica il
principio per cui le sentenze che
riconoscono l'incostituzionalità hanno
efficacia retroattiva.
La portata della norma pare così limitata a
evitare che i Comuni possano agire in
autotutela, annullando cioè i titoli che
avessero rilasciato (con permesso di
costruire) o che si fossero formati (con
denuncia di inizio attività) nel vigore di
una norma non più esistente.
In concreto: chi in forza della norma
dichiarata incostituzionale ha realizzato un
intervento di demolizione e ricostruzione
modificando la sagoma o il sedime
dell'edificio è ora al sicuro se il titolo
edilizio non è stato impugnato e
l'intervento è terminato, per lo meno al
rustico, da più di 60/120 giorni, mentre è
ancora a rischio se il ricorso è stato
appena promosso, ovvero possa ancora
esserlo.
In questa ultima situazione appare trovarsi
chi avvalendosi della norma in commento (in
vigore dal 21.04.2012) si fosse risolto a
dare avvio ai lavori entro il successivo 30
aprile.
Si ricorda che l'ampliamento della
definizione di ristrutturazione edilizia
agli interventi di sostituzione con modifica
di sagoma o sedime, e che ora anche in
Lombardia devono ritenersi a tutti gli
effetti di nuova costruzione (così come
riconosciuto dalla stessa legge regionale
7/2012), non è di poco conto, perché
consente di mantenere la volumetria
preesistente anche se superiore all'indice
edificatorio assegnato dagli strumenti
urbanistici vigenti (indice che a differenza
della ristrutturazione la nuova costruzione
deve rispettare).
Il vincolo di rispettare l'indice di piano
rende pressoché impossibili (salvo espressa
previsione dello strumento urbanistico
locale, come disposto dal Pgt di Milano da
troppo tempo in gestazione) gli interventi
di riqualificazione anche energetica degli
edifici meno recenti, che sovente richiedono
l'integrale demolizione e la ricostruzione
in difformità di sagoma.
Sul punto dovrebbe soccorrere il nuovo piano
casa lombardo, secondo cui «Gli interventi
di sostituzione edilizia... possono essere
realizzati a mezzo di totale demolizione e
ricostruzione dell'edificio». Non sfugge
però che secondo l'articolo 5, comma 3,
della legge regionale lombarda 4/2012,
attuativa del Dl 70/2011, «la
ricostruzione può avvenire con le modifiche
alla sagoma necessarie per l'armonizzazione
architettonica con gli edifici esistenti».
Non è agevole in architettura declinare il
concetto di armonia, ma è a tale esercizio
fortemente discrezionale che la sostituzione
edilizia risulta in ultima istanza appesa (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.05.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
Modello unico per la conformità
degli impianti.
Il decreto legge 5/2012 con gli articoli 9 e
34 introduce alcune modifiche alla normativa
sull'attività di installazione di impianti
(elettrici, sanitari, eccetera).
La materia, regolata dal Dm 37/2008 ( che, a
sua volta ha sostituito la legge 46/90), ha
sempre creato difficoltà applicative non
solo alla categoria (circa 170.000 aziende),
ma anche agli enti pubblici e agli organi di
vigilanza.
L'articolo 9 affida ad un decreto
interministeriale l'approvazione di un
modello di dichiarazione di conformità
(dell'impianto) che sostituirà quello
attuale. Per gli impianti termici la
dichiarazione sostituirà anche quella
prevista dall'articolo 284 del Codice
dell'ambiente: da qui la nuova denominazione
di dichiarazione unica.
Non è invece chiaro se le nuove prescrizioni
del comma 2 dell'articolo 9 modifichino in
parte o si aggiungano a quelle contenute
negli articoli 7 e 11 del Dm 37. La norma
attuale prevede che il modello compilato
dall'impresa installatrice al termine del
lavoro sia rilasciato al committente e
depositato al Comune dove ha sede l'impresa,
il quale invierà copia alla Camera di
commercio per verificare la corretta
iscrizione dell'impresa.
Il comma 2 dispone ora che la dichiarazione
sia conservata «presso la sede
dell'interessato» per gli eventuali
controlli dell'amministrazione, espressione
che sembra essere riferita a chi occupa
l'edificio nel quale è stato eseguito il
lavoro. Viene poi confermato che la
dichiarazione è necessaria per ottenere il
certificato di agibilità e l'allacciamento
delle utenze.
Ben più importante è l'articolo 34 che
interviene sul tema della qualificazione
delle imprese installatrici, ma purtroppo
con una norma considerata dagli addetti ai
lavori assai oscura. Si intuisce però che si
vorrebbe porre rimedio ad alcune questioni
rimaste irrisolte con il Dm 37.
Il decreto non aveva previsto norme
transitorie per le aziende iscritte in base
alla abrogata legge 46/1990, per cui le
Regioni e le Camere di commercio, in assenza
di chiarimenti del Governo, hanno fornito
interpretazioni non uniformi.
Le principali incertezze riguardano:
- le imprese impiantiste che fino al 2007
hanno eseguito lavori di condizionamento,
elettronica, ecc. solo in edifici produttivi
per i quali non era obbligatoria
l'abilitazione: non è chiaro se abbiano
maturato i requisiti per lavorare in
qualsiasi edificio, compresi quelli
residenziali. Ad una prima lettura sembra
che l'articolo 34 intenda dare risposta
positiva.
- Va chiarito se le imprese qualificate per
i vari tipi di impianti in base alla legge
46/1990 hanno diritto o no ad ottenere
d'ufficio che nell'Albo artigiani o nel
Registro imprese venga precisato che sono
qualificate in base al Dm 37 e non più solo
in base alla legge 46.
In un primo tempo il ministero dello
Sviluppo economico con la risoluzione
03.10.2011 aveva sostenuto che
l'aggiornamento automatico della iscrizione
non era ammissibile e che ciascuna impresa
doveva presentare una Scia .
Ora lo stesso Ministero, con circolare del
19.03.2012, fa retromarcia, richiamandosi
all'articolo 34 . E afferma che è legittimo
riconoscere d'ufficio alle imprese operanti
fino al marzo 2008 la qualificazione
prevista dal Dm 37 (articolo Il Sole 24
Ore del 21.05.2012). |
APPALTI SERVIZI:
Rifiuti. L'azienda nata
dall'integrazione entro il 31 dicembre
diventerebbe a pieno titolo un'autorità
d'ambito.
La maxi-società dribbla la gara. Possibile
l'affidamento diretto a una realtà che
aggreghi 250mila abitanti.
LIBERTÀ TOTALE/ La nuova deroga permette di
aggirare anche i vincoli che impediscono
l'in house per servizi superiori a 200mila
euro.
La gestione dei rifiuti nell'Ato può essere
affidata in house ad un'unica società
che aggreghi i gestori esistenti, e gli
impianti di proprietà degli enti possono
essere affittati ai gestori.
La legge di modifica del Codice ambiente (Dlgs
152/2006) approvata al Senato introduce
importanti innovazioni nei modelli di
gestione del ciclo integrato dei rifiuti,
che definiscono un'ulteriore deroga alla
procedura ordinaria di affidamento con gara.
L'articolo 6 della legge (che ora deve
tornare alla Camera) stabilisce che può
costituire Ato (purché la popolazione
servita sia di almeno 250mila abitanti,
salvo che la Regione fissi un limite
inferiore) un'azienda costituita da soli
enti locali, derivante dalla trasformazione
di aziende speciali (o di consorzi) o
risultante dall'integrazione operativa,
perfezionata entro il 31.12.2012, di
preesistenti gestioni dirette o in house
tale da configurare un unico gestore a
livello di bacino.
La soluzione si inserisce nella "razionalizzazione"
dei gestori ammessi in deroga
all'affidamento in house dall'articolo 4,
comma 32, lettera a) della legge 148/2011,
secondo il modello della società unica
d'ambito, affidataria in house per un
periodo determinato (tre anni, sino alla
scadenza massima del 31.12.2015).
Tuttavia la nuova disciplina presenta
considerevoli differenze da quella generale,
perché la società risultante dalla
trasformazione o dall'aggregazione diventa
autorità d'ambito a tutti gli effetti e va a
incidere sul riassetto di questi organismi.
La nuova disposizione configura un soggetto
al quale afferiscono sia le funzioni del
regolatore sia i compiti di gestione del
servizio. Questo aspetto è confermato dalla
parte in cui si prevede che l'affidamento
dei servizi del ciclo integrato dei rifiuti
avviene direttamente all'azienda stessa
anche in deroga all'articolo 4 della legge
148/2011, quindi a anche a superamento del
limite economico di 200mila euro previsto
per l'in house.
Se l'organismo "aggregante" assorbe
contratti stipulati a seguito di regolare
gara, questi mantengono efficacia fino alla
scadenza naturale.
L'ulteriore aspetto peculiare è garantito
dalla possibilità, per Comuni non facenti
originariamente parte dell'azienda, di poter
entrare a farne parte, se ricorrano motivate
esigenze di efficacia, efficienza ed
economicità.
Per la gestione del ciclo integrato dei
rifiuti, quindi, è possibile che si pervenga
alla costituzione di una società unica
d'ambito, affidataria in house del servizio
per valore e durata non assoggettati ai
limiti dell'articolo 4 della legge 148/2001,
esercitante al contempo il ruolo di ente di
governo dell'Ato stesso.
Il quadro di innovazione, tuttavia, incide
anche sulle strategie di utilizzo degli
impianti di smaltimento, in quanto
l'articolo 7 della nuova legge (modificando
l'articolo 202 del testo unico, sugli
affidamenti) stabilisce che gli impianti e
le altre dotazioni patrimoniali di proprietà
degli enti locali o delle loro forme
associate già esistenti possono essere
conferiti anche a titolo oneroso ai soggetti
affidatari.
Questi ultimi (sia scelti con gara, sia
configurati come società mista con socio
operativo o come società unica d'ambito)
sono comunque chiamati a migliorare la
gestione secondo un modulo operativo più
evoluto dello stesso ciclo.
I gestori, sin dalla procedura selettiva,
devono esplicitare un piano industriale che
renda più efficiente il servizio grazie a
soluzioni innovative, mediante la riduzione
delle quantità di rifiuti da smaltire e il
miglioramento dei fattori ambientali,
proponendo un proprio piano di riduzione dei
corrispettivi per la gestione al
raggiungimento di obiettivi autonomamente
definiti, con particolare riferimento alla
separazione alla fonte e all' organizzazione
della raccolta differenziata domiciliare,
alla diffusione del compostaggio domestico,
alla promozione di riciclaggio, recupero e
selezione dei materiali ed alla
sperimentazione di forme di tariffazione
puntuale sulla base della produzione
effettiva di rifiuti non riciclabili.
---------------
Le caratteristiche
01|LA DIMENSIONE
L'ambito deve servire una popolazione di
almeno 250mila abitanti, salvo che la
Regione fissi un limite inferiore
02|LA FORMAZIONE
L'azienda deve essere costituita solo da
enti locali e può derivare dalla
trasformazione di aziende speciali (e
consorzi) o dall'integrazione operativa,
perfezionata entro il 31.12.2012, di
gestioni dirette o in house
03| IL RISULTATO
La società che risulta dalla trasformazione
o dall'aggregazione diventa autorità
d'ambito a tutti gli effetti
---------------
Così il nuovo gestore si
controlla da solo.
Il mondo dei servizi pubblici locali
continua ad arricchirsi di adempimenti e di
novità normative, ed è difficile arrivare a
un quadro razionale e pratico. Tutto ciò
crea confusione e rischi di inefficacia.
Proviamo a riassumere quali saranno i
prossimi appuntamenti: entro il 31 maggio i
Comuni potranno chiedere alle Regioni di
definire ambiti sub-provinciali; non oltre
il 30 giugno le Regioni dovranno deliberare,
per i servizi pubblici a rete (quali sono?)
gli ambiti. Entro il 13 agosto, gli enti
dovranno approvare la loro «delibera
quadro sui servizi» come previsto dal
regolamento di attuazione dell'articolo 4,
comma 33-ter, del Dl 138/2011, che ancora
non è stato pubblicato.
Tutto chiaro? Forse lo sarebbe.
Curiosamente, però, il decreto milleproroghe
(Dl 216/2011) all'articolo 13, comma 2,
rinvia la decadenza delle autorità d'ambito
al 31.12.2012 creando così una situazione
potenzialmente contraddittoria: il 13 agosto
potrebbero ancora esistere quelle Aato che
cesseranno dopo pochi mesi (cosa deliberano
a fare?) e che in alcuni casi non sono state
ancora istituite, come nel caso del Lazio
per i rifiuti (chi delibera in questo
caso?). Il tutto, ovviamente, seguendo un
regolamento che non c'è.
Bizzarrie di norme che si accavallano e non
sono coordinate tra loro. Potrebbe bastare,
ma non è finita qui. A breve rischiano
infatti di diventare legge le modifiche al
Codice dell'Ambiente, approvate dal Senato.
Scorrendo il testo si capisce subito che
siamo di fronte a un capolavoro. La norma,
infatti, interviene sull'articolo 200 del
Dlgs 152/2006, aggiungendo una lettera f-bis
in cui si prevede che la società di capitali
nata da un'integrazione operativa di
preesistenti gestioni in house è «tale da
configurare un unico gestore del servizio a
livello di bacino» e «può costituire
ambito territoriale ottimale, purché la
popolazione servita sia pari o superiore a
250mila abitanti».
Già questo crea un conflitto di competenze
con le Regioni e potrebbe generare un "buco"
all'interno di un bacino tale da vanificarne
la parte rimanente. In un crescendo, però,
la perla viene subito dopo: «In tale caso
detta azienda diventa autorità d'ambito a
tutti gli effetti e l'affidamento dei
servizi di raccolta e di smaltimento o
comunque afferenti al ciclo integrato dei
rifiuti avviene direttamente all'azienda
stessa anche in deroga all'articolo 4»
del dl 138/2011.
In sostanza, in un quadro che, con
sbavature, sembrava avere recepito la
necessità di una separazione tra regolazione
e gestione (applicata perfino nel settore
idrico), ecco puntuale la smentita: se due
aziende di rifiuti si fondono, in altre
parole, non avranno più nessun ente terzo
che ne verifica le condizioni di costo, di
qualità, di efficienza e di prezzo. Si
controlleranno da sole -non stentiamo ad
immaginare con quale rigore- e, a quanto
pare, dovranno nel proprio cda (o in
assemblea?) approvarsi la propria delibera
quadro. Una controriforma che susciterebbe
l'invidia del Concilio di Trento.
È interessante, però, sapere cosa penseranno
di questa norma le Regioni e quanto la possa
apprezzare l'Autorità garante della
concorrenza, che si troverà ad esprimere il
suo parere sulla delibera quadro che queste
società dovranno sottoporre a suo giudizio (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.05.2012 - link
a www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Appalti, verifiche impossibili
sul fisco dell'azienda vincitrice.
Monitoraggi. Anche gli enti sono
responsabili in solido.
Riguarda anche i Comuni
la novità del Dl 16/2012 che estende la
responsabilità solidale dell'appaltante ai
debiti fiscali dell'appaltatore: in caso di
appalto di opere o di servizi, il
committente imprenditore o datore di lavoro
è obbligato in solido con l'appaltatore,
entro i due anni dalla cessazione
dell'appalto, al versamento all'Erario delle
ritenute sui redditi di lavoro dipendente e
dell'Iva pagata sulle fatture inerenti
l'appalto, a meno che non si dimostri che
sono state attivate tutte le cautele
possibili per evitare l'inadempimento da
parte dell'appaltatore.
I primi commentatori (si veda Il Sole 24 Ore
del 28 aprile) non hanno mancato di
segnalare che per questa via si è
ulteriormente consolidato il processo di
esternalizzazione delle funzioni dia
accertamento e controllo a soggetti estranei
alla amministrazione finanziaria: le
verifiche che quest'ultima non riesce a fare
vengono così traslate su soggetti terzi,
sotto pena di sanzioni e di responsabilità
solidale.
Con particolare riferimento agli enti
pubblici, sembra proprio che anch'essi siano
interessati ai nuovi obblighi di verifica:
la norma fa infatti riferimento tanto agli
imprenditori quanto ai datori di lavoro, e
non vi è dubbio che (anche) ai fini della
normativa sugli appalti l'ente pubblico
rientra in quest'ultima categoria.
L'assunto ha peraltro trovato conferma a
livello giurisprudenziale: con riferimento
all'articolo 29 del Dlgs 276/2003 (la legge
Biagi) che utilizza -per l'individuazione
dei soggetti obbligati al controllo- gli
stessi identici termini del Dl 16/2012, la
responsabilità dell'ente pubblico è stata
ripetutamente attestata dalla giurisprudenza
di merito.
Quanto all'oggetto delle verifiche, nessun
problema si pone in relazione alle ritenute
d'acconto. Si tratta di versamenti specifici
dei quali il committente può ben chiedere
all'appaltatore prova documentale (il
modello F24, per esempio).
All'opposto, la verifica dei versamenti Iva
risulta impossibile: poiché il versamento
dell'imposta non avviene in via analitica,
ma per masse (e in misura pari al saldo
algebrico dell'Iva a debito e a credito
afferente la complessiva gestione
aziendale), non è proprio possibile
individuare una correlazione tra l'Iva
pagata dall'ente committente e il versamento
periodico del tributo effettuato
dall'appaltatore.
Vi è di più: se anche fosse possibile (e non
lo è!) attivare una qualche forma di
verifica dei versamenti Iva effettuati dagli
appaltatori, nel caso particolare degli enti
pubblici essa non potrebbe che avvenire a
posteriori, quando è ormai troppo tardi. Per
effetto dei meccanismi previsti
dall'articolo 6 del Dpr 633/1972, in
effetti, l'Iva viene a costituire -in capo
all'appaltatore- un debito soltanto dopo
che l'ente locale ha pagato la fattura. A
pagamento avvenuto, tuttavia, quale altra
cautela potrebbe mai essere posta in essere
dal Comune per evitare l'inadempimento
dell'appaltatore?
Con riferimento all'Iva, dunque,le procedure
di controllo richieste dal Dl 16/2012 si
risolvono in un adempimento impossibile (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.05.2012 - link
a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - VARI:
Imu, vincolati i comuni. Linea
più morbida verso i contribuenti. La
circolare n. 3/Df sull’imposta municipale:
aliquote solo entro i limiti minimi e
massimi di legge.
Il ministero delle
finanze, destreggiandosi nel ginepraio
normativo dell’Imu, tende la mano ai
contribuenti. I coniugi che per motivi di
lavoro risultano avere dimora abituale e
residenza anagrafica in due fabbricati
distinti potranno fruire, ciascuno in
ragione della propria residenza, delle
agevolazioni «prima casa». Paletti rigidi
invece per i comuni che non potranno fissare
l’asticella delle aliquote al di sotto dei
limiti minimi e massimi previsti dalla legge
per ciascuna tipologia immobiliare. Non
potranno neppure, con il regolamento Imu,
restringere le detrazioni per i figli «under
26» oppure disciplinare le pertinenze delle
abitazioni principali.
Queste alcune delle principali novità
contenute nella
circolare 18.05.2012 n. 3/DF,
pubblicata dal Dipartimento delle finanze
del ministero dell’economia e delle finanze.
Eccole in dettaglio.
Abitazione principale.
La circolare, dopo aver premesso che, a
differenza dell’Ici, l’Imu dal 2012 attrae a
tassazione anche l’abitazione principale e
relative pertinenze, si sofferma sui profili
di novità contenuti nella definizione
legislativa:
1) l’abitazione principale non può che
essere una sola unità immobiliare, così che
se il contribuente dimora e risiede in una
casa composta da più unità immobiliari esse
vanno assoggettate separatamente a
imposizione, ciascuna per la propria
rendita. Per un’unità è dovuta l’Imu come
abitazione principale (con applicazione
delle agevolazioni e delle riduzioni per
questa previste) per le altre, invece,
occorrerà applicare l’aliquota deliberata
dal comune abitazioni diverse da quella
principale per tali tipologie di fabbricati
senza alcuna detrazione;
2) è l’unica unità immobiliare in cui il
possessore e il suo nucleo familiare
dimorano abitualmente e risiedono
anagraficamente.
Al riguardo il ministero precisa altresì che
l’art. 13, c. 2, del dl 201/2011 stabilisce
che le agevolazioni non possono che essere
uniche per nucleo familiare
indipendentemente dalla dimora abituale e
dalla residenza anagrafica dei rispettivi
componenti. Tale limitazione non troverebbe
ostacoli nel caso in cui gli immobili
destinati ad abitazione principale siano
ubicati in comuni diversi, poiché in questo
caso il rischio di elusione della norma
sarebbe bilanciato da effettive necessità di
dover trasferire la residenza anagrafica e
la dimora abituale in un altro comune, per
esempio, per esigenze lavorative.
Sul punto va osservato, però, che
l’interpretazione ministeriale mal si
concilia con l’orientamento della Cassazione
(sent. n. 14389/2010) la quale, analizzando
un analogo concetto contenuto nella norma
Ici, dopo aver premesso che l’art. 144 c.c.
prevede che «i coniugi concordano tra
loro l’indirizzo della vita familiare e
fissano la residenza della famiglia secondo
le esigenze di entrambi e quelle preminenti
della famiglia stessa», ha statuito
l’incompatibilità della dimora abituale in
luogo diverso da quello in cui si trova la
famiglia.
Pertinenze.
Le pertinenze delle abitazioni principali
non possono essere quelle classificate nelle
categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella
misura massima di un’unità pertinenziale per
ciascuna delle categorie catastali indicate,
anche se iscritte in catasto unitamente
all’unità a uso abitativo. Il contribuente
potrà quindi considerare come pertinenza
dell’abitazione principale soltanto un’unità
immobiliare per ciascuna categoria
catastale, fino a un massimo di tre
pertinenze appartenenti ciascuna a una delle
tre diverse categorie espressamente indicate
dalla norma.
Rientra nel limite massimo delle tre
pertinenze anche quella che risulti iscritta
in catasto unitamente all’abitazione
principale. Se, per esempio, il contribuente
ha 3 pertinenze di cui una cantina
accatastata come C/2 e due garage
classificati come C/6, sarà lo stesso
contribuente a individuare fra questi ultimi
quale collegare all’abitazione principale.
Se, però, la cantina risulta iscritta
congiuntamente all’abitazione principale, il
contribuente deve applicare le agevolazioni
previste per tale fattispecie solo ad altre
due pertinenze di categoria catastale
diversa da C/2. Poiché in quest’ultima
rientrerebbe la cantina iscritta in catasto
congiuntamente all’abitazione principale.
Sul punto va precisato che non sempre sarà
agevole per il contribuente conoscere la
categoria catastale delle pertinenze
accatastate congiuntamente all’abitazione.
Basti pensare ai posti auto che risultano
iscritti in catasto sia in categoria
catastale C/6 sia in C/7.
La circolare precisa, inoltre, che ai comuni
non è consentito di intervenire con una
disposizione regolamentare in ordine
all’individuazione delle pertinenze e tale
affermazione, secondo il Mef, sarebbe
avvalorata dall’abrogazione dell’art. 59 del
dlgs n. 446 del 1997, il quale al comma 1,
lettera d), consentiva agli enti locali,
nell’esercizio della potestà regolamentare,
di «considerare parti integranti
dell’abitazione principale le sue
pertinenze, ancorché distintamente iscritte
in catasto».
Aliquote.
I comuni possono articolare le aliquote
esclusivamente all’interno dei limiti minimi
e massimi previsti dal dl n. 201/2011
(0,2-0,6% abitazione principale; 0,1-0,2%
fabbricati rurali strumentali; 0,46-1,06%
altri immobili), si tratta quindi, precisa
il Mef, di «vincoli invalicabili da parte
del comune», il quale, nell’esercizio
della propria autonomia regolamentare, può
esclusivamente manovrare le aliquote,
differenziandole sia nell’ambito della
stessa fattispecie impositiva, sia
all’interno del gruppo catastale, con
riferimento alle singole categorie.
Le precisazioni del ministero appaiono però
contraddittorie in quanto applicare aliquote
crescenti rispetto alle diverse categorie
catastali, che già sono differenziate in
ragione della tipologia del fabbricato,
sembra violare il principio di
ragionevolezza che deve contraddistinguere
la decisione del comune (articolo
ItaliaOggi Sette del 21.05.2012). |
ENTI LOCALI - VARI:
Al 100% penalizzazioni per gli
ex. La circolare n. 3/Df: i coniugi
assegnatari dopo la separazione pagheranno
l’Imu.
L’Imu riserva una brutta sorpresa ai coniugi
assegnatari a seguito di sentenza del
giudice della separazione. In ogni caso
saranno loro a dover pagare l’Imu. Al 100%,
anche se non sono, neppure in parte
proprietari. Unica, e magra, consolazione è
che trattandosi, nelle generalità dei casi,
dell’abitazione nella quale il non
assegnatario dimora abitualmente e risiede
anagraficamente, in sede di acconto fruirà
dell’aliquota ridotta del 4 per mille e
delle detrazioni d’imposta di 200 euro oltre
a quella di 50 euro per ogni figlio con meno
di ventisei anni residente anagraficamente
in quella casa.
L’assegnatario entro il 30 settembre dovrà
presentare la dichiarazione Imu e poi, entro
il 17 dicembre, sarà tenuto al versamento
del saldo dell’imposta sulla base delle
aliquote e delle detrazioni che il comune
avrà definitivamente adottato. Buone notizie
invece per i fabbricati di anziani, anziani
e disabili lungodegenti, oltre a quelle dei
cittadini italiani residenti all’estero.
Il ministero delle finanze con la
circolare 18.05.2012 n. 3/DF
ha chiarito che se il comune ne disporrà
l’assimilazione all’abitazione principale,
oltre a godere di aliquota ridotta e
detrazioni d’imposta, non sarà dovuta la
quota Imu allo stato. Il che per il
contribuente in termini sostanziali non
cambia, ma siccome tutto il gettito affluirà
nelle casse comunali, gli enti locali
dovrebbero essere stimolati a deliberare
l’equiparazione.
La novità.
Con un improvviso cambio di rotta rispetto
alle originarie previsioni normative, il
legislatore, in sede di conversione del dl
n. 16/2012, con l’articolo 4, comma
12-quinquies, ha stabilito che ai soli fini
dell’applicazione dell’Imu l’assegnazione
della casa coniugale al coniuge, disposta a
seguito di provvedimento di separazione
legale, annullamento, scioglimento o
cessazione degli effetti civili del
matrimonio, si intende in ogni caso
effettuata a titolo di diritto di
abitazione.
La disposizione ha innovato il precedente
regime stabilito dall’art. 13, comma 10,
ultimo periodo, del dl n. 201 del 2011 in
base al quale le agevolazioni per
l’abitazione principale e per le relative
pertinenze trovavano applicazione anche nei
confronti delle fattispecie di cui all’art.
6, comma 3-bis, del dlgs n. 504 del 1992, in
virtù del quale il soggetto passivo che non
risultava assegnatario della casa coniugale,
poteva considerare detta unità immobiliare
come abitazione principale, purché non fosse
titolare del diritto di proprietà o di altro
diritto reale su un immobile destinato ad
abitazione situato nello stesso comune ove
era ubicata la casa coniugale.
La circolare.
Il Mef, al riguardo, precisa si tratta di
una novità nel panorama dell’Imu, poiché
prevedendo che l’assegnazione della ex casa
coniugale fa sorgere in ogni caso un diritto
di abitazione nei confronti del coniuge
assegnatario della stessa, ne riconosce la
soggettività passiva in via esclusiva. E’,
quindi, solo all’ex coniuge, in quanto
soggetto passivo, che spettano le
agevolazioni previste per l’abitazione
principale e per le relative pertinenze,
concernenti l’aliquota ridotta, la
detrazione e la maggiorazione per i figli di
età non superiore a 26 anni, in relazione
alle quali si dovranno seguire le regole
generali.
La circolare 3/DF/2012 prova a rimediare
anche all’ennesimo pasticcio del
legislatore. E spiega che dalla lettura
delle norme «emerge inequivocabilmente»
che la disposizione contenuta nel comma
12-quinquies dell’art. 4 del dl n. 16 del
2012, essendo intervenuta successivamente a
quella disposta dall’ultimo periodo del
comma 10 dell’art. 13 del dl n. 201/2011, e
regolando in maniera diversa la soggettività
passiva della fattispecie in commento, ha
reso incompatibile la disposizione di cui
all’art. 13, comma 10, ultimo periodo, del
d.l. n. 201/2011, che, dunque, ai sensi
dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge
in generale, risulta tacitamente abrogata.
Secondo il Mef, quindi, il nuovo assetto
normativo comporta che le agevolazioni
inerenti l’abitazione principale e le
relative pertinenze sono riconosciute alla
ex casa coniugale e alle relative pertinenze
e gli obblighi tributari inerenti detto
immobile devono essere assolti dal coniuge
assegnatario della stessa in quanto titolare
del diritto di abitazione ex art. 4, comma
12-quinquies del d.l. n 16 del 2012.
In particolare, viene precisato, che l’Imu
deve essere versata per il suo intero
ammontare dal coniuge assegnatario anche se
non proprietario della ex casa coniugale il
quale può usufruire sia dell’aliquota
ridotta stabilita per l’abitazione
principale sia dell’intera detrazione
prevista per detto immobile nonché della
maggiorazione di € 50 per ciascun figlio di
età non superiore a 26 anni, a condizione
che lo stesso dimori abitualmente e risieda
anagraficamente nell’unità immobiliare
adibita ad abitazione principale.
Il riconoscimento da parte del legislatore
della titolarità del diritto di abitazione
in capo al coniuge assegnatario
dell’immobile destinato ad ex casa
coniugale, comporta che sul relativo gettito
non viene computata la quota di imposta
riservata allo Stato di cui al comma 11
dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 e
quindi tutto il gettito spetta al Comune.
Anziani.
Le case di anziani e disabili lungodegenti,
oltre a quelle dei cittadini italiani
residenti all’estero, se assimilate dal
comune all’abitazione principale, godranno
di aliquota ridotta e detrazioni d’imposta
senza nulla dovere allo stato, così che i
comuni siano incentivati ad operare
l’equiparazione.
Benefit a maglie larghe anche nel settore
agricolo: i fabbricati rurali strumentali
potranno godere dell’aliquota di favore del
2 per mille (riducibile dal comune all’1 per
mille) anche se prive della categoria
catastale D/10; le società agricole, purché
«Iap» e iscritte nelle liste
previdenziali, avranno diritto a tutte le
agevolazioni riconosciute a coloro che
conducono terreni.
---------------
Anziani e disabili,
speranze per una tassazione ridotta in mano
ai sindaci.
Le speranze di anziani, disabili e cittadini
Aire per un carico Imu un po’ più
sopportabile sono ora nelle mani dei
sindaci. Con disposizione regolamentare, da
adottare entro il 30 settembre, i comuni
potranno infatti assimilare le loro case
all’abitazione principale con un doppio
effetto: i contribuenti fruiranno di una
tassazione ridotta e i municipi si terranno
tutto l’incasso, senza nulla dovere allo
stato.
L’art. 13, comma 10, del dl n. 201/2011
consente ai comuni di considerare
direttamente adibita ad abitazione
principale l’unità immobiliare posseduta a
titolo di proprietà o di usufrutto da
anziani o disabili che acquisiscono la
residenza in istituti di ricovero o sanitari
a seguito di ricovero permanente, a
condizione che la stessa non risulti locata,
nonché l’unità immobiliare posseduta dai
cittadini italiani non residenti nel
territorio dello stato a titolo di proprietà
o di usufrutto in Italia, a condizione che
non risulti locata. Va da sé che qualora i
consigli comunali adottino tale decisione
alle unità immobiliari in questione si
renderà applicabile lo stesso trattamento
previsto per l’abitazione principale, vale a
dire aliquota ridotta, detrazione e
maggiorazione per i figli «under 26».
La circolare n. 3/Df di venerdì scorso, con
riferimento ai cittadini italiani residenti
all’estero, precisa che la maggiorazione di
50 euro prevista per i figli si applica solo
nel caso in cui gli stessi dimorino
abitualmente e risiedano anagraficamente
nell’abitazione posseduta in Italia. Il Mef
afferma, altresì, con argomentazioni
ineccepibili, che il riconoscimento da parte
del legislatore della possibilità per i
comuni di disporre l’assimilazione in
questione, comporta che laddove venga
esercitata tale facoltà, sull’Imu da versare
non deve essere computata la quota riservata
allo Stato di cui al comma 11 dell’art. 13
del dl n. 201/2011, poiché quest’ultima
norma esclude espressamente dalla quota
erariale l’abitazione principale.
Infatti, viene spiegato nella circolare, «le
modifiche intervenute ad opera dell’art. 4
del dl n. 16/2012 hanno privato di signifi
cato il comma 11 dell’art. 13 secondo cui le
detrazioni e le riduzioni di aliquota
deliberate dai comuni non si applicano alla
quota riservata allo stato» poiché
l’attuale comma 10 dello stesso art. 13
prevede ora la possibilità di assimilazione
all’abitazione principale. Il ministero non
ha tuttavia preso posizione su un punto
importante, ossia se tali soggetti, laddove
il comune ha già deliberato l’assimilazione,
possono pagare l’Imu, tutta a favore del
comune, con l’aliquota ridotta del 4 per
mille anziché quella del 7,6 per mille.
È chiaro infatti che se tale possibilità
venisse negata, per anziani, disabili e Aire
si aprirebbe poi il problema di come, e a
chi, chiedere il rimborso della quota
erariale non dovuta (articolo
ItaliaOggi Sette del 21.05.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Gestione rifiuti, esoneri
allargati. Ampliamento dei soggetti esclusi
dagli adempimenti Sistri. Ddl licenziato dal
Senato. Fuori le imprese agricole a bassa
produzione di materiali pericolosi.
Esclusione definitiva
dagli adempimenti Sistri per le imprese
agricole a bassa produzione di rifiuti
pericolosi che conferiscono direttamente a
circuiti organizzati ed esenzione
dall'obbligo di iscrizione all'Albo gestori
ambientali per i professionisti dello stesso
settore che effettuano direttamente il
trasporto dei loro rifiuti (sia pericolosi
che non pericolosi) alle medesime strutture.
Queste le semplificazioni ambientali
previste dal disegno di legge di
riformulazione del «Codice ambientale»
(dlgs 152/2006) e provvedimenti satellite
licenziato lo scorso 09.05.2012 dal Senato e
ora alla Camera in terza lettura.
Allargamento esenzione
Sistri.
Il ddl in corso di approvazione sancisce un
ampliamento del novero degli imprenditori
agricoli esclusi dall'obbligo di iscrizione
al nuovo sistema di tracciamento telematico
dei rifiuti (e dunque ai relativi
adempimenti operativi) intervenendo
direttamente su due punti nodali
dell'attuale disciplina (rappresentata dal
dlgs 205/2010, provvedimento satellite del
dlgs 152/2006).
È innanzitutto prevista la trasformazione da
temporanea a definitiva dell'esenzione
dall'obbligo di iscrizione al Sistri
(attualmente valida in base all'articolo 39
del dlgs 205/2010 solo fino al 02.07.2012)
per gli imprenditori agricoli ex articolo
2135 del codice civile che producono e
trasportano a una piattaforma di
conferimento, oppure conferiscono ad un
circuito organizzato di raccolta, i propri
rifiuti pericolosi in modo occasionale e
saltuario. In secondo luogo, viene allargata
la stessa nozione di trasporto e
conferimento «occasionale e saltuario»
mediante l'innalzamento a 300 (dagli attuali
100) della soglia massima di chili/litri di
rifiuti pericolosi annualmente sottoponibili
a tali fasi di gestione da parte delle
imprese in parola senza obbligo di
iscrizione al Sistri.
Detti imprenditori devono comunque, in base
al vigente articolo 39 del dlgs 205/2010,
conservare in azienda per cinque anni sia la
copia della convenzione o del contratto di
servizio stipulati con il gestore della
piattaforma di conferimento o del circuito
organizzato di raccolta che le schede «Sistri
– Area movimentazione», sottoscritte e
trasmesse dal gestore della piattaforma di
conferimento o dal circuito organizzato di
raccolta. L'adesione al Sistri, lo
ricordiamo, è già a monte solo facoltativa
(in virtù dell'articolo 4, dm 52/2011 – c.d
«T.u. Sistri») per gli imprenditori
agricoli di cui all'articolo 2135 del Codice
civile che producono rifiuti speciali non
pericolosi. Una parziale esclusione dagli
obblighi Sistri per alcune operazioni di
gestione dei rifiuti compiute dalle imprese
agricole, lo si sottolinea per onor di
completezza, è invece in vigore dallo scorso
10.02.2012.
Il dl 5/2012 (c.d. «dl semplificazioni»)
ha infatti sancito, mediante la diretta
modifica dell'articolo 193 del Codice
ambientale, che non è più considerato «trasporto
di rifiuti» (con conseguente fuoriuscita
di tale attività, ma solo di questa,
dall'obbligo di tracciamento dei sia
cartaceo che telematico) la movimentazione
di rifiuti finalizzata al deposito
temporaneo effettuata sia da aziende
agricole, anche percorrendo la via pubblica,
tra suoi fondi purché distanti massimo 10
km, sia da imprenditori agricoli dai propri
fondi al sito delle cooperative cui
aderiscono.
Deroga obbligo iscrizione
Albo gestori.
Lo stesso disegno di legge in itinere
prevede un ulteriore alleggerimento degli
adempimenti ambientali per le imprese del
settore, e ciò sancendo l'esclusione
dall'obbligo di iscrizione all'Albo gestori
ambientali previsto e disciplinato dal dlgs
152/2006 per gli imprenditori agricoli
professionali definiti dall'articolo 1 del
dlgs 99/2004 (soggetti costituenti, però, un
novero più ristretto degli imprenditori
agricoli definiti dall'articolo 2135 del
Codice civile) che effettuano direttamente
il trasporto dei rifiuti (sia pericolosi che
non pericolosi) da loro prodotti verso le
piattaforme di conferimento o circuiti
organizzati di raccolta.
Operatività del Sistri.
La data attorno alla quale ruota la partenza
operativa del Sistri (ossia: comunicazione
online al sistema informatico gestito dallo
Stato dei dati relativi ai rifiuti gestiti e
tracciamento satellitare dei mezzi di
trasporto degli stessi) è, in base
all'ultima proroga sancita in materia dalla
legge 14/2012 di conversione del dl 216/2011
(c.d. «dl Milleproroghe»), quella del
30.06.2012.
Tale data rappresenta infatti sia il termine
a partire dal quale i citati adempimenti
Sistri dovranno essere assolti dalla
generalità dei soggetti obbligati (ossia:
medio/grandi produttori di rifiuti
pericolosi; commercianti ed intermediari;
Consorzi di riciclaggio; trasportatori
professionali) sia il termine non prima del
quale gli stessi adempimenti potranno essere
dal Minambiente (tramite proprio decreto)
imposti ai piccoli produttori di rifiuti
pericolosi (ossia: produttori di rifiuti
speciali pericolosi con non più di 10
dipendenti, compresi i produttori che
effettuano il trasporto dei propri rifiuti
entro i 30 kg/litri al giorno) (articolo
ItaliaOggi Sette del 21.05.2012). |
aggiornamento al 21.05.2012 |
|
CONSIGLIERI COMUNALI -
ENTI LOCALI: Rischio impasse negli enti tra 3
mila e 5 mila abitanti. I comuni andati al
voto il 6 e 7 maggio devono già fare i conti
con la riduzione dei consiglieri.
Rischio impasse nei consigli dei comuni fra
3.000 e 5.000 abitanti. Tutto nasce
dall'art. 16, comma 17, della manovra di
Ferragosto (dl 138/2011), il quale, come
noto, ha rivisto la «pianta organica» degli
organi consiliari nei municipi più piccoli,
prevedendo riduzioni differenziate per
fascia demografica.
In particolare:
- per i comuni con popolazione fino a 3.000
abitanti, il consiglio è composto dal
sindaco e da 6 consiglieri;
- per i comuni con popolazione superiore a
3.000 e fino a 5.000 abitanti, sono previsti
7 consiglieri, oltre al sindaco, per un
totale di 8 membri;
- per i comuni con popolazione superiore a
5.000 e fino a 10.000 abitanti, il numero
degli scranni consiliari sale a 11 (sindaco
compreso).
La nuova composizione scatta a decorrere dal
primo rinnovo elettorale successivo al 14.09.2011 (data di entrata in vigore
della l 148/2011, di conversione del citato
dl 138/2011). Il predetto comma 17, infatti,
non è stato interessato dallo slittamento
temporale previsto dal decreto «milleproroghe»
2012 (dl 216/2011, convertito dalla l.
14/2012; si veda ItaliaOggi del 27.11.2011).
Quindi, i comuni reduci dalla tornata
elettorale del 6-7 maggio fanno già i conti
con le nuove regole, che risultano
particolarmente problematiche per gli enti
della fascia intermedia (3.000-5.000
abitanti).
In tal caso, infatti, i componenti del
consiglio (includendo anche il sindaco) sono
in numero pari (8, come già detto). Ciò
aumenta decisamente le probabilità che le
votazioni si concludano in pareggio. In
linea generale, infatti, per l'approvazione
delle deliberazioni (e di ogni altro
provvedimento), è necessario il voto
favorevole della metà più uno dei presenti.
È evidente, quindi, che possono presentarsi
non poche difficoltà nel funzionamento degli
organi dei comuni in questione, di cui il
legislatore non sembra aver tenuto
adeguatamente conto. È pur vero che l'art.
71, comma 8, del Tuel prevede che alla lista
collegata al candidato alla carica di
sindaco che ha riportato il maggior numero
di voti siano attribuiti due terzi dei seggi
assegnati al consiglio (con arrotondamento
all'unità superiore qualora il numero dei
consiglieri da assegnare alla lista contenga
una cifra decimale superiore a 50
centesimi). Il che significa che ogni primo
cittadino, nei comuni in questione, può
contare (oltre a se stesso) su ben cinque
degli altri sette consiglieri.
Ma ciò non esclude che alcuni consiglieri di
maggioranza decidano di votare in senso
opposto agli orientamenti del proprio gruppo
consiliare.
In tali casi, se voti a favore e voti contro
il provvedimento proposto dovessero
equivalersi, la votazione sarebbe
infruttuosa.
Infatti, a livello legislativo non sono
previsti meccanismi volti a risolvere in
modo strutturale una simile situazione di
impasse. Anche quando la legge prevede
qualcosa al riguardo (ad esempio, allorché,
in caso di votazioni riguardanti le persone,
sancisce la prevalenza del candidato più
anziano) si tratta di eccezioni tassative
alla regola generale.
È un problema serio, che rischia di
compromettere il regolare funzionamento
della macchina comunale. Non va trascurato,
inoltre, il rischio che si creino meccanismi
perversi, con l'accentuazione del potere di
ricatto di singoli consiglieri nei confronti
dei primi cittadini.
Una possibile via d'uscita potrebbe essere
il regolamento consiliare, cui l'art. 38,
comma 1, del Tuel rimette (nel quadro dei
principi stabiliti dallo statuto) la
disciplina del funzionamento dei consigli e,
fra l'altro, delle modalità per la
presentazione e la discussione delle
proposte. Per esempio, si potrebbe prevedere
(come già avviene in molti regolamenti
vigenti per la Giunta) che in caso di parità
di voti prevale quello del sindaco. Ma si
tratterebbe di una previsione di dubbia
legittimità, solo in parte attenuata dal
fatto che il regolamento deve essere
approvato a maggioranza assoluta. Non a
caso, la gran parte dei regolamenti vigenti
prevede che in caso di parità di voti la
proposta si intende non approvata
(articolo ItaliaOggi
del 18.05.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: RELAZIONE
CORTE CONTI SUL LAVORO PUBBLICO/ Gli enti
snobbano i diktat della Consulta. Un dirigente
su due è a contratto.
Il 45% dei manager locali non è autonomo
dalla politica.
Sono circa la metà dei dirigenti di ruolo
quelli a contratto del comparto regioni enti
locali. Per la precisione, secondo i dati
della Corte dei conti, sezioni riunite,
delibera n. 13/2012/Contr/Cl contenuti nella
relazione sul costo del lavoro pubblico
2012, nel 2010 su 6.884 dirigenti di ruolo,
nel comparto ben 2.199 sono dirigenti a
tempo determinato, per un'incidenza pari al
32%.
Ma, aggiungendo anche i 902 dirigenti extra
dotazione organica, tale incidenza sale al
45%.
La Corte dei conti conferma, dunque, che
regioni ed enti locali sono distantissimi
dall'attuare le indicazioni ripetutamente
espresse dalla Corte costituzionale sulla
dirigenza a tempo determinato, considerata
un elemento di debolezza del sistema, perché
incide negativamente sul principio della
continuità amministrativa e risulta legata
eccessivamente da un rapporto fiduciario con
la politica, tale da lederne l'autonomia.
Appare piuttosto evidente che comuni,
province e regioni abbiano attinto a piene
mani alla possibilità di assumere dirigenti
di fiducia a tempo determinato, costituendo
un vero e proprio «apparato parallelo» a
quello di ruolo. Ciò, in particolare,
soprattutto per effetto dell'articolo 110,
comma 1, del dlgs 267/2000 che consentendo,
prima della riforma-Brunetta, di assumere
senza limitazione alcuna i dirigenti a
contratto, ha permesso a moltissimi enti di
insediare ai vertici amministrativi
dirigenti esterni, senza porsi minimamente
il problema di un tetto numerico.
L'incidenza della dirigenza a contratto pari
complessivamente al 45% del totale, come si
nota, è lontanissima dal tetto inizialmente
posto dal dlgs 150/2009 al solo 8%.
Si spiegano, dunque, le insistenze dell'Anci
e dei sindaci in particolare, per ottenere
dal legislatore un ampliamento delle quote
di dirigenti da assumere a contratto,
nonostante le pronunce della Corte
costituzionale. Come si ricorda, un primo
ampliamento, fino al 18%, era stato ammesso
dall'articolo 1 del dlgs 141/2011, ma solo
per gli enti locali considerati virtuosi da
un dpcm che ancora non ha visto la luce. Un
secondo ampliamento, dunque, è stato
invocato e ottenuto dalle autonomie locali
con l'articolo 4, comma 13, del dl 16/2012,
convertito in legge 44/2012 (il decreto
fiscale), che apparentemente estende di poco
la percentuale iniziale dell'8%, prevedendo
un 10% per gli enti locali con oltre 250
mila abitanti, espandibile al 13% per gli
enti con popolazione tra 100 mila e 250 mila
e portato al 20% per gli altri enti.
Ma, in realtà, proprio perché anche il 20%
(incidenza della dirigenza a contratto
comunque più che doppia di quella ammessa
nello stato) è lontanissimo dalla
percentuale effettiva di dirigenti a
contratto operanti negli enti locali, il
citato articolo 4, comma 13, ha posto in
essere una vera e propria mini-sanatoria:
consente, infatti, agli enti locali di
confermare tutti, ma proprio tutti, i
dirigenti con contratti in scadenza al
31/12/2012, riproponendo la
percentuale-monstre di dirigenti a contratto
di matrice fiduciaria.
Per altro, esattamente come avviene presso
le varie agenzie nazionali, grandissima
parte della dirigenza a contratto non
proviene nemmeno da selezione di particolari
e spiccate competenze professionali attinte
al di fuori delle dotazioni organiche, come
prevederebbe l'articolo 19, comma 6, del
dlgs 165/2001, allo scopo di integrare e
arricchire la qualità e il plafond di
capacità della dirigenza di ruolo. Spiegano
le sezioni riunite nella relazione che
«oltre la metà delle assunzioni nell'ambito
della dirigenza a tempo determinato deriva
dall'attribuzione di incarichi a personale
interno ai singoli enti».
Insomma, delle vere e proprie progressioni
verticali di fatto, realizzate senza alcuna
specifica selezione, spesso occasione per
premiare fedeltà e consonanza del dirigente
cooptato all'organo di governo di turno
(articolo ItaliaOggi
del 18.05.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Contratti
decentrati, atti unilaterali subito vigenti.
Gli atti unilaterali sostitutivi del mancato
accordo per la stipulazione dei contratti
decentrati sono da considerare da subito in
vigore, per effetto dell'articolo 6 del dlgs
141/2011.
La relazione sul costo del lavoro
pubblico 2012 elaborata dalle sezioni
riunite della Corte dei conti interviene in
modo tranciante su una delle questioni più
spinose riguardanti il dlgs 150/2009,
nell'ambito della profonda critica riservata
all'intesa tra funzione pubblica e
sindacati, che pare finalizzata a
smantellare, invece, proprio l'impianto
della riforma-Brunetta che ha potenziato i
poteri datoriali.
Ai sensi dell'articolo 40, comma 3-ter, del
dlgs 165/2001 «qualora non si raggiunga
l'accordo per la stipulazione di un
contratto collettivo integrativo,
l'amministrazione interessata può
provvedere, in via provvisoria, sulle
materie oggetto del mancato accordo, fino
alla successiva sottoscrizione». Si tratta
di una disposizione prevista per
riequilibrare le posizioni di forza nella
contrattazione decentrata, tale da
permettere alle amministrazioni di superare
pregiudiziali sindacali ostative alla
stipulazione dei contratti e permettere
l'attuazione degli istituti.
Come noto, i sindacati hanno fatto ricorsi a
tappeto ai giudici del lavoro avverso i
provvedimenti attuativi della norma
introdotta dalla riforma-Brunetta.
Inizialmente, i giudici avevano considerato
antisindacale il comportamento delle
amministrazioni inteso ad attuare la norma,
per poi cambiare interpretazione.
Le sezioni riunite, anche alla luce del dlgs
141/2011, col quale il parlamento ha
interpretato autenticamente l'articolo 65
del dlgs 150/2009, nella relazione
considerano immediatamente applicabili,
senza alcun rinvio alla contrattazione
nazionale, le norme del dlgs 150/2009
«relative all'assetto delle relazioni
sindacali, compresa la possibilità per le
amministrazioni di decidere unilateralmente
sulla distribuzione delle risorse presenti
nei fondi unici in caso di eccessivo
protrarsi del confronto negoziale».
La magistratura contabile fa giustizia della
legittimità piena dei provvedimenti
unilaterali adottati dalle amministrazioni,
atti da considerare necessitati anche alla
luce del rispetto della contabilità
pubblica.
L'articolo 40, comma 3-ter, è uno tra i
molti che la riforma-Brunetta ha prodotto,
per rafforzare la posizione dei dirigenti
pubblici, così da correggere alcuni effetti
distorti della «privatizzazione» del
rapporto di lavoro pubblico. Per la Corte
l'intesa del 3 maggio scorso nasconde il
rischio «di una possibile permanenza delle
criticità che hanno caratterizzato sinora la
contrattazione collettiva nazionale e
integrativa, non in grado di rendere
effettiva la correlazione fra componenti
accessorie della retribuzione e incrementi
di produttività del settore pubblico».
Per
questo, la Corte auspica che la riforma del
lavoro pubblico mantenga norme finalizzate a
rafforzare il datore pubblico «prevedendo,
quanto meno, la conferma della disposizione,
già contenuta nel dlgs n. 150 del 2009»
(articolo ItaliaOggi
del 18.05.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Personale,
la riduzione della spesa va a rilento.
Diminuzione del numero dei dipendenti degli
enti locali, avvio della messa sotto
controllo della spesa del personale, mentre
le criticità della contrattazione decentrata
integrativa continuano a essere assai
marcate, anche per colpa della funzione
pubblica e del ministero dell'economia:
possono essere così riassunte le principali
tendenze che si sono manifestate nel lavoro
pubblico nell'anno 2010 rispetto al
precedente anno 2009. Da sottolineare che il
trattamento economico medio del personale
degli enti locali è quantificato in 29.399
euro annui: tale cifra è di poco superiore
al trattamento medio dei dipendenti non
dirigenti, che rappresentano oltre il 96%
del personale del comparto regioni e
autonomie locali.
In questo comparto il numero dei dipendenti
in servizio è diminuito dell'1,6%, mentre
nel complesso delle amministrazioni
pubbliche è calato dell'1,9%. Assai marcata
la diminuzione del numero dei lavoratori
assunti con contratti flessibili (-7,2%),
mentre la diminuzione del personale a tempo
indeterminato è stata assai contenuta:
appena -0,8%. Quindi una tendenza meno
«virtuosa» rispetto a quella registrata in
altri comparti pubblici, in particolare
nelle amministrazioni statali.
A livello di spesa per il personale quella
dei comuni, delle province e delle regioni è
diminuita dello 0,9%, mentre nel complesso
delle amministrazioni pubbliche la riduzione
è stata dell'1,5%. Da sottolineare che si
arriva a tale risultato, assai inferiore a
quello del complesso delle amministrazioni
statali, sulla base «di una crescita della
spesa per il personale dirigente più che
compensata dalla flessione della spesa del
personale non dirigente».
Questa differenza è spiegata in buona parte
dal fatto che nel 2010 è stato rinnovato il
contratto dei dirigenti, mentre quello del
personale era stato rinnovato nel 2009.
Comunque, in modo per molti versi speculare
rispetto all'andamento del numero dei
dipendenti, si registra una gestione meno
«virtuosa» rispetto ad altri comparti del
pubblico impiego e in particolare alle
amministrazioni statali.
Assai interessanti sono anche i dati medi
sul trattamento economico complessivo del
personale del comparto regioni ed enti
locali: i dipendenti ricevono compensi per
circa 28.389 euro annui; i dirigenti
compensi per 99.004 euro, i segretari per
89.262 euro e i direttori generali per
142.418.
Le stabilizzazioni nel 2010 hanno
interessato nel comparto regioni e autonomie
locali 3.907 unità che in gran parte sono ex
lavoratori socialmente utili. Continua a
essere negativo il bilancio della
contrattazione decentrata mettendo insieme i
costi e gli effetti sulla qualità
dell'attività amministrativa. Assai
interessante è la dura bacchettata che viene
per la prima volta data alla funzione
pubblica e al ministero dell'economia: «Va
sottolineata l'importanza strategica della
predisposizione, da parte del dipartimento
della funzione pubblica d'intesa con il
ministero dell'economia e delle finanze, ai
sensi dell'art. 40-bis del dlgs n. 165 del
2001, del previsto modello unico di
riferimento per la predisposizione della
relazione tecnica ai contratti integrativi.
A tale relazione, che deve essere pubblicata
unicamente ai contratti integrativi sul sito
istituzionale delle amministrazioni, è
affidato il compito di evidenziare in modo
trasparente il valore dei fondi unici in
ciascun esercizio, le risorse disponibili,
quelle oggetto di contrattazione e gli
effetti finanziari e organizzativi connessi
alle scelte contrattuali sul riparto delle
risorse, anche al fine di garantire
effettività al controllo diffuso previsto
dal citato art. 40-bis da parte degli utenti
dei servizi sull'utilizzo delle risorse
destinate ai dipendenti di ciascun ente».
Tale modello previsto dal legislatore già
dal 2009 fino a oggi non è stato realizzato
(articolo ItaliaOggi
del 18.05.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Riscossione
Imu, incentivi a rischio.
Premio cancellato dal dl fiscale, anzi no. E
comuni nel caos. Preoccupazione negli uffici
tributi dei municipi in vista della prima
rata. L'Anutel lancia l'allarme.
È il grande rebus del momento: esiste ancora
il premio incentivante per i dipendenti che
si impegneranno nel contrasto all'evasione
Imu?
La nuova e già contestatissima imposta
nasconde tra le sue maglie anche questo
problema, sicuramente secondario per gli
«impositori», un po' meno impellente per gli
operatori, già impegnati a gestire l'avvio
delle complicate procedure relative al neoistituito tributo.
Fino a poche settimane fa non c'erano dubbi
in proposito, e il ragionamento seguito
faceva, grosso modo, leva su due elementi:
il comma 57 dell'art. 3 della legge n.
662/1996 e l'art. 59, comma 1, lett. p), del dlgs n. 446/1997 che, non risultando
modificato dall'art. 13 del dl n. 201/2011,
consentiva ancora di prevedere,
nell'esercizio della potestà regolamentare
comunale, l'attribuzione di compensi
incentivanti al personale addetto agli
uffici tributari.
Si riteneva, quindi, che in assenza di
abrogazioni esplicite, tale facoltà
risultasse ancora legittimamente
esercitabile anche in relazione alle
attività connesse all'Imu. A maggior
conforto dell'armonia Ici-Imu in punto di
incentivi, il comma 6 dell'art. 14 dlgs n.
23/2011 diceva testualmente «è confermata
la potestà regolamentare degli enti locali
di cui agli artt. 52 e 59 dlgs 446/1997
anche per i nuovi tributi previsti dal
presente provvedimento».
Ma a complicare terribilmente le cose arriva
il dl 16/2012 come modificato dall'art.4
della legge di conversione n. 44/2012, che
ha letteralmente cancellato il richiamo
espresso che l'art. 14 legge n. 23/2001
faceva all'art. 59 dlgs n. 446/1997. Ci si
sofferma a vario titolo sul colpo di spugna
dato dalla legge di conversione del dl
16/2012 alla potestà regolamentare
specifica, prevista per i comuni dall'art.
59 del dlgs 446/1997 argomentando,
correttamente, che se viene abrogata la
possibilità di regolamentare l'attribuzione
di un compenso incentivante ad essere
fortemente messo in discussione è il
compenso incentivante stesso, stante, per
l'ente locale la funzione normativa dello
strumento regolamentare.
Su altri fronti si
leggono parole più tranquillizzanti che,
richiamando in causa una circolare datata ma
attuale sul punto (circolare Mef 296/E del
31/12/1998), hanno concentrato l'attenzione
sull'art. 52 del dlgs 446/1997, non inciso
né abrogato dal dl 16 /12, e sul suo titolo
legittimante generale rispetto alla potestà
regolamentare dell'ente locale. Si è detto,
in armonia con la citata circolare, che
l'art. 52 consegna all'ente locale potestà
regolamentare neutra e diffusa rispetto ai
contenuti puntuali dettagliati in altre
norme, quali ad esempio, proprio quelli
specificati nell'abrogato articolo 59 del
medesimo dlgs, che declinerebbe, senza
pretese di tassatività, la potestà
regolamentare del comune in alcuni
esemplificativi spazi di possibile
operatività. Insomma aver cancellato un
ambito specifico di potestà regolamentare
non inciderebbe sul potere generale
dell'ente di darsi un regolamento.
Ritengo, però, che l'analisi debba spaziare
ancora, spostandosi, dal potere
regolamentare alla fonte di grado superiore.
Insomma, al di là dell'abrogazione dell'art.
59 dlgs n. 446/2007 contenuta nella legge di
conversione del dl 16/2010, un altro
importante vuoto si presenta nel puzzle.
Dov'è la norma di legge che con specifico
riferimento all'Imu dà facoltà agli enti
accertatori di riconoscere un incentivo
premiante ai dipendenti? Malgrado gli
evidenti segni di continuità Ici/Imu, l'Imu
è comunque un nuovo tributo che ha,
peraltro, una propria autonoma
regolamentazione, il che unito al principio
generale secondo cui le disposizioni Ici
sono applicabili all'Imu solo se richiamate
espressamente, genera un vuoto legislativo
più che regolamentare. La previsione
dell'art. 3 comma 557 del 662/1996 che
consentiva esplicitamente l'utilizzo di una
percentuale Ici per il potenziamento
dell'Ufficio tributi non è, per le ragioni
anzidette, direttamente applicabile all'Imu.
Relativamente al nuovo tributo non esiste
nemmeno una previsione generale, costruita
sulla falsariga delle norme di chiusura, che
abiliti l'interprete all'applicazione delle
disposizione sull'Ici, ove non diversamente
normato per l'Imu.
E le cose si complicano ulteriormente,
laddove, come evidenziato anche dall'Aran in
più di un autorevole parere, il meccanismo
integrativo delle risorse decentrate scritto
nella lett. k) dell'art. 15 Ccnl '99 che
concretamente consente di corrispondere
incentivi al personale come l'incentivo Ici,
impone che siano «specifiche» le norme di
legge che destinano in modo altrettanto
«specifico ed espresso» risorse
all'incentivazione del personale.
In difetto di una fonte normativa dalla
quale risulti questa chiara e specifica
finalizzazione ancor meno è ipotizzabile
l'utilizzo, per via analogica e a fini
incentivanti, di norme concepite e riferite
ad ambiti differenti, benché similari, ma
riguardanti espressamente l'Ici
(articolo ItaliaOggi
del 18.05.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Paletti ai trasferimenti.
Avvicinamento al comune solo in casi
tassativi. La delega da parte
dell'assessore non basta a giustificare la
domanda.
È possibile applicare il beneficio di cui
all'articolo 78, comma 6, del decreto
legislativo n. 267/2000, al personale della
polizia di stato, che ha prodotto istanza di
trasferimento, in quanto nominato
rappresentante di un comune a supporto
dell'assessore ai servizi sociali dello
stesso comune, già delegato dal sindaco
quale componente del Coordinamento
istituzionale presso l'ambito territoriale
con sede in altro ente?
L'articolo sopra citato introduce una
disposizione di garanzia a favore di tutti i
lavoratori dipendenti per evitare loro
restrizioni o limitazioni all'esercizio
delle funzioni connesse all'espletamento del
proprio mandato.
In proposito, è stabilito che la richiesta
dei predetti lavoratori di avvicinamento al
luogo in cui viene svolto il mandato
amministrativo deve essere esaminata dal
datore di lavoro con criteri di priorità.
L'art. 77, comma 2, del Tuel, statuisce che,
ai fini dell'applicazione delle norme di cui
al capo IV - status degli amministratori
locali (artt. 77-87), si devono intendere
amministratori locali i componenti degli
organi delle unioni di comuni e dei consorzi
fra enti locali, nonché i componenti degli
organi di decentramento.
Ciò posto, nel caso in esame risulta che
l'interessato è stato designato a supportare
l'attività dell'assessore ai servizi sociali
e non direttamente delegato dal sindaco a
rappresentare l'ente locale.
Pertanto, non rientrando lo stesso nel
novero degli amministratori locali come
definito dall'art. 77 del Tuel, non sono
applicabili le disposizioni di cui all'art.
78 del medesimo Testo unico
(articolo ItaliaOggi
del 18.05.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Sospensione
ferie.
Un consigliere comunale, dipendente
dell'Inps, può presentare al proprio datore
di lavoro istanza di «sospensione delle
ferie» già richieste per la partecipazione a
sedute di consiglio e commissioni presso
l'ente in cui esplica il mandato elettivo?
Fermo restando il diritto,
costituzionalmente garantito,
dell'amministratore di disporre del tempo
necessario per il mandato, l'istituto del
permesso si differenzia da quello
dell'aspettativa in quanto
l'amministratore-lavoratore dipendente
mantiene il rapporto con l'amministrazione
di appartenenza con tutti i vincoli, anche
di orario, che tale rapporto comporta.
Il diritto dell'amministratore a fruire dei
permessi lavorativi va, pertanto,
contemperato con il diritto dell'ente di
appartenenza con cui l'amministratore locale
ha mantenuto il rapporto lavorativo, al
rispetto delle norme ordinamentali e
organizzative interne.
L'ente di appartenenza può, quindi,
legittimamente rifiutare l'accoglimento
dell'istanza del dipendente volta alla
revoca delle ferie già richieste, anche se
motivate con la possibilità di fruire di
altro diritto.
Per completezza del quadro normativo si
soggiunge che, sulla materia dei permessi,
sono intervenute le modifiche normative
apportate dall'art. 16 del dl 13/08/2011, n.
138, convertito nella legge 14/09/2011, n.
148 che ha rivisitato il 1° comma dell'art.
79 Tuel
(articolo ItaliaOggi
del 18.05.2012). |
LAVORI PUBBLICI: Appalti, dall'8 giugno rischio stop.
Amministrazioni in ritardo sui nuovi
certificati dei lavori. Scattano le
disposizioni del dpr 207/2010. E le p.a. in
difficoltà stanno bloccando i bandi.
Dall'08 giugno si rischia il blocco degli
appalti di lavori pubblici a causa dei
ritardi nella emissione dei nuovi
certificati dei lavori da parte delle
stazioni appaltanti.
È questo il grido di
allarme che viene lanciato dal Partito
Democratico che, raccogliendo anche la forte
preoccupazione del settore delle imprese di
costruzioni, martedì ha presentato (a firma
di Raffaella Mariani, capo gruppo in
Commissione ambiente della camera) una
risoluzione parlamentare volta a impegnare
il governo a trovare una soluzione al
possibile impasse determinato dalla
cessazione di numerose attestazioni SOA per
importanti categorie di lavori.
Il problema nasce con riguardo ad una norma
del dpr 207/2010 (il Regolamento attuativo
del Codice dei contratti pubblici) entrato
in vigore l'08.06.2011 (l'articolo 357,
comma 14) che stabilisce per alcune
categorie di lavori (fra le quali le
categorie generali OG 10 e 11, opere
impiantistiche, e le categorie specializzate
OS 2,7,8, 12, 18, 20 e 21) la cessazione
della validità dei certificati entro 6 mesi
(08.12.2011, termine poi prorogato per
legge all'08.06.2012) e l'obbligo di
remissione dei certificati secondo le nuove
regole del dpr 207.
La questione riguarda ad
esempio, la categoria OG 11 per la quale
l'impresa generale è tenuta (art. 79, comma
16) a documentare almeno il 40% di lavori
svolti in OS3 e il 70% sia in OS 28, sia in
OS 30. Per la remissione dei certificati le
stazioni appaltanti dovrebbero prendere in
considerazione i dati relativi a progetti
realizzati negli anni precedenti e calcolare
le quote dei lavori appartenenti alle
categorie specializzate, al fine di
verificare se siano rispondenti ai parametri
previsti nel dpr 207/2010.
Fino ad oggi, si
legge nella risoluzione del Pd, la proroga
di sei mesi «non è servita ad attuare la
necessaria accelerazione delle procedure per
il rilascio dei certificati, ancora in forte
ritardo, con effetti negativi sulla capacità
delle imprese a partecipare alle gare
bandite con le categorie oggetto di
modifica». Inoltre le stazioni appaltanti,
alla luce delle difficoltà derivanti
dall'aggiornamento dei certificati
(evidenziate anche dall'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, nella sua
relazione al Parlamento dell'anno scorso),
sembra che stiano fermando l'emissione di
nuovi bandi di gara, con le nuove categorie,
in attesa di capire cosa succederà.
Nella
risoluzione parlamentare si chiede un
intervento del governo per accelerare la
remissione dei certificati e «ogni utile
iniziativa» per evitare «effetti distorsivi
per la concorrenza derivanti dalla
applicazione delle nuove regole del dpr 207
del 2010 a danno delle imprese nazionali a
favore di quelle comunitarie». Peraltro
andrebbe valutato anche il fatto che effetti distorsivi sulla concorrenza si potrebbero
verificare anche all'interno del mercato
nazionale se, come risulta a ItaliaOggi,
alcune imprese si sarebbero già premurate di
acquisire le nuove certificazioni sulla base
delle nuove regole e, quindi, non avrebbero
interesse, ovviamente, a una nuova proroga.
Il problema, articolato e complesso, sembra
comunque essere all'attenzione dei tecnici
del dicastero di Porta Pia, in attesa di
soluzioni di natura politica che, a questo
punto, non dovrebbero tardare. Va infatti
ricordato che il governo, in un imminente
decreto-legge, dovrebbe emanare una delega
per riformare il sistema di qualificazione
delle imprese, e quella potrebbe essere la
sede appropriata per risolvere la questione.
Ma occorrerebbe una proroga ulteriore per
evitare il temuto blocco degli appalti. Una
vera e propria corsa contro il tempo
(articolo ItaliaOggi
del 17.05.2012). |
aggiornamento al 16.05.2012 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Cosa
cambia per i legali con il dl
liberalizzazioni. Il cliente deve poter
confrontare i prezzi. Ora il tariffario è
personalizzato.
Onorari forfettari o
compenso orario; palmario o patto di quota
lite: sono alcune delle possibili tecniche
di definizione del compenso dell'avvocato,
che, abrogate le tariffe di categoria, è
chiamato a stabilire un tariffario di studio
da proporre ai clienti. Con la clientela i
legali sono chiamati a stipulare contratti
scritti, dopo avere fornito una esaustiva
informazione sul costo presumibile del
processo ed eventualmente dopo avere fornito
un preventivo di massima (scritto se
richiesto dal cliente). E dal 13.08.2012
obbligo per gli avvocati di dotarsi di una
polizza assicurativa contro i rischi
professionali.
Sono queste in sintesi le novità portate da
ultimo dall'articolo 9 del decreto 1/2012, a
seguito delle modifiche apportate dalla
legge di conversione n. 27 del 24.03.2012,
in vigore dal 25.03.2012. L'obiettivo
dichiarato è di favorire la concorrenza nel
mercato delle professioni legali, anche se
il provvedimento potrà avere l'effetto di
calmierare i compensi per le toghe.
Vediamo di illustrare le ricadute pratiche
delle ultime novità.
Le tariffe.
Per quanto concerne le tariffe il decreto ha
disposto l'abrogazione delle tariffe delle
professioni regolamentate nel sistema
ordinistico.
Risolvendo un problema sorto a causa della
formulazione originaria del decreto legge la
legge di conversione ha dettato la
disciplina per la liquidazione giudiziale
degli onorari degli avvocati al termine di
una causa. In questo caso il compenso del
professionista sarà determinato con
riferimento a parametri stabiliti con
decreto del ministro della giustizia, da
adottare nel termine di 120 giorni
successivi alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del decreto. Fino
ad allora (23.07.2012), in virtù di una
disposizione transitoria, continuano ad
applicarsi le tariffe forensi, anche se
limitatamente alla liquidazione delle spese
giudiziali.
Preventivo e contratto col
cliente.
Cosa diversa dalla liquidazione giudiziale è
il contratto tra avvocato e cliente. A
questo proposito l'articolo 9 in commento
disciplina due fattispecie: il preventivo e
il contratto con il cliente.
Per il preventivo la legge dispone che in
ogni caso la misura del compenso è
previamente resa nota al cliente con un
preventivo di massima, che deve essere
adeguata all'importanza dell'opera e che va
pattuita indicando per le singole
prestazioni tutte le voci di costo,
comprensive di spese, oneri e contributi.
Inoltre il professionista deve rendere noto
al cliente il grado di complessità
dell'incarico, fornendo tutte le
informazioni utili circa gli oneri
ipotizzabili dal momento del conferimento
fino alla conclusione dell'incarico e deve
altresì indicare i dati della polizza
assicurativa per i danni provocati
nell'esercizio dell'attività professionale.
Il preventivo non deve essere
necessariamente fornito per iscritto e può
essere «di massima»: la legge sembra
chiedere al singolo avvocato di costruirsi
il personale tariffario, così da fornire ai
clienti la possibilità di confrontare i
prezzi praticati.
Il preventivo deve essere articolato per
voci di costo e quindi si potranno
articolare le attività di consulenza,
difensive e quelle accessorie di segreteria
e di accesso agli uffici giudiziari.
Diverso dal preventivo è il contratto con il
cliente, nel quale si pattuisce il compenso.
Mentre il preventivo potrebbe essere
pattuito anche oralmente, ai sensi
dell'articolo 2233 del codice civile, sono
nulli, se non redatti in forma scritta, i
patti conclusi tra gli avvocati e i
praticanti abilitati con i loro clienti che
stabiliscono i compensi professionali.
Quindi il contratto con il cliente deve
essere redatto in forma scritta.
A questo proposito l'articolo 9 prevede che
il compenso per le prestazioni professionali
deve essere pattuito, nelle forme previste
dall'ordinamento, al momento del
conferimento dell'incarico professionale.
Per il compenso è possibile usare anche una
delle seguenti tecniche:
-forfait
-palmario
-patto di quota lite
-compenso orario (anche per le attività
giudiziali).
Il compenso forfettario è quello che vincola
l'avvocato a un compenso fisso, ma potrebbe
dare adito a diversi problemi: se
sottostimato potrebbe non essere
remunerativo per l'avvocato e, quindi,
essere contrario al principio di
corrispondenza del compenso al decoro della
professione; se troppo alto potrebbe essere
disincentivante per il cliente a conferire
l'incarico; d'altra parte l'avvocato
potrebbe essere portato a stimare tutta la
possibile attività con una lievitazione
dell'importo.
Le altre fattispecie.
Il palmario è il premio pattuito in aggiunta
all'onorario per il caso di vittoria o di
risultato positivamente valutabile per il
cliente.
Il patto di quota lite è l'accordo con cui
si stabilisce un compenso dell'avvocato
esclusivamente in caso di vittoria (totale o
parziale) ed è quantificato in una quota del
risultato utile conseguito dal cliente.
Il compenso orario era già previsto dal
Tariffario forense, ma solo per l'attività
stragiudiziale (assistenza e pareri). Con le
nuove disposizioni si può pattuire un
compenso orario anche per l'attività
giudiziale. Anche se questo obbliga ad una
analitica registrazione del tempo impiegato.
Peraltro è opportuno osservare una
registrazione dettagliata delle attività
svolte, qualunque sia la tecnica seguita di
pattuizione del compenso.
Le tecniche di determinazione del compenso
potrebbero anche essere combinate insieme:
ad esempio un compenso fisso forfettario
combinato con un compenso orario, oppure un
compenso fisso forfettario combinato con un
onorario aggiuntivo in caso di risultato
favorevole o, ancora, un compenso orario
ridotto con l'aggiunta di un onorario di
risultato favorevole.
Quanto alle condizioni contrattuali, in
relazione all'esigenza di poter tenere conto
di eventi non prevedibili soprattutto dei
processi, si possono inserire clausole di
rinegoziazione del compenso o clausole
pattizie alternative
(articolo ItaliaOggi
Sette del 14.05.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti,
sforbiciata sugli obblighi. Semplificazioni
a 360° dai Raee alla miscelazione di oli
usati. Lo prevede il ddl approvato in senato
che riformula Codice ambientale e
provvedimenti satellite.
Esclusione dalla
disciplina dei rifiuti per sfalci e potature
derivanti dalla manutenzione di giardini e
parchi, semplificazioni per la gestione di
rifiuti da apparecchiature elettriche ed
elettroniche da parte dei venditori di nuovi
beni, allargamento dell'autocompostaggio
«light» a mense e mercati, attenuazione
degli obblighi per la gestione di oli usati
e terre da scavo, alleggerimento dei
controlli ambientali sulle imprese
ecocertificate.
Tornano in pista in parlamento, veicolate da
un autonomo disegno di legge, le
semplificazioni stralciate all'ultimo minuto
(in sede di conversione) dal recente
provvedimento d'urgenza in materia
ambientale (il dl 2/2012) per evitare
possibili censure di incostituzionalità
legate ai presupposti di necessità e
urgenza.
Il nuovo ddl, approvato il 9/5/2012 dal
senato e ora di nuovo alla camera dei
deputati in terza lettura, promette sia di
riformulare i punti nodali della parte
quarta del «Codice Ambientale» (dlgs
152/2006) in materia di rifiuti, sia di
rimodulare i relativi provvedimenti
satellite che disciplinano la stessa
gestione dei beni a fine vita.
Biomasse da manutenzione
verde pubblico.
Il disegno di legge in corso di approvazione
(recante, testualmente, «Modifiche al
dlgs 03.04.2006, n. 152») rivede
innanzitutto il confine tra rifiuti e non
rifiuti, allargando il novero dei materiali
esclusi dal campo di applicazione della
disciplina sui beni a fine vita disegnata
dal dlgs 152/2006.
In particolare, il ddl prevede che non
saranno più considerati «rifiuti»
paglia, sfalci e potature, nonché altro
materiale agricolo o forestale naturale non
pericoloso utilizzati in agricoltura, nella
selvicoltura anche derivante dalla
manutenzione del verde pubblico e privato,
purché tale biomassa abbia le
caratteristiche proprie dei sottoprodotti
(individuate dall'articolo 184-bis del
Codice ambientale) e sia destinata alla
produzione di energia.
Raee.
Il ddl in corsa prevede un allargamento del
regime agevolato che già consente ai
distributori di nuove Apparecchiature
elettriche ed elettroniche (Aee), dietro il
rispetto di precise condizioni, di
raggruppare presso i propri locali i Raee
(Rifiuti da apparecchiature elettriche ed
elettroniche) domestici ritirati dai propri
clienti e procedere in proprio al trasporto
verso un centro di gestione autorizzato.
Il disegno di legge rivede infatti,
allargandoli, i parametri dettati
dall'attuale dm 65/2010 ed entro i quali
tali soggetti possono procedere alla
raccolta e al trasporto dei rifiuti
adempiendo unicamente agli obblighi della
tenuta di uno «schedario di carico e
scarico» e di un «documento di
trasporto» (in luogo dei più complessi «registri
di carico e scarico» e «formulario di
trasporto» previsti dal dlgs 152/2006)
unitamente all'iscrizione semplificata
all'Albo gestori ambientali.
L'allargamento di tale regime agevolato è
effettuato mediante tre mosse: ampliando i
limiti temporali e quantitativi del «deposito»
massimo in situ dei Raee prima di dover
obbligatoriamente procedere al loro
trasporto verso i centri autorizzati;
rimuovendo i limiti al novero degli
automezzi utilizzabili per tale trasporto;
consentendo il conferimento anche a centri
autorizzati alla gestione generale dei
rifiuti ex dlgs 152/2006. In particolare, il
trasporto dei Raee ai centri di raccolta
potrà avvenire su base trimestrale (in luogo
di quella mensile) e comunque quando il
quantitativo superi i 3.500 Kg in relazione,
però, a ogni singolo raggruppamento per
classi omogenee (quelle previste ex allegato
1, dm 185/2007) e non in relazione (come
oggi previsto) al totale di tutti i Raee in
deposito.
Ancora, il trasporto potrà essere effettuato
(contrariamente al regime attuale) anche con
automezzi di portata superiore a 3.500 kg e
massa complessiva superiore a 6.000 kg.
Infine, i Raee potranno essere anche
conferiti a strutture che rispettano i
criteri autorizzatori ex articoli 208, 213 e
216 del dlgs 152/2006 oltre che agli
impianti realizzati e gestiti nel rispetto
delle norme dettate dal dm ambiente
8/4/2008.
Compostaggio non domestico.
È previsto l'allargamento alle utenze non
domestiche della possibilità di procedere
all'autocompostaggio in regime semplificato
rispetto alla gestione dei rifiuti ex dlgs
152/2006.
In base al disegno di legge, non sarà
infatti soggetto al regime autorizzatorio
per gli impianti di gestione dei rifiuti
(articolo 208 del «Codice ambientale»)
il trattamento tramite compostaggio aerobico
o digestione anaerobica dei rifiuti urbani
organici biodegradabili a condizione che:
oggetto del trattamento siano rifiuti
biodegradabili provenienti da cucine e
mense, mercati, parchi e giardini; la
quantità annua totale oggetto di trattamento
non ecceda le 80 tonnellate; il prodotto
ottenuto sia rispettoso del dlgs 75/2010 sui
fertilizzanti e utilizzato nello stesso
territorio comunale nel quale è ottenuto; lo
stoccaggio che precede il trattamento duri
un massimo di 72 ore per rifiuti di cucine,
mense, mercati, non oltre 7 giorni per i
rifiuti da giardini e parchi.
Realizzazione e gestione degli impianti di
compostaggio saranno soggetti alla «denuncia
di inizio attività» ex dpr 380/2001 e
alle norme in materia urbanistica,
ambientale, antincendio, sanitaria,
antisismica, di efficienza energetica e di
tutela paesaggistica. La gestione dovrà
infine avvenire sotto la responsabilità di
un professionista abilitato secondo le
modalità stabilite dal Minambiente con
proprio decreto.
Miscelazione oli usati.
È previsto un ammorbidimento dei divieti di
miscelazione previsti dal dlgs 152/2006 in
relazione alla gestione degli oli usati. Il
ddl in parola sancisce infatti (mediante la
riformulazione dell'articolo 216-bis del
Codice ambientale relativo a tali rifiuti)
la possibilità, nel rispetto delle regole
generali sancite dall'articolo 187, comma 2,
lettera a), b) e c) del dlgs 152/2006, di
miscelare tra di loro gli oli usati sia
nelle fasi del deposito temporaneo che in
quelle di gestione successive.
Terre e rocce da scavo.
In deroga alla disciplina generale sulla
gestione delle terre e rocce da scavo (a
oggi rappresentata dagli articoli 185 e 186
del dlgs 152/2006, quest'ultimo operativo
fino all'emanazione del futuro dm ambiente
previsto dall'articolo 49 del dl 1/2012 che
ne sostituirà le norme) la legge in corso di
approvazione prevede una disciplina speciale
per i materiali da scavo provenienti dalle
miniere dismesse e/o esaurite collocate
all'interno dei siti di interesse nazionale.
Tali materiali, nel tenore del ddl in
itinere, potranno essere riutilizzati nella
medesima area mineraria per riempimenti,
rimodellazioni e miglioramenti ambientali a
condizione che la concentrazione di
inquinanti non superi i parametri ex
allegato V, Parte IV del dlgs 152/2006. Le
aree sulle quali insistono detti materiali
saranno altresì restituite agli usi
legittimi ricorrendo le medesime condizioni
(di rispetto elle soglie di inquinamento)
per i suoli e per le acque.
Riduzione controlli
ambientali.
Allargato l'elenco delle imprese che
potranno godere di un alleggerimento dei
controlli di compatibilità ambientale della
propria attività. Mediante la diretta
modifica del dl 5/2012 il ddl in itinere
prevede infatti che il governo, nel
disciplinare con proprio provvedimento la
materia, dovrà includere tra le attività
oggetto di riduzione del monitoraggio sia
quelle certificate Iso 14001 sia quelle
certificate in base al regolamento Ce n.
1221/2009 (cd. «regolamento Emas»)
(articolo ItaliaOggi
Sette del 14.05.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Assunzioni,
sì alle quote di turn-over non utilizzate.
la Corte dei conti ammette il frazionamento.
Gli enti locali possono
utilizzare per assunzioni negli anni
successivi le quote di turn-over non
utilizzate.
E' questo l'orientamento prevalente della
maggior parte delle sezioni regionali della
Corte dei conti ... (articolo Il Sole 24
Ore del 14.05.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Per le gare telematiche contratti
subito operativi. Il decreto-legge sulla
spesa taglia i tempi negli appalti.
Con le gare telematiche per l'acquisto di
beni e servizi le amministrazioni possono
stipulare immediatamente i contratti
d'appalto e di non applicare i diritti di
segreteria.
Le disposizioni del Dl 52/2012 sulla
spending review hanno definito una serie
di misure ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 14.05.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Sulle
Unioni di Comuni ancora un rinvio.
Tracciare una linea sulla carta è semplice,
pretendere che la realtà si adegui è
esercizio più complesso.
Su questo piccolo problema si sono finora
arenate quasi tutte le norme ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 14.05.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 14.05.2012 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA: Per il T.u. ambientale le riforme
non finiscono mai. Via libera al senato per
il ddl con le novità in materia di rifiuti
da potatura e materassi dismessi.
Non sarà considerato rifiuto il materiale
derivante dalla potatura degli alberi,
proveniente anche dalle attività di
manutenzione delle aree verdi urbane, se
utilizzato per la produzione di energia da
tale biomassa, mediante processi o metodi
che non danneggiano l'ambiente né mettono in
pericolo la salute umana.
Questo l'art. 1
del disegno di legge recante «modifiche al
decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, e
altre disposizioni in materia ambientale»
(T.u. ambientale), approvato in seconda
lettura dal senato il 9 maggio scorso e ora
alla camera per il via libera definitivo.
Ciò dovrebbe porre fine alla «querelle» che
si era originata in varie aree verdi per la
gestione di questo materiale, conteso tra
municipalizzate e altre organizzazioni.
Ma potremmo essere anche alla vigilia
dell'istituzione di una sorta di «Assomaterasso».
Infatti l'art. 19 prevede che il ministero
dell'ambiente entro 90 giorni dalla data di
entrata in vigore della leggi emani un
decreto per la gestione dei materassi
dismessi, specificando le modalità di
recupero, prevedendo l'introduzione di
meccanismi che in osservanza delle normative
nazionali e comunitarie favoriscano il
recupero e l'avvio al riciclaggio dei
materiali impiegati.
Altra norma molto importante è quella
contenuta nell'art. 2 del ddl che prevede
che i materiali di scavo provenienti dalle
miniere dismesse, o comunque esaurite,
collocate all'interno dei siti di interesse
nazionale, possono essere utilizzati
nell'ambito delle medesime aree minerarie
per la realizzazione di reinterri,
riempimenti, rimodellazioni, miglioramenti
fondiari o viari oppure altre forme di
ripristini e miglioramenti ambientali, a
condizione che la caratterizzazione di tali
materiali, tenuto conto del valore di fondo
naturale, abbia accertato concentrazioni
degli inquinanti che si collochino al di
sotto di una certa soglia e qualora
risultino conformi al test di cessione.
Arriva, poi, la norma sulla raccolta degli
indumenti e che cambierà quindi la raccolta
differenziata nelle nostre città. Infatti,
le associazioni di volontariato senza fine
di lucro potranno effettuare raccolte di
prodotti o materiali, nonché di indumenti
ceduti da privati, per destinarli al
riutilizzo, previa convenzione a titolo non
oneroso con i comuni, fatto salvo l'obbligo
del conferimento dei materiali residui a
operatori autorizzati, ai fini del
successivo recupero o smaltimento dei
medesimi (art. 4).
Tali materiali
rientreranno nelle percentuali di raccolta
differenziata. Raccolta differenziata che
verrà indirizzata al riciclo, considerato
prioritario dalle norme e dal nuovo art. 5
che prevede che i soggetti detentori che
conferiscono i rifiuti al trattamento sono
tenuti a intervenire per assicurare, nel
caso in cui la dinamica dei prezzi di
mercato produca esiti diversi, che il prezzo
riconosciuto per il conferimento al riciclo
sia, per la medesima tipologia di rifiuti,
superiore a quello riconosciuto per il
conferimento al recupero energetico. La
violazione di tale obbligo è punita con la
sanzione pecuniaria di 200 euro per ogni
tonnellata di rifiuti.
Non mancano disposizioni che incidono sulla
realizzazione di infrastrutture (art. 15).
Infatti, in tutti i casi in cui possono
essere imposte, dalle autorità competenti e
nei modi consentiti dalla normativa vigente,
misure di compensazione e riequilibrio
ambientale e territoriale in relazione alla
realizzazione di attività, opere, impianti o
interventi, tali misure non possono comunque
avere carattere meramente monetario. Infine,
cambia ancora la validità
dell'autorizzazione per scarichi idrici (non
contenenti sostanze pericolose) che viene
portata da cinque a sei anni (art. 2-bis)
(articolo ItaliaOggi del
12.05.2012). |
ENTI LOCALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Servizi sociali, consorzi ko.
Vanno eliminati a partire dal primo rinnovo
del cda. In caso di scioglimento la
divisione del patrimonio deve avvenire pro
quota.
Un consorzio composto da 144 comuni,
costituito al fine della gestione dei
soggiorni climatici per bambini ed anziani,
rientra, quale consorzio di funzioni, nelle
disposizioni di legge che ne prevedono la
soppressione? Nel caso affermativo, da quale
data decorre la soppressione? Come va diviso
il patrimonio immobiliare tra i comuni
aderenti al consorzio medesimo, in assenza
di una previsione statutaria?
In merito all'individuazione dei consorzi
oggetto delle norme che ne prevedono la
soppressione, va rilevato preliminarmente
che l'art. 31, comma 1, del dlgs n. 267/2000
definisce le attività consortili,
identificandole nella gestione associata di
uno o più servizi e nell'esercizio di
funzioni, delimitando l'ambito di
operatività dell'istituto consortile e
configurando due tipi di consorzi:
1) i consorzi di servizi, ossia quelli che
gestiscono attività a rilevanza economica o,
sulla base di una precisa opzione
statutaria, servizi sociali in forma
imprenditoriale;
2) i consorzi di funzioni che gestiscono
servizi sociali in forma non imprenditoriale
o funzioni meramente amministrative e
strumentali: per tali tipi di consorzi
l'acquisto della personalità giuridica si
collega alla sottoscrizione dell'atto
costitutivo rappresentato dalla convenzione.
In sostanza il consorzio si connota come un
ente con capacità imprenditoriale istituito
dall'ente locale e, quindi, soggetto da esso
distinto, dotato di personalità giuridica.
Ciò considerato, si ritiene che per
«consorzi di funzione» debbano intendersi
quelli previsti e disciplinati dall'art. 31
del Tuel, forme associative, cioè, non
aventi attività economiche e che a questi
intenda riferirsi l'art. 2, comma 186, della
legge n. 191 del 2009, che ne prevede la
soppressione.
In proposito la Corte dei conti, sezione
regionale della Campania, con il parere n.
188 del 29/07/2010 ha chiarito che un
consorzio, istituito per la gestione dei
servizi sociali ex legge n. 328/2000, deve
essere considerato un consorzio di funzioni.
Pertanto, il consorzio costituito al fine
della gestione dei soggiorni climatici per
bambini ed anziani sembra potersi ricondurre
tra quelli per i quali è prevista la
soppressione.
Quanto alla decorrenza dello scioglimento
del consorzio (posto che tra i tanti comuni
aderenti vi sono scadenze differenziate per
l'elezione degli organi) si rileva che sulla
questione si è pronunciata la sezione
regionale di controllo per il Piemonte della
Corte dei conti, con delibera n. 101 del
30/12/2010.
La Corte, in relazione all'art. 1, comma 2,
della legge n. 42/2010 –in cui si prevede,
tra l'altro, che le disposizioni relative
alla soppressione dei consorzi si applichino
a decorrere dal 2011 e per tutti gli anni a
seguire ai singoli enti per i quali ha luogo
il primo rinnovo del rispettivo consiglio,
con efficacia dalla data del medesimo– ha
affermato che il termine «enti», volutamente
generico poiché riferito a più fattispecie
diverse tra loro, nel caso in questione, non
può che indicare, secondo una
interpretazione logico-sistematica, i
singoli consorzi oggetto della prescrizione.
Pertanto essa si applicherà e produrrà i
suoi effetti, «a decorrere dal primo rinnovo
–a partire dal 2011 e per tutti gli anni a
seguire– del consiglio di amministrazione
del Consorzio interessato».
Per quanto attiene alle modalità di
divisione del patrimonio immobiliare tra
tutti i comuni partecipanti al momento della
cessazione del consorzio, ove le
disposizioni statutarie non disciplinino il
caso specifico, la soluzione più ragionevole
si ritiene vada ricercata nelle norme che
regolano il conferimento pro-quota, all'atto
della costituzione della forma associativa,
e, comunque, nella disciplina vigente in
materia di partecipazioni associative
(articolo ItaliaOggi dell'11.05.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Enti a prova di web.
Comuni, accolta l'anagrafe digitale.
Circolare del Viminale sull'invio delle dichiarazioni.
Da ieri i comuni devono agevolare l'invio
delle dichiarazioni anagrafiche dei
cittadini evidenziando sui siti web
istituzionali tutti i recapiti a
disposizione degli utenti. E utilizzare le
nuove procedure informatiche messe a
disposizione degli ufficiali d'anagrafe dal
dipartimento per gli affari interni e
territoriali.
Lo ha stabilito il Ministero dell'Interno
con la
circolare
08.05.2012 n. 10.
La legge 35/2012 ha confermato le nuove
procedure anagrafiche introdotte con il dl
5/2012 che ha innovato la disciplina in
materia di cambi di residenza stabilendo,
tra l'altro, che gli effetti giuridici delle
iscrizioni anagrafiche e delle
corrispondenti cancellazioni decorrono dalla
data della dichiarazione. Ciò significa che
l'iscrizione anagrafica ha efficacia
immediata coincidente con la data di
presentazione della relativa richiesta
attraverso uno dei mezzi previsti dal codice
dell'amministrazione digitale.
Dalla data di
presentazione decorreranno i termini (due
giorni lavorativi) entro cui il comune
destinatario di tale comunicazione è
obbligato alla registrazione della
dichiarazione. Entro i successivi 45 giorni
l'ufficio registrante dovrà provvedere
all'accertamento della sussistenza dei
requisiti previsti per l'iscrizione. Per
illustrare concretamente le procedure
introdotte con il nuovo istituto, in vigore
dal 9 maggio 2012, il Viminale ha diramato
le prime indicazioni il 27 aprile scorso con
la circolare n. 9 (si veda ItaliaOggi dell'01/05/2012).
Con le istruzioni dell'8 maggio
sono state fornite ulteriori precisazioni di
carattere tecnico. Innanzitutto sul portale
ministeriale è stata pubblicata tutta la
modulistica necessaria ad effettuare le
dichiarazioni anagrafiche in conformità
all'art. 13 del dpr 223/1989, specifica la
nota centrale, nonché l'elenco dei documenti
che devono predisporre i cittadini.
Per
assecondare lo spirito di semplificazione
delle procedure anagrafiche sarà però
necessario che i comuni mettano
immediatamente a disposizioni degli utenti
«sul proprio sito istituzionale, gli
indirizzi esatti ai quali inoltrare le
dichiarazioni sopracitate con particolare
riferimento all'indirizzo postale, di posta
elettronica nonché al numero di fax».
Sul
medesimo portale servizidemografici.interno.it,
conclude la nota, è anche disponibile il
manuale operativo dedicato agli addetti ai
lavori
(articolo ItaliaOggi del
10.05.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: La
tua IMU. Le istruzioni per l’uso dei
contribuenti. Le indicazioni Ifel-Anci per
sindaci e amministratori
(articolo
Il Sole 24 Ore del 07.05.2012 - tratto da
www.anci.lombardia.it). |
aggiornamento al 07.05.2012 |
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PUBBLICO IMPIEGO:
Licenziamenti disciplinari, per
gli statali c’è solo il reintegro. In caso
di illegittimità non c’è l’alternativa
indennizzo.
Licenziamenti: per i dipendenti pubblici non
cambierà nulla. Se il provvedimento viene
giudicato illegittimo ci sarà sempre e
comunque il reintegro.
Si chiude così la partita sulle tutele
dell’articolo 18 per gli statali. Ovvero,
senza modifiche. Nessuna convergenza quindi
con le nuove norme previste dalla riforma
del mercato del lavoro elaborata dal
ministro Fornero per il settore privato.
Dopo circa tre mesi di trattativa è stato
raggiunto un protocollo di intesa tra il
ministro della funzione Pubblica, Filippo
Patroni Griffi, le amministrazioni locali e
le organizzazioni sindacali tutte, compresa
la Cgil.
Otto paginette che, dopo un passaggio
formale nella riunione del 10 maggio della
Conferenza unificata degli enti locali,
verranno definitivamente siglate e portate
in Consiglio dei ministri per il varo del
relativo provvedimento: un disegno di legge
delega, ma non è escluso che il premier
possa optare per un emendamento al pacchetto
lavoro all’esame del Senato.
La parte sui licenziamenti, naturalmente, è
solo un pezzo dell’accordo. Che prevede un
nuovo modello di relazioni industriali con
un ruolo più significativo delle
organizzazioni sindacali nei processi di
mobilità e di riorganizzazione; la
razionalizzazione e la semplificazione dei
sistemi di valutazione e premialità; la
valorizzazione del salario di produttività
attraverso la contrattazione di secondo
livello; una spinta alla formazione; un
rafforzamento delle responsabilità dei
dirigenti.
Non manca -e qui c’è il percorso di
convergenza con la riforma Fornero- una
nuova architettura della flessibilità in
entrata. Basta con quella cattiva, basta con
i co.co.co, basta con l’esercito dei
duecentomila precari a vita: anche il datore
di lavoro pubblico dovrà adeguarsi all’idea
che «la forma ordinaria» di
assunzione è «il lavoro subordinato a
tempo indeterminato». Tipologie di
lavoro flessibile saranno ancora
utilizzabili, ma solo «per esigenze
temporanee o eccezionali» e quindi per
durate limitate.
Per gestire la fase di transizione entro il
30 maggio si apriranno una serie di tavoli
ad hoc al ministero con i sindacati,
in modo da superare gradualmente la selva di
contratti di collaborazione, ma anche per
consentire «la proroga e il rinnovo dei
contratti esistenti nell’ambito delle
risorse disponibili». Tra le idee dei
sindacati c’è quella di introdurre anche
nella pubblica amministrazione una sorta di
concorso per gli apprendisti con contratti
di 36 mesi e relativa certificazione valida
ai fini di successive tornate concorsuali.
L’unica forma di licenziamento individuale
prevista resta quella per motivi
disciplinari. A questo proposito l’intesa, «fermo
restando le competenze attribuite alla
contrattazione collettiva nazionale»
prevede «un rafforzamento dei doveri
disciplinari dei dipendenti» e «al contempo
garanzie di stabilità in caso di
licenziamento illegittimo». Ovvero il
reintegro.
Per quanto riguarda i processi di
riorganizzazione e razionalizzazione che
comportano esuberi o trasferimenti, anche in
vista della spending review, i
sindacati hanno chiesto la definizione di
criteri trasparenti e hanno ottenuto il loro
coinvolgimento nelle relative procedure.
«L’intesa sarà una buona base in vista
della delega legislativa che a breve
presenterò al Consiglio dei Ministri»
dice Patroni Griffi. Per la Cgil «è un
primo segnale di discontinuità che riapre,
dopo le macerie prodotte dalla legge
Brunetta, un percorso sindacale che riguarda
il mondo del lavoro pubblico». Gianni
Baratta, segretario confederale Cisl, parla
di «importante traguardo, per la prima
volta l’intesa è condivisa da tutti i pezzi
della pubblica amministrazione».
Soddisfazione anche in casa Uil. Osserva il
segretario confederale Paolo Pirani: «L’intesa
rappresenta una positiva e importante
risposta sia ai temi posti dalla Uil con lo
sciopero generale delle categorie del
pubblico impiego, svoltosi nei mesi scorsi,
sia alla piattaforma presentata per il
rilancio del valore e della qualità del
lavoro pubblico»
(articolo
Il Messaggero del 05.05.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Licenziamenti disciplinari,
l'accordo è più vicino.
Si profila un accordo sindacale articolato
sul documento presentato ieri dal ministro
della Pa e la Semplificazione, Filippo
Patroni Griffi, per la traduzione in norme
valide per il pubblico impiego dei
principi e criteri generali contenuti nel
ddl di riforma del mercato del lavoro. ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 04.05.2012 - tratto
da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Censimento, compensi fuori dal
tetto della contrattazione.
I compensi che i comuni hanno corrisposto o
corrisponderanno ai propri dipendenti per
l'effettuazione del censimento della
popolazione e che sono finanziati dall'Istat
vanno al di fuori del tetto al fondo per la
contrattazione decentrata.
E' questa la indicazione fornita dalla
Ragioneria Generale dello Stato nel conto
annuale del personale ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 04.05.2012 - tratto
da www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE: Acquisti online, niente più
diritti di segreteria. La novità è contenuta
nel decreto legge sulla spending review.
I comuni e le province non potranno più
chiedere il pagamento dei diritti di
segreteria (comunemente conosciuti come
diritti di rogito) per i contratti che
regolino gli acquisti di beni e servizi
scaturenti da modalità elettroniche.
Lo schema di decreto-legge pensato per
determinare i poteri e le funzioni di Enrico
Bondi ai fini della spending review sottrae
alle amministrazioni locali il potere
impositivo di acquisire i diritti di
segreteria, previsti per la stipulazione dei
contratti, nei quali intervenga il
segretario comunale e provinciale,
disapplicando le disposizioni dell'articolo
40 della legge 604/1962 ai casi di acquisti
effettuati mediante sistemi informatici.
L'ipotesi è riferita alle forme di
individuazione del contraente definite dal
dlgs 163/2006 e riferibili al mercato
elettronico della Consip (sia mediante
confronto concorrenziale tra i beni e
servizi presenti nel catalogo, sia mediante
la procedura concorrenziale denominata
“richiesta d'offerta"), alle aste
elettroniche ed infine ai sistemi dinamici
di acquisizione, e ad ogni altro sistema di
selezione del contraente realizzato da
centrali di committenza o da stazioni
appaltanti con modalità informatiche.
La disapplicazione dell'esigibilità dei
diritti di segreteria riguarda
esclusivamente lo strumento selettivo, cioè
la modalità di gara su basi informatiche e
non è connessa al valore del contratto.
Dunque, qualunque sia l'importo del
contratto, i diritti di segreteria non
saranno esigibili, anche laddove la
stipulazione avvenga mediante atto pubblico
in forma amministrativa, redatto dal
segretario comunale e provinciale.
Nel caso degli acquisti da mercato
elettronico Consip, in effetti, i diritti di
segreteria non potrebbero comunque essere
esatti, perché la stipulazione del contratto
avviene attraverso la sottoscrizione con
firma digitale dell'ordine di acquisto
informatico, prodotto al sistema. Da notare
che il decreto estende agli acquisti da
mercato elettronico il beneficio della
possibilità di non attendere il termine
dilatorio di 35 giorni appunto per la
stipulazione del contratto. Il che
consentirà di abbreviare i tempi di
approvvigionamento e di pagamento.
Si tratta indubbiamente di disposizioni
miranti alla semplificazione, che
probabilmente avrebbero dovuto trovare il
loro posto nel d.l. 5/2012, più che nella
disciplina della spending review.
A ben guardare, infatti, la previsione non
comporta alcun taglio della spesa per le
amministrazioni locali, ma anzi implica una
mancata entrata, dal momento che i diritti
di segreteria costituiscono una fonte di
acquisizione di risorse per comuni e
province. Un po' un controsenso,
controbilanciato da una maggiore speditezza
delle procedure e, soprattutto, dalla
riduzione degli oneri a carico delle imprese
appaltatrici
(articolo ItaliaOggi
del 04.05.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Aree
edificabili, caos Imu.
Il pagamento non esclude l'accertamento
dell'ente. Se il comune ravvisa che il
valore venale è superiore scatta l'azione di recupero.
Altra tegola sui contribuenti: anche se
pagheranno l'Imu sui valori delle aree
edificabili indicati dall'amministrazione
comunale, non saranno comunque al riparo da
possibili accertamenti. È l'effetto
dell'abrogazione, disposta dalla legge di
conversione del decreto fiscale, dell'art.
59 del dlgs 446/1997.
Che consentiva ai comuni di individuare i
valori delle aree fabbricabili «al fine
della limitazione del potere di
accertamento» qualora l'imposta fosse stata
versata sulla base di un valore non
inferiore a quello predeterminato dal
comune. Ciò non significa che ai municipi
sia ora preclusa la possibilità di fornire
dei parametri di riferimento utili a
indirizzare i contribuenti nella
quantificazione della base imponibile, ma
qualora l'ufficio tributi reperisse elementi
atti a dimostrare che il valore venale è
superiore a quello a suo tempo indicato
dallo stesso comune, l'azione accertatrice
diventerebbe necessaria, stante il principio
di irrinunciabilità del prelievo tributario
di cui una parte (pari al 3,8 per mille del
valore) è dovuta allo stato.
La norma abrogata. L'art. 59, c. 1 lett. g),
del dlgs 446/1997, con l'intento di ridurre
l'insorgenza del contenzioso in materia di
Ici, riconosceva ai comuni la possibilità di
predeterminare i valori presunti dei terreni
edificabili. Con la conseguenza che, laddove
tale potere veniva esercitato, il
contribuente che versava l'imposta sulla
base degli elementi forniti dall'ente non
poteva essere accertato: neppure
nell'ipotesi in cui l'ufficio tributi fosse
entrato in possesso di riscontri oggettivi
(per esempio perizie di stima o atti di
compravendita) idonei confutare
l'inattendibilità del parametro di
riferimento.
Lo scenario attuale. Dall'art. 14, c. 6, del dlgs n. 23/2011, che in materia di Imu
riconosceva ai comuni la stessa potestà
regolamentare Ici di cui agli art. 52 e 59
del dlgs 446/1997, la legge (n. 44/2012) di
conversione del dl 16/2012 ha espunto il
richiamo all'art. 59. Cosicché l'unico
riferimento normativo resta ora l'art. 52,
il quale, riconoscendo ai comuni la
possibilità di disciplinare le proprie
entrate tributarie (salvo per quanto attiene
all'individuazione e alla definizione delle
fattispecie imponibili, dei soggetti passivi
e dell'aliquota massima), potrebbe indurre a
ritenere che quanto prima previsto dall'art.
59, c. 1, lett. g) sia, comunque, ricompreso
nella più ampia portata dell'art. 52.
In realtà, oltre al rispetto del principio
di riserva di legge di cui all'art. 23 della
Costituzione, occorre evidenziare che la
potestà regolamentare dei comuni non può
neppure travalicare i principi generali
dell'ordinamento tributario, tra cui, ai
fini che qui interessano, vanno ricordati
quello di indisponibilità dell'obbligazione
tributaria e quello di irrinunciabilità del
prelievo tributario.
Il che sta a significare che i comuni
potranno ancora fissare i valori presunti
delle aree edificabili ai fini Imu, ma, in
assenza di una specifica norma di legge,
sarà precluso ai regolamenti limitare
l'attività di accertamento dell'ufficio nei
casi in cui la base imponibile dichiarata
dal contribuente, ancorché in linea con i
parametri comunali, risulti inferiore a
quella effettiva di mercato determinata in
ossequio all'art. 5, c. 5, del dlgs n.
504/1992.
Circolare esplicativa del Mef. Intanto,
l'attesa circolare esplicativa del Mef sulla
disciplina Imu prende tempo. Attesa per
oggi, la nota molto probabilmente arriverà
la prossima settimana
(articolo ItaliaOggi
del 04.05.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Osservatorio Viminale/ Trasferimento non di diritto.
È applicabile a un consigliere comunale il
beneficio di cui all'art. 78, comma 6, del
Tuel, in ordine alla richiesta di
trasferimento temporaneo, fino al termine
del mandato, in una località prossima a
quella nella quale svolge il mandato stesso?
La disposizione normativa richiamata prevede
che la richiesta degli amministratori
lavoratori dipendenti pubblici e privati,
«di avvicinamento al luogo in cui viene
svolto il mandato amministrativo deve essere
esaminata dal datore di lavoro con criteri
di priorità». Priorità che tuttavia non si
identifica con un dovere assoluto di
provvedere in senso favorevole.
Infatti,
l'articolo 78, comma 6, del citato decreto
legislativo, che è norma di garanzia a
favore di tutti i lavoratori dipendenti per
evitare loro restrizioni o limitazioni
all'esercizio delle funzioni connesse
all'espletamento del proprio mandato, se
garantisce agli amministratori lavoratori
dipendenti l'inamovibilità dal posto di
lavoro già coperto, non assicura, tuttavia,
agli stessi il diritto ad essere trasferiti,
su domanda, presso la sede nella quale
espletano il mandato elettorale, dovendo la
richiesta di avvicinamento soltanto «essere
esaminata dal datore di lavoro con criteri
di priorità».
In occasione della richiesta
di avvicinamento, proposta ai sensi del
riferito art. 78, l'amministrazione/datore
di lavoro deve, pertanto, effettuare una
valutazione comparativa tra le esigenze
dell'amministratore/dipendente e quelle
organizzative
dell'azienda/l'amministrazione, quanto meno
riconoscendo al lavoratore investito del
mandato amministrativo il godimento di un
titolo preferenziale.
Il testo della norma conferma, quindi, che
si tratta di una disposizione di stretta
interpretazione che non autorizza a
concludere che al lavoratore, che ricopre
una carica politica, sia riconosciuto il
diritto al trasferimento, bensì attribuisce
allo stesso il solo diritto ad un esame
prioritario della sua istanza, nel rispetto
della specifica disciplina recata
dall''ordinamento speciale
dell'amministrazione di appartenenza
(articolo ItaliaOggi
del 04.05.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Niente
incentivi agli uffici tributi. L'Anutel
non condivide la scelta del governo.
Tra gli effetti prodotti dall'abrogazione
dell'art. 59 rientra l'inapplicabilità della
disposizione che consentiva ai comuni di
riconoscere compensi incentivanti
nell'ambito della lotta all'evasione Ici,
applicabile in ambito Imu grazie al richiamo
dell'art. 59 a opera del dlgs 23/2011.
È una
scelta che non mancherà di produrre
conseguenze negative tra gli addetti agli
uffici tributi e che contraddice lo spirito
iniziale che aveva portato all'istituzione
di quell'incentivo, in un paese ove il
fenomeno dell'evasione fiscale sembra aver
raggiunto livelli altissimi.
Secondo il
legislatore, il contributo che i comuni
possono dare nella gestione della fiscalità
locale è di fondamentale importanza. Anche
la stessa Agenzia delle entrate, al fine di
una maggiore lotta all'evasione, riconosce
un incentivo ai comuni per le segnalazioni
qualificate, quindi implicitamente viene
riconosciuto un maggiore ruolo degli enti
locali che sono conoscitori dei territori,
ma che non hanno gli strumenti propri
dell'Agenzia. Allora perché sminuire il
ruolo di funzionari e operatori che
s'ingegnano a costruire sistemi di controllo
e incrocio di banche dati per il solo fine
di conseguire l'equità fiscale?
Rincorrere
un contribuente che si diletta nell'evasione
o elusione fiscale non è uno sport così
gratificante. La gratifica economica serviva
per dare anche un briciolo di dignità
professionale. Sarebbe stato più saggio
regolare l'incentivo piuttosto che
falciarlo. Ma, caso molto strano,
l'incentivo a determinate figure operanti
nella p.a. viene salvaguardato, operando
così una evidente discriminazione tra i
diversi settori. Se oggi, attraverso
l'eliminazione degli incentivi al personale,
il governo ritiene di ridurre i costi deve
farlo per tutti gli appartenenti alla p.a.
iniziando proprio dai ministeri, dalle
Agenzie, e da tutte le figure che oggi
possono usufruire di norme specifiche di
tutela, in poche parole i sacrifici li fanno
tutti. Non bastavano alcuni provvedimenti
dell'ex ministro Brunetta, relativamente
all'uso dei mezzi propri da parte dei
dipendenti della p.a. per partecipare alle
attività formative?
L'Anutel non può tacere
davanti alla dispersione di un patrimonio
accumulato dai dipendenti negli anni e
dimostrerà come moltissimi comuni saranno
costretti a esternalizzare le attività
accertative, con rimunerazioni che a oggi
raggiungono anche cifre del 40% sulle somme
riscosse, con evidente danno economico
(articolo ItaliaOggi
del 04.05.2012). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Il
Durc dalla cassa edile. Il rilascio solo se
l'ente ha valenza nazionale. Il ministero
chiarisce i requisiti richiesti: reciprocità
e rappresentatività.
Il Durc è un'esclusiva
delle casse edili. Infatti, non può essere
emesso da organismi operativi al solo
livello territoriale, non costituiti sulla
base di ccnl comparativamente più
rappresentativi e non in possesso di
collegamento con la Cnce (che garantisce
l'osservanza del principio di reciprocità
tra le diverse casse edili provinciali).
A precisarlo è il Ministero del Lavoro nella
nota 02.05.2012 n.
8367 di prot., in risposta alle
richieste di chiarimenti in merito ai
criteri di individuazione delle casse edili
ai fini della verifica della legittimazione
al rilascio del documento unico di
regolarità contributiva.
Enti bilaterali.
Il ministero ribadisce, prima di tutto, che
ai fini della costituzione di un ente
bilaterale (qual è una cassa edile)
legittimato allo svolgimento dell'attività
certificativa, la fonte normativa di
riferimento è l'articolo 2, lettera h, del
dlgs n. 276/2003 (riforma Biagi), il quale
individua tali organismi come quelli «costituiti
a iniziativa di una o più associazioni dei
datori e dei prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative»;
nonché il dm 24.10.2007, attuativo della
legge n. 296/2006, il quale specifica che il
requisito della maggiore rappresentatività
comparata deve essere posseduto da ciascuna
organizzazione, sia datoriale sia sindacale,
che concorre alla costituzione della cassa
edile (articolo 2, comma 2).
Principio di reciprocità.
In secondo luogo, aggiunge il ministero, le
casse abilitate sono quelle che osservano il
cosiddetto principio di reciprocità in base
al quale, al fine di armonizzare le
dichiarazioni di regolarità contributiva
rilasciate dalle diverse casse edili
operanti sul territorio nazionale, si ha un
reciproco riconoscimento dei versamenti
operati presso ciascuna di esse.
Si tratta, precisa il ministero, di un
requisito imprescindibile poiché il dlgs n.
163/2006 stabilisce che «le casse edili
che non applicano la reciprocità con altre
case edili regolarmente costituite non
possono rilasciare dichiarazioni liberatorie
di regolarità contributiva» (articolo
252, comma 5). Tale principio, spiega il
ministero, è oggi assicurato attraverso la
cooperazione telematica con la commissione
nazionale paritetica per le casse edili (Cnce).
L'esclusiva delle casse
edili.
In conclusione, il ministero spiega che il
possesso dei predetti requisiti è «elemento
di carattere costitutivo ai fini della
possibilità per le casse di svolgere gli
adempimenti certificativi» legati alla
regolarità contributiva (Durc).
Ne deriva che gli organismi che non ne sono
in possesso, perché operanti al solo livello
territoriale, non costituiti da contratti
collettivi stipulati dalle organizzazioni
comparativamente più rappresentative e non
in possesso del requisito della reciprocità
assicurato dal collegamento con la Cnce, «non
possono definirsi casse edili ai sensi del
dlgs n. 276/2003 e, conseguentemente, non
possono rilasciare il Durc». Pertanto,
eventuali attestazioni di regolarità
rilasciate da tali casse devono considerarsi
giuridicamente inefficaci a tutti gli
effetti di legge
(articolo ItaliaOggi
del 03.05.2012). |
aggiornamento al 02.05.2012 |
|
ENTI LOCALI - VARI: Pratiche anagrafiche da casa.
Basta una mail al comune. Allegando la carta
d'identità. Circolare del ministero
dell'interno attua il decreto
semplificazioni. Si parte il 9 maggio.
Dal prossimo 9 maggio, i cittadini potranno
presentare le istanze di variazione
anagrafica stando comodamente seduti davanti
al proprio personal computer. Sarà infatti
possibile trasmetterle attraverso il proprio
indirizzo di posta elettronica certificata,
ovvero, in mancanza della Pec, attraverso la
mail personale allegando la fotocopia del
documento di identità. Senza dimenticare che
sarà altresì possibile, a tali fini,
l'utilizzo del fax o della raccomandata.
È quanto mette nero su bianco il
dipartimento dei servizi demografici del
Ministero dell'Interno, nel testo della
circolare 27.04.2012 n. 9
che fornisce i necessari chiarimenti
attuativi delle disposizioni contenute
all'articolo 5 del decreto legge
semplificazioni (il decreto legge del 09.02.2012, numero 5) in materia di
cambio di residenza in tempo reale.
In attesa dell'imminente regolamento
attuativo, pertanto, la circolare del
Viminale ricorda che le disposizioni ivi
contenute acquistano efficacia a decorrere
da 90 giorni dalla data di pubblicazione del
decreto stesso, ovvero dal 9 maggio. Ne
consegue che alle dichiarazioni anagrafiche
presentate da tale data, dovranno applicarsi
le disposizioni semplificative che, nel caso
in esame, eviteranno ai cittadini il
disturbo di presentarsi agli sportelli degli
uffici anagrafe del comune di residenza.
In pratica, tra otto giorni, oltre alla
consueta presentazione diretta allo
sportello, i cittadini avranno la
possibilità di presentare le variazioni
anagrafiche anche per il tramite della
raccomandata, del fax e per via telematica.
Quest'ultima rappresenta una vera e propria
rivoluzione nel rapporto tra utente e
amministrazione comunale, facendo
risparmiare tempo e garantendo al tempo
stesso la veridicità e la certezza dei dati
che si intendono variare.
Infatti, sarà possibile variare i propri
dati anagrafici per via telematica al
realizzarsi di una delle seguenti
condizioni. Ovvero che la dichiarazione sia
sottoscritta dall'utente con firma digitale,
oppure che il sottoscrittore sia
identificato tramite carta d'identità
elettronica, con carta nazionale dei servizi
o con strumenti che consentano
l'individuazione del soggetto che effettua
la dichiarazione. In alternativa, sarà
considerata valida anche la dichiarazione
trasmessa attraverso la casella di posta
elettronica certificata o, in assenza,
attraverso una casella di posta elettronica
semplice. In quest'ultimo caso, è necessario
che la copia della dichiarazione con firma
autografa e la copia della carta d'identità
del soggetto dichiarante siano allegati
all'istanza con l'ausilio di uno scanner.
È quindi ovvio che in questi giorni alle
amministrazioni comunali verrà chiesto uno
sforzo non indifferente in quanto dovranno
implementare le funzioni e i contenuti dei
propri siti internet istituzionali. A tal
fine, la circolare in oggetto ricorda che
gli enti locali dovranno obbligatoriamente
indicare nei propri siti web, tutti gli
indirizzi esatti ai quali inoltrare le
dichiarazioni, con particolare riferimento
all'indirizzo di posta, di posta
elettronica, nonché al numero di fax.
Adempimenti che sono considerati essenziali
per i comuni, in quanto, come previsto dal
dpr in corso di adozione, questi dovranno
registrare le dichiarazioni entro due giorni
lavorativi dal ricevimento delle stesse.
In
particolare, sia a coloro che si presentano
allo sportello che nei confronti di chi
utilizza le altre modalità, l'ufficiale di
anagrafe dovrà rilasciare all'interessato
un'apposita comunicazione di avvio del
procedimento con l'apposita formula «si
comunica che a seguito della variazione
anagrafica, quest'ufficio provvederà ad
accertare la sussistenza dei requisiti
previsti e che, trascorsi 45 giorni dalla
dichiarazione resa in assenza di
comunicazione in merito alla mancanza dei
requisiti, la variazione (ovvero
l'iscrizione o la registrazione) si intende
confermata»
(articolo ItaliaOggi
del'01.05.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Personale.
Deroga ampia su scuola e polizia.
Dal 2013 i vincoli sui rapporti flessibili
si possono evitare per tutto il settore.
In nessun caso però i Comuni possono
superare la spesa sostenuta per le stesse
finalità nel 2009.
APPLICAZIONE GENERALE/
Anche negli enti «minori» il via libera
offerto dalla Corte dei conti non può
oltrepassare i tetti relativi alle uscite.
Si ampliano le possibilità per gli enti
locali di effettuare assunzioni flessibili,
ma rimangono i limiti di spesa che
determinano una contrazione nel ricorso a
questo istituto: possono essere così
sintetizzati gli effetti del delle novità
contenute nell'articolo 4-ter della legge di
conversione del Dl 16/2012 e nel parere
delle sezioni riunite di controllo della
Corte dei Conti n. 11/2012.
Le nuove regole prevedono che dal 2013 il
tetto del 50% della spesa sostenuta nel 2009
non si applichi alle assunzioni con
contratti flessibili del personale
«strettamente necessario a garantire
l'esercizio delle funzioni di polizia
locale, di istruzione pubblica e del settore
sociale». Si amplia quindi la deroga
prevista dal Milleproroghe per il 2012, che
riguarda solo il personale educativo e
docente, la polizia municipale (non
provinciale) e le stabilizzazioni di Lsu in
corso.
La deroga tocca ora negli enti locali
tutti i dipendenti impegnati nelle funzioni
istruzione (quindi non solo i docenti),
della vigilanza (e non solo la polizia
municipale) e dei servizi sociali.
L'applicazione è rimessa all'autonomia delle
amministrazioni. A fronte dell'ampliamento
delle deroghe, il legislatore ha previsto -a differenza del 2012- il divieto di
superamento della spesa per le assunzioni
flessibili del 2009.
Le deroghe previste dalla Sezioni unite di
controllo della magistratura contabile sono
limitate: si consente agli enti locali di
derogare ai vincoli dettati dall'articolo 9,
comma 28, del Dl 78/2010, ma questo non può
evitare la riduzione del tetto alla spesa.
La deroga riguarda, in particolare, gli
«enti di minore dimensione per salvaguardare
particolari esigenze operative». Essa può
essere prevista per imporre un limite
cumulativo al complesso delle assunzioni
flessibili, senza la suddivisione indicata
dalla norma. Il carattere limitato è dato
dalla precisazione che «resta comunque ferma
l'esigenza che vengano raggiunti gli
obiettivi di fondo della disciplina e che
venga assicurata la riduzione di spesa
nell'esercizio finanziario per le forme di
assunzione temporanea elencate».
Le interpretazioni fornite dalle sezioni
regionali di controllo includono infine nel
tetto le assunzioni di dirigenti e
responsabili ex articolo 110 e del personale
dell'ufficio di staff degli organi politici
ex articolo, 90 sempre del Dlgs 267/2000. In
modo prevalente, viene detto che la spesa
necessaria per garantire l'esercizio
associato tramite convenzioni ex articolo 30
del Tuel non va inclusa nel tetto. Vanno
invece inclusi gli oneri per l'utilizzo di
personale in modo associato tra più enti,
sia che ciò avvenga attraverso l'articolo 14
del contratto del 22.01.2004, sia che
si realizzi attraverso il comma 557 della
Finanziaria 2005 (utilizzazione extra orario
da parte dei piccoli comuni di dipendenti di
altri enti locali).
Rimane da chiarire se
gli oneri derivanti dalla utilizzazione di
personale di altra Pa in comando debba
essere compresa nel tetto alla spesa per le
assunzioni flessibili. E se quelle che sono
interamente finanziate da altri soggetti,
pubblici o privati (ad esempio i vigili
stagionali i cui oneri sono sostenuti
attraverso una quota dei proventi derivanti
dalle sanzioni per le inosservanze al codice
della strada), siano da includere nel tetto
o se si debba applicare in modo estensivo la
esclusione prevista in questi casi dal tetto
alla spesa del personale.
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I passaggi
01 | GLI AMBITI
La normativa particolare riguarda i settori
della Polizia locale, dell'istruzione
e il settore sociale
02 | IL PROBLEMA
In questi settori, soprattutto
nell'istruzione e nei servizi sociali,
l'incidenza dei contratti a termine è molto
alta. Per questa ragione l'estensione ai
contratti a termine dei vincoli del turn
over previsti per le assunzioni stabili
avrebbe determinato grossi problemi di
operatività
03 | IL PRIMO INTERVENTO
Il decreto «Milleproroghe» (articolo 1,
comma 6-bis, del Dl 216/2011) aveva rimandato
al 2013 l'applicazione dei vincoli di turn over al personale educativo, scolastico e di
vigilanza
04 | IL DECRETO FISCALE
Il nuovo intervento amplia le deroghe,
permettendo agli enti locali di superare dal
2013 i tetti in relazione ai contratti
«strettamente necessari a garantire
l'esercizio delle funzioni di polizia
locale, di istruzione pubblica e del settore
sociale». In questo modo, la deroga può
riguardare tutte le tipologie di personale
nei settori indicati
05 | LA SPESA
Mentre amplia i confini della deroga, la
norma introduce però un nuovo limite, in
virtù del quale in nessun caso, gli enti
locali possono però superare la spesa
registrata per le stesse finalità nel 2009 (articolo Il Sole 24
Ore del 30.04.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Niente assunzioni solo con il Patto. Nota Anci sui limiti per gli enti
locali.
I limiti nell'assunzione di personale a
tempo indeterminato, previsti dal decreto
legge 78/2010, non riguardano gli enti non
sottoposti al Patto di stabilità.
È quanto
sostiene la
nota
27.04.2012 dell'Anci, in cui si
spiega che sebbene le sezioni riunite della
Corte dei conti abbiano di recente sostenuto
che i limiti alle assunzioni riguardino
tutti gli enti, «a oggi la normativa vigente
per gli enti non sottoposti al Patto è
quella di cui alla legge 27.12.2006,
n. 296», che stabilisce altre modalità di
contenimento delle spese per il personale.
In particolare, all'articolo 1, comma 562, si
prevede che: «Per gli enti non sottoposti
alle regole del patto di stabilità interno,
le spese di personale, al lordo degli oneri
riflessi a carico delle amministrazioni e
dell'Irap, con esclusione degli oneri
relativi ai rinnovi contrattuali, non devono
superare il corrispondente ammontare
dell'anno 2004. Gli enti di cui al primo
periodo possono procedere all'assunzione di
personale nel limite delle cessazioni di
rapporti di lavoro a tempo indeterminato
complessivamente intervenute nel precedente
anno, ivi compreso il personale di cui al
comma 558».
Insomma, regole ad hoc, che secondo l'Anci
la Corte dei conti non tiene in
considerazione, contraddicendo peraltro, nel
parere n. 11/2012 reso dalle sezioni
riunite, e senza fornire alcuna motivazione,
quanto precedentemente affermato in diverse
pronunce in relazione al rapporto fra il
comma 562 della Finanziaria 2007 ed il comma
7 dell'art. 76 del dl n. 78 del 31.05.2010. Norme che, relativamente alla parti
che dispongono limitazioni alle assunzioni,
non sono state modificate da alcun
intervento successivo.
A tal proposito, l'Anci
cita le delibere n. 3, 4 e 20 del 2011. Per
giungere infine alla conclusione che ad
oggi, non essendo stato modificato il quadro
normativo di riferimento, relativamente alle
assunzioni a tempo indeterminato negli enti
non sottoposti al patto di stabilità trova
appunto applicazione il comma 562
dell'articolo unico alla legge 27.12.2006, 296 (articolo ItaliaOggi
del 28.04.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Osservatorio
Viminale/ Decadenze nell'unione in
scioglimento.
Quesito.
Nel caso di un'Unione di Comuni che
si scioglierà a decorrere dal 1° gennaio, e
per la quale le attività di liquidazione si
concluderanno oltre il 31 dicembre dell'anno
precedente, gli organi di gestione dell'ente
decadono alla data di cessazione dell'ente
stesso o rimangono in carica fino alla
conclusione delle operazioni di
liquidazione?
Risposta.
L'Unione di comuni, disciplinata
dall'articolo 32 del Testo unico n.
267/2000, si configura come una forma di
associazione volontaria tra comuni, la quale
attraverso l'adozione dell'atto costitutivo
e dello statuto, dà vita ad un ente locale a
tutti gli effetti, distinto dagli enti che
la compongono, che gode di un'ampia potestà
organizzativa e funzionale, posto che il
legislatore ha delineato solo gli elementi
essenziali, inderogabili dell'istituto,
demandando all'autonomia statutaria e
regolamentare la disciplina degli organi e
della propria organizzazione (art. 32
citato, comma 4).
Se lo statuto dell'ente, in merito alle
procedure di scioglimento prevede un termine
entro il quale il consiglio di
amministrazione deve nominare un commissario
liquidatore, da tale data gli organi
dell'Unione non hanno più alcuna competenza
e decadono, trovandosi l'ente in fase di
gestione liquidatoria, affidata al
commissario appositamente nominato.
Si reputa, pertanto, che l'organo che
dovrebbe essere mantenuto in vita è il
consiglio di amministrazione, al quale il
commissario liquidatore presenterà la
proposta di bilancio e il piano di riparto
delle risorse strumentali, patrimoniali e
del personale, indicante la parte spettante
a ciascun comune, per l'approvazione.
Nel caso in cui il termine assegnato
convenzionalmente al liquidatore dalla norma
statutaria per la predisposizione degli atti
consenta che le operazioni si protraggano
oltre la data prevista, e pertanto
proseguano per tutto il tempo necessario
alla loro conclusione, decorso
infruttuosamente detto termine, il Prefetto
valuterà, ove la normativa regionale non
disponga diversamente, la sussistenza dei
presupposti per avviare le procedure di cui
alle disposizioni dell'articolo 141, comma
8, del Testo unico n. 267/2000
(articolo ItaliaOggi
del 27.04.2012). |
APPALTI: Dl
fiscale. Si ampliano i vincoli di
solidarietà per le somme che sono dovute
all'amministrazione finanziaria
Appalti, responsabilità estesa.
Il committente paga Irpef e Iva se non
versano appaltatore e subappaltatori.
IL PUNTO CRITICO/
Difficile dimostrare che l'irregolarità è
avvenuta pur avendo preso tutte le
precauzioni necessarie per evitarla.
La responsabilità solidale nei contratti di
appalto fra appaltatore e subappaltatori ora
si estende anche al committente per quanto
riguarda i versamenti all'Erario delle
ritenute Irpef sul lavoro dipendente e
dell'Iva dovuta sulle prestazioni oggetto
dell'appalto.
Lo prevede l'articolo 2, comma 5-bis, del
decreto fiscale 16/2012 convertito in legge
che sostituisce il comma 28, dell'articolo
35 del Dl 223/2006. In confronto alla norma
preesistente viene estesa la solidarietà a
carico del committente o datore di lavoro
anche in relazione al versamento dell'Iva da
parte del prestatore. La solidarietà permane
anche per l'appaltatore che è committente
per i contratti di subappalto. La
responsabilità del committente opera per
tutta la durata del contratto e ha effetto
fino al secondo anno successivo alla
cessazione dell'appalto.
La nuova norma è fortemente penalizzante per
il committente di opere o di servizi il
quale, di fatto, assume la responsabilità in
ordine al versamento delle ritenute fiscali
e dell'Iva sia da parte dell'appaltatore che
degli eventuali subappaltatori. Però viene
anche disposto che se il committente ha
messo in atto tutte le cautele possibili per
evitare l'inadempimento è liberato dalle
responsabilità.
Il vero problema a carico del committente,
quindi, rimane la dimostrabilità del fatto
che il mancato versamento dell'Iva e delle
ritenute si è verificato pur avendo
adottando gli opportuni accorgimenti: a noi
pare una prova diabolica.
Ci si chiede, infatti, quale sia il mezzo
che dovrà essere adottato dal committente
per non cadere nella responsabilità
solidale, alla luce del dato letterale del
comma 5-bis: «che dimostri di aver messo in
pratica tutte le cautele possibili per
evitare l'inadempimento». In pratica, in un
contratto di appalto, il committente
dovrebbe richiedere ai propri appaltatori e
ai subappaltori un documento equipollente al
Documento unico di regolarità contributiva
previsto per gli obblighi previdenziali.
Diversamente il committente può essere
chiamato al versamento all'Erario dell'Iva,
peraltro già pagata al fornitore e delle
ritenute Irpef sul reddito da lavoro dei
dipendenti altrui.
Relativamente alle ritenute fiscali, la
prova più semplice può essere l'inoltro da
parte degli appaltatori e subappaltatori dei
modelli F24 relativi ai suddetti versamenti.
Invece la prova del versamento dell'Iva è
pressoché impossibile, in quanto il
versamento è il risultato della liquidazione
Iva che comprende molte altre operazioni.
Anche il ricorso al cassetto fiscale
dell'appaltatore e del subappaltatore non è
possibile essendo vietato l'accesso a
soggetti non autorizzati.
Si ricorda che in materia di Iva (e non per
le ritenute) il Dpr 633/1972 prevede già per
alcune fattispecie la solidarietà nel
pagamento dell'imposta. L'articolo 60-bis
stabilisce che il cessionario è solidamente
obbligato al pagamento dell'imposta non
versata dal cedente. Tale regola opera solo
con riferimento alle operazioni di cessione
individuate dal Dm 22/12/2005 ( auto, moto e
rimorchi; prodotti di telefonia e accessori; pc, componenti ed accessori; bovini, ovini e
suini vivi e loro carni fresche) ma solo nel
caso in cui la cessione sia avvenuta a un
prezzo inferiore al valore normale.
La modifica introdotta dal decreto fiscale è
molto più forte e sostituisce il committente
a un obbligo dell'appaltatore o
subappaltatore che potrebbe aver omesso il
versamento anche per gravi difficoltà
finanziarie. La nuova disposizione ricalca
le regole previste per il versamento dei
contributi previdenziali e dei contributi
assicurativi obbligatori per gli infortuni
sul lavoro e le malattie professionali dei
dipendenti a cui sono tenuti in prima linea
l'appaltatore e l'eventuale subappaltatore.
Questi adempimenti sono stati più volte
oggetto di chiarimenti da parte del
ministero del Lavoro e dell'Inps. La
certificazione del corretto adempimento
previdenziale avviene mediante la
presentazione da parte del subappaltatore
all'appaltante del modello Durc.
---------------
Il nuovo regime
01 | LA NORMA
L'articolo 2 del Dl 16/2012 prevede
l'estensione al committente della
responsabilità solidale nei contratti di
appalto fra appaltatore e subappaltatori per
quanto concerne i versamenti all'Erario
delle ritenute Irpef sul lavoro dipendente e
dell'Iva prevista sulle prestazioni oggetto
di appalto
02 | AMBITO DI APPLICAZIONE
La responsabilità si applica ad appalti di
opere e servizi per tutta la durata del
contratto e fino al secondo anno successivo
alla cessazione dell'appalto. L'Iva dovuta
in base alla dichiarazione e le ritenute
fiscali sono accertabili entro il quarto
anno successivo a quello in cui è stata
presentata la dichiarazione dell'appaltatore
e del subappaltatore
03 | ONERE DELLA PROVA
Il committente evita la solidarietà se
dimostra di aver messo in atto tutte le
cautele possibili per evitare
l'inadempimento. Tuttavia tale prova appare
di difficile attuazione, in particolare per
quanto riguarda il versamento dell'Iva
04 | L'ANALOGIA
La nuova norma ricalca gli obblighi in tema
di versamento dei contributi previdenziali e
assicurativi obbligatori per gli infortuni
(articolo Il Sole 24
Ore
del 27.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Pa,
licenziamenti disciplinari più semplici.
In arrivo la delega sull'articolo 18 per gli
statali: tipizzazione dei casi che fanno
scattare la sanzione
ADDIO AI CO.CO.CO/
Più autonomia per i dirigenti, taglio delle
consulenze, riordino del reclutamento e
cambio di politica sui contratti a termine.
Un disegno di legge con una delega per la
regolazione dei licenziamenti disciplinari
nelle pubbliche amministrazioni, per i quali
dovrà essere razionalizzata la struttura
attuale delle sanzioni e introdotta una
tipizzazione delle ipotesi che possono
giustificare il licenziamento per motivi
soggettivi.
Parte da qui la proposta
operativa che il ministro della Pa e della
Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, sta
mettendo a punto per la traduzione in norme
dei «principi e criteri generali» contenuti
nella riforma Fornero. La ri-regolazione del
pubblico impiego si muoverà su un indice
articolato e complesso, che i tecnici di
palazzo Vidoni stanno ancora limando in
vista del prossimo incontro con i sindacati
(la data è da confermare ma dovrebbe essere
il 4 maggio) sapendo che tutto dovrà essere
pronto entro la metà di maggio.
Oltre all'armonizzazione delle norme sul
mercato del lavoro, vale a dire i contratti
flessibili in entrata e le regole sui
licenziamenti, si punta a un nuovo insieme
di misure per rafforzare la responsabilità e
l'autonomia dei dirigenti; un taglio delle
consulenze esterne; una nuova impostazione
delle politiche di reclutamento che passa
anche per il rilancio del vecchio progetto
di riordino delle scuole superiori della Pa;
una rivisitazione del ciclo della
performance, che prevede una condivisione
con i sindacati nella gestione delle scelte
organizzative delle amministrazioni.
Licenziamenti disciplinari.
Se per i licenziamenti discriminatori (o
nulli) non serviranno norme di equiparazione
tra pubblico e privato e se per i
licenziamenti per giustificati motivi
oggettivi (quelli economici) la cornice
regolatoria già esiste ed è l'articolo 33
del Dlgs 165/2001 con la prevista mobilità
del personale in disponibilità (dichiarato
in eccedenza a conclusione della relativa
procedura), un intervento ad hoc servirà per
i disciplinari.
Tenendo conto dei vincoli
costituzionali, della diversa natura della
funzione pubblica che prevede maggiori
doveri e pretende diverse garanzie ai
dipendenti di un'amministrazione pubblica
rispetto a quelli di un'azienda privata, con
la delega si punta a introdurre una serie di
ipotesi di giustificato motivo soggettivo e
a ricalibrare il sistema delle sanzioni
conservative o espulsive che, tra l'altro,
sono differenziate a seconda che si tratti
di funzionari o di dirigenti.
Una delega,
insomma, per rendere più certe le situazioni
che fanno scattare il licenziamento in casi
disciplinari. Con la prospettiva, in caso di
sentenza che boccia il licenziamento, del
reintegro del dipendente piuttosto che del
suo indennizzo; ipotesi peraltro già bollata
da incostituzionalità dal Giudice delle
leggi.
Dirigenza con più autonomia.
Nel quadro della privatizzazione del
contratto dei dirigenti con il Ddl Patroni
Griffi si punterebbe a rafforzare
l'autonomia dei dirigenti dall'indirizzo
politico e la responsabilità nella gestione
dell'organizzazione e delle risorse
dell'amministrazione.
Probabilmente verrà proposto un meccanismo
di conferma automatica a fine incarico
(fatti salvi casi oggettivi di inadempienza)
per mettere a riparo i direttori generali da
logiche non regolate di spoil system. Misure
che verrebbero affiancate da un forte giro
di vite sugli incarichi esterni, da limitare
esclusivamente a casi di assoluta eccellenza
e per posizioni particolari.
Sempre sulla
dirigenza, il ministro vuole proporre una
riforma dell'attuale sistema di reclutamento
che passa anche per un riordino delle cinque
scuole di alta formazione: ai nuovi
dirigenti dello Stato dovrebbe essere
assicurata una formazione comune, come nelle
esperienze di Francia e Regno Unito, in
maniera da poter garantire reali possibilità
di trasferimento da un'amministrazione a
un'altra superando canali impropri come il
reclutamento esterno o il «comando» di
dirigenti fuori dai ruoli.
Contratti a termine.
L'idea è di abbandonare il contratto
coordinato e continuativo con
un'equiparazione stretta con il settore
privato. I contratti a termine, che comunque
non potranno essere trasformati in contratti
a tempo indeterminato perché resta il
vincolo dell'accesso per concorso nella Pa,
verranno molto ricalibrati: per quelli molto
brevi verrà recepita la riforma Fornero
mentre per quelli fino a 36 mesi si
penseranno formule tipo il corso-concorso,
mirate per qualificare il più possibile
questi rapporti temporanei d'impiego.
Ciclo della performance.
Per superare alcune difficoltà applicative
del sistema di valutazione introdotto dalla
riforma Brunetta si punta poi a un
superamento delle analisi delle performance
basate sulla logica dell'adempimento. L'idea
è quella di favorire un maggior
coinvolgimento delle organizzazioni
sindacali nella definizione dei criteri di
valutazione e delle scelte organizzative
delle amministrazioni che, dopo l'ultima
riforma, dovrebbero essere invece
semplicemente comunicate ai sindacati
(articolo Il
Sole 24 Ore
del 26.04.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 26.04.2012 |
|
LAVORI PUBBLICI: Appalti,
responsabilità solidale dalla fine dei
lavori.
Il termine di due anni di durata della
responsabilità solidale tra appaltatore e
subappaltatore decorre dalla cessazione dei
lavori del subappaltatore, non dalla
cessazione dell'appalto (del contratto cioè
tra committente e appaltatore).
Lo precisa
il ministero del lavoro nella
nota
13.04.2012 n. 7140 di prot., rispondendo a un
quesito dell'associazione nazionale dei
costruttori edili (Ance).
Responsabilità solidale. L'Ance, in
particolare, ha chiesto chiarimenti sulla
corretta applicazione del cosiddetto regime
di responsabilità sociale disciplinato
dall'articolo 29, comma 2, del dlg n.
276/2003 e modificato dal recente decreto
semplificazioni (articolo 21 del dl n.
5/2012 convertito dalla legge n. 32/2012).
Tale regime, in sostanza, prevede che in
caso di appalto di opere o servizi, il
committente imprenditore o datore di lavoro
è obbligato in solido con l'appaltatore,
nonché con ciascuno degli eventuali
subappaltatori, entro il limite di due anni
dalla cessazione dell'appalto, a
corrispondere ai lavoratori i trattamenti
retributivi, comprese le quote di
trattamento di fine rapporto (tfr), nonché i
contributi previdenziali e i premi
assicurativi dovuti in relazione al periodo
di esecuzione del contratto di appalto,
restando escluso qualsiasi obbligo per le
sanzioni civili di cui risponde solo il
responsabile dell'inadempimento
(quest'ultima esclusione è una delle novità
introdotte dal dl n. 5/2012).
L'Ance ha
chiesto se «il limite dei due anni dalla
cessazione dell'appalto debba intendersi con
riferimento all'appalto in generale o con
riferimento, nei casi di responsabilità
solidale nei confronti dei subappaltatori,
anche al termine del singolo lavoro oggetto
di subappalto».
I chiarimenti.
Il ministero ritiene che il limite dei due
anni «indica l'appalto tra committente e
appaltatore, il che, trasposto nell'ambito
dei rapporti tra appaltatore e
subappaltatore, non può che riferirsi al
contratto di appalto tra questi due soggetti».
Più precisamente, aggiunge il ministero, «i
due anni, nel caso di subappalto, non
possono che decorrere dalla cessazione dei
lavori del subappaltatore (in forza del
relativo contratto di subappalto)».
Una diversa interpretazione, prosegue il
ministero, porterebbe a sostenere che per
gli appalti che durano molti anni, in cui si
susseguono diversi subappaltatori,
l'appaltatore principale rimanga legato con
tutte le imprese subappaltatrici per
l'intero periodo. La norma, invece, vuole
porre un termine giuridico certo nei
rapporti di solidarietà intercorrenti anche
tra appaltatore e subappaltatore termine che
non può che decorrere dalla fine dei lavori
del subappaltatore.
Del resto, spiega infine il ministero, anche
ai fini di una concreta operatività
dell'istituto, i lavoratori del
subappaltatore mentre conoscono il termine
dei lavori svolti dalla propria impresa (e
quindi la decorrenza dei due anni per agire
in solidarietà) non conoscono il termine
finale dell'intero appalto, né sono tenuti
giuridicamente ad averne conoscenza
(articolo ItaliaOggi del 24.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - VARI:
Tra calcoli di aliquote e rate
all'Imu va il record di complessità. Le
istruzioni per il versamento dell'imposta
contenute nel decreto di semplificazione tributaria.
L'Imu si candida a vincere il record di
complessità e, ironia della sorte, a farla
atterrare sul nostro ordinamento tributario
è la legge di conversione del dl 16/2012
dedicato alle semplificazioni fiscali. Ecco
l'Imu, che consente il pagamento di quanto
dovuto per l'abitazione principale in tre
rate (giugno, settembre e dicembre). Ma se
il contribuente possiede, per esempio, anche
un secondo garage e, semmai, un piccolo
orticello, per questi due immobili dovrà
versare il tributo in due tranche (giugno e
dicembre).
Poi, nel nuovo modello F24 il
malcapitato contribuente dovrà indicare
cinque distinti codici tributo, perché per
ciascuna tipologia immobiliare occorre
distinguere la quota dell'Imu riservata allo
stato rispetto a quella residuale destinata
al comune. La prima rata dovrà essere
calcolata applicando le aliquote fissate
dalle legge. Dopo di che, per il conguaglio,
si navigherà a vista. Non è, infatti,
possibile quantificare con esattezza
l'importo complessivamente dovuto per il
2012, perché i comuni potrebbero modificare
fino al 30 settembre le delibere già
adottate, muovendo l'asticella delle
aliquote e delle detrazioni rispetto ai
limiti fissati dalla legge nazionale. Che,
paradossalmente, un provvedimento del
governo potrebbe modificare fino al 10
dicembre.
A ciò si aggiunga che ove i
municipi dovessero stabilire trattamenti di
favore per talune fattispecie immobiliari,
il contribuente che effettuasse il pagamento
della prima rata sulla base di tali
decisioni potrebbe poi trovarsi esposto a
contestazioni qualora le agevolazioni
dovessero essere, entro il 30 settembre,
soppresse o ridotte, con effetto
retroattivo, dal comune stesso.
Esaminiamo, in sintesi, quello che dovrebbe
essere l'assetto definitivo su pagamenti e
dichiarazioni dopo che senato e camera, in
sede di approvazione della legge di
conversione del dl 16/2012, sono intervenuti
sulla nuova imposta comunale.
Le rate. Dopo le modifiche apportate dalla
camera, che con ogni probabilità verranno
recepite senza ulteriori modifiche dal
senato in seconda lettura, emerge che
l'imposta si pagherà in due rate (18/6 e
17/12) che, a scelta del contribuente,
possono diventare tre (18/6, 30/9 e 17/12),
esclusivamente per l'imposta dovuta per il
2012 e solo sull'abitazione principale e
annesse pertinenze (massimo una per ciascuna
delle categorie C/2, C/6 e C/7).
Le aliquote
da applicare per la prima rata sono tre:
0,2% per i fabbricati strumentali rurali,
0,4% per le abitazioni principali e relative
pertinenze, 0,76% per tutti gli altri
immobili. Per l'abitazione principale
l'aliquota dello 0,4% si utilizzerà anche
per il calcolo della seconda rata del 30
settembre riservata solo all'abitazione
principale.
La detrazione di 200 euro,
maggiorata di altri 50 euro per ogni figlio
«under 26» che dimora e risiede in quella
casa, verrà fruita proporzionalmente ai
soggetti che ne hanno diritto e al periodo
di riferimento. Occorrerà poi attendere la
data del 30 settembre per conoscere le
aliquote (e le detrazioni) che i comuni
fisseranno definitivamente e, sulla base di
queste ultime, si calcolerà l'imposta
complessivamente dovuta per tutto l'anno,
che verrà versata, entro il 17 dicembre, al
netto di quanto già corrisposto con le
precedenti rate.
Le modalità di pagamento. Fino a novembre l'Imu
non potrà che essere pagata solo con l'F24
di recente istituzione al quale, a breve, si
aggiungerà un modello semplificato, composto
da un solo foglio contenente una copia per
la banca e l'altra per il contribuente. A
dicembre dovrebbe poi resuscitare il
soppresso bollettino di c/c/p.
Comunque, a
prescindere dal tipo di modello di
versamento, la vera complicazione per il
contribuente sarà quella di individuare i
casi in cui l'imposta è in parte riservata
allo stato (complessivamente pari allo 0,38%
della base imponibile dell'immobile). Al
riguardo, infatti, il parlamento è
intervenuto più volte sulla questione
creando un puzzle di non facile
composizione, anche per gli addetti ai
lavori (si veda la tabella).
La dichiarazione. Sull'obbligo dichiarativo
la commissione finanze della camera ha
rimediato, almeno in parte, alle
complicazioni che sarebbero scaturite dalla
versione del testo uscito dal senato.
Dopo
aver ribadito l'ultrattività delle denunce
Ici, in quanto compatibili (con implicito
riconoscimento, che sarà formalizzato con
decreto del Mef, dell'esonero in tutti i
casi in cui gli eventi che danno luogo a una
diversa imposta sono noti al comune) viene
specificato che se l'obbligo è sorto nel
primo semestre del 2012 la dichiarazione
dovrà essere presentata entro il 30/09/2012.
Purtroppo, a regime il contribuente avrà 90
giorni di tempo, dal momento in cui si è
verificata la variazione, per assolvere
l'obbligo dichiarativo. Il che comporterà un
numero rilevante di omissioni, atteso che la
maggior parte di coloro che si rivolgono a
professionisti e caf verranno a sapere di
tale inadempimento quando ormai sarà troppo
tardi anche per un ravvedimento operoso.
---------------
La residenza anagrafica è condizione
fondamentale.
Per alcune particolari tipologie immobiliari
la configurazione definitiva dell'Imu
porterà a rilevanti novità rispetto alla
soppressa Ici. Eccole in sintesi:
Abitazione principale. Con l'intento di
porre freno a tentativi di elusione (recte:
evasione) viene precisato che l'abitazione
principale non può che essere l'unica unità
immobiliare nella quale il contribuente e il
suo nucleo familiare dimorano abitualmente e
risiedono anagraficamente. Con l'ulteriore
specificazione che, nel caso in cui i
componenti del nucleo familiare abbiano
stabilito la dimora abituale e la residenza
anagrafica in immobili diversi situati nel
territorio comunale, le agevolazioni si
applicano per un solo immobile.
Al riguardo
va osservato come la commissione finanza
della camera, anziché riproporre la
formulazione contenuta nell'art. 8 del dlgs
504/1992 (abitazione nella quale il
contribuente «e i familiari» dimorano
abitualmente), che era stata letta dalla
Cassazione (sent. n. 14389/2010) nel senso
che al fabbricato del familiare che dimora
in luogo diverso da quello della casa
coniugale non può essere riconosciuta
l'agevolazione in questione, ha preferito
fare ricorso a un concetto, quello del
«nucleo familiare», che non trovando
un'univoca definizione nell'ordinamento
giuridico, aprirà, con ogni probabilità,
ulteriori contrasti interpretativi tra
contribuenti e comuni.
Soggetti costretti a vivere fuori casa. Il
trattamento di favore nei confronti delle
case degli anziani e dei disabili
lungodegenti, oltre che quello riguardante
gli alloggi dei cittadini italiani residenti
all'estero, è rimesso ai comuni che possono
assimilarle alle abitazioni principali
purché non siano locate. In tal caso viene
meno la quota riservata allo stato. Per
converso, in assenza quindi di una delibera
del consiglio comunale l'imposta sarà dovuta
nella misura ordinaria del 7,6 per mille e
allo stato spetterà la metà.
Ex casa coniugale. Inversione di rotta
rispetto all'Ici. Sarà infatti solo il
coniuge assegnatario della casa coniugale
disposta dal giudice della separazione a
dover pagare l'Imu. E ciò a prescindere
dall'eventuale quota di proprietà che
quest'ultimo vanta sul fabbricato.
Naturalmente troveranno applicazione
aliquota e detrazione previste per
l'abitazione principale oltre alla
maggiorazione per i figli «under 26»
(articolo ItaliaOggi
Sette
del 23.04.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Più
flessibilità in entrata per i dirigenti.
IL RECLUTAMENTO/
Necessario riformare l'accesso: selezioni
più trasparenti, ma vanno evitate le
carriere a vita.
Gli osservatori riconoscono alle
amministrazioni locali una capacità di
innovazione sconosciuta ad altri livelli di
governo. La gran parte di questi risultati
sono stati ottenuti grazie alla maggiore
autonomia di cui hanno goduto i Comuni, a
partire dalla seconda metà degli anni
novanta, e alla possibilità concreta di
realizzare un forte ricambio della dirigenza
in servizio.
Grazie a questa maggiore autonomia, è stato
infatti possibile inserire nei Comuni
dirigenti con rapporti di lavoro a tempo
determinato, soggetti a valutazione,
riconferma e senza più la garanzia di un
posto fisso a vita.
Queste figure, cooptate a volte dall'esterno
o in altri casi dall'interno
dell'amministrazione, hanno assicurato tassi
elevati di turn-over della dirigenza locale
e una maggiore dinamicità all'azione dei
Comuni.
Il rapporto a tempo determinato e l'assenza
della garanzia a vita dello status di
dirigente hanno inoltre rappresentato un
incentivo concreto, per i dirigenti a
termine, a investire per mantenere elevata
la propria professionalità, pena la
sostituzione alla scadenza naturale del
contratto.
Il rovescio della medaglia di questo
meccanismo può essere individuato nel
potenziale rischio di una maggiore
dipendenza della dirigenza dalla politica,
chiamata a nominare o rinnovare gli
incarichi dirigenziali. In alcuni casi
questo rischio si è anche oggettivamente
tradotto in concrete pratiche negative. A
fronte di questa situazione è stata ora
imboccata la strada della
“ministerializzazione” della dirigenza
locale: si sono ristretti in modo drastico
la possibilità di accesso a tempo
determinato e, nonostante alcuni spazi
introdotti nel decreto fiscale in corso di
approvazione, si ritorna di fatto alla
tradizionale dirigenza a tempo
indeterminato.
Questo comporterà una incredibile rigidità
della dirigenza locale: assisteremo ad una
nuova infornata di dirigenti che, una volta
assunti, godranno della totale inamovibilità
a prescindere dalle prestazioni
effettivamente fornite, dai fabbisogni quali
quantitativi futuri delle amministrazioni e
dall'aggiornamento delle proprie competenze,
bloccando così, per una intera generazione,
le possibilità di ricambio ai vertici delle
strutture dei Comuni. Questo meccanismo
inoltre produrrà probabili costi aggiuntivi:
molti dirigenti attualmente a contratto sono
infatti già funzionari a tempo indeterminato
con una differenza retributiva minima per
quanto riguarda l'incarico dirigenziale.
Anziché risolvere un problema si è
scardinato malamente un sistema.
E' invece necessario coniugare le due
esigenze: occorre da un lato garantire
l'accesso alla dirigenza tramite procedure
selettive e trasparenti, ma dall'altro non
perdere i benefici del tempo determinato ed
evitare i danni della strutturazione a vita
dei posti e dei costi per la dirigenza nelle
amministrazioni locali. E' necessario e
possibile coniugare queste due esigenze. E
per farlo occorre ripensare il sistema di
accesso alla dirigenza locale in modo più
sistemico e non con interventi frammentari e
senza disegno.
Ad esempio si potrebbero ipotizzare forme di
reclutamento su base nazionale o regionale
volte a selezionare e certificare le
competenze dei candidati sulla base delle
esperienze maturate concretamente e di
quelle riscontrate nei percorsi selettivi,
lasciando poi alle amministrazioni la
facoltà di scegliere, solo tra gli idonei, i
soggetti ai quali conferire il rapporto a
tempo determinato per la durata della
legislatura.
Si potrebbe ipotizzare la necessità per i
soggetti di sottoporsi ogni cinque anni a
una sorta di riaccreditamento della propria
idoneità e all'obbligo di maturare crediti
formativi. Si potrebbe ipotizzare che solo
alcune università accreditate sono titolate
a svolgere i percorsi selettivi e di
certificazione della idoneità e dei crediti.
Insomma si può rafforzare moltissimo e
rendere fortemente selettivo il meccanismo
di accesso e permanenza dei soggetti agli
incarichi dirigenziali, ma al contempo
rendere molto più flessibile il rapporto di
lavoro, i meccanismi di entrata e uscita
dalle amministrazioni e la possibilità per
le amministrazioni di scegliere davvero i
candidati ritenuti migliori
(articolo Il Sole 24
Ore
del 23.04.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Edilizia
convenzionata. La chance.
Il Comune rimuove i vincoli e incassa.
La legge 106/2011, di conversione del Dl
70/2011, ha introdotto nell'articolo 31
della legge 448/1998 i commi 49-bis e
49-ter, al fine di «agevolare il
trasferimento dei diritti immobiliari», per
consentire la rimozione dei vincoli relativi
al prezzo massimo di cessione e/o del canone
massimo di locazione delle singole unità
abitative di edilizia residenziale pubblica
o convenzionata.
La rimozione dei vincoli, alla luce della
legge 106/2011, era subordinata al decorso
di almeno cinque anni dalla data del primo
trasferimento, alla richiesta del singolo
proprietario e alla determinazione della
percentuale del corrispettivo, calcolato a
norma dell'articolo 31, comma 48, della
legge 448/1998, da effettuare con decreto
del ministro dell'Economia e delle finanze,
previa intesa in sede di Conferenza
unificata. Quindi, la mancata determinazione
con Dm rendeva inapplicabile la norma.
Su
quest'ultimo punto una novità significativa
è stata inserita dal decreto milleproroghe
convertito con la legge 14 del 24.02.2012: l'articolo 29, comma 16-undecies,
infatti, ha previsto che, a decorrere dall'01.01.2012, la percentuale per calcolare
il corrispettivo dovuto per la rimozione dei
vincoli sia stabilita dai Comuni. Gli enti
dovranno tenere conto della differenza tra
il costo convenzionale e il costo di mercato
dell'alloggio o del canone di affitto, e
della residua durata dei vincoli imposti. Si
segnala in proposito il parere della Corte
dei conti, sezioni riunite in sede di
controllo, numero 22/CONTR/11.
Rileva, comunque, il momento del
trasferimento della proprietà (piena o
superficiaria), e non la data di
assegnazione in godimento da parte della
cooperativa edilizia, o la data di
registrazione o trascrizione dell'atto.
Sembrerebbe, inoltre, che il proprietario
che ne faccia richiesta abbia un vero e
proprio diritto soggettivo alla stipula
della convenzione, il cui contenuto è, del
resto, predeterminato dalla legge anche ai
fini della determinazione del corrispettivo;
diritto soggettivo a cui fa riscontro
l'obbligo dell'ente locale di prestarsi alla
stipulazione della convenzione.
La normativa, si diceva, s'incentra sulla
finalità di eliminare i maggiori intralci
alla circolazione giuridica dei beni
immobili oggetto delle convenzioni,
consentendo la rimozione dei vincoli citati,
che sono spesso oggetto di elusione e di
mancato controllo.
Le risorse che i Comuni possono incamerare
sono significative e possono dare respiro
alle loro magre finanze. Il Comune di
Milano, per esempio, ha circa 9mila alloggi
convenzionati: ipotizzando una media di
corrispettivo di circa 7mila euro a unità
abitativa, e che il 50 per cento dei
proprietari faccia richiesta, l'entrata
prevista sarebbe di circa 30 milioni. Gli
enti potrebbero investire in interventi di
manutenzione o di costruzione di nuovi
alloggi, per fornire una risposta a un
bisogno sempre crescente di case a giovani
precari e a anziani.
Inoltre, trattandosi di
oneri reali, il plusvalore realizzato può
essere destinato al finanziamento di spese a
carattere non permanente di cui all'articolo
187 del Tuel, e anche per il rimborso delle
quote capitali delle rate di ammortamento
dei mutui
(articolo Il Sole 24
Ore
del 23.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Pubblico
impiego. Dopo l'emendamento che alza la
soglia delle assunzioni dal 20 al 40% delle
«uscite» dell'anno prima.
Turn-over, ampliamento a metà.
Ma la nuova norma si scontra con le
disposizioni di contenimento della spesa.
Allentamento a metà per i vincoli al turn-over negli enti locali. Infatti
l'ampliamento delle possibilità di assumere
personale a tempo indeterminato (si passa
dal 20% al 40% delle cessazioni dal servizio
avvenute nell'anno precedente) si scontra
con l'obbligo, per gli enti soggetti al
patto di stabilità, di garantire la
riduzione della spesa per il personale di
anno in anno. Il risultato? I nuovi limiti
più soft rischiano di essere vanificati se i
dipendenti cessano dal servizio a inizio
anno.
Soglia a rischio
La Camera, durante l'esame per la
conversione in legge del decreto sulle
semplificazioni fiscali 16/2012, ora in
attesa del «sì» definitivo del Senato, ha
approvato un emendamento che modifica
l'articolo 76, comma 7, del decreto legge
112/2008: in base alla nuova disposizione,
gli enti virtuosi, ovvero quelli con la
spesa di personale al di sotto del 50% di
quella corrente, potranno assumere personale
a tempo indeterminato nel limite del 40%
delle cessazioni dell'anno precedente,
anziché del 20 per cento.
Ma il raddoppio del turn-over è insidiato da
un'altra norma di contenimento della spesa:
la Finanziaria 2007 (articolo unico, comma
557, legge 296/2006) impone agli enti
soggetti al patto di stabilità di ridurre la
spesa di personale da un anno all'altro.
Così, nel 2012, gli enti locali non potranno
spendere di più rispetto al 2011. Inoltre,
il personale cessato nel 2011 non può essere
sostituito nell'anno in corso, ma solo
l'anno successivo. Il nodo è qui: se il
dipendente è cessato dal servizio all'inizio
del 2011 e non è stato sostituito per
vincolo normativo, la spesa totale per il
personale si riduce e questa riduzione
rischia di vanificare l'aumento dal 20 al
40% del turn-over.
A conti fatti, con il tetto del 20%, perché
la riduzione della spesa totale non
compromettesse le possibilità di assunzione,
era sufficiente che i dipendenti cessati
avessero lavorato in media 2,4 mesi nel 2011
(il 20% di 12 mesi). Con il limite al 40%,
invece, occorre che i dipendenti cessati
rimangano in servizio almeno 4,8 mesi. È
quindi probabile che gli enti si adatteranno
a creare strategie alternative per
compensare queste riduzioni della spesa.
Incarichi dirigenziali
L'emendamento, inoltre, introduce una deroga
ai limiti agli incarichi dirigenziali
conferiti (secondo l'articolo 110, comma 1,
del Tuel) con contratti a termine: in base
al nuovo testo del decreto legislativo
165/2001, non possono superare il 10% dei
dirigenti a tempo indeterminato in organico
(il 20% per i comuni fino a 100mila abitanti
e il 13% fino a 250mila abitanti).
Con la
nuova disposizione, gli incarichi in corso
alla data di entrata in vigore della norma e
che eccedono questi limiti potranno essere
prorogati una sola volta se scadono entro
fine anno. Ma il costo graverà sulle
«ordinarie facoltà assunzionali a tempo
indeterminato», ovvero sul 40 per cento.
Quindi, gli incarichi dirigenziali a tempo
determinato potranno sopravvivere solo a
scapito del turn-over dei dipendenti.
Ma che cosa succederà del budget
assunzionale assorbito dai dirigenti alla
scadenza dell'incarico? Una interpretazione
restrittiva potrebbe portare alla perdita
definitiva di tali risorse. Altrimenti, le
cessazioni potrebbero tornare in circolo
alla stregua delle cessazioni a tempo
indeterminato, ma in questo caso
l'originaria cessazione, che ha finanziato
il rinnovo del dirigente a termine, verrebbe
sostituita solo nel limite del 16%, per la
doppia applicazione del 40 per cento.
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L'ESEMPIO
I vincoli al turn-over alla prova
01 | «VECCHIO» DIPENDENTE
Un dipendente costa a un ente locale 30mila
euro l'anno e cessa dal servizio il 31.01.2011. Per quel dipendente, quindi,
l'ente nel 2011 ha speso 2.500 euro (un
dodicesimo di 30mila)
02 | IL VINCOLO
La nuova soglia del turn-over al 40% delle
cessazioni dell'anno precedente
permetterebbe all'ente di spendere 12mila
euro per nuove assunzioni nel 2012 (il 40%
di 30mila). Ma l'apertura è annullata
dall'obbligo di spendere meno per il
personale dell'anno precedente (quindi meno
di 2.500 euro)
(articolo Il Sole 24
Ore
del 23.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: DECRETO
FISCALE/ Enti, largo ai
dirigenti a contratto.
E spunta la sanatoria per i manager esterni
già in servizio. Gli emendamenti approvati
alla camera sconfessano la Consulta.
Dirigenza a contratto degli enti locali, le
percentuali di assunzioni aumentano dall'8%
ad almeno il 10%, con estesissime
possibilità di deroga.
Gli emendamenti presentati al decreto
fiscale ampliano per comuni e province la
possibilità di assumere dirigenti a tempo
determinato e, soprattutto, con una
disposizione «transitoria» discutibile, di
confermare anche in deroga a qualsiasi
limite i dirigenti esterni già in servizio.
L'esempio della sanatoria dei dirigenti a
contratto presso le Agenzie delle entrate,
del territorio e delle dogane, come era
prevedibile, ha fatto breccia anche negli
enti locali, per altro da sempre contrari
alle limitazioni quantitative alle
assunzioni dei dirigenti a termine, imposte
prima dal dlgs 150/2009 e poi in parte
ampliate dall'articolo 6 del dlgs 141/2011.
Nonostante la crisi e le difficoltà
occupazionali di tutti i settori del paese,
sembra che sia indispensabile per le
amministrazioni pubbliche assicurarsi le
prestazioni lavorative dei dirigenti
fiduciari, nonostante le sentenze della
Corte costituzionale, a partire dalla
103/2007, le abbiano considerato
incompatibili col sistema ordinamentale.
Dunque, l'emendamento modifica il testo
dell'articolo 19, comma 6-quater, del dlgs
165/2001, e «arrotonda» dall'8 al 10% della
dotazione organica dirigenziale la quota di
dirigenti a tempo determinato che gli enti
locali possono assumere. Tuttavia, i comuni
con popolazione fino a 100 mila abitanti
sono beneficiati di una percentuale doppia:
il 20%. I comuni con popolazione superiore a
100 mila abitanti e inferiore ai 250 mila
invece, facoltativamente possono
incrementare la percentuale dal 10 al 13%.
L'incremento pare destinato a erodere le
possibilità di assunzione a tempo
indeterminato. Infatti, l'ulteriore 3% andrà
«a valere sulle ordinarie facoltà per le
assunzioni a tempo indeterminato». Insomma,
non solo assumere dirigenti a contratto
consumerà risorse per il tetto assoluto alla
spesa e quello specificamente destinato alle assunzioni a tempo determinato, ma la spesa
andrà considerata come se erogata per
assunzioni a tempo indeterminato e, dunque,
incidere sul limite del 40% della spesa
delle cessazioni dell'anno precedente.
La percentuale-base del 10%, a ben vedere,
varrà solo per province e comuni con
popolazione superiore ai 250 mila abitanti.
L'emendamento, però, porta con sé
l'aggiramento dell'intento della riforma
Brunetta di contenere l'abuso oggettivo
dell'utilizzo di dirigenti a contratto negli
enti locali, che spesso hanno assunto
dirigenti a termine per quote ben superiori
al 10%, molte volte vicine al 100%, in
totale contrasto con le indicazioni della
Consulta. Dunque, si consente di rinnovare
«per una sola volta» tutti i contratti
dirigenziali a termine in scadenza entro il
31/12/2012, a condizione di adottare un
provvedimento che con specifica motivazione
dimostri l'indispensabilità del rinnovo per
assicurare il corretto svolgimento delle
funzioni essenziali.
Ancora una volta, torna il concetto di
«funzioni essenziali», senza che esse però
vengano definite. La deroga ai limiti
percentuali consiste, nella sostanza, in una
gentile concessione a tutte le
amministrazioni comunali e provinciali in
scadenza, nelle quali i dirigenti a
contratto avrebbero dovuto lasciare gli
incarichi definitivamente, se si fosse
applicato rigorosamente (come richiederebbe
la Consulta) il limite percentuale disposto
dalla legge.
Grazie all'emendamento, tutti i comuni
potranno motivare, più o meno sommariamente,
l'indispensabilità di incarichi dirigenziali
a contratto, che, paradossalmente,
dovrebbero essere invece in ogni caso
ridotti, visto che l'articolo 1, comma 557,
della legge 296/2006 impone di contenere non
solo il personale a tempo determinato (che
ai sensi dell'articolo 9, comma 28, della
legge 122/2010 comunque non possono
superare, per spesa, il 50% del 2009), ma di
diminuire l'incidenza percentuale dei
dirigenti rispetto al rimanente personale.
Anche questi rinnovi consumeranno le risorse
per assumere personale a tempo
indeterminato, come unico scotto a questa
sorta di sanatoria della dirigenza
fiduciaria, molto ai limiti della
legittimità costituzionale.
L'emendamento conclude indicando ai comuni
che effettueranno i rinnovi dei dirigenti a
contratto in deroga a qualsiasi limitazione
percentuale di adottare atti di
programmazione per assicurare a regime
quello che, in realtà, da sempre la Consulta
imporrebbe: il rispetto dei limiti
percentuali previsti dalla legge. Poiché non
è dato capire cosa si intenda per
assicurazione «a regime» del rispetto
dei limiti percentuali, sostanzialmente agli
enti locali e ai dirigenti vicini alla
politica è assicurato un altro quinquennio
di incarichi. Per l'attuazione delle norme
nel rispetto della Costituzione, ci sarà
tempo
(articolo ItaliaOggi
del 20.04.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Assunzioni più facili per
comuni e province. Limiti meno rigorosi per
polizia locale, istruzione e servizi sociali.
Limiti meno rigorosi per le assunzioni degli
enti locali. Gli emendamenti al «decreto
fiscale» tornano a estendere in parte le
possibilità di assunzione per comuni e
province, riformulando l'articolo 76, comma
7, del dl 112/2008, convertito in legge
133/2008, l'articolo 1, comma 562, della
legge 296/2006 e l'articolo 9, comma 28, del
dl 78/2010, convertito in legge 122/2009.
Limiti finanziari alle assunzioni.
Il contenimento delle assunzioni di
personale a tempo indeterminato rispetto al
costo del personale cessato l'anno
precedente passerà dal 20 al 40%.
Polizia, istruzione e servizi sociali. Per
il personale addetto alle funzioni di
polizia locale, di istruzione pubblica (sia
personale ausiliario, sia insegnanti) e dei
servizi sociali l'onere della spesa relativa
alle loro assunzioni inciderà per il 50%.
Tale previsione deve intendersi,
probabilmente, riferita al calcolo delle
possibilità di assumere funzionale al tetto
di spesa assoluto e al rapporto tra spesa di
personale e totale delle spese correnti.
Invece, il costo del personale assegnato ai
servizi elencati prima si continuerà a
computare per intero, ai fini della
determinazione del limite del 40% del costo
del personale cessato l'anno precedente.
Qualora i comuni, avendo un'incidenza della
spesa di personale sul totale delle spese
correnti inferiore al 35%, si siano avvalsi
della possibilità di coprire l'intero
turnover dei dipendenti addetti alla polizia
municipale, l'estensione delle assunzioni
vista prima si applica solo ai dipendenti
addetti ai servizi di istruzione e sociali.
Comuni non soggetti al Patto. Viene
modificato l'articolo 1, comma 562, della
legge 296/2006, dedicato agli enti non
obbligati al rispetto del patto di
stabilità.
Per loro il limite di spesa alle assunzioni
viene finalmente aggiornato e spostato dal
2004 al 2008. Un beneficio, tuttavia,
destinato a durare poco. Nel 2013 la gran
parte degli enti, quelli con popolazione
superiore a 1.000 abitanti, verrà
assoggettata ai vincoli del patto di
stabilità.
Assunzioni a tempo determinato. Il
legislatore continua a fare confusione in
merito all'articolo 9, comma 28, della legge
122/2010, ai sensi del quale si applica come
«principio» agli enti locali il limite di
spesa alle assunzioni flessibili pari al 50%
di quella sostenuta nel 2009.
Contraddicendo se stesso e l'autonomia
costituzionalmente garantita degli enti
locali, il legislatore pare intendere il
limite del 50% non come regola di principio
e, dunque, non puntuale, bensì come
disposizione cogente.
In quest'ottica, l'emendamento permette agli
enti locali, a partire dal 2013, di superare
il limite del 50% qualora intendano
effettuare assunzioni «strettamente
necessarie» a garantire le funzioni sempre
nell'ambito della polizia locale,
dell'istruzione pubblica e dei servizi
sociali.
La possibilità di sforare il limite di spesa
del 50% rispetto al 2009 non è, tuttavia,
piena. Comuni e province in ogni caso non
potranno spendere complessivamente per le
assunzioni flessibili riguardanti polizia
locale, istruzione e servizi sociali, più
dei costi sostenuti per i medesimi settori
nel 2009
(articolo ItaliaOggi
del 20.04.2012). |
ENTI LOCALI: Aziende speciali al posto degli attuali
consorzi socio-assistenziali. È una
possibilità che si fa sempre più concreta e
che lo stesso legislatore sembra in qualche
modo suggerire.
Il problema nasce con l'art. 2, comma 186,
lett. e), della legge 191/2009, che ha
disposto la soppressione di tutti i consorzi
di funzioni tra gli enti locali, con la sola
eccezione (prevista dall'art. 1, comma
1-quater, della legge 42/2010) dei bacini
imbriferi montani. Come chiarito da varie
pronunce della Corte dei conti, a dover
essere sorpresi sono i consorzi costituiti,
ai sensi dell'art. 31 del Tuel, per
l'esercizio associato di funzioni (non
importa se esclusivamente o unitamente a
servizi), ivi compresi quelli
socio-assistenziali, sebbene questi ultimi
siano espressamente identificati da numerose
leggi regionali come obbligatori.
Tale
disciplina si è intrecciata con quella che
impone ai piccoli comuni l'obbligo di
gestione associata delle funzioni (artt. 14
del dl 78/2010 e 16 del dl 138/2011), con
modalità e tempistiche differenziate a
seconda della fascia demografica di
appartenenza (meno di 1000 abitanti e
1.000-5.000 abitanti). Il
socio-assistenziale, infatti, rientra tra le
funzioni (fondamentali) di competenza
comunale. Qualunque sia la modalità
operativa che i comuni sceglieranno per
reinternalizzare le «funzioni» relative a
questo ambito (ed il personale che le
svolge) –convenzione, unione di comuni
«tradizionale» (ex art. 32 del Tuel) o
«speciale» (ex art. del 16 dl 138/2011),
gestione singola (per i municipi maggiori)–
rimarrà aperta la questione relativa alla
riorganizzazione dei «servizi» finora svolti
dai consorzi da sopprimere e la
ricollocazione del personale ad essi
addetto. Al riguardo, la soluzione
preferibile pare essere rappresentata dalla
costituzione di un consorzio di servizi
«puro» sotto forma di azienda speciale
consortile ex art. 114 del Tuel.
In un certo
senso è lo stesso legislatore ad indicare
questa strada. Il recente decreto «Cresci
Italia» (dl 1/2012, convertito dalla l.
27/2012), nel disporre l'estensione alle
aziende speciali (oltre che alle istituzioni
ed alle società in house) degli stessi
vincoli imposti agli enti locali (soggezione
al Patto di stabilità interno, limitazioni
alle assunzioni di personale, obbligo di
applicare il codice dei contratti pubblici e
le norme di contenimento degli oneri
contrattuali e delle altre voci di natura
retributiva o indennitaria e per consulenze,
limiti alle partecipazioni societarie) ha
previsto una deroga a favore di quelle «che
gestiscono servizi socio-assistenziali ed
educativi».
Giova ricordare che nell'ambito dei servizi
pubblici privi di rilevanza economica
(tipologia alla quale appartengono molte,
anche se non tutte, le prestazioni
socio-assistenziali) le regioni e gli enti
locali hanno ampi margini di manovra, come
riconosciuto dalla sentenza n. 272/2004
della Corte costituzionale, potendo optare
sia per moduli più «pubblicistici»
(aziende speciali, istituzioni,
associazioni, fondazioni ecc.), che per
moduli più «imprenditoriali» (società
di capitali).
Il modulo dell'azienda speciale consortile
ha il pregio di coniugare il controllo
pubblico con una gestione improntata a
criteri di efficacia, efficienza, ed
economicità. Esso permetterebbe di
conservare le dimensioni degli attuali
consorzi, salvaguardando le economie di
scala
(articolo ItaliaOggi
del 20.04.2012). |
ENTI LOCALI: Carta autonomie, un
caos.
Agenzie e società locali da liquidare. E il
personale? Riprende l'iter al senato. Con
molte incognite legate al riparto di funzioni.
Un guazzabuglio il nuovo assetto delle
competenze degli enti locali, che va
delineandosi nella Carta delle autonomie. La
necessità di riorganizzare l'assetto delle
funzioni degli enti locali, derivata
dall'articolo 23 della legge 214/2011 che ha
messo in discussione le funzioni storiche
delle province, ha rilanciato i lavori
parlamentari per l'approvazione del disegno
di legge di riforma del dlgs 267/2000 (si
veda ItaliaOggi di ieri). Il risultato che
ne deriva, tuttavia, non farebbe altro che
accrescere la confusione già creata dal
cosiddetto decreto «salva Italia», preso
dall'esigenza di far vedere che si
aggrediscono i costi della politica,
intervenendo sulle province.
In effetti, la Carta delle autonomie finisce
per correggere le storture della legge
214/2011, riassegnando alle province, oltre
alla troppo fumosa funzione di indirizzo e
coordinamento, anche le funzioni di
programmazione, manutenzione delle strade e
programmazione dei trasporti, nonché in tema
di ambiente.
Tuttavia, il disegno ordinamentale risulta
tutt'altro che chiaro, anche perché il
disegno di legge non può entrare nel merito
delle funzioni da assegnare alle regioni,
che d'altra parte le regioni stesse
potrebbero a loro volta attribuire sia a
comuni, sia a province ai sensi
dell'articolo 118 della Costituzione.
Nei fatti, l'attribuzione delle competenze a
comuni e province, che la Carta delle
autonomie vorrebbe tassative e inderogabili,
resta, invece, estremamente fluida e
indeterminata. Per i comuni, ad esempio, si
prevedono funzioni come le «attività, in
ambito comunale, di pianificazione di
protezione civile e di coordinamento dei
primi soccorsi», oppure la «gestione dei
beni e dei servizi culturali di cui il
comune abbia la titolarità». In apparenza
tali formule assegnano competenze chiare.
Ma, in realtà, poiché esse genericamente si
riferiscono all'«ambito comunale» o alla
titolarità comunale delle competenze,
risulta evidente che la linea di confine
dell'esercizio di simili funzioni, rispetto
ad altri enti che concorrano ad esercitarle
(in particolare regioni e Stato) restano
totalmente indefiniti.
L'emendamento indica che le funzioni
fondamentali ed amministrative conferite a
comuni, province e città metropolitane non
possano essere ed esercitate da enti,
società o agenzie statali, regionali e di
enti locali. Si impedisce, così, la
creazione di enti di servizio che svolgano
in modalità privata funzioni amministrative.
Il che comporterebbe la necessità di
liquidare e sciogliere le molteplici società
di servizio nate nel frattempo, con non
indifferenti problemi occupazionali, senza
una regola chiara sul personale da esse
dipendente. Non essendo ammissibili clausole
di rientro per il personale a suo tempo
trasferito dall'ente locale alle società, né
possibile assorbire personale non assunto
dalle società stesse senza concorsi, si
determinerebbero anche rischi di
insufficienti dotazioni di risorse umane
derivanti dalle reinternalizzazioni.
Il tentativo, poi, di razionalizzare i «costi
della politica» induce ad una forte
spinta verso l'obbligatorietà delle forme
associative. Tutti i comuni con popolazione
fino a 5 mila abitanti oppure fino a 3 mila
se appartenenti a comunità montane dovranno
necessariamente associarsi per gestire le
funzioni fondamentali. Stessi obblighi per
le province con meno di 300 mila abitanti
(articolo ItaliaOggi
del 20.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Diritto d'accesso agli atti 2.0.
Sì alle nuove tecnologie ma senza
discriminazioni. I documenti possono essere
messi a disposizione in formato
digitale.
Un ente locale può soddisfare il diritto di
accesso agli atti dei consiglieri comunali,
previsto dall'art. 43, comma 2, del dlgs n.
267/2000, attraverso la messa a disposizione
della documentazione in formato digitale, o
attraverso l'invio diretto alle caselle di
posta elettronica dei richiedenti o
attraverso la consegna di cd o altro analogo
supporto, contenente la riproduzione della
predetta documentazione?
Il diritto di accesso dei consiglieri
comunali agli atti amministrativi dell'ente
locale è stato definito dal Consiglio di
stato (sent. n. 4471/2005) «diritto
soggettivo pubblico funzionalizzato», come
tale strumentale al controllo
politico-amministrativo sull'ente,
nell'interesse della collettività. In
considerazione di ciò, ai consiglieri
comunali spetta un'ampia prerogativa di
ottenere, dai competenti uffici comunali,
tutte le informazioni utili all'espletamento
del mandato senza che possano essere opposti
profili di riservatezza, in quanto essi sono
tenuti al segreto d'ufficio.
Gli unici limiti all'esercizio del diritto
di accesso dei consiglieri comunali possono
rinvenirsi, da un lato, nel fatto che esso
deve avvenire in modo da comportare il
minore aggravio possibile per gli uffici
comunali, dall'altro, nel fatto che esso non
deve sostanziarsi in richieste assolutamente
generiche o meramente emulative, fermo
restando che la sussistenza di tali
caratteri deve essere attentamente e
approfonditamente vagliata in concreto al
fine di non introdurre surrettiziamente
inammissibili limitazioni al diritto stesso
(Consiglio di stato, sez. V, n. 6963/2010).
La stessa commissione per l'accesso ai
documenti amministrativi ha richiamato il
consolidato principio giurisprudenziale (ex multis Consiglio di stato, sez. V, n.
929/2007) secondo cui il diritto del
consigliere di accesso agli atti «non può
subire compressioni per pretese esigenze di
natura burocratica dell'ente con l'unico
limite di poter esaudire la richiesta,
qualora sia di una certa gravosità, secondo
i tempi necessari per non determinare
interruzione delle attività di tipo
corrente». Pertanto, il consigliere deve
contemperare il diritto di accesso con
l'esigenza di non intralciare lo svolgimento
dell'attività amministrativa e il regolare
funzionamento degli uffici comunali,
comportando per essi il minor aggravio
possibile, sia dal punto di vista
organizzativo che economico (Corte dei
conti, sez. Liguria n. 1/2004).
In ordine all'ammissibilità dell'accesso ad
atti istituzionali del comune mediante l'uso
di tecnologie informatiche, nonché
all'acquisizione delle deliberazioni
consiliari e di giunta e dei relativi atti
preparatori in formato digitale (a mezzo
Pec), la commissione ha ritenuto che, in
base al quadro normativo vigente e alla
ormai generalizzata diffusione degli
strumenti informatici presso i soggetti
pubblici e privati, «l'accesso telematico
“deve” essere sempre consentito, soprattutto
ove richiesto, non solo nei reciproci
rapporti posti in essere tra le pubbliche
amministrazioni medesime e in quelli da esse
intrattenuti con l'utenza privata, ma anche
nei rapporti tra le stesse amministrazioni
locali e i componenti eletti nei loro organi
consiliari. Il diritto di accesso telematico
va garantito anche alla luce del generale
dovere della pubblica amministrazione di
ispirare la propria attività al principio di
buon andamento e conseguente economicità e
proficuità dell'azione (ex art. 97 Cost.)
nonché del principio di leale cooperazione
istituzionale tra soggetti pubblici (art. 120 Cost.)» (parere dell'11.01.2011).
Tuttavia, la Commissione ha ribadito che
«l'amministrazione comunale deve garantire a
tutti indistintamente i consiglieri parità
di condizioni di accesso e di informazione,
attesa la parità delle funzioni da ciascuno
di essi esercitate. Eventuali disparità di
trattamento devono, quindi, ritenersi contra legem»
(parere del 10.05.2011).
Pertanto, «il mancato rilascio della
chiesta copia cartacea potrebbe costituire
una discriminazione dei soggetti privi di
adeguata cultura informatica, con
conseguente lesione sia del principio
generale di uguaglianza sia dello specifico
diritto di accesso, che pure attiene a
quelle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti
a tutti i cittadini e su tutto il territorio
nazionale» (parere del 23
giugno/07.07.2011).
La scelta dell'amministrazione comunale di
rilasciare la documentazione richiesta in
formato digitale, sulla base del principio
di economicità, deve ritenersi in linea con
gli indirizzi suindicati, garantendo
comunque l'accesso a tutti gli atti
richiesti dai consiglieri
(articolo ItaliaOggi
del 20.04.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Statali,
dall'estate libertà di licenziare.
L'annuncio del ministro della Funzione
Pubblica Patroni Griffi.
"STATALI, SI LICENZIA"/ Il ministro Griffi:
riforma del pubblico entro l'estate. Fuori
dal lavoro dopo.
È di quasi tre milioni di persone l'esercito
dei "senza speranza", i disoccupati
che non cercano più lavoro. Il triplo della
media Ue.
Nei tavoli di confronto con il sindacato,
l'eventualità era finora passata solo per
allusioni ma ieri, con un'intervista sul
quotidiano Avvenire, il ministro della
Pubblica amministrazione, Filippo Patroni
Griffi, è stato netto: il governo licenzierà
anche gli statali. Arrivando fino a dove non
era arrivato Brunetta. Le forme saranno
mediate, ovviamente, ma la sostanza resta e
tutto quanto dovrà avvenire già entro
l'estate.
Il ministro vuole varare la sua riforma
entro metà maggio e del resto, la riforma
del Lavoro, che è già all'esame del
Parlamento, è stata fatta in modo da
recepire, all'articolo 2, una legge delega.
A quanto pare la riforma è già avanti nel
suo punto più cruciale, quello del
licenziamento del pubblico impiego. "Spero
che capiscano tutti, anche i sindacati"
dice il ministro al quotidiano cattolico.
"Devono accettare il meccanismo di
mobilità obbligatoria per due anni che già
esiste ma che ancora non è stato attuato.
Devo farlo perché le amministrazioni
pubbliche vanno riorganizzate anche per
attuare la spending review sulla spesa
pubblica". La procedura, in effetti, è
già prevista nella norma attuale che prevede
la messa in mobilità, per 24 mesi e all'85
per cento dello stipendio, del personale
dichiarato in esubero. "Prima proveremo a
vedere se quel personale, riqualificato,
potrà essere utilizzato meglio in altri
settori" spiega Patroni Griffi, "poi,
solo se alla fine non si troveranno
alternative, l'unica strada rimarrà quella
del licenziamento".
NESSUNO crede, però ...
(articolo Il Fatto
Quotidiano
del 20.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
aggiornamento al 20.04.2012 |
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CONSIGLIERI COMUNALI -
ENTI LOCALI: Toh, chi si rivede: il terzo mandato.
Deroga per i mini-enti. Il difensore civico
torna in provincia. Riprende al senato
l'esame della Carta delle autonomie.
Depositati gli emendamenti dei relatori.
Torna il terzo mandato per i sindaci dei
piccoli comuni. Il tormentone, oggetto di
battaglie più che decennali da parte dei
primi cittadini dei municipi sotto i 5 mila
abitanti, sembrava caduto nel dimenticatoio,
sopravanzato da altri temi più urgenti
nell'agenda dei mini-enti: dal taglio ai
trasferimenti, all'obbligo di
associazionismo, dai paletti alle assunzioni
alla perequazione in ottica federalismo
fiscale. Ma è stato rispolverato dai due
relatori alla Carta delle autonomie, Andrea
Pastore (Pdl) e Enzo Bianco (Pd) nel
pacchetto di emendamenti al disegno di
legge, ormai fermo al senato da quasi due
anni.
Il testo, approvato dalla camera
(anche con una certa celerità) il 30.06.2010 sembrava abbandonato al proprio destino
ma Pastore e Bianco hanno deciso di
resuscitarlo depositando in commissione
affari costituzionali di Palazzo Madama un
corposo fascicolo di emendamenti volti
soprattutto ad adeguare la ripartizione di
funzioni tra comuni, province, regioni e
città metropolitane al restyling delle
province voluto dal governo Monti (non senza
qualche incongruenza, si veda altro pezzo in
pagina).
Nel lungo elenco di proposte di modifica
della governance locale, Pastore e Bianco
hanno infilato qua e là diverse sorprese. A
cominciare proprio dalla deroga al limite
del doppio mandato sancito nell'art. 51 del Tuel. Dove dovrebbe trovare posto
un'eccezione proprio per i sindaci dei
piccoli comuni che potranno restare in
carica una legislatura in più: per loro
infatti il divieto di ricandidarsi si
applicherà «allo scadere del terzo mandato
consecutivo».
Rispolverato anche il difensore civico,
seppur in versione riveduta e corretta. La
figura dell'ombudsman comunale è stata
eliminata nel 2010 da uno dei primi
provvedimenti taglia-poltrone di Roberto
Calderoli (dl n. 2/2010 convertito nella
legge n. 42/2010). Ma ora ritorna dalla
finestra proprio nelle province. I nuovi
enti di secondo livello dovranno infatti
prevedere per statuto l'istituzione di un
difensore civico provinciale «con compiti di
garanzia, imparzialità e buon andamento
della pubblica amministrazione». A lui il
compito di segnalare «anche di propria
iniziativa, abusi, disfunzioni, carenze e
ritardi dell'amministrazione nei confronti
dei cittadini».
Cinque sezioni per l'albo dei segretari. Non
poteva mancare un cenno all'albo dei
segretari comunali orfano dell'Agenzia,
soppressa da Giulio Tremonti nel 2010.
L'albo attualmente è articolato in sezioni
regionali, mentre i relatori alla Carta
delle autonomie propongono venga suddiviso
in cinque macro-sezioni: Nordest, Nordovest,
Centro, Sud e Isole.
L'elenco dei segretari
sarà amministrato da un cda, nominato con
dpcm e composto da due sindaci indicati
dall'Anci, un presidente di provincia
designato dall'Upi, tre segretari comunali e
provinciali eletti tra gli iscritti e tre
esperti designati dalla Conferenza
stato-città
(articolo ItaliaOggi del
19.04.2012 - tratto da
www.ecostampa.it).
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Per saperne di più:
Carta delle autonomie: il senato ha ripreso
l’esame della riforma (link a
www.leggioggi.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Finanza pubblica. Aperture sulle
assunzioni. Turn-over doppio negli enti
locali.
SOLIDARIETÀ FRA SINDACI/ Incentivo da 500
milioni per i Comuni che cedono spazi
finanziari ad altri e li aiutano a
rispettare il Patto di stabilità.
Una drastica apertura sulla possibilità di
assumere, e l'estensione a livello nazionale
della «solidarietà» fra Comuni per
rispettare il Patto. Sono le due novità
chiave spuntate ieri per gli enti locali
negli emendamenti al Dl fiscale approvati in
commissione Finanze alla Camera.
I correttivi riscrivono le regole per le
assunzioni, raddoppiando dal 20% al 40% le
possibilità di turn-over negli enti che
dedicano al personale meno della metà delle
spese correnti. Non solo: nel calcolo del
turnover, le spese per assunzioni relative a
polizia locale, istruzione e servizi sociali
si calcolano dimezzate (ma continuano a
valere per intero nel calcolo del rapporto
fra spese di personale e uscite correnti).
Si allentano molto i tetti per gli incarichi
dirigenziali a tempo: il limite generale è
10% dell'organico dirigenziale, ma può
arrivare al 20% nei Comuni fino a 100mila
abitanti e al 13% in quelli fino a 250mila:
una sanatoria, poi, evita la decadenza dei
contratti stipulati senza rispettare i
vecchi limiti. Aggiornati anche i tetti di
spesa per i Comuni fino a 5mila abitanti,
che da quest'anno non dovranno superare le
uscite per il personale registrate nel 2009
(il tetto precedente era relativo al 2004).
Sul versante dei bilanci, i correttivi
estendono a livello nazionale il Patto di
stabilità «orizzontale», con cui i
sindaci che hanno un surplus possono cedere
spazi finanziari ai colleghi in difficoltà
nel rispetto degli obiettivi. La novità, tra
le proteste delle Province, vale solo per i
Comuni.
A livello regionale finora questa modalità,
nata per accelerare i pagamenti alle
imprese, non ha dato grandi soddisfazioni
(nel 2010, per esempio, ha liberato 122
milioni, di cui 118 nel Lazio, contro i 400
milioni liberati dal Patto "verticale",
cioè finanziato dalle Regioni), ma
l'emendamento prova a spingere il meccanismo
mettendo sul piatto un incentivo da 500
milioni di euro. In pratica, chi cede spazi
finanziari riceverà un doppio premio:
l'incentivo diretto, neutro per il calcolo
del Patto e da destinare obbligatoriamente
alla riduzione del debito, e uno sconto
(pari alla metà degli spazi ceduti) sui
vincoli dei due anni successivi.
Per pareggiare i conti, chi riceve spazi
finanziari da altri Comuni si vedrà
peggiorare il saldo obiettivo nel biennio
seguente. Per partecipare a questa
compravendita, ogni Comune dovrà trasmettere
alla Ragioneria entro il 30 giugno gli spazi
finanziari che può cedere o di cui ha
bisogno
(articolo Il Sole 24
Ore del
17.04.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Appalti, per il falso paga pure
la società. Cassazione. Si sconta l'omesso
controllo.
Il rappresentante della
società che attesta falsamente di avere
regolarmente versato i contributi
previdenziali e le imposte per partecipare a
una gara di appalto risponde anche di truffa
e conseguentemente all'impresa si può
irrogare la sanzione per l'illecito
amministrativo in tema di responsabilità
dell'ente in base al decreto legislativo
231/2001, per non avere adottato idonei
modelli organizzativi atti a prevenire la
violazione penale.
A precisarlo è la Corte di Cassazione, Sez.
V penale, con la sentenza 16.04.2012 n. 14359.
Il rappresentante legale di una Sas
attestava in una dichiarazione sostitutiva
di atto notorio di essere in regola con gli
obblighi relativi alla contribuzione sociale
e con gli adempimenti fiscali. L'atto era
destinato ad un ente pubblico per la
partecipazione ad una gara di appalto, che
veniva aggiudicata proprio dalla società in
questione.
Successivamente veniva scoperta la falsità
di detta attestazione e il rappresentante
legale veniva condannato per i reati di cui
agli articoli 483 (falsità ideologica
commessa dal privato in atto pubblico) e 640
del codice penale (truffa) per aver
attestato falsamente la regolarità
contributiva e fiscale della società e posto
in essere atti idonei diretti in modo non
equivoco ad indurre in errore i funzionari
dell'ente preposti alla gara, ottenendo
indebitamente l'aggiudicazione dell'appalto
in pregiudizio dell'ente e delle altre ditte
partecipanti Nei confronti della società,
invece, veniva affermata la responsabilità
per il correlato illecito amministrativo (ex
Dlgs 231/2001).
Il rappresentante legale e la società
ricorrevano in Cassazione evidenziando, tra
l'altro, che una precedente decisione delle
Sezioni Unite aveva escluso la truffa in
presenza del delitto di indebita percezione
di elargizioni a carico dello Stato e
ritenuto assorbente le condotte di falso.
La Suprema corte ha rigettato il ricorso
rilevando, in estrema sintesi, che nella
vicenda in esame, non si trattava di
un'indebita elargizione, ma di
un'illegittima aggiudicazione di appalto. Da
qui la conferma della condanna anche ai fini
del Dlgs 231/2001 nei confronti alla
società, per aver omesso, evidentemente, la
predisposizione di idonei modelli
organizzativi preventivi
(articolo Il Sole 24
Ore del
17.04.2012). |
ENTI LOCALI:
Partecipate. Il Dl sulle liberalizzazioni
obbliga le società ad adottare i criteri
validi per gli enti locali.
In house, stretta sugli ingressi.
Vietate nuove assunzioni se mancano i
regolamenti sul reclutamento.
Le società partecipate dagli enti locali
devono contenere la spesa per il personale e
non possono procedere a nuove assunzioni se
non hanno definito regole specifiche, né se
la spesa complessiva sommata a quella
dell'ente locale socio supera il 50% della
spesa corrente.
Le disposizioni legislative sulla disciplina
dei macroprocessi di gestione delle risorse
umane nelle società con capitale a
partecipazione pubblica sono state
rafforzate dalle previsioni del nuovo
articolo 3-bis della legge 148/2011,
introdotte dalla legge 27/2012.
Il sistema, tuttavia, è articolato e
complesso, con norme che sono già ora
applicabili e con altre che devono essere
attuate tramite decreti.
I criteri
Fra le disposizioni immediatamente
operative, le più importanti sono quelle
contenute nell'articolo 4, comma 17 della
legge 148/2011, che rafforzano quanto già
statuito dall'articolo 18, comma 1 della
legge 133/2008, obbligando le società
affidatarie di servizi pubblici locali in
house (quindi a partecipazione interamente
pubblica) ad adottare criteri e modalità per
reclutare il personale nel rispetto dei
principi (trasparenza, imparzialità, e così
via) individuati dal comma 3 dell'articolo
35 del Dlgs 165/2001 (Testo unico del
pubblico impiego).
Il dato normativo richiede peraltro una
specifica regolamentazione da parte delle
società, anche per affidare gli incarichi
professionali, assumendo come riferimento
gli indirizzi prodotti dagli enti locali
soci o i regolamenti sulle collaborazioni
autonome da questi prodotti in base
all'articolo 3, commi 54-55 della legge
244/2007 (come evidenziato da varie sezioni
regionali della Corte dei conti).
L'articolo 4, comma 17, della legge 148/2001
evidenzia peraltro le conseguenze della
mancata definizione della disciplina,
sancendo espressamente nell'ultimo periodo
che fino all'adozione dei provvedimenti
regolativi, le società in house non possono
procedere al reclutamento di personale o al
conferimento di incarichi.
L'articolo 18, peraltro, estende l'obbligo
di regolamentazione dei criteri di
assunzione anche alle società miste sotto
controllo pubblico, ammettendo tuttavia in
questi casi la definizione di una disciplina
più flessibile.
La rilevanza di questo passaggio è stata già
sancita dalla giurisprudenza (Tar
Basilicata, sentenza 218 del 20.04.2011)
e da numerose pronunzie interpretative (ad
esempio Corte dei conti, sezione regionale
controllo Lombardia, parere 350 del 13.06.2011), che esplicitano anche la
necessità della vigilanza da parte degli
enti locali soci.
Gli altri paletti
Il reclutamento di risorse umane da parte
delle società affidatarie in house dagli
enti locali è assoggettato anche al regime
vincolistico stabilito dal patto di
stabilità per gli enti locali soci, come
chiaramente evidenziato dal comma 6
dell'articolo 3-bis della legge 148/2011
(introdotto dalla legge 27/2012).
La disposizione, infatti, oltre a ribadire
la necessità di regole per il reclutamento,
prevede esplicitamente che queste società
rispettino le disposizioni che stabiliscono
a carico degli enti locali (soci di
riferimento) divieti o limitazioni alle
assunzioni di personale, nonché il
contenimento degli oneri contrattuali e
delle altre voci di natura retributiva o
indennitarie, con riferimento sia alle
consulenze sia agli amministratori.
In questo senso rileva il recente intervento
della Corte dei conti, sezione regionale di
controllo Emilia Romagna, con il parere 11
dell'08.03.2012: è precisata la necessità di
un'applicazione rigorosa delle norme sui
compensi degli amministratori delle società
partecipate previste dalla legge 296/2006 (articolo Il Sole 24 Ore
del 16.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it).
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Vincoli certi. Va rispettato il rapporto fra
spesa corrente e costi per il personale.
Patto di stabilità: vale il limite del 50%.
Il rispetto del patto di stabilità da parte
delle società affidatarie in house presenta
molte problematiche interpretative e
applicative, che potranno essere risolte
solo con un intervento normativo.
La sottoposizione al regime vincolistico
definito dal comma 557 dell'articolo 1 della
legge 296/2006 e dalle disposizioni
correlate (particolarmente l'articolo 76
della legge 133/2008, come modificato dalla
legge 122/2010) è prevista da varie
disposizioni, che configurano un sistema
regolativo a portata estesa.
La combinazione delle previsioni contenute
nell'articolo 18 della legge 133/2008,
nell'articolo 3-bis (commi 5 e 6) e
nell'articolo 4 (comma 17) della legge
148/2011 assoggettano al patto tutte le
società in house, affidatarie di servizi
pubblici locali con e senza rilevanza
economica (comprese quelle affidatarie di
servizi idrici e farmacie), ma anche di
servizi strumentali.
L'applicazione delle regole del patto,
tuttavia, è rimessa a un decreto
ministeriale attuativo, ritenuto necessario
da alcune interpretazioni (Corte dei conti
sezione regionale di controllo Lombardia con
il parere n. 7 del 19.01.2012) e
valutato invece come solo complementare alla
previsione di principio, stabilita dalle
disposizioni legislative, da altre analisi
interpretative (Corte dei conti Emilia
Romagna, parere n. 17/2010, Corte dei conti
Campania parere n. 98/2011).
In attesa che il decreto risolva il
contrasto interpretativo, alcune previsioni
limitative discendenti dal patto di
stabilità sembrano invece risultare
immediatamente applicabili anche alle
società partecipate. Per esse, infatti, è
stato rilevato come valga il divieto ad
assumere quando, nel calcolo del rapporto
tra spesa corrente e spesa del personale del
sistema allargato (ente locale e società da
esse partecipate), si abbia il superamento
del limite del 50% (come evidenziato dalla
Corte dei conti sezioni riunite Sicilia, con
il parere n. 3 del 16.01.2012).
Da questo quadro emerge una linea di
indirizzo operativo che gli enti locali
possono sin da ora formalizzare nei
confronti delle proprie società partecipate,
invitandole a contenere, in via prudenziale,
la spesa per il personale e per
l'affidamento di incarichi professionali,
anche in forza delle previsioni specifiche
dettate per le società comprese nell'elenco
Istat del conto consolidato, sancite
nell'articolo 6, comma 11, e nell'articolo 9,
comma 29, della legge 122/2010.
Questo approccio comporta anche la
limitazione della spesa per assunzioni con
contratti flessibili al limite di valore del
50% della spesa sostenuta nel 2009.
Altrettanto importante può risultare la
formalizzazione, sempre da parte degli enti
locali soci, di linee di indirizzo rivolte
alle società partecipate per ridurre
l'indebitamento in termini coerenti con le
percentuali e le tempistiche previste per
comuni e province dall'articolo 8, comma 3,
della legge 183/2011.
Gli enti locali, infatti, devono vigilare
anche su questo aspetto, essendo consapevoli
che rientra nel quadro del consolidamento
del bilancio allargato e che, in caso di
liquidazione delle società partecipate,
devono far fronte ai debiti della propria
società in house che non sono stati
soddisfatti in seguito alla liquidazione a
causa dell'incapienza del capitale sociale
(come evidenziato dalla Corte dei conti,
sezione regionale di controllo Piemonte,
parere n. 3 del 19.01.2012) (articolo Il Sole 24 Ore
del 16.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edilizia con Durc «d'ufficio».
La Pa deve procurarsi da sé il documento per
i lavori pubblici e privati.
Semplificazioni. La legge di conversione del
Dl 5/2012 ha chiarito che l'azienda non può
produrre l'autocertificazione.
Il decreto sulle semplificazioni (Dl 5/2012,
convertito dalla legge 35/2012 in vigore dal
7 aprile scorso), ha apportato alcune novità
in materia di lavoro: si tratta più che
altro di "aggiustamenti" di norme esistenti
o del recepimento di orientamenti derivati
da prassi consolidate.
C'è innanzitutto un importante chiarimento
sulla disciplina del documento unico di
regolarità contributiva (Durc): la legge di
conversione del Dl ha precisato che nei
lavori pubblici e privati dell'edilizia le
amministrazioni pubbliche devono acquisire
d'ufficio il documento.
Il capitolo Durc
Il comma 6-bis dell'articolo 14 del Dl
5/2012 ha ribadito il principio della non
autocertificabilità del documento unico di
regolarità contributiva, nel solco delle
indicazioni fornite recentemente dalle note
del ministero del Lavoro e da quelle degli
istituti previdenziali (si veda il grafico a
lato). A partire dalla sua introduzione -con il Dl 210 del 2002- il Durc ha
acquisito sempre maggiore rilevanza e si è
arricchito di diverse funzioni nel campo
degli appalti. La «decertificazione»
introdotta con la legge di stabilità 2012,
con modifiche al Dpr 445/2000 (il Testo
unico sulla documentazione amministrativa),
lasciava intendere che anche il Durc potesse
essere sostituito da un'autocertificazione.
Il decreto sulle semplificazioni ha
dissipato l'incertezza che si era creata,
sancendo l'obbligo, per le amministrazioni
pubbliche, di acquisire il Durc d'ufficio
nell'ambito dei lavori pubblici e privati
dell'edilizia. Oltre a rafforzare la non
autocertificabilità, la norma elimina
l'eventualità che il Durc possa essere
acquisito dal soggetto interessato,
estendendo anche alle ipotesi dei lavori
privati in edilizia l'onere di richiesta del
certificato da parte dell'amministrazione:
si dovrebbe così superare la regola prevista
dal comma 9 dell'articolo 90 del Dlgs
81/2008, in base alla quale il Durc deve
essere trasmesso «all'amministrazione
concedente, prima dell'inizio dei lavori
oggetto del permesso di costruire o della
denuncia di attività».
I controlli sulle imprese
L'articolo 14 del Dl 5/2012 si occupa del
restyling dei controlli sulle imprese. La
nuova disciplina dovrà essere delineata da
regolamenti attuativi, seguendo criteri di
proporzionalità e razionalizzazione, di
coordinamento e programmazione dell'azione
ispettiva, con l'obiettivo di ridurre o
eliminare le verifiche nei confronti delle
imprese in possesso di certificazione di
qualità Iso. Unico neo della disposizione,
l'aver escluso dal perimetro della
semplificazione i controlli in materia
fiscale, finanziaria e di sicurezza sui
luoghi di lavoro.
Assunzioni
Per le assunzioni, sono state snellite le
comunicazioni riguardanti i rapporti di
lavoro con gli extracomunitari (articolo
17), soprattutto per le ipotesi di
svolgimento di periodi di lavoro stagionale
successivi al primo (si veda anche «Il Sole
24 Ore del Lunedì» del 5 marzo).
Modificate
anche le procedure delle comunicazioni
obbligatorie di assunzione, nei settori dei
pubblici esercizi e in quello agricolo: per
il primo è stata estesa la possibilità,
prima riservata alle attività del turismo,
di effettuare la comunicazione preventiva
con modalità semplificate nel caso in cui il
datore di lavoro non sia in possesso di
tutti i dati necessari, integrandoli entro
il terzo giorno successivo.
In ambito
agricolo è stata invece prevista una nuova
fattispecie che consente di effettuare
un'unica comunicazione nel caso di
assunzione contestuale di due o più operai
agricoli a tempo determinato, da parte dello
stesso datore di lavoro.
Collocamento obbligatorio
Alleggerimento per il collocamento
obbligatorio, in materia di sospensione
degli obblighi occupazionali delle categorie
protette: nell'ipotesi di Cigs, Cds o di
procedure di mobilità, i datori di lavoro
che hanno unità produttive in più province
possono presentare l'istanza di sospensione
al servizio provinciale per il collocamento
mirato competente sul territorio dove si
trova la sede legale dell'impresa.
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I chiarimenti
Gli ultimi interventi sul documento unico di
regolarità contributiva
LE PA DEVONO PROCURARSI IL DURC
Il Durc nei lavori pubblici e privati
dell'edilizia
(Articolo 14, comma 6-bis
del decreto legge 5/2012).
L'onere di acquisire il Durc spetta alle
amministrazioni pubbliche che devono
provvedere d'ufficio.
Le imprese interessate possono verificare
la richiesta di Durc
da parte della Pubblica amministrazione
attraverso una funzione
di consultazione ad hoc disponibile sul
portale www.sportellounicoprevidenziale.it
IL DURC NON È AUTOCERTIFICABILE
Il chiarimento riguarda l'intervento della
legge di stabilità 2012 (legge 183/2011) sul
Testo unico delle norme sulla documentazione
amministrativa
(Nota del ministero del Lavoro del 16.01.2012 n. 619 e nota Inps/Inail del 26.01.2012)
Il Durc non è autocertificabile (si veda
anche la circolare Inps 47/2012): la norma è
interpretata come possibilità, da parte
della Pa, di acquisire un Durc da parte del
soggetto interessato. Questa previsione vale
nei soli casi espressamente previsti dal
legislatore: vi rientra, ad esempio, la
trasmissione all'amministrazione concedente
prima dell'inizio dei lavori oggetto della
denuncia di attività
Questa interpretazione dovrebbe essere
superata dal Dl semplificazioni, nell'ambito
dei lavori pubblici e privati nell'edilizia
Resta intatta la possibilità da parte
dell'impresa di presentare una dichiarazione
al posto del Durc nei casi previsti
espressamente, come per i contratti di
forniture e servizi fino a 20mila euro
stipulati con la Pa e con le società in
house. Negli altri casi, sono le stazioni
appaltanti pubbliche a richiedere il Durc
LA STAZIONE APPALTANTE GARANTISCE
L'intervento sostitutivo della stazione
appaltante a garanzia dei contributi dei
lavoratori (Circolare del ministero del
Lavoro 3/2012 - messaggio Inps 3808/2012 e
circolare Inps 54 del 13 aprile - nota Inail
del 21/03/2012)
Nell'ipotesi di emissione di Durc con
inadempienze contributive (Inps-Inail-Cassa
Edile) relative a uno o più soggetti
impiegati nell'appalto pubblico, la stazione
appaltante trattiene dal pagamento l'importo
corrispondente all'inadempienza e procede a
saldare i debiti contributivi (sia che il
debito sia in fase amministrativa che
iscritto a ruolo)
In ogni caso, il Durc deve evidenziare
l'importo dell'inadempienza debitoria
riscontrata (messaggio Inps 2860 del 17.02.2012) (articolo Il Sole 24 Ore
del 16.04.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Materiali di riporto: in edilizia non sono
trattati come rifiuti. Dl ambiente.
Chiarimento in conversione.
Il tema dei materiali di riporto ha destato
non pochi dubbi interpretativi e creato
moltissimi problemi applicativi nell'ultimo
anno. Con il Dlgs 205/2010, infatti, era
stata riscritta gran parte della disciplina
sui rifiuti di cui alla Parte III del Dlgs
152/2006 al fine di recepire la direttiva
CE/98/2008.
Una parte delle questioni aperte vengono ora
risolte con la conversione del decreto
ambiente (Dl 2/2012), con il quale il
Governo Monti aveva adottato misure
straordinarie e urgenti in materia
ambientale. In sede di conversione, le
Camere hanno proposto ulteriori revisioni
correttive, alcune delle quali manifestavano
anche non pochi dubbi di costituzionalità in
quanto idonee a eccedere i contenuti
originari del decreto. Dopo alcuni passaggi
tra Camera e Senato, in prossimità della
scadenza dei 60 giorni, con legge 28 del 24.03.2012.
Il chiarimento
L'articolo 185 del Dlgs 152/2006 aveva
espressamente previsto i casi di esclusione
dall'ambito di applicazione della disciplina
sui rifiuti (terreno contaminato non
escavato, edifici collegati al terreno,
altri materiali allo stato naturale), ma non
aveva considerato i materiali di riporto
impiegati in passato per terrapieni o
riempimenti. Alcuni enti locali, quindi,
volendo aderire a un'interpretazione
particolarmente restrittiva, avevano
considerato tali materiali come rifiuti, con
conseguente obbligo di rimozione e
smaltimento degli stessi.
Le ricadute sui cantieri e sugli interventi
edilizi erano state così gravi da spingere
il Governo a prendere una formale posizione.
Con il Dl 2/2012 e la sua successiva
conversione in legge 28/2012, il legislatore
ha provveduto a fornire un'interpretazione
autentica della normativa. L'articolo 3 del
Dl ambiente, dunque, chiarisce che il
riferimento al concetto di suolo di cui
all'articolo 185 (terreno in situ, suolo
contaminato non scavato, edifici collegati
permanentemente al terreno, suolo non
contaminato e altro materiale naturale
escavato) deve considerarsi esteso anche
alle matrici materiali di riporto, ossia
quei materiali eterogenei utilizzati per la
realizzazione di riempimenti e rilevati,
contenenti anche materiali estranei.
I materiali di riporto utilizzati a fini
edilizi, quindi, beneficiano in linea
teorica dello stesso trattamento giuridico
riservato al suolo (ossia esclusione dalla
disciplina sui rifiuti). Al ministero
dell'Ambiente, tuttavia, è affidato il
compito di adottare uno specifico
regolamento che definisca esattamente le
matrici materiali di riporto. In attesa del
regolamento ministeriale, i materiali di
riporto presenti nel suolo possono comunque
considerarsi sottoprodotti nel caso in cui
soddisfino i requisiti previsti
dall'articolo 184-bis del Dlgs 152/2006.
I nodi aperti
Sul punto, ci si domanda se tale
equiparazione ai sottoprodotti rilevi solo
nel caso in cui i materiali di riporto siano
oggetto di scavo oppure se ricomprendano
anche i riporti non scavati. Questi ultimi,
invero, dovrebbero essere paragonati al
suolo e, quindi, esclusi -come detto sopra- dalla disciplina dei rifiuti e, quindi,
anche da quella dei sottoprodotti.
Se il Dl ambiente, dunque, chiarisce alcuni
aspetti, permangono comunque diversi dubbi
interpretativi. Si auspica, quindi, che il
regolamento ministeriale sia in grado di
fare definitiva chiarezza sul punto, così da
fornire agli enti e agli operatori certezze
sulla gestione di tali materiali (articolo Il Sole 24 Ore
del 09.04.2012). |
aggiornamento al 16.04.2012 |
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ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Corruzione p.a., prefetti in campo.
Gli Utg vigileranno sui comuni. Più poteri
ai segretari. Le proposte della commissione
Patroni Griffi. Per gli enti locali un passo
indietro di 15 anni.
Prefetti e segretari in campo per la lotta
alla corruzione negli enti locali. Prefigura
un passo indietro di almeno 15 anni
l'integrazione al rapporto sulle misure
anticorruzione elaborata dalla «Commissione
di studio su trasparenza e corruzione nella
p.a.», sotto il coordinamento del ministro
Filippo Patroni Griffi.
Il documento contiene una serie di proposte
che la commissione coordinata dal
consigliere di stato Roberto Garofoli
chiederà vengano recepite nel ddl
anticorruzione su cui sta lavorando il
ministro della giustizia Paola Severino (si
veda ItaliaOggi del 31/3/2012).
Si tratta di una sonora bocciatura delle
riforme-Bassanini che nel 1997, in
un'impostazione pseudo-federalista
dell'autonomia locale, modificarono
radicalmente la figura del segretario
comunale, sottraendogli la competenza a
esprimere il parere di legittimità sugli
atti degli enti locali e lasciando la sua
nomina nelle mani dei sindaci e dei
presidenti delle province, in applicazione
di uno spoil system molto spinto.
La Commissione, a seguito di un'audizione
col Viminale dello scorso 22 marzo,
prefigura un sostanziale ritorno indietro su
tutta la linea, travolgendo anche ogni
residua velleità di «federalismo» o
«policentrismo istituzionale».
Poteri del prefetto. L'idea di fondo del
piano anticorruzione è costituire
un'ennesima Authority. La Commissione,
tuttavia, si rende conto che tale organismo
avrebbe difficoltà a relazionarsi con le
amministrazioni locali. Il compito, allora,
di vigilare sulle misure anticorruzione da
adottare da parte degli enti locali si
ipotizza possa essere assegnato ai prefetti,
anche nel quadro di un potenziamento degli
uffici del governo.
Il peso del Viminale
tornerebbe, così, a gravare fortemente su
comuni e province. Le prefetture dovrebbero
supportare gli enti locali per
l'elaborazione dei «piani di prevenzione
della corruzione», obbligatori per tutte le
p.a., assicurando che siano formulati nel
rispetto delle linee-guida dell'Authority,
della quale sarebbero le referenti.
Poteri sostitutivi. Il rapporto suggerisce
anche di attribuire ai prefetti il potere di
sostituirsi alle amministrazioni locali
inadempienti, che non adottino, aggiornino o
attuino i piani di prevenzione della
corruzione.
Ma, in alternativa o in aggiunta, lo studio
della Commissione prende in considerazione
anche l'ipotesi di configurare la mancata
adozione del piano alla stregua della
mancata approvazione del bilancio di
previsione. La conseguenza, dunque, sarebbe
il commissariamento e lo scioglimento
dell'ente locale.
Ruolo del segretario comunale. Il piano
anticorruzione prevede l'individuazione di
un «dirigente responsabile della prevenzione
della corruzione», che secondo la
Commissione andrebbe individuato nel
segretario comunale, in particolare nei
comuni privi di dirigenza, nelle forme
associative e nei comuni con meno di 5.000
abitanti, ove la gestione sia assegnata ai
componenti della giunta, ai sensi
dell'articolo 53, comma 23, della legge
388/2000. Il segretario comunale, dunque,
avrebbe il compito materiale di redigere il
piano e sottoporlo all'approvazione
dell'organo di governo, che secondo la
Commissione dovrebbe essere la giunta.
Inoltre, il segretario dovrebbe addossarsi
le funzioni proprie del dirigente
responsabile, procedendo, dunque, ad attuare
concretamente le misure contro la
corruzione. La Commissione ritiene che
l'attribuzione di questo ruolo al segretario
comunale risulti coerente con le sue
funzioni di coordinamento dell'azione dei
dirigenti e le storiche competenze in tema
di regolarità amministrativa, visto che il
segretario è sempre stato strumento di
garanzia di legalità e imparzialità
dell'azione amministrativa.
Dunque, in
qualità di dirigente responsabile
dell'anticorruzione, al segretario
andrebbero rassegnati poteri e funzioni
addirittura più ampi di quelli, come il mero
parere di legittimità, che resero la figura
talmente invisa alle amministrazioni locali
da suscitare la proposta di un referendum
abrogativo, scongiurato proprio dalle riforme-Bassanini, dalle quali derivò il
depotenziamento del ruolo dei segretari.
Nomina e revoca dei segretari. Altro punto
dolentissimo della riforma-Bassanini è da
sempre il sistema di nomina e revoca dei
segretari. La legge 127/1997 e, attualmente,
il testo unico degli enti locali connota
come ampiamente fiduciario l'incarico che
sindaci e presidenti delle province
assegnano ai segretari comunali, così da
comprometterne l'autonomia e indipendenza
operativa.
La Commissione, dunque, ritiene opportuno
modificare radicalmente il sistema di
nomina, ipotizzando che il Viminale
sottoponga ai vertici monocratici degli enti
locali una rosa di segretari preselezionata
in base a specifici requisiti di
professionalità e sulla base di
autocandidature, nell'ambito della quale
sindaco e presidente della provincia possano
poi nominare il segretario da incaricare
(articolo ItaliaOggi
del 14.04.201). |
APPALTI: Durc sanabili per i subappaltatori.
L'intervento sostitutivo del committente su
tutti i partecipanti. I chiarimenti in
merito alla procedura di regolarizzazione
introdotta dal dpr 207 del 2010.
L'intervento sostitutivo della stazione
appaltante in caso di Durc irregolare può
riguardare anche gli eventuali
subappaltatori impiegati nel contratto, nei
limiti del valore del debito che
l'appaltatore ha nei loro confronti.
Inoltre, prima di procedere all'intervento
sostitutivo, la stazione appaltante deve
darne comunicazione all'Inps ed effettuare
il pagamento nei successivi 30 giorni.
Lo
precisa l'Inps, tra l'altro, nella
circolare
13.04.2012 n. 54.
Intervento sostitutivo. Il dpr n. 207/2010
ha introdotto un particolare meccanismo
attraverso cui, in presenza di Durc che
evidenzi delle irregolarità nei versamenti
dovuti agli istituti previdenziali (Inps e
Inail) e/o alle casse edili (nel caso di
imprese edili), le stazioni appaltanti hanno
il potere di sostituirsi al debitore (cioè
alle imprese titolari del Durc irregolare e
che detengono i lavori in appalto) versando,
in tutto o in parte, direttamente ai
predetti istituti e casse edili le somme
dovute in forza del contratto di appalto.
Subappalti. L'Inps precisa che l'intervento
sostitutivo opera limitatamente ai contratti
pubblici, ossia nei casi di contratti di
appalto o di concessioni aventi per oggetto
l'acquisizione di servizi o forniture,
ovvero l'esecuzione di opere o lavori. E che
può riguardare pure le eventuali
irregolarità contributive dei subappaltatori
impiegati nel contratto. In tal caso, la
stazione appaltante potrà eseguire il
pagamento a favore degli enti interessati
nei limiti del valore del debito che
l'appaltatore ha nei confronti del
subappaltatore.
Comunicazione preventiva. In merito alla
procedura dell'intervento sostitutivo l'Inps
spiega che, ricevuto un Durc attestante
l'irregolarità dell'esecutore o di un
subappaltatore, la stazione appaltate è
tenuta a comunicare, per posta elettronica
certificata, alla sede Inps che ha accertato
l'inadempienza, la volontà di attivare
l'intervento sostitutivo.
A tal fine l'Inps
ha predisposto apposito modello per
facilitare la trattazione degli interventi
sostitutivi, in cui la stazione appaltante
indicherà tra l'altro l'importo che intende
e che dovrà versare, salvo l'Inps non
comunichi un minor valore in presenza di
modifiche dello status debitorio del
soggetto sostituito (appaltatore e/o
subappaltatore), nelle more del
perfezionamento del procedimento
dell'intervento sostitutivo.
Il pagamento. La stazione appaltante, spiega
inoltre l'Inps, effettuerà il pagamento non
in proprio ma sostituendosi all'adempimento
del contribuente.
Di conseguenza, il
pagamento della somma oggetto d'intervento
sostitutivo dovrà avvenire utilizzando le
medesime modalità e le medesime specifiche
previste per l'adempimento contributivo da
parte dell'obbligato principale (il
sostituito: l'appaltatore oppure il
subappaltatore). A tal fine, nella lettera
di riscontro alla comunicazione preventiva,
l'Inps fornirà indicazioni alla stazione
appaltante sui dati da indicare nella
«sezione Inps» del modello F24 con cui
eseguire il pagamento.
Per consentire il
corretto svolgimento del procedimento,
l'Inps precisa infine che è opportuno che il
pagamento sia effettuato non oltre il
termine di 30 giorni dal ricevimento della
lettera di riscontro alla comunicazione
preventiva e che la notizia dell'avvenuto
pagamento sia inviata, sempre per Pec o per e-mail,
dalla stazione appaltante, alla sede Inps di
riferimento
(articolo ItaliaOggi
del 14.04.2012). |
LAVORI PUBBLICI: Parcheggi fuorigioco.
Il concessionario va scelto con gara.
L'Antitrust boccia il sistema di affido
diretto delle opere.
Nella realizzazione dei programmi urbani per
i parcheggi il concessionario deve essere
scelto in gara e non può essere affidatario
diretto, così come avviene oggi.
E' quanto
chiede l'Autorità garante della concorrenza
e del mercato con la segnalazione 29.03.2012 (AS 295) indirizzata al
presidente dell'Anci e al Sindaco di Roma in
merito ai Programmi urbani parcheggi (Pup)
di cui alla cosiddetta «Legge Tonioli» n.
122/1989.
Il problema che pone l'Autorità presieduta
da Giovanni Pitruzzella attiene alle
modalità con le quali il Comune di Roma ha
proceduto all'affidamento delle concessioni
(di progettazione, costruzione e gestione
dei parcheggi) dal momento che, in base agli
esposti ricevuti, vi sarebbero stati veri e
propri affidamenti diretti a società a
capitale privato, «in presunta violazione di
quanto previsto dalle direttive europee in
materia di contratti pubblici e dal Codice
dei contratti pubblici, oltre che, in
generale, in violazione dei principi e dalle
regole sulla concorrenza e sul mercato».
La
particolarità degli interventi oggetto di
segnalazione è che si tratta di parcheggi
privati da realizzare su suolo pubblico, in
cui, quindi, i fondi per realizzare l'opera
sono privati, ma lo spazio ed il suolo ove
si realizzano i parcheggi sono di proprietà
pubblica (il comune istituisce un diritto di
superficie a favore del soggetto privato,
concessionario).
A tutt'oggi accade che la società proponente
ottiene, senza gara, la concessione del
diritto di superficie per il solo fatto di
essere stata la prima a fare domanda di
concessione in relazione ad una determinata
area pubblica.
Il ragionamento che fa l'authority è di una
semplicità estrema: dal momento che per
realizzare il parcheggio «la
disponibilità di spazi, terreno e suolo è un
input produttivo essenziale ed imprescindibile»,
il ruolo che svolge il privato nella
promozione dell'intervento (più o meno alla
stessa stregua del promotore di un
project finance così come disciplinato
dal Codice dei contratti pubblici) incide
soltanto su di «una prima fase di un
fisiologico processo decisionale pubblico,
ossia quella relativa alla valutazione
dell'esistenza di significative potenzialità
di mercato, mediante l'osservazione e il
recepimento delle esigenze segnalate dalla
domanda».
La legge, laconicamente, prevede infatti che
le iniziative siano attivate «su
richiesta dei privati interessati o di
imprese di costruzione o di società anche
cooperative». Senza il conferimento del
diritto di superficie tutta l'operazione non
sarebbe possibile; pertanto se il suolo (e
il sottosuolo) rappresentano quello che la
segnalazione qualifica come «fattore
produttivo essenziale», diventa
difficile sostenere la legittimità di un
conferimento in via diretta, con modalità
discrezionali, di una risorsa scarsa come il
suolo, nei confronti di alcuni soggetti e
non di altri.
Secondo l'Antitrust, invece, sarebbe bene
che l'Amministrazione, «una volta
valutata la convenienza, anche sociale,
della realizzazione dell'opera privata su
suolo pubblico, massimizzi l'interesse
pubblico -anche in termini economici-
ricorrendo all'applicazione dei principi
concorrenziali, nella forma del ricorso a
procedure di gara per l'individuazione
dell'impresa concessionaria». In altre
parole si tratta di una concessione come
tante altre che dovrebbe essere messa in
concorrenza fra tutti gli operatori del
mercato sia per ottenere proposte
progettuali alternative, sia per
massimizzare il profitto derivante dalla
cessione del diritto di superficie.
In concorrenza potrebbero quindi andare gli
oneri concessori, le caratteristiche, gli
elementi progettuali, la tempistica
dell'opera, i successivi servizi di
manutenzione ed altri elementi, così come
accade nelle ordinarie concessioni di
costruzione e gestione. Adesso spetterà ai
Comuni (quello di Roma in primis) tenere
conto delle osservazioni dell'Antitrust,
anche alla luce di possibili rilievi sotto
il profilo della responsabilità per danno
erariale che potrebbero in futuro arrivare
dalla magistratura contabile
(articolo ItaliaOggi
del 13.04.2012). |
APPALTI: Durc,
l'Inps chiarisce meglio il raggio d'azione.
Il documento unico di regolarità
contributiva (noto come Durc) è richiesto da
tutti i committenti di appalti o subappalti
alle ditte appaltatrici.
Ciò al fine di poter procedere al pagamento
di quanto pattuito senza il rischio di
rispondere a titolo di solidarietà per i
debiti dell'appaltatore.
Andrà detto che, nonostante il Durc, restano
fuori da detta certificazione alcuni debiti
e in particolare quelli eventuali nei
confronti dei lavoratori dipendenti a titolo
di retribuzioni dirette e indirette.
L'ultima novità in tema di Durc è stata
fornita dal messaggio
17.02.2012 n. 2860 dell'Inps.
Nel testo si precisa che per rendere
omogenee le informazioni riportate nel Durc
in caso di irregolarità anche l'Istituto
dovrà rendere noto l'importo del debito
contributivo accertato alla data indicata
nel documento stesso.
A questo proposito viene ricordato l'obbligo
derivante dall'applicazione dell'art. 7,
comma 3, del dm 24.10.2007, il quale
prima dell'emissione del Durc o
dell'annullamento del documento già
rilasciato con il meccanismo del «preavviso
di accertamento negativo», impone agli enti
di invitare il contribuente, la cui
posizione costituisce oggetto di verifica a
regolarizzare la situazione debitoria entro
15 giorni.
L'importo del debito contributivo richiesto
in base alla norma citata e non
regolarizzato, dovrà essere riportato
nell'apposito campo del documento della
sezione «Istruttoria Inps».
Detta somma costituirà il valore che le
stazioni appaltanti dovranno considerare ai
fini dell'applicazione dell'intervento
sostitutivo disciplinato dall'art. 4 del dpr
n. 207 del 05.10.2010 il quale prevede
che il pagamento di quanto dovuto per le
inadempienze accertate mediante il Durc è
disposto dalle stazioni appaltanti
direttamente agli enti previdenziali.
Se vi è iscrizione Inail la richiesta del
certificato di regolarità dovrà essere
effettuata tramite lo sportello unico
previdenziale.
Per quanto concerne il settore agricolo dove
opera il Durc Agr Cau la regolarità per
ottenere agevolazioni, finanziamenti,
sovvenzioni e autorizzazioni dovrà essere
richiesta direttamente dalle stazioni
appaltanti
(articolo ItaliaOggi
del 13.04.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Solo incompatibilità doc.
Il presidente dell'Unione può lavorare per i
comuni. Non è ammissibile
l'analogia per le norme che limitano i
diritti di status.
Sussiste l'ipotesi dell'incompatibilità, ai
sensi dell'art. 63 del Tuel, nel caso del
presidente di un'Unione di comuni che svolge
anche incarichi tecnici nei comuni facenti
parte della stessa Unione?
Secondo il Consiglio di stato «le ipotesi di
incompatibilità si applicano solo nei casi
ivi testualmente menzionati (art. 63 del
decreto legislativo n. 267/2000), in quanto
il ricorso all'analogia non è consentito dal
principio interpretativo generale per cui le
norme che restringono eccezionalmente
diritti di status sono di stretta
interpretazione». (Consiglio di stato parere
n. 5862/2008 del 13-01-2008).
Trattandosi, quindi, di «principio
interpretativo generale», va esclusa la
sussistenza di incompatibilità nell'ipotesi
in questione
(articolo ItaliaOggi
del 13.04.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Ineleggibilità e
incompatibilità.
Sussistono le condizioni di ineleggibilità
e/o incompatibilità, ai sensi degli artt. 60
e 63 del Tuel, nei confronti di un
consigliere comunale in carica che risulta
componente e capo della squadra antincendi
boschivi della protezione civile comunale
formata esclusivamente da volontari?
Nella fattispecie, non sussistono le
condizioni di ineleggibilità e/o
incompatibilità previste negli artt. 60 e 63
del decreto legislativo n. 267/2000,
considerato che non è ammesso estendere
l'ambito applicativo delle disposizioni in
questione, in quanto le norme che
restringono eccezionalmente diritti di
status- come, nel caso di specie, il
diritto di elettorato passivo riconosciuto
dall'art. 51 della Costituzione- sono norme
di stretta interpretazione, le cui
disposizioni non possono essere estese in
via analogica al di fuori dei casi ivi
espressamente indicati (si veda ex multis,
la sentenza del Consiglio di stato, I
sezione, 22.10.2008, n. 3376)
(articolo ItaliaOggi
del 13.04.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Rimborso spese legali.
È possibile ottenere il rimborso delle spese
legali, sostenute dagli amministratori
locali, per la difesa in procedimenti civili
o penali conclusisi con sentenza di
assoluzione?
Non è dato rinvenire nell'ordinamento
vigente norme che prevedono la possibilità
di rimborsare agli amministratori locali le
spese legali sostenute per giudizi
instaurati in relazione a fatti
asseritamente posti in essere nell'esercizio
delle proprie funzioni.
Benché in passato parte della giurisprudenza
abbia ritenuto di poter estendere in via
analogica agli amministratori locali la
normativa che consente, a determinate
condizioni, tale rimborso per i dipendenti
degli enti locali, secondo orientamenti
ermeneutici più recenti la possibilità di
tale ricorso all'analogia nella materia in
questione è stata decisamente negata.
In base ai suddetti orientamenti è stato,
infatti, ritenuto non pertinente il richiamo
all'analogia, che risulta correttamente
evocabile quando emerga un vuoto normativo
nell'orientamento, vuoto che nella specie
non è configurabile, atteso che il
legislatore si è limitato a dettare una
diversa disciplina per due situazioni non
identiche fra loro, e tale diversità non
appare priva di razionalità, atteso che gli
amministratori pubblici non sono dipendenti
dell'ente ma sono eletti dai cittadini, ai
quali rispondono (e quindi non all'ente) del
loro operato (cfr. sentenza Cassazione
civile sez. I n. 12645 del 25.05.2010)
(articolo ItaliaOggi
del 13.04.2012). |
APPALTI:
Appalti semplificati, cosa cambia.
Da istituire la banca nazionale dei
contratti pubblici. Le novità che
entreranno in vigore da gennaio 2013 per
effetto della legge Semplifica Italia.
Dall'01.01.2013 gare di appalto
semplificate con i controlli effettuati
tramite la Banca dati nazionale dei
contratti pubblici. Le stazioni appaltanti
dovranno verificare i requisiti dei
partecipanti alle gare soltanto tramite la
banca dati e non potranno più chiedere
documenti. Inoltre, ci sarà maggiore
trasparenza e certezza nei certificati
relativi ai lavori svolti all'estero e una
nuova disciplina sulla scelta degli sponsor
per la realizzazioni di interventi di
restauro oltre che la responsabilità
solidale negli appalti fra committente-
datore di lavoro e appaltatore per i
contributi dei lavoratori.
Sono questi
alcuni dei contenuti della legge cosiddetta
«Semplifica Italia» (legge 04.04.2012, n.
35, di conversione del decreto legge 09.02.2012, n. 5, recante disposizioni
urgenti in materia di semplificazione e
sviluppo, pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale del 06.04.2012) che contiene
diverse modifiche al Codice dei contratti
pubblici.
Banca dati nazionale dei contratti pubblici
Una delle maggiori novità è rappresentata
dall'istituzione, presso l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici presieduta
da Sergio Santoro, della Banca dati
nazionale dei contratti pubblici (Bdncp)
che, dall'01.01.2013, diventerà il
contenitore di tutta la documentazione
relativa alla prova dei requisiti di
capacità economico-finanziaria e tecnico
organizzativa dei partecipanti alle gare di
appalto e concessioni. All'obbligo di
acquisizione della documentazione da parte
della Bdncp è correlato l'obbligo per i
committenti di verifica dei requisiti di
capacità dei concorrenti esclusivamente
attraverso la banca dati, senza quindi più
chiedere documenti ai partecipanti alle
gare.
L'Autorità avrà il potere-dovere di
mettere a punto, con propria deliberazione,
i termini e le regole tecniche per
l'acquisizione, l'aggiornamento e la
consultazione dei dati contenuti nella
predetta Banca dati. A quest'ultima entro
l'inizio del prossimo anno, dovranno quindi
affluire, da parte delle stazioni appaltanti
e da parte dei soggetti privati, i dati e i
documenti rilevanti ai fini della prova dei
requisiti di partecipazione; si avrà quindi
un sistema dinamico e costantemente
aggiornato sulla situazione di ogni impresa
e professionista.
Fino all'01.01.2013 si
continuerà, però, con il sistema attuale in
cui scatta sempre la necessità di produrre
documenti in caso di aggiudicazione del
contratto o di verifica a campione (sul 10%
dei partecipanti). Successivamente
all'attivazione della banca dati saranno i
singoli operatori economici ad aggiornare la
propria posizione trasmettendo, ad esempio,
i certificati delle forniture o dei servizi
svolti ottenuti dai committenti pubblici e
privati. Per altri dati invece saranno le
stazioni appaltanti a collegarsi con le
altre banche dati pubbliche per acquisire i
documenti o per verificarli.
Certificazione dei lavori all'estero
All'articolo 20, sostituendo l'articolo 84
del regolamento del Codice, si è previsto
che i certificati, da produrre alla Soa,
debbano essere redatti da «tecnico di
fiducia del consolato o del Mae», con spese
a carico dell'impresa, e debbano
corrispondere a modelli predisposti
dall'Autorità. La norma, fra le altre cose,
precisa anche che, in caso di subappalto, il
subappaltatore dell'impresa italiana possa
utilizzare il certificato rilasciato
all'appaltatore italiano o richiederlo al
posto dell'appaltatore se quest'ultimo non
lo ha fatto. Si prevede inoltre che se
l'interessato non ha più una sede all'estero
o vi siano difficoltà ad operare all'estero,
si possa fare riferimento alle strutture del
Mae nel paese interessato (consolati,
ambasciate).
Disciplina delle sponsorizzazioni
La legge prevede una articolata disciplina
sulle sponsorizzazioni (si prevede anche
l'obbligo di indicare in programmazione
triennale quali interventi saranno oggetto
di sponsorizzazioni), con ricerca dello
sponsor mediante bando pubblicato sul sito
istituzionale dell'amministrazione
procedente per almeno trenta giorni e
richiesta di offerte in aumento sull'importo
del finanziamento minimo indicato.
L'amministrazione procederà, quindi, alla
stipula del contratto di sponsorizzazione
con il soggetto che avrà offerto il
finanziamento maggiore, in caso di
sponsorizzazione pura, o che avrà proposto
l'offerta realizzativa giudicata migliore,
in caso di sponsorizzazione tecnica.
Responsabilità in solido per appalti di
opere o di servizi
La legge 35 prevede la responsabilità in
solido del committente imprenditore o datore
di lavoro con l'appaltatore, nonché con
ciascuno degli eventuali subappaltatori
entro il limite di due anni dalla cessazione
dell'appalto, per il pagamento di
trattamenti retributivi, compreso il tfr, e
i contributi previdenziali dovuti in
relazione al periodo di esecuzione del
contratto di appalto
(articolo ItaliaOggi
dell'11.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Impugnabili le sanzioni disciplinari.
In un interpello i chiarimenti sulle
procedure applicabili. Arbitrato nella p.a..
Le sanzioni disciplinari irrogate ai
pubblici dipendenti sono impugnabili sia
mediante il tentativo di conciliazione, sia
con procedure arbitrali.
Lo chiarisce il ministero del lavoro con l'interpello
10.04.2012 n. 11/2012, in risposta a un
quesito del Nursind, sindacato delle
professioni infermieristiche. L'interpello
scioglie il dubbio interpretativo derivante
dalla apparente inconciliabilità tra quanto
dispone l'articolo 55, comma 3, del dlgs
165/2001 e le disposizioni del codice di
procedura civile in tema di processo del
lavoro, riformate dalla legge 183/2010 (il
cosiddetto collegato lavoro). Ai sensi della
regola speciale contenuta nel dlgs 165/2001
«la contrattazione collettiva non può
istituire procedure di impugnazione dei
provvedimenti disciplinari. Resta salva la
facoltà di disciplinare mediante i contratti
collettivi procedure di conciliazione non
obbligatoria, fuori dei casi per i quali è
prevista la sanzione disciplinare del
licenziamento (_)».
Detta previsione,
inserita nel dlgs 165/2001 dal dlgs
150/2009, cioè la riforma-Brunetta, ha
introdotto nell'ambito del lavoro pubblico
il divieto di ricorrere avverso i
provvedimenti disciplinari emessi dai
dirigenti o gli uffici delle p.a.,
avvalendosi di forme arbitrali fissate dai
contratti collettivi o, come precisa
l'interpello del ministero, ricorrendo al
collegio di conciliazione operante presso le
direzioni provinciale del lavoro, in
applicazione dell'articolo 7, commi 6 e 7,
della legge 300/1970.
Il ministero del lavoro nota, però, che
successivamente alla riforma Brunetta, la
legge 183/2010 ha modificato proprio la
regolamentazione di conciliazione e
arbitrato nell'ambito della disciplina delle
controversie del lavoro, per altro al
preciso scopo di ottenere un effetto
deflattivo del contenzioso avanti ai
giudici. L'articolo 31, comma 9, della legge
183/2010 ha stabilito espressamente che le
nuove regole sull'arbitrato contenute negli
articoli 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater
del codice di procedura civile sono
applicabili direttamente alle controversie
del lavoro riguardanti i dipendenti
pubblici, abolendo le regole speciali sul
tentativo obbligatorio di conciliazione e il
collegio di conciliazione, contenute negli
articoli 65 e 66 del dlgs 165/2001.
Di conseguenza, poiché le vertenze relative
alle sanzioni disciplinari riguardano i
rapporti di lavoro, secondo l'interpello è
possibile per i dipendenti pubblici opporsi
all'eventuale irrogazione di sanzioni
disciplinari esperendo le procedure di
conciliazione e arbitrato previste dagli
articoli 410 e 412 c.p.c. Del resto, il
tentativo di conciliazione, divenuto
facoltativo, trova la sua fonte direttamente
nella legge e non nella contrattazione
collettiva; sicché non risulta applicabile
il divieto posto dall'articolo 55, comma 3,
del dlgs 165/2001, che non permette di
avvalersi di conciliazione e arbitrati
regolati da contratti collettivi.
Resta invece preclusa la possibilità del
cosiddetto arbitrato irrituale previsto
dall'articolo 412-ter del codice di
procedura civile, in quanto tale forma di
gravame è rimessa alla disciplina della
contrattazione collettiva
(articolo ItaliaOggi
dell'11.04.2012). |
COMPETENZE PROGETTUALI: Geometri, competenze limitate. Professioni.
Un lodo arbitrale ribadisce il divieto di
incarico per opere in cemento armato.
Il contratto «esorbitante» è nullo e la
parcella diventa inesigibile.
IL FASCICOLO/
Al tecnico era stata commissionata la
realizzazione di un chiosco nel parco
municipale.
Il progetto redatto da un geometra in un
campo esorbitante dalle sue prerogative
professionali «è e rimane illegittimo, anche
se controfirmato o vistato da un ingegnere e
anche se un ingegnere esegua calcoli del
cemento armato e diriga le relative opere».
Con questa motivazione, contenuta nel
lodo
arbitrale 14.03.2012, il Comune di Mezzegra, paese
sulle sponde occidentali del Lago di Como,
si è visto confermare la nullità
dell'incarico di un professionista con il
conseguente azzeramento di tutte le pendenze
collegate.
Il geometra dal canto suo
rivendicava il pagamento del compenso –circa 31 mila euro più interessi– per il
progetto preliminare e poi definitivo di un
chiosco ad uso commerciale all'interno del
parco pubblico del paese, realizzati sulla
base di due delibere conformi di Giunta
risalenti al 2008. Il contenzioso era sorto
dopo che il Comune aveva sospeso la
progettazione esecutiva, rifiutandosi di
pagare qualsiasi compenso al geometra.
La questione, come al solito, verteva
sull'interpretazione dell'articolo 16 del
regolamento professionale (Rd 274/1929) che
limita la competenza del geometra alla
progettazione, direzione e vigilanza di
«modeste costruzioni civili» con esclusione
di quelle che comportino l'adozione anche
parziale di strutture in cemento armato;
unica eccezione, la realizzazione di piccole
costruzioni accessorie nell'ambito degli
edifici rurali o destinati alle industrie
agricole che, per la loro destinazione, non
comportino pericolo per le persone.
Secondo il collegio arbitrale (presidente
Claudio Bocchietti, Daniela Corengia, Sergio
Sartori) il divieto di utilizzo del cemento
armato per i geometri nelle costruzioni
civili è confermato nel Dpr 26/08/1959 che,
in accoglimento del ricorso straordinario al
Capo dello Stato proposto dall'Ordine degli
ingegneri di Venezia, aveva annullato una
circolare del ministro dei Lavori pubblici
che apriva qualche spiraglio per l'attività
dei geometri in questo ambito.
Il collegio ha respinto come infondata anche
la comanda del professionista di salvare (il
diritto al pagamento per) la progettazione
di massima e quella definitiva, dovendosi
ritenere illegittima la sola progettazione
esecutiva dell'opera in cemento armato: il
lodo taccia di nullità l'intero contratto
negando «qualunque competenza progettuale»
in materia di cementi.
In ultimo, la decisione del collegio
respinge anche la domanda residuale di
un'azione di arricchimento senza causa (del
Comune) poiché il diritto al compenso
nascerebbe comunque da una prestazione
professionale abusiva.
La decisione del collegio arbitrale lariano
si inserisce nel filone giurisprudenziale
anche più recente sul punto.
La II Sez. civile della Cassazione, il 2
settembre scorso (sentenza 18038/2011), aveva
statuito che il professionista non ha
diritto a ottenere il compenso per
prestazioni per le quali non è abilitato,
anche se queste siano state inserite, non
contestate, nella fattura. Stessa decisione
nella sentenza 6402 del marzo 2011, che
esclude il diritto al compenso se la
prestazione non si attiene alla competenza
stretta dei geometri, definita dal
regolamento professionale.
Secondo il presidente della categoria,
Fausto Savoldi, «spesso i giudici non
tengono conto che il nostro ordinamento
professionale è del 1929, quando il cemento
armato era agli albori. I tempi sono
cambiati. È diversa la progettazione e sono
differenti anche i sistemi di calcolo: ora
c'è il computer. Un regolamento di
ottant'anni fa non può rispecchiare
l'attuale professione. Dobbiamo aggiornare
quelle regole. Del resto la legge di
stabilità dice che tutte le attività che non
sono vietate devono ritenersi libere»
(articolo Il Sole 24
Ore
dell'11.04.2012).
---------------
Sull'argomento, si legga anche:
►
la nota 16.04.2012 dell'Avv. Roberto
Rossi, resa nei confronti dell'Ordine degli
Architetti di Vercelli
►
l'articolo 18.04.2012 del giornale LA
PROVINCIA |
aggiornamento al 10.04.2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Semplificazioni. La legge 35, di
conversione del Dl 5/2012, ha tolto i
vincoli sugli spazi realizzati con le
agevolazioni «Tognoli»
Parcheggi in vendita senza casa. Le aree
potranno essere di pertinenza di immobili
situati in altri quartieri.
Si possono vendere, con limiti, i parcheggi
realizzati in attuazione della legge Tognoli
del 1989: è questa la novità introdotta
dall'articolo 10 del decreto legge 5/2012
(legge 35, in vigore da ieri).
In via generale, chi intende costruire deve
rispettare standard di urbanizzazione e in
particolare realizzare spazi per parcheggi
in misura pari a un metro quadrato ogni 10
metri cubi di costruzione (articolo
41-sexies legge 1150/1942). Questi spazi per
parcheggiare, nel periodo tra il 1985 e il
2005, erano considerati pertinenze
necessarie delle singole costruzioni e cioè
non separabili dalle stesse. Solo con
l'entrata in vigore dell'articolo 12 della
legge 246/2005 è stato possibile cedere il
diritto a parcheggiare o affittare a terze
persone o imprese.
Le agevolazioni
Questa prima liberalizzazione, però, non
riguardava le aree di sosta realizzate in
forza delle legge Tognoli 122/1989, che
hanno continuato a essere considerate
inseparabili dalle unità immobiliari di cui
erano pertinenze. Il vincolo rimasto in
vigore dal 1989 al 2012 sulle aree di sosta
"Tognoli" era motivato dal fatto che
la legge 122/1989 consentiva notevoli
agevolazioni, elasticizzando le previsioni
degli strumenti urbanistici (piani
regolatori, regolamenti edilizi) e le
maggioranze condominiali (bastava la metà
del valore e maggioranza degli intervenuti),
consentendo di realizzare parcheggi sotto
gli edifici oppure al piano terreno nelle
costruzioni "a pilotis", cioè con un
piano terra vuoto, attraversato da nudi
pilastri che reggono l'edifico sovrastante.
Per evitare fenomeni di accaparramento, ad
esempio la vendita di tutto un piano
interrato da trasformare in parcheggio,
oppure la vendita di piani terra vuoti da
delimitare con muri e da suddividere in
spazi di sosta, il legislatore nel 1989
aveva previsto l'obbligo di cedere il
parcheggio realizzato con le agevolazioni
della legge 122 solo insieme all'unità
immobiliare della quale costituiva
pertinenza. Quindi le imprese edili che
realizzavano tali parcheggi non potevano
immetterli sul libero mercato ma dovevano
cederli necessariamente ai proprietari delle
unità immobiliari sovrastanti e solo questi
ultimi potevano eventualmente cederli in
affitto a terzi.
Quando si può vendere
Solo ora, quale effetto del Dl
semplificazioni, è possibile che i
proprietari di unità immobiliari possano
cedere a terzi le aree di parcheggio
realizzate (al piano terra o nell'interrato)
con le agevolazioni della legge Tognoli. I
terzi acquirenti, peraltro, devono mantenere
il vincolo di pertinenza spostandolo su
un'altra unità immobiliare (anche non loro)
presente nello stesso comune. Non è
necessario un rapporto di vicinanza tra
pertinenza e questa diversa unità
immobiliare e l'abitazione o l'ufficio, cui
il parcheggio è collegato, possono essere
molto distanti purché nello stesso comune.
Il decreto legge ha inteso infatti evitare
che si generi un mercato di parcheggi
realizzati con la legge Tognoli
completamente sciolto dalle unità
immobiliari, ma non ha più interesse a che
l'abitazione o l'ufficio goda effettivamente
della possibilità di parcheggiare nell'area
di propria pertinenza. In altri termini, una
casa può avere un parcheggio di pertinenza
anche in un quartiere sito all'opposto del
territorio comunale. Di conseguenza i
proprietari dei parcheggi potranno vendere i
posti auto, realizzati nel loro interrato o
al piano terra con la legge 122,
separatamente dalle loro unità immobiliari,
magari per esigenze di liquidità oppure
perché si tratta di un secondo o terzo posto
auto diventato eccedente.
Aree ancora vincolate
Resistono quindi solo due categorie di posti
auto che hanno concreti limiti a una
separazione dalle unità immobiliari di cui
sono pertinenza: la prima comprende i posti
realizzati in concessione su aree (o sul
sottosuolo di aree) comunali. Questi sono in
genere i primi livelli dei parcheggi
multipiano realizzati in concessione, che
non possono essere separati dall'unità
immobiliare della quale sono pertinenza.
La seconda categoria è quella dei parcheggi
realizzati dai condomini o da singoli
proprietari in aree pertinenziali esterne ai
fabbricati (nel raggio, in genere, di poche
centinaia di metri): tali aree di parcheggio
devono restare a uso esclusivo dei
residenti.
Poiché i "residenti" possono non
identificarsi con i "proprietari", si
arriva alla conclusione che gli inquilini
(tecnicamente, i residenti) di un palazzo in
cui i proprietari abbiano realizzato
parcheggi interrati in aree pertinenziali
(esterne ai fabbricati stessi) hanno diritto
a fruire del parcheggio e non possono
vedersi sottratto tale diritto nemmeno se
l'area di parcheggio viene venduta a terzi.
---------------
L'evoluzione delle regole
1 - Metro quadro
In base alla legge 1150/1942, chi vuole
costruire un edificio deve realizzare spazi
per parcheggi nella misura di un metro
quadro ogni dieci metri cubi di costruzione
1985 - Vincolo
Tra il 1985 e il 2005 gli spazi per
parcheggiare sono stati considerati
pertinenze necessarie delle singole
costruzioni e quindi non separabili dalle
stesse
1989 - Iter semplificato
La legge Tognoli (122/1989) introduce
diverse agevolazioni a livello urbanistico e
di regolamento condominiale per la
realizzazione di parcheggi al piano terra o
interrati sotto i rispettivi edifici
2005 - Primo passo
La legge 246/2005 consente di cedere o
affittare il diritto di parcheggiare a
terzi, ma non per le aree realizzate con la
legge Tognoli (articolo Il Sole 24 Ore
dell'08.04.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: L'Imu va in onda in due puntate.
Definite le aliquote per la rata da versare
entro il 18 giugno. Scadenze e regole
dell'imposta municipale unica contenute nel
maxi-emendamento al dl 16/2012.
Finalmente i contribuenti sanno quali
aliquote devono utilizzare per calcolare la
prima rata dell'Imu da versare,
esclusivamente con il modello F24, entro il
18 giugno (il 16 cade di sabato). Poi, per
il conguaglio di dicembre, si profilano già
dubbi e perplessità, atteso che i comuni
devono fissare aliquote e detrazioni
definitive entro il 30 settembre, prendendo
come riferimento le aliquote che il governo
potrebbe, paradossalmente, cambiare fino al
10 dicembre.
Sono le principali novità del
maxi-emendamento al dl 16/2012, approvato
nei giorni scorsi dal senato, e che ora
passa alla camera per la seconda lettura (la
conversione dovrà avvenire entro il 1°
maggio). Il provvedimento è intervenuto
anche su altre questioni che comunque
rilevano ai fini dell'acconto. Si tratta
degli immobili connessi all'attività
agricola, delle case di interesse storico o
artistico, dei fabbricati inagibili e,
ancora, degli alloggi «ex Iacp».
Posto che
oggi non è possibile sapere con certezza
quale sarà nel 2012 il carico fiscale
complessivo che graverà sui proprietari
degli immobili, tenendo anche conto che gli
alloggi non locati (seconde case e
fabbricati a disposizione) saranno esclusi
da Irpef e relative addizionali, vale la
pena soffermarsi sulle regole da conoscere
per calcolare correttamente la prima rata di
giugno. Anche se occorre precisare che per
determinate tipologie immobiliari sono sorti
dubbi che gli attesi chiarimenti del
ministero delle finanze potrebbero aiutare a
dissipare.
Base imponibile. Rispetto a quanto
originariamente previsto dall'art. 13 del dl
201/2011, le novità introdotte in tema di Imu riguardano i fabbricati inagibili e
inabitabili e le case storiche. Con riguardo
ai primi, viene, sostanzialmente,
ripristinata la stessa riduzione prevista
dall'Ici, anche se per l'Imu, anziché
ridurre l'imposta del 50%, viene previsto un
abbattimento del 50% della base imponibile.
Viene poi precisato, anche se appare una
sottolineatura pleonastica, che se il
fabbricato inagibile è iscritto in catasto
come unità collabente (categoria catastale
F/2) continua «ad avere rendita zero».
Ciò
che invece non viene chiarito (e il problema
era già sorto con riguardo all'Ici) è se il
fabbricato con rendita nulla, qualora
ricostruibile in base agli strumenti
urbanistici del comune, debba essere
considerata area edificabile oppure se si
tratti di un immobile irrilevante ai fini di
tali imposte comunali.
Novità significative
riguardano invece gli immobili dichiarati di
interesse storico e artistico. Da una
tassazione Ici agevolata (per effetto
dell'applicazione di una rendita
convenzionale determinata applicando la
tariffa d'estimo più bassa) si è passati,
con il decreto «salva-Italia»,
all'azzeramento dei benefici, per poi
mediare, con il maxi-emendamento, attraverso
la riduzione della metà del valore
imponibile comunque calcolato sulla base
della rendita risultante in catasto.
Aliquote. Per il calcolo della prima rata si
dovrà applicare: l'aliquota del 4 per mille
all'abitazione principale e relative
pertinenze (purché accatastate in categoria
C2, C/6 o C/7 e comunque nel limite massimo
di un'unità immobiliare per ciascuna delle
predette categorie); l'aliquota del 2 agli
immobili strumentali rurali (al riguardo va
segnalato che a tutt'oggi non risulta ancora
adottato il decreto ministeriale con il
quale dovrebbe essere chiarito se tali
immobili assumeranno la categoria D/10);
l'aliquota del 7,6 a tutti gli altri
immobili.
Riduzioni. Per i terreni posseduti e
condotti da coltivatori diretti e
imprenditori agricoli professionali (Iap),
comprese le società agricole, viene
ripristinato lo stesso meccanismo di
riduzione dell'imposta, articolato per
scaglioni, già previsto per l'Ici.
Rispetto
all'art. 9 del dlgs 504/1992, oltre ai diversi
limiti degli scaglioni, non viene più
previsto che nel caso di terreni ubicati in
più comuni, ai fini del calcolo, si assume
il valore complessivo dei terreni,
ripartendo poi le riduzioni
proporzionalmente ai valori dei singoli
fondi.
Esenzioni. I terreni agricoli ricadenti in
aree montane o di collina di cui all'art. 7,
c. 1, del dlgs 504/92 restano esenti dall'Imu
anche se il ministero delle finanze, con
apposito decreto, potrebbe limitare il
novero dei comuni rientranti in tale
condizione. In assenza di tale decreto, pare
di capire, si applicheranno le stesse regole
dell'Ici.
Trova ingresso, invece,
l'esenzione dall'Imu dei fabbricati rurali
strumentali ubicati nei comuni montani o
parzialmente montani di cui all'elenco dei
comuni italiani predisposti dall'Istat. Tali
immobili, esenti dall'Imu, saranno però
assoggettati all'Irpef e alle relative
addizionali.
Quota statale e versamento. Resta immutata
la regola prevista dall'art. 13, c. 11, del
dl 201/2011 in virtù del quale, tranne
alcune eccezioni di seguito esaminate, allo
stato è riservata una quota di imposta pari
alla metà dell'importo calcolato applicando
alla base imponibile l'aliquota del 7,6 per
mille (per l'acconto o di quella che un dpcm
potrebbe modificare entro il 10/12/2012).
Restano esclusi dal prelievo statale le
abitazioni principali e relative pertinenze
e i fabbricati rurali strumentali. A cui il
maxi-emendamento ha aggiunto i fabbricati
dei comuni utilizzati per scopi non
istituzionali e gli alloggi degli «ex Iacp»
e delle cooperative a proprietà indivisa.
Proprio in relazione a tale ultima
fattispecie, la formulazione della novella
lascia spazio al dubbio se l'effettiva
volontà del legislatore sia andata nella
direzione di ridurre l'imposizione piuttosto
che verso quella della devoluzione
dell'intero gettito al comune.
Il versamento
del 18 giugno potrà essere eseguito solo con
il modello F24, utilizzando i nuovi codici
tributo che renderanno possibile
l'indicazione separata della quota erariale
(ove dovuta) rispetto a quella comunale.
Sarà naturalmente consentito compensare
altri crediti con l'Imu mentre, allo stato
attuale, non appare possibile il contrario
atteso che l'eventuale credito Imu non
risulta da una dichiarazione bensì da un
provvedimento del comune
(articolo ItaliaOggi
Sette dell'08.04.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Malattia, attenzione al
certificato.
Lavoratore responsabile della presenza dei
dati domiciliari. Indennità negata quando è
impossibile svolgere la visita fiscale per
scarsità di informazioni.
Attenzione a fare i furbi sul certificato
medico per evitare i controlli fiscali.
Fornire dati incompleti, infatti, può
costare la perdita dell'indennità di
malattia.
Lo ha precisato l'Inps, fornendo
chiarimenti in merito ai controlli attivati
da imprese e pubbliche amministrazioni (le
cosiddette «visite fiscali»). L'istituto ha
ribadito, in particolare, l'obbligo per il
lavoratore di verificare con massima
attenzione i dati riferiti al proprio
indirizzo finalizzati al controllo
domiciliare, in quanto la responsabilità
sulla correttezza di tali informazioni
ricade unicamente su se stesso che rischia
di perdere l'indennità per malattia.
Entro il 30/4 vanno comunicati i dati 2011
su rifiuti, imballaggi, Aee, veicoli fuori uso,
emissioni.
La malattia viaggia online. La novità
scaturisce dal processo di uniformazione dei
regimi previsti per i dipendenti pubblici e
quelli privati in ordine alle certificazioni
di malattia. Unificazione che ha portato dal
14 settembre all'entrata in vigore di
un'unica disciplina (cioè applicabile sia al
settore privato che pubblico) sulla
trasmissione in via telematica dei
certificati medici all'Inps. E ha portato
pure alla telematizzazione delle richieste
di controllo (le cosiddette visite fiscali),
a regime dal 1° dicembre.
Oggi, dunque, è vigente un regime unico «per
la certificazione di malattia dei
lavoratori», a seguito della legge n.
183/2010 (collegato lavoro), con riferimento
principale all'articolo 55-septies del dlgs
n. 165/2001, ossia al T.u. pubblico impiego.
Ciò ha comportato, inoltre, l'unificazione
del regime anche per ciò che concerne gli
aspetti sanzionatori riferiti ai medici del
Ssn o convenzionati.
Vale la pena ricordare,
infine, che dal 06.07.2011 (entrata in
vigore del dl n. 98/2011) è arrivata
un'ulteriore innovazione, sempre in tema di
assenze per malattia, per cui «nel caso in
cui l'assenza per malattia abbia luogo per
l'espletamento di visite, terapie,
prestazioni specialistiche o esami
diagnostici l'assenza è giustificata
mediante la presentazione di attestazione
rilasciata dal medico o dalla struttura,
anche privati, che hanno svolto la visita o
la prestazione» (unica ipotesi, insomma, per
cui resta possibile la modalità cartacea di
giustificazione dell'assenza).
La visita fiscale si chiede online. A
decorrere dall'01.10.2011, come
accennato, anche le richieste di visita
medica di controllo (le cosiddette «visite
fiscali») devono essere inoltrate all'Inps
mediante canale telematico. La novità fa
parte del piano di «estensione e
potenziamento dei servizi telematici offerti
dall'Inps ai cittadini», in costruzione
progressiva dal 1° gennaio di quest'anno e
che prevede l'utilizzo graduale del canale
telematico per la presentazione delle
principali domande di prestazioni/servizi.
Con riferimento alle segnalazioni da parte
di alcune sedi dell'Inps di imprese che
continuano ad inviare le richieste di visite
mediche mediante fax, l'Inps ha precisato
che tali richieste (per fax) possono essere
accolte solo in eventuali casi di
interruzione del servizio telematico
connessi a problematiche di tipo tecnico. In
via ordinaria, invece l'Inps non dà seguito
alle richieste non pervenute in via
telematica.
Modalità operative. Il servizio telematico
di richiesta di visita fiscale è a
disposizione dei datori di lavoro sia
pubblici che privati, compresi i datori i
cui dipendenti non sono tenuti al pagamento
della contribuzione per l'indennità
economica di malattia all'Inps. Per
l'utilizzo del servizio occorre essere
abilitati all'accesso. Tutti i soggetti già
dotati di Pin e attualmente in grado di
consultare gli attestati di malattia sono
abilitati al servizio automaticamente.
Invece i datori di lavoro o loro incaricati
non ancora abilitati ai servizi di
consultazione degli attestati di malattia,
per poter accedere al servizio, devono
presentare presso una sede dell'Inps i
seguenti documenti: modulo di richiesta,
compilato e sottoscritto dallo stesso datore
di lavoro privato o dal legale
rappresentante (ove il datore di lavoro sia
pubblico o organizzato in forma associata o
societaria), con l'elenco dei dipendenti per
i quali si chiede il rilascio del Pin per
l'accesso agli attestati di malattia del
personale con allegata copia del documento
d'identità del sottoscrittore; modulo di
richiesta «individuale» compilato e firmato
da ogni dipendente autorizzato, con allegata
una fotocopia del documento d'identità del
sottoscrittore.
I datori di lavoro o loro
incaricati che intendano affidare il
servizio di richiesta visita medica di
controllo a un soggetto diverso da quello
attualmente dotato di abilitazione per la
consultazione degli attestati di malattia,
devono comunicarlo all'Inps, che provvederà
a modificare i relativi profili
autorizzativi. Inoltre, gli stessi datori di
lavoro o loro incaricati in possesso di Pin
sono tenuti a chiedere tempestivamente la
revoca dell'autorizzazione all'Inps (che
provvederà a cessare, con effetto immediato,
l'abilitazione), al verificarsi della
cessazione dell'attività, della sospensione
o del trasferimento in altra struttura
dell'intestatario del Pin.
La richiesta di visita medica di controllo,
che viene indirizzata in automatico alla
sede competente dell'Inps per
residenza/domicilio o per reperibilità del
lavoratore, può essere effettuata per un
solo lavoratore e per una sola visita alla
volta. È possibile, inoltre, richiedere
anche la visita di controllo ambulatoriale
Inps, per casi eccezionali e motivati, cui
fa seguito una verifica di fattibilità, da
un punto di vista organizzativo-temporale,
da parte della sede territoriale dell'Inps
destinataria.
Ogni visita può essere
richiesta 24 ore su 24; tuttavia
l'effettuazione del controllo nello stesso
giorno di richiesta è garantita dall'Inps
soltanto per le istanze inviate entro le ore
12. Infatti, i datori di lavoro possono
inviare in qualsiasi momento della giornata
la richiesta di controllo essendo attivo il
canale telematico; lo smistamento delle
richieste ai medici incaricati però avviene:
per i controlli nella fascia antimeridiana
con riferimento alle richieste pervenute
entro le ore 9; per quelli pomeridiani con
riferimento alle richieste arrivate entro le
ore 12.
Indirizzo reperibilità. Per consentire il
controllo domiciliare è di fondamentale
importanza che il lavoratore verifichi, con
la massima attenzione e precisione,
l'inserimento nel certificato telematico dei
dati riferiti all'indirizzo per la
reperibilità. Anche per tale aspetto,
infatti, nulla è innovato rispetto al
passato e, pertanto, la responsabilità sulla
correttezza delle informazioni ricade
unicamente sul lavoratore che ha il diritto
e l'onere di controllare i dati al momento
dell'inserimento da parte del medico o
successivamente visualizzando la copia
stampata del certificato stesso (il
lavoratore rischia di perdere l'indennità
per malattia).
---------------
Dopo dieci giorni parola al medico Ssn.
Per la malattia lunga serve un certificato
medico «doc». Nei casi di assenza superiori
ai dieci giorni, infatti, il lavoratore deve
munirsi necessariamente di certificato
rilasciato da un medico del Servizio
sanitario o con esso convenzionato.
Il
vincolo, finora vigente per il solo settore
pubblico (cioè per gli impiegati statali), è
stato esteso al settore privato dal
Collegato lavoro (legge n. 183/2010). Vale
non solo in caso di lunghe malattie (quelle
superiori a dieci giorni), ma pure per le
infermità oltre la seconda in un anno. In
particolare, il Collegato lavoro ha
stabilito che, per garantire un quadro
completo e univoco delle assenze per
malattia nei settori pubblico e privato,
nonché un efficace sistema di controllo
delle stesse assenze, a decorrere dall'01.01.2010 (termine poi slittato al 14
settembre scorso, per il solo settore
privato), in tutti i casi di assenza per
malattia dei dipendenti di datori di lavoro
privati, per il «rilascio» e la
«trasmissione» della attestazione di
malattia si applicano le disposizioni di cui
all'articolo 55-septies del dlgs n.
165/2001. È proprio questo rinvio normativo
a determinare, per il settore privato, la
necessità di ricorrere a una certificazione
«doc» in alcune situazioni.
Nel dettaglio è
nei casi di assenza per malattia superiori a
dieci giorni e comunque nei casi di eventi
successivi al secondo nel corso dello stesso
anno solare che anche per il lavoratore del
settore privato è divenuto obbligatorio
produrre, al datore di lavoro, idonea
certificazione rilasciata unicamente dal
medico del Ssn o con esso convenzionato. Fa
eccezione a tale regole l'assenza di
malattia per l'espletamento di visite,
terapie, prestazioni specialistiche o
diagnostiche per le quali la certificazione
giustificativa può essere rilasciata anche
da medico o struttura privata
(articolo ItaliaOggi
Sette dell'08.04.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Dichiarazioni ambientali ad hoc.
Mud, Mudino, Prtr: diverse le modalità
dell'eco-denuncia. Entro il 30/4 vanno
comunicati i dati 2011 su rifiuti,
imballaggi, Aee, veicoli fuori uso,
emissioni.
Grandi produttori di rifiuti speciali,
professionisti di recupero e smaltimento,
organismi di gestione dei rifiuti di
imballaggio, fabbricanti e importatori di
apparecchiature elettroniche, soggetti che
effettuano raccolta, trasporto e trattamento
di veicoli fuori uso, impianti industriali a
emissioni rilevanti ex regolamento Ce n.
166/2006.
Questi i soggetti che dovranno, con modalità
differenti, comunicare entro il prossimo 30.04.2012 alle autorità competenti i dati
quali/quantitativi dei beni nuovi o a fine
vita rilevanti dal punto di vista
dell'impatto ambientale prodotti o gestiti
nel corso del 2011.
A differenziare i
soggetti obbligati alle dichiarazioni
ambientali in scadenza non è, infatti,
soltanto l'oggetto delle comunicazioni, ma
lo schema procedurale da seguire per
trasmettere le informazioni in questione.
Dichiarazione «rifiuti». Obbligati alla
dichiarazione dei dati relativi ai rifiuti
prodotti e/o gestiti nel corso del 2011 sono
due macrocategorie di persone. In primo
luogo devono adempiere all'obbligo in parola
tutti i soggetti già tenuti, prima
dell'istituzione del nuovo sistema di
tracciamento telematico dei rifiuti (cd.
«Sistri»), alla tradizionale «comunicazione Mud» (acronimo del «Modello unico di
dichiarazione ambientale» introdotto dalla
legge 70/1994).
Tali soggetti coincidono, in
particolare, con i seguenti: produttori
iniziali di rifiuti pericolosi (a eccezione
dei soggetti del cosiddetto «comparto del
benessere», individuati dal dl 201/2011, che
producono rifiuti pericolosi a rischio
infettivo con codice «Cer 180103» e li
trasportano in conto proprio entro
determinati limiti quantitativi fino a
soggetti autorizzati al ritiro e delle
imprese agricole ex articolo 2135 Codice
civile con volume annuo di affari non
superiore a 8 mila euro ex articolo 189 del dlgs 152/2006 nella versione precedente alle
modifiche introdotte dal dlgs 205/2010);
produttori iniziali di rifiuti speciali non
pericolosi di cui all'articolo 184/3,
lettere c), d), g) del dlgs 152/2006 (ossia
rifiuti da lavorazioni industriali,
artigianali, da attività di
smaltimento/recupero rifiuti, fanghi
prodotti dalla potabilizzazione e da altri
trattamenti delle acque e dalla depurazione
delle acque reflue e da abbattimento di
fumi) con più di dieci dipendenti; imprese
ed enti che effettuano operazioni di
recupero/smaltimento rifiuti.
L'assolvimento
dell'obbligo di dichiarazione da parte dei
soggetti in parola dovrà essere effettuato,
secondo l'articolo 28 del dm Ambiente
52/2011 (il cd. «Testo unico Sistri»)
mediante la compilazione, sulla base dei
dati presenti nei registri di carico e
scarico, della apposita «scheda Sistri»
disponibile sul portale www.sistri.it
(scheda che, proprio perché in questa sede
utilizzata ai soli fini della dichiarazione
annuale, è stata giornalisticamente
ribattezzata come «Mudino»).
A ragion di
completezza si ricorda che il nuovo sistema
di tracciamento telematico dei rifiuti sarà
completamente operativo solo dal prossimo 30.06.2012, data a partire dalla quale
molti produttori di rifiuti speciali e
gestori professionali (in parte coincidenti
con quelli sopra menzionati) saranno
obbligati a passare a un sistema (quasi)
totalmente informatizzato per la tenuta
delle scritture ambientali.
Oltre alla
citata prima categoria di soggetti,
obbligati alla dichiarazione rifiuti del
prossimo 30.04.2012, ma secondo modalità
diverse, sono anche i comuni o loro unioni,
consorzi e comunità montane. Essi dovranno
infatti, entro il medesimo termine di
scadenza, comunicare i dati
quali/quantitativi relativi ai rifiuti
urbani e assimilati raccolti in base a
convenzioni con soggetti pubblici e privati
nel 2011.
Tale comunicazione dovrà però
essere effettuata direttamente alle camere
di commercio competenti utilizzando
modulistica e istruzioni previste dal nuovo dpcm 23.12.2011 (il regolamento
recante la nuova disciplina «Mud» in
attuazione della citata legge 70/1994 e in
sostituzione di quella prevista dal dpcm 27.04.2010).
Dichiarazione imballaggi. Il Consorzio
nazionale imballaggi (cosiddetto «Conai») e
gli altri organismi di gestione dei rifiuti
di imballaggio previsti dal articolo 221/3,
dlgs 152/2006 dovranno invece comunicare al
Catasto nazionale rifiuti, sempre entro il
30.04.2012 e comunque utilizzando
modulistica e istruzioni previste dal citato dpcm 23/12/2011, i dati quantitativi e
qualitativi degli imballaggi immessi sul
mercato e dei rifiuti di imballaggio
riciclati e recuperati nel corso del 2011.
Dichiarazione «Aee». A essere obbligati alla
dichiarazione relativa alle apparecchiature
elettriche ed elettroniche (cd. «Aee») sono
i produttori e gli importatori delle stesse
o gli eventuali sistemi collettivi di
finanziamento ex dlgs 151/2005 cui gli
stessi aderiscono. La comunicazione, avente
a oggetto le «Aee» immesse sul mercato e i
rifiuti di apparecchiature elettriche ed
elettroniche raccolti, reimpiegati,
riciclati, recuperati nel corso del 2011,
andrà indirizzata alla camera di commercio
utilizzando modulistica e istruzioni
previste dal citato dpcm 23/12/2011.
Dichiarazione «veicoli fuori uso».
L'adempimento riguarda i soggetti che
effettuano attività di raccolta, trasporto e
trattamento di veicoli fuori uso e relativi
componenti e materiali ex dlgs 209/2003.
Costoro dovranno sempre entro il 30.04.2012 comunicare alla camera di commercio
competente, utilizzando modulistica e
istruzioni recata dallo stesso dpcm
23/12/2011, i dati relativi veicoli fuori
uso e relativi componenti e materiali
gestiti nel 2011.
Dichiarazione emissioni.
Chiamati alla dichiarazione ambientale sono
infine i complessi industriali individuati
dal regolamento (Ce) n. 166/2006 che
dovranno entro la stessa data del 30.04.2012
comunicare ai soggetti individuati
dall'articolo 3 del dpr 157/2011 i dati
relativi alle emissioni in aria, acque e
suolo nonché i trasferimenti fuori sito di
rilevanti quantità di rifiuti e sostanze
inquinanti effettuati nel corso del 2011
(articolo ItaliaOggi
Sette dell'08.04.2012). |
ENTI LOCALI: Revisori a sorte, ma non per tutti.
La scelta con estrazione non si applica
nelle regioni autonome. Una circolare del
Viminale interviene a circoscrivere
l'applicazione del dm del 15 febbraio.
Il procedimento di scelta dei revisori dei
conti degli enti locali mediante estrazione
a sorte, così come previsto dall'articolo
16, comma 25, del decreto legge n. 138/2011,
non si applica alle regioni a statuto
speciale e alle province autonome, almeno
fino a quando tali enti non abbiano
legiferato recependo le previsioni del
legislatore nazionale. Inoltre, gli organi
di revisione contabile in scadenza prima
della data di effettivo avvio del nuovo
procedimento, proseguono la loro attività in
regime di prorogatio (ovvero 45 giorni dopo
la scadenza del mandato triennale) e, al
termine di quest'ultimo periodo, saranno
nominati con il metodo sino ad oggi previsto
dall'articolo 234 del Tuel, ovvero con
nomina da parte del consiglio comunale.
Sono queste le importanti precisazioni
contenute nella
circolare 05.04.2012 n. FL 7/2012 che il dipartimento della finanza
locale del Mininterno ha ritenuto opportuno
diramare a seguito dell'avvenuta
pubblicazione, sulla Gazzetta Ufficiale del
20 marzo, del decreto 15/02/2012 recante il
regolamento del procedimento di nomina, con
estrazione a sorte, dei revisori dei conti
degli enti locali che, in possesso di
determinati requisiti, verranno inseriti
nell'apposito elenco (si veda ItaliaOggi del
22.03.2012).
La circolare diffusa dal Viminale si
sofferma su due casi in particolare, dopo
che, da parte degli enti locali, sono
pervenuti numerosi quesiti in merito alle
procedure da seguire nelle more della piena
operatività del sistema di scelta dei
revisori.
In primo luogo, occorre approfondire la
problematica relativa all'applicabilità
delle nuove disposizioni per gli enti locali
che appartengono alle regioni a statuto
speciale e alle province autonome di Trento
e Bolzano. Su questo versante, ci si deve
riferire al comma 29 dell'articolo 16 dove
si precisa che le disposizioni «si applicano
anche a tali enti, ma nel rispetto degli
statuti e delle relative norme di
attuazione».
Stante la sibillina dicitura, pertanto, il
Viminale afferma che le nuove disposizioni
legislative non possono applicarsi «tout
court» a tali enti, almeno fino a quando le
regioni a statuto speciale e le province
autonome, non avranno legiferato recependo
le previsioni della normativa statale,
tranne il caso in cui gli stessi statuti
prevedono che, in assenza di normativa
regionale in merito, si applica quella
statale.
Inoltre, con riguardo alle disposizioni in
materia di rinnovo, in attesa della piena
operatività del nuovo sistema, il Viminale
ha rilevato che gli organi di revisione
contabile in scadenza prima della data di
effettivo avvio del nuovo procedimento (che
sarà reso noto con apposito avviso da
pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale),
proseguono la loro attività in regime di
prorogatio per 45 giorni dopo la scadenza
del mandato triennale.
Allo scadere di tale
periodo continueranno a essere nominati
secondo il procedimento ex art. 234 Tuel,
ovvero dal consiglio comunale. Solo i
procedimenti di rinnovo che non si sono
conclusi alla data di effettivo avvio a
regime, devono sottostare alle nuove regole
di estrazione a sorte dall'elenco
(articolo ItaliaOggi
del 07.04.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Professionisti.
Il ministero dell'Interno fissa i criteri
per la definizione dell'elenco ufficiale.
In Comune solo revisori doc.
Formato il registro, le nomine saranno
curate dalle prefetture.
PROBLEMA CREDITI/
Le modalità adottate svantaggiano sia i
revisori contabili sia i dottori privi di
punteggio adeguato.
TERZA FASCIA/
Per i centri più grandi si profila il
rischio di non raggiungere un numero
sufficiente di candidature.
Dopo il regolamento per la nomina dei
revisori degli enti locali (Dm dell'Interno
23 del 15.02.2012) ecco la
circolare 05.04.2012 n. FL 7/2012 del medesimo ministero, dipartimento
per gli Affari interni e territoriali, che
fornisce le «prime necessarie indicazioni»
operative. L'elenco sarà curato dal
dipartimento stesso. Vedremo, allora, se i
criteri delineati per le fasce saranno
adeguati al "fabbisogno", dal momento che il
rischio è quello di avere un numero
insufficiente di candidati, almeno per gli
enti più grandi.
Dopo la formazione dell'elenco il ministero
pubblicherà sulla «Gazzetta Ufficiale» e sul
suo sito l'avvio del nuovo procedimento:
fino ad allora, in sostanza, i revisori
continueranno a essere nominati dai consigli
comunali e provinciali. Per chi è
affezionato al vecchio metodo è bene
affrettarsi, perché nel caso in cui la
nomina non sia perfezionata al momento della
pubblicazione in «Gazzetta» dell'avviso si
dovrà annullare la procedura in corso e
seguire quella nuova.
Una volta formato l'elenco saranno le
Prefetture a curare l'estrazione a sorte dei
revisori, secondo l'articolo 5 del
regolamento che si applica anche a Regioni a
statuto speciale ed alle Province di Trento
e Bolzano, fino a quando non emaneranno una
loro legge.
Deve essere l'ente locale a comunicare al
Prefetto la necessità di individuare i nuovi
componenti dell'organo di revisione. E
questo entro tre giorni, in caso di sua
cessazione (totale o parziale) anticipata ed
entro due mesi nel caso di fisiologico
rinnovo (termine ridotto a soli 15 giorni
per la prima applicazione).
La metodica è informatizzata e prevede
l'individuazione di tre nominativi per ogni
«posto»: se il primo rinuncia all'incarico
si passa, al secondo e così via. Della
selezione viene redatto verbale che sarà
trasmesso all'ente per la sua delibera.
È nominato presidente del collegio chi ha
svolto più incarichi e, a parità di
incarichi, il revisore che li ha svolti
negli enti più grandi demograficamente: in
pratica si troverà in netto vantaggio chi ha
svolto il ruolo nelle Province.
La circolare presenta poi un allegato con
Linee guida per l'iscrizione dei revisori
nell'elenco. Si precisa che chi ha i
requisiti si può iscrivere in una o più
delle tre fasce demografiche previste. Il
termine per presentare le domande per
entrare nel registro verrà pubblicato con
avviso in Gazzetta Ufficiale ed il modello
sarà disponibile all'indirizzo http://finanzalocale.inteno.it.
L'allegato tratta anche il tema, caldissimo,
dei 15 crediti formativi richiesti,
lasciando purtroppo irrisolta la questione
di chi, essendo revisore contabile ma non
dottore commercialista, non abbia avuto la
possibilità di effettuare corsi di
formazione che prevedessero crediti
formativi nel triennio precedente. Il
problema, per altro, si pone anche per i
dottori commercialisti, in quanto si tratta
di un obbligo «retroattivo», che pare
eccessivamente restrittivo.
Sarebbe ragionevole, per la fase iniziale,
concedere un periodo di sei mesi per
rispettare l'adempimento, per altro di
natura essenzialmente formale, visto che
nessuno può pensare che bastino 15 ore di
lezione per acquisire le competenze
necessarie per svolgere adeguatamente la
funzione.
Successivamente i corsi che daranno diritto
ai crediti dovranno essere proposti
dall'Ordine dei dottori commercialisti ed
esperti contabili (o dal Registro dei
revisori), prevedere un test di verifica, ed
essere preventivamente approvati dal
ministero.
Restano perciò esclusi i corsi universitari
in materia (master compresi) e perfino i
corsi organizzati dalla scuola superiore di
pubblica amministrazione e da istituzioni
analoghe.
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Le tappe
01 | ELENCO DEI REVISORI
La circolare dell'Interno fissa i criteri
per la formazione dell'elenco dei revisori
per gli enti locali
02 | REGIME TRANSITORIO
Fino alla prossima pubblicazione dell'elenco
sulla Gazzetta Ufficiale, i revisori saranno
però ancora nominati dai consigli comunali e
provinciali
03 | LA NOMINA
Nel nuovo regime i revisori saranno estratti
a sorte dagli elenchi tenuti presso le
Prefetture, sulla base delle richieste
inoltrate dai singoli enti
04 | GLI AVENTI DIRITTO
Per ogni posto verranno individuati tre
aventi diritto "a scalare" nel caso di
rinuncia
05 | CRITERIO DEMOGRAFICO
Per la nomina del presidente prevarrà chi ha
svolto incarichi in enti
più grandi
(articolo Il Sole 24
Ore
del 07.04.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ A chi spetta la competenza
a decidere il trattamento sanitario
obbligatorio. Tso deciso dal commissario.
Sostituisce il sindaco se il comune è stato
sciolto.
Qual è l'organo competente ad adottare
l'ordinanza relativa al procedimento
amministrativo di trattamento sanitario
obbligatorio, in assenza del commissario
straordinario incaricato della temporanea
gestione dell'ente?
L'articolo 34 della legge 23.12.1978,
n. 833, attribuisce al sindaco la
competenza ad adottare le ordinanze in
materia di trattamento sanitario
obbligatorio, entro 48 ore dalla convalida
della proposta da parte di un medico della
unità sanitaria locale.
Nel caso di specie, se il comune è
sottoposto a gestione commissariale e non è
prevista dalla specifica normativa regionale
in materia di scioglimento degli organi la
nomina di vice o sub commissari, la
competenza all'adozione del provvedimento in
argomento, spetta in via esclusiva al
commissario straordinario incaricato della
gestione dell'ente
(articolo ItaliaOggi
del 06.04.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Incompatibilità per lite pendente.
Sussiste l'ipotesi d'incompatibilità per
lite pendente, ai sensi dell'art. 63, comma
1, n. 4 del decreto n. 267/2000, nel caso di
un consigliere comunale chiamato in giudizio
davanti al Tar dall'ente presso cui esercita
il mandato amministrativo?
In linea di principio, le cause ostative al
mandato sono previste dal legislatore al
fine di assicurare il regolare funzionamento
dell'organo elettivo ed evitare l'insorgere
di possibile conflitto di interessi tra
l'ente e l'amministratore. Nel caso di lite
pendente l'incompatibilità si genera al
momento dell'iscrizione a ruolo della
vertenza che vede parti contrapposte l'ente
locale e il singolo amministratore. Il caso
di specie risulta riconducibile alla
previsione normativa, di talché compete
all'amministratore formulare le proprie
osservazioni al consiglio comunale, che
valuterà la fondatezza delle deduzioni e,
laddove riconosca sussistente la causa di
incompatibilità, inviterà il consigliere a
rimuoverla.
Nella fattispecie in esame, a fronte della
tutela sia procedurale che sostanziale che
la disposizione normativa citata introduce a
tutela di opposti interessi di rango
costituzionale, rimane di dubbia
praticabilità il ricorso alla facoltà di
opzione della rimozione della causa di
incompatibilità mediante la rinuncia alla
lite, non avendo il consigliere interessato,
nella qualità di parte convenuta, la piena
disponibilità della lite. In conformità al
principio generale per cui ogni organo
collegiale è competente a deliberare sulla
regolarità dei titoli di appartenenza dei
propri componenti, compete all'organo
comunale ogni definitiva determinazione in
proposito, ferma restando la possibilità di
contestare per le vie giudiziali le
decisioni che saranno assunte
(articolo ItaliaOggi
del 06.04.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Permessi ai consiglieri.
Quale disciplina è prevista in ordine ai
permessi di lavoratori dipendenti, pubblici
o privati, che sono componenti dei consigli
comunali e provinciali?
Con la modifica al primo comma dell'art. 79
del Tuel, di recente disposta dal comma 21
dell'art. 16 del dl 13/08/2011, n. 138,
convertito nella legge 14/09/2011, n. 148,
le parole «per l'intera giornata in cui
sono convocati i rispettivi consigli»
sono state sostituite dalle seguenti «per
il tempo strettamente necessario per la
partecipazione a ciascuna seduta dei
rispettivi consigli e per il raggiungimento
del luogo del suo svolgimento».
La rettifica è stata apportata nei termini
suindicati solo relativamente al primo
periodo del comma 1 dell'art. 79 che, nella
parte rimanente, rimasta invariata, prevede
che «nel caso in cui i consigli si
svolgano in orario serale, i predetti
lavoratori hanno diritto di non riprendere
il lavoro prima delle otto ore del giorno
successivo; nel caso in cui i lavori dei
consigli si protraggano oltre la mezzanotte,
hanno diritto di assentarsi dal servizio per
l'intera giornata successiva»
(articolo ItaliaOggi
del 06.04.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Le
semplificazioni diventano legge. Cambi di
residenza sprint, la p.a. comunicherà solo
on-line. La
camera ha convertito in via definitiva il dl
n. 5/2012. Tlc, più concorrenza nell'ultimo
miglio.
Dalla tassa sulle calamità ad una maggiore
concorrenza sull'ultimo miglio nella
telefonia fissa; dagli organici della scuola
al pagamento on-line di multe, mensa
scolastica, tassa sui rifiuti e ticket. Il
decreto semplificazioni (n. 5/2012) è
arrivato al suo ultimo giro di boa, con la
conversione in legge da parte dell'aula
della camera (i sì sono stati 394, i no 49,
gli astenuti 21) e con diverse novità
inserite dal parlamento rispetto alla
versione originaria varata dal governo.
La novità principale introdotta al senato e
che ha costretto a un nuovo passaggio alla
camera riguarda il ripristino del meccanismo
che impone all'Agenzia delle dogane di
incrementare l'aliquota sui carburanti per
reintegrare «in pari misura» risorse
eventualmente prelevate dal fondo stesso per
eventi imprevisti come le calamità naturali.
Ultimo miglio. Più concorrenza nell'ultimo
miglio delle telecomunicazioni. L'Agcom
dovrà individuare entro 4 mesi le misure
volte a raggiungere due obiettivi:
disaggregare i costi per l'accesso
all'ingrosso alla rete fissa dal costo del
servizio di attivazione della linea stessa e
del servizio di manutenzione e rendere
possibile per gli operatori di potersi
rivolgere ad aziende terze per servizi
accessori e manutenzione.
Ok agli organici della scuola. L'organico
della scuola, a partire dal prossimo anno
scolastico, verrà fissato ogni tre anni
«sulla base della previsione dell'andamento
demografico della popolazione in età
scolare» ma «nei limiti dei risparmi di
spesa accertati» nello stesso settore
scuola. In 60 giorni dovranno arrivare le
linee guida per il potenziamento
dell'autonomia scolastica.
Dal 2014 comunicazioni on-line nella p.a. A
partire dall'01.01.2014 nella pubblica
amministrazione saranno utilizzati
«esclusivamente» i «canali e i servizi
telematici» compresa la «posta elettronica
certificata».
Pagamenti alla p.a. online. Introdotto
l'obbligo per le amministrazioni di
pubblicare sul proprio sito i codici Iban
per consentire i pagamenti on-line di multe,
rette della mensa scolastica, ticket
sanitari. La norma scatta entro tre mesi
dall'entrata in vigore del decreto.
Il
pagamento delle imposte di bollo sarà fatto
per via telematica anche con carte di
credito, debito e prepagate. Potranno così
essere effettuati online tutti quei
pagamenti che prevedono la marca da bollo e
che fino ad ora non potevano essere
effettuati per via telematica necessitando
di supporto cartaceo.
Cartella clinica elettronica. Nei piani di
sanità nazionali e regionali «si privilegia»
la gestione elettronica delle pratiche
cliniche, «attraverso l'utilizzo della
cartella clinica elettronica, così come i
sistemi di prenotazione elettronica per
l'accesso alle strutture da parte dei
cittadini».
Cambi di residenza in tempo reale. I cambi
di residenza avverranno in tempo reale in
modo da evitare i gravi disagi e gli
inconvenienti determinati dalla lunghezza
degli attuali tempi di attesa. Le procedure
anagrafiche e di stato civile saranno più
veloci. I documenti di riconoscimento
scadranno il giorno del compleanno: la norma
intende evitare gli inconvenienti che
derivano spesso dal non avvedersi della
scadenza.
Patenti ottantenni. Tempi più brevi per il
rinnovo delle patenti di guida degli
ultraottantenni: la visita verrà effettuata
dal medico monocratico e non più dalla
Commissione medica.
Contrassegno invalidi. Il contrassegno per
gli invalidi sarà valido su tutto il
territorio nazionale. Sarà un decreto del
ministro dei trasporti, previo parere della
conferenza unificata, a disciplinare le
modalità per questo riconoscimento.
Disco rosso al turismo elettorale. In
occasione di consultazioni elettorali o
referendarie il cambio di residenza, che il
decreto fissa in tempo reale, non può essere
fatto oltre 15 giorni prima del voto.
Social card. La social card non sarà più
riservata ai soli cittadini italiani ma
potrà essere attribuita anche a quelli
comunitari.
Soddisfazione per l'approvazione definitiva
del testo è stata espressa dal ministro
della funzione pubblica, Filippo Patroni
Griffi. «Con il dl semplificazioni, è in
atto un processo con il quale miglioreremo
la vita degli italiani», ha dichiarato il
ministro annunciando i prossimi
provvedimenti nell'agenda del governo. «La
partita non è terminata, ora si aprono due
ulteriori sfide. La prima è l'attuazione
della legge appena approvata ed è in
dirittura d'arrivo l'accordo con le regioni.
L'altra sfida è un disegno di legge che
presenteremo al più presto. Il nuovo testo
recepirà le istanze che sono state avanzate
nel corso del dibattito parlamentare e che,
per mancanza di tempo, non è stato possibile
esaminare approfonditamente».
---------------
Le novità
in materia di giustizia del decreto legge
sulle semplificazioni burocratiche. Meno carte
negli studi legali.
Stop al Documento programmatico sulla
sicurezza.
Niente più Documento programmatico sulla
sicurezza per gli studi legali. Anche i
ricercatori in commissione d'esame per
l'abilitazione alla professione forense.
Sono queste alcune delle novità che toccano
i legali contenute nella legge di
conversione del decreto 5/2012, sulle
semplificazioni, che dopo le modifiche del
senato è tornato alla camera per la seconda
lettura ed è stato approvato definitivamente
ieri da Montecitorio (la pubblicazione in
Gazzetta è attesa per venerdì).
Il decreto
incide anche su alcune specifiche materie
relative a particolari giudizi. Per il
processo amministrativo, ad esempio, si
prevede la immediata notizia alla corte dei
conti delle sentenze che accertano
l'illegittimo silenzio della p.a. sulla
istanza del privato; per il processo civile
si introduce il benefici della preventiva
escussione dell'appaltatore, opponibile dal
committente chiamato a pagare il salario dei
dipendenti dell'appaltatore stesso.
Peraltro altre misure di semplificazione,
pur non essendo specifiche della professione
forense, incideranno sull'organizzazione del
lavoro degli studi dei professionisti: si
pensi all'obbligo di pagamenti online con la
pubblica amministrazione.
Dps.
Viene abrogato l'obbligo di redigere e
aggiornare un documento programmatico sulla
sicurezza. Si tratta del documento che
dovrebbe essere tenuto da ogni
professionista. Nel Documento programmatico
andavano indicate tutte le misure adottate o
da adottare per il trattamento dei dati con
elaboratori. L'obbligo in questione era
tutelato anche da pesanti sanzioni
amministrative e pecuniarie. L'abolizione
del Dps non deve far dimenticare
all'avvocato l'obbligo, comunque, da
rispettare di conservare le informazioni
contenute nei fascicoli con la dovuta
attenzione.
Se non vigono più le
disposizioni specifiche sul Dps, non
vengono, tuttavia, meno gli obblighi anche
deontologici oltre che contrattuali di
evitare che i dati dei propri clienti siano
carpiti o manipolati. In altre parole se non
c'è più l'obbligo del Dps, rimangono ferme
le esigenze di sicurezza dei trattamenti dei
dati personali. Tra l'altro rimangono fermi
gli obblighi di informativa e di nomina di
incaricati e responsabili, nonché l'obbligo
di osservare il codice deontologico di
categoria sulla protezione dei dati.
Esami avvocati.
Il decreto sulle
semplificazioni modifica la composizione
della commissione per gli esami di avvocato.
La commissione continuerà a essere composta
da cinque membri, dei quali due sono
avvocati, iscritti da almeno dodici anni
all'albo degli avvocati; due sono
magistrati, con qualifica non inferiore a
magistrato di Corte di appello. Il quinto
componente poteva essere professore
ordinario o associato di materie giuridiche
presso un'università o presso un istituto
superiore. Il dl in esame aggiunge che il
quinto componente può anche essere un
ricercatore universitario, naturalmente di
materie giuridiche.
Pagamenti online.
Diventerà obbligatorio per
gli enti pubblici pubblicare nei propri siti
istituzionali e sulle richieste di pagamento
i codici identificativi dell'utenza bancaria
sulla quale i privati possono effettuare i
pagamenti mediante bonifico.
Responsabilità erariale. Il decreto semplificazioni aggiunge
un'appendice ai giudizi che si svolgono
davanti al giudice amministrativo in materia
di silenzio dell'amministrazione. In prima
battuta si tratta di una mera disposizione
di rinvio al codice del processo
amministrativo, inserita nella legge
generale sul procedimento amministrativo (n.
241/1990): tutela in materia di silenzio
dell'amministrazione è disciplinata dal
codice del processo amministrativo, di cui
al decreto legislativo 02.07.2010, n.
104.
In secondo luogo si aggiunge che le
sentenze passate in giudicato che accolgono
il ricorso proposto avverso il silenzio
inadempimento dell'amministrazione sono
trasmesse, in via telematica, alla Corte dei
conti. In sostanza ogni volta che viene
accertata giudizialmente l'inerzia della
pubblica amministrazione, necessariamente si
deve attivare anche il giudice della
responsabilità erariale, per verificare se
non vi siano danni da rimborsare all'ente
pubblico, e da porre conseguentemente a
carico del funzionario negligente.
Appalti e responsabilità appaltatore. Viene istituita la Banca dati nazionale dei
contratti pubblici per la verifica requisiti
generali, tecnico-organizzativi ed
economico-finanziari dei concorrenti alle
gare pubbliche.
Dall'01.01.2013, dunque, la
documentazione comprovante il possesso dei
requisiti di carattere generale,
tecnico-organizzativo ed
economico-finanziario per la partecipazione
alle procedure disciplinate dal Codice degli
appalti pubblici deve essere acquisita
presso la Banca dati nazionale dei contratti
pubblici (e non essere richiesta tutte le
volte ai singoli concorrenti.
Il decreto prescrive, infatti, che le
stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori
devono verificare il possesso dei requisiti
esclusivamente tramite la Banca dati
nazionale dei contratti pubblici. Se la
disciplina di gara richiede il possesso di
requisiti economico finanziari o tecnico
organizzativi diversi da quelli di cui è
prevista l'inclusione nella Banca dati ai
sensi del comma 2, il possesso di tali
requisiti è verificato dalle stazioni
appaltanti mediante l'applicazione delle
disposizioni previste dal codice dei
contratti.
Altra novità riguarda il Durc: in materia di
lavori pubblici le amministrazioni pubbliche
dovranno acquisire d'ufficio il documento
unico di regolarità contributiva. Ancora una
modifica di rilievo concerne la
responsabilità solidale di committenti e
appaltatori per i salari dei lavoratori.
Viene modificato l'articolo 29 del decreto
legislativo 276/2003. La disposizione, come
modificata, prevede che in caso di appalto
di opere o di servizi, il committente
imprenditore o datore di lavoro è obbligato
in solido con l'appaltatore, nonché con
ciascuno degli eventuali subappaltatori
entro il limite di due anni dalla cessazione
dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori
i trattamenti retributivi, comprese le quote
di trattamento di fine rapporto, nonché i
contributi previdenziali e i premi
assicurativi dovuti in relazione al periodo
di esecuzione del contratto di appalto.
Quindi dello stipendio del dipendente
dell'appaltatore risponde anche il
committente (e fin qui siamo sostanzialmente
all'impianto originario dell'articolo 29
citato).
Il decreto introduce la novità del beneficio
della preventiva escussione
dell'appaltatore: se convenuto in giudizio
per il pagamento unitamente all'appaltatore,
il committente imprenditore o datore di
lavoro può eccepire, nella prima difesa, il
beneficio della preventiva escussione del
patrimonio dell'appaltatore medesimo
(articolo ItaliaOggi
del 05.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Decertificazione, notai esclusi.
Per la pratica bisogna sempre portare l'atto
necessario. Uno studio del Notariato
dedicato alle novità introdotte dalla legge
numero 183 del 2011.
La decertificazione non si applica ai notai:
per le pratiche notarili si deve sempre
portare il certificato necessario.
Queste le
conclusioni dello
studio
16.02.2012 n. 21-2012/C, del
Consiglio nazionale del notariato (Cnn)
dedicato ai «riflessi sull'attività notarile
delle nuove norme sulle certificazioni
amministrative introdotte dall'art. 15 della
legge 12.11.2011 n. 183».
Così, ad esempio, al notaio bisognerà
portare l'estratto di morte necessario per
la pubblicazione del testamento. E bisognerà
portargli il certificato di destinazione
urbanistica, che d'altra parte non è
considerato un vero e proprio certificato.
Ma vediamo di illustrare lo studio.
LE NOVITÀ
LEGISLATIVE
La legge 183 ha portato numerose novità, in
particolare all'articolo 40 del dpr
445/2000. Innanzi tutto i certificati
rilasciati dalla pubblica amministrazione
che accertino stati, qualità personali e
fatti sono validi e utilizzabili solo tra i
privati. Sui certificati, poi, a pena di
nullità, deve essere apposta la dicitura «il
presente certificato non può essere prodotto
agli organi della pubblica amministrazione o
ai privati gestori di pubblici servizi»; nei
rapporti con le amministrazioni pubbliche e
i gestori di pubblici servizi la regola
diventa l'acquisizione d'ufficio dei dati e
informazioni e l'utilizzo delle
dichiarazioni sostitutive. Insomma i
certificati si possono chiedere solo per
pratiche con privati e non più con organi
pubblici.
RIFLESSI SUL NOTAIO
Lo studio del Cnn arriva alla conclusione
che non è possibile estendere
l'autocertificazione anche nei rapporti che
si svolgono tra il privato e il notaio. Non
si può, infatti, considerare il notaio come
un organo della pubblica amministrazione.
La conseguenza di questa impostazione è che
non devono essere sostituiti dalle
dichiarazioni sostitutive sia i certificati
da prodursi al notaio e sia i certificati
allegati agli atti notarili, come ad esempio
l'estratto dell'atto di morte di cui
all'articolo 620, comma 3, codice civile,
necessario per la pubblicazione di un
testamento olografo.
Il notaio, anzi, per ragioni di opportunità,
deve controllare che i certificati che gli
sono presentati, contengano la dicitura
sulla inutilizzabilità dello stesso presso
organi della pubblica amministrazione. Si
potrebbe sostenere che la mancanza della
dicitura sia un vizio solo formale, ma
questa interpretazione non è pacifica, e
quindi è meglio essere prudenti.
Inoltre l'articolo 40 citato non riguarda
tutti i certificati rilasciati dalla
Pubblica amministrazione, ma solo quelli che
si riferiscono a stati, qualità personali e
fatti: è escluso, quindi, il certificato di
destinazione urbanistica di cui all'articolo
30 del Testo unico per l'edilizia, dpr n.
380/2001.
Altro aspetto è se la normativa sia
applicabile alle certificazioni che i notai
debbono utilizzare nei rapporti con organi
della pubblica amministrazione. La risposta
dello studio è affermativa. In seguito alle
novità, pertanto, non si possono più
presentare i certificati: alla dichiarazione
di successione sicuramente potrà essere
allegata la dichiarazione sostitutiva di
certificazione (come peraltro già previsto
dall'articolo 30, comma 3, del dlgs
346/1990).
Tuttavia va ricordato che l'articolo 6,
comma 5, del dl 16/2012, in tema di attività
e certificazioni in materia catastale, ha
stabilito una deroga all'articolo 40: le
disposizioni sulla decertificazione non si
applicano ai certificati e alle attestazioni
da produrre al conservatore dei registri
immobiliari per l'esecuzione di formalità
ipotecarie, nonché ai certificati ipotecari
e catastali rilasciati dall'Agenzia del
territorio.
In conclusione i certificati continuano a
essere utilizzabili nei confronti dei notai,
del resto così come nei confronti dei
tribunali. A questo proposito il Consiglio
nazionale notarile rileva che solo se e
quando ai notai sarà consentito l'accesso
alle banche dati delle pubbliche
amministrazioni si potrà immaginare un
significativo passo in avanti verso una più
incisiva semplificazione nei rapporti
notaio/cittadino
(articolo ItaliaOggi
del 05.04.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Niente più scuse per la p.a.
lumaca.
La tardiva emanazione dell'atto incide sulla
valutazione. Il decreto semplificazioni
contiene molte novità in materia di
procedimento amministrativo.
La semplificazione passa anche per la
garanzia dell'effettività degli obblighi
posti a carico della p.a. Questo sembra
essere il disegno che ha ispirato il
legislatore nelle modifiche introdotte, in
tema di procedimento amministrativo (con
riferimento particolare all'articolo 2 della
legge n. 241 del 1990), dal decreto legge n.
5 del 2012 (c.d. decreto «semplificazione»).
Il decreto in questione è intervenuto
cercando di garantire la certezza dei tempi
del procedimento attraverso un duplice
meccanismo e, precisamente, mediante la
puntualizzazione delle forme di
responsabilità dei singoli attori della
vicenda e l'introduzione di una nuova figura
chiamata a concludere il procedimento. Sotto
il primo profilo va riguardato l'obbligo
generalizzato della segreteria del Tar di
trasmettere, in via telematica, alla Corte
dei conti tutte le sentenze passate in
giudicato che accolgono il ricorso avverso
il silenzio inadempimento
dell'amministrazione.
Nella stessa ottica deve essere vista la
specifica previsione secondo cui la mancata
o tardiva emanazione del provvedimento nei
termini costituisce elemento di valutazione
della performance individuale nonché della
responsabilità disciplinare e
amministrativo-contabile del dirigente e del
funzionario inadempiente.
Le disposizioni in esame non hanno carattere
innovativo ma si limitano a ribadire che la
violazione dell'obbligo di provvedere da
parte dei soggetti chiamati a gestire il
procedimento (e, quindi, non solo il
responsabile del provvedimento ma anche il
dirigente che omette il dovuto controllo o
non adempie agli oneri organizzativi di
competenza), oltre a produrre conseguenze
sul piano della legittimità dell'azione
amministrativa, rileva anche ai fini delle
varie forme di responsabilità per la cui
operatività rimanda ai presupposti previsti
dalle norme di riferimento.
Singolare è la previsione (contenuta
nell'articolo 2, comma 9-quinquies, della
legge n. 241/1990) per cui nei provvedimenti
rilasciati in ritardo, a istanza di parte,
deve essere indicato il termine stabilito
dalla normativa vigente per provvedere e
quello effettivamente impiegato.
A parte le concrete modalità di operatività
della disposizione, che prevede una sorta di
«autodenuncia» del ritardo nel provvedere e
che, al limite, potrebbe paradossalmente
incentivare forme di inerzia totale invece
del ravvedimento tardivo
dell'amministrazione, c'è da chiedersi quale
sia la reale efficacia dell'obbligo
dovendosi escludere che la mancata
osservanza dello stesso possa riverberarsi
sulla legittimità del provvedimento dal
momento che nella fattispecie sembra, al
più, potersi configurare una mera
irregolarità dell'atto.
Probabilmente, l'attestazione di tardività
contenuta nell'atto amministrativo è stata
pensata come remora per il funzionario
competente e come forma di controllo da
parte della collettività del rispetto
dell'obbligo di concludere il procedimento
nei tempi previsti anche nell'ottica
dell'attivazione, davanti agli organi
competenti, delle responsabilità dei
dipendenti pubblici coinvolti. Decisamente
innovativa è, invece, la previsione di una
figura nuova che può essere definita quale
sostituto del responsabile del
provvedimento.
Il legislatore, probabilmente conscio del
problematico effetto dissuasivo che il
richiamo alla responsabilità del pubblico
dipendente produce, ha cercato di garantire,
in concreto, l'osservanza dell'obbligo di
conclusione del procedimento individuando un
soggetto, collocato in una posizione
qualificata nell'ambito della struttura
amministrativa, al quale tale obbligo si
trasferisce dopo il decorso del termine
previsto per provvedere.
Tale soggetto è individuato con atto
organizzatorio o con provvedimento puntuale
dall'organo di governo dell'ente e, quindi,
ad esempio, dal ministro nelle
amministrazioni centrali e dal sindaco o,
meglio, dalla giunta nei comuni; singolare
si presenta questo coinvolgimento
dell'organo politico in un'attività
amministrativa che segna un passo indietro
rispetto alla tendenza alla separazione tra
funzioni politiche e gestionali e
probabilmente si spiega con la collocazione
verticistica del sostituto.
E, infatti, la legge stabilisce che la
scelta avvenga tra le «figure apicali
dell'amministrazione» con ciò presupponendo
una limitata discrezionalità dell'organo
decidente; significativa è la previsione per
cui la mancanza della nomina non osta
all'operatività del meccanismo surrogatorio
in quanto è la stessa legge a designare il
sostituto nella persona del dirigente
generale o, in mancanza, del dirigente
preposto all'ufficio o, in mancanza ancora,
del funzionario di più elevato livello
presente.
Il privato può rivolgersi a tale soggetto
affinché quest'ultimo, entro un termine pari
alla metà di quello originariamente
previsto, concluda il procedimento
attraverso le strutture competenti o con la
nomina di un commissario esterno; le
generalità di tale soggetto dovrebbero
essere inviate alla parte con la
comunicazione di avvio del procedimento che,
infatti, deve indicare anche il termine per
concludere il procedimento e le modalità di
reazione all'inerzia dell'amministrazione
(tra cui, appunto, deve intendersi compresa
la possibilità di adire il sostituto).
Ulteriori problemi che la nuova normativa
pone sono costituiti dalla possibilità che
l'inadempimento del sostituto faccia
decorrere un nuovo termine per impugnare
l'inerzia dell'amministrazione (la soluzione
positiva sembra preferibile) e dal rapporto
tra sostituito e sostituto (il primo perde
la competenza a provvedere?) e tra
quest'ultimo e le strutture
dell'amministrazione chiamate a collaborare
con lo stesso
(articolo ItaliaOggi
del 05.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I licenziamenti pubblici
sono già a prova di giudice. E c'è una legge
che, se applicata anche allo stato,
escluderebbe del tutto il reintegro sul
posto di lavoro.
Non è possibile parlare di riforma del
mercato del lavoro, e in particolare del
nuovo art. 18 dello Statuto dei lavoratori,
applicata al pubblico impiego senza far
riferimento al nuovo articolo 33 del d.lgs.
165/2001. Il procedimento è stato novellato
dalla legge 183/2011 e risulta
particolarmente semplificato dal punto di
vista delle causali di giustificazione del
licenziamento degli statali, in quanto fa
riferimento a tre fattispecie: soprannumero
rispetto alla dotazione organica, eccedenze
in relazione alle esigenze funzionali ed
eccedenze in relazione alla situazione
finanziaria.
Si tratta nel settore pubblico
di tre fattispecie che si fondano quasi
sempre su atti formali e che costituiscono
una base probatoria certa sulla quale
difficilmente il giudice di merito potrebbe
sindacare (come ribadito dall'art. 30, comma
1, della legge 183/2010). É utile in questa
sede fare alcuni esempi. Gli atti di
organizzazione e le dotazioni organiche, con
le quali attestare le eccedenze, sono atti
organizzativi di natura regolamentare,
soggetti a formalizzazione in base alla
riserva di legge di cui agli artt. 2, comma
1, e 6 del d.lgs. 165/2001.
Le esigenze funzionali potrebbero essere di
carattere macro, e quindi fondarsi su una
cessione di funzioni, la gestione associate
delle stesse, le varie forme di
esternalizzazione, e necessitano pertanto di
atti formali di carattere organizzativi
certi, spesso supportati da documenti di
bilancio e dal parere del collegio dei
revisori. Vi può essere in questo caso anche
una dimensione micro e gestionale, che può
avere effetti in termini di riduzione e
trasformazione delle attività connesse ai
processi di innovazione tecnologica e di
razionalizzazione, e che potrebbe basarsi su
atti gestionali formalizzati come piani
della performance, di informatizzazione o i
piani di razionalizzazione di cui all'art.
16 del DL 98/2011. La terza fattispecie, di
particolare gravità e attualità nell'attuale
periodo storico, riguarda le eccedenze per
situazioni finanziarie.
Qui i numerosi tetti di spesa sul personale
e l'irrigidimento delle misure sul patto di
stabilità rendono chiari, insindacabili e
inderogabili i presupposti per i quali ci si
può trovare di fronte a gravi situazioni
finanziarie. Alcuni casi sono ad esempio: il
non rispetto del tetto di spesa per il
personale, il taglio significativo dei
capitoli di funzionamento e per le locazioni
degli stabili, il mancato rispetto del patto
di stabilità o le situazioni di
deficitarietà strutturale o di dissesto.
Ovviamente l'applicazione di queste norme
apre per il settore pubblico tutta una serie
di problematiche mai affrontate, come ad
esempio i criteri di scelta per gli esuberi.
In questo caso il settore pubblico non
avendo molti profili specialistici non
potrebbe far affidamento sulle «esigenze
tecniche e produttive», ma sui carichi di
famiglia e l'anzianità, da decidere poi se
anagrafica o aziendale (vedi art. 5 legge
223/1991). L'impugnativa nel caso di specie
potrebbe riguardare la messa in
disponibilità di cui al comma 7 dell'art.
33, ma anche degli atti presupposti (atti di
organizzazione e bilanci).
Inoltre, il
settore pubblico ha un meccanismo di
gestione della mobilità attraverso gli
articoli 34 e 34-bis del d.lgs. 165/2001
molto procedimentalizzata ma al contempo di
assoluta garanzia, ma che potrebbe generare
ulteriori casi di contenzioso. Ma
probabilmente il tema riguarda le politiche
e i comportamenti sulla pa, in quanto il
vertice politico di un'amministrazione (e
quello amministrativo) si adopera sovente
per mascherare le gravi situazioni
finanziarie e quindi per evitare i
licenziamenti, e prima ancora le sanzioni
connesse al mancato rispetto delle norme di
finanza pubblica. I diversi casi di
fallimento di città, asl e regioni,
tardivamente scoperti e ripianati dalle
finanze pubbliche, sono a tutti noti.
Il paradosso circa l'applicabilità della
flessibilità per il datore di lavoro, per
esempio con il non reintegro in caso di
mancanza dei presupposti del licenziamento
per giustificato motivo oggettivo, è che per
gli statali non ci troveremmo di fronte a
scelte di libertà aziendale, ma per la
maggior parte a situazioni attestate e
certificate di mutamento delle funzioni o di
criticità finanziarie che ben
giustificherebbero (anzi richiedono) «la
riduzione o la trasformazione di attività o
di lavoro». Partendo dalle fattispecie
concrete quindi è possibile concludere che
il datore di lavoro pubblico non avrebbe
difficoltà a dimostrare la veridicità e
congruenza dei casi in cui necessita
ricorrere al licenziamento per giustificato
motivo oggettivo economico.
Circa la scelta di applicare anche al
settore pubblico questa riforma, è
interessante ricordare, da ultimo, come il
d.lgs. 110/2004 ha modificato l'art. 24
della legge 223/1991 in materia di
licenziamenti collettivi, prevedendo per «datori
di lavoro non imprenditori che svolgono,
senza fini di lucro, attività di natura
politica, sindacale, culturale, di
istruzione ovvero di religione o di culto»
l'applicazione delle disposizioni di cui
alla legge 15.07.1966, n. 604, cioè il
pagamento dell'indennizzo in luogo del
reintegro. Data questa particolare deroga,
non sarebbe strano (ove non paradossalmente
già ricomprendibili per i settori cultura e
istruzione) immaginare di includere per
questa via anche le pubbliche
amministrazioni pubbliche, che certamente
sono «datori di lavoro non imprenditori»
(articolo ItaliaOggi
del 03.04.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Conto
alla rovescia per il regolamento sulle nuove
condizioni per gestire i materiali da riporto. Le terre da scavo non sono rifiuti.
Applicabili le norme sui sottoprodotti in
arrivo dal Minambiente.
Attesa entro fine maggio 2012 la nuova
disciplina per l'utilizzo delle terre e
rocce da scavo e relativi «materiali di
riporto» in esse contenute. Con l'entrata in
vigore, avvenuta lo scorso 25 marzo, della
legge 27/2012 di conversione del dl 1/2012
(il cosiddetto decreto liberalizzazioni) è,
infatti, scattato il countdown per
l'adozione da parte del ministero
dell'ambiente del regolamento che dovrà
stabilire le nuove condizioni per gestire i
materiali da scavo come sottoprodotti invece
che come rifiuti.
Le nuove regole in arrivo.
Le attese norme del Minambiente, da emanarsi
entro il 24.05.2012 (secondo la deadline
sancita dalla legge di conversione del «dl
ambiente») sostituiranno dalla loro entrata
in vigore (e in forza della delegificazione
prevista dal dlgs 205/2010) le attuali
regole sulla gestione delle terre e rocce da
scavo contenute nell'articolo 186 del dlgs
152/2006 (cosiddetto «Codice ambientale»).
Il regolamento ministeriale, inoltre,
stabilirà anche le condizioni per gestire
come sottoprodotti i «materiali di riporto»
contenuti nelle stesse terre, ossia (secondo
la nuova definizione del dl 2/2012,
cosiddetto «dl ambiente») i materiali
eterogenei utilizzati per la realizzazione
di riempimenti e rilevati non assimilabili
per caratteristiche geologiche e
stratigrafiche al terreno in situ,
all'interno dei quali possono trovarsi
materiali estranei.
L'allargamento alle
matrici di riporto delle regole sui
materiali da scavo è infatti prevista
proprio dal citato dl 2/2012, decreto che
parifica a monte tali materiali al suolo che
li contiene, stabilendo però che la loro
gestione fuori dalla disciplina sui rifiuti
potrà avvenire solo nel rispetto delle
prescrizioni tecniche dettate dal futuro
decreto del ministero dell'ambiente, e in
attesa del quale un'eventuale deroga al
regime dei beni a fine vita può per loro
oggi avvenire solo dietro osservanza delle
condizioni generali in materia di
«sottoprodotti» recate dall'articolo 184-bis
del dlgs 152/2006.
Le terre e rocce da scavo nel «Codice
ambientale». In base all'articolo 185 del dlgs 152/2006 non sono considerati rifiuti
(«ex lege») unicamente il suolo non
contaminato e il materiale allo stato
naturale riutilizzato nello stesso sito di
escavo. Ogni altro e diverso materiale da
scavo è invece (di «default») considerato
rifiuto, tranne nel caso in cui sussista
almeno una delle seguenti condizioni: esso
materiale rispetta a monte i requisiti
«specifici» in materia di sottoprodotti
dettati oggi dall'articolo 186 dello stesso
«Codice ambientale» (e domani dal nuovo dm
Ambiente in arrivo); oppure, in alternativa,
esso materiale ha riacquistano a valle,
ossia all'esito di operazioni di recupero,
lo status di «bene».
I «materiali di riporto». La disciplina dei
materiali di riporto è stata oggetto negli
ultimi mesi di una schizofrenica attività
legislativa, attività che li ha visto dal 25.01.2012 (in virtù delle novità
introdotte dal citato dl 2/2012) sottratti
alla disciplina sui rifiuti se contenuti
nelle porzioni di suolo gestibili (in base
all'articolo 185 del «Codice ambientale») in
regime di deroga, per poi essere dal
successivo 25.03.2012 (in virtù delle
modifiche apportate dalla legge 28/2012 di
conversione allo stesso dl 2/2012)
nuovamente ricondotti nella disciplina dei
rifiuti, dalla quale possono uscire solo se
rispettosi delle regole sui sottoprodotti,
regole (come accennato) da rintracciarsi
oggi in quelle «generali» stabilite
dall'articolo 184-bis del dlgs 152/2006,
domani in quelle «specifiche» che saranno
dettate dall'emanando decreto Minambiente in
sostituzione di quelle attualmente previste
dall'articolo 186 dello stesso Codice
ambientale (articolo ItaliaOggi Sette del
02.04.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Licenziamenti
economici estranei agli uffici pubblici.
IL PERCORSO/ Nella Pa per situazioni di soprannumero ed
eccedenze si prevedono mobilità e prove di
ricollocazione.
Con la riforma del lavoro è diventata di
stretta attualità l'applicazione al lavoro
pubblico dell'articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori.
L'articolo 2 del Dlgs 165/2001 elenca le
fonti che disciplinano i rapporti di lavoro
dei dipendenti delle Pa a seguito della loro
privatizzazione. Esse sono:
a) le
disposizioni del Codice civile;
b) le leggi
sui rapporti di lavoro subordinato
nell'impresa, fatte salve le diverse
disposizioni contenute nello stesso decreto.
Da quest'articolo si deduce che lo Statuto
dei lavoratori (legge 300/1970), si applica
anche al lavoro pubblico nel rispetto della
pregiudiziale evidenziata.
L'articolo 51 del Dlgs 165/2001 lo ribadisce e ricorda che il
rapporto di lavoro dei dipendenti delle Pa è
disciplinato secondo le disposizioni degli
articoli 2 e 3 dello stesso decreto. La
stesso articolo prevede che lo Statuto dei
lavoratori si applichi alle pubbliche
amministrazioni a prescindere dal numero dei
dipendenti. L'articolo 18 dello Statuto
rileva quale baricentro del sistema della
flessibilità in uscita in ragione delle
tutele in esso previste. La disciplina dei
licenziamenti individuali o plurimi
(tenendoli distinti da quelli collettivi) è
quella della legge 604/1966 che individua le
ragioni giustificatrici del licenziamento:
a) giusta causa senza preavviso, detto anche
licenziamento in tronco (ad esempio nel
settore pubblico: falsa attestazione della
presenza in servizio, reiterazione
nell'ambiente di lavoro di condotte
aggressive o moleste);
b) giustificato
motivo, con preavviso, nella duplice veste
di:
1. giustificato motivo soggettivo
(determinato da un notevole inadempimento
degli obblighi contrattuali; ad esempio nel
settore pubblico: assenza priva di valida
giustificazione ovvero mancata ripresa del
servizio, in caso di assenza
ingiustificata);
2. giustificato motivo
oggettivo (determinato da ragioni inerenti
all'attività produttiva, all'organizzazione
e al funzionamento. In casi di questo tipo
nel settore pubblico non si ritrovano esempi
di licenziamento, in quanto scatta
l'articolo 33 del Dlgs 165/2001).
Per
completezza si ricorda che la legge 604/1966
disciplina anche il licenziamento
discriminatorio. In caso di licenziamenti
individuali illegittimi la legge 604/1966 dava
l'ultima parola al datore di lavoro che
poteva decidere tra riassunzione e
risarcimento del danno.
La svolta epocale dell'articolo 18 è stata
quella di aver previsto una duplice tutela
per il caso di licenziamento illegittimo: la
tutela reale dell'obbligo di reintegrare il
lavoratore nel posto di lavoro; la tutela
obbligatoria intesa come risarcimento del
danno subito. Questa duplice tutela si
applica al datore di lavoro privato che
occupa alle sue dipendenze più di 15
prestatori di lavoro. Altrimenti si
applicano le tutele meno efficaci della
legge 604/1966 (scelta del datore di lavoro se
reintegrare o indennizzare). Visto che lo
Statuto dei lavoratori si applica alle Pa a
prescindere dal numero dei dipendenti, anche
il comune che ne ha 9 e che licenzia
illegittimamente un dipendente può essere
condannato a reintegrarlo in servizio ed a
corrispondergli il risarcimento del danno.
La discussione sul tavolo Fornero è quella
di non contemplare la tutela reale della
reintegrazione in servizio per il caso di
licenziamento per ragioni economiche non
motivate. Quest'aspetto è ininfluente nel
settore pubblico in quanto il licenziamento
per ragioni economiche non sussiste in modo
diretto, passando attraverso la disciplina
dell'articolo 33 del Dlgs 165/2001 secondo
cui le Pa che hanno situazioni di
soprannumero o eccedenze, in relazione alle
esigenze funzionali o alla situazione
finanziaria tentano la ricollocazione del
personale stesso, collocandolo in
disponibilità qualora non sia possibile
impiegarlo diversamente anche mediante lo
strumento della mobilità. Dalla data di
collocamento in disponibilità restano
sospese tutte le obbligazioni inerenti al
rapporto di lavoro e il lavoratore ha
diritto ad un'indennità pari all'80% dello
stipendio per un periodo massimo di
ventiquattro mesi. In questi 24 mesi si
tenta ancora di collocarlo in mobilità in
tutte le Pa e solo in caso di impossibilità
si arriva al licenziamento.
Questa disposizione speciale del lavoro
pubblico si distingue anche rispetto al
regime dei licenziamenti collettivi del
settore privato, questi ultimi riconducibili
solo alle ragioni economiche di riduzione o
trasformazione di attività o di lavoro. I
licenziamenti collettivi possono avvenire
nel settore privato in via diretta (articolo
24 della legge 223/91) oppure dopo
l'intervento straordinario della cassa
integrazione. In entrambi i casi scatta il
collocamento in mobilità che per il settore
privato ha un significato diverso rispetto a
quello pubblico (articolo Il Sole 24 Ore del
02.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Decentrata.
I chiarimenti sul mancato accordo con i
sindacati: sì alla liquidazione provvisoria
ma le trattative vanno riaperte.
Sui contratti decentrati l'ente decide anno
per anno.
Sulla contrattazione decentrata ogni anno fa
storia a sé. Per una annualità, l'ente può
decidere di seguire la strada tracciata da
Brunetta e adottare un atto unilaterale per
risolvere l'empasse della contrattazione
decentrata; per l'anno successivo, la stessa
amministrazione può ritornare al tavolo con
le organizzazioni sindacali, pur avendo
ancora aperta la vecchia trattativa.
Questa,
in sintesi, la posizione della Funzione
Pubblica, espressa con nota
06.03.2012, protocollo 9738, in risposta al
quesito posto dal Comune di Marcellina, in
provincia di Roma.
Per il 2010 l'ente non era riuscito a
raggiungere un accordo con i sindacati e
quindi aveva proceduto ai sensi
dell'articolo 40, comma 3-ter, del Dlgs
165/2001, a liquidare «in via provvisoria»
il trattamento accessorio. Il Comune si
chiedeva cosa fare nel 2011, e in
particolare se potesse riprendere le
relazioni sindacali per stipulare il
contratto decentrato per il 2011.
Nella risposta la Funzione pubblica avalla
il comportamento tenuto dal Comune,
evidenziando come già la circolare 7 del 13.05.2010 dello stesso Dipartimento aveva
affermato l'immediata applicabilità
dell'articolo 40 citato. Ma avverte che, nel
provvedimento in cui si dà atto che viene
intrapresa la strada della unilateralità,
dopo aver evidenziato gli sforzi per
raggiungere l'intesa, si devono anche
«chiaramente» indicare i motivi di interesse
pubblico che hanno determinato questa
scelta. In secondo luogo, Palazzo Vidoni
raccomanda all'ente di proseguire, la
trattativa per raggiungere comunque
l'accordo anche per il 2010, in quanto
l'atto unilaterale ha valenza provvisoria.
Quindi, il datore di lavoro deve farsi parte
attiva convocando periodicamente le
organizzazioni sindacali per arrivare a un
accordo.
Sulla legittimità dell'atto unilaterale si
deve esprimere l'organo di revisione, che
dovrà porre attenzione «al rispetto dei
criteri di meritocrazia ed al perseguimento
dell'obiettivo di una maggiore
produttività».
Tutto ciò, però, non pregiudica le sorti del
2011, per il quale si ritorna ai blocchi di
partenza.
Ma se dal punto di vista giuridico la
questione può apparire semplice, non lo è
sotto il profilo delle relazioni sindacali.
I sindacati chiederanno di riunire le due
annualità, mentre l'amministrazione ha tutto
l'interesse a tenerle separate. Il mancato
accordo anche per il secondo anno diventa
un'ipotesi del tutto probabile, con il
ricorso ad un nuovo atto unilaterale.
Insomma, la situazione può incancrenirsi,
senza via d'uscita (articolo Il Sole 24 Ore del
02.04.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 02.04.2012 |
|
INCARICHI PROGETTUALI: Appalti al sicuro.
Affidamenti diretti fino a 40 mila. La
risposta del ministero delle infrastrutture
sull'art. 125.
Legittimi gli affidamenti diretti, senza
gara, disposti dalle stazioni appaltanti per
incarichi di progettazione, direzione lavori
e collaudo di importo fino a 40 mila euro.
È
quanto precisato dal ministero delle
infrastrutture con la
risposta 29.03.2012
del sottosegretario Guido Improta alla
Commissione ambiente della Camera, rispetto
a un'interrogazione (C.5/05557
- Innalzamento del limite per il
conferimento fiduciario degli incarichi
professionali nell'ambito dei lavori
pubblici) presentata da Guido Dussin (Lega Nord).
Si chiude così una
querelle sulla quale anche l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici si era
espressa nell'ottobre scorso (parere n. 181)
derivante dal mancato coordinamento fra due
norme.
In particolare l'art. 4, comma 15
della legge 106/2011 ha modificato sia
l'art. 125, comma 11 del Codice dei
contratti pubblici, portando a 40 mila euro
la soglia per gli affidamenti fiduciari per
servizi e forniture affidate da
amministrazioni pubbliche, sia l'art. 267,
comma 10 del dpr 207/2010 (regolamento del
Codice) eliminando il richiamo alla norma
del Codice in materia di affidamenti
diretti, con la conseguenza di ritenere
ammissibili solo i cottimi fiduciari fino a
20 mila euro.
Si trattava di stabilire se fosse legittimo,
alla luce delle modifiche della legge 106,
affidare in via fiduciaria e quindi
direttamente, senza confronto informale fra
più soggetti, incarichi di servizi di
progettazione, direzione lavori e collaudo
anche per importi compresi fra 20 mila e 40
mila euro. Si potevano infatti ritenere
illegittimi tali affidamenti, attribuendo al
disposto di cui all'art. 267 del regolamento
del Codice un carattere di specialità
rispetto alla normativa di riferimento
(l'art. 125, comma 11 del Codice che fissa a
40 mila euro la soglia per affidare
direttamente tutti i servizi), con la
conseguenza che sarebbero stati illegittimi
gli affidamenti compresi fra 20 mila e 40
mila euro.
Il ministero ha affermato la prevalenza
della norma del Codice (art. 125, comma 11),
così come modificata dalla legge 106/2011,
su quella del regolamento, in considerazione
del carattere non delegificante del dpr
207/2010, che non autorizza quindi in alcun
modo un'interpretazione che possa ritenere
prevalente l'art. 267 rispetto alla norma di
legge.
Il ministero, inoltre, ha affermato che la
norma regolamentare, avendo eliminato il
richiamo al secondo periodo del comma 11
dell'art. 125 del Codice, deve essere letta
nel senso di ritenere applicabile la soglia
dei 40 mila euro a tutte le tipologie di
servizi e forniture e non, quindi, nel senso
di non ammettere alcun affidamento diretto o
soltanto cottimi fiduciari fino a 20 mila
euro.
Il ministero ha confermato quanto l'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici, nel
parere n. 181 del 20/10/2011, aveva
affermato ritenendo che la volontà del
legislatore sia stata quella di assoggettare
l'intero ambito dei servizi di cui all'art.
252 (Servizi attinenti all'architettura e
all'ingegneria) alla nuova disciplina
prevista dall'art. 125, comma 11 e, quindi,
alla soglia dei 40 mila euro
(articolo ItaliaOggi
del 31.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it) |
ENTI LOCALI - VARI: L'acconto
per l'Imu diventa un rebus.
Da chiarire come pagare ed evitare sanzioni.
IL SECONDO FRONTE/
Per molti immobili detenuti al 1° gennaio
sarà necessario presentare una nuova
dichiarazione per la fine di luglio.
La disciplina dell'Imu si arricchisce di
particolari, ma complica ulteriormente il
rebus del primo appuntamento effettivo alla
cassa, fissato per il 18 giugno prossimo con
il versamento dell'acconto (il 16 cade di
sabato).
È questo il risultato degli emendamenti dei
relatori alla legge di conversione del
decreto fiscale (si veda Il Sole 24 Ore di
ieri), che nascono dalla difficoltà di avere
in tempi brevi un quadro chiaro sui gettiti
reali dell'imposta e offrono quindi più
tempo ai sindaci per fissare le aliquote
definitive.
In pratica, secondo gli
emendamenti le amministrazioni locali
potranno prendersi fino al 30 settembre per
decidere le aliquote definitive da applicare
alle diverse tipologie di immobili; nulla,
però, si dice sulle modalità di calcolo da
seguire per effettuare il versamento
dell'acconto mettendosi al riparo da
eventuali sanzioni riservate a chi paga una
prima rata troppo leggera.
Il problema era già emerso dopo che il «Milleproroghe»
aveva fatto slittare al 30 giugno i termini
per chiudere preventivi e regolamenti
tributari ma naturalmente si complica ora
che la distanza fra la scadenza per
l'acconto e quella per le aliquote
definitive si allunga da due settimane a tre
mesi e mezzo. Una prima versione del decreto
fiscale aveva deciso di ancorare i calcoli
dell'acconto alle aliquote di riferimento
fissate dal decreto «Salva-Italia» (4 per
mille per l'abitazione principale e 7,6 per
mille per gli altri immobili, con eccezioni
per categorie particolari come i fabbricati
strumentali all'attività agricola) ma nel
testo approvato dal Governo non c'è traccia
della previsione. Alla luce dei nuovi
emendamenti, la questione si fa ancora più
urgente.
I correttivi diffusi nella serata di
giovedì, che saranno votati lunedì, si
incaricano anche di tornare sugli obblighi
dichiarativi, resi urgenti dalle tante
novità determinate nel passaggio dalla
disciplina Ici a quella dell'Imu. La nuova
imposta, per esempio, permette di trattare
come abitazione principale solo un garage,
una cantina e una tettoia, mentre l'Ici
consentiva una geografia delle pertinenze
più generosa, e una stretta ancora più
drastica arriva per le assimilazioni.
La nuova regola proposta dagli emendamenti
fissa la prima scadenza al 30 luglio
prossimo (quindi, anch'essa, un mese e mezzo
dopo i termini dell'acconto) per gli
immobili già posseduti allo scorso 1°
gennaio e, proprio a causa delle tante
novità portate dall'Imu rispetto alla
vecchia imposta comunale sugli immobili,
appare destinata a imbarcare un'ampia platea
di contribuenti. Sarà comunque un decreto
ministeriale, previsto dal decreto
legislativo sul federalismo dei sindaci
(articolo 9, comma 6, del Dlgs 23/2011) ma
non ancora varato, a stabilire le modalità
della dichiarazione, che senza dubbio sarà
più ricca di informazioni rispetto alle
dichiarazioni Ici.
Le novità messe nero su bianco dai relatori
al provvedimento si occupano poi di
alleggerire un po' il carico agli
agricoltori, esentano i fabbricati sopra i
mille metri quadrati (per i terreni
continuano invece a operare le vecchie
esenzioni nei Comuni collinari e montani),
reintroducono forme di abbattimento
dell'imponibile e tagliando l'acconto al 30%
per i terreni. "Salvati" dalla quota
erariale dell'imposta gli immobili di Iacp e
cooperative edilizie a proprietà indivisa,
insieme al mattone dei Comuni utilizzato per
scopi non istituzionali che per questa via
esce del tutto dall'ambito Imu.
Sull'intera partita, però, pesano le
ristrettezze del bilancio pubblico, che per
esigenze di copertura lasciano fuori dai
correttivi una ricca platea che invece
guardava con speranza al passaggio
parlamentare. In prima fila ci sono i
proprietari di immobili dati in affitto, che
nel passaggio all'Imu vanno incontro a
regole che moltiplicano la vecchia Ici per
2-3 volte quando il canone è di mercato e
arrivano a decuplicarla quando l'affitto è a
canone concordato. Il colpo rischia di
essere duro per il mercato degli affitti (e
letale per i canoni concordati) già frenato
dalla crisi economica. Un ritocco,
inaspettato, è invece giunto per i
proprietari di dimore storiche, che si
vedono gonfiare l'imponibile e di
conseguenza il conto presentato dall'Imu
(articolo Il Sole 24
Ore
del 31.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it) |
ENTI LOCALI: I
piccoli comuni dovranno associare anche le
funzioni Ict. Lo prevede un emendamento al
dl semplificazioni. Ma si rischia il caos.
I piccoli comuni dovranno esercitare in
forma associata le funzioni Ict. Lo prevede
un emendamento al decreto «Semplifica
Italia» che, tuttavia, pone diversi
problemi, sovrapponendosi alle norme già in
vigore sull'esercizio associato delle
funzioni comunali.
L'art. 47-ter del dl 5/12 (introdotto dalla
camera in sede di conversione del
provvedimento, ora all'esame del senato)
novella l'art. 15 del codice
dell'amministrazione digitale (dlgs 82/2005)
aggiungendovi 7 nuovi commi.
Il nuovo comma 3-bis prevede che, nei comuni
fino a 5.000 ab., le funzioni legate alle
tecnologie dell'informazione e della
comunicazione siano «obbligatoriamente ed
esclusivamente» esercitate in forma
associata.
In base al comma 3-ter, l'obbligo abbraccia
realizzazione e gestione di infrastrutture
tecnologiche, rete dati, fonia, apparati,
banche dati, applicativi e licenze software,
formazione e consulenza nel settore
dell'informatica. Sarà un decreto del
ministero della funzione pubblica, d'intesa
con la Conferenza unificata, a definire
puntualmente le singole funzioni.
Lo stesso provvedimento, da emanare entro
sei mesi, dovrà dettare la tempistica
attuativa, garantendo che il limite
demografico minimo raggiunga almeno 30.000
abitanti, salvo diversa previsione da parte
delle regioni, le quali, entro due mesi e
con riferimento alle materie di competenza
legislativa regionale, potranno individuare
«la dimensione territoriale ottimale e
omogenea per area geografica» dei vari
ambiti. A regime, i comuni non potranno più
assumere singolarmente obbligazioni inerenti
alle funzioni e ai servizi Ict e dovranno
individuare, all'interno della gestione
associata, un'unica stazione appaltante.
Con tutta evidenza, tale disciplina si
sovrappone a quella dettata da precedenti
disposizioni, a partire dall'art. 14 del dl
78/10 (che riguarda le funzioni fondamentali
dei comuni fra 1.000 e 5.000 ab.),
proseguendo con l'art. 16 del dl 138/11
(relativo alle funzioni, anche non
fondamentali, dei comuni con meno di 1.000
ab.), per finire con l'art. 23 del dl
201/2011 (che ha previsto per tutti i comuni
fino a 5.000 ab. la centralizzazione delle
funzioni di stazione appaltante).
Sarà, pertanto, fondamentale sincronizzare
tempi e modalità di attuazione di tutte le
disposizioni citate, tenendo presenti le
proroghe previste dal dl 216/11. Anche con
questo accorgimento, tuttavia, le criticità
paiono numerose. Problematico pare, in
particolare, il comma 3-quater, secondo cui
la medesima funzione Ict non può essere
svolta da più di una forma associativa.
Occorre, infatti, ricordare che, in base
all'art. 16 del dl 138/2011, i comuni con meno
di 1.000 abitanti (ma non quelli fra 1.000 e
5.000 ab.) sono obbligati a gestire la
totalità delle loro funzioni mediante
un'unica forma associativa, sicché il
combinato disposto di tale previsione con
quelle successive rischia di segmentare la
platea dei piccoli comuni, rendendo arduo il
raggiungimento delle soglie minime e il
conseguimento di economie di scala.
Come sottolineato da Mauro Guerra, delegato
Anci ai piccoli comuni, quindi, «occorre
recuperare razionalità e coerenza tra i
diversi interventi normativi» per
scongiurare il rischio «di rendere ancora
più difficoltose le attività dei piccoli
comuni»
(articolo ItaliaOggi
del 30.03.2012). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI: SEMPLIFICAZIONI/
Ok alla fiducia sul dl 5/2012, che va alla
camera per l'ultimo sì. Niente tagli a
revisori e sindaci.
I compensi sono fuori dalla riduzione delle
indennità.
Compensi dei revisori e sindaci della p.a.
senza tagli. Il taglio delle indennità per i
componenti di organi degli enti pubblici non
tocca i collegi dei revisori e sindacali e i
revisori dei conti.
Lo precisa il
maxiemendamento al decreto legge
semplificazioni (5/2012) su cui ieri l'aula
del senato ha votato la fiducia con 246 voti
a favore, 33 contrari e due astenuti.
Il
provvedimento è stato modificato e dovrà
tornare alla camera in terza lettura per
l'ok definitivo: va convertito in legge
entro il 9 aprile. Ma presto, ha annunciato
il ministro della funzione pubblica Filippo
Patroni Griffi, arriverà un ddl per
riprendere una serie di punti rimasti in
sospeso nell'iter delle semplificazioni.
Ecco alcune delle novità.
REVISORI E SINDACI. L'articolo 6, comma 2,
del decreto legge 78/2010 si è occupato di
riduzione dei costi degli apparati
amministrativi. In particolare si è previsto
che la partecipazione agli organi
collegiali, anche di amministrazione, degli
enti, che comunque ricevono contributi a
carico delle finanze pubbliche, e la
titolarità di organi dei predetti enti è
onorifica. Niente compensi, dunque.
È
ammesso solo un rimborso delle spese
sostenute se previsto dalla normativa
vigente e, se sono già previsti, i gettoni
di presenza non possono superare l'importo
di 30 euro a seduta giornaliera. Il
maxiemendamento interpreta la disposizione
citata e spiega che essa deve intendersi nel
senso che il carattere onorifico è previsto
per gli organi diversi dai collegi dei
revisori dei conti e sindacali e dai
revisori dei conti: svolgono una prestazione
d'opera a cui corrisponde una
controprestazione economica.
APPALTI. L'articolo 29 del dlgs 276/2003
prevede che in caso di appalto di opere o di
servizi, il committente imprenditore o
datore di lavoro è obbligato in solido con
l'appaltatore, nonché con ciascuno degli
eventuali subappaltatori entro il limite di
due anni dalla cessazione dell'appalto, a
corrispondere ai lavoratori i trattamenti
retributivi, comprese le quote di
trattamento di fine rapporto, oltre i
contributi previdenziali e i premi
assicurativi dovuti in relazione al periodo
di esecuzione del contratto di appalto.
Per
le sanzioni civili, invece, risponde solo il
responsabile dell'inadempimento. In sostanza
il lavoratore chiede il pagamento dello
stipendio al committente. Se chiamato in
causa per il pagamento unitamente
all'appaltatore il committente imprenditore
o datore di lavoro può eccepire nella prima
difesa il beneficio della preventiva
escussione del patrimonio dell'appaltatore
medesimo. E, quindi, il lavoratore dovrà
prima fare esecuzione nei confronti
dell'appaltatore e poi sul committente. In
tal caso, infatti, il giudice accerta la
responsabilità solidale di entrambi gli
obbligati, ma l'azione esecutiva può essere
intentata nei confronti del committente
imprenditore o datore di lavoro solo dopo
l'infruttuosa escussione del patrimonio
dell'appaltatore.
L'eccezione della
preventiva escussione può essere sollevata
anche se l'appaltatore non è stato convenuto
in giudizio, ma in tal caso committente
imprenditore o datore di lavoro deve
indicare i beni del patrimonio
dell'appaltatore sui quali il lavoratore
possa agevolmente soddisfarsi. Il
committente imprenditore o datore di lavoro
che ha eseguito il pagamento può,
naturalmente, esercitare l'azione di
regresso nei confronti del coobbligato
secondo le regole generali.
PARCHEGGI PERTINENZIALI. Il maxiemendamento
precisa le eccezioni alla regola per cui la
proprietà dei parcheggi di proprietà privata
realizzati nei sottosuoli degli immobili o
nei locali siti al piano terreno dei
fabbricati può essere trasferita solo con
contestuale destinazione a pertinenza di
altra unità immobiliare sita nello stesso
comune. Le eccezion sono le seguenti. La
prima è l'espressa previsione contenuta
nella convenzione stipulata con il comune.
La seconda è l'espressa autorizzazione
dell'atto di cessione da parte del comune.
DURC. Si prevede che nell'ambito dei lavori
pubblici e privati dell'edilizia le
pubbliche amministrazioni acquisiscono
d'ufficio il documento unico di regolarità
contributiva (Durc).
IMMIGRATI.
L'articolo 3 del dpr 445/2000 prevede che i
cittadini di stati non appartenenti
all'Unione europea regolarmente soggiornanti
in Italia, possono utilizzare le
dichiarazioni sostitutive, ma limitatamente
agli stati, alle qualità personali e ai
fatti certificabili o attestabili da parte
di soggetti pubblici italiani, fatte salve
le speciali disposizioni contenute nelle
leggi e nei regolamenti concernenti la
disciplina dell'immigrazione e la condizione
dello straniero.
In sostanza è la legge speciale che deve
stabilire se si usa o non si usa
l'autocertificazione. Il maxiemendamento
abroga la norma speciale relativa all'uso
dell'autocertificazione per gli
extracomunitari a fare data dall'01.01.2013
(articolo ItaliaOggi
del 30.03.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Sul caso del richiedente
poi assente al voto la casistica fornisce
soluzioni diverse. Consigli, parola agli enti.
Mani libere sulla verifica del numero legale.
Deve essere computato tra i presenti il
consigliere che, dopo aver chiesto la
verifica del numero legale del consiglio
comunale, si sia assentato?
Le modalità di determinazione del numero
legale per la validità delle sedute sono
demandate all'autonomia normativa degli enti
locali; è importante, pertanto, che i
medesimi si dotino di una disciplina chiara
ed esaustiva in materia. Ciò anche al fine
di sottrarre l'ente a possibili
contestazioni.
Numerose fonti regolamentari recanti la
disciplina di organi collegiali prevedono
che i richiedenti la verifica del numero
legale debbano essere considerati presenti
(cfr art. 46, comma 6, regolamento della
camera dei deputati e art. 108 del senato)
ancorché siano assenti dall'aula al momento
del conteggio.
Tuttavia, se tale criterio non è stato
recepito dal regolamento del consiglio
comunale ovvero nello stesso viene previsto
che la verifica dei presenti sia compiuta
tramite appello nominale, o apparecchiatura
elettronica e che i consiglieri che si
astengono dal votare sono computati nel
numero dei presenti sembrerebbe evincersi
che i consiglieri assenti dall'aula al
momento dell'appello non possano essere
considerati presenti ai fini del numero
legale della seduta
(articolo ItaliaOggi
del 30.03.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Delibera di Giunta in
composizione ridotta.
La giunta provinciale può deliberare in una
composizione ridotta, nel caso in cui sia
stato revocato e non ancora sostituito uno
degli assessori della sua compagine?
In merito si evidenzia la necessità che la
sostituzione dell'assessore revocato avvenga
in tempi brevi, allo scopo di ricostituire
il plenum dell'organo collegiale qualora la
composizione dello stesso sia determinata in
modo rigido dallo statuto dell'ente.
Infatti tale fonte può individuare il numero
degli assessori in modo fisso oppure, in
alternativa, in modo «flessibile» entro il
limite massimo consentito dalla legge
statale (v. art. 47, comma 2, del Tuel n.
267/2000); nel caso sia stata prescelta
dall'ente locale la prima opzione, lo stesso
è vincolato all'osservanza della prescritta
composizione numerica, senza margini di
discrezionalità, per tale profilo, da parte
del presidente.
Per quanto concerne la tempistica
riguardante la sostituzione dell'assessore
revocato, nulla stabilisce sul punto l'art.
46, comma 4, del Tuel.
È appena il caso di rammentare che
l'istituto della revoca dell'incarico
assessorile, nella previgente legislatura,
prevedeva la contestualità della
sostituzione; più precisamente, revoca e
sostituzione dell'assessore erano
configurati quali adempimenti di competenza
del consiglio –adottati su proposta del
sindaco ovvero del presidente della
provincia– che dovevano avere luogo «nella
stessa seduta».
Nell'attuale sistema, conformato a
tutt'altre modalità di elezione della giunta
ed alla sua configurazione di organo
fiduciario del sindaco ovvero del presidente
della provincia, ora eletto a suffragio
diretto, mancano riferimenti espressi ad un
termine entro il quale l'organo di vertice
deve provvedere alla sostituzione
dell'assessore revocato.
Ciò non impedisce che sia insita nel sistema
la necessità che l'adempimento in questione
debba essere effettuato tempestivamente, al
fine di rendere conforme alle prescrizioni
statutarie la composizione numerica della
giunta.
Per quanto concerne l'evenienza che
l'incompleta composizione dell'organo
collegiale comporti, nelle more della
sostituzione, l'impossibilità di deliberare
validamente, si rileva che l'indirizzo
giurisprudenziale formatosi sul punto è
impostato sul principio per cui la
completezza dell'organo collegiale è
indispensabile ai fini della sua operatività
soltanto all'atto della costituzione
originaria.
Pertanto, se qualcuno dei componenti viene a
mancare successivamente deve ritenersi che
il collegio possa continuare legittimamente
a svolgere le sue funzioni, nelle more della
reintegrazione del plenum, purché sia
sussistente il quorum strutturale (così
Consiglio di stato sez. V 08.07.1977 n.
767); la giurisprudenza in parola motiva,
invero, tale soluzione con la necessità di
impedire la paralisi dell'organo,
privilegiando l'efficienza rispetto alla
rappresentatività
(articolo ItaliaOggi
del 30.03.2012). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Le istruzioni Inps sull'acquisizione
d'ufficio delle informazioni. Durc e
invalidità civile. Rimane la certificazione.
Stop alla produzione di certificazioni nei
confronti dell'Inps. Dal 1° gennaio, le sedi
territoriali non richiedono né accettano più
certificati da cittadini e imprese, i cui
dati e informazioni devono essere ora
reperiti direttamente presso le altre
amministrazioni, fatta eccezione per il Durc,
il certificato di agibilità ex Enpals, la
certificazione di esposizione all'amianto
Inail e i verbali di invalidità civile.
Lo spiega, tra l'altro, lo stesso Inps
nella
circolare 27.03.2012 n. 47.
La decertificazione. Le istruzioni
riguardano la direttiva n. 14/2011 con cui
il ministro per la pubblica amministrazione
ha spiegato le molteplici novità delle
modifiche apportate al dpr n. 445/2000, con
l'obiettivo ultimo della completa «decertificazione»
del rapporto tra pubblica amministrazione e
cittadini.
La filosofia di base è, infatti,
il rafforzamento del criterio
dell'acquisizione d'ufficio (a cura della
p.a. interessata) delle informazioni
necessarie allo svolgimento dell'istruttoria
di una pratica, liberando in tal modo i
cittadini dal dover reperire e produrre le
relative certificazioni. Peraltro, aggiunge
l'Inps, la legge n. 183/2011 (la Finanziaria
2012), al divieto per le p.a. di richiedere
certificati o atti di notorietà, ha aggiunto
l'ulteriore divieto anche di accettarli.
A tal fine, è fatto obbligo per le p.a. che
emettono una certificazione di riportarvi la
seguente formula: «Il presente certificato
non può essere prodotto agli organi della
pubblicazione amministrazione o ai privati
gestori di pubblici servizi»; insomma, tutte
le certificazioni sono adesso adoperabili
esclusivamente nei rapporti tra privati (il
funzionario p.a. che dovesse richiedere o
accettare un documento con sopra riportata
la predetta formula commette illecito
disciplinare).
Le eccezioni. In alcuni casi, spiega l'Inps,
il nuovo principio non è attuabile.
Innanzitutto con il documento unico di
regolarità contributiva (Durc). L'Inps
spiega che il ministero del lavoro, nel
confermare in pieno la precedente
disciplina, ha precisato che la nuova
normativa (articolo 44-bis del dpr n.
445/2000) definisce esclusivamente una
modalità di acquisizione del Durc da parte
delle p.a. senza, tuttavia, intaccare in
alcun modo il principio secondo cui le
valutazioni effettuate da un organismo
tecnico (Inps, Inail, cassa Edile) non
possono essere sostituite da
un'autocertificazione, che non insiste,
evidentemente né su fatti, né su status né
tantomeno su qualità personali.
Analoghe
considerazioni, aggiunge l'Inps vanno svolte
in ordine al certificato di agibilità
relativo alle imprese del settore dello
spettacolo, iscritte alla gestione ex Enpals
e per le attestazioni di regolarità
contributiva in generale. Le medesime
considerazioni, inoltre, valgono anche in
merito alla certificazione di esposizione
all'amianto rilasciata dall'Inail nonché per
i verbali relativi ad accertamenti medico
legali redatti da strutture sanitarie
pubbliche, in quanto documenti rilasciati
all'esito di valutazioni effettuate da
organismi tecnici.
Infine, l'Inps esclude
dalla decertificazione i verbali di
invalidità civile e i verbali d'invalidità
ordinaria.
Pertanto, per tutti i precedenti documenti
resta ferma la possibilità di essere
presentati in copia, con una dichiarazione
sostitutiva dell'atto di notorietà sulla
conformità all'originale, resa dal soggetto
che li presenza il quale, peraltro, è tenuto
a dichiarare che quanto attestato in quei
documenti non è stato revocato, né sospeso o
modificato (articolo
ItaliaOggi del 29.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 29.03.2012 |
|
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il
ministro Patroni Griffi conferma e anticipa
gli approfondimenti annunciati da Fornero. L'articolo
18 si applica agli statali.
Licenziamenti? Ragioni finanziarie invece
che economiche.
L'articolo 18 si applica anche al lavoro
pubblico. Lo ha confermato il ministro della
funzione pubblica Patroni Griffi, con una
lettera aperta pubblicata ieri sui giornali.
Confermando quanto ItaliaOggi ha avuto modo
di chiarire più volte (si vedano i numeri
del 17 febbraio e del 23.03.2012).
L'intervento sulla stampa di Palazzo Vidoni
sembra inizialmente tendere verso la
soluzione opposta. Il ministro si meraviglia
del dibattito sorto in merito
all'applicabilità o meno dell'articolo 18 ai
pubblici dipendenti, considerandolo
«fuorviante».
Ma la lettera aperta, che sostanzialmente
anticipa gli «approfondimenti» annunciati in
tema dal ministro Fornero, non poteva che
riportare la realtà dei fatti, che è quella
discendente direttamente dalla legge. Il
ministro Patroni Griffi, infatti, con
riferimento ai dipendenti poco capaci ha
affermato che «i licenziamenti
discriminatori hanno una disciplina identica
nel settore pubblico e nel settore privato.
I licenziamenti disciplinari nel settore
pubblico hanno poi una disciplina molto
dettagliata proprio per evitare che possano
essere utilizzati per finalità diverse»; a
conferma dell'inevitabile simmetria della
disciplina dei licenziamenti.
Quanto, invece, alle «ragioni economiche»,
Patroni Griffi prova a fare dei distinguo:
«Il licenziamento per giustificato motivo
oggettivo o economico non può trovare
applicazione nel pubblico in quanto in
questi casi c'è una disciplina ad hoc che
riguarda i casi in cui le pubbliche
amministrazioni abbiano situazioni di
soprannumero o rilevino comunque eccedenze
di personale, in relazione alle esigenze
funzionali o alla situazione finanziaria».
Si tratta solo di una sottigliezza tecnica.
Il ministro afferma che nella p.a. non opera
il motivo economico, ma poche parole dopo
non può che ammettere la sussistenza del
licenziamento per ragioni finanziarie,
previsto espressamente dall'articolo 33 del dlgs 165/2001. Ci si deve riferire alle
ragioni «finanziarie», invece che a quelle
«economiche», per una ragione estremamente
semplice: le amministrazioni pubbliche hanno
una contabilità appunto solo finanziaria,
posta, cioè, a misurare solo i volumi di
entrata e spesa del denaro, senza riferirsi
a grandezze economiche (costi, ammortamenti,
scorte ecc.), utilizzate solo a corredo dei
bilanci, impostati sulla parità finanziaria.
È evidente che un'amministrazione pubblica
non può ritrovarsi in ambasce economiche per
carenza di fatturato o ritardi
nell'acquisizione dei pagamenti dei clienti
o per crisi della domanda rispetto ai beni e
servizi che produce. Per questo,
correttamente, il citato articolo 33 del
dlgs 165/2001 considera possibile il
licenziamento anche individuale per
giustificato motivo oggettivo dettato dalla
«situazione finanziaria». Per
esemplificare, un ente locale in dissesto o
che non abbia rispettato il patto di
stabilità, alla luce di tale norma non solo
può, ma deve verificare la possibilità di
alleggerire la spesa del personale
collocando i propri dipendenti in esubero e
in disponibilità, cioè sospendendo ogni
prestazione lavorativa per 24 mesi,
riducendo il trattamento economico all'80%
di quello fondamentale e giungendo al
licenziamento se nel frattempo il dipendente
non sia stato trasferito presso qualche
altra amministrazione.
Paradossalmente, davanti al giudice del
lavoro un licenziamento per la «situazione
finanziaria» di un ente pubblico può
trovare, ai sensi della riforma paventata
dell'articolo 18, tutela di molto inferiore
a quella dovuta alle ragioni economiche di
un ente privato. Infatti, la «situazione
finanziaria» negativa di
un'amministrazione pubblica non può che
essere sorretta da atti pubblici, asseverati
dagli organi di controllo amministrativo e
contabile, tale che sostanzialmente
risulterebbe impossibile in sede
giurisdizionale accertare la simulazione di
ragioni discriminatorie o disciplinari.
Per queste ragioni, anche se ancora
l'articolo 18 non è stato riformato, nei
confronti dei dipendenti pubblici opera già
a partire dall'entrata in vigore della legge
183/2011 una disciplina di maggior rigore
rispetto al lavoro privato, qualora
intervengano licenziamenti per ragioni
finanziarie
(articolo ItaliaOggi del 28.03.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: Enti,
oblio sul web.
Dati personali sui siti per 15 giorni.
Provvedimento del Garante. Rischio multe da
120 mila.
Diritto d'oblio sui siti istituzionali degli
enti locali. I dati personali contenuti
nelle delibere pubblicate sull'albo pretorio
virtuale non devono continuare a essere
diffusi oltre il termine di 15 giorni
previsto dal Testo unico degli enti locali.
Altrimenti l'ente rischia una sanzione
amministrativa pecuniaria che va da 10 a 120
mila euro.
È quanto ha deciso il Garante con
il
provvedimento di prescrizione
23.02.2012 n. 73, che si occupa di modalità
di pubblicazione dei provvedimenti
amministrativi.
Nel caso specifico una signora si è
lamentata del fatto che sul sito del comune
fosse presente una delibera contenente i
suoi dati anagrafici e l'informazione che
avesse perso una causa tributaria con
l'amministrazione, menzionando anche la
condanna alle spese. Il problema è che la
pubblicazione della deliberazione integrale
si è protratta oltre il termine previsto
dall'art. 124 del dlgs 267/2000 (Tuel), la
norma che obbliga gli enti a pubblicare sul
proprio sito le deliberazioni di comune e
provincia per 15 giorni consecutivi, salvo
specifiche disposizioni di legge.
Il Garante ha ricordato che i soggetti
pubblici sono tenuti ad assicurare il
rispetto dei limiti temporali previsti,
rendendo accessibili i dati personali sul
proprio sito web durante il circoscritto
ambito temporale individuato dalle
disposizioni di riferimento, anche per
garantire il diritto all'oblio degli
interessati. Mentre, trascorsi i termini
specificatamente individuati, determinate
notizie, documenti o sezioni del sito devono
essere rimossi dal web o privati degli
elementi identificativi degli interessati
(così le «Linee guida in materia di
trattamento di dati personali contenuti
anche in atti e documenti amministrativi,
effettuato da soggetti pubblici per finalità
di pubblicazione e diffusione sul web»,
pubblicate in G.U. n. 64 del 19.03.2011).
Accertato il superamento del termine, il
Garante ha vietato al comune di diffondere
ulteriormente in internet i dati personali
della signora. E ha prescritto di modificare
le modalità di pubblicazione sul sito così
da rispettare le Linee guida. Una volta
trascorso il termine il comune potrà tenere
sul sito regolamenti e deliberazioni, purché
privati di dati personali, ha spiegato.
Aggiungendo che, a questo proposito, sarebbe
meglio creare una sezione apposita del sito
nel quale inserire l'archivio di
documentazione depurato da riferimenti
specifici.
Il Garante ha anche fatto scattare i
provvedimenti n. 74, 75 e 76 del 23.02.2012 per il blocco del trattamento dei dati
nei confronti di tre società di
telemarketing che effettuavano chiamate
pubblicitarie indesiderate a utenze iscritte
nel Registro delle opposizioni senza rendere
identificabile la linea chiamante, e
impedendo in tal modo agli abbonati di poter
tutelare i loro diritti. Il Codice della
privacy, infatti, vieta espressamente ai
soggetti che effettuano chiamate commerciali
e promozionali di camuffare o celare la loro
identità.
Alla luce di queste violazioni, oltre a
dichiarare illecito il trattamento dei dati
effettuato dalle tre società, il Garante ha
dunque disposto il blocco che impedisce alle
tre società l'uso dei dati raccolti fino a
quando esse non si metteranno in regola e
invieranno agli Uffici dell'Autorità la
documentazione che comprovi l'avvenuto
adeguamento. Il Garante si è comunque
riservato di valutare la possibilità di
contestare alle società anche sanzioni
amministrative
(articolo ItaliaOggi del 28.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Inps.
Indicati i documenti che nonostante la
semplificazione non possono essere
eliminati.
Autocertificazione con limiti. Sopravvivono
Durc, agibilità, accertamenti medico legali.
Il Documento unico di regolarità
contributiva (Durc), il certificato di
agibilità, le attestazioni di regolarità
contributiva non possono essere sostituiti
con un'autocertificazione dell'interessato,
nonostante la decertificazione prevista dal
collegato lavoro.
Lo ribadisce l'Inps nella
circolare 27.03.2012 n. 47.
L'Istituto di previdenza fa il punto sulla
norma mirante alla semplificazione dei
rapporti tra cittadini e Pubblica
amministrazione, ricordando che l'articolo
15 della legge 183/2011 ha rafforzato il
principio secondo cui la Pa deve acquisire
d'ufficio le informazioni che sono
necessarie allo svolgimento dell'istruttoria
chiedendole all'amministrazione che le
detiene.
In tal senso le modifiche introdotte dal
collegato impongono alle Pubbliche
amministrazioni non solo il divieto di
richiedere certificati o atti di notorietà
ma anche di accettarli (se prodotti di
iniziativa dell'utente). Ne deriva che le
certificazioni rilasciate dalla Pa in ordine
a stati, qualità personali e fatti sono
valide e utilizzabili solo nei rapporti tra
privati. In quelli i con gli organi della Pa
e i gestori di pubblici servizi, i
certificati e gli atti di notorietà devono
essere sostituiti dalle autocertificazioni.
A tal fine è previsto che sui certificati
rilasciati dalla Pa sia apposta la dicitura:
«il presente certificato non può essere
prodotto agli organi della pubblica
amministrazione o ai privati gestori di
pubblici servizi». Se il funzionario accetta
un documento che reca tale formula commette
un illecito disciplinare.
Così, i vertici dell'Istituto invitano le
proprie strutture ad acquisire d'ufficio i
dati necessari a istruire i processi
amministrativi (a tal fine si stanno
implementando i canali telematici)
accettando, se del caso, le
autocertificazioni. Quando si rende
necessario acquisire agli atti dei dati
contenuti in un provvedimento dell'autorità
giudiziaria, che non rientrano nel novero di
quelli che possono essere sostituiti da
dichiarazioni del cittadino, allora
quest'ultimo ha l'obbligo di fornire le
indicazioni per il reperimento delle
informazioni.
Alcune informazioni, però, non possono
essere autocertificate. Oltre a quelle già
menzionate si contano la certificazione di
esposizione all'amianto rilasciata
dall'Inail e i verbali relativi ad
accertamenti medico legali redatti da
strutture sanitarie pubbliche. Si tratta,
infatti, di documenti rilasciati all'esito
di valutazioni effettuate da organismi
tecnici. Questi documenti possono essere
presentati in copia, unitamente a una
dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà sulla conformità all'originale in
cui l'interessato deve anche dichiarare che
quanto attestato non è stato revocato,
sospeso o modificato.
Inoltre, secondo l'Inps, il legislatore è
intervenuto in materia per limitare la
certificazione senza, tuttavia, intaccare la
facoltà delle amministrazioni di richiedere
l'autocertificazione, al fine di evitare un
aggravio del procedimento. Permane, così,
per l'Inps la possibilità richiedere, a pena
di esclusione, dichiarazioni sostitutive
nelle procedure che prevedono la
partecipazione di numerosi soggetti, per una
valutazione comparativa di titoli
(articolo Il Sole 24 Ore del 28.03.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il dirigente risponde per dolo o
colpa grave. E' tenuto ai danni se ha
assegnato ai dipendenti mansioni superiori
rispetto a quelle stabilite.
La responsabilità a cui si accenna nel
quesito è qualificata dal nostro ordinamento
come amministrativa e si configura ogni
volta che il pubblico dipendente ...
(articolo Il
Sole 24 Ore del 26.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
L'iscrizione agli elenchi condizionata dai
crediti formativi, anzianità e numero d'incarichi. Revisori,
il caso la fa da padrone.
Il ruolo di auditor negli enti locali sarà
assegnato a estrazione.
Una vera e propria rivoluzione per il
sistema delle nomine a revisore degli enti
locali: dal modello della scelta «politica»
a quello della «dea bendata».
Il decreto del
ministero dell'interno n. 1 del 2012,
firmato dal ministro Annamaria Cancellieri
lo scorso 15 febbraio e pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale del 20 marzo, darà
infatti il via alla formazione degli elenchi
di professionisti che potranno ambire,
attraverso sorteggio, ad assumere il ruolo
auditor in comuni, province, città
metropolitane, comunità montane, comunità
isolane e unioni di comuni. La possibilità
d'iscriversi sarà condizionata dai crediti
formativi in materia di contabilità ed
economia degli enti territoriali,
dall'anzianità d'iscrizione agli albi
professionali e dal numero d'incarichi
pregressi.
Un nuovo elenco. Verrà istituito, presso il
dipartimento per gli affari interni e
territoriali del ministero dell'interno,
l'elenco dei revisori dei conti degli enti
locali; questo sarà costituito, su base
regionale e per fasce, dai revisori legali
nonché dai dottori commercialisti ed esperti
contabili che, in seguito alla presentazione
di specifica domanda telematica,
dimostreranno di possedere i requisiti
previsti dall'art. 3 del decreto
ministeriale.
Per la prima fascia, quella dei comuni fino
a 4.999 abitanti (5.683 secondo gli ultimi
dati Ancitel), saranno richiesti: a)
l'iscrizione da almeno due anni nel registro
dei revisori legali o all'Ordine dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili; b)
il conseguimento, nel periodo che va dal 1°
gennaio al 30 novembre dell'anno precedente,
di almeno dieci crediti formativi relativi
alla partecipazione a corsi e/o seminari
formativi in materia di contabilità pubblica
e gestione economica e finanziaria degli
enti territoriali.
Alla seconda fascia, riferita ai comuni con
popolazione da 5 mila a 14.999 abitanti e
alle unioni di comuni e comunità montane (in
tutto 2.261 enti), potranno iscriversi
coloro che: a) sono iscritti da almeno
cinque anni nel registro dei revisori legali
o all'Ordine dei dottori commercialisti e
degli esperti contabili; b) hanno svolto,
per la durata di tre anni, almeno un
incarico di revisore dei conti presso un
ente locale; c) hanno conseguito, nel
periodo che va dal 1° gennaio al 30 novembre
dell'anno precedente, almeno i citati dieci
crediti formativi.
Per l'ultima fascia, quella dei comuni con
popolazione pari o superiore a 15 mila
abitanti e delle province (si tratta di 847
enti), saranno richiesti: a) l'iscrizione da
almeno dieci anni nel registro dei revisori
legali o all'Ordine dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili; b)
l'aver svolto almeno due incarichi, ciascuno
per la durata di tre anni, di revisore dei
conti presso enti locali; c) il
conseguimento, nel periodo che va dal l°
gennaio al 30 novembre dell'anno precedente,
degli stessi crediti formativi visti nei
casi precedenti.
La domanda d'iscrizione. A regime l'elenco
sarà aggiornato al 1° gennaio di ciascun
anno: i soggetti che risulteranno già
iscritti (per la fase transitoria si rinvia
allo specifico box) dovranno, con modalità
che saranno comunicate sul sito internet del
ministero dell'interno, dimostrare il
permanere dei requisiti a pena di
cancellazione. Sarà prevista la possibilità,
da parte di nuovi soggetti, di presentare
domanda d'iscrizione: questa prevederà la
possibilità di indicare, oltre alle fasce
d'interesse (che, nell'ipotesi si abbiano i
requisiti per più di una, non sono
alternative fra loro), anche uno o più
ambiti territoriali provinciali per cui non
si è disponibili ad assumere l'incarico.
Particolare attenzione dovrà essere posta
sulla formazione: a regime il decreto
ministeriale prevede la valenza, fatto nuovo
per la vigente disciplina di formazione
professionale continua, non già della
normale formazione accreditata dagli ordini
o associazioni professionali bensì di «corsi
e/o seminari formativi in materia di
contabilità pubblica e gestione economica e
finanziaria degli enti territoriali i cui
programmi di approfondimento e i relativi
test di verifica siano stati preventivamente
condivisi con il ministero dell'interno».
Una formazione caratterizzata, quindi, dal
controllo sui contenuti e, soprattutto, da
esami sui partecipanti che potrà essere
organizzata, ai sensi dell'ultimo comma
dell'art. 3 del provvedimento in commento,
anche dallo stesso ministero avvalendosi,
senza oneri per lo stato, della scuola
superiore dell'amministrazione dell'interno.
La procedura d'estrazione. Gli enti locali
dovranno comunicare all'Ufficio territoriale
del governo della prefettura competente, con
almeno due mesi di anticipo, la scadenza
dell'incarico del proprio organo di
revisione economico-finanziario; in caso di
cessazione anticipata, la comunicazione sarà
inoltrata entro il terzo giorno successivo
all'evento. La prefettura comunicherà quindi
il giorno in cui si procederà
all'estrazione, in seduta pubblica e alla
presenza del prefetto o di un suo delegato,
dei componenti degli organi di revisione da
rinnovare.
Per ciascun componente da rinnovare saranno
estratti tramite sistema informatico, con
annotazione dell'ordine di estrazione, tre
nominativi: il primo è designato per la
nomina di revisore dei conti; gli altri
subentrano, nell'ordine di estrazione,
nell'eventualità di rinuncia o impedimento
ad assumere l'incarico da parte del soggetto
che li precede.
I risultati dell'estrazione saranno
riportati in un verbale inviato a ciascun
ente locale interessato che provvederà, con
delibera del consiglio, a nominare quale
organo di revisione economico-finanziaria i
soggetti estratti (dopo aver verificato
eventuali cause d'incompatibilità e
impedimenti, ai sensi degli artt. 235, 236 e
238 del Tuel, nonché eventuali rinunce). In
caso di organo collegiale le funzioni di
presidente saranno attribuite al componente
che ha ricoperto il maggior numero di
incarichi di revisore presso enti locali e,
in caso di egual numero di incarichi
ricoperti, conterà la dimensione demografica
di tali enti.
---------------
Le regole per la fase di prima applicazione.
Quando entrerà in vigore il meccanismo
dell'estrazione? Non è possibile individuare
una data precisa, serviranno infatti ancora
diversi mesi. La pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale del decreto ministeriale, avvenuta
il 20 marzo, è solo il punto di partenza del
complesso iter necessario per formare
l'elenco dei revisori dei conti degli enti
locali: ci vorrà del tempo non solo per
realizzare la procedura telematica,
bisognerà prevedere anche un congruo termine
per permettere la presentazione delle
domande d'iscrizione (da pubblicizzare non
solo sul sito internet del ministero
dell'interno ma anche in Gazzetta
Ufficiale); saranno poi necessari fino ad
altri 90 giorni per valutare le richieste
pervenute, verificandone i requisiti, in
modo da procedere alla prima formazione
dell'elenco che rimarrà in vigore fino al 28.02.2013 (data di prima manutenzione).
Considerando sia le tempistiche riportare
che il periodo estivo, crediamo che le
estrazioni non possano avvenire prima
dell'autunno: la partenza del nuovo sistema
sarà comunque ufficializzata attraverso un
avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e
divulgato sulle pagine web dello stesso
ministero dell'interno. Fino ad allora
varranno le vecchie regole del Tuel.
Particolare interesse destano i requisiti,
previsti dall'art. 4 del decreto
ministeriale, per la fase di sua prima
applicazione: esistono, infatti, due
differenze significative rispetto a quelli a
regime indicati nella parte superiore di
questa pagina. La prima riguarda le
caratteristiche dei crediti formativi: nella
fase di start-up, non esistendo ancora i
programmi di approfondimento e i test di
verifica condivisi con il ministero
dell'interno, il provvedimento normativo
secondario ne richiede almeno 15, rispetto
ai 10 a regime, purché riconosciuti dai
competenti ordini professionali o dalle
associazioni rappresentative degli stessi
(sempre, ovviamente, per la partecipazione a
corsi e/o seminari formativi in materia di
contabilità pubblica e gestione economica e
finanziaria degli enti territoriali).
Sarebbero quindi esclusi dall'elenco,
quantomeno fino alla fase a regime, anche i
professionisti che pur avendo già svolto
numerosi incarichi in enti locali non
abbiano acquisito, pur essendo in regola con
gli obblighi deontologici, i crediti
indicati dal provvedimento.
Per l'appartenenza alla prima fascia viene
aggiunto, infine, un ulteriore requisito:
«Aver avanzato, entro la data di entrata in
vigore del presente decreto, richiesta di
svolgere la funzione quale organo di
revisione di ente locale». Profetiche, in
tal senso, le indicazioni fornite nel mese
di febbraio dal Consiglio nazionale dei
dottori commercialisti e degli esperti
contabili: veniva suggerito, infatti,
l'invio di una semplice istanza, consegnata,
spedita per raccomandata o magari inviata
con la pec, a un comune o a una provincia
per poter maturare il requisito. Ricordiamo,
infine, che l'elenco sarà sottoposto a una
prima manutenzione/aggiornamento il 28.02.2013, per poi entrare nella fase a
regime a partire dall'01.01.2014 (articolo
ItaliaOggi Sette del 26.03.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
La legge di conversione del dl ambiente
riduce il libero utilizzo dei materiali di riporto. Rifiuti, gestione del suolo a tappe.
In attesa di nuove condizioni valgono le
norme sui sottoprodotti.
Sì alla gestione dei «materiali di riporto»
fuori dalla disciplina sui rifiuti, ma solo
nel rispetto delle nuove condizioni tecniche
dettate dal ministero dell'ambiente, e in
attesa delle quali vanno comunque osservate
le norme generali in materia di
«sottoprodotti».
Esce ridimensionata dalle modifiche
apportate dalla legge di conversione
approvata definitivamente il 21.03.2012
la nuova disciplina sul «libero» utilizzo
dei materiali eterogenei contenuti nel suolo
e utilizzati per riempimenti e rilevati
disegnata dal dl 2/2012 (c.d. «dl
ambiente»). Con le novità apportate dalla
legge di conversione del dl 2/2012, la nuova
gestione dei materiali da riporto risulta
quindi scandita in tre distinte fasi
temporali: la prima, che va dal 25.01.2012 (data di entrata in vigore del decreto
2/2012) alla data di entrata in vigore della
legge di conversione; la seconda, che andrà
dalla data di entrata in vigore della citata
legge di conversione (in attesa di
pubblicazione sulla G.U.) a quella della
entrata in vigore del citato dm ambiente (la
cui deadline di adozione è stata stabilita
dal dl 1/2012 nel 24.03.2012); la terza,
che sarà operativa dalla entrata in vigore
del nuovo dm ambiente. Vediamo, nel
dettaglio, le tre fasi.
Le novità previste dal dl 2/2012. Mediante
un'opera di interpretazione autentica ed
estensiva della nozione di «suolo» recata
dal dlgs 152/2006, l'originaria versione del
«dl ambiente» ha sancito dal 25.01.2012
l'equiparazione allo stesso dei materiali di
riporto in esso contenuti, con la
conseguenza di rendere ufficialmente lecita
la gestione di questi ultimi al di fuori dal
regime dei rifiuti ove analoga gestione sia
consentita per i primi.
In particolare, in
base alla originaria formulazione del dl
2/2012, non sono dal 25.01.2012
considerati rifiuti (fermo restando
l'obbligo di procedere a bonifica dei
terreni contaminati oltre una certa soglia)
le matrici di riporto contenute nelle
porzioni di suolo definite dall'articolo
185, comma 1, lettere b) e c), dlgs 152/2006,
ossia contenute: nel terreno (non scavato);
nel suolo contaminato non scavato; nel suolo
non contaminato escavato nel corso di
attività di costruzione, purché riutilizzato
allo stato naturale nello stesso sito a fini
di costruzione.
Dalla stessa data non sono
altresì considerati rifiuti, se soddisfano
almeno una delle condizioni di cui agli
articoli 183/1, lettera a) (il detentore non
se disfa), 184-bis (sono dei sottoprodotti)
e 184-ter (sono stati oggetto di recupero)
del dlgs 152/2006, i materiali di riporto
contenuti nel suolo escavato non contaminato
e utilizzati in siti diversi da quelli di
escavo.
Le novità della legge di conversione. La
legge approvata il 21.03.2012 ha, come
accennato, confermato l'impianto di fondo
del decreto d'urgenza, delimitandone però la
sfera d'azione, e ciò mediante due nuove
disposizioni. In primo luogo, tale legge ha
infatti introdotto una precisa definizione
di «matrici materiali di riporto» facendoli
coincidere con i soli «materiali eterogenei,
disciplinati dal dm ambiente previsto
dall'articolo 49 del dl 1/2012, utilizzati
per la realizzazione di riempimenti e
rilevati non assimilabili per
caratteristiche geologiche e stratigrafiche
al terreno in situ, all'interno dei quali
possono trovarsi materiali estranei».
In
secondo luogo, stabilendo che fino
all'entrata in vigore del dm ambiente in
parola tali matrici materiali di riporto
eventualmente presenti nei terreni e nei
suoli gestibili al di fuori della disciplina
sui rifiuti (quelli ex articolo 185/1,
lettere b) e c), ed ex articolo 185/4 del dlgs 152/2006 sopra citati) possono essere
considerati sottoprodotti (dunque utilizzati
in deroga al regime sui rifiuti) solo se
rispettosi delle condizioni generali sui
sottoprodotti stabilite dall'articolo
184-bis dello stesso codice ambientale.
La gestione dei materiali
di riporto a «pieno regime».
L'assetto definitivo della nuova disciplina
sui materiali di riporto troverà un suo
assetto definitivo solo con l'entrata in
vigore del nuovo dm ambiente in materia di
terre e rocce da scavo previsto
dall'articolo 49 del dl 1/2012.
Tale decreto, superando le norme dettate per
il periodo transitorio dalla legge di
conversione del dl 2/2012, traccerà infatti
in modo preciso e definitivo i confini entro
i quali la gestione dei materiali di riporto
potrà avvenire in deroga alla disciplina sui
rifiuti (articolo
ItaliaOggi Sette del 26.03.2012). |
APPALTI SERVIZI:
Liberalizzazioni. Riscritto il calendario
per la riforma degli affidamenti
Servizi, pareri all'Antitrust con rischio
ingorgo date.
Tra luglio e agosto pioggia di decisioni con
le analisi dei mercati locali.
Con la nuova riscrittura della riforma nel
decreto liberalizzazioni appena convertito
dal Parlamento, la disciplina dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica
dovrebbe aver trovato un quadro definito.
Le amministrazioni affidanti sono chiamate
ad avviare sin da ora l'analisi per
qualificare i servizi interessati dal nuovo
quadro, che oltre alle attività prive di
rilevanza economica esclude una serie di
settori (servizio idrico, gas, energia,
farmacie e ferrovie regionali).
Il nuovo percorso è a tappe forzate, inizia
con il Dm sui criteri per la verifica
dell'attribuzione dei diritti di esclusiva:
il decreto va adottato entro il 31 marzo.
Gli elementi desumibili dalla bozza
consentono di avviare l'analisi istruttoria
per rilevare su quali servizi possa essere
configurata la gestione liberalizzata o
invece l'attribuzione di diritti di
esclusiva. La definizione delle condizioni
per la gestione unitaria va realizzata con
l'adozione della delibera-quadro per tutti i
servizi in gestione entro il 13.08.2012.
Considerando che i Comuni con più di 10mila
abitanti, prima di adottare l'atto, devono
ottenere il parere dell'Agcm
sull'istruttoria, e che l'authority deve
renderlo entro 60 giorni dalla richiesta, è
concreto il rischio di ingolfamento.
Lo schema di Dm contiene poi due norme
contraddittorie: l'articolo 2, comma 5,
evidenzia l'adozione della delibera-quadro
come condizione necessaria solo per
l'affidamento con gara o a società mista,
mentre l'articolo 5, comma 3 la esplicita
come necessaria anche per gli affidamenti
(derogatori) in house. In questa prima fase
potrebbero essere facilitati i Comuni con
meno di 10mila abitanti, che non devono
richiedere il parere all'Agcm.
Molti degli elementi essenziali per
l'analisi sull'attribuzione dei diritti di
esclusiva nei servizi a rete (ad esempio
rifiuti e Tpl) potranno tuttavia essere
definiti solo dopo gli ambiti e bacini
territoriali, che le Regioni devono
individuare entro il 30 giugno.
I Comuni che
intendano proporre alle Regioni sub-ambiti
più piccoli rispetto alla Provincia devono
formalizzare una richiesta, supportata da un
progetto associativo, entro il 31 maggio. In
base a questo quadro, gli elementi di
riferimento effettivo per molti servizi
potrebbero essere disponibili solo alla fine
di giugno, con un margine veramente esiguo
per il perfezionamento dell'istruttoria e
del parere presso l'Agcm, in rapporto alla
prima scadenza del 13.06.2012.
Superata questa fase, gli enti locali devono
confrontarsi con le nuove scadenze delle
gestioni esistenti, che vede il primo punto
critico nel 31 dicembre, data alla quale
cessano gli affidamenti in house non
coerenti con i parametri comunitari e
comunque superiori a 200mila euro di valore
annuo del servizio). Questo stesso termine
vale per le amministrazioni che, aggregando
gli attuali gestori di uno stesso servizio,
vogliano dar vita a una società affidataria
in house del servizio per tutto l'ambito
territoriale, per un valore anche superiore
al limite dato nel comma 13 e per un periodo
massimo di tre anni (quindi sino al 31.12.2015).
La soluzione è proposta in
un'ottica di rafforzamento degli operatori
pubblici in vista di future gare di ambito.
Per le società miste in cui il socio privato
sia stato scelto con gara ma non a doppio
oggetto la scadenza delle gestioni è
posticipata al 31.03.2013, mentre
rimangono invariati i termini entro cui le
quotate devono cedere le azioni in mano
pubblica tra la metà del 2013 e la fine del
2015.
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Il calendario
Percorso per l'affidamento dei servizi
pubblici locali con rilevanza economica
31 marzo 2012|GOVERNO - MINISTRO AFFARI
REGIONALI
Adozione Dm definizione criteri
delibera-quadro (diritti di esclusiva)
31 maggio 2012|COMUNI ASSOCIATI
Proposta a Regioni per possibile definizione
sub-ambito
30 giugno 2012|REGIONI
Definizione ambiti / bacini territoriali
ottimali
13 agosto 2012|ENTI LOCALI - ENTI AFFIDANTI
I SPL
Approvazione delibera-quadro generale per
attribuzione diritti esclusiva su gestione
SPL
31 dicembre 2012|ENTI LOCALI SOCI
Costituzione di società unico gestore in
house per ambito di SPL ex aggregazione
precedenti gestori affidatari diretti
(deroga)
31 dicembre 2012|SOCIETÀ / PREFETTO (per
esercizio potere sostitutivo)
Rilevazione cessazione gestioni esistenti in
base a affidamenti in house non conformi
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Il
regolamento. Punti controversi.
Delibere obbligate per tutti gli enti.
LA CONTRADDIZIONE/
Da un lato si punta ad aggregare gli
«ambiti» e dall'altro si prevedono atti
amministrativi diversi da una pluralità di
soggetti.
Il regolamento di attuazione dell'articolo
4, comma 33-ter, del Dl 138/2011 dovrà certo
superare lo scoglio della sua pratica
attuazione, ma sottovalutarne la portata
sarebbe un grave errore perché rappresenta
un repentino cambiamento di rotta rispetto a
quanto ad oggi immaginato dal percorso di
riforma.
I maggiori dubbi suscitati dal processo di
liberalizzazione dei servizi, ad oggi,
riguardano l'assenza di un numero adeguato
di imprenditori competenti e che siano in
condizione di investire quanto
indispensabile in settori impegnativi sul
piano degli investimenti.
In fondo fu il medesimo problema con cui si
misurò la Thatcher, che prese atto
dell'impossibilità di liberalizzare il
settore del trasporto pubblico locale ed
optò per la deregulation: in pratica, non
riuscendo a trovare privati in grado di
gestire il servizio, aprì le porte a chi
volesse svolgerne anche solo piccole
porzioni.
La scelta del regolamento va nella stessa
direzione, mettendo perciò in discussione
l'idea che i servizi vadano gestiti
unitariamente. Se il disegno sarà confermato
verrà meno, in sostanza, l'idea che per una
«gestione integrata» sia indispensabile un
gestore unico, la cui necessità non è più
assunta come dato ma deve essere dimostrata
attraverso una verifica di mercato.
Così facendo, però, si rimette in
discussione il processo oggi in corso, che
mira a una crescita dimensionale delle
aziende, attraverso una riduzione del numero
degli ambiti e incoraggiando le fusioni. Si
rischia di interrompere un lavoro già in
corso e che sta cominciando a produrre i
suoi frutti.
Si noti, ancora, che a differenza di quanto
previsto dai commi 1 e 2 dell'articolo 4, il
regolamento (articolo 1, comma 2) estende
l'obbligo di formulare la delibera quadro a
tutti gli enti territoriali, cioè anche alle
autorità amministrative che esercitano
funzioni nei servizi pubblici locali. Scelta
ribadita, del resto, con specifico
riferimento al trasporto pubblico (articolo
3 del regolamento) e dei rifiuti (articolo
4).
Tutto ciò, peraltro, non è privo di rischi e
di problemi. Non è chiaro, anzitutto, come
si possa conciliare una scelta di
«frazionamento del servizio» con il processo
di ampliamento degli ambiti auspicato dalla
legge: sarà la Regione, ai sensi
dell'articolo 3-bis, comma 1, del Dl
138/2011, infatti, a definire gli ambiti con
l'intento di conseguire «economie di scala e
di differenziazione idonee a massimizzare
l'efficienza del servizio»; se è così, ha
senso che a decidere sull'eventuale
suddivisione del servizio stesso in più fasi
e sulle diverse condizioni di
concorrenzialità di ciascuna di queste sia
un soggetto diverso?
Infine, una perplessità di fondo: fino a
oggi i nostri enti non hanno certo brillato
in tema di capacità di regolazione. Oggi si
prospetta di affidare loro un lavoro ancora
più complesso, e cioè di confrontarsi con
soggetti specializzati. Siamo sicuri che le
nostre autorità d'ambito saranno in grado di
governare con efficacia i rapporti con un
numero probabilmente elevato di operatori,
quando hanno dimostrato di non riuscire a
controllarne uno solo? Il rischio è di
rendere ancora più difficoltoso il compito
di chi deve "dettare le regole", con
risultati prevedibili
(articolo Il
Sole 24 Ore del 26.03.2012 - tratto
da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Professionisti. Per fornire crediti utili
nel sistema riformato le attività formative
si devono concludere con una verifica.
Revisori, nuovi corsi con test.
In arrivo la circolare dell'Interno con le
modalità per iscriversi negli elenchi.
Potrebbe arrivare in settimana l'ultimo
tassello per la nuova disciplina di nomina
dei revisori dei conti negli enti locali. Il
ministero dell'Interno sta lavorando alla
circolare, annunciata nei giorni scorsi
insieme alla pubblicazione in «Gazzetta
Ufficiale» (si veda Il Sole 24 Ore del 21
marzo) del decreto 23/2012 attuativo della
riforma.
La circolare fisserà le regole per
le domande di iscrizione negli elenchi, che
correranno solo online all'interno di un
sistema telematico chiamato a guidare
l'intero meccanismo di estrazione, chiarirà
le procedure per individuare gli ambiti
provinciali d'interesse all'interno della
regione di residenza (in realtà il sistema
dovrebbe permettere di "spuntare" le
Province da escludere) e detterà le modalità
operative per certificare e verificare il
rispetto dei requisiti chiesti per
l'iscrizione nei tre elenchi destinati alle
diverse fasce demografiche di enti locali.
Tutto il meccanismo dovrebbe essere pronto
prima dell'estate, e prima della pausa
dovrebbe andare in «Gazzetta Ufficiale»
anche l'avviso che offrirà un mese di tempo
per presentare domanda di iscrizione
all'elenco da parte degli attuali revisori,
in modo che le nuove nomine possano partire
puntuali a fine settembre, cioè alla nuova
data fissata dal rinvio alla riforma
contenuta nel Milleproroghe.
Il lavoro sulla certificazione e sulla
verifica dei requisiti di curriculum, in
realtà, sarà svolto a braccetto con gli
ordini professionali, che oltre
all'anzianità d'iscrizione già ora
gestiscono i dati sui crediti formativi
ottenuti dagli iscritti. Sul versante della
formazione, il decreto pubblicato la
settimana scorsa in «Gazzetta» divide in due
la disciplina: in sede di prima
applicazione, la normativa riferisce il
requisito dei crediti formativi a quelli
ottenuti nel 2009-2011, e le verifiche non
fisseranno caratteristiche rigide né per gli
enti erogatori né per le modalità di
svolgimento del corso.
Diverso è il panorama
per le nuove attività di formazione, perché
per ottenere crediti spendibili come
revisore occorrerà frequentare corsi i cui
programmi siano stati condivisi in via
preventiva con il Viminale, e che si
concludano con un «test di verifica» (la
forma del test non è predefinita dal decreto
e può essere scelta dall'organizzatore). Un
modo, questo, per evitare il diffondersi di
un "mercato dei crediti" e, in prospettiva,
per creare un orizzonte condiviso fra
Viminale e ordini professionali sulla
formazione (e quindi sul ruolo) dei revisori
contabili di Comuni e Province.
Il periodo
di prima applicazione prevede inoltre regole
a sé anche per quel che riguarda l'istanza,
perché per chi non ha mai svolto la funzione
(e di conseguenza può debuttare negli enti
fino a 5mila abitanti) è sufficiente aver
fatto richiesta presso un Comune. Una volta
a regime, il meccanismo delle verifiche sui
requisiti non sarà comunque invasivo, perché
sarà affidato in larga parte alla
certificazione presso gli ordini
professionali e potrà essere affiancato da
controlli a campione.
In realtà sulla richiesta «retroattiva» di
crediti fissata nel decreto un punto
problematico andrebbe risolto, oltre
all'esclusione di professionisti che, per
varie ragioni, non hanno chiesto crediti che
all'epoca non erano prescritti. L'articolo 5
del Dlgs 39/2010 chiede che i revisori
iscritti al Registro prendano parte a
programmi di aggiornamento professionale
secondo le modalità stabilite con
regolamento dell'Economia, sentita la
Consob.
La norma prescrive anche che il
regolamento definisca le modalità con cui la
formazione continua può essere svolta presso
società o enti dotati di un'adeguata
struttura organizzativa e secondo programmi
accreditati sempre da Economia e Consob. Il
regolamento, però, non è ancora stato
emanato, e non si vede quindi in che modo e
con quali programmi «società o enti» possano
essere stati accreditati.
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Le regole
01|L'ISCRIZIONE
Per essere iscritti negli elenchi regionali
dei revisori dei conti di Comuni e Province
occorrerà fare domanda entro un mese
dall'avviso che sarà pubblicato in «Gazzetta
Ufficiale». La circolare fisserà la
disciplina
per l'invio telematico
delle domande
e per l'esclusione delle province non
d'interesse del professionista
02|IL DEBUTTO
Per chi non ha mai fatto
il revisore è ora sufficiente aver fatto
domanda
in un ente locale (articolo Il
Sole 24 Ore del 26.03.2012 - tratto
da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Tributi. Rischi di impugnazione.
Regolamenti Imu fermi in attesa dei
correttivi statali.
La mancata introduzione (finora) nel Dl
sulle semplificazioni fiscali delle norme
che avrebbero dovuto modificare la
disciplina Imu sta mettendo in seria
difficoltà i Comuni. Anche se il
Milleproroghe ha rinviato i termini per i
preventivi al 30 giugno, molti enti (anche
quelli a fine mandato, nonostante i dubbi in
materia; si veda Il Sole 24 Ore del 19
marzo) stanno predisponendo il bilancio
2012, al cui interno il posto di primo piano
è occupato proprio dalle aliquote e dalla
disciplina regolamentare dell'Imu.
La mancanza di norme certe su molte modalità
applicative della nuova imposta e le
difficoltà di valutare le conseguenze della
quota erariale devono però indurre i Comuni
alla cautela nella determinazione delle
aliquote, e nell'adozione di agevolazioni o
di modalità applicative dell'entrata (per
esempio i rimborsi della quota di Imu
versata allo Stato), che potrebbero
determinare gravi perdite di gettito.In
questo panorama, appare opportuno che i
Comuni attendano quanto meno la conversione
definitiva del Dl fiscale, per evitare di
introdurre una disciplina che potrebbe
risultare contrastante con le modifiche
normative o con le interpretazioni
ministeriali.
Il regolamento (articolo 52 del Dlgs
446/1997) deve infatti essere trasmesso al
ministero delle Finanze, che può impugnarlo
per vizi di legittimità davanti ai giudici
amministrativi, con un rischio oggi
amplificato proprio dalla quota erariale.
Per queste ragioni è consigliabile approvare
il regolamento Imu con un quadro normativo
più stabile.
L'approvazione del regolamento, se
necessario, potrà intervenire anche dopo
l'approvazione di aliquote e bilancio
(purché entro il 30.06.2012, a termini
attuali), in quanto la previsione
dell'articolo 52, comma 2, del Dlgs 446/1997
(secondo cui i regolamenti vanno approvati
non oltre il termine di approvazione del
bilancio di previsione e non hanno effetto
prima del 1° gennaio dell'anno successivo) è
stata successivamente integrata dalla legge
338/2000 (articolo 53, comma 16) e dalla
legge 448/2001 (articolo 27, comma 8) in
base ai quali i regolamenti sulle entrate
hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di
riferimento, anche se approvati
successivamente all'inizio dell'esercizio,
purché entro il termine del bilancio di
previsione.
A fronte di tale disposizione, che non lega
l'approvazione dei regolamenti al bilancio
(al contrario di quanto deve succedere per
aliquote e tariffe delle entrate, necessarie
per predisporre la manovra economica), è
evidente che i regolamenti possono essere
approvati anche dopo il bilancio (ma entro
la scadenza), e avranno comunque efficacia
dal 1° gennaio.
Per quanto l'adozione del regolamento Imu
sia necessaria per una corretta applicazione
del tributo (che vede sparsa la propria
disciplina primaria in diverse normative),
si ritiene quindi opportuno che anche i
Comuni che stanno per approvare i propri
bilanci rimandino il via libera al
regolamento Imu, per evitare l'adozione di
atti che si pongano in contrasto con le
modifiche normative che il legislatore
potrebbe ancora introdurre o con le
interpretazioni che si attendono dal
ministero delle Finanze; in questo caso,
infatti, i regolamenti sarebbero subito da
modificare, o potrebbero addirittura essere
impugnati in sede giurisdizionale.
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Gli aspetti controversi
01 | LE SCADENZE
Bilanci e regolamenti tributari vanno
approvati entro il 30 giugno.
I regolamenti possono essere approvati dopo
i bilanci, purché entro
la scadenza, e conservano valore retroattivo
a partire dal 1° gennaio
02 | I CORRETTIVI
Nella conversione
sul decreto fiscale sono possibili
interventi importanti sui beni
dei Comuni, sull'Imu
in agricoltura e sui meccanismi che
disciplinano la quota erariale del tributo (articolo Il Sole 24
Ore del 26.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 26.03.2012 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA: Ambiente.
Chiarite le modalità di presentazione del
Mud. La comunicazione Sistri anche con i
vecchi moduli.
Doppia abrogazione che conferma. Non
convenzionale, ma sicuramente pratica la
soluzione prospettata per superare il
dilemma sulle modalità di presentazione del
modello unico di dichiarazione ambientale (Mud),
un adempimento che coinvolge oltre 300mila
imprese e enti.
Sia i produttori iniziali di rifiuti sia i
gestori di impianti di recupero e
smaltimento potranno scegliere se comunicare
i dati relativi al 2011 per mezzo del
portale Sistri, compilando on-line il
cosiddetto "Mudino", o usando i tradizionali
moduli e le regole di presentazione definite
dal Dpcm 27.04.2010. La possibilità di
utilizzare anche quest'anno la vecchia
modulistica, abrogata prima dal Dlgs
205/2010 e poi dal Dpcm del 23.12.2011, è
indirettamente confermata dalla diffusione
del software per la compilazione tramite i
siti internet delle Camere di commercio.
Il temporaneo ripristino dei moduli
abrogati, che anche l'anno scorso era stato
legittimato dalla circolare del ministero
dell'Ambiente del 02.03.2011, supera le
difficoltà connesse alla "comunicazione
Sistri", introdotta dal Dm istitutivo
della tracciabilità dei rifiuti (articolo
12, comma 1, Dm 17.12.2009) e in seguito
confermata dal regolamento d'attuazione
Sistri (articolo 28, comma 1, Dm 52/2011),
come unica possibilità di adempiere
all'obbligo di comunicazione annuale al
catasto dei rifiuti. L'accesso al portale
Sistri per l'imputazione dei dati è
riservato ai delegati Sistri dell'impresa o
dell'ente e impone l'impiego delle chiavette
Usb con i certificati di firma digitale.
Questa scelta esclude perciò le associazioni
imprenditoriali, se non sono state delegate,
e i consulenti.
Il portale Sistri non consente neppure
l'acquisizione telematica dei file di dati
elaborati dai software gestionali utilizzati
dalle imprese, funzionalità da anni
garantita dal sito www.mudtelematico.it, un
sistema che consente alle associazioni e ai
consulenti delegati dalle imprese di
trasmettere le dichiarazioni
sottoscrivendole con la propria smart card.
I produttori iniziali di rifiuti, a
differenza dei gestori di impianti di
recupero o smaltimento per i quali è
prescritta la trasmissione dei dati su
supporto magnetico o l'invio telematico,
potranno scegliere anche di predisporre il
Mud definito dal Dpcm 27.04.2010 su supporto
cartaceo, spedendolo o consegnandolo alle
Camere di commercio.
Oltre al programma per la compilazione del
vecchio Mud, è stato rilasciato anche il
software che permette ai gestori di veicoli
fuori uso di elaborare il file di
dichiarazione conforme alle specifiche
definite dal Dpcm 23.12.2011, che quest'anno
può essere trasmesso solo tramite il sito
www.mudtelematico.it.
È disponibile anche il sito
www.mudcomuni.it, dedicato alla raccolta
dei Mud dei Comuni (o consorzi di Comuni e
Comunità montane) ai quali il Dpcm
23.12.2011 ha imposto per la prima volta la
compilazione on-line dei dati relativi alla
raccolta dei rifiuti urbani e speciali
raccolti sulla base di una convenzione,
prevedendo però che i Comuni privi di smart
card possano stampare la dichiarazione,
sottoscriverla e inviarla con raccomandata
alla Camera di commercio competente.
Innovativa anche la possibilità di immettere
automaticamente nel sito i dati già
predisposti per altre rilevazioni
statistiche introdotte da leggi regionali.
Confermate, infine, anche le consuete regole
per la comunicazione annuale sulle
apparecchiature elettriche immesse sul
mercato dai produttori e dagli importatori e
ai Raee raccolti, recuperati e smaltiti.
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Le istruzioni
01|LE REGOLE
Il Dlgs 205/2010 e il Dpcm del 23.12.2011
avevano abrogato la vecchia modulistica, ma
non avevano predisposto una nuova procedura
02|LA PRASSI
Lo scorso anno l'utilizzo dei vecchi moduli
era stato previsto con circolare
ministeriale, quest'anno è indirettamente
confermato dalla diffusione dei software
ufficiali
03|LE CONSEGUENZE
L'accesso al portale Sistri è riservato ai
delegati dell'impresa, ed esclude quindi le
associazioni imprenditoriali e i consulenti
(articolo Il Sole 24
Ore del
25.03.2012). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Piano
di prevenzione nella lotta alla corruzione
nella p.a.. Operazione pulizia.
Protagonisti i segretari degli enti.
Lotta alla corruzione nella p.a. a 360°. I
piani di prevenzione della corruzione
dovranno essere adottati anche da regioni ed
enti locali. Con la possibilità che, per
questi ultimi, la mancata adozione comporti
l'avvio di un procedimento di
commissariamento ad acta, al pari della
mancata adozione di altri atti fondamentali
quali il bilancio. Sarà il segretario
dell'ente locale inoltre a dover svolgere la
funzione di dirigente responsabile della
prevenzione della corruzione. Occorrerà
rivedere pertanto anche le norme che
regolano la sua nomina, oggi del tutto
fiduciaria.
È quanto si ricava dalla lettura
della
prima individuazione dei settori di
indagine sul fenomeno della lotta alla
corruzione, redatta dalla Commissione di
studio su trasparenza e corruzione nella
pubblica amministrazione, presieduta da
Roberto Garofoli. Particolare attenzione è
stata dedicata all'allargamento ad altri
settori della p.a. delle misure contenute
nel ddl anticorruzione e alle sinergie tra
le prefetture e il segretario comunale o
provinciale.
Il Piano di prevenzione. Innanzitutto, la
Commissione ha proposto di emendare al
predetto ddl che le amministrazioni centrali
trasmettano alla Funzione pubblica un
apposito Piano di prevenzione della
corruzione che sia predisposto da un
dirigente appositamente nominato quale
«responsabile». È ovvio che un progetto non
può restare solo incardinato a livello di
p.a. centrale. Ecco, pertanto, la proposta
di «allargare» le disposizioni in materia di
anticorruzione anche alle amministrazioni
indicate all'art. 1, comma del Testo unico
sul pubblico impiego. Se, da un lato, a
vigilare sulle p.a. centrali (agenzie ed
enti pubblici inclusi) sorgerà infatti
l'Autorità nazionale anticorruzione, ci si
pone il problema di come coordinare tali
compiti per la «galassia» del sistema
amministrativo pubblico. In particolare per
regioni, province, comuni e le loro forme
associative.
Regioni. Per quanto riguarda le regioni, la
Commissione ha proposto che il ddl preveda
obbligatoriamente l'adozione del Piano
anticorruzione rinviando in sede di intesa
con le stesse regioni all'individuazione del
dirigente responsabile con compiti ben
precisi e con uno status di maggiore
indipendenza.
Enti locali. Sul fronte enti locali invece
la Commissione individua nel prefetto la
figura da valorizzare per dare piena
efficacia al Piano. Il prefetto potrà
supportare le amministrazioni locali al
momento di redigere il Piano anticorruzione
ma anche di monitorarne la reale
approvazione.
A tal fine, si legge nel testo
in esame, in considerazione dell'importanza
che il Piano assume nella vita
politico-amministrativa dell'ente, valuti il
legislatore di inserire una norma ad hoc che
preveda, in caso di mancata adozione del
Piano, l'avvio di un procedimento di nomina
di commissario ad acta, così come oggi si
prevede nel Tuel, per esempio nel caso di
mancata approvazione del bilancio o del
rendiconto di gestione.
Il segretario dell'ente. Per le province e i
comuni si pone il problema di chi possa
svolgere la figura del dirigente
responsabile della prevenzione della
corruzione con i compiti di redigere il
Piano della prevenzione. Il documento
redatto ieri individua tale figura in quella
del segretario dell'ente, in quanto «è
sempre stato strumento di garanzia della
legalità e dell'imparzialità nelle
amministrazioni locali». Questi nuovi
compiti comporteranno, anche con norme ad
hoc nel testo del ddl, di apporre delle
modifiche allo status di segretario, così da
garantirne una sua maggiore indipendenza
dall'organo politico.
Quindi, per la
Commissione, si dovrebbe tornare all'antico,
rivedendo le procedure di nomina dei
segretari «al fine di ridurne l'attuale
tasso di fiduciarietà». La Commissione
propone che sia il Viminale a proporre al
sindaco una rosa di nomi, selezionati sulla
base di una domanda da parte degli
interessati e in possesso di specifici
requisiti. Da questa rosa, il primo
cittadino poi nominerà «il prescelto»
(articolo ItaliaOggi del
24.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il
licenziamento economico già esiste per gli
statali. È il caso del personale in esubero
rispetto alle esigenze funzionali o finanziarie.
La riforma dell'articolo 18 dello Statuto
dei lavoratori avrà effetti anche nella
pubblica amministrazione, sebbene alcuni di
essi siano in buona parte già operativi, per
effetto della legge 183/2011. Il nuovo
articolo 18 (si veda ItaliaOggi di ieri),
una volta entrata in vigore la riforma,
varrà anche per il lavoro pubblico, per
effetto dell'articolo 51, comma 2, del d.lgs
165/2001, ai sensi del quale «La legge 20.05.1970, n. 300, e successive
modificazioni ed integrazioni, si applica
alle pubbliche amministrazioni a prescindere
dal numero dei dipendenti».
Nessun dubbio,
dunque, che per i dipendenti pubblici
valgano le regole di volta in volta vigenti
poste dallo Statuto dei lavoratori. Dunque,
anche i dipendenti pubblici non potranno
ottenere il reintegro nel posto di lavoro,
qualora siano stati coinvolti in
licenziamenti individuali per «ragioni
economiche».
Nel caso del lavoro privato la
fattispecie del licenziamento dovuto a
ragioni economiche è ancora da definire. Per
la pubblica amministrazione è già operante
da qualche mese il nuovo testo dell'articolo
33 del d.lgs 165/2001, come modificato
dall'articolo 16 della legge 183/2011, a
mente del quale le pubbliche amministrazioni
debbono effettuare annualmente la
ricognizione del personale eventualmente in
esubero; laddove rilevino situazioni di
soprannumero o comunque eccedenze di
personale, «in relazione alle esigenze
funzionali o alla situazione finanziaria»
sono tenute ad osservare le procedure
previste dai successivi commi dell'articolo
33: le amministrazioni entro 90 giorni dalla
comunicazione ai sindacati della situazione
di esubero, devono verificare se il
personale interessato possa essere
reimpiegato all'interno del medesimo ente, o
possa andare in mobilità (cioè essere
trasferito) verso altri enti della provincia
o della regione. In mancanza di ciò, essere
inserito nelle liste dei lavoratori in
disponibilità: cioè dei lavoratori
sostanzialmente licenziati, che restano per
24 mesi al massimo inseriti nella lista, con
il trattamento economico pari all'80% dello
stipendio, dell'indennità integrativa
speciale e dell'assegno per il nucleo
familiare.
É evidente che «la situazione
finanziaria» come giustificativo della norma
pubblicistica di rapporto del lavoro alle
dipendenze della p.a. risulta analoga e
sovrapponibile alle «esigenze economiche» di
cui parla la riforma dell'articolo 18. Nel
caso delle amministrazioni locali, lo stato
di dissesto finanziario o la violazione
delle soglie di spesa per il personale, come
la violazione del patto di stabilità,
possono essere ragioni sufficienti per la
risoluzione del rapporto di lavoro, senza
possibilità di reintegro.
In quanto ai
licenziamenti disciplinari, anch'essi sono
previsti nel lavoro pubblico dall'articolo
55-quater del d.lgs 165/2001. Si estenderà,
dunque, ai lavoratori pubblici la previsione
che rimetterà al giudice la scelta se
condannare al reintegro, o al pagamento
dell'indennizzo, il lavoratore licenziato in
esito ad un procedimento disciplinare,
riconosciuto privo di fondamento in sede
giudiziale. Ai dipendenti pubblici si
applicherà anche l'Aspi, la nuova indennità
sostitutiva della disoccupazione ordinaria e
della mobilità. Che però,varrà solo per i
lavoratori pubblici assunti con contratti a
tempo determinato. Per gli altri l'unico «ammortizzatore»
è l'indennità del periodo di disponibilità
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Sanabile il durc
negativo.
Il committente paga i premi dell'appaltatore.
L'Inail spiega l'intervento sostitutivo:
serve una comunicazione preventiva.
Il committente che intenda sostituirsi
all'appaltatore nel pagare il debito Inail
deve preventivamente informare l'istituto
assicuratore, al fine di verificare
l'attualità dell'inadempienza contributiva.
Lo precisa l'Inail nella
nota
21.03.2012 n. 2029 di prot.
in merito all'intervento sostitutivo della
stazione appaltante in caso di Durc
negativo.
Intervento sostitutivo.
L'articolo 4 del dpr n. 207/2010 prevede
che, in presenza di un Durc negativo (cioè
con irregolarità nei versamenti dovuti agli
istituti previdenziali e/o alle casse
edili), le stazioni appaltanti si
sostituiscano al debitore (appaltatore e/o
subappaltare del quale abbiano avuto il Durc
negativo) e procedano a pagare, in tutto o
in parte, il debito contributivo trattenendo
il relativo importo dal corrispettivo
dovuto.
Ambito di intervento. Ai fini
dell'applicazione dell'intervento
sostitutivo, l'Inail spiega che
l'inadempienza indicata nel Durc riguarda un
determinato «operatore economico», termine
con cui si intende qualsiasi soggetto, sia
persona fisica sia giuridica, che sia parte
di un rapporto contrattuale soggetto alla
disciplina del codice dei contratti pubblici
e che ai fini Durc sia tenuto all'obbligo
assicurativo nei confronti di Inail e Inps
e, nel caso di imprese edili, anche nei
confronti della cassa edile.
Inoltre, il
termine «contratto pubblico» comprende tutte
le tipologie di appalti pubblici, i servizi
e le attività in convenzione e/o
concessione, nonché tutti gli altri
contratti, assoggettati a una procedura di
evidenza pubblica e disciplinati dal codice
dei contratti pubblici, avente a oggetto un
dare o un facere funzionale alla
realizzazione di un risultato e/o di un
vantaggio e dietro pagamento di un
corrispettivo.
Indicazioni operative. Sotto il profilo
procedurale, l'Inail spiega che, ricevuto il Durc attestante l'irregolarità, la stazione
appaltante deve comunicare preventivamente
alla sede Inail che ha accertato
l'inadempienza, per posta elettronica o
posta elettronica certificata, la volontà di
attivare l'intervento sostitutivo. A tal
fine va utilizzato un modello appositamente
predisposto in cui va indicato l'importo che
si intende versare all'Inail.
Ricevuta la
richiesta della stazione appaltante, la sede
Inail procede tempestivamente a verificare
l'attualità dell'inadempienza contributiva
attestata sul Durc al fine di tenere conto
di eventuali pagamenti o di variazioni
relative al dovuto intervenuti tra la data
di emissione del Durc e la data di ricezione
della comunicazione preventiva.
Inoltre, la
stessa sede Inail comunicherà al
responsabile del procedimento della stazione
appaltante il codice Iban e, se nel
frattempo l'inadempienza Inail si è ridotta
rispetto all'importo indicato dalla stazione
appaltante nella comunicazione preventiva,
anche il minor ammontare del debito ancora
da versare all'Inail
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2012). |
ENTI LOCALI:
Controlli contabili doc in comune.
L'incarico ai soli revisori regolarmente
iscritti al registro. La circolare del
ministro Cancellieri ribadisce il pieno
riconoscimento professionale della categoria.
Saranno «solo» i revisori legali
regolarmente iscritti al Registro ad avere
la titolarità dell'incarico presso gli 8
mila comuni italiani e tutti gli enti locali
obbligati per legge a nominare i revisori
per il monitoraggio contabile dei loro
bilanci.
«È il pieno riconoscimento della categoria
professionale», sottolinea il presidente
dell'Inrl Virgilio Baresi, «che assume
un'importanza rilevante nell'imminenza dei
decreti attuativi del dlgs 39/2010 in
materia di revisione attualmente all'esame
di apposite commissioni istituite presso il
Mef e nelle quali l'Istituto è presente e
parte propositiva con i suoi delegati
incaricati dalla presidenza dell'Inrl.
Determinante l'attenzione mostrata dal
ministro Cancellieri che, attraverso la
fattiva collaborazione del prefetto Frattasi,
ha emanato la circolare. Si tratta di una
attestazione istituzionale che segue di
poche settimane un altro riconoscimento a
livello locale, ovvero il provvedimento del
presidente della regione Abruzzo Chiodi che
ha indicato proprio nei revisori i referenti
per i consorzi preposti alla ricostruzione».
A questo punto il contesto professionale nel
quale operano gli oltre 150 mila revisori
legali italiani, di cui la maggioranza non
iscritta a ordini professionali, è delineato
e certificato da una specifica direttiva del
governo.
Appare evidente a tutti che oltre
all'esclusività del ruolo super partes
assegnato, la specifica che «soltanto» i
revisori legali con titolarità certificata
possono ricoprire questi incarichi negli
enti locali e nelle regioni, rappresenta un
definitivo chiarimento sul fatto che nessun
ordine professionale può vantare paternità
esclusive su questa categoria che tra
l'altro è composta prevalentemente da liberi
professionisti non appartenenti al sistema ordinistico ed inoltre da dottori
commercialisti, consulenti del lavoro e da
avvocati.
«Chi perservera nel confondere i ruoli o
peggio si arroga esclusive rappresentanze»,
conclude il presidente dell'Inrl, «va contro
l'evidenza della legge italiana e i dettami
europei».
Il reale contesto legislativo. Il decreto n.
1 firmato il 15.02.2012 dal ministro
dell'interno è, nella sostanza, un atto
previsto e dovuto nella parte in cui si
limita a dare attuazione ai principi
introdotti dalla legge 14 settembre 2011 n.
148 (art. 16, comma 25) a proposito della
costituzione degli organi di revisione negli
enti locali. Il suo contenuto, dunque, non
sorprende.
«Il problema», osserva Giovanni
Cinque consulente legale dell'Inrl, «deriva
invece dal fatto che il predetto impianto
normativo, che mette sullo stesso piano i
revisori iscritti al registro, i
commercialisti e gli esperti contabili, è
assolutamente incompatibile con il decreto
legislativo 39/2010 che, come sappiamo, ma
come evidentemente non tutti sanno a livello
istituzionale, riserva l'attività di
revisione legale solo ed esclusivamente ai
professionisti iscritti nell'apposito
registro. L'attuale situazione di caos
normativo raggiunge vette ancora più alte se
si pensa che, a livello regionale, la stessa
legge 14.09.2011 n. 148 (art. 14, lett. e)
prevede invece che l'organo di revisione sia
costituito solo ed esclusivamente da
soggetti iscritti al registro dei revisori
legali, in coerenza con la legge n. 39.
Siamo dunque lontanissimi dall'osservanza di
quei principi di armonizzazione dei sistemi
contabili pubblici che sono di casa in
Europa ma che da noi, per il momento,
vengono soltanto sbandierati. Non sembra
infine secondario sottolineare che, a causa
di un contesto legislativo così
disarticolato, vi è confusione totale anche
sui requisiti di formazione necessari per
competere a livello locale. L'auspicio è che
il dialogo avviato dall'Istituto e dal suo
presidente con i ministeri coinvolti possa
portare a una soluzione concordata e
definitiva di una situazione tanto confusa
da apparire intollerabile»
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Dl
liberalizzazioni approvato in via
definitiva. Tutte le novità per le
amministrazioni locali. Enti, la tesoreria
unica è legge.
Più concorrenza nelle utility, revisione Imu,
poteri sui taxi.
Ritorno al vecchio sistema di tesoreria
unica. Nuova iniezione di concorrenza nei
servizi pubblici locali. Revisione della
disciplina dell'Imu, con restrizione delle
agevolazioni per gli enti non commerciali e
introduzione di una nuova fattispecie
agevolativa a favore del settore edile.
Attribuzione ai comuni del potere di
incrementare le licenze per i taxi.
Previsione della possibilità di emettere
obbligazioni di scopo garantite da beni
immobili ai fini della realizzazione di
opere pubbliche.
Sono queste le principali
misure per gli enti locali contenute nel dl
liberalizzazioni (n. 1/2012) che ieri ha
ricevuto il via libera definitivo dalla
camera (i sì sono stati 365, i no 61, gli
astenuti 6). Poche, ma significative, le
novità rispetto al testo originario, fra cui
quella che consente alle p.a. di saldare i
propri debiti anche attraverso l'istituto
della compensazione, su cui, peraltro, si
sono appuntati i rilievi critici (al momento
non superati) della Ragioneria generale
dello stato.
Tesoreria unica. Le relative norme hanno
subito solo modifiche marginali. I termini
per il trasferimento delle somme alla
tesoreria statale diventano un po' meno
stringenti: non più «entro il» ma «alla data
del» 29 febbraio e del 16 aprile. La
sostanza, però, non cambia di molto. Nel
corso dei lavori parlamentari, si era
cercato di trovare una soluzione al problema
della differenza fra gli interessi all'1%
garantiti dalla tesoreria statale e quelli,
spesso superiori, previsti dalle convenzioni
di tesoreria in essere, ma l'emendamento è
stato stralciato per mancanza di copertura
finanziaria.
Positiva, invece, la previsione
in base alla quale i tesorieri e i cassieri
provvedono ad adeguare la propria
operatività alle disposizioni della
tesoreria unica il giorno successivo a
quello del versamento, ma, nelle more di
tale adeguamento, continuano ad adottare i
vecchi criteri gestionali.
Servizi pubblici locali. Gli enti locali,
dopo aver individuato i contenuti specifici
degli obblighi di servizio pubblico e
universale, dovranno valutare la
realizzabilità di una gestione
concorrenziale, adottando un'apposita
deliberazione quadro con i crismi che
saranno definiti da un decreto ministeriale
e limitando i diritti di esclusiva alle
ipotesi in cui l'iniziativa privata risulti
inadeguata. Il parere dell'Antitrust sarà
obbligatorio solo per gli enti con più di
10.000 abitanti e comunque mai vincolante.
Confermati l'obbligo di gara per gli
affidamenti superiori ai 200.000 euro e la
ridefinizione del calendario delle scadenze
per le gestioni esistenti, con dead line che
nella maggior parte dei casi si colloca tra
la fine del 2012 e la primavera del 2013, ma
con la previsione di una clausola di
salvaguardia che garantisce la continuità
delle prestazioni qualora le procedure per i
nuovi affidamenti vadano per le lunghe. I
bacini territoriali ottimali non dovranno
più avere obbligatoriamente l'estensione
minima del territorio provinciale, poiché le
regioni potranno definire ambiti
territoriali più limitati, motivando la
scelta in base a criteri di differenziazione
territoriale e socio-economica.
Imu. L'esenzione a favore degli immobili
degli enti non commerciali viene
circoscritta alle fattispecie in cui essi
operano «con modalità non commerciali».
Qualora l'unità immobiliare abbia
un'utilizzazione mista (commerciale e non),
l'esenzione si applica solo alla frazione di
unità nella quale si svolge l'attività di
natura non commerciale.
Confermata anche la
previsione che consente ai comuni di ridurre
l'aliquota di base dell'Imu fino allo 0,38%
per i fabbricati costruiti e destinati
dall'impresa costruttrice alla vendita,
fintanto che permanga tale destinazione e
non siano in ogni caso locati, e comunque
per un periodo non superiore a tre anni
dall'ultimazione dei lavori.
Taxi.
Saranno i comuni a decidere sull'eventuale
incremento del numero di licenze, previo
parere della nuova Autorità dei trasporti
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: Piccoli
comuni alle urne tra dubbi (sui gettoni) e certezze. Mini-enti falcidiati.
Scattano subito i tagli alle poltrone.
I piccoli comuni si avviano alle elezioni
amministrative con la certezza dei tagli
alle poltrone e qualche dubbio sul
trattamento economico dei consiglieri.
Sul primo versante, la manovra di Ferragosto
(dl 138/2011) ha usato la mano pesante,
sforbiciando sia le giunte sia i consigli in
tutti i municipi fino a 10.000 abitanti.
Il decreto milleproroghe (dl 216/2011) ha
confermato che il taglio scatterà dal primo
rinnovo amministrativo e, quindi, fin da
subito per i quasi 800 comuni di tale fascia
demografica che andranno alle elezioni a
maggio.
Nei comuni fino a 1.000 abitanti, scompare
la figura degli assessori e il numero di
consiglieri è ridotto a 6. Come chiarito
dalla circolare del ministero dell'interno
n. 2379/2011 (si veda ItaliaOggi del 23
febbraio), tutte le funzioni oggi assegnate
alle giunte spetteranno ai sindaci, che
potranno delegarle (come previsto dall'art.
2, c. 186, lett. c), della legge 191/2009,
come modificata dalla legge 42/2010) a non
più di 2 consiglieri. Sempre fra i
consiglieri dovrà obbligatoriamente essere
scelto il vicesindaco.
Fra 1.001 e 3.000
abitanti, la delega delle funzioni del
sindaco ai consiglieri è solo facoltativa;
in alternativa, potranno essere nominati non
più di 2 assessori «veri», mentre il numero
dei consiglieri sarà, anche in tal caso,
pari a 6 (oltre al sindaco).
Fra 3.001 e
5.000 abitanti, i consiglieri salgono a 7
più il sindaco con 3 assessori, mentre fra
5.001 e 10.000 ci saranno 10 consiglieri e 4
assessori.
Emolumenti dei consiglieri. Sul punto si
registra qualche incertezza. L'art. 16,
comma 18, del dl 138 ha previsto
l'eliminazione dei gettoni di presenza per i
consiglieri dei comuni fino a 1.000
abitanti. In origine, la decorrenza di tale
misura era allineata a quella prevista dal
precedente comma 9, che detta i tempi per
l'avvio delle unioni attraverso le quali i
mini-comuni dovranno obbligatoriamente (e i
comuni fra 1.000 e 5.000 abitanti
facoltativamente, in alternativa all'obbligo
di gestione associata delle sole funzioni
fondamentali) esercitare tutte le funzioni
amministrative e tutti i servizi pubblici
loro spettanti.
Prima dell'intervento del milleproroghe, il comma 9 individuava come
spartiacque il «giorno della proclamazione
degli eletti negli organi di governo del
comune che, successivamente al 13.08.2012, sia per primo interessato al rinnovo»
fra quelli facenti parte di ciascuna unione
ex art. 16. Successivamente, il dl 216/2011
(o meglio, la relativa legge di conversione,
legge 14/2012) ha prorogato tale termine di
nove mesi, facendolo slittare al 13.05.2013. Tale proroga non ha riguardato, però,
il comma 18, il quale, tuttavia, rinvia
espressamente alla «data» fissata dal comma
9.
Pertanto, si pongono due problemi
interpretativi: da un lato, individuare
quale sia, ai fini del comma 18, la «data»
di cui al comma 9 (il 13.05.2013 o
quella successiva nella quale il primo
comune dell'unione va a elezioni);
dall'altro, capire se la proroga di tale
«data» valga anche rispetto al divieto di
corrispondere i gettoni. In ordine al primo
punto, sembra chiaro che il legislatore
abbia inteso collegare l'azzeramento dei
gettoni dei consiglieri comunali alla
partenza della nuova governance delle
unioni, nella quale il ruolo dei consigli
comunali è destinato a divenire marginale
rispetto a quello degli omologhi organi
delle nuove forme associative.
Più delicata la seconda questione: da parte
dei primi commentatori, la mancata
enunciazione del comma 18 da parte del «milleproroghe»
è stata interpretata come una conferma del
termine originario, per cui il divieto di
erogare i gettoni scatterebbe dal primo
rinnovo successivo al 13.08.2012 (e non al
13.05.2013). Sembra invece più corretto
affermare che la proroga del termine di cui
al comma 9 comporta implicitamente anche lo
slittamento di quello previsto dal comma 18,
trattandosi di fatto, come detto, dello
stesso termine
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Se non c'è un regolamento
il sindaco non può comprimere i poteri dei
consiglieri. Diritto di accesso illimitato.
Ma non bisogna intralciare il lavoro degli
uffici.
In assenza di apposite norme regolamentari
di disciplina del diritto di accesso dei
consiglieri, il sindaco può individuare
autonomamente delle limitazioni al suddetto
diritto, anche con riferimento a esigenze di
tutela dei dati personali?
L'esercizio del diritto di accesso è
previsto dal secondo comma dell'articolo 43
del dlgs 267/2000, definito dal Consiglio di
stato (sent. n. 4471/2005) «diritto
soggettivo pubblico funzionalizzato»,
finalizzato al controllo
politico-amministrativo sull'ente
nell'interesse della collettività e, come
tale, diverso dal diritto di accesso
previsto dalla legge n. 241/1990,
riconosciuto ai soggetti interessati allo
scopo di predisporre la tutela di posizioni
soggettive lese. Il diritto del consigliere
comunale di ottenere dall'ente tutte le
informazioni utili all'espletamento del
mandato non incontra neppure alcuna
limitazione derivante dalla loro eventuale
natura riservata, in quanto il consigliere è
vincolato al segreto d'ufficio.
Gli unici limiti all'esercizio del diritto
di accesso dei consiglieri comunali possono
rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso
deve avvenire in modo da comportare il minor
aggravio possibile per gli uffici comunali
e, per altro verso, che esso non deve
sostanziarsi in richieste assolutamente
generiche, ovvero meramente emulative, fermo
restando tuttavia che la sussistenza di tali
caratteri deve essere attentamente e
approfonditamente vagliata in concreto al
fine di non introdurre surrettiziamente
inammissibili limitazioni al diritto stesso
(Consiglio di stato, sez. V, n. 6963/2010).
Anche la Commissione per l'accesso ai
documenti amministrativi ha richiamato il
consolidato principio giurisprudenziale (ex multis Consiglio di stato, sez. V. n.
929/2007) secondo cui il diritto del
consigliere di accesso agli atti «non può
subire compressioni per pretese esigenze di
natura burocratica dell'ente con l'unico
limite di poter esaudire la richiesta,
qualora sia di una certa gravosità, secondo
i tempi necessari per non determinare
interruzione delle altre attività di tipo
corrente».
Il consigliere deve quindi contemperare il
diritto di accesso con l'esigenza di non
intralciare lo svolgimento dell'attività
amministrativa e il regolare funzionamento
degli uffici comunali, comportando ad essi
il minor aggravio possibile, sia dal punto
di vista organizzativo che economico (Corte
dei conti, sez. Liguria n. 1/2004). Sul tema
dell'esercizio del diritto di accesso ad
atti dell'amministrazione comunale da parte
del consigliere comunale si è espressa la
Commissione per l'acceso ai documenti
amministrativi. Relativamente
all'ammissibilità dell'accesso ad atti
istituzionali del comune mediante uso di
tecnologie informatiche, nonché
all'acquisizione in formato digitale (a
mezzo Pec) delle deliberazioni consiliari e
di giunta e dei relativi atti preparatori,
la Commissione ha ritenuto che, sulla base
del quadro normativo vigente e della oramai
generalizzata diffusione degli strumenti
informatici presso i soggetti pubblici e
privati, «l'accesso telematico debba essere
sempre consentito, soprattutto ove
richiesto, non solo nei reciproci rapporti
posti in essere tra le pubbliche
amministrazioni e in quelli da esse
intrattenuti con l'utenza privata, ma anche
nei rapporti tra le stesse amministrazioni
locali e i componenti eletti nei loro organi
consiliari».
Il secondo parere verte sulla problematica
relativa all'accesso di un consigliere
comunale agli elenchi dei contribuenti
locali e dei cittadini morosi nel pagamento
dei tributi comunali. Al riguardo, la
Commissione osserva che «la disposizione
contenuta nell'art. 43 comma 2, Tuel
riconosce al consigliere comunale il diritto
di ottenere dagli uffici comunali tutte le
notizie e le informazioni utili
all'espletamento del proprio mandato e gli
impone l'obbligo del segreto nei casi
specificatamente determinati dalla legge.
Indipendentemente dall'inclusione, fra i
casi soggetti al segreto, della divulgazione
dei contribuenti morosi, gli uffici comunali
non possono limitare in alcun caso il
diritto di accesso del consigliere comunale,
ancorché possa sussistere il pericolo della
divulgazione dei dati di cui il medesimo
entri in possesso. La responsabilità di aver
messo in condizione il consigliere comunale
di conoscere dati sensibili cede di fronte
al diritto di accesso incondizionato del
medesimo, ma può essere invocata dal terzo
eventualmente danneggiato solo nei confronti
di chi (consigliere comunale) del suo
diritto abbia fatto un uso contra legem».
Circa la possibilità che il sindaco sia
facoltizzato, in assenza di puntuali
disposizioni regolamentari, ad individuare
autonomamente i limiti al diritto di accesso
dei consiglieri, appare dirimente la
sentenza del Tar Campania n. 19672/2008 con
la quale è stato accolto il ricorso avverso
un decreto sindacale recante la disciplina
delle modalità di esercizio del diritto di
accesso. Il Tar ha ritenuto sussistente il
vizio di incompetenza, considerato che la
materia del diritto di accesso dei
consiglieri avrebbe dovuto trovare la
propria disciplina nel regolamento
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Sulla
nomina dei revisori locali non decide più la
politica.
Massima trasparenza sul procedimento di
scelta del revisore legale degli enti
locali. Infatti, il relativo elenco,
articolato su base regionale, deve essere
reso pubblico attraverso un'apposita sezione
sulla home page del sito internet del
ministero dell'interno. Lo stesso Viminale,
poi, è obbligato a rendere nota, con avviso
da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale, la
data di effettivo avvio del nuovo
procedimento per la scelta dei revisori in
scadenza di incarico.
È quanto si ricava
dalla lettura del decreto Mininterno
15.02.2012 (si veda ItaliaOggi del 17 marzo
scorso), che è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del 20 marzo, in merito
alle disposizioni previste dalla manovra di
Ferragosto 2011. Un procedimento del tutto
rivoluzionario, che, di fatto, sottrae
all'organo politico la scelta dei nominativi
che devono comporre il collegio dei revisori
dei conti (ovvero il revisore unico).
Criteri di trasparenza, innanzitutto. Dopo
la verifica dei presupposti, diversi in base
alla fascia demografica di appartenenza
dell'ente locali, il Dm in esame dispone che
ogni elenco, uno per ogni articolazione
regionale, deve necessariamente riportare,
per ciascun revisore in ordine rigorosamente
alfabetico, i dati anagrafici, la residenza
e la data ed il numero di iscrizione nel
registro dei revisori legali o all'Ordine
dei dottori commercialisti e degli esperti
contabili. Della composizione degli elenchi,
come detto, se ne dovrà dare la massima
pubblicità. Infatti, si dovranno pubblicare
sul sito www.interno.it, dipartimento per
gli affari interni e territoriali, con
effetti di pubblicità legale ai sensi
dell'articolo 32 della legge n. 69/2009.
Trasparenza anche nel procedimento di
effettivo avvio del nuovo procedimento di
scelta, mediante estrazione a sorte. Come si
ricorderà, il procedimento di scelta avviene
«pescando» con modalità «random»
i nominativi dagli elenchi, attraverso un
procedimento telematico che si svolgerà
presso la sede di ogni prefettura.
L'articolo 5 del dm precisa che, una volta
completata la fase di formazione
dell'elenco, il Viminale dovrà pubblicare
sulla Gazzetta Ufficiale (oltre che sulle
proprie pagine internet), da quando saranno
avviate le nuove procedure.
Gli enti locali, poi, sono tenuti a dare
comunicazione della scadenza dell'incarico
del proprio organo di revisione alla
Prefettura della provincia di appartenenza «con
almeno 15 giorni di anticipo nel primo mese
di effettivo avvio del nuovo procedimento di
scelta» e, successivamente, almeno due
mesi prima della scadenza stessa. Sarà poi
cura di ogni Prefettura, rendere noto agli
enti locali il giorno in cui si procederà
alla scelta dei revisori. Di tutto il
procedimento di estrazione verrà redatto
apposito verbale e comunicato all'ente
locale affinché provveda alla nomina del
collegio o del revisore legale scelto.
Infine, l'articolo 6 del Dm precisa che, in
caso di composizione collegiale dell'organo
di revisione, le funzioni di presidente sono
svolte dal revisore che, in carriera, ha
ricoperto il maggior numero di incarichi di
revisore presso enti locali e, in caso di
ulteriore parità, sarà data preferenza alla
maggiore dimensione demografica degli enti
in cui si è ricoperto l'incarico
(articolo ItaliaOggi del
22.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: L'Inps
pretende il biglietto bus da chi assiste un
disabile.
Chi assiste un disabile grave distante 150
chilometri dalla propria dimora e vuole
fruire dei premessi previsti dalla legge
104/92 è meglio che ci vada in treno o in
autobus. Perché se copre in auto la distanza
da casa alla dimora del disabile, a meno che
no esibisca al ritorno uno scontrino di
pedaggio autostradale, rischia di vedersi
contestare l'assenza ingiustificata dal
lavoro.
É quanto si evince dalla
circolare 06.03.2012 n. 32
dell'Inps
che reca i primi chiarimenti su come
applicare le novità introdotte dal decreto
legislativo 119/2011 alle disposizioni sui
permessi per chi assiste un portatore di
handicap.
Il provvedimento non è vincolante
per l'amministrazione scolastica. Ma
proviene comunque da fonte autorevole. E
dunque, i chiarimenti in esso contenuti
possono essere comunque utili a dissipare lo
stato di incertezza in cui versano gli
addetti ai lavori a causa dell'estrema
complessità delle nuove norme. La nuova
stesura dell'art. 33 della legge 194/1992,
infatti, prevede che se il disabile da
assistere risiede o dimora ad una distanza
superiore ai 150 chilometri dal luogo dove
vive l'assistente, quest'ultimo, ogni volta
che fruisce un permesso per adempiere alla
prestazione di assistenza, al ritorno deve
provare di esserci andato, esibendo un
titolo di viaggio o altro documento idoneo.
In buona sostanza, come spiega anche l'Inps,
si tratta di una delle rare disposizioni di
legge che impongono espressamente
l'inversione dell'onere della prova. E qui
la faccenda si complica. Perché la legge fa
riferimento al mero titolo di viaggio, quale
mezzo di prova. Il che vuol dire che bisogna
tirare fuori il biglietto di un mezzo
pubblico per giustificare il permesso. Va
detto subito, peraltro, che il biglietto di
per sé non è utile a provare che il latore
del medesimo lo abbia effettivamente
utilizzato.
Ma in ogni caso è l'unica
ipotesi espressamente prevista dalla legge.
E quindi l'Inps ha consigliato agli
interessati di viaggiare con i mezzi
pubblici se intendono fruire del permesso.
Anche se bisogna raggiungere zone interne.
Pazienza se ciò comporta un ulteriore onere,
che si aggiunge a quello della prestazione
di assistenza a distanza di oltre 150
chilometri da casa
(articolo ItaliaOggi del
20.03.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: Congedi
retribuiti e non Adesso si cumula tutto.
I congedi retribuiti biennali per assistere
i portatori di handicap si cumulano con
quelli non retribuiti. E la somma di tutti i
periodi di premesso così fruiti non può
eccedere i 24 mesi per singolo lavoratore.
Il disabile però ha comunque diritto a
giovarsi di due anni di assistenza con
esonero dal servizio del lavoratore
interessato. Pertanto, se l'assistente
esaurisce il biennio, cumulando le
differenti tipologie di permesso, la
restante parte del biennio può essere fruito
da un altro lavoratore.
Lo prevede LA
circolare 28.02.2012 n. 28
emanata dall'Inps.
Il provvedimento è vincolante solo per i
lavoratori delle varie sedi dell'ente
previdenziale, ma proviene comunque da una
fonte autorevole. E quindi può essere utile
anche alle scuole, in sede di applicazione
della normativa sui congedi. Che ha subito
recenti modifiche da parte del legislatore,
con le quali sono state recepite anche
alcune sentenza additive della Corte
costituzionale. Dunque, il biennio di
congedo si applica una volta sola
nell'ambito della vita lavorativa.
Conseguentemente i congedi previsti
dall'art. 42 del decreto legislativo
151/2001 si sommano a quelli dell'art. 4
della legge 53/2000 ai fini del biennio.
Pertanto, se un lavoratore esaurisce il
biennio, per esempio, se utilizza 6 mesi del
congedo non retribuito e 18 mesi del congedo
retribuito, non ha diritto a fruire di altri
periodi di assenza. Fermo restando che si fa
riferimento solo ai periodi previsti
dall'art. 4 della legge 53/2000 e a quelli
dell'art. 42 del decreto legislativo
151/2001. La preclusione, infatti, non vale
per altre tipologie di assenze tipiche
previste dalla legge o dal contratto. Come
per esempio i permessi previsti dall'art. 33
dalla legge 104/1992.
Tornando all'esempio di prima, dunque, al
disabile rimangono 6 mesi di congedo
retribuito da far sfruttare al proprio
assistente. E dunque, se l'assistente
esaurisce il congedo di sua spettanza, la
parte residua può essere fruita dal soggetto
che lo sostituisce. Tale soggetto va
individuato secondo una scala di priorità
tassativa che risulta così costituita:
coniuge, genitore, figlio, fratello (o
sorella). Lo scorrimento della scala di
priorità va effettuato secondo il criterio
della supplenza
(articolo ItaliaOggi del
20.03.2012). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
pubblici. Le conseguenze della bozza di Dm
attuativo delle liberalizzazioni.
Delibera quadro «estesa» a tutti i settori
economici.
Anche gli ambiti devono effettuare la
verifica pre-affidamenti
L'INDAGINE/
La possibilità di concedere esclusive
dipende dall'analisi delle modalità
gestionali di ogni aspetto dell'attività.
Cominciano a delinearsi i criteri che gli
enti locali e i soggetti istituzionali
individuati come enti di governo degli
ambiti territoriali ottimali dovranno
seguire nell'istruttoria per l'attribuzione
dell'esclusiva nella gestione dei servizi
pubblici locali con rilevanza economica; il
passo fondamentale è dato dalla bozza del Dm
che illustra i parametri e i contenuti della
delibera-quadro (si veda Il Sole 24 Ore del
13 marzo).
Le amministrazioni locali devono svolgere
una verifica preliminare per acquisire tutti
gli elementi utili per individuare quanti
fra i "loro" servizi pubblici sono di
rilevanza economica. Molte attività,
infatti, sono facilmente riconducibili
all'ambito dell'articolo 4 della legge
148/2011, in quanto le caratteristiche di
rilevanza economica sono codificate dalla
normativa di settore (come nel caso della
gestione dei rifiuti o del trasporto
pubblico locale), ma molte altre vanno
analizzate caso per caso nel rispetto del
principio comunitario.
Si pensi, ad esempio, alla ristorazione
scolastica, in cui la tariffa è in media
inferiore del 30/40% del costo di produzione
e sulla gestione pesa molto l'intervento
pubblico. In questo quadro, il servizio può
risultare privo di rilevanza economica (come
evidenziato dal Consiglio di Stato nella
sentenza n. 6529/2010).
La verifica sulle condizioni per attribuire
i diritti di esclusiva deve analizzare il
quadro storico e l'attuale modello
gestionale del servizio, individuando le
attività principali e quelle complementari,
con l'indicazione delle eventuali
compensazioni economiche ai gestori. Il
primo focus deve puntare sull'articolazione
operativa del servizio, distinguendo le
possibili fasi di gestione separata e
rilevando l'eventuale offerta di servizi
sostituivi.
Il punto centrale è costituito dall'analisi
delle esigenze della comunità, con
riferimento alle caratteristiche sociali e
demografiche, economiche, ambientali e
geomorfologiche dell'ambito territoriale di
riferimento.
Questi elementi possono risultare
determinanti per la statuizione degli
obblighi di servizio pubblico, per la
definizione degli standard zonali minimi e
per il conseguente orientamento verso una
gestione unitaria.
L'istruttoria deve evidenziare anche il
valore del servizio (che può risultare
decisivo, ad esempio, per l'affidamento in
house) e gli investimenti da programmare.
Le risultanze della verifica devono essere
quindi sottoposte al confronto con il
mercato, con una consultazione per acquisire
manifestazioni di interesse degli operatori
sulla gestione in concorrenza del servizio.
Questa fase dovrebbe permettere anche di
rilevare la sussistenza di situazioni di
monopolio naturale o, all'opposto, la
possibilità di liberalizzare il servizio o
singole sue fasi.
La consultazione con gli operatori permette
comunque di riscontrare l'incidenza sulla
gestione imprenditoriale degli obblighi di
servizio pubblico e universale e degli
standard minimi delle prestazioni, oltre che
delle caratteristiche della domanda
dell'utenza e di tariffe sostenibili per
realizzare e mantenere la coesione sociale,
al fine della verifica della redditività.
Lo schema di decreto individua anche dei
parametri integrativi per il settore dei
trasporti pubblici locali e per quello dei
rifiuti, richiedendo per questi ultimi la
valutazione distinta delle operazioni di
spazzamento, raccolta, raccolta
differenziata, trasporto,
commercializzazione, gestione degli impianti
di trattamento, recupero, riciclo e
smaltimento di tutti i rifiuti urbani e
assimilati, nonché la proiezione gestionale
con riferimento alle singole fasi ed alla
possibile gestione congiunta.
---------------
Le istruzioni per l'uso
01|ANALISI DELLA
QUALIFICAZIONE DEI SPL
L'ente locale deve rilevare la
qualificazione dei servizi pubblici locali
affidati in chiave di rilevanza economica o
meno.
Tale analisi preliminare deve essere
effettuata mediante applicazione del
principio relativistico.
02|ISTRUTTORIA PER
L'ATTRIBUZIONE DEI DIRITTI DI ESCLUSIVA
L'ente locale la deve sviluppare per i Spl
(Servizi pubblici locali) con rilevanza
economica in base all'articolo 4, commi 1 e
2 della legge 148/2011.
L'istruttoria deve essere sviluppata
seguendo lo schema di percorso e i contenuti
essenziali previsti nel decreto ministeriale
attuativo e può già essere avviata.
03|ANALISI STORICA DELLA
SITUAZIONE DEL SPL AFFIDATO
Analisi dello stato storico del servizio.
Possibile confronto con piano industriale
del soggetto gestore.
04|FOCUS ASSETTO SPL
Rilevazione dell'articolazione operativa del
Spl (Servizi pubblici locali) anche per
singole fasi.
Analisi delle esigenze della comunità locale.
Definizione degli obblighi di servizio
pubblico e degli standard prestazionali.
Individuazione delle compensazioni.
Analisi del valore del servizio.
05|CONSULTAZIONE CON IL
MERCATO
Confronto con gli operatori di mercato per
rilevare possibile quadro concorrenziale.
Analisi delle situazioni di monopolio o
degli spazi di effettiva liberalizzazione.
Riscontro dell'incidenza degli obblighi di
servizio pubblico sulla gestione
imprenditoriale e sulla redditività della
stessa.
06|FORMALIZZAZIONE
DELL'ISTRUTTORIA
Formalizzazione degli elementi elaborati e
richiesta di parere all'Agcm (Garante della
concorrenza) da produrre entro 60 giorni.
Adozione della delibera-quadro entro 30
giorni dal parere dell'Agcm (Garante della
concorrenza).
L'anticipazione.
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Appalti. Decreto in
vigore dal 21 marzo.
Beni e servizi da programmare anno per anno.
Anche gli acquisti di beni e servizi vanno
programmati dalle amministrazioni, anno per
anno, insieme al bilancio. L'elencazione
dell' attività contrattuale della Pa infatti
non è più limitata ai lavori pubblici, ma
dal prossimo 21 marzo si estende anche ai
servizi e alle forniture.
Dando attuazione a quanto previsto dal
Codice degli appalti entra in vigore,
proprio mercoledì, il Dm Infrastrutture
dell'11.11.2011 (pubblicato sulla
«Gazzetta» del 6 marzo scorso) con gli
schemi tipo per la programmazione triennale
e l'elenco annuale dei contratti pubblici.
Il provvedimento sostituisce i modelli
precedenti, datati 2005, pensati prima del
Codice dei contratti (Dlgs 163/2006) che ha
unificato le procedure per tutti gli
appalti, di lavori , servizi e forniture.
Ecco perché i nuovi modelli di
programmazione si estendono per la prima
volta anche ai beni e ai servizi.
A queste ultime due tipologie di contratti
pubblici è riservata la scheda 4
dell'Allegato, quella appunto con il
«Programma annuale forniture e servizi
dell'amministrazione» che va compilata
indicando la tipologia di contratto, il
responsabile del procedimento, l'importo e
le risorse finanziarie disponibili.
Ma in realtà gli enti locali hanno
possibilità di discostarsene: sia perché il
Ministero precisa che sono «fatte salve le
competenze legislative e regolamentari delle
Regioni e delle Province autonome» come
riconosce in modo esplicito il
provvedimento, sia perché la norma sulla
programmazione annuale per servizi e
forniture non è vincolante. Si chiarisce
infatti che le amministrazioni
aggiudicatrici «possono» adottare il
modello, rendendo quindi la scelta una
semplice facoltà.
Unica condizione è che per inserire un
acquisto da programmare nell'anno l'ente
deve aver completato la progettazione, cioè
, deve avere disponibile: una relazione
tecnico-illustrativa del contesto in cui va
inserito il contratto, le prescrizioni per i
documenti della sicurezza, il calcolo della
spesa e degli oneri complessivi, il
capitolato e lo schema di contratto.
Ma quella sui servizi e le forniture non è
l'unica novità che gli enti locali dovranno
affrontare nel mettere mano alla
programmazione degli appalti: il nuovo
decreto è molto più stringente sui vincoli
per inserire un lavoro nell'elenco annuale.
Rispetto al modello del 2005 non basta più
indicare il livello raggiunto dalla
progettazione, i vincoli ambientali e le
finalità. Occorre avere già in mano la
conformità urbanistica che -specifica
l'articolo 3- «deve essere perfezionata
entro la data di approvazione del programma
triennale e relativo elenco annuale».
In
altre parole, mentre in base al Dm del 2005
era sufficiente indicare una vaga
«conformità urbanistica» dell'opera per
inserirla nell'elenco annuale, dal 21 marzo
invece l'effettiva fattibilità dell'opera
(permessi, coerenza con il Prg e con la
destinazione d'uso dell'area) va verificata
e acquisita a monte, fin dall'inserimento di
quell'intervento nel programma triennale che
viene compilato molto tempo prima. Un
paletto pensato per rendere più realistico
l'elenco annuale che, appunto, potrà
contenere solo i progetti realmente
fattibili, sui quali sono già state
acquisite tutte le autorizzazioni, ma che
rischia di rallentare, e di molto, la
programmazione dei lavori, visto che proprio
la fase delle autorizzazioni e della
localizzazione dell'opera è tra le più
lunghe e complesse di quelle dell'iter
realizzativo.
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Le verifiche
Documenti necessari per
inserire un contratto di fornitura
nell'elenco annuale:
1) Relazione illustrativa -
2) Documenti per la sicurezza -
3) Calcolo della spesa -
4) Capitolato -
5) Schema di contratto
(articolo Il Sole 24
Ore del 19.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Risorse
umane. Effetti paradossali dal cambio di
regole.
L'incognita Patto sui piccoli blocca anche
il personale.
Dal 2013 i piccoli Comuni tra 1.001 e 5mila
abitanti precipiteranno tra i limiti e le
rigide regole del Patto di stabilità. La
questione non è solamente finanziaria, ma
abbraccia anche la gestione delle risorse
umane. Infatti, attualmente, il contenimento
della spesa di personale ha due binari.
Da una parte ci sono i Comuni sopra i 5mila
abitanti e le Province, che devono ridurre i
costi rispetto all'anno precedente ai sensi
del comma 557 della legge Finanziaria 2007;
dall'altra gli enti non soggetti a Patto,
che devono contenere le spese nel limite di
quelle sostenute nel 2004 (comma 562 stessa
legge). Dal 2013 anche questi enti
rientreranno di conseguenza nella prima
casistica.
I dubbi sollevati dalla normativa sono molto
consistenti, come mostra fra l'altro il
fatto che la Corte dei conti del Veneto
(delibera 98/2012) ha rimesso la questione
alle Sezioni riunite. Tra le altre cose, gli
operatori si chiedono se ci siano scelte da
fare nel corso di questo esercizio, e come
programmare la gestione del personale per
evitare che, dal 2013, si rimanga ingessati?
La prima idea è certamente quella di fare in
modo che la spesa del 2012 risulti la più
alta possibile, così da diventare base di
riferimento per l'anno futuro. Ragionare in
questo modo non sembra però molto virtuoso.
Infatti, le assunzioni andrebbero
programmate sulla base delle effettive
esigenze e non esclusivamente su vincoli di
natura finanziaria. Purtroppo, però, è il
legislatore che con i suoi tagli lineari ed
orizzontali abitua a simili comportamenti.
Si pensi solamente ai limiti sul lavoro
flessibile: va tagliata del 50% la spesa
sostenuta nell'anno 2009, a prescindere
dalle eventuali e reali necessità operative
(e senza le deroghe sulla polizia locale e
servizi educativi/scolastici del 2012).
Tra l'altro, proprio queste assunzioni a
tempo determinato o con altre forme
flessibili, erano il naturale metodo per la
sostituzione dei dipendenti assenti dal
servizio permettendo anche di mantenere
adeguati livelli di spesa di personale per
il futuro.
A meno che questa non sia l'occasione buona
per rimettere mano all'interpretazione che,
se anche non chiaramente condivisa dalla
Ragioneria dello Stato, è stata suggellata
dalla Corte dei conti, Sezione Autonomie.
Questa interpretazione prevede che l'obbligo
di riduzione della spesa di personale debba
avvenire in termini progressivi e costanti
rispetto all'anno precedente (Deliberazioni
n. 1 e 3 del 2010).
È evidente che regole sul turn-over e spese
di personale da ridurre di anno in anno
collidono e portano al collasso la gestione
del personale.
E proprio il turn-over sarà un'altra sfida
per gli enti minori. Infatti, ad oggi, chi
non è soggetto a Patto può assumere nel
limite delle cessazioni dell'anno
precedente. Dal 2013, anche queste
amministrazioni, potranno invece assumere
nel limite del 20% delle cessazioni
dell'anno precedente.
Un bel pasticcio. Se infatti un piccolo
Comune avrà una cessazione nel 2012 e non
potrà ricoprirla in quanto nel 2011 non vi
era alcuna fuoriuscita di personale,
difficilmente riuscirà a portarla a termine
anche nel 2013, quando scatterà il 20 per
cento.
Certo, rimane sempre la mobilità,
considerata neutra (né assunzione, né
cessazione) quando avviene tra
amministrazioni che hanno limitazioni alle
assunzioni. Ma già in questi mesi ci si
rende conto che la cessione di contratti tra
un ente e l'altro è diventata molto
complicata, perché ognuno si aggrappa
fortemente alle proprie risorse umane. Una
possibile, ulteriore, alternativa potrebbe
arrivare dalla gestione associata delle
funzioni fondamentali (rinviata di nove
mesi) e le convenzioni per l'utilizzo a
tempo parziale del personale, disciplinate
dall'articolo 14 del contratto nazionale del
2004.
Rapporto tra spese di personale e spese
correnti al di sotto del 50% e vincoli sul
fondo delle risorse decentrate chiudono il
quadretto delle norme che renderanno
impossibile l'applicazione delle regole per
i comuni che transiteranno nel patto di
stabilità.
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I paletti
01|LA REGOLA
Dal 2013 il Patto di stabilità si estende
anche ai Comuni compresi fra 1.001 e 5mila
abitanti
02|SPESE DI PERSONALE
I Comuni soggetti al Patto devono rispettare
regole diverse nella gestione della spesa di
personale rispetto agli enti esclusi. I
Comuni soggetti al Patto, per esempio,
devono ridurre le uscite rispetto all'anno
precedente, mentre quelli esclusi sono
tenuti solo a mantenere i livelli del 2004
03|TURN-OVER
I Comuni soggetti al Patto devono rispettare
le regole del turn-over, mentre quelli
esclusi hanno la possibilità di assumere nel
limite delle cessazioni dell'anno precedente
(articolo Il Sole 24
Ore del 19.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Bilanci 2012 a rischio con le elezioni.
Scadenze. Dopo la proroga a giugno non è
certo che siano atti «indifferibili»
Il Testo unico degli enti locali (articolo
38, comma 5) stabilisce che i consigli
durano in carica sino all'elezione dei
nuovi, limitandosi, dopo la pubblicazione
del decreto di indizione dei comizi
elettorali, ad adottare gli atti urgenti ed
improrogabili. Fissate le elezioni per il 6
e 7 maggio, i consigli comunali in scadenza
si ritroveranno a dover decidere se
deliberare il rendiconto di gestione con
scadenza prevista al 30.04.2012 e il
bilancio di previsione con scadenza prevista
il 30 giugno.
Al riguardo non vi sono dubbi sul fatto che
l'approvazione del rendiconto di gestione
costituisca atto urgente e improrogabile, in
quanto atto la cui scadenza è prefissata per
legge (si veda la circolare del ministero
dell'Interno FL 6/2009 e la circolare Anci
36/2009), e anche in considerazione degli
effetti negativi che la mancata approvazione
del rendiconto nei termini comporta.
Qualche problema invece sembra sorgere per
l'approvazione, da parte del consiglio in
scadenza, del bilancio di previsione 2012,
dal momento che la scadenza è stata
prorogata al 30 giugno e quindi quasi due
mesi dopo lo svolgimento delle elezioni. Al
riguardo deve evidenziarsi la presenza di
giurisprudenza amministrativa (Tar
Lombardia) che si è orientata nel senso che
la limitazione delle funzioni del Consiglio
Comunale, nei 46 giorni antecedenti la data
fissata per le elezioni, ai soli atti che
siano «urgenti e improrogabili» e non
possano pertanto attendere di essere portati
all'attenzione del nuovo consiglio, trova
inderogabile applicazione soprattutto
laddove il potere esercitato in prossimità
del suo spirare regoli situazioni future che
sono in grado di produrre effetti permanenti
e che vincolano nelle scelte discrezionali
il successivo titolare della potestà
amministrativa.
Per il bilancio 2012, vista la sua
possibilità di approvazione entro il 30.06.2012 e quindi ad opera della nuova
amministrazione, una sua approvazione da
parte del consiglio comunale in scadenza
sembra porre il problema del rispetto dei
requisiti di urgenza e improrogabilità; ciò
tenuto conto soprattutto del fatto che si
tratterebbe di scelte che vincolerebbero o
condizionerebbero anche la nuova
amministrazione (vi veda Tar Puglia n.
382/2004), anche alla luce della
giurisprudenza più recente che appare
restrittiva al riguardo.
A tal fine va segnalata, tra le altre la
sentenza della Corte Costituzionale, la n.
68/2010 che, pur intervenendo in materia
regionale (ma con principi validi per
l'intero ordinamento delle autonomie), ha
sancito chiaramente il principio che
nell'immediata vicinanza al momento
elettorale, pur restando ancora titolare
della rappresentanza del corpo elettorale,
il Consiglio non solo deve limitarsi ad
assumere determinazioni del tutto urgenti o
indispensabili, ma deve comunque astenersi,
al fine di assicurare una competizione
libera e trasparente, da ogni intervento che
possa essere interpretato come una forma di
captatio benevolentiae nei confronti
degli elettori; interessante sul punto è poi
la sentenza 578/2011 del Tar Friuli, che ha
escluso la validità di delibere adottate in
pendenza di elezioni in assenza di un
termine di necessaria esecuzione.
Su questa falsariga è intervenuta in queste
settimane anche la circolare della Regione
Friuli Venezia Giulia n. 2/2012, del 5
marzo, dove si dice che a decorrere da
quella data i Consigli comunali,
nell'esercizio della loro discrezionalità
amministrativa, potranno autonomamente,
individuare i casi in cui ricorrono gli
estremi dell'urgenza e improrogabilità
richiesti dalla normativa per giustificare
l'esercizio delle funzioni loro proprie.
La circolare aggiunge che «si reputa
conveniente» -ricordare che questi casi sono
senz'altro da rinvenire «ogniqualvolta
l'inattività degli organi comporti un danno
per l'ente o si configuri come un
inadempimento in relazione a precisi
obblighi derivanti da leggi, provvedimenti
amministrativi o comunque collegati a
vincoli contrattuali; si evidenzia, inoltre,
la necessità che l'improrogabilità e
l'urgenza vengano adeguatamente motivate,
specialmente quando sono atti per il cui
compimento non è prescritto un termine».
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L'incognita
01|LA REGOLA
Nei 46 giorni precedenti alle elezioni
amministrative, il consiglio comunale può
occuparsi solo degli atti indifferibili e
urgenti, cioè quelli che non possono essere
lasciati all'amministrazione subentrante
perché obbligati da scadenze vincolanti
02|LA PROROGA
Per il 2012, il termine di presentazione dei
bilanci preventivi di Comuni e Province è
stato fissato al 30.06.2012, cioè due
mesi dopo il turno elettorale
03|LA CONSEGUENZA
L'approvazione dei preventivi 2012 da parte
dei consigli uscenti può essere contestata
dove i Comuni sono interessati dalle
elezioni del 6 e 7 maggio
(articolo Il Sole 24
Ore del 19.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 19.03.2012 |
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ENTI LOCALI: Revisori
degli enti locali, ultimi giorni per le
istanze.
Professionisti. Decreto atteso per martedì
in «Gazzetta».
LA SCADENZA/ Chi non ha mai svolto la
funzione in precedenza deve presentare
domanda entro l'entrata in vigore del nuovo
regolamento.
Ancora pochi giorni di tempo per i
professionisti che vogliono debuttare nel
ruolo di revisori dei conti degli enti
locali e devono presentare la richiesta di
essere inseriti negli elenchi regionali
previsti dalla riforma.
Il
decreto attuativo
del ministero dell'Interno, firmato il 15
febbraio scorso, è ormai arrivato all'ultimo
miglio del proprio iter e dovrebbe approdare
in «Gazzetta Ufficiale» a breve,
probabilmente martedì prossimo. Il
provvedimento del Viminale, all'articolo 4,
prevede che i revisori al debutto debbano
presentare la richiesta di iscrizione «entro
la data di entrata in vigore» dello stesso
decreto attuativo: anche per questo nelle
settimane scorse il Consiglio nazionale dei
dottori commercialisti ed esperti contabili
ha esortato gli interessati a presentare
domanda in un Comune (a prescindere dal
fatto che nell'ente locale fosse o meno in
scadenza il revisore o il collegio attuale).
«Naturalmente –spiega Giosuè Boldrini,
consigliere delegato agli Enti pubblici nel
Cndcec– si tratta di un meccanismo
irrazionale, ma l'esigenza principale è ora
quella di evitare che una serie di
professionisti interessati siano tagliati
fuori per le incertezze applicative».
Incertezze che proprio non mancano, come
mostra anche il comunicato diffuso ieri dal
Viminale, in cui si spiega che il ministero
provvederà a «diramare istruzioni di
dettaglio» sui passaggi applicativi della
riforma che ha cambiato le procedure di
nomina, appena il decreto attuativo «in
corso di pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale» terminerà il proprio iter. Prima
non si può.
La nebbia da diradare è fitta, dopo
l'incrocio sfortunato tra il decreto
attuativo della riforma (scritta
all'articolo 16, comma 25 della manovra-bis
di Ferragosto; Dl 138/2011) e la norma del
Milleproroghe che negli stessi giorni in cui
veniva firmato il provvedimento ha rimandato
di nove mesi, cioè a fine settembre 2012, il
debutto della stessa riforma (articolo 29,
comma 11-bis, del Dl 216/2011).
I nodi da sciogliere non sono pochi. La
riforma toglie al consiglio comunale il
proprio ruolo nella nomina dei revisori, per
sottrarre la scelta dei controllori dalla
volontà dei controllati, e affida il tutto a
un'estrazione da elenchi regionali tenuti
dalle Prefetture.
Per essere inseriti negli elenchi occorre
fare una richiesta, dopo di che sarà il
possesso dei diversi requisiti (in termini
di curriculum e di anzianità di iscrizione
al registro dei revisori contabili o
all'ordine dei dottori commercialisti ed
esperti contabili) a indirizzare l'aspirante
revisore a una delle tre fasce demografiche
previste dalla riforma: la prima è dedicata
agli enti fino a 4.999 abitanti (ed è
l'unica opzione per chi si trova alla prima
esperienza di revisione in un Comune o in
una Provincia), la seconda è rivolta agli
enti fra 5 e 14.999 abitanti (servono almeno
5 anni di iscrizione, un mandato pieno già
svolto da revisore e 10 crediti formativi
sul tema accumulati fra gennaio e novembre
dell'anno precedente; in prima applicazione
i crediti richiesti sono 15 nell'ultimo
triennio) e la terza, riservata a chi ha
almeno 10 anni di iscrizione e due
esperienze da revisore locale (oltre ai
crediti), permette di operare in tutti gli
enti locali.
Oltre alla pubblicazione del provvedimento,
c'è poi da mettere in piedi l'architettura
informatica che guiderà istanze ed
estrazioni. Anche su questo aspetto, oltre
che sulle precise tappe applicative del
nuovo sistema, arriveranno nelle prossime
settimane i chiarimenti del Viminale.
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Il quadro.
01|LA RIFORMA
L'articolo 16, comma 25, del Dl 138/2011
cambia il sistema di nomina dei revisori dei
conti in Comuni e Province. La scelta è
sottratta ai consigli comunali e
provinciali, e affidata all'estrazione da
elenchi regionali, suddivisi in tre fasce:
la prima fascia, che consente di svolgere la
funzione negli enti fino a 4.999 abitanti, è
riservata ai revisori al debutto
02|L'ISTANZA
Chi non ha in curriculum precedenti mandati
da revisore dei conti, deve presentare una
«richiesta di svolgere la funzione» entro la
data in vigore del decreto attuativo
03|L'ATTUAZIONE
Il decreto sarà pubblicato in «Gazzetta
Ufficiale» nei prossimi giorni,
probabilmente martedì; per questa ragione il Cndcec ha invitato tutti gli interessati a
presentare richiesta in un Comune, a
prescindere dal fatto che lì il mandato sia
in scadenza
(articolo Il Sole 24
Ore
del 17.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Testamento politico in naftalina.
Slitta la relazione di fine mandato per i
sindaci ricandidati. Il ministro
dell'interno congela il regolamento atteso
dalla Conferenza stato-città.
La relazione di fine mandato può attendere. I
sindaci in scadenza che si ricandideranno
alle elezioni amministrative del 6 e 7
maggio saranno dunque esonerati dall'obbligo
di informare i cittadini su cosa hanno fatto
e come hanno speso i soldi pubblici.
L'obbligo di redigere (e di rendere pubblico
sul sito internet del comune) quello che da
più parti è stato definito come una sorta di
«testamento politico» del primo cittadino
costituisce uno dei fiori all'occhiello
dell'ultimo decreto legislativo attuativo
del federalismo fiscale, il dlgs n. 149/2011,
che è anche uno degli ultimi provvedimenti
approvati dal governo Berlusconi.
La relazione di fine mandato avrebbe dovuto
debuttare dalle prossime elezioni di maggio
se il governo presieduto da Mario Monti
avesse deciso di rispettare il timing
previsto nello stesso dlgs.
Entro 90 giorni dall'entrata in vigore del
dlgs (05.10.2011), e dunque entro il 05.01.2012, il ministero dell'interno,
d'intesa col Mef, avrebbe dovuto approvare,
previo accordo in Conferenza stato-città, lo
schema tipo per la redazione del testamento
politico dei sindaci, nonché uno schema
semplificato per i comuni con meno di 5.000
abitanti.
Fatto sta che i tecnici del dicastero
guidato da Anna Maria Cancellieri si sono
subito messi al lavoro per predisporre una
bozza di provvedimento da portare in
Stato-città in tempo utile per le prossime
amministrative.
Ma con sorpresa nell'ultima riunione della
Conferenza (quella del 1° marzo in cui tra
l'altro è stato raggiunto l'accordo sulla
ripartizione del fondo di riequilibrio dei
comuni e delle province) dello schema di
relazione di fine mandato non c'è stata
traccia. Il testo, atteso per l'esame, è
stato alla fine cancellato dall'ordine del
giorno, tutto dedicato invece alla finanza
locale.
Il decreto è stato però esaminato lo stesso
«fuori sacco» su richiesta degli stessi enti
locali (evidentemente preoccupati per
l'entrata in vigore dell'obbligo di
trasparenza) e la Cancellieri è stata
chiara: slitta tutto. «E' bene
soprassedere», ha detto il ministro, «per
quest'anno si deroga in attesa che il
Viminale definisca gli ultimi dettagli dello
schema tipo». Un vero e proprio time-out,
quello chiesto dal ministro, che renderà
però impossibile l'applicazione delle nuove
regole sin dalle prossime elezioni
amministrative nelle quali sarà coinvolto un
campione significativo di comuni (1017
comuni, in pratica uno su otto).
Ma cosa c'è (o meglio ci sarebbe dovuto
essere) nella relazione di fine mandato di
così «compromettente»? Nulla per un sindaco
che non abbia niente da nascondere. Il
decreto attuativo del federalismo chiede di
far luce su:
- sistema ed esiti dei controlli interni;
- eventuali rilievi della Corte dei conti;
- azioni intraprese per il rispetto dei
saldi di finanza pubblica programmati e
stato del percorso di convergenza verso i
fabbisogni standard;
- situazione finanziaria e patrimoniale del
comune e delle società controllate;
- quantificazione dell'indebitamento.
Il dlgs n. 149/2011 impone la sottoscrizione della
relazione non oltre il novantesimo giorno
antecedente la data di scadenza del mandato.
Entro e non oltre dieci giorni successivi
alla sottoscrizione il documento deve essere
certificato dall'organo di revisione del
comune.
Il sindaco inadempiente, prosegue il
decreto, deve spiegare le ragioni della
mancata compilazione dandone notizia sul
sito istituzionale del comune. Una gogna
mediatica da cui per quest'anno i sindaci
saranno al riparo.
Fondo di riequilibrio e Imu. Intanto a
tenere banco nella dialettica governo-comuni
c'è il problema della ripartizione del fondo
di riequilibrio (che quest'anno ammonta a
6,8 miliardi, si veda ItaliaOggi del
02/03/2012).
I conti infatti sembrano non
tornare per molti comuni e a far saltare il
banco per i sindaci è l'incerta
quantificazione del gettito Imu che nelle
attese di Monti dovrebbe compensare i tagli
al fondo. Tuttavia, le prime cifre circolate
sulla ripartizione delle spettanze sono
largamente inferiori alle attese dei singoli
enti (il che per il momento ne impedisce la
pubblicazione sul portale dell'Ifel)
nonostante sulla quantificazione del fondo
l'Anci abbia espresso parere favorevole
nella Stato-città del 1° marzo.
Il
presidente dell'Anci, Graziano Delrio, ha
chiesto alla Conferenza «l'urgente
convocazione del tavolo tecnico sulla
finanza locale» per verificare «il percorso
di attuazione del decreto salva Italia ed i
suoi riflessi sulla predisposizione del
bilancio di previsione per il 2012». Una
richiesta di incontro è stata anche inviata
ai relatori del dl fiscale, Antonio Azzolini
e Mario Baldassarri (articolo ItaliaOggi
del 16.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Liberalizzazioni cum
grano salis.
Vanno verificati gli standard di qualità e
l'offerta sostitutiva. Le novità del
regolamento degli Affari regionali
sull'apertura al mercato dei servizi
pubblici locali.
La possibilità di liberalizzare i servizi
pubblici locali di rilevanza economica sarà
verificata con riguardo alle esigenze delle
comunità locali, all'offerta di servizi
sostitutivi, agli standard minimi di qualità
e sarà conseguente a una consultazione
pubblica aperta agli operatori del settore
interessati alla gestione del servizio;
soltanto dopo aver effettuato la verifica
l'ente potrà decidere se sia opportuno
mantenere sistemi di esclusiva.
Sono questi alcuni dei profili di maggiore
rilievo dello schema di regolamento, di
iniziativa del ministro per gli affari
regionali, di concerto con quello
dell'economia e dell'interno, sulla verifica
della concorrenzialità nell'ambito delle
gestioni dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica. Il provvedimento,
ancora non definitivo e in attesa di
iniziare l'iter dei pareri, attua il
contenuto dell'articolo 4 del decreto legge
13.08.2011, n. 138, che impone ai comuni
di liberalizzare tutte le attività
economiche, compatibilmente con le
caratteristiche di universalità e
accessibilità del servizio e limitando,
negli altri casi, l'attribuzione di diritti
di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad
una analisi di mercato, la libera iniziativa
economica privata non risulti idonea a
garantire un servizio rispondente ai bisogni
della comunità.
Il regolamento, che si
applicherà a tutti gli enti territoriali
anche associati o consorziati, disciplina
quindi i criteri per la verifica di mercato
e per l'adozione della relativa delibera
quadro, oltre alle modalità di pubblicità
dei dati relativi alla gestione dei servizi.
Si prevede in particolare che la verifica,
da concretizzare in una relazione
istruttoria, debba in primo luogo prendere
in considerazione le attuali modalità di
gestione del servizio pubblico, facendo
quindi una fotografia della situazione
presente sul mercato e mettendo in risalto
eventuali compensazioni economiche
riconosciute ai gestori del servizio.
La
verifica dovrà poi prendere in
considerazione una pluralità di elementi fra
i quali l'articolazione operativa del
servizio e le eventuali distinte fase di
gestione separata e, dall'altro lato,
l'eventuale offerta di servizi sostitutivi;
le esigenze della comunità locale facendo
riferimento alle caratteristiche sociali,
demografiche, economiche, ambientali del
territorio sul quale insiste la gestione.
Altri profili da prendere in esame sono
quelli concernenti gli obblighi di servizio
pubblico, gli standard minimi delle
prestazioni, il valore economico stimato del
servizio pubblico locale, gli eventuali
investimenti da programmare, anche per opere
infrastrutturali, con i relativi tempi di
attuazione.
La verifica dovrà essere
effettuata attraverso una procedura di
consultazione del mercato, adeguatamente
pubblicizzata per raccogliere le
manifestazioni di interesse degli operatori
del settore di riferimento alla gestione in
concorrenza del servizio, ovvero di sue
singole fasi suscettibili di gestione
separata. Nella verifica si dovrà
evidenziare la sussistenza di situazioni di
monopolio naturale, anche con riferimento
alla gestione delle opere infrastrutturali e
degli impianti fissi, nonché la possibilità
di liberalizzare il servizio o singole fasi
dello stesso, l'incidenza, sulla gestione
degli standard minimi delle prestazioni e
delle caratteristiche della domanda
dell'utenza e di tariffe sostenibili per
realizzare e mantenere la coesione sociale,
al fine della verifica della redditività.
Si
dovrà infine fare riferimento anche alle
esperienze di altre aree geografiche. A
queste caratteristiche generali il
regolamento aggiunge alcune specifiche per
il settore del trasporto pubblico e dei
rifiuti. Una volta effettuata la verifica
l'ente locale adotterà la delibera che, a
sua volta, sarò trasmessa all'Antitrust per
il parere da rendere entro 60 giorni in
merito alle ragioni per un'eventuale
attribuzione di diritti di esclusiva e alla
correttezza della scelta eventuale di
procedere all'affidamento simultaneo con
gara di una pluralità di servizi pubblici
locali. Ricevuto il parere la delibera
quadro verrà adottata entro i trenta giorni
successivi.
Il regolamento istituisce anche
l'Osservatorio dei servizi pubblici locali,
presso la Conferenza unificata, che dovrà
assicurare, mediante un sistema di benchmarking,
il progressivo miglioramento della qualità
ed efficienza di gestione dei servizi (articolo ItaliaOggi
del 16.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Sull'acquisizione d'ufficio del Durc
repetita non iuvant.
Durc da acquisire d'ufficio. Dopo la
conversione in legge del dl 5/2012 sulle
semplificazioni, divengono ben quattro le
disposizioni che ripetono la stessa
previsione, ma non risolvono il problema
creato dal ministero del lavoro sull'autocertificabilità
del documento.
La legge di conversione del
decreto semplificazioni ha introdotto
nell'articolo 14 un nuovo comma 6-bis, ai
sensi del quale «nell'ambito dei lavori
pubblici e privati dell'edilizia, le
amministrazioni pubbliche acquisiscono
d'ufficio il documento unico di regolarità
contributiva con le modalità di cui
all'articolo 43 del decreto del presidente
della Repubblica 28.12.2000, n. 445».
È un raro caso nel quale il legislatore si
mostra molto incerto o della chiarezza o
della efficacia delle proprie disposizioni.
Infatti, norme in tutto e per tutto analoghe
sono già vigenti. La prima disposizione a
prevederlo è stato l'articolo 16-bis, comma
10, del dl 185/2008, convertito in legge
2/2009: «Le stazioni appaltanti pubbliche
acquisiscono d'ufficio, anche attraverso
strumenti informatici, il documento unico di
regolarità contributiva (Durc) dagli
istituti o dagli enti abilitati al rilascio
in tutti i casi in cui è richiesto dalla
legge». Poi, è intervenuto l'articolo 6,
comma 3, del dpr 207/2010: «Le
amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono
d'ufficio, anche attraverso strumenti
informatici, il documento unico di
regolarità contributiva in corso di
validità». Da ultimo l'articolo 44-bis del
dpr 445/2000, introdotto dall'articolo 15,
comma 1, lettera d), della legge 183/2011:
«Le informazioni relative alla regolarità
contributiva sono acquisite d'ufficio».
Insomma, dovrebbe essere chiaro: il Durc non
può essere chiesto alle imprese, ma le
pubbliche amministrazioni debbono acquisirlo
d'ufficio. In cosa l'articolo 14, comma
6-bis, della legge di conversione del
decreto semplificazioni dovrebbe
rappresentare una semplificazione, tuttavia,
è difficile capire. La disposizione,
infatti, non aiuta in alcun modo, come
invece sarebbe stato opportuno, a superare i
problemi posti dalla «decertificazione»
operata con la citata legge 183/2011. Il
Durc, infatti, è senza alcuna ombra di dubbi
un certificato e, dunque, non potrebbe
essere utilizzato dalle amministrazioni
appaltatrici.
Il decreto semplificazioni non
ha risolto questa situazione, esentando, ad
esempio, espressamente il Durc dalla
decertificazione. Il ministero del lavoro
con nota 16.01.2012, n. 619, poi
confermata da Inps e Inail, ha ritenuto che
il Durc non sia nemmeno autocertificabile,
in chiaro contrasto con quanto prevede,
invece, l'articolo 38, comma 2, del dlgs
163/2006. Anche su questo la conversione del
dl semplificazioni tace. L'ennesima
ripetizione del dovere di acquisire
d'ufficio il Durc sta già creando problemi
interpretativi e operativi. Sono già state
avanzate teorie secondo le quali, stando al
tenore letterale dell'articolo 14, comma
6-bis, del dl semplificazioni la richiesta
del Durc d'ufficio dovrebbe considerarsi
obbligatoria solo per lavori pubblici ed
attività edilizie, ad esclusione, allora,
delle procedure di acquisizione di servizi e
forniture.
Tale tesi non appare accoglibile,
perché il dovere di acquisire d'ufficio il
Durc è fissato da più norme, nessuna delle
quali appare modificata o derogata
dall'articolo 14, comma 6-bis e, per altro,
detto dovere è conforme al principio
generale dell'articolo 43 del dpr 445/2000 (articolo ItaliaOggi del
16.03.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
P.a., ai
raggi X personale e spesa. Circolare Rgs con le indicazioni.
Definito il cronoprogramma relativo al
monitoraggio sull'andamento annuale della
consistenza del personale pubblico e sulla
relativa spesa, nonché le modalità operative
per la relazione allegata al conto annuale
del 2011.
Lo ha messo nero su bianco la Ragioneria
generale dello stato nella
circolare
09.03.2012 n. 8, con la quale, d'intesa
con la funzione pubblica, ha fornito le
indicazioni operative in merito alle
rilevazioni obbligatorie previste dal titolo
V del testo unico sul pubblico impiego.
Monitoraggio
Per il corrente anno parteciperanno al
monitoraggio, che comporta l'invio
trimestrale dei dati mensili relativi
all'andamento delle spese e
dell'occupazione, un campione di 598 comuni,
le province, le aziende sanitarie, quelle
ospedaliere universitarie, nonché gli enti
pubblici non economici con più di 200 unità
di personale e gli enti di ricerca e
sperimentazione. Rispetto allo scorso anno,
il monitoraggio 2012 si caratterizza per la
sostanziale riduzione del campione di enti
locali che vi partecipano. Rispetto agli 840
enti del 2011, si passa al campione attuale
di 598, sostituendo, in gran parte, molti
enti locali con un numero di dipendenti
inferiore alle duecento unità.
Per la trasmissione dei dati, gli enti
interessati dovranno utilizzare l'apposito
portale Sico (www.sico.tesoro.it), secondo
un calendario prestabilito. In pratica, i
dati afferenti al primo trimestre 2012
dovranno essere trasmessi entro il 30
aprile, i dati del secondo semestre entro il
31 luglio, quelli relativi al terzo
trimestre entro il 31 ottobre e, infine, i
dati dell'ultimo trimestre 2012 dovranno
essere inviati entro il 31.01.2013.
Relazione conto annuale
Secondo la circolare firmata dal ragioniere
generale Mario Canzio, per quanto riguarda
gli enti locali (ovvero comuni, Unioni di
comuni e province), l'invio dei dati da
allegare al conto annuale del 2011 avverrà
in una «sostanziale invarianza» di contenuto
rispetto alla rilevazione operata per il
2010. Per i ministeri, le Agenzie fiscali e
la presidenza del Consiglio, invece, le
informazioni sulla localizzazione e sul tipo
di struttura dell'unità organizzativa che
rileva, saranno riportate nell'apposita
maschera di rilevazione. Novità in arrivo,
invece, per le aziende e gli enti del
Servizio sanitario nazionale. Queste
amministrazioni, per la prima volta,
trasmetteranno i dati direttamente nel
predetto portale Sico.
Anche per la relazione in oggetto, la
Ragioneria definisce un preciso
crono-programma. In dettaglio, gli enti
locali trasmetteranno i dati 2011, nell'arco
temporale che va dal 15 marzo al 07.05.2012. Le aziende sanitarie saranno invece
impegnate dal 1° giugno al 31 luglio e,
infine, ministeri, agenzie fiscali e
presidenza del consiglio procederanno alla
rilevazione dal 2 luglio al 31 agosto. In
nessun caso, si precisa nella circolare, le
rilevazioni dovranno essere trasmesse in
forma cartacea.
A tal fine, la stessa Ragioneria mette a
disposizione degli enti interessati un
servizio di help desk all'indirizzo di posta
elettronica assistenza.pi@tesoro.it (per
assistenza relativa monitoraggio) e
relazione.sico@tesoro.it (per problematiche
relative alla relazione) (articolo ItaliaOggi
del 16.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Le determine su
internet.
Anche gli atti dirigenziali da pubblicare
online. Il sito web
istituzionale sostituisce l'affissione
all'albo pretorio del comune.
Quali sono gli adempimenti che il comune
deve espletare in ordine alla pubblicazione
delle determinazioni dirigenziali sui siti
informatici, a seguito dell'emanazione
dell'art. 32 della legge 28.06.2009, n.
69, recante norme per l'eliminazione degli
sprechi relativi al mantenimento di
documenti in forma cartacea?
L'art. 32, comma 1, della legge 28.06.2009, n. 69 dispone che «gli obblighi di
pubblicazione di atti e provvedimenti
amministrativi aventi effetto di pubblicità
legale si intendono assolti con la
pubblicazione nei propri siti informatici da
parte delle amministrazioni e degli enti
pubblici obbligati», e il successivo comma 5
prevede che a decorrere dall'01.01.2011
le pubblicità effettuate in forma cartacea
non hanno effetto di pubblicità legale.
La disciplina ha implicitamente modificato
l'art. 124 del dlgs n. 267/2000 nella parte
in cui dispone che la pubblicazione avvenga
«mediante affissione all'albo pretorio nella
sede dell'ente», sostituita dalla
pubblicazione sul sito istituzionale
dell'ente, fermo restando il termine di 15
giorni consecutivi salvo specifiche
disposizioni di legge.
In merito il Consiglio di stato, con
sentenza n. 1370 del 15.03.2006, ha
stabilito che «la pubblicazione all'albo
pretorio del comune è prescritta dall'art.
124, T.u. n. 267/2000 per tutte le
deliberazioni del comune e della provincia
ed essa riguarda non solo le deliberazioni
degli organi di governo (consiglio e giunta
municipali) ma anche le determinazioni
dirigenziali».
Lo strumento informatico ha sostituito,
dunque, il tradizionale albo pretorio,
rimanendo inalterati, sotto la nuova forma,
gli obblighi di pubblicazione.
L'ente nazionale per la digitalizzazione
della pubblica amministrazione - Digit P.a.,
nelle due linee guida per i siti web della
pubblica amministrazione ed in particolare
nel «Vademecum sulle modalità di
pubblicazione dei documenti nell'albo
online», predisposto sulla base della
direttiva n. 8 del 26.11.2009 del
ministro per la pubblica amministrazione e
l'innovazione, ha specificato che «per gli
enti locali l'attività dell'albo consiste
nella pubblicazione di tutti quegli atti sui
quali viene apposto il referto di
pubblicazione», includendo tra tali atti
le deliberazioni ed altri provvedimenti
comunali tra cui anche le determinazioni in
argomento (articolo ItaliaOggi
del 16.03.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/
Nomina del
capogruppo.
Come viene disciplinata la nomina di un
capogruppo consiliare nel caso in cui,
all'interno di un gruppo consiliare composto
da due consiglieri, pur in presenza di
regolare designazione del capogruppo
consiliare con presa d'atto del Consiglio
comunale, il secondo consigliere abbia
rivendicato il proprio diritto alla
designazione di capogruppo, avendo riportato
il maggior numero di voti nella lista?
L'esistenza dei gruppi consiliari non è
espressamente prevista dalla legge, ma si
desume implicitamente da quelle disposizioni
normative che contemplano diritti e
prerogative in capo ai gruppi o ai
capigruppo (in particolare, art. 38, comma 3
– art. 39, comma 4 e art. 125 del dlgs n.
267/2000). Pertanto, la materia dei gruppi
consiliari è regolata primariamente dalle
norme statutarie e regolamentari proprie di
ogni singolo ente locale, per cui è alla
stregua di tali norme che occorre valutare e
risolvere le questioni ad essa afferenti.
Se, nel caso di specie, lo statuto comunale
prevede che il capogruppo è «eletto dagli
appartenenti al gruppo», rinviando al
regolamento la disciplina della formazione,
del funzionamento e delle attribuzioni dei
gruppi consiliari e questo prevede che i
singoli gruppi devono comunicare, per
iscritto, al presidente ed al segretario
comunale il nome del proprio capogruppo alla
prima riunione del consiglio neo eletto; che
con la stessa procedura dovranno segnalarsi
le successive variazioni della persona del
capogruppo; che in mancanza di tali
comunicazioni viene considerato capogruppo
ad ogni effetto il consigliere del gruppo
che abbia riportato il maggior numero di
voti nelle liste di appartenenza, appare
evidente che le variazioni della persona del
capogruppo debbano essere comunicate con
nota sottoscritta «dai singoli gruppi»,
stante la necessità di seguire «la stessa
procedura» utilizzata per la prima
designazione.
L'automatica individuazione del capogruppo
nel consigliere che abbia riportato il
maggior numero di voti nelle liste di
appartenenza è un criterio residuale che può
essere utilizzato solo all'atto
dell'insediamento del consiglio comunale e
in mancanza di comunicazioni (articolo ItaliaOggi
del 16.03.2012). |
aggiornamento al 16.03.2012 |
|
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Visite
fiscali, occhio all'ora. Richiesta entro le
9 per il controllo in giornata. L'Inps
fornisce ulteriori chiarimenti sul sistema
di prenotazione online.
La visita fiscale
all'Inps si può richiedere 24 ore su 24, ma
l'effettuazione nello stesso giorno (della
richiesta) è garantita soltanto per le
istanze inviate entro le ore 12. In
particolare, i datori di lavoro, pubblici e
privati, possono inviare in ogni momento
della giornata la richiesta di controllo
malattia dei dipendenti tramite il canale
telematico (unico canale adoperabile);
tuttavia lo smistamento delle richieste ai
medici incaricati avviene: per i controlli
nella fascia antimeridiana con riferimento
alle richieste pervenute entro le ore 9; per
quelli pomeridiani con riferimento alle
richieste arrivate entro le ore 12.
Lo precisa, tra l'altro, l'Inps nel
messaggio 12.03.2012
n. 4344.
La visita fiscale.
I chiarimenti riguardano l'effettuazione
delle visite fiscali da parte dell'Inps su
richiesta dei datori di lavoro sia pubblici
che privati, perché l'Inps ha la titolarità
all'effettuazione dei controlli
medico-legali ai lavoratori assenti per
malattia anche nel caso in cui si tratti di
soggetti non tenuti al versamento della
relativa contribuzione all'istituto (settore
pubblico).
Tuttavia, per i datori di lavoro privati
l'Inps è l'unico istituto di riferimento,
per quelli pubblici resta ferma la
possibilità alternativa di rivolgersi alle
Asl territorialmente competenti, in base
alle modalità previste dalle stesse
strutture.
Fasce di reperibilità.
Con riferimento al settore pubblico, la
circolare puntualizza che il servizio
fornito dall'Inps non copre a oggi l'intero
orario di reperibilità previsto per tali
lavoratori (si veda tabella), essendo
possibile effettuare le visite di controllo
unicamente nelle fasce di reperibilità
relative ai lavoratori del settore privato.
Pertanto, con il nuovo sistema di richiesta
online il datore di lavoro può inoltrare le
richieste in qualsiasi momento, nell'arco
delle 24 ore; tuttavia, vengono elaborate e
smistate giornalmente ai medici di
competenza le richieste pervenute entro le
ore 9 per la fascia antimeridiana ed entro
ore 12 per quella pomeridiana.
Indirizzo reperibilità.
Per consentire il controllo domiciliare,
spiega ancora la circolare, è di
fondamentale importanza che il lavoratore
verifichi, con la massima attenzione e
precisione, l'inserimento nel certificato
telematico dei dati riferiti all'indirizzo
per la reperibilità.
Anche per tale aspetto, infatti, nulla è
innovato rispetto al passato e, pertanto, la
responsabilità sulla correttezza delle
informazioni ricade unicamente sul
lavoratore che ha il diritto e l'onere di
controllare i dati al momento
dell'inserimento da parte del medico o
successivamente visualizzando la copia
stampata del certificato stesso (il
lavoratore rischia di perdere l'indennità
per malattia).
Canale telematico
esclusivo.
Con riferimento alle segnalazioni di alcune
sedi di imprese che continuano a inviare le
richieste di visite mediche mediante fax,
l'Inps precisa che le stesse possono essere
accolte soltanto in eventuali casi di
interruzione del servizio telematico
connessi a problematiche di tipo tecnico. In
via ordinaria, dunque, l'Inps non dà seguito
alle richieste non pervenute in via
telematica.
Allo stesso tempo, spiega infine la
circolare, sono da ritenersi abolite tutte
le pregresse modalità informative circa
l'esito delle visite (quale l'invio per
lettera della copia al datore di lavoro): di
tale esito ne sono informati ugualmente per
via telematica, nell'apposita sezione
presente sul portale internet
(articolo ItaliaOggi del 13.03.2012). |
APPALTI SERVIZI: Utility.
Pronta la bozza dell'articolo 4 della legge
148/2011.
Affidamento dei servizi, in arrivo le regole
attuative.
La verifica per l'attribuzione dei diritti
di esclusiva in relazione alla gestione di
un servizio pubblico locale deve fondarsi su
un'analisi accurata di tutti i profili
operativi ed economici del servizio, al fine
di evidenziare gli aspetti peculiari che
possano determinare la scelta per la
gestione delle attività da parte di un unico
soggetto.
Lo schema del quadro attuativo dell'articolo
4 della legge n. 148/2011, da definire in
forma regolamentare entro il 31 marzo
prossimo e ora disciplinato con una bozza
che qui anticipiamo, presenta una struttura
che delinea il percorso per l'istruttoria
della delibera-quadro in termini molto
dettagliati, partendo dal l'analisi della
situazione attuale e dalla esplicitazione
dell'articolazione, operativa del servizio
pubblico locale, eventualmente distinta in
fasi di gestione separata, nonché
l'eventuale offerta di servizi sostituivi.
Partendo dalle esigenze della comunità
locale, le amministrazioni sono chiamate
alla rilevazione specifica degli obblighi di
servizio pubblico e delle correlate
compensazioni, nonché del valore complessivo
del servizio in gestione. Sulla base di tali
elementi conoscitivi, gli enti locali devono
effettuare la verifica confrontandosi con
gli operatori di mercato, per mezzo di
un'indagine volta ad acquisire
manifestazioni di interesse degli operatori
del settore di riferimento alla gestione in
concorrenza del servizio, nel rispetto degli
obblighi di servizio pubblico.
Dal confronto sarà possibile rilevare le
situazioni di monopolio naturale o
l'incidenza degli stessi obblighi di
servizio sulla gestione imprenditoriale, ma
anche l'eventuale liberalizzazione di parti
o fasi del servizio. Solo qualora dall'esame
articolato dei vari presupposti (che può
comprendere anche confronti di benchmarking
con altre situazioni) non emerga la
realizzabilità di una gestione
concorrenziale del servizio o di singole
fasi dello stesso, l'ente competente può
procedere all'affidamento in esclusiva dei
servizi (con gara, società mista o in house,
alle condizioni restrittive previste dal
comma 13).
In base alla riformulazione dei commi 3 e 4
dello stesso articolo 4 ad opera del Dl n.
1/2012, per i Comuni con popolazione
superiore ai 10mila abitanti i risultati
della verifica dovranno essere sottoposti
all'Agcm per la resa di un parere
obbligatorio entro sessanta giorni e, una
volta acquisito il parere, le
amministrazioni avranno trenta giorni per
adottare il provvedimento con il quale
attribuire i diritti di esclusiva.
Lo schema di regolamento propone una serie
di elementi di analisi ulteriori, rispetto a
quelli generalmente applicabili, per le
principali tipologie di servizi pubblici con
riferimento d'ambito, individuando procedure
valutative specifiche per il trasporto
pubblico locale e per la gestione dei
rifiuti. Disposizioni particolari vanno a
disciplinare anche il percorso che gli enti
locali devono formalizzare con la
delibera-quadro qualora intendano affidare
simultaneamente più servizi pubblici locali.
---------------
In sintesi
01|L'AFFIDAMENTO
L'articolo 4 della legge 148/2011
(disciplina generale dei servizi pubblici
locali) prevede che prima di procedere
all'affidamento, le amministrazioni locali
debbano verificare se il servizio pubblico
può essere attribuito in gestione a un unico
soggetto
02|LA VERIFICA
La verifica deve essere sviluppata con
un'istruttoria, che deve analizzare esigenze
della comunità locale, obblighi di servizio
pubblico e mercato. Se l'analisi rileva che
il servizio non può essere liberalizzato, si
procede all'attribuzione dei diritti di
esclusiva
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Malattia.
Dipendente più responsabile. Deve verificare la correttezza
dell'indirizzo scritto dal medico nel
certificato.
Per consentire il controllo medico legale
domiciliare, è importante che il lavoratore
verifichi l'inserimento nel certificato
telematico dei dati riferiti all'indirizzo
per la reperibilità.
Lo ha precisato l'Inps con il
messaggio 12.03.2012
n. 4344, in seguito a richieste
da parte dei datori di lavoro pubblici e
privati sull'attivazione del canale
telematico per la richiesta all'Inps delle
visite mediche di controllo domiciliare e/o
ambulatoriale da parte dei datori di lavoro
di cui alla circolare 118/2011.
Viene
sottolineato, che la richiesta è offerta ai
datori di lavoro nel rispetto della
normativa già esistente che riconosce
all'Istituto la titolarità all'effettuazione
dei controlli medico legali ai lavoratori
assenti per malattia, anche nell'ipotesi in
cui si tratti di soggetti non tenuti al
versamento della relativa contribuzione
all'Inps. In ogni caso, vi è sempre la
possibilità per i datori di lavoro pubblici
di far riferimento alle Asl territorialmente
competenti.
Per i lavoratori del settore
pubblico, attualmente il servizio dell'Inps
non potrà coprire tutto l'orario di
reperibilità (9.00-13.00/15.00-18.00), dato
che le visite mediche di controllo possono
essere effettuate solo nelle fasce di
reperibilità dei lavoratori del settore
privato (10.00-12.00/17.00-19.00).
Particolare importanza riveste, come fatto
cenno, l'indirizzo sul certificato; la
responsabilità sulla correttezza delle
informazioni riportate, è del lavoratore che
ha il diritto e dovere di controllare tali
dati al momento dell'inserimento da parte
del medico o dopo visualizzando la copia
stampata del certificato stesso.
Infatti, ai fini dell'indennizzabilità della
malattia, si dovrà garantire la massima
diligenza nel fornire anche gli elementi
utili di dettaglio per consentire il
reperimento, specie in quei casi di
particolare complessità: contrade di
notevole vastità, frazioni, complessi
comprendenti più palazzine ma con un unico
numero civico, ecc. Per quanto concerne le
visite richieste via fax, l'Inps precisa che
le istanze di visite mediche di controllo
che pervengono con questo canale potranno
essere accolte solo in eventuali possibili
casi di interruzione del servizio telematico
connessi a problematiche di tipo tecnico.
Inoltre, sono abolite tutte le pregresse
modalità informative sull'esito delle visite
domiciliari, invio per lettera della copia
per il datore di lavoro, dato che di tale
esito ne saranno informati sempre per via
telematica, utilizzando l'apposita sezione a
loro disposizione sul portale internet.
Infine, precisa l'Inps, rimane in vita ogni
altra comunicazione resa disponibile dalle
relative procedure a seguito
dell'apposizione di specifici codici di
trattazione (ad esempio per sanzioni o
giustificazioni)
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - VARI:
Non è più d'obbligo redigere il documento
programmatico previsto dal codice della
privacy.
Addio al Dps. Non alla sicurezza.
Obiettivo: semplificare gli adempimenti,
riducendone i costi
Semplificazione privacy pesante per imprese,
professionisti e p.a. È stato, infatti,
abolito il Dps privacy. Non occorre, quindi,
più redigere un documento programmatico
sulla sicurezza e non occorre aggiornarlo di
anno in anno. L'articolo 45 del decreto
legge 5/2012 (il cosiddetto decreto
semplificazioni), infatti, abroga la lettera
g) dell'articolo 34, comma 1, del codice
della privacy (dlgs 196/2003).
L'abolizione
dell'adempimento è l'ultimo atto di una
serie di tentativi (andati a buon fine) tesi
a eliminare un adempimento che ha avuto
alterna fortuna. Mentre da alcuni è stato
apprezzato in quanto strumento organizzativo
efficace, da molti, invece, è stato
criticato per i suoi costi diretti e
indiretti. La redazione del Dps comporta il
ricorso, di norma, a un consulente con i
conseguenti oneri. Viene così smantellato un
pezzo importante della disciplina della
privacy, della quale sopravvivono le altre
misure di sicurezza diverse dal Dps, gli
obblighi di informativa e di consenso, di
nomina di responsabili e incaricati del
trattamento.
Attenzione però a non scambiare l'abolizione
del Dps con l'abolizione delle misure di
sicurezza: un conto è mettere in sicurezza
l'azienda (obbligo rimasto fermo), un altro
è stendere un documento che attesta le
condizioni di sicurezza (adempimento
saltato). Il decreto 5/2012 abroga il
documento (in tutte le sue parti), ma non
abroga la sicurezza privacy.
Peraltro nel corso degli anni si sono
registrati, proprio sul Dps, altri
interventi di semplificazione, seppure
«leggera», mentre ora l'articolo 45 del
decreto 5/2012 passa a una semplificazione
«pesante». Per il trattamento dei dati con
strumenti elettronici, dunque, non è più
necessaria, quale misura minima di
sicurezza, la tenuta di un aggiornato
documento programmatico sulla sicurezza.
Oltre alla stesura iniziale del Dps era
anche previsto un aggiornamento annuale,
entro la fine di marzo. Anche questo
ovviamente scompare.
Così come scompare l'obbligo di riferire,
nella relazione accompagnatoria del bilancio
d'esercizio, se dovuta, dell'avvenuta
redazione o aggiornamento del documento
programmatico sulla sicurezza (paragrafo 26
dell'allegato B) al codice della privacy).
Il decreto prevede anche la soppressione
delle norme tecniche di dettaglio sul Dps
inserite dell'allegato B) al codice della
privacy e in particolare i paragrafi da 19 a
19.8.
Viene eliminato anche, conseguentemente,
l'obbligo alternativo al Dps (in alcuni casi
specifici e soprattutto per Pmi) di
attestazione autocertificata di rispettare
le misure minime di sicurezza. Stessa
abolizione va registrata anche per il Dps
semplificato.
Va, tuttavia, sottolineato che il Dps
costituiva una misura «minima» di sicurezza
e che l'osservanza delle misure minime serve
a evitare sanzioni penali. Con l'abolizione
del Dps, dunque, chi non lo fa non rischia
più sanzioni penali (così come chi non lo ha
fatto finora, stante la retroattività della
legge penale posteriore più favorevole al
reo).
L'abolizione riguarda tutti i titolari di
trattamento senza distinzione e quindi sia
micro che macro imprese, studi
professionali, società, enti e associazioni
ed enti pubblici.
E l'abrogazione dell'obbligo di stesura del
documento programmatico sulla sicurezza
comporta anche l'abolizione del reato di cui
all'articolo 169 del codice della privacy e
anche le sanzioni amministrative previste
dall'articolo 162, comma 2-bis, naturalmente
nella parte che riguarda il documento
stesso.
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Garantite le misure per ridurre al minimo i
rischi.
Scompare il Dps, ma non sono cancellate
tutte le misure di sicurezza.
Tutti i titolari di trattamento, infatti,
devono rispettare l'articolo 31 del codice
della privacy e quindi ridurre i rischi al
minimo e adottare misure di sicurezza.
Certo redigere il Dps è una mera facoltà, ma
chi volesse farlo può farlo, magari per
evitare, con questo adempimento, possibilità
di essere chiamati a rispondere dei danni in
sede civile.
Beninteso chi decide di fare un documento
sulla sicurezza potrà farlo senza seguire lo
schema dell'allegato b) al codice della
privacy, e quindi in completa autonomia.
Peraltro un documento di questo tipo avrà
valore anche nel rapporto tra datore di
lavoro e dipendenti, anche per una esatta
individuazione delle responsabilità interne
e, quindi, più per ragioni organizzative che
per un obbligo normativo. Si ritiene,
quindi, che a prescindere dall'obbligo
normativo possa essere opportuno avere in
azienda un regolamento interno o una policy
sull'uso degli elaboratori da parte dei
dipendenti.
In ogni caso, stando agli elaboratori,
rimane, invece, l'obbligo normativo
(sanzionato penalmente e con sanzioni
pecuniarie amministrative) per altre misure
minime di sicurezza previste dall'articolo
34 del codice della privacy: obbligo di
dotare gli strumenti elettronici di
procedure di autenticazione informatica;
obbligo di adottare procedure di gestione
delle credenziali di autenticazione e di
utilizzare utilizzazione di un sistema di
autorizzazione; obbligo di aggiornamento
periodico dell'individuazione dell'ambito
del trattamento consentito ai singoli
incaricati e addetti alla gestione o alla
manutenzione degli strumenti elettronici;
obbligo di protezione degli strumenti
elettronici e dei dati rispetto a
trattamenti illeciti di dati, ad accessi non
consentiti e a determinati programmi
informatici. Permane un obbligo normativo
anche per l'adozione di procedure per la
custodia di copie di sicurezza, il
ripristino della disponibilità dei dati e
dei sistemi e per l'adozione di tecniche di
cifratura o di codici identificativi per
determinati trattamenti di dati idonei a
rivelare lo stato di salute o la vita
sessuale effettuati da organismi sanitari.
In sostanza le condizioni di sicurezza vanno
preservate nella sostanza, anche se si può
fare a meno di compilare un documento sulle
precauzioni adottate o da adottare.
Se salta tutto il contenuto del Dps, non c'è
più necessità di documentare l'elenco dei
trattamenti di dati personali e la
distribuzione dei compiti e delle
responsabilità nell'ambito delle strutture
preposte al trattamento dei dati. Salta
l'incombenza di mettere nero su bianco
l'analisi dei rischi che incombono sui dati,
le misure da adottare per garantire
l'integrità e la disponibilità dei dati,
nonché la protezione delle aree e dei
locali, rilevanti ai fini della loro
custodia e accessibilità e la descrizione
dei criteri e delle modalità per il
ripristino della disponibilità dei dati in
seguito a distruzione o danneggiamento.
Non c'è più l'obbligo di scrivere in un
documento la programmazione di interventi
formativi degli incaricati del trattamento,
per renderli edotti dei rischi che incombono
sui dati, delle misure disponibili per
prevenire eventi dannosi, dei profili della
disciplina sulla protezione dei dati
personali più rilevanti in rapporto alle
relative attività, delle responsabilità che
ne derivano e delle modalità per aggiornarsi
sulle misure minime adottate dal titolare.
Scompare l'obbligo di documentare la
descrizione dei criteri da adottare per
garantire l'adozione delle misure minime di
sicurezza in caso di trattamenti di dati
personali affidati all'esterno della
struttura del titolare. Infine salta
l'obbligo di scrivere in un documento, per i
dati personali idonei a rivelare lo stato di
salute e la vita sessuale, l'individuazione
dei criteri da adottare per la cifratura o
per la separazione di tali dati dagli altri
dati personali dell'interessato (articolo ItaliaOggi sette del
12.03.2012). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Immobili agevolati, via
i paletti.
I proprietari possono vendere anche a prezzi
di mercato. Studio del notariato sulle
novità del decreto sviluppo in materia di
edilizia residenziale pubblica.
Il vento delle liberalizzazioni soffia anche
sull'edilizia residenziale convenzionata. Il
c.d. decreto sviluppo del 2011, convertito
nella legge n. 106 del mese di luglio dello
scorso anno, allo scopo espresso di
agevolare il trasferimento dei diritti
immobiliari, ha aggiunto dei nuovi commi
all'art. 31 della legge n. 448/1998, di fatto
aprendo alla possibilità che i proprietari
di immobili agevolati possano venderli con
meno difficoltà a prezzi di mercato.
Un recente
studio del notariato (20.10.2011 n.
521/2011-C) ha quindi messo in evidenza le
modalità operative con le quali attuare la
novità legislativa, che riguarda entrambi
gli strumenti tradizionalmente più
utilizzati per la diffusione dell'edilizia
residenziale pubblica, le c.d. Peep,
convenzioni di attuazione di un Piano di
edilizia economico popolare, e le c.d.
convenzioni Bucalossi.
Le c.d. convenzioni Peep. Il privato che
abbia acquistato un appartamento nell'ambito
di un immobile edificato sulla base di una
c.d. convenzione Peep è soggetto, a fronte
del prezzo di favore in base al quale ha
potuto aggiudicarselo, a una serie di
limitazioni relative alla futura cessione
del bene, sia dal punto di vista temporale
che da quello economico. Sotto questo
aspetto non si può non evidenziare la novità
introdotta dal decreto sviluppo del 2011,
che ha reso molto più facile il
trasferimento di questa tipologia di
immobili.
Oggi è infatti possibile pattuire con il
comune una nuova convenzione volta a
rimuovere i vincoli relativi alla
determinazione del prezzo massimo di
cessione delle singole unità abitative e
delle loro pertinenze, nonché del canone
massimo di locazione delle stesse, che siano
contenuti nelle convenzioni Peep, a
condizione che siano trascorsi almeno cinque
anni dalla data del primo trasferimento
delle singole unità abitative (non è,
quindi, ammessa la rimozione dei vincoli al
concessionario, ossia a colui che, con la
stipula della convenzione originaria, ha
avuto la disponibilità dell'area sulla quale
realizzare l'intervento edificatorio).
La nuova normativa, secondo il predetto
studio del notariato, appare però
incomprensibile nella parte in cui fa
riferimento alle convenzioni per la cessione
del diritto di proprietà stipulate prima
dell'entrata in vigore della legge n.
179/1992, poiché prima dell'entrata in vigore
di detta legge (ovvero prima del 15.03.1992) non vi era alcun obbligo di prevedere
nelle convenzioni Peep per la cessione del
diritto di proprietà, vincoli relativi alla
determinazione del prezzo di cessione o del
canone di locazione. Infatti, al contrario,
la legge prevedeva rigorosi divieti di
alienazione, prescritti a pena di nullità.
Il fatto di aver limitato la possibilità di
rimozione dei vincoli sulla determinazione
del prezzo e del canone di locazione alle
sole convenzioni Peep per la cessione del
diritto di proprietà stipulate prima del 15.03.1992, secondo il Consiglio nazionale
del notariato, rende del tutto inapplicabile
la nuova disciplina alle convenzioni Peep
per la cessione di aeree in proprietà,
limitandola, pertanto, solo a quelle per la
concessione di aree in superficie.
Con l'entrata in vigore della nuova
disposizione normativa deve ritenersi
definitivamente superata la diffusa prassi
per cui molti Comuni, unitamente alla
trasformazione del diritto di superficie in
proprietà, proponevano agli interessati
anche la rimozione dei vincoli sulla
determinazione dei prezzi di cessione e/o
dei canoni di locazione, a fronte del
pagamento di un corrispettivo,
discrezionalmente fissato dell'ente
pubblico. Spetta al singolo proprietario
assumere l'iniziativa per la rimozione dei
vincoli in oggetto e richiedere al comune la
stipula di una nuova convenzione. In
presenza di un condominio la rimozione non
deve riguardare necessariamente l'intero
stabile e non necessita, pertanto, la
delibera dell'assemblea dei condomini; ogni
condomino è libero, al riguardo, di agire
come meglio crede. Per l'atto è prescritta
la forma pubblica e la successiva
trascrizione. Per la rimozione dei vincoli
relativi alla determinazione del prezzo di
cessione o del canone di locazione è poi
necessario pagare un corrispettivo al
comune, che è proporzionale alla
corrispondente quota millesimale di
proprietà.
La trasformazione del diritto di superficie
in piena proprietà e la contestuale
eliminazione degli altri vincoli discendenti
dall'originaria convenzione Peep. Come ha
precisato il notariato, tra i possibili
accordi modificativi delle c.d. convenzioni
Peep, già stipulate, quello più diffusa
nella pratica è la convenzione di
trasformazione del diritto di superficie in
piena proprietà la cui disciplina, anche
alla luce delle modifiche apportate dalla
legge n. 106/2011, merita di essere
analizzata più a fondo.
A tale proposito si sottolinea che la
trasferibilità degli alloggi realizzati su
aree Peep concesse in superficie, in
mancanza di particolari clausole
convenzionali che limitino la facoltà di
alienazione o prevedano diritti di
prelazione a favore del comune, è libera,
salvo osservare le clausole relative al
prezzo massimo imposto per la cessione. In
particolare, nell'ambito delle convenzioni
in questione si possono individuare vincoli
attinenti al c.d. contenuto pattizio,
modificabili in qualsiasi tempo per effetto
di una nuova convenzione intervenuta tra le
medesime parti, e vincoli attinenti al c.d.
contenuto necessario, modificabili solo nei
casi previsti dalla legge (il discorso
riguarda, ad esempio, i vincoli relativi
alla determinazione del prezzo massimo di
cessione e del canone massimo di locazione).
Così il comune può limitarsi a cedere la
proprietà dell'area, con conseguente
trasformazione, con riguardo all'alloggio,
della proprietà superficiaria in piena
proprietà, senza null'altro disporre oppure
vi può aggiungere l'eliminazione dei vincoli
attinenti al contenuto pattizio (ad esempio,
un divieto convenzionale di alienazione,
ovvero un diritto di prelazione) o
l'eliminazione, nello stesso atto, dei soli
vincoli di determinazione del prezzo di
cessione e del canone di locazione
(rimangono però gli altri vincoli contenuti
nella convenzione originaria attinenti al
c.d. contenuto necessario) e gli eventuali
vincoli attinenti al contenuto pattizio o,
infine, l'eliminazione, oltre agli eventuali
vincoli attinenti al contenuto pattizio, di
tutti quelli attinenti al contenuto
necessario (compresi i vincoli relativi alla
determinazione del prezzo e del canone di
locazione).
In ogni caso per dette convenzioni è
generalmente necessario, a pena di nullità,
o un atto pubblico o una scrittura privata
autenticata, in considerazione della
necessità di una successiva trascrizione
dell'atto.
La vendita di alloggi realizzati su aree
Peep. Nell'ambito degli alloggi realizzati
su aree Peep bisogna distinguere quelli
acquisiti in proprietà superficiaria, per
cui non sono mai stati previsti
dall'ordinamento divieti di alienazione di
alcun genere, da quelli acquisiti in
proprietà per i quali la normativa di
riferimento (art. 35, legge n. 865/1971),
nel suo testo originario, in vigore sino al
15.03.1992 (data di entrata in vigore
della legge 17.02.1992, n. 179)
prevedeva una serie di divieti di
alienazione, la cui inosservanza era
sanzionata con la nullità degli atti di
alienazione.
Quindi gli atti di vendita
eventualmente stipulati prima del 15.03.1992 devono ritenersi nulli, mentre devono
ritenersi validi quelli perfezionati dopo
tale data e relativi ad alloggi costruiti su
aree Peep concesse in proprietà, e ciò a
prescindere dalla data in cui è stata
stipulata la relativa convenzione (soluzione
sostenuta anche dal ministero dei lavori
pubblici).
---------------
Doppia quota per il permesso di costruire.
Due sono le convenzioni che tradizionalmente
si fanno rientrare nell'ambito dell'edilizia
residenziale convenzionata: la convenzione
di attuazione di un Piano di edilizia
economico popolare (c.d. Peep), che si pone
nell'ambito del più ampio procedimento
tracciato dalla legge n. 865/1971, e la
convenzione per la riduzione del contributo concessorio al cui pagamento è subordinato
il rilascio del permesso di costruire (c.d.
convenzione Bucalossi).
Il rilascio del permesso di costruire è
infatti condizionato al versamento del
contributo concessorio, che si compone di
due quote, una commisurata agli oneri di
urbanizzazione e l'altra proporzionata al
costo di costruzione da versarsi in corso
d'opera con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune e, comunque, non oltre
60 giorni dall'ultimazione delle opere.
Se ricorre una c.d. convenzione Bucalossi
(atto che è comunque da trascrivere) il
contributo concessorio viene limitato alla
sola quota commisurata agli oneri di
urbanizzazione, con esclusione pertanto di
quella commisurata al costo di costruzione,
ma l'interessato, a fronte dell'agevolazione
ottenuta, deve assumere l'obbligo di
praticare prezzi di vendita e canoni di
locazione in misura non superiore a quella
risultante dalla convenzione medesima (ogni
pattuizione contraria è nulla per la parte
eccedente).
Anche per tali convenzioni (ovvero per gli
eventuali atti unilaterali d'obbligo
stipulati al posto di dette convenzioni) il
decreto sviluppo 2011 ammette la possibilità
di rimuovere i vincoli relativi alla
determinazione del prezzo massimo di
cessione e del canone massimo di locazione,
sempreché siano decorsi almeno cinque anni
dalla data del primo trasferimento.
Tuttavia la rimozione dei vincoli non può
essere richiesta dal costruttore, ossia da
colui che, con la stipula della convenzione,
si è avvalso della riduzione del contributo
concessorio. Tale possibilità è riconosciuta
a un suo avente causa (e decorsi almeno
cinque anni dalla data del primo
trasferimento), cioè su richiesta del
proprietario dell'alloggio con apposita
convenzione in forma pubblica soggetta a
trascrizione (articolo ItaliaOggi sette del
12.03.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Raee, la gestione allarga il
raggio.
Possibile anche la raccolta uno a zero per
piccoli apparecchi. La direttiva comunitaria
in arrivo rinnova le regole sui rifiuti
elettrici ed elettronici.
Obbligo di ritiro gratuito delle «Aee»
(apparecchiature elettriche ed
elettromeccaniche) domestiche usate anche
senza corrispondente acquisto di nuovo
prodotto, ma con semplificazioni gestionali
e innalzamento delle percentuali di raccolta
differenziata dei «Raee».
Le novità previste
dalla legislazione comunitaria, in arrivo
per il tramite della neo direttiva Ue già
licenziata lo scorso gennaio dal parlamento
Ue, promettono di riscrivere le regole
dell'intera filiera dei rifiuti da
apparecchiature elettriche ed elettroniche
(cd. «Raee»), rivedendo sia gli oneri dei
distributori di nuove apparecchiature (cd. «Aee»)
sia gli obblighi dei soggetti responsabili
della gestione di quella giunte a fine vita.
Le novità Ue. Lo schema di nuova direttiva «Raee»
in corso di ufficializzazione da parte del
consiglio Ue sostituirà l'attuale direttiva
2002/96/Ce), innovandone i contenuti sia a
monte che a valle della catena produttiva.
Sotto il primo profilo, le novità riguardano
i distributori di nuove apparecchiature
elettriche ed elettroniche (ossia i soggetti
che rendono disponibili sul mercato tali «Aee»)
che dovranno assicurare il ritiro gratuito
dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed
elettroniche di «piccolissime dimensioni»
(ossia di dimensioni esterne inferiori a 25
centimetri) e provenienti da nuclei
domestici conferiti dagli utenti finali
senza obbligo per questi ultimi di
acquistare una Aee di tipo equivalente
(laddove, a oggi, il ritiro è obbligatorio
solo nella formula «one on one», ossia
previo acquisto di nuovo ed analogo
prodotto).
In particolare, tale ritiro sarà
obbligatorio presso i negozi al dettaglio
con superficie di vendita di «Aee» uguali o
superiore ai 400 metri quadrati o in loro
prossimità e i «Raee» in parola dovranno
essere sottoposti a successivo trattamento
finalizzato al loro recupero o smaltimento.
L'obbligo del ritiro «one on zero» potrà
essere dai distributori evitato solo ove sia
pubblicamente dimostrato che i regimi di
raccolta alternativa esistenti siano
altrettanto efficaci. Parallelamente, il
nuovo provvedimento Ue prevede però, per gli
stessi distributori di «Aee», delle
semplificazioni, non esigendo in relazione
ai punti di raccolta dei «Raee» presenti
presso i loro negozi al dettaglio né il
rispetto dei criteri tecnici stabiliti dalla
direttiva 2008/98/Ce per la realizzazione
degli impianti di gestione dei rifiuti né la
relativa autorizzazione all'esercizio.
A
valle, le novità riguarderanno invece i
gestori dei relativi rifiuti da
apparecchiature elettriche ed elettroniche:
la direttiva in itinere prevede infatti un
innalzamento all'85% (dall'attuale «range»
del 70-80%) della percentuale dei «Raee»
prodotti sul territorio che dovranno essere
annualmente raccolta nei singoli Stati Ue.
In alternativa, gli stessi Stati dovranno
assicurare un tasso di raccolta pari al 65%
delle «Aee» immesse sul mercato negli ultimi
tre anni.
Le regole nazionali. L'attuale normativa
nazionale in materia di rifiuti da
apparecchiature elettriche ed elettroniche,
e sulla quale le nuove norme Ue sono
destinate a incidere, è costituita dal dlgs
25 luglio n. 151 (provvedimento di
recepimento della direttiva 2002/96/Ce) e
dal connesso dm ambiente 08.03.2010 n. 65
(recante, in attuazione del decreto
legislativo, le modalità semplificate la
gestione dei «Raee» da parte dei
distributori e degli installatori di
apparecchiature elettriche ed elettroniche).
In particolare, il dm 65/2010 prevede a
favore dei soggetti in parola il rispetto di
standard tecnici e burocratici semplificati
rispetto a quelli ordinari imposti dal dlgs
151/2005 e dal dlgs 152/2006 (c.d. «Codice
ambientale») per deposito, trasporto rifiuti
e iscrizione all'Albo gestori ambientali. E
proprio in vista delle novità comunitarie in
arrivo, novità che (come più sopra
accennato) ampliano gli oneri a carico dei
distributori di «Aee», lo stesso legislatore
nazionale ha prontamente avviato un
ulteriore allargamento delle procedure
semplificate previste dal citato dm 65/2010
per i soggetti in questione.
L'upgrade in
arrivo, previsto inizialmente dalla legge di
conversione del dl 2/2012 (c.d. «dl
ambiente») ma da esso espunto per mera
incompatibilità tecnica (ex sentenza Corte
costituzionale 22/2012) e quindi in attesa
di nuova base giuridica, andrà
sostanzialmente nella direzione di un
ampliamento delle tempistiche di deposito
temporaneo presso i punti vendita dei «Raee»
ritirati dai distributori e di una maggior
snellezza nelle procedure di trasporto verso
i relativi centri di trattamento
(articolo ItaliaOggi sette del
12.03.2012). |
APPALTI SERVIZI: Servizi pubblici. La partecipazione è
possibile solo se la gestione in vigore è
nella fase finale.
Vincoli più stretti per il gas.
Sugli attuali affidatari diretti nuovi
divieti nell'accesso alle gare
CONSIGLIO DI STATO/
Le deroghe previste dal testo unico degli
enti locali non possono essere sfruttate
dalle società che gestiscono anche altre
attività.
Le Regioni possono definire ambiti
territoriali ottimali con dimensione diversa
da quella provinciale per la gestione dei
servizi pubblici, e nelle gare per i nuovi
affidamenti vanno tenute in particolare
considerazione le tutele occupazionali.
Le modifiche alla disciplina dei servizi
pubblici definite in sede di conversione del
Dl 1/2012 (su cui si veda Il Sole 24 Ore del
1° marzo) rafforzano le linee di
realizzazione delle privatizzazioni come
soluzioni di promozione dello sviluppo
economico e territoriale, ricalcando, per
alcuni versi, il quadro strutturato per il
servizio gas.
Le nuove norme regolano anche gli effetti
che le nuove gestioni possono produrre nei
contesti locali, precisando nell'articolo
3-bis che in sede di affidamento del
servizio con gara, l'adozione di strumenti
di tutela dell'occupazione costituisce
elemento di valutazione dell'offerta. Questa
prospettiva è garantita nelle procedure
selettive, in quanto il bando dovrà indicare
anche i criteri per il passaggio dei
dipendenti ai nuovi aggiudicatari del
servizio, prevedendo, tra gli elementi di
valutazione, l'adozione di strumenti di
tutela dell'occupazione.
La ridefinizione delle norme sui servizi
pubblici presenta importanti novità anche
con riferimento alla disciplina per il
servizio di distribuzione del gas naturale,
con varie previsioni che incidono sulla
gestione delle gare per i nuovi affidamenti
in base agli ambiti territoriali minimi (Atem).
Il dato più rilevante è riscontrabile
nell'estensione a questo settore delle
previsioni della disciplina generale dei
servizi pubblici con rilevanza economica sul
divieto di affidamento di servizi ulteriori
e sulle condizioni per la partecipazione
alle gare delle società in passato
affidatarie dirette, stabilita dall'articolo
4, comma 33, della legge 148/2011.
Questa previsione implica che una società
partecipata da un ente locale, che oggi
gestisca (nel periodo transitorio) il
servizio di distribuzione del gas naturale
sulla base di un affidamento diretto possa
partecipare alle gare che saranno indette
progressivamente nei vari Atem individuati e
specificati con i decreti ministeriali
adottati nel corso del 2011 a condizione che
il proprio affidamento sia nella fase finale
(ultimo anno), e che siano già state avviate
le nuove procedure di affidamento.
La disposizione va analizzata considerando
anche quanto sancito dal Consiglio di Stato,
sez. V, con la sentenza n. 1173/2012.
Secondo i giudici, la deroga prevista
dall'articolo 15, comma 10, del Dlgs 164/2000
che consente una società affidataria diretta
(in house) del servizio gas di prendere
parte alle prime gare successive al periodo
transitorio su tutto il territorio
nazionale, va interpretata in senso
restrittivo, per cui riguarda solo le
società che avevano ottenuto l'affidamento
senza gara del solo servizio di
distribuzione del gas, e non opera se il
gestore è controllato o controllante di
società affidataria diretta di altri servizi
pubblici locali. Pertanto, una società che
sia oggi affidataria diretta della
distribuzione del gas naturale e di altri
servizi pubblici locali con rilevanza
economica non potrà partecipare alle nuove
gare del servizio gas riferite agli atem (articolo Il Sole 24 Ore del 12.03.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 12.03.2012 |
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PUBBLICO IMPIEGO: Pensioni
p.a., un anno sabbatico per la permanenza in
servizio. I chiarimenti di Patroni Griffi.
La chance torna nel 2013.
Arrivederci al 2013 per
il trattenimento in servizio, ma scompare
quello che fino a oggi è stato un diritto
potestativo del lavoratore. Infatti, la
possibilità di restare a lavorare oltre
l'età per la pensione di vecchiaia opera
esclusivamente per i lavoratori soggetti al
nuovo regime delle pensioni, i quali da 66
possono arrivare a 68 anni (chi invece ha
maturato i 65 anni utili nel 2011 va messo
subito in pensione, si veda ItaliaOggi di
ieri).
È quant'altro precisa la
circolare 08.03.2012 n. 2
del ministro per la p.a. sulla riforma delle
pensioni. Trattenimento in servizio.
Anche
dopo l'entrata in vigore della riforma Fornero (01.01.2012), spiega la
circolare, restano in vita gli istituti del
«trattenimento in servizio» oltre i limiti
di età e della «risoluzione unilaterale»,
mentre è stato abrogato quello dell'esonero.
Sopravvivono, in particolare, nei confronti
dei soggetti che maturano i requisiti per la
pensione dall'anno 2012, ossia sulla base
dei nuovi limiti (di età e di contribuzione)
fissati dalla riforma.
Pertanto, anche dopo
la riforma i dipendenti possono richiedere
(e le p.a. «possono» accordare) il
trattenimento in servizio, ma questo si
riferirà necessariamente al periodo
successivo alla maturazione del nuovo
requisito d'età per la pensione di vecchiaia
che è fissato a 66 anni. Ciò vuol dire,
allora, che il trattenimento in servizio
diventa possibile dai 66 ai 68 anni d'età ma
non prima dell'01.01.2013 (e salvo i
futuri adeguamenti alla «speranza di vita»).
Perché i dipendenti che quest'anno (2012)
compiono 66 anni di età, avendo maturato i
65 anni nel 2011, rimangono soggetti alla
previgente disciplina e la p.a. avrebbe
potuto loro accordare di restare in servizio
fino a 67 anni.
Peraltro, aggiunge la
circolare, per effetto del dl n. 138/2011,
adesso la discrezionalità della p.a nella
concessione del trattenimento in servizio è
molto più marcata. Infatti, il trattenimento
in servizio non è più un «diritto
potestativo» del lavoratore, ma un diritto
subordinato alla valutazione della p.a. in
ordine all'organizzazione, al fabbisogno e
alla disponibilità finanziaria (insomma
soltanto se conviene alla p.a. il
trattenimento è concesso, altrimenti il
lavoratore va in pensione).
Stop ai 40 anni.
Nella previgente disciplina la p.a. aveva
facoltà di licenziare il dipendente che
avesse maturato «l'anzianità massima
contributiva», vale a dire i 40 anni di
contributi oltre i quali non si maturava più
la pensione (nel sistema retributivo il
massimo importo di pensione poteva arrivare
all'80 per cento della retribuzione
considerando proprio i 40 anni con i quali
andava moltiplicato il coefficiente 2% di
trasformazione).
Adesso le cose sono
cambiate. Infatti, spiega la circolare, la
riforma delle pensioni ha abrogato il
concetto di «anzianità massima contributiva»
(ossia i 40 anni); con esso, di conseguenza,
deve considerarsi abrogato pure il
«presupposto» (cioè l'anzianità massima
contributiva) per il licenziamento da parte
della p.a. In verità, la circolare ritiene
che il predetto presupposto sia soltanto
«mutato», ossia si sia ora collegato agli
anni di anzianità necessari per il diritto
alla pensione anticipata. Pertanto, dall'01.01.2013 le p.a. possono licenziare i
dipendenti con 42 anni e 5 mesi di
contributi, ossia 41 anni e 5 mesi se donne
(sono i nuovi requisiti per la pensione
anticipata).
Unico salvagente per i
lavoratori può essere l'età, perché la
circolare raccomanda alle p.a. di non
procedere a licenziare i soggetti con età
inferiore a 62 anni essendo per loro
prevista la penalizzazione dell'importo
della pensione (ma l'operatività è stata
rinviata al 2017 dal milleproroghe).
Esonero.
Infine, la circolare ricorda che è stato
abrogato l'esonero, un istituto che
consentiva di andare prima in pensione a
certe condizioni. La riforma ha previsto che
a chi fosse già titolare dell'esonero alla
data del 04.12.2011 continuano ad applicarsi
i vecchi requisiti per la pensione.
A tal fine, precisa la circolare, l'esonero
si intende concesso se la p.a. (il
dirigente) ha adottato una determinazione
formale dalla quale si desuma la volontà di
accoglimento della richiesta
(articolo ItaliaOggi
del 10.03.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: Previdenza.
Il ministero obbliga alla pensione i
dipendenti che hanno maturato i requisiti
nel 2011.
Pubblici, niente opzione per restare in
ufficio.
Le novità previdenziali introdotte dal
decreto «salva Italia» hanno trovato
chiarimenti nella
circolare 08.03.2012 n. 2 della
Funzione pubblica, resa nota giovedì.
Il
documento conferma quanto già preannunciato
(si veda «Il Sole 24 Ore» del 17 febbraio
scorso). Palazzo Vidoni chiarisce che i
dipendenti che hanno maturato i requisiti
per il pensionamento entro il 31.12.2011 rimangono soggetti al regime previgente
per l'accesso e per la decorrenza del
trattamento pensionistico di vecchiaia e di
anzianità e, pertanto, anche se ancora in
servizio, tali dipendenti non sono soggetti
neanche su opzione, al nuovo regime sui
requisiti di età e di anzianità
contributiva. Infatti la norma prevede che i
nuovi requisiti si applicano esclusivamente
nei confronti dei dipendenti che maturano il
diritto a pensione a decorrere dall'01.01.2012.
La circolare prosegue
affermando che le amministrazioni, negli
anni 2012 e seguenti, dovranno collocare a
riposo al compimento del 65esimo anno di età
i dipendenti che al 31.12.2011 erano
già in possesso di un diritto a pensione.
Tale diritto, eccetto quello per il
conseguimento della pensione di vecchiaia,
fa sì che sia applicabile l'età ordinamentale che costituisce un limite non
superabile in presenza del quale l'ente deve
far cessare il rapporto di lavoro; salve le
prosecuzioni per effetto di trattenimento e
per la finestra.
Un altro aspetto importante riguarda la
prosecuzione del rapporto di lavoro fino a
70 anni il quale non può essere applicato
nel settore pubblico eccetto i casi in cui
il prosieguo sia finalizzato alla
maturazione del diritto a pensione poiché
l'introduzione del limite minimo (1,5 volte
l'assegno sociale) potrebbe non far fruire
il trattamento pensionistico neppure alla
prescritta età anagrafica. Il concetto di
anzianità massima contributiva deve
ritenersi superato per i dirigenti civili
dello Stato nonché per il personale del
comparto scuola. Per quanto riguarda la
risoluzione unilaterale del rapporto di
lavoro i requisiti previsti devono essere
modulati sulla base dei nuovi limiti
richiesti per l'accesso al pensionamento;
pertanto dal 2013 saranno richiesti 42 anni
e 5 mesi per gli uomini e 41 anni e 5 mesi
per le donne.
Tuttavia, tali nuovi parametri
potrebbero concorrere con la penalizzazione
prevista per le cessazioni con età inferiori
a 62 anni. La Funzione pubblica raccomanda
alle amministrazioni di non esercitare la
risoluzione unilaterale nei confronti dei
soggetti per i quali potrebbe operare la
penalizzazione legale. Ne deriva che la
risoluzione potrà essere esercitata al
raggiungimento degli anni contributivi
richiesti per l'accesso a pensione con
un'età anagrafica non inferiore a 62 anni.
I
nuovi limiti previsti per il conseguimento
della pensione di vecchiaia fanno sì che, a
decorrere dal 2012, i dipendenti che
manifesteranno la volontà di permanere in
servizio per un ulteriore biennio
accederanno al trattamento pensionistico al
compimento del 68esimo anno di età. Tuttavia
tale problematica è rinviata al 2013 poiché
nell'anno in corso potranno cessare solo
coloro i quali hanno maturato i 65 anni di
età nel 2011 e sono in regime di finestra
oppure coloro che sono nel biennio.
L'istituto dell'esonero è stato soppresso
dal 28 dicembre scorso e la norma di
salvaguardia continua ad applicarsi agli
esonerati fino al 03.12.2011. Tali
soggetti potranno accedere al trattamento
pensionistico secondo il previgente regime
ma a condizione che risulti la capienza nel
contingente di spesa (articolo 24, comma 15,
Dl 201); l'eventuale incapienza comporterà
l'applicazione del nuovo regime
previdenziale e la prosecuzione del rapporto
di esonero con il dipendente fino alla
maturazione dei nuovi requisiti di accesso.
La finalità del periodo transitorio (comma
20), istituita con lo scopo di agevolare il
processo di riduzione degli assetti
organizzativi e di contenimento della spesa
pubblica, è quella di far salvi solo i
collocamenti a riposo per raggiunti limiti
di età disposti con provvedimenti prima del
06.12.2011 anche se aventi decorrenza
successiva al 2011. Tutte le altre
casistiche (dipendenti che hanno maturato la
quota oppure che hanno raggiunto l'anzianità
massima contributiva) ma sprovvisti dei
nuovi requisiti di accesso alla data di
decorrenza dell'atto dovranno maturare i
nuovi requisiti. Per il comparto Scuola si
rinvia alle indicazioni di prossima
emanazione da parte del ministero
dell'Istruzione.
---------------
La nota
01|IL CHIARIMENTO
I dipendenti che hanno maturato i requisiti
per il pensionamento entro il 31.12.2011 rimangono soggetti al regime previgente
per l'accesso e per la decorrenza del
trattamento pensionistico di vecchiaia e di
anzianità. Tali dipendenti non sono
soggetti, neppure su opzione, al nuovo
regime
02|I PROBLEMI APERTI
Non è ancora stata sciolta la riserva sulle
donne optanti che vanno in pensione con il
requisito anagrafico di 57 anni (e 35 anni
di contributi): tale età non è mai stata
richiamata dalle norme in vigore, ma
potrebbe paradossalmente essere aggiornata
alla speranza di vita registrata all'età di
65 anni
(articolo Il Sole 24
Ore
del 10.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Lavoro.
Permessi straordinari.
Diritto al congedo se c'è convivenza.
A partire dalla conclusione del periodo di
normale congedo parentale, teoricamente
fruibile dal genitore, decorre il
prolungamento stabilito dall'articolo 3 del
decreto legislativo 119/2011 a favore dei
genitori di figli con grave handicap, per un
periodo massimo complessivo di tre anni da
godere entro il compimento dell'ottavo anno
d'età del bimbo, con diritto all'indennità
pari al 30% della retribuzione.
Dopo un lavoro istruttorio comune con il
ministero del Lavoro, l'Inps e l'Inpdap, il
dipartimento della Funzione Pubblica
fornisce con la
circolare 03.02.2012 n. 1 ai
lavoratori del settore pubblico alcuni
chiarimenti relativi al nuovo regime dei
permessi e congedi che possono essere
utilizzati per l'assistenza e figli o
familiari con grave handicap.
Nulla cambia,
invece, per i permessi utilizzabili dal
lavoratore in situazione di grave
disabilità. Come già l'Inps con la circolare
32/2012 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 7
marzo) anche la Funzione pubblica sottolinea
che, in alternativa, i genitori del minore
in situazione di handicap grave continuano a
poter fruire dei riposi orari retribuiti ma
solo fino al compimento del terzo anno di
vita del bambino. Rimane anche ferma la
possibilità per i genitori, anche adottivi,
di fruire dei tre giorni di permesso mensile
(legge 104/1992) anche oltre gli otto anni
di età del figlio.
Quanto, invece, al congedo straordinario che
i lavoratori subordinati possono chiedere
per l'assistenza del coniuge o di una
familiare con disabilità grave, nel
sottolineare la tassatività dei criteri di
priorità per fruirne, la circolare 1/2012
evidenzia che il diritto al congedo è
subordinato al requisito della convivenza,
fatta eccezione per i genitori. Si considera
tale la concomitanza della residenza
anagrafica e della coabitazione che può
sussistere anche qualora gli alloggi siano
separati ma situati nello stesso stabile.
La
durata massima di due anni del congedo deve
essere intesa nel senso che ciascuna persona
in situazione di grave disabilità ha diritto
a due anni di assistenza a titolo di congedo
straordinario da parte dei familiari. A sua
volta, il lavoratore può fruire di un
periodo massimo di due anni di congedo
indennizzato per assistere i familiari
disabili. Il periodo di congedo è
indennizzato in base all'ultima retribuzione
ma con esclusivo riferimento alle voci fisse
e continuative, entro il limite annualmente
rivalutato (si veda la tabella) ed è valido
ai fini del calcolo dell'anzianità.
A differenza del settore privato,
l'accredito contributivo non è figurativo
poiché per i dipendenti della Pa la
contribuzione va calcolata, trattenuta e
versata secondo le regole ordinarie sulla
base dei trattamenti corrisposti. Il
trattamento non è assoggettato a
contribuzione Tfs/Tfr
(articolo Il Sole 24
Ore
del 10.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Pa.
Parere della Funzione pubblica.
Addio ai certificati con lungaggini ma senza
imposta.
IL CASO/
Il Collegio degli agrotecnici aveva
denunciato che alcuni uffici applicavano il
bollo sulla decertificazione.
La "decertificazione" potrà anche essere un
boomerang, ma almeno non avrà l'ulteriore
effetto di far costare le pratiche 14,62
euro in più, come stava iniziando ad
accadere.
Lo ha reso noto il Collegio
nazionale degli agrotecnici e degli
agrotecnici laureati, che aveva sollevato il
caso con il dipartimento della Funzione
pubblica. La questione, però, riguarda tutti
i cittadini e le categorie produttive.
Tra queste ultime, le preoccupazioni erano
iniziate già lo scorso novembre, quando la
legge di stabilità (la n. 183/2011), con
l'articolo 15, aveva introdotto la decertificazione. Essa consiste nel vietare
alle pubbliche amministrazioni di accettare
certificati da parte di chi richiede loro
una pratica: dovranno essere le
amministrazioni stesse a richiedere agli
altri uffici pubblici gli elementi necessari
a mandare avanti la pratica. A suggellare il
principio, l'obbligo di riportare su ogni
certificato (che altrimenti è nullo) il
fatto che il documento stesso «non può
essere prodotto agli organi della pubblica
amministrazione o ai privati gestori di
pubblici servizi».
Nel mondo professionale e produttivo, si era
subito notato che questa semplificazione
avrebbe potuto essere controproducente: il
fatto che un ufficio pubblico debba
attendere la risposta di un altro per
acquisire gli elementi utili a espletare la
pratica, rischia di prolungarne i tempi (se
non addirittura di bloccarla). Tanto più
che, se un ufficio fornisce gli elementi in
tempi lunghi, non c'è una sanzione specifica
e deterrente: la norma prevede solo che il
ritardo «costituisce violazione dei doveri
d'ufficio e viene in ogni caso presa in
considerazione ai fini della misurazione e
della valutazione della performance
individuale dei responsabili
dell'omissione». Così, imprese e
professionisti preferiscono spesso dover
portare un certificato in più (com'era
consentito fare prima).
Il Collegio degli agrotecnici aveva
denunciato un ulteriore problema. Secondo
alcune amministrazioni, l'invio di documenti
ad altri uffici pubblici è da sottoporre a
imposta di bollo, con una tariffa di 14,62
euro. Dunque, la decertificazione sarebbe "a
pagamento": un esito paradossale, date le
intenzioni che sembrava avere il legislatore
nell'introdurla.
Per questo, il 16.01.2012 il Collegio ha
inviato una nota al dipartimento della
Funzione pubblica della presidenza del
Consiglio, per chiedere chiarimenti. La
risposta (05.03.2012
n. Dfp 0009347
P-4.17.1.23.4.3 di prot.) è arrivata
l'altro ieri. È molto breve e si limita a
riportare il comma 5 dell'articolo 43 del Dpr 445/2000
(il Testo unico sulla documentazione
amministrativa), secondo il quale le
informazioni relative a stati, qualità
personali e fatti vanno acquisite dagli
uffici pubblici «senza oneri». Dal
che si deduce che l'imposta di bollo non è
dovuta
(articolo Il Sole 24
Ore
del 10.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI: SEMPLIFICAZIONI/
Nasce la banca dati nazionale dei contratti
pubblici. Grande fratello sugli appalti. Dal
2013 requisiti dei concorrenti vagliati
online.
Dal 2013 negli appalti
le verifiche sui requisiti dei concorrenti
saranno effettuate esclusivamente online;
sarà la Banca dati nazionale dei contratti
pubblici, presso l'Autorità per la vigilanza
sui contratti pubblici a mettere a punto il
delicato e, allo stesso tempo,
rivoluzionario sistema telematico; le
stazioni appaltanti, con l'avvio del
sistema, non potranno verificare i requisiti
dei concorrenti con modalità diverse dalla
consultazione della Bdncp; gli appaltatori,
non dovranno più produrre certificati.
Sono queste alcune delle novità derivanti
dall'approvazione alla camera del decreto
legge semplificazioni (n. 5/2012) che, per
quel che riguarda l'attivazione della Banca
dati nazionale sui contratti pubblici,
secondo stime del Governo, dovrebbe portare
risparmi per 1,3 miliardi.
L'avvio della Bdncp si inquadra nel filone
della cosiddetta «decertificazione» e
sburocratizzazione delle procedure che,
sempre secondo alcune stime governative,
dovrebbe determinare per le piccole e medie
imprese un risparmio sui costi vivi della
gestione amministrativa delle gare pari a
circa 140 milioni all'anno, stando a quanto
stimato dal governo. La norma del
decreto-legge approvato dalla camera
rivitalizza la banca dati che fu introdotta
nel 2010 con il comma 1 dell'art. 44, del
dlgs 30.12.2010, n. 235 stabilendo che dal
primo gennaio 2013 tutta la documentazione
relativa alla prova dei requisiti di
capacità economico-finanziaria e tecnico
organizzativa che i concorrenti devono
possedere per partecipare agli appalti sia
acquisita dalla Banca dati nazionale dei
contratti pubblici presso l'autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici.
Spetterà all'Autorità definire innanzitutto
quali dati, utili alla partecipazione alle
gare, nonché alla verifica delle offerte,
debbano essere inclusi nella banca dati,
nonché i termini e le regole tecniche per
l'acquisizione, l'aggiornamento e la
consultazione dei dati contenuti nella
predetta Banca dati. La norma prevede che
per l'attivazione della banca dati tutti i
soggetti pubblici e privati che detengono
dati e documenti relativi ai requisiti di
partecipazione, abbiano l'obbligo di messa a
disposizione dell'Autorità di tali dati e
documenti.
Parallelamente, gli operatori economici
saranno tenuti ad integrare i dati contenuti
nella banca dati nazionale dei contratti
pubblici, creando un sistema dinamico e non
statico come invece è oggi quello basato
sulle Soa, ove i certificati hanno validità
quinquennale. Il meccanismo avrà una portata
fondamentale nel settore dei servizi e delle
forniture in cui, diversamente dai lavori,
non esiste un sistema di qualificazione dei
concorrenti.
All'obbligo di acquisizione della
documentazione da parte della Bdncp è
correlato l'obbligo per i committenti di
effettuare le verifiche dei requisiti di
capacità dei concorrenti esclusivamente
attraverso la banca dati, senza quindi più
chiedere documenti ai partecipanti alle
gare. Ciò significa che i partecipanti alle
gare potranno qualificarsi alle procedure
semplicemente con una autodichiarazione del
possesso dei requisiti di carattere generale
e speciale, mentre sarà cura del committente
che ha bandito la gara, verificare che
quanto dichiarato sia conforme alle
risultanze documentali rese disponibili a
questo fine dalla Banca dati nazionale dei
contratti pubblici.
Adesso sarà compito dell'organismo di
vigilanza sui contratti pubblici presieduto
da Sergio Santoro, mettere d'accordo tutti i
soggetti che gestiscono le banche dati (o
che hanno i dati sui quali effettuare le
verifiche) rispetto alla necessità di
giungere in tempi rapidi alla messa a regime
del sistema, ma anche di fare in modo che
l'ingente afflusso di dati non paralizzi
tutta l'operazione telematica (articolo
ItaliaOggi del 09.03.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI: Dl ambiente. Sacchetti bio,
nuovi criteri a fine
anno.
Passa dal 31 luglio al 31.12.2012 il
limite entro cui un decreto del ministero
dell'ambiente dovrà dettare i criteri per i
sacchetti biodegradabili. E arriva un'altra
proroga, al 31.12.2013, per
l'applicazione del regime sanzionatorio
sulla rispondenza dei sacchetti bio ai
futuri criteri.
Queste le novità approvate due giorni fa
dalla Commissione ambiente della camera dei
deputati al dl 2/2012, il cui art. 2 prevede
«disposizioni applicative in materia di
commercializzazione di sacchi per asporto
merci nel rispetto dell'ambiente».
Si è conclusa, infatti, la discussione in
sede referente con l'approvazione degli
emendamenti di proroga dei termini di
entrata in vigore per standard e sanzioni.
Andrà in Aula la settimana prossima
(potrebbe essere posta la fiducia) per
ritornare al Senato nei giorni successivi
(scade il 25 marzo). Esso contiene, come
noto, anche le nuove norme per l'emergenza
in Campania. Sui sacchetti, val la pena fare
il punto sul testo che proveniva dal Senato
già con significative modifiche.
L'art. 2 dello schema del citato decreto
legge va nella direzione di definire più
correttamente il campo di applicazione ed
eliminare così i dubbi interpretativi della
precedente normativa sul «divieto di
commercializzazione di sacchi non
biodegradabili per l'asporto delle merci»,
facendo chiaramente riferimento alla
conformità alla Norma Uni En 13432
(requisiti per imballaggi recuperabili
mediante compostaggio e biodegradazione). Il
dl proviene dal senato dove sono state già
approvate una serie di modifiche, che vanno
a introdurre diverse casistiche e tipologie
di sacchetti in plastica «polimeri».
Infatti, per i soli sacchetti di plastica
senza orecchie (quelli delle farmacie e
delle mercerie per intendersi) gli spessori
per quelli definibili riutilizzabili (dai
200 e i 100 micron già previsti) si
riducono, rispettivamente a 100 e 60 per
l'uso alimentare e gli altri usi. Introdotto
anche l'obbligo di contenuto minimo in
riciclato del 10% per gli stessi sacchetti,
limite che potrà essere cambiato con decreto
ministeriale.
L'introduzione di casistiche e soglie
diverse per i sacchetti riutilizzabili
renderà, certamente, più difficile il
controllo. Nessun chiarimento, invece, sul
significato sull'uso alimentare e sugli
altri usi, che al momento restano di
difficile interpretazione. Resta, poi, la
spada di Damocle delle decisioni Ue in
materia (che negli anni passati bloccò una
norma simile in Francia)
(articolo ItaliaOggi
del 09.03.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Pubblico impiego, pensione magra.
Non opera l'incentivo della permanenza al
lavoro fino a 70 anni. Circolare del
ministro Patroni Griffi sull'applicazione
alla p.a. del decreto salva-Italia.
Obbligati alla pensione i dipendenti
pubblici. Nei loro confronti non opera
l'incentivo della permanenza al lavoro fino
a 70 anni d'età e non opera più neppure la
facoltà di rimanere in servizio oltre i
limiti d'età per conseguire il massimo della
pensione.
E non è tutto. Per chi abbia maturato i
requisiti nel 2011 (età, quota o anzianità
massima), la pubblica amministrazione dovrà
procedere con l'immediato collocamento a
riposo.
È quanto stabilisce, tra l'altro, la
circolare 08.03.2012 n. 2 firmata dal ministro per
la p.a. Filippo Patroni Griffi per
illustrare la riforma delle pensioni entrata
in vigore il 1° gennaio introdotta dall'art.
24 del dl n. 201/2011
Nuovi limiti d'età. Innanzitutto, la
circolare illustra i nuovi requisiti di età
e contribuzione per maturare il diritto alla
pensione, nelle due nuove alternative di
pensione di vecchiaia e pensione anticipata;
ricorda, tra l'altro, l'abrogazione delle
finestre che fissavano la decorrenza della
pensione e l'estensione del sistema
contributivo, con il pro-rata, alle
anzianità successive al 2011. Le nuove norme
non si applicano, tuttavia, nei confronti
dei lavoratori che hanno maturato i
requisiti per la pensione entro il 31.12.2011, i quali potranno conseguire
la pensione in qualsiasi momento secondo il
vecchio regime (ante riforma).
Da questa
deroga, la circolare fa scaturire un preciso
obbligo per le p.a., ossia quello di dover
collocare a riposo nel 2012 o negli anni
successivi al compimento dei 65 anni quei
dipendenti che nel 2011 erano già in
possesso della massima anzianità
contributiva (40 anni) o della «quota» (era
96) o comunque dei requisiti per la
pensione.
Limite d'età ordinamentale. Per i pubblici
dipendenti l'aspetto cruciale (forse
paradossale) della riforma è che, mentre da
una parte allontana l'età di pensionamento
dall'altro nega di rimanere più a lungo in
servizio quando ciò possa voler dire un
miglioramento dell'assegno di pensione.
Infatti, la riforma non ha modificato il
regime dei limiti di età per la permanenza
in servizio che, anzi, è stata espressamente
confermato (comma 4 dell'art. 24).
Ciò vuol
dire, spiega la circolare, che i predetti
limiti continuano a costituire il tetto
massimo di permanenza in servizio; pertanto,
il lavoratore che li dovesse raggiungere
potrà proseguire il rapporto d'impiego solo
fino a garantirsi la decorrenza della
pensione; viceversa, il dipendente già in
possesso del diritto alla pensione, una
volta raggiunto il limite d'età vedrà la
p.a. intimargli la cessazione dell'impiego
(è un obbligo per la p.a.).
Stop agli incentivi. Dalla sopravvivenza dei
limiti di età ordinamentale, spiega la
circolare, discende che nel settore pubblico
non opera il principio di incentivazione
alla permanenza in servizio fino a 70 anni
di età. Si tratta, in particolare, della
possibilità di rimanere più a lungo a lavoro
al fine di maturare il diritto alla
pensione, perché all'età di 70 anni non
opera più il requisito dell'«importo
minimo» di pensione (pari a 1,5 volte
l'assegno sociale). Dunque, tale opportunità
non vale per i pubblici dipendenti e non
vale neppure l'altra facoltà, specifica per
il settore pubblico, del concetto di
«massima anzianità contributiva».
In
particolare spiega la circolare,
l'estensione a tutti i lavoratori, dall'01.01.2012, del criterio contributivo
rende inapplicabili le disposizioni che
consentivano al personale pubblico di
proseguire il servizio sino al
raggiungimento della massima anzianità
contributiva al fine di conseguire il
massimo della pensione (maggiormente
interessati, nello specifico, erano i
dirigenti civili dello stato e il personale
del comparto scuola).
Il periodo transitorio.
La riforma, tra l'altro, ha fatto salvi i
provvedimenti di collocamento a riposo per
raggiunti limiti di età adottati prima del
06.12.2011 (entrata in vigore del dl n.
201/2011). La salvaguardia, spiega la
circolare, concerne solo le ipotesi di
raggiunti limiti d'età; mentre travolge gli
eventuali provvedimenti di pensionamento
adottati per altri motivi. In tal caso,
pertanto, i dipendenti devono tornare al
lavoro salvo che non possano comunque far
valere il diritto alla pensione per altre
ragioni.
La circolare fa riferimento a quegli atti
con decorrenza dal 2013 per pensionamento di
lavoratori con 40 anni di servizio (e
finestra mobile) e che, invece, non
raggiungono in quell'anno i 42 anni e 5 mesi
se uomini ovvero 41 anni e 5 mesi se donne;
oppure ai casi di accettazione, già nel
2011, di dimissioni per il raggiungimento
della quota nell'anno 2012 o in anni
successivi
(articolo ItaliaOggi
del 09.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Impianti
di videosorveglianza al vaglio del Viminale.
Gli impianti di videosorveglianza comunale
devono essere installati o potenziati in
conformità alle nuova direttive ministeriali
e vagliati preventivamente dal comitato
provinciale per l'ordine e la sicurezza.
Lo
ha chiarito il Ministero dell'interno con la
nota 02.03.2012 n. 224632.
Il ricorso
ai sistemi elettronici di controllo del
territorio è un fenomeno consolidato che è
stato favorito anche dal mutato quadro
normativo che ha ammesso i comuni alla
gestione diretta della sicurezza urbana. La
complessità delle regole, la tutela della
privacy e delle opzioni tecnologiche a
disposizione dei sindaci non ha però portato
sempre a scelte razionali.
Per questo motivo
anche sulla base dell'indicazione espressa
dall'Anci è stato avviato un tavolo tecnico
di confronto con polizia e carabinieri
finalizzato alla redazione di una direttiva
ad hoc, adeguata a supportare le scelte
concrete dei comuni. Ha così visto la luce
la piattaforma della videosorveglianza
integrata, specifica il ministero, ovvero un
articolato documento che fornirà ai comuni
interessati le linee guida per attivare o
potenziare un sistema di videosorveglianza
efficiente. Spetterà però ai comitati
provinciali per l'ordine e la sicurezza
pubblica, specifica il ministero, validare
preventivamente le scelte comunali
utilizzando il documento appena realizzato.
Nell'ottica di un sempre maggior
coinvolgimento della polizia locale sulle
questioni di sicurezza in senso lato il
documento promuove innanzitutto a pieno
titolo il sistema della sicurezza integrata
ovvero il rapporto di stretta collaborazione
tra vigili, polizia e carabinieri. Gli
impianti di videosorveglianza urbana hanno
certamente importanza strategica anche per
le forze di polizia dello stato, prosegue il
decalogo. Per questo motivo il ministero
dell'interno già con una circolare del 06.08.2010 ha evidenziato la necessità di
un esame preliminare di queste installazioni
da parte del locale comitato per l'ordine e
la sicurezza pubblica.
Questa indicazione è
stata ribadita dalle recenti linee guida Anci
sugli impianti di videosorveglianza. In
buona sostanza il luogo più idoneo per
valutare l'idoneità strategica dei progetti
di controllo elettronico del territorio sono
gli uffici del prefetto in occasione dei
comitati periodici sull'ordine e la
sicurezza. Il mutato quadro normativo che ha
declinato a livello locale competenze prima
riservate solo agli organi dello stato in
materia di sicurezza urbana, deve essere
adeguatamente preso in considerazione nella
fase di progettazione o implementazione
degli impianti.
Per elevare e uniformare per quanto
possibile lo standard tecnologico dei
sistemi il documento stabilisce di istituire
un tavolo permanente presso il Viminale
deputato a presidiare l'evoluzione
tecnologica. Pieno appoggio
all'interconnessione dei sistemi tra polizia
locale e nazionale, infine, ma anche un
decalogo operativo per i comuni che
intendono ampliare o installare nuovi
apparati
(articolo ItaliaOggi
del 09.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Sbobinature senza segreti.
Accesso alle trascrizioni delle sedute
consiliari. Le registrazioni sono da
equiparare a un documento
amministrativo.
L'ente locale è tenuto a dare positivo
riscontro alla richiesta di accesso al c.d.
«sbobinamento» della registrazione sonora di
una seduta di consiglio comunale?
Ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. d),
della legge n. 241/1990, deve intendersi per
«documento amministrativo» di cui può essere
chiesto l'accesso «ogni rappresentazione
grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie
del contenuto di atti, anche interni o non
relativi ad uno specifico procedimento,
detenuti da una pubblica amministrazione e
concernenti attività di pubblico interesse,
indipendentemente dalla natura pubblicistica
o privatistica della loro disciplina
sostanziale».
A tale proposito, la giurisprudenza
amministrativa si è più volte pronunciata
nel senso di ritenere che semplici appunti,
come devono essere considerate le
registrazioni effettuate dal segretario
comunale a proprio uso, non ancora tradotti
in atti, «non assurgono alla qualificazione
di documento amministrativo» (Tar Veneto n.
60 del 2002, Tar Lombardia, Milano, n. 1914
del 2009).
In senso contrario si è espresso
recentemente il Tar Piemonte ritenendo che
«la registrazione sonora delle sedute
consiliari è suscettibile di essere inclusa
nella nozione di documento amministrativo
rilevante, ai sensi dell'art. 22, comma 1,
lettera d), della legge n. 241/1990, ai fini
dell'esercizio del diritto di accesso» (Tar
Piemonte sentenza 27/05/2011, n. 563).
Con parere reso in data 22.10.2002 in
riferimento alla medesima problematica, la
commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi, istituita nell'ambito della
presidenza del consiglio dei ministri, ha
precisato che occorre «distinguere il caso
in cui il segretario comunale raccolga per
proprio uso personale dei meri appunti
informali dell'adunanza consiliare, anche
eventualmente su supporto magnetico per la
redazione del successivo verbale,
dall'ipotesi in cui la registrazione dello
svolgimento della seduta consiliare
costituisca adempimento di una mansione
d'ufficio. Nel primo caso, gli appunti
raccolti dal segretario sono da considerarsi
alla stregua di una bozza strettamente
personale, che potendo essere liberamente
modificata non ha alcun carattere di
documento amministrativo. Nel secondo caso,
invece, la registrazione non è modificabile,
ed il segretario o il personale
espressamente incaricato di essa rispondono
della sua genuinità; sicché la
registrazione, dovendosi ritenere fedele
riproduzione del dibattito consiliare,
costituisce documento amministrativo, come
tale accessibile da parte degli
interessati».
Nel parere del 25.11.2008, la medesima
Commissione ha ritenuto ostensibile la
registrazione della seduta di un consiglio
comunale confermandone la natura di
documento amministrativo al quale è
garantito il diritto di accesso degli
interessati, «senza che sia necessario fare
richiamo alla normativa di speciale favore
prevista per i consiglieri comunali».
Pertanto, nel caso in cui il comune si
avvalga, in via istituzionale, di un
apposito servizio di trascrizione da nastro
di interventi delle sedute consiliari,
sussistono i presupposti oggettivi circa la
natura di documento amministrativo delle
registrazioni in discorso, richiesti
dall'art. 22, comma 1, lett. d) della legge
n. 241/1990 ai fini dell'esercizio del
diritto di accesso.
Per quanto concerne il
requisito soggettivo previsto dalla
normativa in commento, si rammenta che ai
sensi dell'art. 22, comma 1, lett. b), della
legge n. 241/1990 si definiscono
«interessati» tutti i soggetti privati,
compresi quelli portatori di interessi
pubblici o diffusi, che abbiano un interesse
diretto, concreto e attuale, corrispondente
ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto
l'accesso. Tale nozione è stata interpretata
in giurisprudenza in senso più ampio
rispetto all'interesse all'impugnativa
qualificabile in termini di diritto
soggettivo o di interesse legittimo.
«La
legittimazione all'accesso,
conseguentemente, viene riconosciuta a
chiunque possa dimostrare che gli atti
procedimentali oggetto dell'accesso abbiano
spiegato o siano idonei a spiegare effetti
diretti o indiretti nei suoi confronti,
indipendentemente dalla lesione di una
posizione giuridica, stante l'autonomia del
diritto d'accesso, inteso come interesse ad
un bene della vita distinto rispetto alla
situazione legittimante alla impugnativa
dell'atto» (Cds sez. VI, sent. n. 6440 del
27/10/2006, Tar Lazio, n. 3115 del 2008).
La sussistenza dell'interesse, quale
requisito soggettivo ex art. 22, comma 1,
lett. b), citato, del soggetto richiedente
l'accesso dovrà essere valutata alla luce
dei principi giurisprudenziali sopra
evidenziati e in base alle disposizioni
regolamentari recanti la disciplina del
diritto di accesso adottate dall'ente locale
(articolo ItaliaOggi
del 09.03.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
decreto semplificazioni/ «Pa» più veloce, ok
alla fiducia. Martedì il sì alla Camera:
certificati addio, atti via web ma resta il
nodo tlc
GLI ULTIMI RITOCCHI/ Via la tassa a carico
delle Regioni per sovvenzionare la
protezione civile. Partita ancora aperta sul
«fondo imprevisti» del Tesoro.
Addio ai certificati
cartacei. Pratiche burocratiche in tempo
reale. Iscrizioni online alle università.
Possibilità di produrre il pane la domenica.
Un anno in più per il bonus Sud. Piano
triennale taglia oneri burocratici in tempi
brevi. Cartella clinica elettronica e nuova
sperimentazione della social card, estesa a
tutti i cittadini comunitari.
Con questa fisionomia, rivista in diversi
punti dalle commissioni della Camera, il
decreto semplificazioni si accinge ad
approdare al Senato. Il via libera di
Montecitorio al testo arriverà martedì dopo
che ieri il Governo ha incassato la fiducia
della Camera (la decima) con 479 sì, 75 no e
7 astenuti. Almeno due i nodi che restano
irrisolti: la limitazione del «fondo
imprevisti» del ministero dell'Economia
(calamità naturali) e il pacchetto
telecomunicazioni.
Un pacchetto, quest'ultimo, che prevede che
gli operatori non debbano pagare per servizi
non richiesti: per le "attività"
accessorie le società potranno rivolgersi
anche a imprese terze. Ma queste misure,
secondo l'associazione europea degli
operatori di telecomunicazioni (Etno), e
anche a parere dell'Agcom, sarebbero in
contrasto con la normativa comunitaria (si
veda l'altro articolo in pagina). Appare
probabile, quindi, che la questione venga
affrontata al Senato. È lo stesso ministro
della Pubblica amministrazione, Filippo
Patroni Griffi, a non chiudere la porta a
nuovi ritocchi: «Al Senato c'è abbastanza
tempo» per un esame approfondito del
testo (va convertito entro il 9 aprile,
ndr), «valuteremo le proposte emendative».
Il ministro si dichiara comunque soddisfatto
per il lavoro della Camera.
Tra i correttivi quasi certi c'è quello per
eliminare, o attenuare, la limitazione,
decisa in commissione a Montecitorio, del
fondo spese impreviste del Tesoro,
utilizzato per le prime emergenze in caso di
calamità. Il testo che esce dalla Camera
prevede anche lo stop all'obbligo per le
Regioni di sovvenzionare gli interventi
della protezione civile dopo le calamità
naturali aumentando le accise sulla benzina.
Al Senato potrebbe riaprirsi anche la
partita sull'assunzione di 10mila
insegnanti, saltata alla fine di un duro
braccio di ferro tra Pd e Pdl e non senza
tensioni con il Governo, così come peraltro
sul «fondo imprevisti». Anche se il
compromesso trovato in extremis a
Montecitorio, che prevede lo sblocco degli
organici dei docenti rispettando però i
tagli introdotti tre anni fa dal Governo
Berlusconi, sembra destinato a tenere. Sul
fronte scuola arrivano anche misure contro
il bullismo.
Anche dopo le modifiche della Camera
l'obiettivo di fondo del provvedimento resta
la velocizzazione della Pa. Dal 2014 le
comunicazioni con gli uffici pubblici
dovranno avvenire «esclusivamente»
attraverso i «canali telematici e la
posta elettronica certificata». I
certificati potranno essere chiesti via web
e le iscrizioni agli atenei saranno
possibili solo online. Dal prossimo anno
accademico (2013-2014) pure il libretto
degli esami universitari sarà "virtuale".
Anche le multe viaggeranno via web e i
pagamenti all'Inps non potranno più essere
cash.
I cambi di residenza e altri documenti
saranno concessi in tempo reale. Viene
prolungata la validità del bollino blu per
le auto e sono eliminate le duplicazioni per
i certificati dei disabili. Diventano più
semplici le procedure per l'assunzione di
immigrati extracomunitari mentre la
semplificazione dei controlli sulle imprese
non si applicherà a salute e sicurezza sul
lavoro.
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Le misure principali
ITER PIÙ SNELLI
Diverse le semplificazioni per i cittadini:
i cambi di residenza avverranno in tempo
reale, la richiesta di certificati potrà
essere fatta per via telematica, procedure
veloci per le patenti degli ultraottantenni
PAGAMENTI ONLINE
Dal 1° maggio i versamenti dell'Inps saranno
effettuati solo online. Sarà possibile
pagare via web anche multe, tasse, ticket
(le amministrazioni dovranno comunicare l'Iban)
e marche da bollo
CARTELLE CLINICHE
Nei piani di sanità nazionali e regionali si
privilegia la gestione elettronica delle
pratiche, attraverso l'utilizzo della
cartella clinica elettronica e i sistemi di
prenotazione elettronica
UNIVERSITÀ IN RETE
In vigore da subito la norma che prevede le
iscrizioni agli atenei esclusivamente
online. Dal prossimo anno accademico anche
il libretto con gli esami sostenuti e i voti
sarà telematico
SOCIAL CARD
La social card non sarà più riservata ai
soli cittadini italiani ma potrà essere
attribuita anche a quelli comunitari. Si
amplia così la platea dei fruitori della
carta acquisti
(articolo Il Sole 24
Ore
del 09.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Doppia indennità alla polizia
locale. Decisione del Tribunale di
Verona.
LA MOTIVAZIONE/ Si devono compensare in modo
specifico particolari situazioni di lavoro
molto gravose.
Con due sentenze pronunciate il 23.02.2012 e
l'01.03.2012, i Tribunali di Verona e di
Rimini hanno stabilito che è possibile
corrispondere al personale dell'area della
vigilanza l'indennità di disagio.
Negli enti locali italiani accade spesso che
alla Polizia locale venga riconosciuta, in
aggiunta all'indennità di vigilanza, anche
quella di disagio. Sennonché in occasione
delle ispezioni inviate dalla Ragioneria
dello Stato, frequentemente vengono
sollevati specifici rilievi su questo
aspetto.
Secondo la Ragioneria –che si rifà
all'orientamento dell'Aran– il personale
dell'area della vigilanza è adeguatamente
tutelato per la specificità delle
prestazioni richieste e per l'impegno, la
gravosità dei compiti e le responsabilità
connesse, attraverso l'indennità di
vigilanza. Di conseguenza, il cumulo della
predetta indennità con quella di disagio è
possibile solo in casi molto limitati.
Le due controversie decise dal Tribunale di
Verona e da quello di Rimini originano
proprio da ispezioni ministeriali che
avevano sollevato questa censura. Nelle
sentenze in commento, che sono le prime a
occuparsi della questione, i giudici,
accogliendo la tesi dei vigili, hanno
giudicato legittima la corresponsione
dell'indennità di disagio al personale della
Polizia locale e hanno ritenuto validi i
relativi accordi decentrati integrativi.
Nella sentenza veronese si legge, infatti,
che le due indennità «sono dirette a
compensare particolari modalità di
svolgimento della prestazione lavorativa, le
quali non sono necessariamente coincidenti».
Secondo il Tribunale scaligero, «l'indennità
di disagio ha la funzione di compensare
particolari situazioni di lavoro più gravose
(turni, rischi, reperibilità, esposizione a
intemperie e agenti atmosferici), mentre
l'indennità di vigilanza ha la funzione di
attribuire un riconoscimento economico per
lo svolgimento di particolari funzioni
(polizia giudiziaria), che comportano
particolari responsabilità». Ne consegue
che i contratti collettivi che riconoscono
l'indennità di disagio al personale della
vigilanza «non risultano affetti da
nullità ai sensi dell'articolo 40 del Dlgs
165/2001, per contrasto con norme imperative
o con i vincoli dettati dalla contrattazione
nazionale».
Valutazione analoga è stata fatta dal
Tribunale di Rimini. Le conclusioni
raggiunte dalle due sentenze sono
condivisibili, anche se desta qualche
perplessità l'affermazione secondo cui
l'indennità di disagio dovrebbe compensare
condizioni di lavoro più gravose quali
turni, rischi, reperibilità. Infatti, per
tali caratteristiche della prestazione sono
previste dai contratti nazionali voci ad
hoc dello stipendio.
Peraltro, anche il Parlamento sembra
intenzionato a recepire il punto di vista
dei giudici. Si ricorda, infatti, che sono
giacenti alle Camere diversi disegni di
legge orientati in tal senso e che il
Senato, con l'ordine del giorno 9/2479/12
del 15.12.2010, ha impegnato il Governo ad
adoperarsi al fine di garantire al personale
della Polizia locale, in aggiunta a quelle
già previste, una indennità «diretta a
remunerare gli specifici rischi e i disagi
correlati all'esercizio delle funzioni di
cui all'articolo 5 della legge 07.03.1986,
n. 65»
(articolo Il Sole 24
Ore
del 09.03.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: FUNZIONE
PUBBLICA/ Cumulabili congedi e permessi.
Il dipartimento della Funzione pubblica
illustra con la circolare
03.02.2012 n. 1 le
novità introdotte dal Dlgs 119/2011 in
materia di congedo parentale prolungato e di
congedo straordinario per l'assistenza a
familiari con grave handicap, per gli
aspetti che più interessano i dipendenti
pubblici.
Le maggiori novità riguardano la possibilità
di cumulare le diverse tipologie di permessi
e congedi nell'arco dello stesso mese, ma
non nello stesso giorno. Deve pertanto
intendersi superata la circolare n. 13 del
2010 che precludeva il cumulo fra congedo
straordinario e permessi ex lege
104/1992
(articolo Il Sole 24
Ore
del 09.03.2012). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: SEMPLIFICAZIONI/ Durc d'ufficio
in edilizia e appalti.
L'impresa non avrà più l'obbligo di produrre
la certificazione. Toccherà
alla p.a. acquisire i documenti. Addio al
vincolo per i lavori privati.
Nelle gare di appalto di lavori e
nell'edilizia privata scatta l'obbligo per
le amministrazioni pubbliche di acquisire
d'ufficio il Durc; nei lavori pubblici
quindi si conferma che il concorrente non
avrà più l'onere di produrre la
certificazione ma sarà onere della stazione
appaltante provvedere ad acquisirlo
direttamente dall'ente competente al
rilascio; nell'edilizia privata la norma
avrà un impatto maggiore dal momento che
fino ad oggi è l'impresa a dover produrre il
durc.
È questa una delle modifiche più
significative contenute nel testo del
disegno di legge di conversione del decreto
legge n. 2 del 2012, approvato dalle
commissioni affari costituzionali e attività
produttive della camera.
La norma, prevista
come comma 6-bis dell'articolo 14 del testo,
incide quindi sul certificato che attesta
contestualmente la regolarità di un
operatore economico per quanto concerne i
versamenti dovuti a Inps, Inail, nonché
Cassa edile per i lavori dell'edilizia,
verificati sulla base della rispettiva
normativa di riferimento. Va ricordato che
la regolarità contributiva oggetto del
documento unico di regolarità contributiva
riguarda tutti i contratti pubblici, siano
essi di lavori, di servizi o di forniture,
siano appalti o concessioni.
La disposizione
approvata dalle commissioni riunite che
prevede l'obbligo di acquisire d'ufficio il Durc dagli enti abilitati al suo rilascio in
tutti i casi in cui ciò sia richiesto dalla
legge, non si applica però a tutti i tipi di
contratto per i quali vige l'obbligo del
Durc, riferendosi soltanto ai «lavori
pubblici» e a quelli «privati
dell'edilizia». Infatti, stando al tenore
letterale della norma, nonostante il Durc
sia obbligatorio non solo nel settore dei
lavori, ma anche in quello delle forniture e
dei servizi, l'obbligo di acquisizione
d'ufficio da parte delle stazioni appaltanti
scatta soltanto nel caso dei lavori e non
nel caso di appalti di servizi e forniture.
Va altresì chiarito che l'acquisizione
d'ufficio del Durc da parte delle stazioni
appaltanti era già prevista dall'articolo
16-bis, comma 10, del decreto legge n.
185/2008, convertito nella legge n. 2/2009
ove si specifica che l'acquisizione
d'ufficio del documento può avvenire, anche
attraverso gli strumenti informatici, dagli
istituti o dagli enti abilitati al rilascio
in tutti i casi in cui è richiesto dalla
legge (anche per il pagamento degli stati di
avanzamento dei lavori). Il riferimento,
nella norma approvata dalle commissioni,
alle modalità di acquisizione di ufficio
previste dall'articolo 43 del dpr 445/2000,
conferma che si può procedere in via
telematica e che le amministrazioni
certificanti sono tenute a consentire alle
amministrazioni procedenti, senza oneri, la
consultazione per via telematica dei loro
archivi informatici, nel rispetto della
riservatezza dei dati personali.
Nell'ambito della nozione di «lavori
pubblici», rientrano, stante il
riferimento all'oggetto della prestazione,
sia i lavori affidati in appalto, sia i
lavori affidati in appalti misti o in
concessione di costruzione e gestione. In
particolare le p.a. si dovranno rivolgere
all'Inps, all'Inail e alle Casse edili (nel
settore edile) (articolo ItaliaOggi
dell'08.03.2012). |
APPALTI: Appalti,
nulla cambia sulle soglie.
Nella trattativa privata nessuna riduzione
degli importi. Alla camera sparisce la norma
del maxiemendamento al dl 1/2012 che
modificava il Codice.
Retromarcia sulle modifiche alle soglie
nella trattativa privata per gli appalti:
sparisce, nel testo all'esame della camera,
la norma inserita nel maxiemendamento
approvato in aula al senato al decreto
liberalizzazioni (dl n. 1/2012) che
comprendeva le modifiche al Codice dei
contratti pubblici; la disposizione non era
stata mai approvata in Commissione;
rimangono quindi in vigore le attuali
disposizioni sulle soglie per la trattativa
privata.
È questo l'effetto della scomparsa
del comma 2 dell'articolo 40-bis nel testo
del decreto-legge sulle liberalizzazioni
pubblicato alla camera con il numero 5025.
Un rebus che ItaliaOggi ha potuto risolvere.
Vediamo come.
Partendo dalla fine proviamo a ricostruire
cosa è successo. La settimana scorsa, a
conclusione dell'esame del provvedimento al
senato, veniva data per approvata una norma
del maxiemendamento votato in aula che,
incidendo sul decreto sviluppo (dl n. 70
convertito nella legge 106/2011), aveva
modificato le norme del Codice dei contratti
pubblici sulla procedura negoziata
(trattativa privata) con e senza
pubblicazione del bando (toccando gli
articoli 122, comma 7 e di conseguenza gli
articoli 56 e 57).
L'effetto sarebbe stato
quello per cui la soglia per la procedura
negoziata con invito a cinque si sarebbe
ridotta da un milione a 500 mila euro. Si
prevedeva anche l'applicabilità della
trattativa privata senza pubblicazione di
bando a seguito di gara andata deserta, ma
con il precedente limite di un milione di
euro. Analoga modifica veniva introdotta per
la trattativa privata con pubblicazione del
bando di gara. Inoltre veniva ridotta a un
milione di euro (dai precedenti 1,5 milioni
di euro previsti dalla modifica del dl n.
70) la soglia per potere utilizzare la
procedura ristretta semplificata. Infine il
comma 2 del maxiemendamento avrebbe portato
a 500 mila (da un milione) anche la soglia
per la trattativa privata nei beni
culturali.
Tutto questo era stato previsto sia
nell'emendamento presentato in aula a firma
della Commissione, che aveva lo scopo di
riportare in aula tutte le norme approvate
in commissione industria, sia nel
maxiemendamento successivamente predisposto
dal governo e sul quale è poi stata chiesta
e ottenuta la fiducia. Nel passaggio del
testo alla camera della norma (l'ormai
famigerato comma 2 dell'articolo 40-bis) si
perdono le tracce.
Rileggendo gli atti
parlamentari si scopre che la Commissione
industria aveva sì approvato l'articolo
40-bis ma in una versione che comprendeva
soltanto un comma (frutto dell'emendamento
40.0.14, primo firmatario il senatore Luigi Zanda)
relativo ai cosiddetti «grandi eventi».
Con tutta probabilità l'errore è dipeso dal
fatto che di questo emendamento erano stati
presentati due diversi testi: il primo che
comprendeva anche il comma 2 con le
modifiche al Codice, riportato erroneamente
nel maxiemendamento, e un secondo (quello
effettivamente approvato in commissione
previa riformulazione da parte dei
firmatari) con il solo comma 1.
In sede di coordinamento formale del testo,
prima della trasmissione alla camera, ci si
è accorti dell'errore ed è stata corretta la
norma espungendo le modifiche al Codice dei
contratti che, però, il legislatore ha
comunque votato, con la fiducia sul
maxiemendamento, e che tutti davano per
approvate (articolo ItaliaOggi
dell'08.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
aggiornamento all'08.03.2012 |
|
VARI: Alla patente di
guida non si applica la scadenza al
compleanno. Circolare del ministero dei trasporti.
La patente di guida resta disciplinata dal
codice stradale e pertanto a questo
documento non si applica l'allineamento
della scadenza al compleanno
dell'interessato introdotto dal dl 5/2012.
Lo ha chiarito il Ministero dei trasporti
con la
circolare
05.03.2012 n. 6193 di prot..
Il decreto legge n. 5/2012 ha disposto che i
documenti di identità e di riconoscimento di
cui all'art. 1, comma 1, lett. c), d) ed e),
del decreto del dpr n. 445/2000 sono
rilasciati o rinnovati con validità
prolungata fino alla data del compleanno del
titolare immediatamente successiva alla loro
scadenza naturale. In pratica si tratta dei
documenti rilasciati o rinnovati dopo il 10.02.2012, data di entrata in vigore del
decreto.
Circa l'applicabilità della riforma
anche alle patenti di guida il tenore
letterale dell'art. 7 del dl n. 5/2012 in
realtà lasciava spazio a forti dubbi e
perplessità. È pur vero che, secondo la
definizione che viene data dal dpr 445/2000
è documento di riconoscimento «ogni
documento munito di fotografia del titolare
e rilasciato, su supporto cartaceo,
magnetico o informatico, da una pubblica
amministrazione italiana o di altri stati,
che consenta l'identificazione personale del
titolare», compresa la patente, come
peraltro evidenziato dal Ministero
dell'interno con il parere del 13.12.2004. Però, l'eventuale allungamento fino
alla data del compleanno della scadenza di
validità farebbe sorgere importanti
criticità, in considerazione delle norme
speciali nazionali e delle disposizioni
comunitarie attualmente vigenti in materia
di rilascio e conferma di validità delle
licenze di guida.
Questi dubbi (si veda ItaliaOggi del
21/02/2012) sono stati confermati dal
Ministero dei trasporti con la circolare di
lunedì scorso che ha escluso l'applicazione
dell'art. 7 del dl 5/2012 alle patenti di
guida. L'art. 126 del codice della strada
fissa in modo preciso la durata di validità
delle varie categorie di patente, prevedendo
sanzioni pecuniarie e accessorie per chi
circola con il documento di guida scaduto
(articolo ItaliaOggi del 07.03.2012). |
CONDOMINIO:
Parcheggio a trasferimento
libero.
Box cedibile anche a prescindere dalla
vendita dell'immobile. Il dl semplificazioni
liberalizza la circolazione delle aree
adibite a posto auto pertinenziale.
Liberalizzazione ad ampio raggio anche per
la circolazione delle aree adibite a
parcheggio pertinenziale.
Il dl n. 5/2012
(decreto semplificazioni), modificando sul
punto la cosiddetta legge Tognoli, ha
infatti previsto che il proprietario di un
immobile dotato di parcheggio di pertinenza
realizzato nel sottosuolo o al piano terra
dell'edificio condominiale con le
maggioranze agevolate di cui alla predetta
legge del 1989, possa vendere quest'ultimo
anche a prescindere dal trasferimento della
proprietà dell'appartamento, purché il nuovo
acquirente abiti nel medesimo comune in cui
è ubicato l'immobile.
Nel tentativo di risolvere il problema dei
parcheggi degli autoveicoli che, da svariati
anni, soffocano i centri urbani e
gradualmente hanno cominciato a occupare
anche le zone semicentrali e periferiche, il
legislatore è intervenuto a più riprese con
svariate disposizioni inserite in numerosi
testi normativi emanati nell'arco degli
anni. In particolare, bisogna ricordare che
alla fine degli anni 80, per cercare di
porre rimedio alla situazione sopra
descritta, è stata introdotta una nuova
normativa (legge 24.03.1989 n. 122,
cosiddetta legge Tognoli) finalizzata
all'incentivazione della costruzione di
parcheggi nelle aree sottostanti o
pertinenziali agli edifici condominiali o
nel piano terra degli stessi.
Ebbene, il
recente decreto legge sulle semplificazioni
e lo sviluppo, nel tentativo di allentare i
rimanenti lacci e lacciuoli previsti dalla
legge in materia di compravendita delle aree
destinate a parcheggio degli autoveicoli, ha
innovato profondamente la peculiare
disciplina prevista dalla vecchia legge
Tognoli, che tanto aveva affaticato la
giurisprudenza e la dottrina.
Legge 122/1989 e condominio: le norme
fondamentali. La legge Tognoli ha previsto
che i condomini possano realizzare nel
sottosuolo o nei locali posti al piano
terreno del condominio, oppure nel
sottosuolo di aree pertinenziali esterne al
caseggiato, parcheggi da destinare a
pertinenza delle singole unità immobiliari
(cioè a uso esclusivo dei residenti), anche
in deroga agli strumenti urbanistici e ai
regolamenti edilizi vigenti.
È importante
sottolineare, però, che restano in ogni caso
fermi i vincoli previsti dalla legislazione
in materia paesaggistica e ambientale (e i
poteri attribuiti dalla medesima
legislazione alle regioni e ai ministeri
dell'ambiente e per i beni culturali).
Naturalmente, poi, la realizzazione di
questi spazi è subordinata alla richiesta
dei necessari permessi edilizi. In ogni caso
la realizzazione del parcheggio è possibile
solo con una deliberazione approvata
dall'assemblea condominiale, in prima o in
seconda convocazione, con il voto favorevole
della maggioranza degli intervenuti e almeno
la metà del valore dell'edificio.
Le condizioni per la realizzazione dei
parcheggi. La realizzazione del parcheggio
non può avvenire se è in contrasto con la
stabilità o il decoro del fabbricato o se
comporta la sottrazione di parti comuni
all'uso e al godimento di un solo condomino.
In secondo luogo, le opere in oggetto
costituiscono innovazioni gravose,
comportando oneri economici particolarmente
rilevanti: di conseguenza i dissenzienti,
così come prevede la legge, potranno essere
esonerati da qualsiasi contribuzione alle
spese ma potranno decidere in qualsiasi
momento di aderire al progetto di
parcheggio, pagando le spese di esecuzione e
manutenzione dell'opera. In altre parole è
possibile realizzare box sotterranei, previa
delibera condominiale, pur se in numero
inferiore a quello della totalità dei
condomini, non potendo i condomini
dissenzienti impedire tale realizzazione
voluta invece dalla maggioranza dei
partecipanti al condomini
Quindi è possibile che il numero delle
autorimesse sotterranee realizzate sia
inferiore al numero degli appartamenti.
Tuttavia la sottrazione di una parte del
bene comune è consentita solo se è
assicurata in futuro anche ai condomini
dissenzienti il pari uso del sottosuolo
avvalendosi della possibilità di realizzare
nell'area di detto bene comune rimasta
libera un parcheggio pertinenziale
dell'unità immobiliare di proprietà
esclusiva: tutti i condomini, nessuno
escluso, devono infatti avere la possibilità
di godimento del sottosuolo secondo la sua
destinazione (prevista normativamente) ad
alloggiare autorimesse. Solo se tale
possibilità è garantita la delibera adottata
a maggioranza può essere ritenuta valida, in
quanto non in contrasto con la legge.
Il vincolo a pertinenza degli appartamenti:
le novità del decreto legge 09.02.2012
n. 5. La legge Tognoli precisava che i
parcheggi con le caratteristiche di cui
sopra non potevano essere ceduti
separatamente dall'unità immobiliare alla
quale erano legati da vincolo pertinenziale
e che i relativi atti di cessione erano
nulli.
L'intento del legislatore era stato
evidentemente quello di evitare speculazioni
da parte di chi aveva usufruito di speciali
deroghe e agevolazioni per la realizzazione
degli spazi in oggetto, prevedendo
espressamente che i parcheggi in tal modo
realizzati fossero sottoposti sia a
circolazione che a utilizzazione vincolata.
In buona sostanza, unicamente per tali
spazi, era stato previsto un vincolo di
destinazione di ordine pubblicistico, cioè
il divieto di cessione del bene immobile
separatamente dall'appartamento del quale lo
stesso era da considerarsi pertinenziale.
Tuttavia il recente decreto legge cosiddetto
semplificazione e sviluppo (dl n. 5 del 09.02.2012) all'art. 10, modificando sul
punto la legge Tognoli, ha stabilito che la
proprietà dei parcheggi di pertinenza delle
abitazioni possa essere trasferita
separatamente dall'unità immobiliare di
riferimento, a condizione che ciò avvenga
solo con contestuale destinazione del
parcheggio trasferito a pertinenza di altra
unità immobiliare sita nello stesso comune.
Il nuovo testo normativo prevede però ancora
un'eccezione: esso stabilisce infatti che la
cessione dell'area adibita a ricovero delle
auto non possa avvenire, pena la nullità
dell'atto di trasferimento, ove abbia a
oggetto parcheggi realizzati su previsione
dei comuni nell'ambito del programma urbano
dei parcheggi da destinare a pertinenza di
immobili privati, insistenti su aree
comunali o nel sottosuolo delle medesime.
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Tutti i condomini hanno diritto d'uso.
I parcheggi creati sulla base della
cosiddetta legge ponte, in quanto di
obbligatoria edificazione in quantità
proporzionale alla cubatura totale del
condominio, hanno un vincolo di carattere
pubblicistico, poiché tutti i condomini
godono di un diritto reale d'uso sui
predetti spazi, che non può essere frustrato
dalla volontà contraria del costruttore.
Questa la posizione espressa ormai da tempo
dalla Suprema corte in relazione ai
parcheggi edificati in base alla legge n.
765/1967 (che ha modificato l'art. 41-sexies
della legge urbanistica n. 1150/1942),
ribadita da ultimo nella recente sentenza n.
1214, depositata in cancelleria lo scorso 27.01.2012.
Si tratta di una tipologia di parcheggi che
l'elaborazione giurisprudenziale ha ritenuto
diversa da quella ricadente nella cosiddetta
legge Tognoli (e della quale si occupa il
recente intervento di liberalizzazione di
cui al dl n. 5/2012). Infatti, come chiarito
in maniera esemplare dalla stessa Cassazione
(sentenza n. 21003 dell'01.08.2008),
mentre per quelli che ricadono nella
disciplina di cui alla legge n. 122/1989 (e
ora liberalizzati a partire dal 10 febbraio
scorso) non era ammissibile una
commercializzazione disgiunta
dall'appartamento al quale gli stessi si
riferivano, per quelli previsti dalla
cosiddetta legge ponte la libera
circolazione era già prevista dalla legge,
fermo restando il diritto reale d'uso
dell'area in capo al proprietario
dell'appartamento.
Nel caso deciso dalla seconda sezione civile
della Suprema corte con la predetta sentenza
n. 1214/2012 gli acquirenti di un immobile
di nuova costruzione avevano citato in
giudizio l'impresa costruttrice che,
nell'edificare il palazzo, aveva trattenuto
per sé la proprietà delle aree a parcheggio
costruite, impedendo agli acquirenti di
farne uso. Questi ultimi avevano quindi al
tribunale di accertare il loro diritto di
proprietà in relazione alle predette aree o,
quantomeno, il loro diritto reale d'uso
sulle stesse.
In primo grado i giudici avevano quindi
convalidato il sequestro giudiziario
concesso in corso di causa, riconoscendo
agli acquirenti, previo pagamento del
prezzo, la proprietà di un posto auto
individuato grazie a una consulenza tecnica
d'ufficio (che aveva anche provveduto a
valutare il relativo valore di mercato).
Nel giudizio di appello, promosso
dall'impresa costruttrice, la Corte
territoriale aveva invece ritenuto che non
dovesse essere accolta la domanda degli
acquirenti volta al riconoscimento di un
proprio diritto di proprietà sugli spazi
adibiti a parcheggio, trattandosi in realtà
di un diritto reale d'uso (relativo comunque
alla stessa area ceduta in proprietà a
seguito della sentenza di primo grado).
La Suprema corte, nel confermare sul punto
la decisione di appello, ha ricordato i
numerosi precedenti di legittimità (da
ultimo la sentenza n. 730 del 16.01.2008)
che hanno chiarito come ai proprietari degli
appartamenti degli edifici condominiali nei
quali siano stati previste aree di
parcheggio spetti il diritto reale di uso
delle stesse, a prescindere dalla proprietà
di esse, che può anche rimanere in capo
all'impresa costruttrice (articolo ItaliaOggi Sette
del 05.03.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: Personale. «Pasticcio» sul maltempo.
Assenze per neve, Governo in panne sui tagli
in busta paga.
LE PROSPETTIVE/
Difficile retribuire il dipendente in
assenza della prestazione Probabile
l'utilizzo di ferie, permessi o recuperi.
Il maltempo delle scorse settimane ha creato
difficoltà anche agli uffici personale della
Pa. Il problema consiste nel trovare una
motivazione giuridica che possa consentire
il pagamento dei giorni di assenza causa
neve, e la soluzione non sembra agevole. In
questi giorni, molte amministrazioni si
stanno rivolgendo alla Funzione pubblica per
avere chiarimenti in merito.
La questione è stata oggetto di analisi da
parte degli interpreti istituzionali e della
giurisprudenza. In diverse occasioni, l'Aran
ha affermato che l'assenza del dipendente, o
la chiusura degli uffici da parte datoriale
in conseguenza di eventi atmosferici e
calamità naturali, rientra nelle ipotesi di
forza maggiore sopravvenuta, non imputabile
al datore di lavoro né al lavoratore. Ergo,
se il dipendente non ha potuto lavorare, la
parte datoriale, non avendo beneficiato di
alcuna prestazione, non può corrispondere la
retribuzione. In tal senso si era espressa
anche la Cassazione lavoro, con la sentenza
481/1984. In caso contrario, secondo l'Aran,
si verrebbero a determinare oneri impropri e
ingiustificati a carico del bilancio degli
enti che, letti dalla Corte dei conti, si
trasformerebbero in danno all'erario.
Volendo in ogni caso evitare la decurtazione
della retribuzione, è necessario individuare
un istituto legale o contrattuale che possa
giustificare l'assenza e, al contempo, ne
preveda la retribuzione. Se nel panorama
legislativo non si rinvengono norme di legge
speciali per la fattispecie, in ambito
contrattuale occorre analizzare comparto per
comparto quali soluzioni possono essere
trovate. A esempio, per i ministeriali, si
prevede la possibilità di utilizzare i
permessi retribuiti per motivi familiari o
personali in caso di impossibilità oggettiva
al raggiungimento della sede di servizio
anche nell'ipotesi di gravi calamità
naturali. Al contrario, per quanto riguarda
gli enti locali, nulla è previsto nel
contratto e quindi si dovrà comunque
ricorrere ai permessi, alle ferie o al
recupero.
La buona volontà della Funzione pubblica si
scontra, oltre che con un consolidato
orientamento interpretativo, anche con il
costo che questa operazione potrebbe
determinare per le casse dello Stato. Per
questo, sarà difficile che l'Economia
supporti una interpretazione estensiva a
favore dei dipendenti pubblici. Sarebbe
inoltre complicato spiegare perché i
dipendenti pubblici che non hanno lavorato
potranno beneficiare della retribuzione
quando i colleghi del settore privato, a
casa per neve ed ai quali si applica lo
stesso quadro normativo, non verrebbero
pagati. Allo stesso tempo, ai dipendenti
pubblici che, proprio a causa delle
condizioni atmosferiche avverse, hanno
dovuto subire turni di lavoro massacranti,
non potrà che essere riconosciuto il
trattamento economico previsto dal
contratto, che si concretizza in pochi euro
in più (articolo Il
Sole 24 Ore del
05.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI:
Contratti pubblici. Sostituzione del
soggetto inadempiente in base al Durc.
L'ente salda i contributi pregressi
dell'appaltatore.
La Pa gira a Inps e Inail i compensi
dell'impresa.
Le amministrazioni appaltanti devono operare
come sostituti contributivi anche quando il
corrispettivo dovuto all'appaltatore copre
solo parzialmente i debiti che lo stesso ha
nei confronti degli enti previdenziali.
Il Ministero del Lavoro e delle politiche
sociali ha definito con la
circolare
16.02.2012 n. 3 gli aspetti applicativi
della procedura prevista dall'articolo 4 del
regolamento attuativo del codice dei
contratti pubblici. La disposizione del Dpr
207/2010 prevede infatti che le
amministrazioni aggiudicatrici, quando
ottengono un Durc che segnali
un'inadempienza contributiva relativa a uno
o più soggetti impiegati nell'esecuzione del
contratto, devono trattenere dal certificato
di pagamento l'importo corrispondente
all'inadempienza e, successivamente, pagare
quanto dovuto per le inadempienze accertate
direttamente agli enti previdenziali e
assicurativi, compresa la Cassa edile. La
norma, in sostanza, prevede un particolare
meccanismo attraverso il quale, quando il
Durc evidenzia irregolarità nei versamenti
dovuti agli enti previdenziali, le stazioni
appaltanti si sostituiscono al debitore
principale, versando –in tutto o in parte–
le somme dovute in forza del contratto di
appalto direttamente agli stessi enti
creditori.
Il ministero del Lavoro chiarisce anzitutto
che sotto il profilo operativo la
trattenuta, da parte dell'amministrazione
aggiudicatrice, delle somme dovute
all'appaltatore va effettuata
successivamente alle ritenute indicate dal
comma 3 dello stesso articolo 4, in base al
quale sull'importo netto progressivo delle
prestazioni si opera una ritenuta dello
0,50% e il complesso di tali ritenute può
essere svincolato soltanto in sede di
liquidazione finale. Quindi la stazione
appaltante prima procede alla ritenuta dello
0,50% e poi, con la somma restante, paga gli
eventuali debiti previdenziali
dell'appaltatore. L'intervento sostitutivo
può operare anche quando lo stesso debito
può colmare solo in parte le inadempienze
dell'appaltatore evidenziate nel Durc.
Le somme finalizzate a soddisfare i crediti
devono essere ripartite tra gli istituti e
le Casse edili creditori in proporzione dei
crediti di ciascun ente previdenziale
evidenziato nel documento di regolarità
contributiva. Per consentire il
coordinamento di più possibili interventi
sostitutivi da parte di amministrazioni che
abbiano contratti di appalto con lo stesso
operatore economico irregolare sotto il
profilo contributivo, il ministero del
Lavoro sollecita le stazioni appaltanti a
preavvisare gli enti previdenziali prima di
procedere ai versamenti. Sempre a garanzia
dell'effettività delle somme dovute, è
importante che le amministrazioni
comunichino tempestivamente agli enti
previdenziali i pagamenti effettuati.
In relazione ai debiti contributivi dei
subappaltatori, a fronte del principio
solidaristico che coinvolge sia gli
appaltatori sia le amministrazioni
appaltanti, queste ultime devono operare con
l'intervento sostitutivo solo per le somme
residue rimaste dopo l'analogo intervento
dell'appaltatore. In tal caso, inoltre,
quanto corrisposto dall'amministrazione non
può eccedere il valore del debito che
l'appaltatore ha nei confronti del
subappaltatore alla data di emissione del
Durc irregolare.
La circolare 3/2012 ha inoltre chiarito il
rapporto tra i versamenti connessi
all'intervento dell'amministrazione come
sostituto previdenziale e quelli da
realizzare per coprire debiti verso l'erario
rilevabili presso Equitalia in caso di
pagamenti superiori a 10.000 euro.
Il ministero del Lavoro ha precisato che
l'attivazione dell'intervento sostitutivo
anche in tali situazioni impedisce il
pagamento dell'appaltatore, poiché le somme
spettanti originariamente a quest'ultimo
sono versate agli enti previdenziali, così
salvaguardando il principio contenuto
nell'articolo 48-bis del Dpr 602/1973.
Peraltro, solo l'applicazione prioritaria
del meccanismo previsto dall'articolo 4 del
regolamento attuativo del codice dei
contratti consente alle imprese, in
prospettiva, di ottenere un Durc regolare e,
pertanto, di continuare a operare sul
mercato, salvaguardando anche i crediti
dell'amministrazione fiscale (che
potrebbero, viceversa, essere compromessi se
si volesse soddisfarli primariamente,
lasciando inalterata l'irregolarità del Durc
e impedendo all'operatore economico di
partecipare agli appalti) (articolo Il Sole 24 Ore
del 05.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al 05.03.2012 |
|
SEGRETARI COMUNALI: Una
casta nascosta: i segretari comunali.
Non si parla mai della Casta dei segretari
comunali, notai dei comuni i quali
raggiungono stipendi mensili da capogiro e
fanno le delibere un tempo con la carta
carbone, oggi con il copia e incolla.
Non sarebbe il caso di chiamarli quando non
si possono risolvere i problemi e pagarli a
ore? Visto che, peraltro, riescono ad
esercitare anche in 15 comuni
contestualmente ...
(articolo
Libero
del 03.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Vigili
e prof, assunzioni senza tetti. I contratti
a termine non sono soggetti al limite del
50%. Nel milleproroghe molte novità sul
personale. Ma le sezioni della Corte conti
sollevano dubbi.
Le assunzioni a tempo
determinato dei vigili urbani e del
personale educativo e docente degli enti
locali non sono soggette nell'anno 2012 al
tetto del 50% della spesa del personale
flessibile assunto dallo stesso ente
nell'anno 2009 o, in mancanza, nel triennio
2007/2009.
È questa, unitamente alla proroga per tutto
il 2012 della validità delle graduatorie per
le assunzioni a tempo indeterminato
approvate dopo il 30.09.2003, la più
importante novità dettata in materia di
personale dalla legge n. 14/2012 di
conversione del decreto cosiddetto
milleproroghe.
Con questo chiarimento viene consentita
un'importante eccezione al nuovo e assai
rigido limite alle assunzioni flessibili
negli enti locali. Ma non vengono risolti i
numerosi dubbi che la norma solleva e su cui
i pareri delle sezioni regionali della Corte
dei conti fin qui adottati sono assai
diversificati, dubbi per risolvere i quali
la sezione di controllo della Corte dei
conti della Lombardia (parere n. 36/2012) ha
investito le sezioni riunite.
È opportuno precisare subito che gli enti
locali, in virtù del carattere di principio
della disposizione, possono derogare al
tetto di spesa fissato dall'articolo 9 comma
28, da una parte per le assunzioni a tempo
determinato, con convenzioni e gli incarichi
di collaborazione coordinata e continuativa
e dall'altra per i contratti di
somministrazione, il lavoro accessorio, i
contratti di formazione e lavoro e gli altri
rapporti formativi. Tale deroga non può
sicuramente operare né per aumentare la
soglia massima della spesa consentita, né
per introdurre eccezioni (tanto più dopo che
queste sono state dettate espressamente dal
legislatore), ma per prevedere che il tetto
del 50% di quanto speso nel 2009 sia
calcolato in modo unitario sul totale di
queste voci e non in modo segmentato per
singole voci e/o per i due blocchi previsti
dalla disposizione legislativa.
La deroga concessa per il 2012 alle
assunzioni a tempo determinato dei vigili
urbani risolve il dubbio se quelle
finanziate con una quota dei proventi
derivanti dalla inosservanza del codice
della strada sfuggano o meno al vincolo di
spesa. Per la sezione regionale di controllo
della Corte dei conti della Toscana, parere
n. 10/2012, questi oneri non devono essere
inclusi nel tetto alla spesa per le
assunzioni flessibili.
La tesi diametralmente opposta è stata fatta
propria della sezione regionale di controllo
della Lombardia, parere n. 21/2012. Il
chiarimento si impone comunque per una
questione più ampia: se si possono escludere
dal tetto di spesa tutte le assunzioni
flessibili i cui oneri sono sostenuti da
altre amministrazioni, dall'Unione europea o
dai privati, anche alla luce della pronuncia
resa dalle sezioni riunite di controllo
della Corte dei conti, deliberazione n.
7/2011, per la quale ai fini della
determinazione del tetto alla spesa per gli
incarichi di consulenza vanno esclusi «dal
computo gli oneri coperti mediante
finanziamenti aggiuntivi e specifici
trasferiti da altri soggetti pubblici o
privati».
Un altro punto di grande rilievo da chiarire
è che cosa devono fare le amministrazioni
locali, il che capita in particolare in
piccoli comuni, che non hanno avuto né nel
2009, né nel triennio 2007-2009, spese per
le assunzioni flessibili, tanto più se le
stesse sono strettamente necessarie.
La sezione regionale di controllo della
Corte dei conti della Lombardia, parere n.
29/2012 consente agli enti di «individuare
un diverso parametro che rappresenti il
limite di spesa anche per gli anni
successivi al 2011. L'ente locale dovrà
motivare puntualmente in ordine alle ragioni
che rendono necessario il ricorso a questa
tipologia di spesa, motivazione rilevante
anche ai fini della responsabilità
espressamente prevista dal penultimo periodo
dell'art. 9, comma 28, dl n. 78/2010»
(articolo ItaliaOggi
del 02.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: LIBERALIZZAZIONI/
Servizi, gestioni più ampie. Sì ad ambiti
superiori al livello provinciale. Nelle gare
valutati i profili di tutela
dell'occupazione.
Gli ambiti dei servizi
pubblici locali potranno anche essere di
livello superiore al territorio provinciale;
nelle gare valutabile anche i profili
attinenti alla tutela dell'occupazione.
Sono questi alcuni dei punti sui quali
incide il nuovo testo dell'articolo 25 del
decreto-legge liberalizzazioni approvato
ieri dal senato, dopo le modifiche in
commissione industria.
Una prima modifica di interesse è quella che
pone un precetto alle regioni, consistente
nell'organizzare lo svolgimento dei servizi
pubblici locali a rete di rilevanza
economica (peraltro si tratta di una dizione
che non appare nelle altre norme, riferite
meramente ai servizi pubblici locali) in
ambiti di bacini territoriali ottimali e di
dimensione non inferiore al livello
provinciale e non più «normalmente»
provinciale).
Le regioni potranno quindi definire ambiti
diversi da quelli provinciali, attraverso un
procedimento teso a coinvolgere gli enti
locali, fatta salva l'organizzazione di
ambiti già prevista o già avviata, con
riferimento alle dimensioni già indicate o a
specifiche direttive europee. Permane il
potere sostitutivo del governo decorso il
termine del 30.06.2012.
L'emendamento approvato in commissione,
confermato ieri dall'aula, prevede inoltre,
come elemento di valutazione dell'offerta da
parte degli aspiranti concessionari di
servizi pubblici, la circostanza che, in
sede di gara, siano stati adottati strumenti
di tutela dell'occupazione. La norma
assoggetta poi le società affidatarie in
house agli oneri cui sono tenuti gli
enti locali in tema di patto di stabilità,
appalti, contratti e personale, ivi comprese
le aziende speciali e le istituzioni degli
enti locali, ma con esclusione, nel testo
della Commissione, di quelle che gestiscono
servizi socio-assistenziali ed educativi,
culturali e farmacie.
L'articolo 25 rafforza inoltre il parere
dell'Autorità garante del mercato nel
procedimento che gli enti locali devono
effettuare per verificare le condizioni di
affidamento in esclusiva piuttosto che di
liberalizzazione dei servizi; si impone
inoltre all'impresa concorrente a realizzare
economie di gestione tali da riflettersi
sulle tariffe o sulle politiche del
personale. Ridotto da 900 mila a 200 mila
euro il valore massimo dei servizi che è
possibile affidare «in house»;
vengono poi prorogati i termini di scadenza
degli affidamenti in house, prevedendo
alcune circostanziate deroghe. In
particolare si prevede in alternativa alla
posticipata scadenza del 31.12.2012, che si
può procedere all'affidamento a un'unica
società in house risultante dalla
integrazione operativa, di preesistenti
gestioni in affidamento diretto e in
economia tale da configurare un unico
gestore del servizio a livello di ambito o
di bacino.
Relativamente al trasporto pubblico
regionale ferroviario si fanno salvi, fino
alla scadenza naturale dei primi sei anni di
validità, gli affidamenti e i contratti di
servizio già deliberati o sottoscritti in
conformità alla normativa europea. Per il
settore del trasporto pubblico locale su
gomma si conferma, per gli affidamenti già
in essere a norma di legge, la scadenza
naturale contrattualmente prevista.
Cesseranno invece alla conclusione dei
lavori e all'effettuazione dei collaudi gli
attuali affidamenti su infrastrutture
ferroviarie, interessate da investimenti
co-finanziati con risorse comunitarie
(articolo ItaliaOggi
del 02.03.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Terzo mandato senza scuse. Il
commissariamento non blocca la sequenza. Se
la carica dura più di due anni, sei mesi e
un giorno si calcola per intero.
Un amministratore
comunale è stato eletto alla carica di
sindaco per la prima volta e tale mandato è
stato interrotto dallo scioglimento del
consiglio comunale, con la conseguente
gestione commissariale protrattasi fino al
rinnovo degli organi amministrativi;
considerato che l'amministratore è stato
eletto nuovamente in occasione della tornata
elettorale successiva al commissariamento
dell'ente locale, che il primo mandato ha
avuto una durata ridotta (anche se superiore
a due anni, sei mesi e un giorno) e che il
primo e il secondo mandato sono stati
intervallati dalla citata gestione
commissariale, è ancora possibile una sua
rielezione per un ulteriore mandato
consecutivo alla carica sindacale
attualmente ricoperta?
La continuità dei due mandati consecutivi,
al verificarsi dei quali l'art. 51, comma 2,
del dlgs n. 267/2000 dispone la non
rieleggibilità alla carica di sindaco, non
viene meno per effetto dell'interposizione
di una gestione commissariale.
La Corte di cassazione, sebbene chiamata a
pronunciarsi su un diverso caso, ha avuto
modo di precisare che affinché non si
configuri la condizione ostativa prevista
dal citato art. 51, è necessario che il
secondo mandato amministrativo sia stato
seguito da una tornata elettorale alla quale
il sindaco uscente non si è candidato. In
particolare è stato precisato che «l'ambito
di operatività del divieto (ex art. 51 cit.)
è puntualmente e univocamente chiarito, nel
senso della sua correlazione a una sequenza
temporale caratterizzata dalla compresenza,
oltreché dell'avverbio immediatamente (già
di per sé sufficiente a escludere il
permanere dell'ineleggibilità oltre la
tornata elettorale successiva alla
conclusione del secondo mandato) anche nella
incidentale (rafforzativa) allo scadere del
secondo mandato, che non lascia alcun
margine di dubbio interpretativo in ordine
alla circostanza che per le elezioni diverse
da quelle immediatamente successive alla
scadenza del mandato non operi più la causa
di ineleggibilità» (cfr. Corte Cass.,
sent. 13181 del 05.07.2007).
Nel caso in esame, considerato che tra il
primo mandato elettorale (di durata ridotta
ma in ogni caso superiore a due anni, sei
mesi e un giorno, poi seguito da una
gestione commissariale) e il secondo non si
è verificata alcuna tornata elettorale
intermedia, interruttiva della sequenza
temporale prevista dalla norma citata,
sussiste la causa ostativa alla terza
candidatura di cui all'art. 51 del dlgs n.
267/ 2000, atteso che, nel caso di specie,
le prossime elezioni sarebbero quelle
immediatamente successive alla scadenza del
secondo mandato
(articolo ItaliaOggi
del 02.03.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Incompatibilità.
Se il sindaco di un comune con popolazione
superiore a 15 mila abitanti è decaduto a
seguito della sua elezione alla carica di
consigliere regionale, il vicesindaco può
votare in consiglio comunale fino al rinnovo
del consiglio stesso?
Ai sensi dell'art. 64, comma 2, del dlgs n.
267/2000, per i comuni con popolazione
superiore a 15 mila abitanti viene previsto
che «qualora un consigliere comunale o
provinciale assuma la carica di assessore
nella rispettiva giunta, cessa dalla carica
di consigliere all'atto dell'accettazione
della nomina, e al suo posto subentra il
primo dei non eletti».
Dalla disposizione in questione, si evince
che il sindaco ha perduto lo status di
consigliere comunale a seguito
dell'accettazione della nomina alla carica
di assessore.
Ai sensi dell'art. 53, comma 1, del dlgs n.
267/2000, il vicesindaco sostituisce il
sindaco in caso di impedimento permanente,
rimozione, decadenza o decesso dello stesso
sindaco.
Il Consiglio di stato, l sez., con parere n.
94/1996, con riferimento alla specifica
problematica prospettata in ordine alla
possibilità che il vicesindaco sostituisca
il sindaco quale componente, con diritto di
voto, del consiglio comunale, ha precisato
che «appare difficilmente concepibile che
esse vengano esercitate dal vicesindaco»,
non essendo ammessa nel nostro ordinamento
la sostituzione nelle funzioni di componente
delle assemblee elettive.
Il successivo parere n. 501 del 14.06.2001,
emanato dallo stesso Consiglio di stato in
materia di poteri del vicesindaco, non ha
contraddetto la precedente pronuncia;
pertanto, il vicesindaco non può esercitare
le funzioni di componente, con diritto di
voto, del consiglio comunale
(articolo ItaliaOggi
del 02.03.2012). |
aggiornamento all'01.03.2012 |
|
APPALTI: Modificato
il Codice dei contratti pubblici. Appalti,
esclusi gli evasori fiscali.
Esclusione dagli appalti per violazioni
fiscali oltre i 10.000 euro accertate in via
definitiva in quanto riferite al pagamento
di debiti certi, scaduti ed esigibili.
È
questo il chiarimento fornito dall'articolo
1 del decreto legge sulle semplificazioni
fiscali che interviene sul comma 2
dell'articolo 38 del codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture (dlgs 163/2006) per quanto attiene
al concetto di definitività
dell'accertamento fiscale.
Diversamente dalla precedente bozza, che
generava qualche confusione interpretativa
(vedi ItaliaOggi del 22 febbraio), la nuova
formulazione, più correttamente, interviene
direttamente nel corpus del comma 2
dell'articolo 38 del codice dei contratti
(non più inserendo una lettera g-bis)
andando a precisare uno dei due elementi
disciplinati dalla lettera g) del comma 1
della disposizione che dispone l'esclusione
dagli appalti per i soggetti che abbiano «commesso
violazioni gravi, definitivamente accertate,
rispetto agli obblighi relativi al pagamento
delle imposte e tasse, secondo la
legislazione italiana o quella dello stato
in cui sono stabiliti».
Infatti per il primo elemento che qualifica
la violazione fiscale, cioè quello attinente
alla gravità della violazione, è la stessa
norma attualmente vigente a riferirsi
all'articolo 48-bis, comma 1 e 2-bis del dpr
29.09.1973, n. 602, che prevede il valore di
10.000 euro, peraltro soggetto a variazione
in aumento, con decreto di natura non
regolamentare fino al doppio, o in
diminuzione. La novella inserita dal decreto
legge sulla semplificazione fiscale riguarda
quindi il secondo elemento, cioè
l'accertamento definitivo della violazione.
La norma in particolare chiarisce che «costituiscono
violazioni definitivamente accertate quelle
relative all'obbligo di pagamento di debiti
per imposte e tasse certi, scaduti ed
esigibili». Solo a tali condizioni, che
devono, almeno stando al tenore della
proposta normativa, essere presenti
contemporaneamente, le stazioni appaltanti
potranno disporre l'esclusione dalla gara
per il concorrente.
La nuova norma stabilisce che siano fatti
salvi i comportamenti già adottati dalle
stazioni appaltanti (non più dagli «Uffici»,
come recitava la precedente bozza) in
coerenza con la previsione contenuta nel
comma 1, cioè in base alla formulazione
della lettera g) precedente all'introduzione
del chiarimento disposto dal decreto legge
(articolo ItaliaOggi del 29.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Durc, controlli doppi.
Testati i soci dipendenti e autonomi. Nota Cnce sulla regolarità contributiva delle
cooperative.
Serve una doppia verifica di regolarità
contributiva per il rilascio del Durc alle
società cooperative di artigiani e di
lavoratori autonomi. Infatti, quando le
cooperative operano solo con soci lavoratori
autonomi, non c'è obbligo d'iscrizione alla
cassa edili e, di conseguenza, ogni
richiesta di regolarità contributiva (Durc)
va indirizzata solamente all'Inps e Inail.
Invece, quando le cooperative operano sia
con soci lavoratori dipendenti che con soci
lavoratori autonomi, ai fini del rilascio
del Durc, le casse edili procederanno alla
doppia verifica: regolarità contributiva
ordinaria (per i soci dipendenti) e
regolarità contributiva singola (Inps e
Inail) per i soci lavoratori autonomi.
Lo
precisa la Cnce (la Commissione nazionale
paritetica per le casse edili) col
comunicato 23.02.2012 a proposito
del rilascio del Durc a cooperative di
artigiani e di lavoratori autonomi.
Il Durc è l'attestazione che certifica
l'assolvimento, da parte dell'impresa, degli
obblighi normativi e contrattuali nei
confronti di Inps, Inail e cassa edile.
Contiene il risultato delle verifiche
effettuate parallelamente da Inail, Inps e
cassa edile sulla posizione contributiva
dell'impresa; sarà negativo quando anche uno
soltanto dei tre enti dichiara
l'irregolarità dell'impresa.
I chiarimenti della Cnce arrivano con
riferimento alle segnalazioni pervenute da
alcune casse edili in merito a richieste di
certificati Durc relative a imprese
costituite come società «cooperative di
artigiani» o società «cooperative di
lavoratori autonomi». La Cnce spiega che
qualora le cooperative in esame dichiarino
di non avere soci lavoratori dipendenti ma
di operare esclusivamente con soci
lavoratori autonomi, le stesse (cooperative)
non hanno l'obbligo dell'iscrizione alla
cassa edile e, pertanto, non possono nemmeno
richiedere il Durc secondo la disciplina
ordinaria.
In questi casi, infatti, aggiunge
la Cnce, ogni richiesta di Durc deve essere
indirizzata soltanto agli istituti pubblici
previdenziali, cioè all'Inps e all'Inail che
rilasceranno autonome attestazioni
concernenti o meno la regolarità
contributiva. Qualora invece le predette
società cooperative abbiano anche soci
lavoratori dipendenti e sia effettuata una
richiesta di Durc attraverso la procedura
ordinaria prevista per le imprese edili, la
cassa edile provvederà a rilasciare un Durc
di regolarità previa verifica anche del
possesso di un Durc Inps e Inail da parte
dei lavoratori autonomi che, soci delle
cooperative, risultino operanti nel
cantiere.
Infine, la Cnce evidenzia che le
associazioni nazionali delle imprese
cooperative hanno istituito, con la
collaborazione di Inps e Inail, mediante
apposita convenzione, degli specifici
«osservatori» presso le direzioni
territoriali del lavoro (le ex dpl,
direzioni provinciali del lavoro),
finalizzati alla verifica della coerenza di
tali forme di cooperative, di artigiani e di
lavoratori autonomi, con quanto previsto
dalla disciplina normativa (legge n.
142/2001)
(articolo ItaliaOggi del 29.02.2012). |
APPALTI: Centrale
unica, rinvio al 2013. In G.U. il dl milleproroghe
convertito.
Prorogato di un anno (al 31.03.2013)
l'obbligo per i comuni al di sotto dei 5000
abitanti di affidare appalti con una unica
centrale di committenza.
E' quanto si
prevede al comma 11-ter dell'articolo 29
della legge 24.02.2012 n. 14 (in G.U.
n. 48 di ieri) che ha convertito in legge il
decreto milleproroghe (n. 216/2011).
Il
provvedimento fa slittare di dodici mesi il
termine previsto dall'art. 23, comma 5, del
decreto legge n. 201/2011. Si tratta della
norma nella quale si stabilisce che i comuni
con popolazione non superiore a 5.000
abitanti dovranno obbligatoriamente affidare
ad un'unica centrale di committenza
l'acquisizione di lavori, servizi e
forniture. Tutto ciò doveva avvenire entro
fine marzo di quest'anno, ma l'emendamento
votato prevede che la disposizione si
applichi alle gare bandite successivamente
al 31.03.2013.
L'articolo 23 del decreto
legge n. 201/2011, ai commi 4 e 5, aveva
introdotto un comma aggiuntivo (il comma
3-bis) all'art. 33 del dlgs n. 163/2006, il
Codice dei contatti pubblici, prevedendo
l'obbligo per i comuni con popolazione non
superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel
territorio di ciascuna provincia di affidare
ad un'unica centrale di committenza
l'acquisizione di lavori, servizi e
forniture. Tale obbligo può essere
soddisfatto secondo due modalità:
nell'ambito delle unioni dei comuni, ove
esistenti; ovvero costituendo un apposito
accordo consortile tra i comuni medesimi e
avvalendosi dei competenti uffici.
Il comma
5 dell'articolo 23 ha, quindi, specificato
che tali disposizioni si applichino alle
gare bandite successivamente al 31.03.2012. La finalità della norma di cui adesso
viene rinviata di un anno l'applicazione, è
quella di permettere una riduzione dei costi
di gestione delle procedure grazie alle
economie di scala.
Quanto alle centrali di committenza la
relativa disciplina è recata dall'art. 33
del Codice contratti che prevede che le
stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori
possono acquisire lavori, servizi e
forniture facendo ricorso a centrali di
committenza, anche associandosi o
consorziandosi e che tali centrali sono
tenute all'osservanza del Codice
(articolo ItaliaOggi del 28.02.2012). |
LAVORI PUBBLICI:
Nuovi chiarimenti ministeriali al regime di
responsabilità tra committenti e ditte
esecutrici. Il nolo a caldo è senza
solidarietà.
L'affitto di macchinari non è equiparabile a
un appalto.
La responsabilità solidale non si applica al
noleggio di macchinari con disponibilità di
lavoratori per la loro messa in funzione
(cosiddetto nolo a caldo).
Lo precisa il
Ministero del lavoro nell'interpello
27.01.2012 n.
2/2012 spiegando che la responsabilità
solidale è un istituto strettamente legato
all'appalto.
La responsabilità solidale. È una sorta di
vincolo che lega, negli appalti, la ditta
che affida un lavoro a quella che tale
lavoro esegue. Il vincolo vale relativamente
ai diritti retributivi, fiscali e
contributivi spettanti ai lavoratori che
sono impiegati nell'esecuzione dei lavori.
Oggi vige una doppia disciplina: quella che
lega il committente con le ditte
appaltatrici e subappaltatrici (disciplinata
dal dlgs n. 276/2003, la riforma Biagi del
lavoro) e quella che lega l'appaltatore con
le ditte subappaltatrici (disciplinata dalla
legge n. 248/2006).
Questa la differenza tra
le due tipologie di solidarietà: la prima (dlgs
n. 276/2003) contempla una responsabilità
per tutti i soggetti della catena degli
appalti e, quindi, «committente-appaltatore-subappaltatore», nei limiti
temporali di due anni dal termine
dell'appalto; la seconda (legge n. 248/2006)
prevede la solidarietà tra appaltatore e
subappaltatore, senza risalire, quindi, al
committente e senza alcun vincolo temporale.
Il contratto di «nolo». La fattispecie del
«nolo», affrontata dal ministero del lavoro
nell'interpello n. 2/2012, è una figura
contrattuale atipica diffusa nella prassi
commerciale che ha ad oggetto il noleggio
ovvero la concessione in uso di macchinari e
l'eventuale prestazione lavorativa di un
operatore. In mancanza d'esplicita
definizione legislativa, l'istituto è
solitamente inquadrato dalla giurisprudenza
della Corte di cassazione nell'ambito della
disciplina civilistica del contratto di
locazione (articolo 1571 e seguenti del
codice civile), e viene distinto nelle due
tipologie del «nolo a freddo» e del «nolo a
caldo».
La prima fattispecie (nolo a freddo)
ha quale oggetto del contratto
esclusivamente la locazione del macchinario;
la seconda figura (nolo a calco) risulta,
invece, caratterizzata dallo svolgimento
dell'attività lavorativa da parte di un
dipendente del locatore (di chi concede in
uso il macchinario), addetto all'utilizzo
del macchinario, attività che si presenta
del tutto accessoria, in ogni caso, rispetto
alla prestazione principale costituita dalla
messa a disposizione del bene (così, tra
l'altro, sentenza n. 23604/2009, n.
34327/2009 e n. 41791/2009 della Cassazione,
sezione penale).
La giurisprudenza, inoltre,
ha evidenziato pure quali siano gli elementi
utili ai fini della qualificazione della
fattispecie concreta in termini di nolo a
caldo, nonché la differenza esistente, a
prescindere dal nomen iuris attribuito dalle
parti al rapporto negoziale, tra
quest'ultima e gli schemi contrattuali
dell'appalto e del subappalto (disciplinati
agli articoli 1655 e seguenti del codice
civile).
Nello specifico, l'appaltatore e
l'eventuale subappaltatore si obbligano nei
confronti del committente al compimento di
un'opera ovvero alla prestazione di un
servizio, organizzando i mezzi di produzione
e l'attività lavorativa per il
raggiungimento del risultato produttivo
autonomo. Diversamente, nel «nolo» il
locatore mette a disposizione soltanto il
macchinario ed, eventualmente, l'addetto al
suo utilizzo, senza alcuna ingerenza
nell'attività produttiva e/o
nell'organizzazione aziendale di chi prende
a noleggio.
«Nolo» senza responsabilità solidale. Il
ministero risponde ai consulenti del lavoro
che hanno chiesto chiarimenti in merito alla
corretta interpretazione dell'articolo 35,
comma 28, del dl n. 223/2006 (convertito
dalla legge n. 248/2006), concernente la
responsabilità solidale di appaltatore ed
eventuali subappaltatori per il versamento
delle ritenute fiscali e dei contributi
previdenziali e assicurativi dei lavoratori
dipendenti impiegati nell'esecuzione dei
lavori.
In particolare, i consulenti hanno
chiesto di sapere se il predetto regime di
solidarietà possa trovare applicazione anche
con riferimento alle tipologie contrattuali
cosiddette del «nolo a caldo» eccedenti il
2% dell'importo complessivo delle
prestazioni affidate, con la conseguente
responsabilità per l'assolvimento degli
obblighi fiscali e contributivi a carico del
committente-noleggiatore. La risposta del
ministero è negativa. La disciplina sulla
responsabilità solidale, spiega, è
evidentemente legata alla figura
dell'appalto e non a quella del nolo a caldo
(ferme restando forme patologiche di
utilizzo di tale ultimo strumento
contrattuale), sebbene non possa sottacersi
un importante indirizzo giurisprudenziale
volto a interpretare il complessivo quadro
normativo nel senso di una estensione quanto
più ampia possibile del regime solidaristico
in ragione di una maggior tutela per i
lavoratori interessati.
Più in particolare,
spiega il ministero, si ricordano le
argomentazioni sostenute dalla Corte di
cassazione con la sentenza n. 6208/2008 che
non ha escluso la possibilità di applicare
la solidarietà nei rapporti tra un consorzio
e imprese consorziate assegnatarie dei
lavori sia pur in assenza di un vero e
proprio contratto di subappalto.
Nello
specifico la Suprema corte, nel richiamare
l'articolo 141, comma 4, del dpr n.
554/1999, in virtù del quale l'affidamento
dei lavori da parte del consorzio alle
proprie consorziate non costituisce
subappalto, ha affermato che l'intenzione
del legislatore, secondo un'interpretazione
in chiave sistematica, non è stata quella di
escludere le speciali e necessarie tutele
previste a favore dei lavoratori contemplate
dalla disciplina civilistica dell'appalto
ovvero del subappalto.
Da ciò dunque
sembrerebbe evincersi che, in tali ipotesi,
sia comunque possibile applicare garanzie di
carattere sostanziale a tutela della persona
che lavora, prevalendo queste ultime sui
profili afferenti alla qualificazione
giuridica di tipo formale in merito alla
natura del negozio di affidamento dei
lavori.
---------------
Il decreto semplificazioni interviene in
materia.
Le ultime novità in materia di
responsabilità solidale negli appalti sono
in vigore dal 10 febbraio, in virtù della
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del dl
n. 5/2012 (cosiddetto decreto
semplificazioni). Due, nello specifico, le
novità. La prima riguarda il trattamento di
fine rapporto di lavoratori (il tfr): la
solidarietà, stabilisce il decreto
semplificazioni, comprende «le quote» del
trattamento di fine rapporto in relazione al
periodo d'esecuzione del contratto di
appalto.
La novità, ha spiega il ministero del lavoro
(circolare n. 2/2012), elimina ogni ipotesi
interpretativa volta ad addebitare al
responsabile in solido l'intero importo del
tfr dovuto al lavoratore
dell'appaltatore/subappaltatore che, durante
il periodo di svolgimento dell'appalto,
abbia maturato il diritto al trattamento.
La seconda novità esclude dall'ambito della
responsabilità solidale «qualsiasi obbligo
per le sanzioni civili di cui risponde solo
il responsabile dell'inadempimento». In
pratica, viene eliminata l'interpretazione
fornita dallo stesso ministero
nell'interpello n. 3/2010 (si veda ItaliaOggi
del 10.04.2010) che invece riteneva
sussistere la solidarietà anche per tali
sanzioni in quanto aventi natura
risarcitoria (articolo ItaliaOggi
sette del 27.02.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Giallo sulle Giunte dei mini-sindaci.
Verso le elezioni. Sancita l'abolizione ma
competenze al buio.
Giallo sulle Giunte negli oltre 1.900 Comuni
con meno di mille abitanti. Una delle
problematiche rimaste aperte con l'entrata
in vigore dell'articolo 16, comma 17, del Dl
138/2011 148 2011 concernente la riduzione
del numero dei consiglieri e degli assessori
comunali per i Comuni fino a 10mila
abitanti, è quella della sopravvivenza o
meno delle Giunte nei comuni sotto i mille;
in caso di mancata sopravvivenza, va poi
chiarito quale sia l'organo cui vanno
devolute le competenze della Giunta.
Il problema non è marginale soprattutto dal
momento che sono molti i Comuni con meno di
mille abitanti chiamati al turno elettorale
amministrativo di primavera.
Al riguardo, la circolare del ministero
dell'Interno, Dipartimento affari interni
del 16.02.2012 prende una posizione
netta, nel senso di ritenere alla luce della
lettera a) dell'articolo 16, comma 17, che
ha previsto la sola presenza nei Comuni
sotto i mille abitanti dei soli consiglieri
comunali, non essendo previste le figure di
assessori per questi Comuni, risulterebbe
abrogata di fatto la figura della Giunta e
verrebbero attribuite esclusivamente al
sindaco le ex competenze degli assessori.
In realtà, il quadro è caratterizzato da una
lacuna normativa che il Parlamento deve
colmare anche in sede di Codice delle
autonomie.
Dalla normativa non sembra emergere nessuna
disposizione che attribuisca espressamente
al sindaco le competenze che prima erano in
capo alla giunta ,competenze che tra l'altro
non sono indifferenti e che spaziano
dall'approvazione dei progetti di opere
pubbliche ai progetti di bilancio e della
relazione al rendiconto di gestione
(articolo Il Sole 24
Ore del 27.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al
27.02.2012 |
|
ENTI LOCALI - VARI: Il
dl milleproroghe convertito in legge. Rinvii
per catasto e inesigibilità.
Prorogati i termini per presentare le
domande di variazione catastale dei
fabbricati rurali strumentali e le
comunicazioni d'inesigibilità dei ruoli agli
enti creditori da parte di concessionari e
agenti della riscossione.
L'art. 29 del milleproroghe (dl 216/2011, convertito ieri
in legge dalla Camera con 336 voti a favore,
61 contrari e 13 astensioni dopo il voto di
fiducia), sposta più avanti il termine per
presentare le istanze per ottenere il cambio
di categoria catastale da parte degli
agricoltori, fissato prima al 30/09/2011 e
poi al 31 marzo, e considera regolari le
domande di variazione presentate entro il
30/06/2012. Inoltre, consente a agenti della
riscossione e ex concessionari-esattori di
comunicare ai creditori l'inesigibilità
delle somme entro il 31/12/2013 per tutti i
ruoli consegnati fino al 31/12/2010.
Prima
di quest'ultimo intervento normativo, il
termine per l'adempimento era il 30/09/2012
per tutti i ruoli consegnati fino al
30/9/2009. Arriva dunque la proroga anche
per la presentazione delle domande
d'inesigibilità dei ruoli agli enti
creditori che in passato hanno riscosso le
entrate tramite cartella di pagamento. Equitalia e gli ex concessionari potranno
comunicare ai creditori l'inesigibilità
delle somme entro il 31/12/2013 per tutti i
ruoli consegnati fino al 31/12/2010.
Tuttavia, l'art. 29 concede un ulteriore
rinvio sia per la presentazione delle
comunicazioni sia per effettuare i controlli
da parte degli enti creditori. Il termine
ordinario triennale per i controlli da parte
delle amministrazioni interessate decorre
dall'01/01/2014.
Per quanto riguarda i
fabbricati rurali (si veda ItaliaOggi di
ieri) prorogato al 30 giugno il termine per
la presentazione delle domande di variazione
catastale all'agenzia del Territorio, al
fine di ottenere l'esenzione sui fabbricati
rurali strumentali fino al 2011 e il
trattamento agevolato dal 2012, con
applicazione dell'aliquota ridotta al 2 per
mille. Sono considerate regolari anche le
domande presentate dopo la scadenza del
termine originario, che era inizialmente il
30/09/2011.
La richiesta di variazione va presentata
solo dai titolari di fabbricati strumentali.
Sono interessati alle variazioni i titolari
di immobili strumentali, vale a dire quelli
utilizzati per la manipolazione,
trasformazione e vendita dei prodotti
agricoli
(articolo ItaliaOggi del 24.02.2012). |
EDILIZIA PRIVATA: Guida
anti incendi per impianti fotovoltaici.
Arriva una nuova guida per l'installazione
degli impianti fotovoltaici nelle attività
soggette ai controlli di prevenzione
incendi. A predisporla un apposito gruppo di
lavoro, costituito da esperti del settore
elettrico e approvata recentemente dal
Comitato centrale tecnico scientifico per la
prevenzione incendi (Ccts).
Con la
nota 07.02.2012 n. 1324 di prot.
il
Ministero dell'interno,
dipartimento Vigili del Fuoco, ha inviato
alle direzioni regionali e ai comandi dei
Vigili del fuoco la nuova guida per
l'installazione degli impianti fotovoltaici
nelle attività soggette ai controlli di
prevenzione incendi. La guida recepisce i
contenuti del dpr 151/2011. E tiene conto
delle varie problematiche emerse in sede
periferica a seguito delle installazioni di
impianti fotovoltaici.
Va detto che gli impianti fotovoltaici non
rientrano fra le attività soggette ai
controlli di prevenzione incendi, ma
l'installazione degli stessi in funzione
delle caratteristiche elettriche/costruttive
e/o delle relative modalità di posa in
opera, può comportare un aggravio del
preesistente livello di rischio di incendio.
L'aggravio potrebbe concretizzarsi, per il
fabbricato servito, in termini di:
- interferenza con il sistema di
ventilazione dei prodotti della combustione
(ostruzione parziale/totale di traslucidi,
impedimenti apertura evacuatori);
- ostacolo alle operazioni di
raffreddamento/estinzione difetti
combustibili; rischio di propagazione delle
fiamme all'esterno o verso I'interno del
fabbricato (presenza di condutture sulla
copertura di un fabbricato suddiviso in più
compartimenti);
- modifica della velocità di propagazione di
un incendio in un fabbricato
monocompartimento). Rientrano, nel campo di
applicazione della seguente guida, gli
impianti con tensione in corrente continua
(c.c.) non superiore a 1500 V. La guida
esamina dettagliatamente:
- i requisiti tecnici (ai fini della
prevenzione incendi gli impianti FV dovranno
essere progettati, realizzati e manutenuti a
regola d'arte;
- verifiche (periodicamente e a ogni
trasformazione, ampliamento o modifica
dell'impianto dovranno essere eseguite e
documentate le verifiche);
- segnaletica di sicurezza (l'area in cui è
ubicato il generatore e i suoi accessori,
qualora accessibile, dovrà essere segnalata
con apposita cartellonistica conforme al
dlgs 81/2008);
- salvaguardia degli operatori Vigili del
fuoco (è stata presa in considerazione
l'installazione di dispositivi di
sezionamento per gruppi di moduli,
azionabili a distanza, ma ad oggi non se ne
richiede l'obbligatorietà in quanto non è
nota l'affidabilità nel tempo, né è stata
emanata una normativa specifica che ne
disciplini la realizzazione, l'utilizzo e la
certificazione);
- impianti esistenti (gli impianti
fotovoltaici, posti in funzione prima
dell'entrata in vigore della guida 2012 e a
servizio di un'attività soggetta ai
controlli di prevenzione incendi,
richiedono, unicamente, gli adempimenti
previsti dal comma 6 dell'art. 4 del dpr
151/2011)
(articolo ItaliaOggi del 24.02.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Decertificazione. Stop
ai certificati inutili.
Per tutte le p.a. accesso telematico al
registro delle imprese.
Stop ai certificati inutili e via libera
alla tanto attesa e mai realizzata
interconnessione degli archivi delle
pubbliche amministrazioni.
Questo il duplice
effetto che cittadini e imprese si attendono
dalla Legge di stabilità 2012 secondo la
quale, dal 1° gennaio di quest'anno, i
certificati rilasciati dalla pubblica
amministrazione relativi a stati, qualità
personali e fatti sono validi ed
utilizzabili solo nei rapporti tra privati.
Secondo la norma, le pubbliche
amministrazioni d'ora in poi devono
acquisire d'ufficio i dati in possesso delle
altre pubbliche amministrazioni, senza
chiederli all'interessato.
Basterà un'altra legge, dopo tanti tentativi
infruttuosi o solo parzialmente riusciti, a
mandare in soffitta la figura del
cittadino-postino che recapita le
informazioni che lo riguardano da un ente a
un altro? Le premesse ci sono ma, come il
recente passato dimostra, per rendere
efficaci le norme di semplificazione è
indispensabile puntare sulle tecnologie
della rete, richiamandole sempre come il
canale obbligato da utilizzare.
Negli ultimi
anni l'alleanza tra legislatore e nuove
tecnologie è stata determinante nel
semplificare il rapporto tra pubblica
amministrazione e imprese, come dimostra
l'esperienza delle camere di commercio.
Anche in questo caso, gli enti camerali
hanno risposto al dettato normativo in
chiave tecnologica. A seguito delle nuove
norme, infatti, esse saranno destinatarie di
un crescente numero di richieste di accessi
da parte delle altre pubbliche
amministrazioni ai propri archivi, primo fra
tutti il Registro delle imprese.
Per
favorire l'operatività degli uffici,
Unioncamere -di concerto con InfoCamere, la
società consortile di informatica delle
camere di commercio italiane- ha avviato
un'iniziativa per realizzare un unico sito
web dal quale ogni amministrazione
interessata potrà attingere senza oneri alle
informazioni necessarie. Due gli obiettivi.
Da un lato, le Camere potranno assolvere
agli adempimenti in modo automatizzato ed
omogeneo sul territorio. Dall'altro, le
pubbliche amministrazioni potranno contare
su una medesima modalità di accesso ai dati
camerali, semplificando e velocizzando le
proprie attività di verifica. Resta esclusa
la sola richiesta del certificato antimafia.
Le p.a. interessate dovranno rivolgersi alla
prefettura, quale amministrazione
certificante.
Nei casi in cui le
informazioni camerali on-line non siano
sufficienti, attraverso il sito le
amministrazioni potranno comunque inoltrare
specifiche richieste di ulteriori
informazioni. Le funzionalità del nuovo
portale saranno pienamente operative entro
il mese di aprile. Le nuove norme sono
invece già operative dal 1° gennaio per le
attività degli Sportelli unici delle
attività produttive (Suap). Tutte le
pratiche ad essi indirizzate, infatti,
possono essere inoltrate senza che
l'imprenditore debba allegare la
certificazione di iscrizione alla Camera di
commercio. Attraverso il portale
www.impresainungiorno.gov.it, infatti, i
Suap possono consultare il Registro Imprese
per acquisire direttamente le informazioni
desiderate.
Il servizio –sempre realizzato
da InfoCamere- si chiama SU-RI ed è
disponibile senza oneri per il comune
interessato
(articolo ItaliaOggi del 24.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Cosa accade quando il
consigliere è colpito da sentenza non
definitiva. Condanne, iter obbligato.
Il consiglio convalida, la prefettura
sospende.
Quesito: è possibile convalidare l'elezione
di un consigliere comunale condannato con
sentenza non definitiva, confermata in
appello, alla pena della reclusione di anni
2 per un delitto non colposo (art. 323
c.p.), a seguito della quale lo stesso è
stato già sospeso dalla carica di
consigliere provinciale? Nel caso specifico,
è applicabile l'art. 59, comma 1, lett. b)
del Tuoel, considerato che la condanna in
appello è intervenuta non dopo, ma prima
dell'elezione?
Negli articoli 58 e 59 del dlgs 18.08.2000,n. 267, il legislatore ha distinto
diverse tipologie di intervento a seconda
che l'amministratore subisca determinate
condanne di natura penale prima o dopo
l'elezione. In particolare, il legislatore
all'art. 58, nell'individuare le diverse
cause ostative alla candidatura, ha posto
sullo stesso piano le varie fattispecie
delittuose, richiedendo in ogni caso una
sentenza definitiva, sia per quelle di
maggior allarme sociale sia per quelle di
(relativo) minor allarme sociale.
Diversamente, l'art. 59, nel dettare una
serie di cause che danno luogo alla
sospensione di diritto, ha effettuato
un'espressa distinzione, richiedendo un
maggior grado di accertamento nel caso di
reati di impatto sociale minore rispetto ai
reati tipici degli amministratori o ai reati
di associazione criminosa. In questo secondo
caso, infatti, è sufficiente una condanna
non definitiva e, quindi anche la sola
condanna di primo grado, mentre per i primi
la sospensione opera a seguito di sentenza
di primo grado confermata in appello. Così
ricostruito il modus operandi, risulta
evidente che il legislatore ha ritenuto di
effettuare, in primo luogo, un distinguo tra
la fase relativa alle candidature,
antecedente quindi alle elezioni, per la
quale richiede l'assenza di determinati
pregiudizi di natura penale da parte
dell'amministratore, e la fase successiva
alle elezioni, per la quale prevede la
sospensione di diritto al verificarsi di
altre fattispecie.
Da quanto sopra esposto,
risulta ora chiaro che, a norma dell'art. 58
del Tuoel, costituiscono cause ostative alla
candidatura solo le condanne definitive
elencate nello stesso articolo, in ordine
alle quali il consiglio svolge l'esame
previsto dall'art. 41 Tuoel ai fini della
proclamazione degli eletti, nella prima
seduta di convocazione e prima di deliberare
su qualsiasi altro oggetto. Viceversa, le
ipotesi elencate nell'art. 59 del Tuoel non
costituiscono cause di incandidabilità ma
ipotesi in cui un amministratore è sospeso
di diritto dalla carica ricoperta per
effetto di una ricognizione sulla loro
sussistenza, demandata all'esame del
prefetto (comma 4 dello stesso articolo) e
avente natura costitutiva.
Solo a seguito di
passaggio in giudicato della sentenza di
condanna o dalla data in cui diviene
definitivo il provvedimento che applica la
misura di prevenzione, il successivo comma 6
del citato art. 59 dispone la decadenza di
diritto dalla carica elettiva locale. La
stessa causa di sospensione rileva sia sulla
carica di consigliere provinciale sia sulla
carica di consigliere comunale, traendo
origine i relativi provvedimenti di
sospensione dalla medesima condanna penale,
portata a conoscenza dei rispettivi enti di
riferimento.
La giurisprudenza ha, infatti,
affermato che la sospensione di diritto
dalla carica di consigliere comunale, a
seguito di sentenza di condanna non
definitiva per uno dei delitti previsti
dall'art. 59, comma 1, del dlgs 18.08.2000, n. 267, non decorre dalla
pubblicazione della sentenza di condanna, ma
dalla comunicazione del provvedimento di
sospensione emesso dal prefetto al consiglio
comunale; ciò sulla base
dell'interpretazione letterale e della «ratio»
della disposizione, anche alla luce dei
successivi commi 3 (cessazione degli effetti
della sospensione per decorso del tempo) e 4
dello stesso art. 59, secondo cui
l'intervento del prefetto non è meramente
dichiarativo, ma costitutivo dell'efficacia
della sospensione (Cass. civ., Sez. I,
sent. n. n. 16052 dell'08/07/2009).
In merito
all'applicabilità dell'art. 59 del Tuoel al
caso di specie, in quanto la condanna in
appello è intervenuta non dopo, ma prima
dell'elezione, la sospensione di diritto,
che consegue ope legis, riveste natura
cautelare, per essere un'inibizione
provvisoria dall'esercizio delle pubbliche
funzioni, ancorata al solo presupposto di
una doppia condanna; tale misura cautelare è
vincolata al solo presupposto della sentenza
di condanna di secondo grado, a nulla
rilevando che la sentenza di primo grado sia
intervenuta prima o dopo l'elezione.
In
conclusione, nel caso in esame, sussistendo
una sentenza non definitiva confermata in
appello alla pena di due anni di reclusione
per un delitto non colposo (ipotesi
contemplata all'art. 59, comma 1, lett. b),
del Tuoel), il consiglio comunale dovrà
procedere alla convalida dell'eletto alla
quale seguirà la comunicazione, da parte
della prefettura, del provvedimento di
sospensione di diritto dalla carica del
consigliere interessato, in applicazione
della norma sopra richiamata
(articolo ItaliaOggi del 24.02.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: Pensione ridotta per lo statale part-time.
Il taglio corrisponde alla quota di lavoro
effettuata.
Nell'ipotesi in cui i dipendenti pubblici
abbiano trasformato il loro rapporto di
lavoro da tempo pieno a part-time, con
prestazione effettiva dell'attività
lavorativa in misura superiore al 50% del
tempo pieno (e dunque con riduzione
dell'orario di lavoro in misura percentuale
inferiore al 50%), la pensione di anzianità
liquidata dovrà essere decurtata in misura
inversamente proporzionale alla prescelta
percentuale di riduzione dell'orario di
lavoro. In particolare, dovrà essere
decurtata in misura esattamente
corrispondente alla percentuale di lavoro
effettivamente prestato, anche se ne derivi
una decurtazione del trattamento
pensionistico superiore al 50 per cento.
Lo
ha stabilito la Cassazione con sentenza
n. 30662/2011, in seguito a ricorso proposto
dall'Inps di cui è stata data notizia con
messaggio 3202/2012.
Con altre sentenze, 25800 e 27041/2011,
illustrate con messaggio 3203/2012, si
informa che la Suprema corte ha stabilito
che sono di carattere speciale le norme nei
commi 185 e 187 dell'articolo 1 della legge
662/1996 e nel Dm 331/1997, che danno la
possibilità nel pubblico impiego di
trasformare il rapporto di lavoro da tempo
pieno a parziale con contestuale percezione
della pensione di anzianità al 60° anno di
età. Tali norme permettono ai dipendenti
pubblici, in deroga al regime generale di
non cumulabilità, di cumulare parzialmente
la pensione di anzianità e il reddito da
lavoro dipendente.
Dalla natura speciale, eccezionale e
derogatoria di dette norme rispetto al
regime generale vigente all'epoca della loro
emanazione discende la loro non derogabilità
ad opera delle successive disposizioni di
carattere generale, introdotte dall'art. 72
della legge 388/2000 e dall'art. 44 della
legge 289/2002
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.02.2012). |
APPALTI: Fuori
dall'appalto per debiti certi ed esigibili.
Le gravi violazioni fiscali che consentono
l'esclusione dagli appalti devono riferirsi
a debiti certi, scaduti ed esigibili.
È
quanto prevede la bozza del decreto legge
sulle semplificazioni tributarie esaminata
dal preconsiglio dei ministri e attualmente
in fase di aggiustamento tecnico presso gli
uffici ministeriali competenti, con
l'ennesima modifica alla disciplina delle
cause di esclusione dagli appalti pubblici.
Si prevede infatti che all'articolo 38 del
codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture, sia inserita,
dopo il comma 1, lettera g), una ulteriore
lettera «g-bis» in cui si precisa il
concetto di «grave violazione
definitivamente accertata». La proposta
contenuta nella bozza del decreto legge
stabilisce che costituiscono violazioni
gravi definitivamente accertate quelle
relative all'obbligo di pagamento di debiti
per imposte e tasse che possano essere
definiti «certi, scaduti ed esigibili». Solo
a tali condizioni che devono, almeno stando
al tenore della proposta normativa, essere
presenti contemporaneamente, scatta la causa
di esclusione. La nuova norma stabilisce che
siano fatti salvi i comportamenti già
adottati dagli uffici in coerenza con la
previsione contenuta alla precedente lettera
g-bis).
La norma del provvedimento messo a punto
dagli uffici del Mineconomia, guidato da
Mario Monti, pur nel suo intento di rendere
più chiara la fattispecie di cui alla
lettera g) dell'articolo 38, sembra, almeno
in questa formulazione, poco chiara.
Infatti, per quel che riguarda la «gravità»
della violazione, il comma 4 dello stesso
articolo 38 già offre elementi chiari e
certi. In base alla norma vigente al comma
4, infatti, si intendevano per violazioni
gravi quelle che comportano un omesso
pagamento di imposte e tasse per un importo
superiore al valore previsto dall'articolo
48-bis, comma 1 e 2-bis, del dpr 29.09.1973, n. 602.
Si tratta del valore di 10.000 euro anche se
il citato comma 2-bis prevede che con
decreto di natura non regolamentare il
ministro dell'economia possa elevarlo fino
al doppio, o diminuirlo.
In questo caso, invece, la nuova norma
sembra incidere più sulla natura dei debiti
per imposte e tasse che, appunto, devono
essere «certi, scaduti ed esigibili», ma non
sul concetto di gravità della violazione per
il quale opera sempre il comma 4
dell'articolo 38 del codice.
Il dubbio derivante da una potenziale
sovrapposizione delle due norme, con il
superamento del quarto comma dell'articolo
38 potrebbe rimanere. Bizzarro è poi il
riferimento agli «uffici», nozione
più da circolare ministeriale che non da
codice dei contratti pubblici dove si
richiamano sempre le stazioni appaltanti e a
queste ultime ci si rivolge
(articolo ItaliaOggi del 22.02.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: L'Imu
perde tutte le agevolazioni dell'Ici.
Soppressione di tutte le esenzioni e
agevolazioni Ici, anche se previste in leggi
speciali, non espressamente richiamate dalla
disciplina Imu, riconoscimento dei benefici
fiscali per gli immobili posseduti dai
comuni, contrasto alle residenze fittizie
per limitare il trattamento agevolato per le
abitazioni principali e riduzioni d'imposta
per i fabbricati inagibili o inabitabili.
Sono alcune delle modifiche apportate alla
disciplina della nuova imposta locale
contenute nel dl fiscale, le cui
disposizioni limitano l'obbligo di
presentare la dichiarazione Imu solo per gli
immobili il cui presupposto per
l'applicazione dell'imposta è sorto nel
2012.
Stretta sulle agevolazioni - Le norme sulla
nuova imposta locale riconoscono solo alcuni
benefici fiscali previsti dal dlgs 504/1992.
Viene ribadito il criterio interpretativo
che si ricava dalla relazione tecnica al dl
Monti (201/2011) e cioè che per inquadrare
le agevolazioni occorre tener conto non solo
delle disposizioni espressamente abrogate,
ma anche di quelle non richiamate. Quindi,
soppresse esenzioni e riduzioni d'imposta
previste dalla disciplina Ici non
espressamente richiamate.
Immobili comunali - In seguito alle modiche
apportate dal nuovo decreto, i comuni non
sono tenuti a pagare l'Imu per gli immobili
di cui sono proprietari o titolari di altri
diritti reali di godimento quando la loro
superficie insiste interamente o
prevalentemente sul proprio territorio. In
questi casi viene chiarito che il comune non
è tenuto a versare la quota di imposta
riservata allo Stato.
Inoltre, è stata
ripristinata la «vecchia» esenzione
riconosciuta dalla normativa Ici per gli
immobili siti sul territorio di altri comuni
a condizione che siano destinati a compiti
istituzionali (sede o ufficio dell'ente).
Abitazione principale - Il dl fiscale tende
a contrastare le residenze fittizie e limita
il trattamento agevolato all'immobile dove
il contribuente e il suo nucleo familiare
dimorano abitualmente e risiedono
anagraficamente. L'agevolazione, infatti, si
applica a un solo fabbricato, e relative
pertinenze, nel caso in cui i componenti del
nucleo familiare abbiano stabilito la dimora
abituale e la residenza anagrafica in
immobili diversi situati nel territorio
comunale.
Fabbricati inagibili o inabitabili - A
differenza di quanto già previsto
dall'articolo 8 del decreto legislativo
504/1992, anziché concedere una riduzione
d'imposta del 50% per i fabbricati
dichiarati inagibili o inabitabili, e di
fatto non utilizzati, la norma del dl
fiscale prevede per questi immobili una
riduzione del 50% della base imponibile,
limitatamente al periodo dell'anno durante
il quale sussistono queste condizioni.
Lo
stato di precarietà dell'immobile deve
essere accertato dall'ufficio tecnico
comunale con perizia a carico del
proprietario, il quale è tenuto ad allegare
alla dichiarazione la documentazione
comprovante lo stato del fabbricato. In
alternativa, il contribuente può presentare
un'autocertificazione. Viene attribuito ai
comuni il potere di disciplinare con
regolamento le caratteristiche di fatiscenza
sopravvenuta del fabbricato, non superabile
con interventi di manutenzione.
Dichiarazione Imu - I contribuenti devono
presentare la dichiarazione entro il 30
giugno dell'anno successivo a quello in cui
è sorto il presupposto impositivo. Per
questo adempimento deve essere utilizzato il
modello approvato con decreto ministeriale.
Nel provvedimento dovranno essere indicati
anche i casi in cui va assolto l'obbligo.
Quindi, la dichiarazione Ici vale anche per
l'Imu. I contribuenti che hanno già assolto
all'obbligo non sono tenuti a presentare una
nuova dichiarazione, nonostante si tratti di
un tributo diverso.
Come per l'Ici, il
contribuente non è tenuto a presentare la
dichiarazione Imu se gli elementi rilevanti
ai fini dell'imposta sono acquisibili dai
comuni attraverso la consultazione della
banca dati catastale. L'adempimento è invece
richiesto quando: l'immobile viene concesso
in locazione finanziaria, un terreno
agricolo diventa area edificabile o,
viceversa, l'area diviene edificabile in
seguito alla demolizione di un fabbricato.
Pertanto, va dichiarato qualsiasi atto
costitutivo, modificativo o traslativo del
diritto che abbia avuto a oggetto un'area
fabbricabile. Non a caso vengono richiamate
dal dl fiscale le disposizioni contenute
nell'articolo 37, comma 55, del decreto
legge 223/2006 che ha abrogato parzialmente
l'obbligo
(articolo ItaliaOggi del 22.02.2012). |
VARI: Patente allungata.
La scadenza va fino al compleanno. Il
decreto semplificazioni crea qualche problema.
Patente di guida a scadenza allungata in
base alla data di nascita del titolare.
È
questo lo scenario che sembra prospettarsi a
seguito alle dichiarazioni del ministro per
la semplificazione in merito alle
disposizioni operative conseguenti
all'entrata in vigore del decreto legge n. 5
del 09.02.2012.
Il provvedimento ha
infatti disposto che i documenti di identità
e di riconoscimento di cui all'art. 1, comma
1, lett. c), d) ed e), del decreto del dpr
n. 445/2000 sono rilasciati o rinnovati con
validità prolungata fino alla data del
compleanno del titolare immediatamente
successiva alla loro scadenza naturale. In
pratica si tratta dei documenti rilasciati o
rinnovati dopo il 10.02.2012, data di
entrata in vigore del decreto legge.
Prestando attenzione a quanto è stato
dichiarato dal governo (e pubblicato sul
portale della funzione pubblica), si può
desumere che la patente sia stata
volutamente inclusa fra i documenti che,
almeno nelle intenzioni dell'esecutivo,
scadranno di validità nel giorno del
compleanno del titolare. Il tenore letterale
dell'art. 7 del decreto legge n. 5/2012
lascia però spazio a forti dubbi e
perplessità.
È pur vero che, secondo la
definizione che viene data dal dpr 445/2000
è documento di riconoscimento «ogni
documento munito di fotografia del titolare
e rilasciato, su supporto cartaceo,
magnetico o informatico, da una pubblica
amministrazione italiana o di altri stati,
che consenta l'identificazione personale del
titolare», compresa la patente, come
peraltro ben evidenziato dal ministero
dell'interno con il parere prot. n.
300/A/1/35762/109/16 del 13.12.2004. Però,
l'eventuale allungamento fino alla data del
compleanno della scadenza di validità che,
stando al tenore letterale dell'art. 7,
comma 1, riguarderebbe appunto anche le
patenti, fa sorgere importanti criticità, in
considerazione delle norme speciali
nazionali e delle disposizioni comunitarie
attualmente vigenti in materia di rilascio e
conferma di validità delle licenze di guida.
L'art. 126 del codice della strada fissa in
modo netto e preciso la durata di validità
delle varie categorie di patente, prevedendo
sanzioni pecuniarie e accessorie per chi
circola con il documento di guida scaduto.
Limitando l'esame alle licenze delle
categorie più diffuse, cioè A e B, queste
sono valide dieci anni fino al compimento di
50 anni d'età, 5 anni oltre 50 anni d'età e
tre anni per gli ultrasettantenni. Ai fini
del rilascio, della conferma di validità o
di revisione entrano in gioco le varie
disposizioni del codice della strada che
prevedono prove d'esame teoriche e pratiche
e/o accertamenti dei requisiti psicofisici,
conferendo così alla patente la funzione
principale di attestare l'abilitazione alla
guida. Senza considerare, poi, che la stessa
patente può maturare diverse scadenze per le
differenti categorie di cui il titolare
entra in possesso, rendendo quindi
problematico concretizzare l'ipotesi di
allineare le varie scadenze.
E che sorte avrebbero le scadenze della
carta di qualificazione del conducente,
collegata alla patente e rilasciata agli
autotrasportatori, e del certificato di
idoneità alla guida di ciclomotori? Ma,
oltre alla specialità delle norme del
decreto legislativo n. 285/1992, ulteriori
dubbi sull'applicabilità alle licenze di
guida dell'art. 7, comma 1, del decreto
legge semplificazioni sorgono dalla
considerazione che la materia è disciplinata
dettagliatamente dalla normativa
comunitaria, di volta in volta recepita
dall'ordinamento interno.
L'iniziale facoltà d'imporre liberamente le
disposizioni nazionali in materia di durata
di validità, originariamente consentita
dalla direttiva 91/439/Ce del 29.07.1991 del
consiglio, è stata superata dalla direttiva
2006/126/Ce del 20.12.2006 del parlamento
europeo e del consiglio, che ha fissato
limiti precisi per la durata della licenza
di guida, derogabili solo previa
consultazione della commissione. Tali
vincoli temporali sono stati definiti
concretamente dal decreto legislativo di
attuazione n. 59 del 18.04.2011, che, fra
l'altro, introduce modifiche dell'art. 126
del codice della strada con disposizioni
applicabili dal 19.01.2013 con riferimento
anche a nuove categorie di patente.
Esemplificando la casistica che si
configurerebbe dopo l'entrata in vigore «operativa»
del decreto legge semplificazioni
nell'ipotesi che l'allungamento della
scadenza fino alla data del compleanno
riguardasse anche le abilitazioni alla
guida, se una patente di categoria B venisse
rilasciata l'01.04.2012 a un ventenne che
compie gli anni il 15 marzo, la licenza di
guida scadrebbe non dopo 10 anni, ma dopo
quasi 11 anni, cioè il 15.03.2023. Ciò in
palese contraddizione con le scadenze
previste dal codice stradale e, fra pochi
mesi, dal decreto legislativo n. 59/2011.
Un chiarimento, a questo punto, è
auspicabile che arrivi dal parlamento
durante l'esame del disegno di legge per la
conversione del decreto legge n. 5/2012
(articolo ItaliaOggi del 21.02.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
Semplificazioni. Cosa cambia per gli spazi
realizzati in base alla legge 122/1989.
Ok alla vendita separata per i box auto «Tognoli».
Il parcheggio dovrà però restare
pertinenziale.
Liberalizzazione anche per i parcheggi. Il
decreto Semplificazioni (Dl 09.02.2012,
n. 5) innova la disciplina inerente il
divieto di vendere i cosiddetti "parcheggi Tognoli" su area privata: per questa
tipologia di posti auto, dal 10.02.2012 la proprietà può essere trasferita a
patto che il parcheggio oggetto della
cessione sia contestualmente destinato a
pertinenza di un'altra unità immobiliare
collocata nello stesso Comune.
Le tipologie.
Per comprendere appieno la novità
legislativa, occorre preventivamente
compiere un excursus sulle possibili
tipologie di parcheggio con le quali si può
avere a che fare. Il catalogo può essere
così riassunto:
- parcheggi della "legge ponte": sono gli
spazi destinati a parcheggio di cui debbono
essere obbligatoriamente dotate le
costruzioni realizzate dopo l'entrata in
vigore della legge 06.08.1967, n. 765 (la
cosiddetta legge ponte, perché fece da
"ponte" tra la legge urbanistica
fondamentale, e cioè la legge 1150/1942, e
la cosiddetta legge Bucalossi, vale a dire
la legge 10/1977). La legge 765/1967
introdusse l'articolo 41-sexies della legge
1150/1942, secondo il quale, considerando la
sua attuale versione, «nelle nuove
costruzioni e anche nelle aree di pertinenza
delle costruzioni stesse, debbono essere
riservati appositi spazi per parcheggi in
misura non inferiore a un metro quadrato per
ogni dieci metri cubi di costruzione»;
- parcheggi della legge Tognoli su area
privata: sono disciplinati dall'articolo 9,
comma 1, legge 24.03.1989, n. 122 (nota
come legge Tognoli, dal cognome del suo
fautore), secondo il quale negli edifici –sia di proprietà individuale che di
proprietà condominiale– si possono
realizzare parcheggi, da destinare a
pertinenza delle singole unità immobiliari,
nel sottosuolo del fabbricato, nei locali
siti al piano terreno del fabbricato nonché
nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne
al fabbricato;
- parcheggi della legge Tognoli su area
pubblica: sono i parcheggi disciplinati
dall'articolo 9, comma 4, legge 122/1989,
secondo il quale i Comuni possono prevedere,
nell'ambito del programma urbano dei
parcheggi (Pup), la realizzazione di posti
auto, su aree comunali o nel sottosuolo
delle stesse, da destinare a pertinenza di
immobili privati, concedendo il diritto di
superficie dell'area pubblica ai privati
interessati, a imprese, società o
cooperative di costruzione (tutti soggetti
che, una volta realizzati i box, li cedono a
coloro che possono destinarli a pertinenza
di proprie unità immobiliari);
- parcheggi diversi da quelli sopra
elencati.
La «circolazione».
È indispensabile tenere distinte le prime
tre categorie dalla quarta, in quanto i
parcheggi di quest'ultimo tipo non soffrono
vincoli in ordine alla loro vendibilità,
mentre le prime tre categorie hanno pesanti
limitazioni.
I parcheggi della legge ponte, a fronte di
un tortuoso iter legislativo e
giurisprudenziale –culminato nella legge 28.11.2005, n. 246– sono di libera
trasferibilità, ma sono comunque gravati da
un vincolo urbanistico di destinazione a
parcheggio. Resta poi aperto il tema se
l'asservimento obbligatorio di questi spazi
al servizio dell'edificio di cui essi fanno
parte, qualora realizzatosi prima del 16.12.2005 (giorno di entrata in vigore
della legge 246/2005) dispieghi ancor oggi
il suo effetto (si veda l'articolo in basso
nella pagina).
La semplificazione.
È solo sui parcheggi della legge Tognoli che
incide dunque il Dl Semplificazioni del
2012, in vigore dal 10.02.scorso. In
precedenza, sia i parcheggi "Tognoli-privati"
sia i parcheggi "Tognoli-pubblici" erano
accomunati dalla previsione secondo la quale
«essi non possono essere ceduti
separatamente dall'unità immobiliare alla
quale sono legati da vincolo pertinenziale.
I relativi atti di cessione sono nulli»
(articolo 9, comma 5, legge 122/1989). Con
il Dl Semplificazioni si ha una
divaricazione:
- la proprietà dei parcheggi "Tognoli-privati"
«può essere trasferita, anche in deroga a
quanto previsto nel titolo edilizio che ha
legittimato la costruzione e nei successivi
atti convenzionali» a condizione che vi sia
una «contestuale destinazione del parcheggio
trasferito a pertinenza di altra unità
immobiliare sita nello stesso comune»;
- il regime dei parcheggi "Tognoli-pubblici"
rimane invece invariato: essi non sono
trasferibili se non insieme alla unità
immobiliare a cui sono destinati quali
pertinenze. Se dunque il parcheggio fosse
venduto senza l'appartamento o se
l'appartamento fosse trasferito con
esclusione del parcheggio, il contratto di
compravendita sarebbe nullo (articolo Il Sole 24 Ore del
20.02.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Contratti.
Limitazioni su più livelli al lavoro
flessibile.
Le limitazioni al lavoro flessibile sono la
spina nel fianco della gestione del
personale degli enti locali per il 2012. La
legge di stabilità ha incluso Comuni e
Province tra le amministrazioni che possono
avvalersi di contratti a tempo determinato,
con convenzioni e contratti "co.co.co." nel
limite del 50% della spesa sostenuta nel
2009.
L'articolo 9, comma 28, del Dl 78/2010
ha altresì previsto che la stessa
percentuale si applichi anche ai contratti
di formazione e lavoro, di somministrazione,
ai tirocini formativi e al lavoro
accessorio. Così il legislatore ha spazzato
via i dubbi sollevati con la delibera
46/2011 dalla Corte dei conti (Sezioni
riunite).
La questione principale risiede piuttosto
nel fatto che negli enti locali esistono
forme lavorative che non sempre si riescono
a incasellare tra i contratti di lavoro
previsti all'articolo 36 del Dlgs 165/2001.
Gli operatori, quindi, hanno sottoposto
alcune questioni alle Sezioni regionali
della Corte dei conti, consentendo di farsi
un'idea più precisa, anche se i pareri
discordanti non mancano.
Il Dlgs 267/2000 prevede due tipologie
lavorative tipiche per le amministrazioni
locali. L'articolo 90 disciplina le
assunzioni a tempo determinato in staff
degli organi politici, ma senza prevedere
limitazioni. Non a caso i magistrati
contabili della Campania e delle Marche
hanno ritenuto che tali assunzioni rientrino
nel limite del 50% della spesa sostenuta nel
2009. La stessa sorte sembrano avere gli
incarichi a contratto sia in dotazione che
in extra-dotazione organica di cui
all'articolo 110. Per le due tipologie si
trovano vincoli ben precisi, ma per la Corte
dei conti della Toscana (deliberazione
6/2012) anche tali incarichi sono inclusi
nel campo di applicazione dell'articolo 9,
comma 28.
Vi è poi la possibilità di stipulare
contratti di lavoro a tempo determinato per
le assunzioni stagionali di forze di polizia
locale, finanziate con i proventi del Codice
della strada. Anche tali forme, che non
rientrano tra le spese di personale, vanno
tagliate del 50% della spesa del 2009? Ecco
due pareri contrastanti: la Corte dei conti
della Lombardia (deliberazione 21/2012)
precisa che gli enti dovranno programmare il
piano delle assunzioni con le forme di
lavoro flessibile anche con riferimento alle
assunzioni stagionali, mentre i magistrati
della Toscana (deliberazione 10/2012)
ritengono tali assunzioni escluse dal campo
di applicazione del l'articolo 9, comma 28.
Va pure chiarito che cosa il legislatore
intenda per «convenzioni». Potrebbero
infatti rientrare nel campo di applicazione
della norma l'utilizzo di personale di altre
amministrazioni ex articolo 14 del Ccnl
2004. Anche se non ci sono interpretazioni
specifiche sull'argomento, la Corte dei
conti della Campania (deliberazione
497/2011) ha fatto rientrare nel limite del
50% le situazioni di comando in entrata,
tipologia analoga alle convenzioni di cui
sopra.
Inoltre, a sorpresa, i giudici toscani hanno
escluso dal limite le prestazioni di cui al
comma 557 della finanziaria 2005, che
concede, ma solo a Comuni sotto i 5mila
abitanti e Unioni, di avvalersi di attività
lavorativa dei dipendenti di altre
amministrazioni. Due pareri in contrasto
anche sugli enti che non hanno sostenuto
spese per lavoro flessibile nel 2009 o nel
triennio 2007/2009. Per i giudici della
Lombardia (deliberazione 29/2012) sono
consentite le assunzioni determinate da
un'assoluta necessità di far fronte a un
servizio essenziale: la spesa sarà il
parametro finanziario per gli anni
successivi. La scelta non è condivisa dalla
Corte dei conti della Toscana (deliberazione
14/2009) (articolo Il Sole 24 Ore del
20.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Compensi. La Corte d'appello di Firenze
inverte il trend giurisprudenziale.
Segretari comunali, stop alla doppia
maggiorazione.
IL PUNTO/
Se non si riesce a provare che l'onere è più
«pesante», prevale la posizione di Aran,
Funzione pubblica e Ragioneria dello Stato.
Come ogni telenovela che si rispetti, la
querelle relativa al rapporto tra
maggiorazione della retribuzione di
posizione dei segretari comunali (il cui
scopo è quello di retribuire funzioni
aggiuntive rispetto a quelle base del
segretario) e la maggiorazione retributiva
dovuta al "riallineamento stipendiale" (vale
a dire il cosiddetto "galleggiamento", il
cui scopo è quello di assicurare al
segretario una retribuzione almeno pari a
quella del dirigente apicale) si arricchisce
di nuove puntate con relativi colpi di
scena.
Esattamente due anni fa (si veda in
proposito quanto scritto dal Sole 24 Ore del
15.02.2010) veniva riportata la
notizia che il Tribunale di Pistoia –contrariamente agli orientamenti espressi
dall'Aran, dalla Ragioneria generale dello
Stato e dalla Funzione pubblica– aveva
affermato per sentenza che i due istituti in
oggetto non si influenzavano fra di loro
(con la conseguenza che essi si sommavano e
non si riassorbivano).
Questa sentenza è poi stata seguita da una
giurisprudenza di merito conforme (Tribunali
della Spezia, di Rimini, dell'Aquila, di
Mantova), con la sola eccezione che era
costituita dal Tribunale di Milano.
Recentemente, la Corte d'appello di Firenze,
con sentenza n. 1160/2011, rigettando la
domanda avanzata in primo grado dall'ex
segretario generale della Provincia di
Pistoia, ha affermato che la percentuale
delle maggiorazioni, riconosciuta dall'ente
in caso di incarichi aggiuntivi, non può
essere applicata sulla retribuzione di
posizione già adeguata all'indennità
percepita dal dirigente maggiormente
retribuito dell'ente per effetto del
riallineamento stipendiale, qualora il
segretario non abbia fornito in giudizio la
prova sul fatto che l'incarico aggiuntivo
rappresenti e abbia rappresentato un onere
maggiore di quanto non lo sia in una diversa
realtà dove l'incarico aggiuntivo non sia
stato affidato.
In mancanza di tale prova, peraltro
piuttosto difficile da produrre, la regola
invocata dal lavoratore non può essere
applicata, non essendo stata fornita la
dimostrazione di un pregiudizio concreto
rapportato alla natura e all'impegno
dell'incarico aggiuntivo rispetto
all'incarico base.
Con una decisione che per certi aspetti si
può considerare a metà strada fra le
posizioni dell'Aran/Ragioneria generale
dello Stato e quelle delle organizzazioni
sindacali, il giudice di secondo grado ha
finito per spostare la questione: si passa,
cioè, da un piano strettamente
interpretativo –come era stato sempre
prospettato da entrambe le parti del
contenzioso fino a quel momento– a un piano
più concreto, che attiene in sostanza
all'aspetto probatorio.
Al di là del merito della questione, questo
ulteriore episodio ci ricorda, se ce ne
fosse bisogno, che ogni sentenza fa storia a
sé, e –oltre a ragionare sulle più corrette
interpretazioni delle norme (per le quali
probabilmente è opportuno conformarsi alle
indicazioni dell'Aran o della Ragioneria
generale dello Stato)– occorre che l'ente
abbia la sensibilità di gestire il rapporto
di lavoro in modo equo e corretto, nel
rispetto sia del lavoratore che degli
interessi della pubblica amministrazione (articolo Il Sole 24 Ore del
20.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oli usati, la gestione pesa
meno.
Entro agosto l'autorizzazione unica per pmi
a basso impatto. Il dl semplificazioni
alleggerisce movimentazione rifiuti da
attività agricola e rigenerazione.
Movimentazione tra fondi dei rifiuti da
attività agricola senza oneri burocratici,
attività di rigenerazione degli oli usati
autorizzabile in deroga ai parametri
chimici, autorizzazione ambientale unica per
le piccole e medie imprese. Sono sostanziose
le novità ambientali previste dal decreto
semplificazioni (il dl 09.02.2012, n.
5).
Rifiuti da attività agricole. Il dl 5/2012
(pubblicato sul S.o. alla G.U. del 09.02.2012 n. 33) prevede deroghe al
regime burocratico previsto dalla normativa
sui rifiuti in relazione al trasporto
effettuato nell'ambito dell'attività
agricola finalizzato al loro «deposito
temporaneo».
Fin dal 10.02.2012,
infatti, in base alla novella recata dal
nuovo decreto legge all'articolo 193 del dlgs 152/2006 (cd. «Codice Ambientale») non
sono più giuridicamente considerate
«trasporto di rifiuti» (con il conseguente
venir meno degli obblighi di tenuta del
formulario di trasporto e del tracciamento
telematico Sistri, ove previsto): la
movimentazione dei rifiuti effettuata da una
azienda agricola tra fondi appartenenti alla
medesima, anche percorrendo la via pubblica,
purché la distanza tra i fondi non sia
superiore a un chilometro e il trasferimento
sia finalizzato al deposito temporaneo; la
movimentazione dei rifiuti effettuata da un
imprenditore agricolo (come individuato
dall'articolo 2135 del codice civile) dai
propri fondi al sito che sia nella
disponibilità giuridica della cooperativa
agricola di cui è socio, purché (ancora)
tale movimentazione sia finalizzata al
raggiungimento del deposito temporaneo.
Oli usati. Sempre dal 10.02.2012, data
di entrata in vigore del nuovo dl 5/2012,
scatta l'alleggerimento della gestione degli
oli usati in deroga all'originario regime
disegnato dal dlgs 152/2006 e dal dm
392/1996. In base al dl semplificazioni,
infatti, le Autorità competenti potranno
autorizzare momentaneamente (per la
precisione, fino all'emanazione del nuovo dm
in materia che sostituirà il citato
regolamento del 1996) le operazioni di
rigenerazione degli oli usati anche in
deroga al rispetto dei parametri chimici
previsti dall'allegato A del dm 392/1996,
purché siano comunque rispettati i valori
massimi di Pcb/Pct (ossia di
policlorobifenili e policlorotrifenili,
inquinanti altamente tossici) dallo stesso
allegato indicati.
Autorizzazione unica ambientale. A partire
dalla prossima estate, invece, le piccole e
medie imprese potranno essere legittimate a
emettere inquinanti in base a una
«autorizzazione unica ambientale» che
sostituirà ogni atto di comunicazione,
notifica e autorizzazione prevista dalla
vigente legislazione ambientale. La
semplificazione burocratica prevista a monte
dal dl 5/2011 sarà resa operativa a valle
mediante un decreto del presidente della
repubblica che dovrà essere emanato entro il
10.08.2012 (ossia, sei mesi dall'entrata
in vigore del dl 5/2012).
L'articolazione
del procedimento amministrativo sotteso
all'autorizzazione dovrà essere
proporzionata alle dimensioni delle imprese,
all'oggetto della loro attività e agli
interessi pubblici da bilanciare. Potranno
accedere all'«autorizzazione unica», che non
dovrà comportare maggiori oneri per i
soggetti interessati, le Pmi non rientranti
nell'attuale disciplina dell'«autorizzazione
integrata ambientale», disciplina prevista
dal dlgs 152/2006 (ed espressamente fatta
salva dal dl in parola) che condivide con la
«new entry» la filosofia dell'«atto unico»
(raccogliendo in un singolo provvedimento la
legittimazione a emettere inquinanti e
gestire rifiuti) ma dalla quale differisce
per essere destinata ad attività industriali
ad elevato impatto ambientale (quelle citate
nell'allegato VIII alla parte seconda del
«Codice ambientale») e per la complessità
dell'iter amministrativo.
Scarico in mare di materiali di escavo. In
base al nuovo dl semplificazioni, infine, lo
scarico in mare di materiali di escavo di
fondali marini o salmastri o di terreni
litoranei emersi potrà essere consentito
dietro semplice autorizzazione della regione
(o, per gli interventi in aree ricadenti in
aree protette nazionali, del Minambiente).
Ciò in quanto, mediante la diretta
riformulazione del «Codice ambientale», il
dl 5/2012 ha eliminato quale condizione
indefettibile per l'immersione in mare del
materiale in parola la dimostrata
impossibilità (tecnica o economica) di
procedere a loro (diverso) utilizzo in
recuperi o smaltimenti alternativi, potrà
invece.
Saranno poi le regioni (salvo per i
nuovi manufatti oggetto di valutazione di
impatto ambientale) le autorità competenti
al rilascio dell'autorizzazione per
l'immersione in mare (ma al solo fine di
riutilizzo) di materiali altri materiali,
quali gli inerti, i materiali geologici
inorganici ed i manufatti, sempre che ne sia
dimostrata la compatibilità e l'innocuità
ambientale.
Altre semplificazioni ambientali. Gli
alleggerimenti recati dal nuovo dl 5/2012 si
affiancano alle semplificazioni in materia
ambientale parallelamente introdotte dal dpr
227/2011. Il provvedimento, pubblicato sulla
G.U. del 03/02/2012 n. 28 (si veda ItaliaOggi
Sette del 13/02/2012) prevede infatti a
partire dal 18.02.2012 un regime light
per le autorizzazioni relative allo scarico
delle acque ed alle emissioni sonore
prodotte da Pmi a basso impatto ambientale.
E ciò attraverso l'assimilazione alle acque
reflue «domestiche» degli scarichi prodotti
da dette piccole e medie imprese e la
possibilità di presentare in
autodichiarazione la «documentazione di
impatto acustico», obbligo (quest'ultimo)
dal quale lo stesso dpr 227/2011 esonera le pmi
a bassa rumorosità (articolo ItaliaOggi Sette del
20.02.2012). |
aggiornamento al
20.02.2012 |
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ENTI LOCALI: PATTO DI STABILITA' 2012/ Le indicazioni contenute
nella circolare della Ragioneria. Giro di vite
sulle pratiche elusive.
Gli amministratori pagano dieci volte
l'indennità di carica.
Il Mef affila le armi contro i «furbetti»
del Patto, enfatizzando il ruolo delle
misure antielusive e rafforzando le sanzioni
nei confronti degli enti inadempienti.
Potenziati anche i controlli sulle giacenze
di tesoreria. Strada in salita per il Patto
regionalizzato, la cui piena attuazione si
scontra con l'irragionevolezza dei termini
per le compensazioni fra gli obiettivi di
province e comuni, anche se un ordine del
giorno approvato dal Senato impegna il
Governo a definire una tempistica più
distesa.
Con la
circolare
14.02.2012 n. 5 (si veda ItaliaOggi di ieri), la Ragioneria generale
dello stato ha fornito agli enti locali i
primi chiarimenti sul Patto di stabilità
interno 2012-2014, quale disciplinato dagli
artt. da 30 a 32 della legge n. 183/2011
(legge di stabilità 2012).
Le regole del Patto. Nessuna sorpresa per
quanto concerne l'individuazione degli enti
soggetti e le regole di calcolo degli
obiettivi. Per il 2012, sono soggetti al
Patto le province e i comuni con più di
5.000 abitanti, mentre a decorrere dall'anno
prossimo entreranno anche i comuni con
popolazione compresa tra 1.001 e 5.000
abitanti. Dal 2013, poi, il Patto sarà
esteso anche ad aziende speciali ed
istituzioni, mentre per le società in house
in sono in arrivo regole ad hoc. Dal 2014,
infine, dovrebbero essere assoggettate anche
le unioni obbligatorie per i comuni fino a
1.000 abitanti, ma la legge di conversione
del decreto milleproroghe dovrebbe rinviare
questa scadenza, di fatto procrastinandola
al 2015.
Gli obiettivi saranno differenziati per gli
enti virtuosi (che potranno limitarsi a
raggiungere un saldo più basso, anche se non
necessariamente pari a 0) e per gli altri
enti. Questi ultimi dovranno realizzare un
saldo positivo pari o superiore al valore
determinato applicando alla spesa corrente
media 2006-2008 (calcolata in termini di
impegni a partire dai dati di consuntivo) un
moltiplicatore che sarà fissato da un
successivo decreto dello stesso Mef
all'interno di una forchetta.
Per le
province, la percentuale non potrà essere,
per il 2012, inferiore al 16,5% e superiore
al 16,9% e dal 2013 inferiore al 19,7% e
superiore al 20,1%. Per i comuni, i valori
minimi e massimi sono, per il 2012, 15,6 e
16% e dal 2013 15,4 e 15,8%. Il livello a
cui si collocherà l'asticella dipenderà dal
numero e dal peso degli enti virtuosi, i cui
sconti saranno «pagati» dagli altri enti con
la maggiorazione (entro il tetto dello 0,4%)
del rispettivo coefficiente di calcolo.
Dall'obiettivo così calcolato, potranno
essere detratti i tagli previsti dal dl
78/2010, ma non quelli ulteriori imposti dal
dl 201/2011.
La grammatica del Patto continua a essere la
competenza mista, che considera accertamenti
e impegni per la parte corrente del
bilancio, riscossioni e pagamenti per le
entrate e le spese in conto capitale, al
netto delle voci escluse che la circolare
elenca puntualmente: riscossioni e
concessioni di crediti, risorse connesse
alla dichiarazione di stato d'emergenza ed
all'organizzazione dei grandi eventi,
interventi finanziati dall'Ue (al netto dei
cofinanziamenti), censimento, risorse
destinate ai comuni dissestati della
provincia de L'Aquila, Efsa di Parma,
federalismo demaniale e (solo per il
2013-2014) investimenti infrastrutturali.
Misure antielusive e sanzioni. La parte
certamente più interessante e innovativa
della circolare è quella concernente le
misure antielusive previste dall'art. 31,
commi 30 e 31, della legge n. 183/2011. Il
comma 30 dispone la nullità dei contratti di
servizio e degli altri atti posti in essere
per aggirare le regole del Patto. Il comma
31, invece, introduce sanzioni pecuniarie a
carico degli amministratori e dei
responsabili del servizio
economico-finanziario che hanno posto in
essere gli atti elusivi: ai primi le sezioni
giurisdizionali regionali della Corte dei
conti possono chiedere fino a dieci volte
l'indennità di carica percepita al momento
di commissione dell'elusione, ai secondi
fino a tre mensilità di stipendio. Secondo
la circolare, si configura una fattispecie
elusiva del Patto ogni qualvolta siano
attuati comportamenti che, pur legittimi,
risultino intenzionalmente e strumentalmente
finalizzati ad aggirare i vincoli di finanza
pubblica.
Ne consegue che risulta
fondamentale la finalità
economico-amministrativa del provvedimento
adottato (e la relativa motivazione). La
circolare offre, al riguardo, un
interessante analisi casistica.
Innanzitutto, l'elusione è spesso realizzata
attraverso l'utilizzo dello strumento
societario, ad esempio quando spese valide
ai fini del Patto sono poste al di fuori del
bilancio dell'ente per trovare evidenza in
quello delle società da esso partecipate.
Frequenti anche i casi di evidente
sottostima dei costi dei contratti di
servizio tra l'ente e le sue diramazioni
societarie e para-societarie, nonché
l'illegittima traslazione di pagamenti
dall'ente a società esterne partecipate,
realizzate attraverso un utilizzo improprio
delle concessioni e riscossioni di crediti.
Altre comuni modalità di elusione sono
rappresentate dall'impropria imputazione di
poste in sezioni di bilancio, come le
«partite di giro», dalla sovrastima delle
entrate correnti e dal ricorso ad
accertamenti di entrate fittizie.
La
circolare cita, ancora, l'imputazione delle
spese di competenza di un esercizio
finanziario ai bilanci dell'esercizio o
degli esercizi successivi, ovvero quali
oneri straordinari della gestione corrente
(debiti fuori bilancio). Infine, sono da
ritenersi elusive, nell'ambito delle
valorizzazioni dei beni immobiliari, anche
le operazioni poste in essere dagli enti
locali con le società partecipate per
reperire risorse finanziarie senza giungere
ad una effettiva vendita del patrimonio.
Tali pratiche sono oggetto di un doppio
controllo: da un lato, le verifiche della
Corte dei conti, che possono estendersi
all'esame della natura sostanziale delle
entrate e delle spese escluse dai vincoli in
applicazione del principio generale di
prevalenza della sostanza sulla forma;
dall'altro, quelle che la Rgs provvede ad
effettuare, tramite i servizi ispettivi di
finanza pubblica, per accertare la
regolarità della gestione
amministrativo-contabile delle
amministrazioni pubbliche.
Pesanti le sanzioni per gli enti
inadempienti, che potranno essere irrogate
anche a distanza di tempo, qualora la
violazione emerga successivamente all'anno
seguente a quello cui essa si riferisce. Chi
non rispetta il Patto incappa, innanzitutto,
nella decurtazione del fondo sperimentale di
riequilibrio (o dei trasferimenti, per gli
enti locali siciliani e sardi) fino al 3%
delle entrate correnti registrate
nell'ultimo consuntivo; in caso di
incapienza, dei predetti fondi l'ente è
tenuto a versare le somme residue, presso la
competente sezione di tesoreria provinciale
dello Stato. Le altre sanzioni sono il
blocco totale delle assunzioni, il divieto
di ricorrere all'indebitamento e l'obbligo
di contenere gli impegni di spese correnti
entro la media dell'ultimo triennio.
Infine,
per gli amministratori in carica
nell'esercizio in cui è avvenuta la
violazione del Patto, è previsto il taglio
delle indennità e dei gettoni di presenza,
che dovranno essere ridotti del 30% rispetto
all'ammontare risultante alla data del 30.06.2010; la circolare precisa che tale
riduzione si applica agli importi
effettivamente erogati nel 2010 e quindi
comprensivi anche della eventuale riduzione
del 30% operata in caso di mancato rispetto
del Patto negli anni precedenti. Le sanzioni
sono ridotte a favore della provincia e del
comune di Milano, nel caso in cui la
violazione dipenda dagli oneri derivanti
dall'organizzazione dell'Expo 2015.
Tesoreria. È stata riproposta la norma che
autorizza il Mef ad adottare misure di
contenimento dei prelevamenti effettuati
dagli enti locali sui conti di tesoreria
statale, qualora si registrino scostamenti
rispetto agli obiettivi del Patto. Tale
misura, tuttavia, assume tutt'altra valenza
rispetto al passato, alla luce del previsto
(dal recente dl 1/2012) ritorno al vecchio
regime «accentrato» di tesoreria unica.
Patto regionalizzato. Per il 2012 sono
confermate le disposizioni in materia di
Patto regionalizzato verticale ed
orizzontale grazie alle quali le province e
i comuni soggetti possono beneficiare di
maggiori spazi finanziari ceduti,
rispettivamente, dalla regione e dagli altri
enti locali. La tempistica dei due strumenti
è, però, disallineata: mentre per il Patto
verticale potrà essere attuato entro il 31
ottobre, per il quello orizzontale la dead line è fissata al 30 giugno, termine
evidentemente irrealistico se si pensa che
esso coincide con la scadenza per
l'approvazione dei preventivi fissata dalla
legge di conversione del milleproroghe.
Va,
però, segnalato che un ordine del giorno
votato dal Senato nel corso dei lavori
relativi a quest'ultimo provvedimento
impegna il governo a ridefinire il timing,
spostando i predetti termini,
rispettivamente, al 30 novembre ed al 31
ottobre.
A partire dal 2013, invece, è prevista
l'introduzione del cd Patto regionale
integrato, in base al quale le regioni
potranno concordare con lo Stato le modalità
di raggiungimento dei propri obiettivi e di
quelli degli enti locali del proprio
territorio
(articolo ItaliaOggi
del 17.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Aumenti
solo se si lavora di più.
Compiti aggiuntivi giustificano incrementi
per i dirigenti. L'effetto
del combinato disposto delle previsioni sui
tetti dettate dal decreto 78 del 2010.
La retribuzione di posizione dei dirigenti e
dei titolari di posizione organizzativa non
può aumentare, tranne che siano loro
affidati compiti aggiuntivi. Un aumento può
venire probabilmente sulla retribuzione di
risultato dalla utilizzazione di una quota
dei risparmi derivanti dai piani di
razionalizzazione e riorganizzazione.
È
questo l'effetto determinato dal «combinato
disposto» delle previsioni dettate dal dl n.
78/2010 sul tetto al trattamento economico
individuale e del divieto di aumentare la
misura di questa indennità in caso di cambio
o di conferma del dirigente, nonché della
possibilità prevista dal dl n. 98/2011 di
aumentare i fondi per la contrattazione
decentrata con le risorse derivanti dalla
concretizzazione dei piani di risparmio. Da
ricordare inoltre che il legislatore ha
disposto il divieto di aumentare i fondi per
la contrattazione decentrata integrativa,
sia dei dirigenti che dei dipendenti, con il
che si determina una ulteriore limitazione
della possibilità di accrescere il salario
accessorio di dirigenti e posizioni
organizzative.
Quindi, i vertici delle
amministrazioni pubbliche non possono
contare sulla possibilità di aumentare il
proprio trattamento economico, visto che per
il triennio 2011/2013 è stato anche
stabilito il blocco della contrattazione
collettiva e, quindi, degli stipendi. E
l'unica possibilità di aumento si ha con la
realizzazione degli obiettivi di risparmio
fissati dall'ente ed a condizione che
quest'ultimo destini una quota, non
superiore al 50%, alla incentivazione del
personale e dei dirigenti.
Per il triennio 2011/2013 l'articolo 9 del
dl n. 78/2010 dispone che il trattamento
economico individuale dei dipendenti
pubblici non possa aumentare rispetto
all'anno 2010. Questo vincolo riguarda non
solo lo stipendio, ma anche le forme di
salario accessorio che hanno un carattere
non occasionale, che non sono strettamente
collegate ad attività svolte e che non sono
collegate a modifiche delle mansioni. Per
cui, come è stato chiarito dalla Ragioneria
generale dello stato, la indennità di
posizione sia dei dirigenti che dei titolari
di posizione organizzativa non può essere
modificata in aumento.
Le eccezioni sono
costituite dalla variazione dei compiti
assegnati alle figure di vertice delle
amministrazioni, variazioni che devono
determinare un aumento delle responsabilità.
Il che, di regola, non può che determinare
diminuzioni del trattamento accessorio dei
dirigenti e dei titolari di posizione
organizzativa che hanno avuto una riduzione
delle responsabilità. In conseguenza di
questa disposizione una modifica della
«pesatura» delle posizioni dirigenziali e predirigenziali con aumento del salario
accessorio in presenza di una invarianza dei
compiti assegnati non è da ritenere come
legittima. Per i dirigenti questo divieto
assume un carattere che deve essere
considerato come permanente e non limitato
esclusivamente al triennio 2011/2013.
Occorre inoltre considerare che, sulla base
della lettura delle previsioni contrattuali
date dall'Aran e dalla sezione
giurisdizionale della Corte dei conti della
Campania, la remunerazione del conferimento
ad interim di incarichi ai dirigenti può
essere remunerata solamente con un aumento
della retribuzione di risultato e non con
l'incremento di quella di posizione.
Oltre all'aumento dei compiti, un aumento
del salario accessorio dei dirigenti e delle
posizioni organizzative può probabilmente
arrivare dai risparmi derivanti dalla
concretizzazione dei piani di
razionalizzazione e riorganizzazione, sulla
base delle previsioni di cui all'articolo 16
del dl n. 98/2011. Ricordiamo che questa
norma consente agli enti di destinare non
più della metà dei proventi derivanti dalla
concretizzazione dei piani di risparmio alla
incentivazione del personale, riservando il
50% di questi aumenti alle fasce di merito,
che per il resto sono state rinviate al
nuovo contratto nazionale. La disposizione
non prevede espressamente la possibilità di
destinare queste risorse anche alla
incentivazione dei dirigenti e dei titolari
di posizione organizzativa; ma il dettato
normativo sembra consentirlo nella forma
dell'incremento del fondo per la
contrattazione decentrata e, quindi, della
indennità di risultato.
Occorre comunque che questa possibilità sia
chiarita e sia, inoltre, precisato se negli
enti senza i dirigenti queste risorse
possano incrementare anche la retribuzione
di posizione dei responsabili (articolo ItaliaOggi
del 17.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Una serie di risposte sui
rapporti tra amministrazione e
assessore-socio. Incompatibilità esclusa.
Se non c'è un contratto tra ditta e comune.
Un assessore comunale al commercio e alle
attività produttive ha preso parte a due
delibere di giunta nelle quali si è
disposto, nella prima, la concessione di un
contributo a favore di una parrocchia del
cui consiglio per gli affari economici egli
è componente; nella seconda, l'assegnazione
di una quota parte degli oneri di
urbanizzazione secondaria ad un ente di cui
lo stesso è presidente e legale
rappresentante. Inoltre l'ente locale ha
affidato un'attività concernente beni di
proprietà del comune ad una ditta,
costituita da una società di persone,
all'interno della quale l'assessore è un
«socio non addetto alle lavorazioni». In
tali casi esiste l'ipotesi d'incompatibilità
ex art. 63, comma 1, nn. 1 e 2 dlgs
267/2000? Nelle prime due circostanze
rappresentate è ravvisabile la violazione
del dovere di astensione di cui all'art. 78
del Tuoel?
Quanto alla prima delibera, se l'assessore
non riveste alcuna carica di amministratore,
bensì è componente del consiglio per gli
affari economici della parrocchia, che ha
solo funzioni consultive, per tale ipotesi
non sono rinvenibili profili di
incompatibilità, per carenza del requisito
soggettivo previsto dal citato art. 63,
comma 1, n. 2 Tuoel.
Inoltre non è stato
violato il dovere di astensione da parte
dell'amministratore locale a prender parte
alla discussione e alla votazione delle
delibere riguardanti la parrocchia, in
quanto il dovere di astensione di cui al
citato comma 2 dell'art. 78 fa riferimento
esclusivamente alle delibere riguardanti
interessi propri o di parenti e affini sino
al quarto grado, né la parrocchia può essere
ricompresa fra le aziende comunali
amministrate o soggette all'amministrazione
o vigilanza del comune.
Quanto al secondo
quesito, se l'ente in questione non è
soggetto a vigilanza da parte del comune e
questo contribuisce alla sovvenzione
dell'ente con una percentuale inferiore al
10% delle entrate complessive, non si può
configurare un'ipotesi d'incompatibilità ai
sensi dell'art. 63, comma 1, n. 1 del dlgs
267/2000.
In merito, poi, alla violazione
dell'obbligo di astensione di cui al comma 2
dell'art. 78 -anche qualora si assuma che
la delibera non riguarda interessi propri
dell'amministratore e il suo voto favorevole
sia comunque irrilevante nell'adozione della
delibera, in quanto adottata all'unanimità
dalla giunta comunale- si osserva che la
norma citata mira a prevenire il conflitto
d'interessi ed è finalizzata a salvaguardare
il buon andamento e l'imparzialità
dell'attività dell'ente locale, che ricorre
ogniqualvolta vi sia una correlazione
immediata e diretta tra la situazione
personale del titolare della carica pubblica
e l'oggetto specifico della deliberazione
(intesa come attività volitiva a rilevanza
esterna).
A tal proposito la sentenza 7050 – IV sez. del
04/11/2003, del Consiglio di
stato ha evidenziato che la regola
dell'astensione dell'amministratore deve
trovare applicazione in tutti i casi in cui
egli, per ragioni di ordine obiettivo, non
si trovi in posizione di assoluta serenità
rispetto alla decisione da adottare. Lo
stesso Consesso ha successivamente ribadito
che «_ la regola che vuole l'astensione dei
soggetti interessati è di carattere generale
e tende a evitare che, partecipando gli
stessi alla discussione e all'approvazione
del provvedimento, essi possano condizionare
nel complesso la formazione della volontà
dell'assemblea, concorrendo a determinare un
assetto complessivo dello stesso
provvedimento non coerente con la volontà
che sarebbe scaturita senza la loro presenza_» (Cfr. C. d. S., IV, sent. 21.06.2007, n. 3385, cit.).
Rileva in
materia, inoltre, in ogni caso, la personale
responsabilità politica e deontologica dei
soggetti interessati, tenuti tutti, come i
pubblici amministratori, ad adottare
comportamenti improntati all'imparzialità e
al principio di buona amministrazione, in
virtù di quanto espressamente dispone il 1°
comma del richiamato art. 78 del T.u. In
ordine al terzo caso prospettato non è
ravvisabile l'ipotesi d'incompatibilità di
cui all'art. 63, comma 1, n. 2 del dlgs
267/2000, in quanto non sussiste un rapporto
contrattuale particolare tra la ditta e il
comune.
L'art. 63, comma 1, n. 2 del dlgs 267/2000
stabilisce che non può ricoprire cariche
elettive locali colui che, come titolare,
amministratore, dipendente con poteri di
rappresentanza o di coordinamento abbia
parte, direttamente o indirettamente, in
servizi, esazioni di diritti,
somministrazioni o appalti, nell'interesse
del comune. La fattispecie contrattuale
rappresentata, pertanto, non configura un
rapporto di «durata», cioè non
sussiste nell'ipotesi in questione il
requisito previsto dalla disposizione
normativa che consiste nella partecipazione,
diretta o indiretta, in servizi, esazioni di
diritti, somministrazioni o appalti,
nell'interesse del comune.
Sono, inoltre, irrilevanti tanto la
circostanza che l'amministratore in
questione sia un socio non partecipante
all'attività lavorativa dell'impresa, quanto
la circostanza che la società sia una
società di persone, circostanza che
assumerebbe rilievo in presenza di un
contratto di appalto o di servizi
(articolo ItaliaOggi
del 17.02.2012). |
ENTI LOCALI:
Nuovo patto, premiati i virtuosi.
Obiettivi differenziati e gioco a somma zero
per gli sconti. La circolare della
Ragioneria generale dello stato sui vincoli
della nuova legge di stabilità.
Patto di stabilità con
un occhio di riguardo per gli enti virtuosi.
Vincoli di bilancio meno stringenti per le
amministrazioni con più autonomia
finanziaria, bilanci equilibrati e buona
capacità di riscuotere le proprie entrate. E
dal prossimo anno, regole di finanza
pubblica applicate anche ai comuni tra 1.001
e 5 mila abitanti e alle aziende speciali.
Con la
circolare
14.02.2012 n. 5, diramata ieri,
la Ragioneria generale dello stato ha
fornito le indicazioni operative di inizio
anno, che tengono conto della nuova
disciplina del Patto contenuta nella legge
di stabilità 2012. Alle province, il Patto
chiede 1.200 mln di euro per il 2012 e 1.300
mln a partire dal 2013, mentre i comuni sono
chiamati a contribuire, rispettivamente, per
4.200 e 4.500 mln.
Gli obiettivi 2012 sono stati alleggeriti
grazie ai proventi della Robin Hood tax (150
mln per le province e 520 per i comuni) e al
fondo di cui all'art. 20, comma 3, del dl
98/2011 (20 mln alle province e 65 ai
comuni), ma l'effetto di tali misure è già
incorporato nei coefficienti per il calcolo.
Non sono più previsti sconti generalizzati.
Buone notizie solo per gli enti (sono circa
70) coinvolti nella sperimentazione dei
nuovi sistemi contabili, che potranno
spartirsi una torta da 20 mln, ma
soprattutto per quelli che saranno
identificati come virtuosi.
Enti virtuosi.
È questa la novità più significativa. Agli
enti che verranno collocati nella prima
classe di merito (in origine ne erano
previste 4, poi ridotte a 2) sarà richiesto
uno sforzo più modesto. La selezione sarà
operata da un decreto del Mef sulla base dei
4 parametri previsti dall'art. 20, comma 2,
del dl 98/2011 sopravvissuti alla novella
operata dalla legge 183/2011, ovvero: 1)
rispetto del Patto; 2) autonomia
finanziaria; 3) equilibrio di parte
corrente; 4) rapporto tra riscossioni e
accertamenti delle entrate di parte
corrente.
Obiettivi differenziati.
Il meccanismo di calcolo degli obiettivi,
che continuano a essere declinati in termini
di competenza mista (accertamenti e impegni
per la parte corrente, riscossioni e
pagamenti per la il conto capitale), è stato
costruito per tenere conto della presenza di
due classi di enti.
Poiché i virtuosi non sono ancora stati
individuati, è stato necessario prevedere
due sottofasi. Nella prima, che scatta
subito, si determineranno i target per gli
enti; successivamente, si procederà a
differenziarli, migliorando quelli dei
virtuosi e peggiorando quelli dei non
virtuosi. Il gioco deve essere a somma zero
e il peso degli sconti riservati ai primi
sarà a carico dei secondi.
Nella prima sottofase, si assume come
parametro di riferimento la spesa corrente
media in termini di impegni registrata nel
triennio 2006-2008. Applicando a tale valore
(desunto dai consuntivi), il prescritto
coefficiente si ottiene l'obiettivo. Per le
province, il coefficiente è pari al 16,5%
per il 2012 e al 19,7% dal 2013, mentre per
i comuni è fissato, rispettivamente, al 15,6
e al 15,4%.
La seconda sottofase scatterà con
l'individuazione degli enti virtuosi, che
potranno limitarsi a raggiungere un saldo
obiettivo pari a 0 o a un valore leggermente
superiore (comunque più basso di quello
imposto agli altri): la legge 183/2011,
infatti, ha previsto che la maggiorazione
dei coefficienti di calcolo degli obiettivi
dei non virtuosi, necessaria per compensare
gli sconti ai virtuosi, non possa superare
lo 0,4%. Le percentuali, pertanto, potranno
arrivare fino al 16,9% ed al 20,1% per le
province e al 16% e 15,8 per i comuni.
Poiché il bilancio di previsione deve essere
coerente con il Patto fin dalla sua
approvazione, la circolare suggerisce a
tutti gli enti di utilizzare
prudenzialmente, nelle more
dell'individuazione dei virtuosi, i
coefficienti maggiorati previsti per i non
virtuosi, apportando in seguito le opportune
rettifiche.
Sterilizzazione dei tagli.
Ai fini del calcolo degli obiettivi, i non
virtuosi potranno portare in detrazione
rispetto al prodotto del coefficiente di
calcolo e della spesa corrente media
2006-2008 il taglio previsto (inizialmente a
valere sui trasferimenti erariali e ora a
carico del fondo sperimentale di
riequilibrio) dall'art. 14 del dl 78/2010.
Il relativo riparto sarà definito con dm e
nelle more gli enti possono agevolmente
stimare il taglio aggiuntivo 2012 applicando
al taglio 2011 il coefficiente 66,67%.
La circolare tace sul trattamento degli
ulteriori tagli previsti dal dl 201/2011
(pari a 415 milioni per le province e a
1.450 milioni per i comuni). Il Mef,
rispondendo ai quesiti di alcuni enti, ha
precisato che tali importi non possono
essere sottratti dagli obiettivi del Patto,
con evidente, ulteriore penalizzazione per
gli enti.
Enti soggetti.
Per il 2012 sono assoggettati al Patto le
province e i comuni con più di 5 mila
abitanti, mentre a decorrere dall'anno
prossimo entreranno anche i comuni con
popolazione compresa tra 1.001 e 5 mila
abitanti, i quali, peraltro, già da
quest'anno devono tenere conto dei relativi
vincoli in sede di predisposizione del
bilancio pluriennale.
Dal 2013 il Patto sarà esteso anche ad
aziende speciali e istituzioni, mentre per
le società in house il Mef dovrà
definire regole ad hoc. Dal 2014, infine,
dovrebbero essere assoggettate anche le
unioni obbligatorie per i comuni con meno di
1.000 abitanti. Ma la partita legata alla
riforma di cui all'art. 16 del dl 138/2011,
quasi certamente sarà rinviata ai
supplementari dal Milleproroghe (articolo
ItaliaOggi del 16.02.2012 -
tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al
16.02.2012 |
|
APPALTI: Piccoli
Comuni. Centrali uniche di committenza -
Gli acquisti unificati slittano a marzo 2013.
La proroga generalizzata agli obblighi di
Unione e associazione per i Comuni fino a
5mila abitanti imbarca al Senato un nuovo
capitolo: slitta a fine marzo 2013, grazie a
un emendamento approvato ieri in
commissione, l'obbligo per i piccoli enti di
creare centrali uniche per l'acquisizione di
lavori, servizi e forniture.
Il rinvio nasce
per evidenti problemi di coordinamento con
la cura delle Unioni e associazioni
obbligatorie scritta nella manovra estiva, e
rinviata di nove mesi dai correttivi al Milleproroghe approvati alla Camera. Il tema
è quello sollevato dall'articolo 16 del Dl
138/2011, che imporrebbe agli enti fino a
mille abitanti di confluire in Unioni (di
almeno 5mila residenti, 3mila in montagna)
per gestire tutte le attività, e a quelli
fra mille e 5mila di dare vita a gestioni
associate (di almeno 10mila abitanti) per le
funzioni fondamentali.
Dopo il primo
passaggio parlamentare del Milleproroghe, la
partita è stata spostata al 2013, e gli
amministratori locali contano di sfruttare i
tempi supplementari per rivedere a fondo
tutta la disciplina. In questo quadro,
mantenere l'obbligo di centrale unica a
partire da marzo avrebbe significato
introdurre un vincolo parziale mentre la
cornice generale era saltata
(articolo Il Sole 24
Ore del 15.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
PUBBLICO IMPIEGO: Semplificazioni.
Effetto combinato tra le norme sugli iter
conclusi oltre i termini e la riforma
Brunetta.
Il ritardo «licenzia» il dirigente.
La valutazione negativa per due anni può far
scattare la sanzione.
Il decreto legge sulle semplificazioni
pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» di
giovedì mette in campo una serie di nuove
tutele nei confronti del cittadino che
presenta una istanza alla Pubblica
Amministrazione.
Dall'introduzione del potere sostitutivo del
dirigente individuato dall'amministrazione,
o in mancanza, predefinito dal legislatore
stesso, il cittadino allo scadere del
termine per l'emanazione del provvedimento
di suo interesse può investire direttamente
il sostituto e ottenere quanto gli
necessita, con un minimo di attesa ulteriore
comunque pari a non oltre la metà del tempo
fissato dalla legge o dal regolamento
dell'amministrazione. Al verificarsi di un
tale ritardo maturano in primo luogo gli
elementi costitutivi della responsabilità
amministrativa del dirigente o del
funzionario che avrebbe dovuto provvedervi,
e scatta la segnalazione alla Corte dei
Conti che potrà condannare il lavoratore a
risarcire un danno al suo ente di
appartenenza.
Il ritardo o l'assenza del provvedimento
finale costituisce anche elemento di
valutazione negativa della prestazione del
dirigente o del funzionario per l'anno in
cui esso si verifica, e può comportare una
riduzione dell'indennità di risultato; si
tratta in queste ipotesi di responsabilità
«dirigenziale» che si aggiunge alla
responsabilità amministrativa.
In casi
estremi si può verificare per l'interessato
una valutazione talmente negativa da
determinare, qualora si ripeta per almeno
due anni, anche non consecutivi, una
valutazione di insufficiente rendimento:
un'eventualità che rende il dirigente
suscettibile di licenziamento disciplinare,
come previsto dal decreto Brunetta (nel
nuovo articolo 55-quater, comma 2, Dlgs
165/2001). Dal ritardo o dall'omissione del
provvedimento richiesto dal cittadino, anche
prima del decreto semplificazione e
sviluppo, sorgeva a dire il vero in capo al
dirigente o al funzionario responsabile
anche una responsabilità di natura
disciplinare.
Occorre però distinguere il comportamento
del lavoratore che ha semplicemente
ritardato nell'emanare un atto dovuto
dall'ipotesi in cui il ritardo o l'omissione
abbia anche comportato per il cittadino un
danno ingiusto. Nella prima ipotesi la
responsabilità disciplinare deriva dal
comportamento scarsamente diligente
nell'esecuzione dei suoi compiti e nella
trattazione ordinata delle pratiche che
potrà comportare dal minimo del richiamo
verbale al massimo della multa fino a
quattro ore di retribuzione.
Qualora invece
il cittadino investa il giudice civile,
richiedendo un risarcimento alla Pa per il
danno subito, al dirigente o al funzionario
potrà venire contestata una diversa figura
di responsabilità disciplinare. Anch'essa é
stata introdotta dal decreto Brunetta, tra
le ipotesi di «responsabilità per
comportamento pregiudizievole per
l'amministrazione» (articolo 55-sexies,
comma 1, Dlgs 165/2001). Questa ipotesi di
responsabilità disciplinare tuttavia
richiede una sentenza favorevole al
cittadino, che accerti il fatto che si sia
verificato ai suoi danni un danno quale
diretta conseguenza del ritardo o
dell'omissione nell'emettere il
provvedimento richiesto.
Come previsto
dall'articolo 2-bis della legge 241/1990,
modificata dalla legge 69/2009, il ritardo o
l'omissione devono essere frutto di dolo o
colpa, anche lieve, del dipendente pubblico.
Richiede pertanto che il giudice si esprima
in tal senso, avuto riguardo al
comportamento complessivo del lavoratore e
alle eventuali attenuanti dovute, ad
esempio, a carenze organizzative a lui non
imputabili.
L'entità del risarcimento
riconosciuto con sentenza a favore del
cittadino determina infine la gravità della
sanzione disciplinare applicabile in queste
ipotesi. Sanzione che varia da un minimo di
tre giorni a un massimo di tre mesi di
sospensione dal servizio e dalla
retribuzione per il dirigente o funzionario
responsabile del ritardo. Questo può tuttora
costituire un problema, tenuto conto degli
attuali tempi medi della giustizia, che
rendono di fatto inefficace il meccanismo.
---------------
L'incrocio delle regole
01 | LE SANZIONI
In caso di procedimenti conclusi in ritardo
rispetto ai tempi fissati da leggi o
regolamenti, può maturare per il dirigente o
funzionario responsabile la responsabilità
amministrativa, e scatta la segnalazione
alla Corte dei conti che in caso di danno
può stabilire la necessità di un
risarcimento a favore dell'ente
02 | LA VALUTAZIONE
L'esistenza di procedimenti che arrivano in
ritardo alla conclusione viene considerata
obbligatoriamente nella valutazione della
performance del dirigente responsabile
03 | LE CONSEGUENZE
La prima conseguenza diretta è di tipo
economico, perché una valutazione negativa
può ridurre fino ad annullare la
retribuzione di risultato riconosciuta al
dirigente
04 | RIFORMA BRUNETTA
L'entità dell'eventuale danno arrecato
all'ente, invece, può determinare in capo al
dirigente una sanzione aggiuntiva da tre
giorni a tre mesi di sospensione dal
servizio e dalla retribuzione. Nei casi più
gravi, una valutazione negativa protratta
per due anni può portare al licenziamento
disciplinare
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: A
rischio caos il calendario dei servizi
pubblici.
TEMPI SERRATI/
Il Governo deve fissare le regole per i
Comuni entro la fine di marzo e la Regione
individua gli «ambiti» a maggio.
Il susseguirsi di interventi normativi sui
servizi pubblici locali non contribuisce
certo a fare chiarezza e a dare stabilità
agli operatori, che si trovano sempre più
sospesi tra novità e rinvii.
Da questo punto di vista il Dl sulle
liberalizzazioni non rappresenta, purtroppo,
un'eccezione: crea non poche incertezze e
costringe i diversi attori istituzionali a
un tour de force che rischia di portare a
scelte poco ponderate e di rendere comunque
inevitabile un'ennesima proroga di scadenze
piuttosto che la definitiva messa a regime
del sistema.
In ogni caso l'articolo 3-bis introdotto nel
Dl 138/2011, che introduce una nuova forma
di «ambiti ottimali» la cui definizione è
affidata alle Regioni, richiede di essere
interpretato con attenzione. Si noti,
anzitutto, che qui non si applicano le
esclusioni previste al comma 34
dell'articolo successivo. Pertanto il 3-bis
e riguarda anche i settori non ricompresi
nell'articolo 4 (energia elettrica, gas,
farmacie e, parzialmente, l'idrico).
Per contro, la richiesta che le Regioni
«organizzino lo svolgimento dei servizi
pubblici locali in ambiti o bacini
territoriali ottimali» (di dimensione almeno
provinciale) non intende che tutti i servizi
debbano essere gestiti a livello di ambito,
ma solo quelli che la Regione giudicherà
tali e quindi, probabilmente, quelli già
così regolamentati: rifiuti, trasporto
locale, acqua, eccetera Altrimenti,
rischieremmo di assistere alla nascita di
società cimiteriali di ambito e ad altre
amenità del genere, vanificando l'autonomia,
costituzionalmente garantita, dei Comuni.
Un'interpretazione omnicomprensiva di
servizio pubblico andrebbe in contraddizione
con le norme, compreso lo stesso articolo
3-bis, comma 2, che prevedono invece la
possibilità dei Comuni di procedere ad
affidamenti di servizi pubblici locali.
Cerchiamo di capire, infine, quali sono i
«momenti chiave» del processo immaginato
dagli articoli 3-bis e 4 in materia di
servizi locali.
Il primo passo spetterà al Governo che,
entro il 31 marzo, deve scrivere un decreto
in cui illustrare con quali criteri i Comuni
devono «individuare i contenuti specifici
degli obblighi di servizio pubblico e
universale, verificano la realizzabilità di
una gestione concorrenziale» e, se del caso,
decidono di attribuire il diritto di
esclusiva su certi servizi (articolo 4,
comma 1) ed emanare in proposito una
delibera quadro (comma 2).
Il secondo spetta invece alla Regione che,
in base all'articolo 3-bis, comma 1, dovrà
individuare i servizi per i quali sia
opportuna una dimensione almeno provinciale
dell'ambito di affidamento e, quindi,
emanare delle norme in proposito. Le Regioni
dovranno fare tutto ciò entro il 30 giugno.
Se questo non accade, sarà il Governo a
intervenire con l'esercizio di un potere
sostitutivo (ma che, immaginiamo, richiederà
un po' di tempo per potersi dispiegare).
A seguito di ciò dovrà iniziare il lavoro di
istruzione e di deliberazione dei Comuni
che, preso atto del decreto governativo e di
quanto regolamentato dalle Regioni, potranno
formulare le loro scelte. I Comuni con oltre
10mila abitanti dovranno però richiedere, in
base all'articolo 4, comma 3, il parere
obbligatorio (ma non vincolante)
dell'Autorità Garante per la Concorrenza
che, a sua volta, si pronuncerà entro 60
giorni di tempo. Fatto questo, ci dovranno
essere le gare per l'affidamento del
servizio o con doppio oggetto, con i tempi
che ne derivano.
Tutto ciò è realisticamente realizzabile? In
effetti si ipotizza una tempistica non
proprio compatibile con la prevista
decadenza al 31.12.2012 degli affidamenti
in house. E bene ha fatto il legislatore
a introdurre un nuovo comma 32-ter
all'articolo 4, che prevede una sorta di
proroga di fatto degli affidamenti in
essere, fino alla conclusione di questo
laborioso iter burocratico
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti.
Le nuove procedure.
Nel contratto di disponibilità il pubblico
si lega al privato.
L'ACCORDO/
Con l'intesa l'affidatario mette l'opera a
disposizione dell'amministrazione in cambio
di canoni, contributi o prezzo di
trasferimento.
Il pacchetto normativo contenuto nei decreti
sulle liberalizzazioni e sulle
semplificazioni ha prodotto molte
innovazioni nel Codice dei contratti
pubblici, sia procedurali sia relative a
nuove soluzioni per definire i rapporti tra
stazioni appaltanti e appaltatori.
La nuova configurazione dell'appalto
riguarda soprattutto i lavori pubblici, per
i quali l'articolo 52 del Dl 1/2012 ha
previsto una revisione dell'articolo 93 del
Codice, che consente l'aggregazione dei
livelli progettuali (preliminare con
definitivo e definitivo con esecutivo), a
condizione che sia garantita la completezza
degli elementi descrittivi e tecnici. Anche
l'approvazione del progetto può essere
ottimizzata in rapporto all'aggregazione dei
livelli, con una scelta di maggior
dettaglio.
Questi aspetti incidono anche sulla
programmazione, per la quale le nuove
disposizioni richiedono che per i lavori
sotto al milione di euro di valore sia
elaborato almeno uno studio di fattibilità,
e per i lavori di importo superiore almeno
un progetto preliminare.
Alcune fasi della gestione della procedura
selettiva sono state semplificate, con
riferimento ai controlli sui requisiti di
ordine generale e di capacità
(economico-finanziaria e
tecnico-professionale), rafforzando le
previsioni del Codice sulla banca dati
nazionale degli appalti. Questa sarà l'unica
fonte di verifica dei requisiti dal 2013,
secondo un processo regolato dall'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici. Il
riscontro di requisiti secondo le modalità
tradizionali, con la collaborazione degli
operatori economici concorrenti sarà
possibile solo per le informazioni non
presenti nella banca dati nazionale.
Un'importante innovazione riguarda anche il
procedimento gestito dall'Avcp per
l'esclusione dalle gare di un'impresa che
abbia reso false dichiarazioni in sede di
gara: l'interdizione di un anno è ora
riconfigurata come termine massimo deciso
dalla stessa Autorità in rapporto alla
gravità della situazione rilevata (ad
esempio potendo differenziare se la falsa
dichiarazione deriva da dolo o da colpa
grave).
La selezione dell'appaltatore può condurre
ora a nuove forme di relazione con
l'amministrazione, maggiormente improntate
alla valorizzazione della partnership
pubblico-privato.
In tale prospettiva assume rilevanza
l'innovazione dell'articolo 44 del Dl
1/2012, con la disciplina del «contratto di
disponibilità». In questo rapporto sono
affidate, a rischio e a spesa
dell'affidatario, la costruzione e la messa
a disposizione a favore dell'amministrazione
aggiudicatrice di un'opera di proprietà
privata destinata all'esercizio di un
pubblico servizio, a fronte di un
corrispettivo.
Per «messa a disposizione» la norma intende
l'onere assunto a proprio rischio
dall'affidatario di assicurare
all'amministrazione la costante fruibilità
dell'opera, nel rispetto dei parametri di
funzionalità previsti dal contratto,
garantendo la manutenzione e la risoluzione
di tutti gli eventuali vizi, anche
sopravvenuti.
La disponibilità dell'opera è retribuibile
con tre forme diverse, che vanno dal
semplice canone al riconoscimento di un
contributo in corso d'opera, sino alla
corresponsione di un prezzo di
trasferimento.
La sostanziale innovazione rispetto a
soluzioni di partnership già presenti nel
codice (ad esempio locazione finanziaria o
project financing) è rinvenibile nella
previsione per cui nel contratto
l'affidatario assume il rischio della
costruzione (comprensivo della progettazione
e dello sviluppo della gara) e della
gestione tecnica dell'opera per il periodo
di messa a disposizione dell'amministrazione
aggiudicatrice.
La finalità realizzativa di opere con
elevato livello qualitativo comporta
l'utilizzo del metodo dell'offerta
economicamente più vantaggiosa per la
valutazione delle offerte, mentre sul piano
operativo la norma prevede che gli oneri
connessi agli eventuali espropri siano
considerati nel quadro economico degli
investimenti e finanziati nell'ambito del
contratto di disponibilità
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Scarichi e
rumori, sconti alle pmi.
Assimilazione tra acque reflue industriali e
quelle domestiche. Autorizzazioni semplificate:
autocertificazione invece della
documentazione di impatto acustico.
Dal 18 febbraio le piccole e medie imprese a
ridotto impatto ambientale potranno godere
di un regime autorizzatorio «light» per
scarichi idrici e inquinamento acustico.
Ad
aprire alle pmi le porte delle
semplificazioni burocratiche ambientali è il
dpr 227/2011, emanato in attuazione del dl
78/2010 (il noto decreto legge in materia di
competitività). Il provvedimento, pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale del 03.02.2012
n. 28 e in vigore dal successivo giorno 18,
incide (derogandola) sulla disciplina
ordinaria contenuta nel dlgs 152/2006 (cd.
«Codice ambientale») in materia di acque
reflue industriali e sulla disciplina
dettata dalla legge 447/1995 in materia di
inquinamento acustico.
Acque industriali «come» domestiche.
Attraverso l'assimilazione ex lege di alcune
acque reflue industriali alle acque reflue
domestiche, il nuovo dpr 227/2011 consente
ai titolari dei relativi insediamenti
produttivi di ottenere il permesso allo
scarico in base al più leggero iter
burocratico speciale stabilito dalle regioni
in attuazione del «Codice ambientale»
(istruttoria semplificata e rinnovo tacito)
in luogo del più severo regime ordinario
stabilito dal dlgs 152/2006 (autorizzazione
dietro presentazione di analitica
documentazione, da rinnovare poi ogni
quattro anni dietro nuova domanda presentata
un anno prima della scadenza).
Per godere
delle semplificazione le pmi dovranno
soddisfano contemporaneamente due
condizioni. La prima è quella di avere acque
reflue che rispettano comunque i limiti
massimi di inquinanti previsti dall'articolo
101 del dlgs 152/2006.
La seconda è quella
di avere acque reflue che rientrano in
almeno una delle tre categorie previste dal
nuovo dpr 227/2011, ossia: acque reflue che
prima di ogni trattamento depurativo
presentano livelli inquinanti rientranti nei
parametri disegnati dal nuovo dpr 227/2011;
acque reflue che derivano da attività di
servizi igienici, cucine e mense; acque
reflue che provengono da una delle 35
attività elencate dallo stesso decreto (tra
cui: alberghiere, ristorative, ricreative,
turistiche, sportive, artigianali, di
vendita al dettaglio, agroalimentari,
ospedaliere, di intermediazione
assicurativa).
Rinnovi «soft» per scarichi. Oltre ai
vantaggi dell'assimilazione, le pmi titolari
di scarichi industriali non contenenti
sostanze pericolose e non soggetti a
modifiche quali/quantitative (come volume
delle acque, sostanze in esse contenute)
potranno ottenere il rinnovo della relativa
autorizzazione presentando solo sei mesi
prima della scadenza (in luogo dell'anno
previsto dal regime ordinario del dlgs
152/2006) una semplice istanza recante, in
autodichiarazione ex dpr 445/2000, i dati
precisati dal nuovo dpr 227/2011 (e ciò in
luogo della nuova e ordinaria domanda
prevista di «default» dal dlgs 152/2006).
Deroghe all'impatto acustico. Le attività
commerciali e artigianali definite «a bassa
rumorosità» dal nuovo dpr 227/2011, attività
coincidenti in linea di massima con le
tipologie produttive più sopra descritte
(con l'eccezione di quelle ristorative e
ricreative con impianti di diffusione
sonora, qui escluse) non dovranno più
presentare alle pubbliche autorità la
«documentazione di impatto acustico»
prevista dall'articolo 8 della legge
447/1995.
La stessa «documentazione di
impatto acustico» potrà invece essere
prodotta in semplice autocertificazione da
parte delle pmi commerciali e artigiane che
non superano comunque i limiti di emissione
stabiliti dalla classificazione acustica
comunale (e, ove non effettuata, rispettose
comunque dei previsti dal dpcm 14.11.1997).
Competenza dello «Sportello unico». Il dpr
227/2011 prevede infine la convergenza delle
procedure amministrative relative alle
descritte autorizzazioni in materia di acque
e rumore presso lo «Sportello unico per le
attività produttive», l'ufficio istituito
dal dpr 160/2010 e meglio noto con
l'acronimo «Suap» (articolo ItaliaOggi Sette
del 13.02.2012). |
aggiornamento al
13.02.2012 |
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ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO:
Pa, via alla cura anti-ritardi.
Commissari e sanzioni ai funzionari se la
procedura è troppo lenta. Semplificazioni.
Le prime regole operative dopo la
pubblicazione in «Gazzetta» (Dl 5/2012).
La cura «anti-ritardi» per la burocrazia, lo
snellimento delle pratiche con la nuova
spinta alla Scia e le novità su documenti e
assunzioni partono ufficialmente oggi. Con
l'entrata in vigore del decreto sulle
semplificazioni varato in via definitiva
venerdì scorso dal consiglio dei ministri e
pubblicato ieri in «Gazzetta Ufficiale» (è
il Dl 5/2012) dopo l'esame puntuale del
Quirinale e la firma del capo dello Stato,
partono davvero i primi ingredienti della
ricetta che, insieme al decreto
liberalizzazioni che ora impegna il
Parlamento, dovrebbe aiutare la ripresa del
nostro Pil oggi in sofferenza.
Un gruppo consistente di norme ha bisogno di
decreti e altri provvedimenti attuativi, per
disciplinare per esempio il cambio di
residenza in tempo reale o l'unificazione
delle autorizzazioni ambientali, ma molte
regole partono subito, senza bisogno di
passaggi ulteriori.
Tra queste, una posizione di spicco va senza
dubbio assegnata alla cura «anti-ritardi»,
che anche per il suo valore "strategico"
occupa il primo articolo del decreto
pubblicato ieri. Le procedure portate a
termine oltre i tempi previsti da leggi o
regolamenti, o quelle che addirittura
sprofondano nelle sabbie mobili fino a
produrre un silenzio-inadempimento,
incontrano con il nuovo decreto una doppia
penalità. La prima è organizzativa, e porta
alla possibile diffusione di una serie di
"commissariamenti" in cui i vertici delle
amministrazioni sostituiscono i dirigenti e
i funzionari che guidano le strutture
ritardatarie.
I «sostituiti» si vedono
macchiata la pagella che riporta i dati
sulle loro performance, sulla cui base viene
distribuita la retribuzione di risultato, e
possono andare incontro alla responsabilità
amministrativa e a quella
amministrativo-contabile. La sanzione,
insomma, punta dritta sul portafoglio dei
dirigenti o funzionari responsabili, con
conseguenze potenziali ancora più pesanti
quando l'inerzia dell'amministrazione
produce un ricorso in via amministrativa
(nella nuova disciplina la tutela contro i
silenzi della Pa è disciplinata dal Codice
del diritto amministrativo scritto nel Dlgs
104/2010): se il ricorso ha successo, la
sentenza passata in giudicato viene girata
in automatico alla Corte dei conti, che può
quindi procedere per i profili di competenza
(danno erariale causato da dolo o colpa
grave).
Un'ultima sanzione è d'immagine, e
costringe l'ufficio ritardatario a
rilasciare i documenti con l'indicazione dei
tempi previsti dalla legge e di quelli, più
lunghi, utilizzati in concreto per portare a
dama il provvedimento. Sempre sul fronte
della burocrazia, cambiano le scadenze dei
documenti, che vanno a coincidere con il
compleanno del titolare, e viene portata a
dieci anni la validità delle tessere di
riconoscimento (con fotografia) rilasciate
dalle Pubbliche amministrazioni.
L'entrata in vigore del decreto porta con sé
anche la riforma dei controlli, che amplia
gli spazi per il revisore unico sia nelle
Srl sia nelle Spa a scapito dei collegi (gli
attuali, però, rimangono in carica fino alla
scadenza). Nelle università, cadute le
previsioni sul riordino del Cun e sui limiti
alla partecipazione dei professori alle
commissioni di reclutamento, l'entrata in
vigore del provvedimento porta con sé come
primi effetti lo stop alla possibilità di
affidare attività di tutoraggio o didattica
integrativa ai ricercatori a tempo
indeterminato. Novità anche in campo
assunzioni: la notizia-clou sul punto è la
proroga di un anno del bonus Sud, che
attende però l'accordo con le Regioni per la
ripartizione dei fondi (articolo Il Sole 24
Ore del 10.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Consiglieri senza
paura.
Non automatica l'incompatibilità da
litispendenza. La deroga si impone se
l'amministratore ha agito nell'interesse
pubblico.
Alcuni consiglieri comunali hanno presentato
ricorso al Tar avverso una delibera di
variazione del prg, successivamente revocata
per motivi di opportunità; a seguito della
revoca il comune ha presentato
controricorso, per danni patrimoniali e
all'immagine derivanti dalla vicenda,
avverso gli stessi consiglieri che ne hanno
eccepito l'inammissibilità.
Sussiste, nei
confronti di tali consiglieri, una
situazione di litispendenza, ascrivibile tra
le cause di incompatibilità ai sensi
dell'art. 63, comma 1, punto 4 del Tuel?
In merito al caso di specie, la Cassazione
civ. (sez. I, sent. n. 12014 del 26.11.1998)
ha affermato che la pendenza della lite va
ravvisata tanto nell'ipotesi in cui l'eletto
assume la veste di attore, quanto in quella
in cui sia l'ente locale a promuovere la
lite. Da ciò consegue che la rimozione della
causa d'incompatibilità può avvenire, nel
primo caso, per opera dell'«eletto», mentre
nel secondo caso comporta l'iniziativa
dell'ente che potrà, eventualmente, essere
provocata dall'eletto attraverso gli stessi
mezzi che sono a disposizione di qualsiasi
convenuto (ad esempio mediante transazione)
e si esprimerà attraverso i tipici atti
estintivi del giudizio o dell'azione.
Secondo l'attuale orientamento
giurisprudenziale è stato ritenuto che ad
integrare gli estremi della causa di
incompatibilità di cui al comma 1, n. 4) del
citato articolo 63 del decreto legislativo
267/2000, «non basta la pura e semplice
contestazione dell'esistenza di un
procedimento civile o amministrativo nel
quale risultino coinvolti, attivamente o
passivamente, l'eletto o l'ente, ma occorre
che a tale dato formale corrisponda una
concreta contrapposizione di parti, ossia
una reale situazione di conflitto: solo in
tal caso sussiste l'esigenza di evitare che
il conflitto di interessi nella lite
medesima possa orientare le scelte
dell'eletto in pregiudizio dell'ente
amministrativo, o comunque possa ingenerare
all'esterno sospetti al riguardo» (cfr.
Cass. civ., sez. I, 28.07.2001, n.
10335).
È stato, inoltre, affermato (cfr. Cass.,
sez. I, 19.05.2001, n. 6880) che
«l'accertamento ulteriore che questa
giurisprudenza prescrive non è finalizzato
alla ricerca di un conflitto sostanziale,
che prescinda dalla esistenza di un
processo, bensì alla verifica di segno
opposto (pur sempre, comunque, ispirata da
un favore verso l'eletto), della
corrispondenza della situazione di formale
pendenza della lite a un contenzioso
effettivo, attraverso la valutazione di
quegli elementi, di palmare evidenza, che
potrebbero evidenziare che la vertenza si è
sostanzialmente esaurita (per l'intervenuta
transazione, rinunzia) ovvero che è
assolutamente pretestuosa (per essere stato
investito, ad esempio, un giudice privo di
giurisdizione nel caso in esame (cfr. n.
4533, n. 4724/1999; n. 9789/2000)».
Quanto alle disposizioni di cui all'art. 63,
comma 3, del Tuel, si richiama
l'orientamento della Cassazione (cfr. Cass.
civ., sez., I, 16.08.2005, n. 16956),
secondo cui tale ipotesi costituisce una
deroga «della quale è evidente la ratio,
consistente nell'intento di escludere fra le
cause di incompatibilità quelle controversie
insorte per il perseguimento degli interessi
generali e non già per fini personali
dell'amministratore». In sintonia con la sua
«ratio» la norma, infatti, va letta tenendo
presente che la deroga, volta a
salvaguardare il libero esercizio delle
funzioni dal timore di incorrere in
situazioni di incompatibilità, magari
artatamente predisposte nell'ambito della
lotta politica, deve ritenersi sussistere
tutte le volte che l'amministratore abbia
agito nell'interesse pubblico.
Per completezza si chiarisce anche che la
rinuncia al ricorso, nel processo
amministrativo, non necessita
dell'accettazione della controparte (Cons.
stato, sez. V, 27/01/2006, n. 250), ma non
può essere sottoposta a condizioni (Cons.
stato sez. VI, 19/12/1986, n. 914) e, una
volta espressa e portata a conoscenza delle
controparti nelle forme di rito, depositata
nella segreteria del giudice, non può essere
revocata (Cons. stato, sez. VI, 23/09/2002,
n. 4805).
Ciò premesso, in conformità al principio
generale per cui ogni organo collegiale
delibera sulla regolarità dei titoli di
appartenenza dei propri componenti, la
verifica delle cause ostative
all'espletamento del mandato è compiuta con
la procedura consiliare prevista dall'art.
69 del dlgs n. 267/2000 che garantisce il
contraddittorio tra organo e amministratore,
assicurando a quest'ultimo l'esercizio del
diritto di difesa e salva la possibilità di
contestare per vie giudiziali la causa di
incompatibilità riscontrata (articolo ItaliaOggi del
10.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Certificati ancora obbligatori per i
cittadini extracomunitari.
I cittadini stranieri
che si rivolgono alla questura per avviare
una pratica inerente alla loro condizione
amministrativa non possono utilizzare le
dichiarazioni sostitutive di certificazioni
e di atti di notorietà. In questo caso
infatti serviranno ancora i classici
certificati per attestare i precedenti
penali, l'idoneità abitativa e tutti gli
altri stati del soggetto richiamati dalla
normativa in materia di immigrazione.
Lo ha chiarito il ministero dell'interno con
la circolare 24.01.2012.
La legge di stabilità 2012, n. 183/2011, in
vigore dal 1° gennaio scorso, ha disposto
che nei rapporti con gli organi della
pubblica amministrazione «i certificati e
gli atti di notorietà sono sempre sostituiti
dalle dichiarazioni sostitutive di
certificazione e dalle dichiarazioni
sostitutive dell'atto di notorietà». Ma
esistono delle eccezioni espresse alla
regola. Se n'è accorto il Viminale con la
nota di fine gennaio.
L'art. 15 della legge 183/2011, specifica la
nota centrale, ha modificato in alcune parti
il decreto del presidente della repubblica
28.12.2000, n. 445, ma non ha cambiato i
punti focali dedicati agli extracomunitari.
Appare opportuno evidenziare, specifica
infatti la circolare, «che la legge in
analisi, pur avendo inciso in modo evidente
sul testo degli articoli 40 e 43 del citato
dpr n. 445/2000, non è intervenuta sulla
previsione contenuta nel precedente articolo
3 ove sono chiaramente individuati i
soggetti cui il T.U. in materia di
documentazione amministrativa si applica».
In buona sostanza questo articolo evidenzia
che per gli extracomunitari l'accesso alla
semplificazione prevista non è scontata. Gli
stranieri possono utilizzare le
dichiarazioni sostitutive limitatamente agli
stati, alle qualità personali e ai fatti
certificabili o attestabili da parte dei
soggetti pubblici italiani. Ma con espressa
esenzione delle disposizioni contenute nelle
legge e nei regolamenti concernenti la
disciplina dello straniero. A parere del
ministero dell'interno nei procedimenti
amministrativi inerenti la condizione degli
stranieri non potranno essere accettate
dalle questure le dichiarazioni sostitutive
di certificazione ma solo i tradizionali
certificati. Quindi nessuna semplificazione
per l'attestazione dei dati derivanti dal
casellario giudiziale e sul certificato
delle iscrizioni relative ai procedimenti
penali in corso.
Esclusi dall'autocertificazione anche le
attestazioni sulla conformità igienico
sanitaria e sull'idoneità degli immobili, la
certificazione attestante l'iscrizione nelle
liste o nell'elenco anagrafico finalizzato
al collocamento del lavoratore licenziato,
dimesso o invalido per il rilascio del
permesso di soggiorno (articolo ItaliaOggi del
10.02.2012). |
aggiornamento al
10.02.2012 |
|
ENTI LOCALI:
Stop ai passaggi fra società ed ente.
I Comuni che riportano attività al proprio
interno, smantellando società a cui erano
stati affidati servizi in-house, non possono
derogare ai vincoli nella spesa di personale
quando trasferiscono anche il personale
prima impiegato nella "loro" azienda.
Lo stabiliscono due delibere delle sezioni
riunite della Corte dei conti (n. 3 e
4/2012) che, pur riconoscendo il fatto che
questa lettura può produrre effetti punitivi
soprattutto per gli enti più virtuosi, e
bloccare anche riorganizzazioni in grado di
diminuire i costi complessivi a carico del
bilancio pubblico, non «possono discostarsi»
da un'interpretazione restrittiva delle
regole sul personale. Il problema, si legge
fra le righe delle decisioni assunte dai
magistrati contabili, è nelle leggi, non in
chi è chiamato a darne una «interpretazione
autentica».
La questione comincia a diffondersi per
effetto delle tante norme introdotte negli
ultimi anni per vietare la costituzione di
nuove società (Dl 78/2010), limitare gli
affidamenti all'esterno (Dl 98/2011) e
limitare drasticamente l'in-house anche nei
servizi a rilevanza economica (Dl 138/2011,
rafforzato dal Dl 1/2012). In pratica, un
Comune ha chiesto la possibilità di
riportare al proprio interno servizi e
personale che fino a ieri erano in capo a
una società ora in via di smantellamento.
Il
Comune ha chiarito di essere in linea con
tutti i parametri che vincolano la spesa di
personale, aggiungendo che la
riorganizzazione avrebbe ridotto i costi
complessivi legati alle attività prima
svolte dalla società. L'intera operazione,
però, prevedeva anche il "trasferimento" del
personale da parte del Comune, con
conseguente sforamento del tetto che vieta
di spendere in assunzioni più del 20% dei
risparmi ottenuti con le cessazioni
dell'anno prima.
Il problema nasce dal fatto che i vincoli di
personale, sia il parametro del 20% sia
quello del 50% nel rapporto fra spese per
risorse umane e uscite correnti complessive,
si calcolano in maniera «consolidata»,
comprendendo nei conti sia il Comune sia le
società. Scomparendo la società, quindi,
saltano i tetti. Non solo: le aziende spesso
hanno assunto personale senza passare per i
concorsi pubblici, che invece rappresentano
l'unica strada per entrare nei ruoli del
Comune (articolo Il Sole 24 Ore del
09.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
aggiornamento al
09.02.2012 |
|
INCARICHI PROGETTUALI: Progettazioni,
gare a rischio. Possibile paralisi dopo
l'abrogazione delle tariffe professionali.
Conseguenza della liberalizzazione per gli
affidamenti dei servizi di ingegneria e
architettura.
Rischio paralisi per le
gare di progettazione: con l'abrogazione
delle tariffe professionali niente più
riferimenti per la stima della base d'asta,
per i requisiti di partecipazione e per i
servizi svolti.
È questo l'effetto, se non sarà modificata
la norma in sede di conversione, connesso
all'applicazione dell'articolo 9 del
decreto-legge 24.01.2012 in materia di
liberalizzazioni nel settore delle gare per
affidamento di servizi di ingegneria e
architettura.
La norma del decreto prevede infatti
l'abrogazione delle «tariffe delle
professioni regolamentate nel settore
ordinistico», fra queste, quindi anche
quelle di ingegneri e architetti (legge
143/1949 e dm 04.04.2001). Non solo. La
norma stabilisce anche, al comma 4, che
siano abrogate anche le disposizioni vigenti
che per la determinazione del compenso
rinviano alle tariffe.
La norma del decreto-legge determina quindi
almeno una prima conseguenza sulla
determinazione del corrispettivo a base di
gara, dal momento che il Codice (art. 92,
comma 2) e il regolamento (dpr 207/2010262,
comma 2) stabilisce che i corrispettivi
previsti dal decreto ministeriale 04.04.2001
possono essere utilizzate per stabilire
l'importo a base di gara. Abrogando la
tariffa professionale gli uffici tecnici
delle stazioni appaltanti non potranno più
utilizzare questa possibilità e quindi, in
assenza di alcuna indicazione al riguardo,
dovranno stimare l'importo secondo altre
modalità, al momento non conosciute e non
chiare. Il rischio, ovviamente, è che la
base dell'appalto sia ulteriormente ridotta
e il contratto sia aggiudicato a un prezzo
molto ridotto (visto che la media dei
ribassi è pari al 40%).
In considerazione delle diverse norme del
dpr 207/2010 che fanno riferimento alle
tariffe professionali, ulteriori conseguenze
si determinano anche con riguardo ai profili
di qualificazione dei partecipanti.
L'articolo 263 del regolamento (per le gare
oltre i 100 mila euro) e l'articolo 267 (per
gli affidamenti al di sotto dei 100 mila
euro) infatti fanno proprio rinvio alle
classi e categorie delle vigenti tariffe
professionali per individuare i requisiti di
capacità tecnica; in particolare si deve
provare la propria capacità documentando
servizi appartenenti a lavori riconducibili
alle classi e categorie di cui all'articolo
14 della legge 143/1949. Difficile
immaginare quindi come, abrogata la legge
143, si possano documentare i requisiti. Il
problema assume una sua rilevanza anche in
sede di certificazione dei servizi svolti da
parte dei professionisti e delle società,
dal momento che le stazioni appaltanti non
hanno più alcun riferimento per classificare
i servizi svolti, risultando abrogato
l'articolo 14 della legge 143.
La cosa appare di non poca rilevanza anche
sotto il profilo dell'avvio e del
funzionamento dell'istituenda Banca dati
nazionale dei contratti pubblici prevista
dal decreto-legge sulle semplificazioni che
dovrebbe ricevere i certificati dei servizi
(di ingegneria e architettura) e che,
invece, per i progettisti rischia di non
ricevere nulla
(articolo ItaliaOggi dell'08.02.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: Viminale/
Eletti, oneri a carico degli enti.
Gli oneri connessi
all'esercizio del mandato elettorale sono a
carico degli enti in relazione agli
amministratori lavoratori dipendenti di
società pubbliche che, tuttavia, non sono
inserite nel conto economico consolidato
individuato dall'Istat ai sensi
dell'articolo 1, commi 2 e 3 della Legge
finanziaria 2010, o di quelle che non sono
presenti nell'elenco di cui all'articolo 1,
comma 2 del Testo unico sul pubblico
impiego.
È quanto precisa la
nota
17.01.2012 n. 739 di prot. emanata dal
Dipartimento per gli affari interni e
territoriali del Mininterno, riprendendo le
osservazioni che un recente parere del
Consiglio di stato ha reso noto sul punto.
Come noto, ai sensi dell'articolo 80 del
Tuel, gli oneri per i permessi retribuiti
dei lavoratori dipendenti da privati o da
enti pubblici economici, sono a carico degli
enti presso i quali gli stessi esercitano il
loro mandato elettivo. Il legislatore,
infatti, esclude espressamente i lavoratori
statali e quelli dipendenti da altri enti
pubblici, in quanto la finalità della
disposizione è quella di ristorare il
privato degli oneri derivanti dai permessi
concessi ai propri dipendenti per
l'esercizio del mandato elettorale. E non vi
è dubbio che il predetto ristoro «non
avrebbe senso se operato a favore di una
persona giuridica il cui capitale è pubblico».
Sul punto e, soprattutto, in assenza di una
chiara posizione legislativa o di un
indirizzo giurisprudenziale in merito, il
Consiglio di Stato, Sez. I -
parere 22.12.2011 n. 4782 (affare n.
706/2011), investito della
questione a proposito dell'eventuale
rimborso ad amministratori dipendenti della
società Ferrovie dello stato spa, propone
una soluzione applicativa delle disposizioni
contenute al citato articolo 80 Tuel.
In pratica, sono da ritenere amministrazioni
pubbliche tutte quelle indicate all'articolo
1, comma 2, del dlgs n. 165/2001, sono
altresì pubblici gli enti e gli altri
soggetti indicati nel conto consolidato
della p.a. tenuto dall'Istat e, infine,
tutte le società che la legge indica
espressamente quali soggetti giuridici di
diritto pubblico.
I soggetti giuridici al di fuori di queste
tre ipotesi (com'è il caso di Ferrovie dello
stato, ma anche di Trenitalia e Poste
italiane spa) per il Consiglio di stato sono
da considerare privati e, pertanto, non sono
a loro carico gli oneri dei propri
dipendenti
(articolo ItaliaOggi dell'08.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Chiusura
per neve recuperata con ferie o permessi
retribuiti.
I lavoratori pubblici di Roma e provincia,
che non sono andati al lavoro nei giorni
scorsi a causa delle avverse condizioni
meteorologiche e in ossequio alle
disposizioni di chiusura degli uffici
pubblici contenute nelle ordinanze
prefettizie del 3 e 4 febbraio scorsi,
potrebbero essere costretti a dover
recuperare, con ferie o permessi retribuiti,
le giornate lavorative non svolte. Le
abbondanti nevicate, vere e proprie cause di
forza maggiore che impongono la chiusura
degli uffici pubblici per garantire la
sicurezza, non sono imputabili né al
lavoratore né al datore di lavoro. Di
conseguenza, quest'ultimo non è tenuto a
corrispondere la prestazione lavorativa.
A questa conclusione si perviene leggendo il
parere 25.05.2011 n.
50 dell'Aran
che, in risposta a un quesito sul punto, non
lascia margine ad alcun dubbio. I giorni non
lavorati vanno scomputati dalle ferie o dal
monte ore dei permessi retribuiti per motivi
personali che spettano ai lavoratori
annualmente per contratto.
Il quesito posto all'Aran chiedeva in che
termini considerare la prestazione
lavorativa, qualora la stessa non possa
essere effettuata per cause derivanti da
«eventi naturali o per provvedimenti autoritativi che impongono la chiusura
dell'amministrazione» (come si vede,
entrambi i casi ricorrono per il maltempo
che ha colpito la Capitale in questi
giorni).
Per l'Agenzia, nel caso in questione occorre
fare riferimento al concetto di «forza
maggiore», ovvero un evento che non è
imputabile né ai lavoratori né al datore di
lavoro, con la conseguenza «che quest'ultimo
non è tenuto a corrispondere la retribuzione
per le ore di mancata prestazione» (citando
sul punto l'articolo 2099 del codice civile
e la sentenza della Cassazione, sez. lav.,
n. 481 del lontano 1984).
Attenzione, nulla vieta alla stessa
amministrazione di corrispondere ugualmente
la retribuzione per i giorni in cui si è
verificata la situazione di forza maggiore,
ma a una condizione. Ovvero, che il
dipendente utilizzi, al fine di motivare
l'assenza, gli strumenti forniti dal
contratto collettivo di comparto, quali le
ferie, le festività soppresse, i permessi
retribuiti ex articolo 18 Ccnl del 1995 (18
ore annuali), oppure altre modalità previste
dal contratto per il recupero delle ore non
lavorate.
In pratica, il lavoratore romano che è
rimasto a casa, se ha già fruito dei
permessi retribuiti, si vedrà costretto,
alla riapertura degli uffici, a restare di
più in servizio per recuperare le ore non
lavorate causa maltempo
(articolo ItaliaOggi del 07.02.2012). |
VARI: Antiriciclaggio, nessuno si
salva dalle sanzioni oltre i mille euro. Le
novità operative dal 1° febbraio per i
pagamenti in contanti e assegni superiori
alla soglia.
Le disposizioni, gli obblighi e le connesse
sanzioni in tema antiriciclaggio, ivi
compresa, in particolare, l'applicazione
delle stringenti previsioni relative alla
«manovra Monti» sono operative a 360° a
partire dallo scorso 1° febbraio. È proprio
il caso di dire che di adempimenti ce n'è
per tutti, considerato che i soggetti
coinvolti sono non solo gli intermediari e i
professionisti del settore finanziario o
quelli dell'ambito contabile, ma anche le
imprese e i privati cittadini.
Ecco chi deve fare cosa nel panorama delle
problematiche collegate alla sanzionabilità
delle transazioni di contanti e titoli al
portatore oltre la soglia dei mille euro.
Rapporti finanziari fra privati. Dallo
scorso 06.12.2011, con le modifiche
apportate all'art. 49 del dlgs 231/2007 a
opera della cosiddetta «Manovra Monti» (dl
201/2011, conv. l. 22/12/2011, n. 214) è
stata ulteriormente abbassata la soglia
limite oltre la quale scatta la
tracciabilità obbligatoria dei pagamenti. In
pratica, sono stati così inibiti i pagamenti
in contanti fra soggetti privati, in unica
soluzione, a partire dai mille euro. Ma la
riduzione della soglia si estende anche
all'emissione di assegni liberi. Infatti,
anche gli assegni bancari e postali emessi
per importi pari o superiori a mille euro
dovranno avere, oltre che l'indicazione del
nome e della ragione sociale del
beneficiario (in assenza della quale i
titoli risulterebbero, di fatto, al
portatore), anche la clausola di
intrasferibilità. Gli assegni circolari,
vaglia postali e cambiari potranno, inoltre,
essere richiesti senza clausola di
intrasferibilità solo se inferiori a mille
euro.
In proposito, la stretta conseguente alla
soglia dei mille euro non sembra del tutto
immediatamente applicabile, e
conseguentemente sanzionabile, in capo al
soggetto privato che, nell'ambito dei suoi
rapporti finanziari con altri soggetti
privati, decida di movimentare valori
maggiori del limite ammissibile, sia
mediante un'unica transazione sia con più
operazioni frazionate. Si pensi, infatti, al
caso di due amici o parenti fra cui uno dei
due decide di prestare due mila euro
all'altro per esigenze contingenti e
quest'ultimo decida di spendere tale cifra,
sempre in contanti, per l'acquisto di generi
alimentari, vestiario e anche per il
pagamento di una bolletta di utenza.
Successivamente, il soggetto che ha ricevuto
il prestito restituisce lo stesso in
contanti in più rate, magari aggiungendo
anche qualche euro di interesse. In tale
situazione, data l'assenza di possibile
riscontro cartolare o di movimentazioni di
somme su conti correnti risulterà
praticamente impossibile rilevare
l'infrazione e applicare la sanzione. Non si
capisce, poi, a carico di chi ricadrebbe
l'onere di tale rilievo. Lo stesso dicasi
per il padre che elargisce 1.200 euro al
mese in contanti, affinché il figlio si
sostenga agli studi svolti fuori città, o
per il caso della pensionata che paga una
prestazione di servizi per totali mille
euro, svolta completamente in «nero» presso
la propria abitazione.
Rapporti banca-cittadino. A seguito del
polverone sollevato da più parti, in
particolare nei rapporti con le banche, per
il ridimensionamento della soglia delle
transazioni in contanti a mille euro, si era
creato allarmismo in merito al fatto che non
si potessero più prelevare o depositare
somme in contanti dai conti correnti e che,
nel caso di richieste in tal senso,
l'istituto di credito avesse dovuto far
compilare un apposito modello al cliente con
cui evidenziare e giustificare le ragioni
dell'operazione. Tutto è stato
successivamente chiarito a mezzo della
circolare Abi dell'11.01.2012
(richiamando quanto già evidenziato nella
circ. Mef del 04/11/2011), con la quale si
precisa che la soglia di mille euro si
applica esclusivamente ai trasferimenti di
denaro tra privati cittadini e non ai
versamenti e prelievi allo sportello.
È
pertanto pacifica l'effettuazione di
prelevamenti e versamenti bancari in misura
pari o superiore alla citata soglia senza
incorrere nell'irrogazione di specifiche
sanzioni, né dover evidenziare le ragioni
dell'operazione, in quanto non si configura
il trasferimento a terzi delle somme
richiesto dall'art. 49 del dlgs 231/2007,
poiché la quantità di denaro in questione
rimane a disposizione del medesimo soggetto.
Da non dimenticare, tuttavia, che le banche
sono tenute ad assolvere gli altri obblighi
previsti dalle disposizioni antiriciclaggio.
Laddove, infatti, le operazioni in contante
si prefigurassero eccessivamente frequenti
(per la stessa persona) e per importi
particolarmente elevati la banca dovrà
valutare se i comportamenti descritti
possano eventualmente configurare un'ipotesi
di operazione sospetta da segnalare al Mef,
ai sensi dell'art. 41 del medesimo decreto.
Rapporti fra impresa e privato. Facendo
riferimento alla soglia «off limit» dei
mille euro in contanti o titoli al
portatore, ipotizziamo quali potrebbero
essere le situazioni pratiche più
concretamente a rischio sanzionatorio
nell'ambito della normale operatività
quotidiana fra i privati e i soggetti con
partita Iva. Per esempio, non è ammissibile
lasciare un acconto in contanti di mille
euro per l'ordinazione di un arredamento
presso il negozio, come pure è irregolare
pagare in contanti la parcella di totali
1.200 euro di un avvocato, o, ancora,
costituisce violazione il pagare un
soggiorno in hotel, per 1.500 euro
complessivi in contanti direttamente presso
la hall.
Altresì non consentito, secondo il Mef (risposte giugno 2008), risulta il
pagamento in contanti, benché frazionato, di
un unico dividendo ultrasoglia corrisposto
dalla società a un socio, anche qualora tali
pagamenti venissero effettuati a distanza
superiore dei sette giorni (art. 1, lett. m)
del dlgs 231/2007) in quanto tale
frazionamento non deriva dal preventivo
accordo fra soci e società ma da una
decisione unilaterale di quest'ultima.
Addirittura, possiamo evidenziare che pure
il pagamento di una polizza assicurativa
presso l'agenzia costituirebbe irregolarità
se attuata in contanti oltresoglia, come
anche il pagamento di imposte e/o sanzioni
presso lo sportello di una esattoria.
Difatti solo nei confronti di banche e Poste
italiane viene espressamente prevista deroga
al divieto.
Il problema consiste nel fatto che, a
seguito del superamento della soglia lecita,
dovrebbe essere tanto l'operatore che riceve
il pagamento a rifiutare di ricevere il
contante, che colui che lo effettua a negare
la possibilità di saldare con denaro. Ma da
un punto di vista pratico il rischio
concreto si paventa solo allorché tale
transazione resti documentata esplicitamente
in una contabilità o a seguito di un
contratto scritto che contempli tali
specifici pagamenti, affinché,
successivamente, a seguito del vaglio ad es.
di un consulente tributario o di un Ced, o
di una verifica della Guardia di Finanza,
tale irregolarità possa essere riscontrata
nei documenti
(articolo ItaliaOggi
Sette del 06.02.2012). |
APPALTI: Contratti pubblici, la Banca dati
darà un taglio alle scartoffie. I vantaggi
del decreto semplificazioni: niente
certificati dagli appaltatori di servizi e
forniture.
Verifiche on-line per gli appalti pubblici
con l'avvio, a inizio 2013, della Banca dati
nazionale dei contratti pubblici, gestita
dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici; divieto di verifica sui requisiti
dei concorrenti con modalità diverse dalla
consultazione della Bdncp; gli appaltatori
di forniture e servizi, dall'01.01.2013, non dovranno quindi più produrre
certificati.
È una delle maggiori novità
contenute nel decreto legge sulle
semplificazioni per risolvere il problema
della qualificazione degli appaltatori
pubblici di lavori, forniture e servizi,
assicurando l'efficacia, la trasparenza e il
controllo in tempo reale dell'azione
amministrativa in materia di appalti, anche
sotto il profilo della prevenzione dei
fenomeni di corruzione. Con le norme
dedicate alla Bdncp si risolveranno quindi i
problemi legati all'eccessiva
burocratizzazione delle procedure che,
secondo alcune stime governative, portano
una azienda a produrre mediamente circa
trenta volte l'anno la stessa
documentazione.
In particolare, per le
piccole e medie imprese il risparmio sui
costi vivi della gestione amministrativa
delle gare si dovrebbe aggirare
complessivamente su oltre 140 milioni
all'anno, stando a quanto stimato dal
governo. Ma i benefici ci saranno anche per
le amministrazioni pubbliche le quali,
potendo effettuare i controlli sui
concorrenti attraverso il fascicolo
elettronico di ciascuna impresa, potranno
risparmiare 1,3 miliardi l'anno.
L'operazione avviata con il decreto legge
semplificazioni, stando al testo circolante
in questi giorni ed esaminato dal consiglio
dei ministri venerdì scorso, si basa sulla
banca dati che fu introdotta nel 2010 con il
comma 1 dell'art. 44, del dlgs 30.12.2010, n. 235. In particolare si prevede che
dall'01.01.2013 tutta la documentazione
relativa alla prova dei requisiti di
capacità economico-finanziaria e tecnico
organizzativa che i concorrenti devono
possedere per partecipare agli appalti dovrà
essere acquisita presso la Banca dati
nazionale dei contratti pubblici presso
l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici, prevista dall'articolo 62-bis del dlgs 82/2005, introdotto nel 2010.
La
disposizione dovrebbe prevedere che
l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici definisca innanzitutto quali dati,
utili alla partecipazione alle gare, nonché
alla verifica delle offerte, debbano essere
inclusi nella banca dati, nonché i termini e
le regole tecniche per l'acquisizione,
l'aggiornamento e la consultazione dei dati
contenuti nella predetta Banca dati. La
norma prevede che per l'attivazione della
banca dati tutti i soggetti pubblici e
privati che detengono dati e documenti
relativi ai requisiti di partecipazione,
abbiano l'obbligo di messa a disposizione
dell'Autorità di tali dati e documenti.
Parallelamente, gli operatori economici
saranno tenuti ad integrare i dati contenuti
nella Banca dati nazionale dei contratti
pubblici, creando un sistema dinamico e non
statico come invece è oggi quello basato
sulle Soa, ove i certificati hanno validità
quinquennale. Il meccanismo avrà una portata
fondamentale nel settore dei servizi e delle
forniture in cui, diversamente dai lavori,
non esiste un sistema di qualificazione dei
concorrenti.
All'obbligo di acquisizione della
documentazione da parte della Bdncp è
correlato l'obbligo per i committenti di
effettuare le verifiche dei requisiti di
capacità dei concorrenti esclusivamente
attraverso la banca dati, senza quindi più
chiedere documenti ai partecipanti alle
gare. Ciò significa che i partecipanti alle
gare potranno qualificarsi alle procedure
semplicemente con una autodichiarazione del
possesso dei requisiti di carattere generale
e speciale, mentre sarà cura del committente
che ha bandito la gara, verificare che
quanto dichiarato sia conforme alle
risultanze documentali rese disponibili a
questo fine dalla Banca dati nazionale dei
contratti pubblici.
Non si tratterà certamente di un percorso
facile, dal momento che occorrerà mettere in
linea e fare affluire nella banca dati una
rilevante mole di certificazioni
(soprattutto per i requisiti tecnici) e,
quindi, la necessità di un celere avvio
delle procedure di acquisizione di dati e
documenti appare centrale nell'applicazione
della norma.
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False dichiarazioni nelle gare, sanzioni
soft.
Ridotta la pena dell'esclusione dalle gare
per false dichiarazioni, che potrà essere
anche inferiore a un anno; prevista la
responsabilità solidale fra committente e
appaltatore e subappaltatori per i
contributi e il tfr; nuovi modelli per la
certificazione dei lavori dei contraenti
generali.
Fra le numerose novità introdotte dal
decreto legge semplificazioni si segnala
innanzitutto la norma sulle sanzioni per
false dichiarazioni rese dai concorrenti che
partecipano ad appalti pubblici. A oggi il
Codice stabilisce che se un concorrente
presenta una documentazione falsa o rende
una dichiarazione falsa, la stazione
appaltante deve segnalare l'accaduto
all'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici che, se ritiene che siano state
rese con dolo o colpa grave in
considerazione della rilevanza o della
gravità dei fatti oggetto della falsa
dichiarazione o della presentazione di falsa
documentazione, dispone l'iscrizione nel
casellario informatico ai fini
dell'esclusione dalle procedure di gara e
dagli affidamenti di subappalto per un
periodo di un anno. Una volta trascorso
l'anno, l'iscrizione viene ex lege
cancellata e perde comunque efficacia. Il
decreto-legge modifica il termine di
esclusione dalle gare che, oggi è sempre di
un anno, prevedendo, con una maggiore
flessibilità, da mettere evidentemente in
relazione alla natura della fattispecie
concreta in cui incorre il concorrente, che
essa sia fino a un anno.
L'Autorità, quindi,
potrà irrogare anche una sanzione di sei
mesi o di tre mesi e non sarà obbligata,
come è oggi, a irrogare un anno di
esclusione dalle gare. Il provvedimento
prevede anche, per appalti di opere o di
servizi, la responsabilità in solido del
committente imprenditore o datore di lavoro
con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli
eventuali subappaltatori, entro il limite di
due anni dalla cessazione dell'appalto, per
il pagamento di trattamenti retributivi,
compreso il tfr, e i contributi
previdenziali dovuti in relazione al periodo
di esecuzione del contratto di appalto.
Modificata la certificazione dei lavori
svolti dai contraenti generali che ad oggi
certificano i lavori «eseguiti con qualsiasi
mezzo» sulla base di modelli previsti dal
codice dei contratti, allegato XXII. Con la
nuova norma si rinvia invece ai modelli
definiti dal regolamento del codice dei
contratti pubblici, il che dovrebbe deporre
per un tentativo di omogeneizzazione delle
certificazioni, pur tenendo presente la
differenza sostanziale fra le diverse
tipologie di imprese (imprese tradizionali e
contraenti generali).
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Sì all'obbligo di gara sempre.
Per i beni culturali obbligo di gara sia per
le sponsorizzazioni di puro finanziamento,
sia per quelle tecniche di progettazione ed
esecuzione. Le amministrazioni dovranno
inserire gli interventi da inserire in un
apposito allegato al programma triennale;
gara a rilanci plurimi per l'individuazione
del maggiore finanziamento. È quanto prevede
il decreto legge in materia di
semplificazioni che detta una speciale
disciplina delle procedure per la selezione
di sponsor di interventi nel settore dei
beni culturali, aggiungendo un articolo (il
199-bis) al Codice dei contratti pubblici.
La nuova norma stabilisce innanzitutto che
anche gli interventi relativi ai beni
culturali, allo scopo di garantire il
rispetto dei principi generali di
economicità, efficacia, imparzialità, parità
di trattamento, trasparenza,
proporzionalità, devono essere inseriti
all'interno della programmazione dei singoli
enti di spesa. Pertanto si impone alle
amministrazioni aggiudicatrici competenti in
materia di predisporre un apposito allegato,
da inserire all'interno del programma
triennale dei lavori, nel quale siano
indicati i lavori, i servizi e le forniture
per le quali l'amministrazione intende
individuare un soggetto privato che
sponsorizzi il finanziamento dell'intervento
o direttamente la realizzazione.
Strumentale alla messa a punto dell'allegato
è la redazione di «studi di fattibilità,
anche semplificati, o i progetti
preliminari»; importante notare che
nell'allegato l'amministrazione può anche
inserire proposte di sponsorizzazioni di
interventi, nella forma di dichiarazioni
spontanee di interesse alla sponsorizzazione
trasmesse da privati che, in questo caso, si
atteggerebbero da «promotori», sul modello
della disciplina prevista per la finanza di
progetto. Il decreto legge, stando al testo
esaminato dal consiglio dei ministri nei
giorni scorsi, stabilisce come debba essere
selezionato lo sponsor: l'amministrazione
dovrà emettere un bando e pubblicarlo sul
sito istituzionale per almeno 30 giorni e
darne notizia su almeno due dei principali
quotidiani a diffusione nazionale e sulla
Gazzetta ufficiale (anche su quella
dell'Unione europea, se si superano le
soglie comunitarie).
Nell'avviso deve essere indicato
sommariamente il tipo di intervento per il
quale si chiede la sponsorizzazione e il suo
importo «di massima» e il tempo necessario a
realizzarlo, sia pure a titolo indicativo.
Il bando dovrà espressamente chiarire la
natura della sponsorizzazione: o si chiedono
offerte per una sponsorizzazione di tipo
puramente finanziario, in cui lo sponsor può
anche decidere di accollarsi le obbligazioni
di pagamento dei corrispettivi dell'appalto
dovuti dall'amministrazione, oppure si
chiedono offerte tecniche tramite un
partenariato pubblico-privato (PPP) nel
quale lo sponsor privato si occupa della
progettazione e della realizzazione di parte
o di tutto l'intervento. In quest'ultimo
caso l'amministrazione deve anche prevedere
nel bando gli elementi e i criteri di
valutazione delle offerte che, comunque, per
tutte le tipologie di sponsorizzazione
dovranno pervenire in un termine non
inferiore a 60 giorni.
La valutazione delle offerte sarà effettuata
direttamente dall'amministrazione
aggiudicatrice, a eccezione dei casi in cui
si tratti di interventi particolarmente
complessi o il cui valore stimato sia
superiore a un milione di euro, per i quali
occorre nominare una commissione
giudicatrice.
La gara si svolge con offerte
di rilancio migliorative successive alla
fase di definizione della graduatoria, ma
occorre definire un termine massimo per i
rilanci. Il contratto viene quindi
aggiudicato al soggetto che ha offerto il
maggiore finanziamento o che ha proposto
l'offerta realizzativa giudicata migliore,
in caso di sponsorizzazione tecnica. In caso
di mancanza di offerte o in caso di offerte
inadeguate o inammissibili, la norma prevede
che sei mesi dopo la gara l'amministrazione
possa ricercare di sua iniziativa uno
sponsor, fermi restando i termini tecnici
indicati nel bando.
La norma del decreto legge fa anche salve le
disposizioni in materia di requisiti di
ordine generale e di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa. Infine, con una
modifica all'articolo 26, si precisa che per
gli interventi in settori diversi dai beni
culturali, se è lo sponsor ad acquisire
forniture o servizi o a realizzare lavori a
proprie spese, e l'importo supera i 40 mila
euro, si applicano i principi del Trattato e
i requisiti per la qualificazione di
appaltatori e progettisti
(articolo ItaliaOggi
Sette del 06.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Imu, corsa alla fusione
catastale.
L'aliquota ridotta è applicabile a una sola
unità immobiliare. Come ottenere un
risparmio d'imposta grazie a operazioni
condotte assieme a un professionista.
Il geometra può rendere l'Imu più light.
L'accorpamento delle diverse unità
immobiliari che possono comporre
l'abitazione principale o la richiesta di
attribuzione della categoria catastale «F/2»
per gli immobili dichiarati inagibili o
inabitabili, sono operazioni che, grazie
all'intervento dei professionisti del
settore, possono portare a un consistente
risparmio d'imposta.
Senza dimenticare, poi,
la necessità del loro intervento per
l'iscrizione nel catasto dei fabbricati, da
effettuarsi entro il 30/11/2012, di tutte le
costruzioni rurali che risultano ancora
allibrate al catasto dei terreni.
Abitazione principale. Corsa contro il tempo
per la fusione catastale delle abitazioni
composte da più unità immobiliari
distintamente iscritte in catasto. È
l'effetto prodotto dall'art. 13, comma 2,
del dl n. 201/2011 il quale prevede che
l'aliquota ridotta Imu del 4 per mille (o
quella, comunque di favore, stabilita dal
comune tra il 2 e il 6 per mille) sarà
applicabile a «una sola» unità immobiliare,
ancorché il contribuente dimori abitualmente
e risieda anagraficamente in un compendio
immobiliare composto da più unità catastali
distintamente iscritte in catasto.
Viene
così superato, per via legislativa, il
principio, più volte enunciato dalla Corte
di cassazione, secondo il quale, ai fini
Ici, il contemporaneo utilizzo di più unità
immobiliari come abitazione principale non
costituiva ostacolo all'applicazione delle
agevolazioni previste per l'abitazione
principale a tutte le sue singole
componenti. In effetti, fin dall'avvio
dell'Ici, era sorto il problema circa
l'applicabilità del regime di favore
riconosciuto all'abitazione principale
(aliquota ridotta e detrazione d'imposta poi
sostituite, dal 2008, con l'esenzione
totale) nel caso in cui il fabbricato nel
quale dimorava abitualmente il contribuente
fosse costituito da due, o più, unità
iscritte singolarmente accatastate. Era il
caso, per esempio, di due appartamenti
contigui, uniti attraverso l'abbattimento di
un muro, che di fatto (ma non catastalmente)
erano divenuti un'unica abitazione.
Al
riguardo, il ministero delle finanze, con la
risoluzione n. 6/DPF/2002 precisò che in
tali ipotesi ci si trovava, in realtà, in
presenza di due unità immobiliari. E che
come tali andavano singolarmente e
separatamente soggette a imposizione: una
come abitazione principale con applicazione
delle agevolazioni e delle riduzioni per
questa previste e l'altra come seconda
abitazione, con l'applicazione dell'aliquota
ordinaria. Tale tesi non è stata però
condivisa dalla Corte di cassazione (sentt.
n. 25729/2007; n. 25902/2008; n. 3397/2010)
la quale ha statuito che il concetto di
«abitazione principale» non risulta
necessariamente legato a quello di «unità
immobiliare iscritta o che deve essere
iscritta nel catasto edilizio» né, di
conseguenza, limitato a una sola unità come
identificata catastalmente, ma viene in
rilievo esclusivamente per la speciale
considerazione, da parte del legislatore,
dello specifico uso quale «abitazione
principale» dell'immobile nel suo complesso.
Il principio affermatosi nella
giurisprudenza di legittimità, con riguardo
all'Ici, non può trovare ingresso nell'Imu,
atteso che l'art. 13, comma 2, del dl n.
201/2011 limita, inequivocabilmente, a una
sola unità immobiliare il concetto di
«abitazione principale». Va da sé che se i
contribuenti interessati non procederanno
tempestivamente alla fusione catastale delle
diverse unità immobiliari che, di fatto,
costituiscono la loro abitazione principale,
dal 2012 si troveranno a fruire
dell'aliquota ridotta del 4 per mille (oltre
alla detrazione d'imposta) solo per una di
dette unità catastali; le altre sconteranno
l'aliquota ordinaria del 7,6 per mille.
Difficoltà a procedere catastalmente nel
senso indicato si potrebbero incontrare
qualora sulle unità immobiliari da accorpare
gravassero diritti reali non omogenei
(esempio appartamento A di proprietà
esclusiva del marito e appartamento B in
comproprietà tra i coniugi), atteso che, in
tali casi, in base alla normativa catastale,
non è possibile fondere le distinte parti.
Va tuttavia precisato che, con nota del
21/02/2002, l'Agenzia del territorio ha reso
nota la possibilità di presentare
dichiarazioni di variazione con le quali
ogni porzione è iscritta autonomamente in
catasto con la dizione «PORZIONE DI U.I.
unita di fatto con quella di Foglio XX,
part. YY, Sub. ZZ» con attribuzione di
categoria e classe più appropriata,
considerando le caratteristiche dell'unità
immobiliare intesa nel suo complesso (cioè
derivante dalla fusione di fatto delle due
porzioni) e con rendita che viene associata,
a ciascuna di dette porzioni, in ragione
della relativa consistenza
(articolo ItaliaOggi
Sette del 06.02.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Cancellata
la riduzione del 50% sull'imposta.
Fabbricati inagibili scoperti
dall'agevolazione.
L'Imu cancella l'agevolazione, consistente
nella riduzione del 50% dell'imposta, che
l'Ici riconosceva ai fabbricati dichiarati
inagibili o inabitabili e di fatto non
utilizzati. Ciò sta a significare che dal
2012 i fabbricati dichiarati inagibili o
inabitabili pagheranno l'Imu in misura
piena, applicando l'aliquota ordinaria alla
base imponibile (ottenuta moltiplicando la
rendita, rivalutata del 5%, per il
coefficiente previsto in relazione alla
categoria catastale dell'immobile).
Coerentemente con tale precetto, l'art. 13
del dl n. 201/2011 ha abolito la lettera h)
del comma 1 dell'art. 59 del dlgs n.
446/1997 che consentiva ai comuni di
disciplinare, con il regolamento Ici, le
caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta
del fabbricato, non superabile con
interventi di manutenzione, agli effetti
dell'applicazione della riduzione alla metà
dell'imposta. Occorre però rammentare che,
in virtù di quanto disposto dall'art. 3,
comma 2, del decreto 2/1/1998, è stata
istituita una categoria catastale denominata
«F/2 (unità collabente)» attribuibile alle
costruzioni non abitabili o agibili, e
comunque di fatto non utilizzabili a causa
di dissesti statici, di fatiscenza o
inesistenza di elementi strutturali e
impiantistici, ovvero delle principali
finiture ordinariamente presenti nella
categoria catastale, cui l'immobile è
censito o censibile.
Il classamento in
categoria «F/2» viene quindi riconosciuto in
tutti i casi in cui la concreta
utilizzabilità non è conseguibile con soli
interventi edilizi di manutenzione ordinaria
o straordinaria. La caratteristica degli
immobili così censiti è che essi risultano
esenti da attribuzione di rendita. Si
tratta, per essere meno precisi ma più
concreti, di unità immobiliari con rendita
catastale pari a zero.
Va tuttavia rimarcato
che la «migrazione» verso la categoria
catastale «F/2» richiede il rispetto della
sussistenza di precisi requisiti bene
esplicitati nella C3/95/98 del 22/10/1998
dell'ex Direzione centrale del catasto. Il
citato documento di prassi ministeriale
opera infatti una fondamentale distinzione
tra «inagibilità di carattere temporaneo» e
«degrado tale da compromettere
permanentemente l'utilizzazione del
fabbricato». Nel primo caso il classamento
(e quindi la rendita catastale) del
fabbricato non può essere modificato. Nel
secondo caso, invece, se il reddito
effettivo differisce dalla rendita catastale
per oltre il 50% e per un periodo di almeno
un triennio (art. 35 del Tuir), è possibile
la variazione in diminuzione della stessa
rendita seguendo la procedura, sopra
esaminata, che da anni trova specifica
disamina nell'appendice alle istruzioni alla
dichiarazione dei redditi (730 o Unico).
Seguendo pertanto le indicazioni fornite
dalla Direzione centrale del catasto, con la
predetta nota C3/95/98 del 22/10/1998, si
può quindi arrivare alle seguenti
conclusioni: 1) se il fabbricato viene
dichiarato inagibile, ma senza le aggravanti
che si vedranno nel punto successivo, l'Imu
deve essere corrisposta sulla base della
rendita catastale originariamente attribuita
senza alcuna agevolazione; 2) solo se la
predetta inagibilità comporta una riduzione
del reddito superiore al 50% per un periodo
di almeno un triennio, è possibile
accatastare l'unità immobiliare in categoria
«F/2» con rendita nulla.
Dal che ne dovrebbe
conseguire l'esclusione dall'Imu del
fabbricato accatastato in categoria «F/2»,
atteso che l'art. 5, comma 6, del dlgs n.
504/1992, richiamato espressamente dall'art.
13 del dl n. 201/2011, prevede che la base
imponibile dell'immobile in questione «è
costituita dal valore dell'area
edificabile», e non più dal valore catastale
dell'edificio, solo dal momento della
«demolizione del fabbricato» finalizzata
all'utilizzazione edificatoria dell'area
sottostante
(articolo ItaliaOggi
Sette del 06.02.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Rifiuti, suolo in gestione agevolata.
I materiali di riporto fuori dalla
disciplina tradizionale. Il decreto ambiente
rivede il dlgs 152/2006. Il regime giuridico
è quello legato al terreno.
Dal 25.01.2012 i materiali di riporto,
quale mix di materiali naturali e
artificiali sedimentati nel terreno, seguono
lo stesso regime giuridico ambientale del
suolo, con la possibilità (quindi) di essere
gestiti fuori dalla stringente disciplina
dei rifiuti. A stabilirlo sono le
disposizioni recate dal nuovo dl 2/2012
recante misure straordinarie e urgenti in
materia ambientale, decreto (pubblicato
sulla G.U. del 25.01.2012 n. 20 e in
vigore dallo stesso giorno) che rivede la
disciplina sancita dal dlgs 152/2006
(cosiddetto «Codice ambientale») in materia
di suolo.
La nuova disciplina del «suolo». Mediante
un'operazione di interpretazione autentica
il nuovo dl 2/2012 stabilisce che la nozione
di «suolo» recata dall'articolo 185 del dlgs
152/2006 deve essere riferita anche alle
«matrici materiali di riporto», sibillina
formula (prevista dall'allegato V, parte IV
del Codice ambientale) che sottende le
miscele eterogenee di materiali di origine
antropica e terreno naturale utilizzate
(storicamente) per riempimenti e
livellamenti del terreno, fino a integrarsi
con il suolo.
Al fine di allineare alle
novità in parola le altre norme del sistema,
lo stesso dl 2/2012 affida poi all'emanando
decreto Minambiente che riformulerà le
regole per gestire come sottoprodotti le
terre e rocce da scavo anche la
determinazione delle condizioni tecniche per
trattare come tali i materiali di riporto.
L'allargamento della nozione «suolo» ai
materiali di riporto provoca a valle
l'intera riformulazione del confine tra
«rifiuto» e «non rifiuto» previsto dal dlgs
152/2006.
Alla luce dell'interpretazione
autentica del codice ambientale imposta dal
dl 2/2012 appaiono infatti essere non più
considerabili come rifiuti: il terreno (non
scavato), anche se contenente materiali di
riporto; il suolo contaminato non scavato
(fermo restando gli obblighi di bonifica
stabiliti dallo stesso dlgs 152/2006), anche
(di nuovo) se contenente materiali di
riporto; il suolo non contaminato escavato
nel corso di attività di costruzione, purché
riutilizzato allo stato naturale nello
stesso sito a fini di costruzione, anche (e
la ripetizione è d'obbligo) se contenente
materiali di riporto.
Le altre novità all'orizzonte. Una vera e
propria rivoluzione della materia arriverà
con un futuro dm Ambiente (previsto
dall'articolo 184-bis del dlgs 152/2006) che
detterà le nuove regole per gestire come
sottoprodotti delle terre e rocce da scavo,
ossia il suolo e il sottosuolo derivanti da
opere quali sbancamenti, trivellamenti,
escavazioni, demolizioni, realizzazione di
costruzioni, lavorazioni materiali lapidei,
con concentrazioni di sostanze inquinanti
non superiori a determinati limiti massimi.
Le nuove regole, che dalla loro entrata in
vigore sostituiranno quelle attualmente
recate dall'articolo 186 del codice
ambientale, condizioneranno l'utilizzo dei
materiali da scavo fuori dal regime dei
rifiuti all'osservanza di precisi requisiti
qualitativi e all'adempimento da parte dei
loro gestori/utilizzatori finali di
particolari obblighi. A spingere
sull'adozione del nuovo decreto ministeriale
è intervenuto da ultimo il cosiddetto
«Decreto liberalizzazioni» (il dl 1/2012,
pubblicato sulla G.U. del 24.01.2012),
decreto d'urgenza che ha fissato per la fine
del prossimo marzo la deadline entro la
quale il dicastero dell'ambiente dovrà
adottare la nuova citata regolamentazione
sui sottoprodotti. Un'anticipazione della
nuova disciplina regolamentare è addirittura
prevista da un ulteriore provvedimento
d'urgenza in corso di approvazione.
Il
cosiddetto «Decreto infrastrutture»
attualmente allo studio del consiglio dei
ministri prevede infatti che nelle more
dell'emanazione del dm Ambiente in
questione, le terre e rocce da scavo
prodotte nell'esecuzione di opere possano
essere reimpiegate nel corso dello stesso o
di altro processo produttivo come
sottoprodotti (quindi senza passare dalla
disciplina dei rifiuti) anche se sottoposti
a trattamenti preventivi, purché si tratti
di trattamenti non diversi dalla «normale
pratica industriale», intendendosi per tale
(secondo il tenore del decreto in itinere)
anche la selezione granulometrica, la
riduzione volumetrica, la stabilizzazione a
calce o a cemento, l'essiccamento, la
biodegradazione naturale degli additivi
condizionanti. Che arrivi mediante l'atteso
decreto ministeriale o tramite il citato
decreto d'urgenza in corso di approvazione,
la legittimità del trattamento preventivo
coincidente con la «normale pratica
industriale» per il riutilizzo delle terre e
rocce da scavo in deroga alla disciplina sui
rifiuti trova suo fondamento direttamente
nell'articolo 184-bis del codice ambientale.
Come riformulato dal dlgs 205/2010 in
recepimento delle norme comunitarie in
materia di rifiuti (direttiva 2008/98/Ce),
l'articolo 184-bis del codice ambientale
ammette infatti tra i sottoprodotti le
sostanze e gli oggetti che (oltre a
rispettare le altre condizioni in materia)
sono sottoposti, dopo la loro produzione e
prima del successivo riutilizzo, a un
trattamento rientrante nella «normale
pratica industriale», nozione (come
interpretata dalla Corte di cassazione con
sentenza 26.09.2011 n. 34753) nella
quale rientrano le operazioni tipicamente
svolte in un determinato contesto produttivo
in vista del riutilizzo (articolo ItaliaOggi
Sette del 06.02.2012). |
ENTI LOCALI: Società,
sul Patto catena di rinvii. La sezione
Lombardia esclude il vincolo per gli enti
proprietari fino a quando la normativa è
incompleta.
L'obbligo di vigilanza riguarda tutte le
affidatarie dirette ma manca il decreto.
L'ALTRO CHIARIMENTO/ Nella gara a doppio
oggetto i compiti operativi da assegnare al
socio privato vanno decisi in base al
contratto di servizio.
L'assoggettamento al Patto di stabilità vale
per tutte le società in house che
siano affidatarie dirette di servizi
pubblici o strumentali, ai sensi
dell'articolo 18, comma 2-bis, del Dl
112/2008. Il vincolo si applica anche alle
società che gestiscono servizi pubblici
esclusi dal l'applicazione dell'articolo 4
del Dl 138/2011, in quanto l'articolo 18 ha
portata generale.
Gli enti soci delle società a totale
partecipazione pubblica, titolari di
affidamenti diretti di servizi pubblici o
strumentali senza gara, devono quindi
vigilare sull'osservanza del Patto da parte
degli organismi partecipati.
Considerato però che la norma rinvia a un
decreto la definizione delle modalità e
della modulistica, «non può farsi
derivare dalle predette norme l'obbligo
attuale, in capo agli enti controllanti, di
valutare il rispetto del Patto di stabilità
attraverso un bilancio consolidato
funzionale ad un'analisi della situazione
finanziaria della società unitamente a
quella dell'Ente locale».
Questo uno dei chiarimenti forniti dalla
Corte dei conti della Lombardia nella
delibera 7/2012, con cui ha risposto agli
oltre dieci quesiti presentati dal
presidente della provincia di Varese. L'ente
si era rivolto ai magistrati contabili in
quanto, prima di procedere alla costituzione
di un organismo partecipato per la gestione
del servizio idrico, voleva verificare quale
fosse la soluzione più idonea in relazione
alla concreta situazione giuridica e
contabile della Provincia.
Secondo la Corte dei conti, le società in
house affidatarie dirette della gestione di
un servizio pubblico a rilevanza economica
sono assoggettate al Patto.
Il Dl 1/2012 ha introdotto l'articolo 3-bis
al Dl 138/2011, stabilendo che «le
società affidatarie in house sono
assoggettate al Patto di stabilità interno
secondo le modalità definite dal Dm previsto
dall'articolo 18, comma 2-bis, del Dl
112/2008». Al contrario, le società che
hanno ricevuto l'affidamento della gestione
di servizi pubblici locali con procedura
competitiva sono escluse dal vincolo. Lo
stesso vale per la società mista il cui
socio privato sia stato scelto con gara,
anche se la procedura a evidenza pubblica
sia stata seguita solo per la scelta del
socio e in mancanza di una seconda gara per
il conferimento del servizio.
Per quanto riguarda il vincolo posto
dall'articolo 14 del Dl 78/2010, la Corte ha
ribadito che la gestione di un servizio
pubblico locale a rilevanza economica non
costituisce ex se una causa di
esclusione dall'applicazione di questi
limiti quantitativi alle partecipazioni
societarie da parte degli enti locali.
Per quanto concerne le modalità di
svolgimento della gara «a doppio oggetto»,
l'Amministrazione ha chiesto alla Corte
chiarimenti in merito agli specifici compiti
operativi che devono essere attribuiti al
socio privato per la gestione del servizio.
In particolare, è stato chiesto se tra i
compiti operativi possa essere compresa la
realizzazione diretta da parte del socio
degli interventi infrastrutturali o legati
alla manutenzione straordinaria, senza
l'obbligo da parte della società di
procedere a tali affidamenti mediante
procedure a evidenza pubblica.
In linea di principio i compiti operativi,
che devono rientrare nella procedura di gara
per la scelta del socio operativo di una
società mista per la gestione di un servizio
pubblico locale a rilevanza economica,
devono essere gli stessi oggetto del
contratto di servizio che regolerà i
rapporti tra gli enti e la società.
La Corte ha chiarito che è rimessa alla
discrezionalità del l'amministrazione
l'individuazione delle specifiche attività
da conferire al socio privato operativo e
delle modalità di svolgimento della
procedura.
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Le tappe
01 | MANOVRA 2008
L'inserimento delle società affidatarie
dirette ai vincoli del Patto di stabilità è
stato previsto dall'articolo 23-bis del Dl
112/2008
02 | DECRETO RONCHI
Il Dl 135/2009 ha riscritto la riforma dei
servizi pubblici locali rilanciando
l'obbligo
03 | DECRETO ATTUATIVO
Il Dpr 168/2010, attuativo della riforma, ha
rimandato a un decreto ulteriore il Patto
per le società
04 | «SALVA-ITALIA»
Il vincolo, abolito dal referendum, è stato
reintrodotto, rimandandolo allo stesso
decreto attuativo
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Tre
vie per arrivare all'affidamento.
I servizi pubblici locali devono essere
affidati in base a un percorso rigoroso, che
parte dalla ridefinizione dei bacini
ottimali.
Le disposizioni introdotte dal Dl
1/2012 completano il quadro di riferimento
secondo una prospettiva di razionalizzazione
per area vasta, con le Regioni chiamate a
definire entro il 30.06.2012 gli ambiti
territoriali (con dimensione almeno
provinciale), per consentire scelte
gestionali produttive di economie di scala e
di vantaggi per l'utenza.
Sulla base di tale assetto territoriale, gli
enti affidanti (amministrazioni locali o
enti preposti alla governance degli ambiti
ottimali) devono elaborare un'analisi di
mercato, da tradurre nella
deliberazione-quadro per l'attribuzione dei
diritti di esclusiva, secondo lo schema che
verrà definito da un Dm entro il 31.03.2012. La formalizzazione dell'atto
esplicativo della possibilità di affidare un
servizio pubblico a un unico gestore ha
tuttavia un regime differenziato secondo la
dimensione dell'ente. I Comuni con meno di
10mila abitanti possono adottare la
deliberazione una volta completata
l'istruttoria, mentre gli altri devono
sottoporre preventivamente la decisione
all'Autorità garante della concorrenza e del
mercato.
L'Authority deve esprimere il proprio parere
obbligatorio entro 60 giorni, e su questa
base l'ente affidante deve adottare entro 30
giorni la delibera-quadro –che costituisce
un passaggio obbligatorio (senza il quale
non si può procedere all'affidamento del
servizio)– nell'ambito della quale può
essere definita anche la scelta di procedere
a un affidamento multiservizi.
La definizione dell'attribuzione dei diritti
di esclusiva della gestione di un servizio
pubblico locale con rilevanza economica
prelude allo sviluppo del percorso con gara
(che costituisce la procedura ordinaria) o
alla costituzione della società mista con
socio privato operativo o alla deroga
mediante conferimento diretto a società in
house.
La procedura selettiva è stata ulteriormente
caratterizzata dal Dl 1/2012 in termini di
massima garanzia per i fruitori del
servizio, con la previsione, tra i criteri
essenziali, dell'impegno del soggetto
gestore a conseguire economie di gestione
con riferimento all'intera durata
programmata dell'affidamento e a destinarle
alla riduzione delle tariffe da praticarsi
agli utenti.
Nel caso in cui la scelta si orienti in
alternativa sull'affidamento a una società
mista conforme ai parametri del partenariato
pubblico-privato di tipo istituzionale, con
selezione del socio privato mediante gara e
attribuzione contestuale allo stesso di
specifici compiti operativi, le
amministrazioni possono trasformare le
società attualmente affidatarie dirette,
configurandole come organismo da aprire alla
partecipazione del privato in relazione a un
affidamento ex novo di uno o più servizi.
La possibilità di utilizzare l'affidamento
in house, invece, è drasticamente limitata
dalla riduzione a 200mila euro del limite di
valore annuo del servizio attribuibile al
soggetto societario, che deve peraltro
essere conforme ai canoni comunitari. Nel
quadro delle norme relative al periodo
transitorio è tuttavia determinata la
possibilità di aggregare (con formule
diverse) società in house affidatarie di
gestioni esistenti, per una gestione
unitaria del servizio con riferimento
all'ambito ottimale limitata nel tempo (tre
anni, a partire dall'01.01.2013) e
sottoposta a significative condizioni.
Qualora gli enti locali riescano a definire
tale soluzione, infatti, il contratto di
servizio dovrà prevedere indicazioni
puntuali riguardanti il livello di qualità
del servizio reso, il prezzo medio per
utente, il livello di investimenti
programmati ed effettuati e obiettivi di
performance (redditività, qualità,
efficienza). Inoltre, la valutazione
dell'efficacia e dell'efficienza della
gestione e il rispetto delle condizioni
previste nel contratto di servizio saranno
sottoposti a verifica annuale da parte
dell'Autorità di regolazione di settore.
---------------
Le procedure
01|GARA
Procedura ordinaria di scelta del gestore
Sviluppo secondo criteri-base indicati dalla
normativa
Il gestore si deve impegnare a conseguire
economie di scala
Durata commisurata all'ammortamento degli
investimenti
Necessaria indicazione di indennizzo per
beni del gestore uscente non interamente
ammortizzati
02|SOCIETÀ MISTA CON SOCIO PRIVATO OPERATIVO
Procedura alternativa alla gara
È individuato con gara un socio privato, cui
sono attribuiti specifici compiti operativi
(cosiddetta doppia gara) e cui vanno
assegnate quote/azioni per almeno il 40% del
capitale sociale
Per la selezione si applicano i criteri
della gara
Nelle offerte va dato maggior peso alla
qualità del servizio
03|AFFIDAMENTO IN HOUSE
Procedura derogatoria rispetto a gara e
società mista
Possibile per servizi di valore inferiore a
200mila euro annui
Possibile solo a favore di società con
parametri «in house»
Divieto di frazionamento del servizio e
dell'affidamento
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Al
via il check degli organici per non bloccare
le assunzioni.
DOPPIO BINARIO/
Il soprannumero di dipendenti va rilevato
dal confronto fra dotazione e presenze
mentre per le eccedenze occorre un esame di
merito.
Tutte le pubbliche amministrazioni devono
effettuare la ricognizione della presenza di
condizioni di eccedenze e di soprannumero
del personale assunto a tempo indeterminato:
il mancato rispetto di questo vincolo
determina la nullità delle assunzioni. Sono
fatti salvi solo i concorsi banditi entro il
2011.
È questo il primo effetto concreto del
nuovo testo dell'articolo 33 del Dlgs
165/2001 introdotto dalla legge 183/2011.
Questo documento deve essere necessariamente
redatto prima della programmazione annuale e
triennale del fabbisogno di personale e, al
più, ne può costituire la premessa.
La competenza appartiene alla Giunta: siamo
infatti in presenza di un atto di
programmazione non attribuito al Consiglio.
Nella sua preparazione occorre coinvolgere
attivamente la dirigenza: infatti matura
responsabilità disciplinare in capo al
dirigente responsabile inadempiente. Appare
opportuno che a tutti i dirigenti, ognuno
per la propria articolazione organizzativa,
sia assegnato un termine entro cui
effettuare la ricognizione. L'ente,
preferibilmente attraverso l'attività
istruttoria del dirigente del personale,
raccoglierà le indicazioni e le formalizzerà
in una deliberazione. Copia di questo atto
deve essere inviata al dipartimento della
Funzione pubblica: la mancanza, almeno fino
al momento attuale, di indicazioni operative
non esime le amministrazioni dall'obbligo di
effettuare questa comunicazione.
La presenza di personale in soprannumero,
cioè extra dotazione organica, può essere
agevolmente rilevata dal confronto tra i
dipendenti in servizio e la consistenza
delle dotazioni organiche. Il fenomeno si
può determinare o in presenza di una norma
che lo ha previsto (ad esempio le
stabilizzazioni di lavoratori socialmente
utili nei Comuni fino a 5mila abitanti con
oneri parzialmente a carico dello Stato o
dei lavoratori ex Eti) o per il mancato
trasferimento alle dipendenze del nuovo
gestore a seguito delle esternalizzazioni
della gestione dei servizi.
La rilevazione delle condizioni di eccedenza
richiede invece un esame di merito: le nuove
disposizioni non prevedono più l'utilizzo
degli stessi principi dettati per il settore
privato. Si fa riferimento alle esigenze
funzionali e alla condizione finanziaria.
Sul primo versante appare quindi necessario
che le amministrazioni procedano a una
rilevazione delle attività svolte, del
personale impegnato e degli strumenti
utilizzati. Ad esempio, la diminuzione di
certificati che si registrerà a seguito del
divieto del loro utilizzo da parte delle Pa
dovrebbe portare alla riduzione dei
dipendenti impegnati nel front office degli
uffici anagrafici.
E ancora, una volta che
il personale delle Province sarà assegnato a
Comuni o Regioni, si potrebbe determinare
questa condizione per gli uffici che
svolgono compiti di supporto (personale,
ragioneria, provveditorato, economato,
centro informatico eccetera). Il riferimento
alla condizione finanziaria sembra
determinare la possibile conseguenza che si
debba provvedere non solo nel caso di enti
in dissesto o strutturalmente deficitari, ma
anche per il mancato rispetto del tetto alla
spesa del personale o della soglia massima
del 50% nel suo rapporto con la spesa
corrente. La rilevazione dei fabbisogni
standard potrà dare utili indicazioni
operative sia per gli aspetti funzionali sia
per i costi.
Se la ricognizione rileva l'esistenza di
personale in soprannumero o eccedente
occorre informare i soggetti sindacali: da
questo atto decorrono i termini per il
collocamento in disponibilità di questo
personale
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Competenze
anti-ritardi da chiarire.
È incerto se sia compito del sindaco o della
giunta individuare il responsabile.
LA PLATEA/
Anche i segretari e i direttori generali
possono essere incaricati di intervenire
come sostituti in caso di inerzia.
Tutela molto più forte dei cittadini e delle
imprese per i ritardi delle pubbliche
amministrazioni nell'adozione dei
provvedimenti di propria competenza,
previsione di un intervento sostitutivo e
possibilità di rapido avvio del l'azione di
responsabilità amministrativa in capo al
dirigente inadempiente.
Sono questi gli
strumenti con i quali il decreto legge sulle
semplificazioni, riapprovato venerdì scorso
dal Consiglio dei ministri, vuole
raggiungere il risultato di tagliare i tempi
dell'attività amministrativa, dando certezza
sul momento della sua conclusione. Questa
tutela si applica a tutti gli atti delle
pubbliche amministrazioni, quindi non solo
nel caso di mancata risposta a istanze, ma
anche per i ritardi nei pagamenti. Lo
strumento tecnico è la modifica della legge
241/1990.
Il legislatore ribadisce in primo luogo la
competenza dei tribunali amministrativi e
precisa l'applicabilità delle forme di
tutela contenute nel Codice sul processo
amministrativo. Le nuove regole non si
applicano ai procedimenti tributari.
I vertici politici devono individuare il
dirigente a cui sono attribuiti i poteri
sostitutivi in caso di inerzia: un solo
soggetto per ogni amministrazione. In caso
di mancata individuazione, provvede
direttamente il legislatore: questa
competenza è attribuita nell'ordine al
direttore generale, al dirigente del settore
o al funzionario di più elevato livello
presente nell'ente. Negli enti locali
occorre chiarire se la competenza
all'individuazione del dirigente a cui sono
attribuiti i poteri sostitutivi spetta alla
Giunta, in quanto organo che ha competenza
residuale generale, o ai sindaci, in quanto
spetta a loro la competenza al conferimento
e alla revoca degli incarichi dirigenziali:
la seconda soluzione appare preferibile. I
dirigenti individuati come sostituti in caso
di inerzia possono essere sicuramente anche
i segretari o i direttori generali; nei
Comuni sprovvisti di dirigenza possono
essere individuati anche nei titolari di
posizioni organizzative.
L'intervento del sostituto può essere
richiesto solamente dopo il decorso del
termine di conclusione dei procedimenti,
termine che ricordiamo essere in linea
generale fissato in 30 giorni e che i
regolamenti degli enti possono innalzare
fino a 90 giorni. Il sostituto deve
concludere il procedimento entro la metà del
termine e a tal fine può avvalersi della
struttura esistente o nominare un
commissario ad acta. Comunque,
dall'applicazione della disposizione non
devono derivare oneri aggiuntivi per l'ente.
In capo ai dirigenti inadempienti sono
previsti vari tipi di sanzione. I ritardi
determinano il maturare di responsabilità
dirigenziale o di risultato, oltre che di
responsabilità amministrativa e contabile:
gli organismi di valutazione devono tenere
conto di questo elemento nella valutazione
della performance. Va sottolineato che il
legislatore ha rafforzato una previsione già
esistente. Questo rafforzamento si manifesta
soprattutto nell'obbligo per il dirigente
individuato come sostituto di informare
annualmente il vertice politico dei
procedimenti in cui si è dovuto sostituire
ai dirigenti in ritardo nell'adozione di
provvedimenti amministrativi. Un ulteriore e
importante elemento di novità è dato dalla
previsione che questi comportamenti possono
determinare l'insorgere di responsabilità
amministrativa e, soprattutto, dalla
facilità con cui la relativa azione può
essere instaurata. Si dispone infatti che le
sentenze dei tribunali amministrativi che
condannano le Pa per ritardi nella risposta
ai cittadini possano essere in via
telematica inviate alla Corte dei conti; ma
soprattutto si stabilisce che debbano essere
inviate quelle passate in giudicato.
È ovvio che per Corte dei conti si debba
intendere la Procura e non le sezioni di
controllo; la possibilità di invio è una
formula molto generica e andrebbe meglio
precisata, soprattutto per individuare il
soggetto responsabile; l'obbligo di invio di
tutte le sentenze passate in giudicato è
fissato in modo tassativo: in questo modo si
forniscono immediatamente le informazioni
necessarie per l'eventuale instaurazione
dell'azione di responsabilità. Azione di
responsabilità che, sulla base della
giurisprudenza contabile consolidata, fissa
la misura del danno erariale nelle sanzioni
e interessi che l'ente ha dovuto versare al
privato, ivi compresi gli eventuali
risarcimenti danni.
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Il percorso per rimediare - Che cosa succede
in caso di ritardi della pubblica
amministrazione
- Le pubbliche amministrazioni devono
individuare il dirigente che interviene in
caso di ritardi
- Il sostituto è tenuto a informare l'ente a
proposito dei procedimenti in cui è
intervenuto
- Il sostituto conclude i procedimenti entro
la metà dei termini, anche tramite un
commissario ad acta
- Dei ritardi si tiene conto negativamente
nella valutazione delle performance
- Le sentenze che condannano le pubbliche
amministrazioni per ritardi sono inviate
alla Corte dei conti
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Danno
erariale se la partecipata serve ad assumere.
L'abuso dello strumento societario
costituisce danno nei confronti delle casse
comunali.
Questo è il principio affermato dalla Corte
dei conti - Sezione prima giurisdizionale
centrale, con la sentenza n. 401/2011 (su
cui si veda anche Il Sole 24 Ore del 5
gennaio).
Nel caso la Corte, ribaltando le precedenti
assoluzioni, ha condannato gli
amministratori del Comune e della società
per la costituzione e la gestione
antieconomiche della partecipata, avendo
rappresentato queste, fra l'altro, una delle
cause del successivo dissesto dell'ente.
Il rilievo della decisione sta tutta nel suo
percorso motivazionale. Il Collegio ha
aderito alla tesi accusatoria che muoveva
dall'assunto che la società, al contrario di
quanto affermato nello statuto e negli atti
costitutivi, non sarebbe stata utilizzata
per rendere più efficienti ed economici i
servizi dell'ente, ma per perseguire scopi
occupazionali, estranei alle regole di
economicità e buona amministrazione.
Dagli atti è emerso che la costituzione
della società ha avuto come unico obiettivo
la tutela dei posti di lavoro di
cassintegrati, Lsu e addetti ai cantieri
scuola, al punto che il suo presidente ha
formalmente invitato l'amministrazione a
mantenere un adeguato livello occupazionale,
individuandovi lo scopo essenziale della
società.
La Corte non ha addebitato ai convenuti la
mancata adozione di altre soluzioni
economicamente più vantaggiose, quanto una
scelta che in sé avrebbe potuto essere
legittima e vantaggiosa per l'ente, ma solo
se non fosse stata compiuta ab origine e poi
perseguita, al solo fine di produrre un
vantaggio occupazionale.
Si specifica, inoltre, che un fine
occupazionale, pur presente nella
legislazione (articolo 10 del Dlgs
468/1997), non può essere perseguito
alterando le regole di sana ed economica
gestione, ma è legittimo soltanto se
compatibile con gli equilibri di bilancio
della società e del Comune.
Nel caso il danno erariale trova la sua
fonte in una gestione dissennata della
società che ha sostenuto spese di personale
incompatibili con le sue capacità
economiche, piegando l'organizzazione al
perseguimento di fini estranei allo (finto)
scopo sociale. L'analisi dei flussi
finanziari ha mostrato come le perdite della
società si siano risolte in un danno per le
casse comunali; il Comune ha riconosciuto
alla società non solo il corrispettivo
previsto nei contratti di appalto, ma anche
ulteriori provviste finanziarie.
Dalla vicenda si possono trarre anche alcune
considerazioni di carattere generale.
I veri costi della politica, verosimilmente,
si annidano in situazioni come queste e non
tanto e non solo nei costi diretti degli
apparati, che vanno comunque drasticamente
ridotti.
Si può ipotizzare, infine, che nel campo
della finanza pubblica si stiano affacciando
concetti simili all'abuso del diritto di
origine fiscale, finalizzati a evitare
l'utilizzo strumentale di istituti di per sé
legittimi, ma che diventano anomali se il
loro unico scopo sia quello di eludere
vincoli di finanza pubblica e norme di
contenimento della spesa
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Speciale iter DL Semplificazioni/
Parcheggi pertinenziali, cessione possibile.
Il decreto semplificazioni interviene in
tema di parcheggi pertinenziali e stabilisce
che la proprietà dei parcheggi di pertinenza
delle abitazioni può essere trasferita
separatamente dalla unità immobiliare di
riferimento, a condizione che ciò avvenga
solo con contestuale destinazione del
parcheggio trasferito a pertinenza di altra
unità immobiliare sita nello stesso Comune.
La legge 24.03.1989 n. 122 (c.d. legge Tognoli) detta disposizioni anche in materia
di parcheggi e nel titolo III, all'art. 9
prevede che i parcheggi realizzati da
proprietari di immobili nel sottosuolo degli
stessi o nei locali siti al piano terreno
sono da destinarsi a pertinenza delle
singole unità immobiliari; il comma 5
dispone che in ragione del vincolo tali
parcheggi non possano essere trasferiti e
quindi ceduti separatamente dall'unità
immobiliare a cui i parcheggi medesimi sono
legati da vincolo pertinenziale.
La violazione di tale disposizione viene
sanzionata con la nullità dell'atto di
cessione (La giurisprudenza intervenuta su
tali aspetti ha comunque precisato che la
violazione del vincolo pubblicistico di
destinazione a parcheggio degli spazi da
utilizzare per tale scopo rende nulle solo
le clausole relative, ma non anche l'intero
negozio, con la conseguenza che il
trasferimento del bene resta valido e
all'acquirente spetta comunque il diritto di
ottenere il trasferimento della relativa
pertinenza).
Con il Decreto semplificazioni 2012, il
comma 5 dell'art. 9 suindicato viene
sostituito con un nuovo testo specificato
nell'art. 9 del decreto stesso.
In particolare, considerando la ratio che
caratterizza il provvedimento del Governo
Monti, a seguito della entrata in vigore
della norma viene meno il vincolo
pertinenziale che lega il parcheggio
all'unità immobiliare.
Il parcheggio potrà essere ceduto, pertanto,
separatamente dalla unità immobiliare, senza
che ciò comporti la nullità dell'atto di
cessione.
Purtuttavia, è necessario che il parcheggio
venga trasferito contestualmente a
pertinenza di altra unità immobiliare sita
nello stesso Comune.
Il nuovo testo della norma prevede
un'eccezione: stabilisce che la cessione non
può avvenire, pena la nullità dell'atto di
trasferimento, ove abbia ad oggetto
parcheggi realizzati su previsione dei
Comuni nell'ambito del programma urbano dei
parcheggi da destinare a pertinenza di
immobili privati, insistenti su aree
comunali o nel sottosuolo delle medesime (03.02.2012
- tratto da www.ipsoa.it). |
aggiornamento al
06.02.2012 |
|
APPALTI: SEMPLIFICAZIONI/ Documenti on-line negli
appalti.
La Banca dati dei contratti pubblici sarà
operativa dal 2013.
Niente più documenti nelle gare pubbliche
con l'avvio della banca dati nazionale dei
contratti pubblici; la sanzione
dell'esclusione dalle gare per false
dichiarazioni potrà essere anche inferiore a
un anno; gare pubbliche per la scelta degli
sponsor per interventi sui beni culturali;
656 milioni per gli interventi urgenti di
ammodernamento e messa in sicurezza delle
scuole.
Sono queste alcune delle novità previste nel
testo definitivo del decreto-legge sulle
semplificazioni varato ieri dal Consiglio
dei ministri dopo una settimana di
aggiustamenti tecnici che hanno riguardato
soprattutto le parti sull'istruzione e
l'università.
Del tutto confermata quindi la forte
semplificazione che verrà attuata nelle
procedure di affidamento di appalti pubblici
e concessioni per le quali si prevede la
messa online dei documenti e dei dati utili
alla verifica del possesso dei requisiti di
qualificazione dei concorrenti. L'impatto
sarà particolarmente rilevanti per i settore
delle forniture e dei servizi, privi di un
sistema di qualificazione vero e proprio
come esiste nel settore dei lavori che,
tramite l'attestazione emessa dalle Soa,
riesce ad evitare la qualificazione gara per
gara, per i requisiti di capacità economica
e tecnica delle imprese di costruzioni (i
certificati Soa hanno una validità di cinque
anni).
Il decreto dà impulso alla banca dati
introdotta nel 2010 con il comma 1 dell'art.
44, dal dlgs. 235/2010. In particolare si
prevede che dall'01.01.2013 tutta la
documentazione relativa alla prova dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico organizzativa dei concorrenti
dovrà essere acquisita presso la Banca dati
nazionale dei contratti pubblici che ha sede
presso l'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici. Sarà quindi l'Autorità
di vigilanza a definire quali dati utili
alla partecipazione alle gare, nonché alla
valutazione delle offerte, debbano essere
inclusi nella banca dati. La stessa Autorità
dovrà definire i termini e le regole
tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento
e la consultazione dei dati.
Le
amministrazioni, all'inizio del 2013, non
potranno quindi più chiedere documenti per
verificare il possesso dei requisiti, il che
dovrebbe portare le amministrazioni
pubbliche, attraverso i controlli
«elettronici» su ciascuna impresa, a
risparmiare qualcosa come 1,3 miliardi
l'anno, stando alle stime del governo. Per
l'attivazione della banca dati tutti i
soggetti pubblici e privati che detengono
dati e documenti relativi ai requisiti di
partecipazione, avranno l'obbligo di messa a
disposizione dell'Autorità di tali dati e
documenti.
Novità in vista anche per le
sanzioni irrogate dall'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici per false
dichiarazioni rese dai concorrenti che
partecipano ad appalti pubblici. Si incide
sulla disciplina ad oggi vigente che prevede
che se un concorrente presenta un documento
falso o dichiara situazioni non veritiere,
scatta l'obbligo per la stazione appaltante
di segnalare l'accaduto all'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici.
L'organismo di vigilanza deve a sua volta
effettuare un'istruttoria per verificare la
presenza di dolo o colpa grave e, in
considerazione della rilevanza o della
gravità dei fatti, disporrà l'iscrizione nel
casellario informatico ai fini
dell'esclusione dalle procedure di gara e
dagli affidamenti di subappalto per un
periodo fino a un anno.
Una volta trascorso
il termine della sanzione (che quindi potrà
essere anche di qualche mese e non,
automaticamente di un anno), l'iscrizione
verrà ex lege cancellata e perderà comunque
efficacia. Il decreto-legge prevede inoltre,
per i beni culturali, l'obbligo di gara sia
per le sponsorizzazioni di puro
finanziamento, sia per quelle tecniche (di
progettazione ed esecuzione). Le
amministrazioni dovranno inserire gli
interventi da inserire in un apposito
allegato al programma triennale; gara a
rilanci plurimi per l'individuazione del
maggiore finanziamento.
La gara si è
previsto che si svolgerà con offerte di
rilancio migliorative successive alla
graduatoria, anche se l'amministrazione
dovrà comunque definire un termine massimo
per i rilanci. Il contratto è previsto che
venga aggiudicato al soggetto che ha offerto
il maggiore finanziamento, o che ha proposto
l'offerta realizzativa giudicata migliore,
in caso di sponsorizzazione tecnica. Il
decreto legge prevede anche una più
articolata disciplina sulle certificazioni
dei lavori all'estero, che coinvolgerà i
consolati e gli uffici del Ministero degli
affari esteri, con una particolare garanzia
per i subappaltatori di imprese italiane i
quali potranno anche chiedere le
certificazioni in via autonoma.
Il provvedimento prevede anche la messa in
campo di risorse economiche per un piano
urgente di ammodernamento e messa in
sicurezza del patrimonio scolastico (con 656
milioni) in vista dell'adozione di un piano
più ampio teso all'obiettivo di ammodernare
e razionalizzare tutto il patrimonio di
immobili adibiti a scuole.
---------------
Una soluzione per verificare i requisiti
degli appaltatori.
Una soluzione al problema delle verifiche
sul rispetto della posizione previdenziale
degli appaltatori viene offerta dal disegno
di legge di semplificazione. Infatti, in
materia di appalti pubblici si prevede la
creazione di una Banca dati nazionale dei
contratti pubblici alla quale tutti i
soggetti pubblici e privati dovranno
conferire i dati e i documenti relativi al
possesso dei requisiti di carattere
generale, tecnico-organizzativo ed
economico-finanziario previsti dal dlgs
163/2006, per la partecipazione agli
appalti.
L'intento è creare una banca dati on-line,
alla quale le stazioni appaltanti potranno
attingere per acquisire le informazioni
connesse al possesso dei requisiti degli
appaltatori. Dall'01.01.2013, se le
cose andranno come il disegno immaginato dal
ministro della funzione pubblica Filippo
Patroni Griffi auspica, la banca dati sarà
operativa e tutte le amministrazioni avranno
il dovere di verificare i requisiti
esclusivamente controllando i dati in essa
conservati.
Tra i requisiti di ordine generale previsti
dall'articolo 38 del codice dei contratti vi
è quello di non aver commesso violazioni
gravi, definitivamente accertate, alle norme
in materia di contributi previdenziali e
assistenziali: si tratta di informazioni
attestate o, meglio, certificate tramite il
Durc.
In merito, come è noto, si è recentemente
espresso il ministero del lavoro che con la
nota 16.01.2012, n. 619 ha sostenuto la
non autocertificabilità del Durc. Tale tesi
è erronea e destituita di fondamento proprio
dall'articolo 38, comma 2, del dlgs
163/2006, che considera espressamente
sostituibile da dichiarazioni ai sensi del
dpr 445/2000 la situazione di regolarità
previdenziale.
Le informazioni certificate dal Durc,
dunque, non solo possono, ma devono essere
oggetto di dichiarazioni sostitutive.
Oggi, tuttavia, l'unico sistema per
verificarne la veridicità è chiedere al Durc
o a Inps, Inail o Cassa Edile l'emanazione
del Durc, che in quanto vero e proprio
certificato non potrebbe essere utilizzato
dalle pubbliche amministrazioni. Un grave
contrasto operativo, cagionato dalla
frettolosa normativa in tema di
semplificazione amministrativa, introdotta
dalla legge 183/2011.
La Banca dati nazionale dei contratti
pubblici rappresenta la soluzione al
problema. Se, infatti, sarò obbligatorio
conferirvi tutti i dati relativi ai
requisiti generali, Inps, Inail e Cassa
edile saranno tenute ad aggiornare detta
Banca dati.
Le amministrazioni appaltanti, dunque,
finalmente invece di dover chiedere
l'emissione del Durc (e aspettare 30
giorni), potranno accedere direttamente alle
informazioni online, senza che venga emesso
alcun certificato. E senza nessun conflitto
con la normativa un po' avventuristica
introdotta in merito dalla legge di
stabilità
(articolo ItaliaOggi
del 04.02.2012). |
ENTI LOCALI: Lotta
al sommerso. Le attività rilanciate dal
provvedimento delle Entrate si estendono al
lavoro nero.
Sindaci a caccia in bar e cantieri.
Commercio ed edilizia sono gli ambiti più
adatti per scovare imposte.
LE CARATTERISTICHE/
Le aree promettenti sono quelle legate al
controllo del territorio che offrono
vantaggi anche alla fiscalità locale.
Attività totalmente in nero e lavoratori
irregolari. Evasione nel settore
dell'edilizia e contrasto a operazioni che
sfiorano i confini dell'elusione, senza
dimenticare l'emersione delle residenze
estere fittizie. Sono numerosi i campi di
attuazione della collaborazione dei Comuni
all'accertamento delle entrate erariali, ma
non è facile individuare i comparti in grado
di generare «segnalazioni qualificate» senza
richiedere una complessa organizzazione da
parte dell'ente locale. In effetti, la
cooperazione dei Comuni funziona solo se
mette in moto delle sinergie con le
operazioni svolte ordinariamente a livello
locale. Alla base di tutto vi è il controllo
del territorio che normalmente viene
esercitato dalle amministrazioni, con
riferimento sia alle attività economiche sia
al settore immobiliare.
Sotto il profilo dei controlli delle
attività economiche, un settore che dovrebbe
spesso essere sotto osservazione è quello
del commercio ambulante. Un'attività svolta
abusivamente rileva di per sé sotto un
duplice profilo: amministrativo, in quanto
esercitata in assenza dell'apposita
autorizzazione, e tributario, in quanto
consuma l'evasione della Tosap, la tassa di
occupazione, e della tassa rifiuti
giornaliera. Si comprende pertanto perché
l'ultimo provvedimento direttoriale abbia
incluso il commercio su aree pubbliche tra i
comparti di cooperazione privilegiata con
l'Inps. In occasione delle verifiche
ordinarie sarà infatti sufficiente
richiedere i dati della comunicazione unica,
fiscale e contributiva, per l'assolvimento
degli obblighi previdenziali. Ma controlli
analoghi possono svolgersi anche nei
riguardi dei pubblici esercizi. Si pensi ad
un bar o ristorante che occupi abusivamente
con sedie e tavolini aree pubbliche. I
controlli della polizia locale o degli
addetti all'ufficio tributi potrebbero far
emergere,oltre all'occupazione abusiva,
evasioni contributive.
L'apertura di cantieri edili rileva
anch'essa per l'occupazione di suolo
pubblico e in tale ambito ben potrebbe
svelare lavoratori in nero.
Dalle verifiche eseguite in loco, con
accesso diretto ai locali, in occasione dei
controlli Tarsu sono stati rilevati affitti
in nero, attraverso l'identificazione del
soggetto occupante. Si tratta di una
situazione piuttosto frequente nelle
residenze degli studenti universitari. Un
evasore totale dell'Ici con una certa
probabilità potrebbe essere anche evasore
delle imposte sui redditi degli immobili.
Il fenomeno della pubblicità abusiva, cioè
effettuata su impianti non autorizzati,
potrebbe far emergere sia evasioni da parte
del soggetto detentore dell'impianto, che
verosimilmente non avrà fatturato il
compenso per l'affissione, sia un'attività
irregolare da parte del soggetto
pubblicizzato.
Molto più complessa è invece la prova
relativa alle residente fittizie all'estero.
In questo caso, non è sufficiente
un'indagine episodica, che fotografi la
situazione del momento, perché occorre
dimostrare che il centro degli interessi del
contribuente continua ad essere nel Comune
di provenienza.
Come si vede, gli spunti per agire sono
numerosi. La difficoltà maggiore è nel
tramutare queste circostanze in segnalazioni
qualificate. Talvolta l'evidenza dei fatti è
di per sé sufficientemente esplicativa (si
pensi al commercio abusivo). Più spesso
occorre invece una ulteriore attività
istruttoria da parte del comune, da
svolgersi anche attraverso la consultazione
di banche dati (si pensi all'affitto in
nero, che potrebbe richiedere la verifica
delle utenze). Si tratta indubbiamente di
un'attività che richiederà tempo e
preparazione specifica perché diventi una
prassi abituale e efficiente
(articolo ItaliaOggi
del 04.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Imu, il versamento si farà in due.
Il contribuente calcolerà la quota comunale
e quella statale. In arrivo due codici
tributo. Ma sarà l'Agenzia delle entrate a
stabilire le modalità di pagamento.
Spetta al contribuente calcolare l'Imu per
determinare le quote di competenza per stato
e comuni e effettuare un duplice versamento.
Il maggior gettito Imu incassato dagli enti
locali, rispetto all'Ici, verrà compensato
da una riduzione di pari importo del fondo
sperimentale di riequilibrio.
Sono alcune delle precisazioni contenute in
una nota dell'Ifel con la quale ha fornito
ai comuni delle indicazioni sulle regole
della nuova imposta locale.
L'istituto di finanza locale ha preso
posizione sulla questione dei versamenti del
tributo, considerato che la norma di legge
non è molto chiara nella formulazione.
L'articolo 13 del dl Monti (201/2011),
infatti, si limita a stabilire che la somma
di competenza dello stato deve essere
versata «contestualmente all'imposta
municipale propria».
Inoltre, in deroga a
quanto disposto dall'articolo 52 del decreto
legislativo 446/1997, che attribuisce agli
enti il potere di decidere le modalità di
riscossione, spontanea e coattiva, delle
proprie entrate, l'Imu deve essere versata
solo con l'F24. Dunque, il contribuente
dovrà indicare nel modello F24 due codici
tributo diversi e, secondo l'Ifel, dovrà
effettuare un duplice versamento: «Uno a
favore del comune e l'altro a favore dello
stato». Tuttavia, in base a quanto disposto
dall'articolo 13, le modalità di versamento
verranno stabilite con un provvedimento del
direttore dell'Agenzia delle entrate.
L'Ifel fornisce dei chiarimenti anche sui
trasferimenti erariali. In particolare, il
fondo sperimentale di riequilibrio è ridotto
in misura corrispondente al maggior gettito
Imu, ad aliquota base, rispetto all'Ici.
Quindi, le maggiore somme incassate dai
comuni con l'Imu verranno compensate da una
riduzione di pari importo del fondo
sperimentale. Naturalmente se il gettito
sarà inferiore, dovrà essere riconosciuto
l'importo della quota non riscossa.
Per quantificare le risorse delle quali
l'ente sarà destinatario occorre fare
riferimento alla disciplina di legge,
applicando le aliquote di base e le
detrazioni obbligatorie. Le componenti
principali sono: abitazione principale,
immobili rurali strumentali, abitazioni
assimilate all'abitazione principale che
erano esenti dall'Ici, terreni agricoli e
aree edificabili. Per queste diverse
fattispecie è necessario valutare
l'incremento dei coefficienti moltiplicatori
per determinare la base imponibile Imu e
rilevare le differenze rispetto all'Ici. Si
legge nella nota, che l'effetto espansivo
del nuovo tributo locale non è costituito
solo dall'incremento dei coefficienti e
dell'aliquota di base (7,6 per mille), che è
dunque superiore all'aliquota massima (7 per
mille) fissata per l'Ici, ma anche
dall'abolizione «di diverse aree di
esclusione e di esenzione che devono essere
valutate in modo il più possibile
specifico».
L'incremento di gettito può derivare dalla
quota di tributo che i comuni incasseranno
dai fabbricati assimilati all'abitazione
principale, che dal 2008 non hanno pagato
l'Ici, e dalle restrizioni apportate dalla
legge alle varie forme di agevolazione.
Nello specifico, l'abolizione
dell'agevolazione riservata agli immobili
storici, l'eliminazione della riduzione
d'imposta per i fabbricati inagibili o
inabitabili, la mancata previsione
dell'aliquota ridotta per gli immobili dati
in affitto. Per questi ultimi, nella nota si
pone in rilievo che i benefici fiscali per
gli «affitti in regime concordato ex legge
431/1998» erano piuttosto diffusi. La
forbice è stata usata anche per tagliare
l'esenzione per gli immobili ristrutturati
destinati a essere utilizzati dai disabili e
l'agevolazione per l'installazione di
impianti rinnovabili di energia e risparmio
energetico.
In una seconda nota emanata dall'Ifel,
invece, vengono prese in esame le entrate
comunali e fornite le istruzioni per l'uso
per la redazione dei bilanci. In
particolare, viene posto in rilievo che la
norma del decreto Monti è
«ingiustificatamente penalizzante per i
comuni», in quanto prevede che la quota
riservata allo stato «rimanga indenne» non
solo dalle scelte regolamentari e tariffarie
fatte dagli enti, «ma anche dalle detrazioni
previste per legge», che incidono sulla
quota a loro destinata. Per esempio, per le
amministrazioni locali che hanno sul proprio
territorio tanti immobili posseduti dagli Ater/Iacp
o dalle cooperative edilizie a proprietà
indivisa, per i quali spetta la detrazione
nella misura stabilita dalla legge, la quota
di gettito di competenza dell'erario potrà
risultare più elevata del 50%
(articolo ItaliaOggi
del 03.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Partecipate, nuovi
limiti sul personale.
Stretta su in house e aziende speciali. Ma
si pone il problema del consolidato. Il
decreto liberalizzazioni solleva più di un
dubbio interpretativo.
Enti locali in cerca di regole certe sul
personale di società in house, aziende
speciali ed istituzioni.
Il decreto sulle liberalizzazioni (dl
1/2012), infatti, estende ai predetti
soggetti le «disposizioni che stabiliscono a
carico degli enti locali divieti o
limitazioni alle assunzioni di personale»
(art. 25, commi 1 e 2). Ma tali previsioni
danno luogo a non pochi dubbi
interpretativi.
Attualmente, in questa materia, gli enti
locali sono principalmente soggetti a tre
tipologie di vincoli.
In primo luogo, essi devono garantire la
riduzione o il contenimento delle spese di
personale: per gli enti soggetti al Patto di
stabilità interno il riferimento è la spesa
(impegni) relativa all'anno precedente,
mentre per quelli non soggetti vale il dato
relativo all'anno 2004 (art. 1, commi 557 e
562, della legge 296/2006).
Il secondo vincolo (che si applica a tutti
gli enti locali senza distinzioni) comporta
un divieto di assumere per gli enti nei
quali la spesa di personale è superiore al
50% delle spese correnti.
Infine, le nuove assunzioni devono
rispettare la regola del turnover, che
consente nuovi ingressi solo in una certa
proporzione rispetto alle cessazioni: anche
in tale ambito la disciplina è differenziata
per gli enti soggetti al Patto (per i quali
il turnover è consentito nei limiti del 20%
della spesa corrispondente alle cessazioni
dell'anno precedente, con la sola eccezione
degli addetti alla polizia locale, ma
limitatamente agli enti nei quali il
rapporto fra spese di personale e spese
correnti non supera il 35%) e per gli altri
enti (che possono applicare un criterio «per
teste», ovvero assumere un nuovo dipendente
per ogni cessazione intervenuta l'anno
prima).
Per effetto dell'art. 25, comma 2, del dl
1/2012 cit., tali vincoli si applicano ora
in modo diretto anche alle aziende speciali
ed alle istituzioni. La decorrenza di tale
previsione non è chiara. L'incipit della
norma (che novella l'art. 114 del Tuel,
inserendovi un nuovo comma 5-bis) recita «a
decorrere dall'anno 2013», ma sembrerebbe
riferirsi solo all'estensione, nei confronti
dei medesimi soggetti, del Patto, in
considerazione del fatto che ciò richiederà
un apposito decreto ministeriale attuativo
da emanare entro il prossimo 30 ottobre.
Viceversa, per le norme in materia di
personale pare più corretta la tesi
dell'estensione immediata.
Quanto alle società in house, esse, in virtù
di quanto previsto dal comma 1 dello stesso
art. 25 (che introduce nel testo del dl
138/2011 il nuovo art. 3-bis), sono chiamate
ad adottare specifici provvedimenti per
adeguarsi alle medesime norme. Anche in tal
caso, l'obbligo pare immediatamente cogente.
Al momento, non è chiaro se società in
house, aziende speciali e istituzioni
debbano applicare le regole sopra
succintamente richiamate, per così dire, «atomisticamente»,
ovvero considerando ciascun soggetto come
autonomo, o se invece occorra consolidare le
relative spese di personale con quelle
dell'ente o degli enti locali di
riferimento.
La prima soluzione sembra più rispettosa del
dato letterale delle norme, ma pone diversi
problemi, considerata anche la presenza di
discipline differenziate per i diversi tipi
di enti. D'altra parte, il consolidamento è
già espressamente previsto in relazione alla
verifica del rapporto fra spese di personale
e spese correnti con riguardo alle società
(non quotate) a partecipazione pubblica
locale totale o di controllo che sono
titolari di affidamento diretto di servizi
pubblici locali senza gara, ovvero che
svolgono funzioni volte a soddisfare
esigenze di interesse generale aventi
carattere non industriale, né commerciale,
ovvero che svolgono attività strumentali.
La
stessa Corte dei conti si è espressa a
favore della secondo opzione con riferimento
sia alle Unioni di comuni che alle stesse
aziende speciali, anche se con pronunce non
sempre concordi (basti pensare al recente
parere n. 14/2011 della sezione autonomie,
che esclude dall'obbligo di consolidamento
ai fini della verifica del limite del 50% le
partecipate indirette e gli organismi
partecipati non societari).
Del resto, che la strada del futuro sia
quello del bilancio consolidato è confermato
anche dall'evoluzione in atto dei sistemi
contabili, anche se a tal fine è prevista
una fase sperimentale che durerà almeno due
anni
(articolo ItaliaOggi
del 03.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: I
servizi finanziari sono esclusi dal Codice
dei contratti pubblici.
Servizi finanziari fuori dal campo di
applicazione del codice dei contratti. Il
decreto sulle semplificazioni chiude la
controversia interpretativa sulla necessità
di assoggettare o meno alle regole del dlgs
163/2006 i contratti con i quali le
pubbliche amministrazioni intendono
acquisire servizi erogati dalle banche,
modificando l'articolo 20, comma 2, del
codice, che indica negli appalti elencati
nell'allegato IIA quelli soggetti all'intera
disciplina codicistica. Tale allegato al
punto 6-b), include tra gli appalti ai quali
applicare tutte le regole di dettaglio del
codice quelli relativi ai «servizi bancari
ed assicurativi».
Ciò ha da sempre
determinato un contrasto interpretativo ed
operativo, dal momento che ai sensi
dell'articolo 19, comma 1, lettera d), sono
totalmente esclusi dalla disciplina del
codice dei contratti gli appalti
«concernenti servizi finanziari relativi
all'emissione, all'acquisto, alla vendita e
al trasferimento di titoli o di altri
strumenti finanziari, in particolare le
operazioni di approvvigionamento in denaro o
capitale delle stazioni appaltanti, nonché i
servizi forniti dalla Banca d'Italia».
Il decreto sulle semplificazioni cerca di
fare chiarezza e modificando l'articolo 20,
comma 2, del dlgs 163/2006 che nella nuova
stesura stabilisce: «salvo quanto previsto
dall'articolo 19, comma 1, lettera d), gli
appalti di servizi elencati nell'allegato II
A sono soggetti alle disposizioni del
presente codice». La novellazione
dell'articolo 20, comma 2, ha il chiaro
scopo di precisare che resta ferma
l'esclusione dei servizi finanziari dal
campo di applicazione del codice. Dunque, le
stazioni appaltanti debbono solo applicare i
principi generali di buon andamento e
imparzialità per selezionare le imprese alle
quali rivolgersi per ottenere prestiti e
gestione di titoli.
Restano, invece, soggetti al codice i
servizi bancari. Se il legislatore avesse
voluto escludere anche questi dalle regole
codicistiche, oltre a novellare l'articolo
20, comma 2, avrebbe anche dovuto
riformulare il testo del punto 6-b),
dell'allegato IIA, cosa che non è avvenuta.
Gli enti locali si chiedono, allora, cosa
cambi per quanto concerne gli appalti
finalizzati all'acquisizione del servizio di
tesoreria. In effetti, il decreto sulle
semplificazioni in questo campo non modifica
nulla. Il servizio di tesoreria appartiene
alla tipologia dei servizi bancari e non a
quelli finanziari. Tuttavia, anche il
servizio di tesoreria non deve essere
assoggettato a tutte le regole di dettaglio
disposte dal codice. Come ha chiarito di
recente il Consiglio di stato, sezione V,
con sentenza 06.06.2011, n. 3377, il
servizio di tesoreria, visto che non prevede
il pagamento di alcun prezzo da parte
dell'amministrazione, è da inquadrare non
come appalto, ma come concessione di
servizi.
Infatti, l'istituto bancario assume
integralmente il rischio della gestione ed
ottiene la remunerazione in via esclusiva
con le tariffe ed i prezzi ai propri
clienti. Così stando le cose, il servizio di
tesoreria è disciplinato dall'articolo 30
del dlgs 163/2006, dedicato alle concessioni
di servizi, che come gli appalti indicati
nell'allegato IIB al codice, non sono
regolate dalla disciplina di dettaglio del
codice stesso
(articolo ItaliaOggi
del 03.02.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Contrattazione
decentrata 2012, non serve aspettare il varo
dei bilanci.
È opportuno che le amministrazioni avviino
subito la contrattazione decentrata
integrativa per l'anno 2012 in modo da
potere arrivare alla ripartizione del
trattamento economico accessorio premiando
le performance e la meritocrazia. Peraltro
non vi sono dubbi rilevanti, a differenza
dell'anno passato, nella determinazione del
fondo per le risorse decentrate.
Occorre
subito rilevare che per la costituzione del
fondo non occorre attendere l'approvazione
del bilancio preventivo: non vi è infatti
alcun vincolo in questa direzione né in modo
esplicito né implicito. Al massimo, per la
concreta erogazione delle risorse variabili
è opportuno attendere l'approvazione di
questo documento programmatico. Nella
quantificazione della parte stabile del
fondo non può essere usato l'articolo 15,
comma 5, del Ccnl 01/04/1999 per aumentare la
capienza complessiva. Non vi sono dubbi che
i risparmi derivanti dalle progressioni
economiche dei dipendenti cessati dal
servizio continuino a ritornare tra le somme
disponibili: in questo caso infatti non
abbiamo un incremento del fondo.
L'unico
dubbio riguarda il possibile inserimento
della retribuzione individuale di anzianità
e degli assegni ad personam dei dipendenti
cessati dal servizio: la Ragioneria generale
dello stato lo ha escluso, quanto meno per
le amministrazioni statali, nella propria
circolare n. 20/2010, mentre la successiva
circolare 12/2011 del ministro dell'economia
non ne fatto cenno. Per la costituzione
della parte variabile le possibilità
previste dai contratti nazionali, in
particolare l'articolo 15, comma 5 e comma
2, del Ccnl 01/04/1999, non possono dare luogo
ad un aumento delle risorse.
Le sezioni
unite di controllo della Corte dei conti
hanno ammesso come deroghe esclusivamente
quelle previste per la incentivazione degli
uffici tecnici in caso di realizzazione di
opere pubbliche e per gli avvocati in caso
di contenziosi risolti con successo per
l'ente. La Rgs e la sezione di controllo
della magistratura contabile pugliese
consentono l'aumento del fondo per le
risorse derivanti dai risparmi nella
utilizzazione del fondo. Rimane da
risolvere, ma il tema è di minore attualità
nell'anno 2012, il dubbio sulla possibilità
di incrementare il fondo con i compensi
derivanti dall'Istat per il censimento.
Una volta costituito il fondo si possono
avviare le trattative per la ripartizione
del fondo. Ricordiamo che non è necessario
attendere la presentazione di una
piattaforma da parte dei sindacati e che è
opportuno che la giunta formuli delle
direttive per la delegazione trattante di
parte pubblica. Non vi sono certezze per
potere andare a una rivisitazione
complessiva della contrattazione decentrata:
appare opportuno limitare le trattative
solamente alla ripartizione del fondo,
mentre un intervento sulla parte
istituzionale è necessario solamente se vi
sono dei dubbi di illegittimità delle norme
esistenti.
Il tempestivo avvio delle trattative per la
ripartizione del fondo consente di spostare
una parte significativa delle risorse per la
incentivazione delle attività finalizzate al
perseguimento dei risultati richiesti
dall'amministrazione. Cioè di incentivare la
produttività del personale e le indennità di
risultato per i dirigenti ed i titolari di
posizione organizzativa
(articolo ItaliaOggi
del 03.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERE COMUNALE: OSSERVATORIO VIMINALE/ Vigili, incompatibilità soft.
Si può ricoprire la carica di consigliere
comunale. L'istituzione di una
convenzione di polizia locale non crea una
causa ostativa.
In caso di comuni convenzionati per
l'esercizio della funzione di polizia
locale, sussiste una situazione di
incompatibilità tra lo svolgimento delle
funzioni di vigile urbano di uno dei comuni
convenzionati e quella di consigliere
comunale del comune capo convenzione?
Le disposizioni in materia di cause ostative
alla candidatura sono dettate dagli artt. 55
e ss. del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267. Per quanto attiene al caso di
specie, l'art. 60, comma 1, n. 7 Tuel
dispone che non sono eleggibili a
consigliere i dipendenti del comune e della
provincia per i rispettivi consigli; l'art.
63, comma 1, n. 7, dispone altresì che,
qualora tale condizione di ineleggibilità si
verifichi nel corso del mandato, la stessa
configura una condizione di incompatibilità.
Per accertare, quindi, se nel caso in esame
sussista l'ipotesi dell'incompatibilità
prevista dall'art. 63, comma 1, n. 7 Tuel è
necessario verificare quale sia l'ente
locale di cui il vigile urbano è dipendente.
Gli elementi costitutivi del rapporto
subordinato, in base a quanto previsto
dall'art. 2094 c.c., sono la sottoposizione
del lavoratore al potere di direzione del
datore di lavoro, la continuità della
prestazione e la retribuzione. Nel caso di
specie i suddetti elementi ricorrono nel
rapporto intercorrente tra il vigile urbano
e il comune nel cui organico questi è
inserito, mentre la dipendenza funzionale
con il comune capo convenzione è solamente
un effetto derivante dalla convenzione
sottoscritta tra i due comuni ed è in ogni
caso limitata alla durata della stessa.
Pertanto, nel caso di specie, non sussistono
cause ostative all'espletamento della carica
di consigliere comunale atteso che, come più
volte sancito dalla Corte di cassazione, le
norme che restringono eccezionalmente i
diritti di status sono di stretta
interpretazione
(articolo ItaliaOggi
del 03.02.2012). |
CONSIGLIERE COMUNALE: OSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste una causa di incompatibilità
sopravvenuta nei confronti di un consigliere
comunale che svolge funzioni di lavoratore
socialmente utile?
La questione sollevata va analizzata alla
luce dell'art. 60, comma 1, n. 7, del
decreto legislativo n. 267/2000, ai sensi
del quale non sono eleggibili nel rispettivo
consiglio comunale i dipendenti del comune.
La giurisprudenza ha escluso dall'ipotesi
dell'ineleggibilità prevista dalla norma
citata la sola ipotesi del lavoro autonomo
(Cassazione civile, sez. I, n. 9762 del
15/9/1995; Tribunale di Sassari, sez. civ.
sent. n. 1254 del 13/11/ 2002) e del
lavoratore che non espleti attività
lavorativa a favore del Comune in virtù di
un contratto di fornitura di lavoro, in
quanto al servizio esclusivo di una impresa
esterna, unica titolare del potere
disciplinare (Cassazione civile, sez. I,
11/03/2005, sent. n. 5449).
La ratio della
norma è quella di garantire il più possibile
la separazione tra attività politica e
attività di gestione e l'elemento di
discrimine affermato dalla giurisprudenza è
la sussistenza delle condizioni tipiche del
rapporto di impiego subordinato
(sottoposizione ad ordini e direttive,
inserimento del lavoratore nella struttura
dell'ente. Tuttavia, l'articolo 4 del
decreto legislativo n. 81 del 28.02.2000 ha previsto espressamente che
l'utilizzo nelle attività socialmente utili
o di pubblica utilità non determina
l'instaurazione di un tipico rapporto di
lavoro, interpretazione recepita dalla
costante giurisprudenza.
La Corte di cassazione, s.u. civ., con
sentenza del 27.02.2005, n. 3508, ha
ritenuto che il rapporto intercorrente tra
un lavoratore di pubblica utilità e la p.a.
non ha natura di lavoro subordinato. Tra
l'ente ed il lavoratore viene a sussistere
unicamente un rapporto c.d. di
«utilizzazione»; in tal senso l'art. 8,
comma 1, del dlgs. n. 468/2000, ha
espressamente previsto che l'utilizzazione
dei lavoratori nelle attività che hanno per
oggetto la realizzazione di opere e la
fornitura di servizi di utilità collettiva
(art. 1, comma 1), non determina
l'instaurazione di un rapporto di lavoro e
non comporta la sospensione e la
cancellazione dalle liste di collocamento o
dalle liste di mobilità.
Tale orientamento è
stato consolidato anche dalla sentenza della
Corte di cassazione n. 3 del 03.01.2007,
che ha ribadito l'impossibilità di
configurare, nel rapporto di Lsu, un normale
rapporto di lavoro subordinato pubblico,
chiarendo, altresì, che nei lavori
socialmente utili il rapporto da
configurarsi è quello previdenziale, in
quanto il lavoratore socialmente utile ha il
diritto a emolumenti ai quali, però, non può
riconoscersi natura retributiva ma, per
l'appunto, previdenziale. Tenuto conto che
le cause ostative all'espletamento del
mandato elettivo, disciplinato dal Tuel,
incidendo direttamente sull'esercizio del
diritto di elettorato passivo, sono di
stretta interpretazione e come tali non
suscettibili di estensione analogica, anche
situazioni di fatto che accidentalmente
dovessero evidenziare elementi del rapporto
di lavoro subordinato non precluderebbero
l'assunzione della carica elettiva.
Pertanto, nel caso di specie, non sussiste
la causa di ineleggibilità dettata all'art.
60, comma 1, n. 7 del decreto legislativo n.
267/2000
(articolo ItaliaOggi
del 03.02.2012). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi locali. Il ministero dell'Ambiente
ferma le gestioni fuori regola.
In house vietato a società mista senza gara.
QUESTIONE DI CALENDARIO/
La tagliola agli affidamenti prevista dalla
riforma è scattata perché il referendum
abrogativo è intervenuto solo più tardi.
Gli affidamenti in house di servizi pubblici
locali a società miste in cui il socio
privato sia stato scelto senza gara sono
illegittime, anche se l'articolo 23-bis del
Dl 112/2008 che ha introdotto la riforma dei
servizi pubblici locali è stato abolito con
i referendum di giugno.
Lo chiarisce il
ministero dell'Ambiente nella risposta a un
quesito avanzato da un ente locale su una
situazione che torna ancora in modalità
analoghe in parecchi casi sparsi qua e là
per l'Italia.
Il «niet» pronunciato dal ministero
dell'Ambiente, che di fatto condanna
all'illegittimità tutti gli affidamenti in
house a società miste formate senza gara,
nasce da ragioni di calendario. La riforma
dei servizi pubblici, rilanciata dal
«decreto-Ronchi» del 2009 prima di essere
cancellata dai referendum, prevedeva una
serie di date di chiusura per le diverse
tipologie di affidamento.
Nel caso delle società miste, i casi
previsti dalla regola erano tre.
L'affidamento a mista con socio scelto con
gara a doppio oggetto (la procedura con cui
si individua contestualmente il socio e i
compiti operativi connessi alla gestione del
servizio da attribuirgli) poteva arrivare
tranquillamente alla scadenza del contratto.
Nei casi in cui il socio fosse stato scelto
con gara semplice (quella che individua
l'azienda privata partner ma non i compiti
operativi da affidarle), la data di chiusura
era fissata al 31.12.2011, mentre
nelle altre tipologie di partnership lo stop
sarebbe dovuto intervenire entro il 31.12.2010.
Proprio quest'ultima è la data chiave su cui
poggia il ragionamento ministeriale.
Il referendum che ha travolto con l'ondata
di «sì» la liberalizzazione dei servizi
pubblici (prima dell'articolo 4 della
manovra estiva che l'ha rimessa in campo) è
intervenuto nel giugno del 2011, per cui la
tagliola agli affidamenti a società miste
con partner individuato senza gara è rimasta
in vigore per sei mesi.
Ergo: nessun affidamento di questo tipo può
continuare oggi a dispiegare i propri
effetti, perché la sua "esistenza in vita"
avverrebbe grazie alla violazione di una
legge abrogata solo in un secondo momento.
Sulla base degli stessi presupposti,
naturalmente, l'abrogazione obbligatoria non
è intervenuta per gli affidamenti con data
di scadenza successiva al giugno del 2011, a
partire da quelli a società mista scelta con
gara semplice che sarebbero dovuti
tramontare a dicembre.
Per gli affidamenti in house ancora
legittimamente funzionanti, il calendario di
uscita è quello corretto da ultimo dal
decreto sulle liberalizzazioni. In
particolare, possono stare in piedi fino a
fine anno gli affidamenti diretti di servizi
che valgono più di 200mila euro all'anno, la
nuova soglia individuata dal provvedimento
come limite massimo per aggirare la gara.
Una regola, quest'ultima, che di fatto si
traduce in una proroga degli affidamenti
diretti superiore al vecchio limite di
900mila euro, che secondo la manovra bis di
Ferragosto avrebbero dovuto alzare bandiera
bianca entro il prossimo 31 marzo.
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L'intreccio di date
01 | IL PRIMO CALENDARIO
Le date di scadenza degli affidamenti in
house erano state fissate dall'articolo
23-bis del Dl 112/2008. In particolare, per
le società miste, si prevedeva la decadenza
dell'affidamento
- Alla scadenza del contratto, se il socio
era stato individuato con gara a doppio
oggetto (scelta del socio e compiti
operativi connessi alla gestione del
servizio)
- Al 31.12.2011, se il socio era stato
individuato con gara semplice (finalizzata
solo alla scelta del socio)
- Al 31.12.2010 negli altri casi
(società mista senza gara)
02 | IL REFERENDUM
Il referendum abrogativo è intervenuto a
giugno 2011; di conseguenza sono illegittimi
gli affidamenti che sarebbero dovuti
decadere prima di quella data
03 | IL NUOVO CALENDARIO
Il Dl 1/2012 fissa al 31.12.2012 la
decadenza degli affidamenti diretti di
servizi di valore superiore a 200mila euro
annui (articolo Il Sole 24 Ore del 02.02.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento al
02.02.2012 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, ancora proroghe in arrivo.
Slitta la piena operatività del Sistri. A
cascata Mud e Mudino. Dopo i rinvii di fine
2011 previsti nuovi mutamenti nella legge di
conversione del dl 216/2011.
In continuo mutamento il calendario delle
scadenze 2012 relative alle comunicazioni
ambientali. Dopo le proroghe sancite dal
legislatore di fine 2011 per «Sistri», «Mudino»,
«Mud» (acronimi che sottendono,
rispettivamente, il tracciamento telematico
dei rifiuti, la denuncia transitoria dei
dati ad esso inerenti, la comunicazione dei
beni di rilevanza ambientale non
diversamente monitorati) una nuova
riformulazione del calendario è prevista
proprio in relazione al nuovo sistema di
controllo online dei rifiuti dalla legge di
conversione del dl 216/2011 (cd. «Milleproroghe»).
Il testo della legge in parola, attualmente
all'esame del Parlamento che dovrà
licenziarlo entro la fine del prossimo
febbraio, prevede infatti l'ulteriore
slittamento della piena operatività del
Sistri (già portato al 02.04.2012 dal «Milleproroghe»)
al 30.06.2012, facendo immaginare, a
cascata, una nuova rivisitazione delle
collegate scadenze relative a «Mudino», «Mud».
Sistri, l'attuale calendario. In base
all'attuale assetto normativo, gli obblighi
operativi del nuovo sistema di tracciamento
telematico dei rifiuti (comunicazione online
dei dati al cervellone gestito dall'Arma dei
carabinieri, monitoraggio satellitare mezzi
di trasporto, videosorveglianze
ingressi/uscite dalle discariche) scattano
in base ad un sofisticato calendario: dal 02.04.2012 (data così stabilita dal dl
216/2011) per i medi/grandi gestori; dopo il
01.06.2012, ed a far data dal termine
stabilito da un futuro dm Ambiente, per i
piccoli produttori di rifiuti speciali
pericolosi (non più di 10 dipendenti,
compresi i produttori che effettuano il
trasporto dei propri rifiuti entro i 30
kg/litri al giorno) come stabilito dal dl
70/2011; dal 02.07.2012 per gli
imprenditori agricoli che producono e
trasportano a piattaforma di conferimento,
oppure conferiscono ad un circuito
organizzato di raccolta, i propri rifiuti
pericolosi in modo «occasionale e saltuario»
(termine così stabilito dal citato dl
216/2011).
Le regole procedurali che i
soggetti obbligati al Sistri dovranno
seguire per la comunicazione telematica dei
dati relativi ai rifiuti gestiti sono invece
quelle recate dal nuovo dm Ambiente 10.11.2011 n. 219, decreto che ha
riformulato le norme dettate dal dm 18.02.2011 n. 52 (cd «Testo unico
Sistri») in relazione a gestione dei
dispositivi usb, responsabilità per la
comunicazione dei dati, compilazione delle
schede elettroniche, gestione dei problemi
di connettività e dei cambiamenti aziendali.
Sistri, le novità in arrivo. Come accennato,
dovrebbero arrivare con la legge di
conversione del citato dl 216/2011 (e il
condizionale è d'obbligo poiché il relativo
testo, pur prevedendoli, ancora non è stato
licenziato dal Parlamento) ulteriori
slittamenti delle tappe di operatività del
Sistri.
La legge di conversione del «Milleproroghe»
prevede infatti un nuovo termine, quello del
30.06.2012, intorno al quale far ruotare
gli adempimenti delle prime due categorie di
soggetti (allineandole, così, con la terza,
costituita dai citati imprenditori
agricoli), ipotizzando il seguente nuovo
calendario: partenza dal 30.06.2012 per
i medi/grandi gestori di rifiuti; partenza
dopo il 30.06.2012 (secondo la data
stabilita dal futuro Dm Ambiente in materia)
per i piccoli produttori.
«Mudino», le scadenze. A interessare nel
2012 i soggetti obbligati al «Sistri» (in
particolare: i produttori iniziali di
rifiuti; le imprese e gli enti che
effettuano operazioni di recupero e
smaltimento dei rifiuti già tenuti alla
presentazione «Mud» ex legge 70/1994) è
altresì la comunicazione dei rifiuti gestiti
nelle more della partenza del nuovo sistema
di tracciamento telematico dei rifiuti.
Prevista dal dm 17.12.2009 (uno dei
primi regolamenti sul Sistri) e
soprannominato «Mudino» per la sua
somiglianza alla storica denuncia «Mud» (ma
dalla quale si distingue per il suo
carattere transitorio) la comunicazione in
parola dovrà essere effettuata (secondo
quanto stabilito dal dm Ambiente 10.11.2011 n. 219) secondo il seguente calendario:
entro il 30.04.2012 dovranno essere
comunicate le informazioni relative ai
rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2011;
entro i successivi sei mesi dalla
operatività del nuovo sistema di
tracciamento telematico dei rifiuti dovranno
essere invece comunicate le informazioni
relative ai rifiuti gestiti nel corso
dell'anno 2012 non coperte dal Sistri.
Mud, nuove regole 2012. L'appuntamento al 30.04.2012 con la storica dichiarazione
ambientale istituita legge 70/1994 resta
invariato per i soggetti che, avendone
facoltà, non aderiranno al Sistri e per
quelli che gestiscono altri beni di impatto
ambientale da tracciare per legge. A
cambiare è invece la modulistica da
utilizzare, che per la comunicazione 2012 è
quella recata dal nuovo dpcm 23.12.2011 (pubblicato sulla G.U. 30.12.2011, n. 303).
Seguendo le istruzioni
dettate dal nuovo dpcm, entro il 30.04.2012
si dovranno così comunicare allo stato (per
il tramite delle Camere di commercio): i
dati relativi a rifiuti e veicoli fuori uso
gestiti nel corso del 2011 (per i soggetti
obbligati si veda il box più sotto
riportato); gli imballaggi e le
apparecchiature elettriche ed elettroniche
immesse nello stesso arco temporale sul
mercato (per i soggetti interessati si veda
il box più sotto riportato)
(articolo ItaliaOggi
Sette del 30.01.2012). |
ENTI LOCALI: Dal
pasticcio sui revisori un'occasione per fare
meglio.
LA CHANCE/
Il rinvio di nove mesi nel Milleproroghe può
lasciare spazio a una riforma che eviti
sorteggi e altre amenità.
È difficile non farsi sfuggire un sorriso
guardando la successione di norme che si
susseguono nella vicenda della nomina dei
revisori degli enti locali.
Si ricorderà che il Dl 138/2011 aveva
sparigliato le carte inventandosi il più
bizzarro metodo di selezione dei membri
dell'organo di revisione che mente umana
potesse immaginare. L'articolo 16, comma 25,
ha previsto un meccanismo che si fonda su
tre cardini tipici della «meritocrazia»:
l'anzianità, la residenza ed il caso. Un
approccio che certo voleva affrontare il
problema di non far più nominare i
controllori dai controllati ma che, per
evidente mancanza di coraggio e coerenza,
non arrivava alle logiche conseguenze, che
avrebbero dovuto portare ad affidare il
compito di individuare i revisori a un ente
terzo consapevole, come la Corte dei Conti,
il ministero dell'Interno o al limite quello
dell'Economia, e non a una sorta di gioco
del lotto.
La scelta è caduta sulla buona sorte, sul
sorteggio, che crea problemi evidenti di
equità e rispetto delle regole Ue. Perché un
revisore residente in un Comune della
provincia di Modena può ambire a fare il suo
lavoro a Madrid o Londra e non in un ente
locale toscano? Per iscriversi a questo
lotteria, inoltre, la norma aveva previsto
persino il rilevante requisito «di aver in
precedenza avanzato richiesta di svolgere la
funzione nell'organo di revisione degli enti
locali», qualificando dunque come elemento
di merito avere fatto una domanda; creando
un ostacolo all'iscrizione ai giovani
iscritti all'Ordine dei Dottori
commercialisti ed esperti contabili, che
ancora non avessero avuto modo di rispondere
a un qualche bando.
In molti speravano che tutto ciò sarebbe
rimasto lettera morta, lasciando così
inapplicata una disposizione che offende il
merito e la libertàlgere liberamente la
propria professione. Invece, nonostante le
proteste, ecco che il decreto attuativo
arriva alla firma del ministro, e viene così
inviato alla «Gazzetta Ufficiale» (si veda
Il Sole 24 Ore del 21 gennaio).
Finito il film, come sembra? No, perché,
ancora il decreto è fresco di firma del
ministro Cancellieri, forse neppure la sua
copia è arrivata al protocollo della
Poligrafico dello Stato, ed ecco che il Dl
Milleproroghe tra i suoi tanti rinvii ha
deciso di toccare anche il famigerato comma
25, rinviando la sua applicazione al 29.09.2012. Non sappiamo lo spirito che
ha mosso chi ha proposto l'emendamento.
Comunque, quale che sia stata la motivazione
politica che ha ispirato questa scelta, il
rinvio può rivelarsi opportuno, perché dà il
tempo per correggere profondamente la
normativa in modo da garantire terzietà
all'organo di revisione ma non a scapito
dell'autorevolezza professionale dei suoi
membri.
Sarebbe importante, soprattutto,
approfittare di questa «pausa» per
riflettere seriamente sull'efficacia dei
controlli nel loro complesso. E l'occasione,
se il Parlamento riterrà di riprendere il
suo lavoro in proposito, potrebbe e dovrebbe
essere la Carta delle Autonomie, che prevede
al suo interno proprio una rimodulazione del
sistema dei controlli che ormai richiede di
essere ripensato e reso più adeguato ai
tempi
(articolo Il Sole 24
Ore del 30.01.2012 - link a www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
pubblici. Il calendario delle gestioni.
In house, tempi lunghi e clausola di
salvaguardia.
Le gestioni esistenti dei servizi pubblici
locali con rilevanza economica hanno un
nuovo quadro di scadenze, che individua per
molte di esse il termine anticipato tra la
fine del 2012 e la primavera del 2013, ma
che garantisce la continuità delle
prestazioni qualora le procedure per i nuovi
affidamenti si prolunghino troppo.
Il Dl ha reimpostato le regole del periodo
transitorio, modificando varie parti
dell'articolo 4, comma 32, della legge
148/2011, in modo tale da consentire agli
enti affidanti di gestire meglio il
passaggio tra i gestori uscenti e quelli
subentranti.
L'elemento di maggior rilievo è individuato
nel nuovo termine per gli affidamenti in
house e per le altre tipologie di
affidamenti impropri: la deadline per tali
gestioni è stabilita al 31.12.2012. La
disposizione riguarda tutti gli affidamenti
diretti di valore superiore a 200mila euro
annui (secondo il nuovo parametro) o che non
abbiano i requisiti comunitari per l'in
house (controllo analogo e prevalenza
dell'attività a favore dell'ente affidante).
La scadenza di fine anno per queste gestioni
ha tuttavia un'alternativa importante,
poiché la riformulazione operata dal Dl
1/2012 consente alle società esistenti che
siano affidatarie dirette di aggregarsi per
una gestione unitaria dei servizi, avendo a
riferimento l'ambito o il bacino
territoriale ottimale.
Il percorso è esplicitamente indicato come
derogatorio della norma generale, quindi
lascia presumere la possibilità del
mantenimento dell'in house anche per valori
superiori ai 200mila euro, ma deve condurre
a un'azienda frutto dell'integrazione
operativa delle preesistenti gestioni
dirette, con varie soluzioni possibili dalla
fusione alla società consortile.
Tuttavia il nuovo gestore unico dopo il
riassetto è destinato a operare con un
vincolo temporale stretto, poiché il suo
spazio di attività e limitato a tre anni,
decorrenti dal 31.12.2012, nonché in
base a condizioni rigorose sotto il profilo
della qualità e delle garanzie per l'utenza.
La deroga è finalizzata a superare il
frazionamento delle gestioni in molti
contesti e a consentire la costituzione di
organismi societari più forti e più
efficienti, in grado di sostenere meglio il
confronto con altri operatori economici
nelle gare per l'affidamento dei servizi
dimensionati sugli ambiti o sui bacini
territoriali ottimali. Proprio questa
prospettiva si collega alla nuova norma,
definita nell'articolo 3-bis, comma 1, della
legge 148/2011, che obbliga le Regioni a
definire i bacini e gli ambiti ottimali per
i servizi entro il 30.06.2012.
Il termine del periodo transitorio è stato
ridefinito anche per le gestioni affidate a
società miste nelle quali il socio privato,
anche se scelto con gara, non sia risultato
originariamente affidatario anche di
specifici compiti operativi: in tal caso la
scadenza degli affidamenti in essere è
stabilita al 31.03.2012.
Restano invece invariate le disposizioni che
consentono la prosecuzione delle gestioni
alle società miste conformi alle norme Ue,
che stabiliscono due scadenze per la
progressiva dismissione delle quote o azioni
di proprietà pubblica per consentire il
mantenimento degli affidamenti in essere
alle società quotate.
La complessa gestione delle nuove procedure
di affidamento lascia presupporre che molte
di esse giungeranno all'individuazione del
nuovo gestore ben oltre le scadenze del
periodo transitorio, tanto che il Dl 1/2012
ha introdotto una norma di salvaguardia. Per
non pregiudicare la continuità
nell'erogazione dei servizi di rilevanza
economica, il nuovo comma 32-ter stabilisce
che i soggetti gestori dei servizi
assicurano l'integrale prosecuzione delle
attività anche oltre le scadenze previste,
fino al subentro del nuovo gestore e
comunque, in caso di liberalizzazione del
settore, fino all'apertura del mercato alla
concorrenza
(articolo Il Sole 24
Ore del 30.01.2012 - link a
www.corteconti.it). |
aggiornamento al
30.01.2012 |
|
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Il
Durc rimane solo per l'edilizia.
Autocertificazione negli appalti pubblici
sotto 20 mila euro. Una nota Inps-Inail
spiega che la nuova normativa in realtà
lascia immutata la disciplina speciale.
Durc non
autocertificabile soltanto nei lavori
privati edili; nel caso di appalti pubblici,
invece, resta confermata la possibilità
all'impresa di sostituirlo con
un'autocertificazione. In particolare, non
può essere autocertificato il Durc da
presentare all'amministrazione concedente
prima dell'avvio dei lavori edili, oggetto
di permesso di costruire o di denuncia
d'inizio attività. Nei contratti pubblici di
forniture e servizi fino a 20 mila euro,
invece, le imprese possono continuare a
sostituire il Durc con una
autodichiarazione.
È quanto si legge nella
nota 26.01.2012 n. 573 di prot.,
firmata di Inail e Inps, ed emessa d'intesa
con il ministero del lavoro.
Decertificazione e Durc.
I chiarimenti riguardano l'operazione di «decertificazione»
dalla legge n. 183/2011 (legge Stabilità),
per effetto della quale è stata prevista la
sostituzione delle certificazioni emesse
dalle p.a. con le autocertificazioni (dpr n.
445/2000) dei diretti interessati. Tra
l'altro la legge ha inserito l'articolo
44-bis al dpr n. 445/2000, il quale
stabilisce che «le informazioni relative
alla regolarità contributiva sono acquisite
d'ufficio, ovvero controllate ai sensi
dell'articolo 71, dalle pubbliche
amministrazioni procedenti, nel rispetto
della specifica normativa di settore».
Con
nota 16.01.2012 n. 619 di prot., il ministero del lavoro ha
precisato che la novità della
decertificazione non tocca il Durc: la
previsione dell'articolo 44-bis al dpr n.
445/2000, ha detto il ministero, stabilisce
semplicemente le modalità di acquisizione e
gestione del Durc senza però intaccare in
alcun modo il principio secondo cui le
valutazioni effettuate da un organismo
tecnico (nel caso, l'Inps o l'Inail) non
possono essere sostituite da
un'autocertificazione.
Settore privato.
Di fatto, spiega la nota Inail-Inps,
l'operazione di decertificazione lascia
immutata la disciplina (che era e che
rimane) speciale in materia di Durc; salvo
la parte in cui offre la possibilità alle
pubbliche amministrazioni di acquisire il
Durc da parte del soggetto interessato per
poi valutarne i contenuti con le modalità
previste per la verifica delle
autocertificazioni.
Tale possibilità, precisa la nota Inail-Inps,
deve intendersi riferita solo ai casi in cui
la normativa prevede espressamente la
presentazione del Durc da parte dei privati;
vale a dire alle ipotesi individuate
dall'articolo 90, comma 9, del dlgs n.
81/2008 (T.u. sicurezza). In base a tale
norma, il Durc deve essere trasmesso «all'amministrazione
concedente, prima dell'inizio dei lavori
oggetto del permesso di costruire o della
denuncia di inizio attività»; in tali
casi quindi, in applicazione anche della
nuova previsione dell'articolo 44-bis del
dpr n. 445/2000, l'amministrazione che ha
ricevuto il Durc può verificare in ogni
momento la sua autenticità attraverso il
contrassegno posto in calce al documento (la
verifica può essere effettuata utilizzando
l'apposito software gratuito disponibile sul
sito
www.sportellounicoprevidenziale.it).
Settore pubblico.
Per le stesse ragioni, aggiunge la nota
Inail-Inps, resta confermato l'obbligo di
acquisire d'ufficio il Durc da parte delle
stazioni appaltanti pubbliche e delle
amministrazioni procedenti. E resta altresì
confermata la fattispecie in cui è
consentito all'impresa di presentare una
dichiarazione in luogo del Durc, per
espressa previsione di legge, ossia quando
si tratti di ipotesi di contratti di
forniture e di servizi fino a 20 mila euro
stipulati con le p.a. e con società in
house (articolo 38 del dlgs n. 163/2006
e articolo 4 della legge n. 106/2011). Anche
in questi casi, le dichiarazioni rese dalle
imprese restano soggette a verifica ai sensi
dell'articolo 71 del dpr n. 445/2000, con
l'acquisizione d'ufficio del Durc da parte
dell'amministrazione che le riceve.
Infine, la nota Inail-Inps precisa che dal
13 febbraio prossimo la richiesta del Durc
per le seguenti tipologie potrà essere
effettuata esclusivamente dalle stazioni
appaltanti pubbliche o dalle amministrazioni
procedenti:
● appalto/subappalto/affidamento di
contratti pubblici di lavori, forniture e
servizi;
● contratti pubblici di forniture e servizi
in economia con affidamento diretto;
● agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni e
autorizzazioni
(articolo ItaliaOggi del 28.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Regolarità
contributiva. Dal 13 febbraio.
Sarà la pubblica amministrazione a chiedere
il Durc alle «casse».
Dal 13 febbraio la richiesta del Durc, il
documento unico di regolarità contributiva,
potrà essere effettuata solo dalle stazioni
appaltanti pubbliche o dalle amministrazioni
procedenti. La regola si applicherà nei
seguenti casi:
appalto/subappalto/affidamento di contratti
pubblici di lavori, forniture e servizi e
per contratti pubblici di forniture e
servizi in economia con affidamento diretto
e quelli per agevolazioni, finanziamenti,
sovvenzioni ed autorizzazioni. Inoltre
–spiegano Inps e Inail nella
nota congiunta 26.01.2012 n. 573 di prot.–
il Durc è un documento non
autocertificabile. Il chiarimento arriva
dopo le modifiche apportate dall'articolo 15
della legge 183/2011 al Dpr 445/2000.
I due enti ribadiscono quanto precisato dal
ministero del Lavoro che con nota del 16
gennaio (si veda Il Sole 24 Ore del 18) si
era espresso per la non autocertificabilità
del Durc. In particolare il Lavoro ha
chiarito che l'articolo 44-bis del Dpr
445/2000 stabilisce le modalità di
acquisizione e gestione del documento senza
però intaccare in alcun modo il principio
secondo cui le valutazioni effettuate da un
organismo tecnico, nel caso di specie
istituto previdenziale o assicuratore, non
possono essere sostituite da
un'autodichiarazione.
Di conseguenza, l'inammissibilità
dell'autocertificazione comporta
l'esclusione del Durc dall'ambito di
applicazione dell'articolo 40, comma 2, del Dpr 445/2000 secondo cui «Sulle
certificazioni da produrre ai soggetti
privati è apposta, a pena di nullità, la
dicitura: "Il presente certificato non può
essere prodotto agli organi della pubblica
amministrazione o ai privati gestori di
pubblici servizi"».
I due istituti forniscono chiarimenti sulla
possibilità per la Pa di acquisire un Durc,
non un'autocertificazione, da parte del
soggetto interessato, i cui contenuti
potranno essere vagliati dalla stessa
pubblica amministrazione con le modalità
previste per la verifica delle
autocertificazioni. Questa situazione può
riferirsi solo alle ipotesi in cui il
legislatore ha previsto espressamente la
presentazione del documento da parte dei
privati.
L'amministrazione che ha ricevuto il Durc
potrà verificare, in qualsiasi momento, la
sua autenticità attraverso il contrassegno
posto in calce al documento
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: DECRETO
SEMPLIFICAZIONI/
Sanzioni più blande alle false
dichiarazioni. Certificazioni. Portato a un
anno il tetto massimo dell'esclusione in
caso di documentazione non veritiera.
Si ammorbidiscono le sanzioni per i
fornitori della Pa che presentano false
dichiarazioni o falsi documenti nelle gare
di appalto: il decreto semplificazioni rende
più flessibile la sanzione dell'esclusione
dalle gare. Oggi infatti chi viene pizzicato
con un documento falso o una falsa
dichiarazione subisce in automatico
l'esclusione dagli appalti di lavori,
servizi e forniture per un anno. Con il
decreto questo anno diventa il tetto massimo
della sanzione e si affida all'Autorità di
vigilanza sui lavori, servizi e forniture il
compito di valutare l'effettiva gravità
della condotta.
Al di là infatti dei casi gravi o palesi di
aggiramento delle norme, nella prassi è
capitato che alcuni fornitori
autocertificassero, ad esempio, la piena
regolarità fiscale o anche di non avere
procedimenti giudiziari in corso. Poi
all'atto del controllo è saltata fuori una
contravvenzione non pagata o una cartella
esattoriale «dimenticata», anche di
importo minore. Ebbene anche per queste
infrazioni lievi non c'era scampo: scattava
l'esclusione per un anno, la stessa prevista
magari per i grandi evasori. Una pena severa
che spesso ha decretato la fine stessa
dell'impresa. Ora il sistema è graduale:
l'anno di espulsione è il limite massimo.
Spetta all'Autorità valutare e decidere la
durata, caso per caso.
L'altra grande novità del decreto è la Banca
dati nazionale dei contratti pubblici, anche
questa affidata all'Autorità degli appalti.
Partirà dal 2013 e sarà un grande data base
in cui le amministrazioni riverseranno le
informazioni sui requisiti di qualificazione
alle gare, sia quelli generali (fedina
penale, regolarità fiscale ad esempio), sia
quelli tecnici ed economici (fatturato e
dipendenti). Si va dalle notizie di Inps,
Inail e casse edili sul Durc (documento
unico di regolarità contributiva) al
casellario giudiziale, fino ai certificati
di esecuzione dei lavori.
L'obiettivo è fare in modo che le stazioni
appaltanti non chiedano più certificati di
verifica delle autocertificazioni ai
concorrenti ma svolgano i controlli, in
tempo reale, attraverso la Banca dati. Il
Ministro della Funzione pubblica, Filippo
Patroni Griffi ha stimato il risparmio di
sola gestione amministrativa per le imprese
in 140 milioni. Il suo Dipartimento in un
dossier dell'era Brunetta aveva preventivato
economie pari 1,3 miliardi per tutte le Pmi
grazie alla Banca dati, calcolando che ogni
piccola o media impresa partecipa in media a
27 gare l'anno. Anche i professionisti
quando parteciperanno alle gare potranno
autocertificare l'iscrizione all'Ordine.
Forse sulla scia delle polemiche sul
restauro del Colosseo, il decreto
regolamenta per la prima volta anche i
contratti di sponsorizzazione per il
restauro dei beni culturali. Si prevede
l'obbligo di ricercare lo sponsor con un
bando, in cui indicare se cerca solo un
privato finanziatore o anche un soggetto in
grado di progettare e realizzare il
restauro. Sembra invece accantonato il
progetto, contenuto nelle prime bozze, di
eliminare la pubblicità legale di bandi e
appalti dai quotidiani
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: DECRETO
SEMPLIFICAZIONI/ Appalti, responsabilità
meno cara. Il committente non deve pagare in
solido le sanzioni per l'appaltatore.
IL PROBLEMA/ La solidarietà nei debiti verso
i dipendenti non può essere arginata con il
documento di regolarità contributiva.
Il decreto legge sulle semplificazioni tenta
di attenuare la rigidità del regime relativo
alla responsabilità solidale negli appalti
tra committente e appaltatore. In base alle
misure approvate ieri dal Consiglio dei
ministri il committente resta responsabile
in solido con l'appaltatore, per due anni
dalla conclusione dell'appalto, per
eventuali debiti di natura retributiva verso
i lavoratori e contributiva e assicurativa
verso gli istituti previdenziali.
Tuttavia, il Governo chiarisce che il
committente non risponde per il pagamento
delle sanzioni civili applicabili nel caso
di inadempienze nelle obbligazioni
retributive e contributive. La disciplina
sulla solidarietà, nel settore privato, ha
subito diverse modifiche. È stata introdotta
nel 2003, con l'articolo 29 del decreto
legislativo 276, il quale prevede che «in
caso di appalto di opere o di servizi»
il committente imprenditore o datore di
lavoro è obbligato in solido con
l'appaltatore, entro il limite di due anni
dalla cessazione dell'appalto, a
corrispondere ai lavoratori i trattamenti
retributivi e i contributi previdenziali
dovuti.
La Finanziaria del 2007 ha precisato che il
regime di solidarietà opera anche per le
obbligazione delle imprese subappaltatrici.
Altro intervento di rilievo è stato operato
con l'articolo 35, comma 34, della legge
248/2006 (il decreto Bersani), che ha
introdotto un ulteriore meccanismo di
responsabilità solidale in materia di
appalto.
Quest'ultima norma prevedeva che
l'appaltatore era responsabile in solido con
gli eventuali subappaltatori per il mancato
adempimento dei debiti fiscali, contributivi
e assicurativi connessi alle prestazioni di
lavoro utilizzate per eseguire il contratto
di appalto (il committente rispondeva con
una sanzione amministrativa, ma la logica
era la stessa). Questo tipo di
responsabilità solidale poteva essere
esclusa mediante l'adempimento di alcuni
oneri di controllo: un soggetto rispondeva
solo se ometteva di verificare, acquisendo
la relativa documentazione prima del
pagamento del corrispettivo, che gli
adempimenti connessi con le prestazioni di
lavoro dipendente erano stati correttamente
eseguiti dal proprio fornitore.
Il meccanismo dell'esimente è stato abrogato
in parte nel 2008, quando il Dl 93 ha
cancellato la possibilità di ottenere
l'esonero dalla responsabilità solidale
mediante la richiesta della documentazione
comprovante l'adempimento degli oneri
fiscali, previdenziali e retributivi.
Sempre nel 2008, è stato riformato il regime
di responsabilità solidale tra il
committente, l'appaltatore e gli eventuali
subappaltatori nella materia della salute e
sicurezza sui luoghi di lavoro; l'articolo
26 del Testo unico (decreto legislativo
81/2008) ha regolato organicamente la
materia, affermando anche su questo terreno
il principio per cui chi affida lavori in
appalto resta responsabile delle vicende dei
lavoratori impiegati.
La materia è stata ancora ritoccata la
scorsa estate, con l'articolo 8 della legge
111/2011, la norma che ha creato i contratti
di prossimità. La norma assegna a tali
contratti il potere di regolare in maniera
diversa da quanto prevede la legge il regime
di responsabilità degli appalti.
Questa lunga serie di modifiche normative
testimonia la difficoltà del legislatore di
trovare un assetto stabile della materia.
Occorre trovare il punto di equilibrio tra
le esigenze di tutela dei diritti maturati
dai lavoratori (sul piano della
contribuzione e della retribuzione) e la
necessità di non ostacolare i processi di
esternalizzazione e decentramento produttivo
che rendono più efficienti le imprese.
D'altra parte, per le imprese è spesso arduo
capire se l'appaltatore abbia effettivamente
rispettato gli obblighi nei confronti dei
dipendenti. La richiesta del Durc,
dell'elenco dei lavoratori e delle tipologie
contrattuali utilizzate potrebbe costituire
una prova della volontà dell'impresa
committente di non essere coinvolta in
situazioni irregolari.
Per le imprese resta prioritario anche
arrivare a regolamentazione stabile, così da
implementare un sistema di controlli che non
deve essere ridisegnato ogni due o tre anni
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.01.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI - VARI: DECRETO
SEMPLIFICAZIONI/
Addio a 7 milioni di certificati cartacei.
Trasmessi online gli atti di nascita e
matrimonio - La Pa risparmierà 10 milioni di
euro.
MENO FILE ALLO SPORTELLO/
Confermati i cambi di residenza in tempo
reale e l'obbligo per gli uffici pubblici di
scambiarsi via web tutte le informazioni.
Il cittadino guadagnerà tempo,
l'amministrazione risorse. È il duplice
effetto che il Governo conta di ottenere con
le semplificazioni sui certificati
anagrafici. Con un conseguente risparmio di
carta (7 milioni di atti in meno) e soldi
(10 milioni di minori spese). Almeno a detta
dell'Esecutivo.
A rivelare il possibile impatto del
pacchetto di norme destinate ai cittadini è
stato il ministro della Pubblica
amministrazione, Filippo Patroni Griffi,
nella conferenza stampa post Cdm. Le
modifiche coincidono con quelle anticipate
nei giorni scorsi su questo giornale. A
cominciare dalla possibilità, concessa
dall'articolo 6 del testo di entrata a
Palazzo Chigi, di ottenere in tempo reale il
cambio di residenza. Un fenomeno che secondo
l'Istat ha interessato 1,4 milioni di
cittadini. Per rendere effettivo il
trasferimento basterà infatti comunicare il
nuovo indirizzo all'ufficiale di anagrafe
del municipio di destinazione. Toccherà poi
a quest'ultimo, nei due giorni successivi,
inoltrare la pratica per via telematica al
Comune di provenienza.
L'impatto maggiore sulla vita quotidiana
delle famiglie l'avranno però le
disposizioni sui certificati on-line.
L'articolo 9 obbliga le Pa a scambiarsi via
internet una serie di dati in loro possesso:
dalle comunicazioni tra Comuni di atti e di
documenti di stato civile, anagrafici ed
elettorali a quelle tra Comuni e questure in
materia di pubblica sicurezza e immigrazione
fino alle liste di leva. L'obiettivo
esplicito è consentire a chi si presenta
allo sportello di ottenere in via immediata
la trascrizione di un atto di nascita, morte
o matrimonio oppure la cancellazione o
l'iscrizione alle liste elettorali. Ed è
proprio da questa norma che il Governo spera
di smaterializzare i 7 milioni di atti oggi
prodotti in via cartacea e ridurre di almeno
10 milioni l'esborso per le spese di
spedizione.
Confermate anche le novità in tema di carta
d'identità. Raccogliendo il suggerimento
giunto sul portale di Palazzo Vidoni da
parte di un cittadino che si era trovato
all'estero con il documento di
riconoscimento scaduto, l'Esecutivo ha
deciso di farne coincidere la data di
scadenza con il compleanno del diretto
interessato. Chiaramente nell'anno
successivo a quello di scadenza naturale
della carta, vale a dire 10 anni dopo il suo
rilascio. Contestualmente viene portata da
cinque a 10 anni la durata dei tesserini
rilasciati dalle amministrazioni statali (ad
esempio ad agenti di polizia e forze
dell'ordine).
Il pacchetto di esemplificazioni per i
cittadini include poi una modifica sui
concorsi pubblici. A cui si potrà
partecipare solo presentando via web la
domande. Con la precisazione che a questa
modifica dovranno adeguarsi anche le
Regioni. Nello stesso articolo viene anche
previsto, senza che questo intacchi il
valore legale della laurea, che sia la
Funzione pubblica, sentito il Miur, e non
più un decreto del presidente del Consiglio
a decidere sull'equiparazione dei titoli di
studio e professionali e sull'equivalenza
tra i titoli accademici e di servizio per
l'ammissione al concorso.
A queste disposizioni di portata generale il
provvedimento ne aggiunge altre settoriali.
È il caso dell'eliminazione delle
duplicazioni di adempimenti per i disabili.
I verbali delle commissioni mediche
integrate dovranno infatti riportare anche
l'esistenza dei requisiti sanitari necessari
per la richiesta di rilascio del
contrassegno invalidi, per la riduzione
dell'aliquota Iva sulle auto e per
l'esenzione dal pagamento del bollo e dell'Ipt.
Senza dimenticare la privacy (su cui si veda
altro articolo a pagina 27). A detta di
Patroni Griffi solo dall'eliminazione «della
documentazione cartacea in materia di
protezione dei dati personali, ferma
restando tutta la normativa», arriverà un
risparmio «di circa 320 milioni annui».
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IL NUMERO
E I PUNTI CHIAVE
DELLA RIFORMA
10
I milioni all'anno di
risparmio per l'eliminazione
dei certificati cartacei
Scadenze
I documenti d'identità e di riconoscimento
rilasciati dopo l'entrata in vigore del
decreto avranno scadenza il giorno e il mese
di nascita del titolare del documento stesso
immediatamente successivo alla scadenza che
sarebbe altrimenti prevista per il
documento.
Residenza
Il cambio di residenza avrà effetto dal
giorno della richiesta in modo da evitare
tempi di attesa (i cambi di residenza tra
comuni diversi sono circa 1.400.000
all'anno, fonte Istat). Rimangono fermi i
controlli previsti e le sanzioni in caso di
dichiarazioni false.
Disabili
Via alle duplicazioni di documenti nelle
certificazioni sanitarie a favore dei
disabili. Il verbale di accertamento
dell'invalidità può sostituire le
attestazioni medico-legali richieste per il
contrassegno per parcheggio o l'Iva
agevolata per l'acquisto dell'auto.
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LE AMMINISTRAZIONI CAMBIANO PASSO
7 milioni - Certificati senza carta
Con il decreto sulle semplificazioni
certificati, atti di stato civile e
iscrizioni alle liste elettorali, passeranno
dalla versione cartacea a quella online.
Ogni anno, secondo le stime del Governo,
sono circa sette milioni gli atti di questo
genere prodotti dalla varie amministrazioni.
I soli cambi di residenza effettuati ogni
anno, secondo l'Istat, sono pari a un
milione e 14mila. Questo provvedimento di «dematerializzazione»
farà risparmiare alle amministrazioni circa
10 milioni l'anno.
50% - Tempi certi per le pratiche
Decorso inutilmente il termine per la
conclusione del procedimento amministrativo
il privato potrà rivolgersi al dirigente
responsabile individuato dal vertice
politico affinché questi, entro un termine
pari alla metà di quello originariamente
previsto, concluda il procedimento
attraverso le strutture competenti o con la
nomina di un commissario ad acta
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - VARI: Il
decreto legge semplificazioni. Un pacchetto
di 68 articoli per semplificare.
Pubblichiamo la bozza del decreto legge su
semplificazione e sviluppo che è stato
esaminato ieri dal Consiglio dei ministri.
Le parti in nero rappresentano le ultime
modifiche che sono state introdotte prima
della riunione di ieri. Il testo potrebbe
subire ulteriori modifiche in sede di
coordinamento formale.
Sul sito internet del Sole 24 Ore
(www.ilsole24ore.com) l'elenco delle leggi
abrogate.
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TITOLO I - Disposizioni in materia di
semplificazioni
Capo I - Disposizioni generali in materia di
semplificazione
ARTICOLO 1 - Modifiche alla legge n. 241 del
1990 in materia di conclusione del
procedimento e poteri sostitutivi
1. All'articolo 2 della legge 7 agosto 1990,
n 241, i commi 8 e 9 sono sostituiti dai
seguenti: «8. La tutela in materia di
silenzio dell'amministrazione è disciplinata
dal Codice del processo amministrativo.
Tutte le sentenze che accolgono il ricorso
proposto avverso il silenzio inadempimento
dell'amministrazione possono essere
trasmesse in via telematica alla Corte dei
conti; sono, in ogni caso, trasmesse le
sentenze passate in giudicato. 9. La mancata
o tardiva emanazione del provvedimento nei
termini costituisce elemento di valutazione
della performance individuale, nonché di
responsabilità disciplinare e contabile del
dirigente e del funzionario inadempiente.
9-bis. Il vertice politico del
l'amministrazione individua, nell'ambito
delle figure apicali dell'amministrazione,
il soggetto cui attribuire il potere
sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi
di omessa individuazione il potere
sostitutivo si considera attribuito al
dirigente generale o, in ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Se la decisione è
comunicata prima della nomina va nominato un
commissario. Sospensione non retroattiva.
Atti validi fino alla notifica del
provvedimento.
Il neoeletto sindaco di un comune può porre
in essere gli atti di propria competenza, a
far tempo dalla data di proclamazione degli
eletti, pur in presenza di una condanna con
sentenza non definitiva, per il reato di cui
all'art. 317 c.p., per il quale l'art. 59,
comma 1, del decreto legislativo n.
267/2000, prevede la sospensione di diritto
dalla carica ricoperta?
Secondo un principio generale del nostro
ordinamento le cariche elettive si assumono
all'atto della proclamazione e non già a
seguito della delibera di convalida degli
eletti.
In ordine alla decorrenza della
sospensione di diritto, secondo
l'orientamento della Corte suprema di
cassazione, «la previsione della operatività
di diritto espressamente prevista dal comma
1 dell'art. 59 non consente alcun
riferimento di ordine temporale e non può,
quindi, considerarsi sinonimo di
immediatezza; essa indica, invece, sia
l'assenza di ogni discrezionalità da parte
del giudice e, conseguentemente, degli
organi amministrativi richiamati dalla
stessa norma –allorché si accerti la
responsabilità per uno dei reati previsti
dal combinato disposto di cui al comma 1,
lettera a) dell'art. 58 e dell'art. 59 del Tuel– e sia la sua applicazione in sede
amministrativa, anche qualora il giudice
penale abbia omesso di dichiarare la
sospensione, atteso che trattasi di un
effetto penale della condanna di natura
provvisoria, la cui durata è prevista in
misura fissa senza alcuna discrezionalità in
merito.
La diversa interpretazione, secondo
cui l'intervento del prefetto e quello del
consiglio comunale hanno natura meramente
dichiarativa, mentre il momento costitutivo
è rappresentato unicamente dalla sentenza di
condanna priverebbe del resto di ogni
significato il comma 4 dello stesso art. 59
il quale prevede la comunicazione della
decisione al prefetto il quale, accertata la
sussistenza di una causa di sospensione,
provvede a notificare il relativo
provvedimento agli organi che hanno
convalidato l'elezione o deliberato la
nomina.
Non si vede, infatti, quale finalità
dovrebbe soddisfare l'accertamento da parte
del prefetto della causa di sospensione e la
successiva comunicazione se la sospensione
medesima dovesse intendersi già operante a
seguito della sentenza. In tal caso,
infatti, sarebbe sufficiente prevedere la
comunicazione da parte della cancelleria
direttamente all'organo consiliare» (Cass.
civ., sez. I, 08.07.2009, n. 16052).
Pertanto, nel caso in questione, la
sospensione dalla carica di sindaco
decorrerà dalla data della notifica all'ente
del provvedimento adottato dal prefetto.
Da ciò discende che qualora la notifica del
provvedimento di sospensione intervenga dopo
la nomina della giunta, gli eventuali atti
posti in essere dal sindaco dovranno
ritenersi validamente adottati. In tal caso,
le funzioni di vertice dell'amministrazione
comunale saranno svolte dal vice sindaco,
secondo quanto previsto dal comma 2
dell'art. 53 del citato Testo unico, sino al
termine del periodo di sospensione.
Diversamente, nell'eventualità che il
provvedimento sia notificato anteriormente
alla nomina della giunta, sarà necessario
nominare un commissario prefettizio ex art.
19 del rd n. 383/1934, con i poteri di
sindaco e giunta
(articolo ItaliaOggi del 27.01.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Aspettativa non
retribuita.
Qual è la corretta applicazione dell'art. 81
del decreto legislativo n. 267/2000, in
materia di aspettativa non retribuita per
gli amministratori locali lavoratori
dipendenti? Tale disposizione, che prevede
il pagamento degli oneri previdenziali e
assistenziali a carico dei consiglieri
collocati in aspettativa a domanda, si
applica anche nei confronti degli
amministratori che si sono collocati in
aspettativa per la rimozione della causa
d'ineleggibilità disciplinata dall'art. 60,
comma 1, n. 5 del Tuel, in quanto componenti
di organi collegiali che esercitano poteri
di controllo istituzionale
sull'amministrazione del comune?
L'intervento legislativo dell'art. 2, comma
24, della legge n. 244 del 24.12.2007,
che ha modificato l'art. 81 del decreto
legislativo n. 267/2000, non ha inteso
differenziare il nuovo regime normativo in
relazione alle diverse motivazioni che si
pongono alla base del collocamento in
aspettativa non retribuita.
Pertanto, dovendosi riconoscere alla
disciplina recata dall'art. 81 una valenza
generale, il candidato alla carica
consiliare collocato in aspettativa non
retribuita per la rimozione della causa di
ineleggibilità deve farsi carico di tutte le
quote previste dagli oneri in questione.
Avvalendosi della stessa valutazione per
quanto concerne il secondo aspetto del
quesito, si rileva che nella fattispecie
deve considerarsi maturata l'anzianità di
servizio durante il periodo di aspettativa
non retribuita per la presentazione della
propria candidatura
(articolo ItaliaOggi del 27.01.2012). |
ENTI LOCALI: Mini-enti, proroga (quasi) a
360°.
L'art. 16 slitta di nove mesi. Ma non i
tagli alle poltrone. Il nuovo cronoprogramma verso l'associazionismo
alla luce delle novità del
milleproroghe.
Più tempo per le gestioni associate
obbligatorie e per le dismissioni delle
partecipazioni dei piccoli comuni. Nessun
rinvio, invece, per i tagli alle poltrone di
giunte e consigli.
Il disegno di legge di conversione del
decreto milleproroghe (su cui ieri la camera
dei deputati ha votato la fiducia con 469 sì
e 74 no) oltre a sancire il differimento al
30 giugno del termine per l'approvazione dei
bilanci di previsione, ricalibra la
tempistica di attuazione delle controverse
disposizioni che impongono ai municipi
minori un complessivo riassetto
organizzativo. L'auspicio degli interessati,
ovviamente, è che questo lasso di tempo
serva a modificare nel profondo tale
disciplina, per molti versi discutibile,
definendo una riforma più organica e
condivisa attraverso la approvazione del
c.d. codice delle autonomie.
Il testo del decreto legge n. 216/2011,
pubblicato in Gazzetta Ufficiale, si era
limitato a prorogare di 12 mesi i termini
(previsti dall'art. 14, comma 31, lett. a) e
b), del dl 78/2010, come modificato dalla
manovra di Ferragosto) entro cui i comuni
fra 1.000 e 5 mila abitanti dovranno dare a
vita ad unioni o convenzioni per esercitare
in forma associata le funzioni fondamentali.
Gli emendamenti approvati in commissione,
invece, recuperando la più ampia previsione
che si era affacciata nelle prime bozze del
provvedimento, intervengono anche sull'art.
16 del dl 138/2011, che, come noto, ha
imposto obblighi ancora più stringenti ai
comuni fino a 1.000 abitanti, imponendo loro
di aggregarsi per gestire la totalità delle
funzioni e dei servizi.
Per effetto di tale novella, contenuta nei
commi 11 e 11-bis dell'art. 29, quasi tutti
termini previgenti vengono slittati in
avanti di nove mesi (si veda, per maggiori
dettagli, la tabella in pagina).
Pertanto, i piccolissimi comuni avranno
tempo fino al prossimo 17 dicembre per
trasmettere le proprie proposte di
aggregazione alle regioni, che a loro volta
recuperano il potere (da esercitare entro il
17.08.2012) di ridefinire soglie
demografiche minime diverse da quelle
previste dal legislatore statale (5 mila
abitanti, che scendono a 3 mila per i comuni
montani). Rinviata al 13.05.2013 (prima
era fissata al 13.08.2012) la data che
farà scattare, con il primo rinnovo
amministrativo di uno dei comuni coinvolti,
la decadenza delle giunte in carica e
l'operatività dei nuovi organi delle unioni,
che saranno soggette al Patto a partire dal
30.09.2014 (ma, di fatto, dal 2015,
essendo difficile ipotizzare un
assoggettamento in corso di esercizio).
Tutto ciò non riguarderà i soli comuni che
riusciranno a beneficiare della deroga
concessa (anche in tal caso, con tempi più
distesi) dal ministero dell'interno alle
convenzioni di «qualità certificata».
Per i comuni fra 1.000 e 5 mila abitanti,
invece, il primo appuntamento da segnare in
calendario è il 30 settembre 2012: entro
tale data, essi dovranno gestire almeno due
delle sei funzioni fondamentali in forma
associata, dando vita ad aggregazioni di
almeno 10 mila abitanti (salva, anche in tal
caso, una diversa soglia stabilita a livello
regionale). Entro l'anno successivo, poi,
l'obbligo si estenderà anche alle altre
quattro funzioni. Nessuna proroga in tal
caso, invece, per l'estensione del Patto,
che per suddetti i comuni scatterà il primo
gennaio del prossimo anno.
Fra i termini non prorogati, spicca anche
quello previsto dall'art. 16, comma 17, del
dl 138/2011, che prevede la riduzione del
numero di assessori e consiglieri nei comuni
fino a 10 mila abitanti: la mannaia, quindi
calerà già dai prossimi rinnovi
amministrativi.
Incerta, invece, la decorrenza dei divieto
(previsto dal medesimo art. 16, al comma 18)
di erogare i gettoni di presenza ai
consiglieri dei comuni fino a 1.000
abitanti: tale disposizione, infatti, non è
stata espressamente modificata, ma il
relativo timing è regolato mediante rinvio
al precedente comma 9, che invece è oggetto
di una proroga espressa. Secondo l'Anci, il
relativo termine (fissato al 13.08.2012)
è da considerarsi invariato, ma sul punto
sarebbe opportuno un chiarimento.
Qualche dubbio anche sulla tempistica
dell'obbligo di dismettere le partecipazioni
vietate ai comuni fino a 50 mila abitanti.
Il milleproroghe sembra differire (dal 31.12.2012 al 30.09.2013) solo il
termine riguardante i comuni fino a 30 mila
abitanti, mentre per quelli fra 30 mila e 50
mila abitanti la dead line, come chiarito
dalla Corte dei conti Lombardia (pareri n.
602-603/2011) rimane fissata al 31.12.2013.
Da segnalare, infine, la conferma della
proroga al 31.12.2012 della
soppressione delle Ato per acqua e rifiuti.
Il voto finale sul provvedimento è previsto
per martedì prossimo, poi il decreto passerà
all'esame del senato
(articolo ItaliaOggi del 27.01.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: SEMPLIFICAZIONI/ Gare d'appalto,
verifiche on-line.
Banca dati nazionale per controllare le
autodichiarazioni. Il pacchetto di misure è
domani all'esame del consiglio dei ministri.
Semplificazione delle gare di appalto con la
Banca dati nazionale dei contratti pubblici
gestita dall'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici che consentirà di
verificare on-line la veridicità delle
autodichiarazioni presentate dai
concorrenti; eliminato ogni onere
documentale a carico di imprese e
professionisti che partecipano agli
affidamenti di lavori, forniture e servizi;
responsabilità in solido di committente,
appaltatore e subappaltatore per i pagamenti
dei lavoratori utilizzati per l'esecuzione
dei contratti; al via il piano di edilizia
scolastica.
Sono queste alcune delle novità
contenute nello
schema di disegno di legge sulle
semplificazioni che sarà portato domani
all'esame del Consiglio dei Ministri.
Una
delle principali novità è rappresentata
dalla istituzione presso l'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici della Banca
dati nazionale dei contratti pubblici che
dovrà essere attiva a partire dal primo
gennaio 2013. L'obiettivo della norma è
quello di ridurre gli oneri amministrativi
derivanti dagli obblighi informativi e di
assicurare l'efficacia, la trasparenza e il
controllo in tempo reale dell'azione
amministrativa in materia di appalti, anche
sotto il profilo della prevenzione dei
fenomeni di corruzione.
Da inizio 2013 la
banca dati dovrà acquisire tutta la
documentazione comprovante il possesso dei
requisiti di carattere generale,
tecnico-organizzativo ed
economico-finanziario che vengono chiesti
per partecipare a procedure di
aggiudicazione di contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture. Sarà poi
l'Autorità a mettere a punto, con propria
deliberazione, i termini e le regole
tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento
e la consultazione dei dati contenuti nella
predetta Banca dati (ivi compresa la
definizione di modelli di certificazioni).
Il
punto maggiormente rilevante della proposta
contenuta nel pacchetto semplificazione
risiede nell'obbligo, per le stazioni
appaltanti di verificare il possesso dei
requisiti “esclusivamente tramite la Banca
dati nazionale dei contratti pubblici”. Ciò
significa che i partecipanti alle gare
potranno qualificarsi alle procedure
semplicemente con una autodichiarazione del
possesso dei requisiti di carattere generale
e speciale, mentre sarà cura del committente
che ha bandito la gara, verificare che
quanto dichiarato sia conforme alle
risultanze documentali rese disponibili a
questo fine dalla Banca dati nazionale dei
contratti pubblici. Conseguentemente a tale
impostazione la norma prevede anche che sia
soppresso l'obbligo di presentare sempre la
certificazione inerente la regolarità
contributiva, elemento che dovrà essere
disponibile on-line per ogni stazione
appaltante.
Se si pensa che una buona parte
del contenzioso che attualmente si verifica
nelle gare si colloca proprio nella fase di
verifica dei requisiti, si può comprendere
l'elevato grado di semplificazione e
snellimento delle procedure che la norma
determina. Per l'attivazione della banca
dati la proposta prevede, per tutti i
soggetti pubblici e privati che detengono
dati e documenti relativi ai requisiti di
partecipazione, un obbligo di messa a
disposizione dell'Autorità; parallelamente
gli operatori economici saranno tenuti ad
integrare i dati contenuti nella Banca Dati
nazionale dei contratti pubblici.
Sotto il
profilo sanzionatorio la proposta del
Governo incide sull'articolo 38, comma 1-ter,
del Codice dei contratti pubblici,
stabilendo che in caso di presentazione di
falsa dichiarazione o falsa documentazione,
nelle procedure di gara e negli affidamenti
di subappalto, la stazione appaltante
segnali il fatto all'Autorità. Se poi
l'autorità ritiene che le dichiarazioni
siano state rese con dolo o colpa grave in
considerazione della rilevanza o della
gravità dei fatti oggetto della falsa
dichiarazione o della presentazione di falsa
documentazione, essa può disporre
l'iscrizione nel casellario informatico ai
fini dell'esclusione dalle procedure di gara
e dagli affidamenti di subappalto fino ad un
anno, decorso il quale l'iscrizione è
cancellata e perde comunque efficacia.
Semplificati anche gli oneri di
pubblicazione di bandi e avvisi di gara:
viene infatti soppresso l'obbligo di
pubblicità per estratto sui giornali.
Prevista anche una articolata disciplina
sulle sponsorizzazioni, con ricerca dello
sponsor mediante bando pubblicato sul sito
istituzionale dell'amministrazione
procedente per almeno trenta giorni e
richiesta di offerte in aumento sull'importo
del finanziamento minimo indicato.
Prevista
per appalti di opere o di servizi, la
responsabilità in solido del committente
imprenditore o datore di lavoro con
l'appaltatore, nonché con ciascuno degli
eventuali subappaltatori entro il limite di
due anni dalla cessazione dell'appalto, per
il pagamento di trattamenti retributivi,
compreso il Tfr, e i contributi
previdenziali dovuti in relazione al periodo
di esecuzione del contratto di appalto.
All'articolo 60 si prevede poi un corposo
piano di edilizia scolastica, gestito da Cipe su indicazione e ricognizione
dell'Agenzia del demanio e interventi anche
in project financing
(articolo ItaliaOggi del 26.01.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: SEMPLIFICAZIONI/ Pagamenti
lenti, danno erariale.
Le sentenze dei Tar andranno trasmesse alla
Corte conti. La mancata adozione dei
provvedimenti costa cara ai dipendenti
pubblici.
Contro i ritardi nei procedimenti
amministrativi in campo la Corte dei conti,
la responsabilità disciplinare ed erariale e
l'esercizio di poteri sostitutivi.
Lo
schema di disegno di legge sulle
semplificazioni presentato dal Ministro
della Funzione pubblica prende nuovamente di
mira il rispetto dei tempi dei procedimenti
amministrativi come elemento di qualità
dell'azione amministrativa, introducendo
disincentivi e sanzioni a violare i termini
fissati dalle norme.
Corte dei conti. Ai sensi dell'articolo
2-bis, comma 1, della legge 241/1990 «Le
pubbliche amministrazioni e i soggetti di
cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti
al risarcimento del danno ingiusto cagionato
in conseguenza dell'inosservanza dolosa o
colposa del termine di conclusione del
procedimento».
I ritardi, dunque, possono costare cari alle
amministrazioni. Per questa ragione, lo
schema impone di trasmettere per via
telematica alla magistratura contabile tutte
le sentenze dei giudici amministrativi che
accolgano i ricorsi contro il silenzio
inadempimento, cioè l'assenza di un
provvedimento nei termini, che siano passate
in giudicato. Destinataria della
comunicazione deve intendersi la procura
della Corte dei conti.
Responsabilità. Lo schema presentato dal
ministro Patroni Griffi inasprisce il regime
delle responsabilità. Attualmente, ai sensi
dell'articolo 2, comma 9, della legge
241/1990, la mancata adozione del
provvedimento finale nei termini costituisce
elemento di valutazione solo dei dirigenti,
influendo in particolare sulla
responsabilità dirigenziale, non connessa ai
singoli provvedimenti, ma alla complessiva
conduzione delle strutture.
La modifica proposta punta, invece,
direttamente sulla responsabilità
individuale derivante dal singolo
procedimento. Il ritardo, infatti,
costituirà elemento di valutazione della
performance individuale: dunque, ai fini
delle schede di valutazione occorrerà
tracciare se e in che misura ciascun singolo
dipendente avrà causato ritardi. Ma non
basta l'eventuale riduzione della
valutazione: il ritardo potrà essere anche
causa di responsabilità disciplinare, se,
ovviamente, connesso o causa, di violazioni
al codice disciplinare. Inoltre, il ritardo,
nei casi di produzione di danno, sarà anche
causa di responsabilità contabile (ma, anche
se le norme attualmente non lo affermano
espressamente è sempre stato così).
Lo schema di riforma della legge indica come
soggetti responsabili sia il dirigente, sia
il funzionario inadempiente.
Poteri sostitutivi. La riforma punta
comunque ad assicurare al privato che un
provvedimento, sia pure in ritardo, sia
adottato. Pertanto i vertici politici degli
enti dovranno individuare tra le «figure
apicali» un soggetto cui attribuire un
potere sostitutivo in caso di inerzia.
I cittadini potranno rivolgersi a tale
soggetto una volta trascorsi inutilmente i
termini dei procedimenti di loro interessi.
Il sostituto potrà concludere il
procedimento entro un termine pari alla metà
di quello originariamente previsto (si deve
presumere decorrente dall'istanza del
cittadino), avvalendosi delle strutture
amministrative competenti o anche nominando
un commissario ad acta.
Il dirigente incaricato di sostituire gli
inadempienti dovrà comunicare entro il 30
gennaio di ogni anno i procedimenti nei
quali è intervenuto in via sostitutiva, così
da permettere un quadro chiaro delle
inadempienze.
In ogni caso, i provvedimenti adottati in
ritardo su istanza dei cittadini da parte
dei dirigenti sostituti dovranno indicare
espressamente il termine previsto dalle
leggi o dai regolamenti e quello
effettivamente decorso.
Problemi applicativi. La riforma pone non
poche questioni applicative. Basti pensare
che tra i soggetti chiamati a rispondere a
vario titolo dei ritardi non menziona
minimamente il «responsabile del
procedimento», ma parla impropriamente di
«funzionari», termine che anche con le nuove
declaratorie contrattuali non potrà che
ingenerare equivoci. Nei confronti dei
dirigenti, poi, sembra introdurre una sorta
di responsabilità oggettiva per i singoli
procedimenti condotti da altri, l'esatto
opposto delle responsabilità organizzative
di stampo manageriale.
Inoltre, la norma non distingue le
responsabilità discendenti dai procedimenti
avviati a istanza di parte e quelli
d'ufficio. Il legislatore dimentica che nei
riguardi dei primi il ritardo, se inteso
come inerzia nel rilascio di provvedimenti
favorevoli, in generale non si può
determinare, visto che opera, ai sensi
dell'articolo 20 della legge 241/1990, il
silenzio-assenso.
Infine, negli enti locali si porrà il
problema dei soggetti apicali. Nello Stato i
dirigenti generali dispongono per legge di
poteri sostitutivi, cosa che negli enti
locali non sussiste
(articolo ItaliaOggi del 26.01.2012). |
aggiornamento al
26.01.2012 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: LIBERALIZZAZIONI/
Pubblicato in G.U. il decreto 1/2012 che
elimina l'obbligo per i professionisti.
Compensi, il preventivo non serve.
Tutti gli oneri vanno comunicati. Non
necessariamente per iscritto.
Il compenso del professionista va pattuito
per iscritto solo se è il cliente a
chiederlo. Gli iscritti agli ordini avranno
il mero obbligo di comunicare il compenso al
momento del conferimento dell'incarico
indicando il dettaglio delle voci di costo,
delle spese e dei contributi.
È quanto
emerge dall'articolo 9, inserito nel decreto
legge sulle liberalizzazioni n. 1/2012
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri,
in tema di professioni regolamentate.
Tra la
prima versione del dl uscita dal Cdm e
quella (rivisitata) oggi disponibile la
differenza è sostanziale giacché il
preventivo, pena l'apertura di una procedura
disciplinare, si rendeva necessario a
prescindere che il cliente avesse conferito
l'incarico (ante), mentre ora si parla
chiaramente di determinazione degli onorari
nel momento in cui il cliente ha effettuato
la scelta (post), tenendo conto
ulteriormente degli «oneri ipotizzabili dal
momento del conferimento alla conclusione
dell'incarico...».
Inoltre, è stato previsto che il «mandato
professionale» (definizione più corretta),
peraltro sempre predisposto dall'iscritto
all'albo più oculato anche al fine di
evitare ripensamenti ingiustificati da parte
del cliente, oltre che all'indicazione
presuntiva dell'onorario, debba indicare le
singole prestazioni e tutte le ulteriori
voci di costo, come spese, oneri e
contributi. In ogni caso la misura del
compenso deve essere adeguata all'importanza
dell'opera.
L'incarico professionale, inoltre, va
coperto da assicurazione per eventuali danni
causati nell'esercizio dell'attività
professionale e i dati della polizza vanno
comunicati ali cliente. L'inottemperanza di
quanto disposto costituisce illecito
disciplinare del professionista. Va ancora
evidenziata la discriminazione tra gli
obblighi posti a carico dei professionisti
iscritti agli ordini, rispetto a quelli non
iscritti che, guarda caso, non dovendo
tenere conto di queste disposizioni, creano
vere e proprie «alterazioni» del
mercato
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI: SEMPLIFICAZIONI/
Venerdì il decreto in cdm. La carta
d'identità scadrà il giorno del compleanno.
P.a., solo comunicazioni on-line.
Cambi di residenza in tempo reale. Verifiche
soft sulle imprese.
Dovrà cadere il muro di incomunicabilità
telematica che finora ha impedito alle
pubbliche amministrazioni di scambiarsi dati
online. L'obbligo, che per certi versi
costituisce il corollario dell'abolizione
dei certificati nei rapporti tra cittadini e
p.a. disposta dalla legge di stabilità 2012,
è sancito nel decreto sulle semplificazioni,
messo a punto dal ministro della funzione
pubblica, Filippo Patroni Griffi, e pronto
ad approdare venerdì in consiglio dei
ministri.
Viaggeranno on-line le comunicazioni relative
alla tenuta e alla revisione delle liste
elettorali, le comunicazioni tra i comuni e
le questure e le annotazioni delle
convenzioni matrimoniali inviate dai notai
ai municipi.
Ma anche e soprattutto i cambi di residenza
che oggi hanno bisogno di mesi per essere
formalizzati e che in futuro dovranno essere
perfezionati in tempo reale. Il
trasferimento da un comune italiano a un
altro (o dall'estero) produrrà effetti
immediati nell'anagrafe del nuovo ente.
Grazie a una nuova e più stringente
tempistica che impone all'ufficiale di stato
civile di informare entro due giorni
mediante comunicazione telematica il comune
di provenienza onde evitare che questo
continui a emettere certificati intestati al
soggetto che intende trasferirsi. E per
venire incontro ai più distratti, il governo
sta studiando la possibilità di estendere la
validità dei nuovi documenti di identità al
giorno del compleanno del titolare, in modo
da scongiurare ogni possibile dimenticanza.
«Se una amministrazione ha dei dati e
un'altra li cerca, dobbiamo fare in modo che
i due enti comunichino direttamente,
cittadini e imprese hanno bisogno di tempi
certi», ha dichiarato il ministro.
L'abbattimento dei tempi burocratici andrà
di pari passo con la riduzione dei controlli
sulle imprese. Le verifiche dovranno essere
ispirate ai seguenti principi:
a) semplicità e proporzionalità dei
controlli e degli adempimenti
amministrativi;
b) eliminazione di attività di controllo non
necessarie rispetto alla tutela degli
interessi pubblici;
c) coordinamento e programmazione dei
controlli da parte delle amministrazioni in
modo da assicurare la tutela dell'interesse
pubblico evitando duplicazioni e
sovrapposizioni. Le p.a. dovranno pubblicare
sul proprio sito istituzionale e sul sito
www.impresainungiorno.gov.it la lista dei
controlli a cui sono assoggettate le imprese
in ragione della dimensione e del settore di
attività, indicando per ciascuno di essi i
criteri e le modalità di svolgimento delle
relative attività;
d) collaborazione amichevole con i soggetti
controllati;
e) informatizzazione degli adempimenti e
delle procedure
f) soppressione di controlli sulle imprese
in possesso di certificazione Iso o
equivalente, per le attività oggetto di tale
certificazione.
In arrivo anche un'autorizzazione unica
ambientale per le piccole e medie imprese.
Sarà rilasciata da un unico soggetto e
sostituirà qualsiasi comunicazione, notifica
e autorizzazione prevista dalla legislazione
in materia ambientale
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2012). |
VARI: Requisiti
per la patente accertati dal medico di base.
Requisiti psicofisici per la patente
accertati dal medico di base. Rinnovo
semplificato della licenza di guida degli
ottantenni. Procedure più snelle per il
rilascio del contrassegno invalidi. Scadenze
allungate per il bollino blu.
Sono queste
alcune delle novità in materia stradale
previste dalla bozza del decreto legge
semplificazioni all'esame del Governo.
L'accertamento dei requisiti fisici e
psichici per il rilascio della patente di
guida potrà essere effettuato semplicemente
dal medico di base. Non però nei confronti
di chi ha compiuto ottanta anni, per i quali
scatterà peraltro una semplificazione.
Infatti, gli ottantenni non dovranno più
ottenere lo specifico attestato rilasciato
dalla commissione medica locale a seguito di
visita medica specialistica, ma dovranno
comunque sottoporsi al classico accertamento
presso l'unità sanitaria locale o presso gli
altri uffici competenti ai sensi dell'art.
119, comma 2, del codice della strada.
Semplificazione in arrivo anche per chi ha
compiuto sessantacinque anni e deve
rinnovare la patente per guidare autocarri
di massa complessiva a pieno carico
superiore a 3,5 tonnellate, autotreni e
autoarticolati, adibiti al trasporto di
cose, la cui massa complessiva a pieno
carico non è superiore a 20 t, e macchine
operatrici: l'accertamento dei requisiti
psico-fisici avrà cadenza quinquennale,
anziché biennale. Procedure più semplici per
il rilascio del contrassegno invalidi.
In
presenza dei verbali delle commissioni
mediche integrate di cui al decreto legge n.
78 dell'01.07.2009 non servirà più la
certificazione medica rilasciata
dall'ufficio medico-legale dell'unità
sanitaria locale di appartenenza. Tali
verbali, infatti, dovranno indicare anche
l'esistenza dei requisiti sanitari necessari
per il rilascio del contrassegno invalidi e,
inoltre, saranno riconosciuti anche per
l'esenzione dal pagamento del bollo auto e
dell'imposta di trascrizione al Pra nei
passaggi di proprietà. Già da quest'anno,
dal momento in cui il decreto legge entrerà
in vigore, saranno notevolmente diluite le
scadenze per il controllo dei gas di scarico
degli autoveicoli e dei motoveicoli.
Infatti, il controllo dei dispositivi di
combustione e scarico dovrà essere
effettuato solo in occasione della revisione
periodica. Saranno dispensate dalla
frequenza del corso di formazione
preliminare per l'esame di idoneità alla
professione di trasportatore su strada le
persone che hanno superato un corso di
istruzione secondaria di secondo grado,
mentre saranno esentati dall'esame coloro
che hanno diretto in via continuativa
l'attività in una o più imprese di trasporto
italiane o comunitarie da almeno dieci anni
precedenti il 04.12.2009 e siano ancora in
attività.
Infine, novità in arrivo per i divieti di
circolazione dei mezzi pesanti fuori dei
centri abitati. I giorni non festivi
dovranno essere individuati dal consueto
decreto ministeriale in modo da contemperare
le esigenze della sicurezza stradale,
correlate alle previsioni di traffico, con
gli effetti dei divieti sull'attività di
autotrasporto e sul sistema economico
produttivo
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2012). |
VARI: LIMITI
VELOCITA'/ Parere Trasporti. Chi sbaglia paga
solo per l'eccesso.
Non è ancora possibile sanzionare in
modalità automatica gli automobilisti più
negligenti che circolano senza adeguare la
velocità alle caratteristiche ambientali. E
neppure elevare verbali diversi da quelli
tradizionali con strumenti come autovelox e
photored a parte quelli per assicurazione
tarocca.
Lo ha evidenziato il Ministero dei
trasporti con il parere 20.12.2011 n. 6217.
Un comune ha richiesto
chiarimenti sulle nuove multe automatiche
formalmente sdoganate con la legge 120/2010.
In pratica con l'ultima corposa riforma del
codice della strada è stato allargato il
novero delle infrazioni che possono essere
accertate con l'uso di strumentazione
elettronica, senza agenti. Tra queste
ipotesi è prevista pure la possibilità,
alquanto teorica, di accertare infrazioni in
materia di velocità pericolosa. Ma solo dopo
l'approvazione della strumentazione
specificamente preposta. In mancanza di
queste omologazioni il comune di Pistoia ha
quindi richiesto chiarimenti al ministero.
Allo stato attuale, specifica il parere
centrale, nessun misuratore elettronico è
stato ancora omologato per accertare
automaticamente, senza presidio, la velocità
pericolosa dei veicoli. Nelle more della
loro approvazione, prosegue il ministero,
non è però neppure consentito forzare la
mano utilizzando autovelox o altri strumenti
omologati per altri usi al fine di
immortalare comportamenti vietati e puniti
dall'art. 141 del codice della strada. La
velocità pericolosa, tra l'altro,
corrisponde ad una valutazione qualitativa
della condotta di guida che difficilmente
può essere valutata da una macchina, seppure
sofisticata.
Per questo motivo
difficilmente, anche nel futuro, potremo
avere misuratori omologati ad hoc per
sanzionare chi circola non adeguando la sua
velocità alle caratteristiche della strada,
del tempo e del traffico. Resta vero,
conclude il ministero dei trasporti, che da
un accertamento automatico possono derivare
anche ulteriori sanzioni. Ma al momento
l'unica multa certa per chi incappa in un
tutor, in un accesso abusivo in una zona ztl
oppure in un autovelox sembra essere quella
prevista dall'art. 193/4° del codice
stradale, ovvero quella prevista per chi
circola in mancanza di copertura
assicurativa.
Lo prevede la legge 12.11.2011, n. 183 “Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato”, in vigore
dall'01.01.2012
(articolo ItaliaOggi del 24.01.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Catasto,
slitta a fine giugno il termine per le case
rurali.
Ancora una proroga per l'accatastamento dei
fabbricati rurali. Slitta dal 31.03. al 30.06.2012 il termine per la presentazione
delle domande di variazione catastale
all'Agenzia del territorio. Le istanze sono
finalizzate al godimento delle agevolazioni
fiscali per i caseggiati rurali.
Lo prevede
un emendamento approvato in commissione
bilancio alla camera al ddl di conversione
del dl Milleproroghe (dl 216/2011).
Segnatamente all'articolo 29, comma otto. Il
termine originario per l'accatastamento
nelle categorie A6 (abitazioni rurali) e D10
(fabbricati strumentali) era inizialmente
fissato al 31.09.2011. Il Milleproroghe ha concesso il rinvio della
scadenza al 31.03.2012.
L'emendamento a
fine giugno. Stime dell'ufficio studi
Confagricoltura, a fine dicembre, rilevavano
quasi quattro milioni di fabbricati rurali,
di cui 1.100.000 abitazioni occupate, 350
mila case non occupate, 1.100.000 stalle e
ricoveri per animali, 1.380.000 fabbricati
adibiti a vari usi (tra cui 950 mila a
depositi di macchine e attrezzi).
La norma
del Milleproroghe fa salvo il classamento
originario degli immobili rurali a uso
abitativo. Ma alle variazioni catastali sono
comunque interessati i titolari di immobili
a uso strumentale, che intendono incassare
l'inquadramento catastale nella categoria
D10. Per costoro con l'Imu, nel 2012, non
sarà più prevista l'esenzione, ma un
trattamento agevolato con applicazione
dell'aliquota del 2 per mille. Che i comuni
potranno ridurre all'1.
Comunque sia, il 14.09.2011, un decreto del
ministro dell'economia pubblicato in G.U. n.
220/2011, dando attuazione all'art. 7, commi
2-bis, e seguenti del dl sviluppo (70/2011),
ha fissato le modalità procedurali per la
presentazione delle domande di variazione
catastale all'Agenzia del territorio al fine
di ottenere i benefici fiscali sui
fabbricati rurali
(articolo ItaliaOggi del 24.01.2012). |
ENTI LOCALI: Più
tempo per approvare i bilanci negli enti
locali.
Prorogato al 30 giugno il termine per
l'approvazione dei bilanci degli enti locali
e la deliberazione di aliquote e tariffe.
Inoltre, per il 2012 comuni e concessionari
possono riscuotere le entrate a mezzo
ingiunzione facendo ricorso alle misure
esecutive che la legge consente di adottare
per la riscossione coattiva privilegiata a
mezzo ruolo.
Lo prevede, in sede di
conversione in legge, l'articolo 29 del dl Milleproroghe (216/2011). Più tempo, dunque,
per le amministrazioni locali per
predisporre i bilanci. La proroga trascina
con sé anche il termine per deliberare i
regolamenti su entrate, aliquote e tariffe.
Mai come quest'anno è opportuno il
differimento del termine, considerato che
dal 2012 i comuni sono tenuti ad applicare
la nuova Imu, il cui gettito va diviso con
lo stato. Nulla cambia, invece, per l'anno
in corso. I comuni possono riscuotere
direttamente le loro entrate spontanee o
volontarie, tributarie ed extratributarie, o
affidarle ai concessionari iscritti all'albo
ministeriale. Non è più previsto l'obbligo
di riscossione diretta che in un primo
momento era stato imposto dall'articolo 7
del dl sviluppo (70/2011).
La norma è stata
modificata dall'articolo 10 del dl Monti.
L'unica eccezione è rappresentata dall'Imu.
La nuova imposta locale potrà essere pagata
dal contribuente solo con modello F24, anche
se ancora deve essere chiarito in che modo
va effettuato il versamento della quota
statale. Il recupero coatto delle entrate
locali può avvenire mediante ruolo o tramite
ingiunzione fiscale, se svolto in proprio
dall'ente locale o dai soggetti abilitati.
Proprio riguardo a quest'ultimo strumento è
stato opportuno l'intervento legislativo, in
sede di conversione dell'articolo 29 del dl Milleproroghe
(216/2011), con il quale viene affermata in
modo chiaro la sua utilizzabilità per il
2012
(articolo ItaliaOggi del 24.01.2012). |
ENTI LOCALI: Dl milleproroghe. All'esame dell'aula lo
slittamento della riduzione dei contratti
flessibili di educatori e polizia municipale.
Stop alle unioni dei piccoli enti. Rinvio a
metà 2013 per gli accorpamenti e le gestioni
associate sotto 5mila abitanti.
Si ferma la "razionalizzazione" disordinata
dei Comuni sotto i 5mila abitanti prevista
dalla manovra-bis di Ferragosto, e la
pioggia di rinvii porta con sé anche lo
slittamento in avanti dei termini entro cui
gli enti fino a 50mila abitanti dovranno
dismettere le proprie partecipazioni
societarie.
Frutto del ricchissimo pacchetto
enti locali inserito dalle commissioni
Affari costituzionali e Bilancio di
Montecitorio alla legge di conversione del Milleproroghe, che ha debuttato ieri in Aula
alla Camera e che prevede anche il rinvio al
2013 per la tagliola del 50% al personale a
tempo determinato dei servizi educativi e
della Polizia locale, oltre a rinviare al 30
giugno il termine per l'approvazione dei
bilanci preventivi (si veda anche Il Sole 24
Ore del 20 e 21 gennaio).
Lo stop alle Unioni obbligatorie per i 1.948
Comuni fino a mille abitanti, e alle
gestioni associate imposte ai 3.735 sindaci
che guidano enti compresi fra 1.001 e 5mila
residenti, arriva sotto forma di una proroga
di 9 mesi a tutti i termini critici previsti
dalla manovra-bis (articolo 16 del Dl
138/2011). Il rinvio, almeno nelle
intenzioni degli amministratori locali
espresse dal coordinatore nazionale Anci
piccoli Comuni, Mauro Guerra, se sarà
confermato dall'Aula dovrà però servire a
«modificare le parti più insensate
dell'articolo 16, e dare vita rapidamente ad
una normativa razionale ed efficace su
piccoli Comuni».
I tempi supplementari concessi dal testo
approvato in commissione non sono da poco.
Le Unioni obbligatorie avrebbero dovuto
"fondere" gli enti fino a mille abitanti in
realtà di almeno 5mila abitanti (3mila in
montagna, il tutto al netto di eventuali
ritocchi regionali) a partire dai rinnovi
elettorali successivi al 13.08.2012: il
correttivo approvato in commissione propone
di spostare il termine di riferimento al 13.05.2013, salvando quindi anche i Comuni
interessati dal voto amministrativo il
prossimo anno.
Il ritocco salva anche le
Giunte negli enti fino a mille abitanti, che
sarebbero state cancellate nel nuovo
ordinamento, ma non ferma la sforbiciata
imposta alla politica locale dal prossimo
turno elettorale: il comma 17 dell'articolo
16, infatti, non viene imbarcato nel rinvio,
per cui i consigli che usciranno dalle
prossime elezioni avranno 6 posti negli enti
fino a 3mila abitanti (e due assessori), 7
posti quando gli abitanti sono fra 3.001 e
5mila (tre assessori) e dieci posti (quattro
assessori) nei Comuni fra 5.001 e 10mila
abitanti.
Slittano a settembre 2013 anche la
data per la gestione associata obbligatoria
delle sei funzioni fondamentali nei Comuni
fra 5.001 e 10mila abitanti (prevista
dall'articolo 14, comma 31, del Dl 78/2010) e
i termini entro cui gli enti fino a 50mila
abitanti dovranno dismettere le
partecipazioni "in eccesso" (fino a 30mila
abitanti è previsto il divieto di detenere
partecipazioni, fra 30.001 e 50mila è
possibile mantenerne una, ma alla regola
sfuggono le società con i conti in ordine).
Tra i commi della manovra di Ferragosto
coinvolti dal rinvio c'è anche la riforma
dei revisori contabili (articolo 16, comma
25), ma la firma del decreto attuativo da
parte del ministro dell'Interno ha fatto
partire il meccanismo che ora attende solo
la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» e
l'avvio del sistema informatico di nomina
(si veda Il Sole 24 Ore del 21 gennaio).
I correttivi approvati in Commissione
intervengono poi sui nodi più spinosi nella
gestione del personale. Per quest'anno i
Comuni non dovranno ridurre del 50% i
contratti a tempo determinato per il
personale educativo e scolastico e per
quello impiegato nelle funzioni di Polizia
municipale
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Primo
effetto del Dl «Cresci-Italia». In house:
gestioni sopra-soglia attive fino a dicembre.
Non è nel Milleproroghe, ma il primo effetto
delle regole sulle società partecipate dagli
enti locali previste dal decreto sulle
liberalizzazioni varato venerdì scorso è un
rinvio. Riguarda la decadenza automatica
degli affidamenti diretti effettuati nei
confronti di società in house oltre la
soglia di valore consentita: il tetto, per
effetto dello stesso decreto, scende da
900mila a 200mila euro annui, ma la tagliola
scatta viene rinviata al 31 dicembre.
In
pratica, gli affidamenti che superano il
vecchio tetto di 900mila euro, e che
avrebbero dovuto alzare bandiera bianca al
31 marzo, ottengono per questa via dieci
mesi di vita aggiuntiva: tre anni in più,
poi, sono possibili se le società si fondono
in un'unica realtà di bacino, all'interno
degli ambiti che dovranno essere individuati
dalle Regioni.
Gli affidamenti al minimo
Dal 1° gennaio dell'anno prossimo, quindi,
gli affidamenti diretti saranno ridotti al
minimo, perché il nuovo tetto di valore
esclude una grossa fetta di servizi, ma
anche in questo caso la nuova regola
aggiunge un tassello che si può rivelare
importante: il divieto di affidamento
diretto, infatti, non scatta se la società
nei confronti del quale viene effettuato è
l'unica a gestire il servizio all'interno
dell'ambito territoriale ottimale.
Le novità sono contenute nell'articolo 25
del decreto «Cresci-Italia» approvato
venerdì, che nell'ottica dichiarata della
«promozione della concorrenza nei servizi
pubblici locali» rivede profondamente
l'assetto delle regole introdotte dalle
ultime manovre per disciplinare i rapporti
fra Comuni e società in house.
Un altro
piccolo rinvio introdotto dalla nuova
normativa riguarda il decreto ministeriale
che dovrà fissare le regole per la delibera
di ricognizione dei servizi pubblici: la
disciplina ministeriale dovrà vedere la luce
entro il 31 marzo (il vecchio termine era
fissato al 31 gennaio), ma la procedura
diventa decisamente più stringente rispetto
a quella in vigore fino a oggi.
La delibera,
infatti, serve a "giustificare" sulla base
di un'indagine di mercato la necessità di
evitare la gara competitiva per seguire la
vecchia strada dell'in house, ma nel nuovo
quadro il parere dell'Antitrust diventa
obbligatorio e vincolante per le future
scelte dell'ente locale.
Nuovi vincoli all'in house
Per limitare il ricorso all'in house, il
decreto di venerdì conferma alcuni vincoli
già previsti dalla vecchia normativa ma
ancora da attuare, e ne aggiunge di nuovi.
Del primo gruppo fanno parte
l'assoggettamento ai vincoli del Patto di
stabilità, che ora si estende anche alle
aziende speciali ma attende un decreto
attuativo previsto fin dall'articolo 23-bis
del Dl 112/2008 ma mai arrivato al
traguardo.
Nell'attesa del decreto, però, la
riforma pone un limite all'indebitamento:
fino al varo delle nuove regole, infatti, i
nuovi mutui assunti dalle affidatarie in
house non possono far superare agli oneri
annuali di ammortamento il tetto del 25%
delle entrate effettive accertate nel
bilancio dell'esercizio precedente.
Confermato anche l'obbligo di selezione del
personale secondo i principi del concorso a
evidenza pubblica previsti per le pubbliche
amministrazioni dal Dlgs 165/2001, ma su
questo versante le novità sono rilevanti.
L'articolo 25, comma 4 del «Cresci-Italia»
prevede infatti che le società affidatarie
in house si adeguino anche alle
«disposizioni che stabiliscono a carico
degli enti locali divieti o limitazioni alle
assunzioni di personale, contenimento degli
oneri contrattuali e delle altre voci di
natura retributiva o indennitarie e per le
consulenze anche degli amministratori».
Si tratta di un gruppo di regole
particolarmente significativo dopo gli
interventi taglia-spesa delle ultime
manovre, per cui la previsione si traduce
nell'estensione alle affidatarie dirette,
tramite la via obbligata dei regolamenti
autonomi, del blocco contrattuale, del tetto
agli stipendi e delle regole che tagliano i
trattamenti accessori nei primi giorni di
malattia.
Una previsione draconiana, che potrebbe
porre più di un problema applicativo viste
le differenze contrattuali e di struttura
stipendiale che le aziende presentano
rispetto agli enti pubblici (articolo Il
Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Semplificazioni.
Addio a 350 leggi inutili. Sanzioni al
dirigente che sfora i tempi.
DECRETO SEMPLIFICAZIONI/ Sì ai cambi di
residenza in due giorni e ai tempi certi
nelle pratiche della Pa A rischio l'addio al
bollino blu annuale.
«A volte è meglio un "no" piuttosto che
un "ni" o nessuna risposta per tanto tempo».
Il ministro della Pubblica amministrazione,
Filippo Patroni Griffi, ha riassunto così la
ratio del decreto sulle
semplificazioni, che sarà venerdì in
Consiglio dei ministri e che punta ad
assicurare tempi certi a cittadini e
imprese. Innanzitutto nei rapporti con la
Pa: il dirigente che non completerà la
pratica in tempo sarà sanzionato. Ma insieme
alla sburocratizzazione dovrebbe arrivare
anche l'eliminazione di 350 leggi inutili.
La conferma è giunta ieri dallo stesso
responsabile di Palazzo Vidoni. Ai microfoni
di Baobab su Radiouno Rai, Patroni Griffi ha
parlato di un provvedimento che proseguirà
le iniziative già realizzate da Roberto
Calderoli. Il dipartimento della Funzione
pubblica sta mettendo a punto l'elenco delle
disposizioni da abrogare. Si partirà da un
nucleo di 35 voci già individuate: si va
dalla legge che disciplinava l'ora legale
nel 1971 a quella sulle provvidenze per i
rifugiati dalla Libia, fino alle
disposizioni che rinviavano alcune elezioni
amministrative o stabilivano la composizione
del Cda del Viminale. A queste se ne
aggiungeranno altre, individuate d'intesa
con i dicasteri interessati, così da
arrivare alle 350 citate dal ministro.
Passando agli altri contenuti, il cantiere
sul Dl è più aperto che mai. Anche ieri si
sono svolte riunioni tra i tecnici della
Semplificazione e quelli dell'Economia.
Nelle prossime 48 ore alcune norme
potrebbero essere oggetto, se non di
eliminazione, almeno di una riscrittura. Ad
esempio il bollino blu annuale per auto e
moto o dell'inserimento dei crediti delle
cooperative di produzione e lavoro tra
quelli considerati privilegiati.
Tra quelle sopravvissute alla verifica
spiccano gli articoli che obbligano gli
uffici pubblici a scambiarsi on-line
i dati su anagrafe e stato civile oppure che
rendono operativi i cambi di residenza in
due giorni. Ma le novità per i cittadini non
si fermano qui dal momento che la scadenza
per le carte d'identità potrebbe essere
fatta coincidere con il compleanno del
diretto interessato.
Inoltre, come anticipato nei giorni scorsi
su questo giornale, all'Inps dovrebbe essere
affidata la gestione del «casellario
dell'assistenza» con l'elenco di tutti i
percettori di prestazioni sociali agevolate.
Al tempo stesso verranno velocizzate alcune
procedure per i soggetti con disabilità:
basterà il verbale delle commissioni mediche
integrate per ottenere il contrassegno di
parcheggio, l'Iva ridotta sull'acquisto di
veicoli e l'esenzione dal bollo auto e dall'Ipt.
Parecchio coinvolte dal provvedimento
saranno anche le imprese. Come confermano
l'obbligo per le Pa di pubblicare sul
proprio sito istituzionale e sul portale
www.impresainungiorno.gov.it la lista dei
controlli a cui saranno sottoposte le
aziende, la previsione di una serie di
regolamenti governativi taglia-oneri da
emanare entro fine 2012 e la punibilità dei
dirigenti pubblici che non completeranno i
procedimenti amministrativi nei termini: «La
mancata o tardiva emanazione del
provvedimento nei termini –si legge in una
delle ultime bozze di Dl– costituisce
elemento di valutazione della performance
individuale, nonché di responsabilità
disciplinare e contabile del dirigente e del
funzionario inadempiente»
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: Preventivo
scritto su richiesta. Il cliente potrà
sollecitare il conteggio - Tirocinio anche
negli uffici pubblici.
LA PARTICOLARITÀ/ Atteso un decreto
Giustizia-Economia con parametri per
calcolare oneri e contribuzioni per la
previdenza notarile.
Contrordine: il preventivo del
professionista va messo per iscritto solo se
a richiederlo è il cliente stesso. Si
attenua la formulazione dell'articolo 9 del
Dl liberalizzazioni (atteso per la
pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale»)
che individua l'obbligo deontologico di
fornire per iscritto la pattuizione del
compenso e una previsione di onorario. Il
testo conferma il vincolo, tra cliente e
professionista, di mettere nero su bianco il
compenso per le prestazioni richieste (e i
dati della copertura assicurativa) con il
conferimento dell'incarico, la misura è «previamente
resa nota al cliente anche in forma scritta
se da questi (il cliente, ndr) richiesta».
Non è l'unica novità. Accanto al decreto
ministeriale che dovrà fornire i parametri
che servono al giudice nei casi di
contenzioso e di liquidazione delle spese
giudiziali, si profila un altro decreto
Giustizia-Economia dove sono stabiliti «i
parametri per oneri e contribuzioni alla
Casse professionali e agli archivi
precedentemente basati sulle tariffe».
Un riferimento alla Cassa dei notai che basa
i versamenti sul valore degli atti iscritti
dai professionisti nel repertorio notarile.
«Dall'onorario di repertorio –ha spiegato
Paolo Pedrazzoli, presidente della Cassa del
notariato– dipendeva non solo il calcolo dei
contributi, ma anche le spese di
funzionamento di Ordini e Consiglio
nazionale, oltre che la cosiddetta tassa
archivio di cui noi siamo solo esattori,
visto che la giriamo allo Stato. Speriamo
solo che il decreto con i nuovi parametri
arrivi presto, perché la Cassa rischia di
non poter avere versamenti per settimane. Se
dovesse tardare, dovrò mantenere i vecchi
parametri tariffari solo per calcolare gli
oneri previdenziali».
Per evitare, però, che questi parametri
possano rientrare come tariffe "mascherate"
nella determinazione degli onorari, la norma
chiarisce che ogni pattuizione di compenso
fatta sulla loro base è nulla. Nessuna
retromarcia, almeno in questa fase,
sull'equo compenso per il praticante, già
approvato lo scorso agosto con la legge
148/2011 ma cancellato dal decreto legge.
Infine, il tirocinio si arricchisce di una
possibilità in più. Confermata la
possibilità –previa convenzione tra Ordini e
ministero dell'Istruzione– di svolgere i
primi sei mesi di tirocinio (su 18 mesi al
massimo) in concomitanza con i corsi
universitari, analoghe convenzioni possono
essere stipulate tra Consigli nazionali e
ministero della Pubblica amministrazione per
consentire, a laurea ottenuta, di poter
svolgere il tirocinio, in tutto o in parte,
presso pubbliche amministrazioni.
Capitolo-reazioni. I commercialisti delle
sigle sindacali Sic e Andoc non si
scandalizzano tanto per le misure sulle
tariffe, quanto piuttosto per «i danni»
delle semplificazioni su collegio sindacali
e tirocinio. Nel primo caso –spiegano– la
riduzione da tre a uno dei "controllori"
nelle Srl «non comporterà un risparmio a
carico delle piccole imprese destinatarie ma
solo maggiori responsabilità a carico dei
professionisti incaricati, sempre nominati
dalla maggioranza societaria». Nel
secondo caso, si profila la «mortificazione»
del tirocinio.
Contro il Governo anche i giovani avvocati
dell'Aiga, che se la prendono contro
l'abolizione dell'equo compenso da erogare
al praticante, introdotto con la manovra
d'agosto: «È evidente –sottolinea il
presidente di Aiga, Dario Greco– che il
Governo è a favore dei giovani soltanto a
parole, ma nei fatti è capace di sfornare
esclusivamente provvedimenti punitivi».
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Le entrate in vigore
01 | TARIFFE E PREVENTIVI
Abrogate da subito. Così come l'obbligo di
pattuizione scritta dei compensi e, a
richiesta, del preventivo.
Due successivi decreti (senza scadenza)
prevedono parametri per la liquidazione
giurisdizionale dei compensi e per la
determinazione di oneri e contribuzioni a
fini previdenziali.
02 | TIROCINIO
Le norme sul tirocinio anticipato di 6 mesi
all'università non sono subito applicabili
perché necessitano di un accordo quadro tra
Consigli nazionali degli Ordini e Miur.
Stessa cosa per la possibilità di svolgere
il tirocinio nella Pa.
03 | CONFIDI
Subito applicabile la norma che apre ai
liberi professionisti il patrimonio dei
condifi. Si applicano le norme del Dl
201/2011 (legge 214/2011).
04 | NOTAI
Entro 120 giorni dalla pubblicazione in
Gazzetta è atteso il decreto con la
distribuzione per Comuni della nuova pianta
organica aumentata di 500 posti.
Entro il 31.12.2012 sono espletate le
procedure del concorso per la nomina di 200
notai e per i concorsi da 200 e 150 posti
banditi nel 2010 e 2011.
Entro il 31.12.2013 è bandito un concorso
per 500 posti. Entro il 31.12.2014 è bandito
un concorso per 470 nuovi posti.
Sono invece immediatamente applicabili sia
le norme relative al vincolo, per il notaio,
di trascorrere almeno tre giorni la
settimana nel suo studio e almeno uno ogni
15 per ciascun Comune o frazione aggregati,
sia quelle che riguardano l'avvio
dell'azione disciplinare da parte di
procuratore della Repubblica e presidente
del Consiglio notarile
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
VARI:
Multiproprietà, acquisti
verificati.
Controlli allargati sulla regolarità
catastale degli immobili. I chiarimenti in
uno studio del Notariato sulla legge n.
122/2010. Escluse le vicende successorie.
Verifiche sulla regolarità catastale anche
per gli immobili acquistati in
multiproprietà. Nello
studio n. 426-2011/C
il Consiglio nazionale del notariato
fornisce infatti importanti chiarimenti in
merito al problema dell'applicazione della
recente normativa che impone le verifiche
catastali dei fabbricati prima del rogito
(legge 30.07.2010, n. 122).
Come viene ricordato dai notai, qualsiasi
atto di trasferimento costituzione o
scioglimento di comunione di diritti in
multiproprietà (atti pubblici e scritture
private autenticate) su fabbricati già
esistenti è assoggettato alla disciplina
sulla regolarità catastale, con esclusione
degli atti per causa di morte e delle
vicende successorie.
La multiproprietà immobiliare. La regolarità
catastale riguarda certamente la
multiproprietà immobiliare. Tale ipotesi
ricorre in primo luogo nel caso in cui il
multiproprietario acquisti una quota di una
specifica unità immobiliare facente parte di
un maggior complesso condominiale con
attribuzione del diritto di goderne e
fruirne in un particolare periodo dell'anno
e della quota millesimale delle parti comuni
dell'edificio. È possibile però che il
multiproprietario acquisti una quota
indivisa di comproprietà dell'intero
edificio condominiale unitamente ai servizi
comuni in proporzione ai millesimi e con il
diritto di godere specificamente di una
determinata porzione esattamente individuata
del fabbricato per certo periodo di tempo.
In entrambi i casi vi è l'obbligo del
rispetto delle norme in materia di coerenza
catastale. In particolare la valutazione di
conformità dovrà avere ad oggetto
rispettivamente nel primo caso la
consistenza della singola unità immobiliare
(e il richiamo alla relativa planimetria) e
nel secondo caso dell'intero maggior
fabbricato (e il riferimento alla relativa
planimetria o alle relative planimetrie nel
caso in cui oggetto della quota sia
costituito invece da una pluralità di unità
catastali) nonché naturalmente, in ambedue
le ipotesi applicative, l'indicazione del
tempo di utilizzo.
Al contrario, come precisa lo studio del
notariato, si intendono esclusi dalla nuova
normativa i cosiddetti «beni comuni non
censibili», cioè i beni comuni a più unità
immobiliari e privi di rendita catastale
come per esempio scale, androni, aree comuni
di passaggio, cortili condominiali che non
presentano un'intestazione catastale e per i
quali non è neppure prevista la redazione di
una planimetria. Le nuove regole si
applicano invece ai cosiddetti «beni comuni
censibili», come per esempio l'alloggio del
portiere, che, pur essendo comuni a tutti i
condomini hanno una rendita catastale e per
i quali la planimetria deve essere
depositata in catasto.
La multiproprietà alberghiera. La
multiproprietà alberghiera è caratterizzata
dal fatto che oggetto del godimento turnario
è una struttura recettizia collegata
all'esercizio di un'impresa alberghiera. Di
conseguenza il multiproprietario non può
fruire dell'immobile nel proprio periodo
senza l'intervento e la cooperazione del
gestore alberghiero: in altre parole al
titolare della multiproprietà alberghiera
viene attribuito un godimento fondato su una
comproprietà (dell'albergo o delle camere),
ma che si esercita poi concretamente verso
il gestore e solo con la sua cooperazione.
Come evidenzia il notariato, perciò, spesso
nei contratti di multiproprietà di tipo
alberghiero non si riescono a trovare
neppure elementi sufficienti ad individuare
l'unità immobiliare sulla quale insiste il
diritto del multiproprietario.
Tuttavia se il diritto del turnista riguarda
una frazione millesimale sul bene immobile,
anche in mancanza di un collegamento con una
specifica unità (che verrà scelta di volta
in volta dall'albergatore ed a lui
assegnata), non viene meno il carattere
reale della fattispecie e con esso l'obbligo
del rispetto delle norme in materia di
coerenza catastale.
I controlli del notaio. Prima della stipula
di uno degli atti relativi alle ipotesi
sopra dette, il notaio deve verificare che
la quota dell'immobile sia regolarmente
censito in catasto a nome del legittimo
proprietario (o titolare del diritto reale),
il quale al momento dell'atto deve
dichiarare che i dati catastali e le
planimetrie depositate in catasto
corrispondono allo stato di fatto del
fabbricato. Viene quindi chiesto al notaio
di accertare se vi è o meno corrispondenza
tra l'intestazione catastale e
l'intestazione effettiva quale desumibile
dalla visura da eseguirsi presso i registri
immobiliari.
E, come sottolinea lo studio, il notaio non
può limitarsi ad accertare e verificare
passivamente i dati soggettivi, ma deve
renderli effettivi e quindi è tenuto, prima
della stipula, a procedere all'aggiornamento
del catasto. Inoltre nel caso del
multiproprietario cedente dovrà provvedere a
controllare l'emersione dai registri
catastali dell'esatta dimensione giuridica
del diritto del cedente (cioè la quota di
appartenenza del diritto sull'alloggio o
edificio) nonché il tempo di fruizione,
regolarizzando ed integrando eventuali
scritture non complete negli archivi
catastali
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Tutela
ad ampio raggio per i consumatori.
Tutela della multiproprietà ad ampio raggio.
La più recente definizione di questo
particolare istituto giuridico, contenuta
nel cd Codice del turismo di cui al dlgs n.
79/2011, consente infatti di applicare la
normativa a tutela dei consumatori a molte
fattispecie di più controversa
interpretazione che ricorrono nella prassi
del settore turistico. Lo ha evidenziato il
recente studio n. 425/2001-C del Consiglio
nazionale del notariato, sottolineando però
come rimangano tuttora sul tappeto molte
delle questioni dogmatiche sollevate nel
tempo da questo controverso istituto.
La multiproprietà, infatti, nota anche come
time sharing, attribuisce a più titolari
nello stesso momento una serie di diritti
molto ampi di utilizzo di un bene immobile
e, da questo punto di vista, viene
generalmente accostata alla proprietà, quale
diritto reale disciplinato dagli articoli
832 e seguenti del codice civile. La
coesistenza di più diritti è resa possibile
dal fatto che il concreto esercizio degli
stessi è periodico, ossia avviene secondo un
avvicendamento temporale prefissato dalle
parti al momento dell'acquisto. In altre
parole, l'acquirente in multiproprietà,
all'atto della stipula del contratto, è
chiamato a scegliere tra i periodi dell'anno
solare ancora disponibili quello di proprio
gradimento, pagando un corrispettivo che
normalmente varia in relazione al periodo.
La nuova definizione normativa di cui al
dlgs n. 79/2011, in base al quale la
multiproprietà è «un contratto di durata
superiore a un anno tramite il quale un
consumatore acquisisce a titolo oneroso il
diritto di godimento su uno o più alloggi
per il pernottamento per più di un periodo
di occupazione», diverge significativamente
in più punti dalla precedente nozione
legislativa, secondo cui detta fattispecie
consisteva in «uno o più contratti della
durata di almeno tre anni con i quali, verso
pagamento di un prezzo globale, si
costituisce, si trasferisce o si promette di
costituire o trasferire, direttamente o
indirettamente, un diritto reale ovvero un
altro diritto avente a oggetto il godimento
di uno o più beni immobili, per un periodo
determinato o determinabile dell'anno non
inferiore a una settimana».
Grazie a questa nuova e più ampia
definizione, secondo il notariato, oggi
possono trovare tutela una serie di
tipologie contrattuali che in precedenza non
rientravano nella nozione di multiproprietà:
dai contratti relativi a un prodotto per le
vacanze di lungo termine (che consistono in
contratti di durata superiore a un anno in
base ai quali un consumatore acquisisce a
titolo oneroso il diritto di ottenere sconti
o altri vantaggi relativamente a un
alloggio, separatamente o unitamente al
viaggio o ad altri servizi), i contratti di
rivendita (ai sensi dei quali un operatore
assiste a titolo oneroso un consumatore
nella vendita o nell'acquisto di una
multiproprietà o di un prodotto per le
vacanze di lungo termine), nonché i
contratti di scambio (ai sensi dei quali un
consumatore partecipa a titolo oneroso a un
sistema di scambio che gli consente
l'accesso all'alloggio per il pernottamento
o ad altri servizi in cambio della
concessione ad altri dell'accesso temporaneo
ai vantaggi che risultano dai diritti
derivanti dal suo contratto di
multiproprietà).
Esigenze di reale tutela del soggetto debole
hanno poi correttamente imposto il
superamento della definizione di acquirente
e venditore a vantaggio di un riferimento
onnicomprensivo alle figure,
rispettivamente, del consumatore e
dell'operatore professionista.
Per quanto riguarda il recesso dal
contratto, al consumatore è concesso un
periodo di 14 giorni, naturali e
consecutivi, per pentirsi di avere stipulato
il contratto, senza tra l'altro essere
tenuto a specificare il motivo. Il termine
in questione si calcola a partire dal giorno
della conclusione del contratto definitivo o
del contratto preliminare o dal giorno in
cui il consumatore riceve uno di questi due
contratti, se posteriore alla loro
conclusione, e scade dopo un anno e 14
giorni a decorrere dalla data di cui sopra
se il formulario di recesso separato
allegato al contratto non è stato compilato
dall'operatore e consegnato al consumatore
per iscritto o dopo tre mesi e 14 giorni, a
partire dalla stessa data, se le
informazioni sono invece state fornite in
forma scritta. Il consumatore che esercita
il diritto di recesso non sostiene alcuna
spesa e non è tenuto a pagare alcuna
penalità (articolo ItaliaOggi Sette
del 23.01.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Il sindaco «vicino» può essere
eletto.
È eleggibile alla carica
di sindaco di un Comune un cittadino che ha
ricoperto per due mandati consecutivi la
carica di sindaco in altro Comune
confinante. Così ha deciso il Tribunale
civile di Padova.
Il caso riguardava due Comuni, Abano Terme e
Montegrotto Terme, confinanti tra di loro.
Un cittadino aveva ricoperto per varie volte
consecutive la carica di sindaco nel Comune
di Montegrotto Terme; alle elezioni del 2011
si era presentato come candidato sindaco per
il Comune di Abano Terme, ed era stato
eletto. Ma alcuni cittadini di Abano Terme
hanno proposto ricorso al tribunale,
affermando tra l'altro che era stato violato
il comma 2 dell'articolo 51, che non fa
alcun riferimento al Comune o ai Comuni in
cui la carica di sindaco è stata ricoperta,
ma prevede solo il fatto che una medesima
persona fisica abbia rivestito la carica di
sindaco in tre tornate elettorali
consecutive, anche se riferite a Comuni
diversi.
Questa tesi, indubbiamente sottile, non è
stata accolta dal Tribunale, che ha invece
stabilito che il comma 2 dell'articolo 51
contiene un'eccezione, non è suscettibile di
applicazione analogica, e deve essere
interpretato restrittivamente.
La sentenza è coerente con l'interpretazione
che i giudici hanno stabilito per questa
norma, ma la motivazione non è persuasiva.
Infatti, essa non ha considerato che la
qualificazione giuridica del territorio dei
comuni è oggi cambiata rispetto al passato.
Il territorio è anche oggi un elemento
costitutivo dell'ente, ma vi sono molti
rapporti giuridici che superano la
circoscrizione comunale, e se vi è un
contesto territoriale amministrativo che ha
molti elementi comuni economici e sociali,
si dovrebbe tenere conto di ciò, anche ai
fini dell'ineleggibilità.
In contrario a quanto esposto si potrebbe
obiettare che se un cittadino ha ricoperto
in modo positivo la carica di sindaco nel
Comune di x, non vi è ragione per vietargli
di ricoprire -si presume in modo egualmente
positivo- la stessa carica nel Comune di y,
anche se è confinante con il Comune di x. Ma
l'obiezione non sarebbe persuasiva (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Progettazione. L'interpretazione
del Dl Sviluppo (70/2011). La relazione
acustica va fatta sempre da un tecnico
abilitato.
IL CHIARIMENTO/ Il ministero dell'Ambiente
conferma la lettura secondo cui
l'asseverazione va sempre firmata da un
professionista.
Serve l'opera di un
tecnico: l'autocertificazione asseverata da
un tecnico abilitato, che sostituisce la
«valutazione previsionale di clima acustico»
per le residenze nei Comuni dotati di piano
comunale di azzonamento acustico (prevista
dalla legge 447/95, articolo 8, comma 3),
deve essere redatta da un tecnico competente
in acustica.
L'interpretazione, già riportata sul Sole 24
Ore del 16.05.2011, è ora confermata dal
ministero dell'Ambiente, nella risposta
datata 30.11.2011 a un quesito della
Fondazione regionale dell'Ordine degli
ingegneri della Toscana.
La questione nasce dal Dl 70/2011 (il
cosiddetto decreto Sviluppo, convertito
dalla legge 106/2011) che all'articolo 5
prevedeva una serie di misure destinate a
semplificare la burocrazia nelle costruzioni
private. Tra le norme dell'articolo 5 –al
comma 1, articolo e)– c'era anche quella che
citava genericamente la «relazione
acustica». Adesso viene confermato che
questa relazione è da intendersi come quella
definita dalla legge 447/1995, articolo 8,
comma 3, cioè «valutazione previsionale
di clima acustico» e il «tecnico
abilitato» così definito nel decreto
sviluppo altri non è che il «tecnico
competente in acustica» ai sensi delle
legge 447/1995, articolo 2, comma 6.
Si sottolinea, al di là dei dettagli
burocratici, che l'autocertificazione può
essere quindi resa in luogo della normale
attività di progettazione normalmente svolta
che prevede una analisi fonometrica di 24
ore supportata da calcoli sull'evoluzione
del clima acustico dell'area che ospiterà
l'intervento edilizio e conseguentemente
sulla compatibilità di tale clima acustico
con l'intervento previsto.
In caso di incompatibilità, sarà il
costruttore a dover prevedere idonee opere
di mitigazione sonora, quali ad esempio
barriere antirumore, serramenti più
silenziati, eccetera. Pertanto con
l'autocertificazione il tecnico competente
si assume una notevole responsabilità: di
conseguenza, un tecnico coscienzioso non
avallerà, sotto sua personale
responsabilità, il rispetto con
autocertificazione senza aver svolto un
progetto di calcolo analitico e dettagliato
(articolo Il Sole 24
Ore del 23.01.2012). |
aggiornamento al
23.01.2012 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: LIBERALIZZAZIONI/ Approvato
in consiglio dei ministri il decreto legge
sulla concorrenza. Professioni, nuovi
adempimenti.
Scatta l'obbligo del preventivo scritto e
dell'assicurazione.
Nuovi adempimenti per i professionisti.
Debutta l'obbligo del preventivo scritto da
rilasciare al cliente sulla prestazione
richiesta. E soprattutto scatta il vincolo
della polizza assicurativa sui danni
eventualmente causati dall'esercizio
dell'attività professionale. Vanno quindi in
soffitta i tariffari (non più vincolanti dal
2006 ma comunque indicativi) per definire
l'onorario su una determinata prestazione.
A meno che non sia il giudice a dover
calcolare tale compenso. In questo caso sarà
possibile utilizzare i parametri stabiliti
con decreto del ministero vigilante (cioè
gli stessi tariffari vietati fra privati).
Sono queste alcune delle previsioni
contenute nel decreto legge sulle
liberalizzazioni approvato ieri in consiglio
dei ministri.
Tariffe. Il governo sceglie la linea soft
(rispetto alle ipotesi della prima ora). Se
in una prima versione la definizione del
compenso era rimessa alla completa
contrattazione fra le parti, nel decreto
approvato si rimane confermata l'abrogazione
delle tariffe delle professioni nel sistema ordinistico ma il giudice, in caso di
liquidazione dei compensi, potrà fare
riferimento ai parametri stabiliti con
decreto del ministero vigilante.
Questa
parte, in un primo momento non c'era. Ma non
solo. Restando in tema di compensi, questi
devono essere calcoli in base all'importanza
dell'opera e vanno pattuiti (oltre che per
iscritto) in modo omnicomprensivo. Il che
vuol dire che il professionista avrà la
possibilità di quantificare la qualità e il
rischio della prestazione.
Preventivo. In nome della trasparenza, il
decreto conferma che il professionista deve
rilasciare un preventivo scritto con il
prezzo della prestazione richiesta dal
cliente. L'atto deve essere corredato del
grado di complessità dell'incarico, fornendo
tutte le informazioni circa gli oneri
ipotizzabili dal momento del conferimento
alla conclusione dell'incarico.
L'inottemperanza di quanto disposto
costituisce illecito disciplinare e in
quanto tale sarà sanzionabile dall'ordine.
Assicurazione. Rappresenta la vera novità
del provvedimento. In una prima versione del
Dl, infatti, si prevedeva solo l'obbligo per
il professionista di indicare nel preventivo
se era titolare o meno di una polizza
assicurativa. Nella versione approvata ieri
invece scatta un vero e proprio vincolo.
Anticipando così una misura contenuta
all'articolo 3, comma 5, della legge nella
legge 148 del 2011. E non è l'unica.
Tirocinio. Un'altra misura che il governo ha
inteso anticipare, infatti, è quella sui
tirocini. Nel confermare che il periodo di
pratica in studio utile ai fini della
partecipazione all'esame di stato non potrà
essere superiore ai 18 mesi, si prevede che
sei mesi potranno essere svolti durante il
corso di laurea. Servirà però una
convenzione quadro ad hoc stipulata fra i
consigli nazionali degli ordini e il
ministro dell'istruzione, università e
ricerca.
Questa disposizione non si applica
alle professioni sanitarie per le quali
resta confermata la normativa vigente. In
materia di tirocinio però, il governo ha
fatto saltare (indirettamente) l'equo
compenso previsto per il giovane che nella
legge 148/2011 era previsto. Il decreto,
sopprime, fra le altre cose, dalla Manovra
di Ferragosto alcune sue parti. Una di
queste (articolo 3, comma 5, lettera c -
secondo periodo) è proprio la previsione
della remunerazione per il praticante.
Notai. Più concorrenza fra i notai.
L'attuale pianta organica (che prevede sulla
carta 5.779 professionisti in servizio anche
se al momento ce ne sono poco meno di
4.700), come revisionata da ultimo con i
decreti del ministero della giustizia il 23.12.2009 e in data 10.11.2011, è
aumentata di 500 posti. Per arrivare a
questo risulto si procederà con una serie di
concorsi a raffica. Non prima, però, di aver
concluso quelli in corso.
Al momento infatti
ci sono tre bandi che aspettano di essere
conclusi per 550 posti. Il decreto prevede
che entro il 2012 siano espletate tutte le
procedure per la nomina dei professionisti
nei vari distretti che ne necessitano. In un
secondo momento, cioè entro il 31.12.2013, ci sarà un nuovo bando per altri 500
posti. Entro il 31.12.2014 toccherà ad
altri 470 notai. Così facendo, a giudizio
dell'esecutivo, ci saranno abbastanza
professionisti sul mercato da creare la
concorrenza necessaria.
Tuttavia, «per
assicurare il funzionamento regolare e
continuo dell'ufficio, il notaro deve tenere
nel comune o nella frazione assegnatagli
studio aperto con il deposito degli atti,
registri e repertori notarili, e deve
assistere personalmente allo studio stesso
almeno tre giorni a settimana e almeno uno
ogni 15 giorni per ciascun comune o frazione
di comune aggregati».
Confidi. Nella maggioranza del capitale
sociale dei consorzi fidi e delle società
cooperative che esercitano l'attività di
garanzia collettiva fidi spazio ai liberi
professionisti. È quanto emerge dal decreto
che modifica il comma 7, del dl n. 201/2011
(cosiddetta «manovra Monti»), convertito
nella legge n. 214/2011. I consorzi di
garanzia collettiva dei fidi sono enti
costituiti nella veste giuridica di
cooperativa o società consortile, che
esercitano in forma mutualistica attività di
garanzia collettiva dei finanziamenti in
favore delle imprese socie o consorziate.
La
modifica introdotta estende la
partecipazione anche ai liberi
professionisti (soci) a prescindere
dall'attività esercitata che, insieme alle
piccole e medie imprese (Pmi), devono
detenere almeno la metà più uno dei voti
esercitabili in assemblea, con il diritto a
nominare gli organi con funzione di gestione
e controllo strategico, di cui al richiamato
art. 39, dl n. 201/2011
(articolo ItaliaOggi del 21.01.2012). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
locali, tre anni di in house a chi si fonde.
NUOVA SOGLIA/ Scende a 200mila euro il valore
contrattuale minimo per l'affidamento senza
gara dei servizi ad aziende controllate
dall'ente locale.
Le aziende di servizi pubblici locali che si
accorperanno per servire un bacino di
traffico più ampio e di dimensione almeno
provinciale potranno godere di tre anni di
continuazione dell'affidamento in house. È
una delle misure che intendono incentivare
la crescita dimensionale delle imprese
(soprattutto pubbliche) operanti oggi nei
mercati piuttosto polverizzati dei servizi
pubblici locali.
Il ministro per lo Sviluppo, Corrado
Passera, ha esplicitato questo obiettivo che
si potrebbe definire di politica industriale
con riferimento esplicito al settore dei
trasporti, ma la lettura delle norme
approvate ieri svela che il trattamento di
favore riguarda anche gli altri settori che
ricadono sotto la disciplina generale dei
servizi pubblici locali, come per esempio la
raccolta e la gestione dei rifiuti. Per
altro, le aziende che si accorpassero per
raggiungere la dimensione auspicata
avrebbero anche una serie di vantaggi in
termini di minori vincoli del patto di
stabilità.
Non è questa l'unica riforma forte in
materia di servizi pubblici locali. Il
Governo ha deciso di rafforzare, su proposta
del ministro delle Regioni, Piero Gnudi, le
regole che favoriscono la concorrenza. Per
l'in house, per esempio, nell'affidamento
senza gara dei servizi ad aziende pubbliche
controllate al 100% dall'ente locale, la
soglia che oggi è fissata a 900mila euro di
valore contrattuale scende a 200mila euro.
In questa direzione anche l'obbligatorietà
del parere dell'Autorità Antitrust nel caso
in cui un comune rinunci allo svolgimento di
un servizio in regime di completa
liberalizzazione e decida di confermare lo
svolgimento del servizio «in esclusiva» o in
concessione. Non ci sarà il
silenzio-assenso: i comuni avranno bisogno
comunque del parere favorevole dell'Autorità
per poter varare la delibera quadro che
assegna i servizi in monopolio.
È entrata, alla fine di un lungo tira e
molla, anche la norma che reintroduce
l'obbligo di gara per il settore del
trasporto ferroviario regionale, che
nell'attuale disciplina è escluso dal regime
generale per una deroga esplicita (insieme a
energia elettrica, gas e farmacie). La norma
approvata ieri reintroduce l'obbligo per le
Regioni di affidare il servizio con una gara
ma fa salvi i contratti che le Regioni hanno
già firmato in questi anni con Trenitalia
per un periodo "protetto" di sei anni.
Non
vengono salvati invece gli eventuali rinnovi
per ulteriori sei anni che pure erano
previsti dalla legge ad hoc. Alla scadenza
dei contratti attuali, quindi, gara
obbligatoria. L'altro effetto di questo
compromesso è che non rischiano di essere
azzerati i contratti in essere, come invece
avverrà per tutti gli altri affidamenti a
servizi pubblici avvenuti in passato senza
gara
(articolo Il Sole 24
Ore del 21.01.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Casa ai parenti con l'Imu
piena.
Non più permessa l'assimilazione
all'abitazione principale.
ItaliaOggi pubblica le risposte ai quesiti
sul tema della nuova imposta municipale
propria (Imu) posti dai telespettatori al
videoforum ItaliaOggi-Ipsoa.
FABBRICATO
CONCESSO A PARENTI
Vorrei capire come viene tassato dall'Imu un
immobile utilizzato per intero (posseduto al
100% senza alcun atto) come abitazione
principale da un soggetto proprietario per
1/3 e come viene tassato per gli altri
familiari proprietari per 2/3; segue le
stesse regole dell'Ici?
Risposta
Posto che per verificare il reale impatto
dell'Imu si deve attendere l'emanazione dei
regolamenti dei singoli comuni e i necessari
chiarimenti ministeriali e che l'aliquota
dello 0,76% dovrà essere applicata anche
all'immobile concesso in uso gratuito a
parenti del proprietario (immobili che, in
vigenza dell'Ici, godevano dell'esenzione
dal tributo in presenza di un regolamento
comunale che prevedeva l'assimilazione
all'abitazione principale), si ritiene che
l'imposta possa essere determinata come di
seguito indicato, trattandosi di unità
immobiliare inserita nella categoria «A»:
- proprietario (1/3), dimorante e residente:
utilizzare la rendita catastale vigente all'01.01.2012, da rivalutare del 5% e
moltiplicando il prodotto ottenuto per il
moltiplicatore 160, applicando all'ulteriore
valore l'aliquota ridotta dello 0,4%.
Ottenuta l'imposta, applicare la totale
detrazione pari a 200 euro e l'eventuale
maggiorazione di quest'ultima;
- familiari proprietari: stesso calcolo per
ottenere la base imponibile (rendita x 1,05
x 160) utilizzando, però, l'aliquota dello
0,76% senza decurtare alcuna detrazione.
RENDITA FABBRICATI
STRUMENTALI
Per quei fabbricati che, alla data del 16.06.2012, si troveranno ancora censiti al
catasto terreni, la manovra prevede che il
contribuente debba utilizzare la rendita
attribuita a fabbricati similari e, in
presenza di scostamenti tra la rendita
presunta e quella proposta dal contribuente
e accettata dall'Agenzia del territorio sarà
il comune a effettuare le operazioni di
conguaglio.
Sul punto si chiedono
chiarimenti in merito al fatto che la
rendita presunta debba essere utilizzata
anche per i fabbricati strumentali o se
invece, per tali immobili, purché
interamente posseduti da imprese agricole e
distintamente contabilizzati, si debba fare
riferimento ai valori contabili, stante il
fatto che il comma 3, dell'articolo 13, dl
n. 201/2011 richiama espressamente il comma
3, dell'art. 5, del dlgs 504/1992.
Risposta
Il quesito è stato inoltrato all'Agenzia
delle entrate ancor prima che il gentile
lettore lo avesse prodotto, essendo un
problema ricorrente e già evidenziato dalla
più attenta dottrina.
Purtroppo, però, l'Agenzia delle entrate non
ha fornito un chiarimento preciso,
permanendo allo stato attuale l'incertezza
evidenziata e dovendo fornire un'indicazione
basata esclusivamente sulle disposizioni
vigenti.
Si ricorda, infatti, che le costruzioni
rurali censite al catasto terreni, ai sensi
del comma 14-ter, dell'articolo 13, dl n.
201/2011, nella stesura definitiva, dovranno
essere censite al catasto fabbricati entro
il 30/11/2012 e che (comma 14-quater) l'Imu
deve essere corrisposta, a titolo di
acconto, sulla base della rendita delle
unità similari già iscritte in catasto.
Nel caso specifico, però, per quanto
concerne in particolare i fabbricati
classificabili nella categoria «D», se
interamente posseduti da imprese agricole e
distintamente contabilizzati, fino al
momento del richiesto accatastamento, la
base imponibile si ritiene debba essere
quantificata con riferimento ai «valori
contabili» indicati nel comma 3, dell'art.
5, dlgs n. 504/1992, poiché espressamente
richiamato dal comma 3, dell'art. 13, del dl
n. 201/2011.
DIFFERENZE
TRA IMU E ICI
Quali sono le differenze principali tra Imu
e Ici, oltre a quella di dover pagare L'Imu
nel caso di abitazione principale e non con
l'Ici.
Risposta
Per quanto richiesto, si può evidenziare
che, per esempio, il nuovo tributo, ancorché
con aliquota ridotta (0,4%), si rende
applicabile anche sull'abitazione
principale, impattando sulla totalità dei
contribuenti italiani.
Inoltre, l'Imu introduce nuovi
moltiplicatori ai fini della determinazione
della base imponibile che comportano, a
decorrere dal 2012, un aumento medio del 60%
dei valori catastali degli immobili,
ancorché gli stessi siano utilizzati
esclusivamente per la determinazione del
tributo locale (resta esclusa
l'applicazione, per esempio, per determinare
il valore catastale ai fini dell'imposta di
registro e delle donazioni e successioni).
La nozione di abitazione principale ricalca
quella dell'Imu a regime ma è diversa
rispetto da quella dell'Ici, poiché occorre
la coincidenza della dimora abituale con la
residenza anagrafica e che sia presente
un'unica unità immobiliare iscritta o
iscrivibile in catasto, mentre le pertinenze
devono essere collocate nelle specifiche
categorie (C/2, C/6 e C/7) con assegnazione
dell'agevolazione per l'abitazione
principale a una soltanto di esse (due posti
auto, uno solo agevolato).
Saltano alcune agevolazioni, quella più nota
prescritta dall'art. 59, dlgs n. 446/1997
che prevedeva la possibilità di equiparare
all'abitazione principale le unità abitative
concesse in uso gratuito (comodato) a
parenti e talune esenzioni prescritte
dall'art. 7, della legge n. 504/1992.
Del tutto nuove sono l'aliquota dello 0,4%,
riferita all'abitazione principale e quella
dello 0,2% per le costruzioni rurali
strumentali che, insieme alle unità
abitative rurali, erano esenti ai fini Ici,
se classate nelle categorie specifiche «A/6»
(abitazioni) e «D/10» (strumentali).
Infine, si nota un depotenziamento della
potestà legislativa dei comuni e, nonostante
la definizione «municipale», il 50%
dell'introito derivante dall'applicazione
dell'aliquota ordinaria dello 0,76% è
destinato alle casse dello stato.
ESENZIONI
TERRENI AGRICOLI
Vorrei sapere se l'esenzione prevista dalla
normativa Ici per i terreni agricoli in zone
montane è confermata anche dalla disciplina
dell'Imu.
Risposta
Come indicato direttamente in sede di Video
Forum 2012, i terreni agricoli collocati
nelle aree montane o di collina, delimitate
ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 984
del 1977, restano esenti dall'imposizione.
Si aggiunge, inoltre, che l'elenco dei
comuni è rilevabile all'interno della
circolare n. 9/249 del 14.06.1993 (sul
tema, risoluzione 17/09/2003 n. 5/DPF e
Suprema Corte di cassazione, sentenza
29/10/2010 n. 22125).
FABBRICATI
IN CATEGORIA E
I fabbricati accatastati in categoria «E»
sono soggetti all'Imposta Municipale Propria
sperimentale?
Risposta
Le disposizioni inerenti all'imposta
municipale propria «sperimentale» fanno
espresso rinvio alle disposizioni indicate
negli articoli 8, 9 e 14, commi 1 e 6, del
decreto legislativo n. 23/2011, concernente
le disposizioni in materia di «Federalismo
fiscale».
Nel rispetto del comma 8, dell'articolo 9,
del citato decreto sul federalismo fiscale,
richiamato espressamente dai commi 1 e 13
delle disposizioni sull'imposta municipale,
come appena indicato, sono esenti dal
pagamento del tributo i fabbricati
classificati o classificabili nelle
categorie da «E/1» a «E/9»; trattasi di
tutti quegli immobili a destinazione
particolare come le stazioni per servizi di
trasporto (terrestri, marittimi e aerei),
ponti comunali e provinciali soggetti a
pedaggio, costruzioni e fabbricati per
speciali esigenze pubbliche, recinti chiusi
per speciali esigenze pubbliche, fabbricati
costituenti fortificazioni e loro
dipendenze, fari, semafori, torri per
rendere d'uso pubblico l'orologio,
fabbricati destinati all'esercizio pubblico
dei culti, fabbricati e costruzioni nei
cimiteri, con esclusione dei colombari, i
sepolcri e le tombe di famiglia e gli
edifici a destinazione particolare
(categoria residuale).
ESENZIONI IMU
PER DISABILI
È ancora attuale l'esenzione Imu per la
prima casa abitata da disabile grave?
Risposta
Sul punto non si può che ricordare che il
comma 8, dell'articolo 9, del dlgs n. 23 del
2011, espressamente richiamato dal comma 13,
dell'art. 13, del dl. n. 201/2011 dispone
che «_ sono esenti dall'imposta municipale
propria gli immobili posseduti dallo stato,
nonché gli immobili posseduti, nel proprio
territorio, dalle regioni, dalle province,
dai comuni, dalle comunità montane, dai
consorzi fra detti enti, ove non soppressi,
dagli enti del servizio sanitario nazionale,
destinati ai compiti istituzionali. Si
applicano, inoltre, le esenzioni previste
dall'articolo 7, comma 1, lettere b), c),
d), e), f), h) e i) del citato decreto
legislativo 504/1992_».
Inoltre, il comma 10, dell'art. 13 in
commento ha esteso determinati benefici
(aliquota ridotta e detrazione d'imposta)
alle fattispecie indicate nel comma 3-bis,
dell'art. 6, dlgs n. 504/1992 (casa
coniugale o ex coniugale, unità abitative
possedute dalle cooperative edilizie a
proprietà indivisa, alloggi assegnati dagli
Iacp), mentre è possibile applicare
l'aliquota ridotta e la detrazione per
abitazione principale per le unità
immobiliari utilizzate da «anziano» o
«disabile», con residenza acquisita in
istituti di ricovero a seguito di ricovero
permanente, purché non locato.
Rientra, però, nella potestà regolamentare
dei comuni di estendere le agevolazioni
previste per l'abitazione principale agli
anziani o disabili che acquisiscono la
residenza in istituti di ricovero o sanitari
a seguito di ricovero permanente, ai sensi
del comma 10, dell'articolo 13.
Non si riscontra, almeno nella disciplina
Imu una specifica esenzione per la prima
casa abitata da disabile grave, se dallo
stesso utilizzata in assenza di ricovero
permanente
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti
tracciati, rinvio a giugno.
Funzioni associate, per tutti i comuni si va
a settembre. Emendamenti approvati al
decreto sulle proroghe, che approda lunedì
in aula alla Camera.
Slitta di tre mesi (dal 2 aprile al 30
giugno) l'entrata in vigore del Sistri, il
Sistema di controllo per la tracciabilità
dei rifiuti. E per tutto il 2013 i comuni
turistici potranno assumere a tempo
determinato vigili urbani.
A prevederlo sono
alcuni emendamenti approvati ieri nelle
commissioni affari costituzionali e bilancio
della camera al decreto milleproroghe
(216/2011), che approderà in aula lunedì,
dove si attendono passi in avanti su due
questioni pensionistiche (riguardanti i
lavoratori «precoci» ed «esodati», si veda
ItaliaOggi di ieri).
Il congelamento del Sistri, caldeggiato
dalla Lega Nord, arriva sei mesi dopo il
varo di un'altra norma sul tema nel dl
sviluppo (70/2011), che ha dato alle aziende
con meno di dieci dipendenti tempo fino al
1° giugno per l'avvio del meccanismo di
verifica, al fine di garantire un adeguato
periodo transitorio.
Cantano vittoria,
invece, le località di attrazione turistica
perché è passata la proposta di modifica del
centrosinistra che consentirà alle
amministrazioni le assunzioni stagionali di
vigili, nei periodi di maggiore affluenza,
anche nel 2013; i comuni, spiega Giulio Calvisi (Pd), avevano sollecitato la misura
perché, soprattutto in estate, «vedono
aumentare esponenzialmente la popolazione
che gravita sul territorio» e hanno
necessità di ricorrere ad altro personale di
polizia locale «per evidenti ragioni di
tutela della sicurezza, controllo del
territorio, lotta all'evasione fiscale,
controllo del rispetto della normativa in
materia ambientale, nonché gestione del
traffico».
Novità anche sul versante
dell'istruzione: via libera all'emendamento
sull'inserimento nelle graduatorie ad
esaurimento di oltre 23 mila docenti,
abilitati e abilitandi, di scienze della
formazione primaria, strumento musicale e
didattica della musica, in base ai loro
titoli, fino ad oggi non riconosciuti, e con
il punteggio maturato negli anni; ci sarà,
inoltre, possibilità fino al 2013 per gli
enti locali intenzionati ad assumere con
contratti a tempo determinato o di
collaborazione, personale scolastico (i
supplenti dei servizi educativi e
d'infanzia), così come la ripartizione a
tutte le università, senza esclusione di
quelle che hanno superato il rapporto del
90% tra spese di personale e risorse del
fondo di finanziamento universitario, del
piano straordinario di reclutamento per
professori associati.
Con il sì ad un emendamento del Pd, poi, si
concede la proroga fino settembre 2012 a
tutti i comuni per la gestione associata
delle funzioni. In particolare, la
disposizione nasce dall'esigenza di
ricomprendere nel rinvio anche i comuni
sotto i mille abitanti, che inizialmente ne
erano rimasti esclusi.
La proroga, inizialmente fissata a giugno
2012 per gli enti tra 1.000 e 5.000
abitanti, viene ora fissata per tutti, cioè
per questi e anche per quelli sotto i 1.000
abitanti, a fine settembre. Da ricordare che
l'art. 16 del decreto n. 138 del 13.08.2011 (la manovra bis) aveva inizialmente
fissato a fine dicembre 2011 il termine per
l'obbligo della gestione associata delle
funzioni fondamentali.
Prorogata al 29 febbraio la sanatoria sui
cartelloni elettorali abusivi, duramente
contestata da Radicali e Idv: le violazioni
delle norme su affissioni e pubblicità
potranno essere sanate fino alla fine del
mese prossimo attraverso il pagamento di
1.000 euro. Passato, poi, l'emendamento
fatto proprio da uno dei relatori,
Gianclaudio Bressa (Pd), che consentirà di
reperire 250 mila euro per far fronte al
pagamento dell'assicurazione dei volontari
del Soccorso Alpino e speleologico che, si
legge in una nota del centrosinistra,
«svolgono un servizio universale previsto
dalla legge ma fortemente compromesso, a
danno della sicurezza in montagna e del
turismo montano, dai tagli delle manovre
dell'estate scorsa».
Grande la delusione
delle associazioni agricole (che promettono
battaglia anche perché «il carico fiscale
sui fabbricati rurali è rimasto invariato»
dichiara Confagricoltura) dopo il ritiro
della proposta sull'Imu, che stabiliva una
differenziazione del trattamento impositivo
di chi il terreno lo usa per vivere e
lavorare. Una iniziativa bipartisan, infine,
dà una mano all'editoria delle onlus e delle
associazioni d'arma, che potranno
beneficiare delle tariffe agevolate per la
spedizione delle loro pubbblicazioni
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
APPALTI SERVIZI: In house, la strada è la
fusione.
Chi si aggrega andrà avanti fino al 2017.
Mutui senza paletti.Il dl liberalizzazioni
riscrive la disciplina dei servizi locali.
Aziende speciali soggette al Patto.
Incentivi alle fusioni delle gestioni in
house. Le aziende che si metteranno insieme
potranno andare avanti tranquillamente fino
alla fine del 2017. L'obiettivo del governo
è promuovere l'accorpamento delle realtà
locali in modo da avere un unico gestore per
ciascun bacino territoriale ottimale
coincidente almeno con l'estensione della
provincia.
Le società risultanti dalla fusione,
inoltre, non avranno paletti nella
sottoscrizione di mutui per investimenti,
mentre le altre dovranno fare bene i conti
perché gli interessi delle rate annuali di
ammortamento, sommati a quelli dei mutui
precedentemente contratti, non potranno
superare il 25% delle entrate effettive
dell'azienda.
La soglia per gli affidamenti scende da 900
a 200 mila euro. Quelli di valore economico
superiore dovranno cessare a fine 2012.
Mentre le gestioni affidate direttamente a
società miste pubblico-private (se la
selezione del socio è avvenuta senza gara a
«doppio oggetto») termineranno il 31.03.2013. L'attribuzione di diritti di esclusiva
sarà possibile solo previo parere
obbligatorio dell'Antitrust che dovrà
pronunciarsi entro 60 giorni dalla ricezione
della delibera dell'ente.
Il decreto sulle liberalizzazioni, che oggi
il governo Monti porterà sul tavolo del
consiglio dei ministri, riscrive in molti
punti la disciplina dei servizi pubblici
locali già rivista dal governo Berlusconi
con la manovra di Ferragosto (dl 138/2011).
E per incentivare comuni, province e regioni
ad applicare le nuove regole stabilisce che
chi lo farà sarà considerato virtuoso ai
fini dell'applicazione degli sconti sul
patto di stabilità.
Anche le aziende speciali dovranno
rispettare i vincoli di bilancio secondo
modalità che saranno definite con un decreto
ministeriale che il governo approverà entro
la fine di giugno. In ogni caso alle
partecipate si applicheranno tutte le
disposizioni emanate negli ultimi anni per
comprimere la spesa degli enti locali:
divieti e limiti alle assunzioni, taglio
delle retribuzioni, riduzione delle
consulenze.
Tutela della concorrenza a livello locale.
Per promuovere la concorrenza a livello
comunale è prevista l'individuazione di un
apposito ufficio presso la presidenza del
consiglio che dovrà monitorare la normativa
locale alla ricerca di eventuali
disposizioni contrastanti con i principi di
libero mercato (di veda ItaliaOggi del
12/1/2012). Qualora vengano riscontrate
irregolarità il nuovo organismo assegnerà
all'ente un «congruo termine» per rimuovere
i limiti alla concorrenza, decorso il quale
scatteranno i poteri sostitutivi previsti
dalla legge La Loggia (n. 131/2003).
L'ufficio supporterà gli enti locali anche
nella dismissione delle loro quote di
partecipazione in società di utility.
Obblighi informativi dei concessionari. I
concessionari e affidatari di servizi
pubblici locali saranno obbligati a fornire
ai comuni, che vogliono bandire una gara per
assegnare il servizio da loro svolto, tutte
le informazioni utili (impianti,
infrastrutture, rivalutazioni,
ammortamenti). Dovranno farlo entro 60
giorni dalla richiesta. Diversamente
potranno andare incontro a una sanzione da 5
mila a 500 mila euro
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Obbligo
di gara per selezionare i professionisti.
Conseguenza diretta della liberalizzazione
delle professioni sarà l'obbligatorietà di
procedure di gara da parte delle pubbliche
amministrazioni per selezionare i
professionisti cui affidare servizi,
compresi gli avvocati.
La bozza del decreto sulle liberalizzazioni
incide sulle professioni con due mosse. In
primo luogo, abroga tutte le tariffe
professionali, sia minime sia massime (resta
il dubbio se l'abrogazione coinvolga anche
le tariffe notarili: il testo attualmente
circolante si rivolge anche ai notai). In
secondo luogo, elemento maggiormente
importante per i comportamenti che dovranno
assumere le pubbliche amministrazioni,
introduce l'obbligo per tutti i
professionisti di concordare in forma
scritta con il cliente il preventivo per la
prestazione richiesta. Il decreto stabilisce
che la redazione del preventivo è un obbligo
deontologico del professionista, la cui
inottemperanza costituisce illecito
disciplinare.
Risulta a questo punto chiaro che se il
professionista è obbligato nei confronti di
ciascun cliente privato a presentare un
preventivo scritto, ciò deve valere a
maggior ragione per la pubblica
amministrazione.
Infatti, tutti i rapporti contrattuali per
gli enti pubblici debbono essere
regolamentati in forma scritta a pena di
nullità. Come il professionista ha l'obbligo
deontologico di fornire il preventivo,
simmetricamente l'amministrazione pubblica
deve pretenderlo, per adempiere ai doveri di
imparzialità e trasparenza.
La combinazione tra abolizione delle tariffe
e della necessità del preventivo rompe per
sempre il fronte della «fiduciarietà» di
alcuni tipi di incarichi professionali, tra
i quali soprattutto quelli ad avvocati.
Nonostante risulti chiarissimo da tempo, per
effetto dell'allegato II B, punto 21, del
codice dei contratti, che gli incarichi ad
avvocati non sono «incarichi» di consulenza
o collaborazione, tuttavia è rimasta forte
in dottrina e anche giurisprudenza la teoria
secondo la quale non si debbano rispettare i
canoni delle procedure di appalto, vista la fiduciarietà intrinseca al legame tra
avvocato e committente e in presenza di un
tariffario minimo.
L'obbligo del preventivo non può non indurre
le amministrazioni a considerare l'aspetto
economico come elemento o tra gli elementi
fondamentali per la scelta del
professionista.
È cura minima acquisire più di un preventivo
e impostare una procedura concorrenziale,
applicando le procedure comunque
semplificate previste per i contratti ai
quali non si applica interamente la
disciplina del codice dei contratti
dall'articolo 27 del codice stesso, oppure
il cottimo fiduciario ai sensi dell'articolo
125.
L'era dell'affidamento diretto intuitu
personae è destinata al definitivo tramonto,
tranne per casi da motivare di specifica
urgenza e necessità, indotte, nel caso degli
incarichi ai legali, dai termini
procedimentali previsti dalle leggi
processuali
(articolo ItaliaOggi del 20.01.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Esuberi ai raggi X per assumere.
Atti nulli senza la rilevazione del
personale in sovrannumero. La legge di
stabilità 2012 impone alle amministrazioni
la ricognizione dei dipendenti.
Obbligo di rilevazione annuale del personale
in sovrannumero e di quello eccedente: è
questa la nuova condizione posta a tutte le
pubbliche amministrazioni per poter
effettuare assunzioni di personale a
qualunque titolo. La mancata applicazione di
questa prescrizione è sanzionata con la
nullità degli atti adottati, il che
determina inevitabilmente il maturare di
responsabilità amministrativa. Sono questi i
principali effetti determinati dal nuovo
testo dell'articolo 33 del dlgs n. 165/2011
introdotto dall'articolo 16 della legge n.
183/2011, cd di stabilità 2012.
Il primo
elemento da sottolineare è che il
legislatore individua le condizioni di
sovrannumero nella presenza di personale e/o
di dirigenti extra dotazione organica: siamo
quindi in presenza di un accertamento
esclusivamente formale, che si effettua
confrontando il personale a tempo
indeterminato in servizio con quello
previsto nella dotazione organica. Le
condizioni di eccedenza devono essere
individuate «in relazione alle esigenze
funzionali o alla situazione finanziaria».
Nel testo precedentemente in vigore il
riferimento era invece molto più
genericamente alle previsioni della legge n.
223/1991, cioè la norma dettata per la
individuazione delle condizioni di eccedenza
nel settore privato. Il secondo elemento da
rilevare è che queste dichiarazioni, a
differenza del passato, possono essere
disposte solamente al momento dell'adozione
di questo documento.
Mancano, nella disposizione, indicazioni sul
modo in cui le p.a. devono effettuare questa
verifica. Sul terreno delle procedure appare
necessario il coinvolgimento di tutti i
dirigenti nella definizione della proposta,
mentre l'adozione dell'atto appartiene alla
competenza della giunta. Espressamente il
legislatore prevede il coinvolgimento dei
dirigenti: essi sono infatti chiamati ad
attivare questa procedura; il mancato
rispetto di tale vincolo, sulla base di una
esplicita previsione, «è valutabile ai fini
della responsabilità disciplinare».
L'accertamento della condizione di eccedenza
deve essere effettuato dalle amministrazioni
sulla base della condizione finanziaria, il
che non è senza conseguenze per gli enti che
hanno violato il tetto alla spesa del
personale o il rapporto massimo del 50% tra
spesa del personale e corrente. Essa deve
inoltre essere effettuata in relazione alle
attività svolte da ogni unità organizzativa,
quindi con riferimento ai procedimenti, al
loro numero e alla loro complessità. È
verosimile che, al momento in cui saranno
determinati i fabbisogni standard, ogni ente
dovrà tenerne conto.
La ricognizione può
sicuramente essere effettuata unitamente
alla programmazione annuale e triennale del
fabbisogno del personale. La sua
effettuazione, anche in caso di esito
negativo, deve essere comunicata alla
funzione pubblica. Se invece si sono
determinate condizioni di eccedenza o di
sovrannumero occorre dare informazione ai
soggetti sindacali. Da questo momento le
amministrazioni devono attivarsi per
superare tali condizioni.
Dopo non meno di
dieci giorni dalla comunicazione ai soggetti
sindacali, l'ente deve verificare se questa
condizione può essere risolta attraverso il
ricorso a forme flessibili, al contratti di
solidarietà, il collocamento in quiescenza
del personale che ha raggiunto 40 anni di
anzianità contributiva e l'eventuale
mobilità presso amministrazioni della stessa
regione. In caso negativo, decorsi 90 giorni
dalla comunicazione ai soggetti sindacali,
sono collocati in disponibilità i dipendenti
individuati come eccedenti.
---------------
Così la delibera di giunta per il monitoraggio.
Visto l'articolo 33 del dlgs n. 165/2001 nel
testo modificato da ultimo dall'articolo 16
della legge n. 183/2011, cd legge di
stabilità 2012;
Ricordato che questa disposizione impone a
tutte le amministrazioni pubbliche di
effettuare la ricognizione annuale delle
condizioni di soprannumero e di eccedenza
del personale e dei dirigenti; che la stessa
impegna i dirigenti ad attivare tale
procedura per il proprio settore e che
sanziona le p.a. inadempienti con il divieto
di effettuare assunzioni di personale a
qualunque titolo, dettando nel contempo le
procedure da applicare per il collocamento
in esubero del personale eccedente e/o in
soprannumero ai fini della loro
ricollocazione presso altre amministrazioni
ovvero, in caso di esito negativo, alla
risoluzione del rapporto di lavoro;
Assunto che la condizione di soprannumero si
rileva dalla presenza di personale in
servizio a tempo indeterminato extra
dotazione organica;
Assunto che la condizione di eccedenza si
rileva dalla impossibilità dell'ente di
rispettare i vincoli dettati dal legislatore
per il tetto di spesa del personale (cioè
l'anno 2004 per gli enti non soggetti al
patto e l'anno precedente per quelli
soggetti al patto) e dal superamento del
tetto del 50% nel rapporto tra spesa del
personale e spesa corrente. Si dà atto, come
da comunicazione del dirigente del settore
economico finanziario, che la spesa del
personale è stata nell'anno 2011 pari ad _ ,
mentre nell'anno 2010 (ovvero nell'anno 2004
per gli enti non soggetti al patto) era
stata pari ad _, quindi quella del 2012 è
inferiore. Si dà atto, sempre sulla base
della comunicazione del dirigente del
settore economico finanziario che nell'anno
2011 la spesa corrente è stata pari ad _ ,
quindi che il rapporto tra spesa del
personale e spesa corrente, considerando
anche -sulla base delle previsioni del dl
n. 98/2011- la spesa sostenuta per il
personale delle società cd in house e di
quelle controllate che svolgono compiti di
supporto, per cui tale rapporto è stato
inferiore al 50%. E ancora, dalla assenza di
personale dipendente non trasferito alle
dipendenze del nuovo soggetto in caso di
esternalizzazione, nonché dalla rilevazione
del numero e della complessità dei
procedimenti attribuiti ai singoli settori;
Valutate le relazioni presentate dai
dirigenti dell'ente sulla assenza di tali
condizioni nei singoli settori da essi
diretti;
Visti i pareri di regolarità tecnica e
contabile espressi dal dirigente del settore
personale e da quello del settore economico
finanziario, ai sensi dell'art. 49 del Testo
unico delle Leggi sull'Ordinamento degli
enti locali dlgs 18/08/2000, n. 267,
D E L I B E R A
a) nell'ente non sono presenti nel corso
dell'anno 2012 né dipendenti né dirigenti in
soprannumero;
b) nell'ente non sono presenti nel corso
dell'anno 2012 né dipendenti né dirigenti in
eccedenza;
c) l'ente non deve avviare nel corso
dell'anno 2012 procedure per la
dichiarazione di esubero di dipendenti o
dirigenti;
d) di dare corso alla adozione del programma
del fabbisogno di personale per l'anno 2012
e per il triennio 2012/2014
e) di inviare al dipartimento della funzione
pubblica copia della presente deliberazione;
f) di informare i soggetti sindacali
dell'esito della ricognizione
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
ENTI LOCALI: Imu, la quota statale è intangibile.
Le agevolazioni dei comuni non intaccano il
50% erariale. Molti i punti oscuri. Imposta
da riversare indipendentemente dal fatto che
sia stata riscossa.
Molti i punti oscuri che riguardano la
determinazione della quota Imu destinata
allo stato e le modalità per il versamento
all'erario del 50% della nuova imposta
locale, la cui scadenza in acconto è fissata
per il 18 giugno. Le agevolazioni Imu per
l'anno in corso che i comuni hanno già
deliberato o adotteranno entro il 31 marzo,
termine previsto per l'approvazione dei
bilanci di previsione, non possono intaccare
la quota riservata allo stato.
Quindi, le scelte degli enti locali sono
condizionate dai riflessi negativi che
possono comportare maggiorazioni di
detrazione o riduzioni di aliquote
deliberate per immobili diversi
dall'abitazione principale e dagli immobili
rurali strumentali. A differenza che in
passato, inoltre, la disciplina Imu impone
ai comuni di pagare allo stato la quota del
tributo sugli immobili siti sul loro
territorio nel caso in cui non abbiano una
determinata destinazione.
Peraltro dalla
formulazione letterale dell'articolo 13 del
dl Monti (201/2011) sembra che allo stato
spetti la quota d'imposta dovuta, al di là
del fatto che sia stata riscossa o meno
dall'ente. Le somme dovute allo stato
dovrebbero seguire il criterio di competenza
e non di cassa. Al comune spettano le
«maggiori somme» derivanti dalle attività di
accertamento e riscossione della quota di
tributo erariale, a titolo di imposta,
interessi e sanzioni. La nuova imposta
locale potrà essere pagata dal contribuente
solo con il modello F24, ma deve ancora
essere chiarito in che modo va effettuato il
versamento della quota statale.
Le agevolazioni. I comuni sono esonerati dal
pagamento dell'Imu solo per gli immobili
siti sul proprio territorio purché destinati
esclusivamente ai compiti istituzionali. La
novità è rappresentata dal fatto che
l'esonero è condizionato dalla destinazione
dell'immobile e non compete più per gli
immobili ubicati sul territorio di altri
comuni.
Sebbene non sia stato abrogato l'articolo 4
del decreto legislativo 504/1992 che
esonerava il comune dal pagamento dell'Ici,
le nuove disposizioni non richiamano questa
norma. Il criterio interpretativo che si
ricava dalla relazione tecnica al decreto
Monti è che per inquadrare i benefici
fiscali occorre tener conto non solo delle
disposizioni espressamente abrogate, ma
anche di quelle non richiamate.
Per esempio, per quanto concerne le
agevolazioni che riguardano i coltivatori
diretti e gli imprenditori agricoli che
esplicano la loro attività a titolo
principale, la relazione tecnica al dl
201/2011 pone in evidenza che viene
richiamato solo l'articolo 2 del decreto
legislativo 504/1992 e non l'articolo 9
dello stesso decreto.
Quindi, i terreni da questi posseduti e
condotti sono considerati non fabbricabili,
ma non possono più fruire delle riduzioni
d'imposta. Dunque, anche il mancato richiamo
dell'articolo 4 del decreto 504, che non
assoggettava a imposizione gli immobili di
cui il comune era proprietario a prescindere
dalla destinazione dell'immobile, non
conferma l'esclusione. Il comune, dunque,
anche per gli immobili siti sul suo
territorio dovrebbe pagare la quota
d'imposta riservata allo Stato, qualora non
sia destinato a sede o ufficio dell'ente.
Per esempio, un immobile di proprietà
dell'ente che viene dato in affitto o
concesso in uso allo stato per lo
svolgimento di attività scolastiche dovrebbe
essere assoggettato a imposizione, non
potendosi in senso stretto configurare una
finalità istituzionale dell'ente. Inoltre,
non spetta più l'esenzione per gli immobili
siti sul territorio di altri comuni.
L'articolo 9 del decreto legislativo 23/2011
ha ridisegnato le esenzioni dal tributo e
non richiama l'articolo 7, comma 1, lettera
a), della disciplina Ici che stabiliva
quest'ultima agevolazione.
I versamenti. L'articolo 13, comma 11, del dl
201 prevede la riserva per lo stato della
quota di imposta pari alla metà dell'importo
calcolato applicando l'aliquota dello 0,76%
alla base imponibile di tutti gli immobili.
Sono esclusi dal calcolo gli immobili
destinati ad abitazione principale e le
relative pertinenze. Non rientra nella quota
statale neppure il gettito che deriva dai
fabbricati rurali ad uso strumentale. Per
questi immobili per i quali prima era
riconosciuta l'esenzione, dal 2012 è
riservato un trattamento agevolato, con
applicazione di un'aliquota ridotta del 2
per mille. Non si applicano alla quota
statale neppure le detrazioni e riduzioni di
aliquota deliberate dai comuni. La norma
stabilisce che la somma di competenza dello
Stato deve essere versata «contestualmente
all'imposta municipale propria».
In deroga a
quanto disposto dall'articolo 52 del decreto
legislativo 446/1997, che attribuisce ai
comuni il potere di decidere le modalità di
riscossione, spontanea e coattiva, delle
proprie entrate, l'Imu deve essere versata
solo con l'F24. Con provvedimento del
direttore dell'Agenzia delle entrate
dovranno essere indicate le modalità per
effettuare i versamenti. Nella relazione
ministeriale è indicato che il ricorso a
questo modello per il versamento si è reso
necessario proprio perché una quota parte
del tributo è riservata all'erario.
Pertanto, vengono semplificati gli
adempimenti del contribuente e si garantisce
«un più agevole controllo dei flussi di
entrata».
Una cosa che sembra certa è che il
contribuente potrà versare l'imposta in
un'unica soluzione. Non è chiaro invece se
dovrà differenziare, con 2 codici tributo,
la quota destinata ai comuni e allo stato.
In alternativa, per evitare di porre a
carico dei contribuenti l'onere di fare
diversi conteggi, le somme incassate dal
comune potrebbero essere riversate allo
Stato per la quota che gli spetta oppure
potrebbero essere ridotti in misura
corrispondente i trasferimenti erariali
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Il presidente del
consiglio non può presiedere il cda di un
ente non profit. Incompatibilità a 360 gradi.
L'assenza di finalità di lucro non esclude
l'ipotesi.
La carica di presidente del consiglio
comunale è compatibile con quella di
presidente del consiglio di amministrazione
di un'associazione che non persegue fini di
lucro, di cui il comune è socio fondatore,
finanziata con fondi del bilancio comunale e
con contributo annuale del comune?
La fattispecie rappresentata va esaminata in
ragione della statuizione recata dal comma
1, n. 1 dell'art. 63 del dlgs n. 267/2000,
che espressamente prevede l'incompatibilità
per l'amministratore o il dipendente con
poteri di rappresentanza o di coordinamento
di ente, istituto o azienda soggetti a
vigilanza in cui vi sia almeno il 20% di
partecipazione rispettivamente da parte del
comune o della provincia o che dagli stessi
riceva in via continuativa una sovvenzione
in tutto o in parte facoltativa, quando la
parte facoltativa superi nell'anno il dieci
per cento del totale delle entrate
dell'ente.
L'assenza della finalità di lucro
nell'associazione non è sufficiente ad
escludere la sussistenza dell'ipotesi
d'incompatibilità.
In conformità al principio generale secondo
cui ogni organo collegiale deve deliberare
innanzitutto sulla regolarità dei titoli di
appartenenza dei propri componenti, la
contestazione della causa ostativa
all'espletamento del mandato è compiuta con
la procedura consiliare prevista dall'art.
69 del citato decreto legislativo, che
garantisce comunque il corretto
contraddittorio tra l'organo ed il proprio
componente, assicurando a quest'ultimo
l'esercizio del diritto di difesa e la
possibilità di rimuovere entro un congruo
termine la causa d'incompatibilità
contestata
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Ineleggibilità.
Si configura il divieto di ineleggibilità,
previsto dall'art. 51 del dlgs n. 267/2000,
nel caso di un amministratore eletto alla
carica di sindaco per la prima volta, il cui
mandato è stato interrotto dallo
scioglimento del consiglio comunale con
provvedimento ai sensi dell'art. 143 Tuel,
successivamente annullato con sentenza del
Consiglio di stato, atteso che tra il primo
mandato elettorale, nel frattempo scaduto, e
la tornata elettorale nella quale
l'amministratore è stato nuovamente eletto
sindaco, l'ente locale è stato gestito da un
commissario?
La continuità dei due mandati consecutivi,
al verificarsi dei quali l'art. 51 Tuel
dispone la non rieleggibilità alla carica di
sindaco, non viene meno per effetto
dell'interposizione di una gestione
commissariale.
La Corte di cassazione, sebbene chiamata a
pronunciarsi su un diverso caso, ha avuto
modo di precisare che, affinché non si
configuri la condizione ostativa prevista
dal citato art. 51, è necessario che il
secondo mandato amministrativo sia stato
seguito da una tornata elettorale alla quale
il sindaco uscente non si è candidato. In
particolare è stato precisato che «l'ambito
di operatività del divieto (ex art. 51 cit.)
è puntualmente e univocamente chiarito, nel
senso della sua correlazione a una sequenza
temporale caratterizzata dalla compresenza,
oltreché dell'avverbio «immediatamente» (già
di per sé sufficiente a escludere il
permanere dell'ineleggibilità oltre la
tornata elettorale successiva alla
conclusione del secondo mandato) anche della
incidentale (rafforzativa) «allo scadere del
secondo mandato», che non lascia alcun
margine di dubbio interpretativo in ordine
alla circostanza che per le elezioni diverse
da quelle immediatamente successive alla
scadenza del mandato non operi più la causa
di ineleggibilità» (cfr. Corte di cass.,
sent. 13181 del 05.07.2007).
Pertanto, se tra il primo mandato
elettorale, anche se di durata ridotta ma in
ogni caso superiore a due anni, sei mesi e
un giorno, poi seguito da una gestione
commissariale, e il secondo non si è
verificata alcuna tornata elettorale
intermedia, interruttiva della sequenza
temporale di cui al citato art. 51, comma 2,
del Tuel, sussiste la causa ostativa alla
terza candidatura di cui al citato art. 51
del dlgs. n. 267/2000, atteso che le
prossime elezioni sarebbero quelle
immediatamente successive alla scadenza del
secondo mandato
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
APPALTI SERVIZI: LIBERALIZZAZIONI/
Utility,
privatizzazioni a tappe.
Sulla cessione delle quote la road map
termina nel 2015. Ripescata la tempistica
del dl Fitto-Ronchi. Risarcimenti agli
utenti.
Sulla privatizzazione delle utility si torna
all'antico. Gli affidamenti in house di
valore superiore a 200 mila euro (la nuova
soglia individuata dal governo, rispetto
agli attuali 900 mila euro) non solo
dureranno fino 31.12.2012 (sarebbero
dovuti cessare al 31 marzo) ma potranno
sopravvivere anche oltre, fino alla naturale
scadenza del contratto di servizio, a
condizione che la partecipazione detenuta
dai soci pubblici si riduca ad almeno il 40%
entro il 30.06.2013 e al 30% entro il 31.12.2015.
Diversamente gli affidamenti termineranno in
tali date. La road map sarà la stessa anche
per le gestioni affidate direttamente a
società a partecipazione mista pubblica e
privata, qualora la selezione del partner
privato non sia avvenuta con «gara a doppio
oggetto», ossia riguardante al tempo stesso
la qualità socio e l'attribuzione dei
compiti operativi connessi alla gestione del
servizio. Anche in questo caso le gestioni
potranno durare fino a naturale scadenza a
condizione che le quote in mano pubblica si
riducano fino a raggiungere le percentuali
di cui sopra entro le predette date.
Nella
tabella di marcia per favorire l'ingresso
dei privati nella gestione dei servizi
pubblici locali il governo Monti ripropone
tali e quali le norme della riforma Fitto
(dl 135/2009) cancellata a giugno 2011 dai
referendum sull'acqua pubblica. Il pacchetto
liberalizzazioni che andrà venerdì sul
tavolo del consiglio dei ministri contiene
invece norme tutte nuove sulle dismissioni
delle quote da parte dei comuni.
Le regole
introdotte dal dl 78/2010 (articolo 14,
comma 32) e modificate prima dal decreto milleproroghe di fine 2010 (dl n. 225
convertito nella legge n. 10/2011) e poi
dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2011)
restano confermate. Il che significa che i
municipi con popolazione compresa tra 30
mila e 50 mila abitanti avranno tempo fino
al 31.12.2013 per ridurre a una sola
le partecipazioni societarie detenute.
Mentre i comuni sotto i 30 mila abitanti
dovranno portare a termine le dismissioni
entro il 31.12.2012 a meno che le
partecipate abbiano avuto il bilancio in
utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano
subìto riduzioni di capitale sociale e
perdite da ripianare.
Ma, ferma restando
questa disciplina, i comuni, quando avranno
esigenza di ampliare i mercati e ripianare i
propri debiti, potranno (la norma parla
espressamente di «facoltà» e non di obbligo)
cedere le proprie quote tramite gara,
comunicandone l'esito inizialmente entro il
30.09.2012 e poi entro il 30
settembre di ogni anno. L'esito delle
procedure dovrà essere comunicato alla
neonata unità di missione per la tutela dei
consumatori e la promozione della
concorrenza nelle regioni e negli locali che
sarà istituita presso palazzo Chigi.
E a proposito di tutela degli utenti, il
pacchetto liberalizzazioni di Monti apre la
strada al risarcimento dei danni per
violazione degli standard minimi di qualità.
Si legge infatti nella bozza di
provvedimento che nelle carte di servizio
dovranno essere indicati i diritti «anche di
natura risarcitoria che i consumatori e le
imprese utenti possono esigere nei confronti
dei gestori del servizio e
dell'infrastruttura».
I comuni dovranno acquisire il parere
dell'Antitrust sulle delibere con cui
decidono di mantenere i regimi di esclusiva
sottraendo uno o più settori alla
liberalizzazione. La manovra di Ferragosto
(dl 138/2011), nell'art. 4 che ha riscritto
la disciplina dei servizi pubblici locali
dopo i referendum di giugno, non prevedeva
tale obbligo e stabiliva solo che la
delibera (di cui doveva essere data adeguata
pubblicità) dovesse essere inviata
all'Antitrust per l'opportuna relazione al
parlamento.
Ora invece il pacchetto liberalizzazioni del
governo Monti condiziona l'adozione della
delibera al parere dell'Autorità garante
della concorrenza che dovrà pronunciarsi
entro 60 giorni sulla base dell'istruttoria
svolta dall'ente locale
(articolo ItaliaOggi del 18.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: «Come
fare per»: trasparenti i siti delle
amministrazioni.
Obbligo per le p.a. di pubblicare sui siti
istituzionali, per ciascun procedimento,
modalità di adempimento, documentazione da
presentare, modulistica, responsabile e
termine di conclusione del procedimento. Al
fine di evitare ai cittadini di doversi
recare presso un ufficio solo per ottenere
informazioni o richiedere un modulo.
Tutto
questo sarà possibile attraverso la
creazione, senza costi, di un'apposita
casella «Come fare per» sull'homepage dei
siti istituzionali delle amministrazioni, a
partire da quelli della p.a.. Così come
previsto dagli artt. 54 e 57 del Codice
dell' amministrazione digitale, art. 6,
comma 2 del dl n. 70 del 2011 e da ultimo lo
Statuto delle imprese.
È quanto anticipato
ieri dal ministro della funzione pubblica
Giuseppe Patroni Griffi, durante l'audizione
alla Commissione affari costituzionali del
senato.
Il ministro, ha inoltre sottolineato
la necessità che l'amministrazione pubblica
recuperi la capacità di attrarre al suo
interno le giovani eccellenze. «Servono
ingegneri, geologi, matematici, statistici,
economisti, oltre che bravi giuristi,
orientati al cambiamento e alla
modernizzazione dei processi», ha dichiarato
Patroni Griffi. Che poi ha aggiunto: «Per
farlo, occorre rivitalizzare i canali
concorsuali e meritocratici nella selezione
del personale, e soprattutto dei dirigenti,
in specie riducendo la frammentazione delle
procedure concorsuali indette dalle singole
amministrazioni ed irrobustendo il rilievo
del corso-concorso, da indire con cadenza
periodica».
Tra gli altri punti sottolineati
al fine di migliorare il funzionamento della
pubblica amministrazione ci sono poi quello
della spending review, «per avviare un
processo di modernizzazione
dell'amministrazione pubblica e di
riqualificazione dei servizi attraverso
un'opera di razionalizzazione»; il
potenziamento del «portale della
trasparenza», alla cui realizzazione stanno
lavorando Civit, Cnr e DigitPa; la riduzione
degli oneri amministrativi unitamente al
rafforzamento dei servizi ai cittadini e
alle imprese.
Patroni Griffi ha infatti ricordato come le
analisi condotte dalle principali
organizzazioni internazionali individuano
nella complicazione burocratica una delle
prime cause dello svantaggio competitivo
dell'Italia nel contesto europeo e
nell'intera area Ocse (l'Italia si colloca
al 25° posto su 26 paesi dell'Unione
europea, significativamente penultima solo
prima della Grecia). Il dipartimento della
funzione pubblica ha sinora stimato in oltre
23 miliardi di euro l'anno gli oneri
amministrativi relativi a 81 procedure
amministrative particolarmente rilevanti per
le imprese, selezionate con le associazioni
imprenditoriali
(articolo ItaliaOggi del 18.01.2012). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Il Durc senza autocertificazione.
Le amministrazioni pubbliche possono
continuare a chiederlo. Le indicazioni del
ministero del lavoro dopo la semplificazione
introdotta dalla legge 183/2011.
Il Durc non è autocertificabile e le
amministrazioni possono richiederlo
all'interessato, per poi verificarne il
contenuto.
Al pasticciaccio brutto causato
al rilascio del Durc dalla legge 183/2011
cerca di metterci una pezza il ministero del
lavoro, Direzione generale per l'attività
ispettiva, con la
nota 16.01.2012 n. 619 di prot..
Difficile, tuttavia, non concludere che
la toppa non è sufficiente a tappare il
buco.
Il problema sorge dalle modifiche che la
legge di stabilità ha apportato alle norme
in tema di documentazione amministrativa,
fissando il principio della cosiddetta
«desertificazione»: in altre parole, mai più
le pubbliche amministrazioni, per gestire le
procedure di propria competenza, potranno
chiedere o comunque utilizzare certificati.
Questi sono validi solo nei rapporti tra i
privati.
La riforma, tendente a produrre una
condivisibile semplificazione per i
cittadini, è tuttavia incompleta e
frettolosa, perché trascura discipline
particolari, quali proprio il regime del
Documento unico di regolarità contributiva,
fondamentale per le procedure di gara, per
esempio.
Il codice dei contratti impone alle
amministrazioni appaltanti di verificare le
dichiarazioni sostitutive rilasciate dalle
imprese in sede di gara circa la regolarità
della posizione contributiva e l'unico
sistema allo scopo è richiedere il Durc. Ma
il Durc è un certificato, dunque, Inps,
Inail e Cassa edile non potrebbero
rilasciarlo senza la dicitura da inserire
obbligatoriamente in tutti i certificati, la
quale ricorda che le pubbliche
amministrazioni non possono utilizzarli in
quanto nulli.
Un bel rompicapo, che il ministero del
lavoro cerca di risolvere sostenendo, con la
circolare 619/2012, che il Durc non è
assolutamente sostituibile con una
dichiarazione sostitutiva rilasciata
dall'interessato, circa la propria posizione
contributiva.
Il ministero del lavoro cerca di motivare la
propria posizione spiegando che la nozione
di certificato fa sempre e solo riferimento
a stati, qualità personali e fatti
oggettivamente riferibili alla persona, che
dunque non può non conoscere. Non sarebbero,
di conseguenza, oggetto di dichiarazione
sostitutiva le informazioni connesse al Durc,
che non è, spiega il ministero, «la mera
certificazione dell'effettuazione di una
somma a titolo di contribuzione», bensì «una
attestazione dell'Istituto previdenziale
circa la correttezza della posizione
contributiva di una realtà aziendale
effettuata dopo complesse valutazioni
tecniche di tipo contabile». Le valutazioni
di un organismo tecnico non possono essere
oggetto di un'autodichiarazione, perché essa
non avrebbe a oggetto stati, fatti o qualità
strettamente personali.
La chiusura della circolare, allora, è nel
senso che le pubbliche amministrazioni
possono acquisire un Durc da parte del
soggetto interessato, ma non
un'autocertificazione; per poi vagliare i
contenuti di questo Durc con le stesse
modalità previste per le verifiche delle
autocertificazioni.
Si tratta di conclusioni, però, impossibili
da condividere. Intanto, il Durc è senza
ombra di minimo dubbio un certificato: così
prevede espressamente, infatti, 6, comma 1,
del dpr 207/2010, norma non certo derogabile
da nessuna direttiva o circolare. Inutile
affermare che il Durc è un'«attestazione»,
per negarne la natura di certificato.
Attestazione significa esattamente
certificato: viene dal latino ad-testari,
portare notizie certe a conoscenze di altri,
cioè, appunto, certificare.
La nota del ministero, poi, si pone in
insanabile diretto contrasto con l'articolo
44-bis del dpr 445/2000, l'articolo 16-bis,
comma 10, del dl 185/2008, convertito in
legge 2/2009 e dall'articolo 6, comma 3, del
dpr 207/2010: tutte norme volte a imporre
alle amministrazioni di acquisire
«d'ufficio» il Durc. Il che,
simmetricamente, costituisce un divieto a
chiederlo ai privati, e l'obbligo di
acquisirlo richiedendolo solo alle
amministrazioni competenti. Se l'intento del
ministero consiste nel sottrarre a
responsabilità penali e amministrative le
amministrazioni che richiedono e continuano
a utilizzare il Durc nonostante e in
contrasto alle norme vigenti, la cosa è
positiva, visto che si consente di non
bloccare l'attività amministrativa.
È
necessario, però, sottolineare che dovrebbe
essere compito del legislatore, compito non
più rinviabile, disporre una
regolamentazione speciale per il Durc,
sottraendolo alle nuove regole per i
certificati
(articolo ItaliaOggi del 18.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: I contributi regolari non soggetti ad
autocertificazione.
POSIZIONE RIVISTA/
Il ministro della Semplificazione aveva
sposato un'interpretazione estensiva.
Il ministero del Lavoro salva il Durc dalla
"decertificazione" introdotta dall'articolo
15 della legge 183/2011.
Con lettera
circolare di cui alla
nota 16.01.2012 n. 619 di prot.
il ministero, scostandosi dalla
interpretazione più estensiva del ministro
della Pa e della Semplificazione (Direttiva
del 22 dicembre scorso, si veda Il Sole24Ore
del 6 gennaio), esclude che tale intervento
interessi il Documento unico di regolarità
contributiva (Durc), rispetto al quale
«rimane assolutamente impossibile la
sostituzione con una dichiarazione di
regolarità contributiva da parte del
soggetto interessato».
È una precisazione
che il Ministero aveva espresso con lettera
circolare del 14 luglio 2004, prima, dunque,
delle novità introdotte della legge 183/2011
la quale, proprio in relazione all'articolo
44-bis del Dpr 445/2000 stabilisce che «le
informazioni relative alla regolarità
contributiva sono acquisite d'ufficio,
ovvero controllate ai sensi dell'art. 71,
dalle pubbliche amministrazioni procedenti,
nel rispetto della specifica normativa di
settore».
Del resto già con l'articolo
16-bis, comma 10, del decreto legge
185/2008, il legislatore aveva introdotto
una prima semplificazione prevedendo negli
appalti pubblici l'obbligo delle stazioni
appaltanti di chiedere d'ufficio il Durc
agli istituti ed enti competenti al loro
rilascio, sollevando così le imprese
appaltatrici da tale onere.
Il Lavoro a conforto della propria tesi
precisa che il novellato articolo 40, del
DPR n. 445/2000 nel riferirsi a «stati,
qualità personali e fatti» come oggetto di
certificazione e di autocertificazione, vi
farebbe rientrare elementi di fatto
oggettivi riferiti alla persona e che non
possano non essere dalla stessa oggetto di
sicura conoscenza. Proprio sulla base di
tale principio si baserebbe l'autocertificabilità
di detti elementi e la conseguente
sanzionabilità penale in caso di mendaci
dichiarazioni.
Fermo restando che non si comprende perché
tale sistema sanzionatorio non possa
applicarsi nel caso della regolarità
contributiva, la nota ministeriale sostiene
che sarebbe, invece, del tutto diversa la
certificazione relativa al regolare
versamento della contribuzione obbligatoria
che, si precisa, non è una mera
certificazione dell'effettuazione di una
somma a titolo di contribuzione, ma una
attestazione dell'Istituto previdenziale
circa la correttezza della posizione
contributiva di una realtà aziendale.
Da ciò
deriva che l'articolo 44-bis del Dpr
445/2000 stabilisce semplicemente le
modalità di acquisizione e gestione del Durc
senza però intaccare il principio secondo
cui le valutazioni effettuate da un
organismo tecnico non possono essere
sostituite da una autodichiarazione che non
riguarda, evidentemente, né fatti, né
status, né tantomeno qualità personali
(articolo Il Sole 24
Ore del 18.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al
18.01.2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Case in costruzione in garanzia.
Le compravendite di immobili su carta sono
meno rischiose. Excursus sugli strumenti
legislativi a favore dell'acquirente per
tutelarsi dalle truffe.
Risparmiare circa il 10% sul costo della
compravendita della casa. In alternativa
all'acquisto di un immobile già edificato,
infatti, si può ricorrere all'acquisto su
carta, in cui occorre versare in anticipo
buona parte della somma prevista anche se la
casa è ancora solo un progetto o è in
costruzione. Una soluzione vantaggiosa che
però presenta anche alcune incognite e il
rischio truffa è sempre dietro l'angolo. Ma
la norma arriva in soccorso degli
acquirenti.
A cosa fare attenzione.
Oltre al risparmio sul costo totale
dell'immobile, l'acquisto su carta presenta
anche il vantaggio di non dover sostenere
interventi di ristrutturazione per diversi
anni. Occorre, però, fare attenzione ad
alcuni aspetti, come l'incognita dei tempi
di consegna che possono protrarsi ben oltre
il previsto. Poi, un capitolo a parte
meritano le truffe, anche quelle sempre in
agguato se si opta per questo tipo di
soluzione.
Per tutelarsi, prima di acquistare il
progetto, è bene verificare le
autorizzazioni rilasciate al costruttore dal
comune. Si tratta di un primo passo per
evitare le potenziali truffe, con ditte che
vendono i progetti e poi spariscono nel
nulla. Quindi meglio ricorrere a imprese
edili che non siano alle prime armi e che
abbiano già realizzato e soprattutto
consegnato altri lavori. Infine, se si
acquista da una cooperativa, verificare al
catasto che il comune abbia rilasciato i
diritti di costruzione oltre a quelli di
superficie.
Un decreto legge a tutela
dell'acquirente.
Fino a qualche anno fa la normativa a
riguardo presentava molte lacune e le
statistiche parlavano di numerose famiglie
messe in ginocchio da truffe immobiliari e
fallimenti fraudolenti di ditte di
costruzione. Un situazione che ha portato
all'emanazione del dlgs 20.06.2005, n.
122 che stabilisce le «Disposizioni per la
tutela dei diritti patrimoniali degli
acquirenti di immobili da costruire». Un
decreto che si applica in tutti i casi di
vendita di immobili in costruzione, a
prescindere che l'operazione sia conclusa
direttamente da chi segue i lavori o tramite
intermediario. La tutela, inoltre, è
riservata esclusivamente alle persone
fisiche (sono escluse le società) e non si
applica solo a partire dalla compravendita,
ma già in fase di trattativa, quindi al
contratto preliminare, al compromesso, alle
promesse unilaterali, alle caparre e così
via.
La fideiussione per le somme
versate.
In particolare, per tutelare i compratori,
il decreto impone a chi riceve somme per un
immobile in costruzione, a titolo di
anticipo o caparra, di prestare una
fideiussione, che può essere di tipo
bancario o assicurativo, a favore del futuro
acquirente pari alla cifra versata o da
versare in corso di costruzione entro la
stipula del contratto preliminare. In caso
di inadempimento il compratore può
dichiarare il contratto nullo e quindi
ottenere indietro la somma, oltre a chiedere
eventuali danni. È possibile inoltre
aggiornare la fideiussione, ampliando il suo
valore ogni volta che vengono versati degli
importi in fase di costruzione.
Si tratta di
una garanzia che può essere fatta valere in
caso di fallimento, esecuzione immobiliare,
concordato preventivo, amministrazione
controllata o liquidazione coatta e che
costituisce un diritto di prelazione sugli
altri creditori. La garanzia però non vale
al di fuori dei casi indicati: se il
cantiere è bloccato per altri motivi bisogna
ricorrere alle vie legali. È quindi sempre
consigliabile dare meno soldi possibile in
anticipo e commisurarli allo stato di
avanzamento delle opere. La norma non trova
applicazione anche nel caso non sia ancora
stato chiesto il permesso di costruire o non
sia stata presentata la dichiarazione di
inizio attività, così come quando sia già
possibile richiedere il rilascio
dell'agibilità.
Da non dimenticare che questa regola non
rappresenta solo un diritto dell'acquirente
ma è soprattutto un obbligo del costruttore.
Si tratta però di una garanzia ancora poco
conosciuta e poco applicata dalle società
edili. «Si tratta», afferma il notaio
Gabriele Noto, membro del consiglio
nazionale del notariato, «dell'unico
strumento serio per recuperare i soldi
investiti ma spesso per superficialità o per
scarsa conoscenza non ci si avvale di questa
possibilità. Infatti, nei preliminari non
notarili la percentuale di fideiussioni è
drammaticamente bassa, quasi vicina allo
zero». In effetti, confrontando il fatturato
delle nuove abitazioni al netto degli
importi versati al rogito e l'ammontare
delle fideiussioni, si stima che solo in un
caso su quattro il versamento di denaro
dall'acquirente al costruttore è assicurato.
«Un fenomeno», prosegue Noto, «acuito anche
dal fatto che non sono previste sanzioni
severe per il costruttore in caso di mancato
rispetto della norma. È poi difficile
controllare la sua applicazione perché
l'obbligo scatta al momento del preliminare
ed è raro che in questa fase ci si rivolga a
un notaio, cosa invece consigliabile. Per
aiutare l'acquirente a conoscere e
affrontare i rischi legati a questa
particolare tipologia di compravendita
abbiamo elaborato come Consiglio nazionale
del notariato anche una guida “Acquisto in
costruzione. La tutela nella compravendita
di un immobile da costruire”, in
collaborazione con 12 associazioni dei
consumatori».
L'assicurazione dell'immobile.
Un altro importante aspetto previsto dal
dlgs 122/2005 riguarda l'obbligo per il
costruttore di rilasciare all'acquirente con
cui si è già impegnato una polizza
assicurativa della durata di almeno dieci
anni, e con effetto a decorrere dalla data
di completamento dei lavori, che copra il
rischio di danni sopravvenuti all'edificio o
difetti costruttivi gravi.
Si tratta di un
obbligo che viene in genere rispettato visto
che l'assicurazione decorre dal momento del
rogito e i notai in genere accertano la sua
esistenza. «Anche in questo caso», conclude
Noto, «non è prevista una sanzione specifica
per il mancato rilascio, ma nella maggior
parte dei casi la norma viene rispettata
perché il costo per il costruttore è
inferiore rispetto alla fideiussione e non
mette in discussione la consistenza
patrimoniale dell'impresa».
Al notaio è poi
vietato di procedere alla compravendita se
prima o contestualmente alla stipula non si
sia proceduto al frazionamento del mutuo
sull'immobile con o senza il suo accollo da
parte dell'acquirente (articolo
ItaliaOggi Sette del 16.01.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Sistri, nuove regole in corso
d'opera. Chiavette usb ad hoc per
semplificare l'applicazione del sistema. È
in G.U. il decreto 219/2011 che riscrive le
procedure per la tracciabilità online dei
rifiuti.
Dispositivi usb ad hoc per
interoperatività e semplificazioni nelle
comunicazioni dei dati. Più strumenti
informatici a disposizione delle grandi
imprese per colloquiare con il Sistri,
dispositivi ad hoc per interfacciare con il
cervellone dello stato software gestionali
di terze parti, procedure semplificate per
la gestione delle emergenze e mutazioni
aziendali.
Dopo lo slittamento al 02.04.2012 della
partenza degli obblighi operativi del nuovo
sistema di tracciamento telematico dei
rifiuti, sancito dal dl 216/2011, un nuovo
decreto del ministero dell'ambiente (il dm
10.11.2011, n. 219) riformula le regole
procedurali per l'interazione con il
cervellone Sistri. Il nuovo provvedimento
(pubblicato sul supplemento ordinario n. 5
della G.U. 05.01.2012 e in vigore dal giorno
successivo) riscrive, infatti, il dm
18.02.2011 n. 52 dello stesso Dicastero
(meglio noto come «Testo unico Sistri»)
rivedendo tutti gli anelli della filiera:
dispositivi usb, responsabilità sulla
comunicazione dei dati, compilazione schede
elettroniche, problemi di connettività e
cambiamenti di titolarità nella gestione dei
rifiuti.
Dispositivi Usb. Con il nuovo dm 219/2011
cresce il numero di dispositivi usb che gli
operatori (ossia gli enti e le imprese che
aderiscono al sistema di tracciabilità
telematica) possono utilizzare per la
comunicazione al Sistri dei dati dei rifiuti
gestiti, e ciò anche con la precisazione
della loro attribuibilità a singole «unità
operative», quali (come definiti dal nuovo
decreto) reparti, impianti o stabilimenti
(interni alle unità locali) da cui sono
autonomamente originati i rifiuti.
Dispositivi Usb interoperatività.
Esordiscono con il dm 219/2011 i nuovi «dispositivi
Usb per l'interoperatività», quali
sistemi che consentono agli operatori di
interfacciare direttamente con il cervellone
Sistri i software gestionali dei rifiuti di
terze parti accreditati. Tali dispositivi
consentono di firmare direttamente
attraverso il software utilizzato le schede
Sistri nelle quali vengono registrati i dati
relativi ai beni a fine vita.
Responsabilità.
Responsabili della custodia dei dispositivi
usb, specifica il nuovo dm ambiente
219/2011, sono da considerarsi sempre i
rappresentanti legali delle imprese che
aderiscono al sistema di tracciamento
telematico dei rifiuti e, dunque, non i
soggetti da questi eventualmente delegati al
loro utilizzo.
I luoghi di conservazione dei
dispositivi, ancora, potranno però essere
diversi dalle unità locali (od «operative»)
nelle quali vengono effettuate operazioni di
gestione dei rifiuti qualora esse non
abbiano un sistema di vigilanza o di
controllo degli accessi. I soggetti delegati
all'inserimento dei dati da altri soggetti
ricevuti nelle schede Sistri saranno
responsabili soltanto del loro corretto
inserimento nel sistema informatico e non
più (come prevedeva la pregressa e
originaria versione del dm 52/2011) della
veridicità degli stessi.
Piccoli produttori.
I produttori di rifiuti speciali pericolosi
con non più di dieci dipendenti, in
relazione ai quali gli adempimenti operativi
Sistri scatteranno in pieno solo dopo l'01.06.2012 (in una data che specificata da
un futuro dm Ambiente) dovranno dal 02.04.2012, nel caso conferiscano i propri rifiuti
a imprese di trasporto professionali,
comunicare a questi i dati relativi ai
rifiuti movimentati necessari alla
compilazione della relativa scheda Sistri e
conservarne (per tre anni) le relative copie
che riceveranno dal trasportatore e
dall'impianto di recupero/smaltimento.
Gestione emergenze.
La scriminante della mancata disponibilità
dei mezzi informatici per effettuare le
dovute comunicazioni al Sistri entro le
previste tempistiche contemplerà anche le
ipotesi in cui il problema sarà dovuto a
ritardi nella consegna dei dispositivi da
parte della Pubblica amministrazione o da
problemi tecnici che hanno colpito soggetti
a monte o a valle di quelli obbligati alle
dichiarazioni.
In quest'ultimo caso è
infatti prevista una procedura ausiliaria
che permetterà agli operatori
«imbottigliati» di registrare su una nuova
scheda Sistri (da scaricare dal relativo
portale) le informazioni sulla propria
movimentazione dei rifiuti.
Mutazioni aziendali.
Nessuna soluzione di continuità in caso di
cessioni, affitti, trasformazioni, scissioni
e fusioni aziendali. Tramite una apposita
procedura (ibrida tra il cartaceo e
l'informatico) sarà possibile comunicare i
predetti cambiamenti al Sistri senza
l'obbligo di dover restituire i dispositivi
informatici necessari al colloquio con il
sistema, i quali saranno semplicemente
reindirizzati nell'intestazione.
L'operatività del Sistri.
Il termine a partire dal quale i soggetti
interessati dovranno adempiere agli obblighi
operativi del Sistri (ossia: comunicazione
rifiuti gestiti al cervellone gestito
dall'Arma dei Carabinieri; tracciamento
satellitare mezzi di trasporto; monitoraggio
ingresso/uscite da discariche), lo
ricordiamo, dipende dalla natura degli
stessi: dal 9 febbraio al 02.04.2012
scatterà, infatti, (in base a quanto
stabilito dal dl 216/2011, cd. «Milleproroghe»)
l'obbligo per i medi e grandi gestori di
rifiuti; dopo l'01.06.2012 (e secondo
la data stabilita da un futuro dm Ambiente)
sarà invece la volta (secondo quanto
stabilito dal dl 138/2011) dei produttori di
rifiuti speciali pericolosi con non più di
10 dipendenti, compresi i produttori che
effettuano il trasporto dei propri rifiuti
entro i 30 kg/litri al giorno (articolo
ItaliaOggi Sette del 16.01.2012). |
APPALTI:
Gare preparate nel dettaglio.
L'iter da seguire se si deve scegliere
l'offerta economicamente più vantaggiosa.
Appalti. Analisi delle proposte e
attribuzione dei punteggi: le
interpretazioni che sono state fornite dall'Avcp.
La gestione delle gare con l'offerta
economicamente più vantaggiosa comporta
un'accurata impostazione dei criteri, in
rapporto alle specifiche prestazionali
contenute nel capitolato, e lo sviluppo di
un processo valutativo articolato in più
fasi.
L'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici (Avcp) ha prodotto un
complesso di importanti spiegazioni sulle
modalità di impostazione dei sistemi di
analisi delle proposte dei concorrenti e
alle metodologie di attribuzione dei
punteggi, fornendo un'interpretazione
dell'allegato P del Dpr 207/2010 mediante la
determinazione 7/2011 e un
quaderno di
approfondimento operativo.
L'Avcp sottolinea che la fase di gara dev'essere
strettamente correlata a quella di
progettazione e a quella di esecuzione. I
criteri e i sub-criteri di valutazione e i
loro pesi e sub-pesi vanno individuati
sinergicamente dal responsabile del
procedimento e dal progettista del
contratto, chiamato a corredare gli
elaborati, a base dell'affidamento, da un
capitolato speciale descrittivo e
prestazionale. Il capitolato e il progetto
devono essere estremamente dettagliati e
precisi, descrivendo i singoli elementi che
compongono la prestazione e definendo i
livelli qualitativi cui corrispondono i
punteggi, affinché la commissione si limiti
ad accertare la corrispondenza tra un
punteggio e un livello predefinito. Secondo
l'Autorità, infatti, quando si ricorre al
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa non è possibile lasciare parti
del capitolato prestazionale generiche o
indeterminate, per poi farle completare
dalle offerte e, così, permettere alle
commissioni valutazioni che integrano le
scelte effettuate nel bando di gara.
L'Avcp configura il processo di valutazione
delle offerte come combinazione di due fasi.
Nella prima si ha la trasformazione dei
valori delle offerte in coefficienti
variabili tra zero e uno, secondo le
indicazioni contenute nell'allegato P del
regolamento attuativo, nella parte
descrittiva del metodo aggregativo
compensatore (ma sono utilizzabili anche con
gli altri metodi multicriteriali). Nella
determinazione 7/2011 si rileva che, se i
criteri di valutazione hanno natura
qualitativa, cioè intangibile, la
trasformazione si effettua con uno dei
metodi di natura scientifica esistenti nella
letteratura; se i criteri, invece, hanno
natura quantitativa, cioè tangibile, si
ricorre a formule matematiche discendenti da
cosiddette "funzioni di utilità".
La seconda fase della procedura di
valutazione comporta la formazione della
graduatoria, applicando il metodo previsto
negli atti di gara. La determinazione si
effettua sulla base dei coefficienti
(variabili tra zero e uno) attribuiti
(previa riparametrazione qualora i criteri
di valutazione siano suddivisi in
sub-criteri). In concreto, dopo che la
commissione giudicatrice ha effettuato le
valutazioni tecniche (confronto a coppie con
tabella triangolare oppure con matrice
quadrata, oppure coefficienti attribuiti
discrezionalmente dai singoli commissari),
trasformato questi valori in coefficienti e
attribuito i coefficienti agli elementi
quantitativi, occorre, attraverso gli stessi
coefficienti, determinare, per ogni offerta,
un dato numerico finale atto ad individuare
l'offerta migliore. Si applicano quindi i
metodi multicriteri e multiobiettivi
indicati dal Dps 207/2010, quali
l'aggregativo compensatore, l'electre, il
topsis, l'evamix. Nessun metodo è in
assoluto il migliore.
Quanto ai profili quantitativi, nella
determinazione e nel quaderno di
approfondimento si precisano alcuni aspetti
per la gestione delle formule di
attribuzione dei punteggi al prezzo. Il dato
più importante è rilevabile
nell'applicazione delle formule consigliate
(proporzione lineare tra la singola offerta
e quella più conveniente, proporzione
lineare rispetto alla media delle offerte)
con utilizzo del dato di ribasso
percentuale. Se si usa il metodo con la
soglia media delle offerte, l'Avcp evidenzia
la necessità di utilizzare il coefficiente
riequilibratore, perciò le stazioni
appaltanti devono effettuare adeguate
simulazioni per verificare la portata delle
formule, al fine di evitare che la
metodologia di attribuzione del punteggio al
prezzo possa comprimere i valori delle
offerte, penalizzando quelle
qualitativamente più significative.
Le stazioni appaltanti devono operare la
riparametrazione al punteggio massimo
attribuibile ai punteggi assegnati ai
criteri e ai sub-criteri di tipo
qualitativo, poiché, se alla migliore
offerta sul piano della qualità non viene
attribuito il coefficiente uno, aumenta, nel
giudizio, il peso del prezzo, con una
conseguente alterazione dell'obiettivo
prefissato dalla stazione appaltante (articolo Il Sole 24 Ore del 16.01.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Sotto il milione di euro si può usare la
procedura negoziata. In alternativa. La
possibilità è condizionata al rispetto
dell'articolo 122 del Codice dei contratti
pubblici.
IL BILANCIAMENTO/ Non c'è obbligo di
pubblicità preventiva, ma quella successiva
(su lavori oltre 500mila euro) diventa più
«ampia».
Le stazioni appaltanti possono utilizzare la
procedura negoziata per affidare lavori
pubblici per importi inferiori a un milione
di euro, rispettando tuttavia in modo
rigoroso la disciplina contenuta
nell'articolo 122 del Codice dei contratti
pubblici.
L'Avcp ha fornito, nella
determinazione 8/2011, una serie di
precisazioni e chiarimenti in ordine alla
gestione delle gare informali per opere
entro la soglia specifica, a fronte della
riformulazione del comma 7 della stessa
disposizione (effettuata dalla legge
106/20211).
Rispetto al numero minimo di operatori
economici da invitare alle gare informali
per l'aggiudicazione di un appalto entro la
soglia particolare, l'Autorità evidenzia
come la nuova norma abbia aumentato il
numero minimo dei soggetti da coinvolgere,
al fine di assicurare la massima
concorrenzialità della procedura sia nella
fascia entro i 500mila euro sia in quella
sino a un milione di euro. Peraltro la
determinazione evidenzia che le stazioni
appaltanti devono aumentare il novero delle
imprese invitate, se intendono ricorrere
all'esclusione automatica delle offerte
nelle gare con il prezzo più basso, per le
quali la norma specifica (comma 9 dello
stesso articolo 122) richiede la
presentazione di almeno 10 offerte. Un
numero più ampio di operatori coinvolti
garantisce infatti le amministrazioni dal
rischio che qualcuno non presenti l'offerta
o la presenti in modo scorretto.
Secondo quanto rileva l'Avcp, nelle
procedure negoziate per appalti di lavori di
valore inferiore a un milione, se si usa il
metodo del prezzo più basso, il regolamento
attuativo (articolo 121 del Dpr 207/2010)
prevede che, in presenza di meno di dieci
offerte, non si proceda all'esclusione, ma
alla verifica di congruità (articolo 86,
comma 3 del Codice). La stessa procedura si
deve attivare quando (a esempio, per un
appalto inferiore ai 500mila euro) le
offerte siano inferiori a cinque.
La determinazione 8/2011 si concentra sulle
problematiche relative alla pubblicità delle
procedure negoziate regolate dall'articolo
122 del Codice. La disposizione non ha
infatti previsto, per le stazioni
appaltanti, l'obbligo di pubblicità
preventiva nella gara informale (in quanto
rientra pur sempre tra le procedure
derogatorie rispetto a quelle di massima
evidenza pubblica), ma l'autorità precisa
che sussistono ragioni di opportunità per
l'evidenziazione del confronto agli
operatori di mercato, affermando che ogni
decisione in merito spetta a ciascuna
amministrazione e va parametrata in funzione
della tipologia di appalto e dell'importo.
Un consistente bilanciamento alla mancanza
di prescrizioni in tema di pubblicità
preventiva è fornito nella normativa dalle
nuove e più chiare disposizioni inerenti
agli obblighi di pubblicità successiva
all'affidamento del l'appalto, che devono
essere soddisfatti con avvisi pubblicati
sulla «Gazzetta Ufficiale», sui siti del
l'amministrazione, dell'osservatorio
regionale, del ministero delle
Infrastrutture, nonché, per estratto, su
quotidiani nazionali e regionali. Tale
complesso di adempimenti vale in particolare
per gli appalti nella fascia tra 500mila
euro e un milione, mentre al di sotto resta
la semplificazione stabilita dallo stesso
articolo 122, con la pubblicazione
necessaria all'albo pretorio della stazione
appaltante e del Comune dove si eseguono i
lavori (articolo Il Sole 24 Ore del 16.01.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
aggiornamento al
16.01.2012 |
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SEGRETARI COMUNALI:
Segretari, anche i rogiti nel taglio di
solidarietà. Stipendi. Le indicazioni della
Ragioneria.
L'ALTRO CHIARIMENTO/
La stretta sugli aumenti automatici
determinata dalla legge di stabilità è
interpretativa e valida per il passato.
Due nuovi colpi alla busta paga dei
segretari comunali e provinciali. Arrivano
dalla Ragioneria generale dello Stato, che
in una nota girata a Palazzo Chigi,
Viminale, Anci, Upi e Aran risponde ai
«numerosi quesiti» che continuano a piovere
a Via XX Settembre dalle amministrazioni
locali sulla corretta applicazione delle
regole per gli stipendi dei vertici
amministrativi.
La prima brutta notizia riguarda i diritti
di rogito: secondo la Ragioneria rientrano
nella base di calcolo del «contributo di
solidarietà» che taglia del 5% la quota di
trattamento economico superiore a 90mila
euro e del 10% quella che supera i 150mila.
La tagliola si applica a tutte le entrate
dei segretari, compreso lo «scavalco» che
viene riconosciuto nei casi di reggenza di
altro ente: questi istituti, spiega la
Ragioneria, «hanno effetto sulla dinamica
retributiva, e di conseguenza concorrono al
raggiungimento delle soglie di reddito» che
fanno scattare la sforbiciata di
solidarietà.
Le istruzioni della Ragioneria tornano poi
sull'infinita questione del «galleggiamento»,
cioè lo strumento che consente alla busta
paga del segretario di non fermarsi prima di
quella riconosciuta al dirigente più alto in
carica. La legge di stabilità (articolo 4,
comma 26, della legge 183/2011) ha provato a
chiudere una partita aperta dal 2006,
stabilendo che il «galleggiamento» si
applica dopo le maggiorazioni riconosciute
per incarichi aggiuntivi, stoppando una
prassi che prima gonfiava la busta paga con
il galleggiamento, e poi aggiungeva la
maggiorazione come tassello "indipendente".
Il braccio di ferro, allora, si è spostato
sul carattere «interpretativo» o «innovativo»
della norma: la Ragioneria sancisce la prima
ipotesi, che di conseguenza offre alla
regola valore retroattivo e impedisce una
legittimazione ex post delle applicazioni
più "generose" del passato (articolo Il Sole 24 Ore del
13.01.2012). |
ENTI LOCALI - VARI:
Immobili rurali, pratiche
online.
Accatastamenti fino al 31 marzo. Domande su
internet. Comunicato dell'Agenzia del
territorio spiega le novità della manovra
Monti e del milleproroghe.
Il comunicato stampa dell'11.01.2012
dell'Agenzia del territorio ricorda che il
legislatore, con la legge di conversione 22.12.2011, n. 214, del decreto legge
06.12.2011, n. 201, ha introdotto la
lettera d-bis del comma 14 dell'articolo 13,
con cui sono state abrogate le disposizioni
di cui all'art. 7, commi 2-bis, 2-ter e
2-quater, del decreto legge 13.05.2011,
n. 70, convertito, con modificazioni, dalla
legge 12.07.2011, n. 106, che
prevedevano, per gli immobili rurali a uso
abitativo, l'attribuzione della categoria
A/6 e, per gli immobili rurali a uso
strumentale, la categoria D/10, a seguito
della presentazione di apposita domanda di
variazione all'Agenzia del territorio.
Come si ricorderà, in un precedente articolo
su queste colonne avevamo riferito delle
novità con cui il fisco precisava con la
circolare ministeriale n. 6/T del 22.09.2011, le nuove regole per
l'accatastamento dei fabbricati rurali,
carico dei proprietari, per l'iscrizione in
catasto dei fabbricati rurali nelle
categorie catastali A/6 e D/10.
La nuova norma in realtà reperiva la stretta
operata dalla giurisprudenza sui benefici
fiscali connessi alla ruralità degli
immobili che sono, ad avviso della
Cassazione, da destinarsi esclusivamente ai
fabbricati censiti come A/6 e D/10, a
seconda dell'uso (rispettivamente abitativo
o strumentali di detti immobili).
La presentazione della documentazione
doveva, originariamente, avvenire mediante
presentazione all'Ufficio provinciale
dell'Agenzia del territorio territorialmente
competente (di seguito «Ufficio»), entro la
data del 30.09.2011.
Dati i tempi stretti per l'adempimento in
commento, avevamo espresso l'auspicio che vi
fosse una riapertura dei termini per tale
adempimento.
Infatti adesso con l'art. 29, comma 8, del
decreto legge 29.12.2011, n. 216, in
corso di conversione, recante «Proroga dei
termini previsti da disposizioni
legislative», cosiddetto «mille proroghe», è
stato, inoltre, previsto che, in relazione
al riconoscimento del citato requisito di
ruralità, rimangono salvi gli effetti delle
domande di variazione presentate anche dopo
la scadenza dei termini originariamente
previsti, purché entro e non oltre il 31.03.2012.
I fabbricati rurali iscritti nel catasto dei
terreni, con esclusione di quelli che non
costituiscono oggetto di inventariazione ai
sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto
del ministro delle finanze 02.01.1998,
n. 28, devono essere dichiarati al catasto
edilizio urbano entro il 30.11.2012,
con le modalità stabilite dal decreto del
ministro delle finanze 19.04.1994, n.
701.
Vi è però un'altra novità prevista dalle
disposizioni in materia, con cui si precisa
che nelle more della presentazione della
dichiarazione di aggiornamento catastale di
cui al comma 14-ter, l'imposta municipale
propria è corrisposta, a titolo di acconto e
salvo conguaglio, sulla base della rendita
delle unità similari già iscritte in
catasto.
Il conguaglio dell'imposta è determinato dai
comuni a seguito dell'attribuzione della
rendita catastale con le modalità di cui al
decreto del ministro delle finanze 19.04.1994, n. 701.
Tali disposizioni che si ritrovano nell'art.
13 nei commi 14-bis, 14-ter e 14-quater, non
erano originariamente inserite nel decreto
legge del 06.12.2011 (manovra Monti),
ma sono state inserite all'ultimo momento
nella legge di conversione del decreto legge
suddetto, e si ritrovano appunto nella legge
22.12.2011 n. 214.
Data questa frettolosa introduzione
modificativa e l'aggiornamento importante ai
fini dell'applicazione ai suddetti beni
della neonata imposta Imu, l'Agenzia del
territorio ha ritenuto opportuno precisare
il senso delle nuove disposizioni, con un
breve comunicato del 11.01.2012, nel
quale ricorda succintamente le novità
procedurali introdotte e la nuova proroga al
31.03.2012 delle comunicazioni da farsi a
cura dei proprietari degli immobili rurali.
Il comunicato stampa in commento, ricorda
infine, che per la presentazione delle
suddette domande di variazione, l'Agenzia
del territorio, per facilitare al
contribuente il disbrigo delle pratiche
amministrative relative alla novità
legislativa introdotta recentemente, ha reso
disponibile nel proprio sito internet
un'applicazione che consente la compilazione
della domanda e la stampa della stessa con
modalità informatiche, con l'attribuzione di
uno specifico codice identificativo, a
conferma dell'avvenuta acquisizione a
sistema dei dati contenuti nella domanda di
variazione (articolo ItaliaOggi del
13.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
LIBERALIZZAZIONI/ Il governo Monti recepisce
molte delle indicazioni dell'Antitrust. Utility,
giro di vite sull'in house.
Entro fine anno stop alle gestioni che
superano i 200 mila.
Stop alle gestioni in house entro fine 2012
se il valore del servizio supera i 200 mila
euro. Parere obbligatorio dell'Antitrust
sulle delibere degli enti locali che
liberalizzano o mantengono diritti di
esclusiva (che devono essere motivati).
Liberalizzazione anche per il trasporto
ferroviario regionale. Scende da 900 mila a
200 mila euro il limite entro il quale si
potrà gestire in house. Priorità nei
finanziamenti statali agli enti di ambito o
di bacino. Applicabilità del Codice dei
contratti pubblici e delle norme sulla
finanza pubbliche per le aziende speciali.
È
quanto prevedono le norme dedicate ai
servizi pubblici locali previsti nella bozza
del decreto-legge sulle liberalizzazioni
predisposto dal governo che, su questa come
su altra materia (professioni, taxi,
farmacie) mostra di recepire gran parte
delle indicazioni fornite dall'Antitrust
nella segnalazione del 05.01.2012. In
particolare per i servizi pubblici locali si
interviene direttamente sulle ultime norme
varate a Ferragosto (decreto 138 convertito
nella legge 148/2011) dal governo
Berlusconi, nello spirito di un maggiore
ricorso al mercato e di una liberalizzazione
«governata» dalle autorità di controllo e
regolazione.
È ad esempio così per la revisione della
norma della legge 148 sulla delibera quadro
dell'ente locale che dimostri i benefici
derivanti dal mantenimento o meno del regime
di esclusiva.
Si prevedeva infatti che la delibera quadro
fosse semplicemente inviata all'Antitrust,
mentre con il nuovo decreto del governo
Monti, invece, il provvedimento dell'ente
locale potrà essere emanato soltanto dopo il
parere obbligatorio dell'Antitrust, che
dovrà arrivare entro 60 giorni e che dovrà
essere reso pubblico.
La bozza di decreto prevede anche che la
delibera sia comunque adottata entro trenta
giorni dalla ricezione del parere
dell'Autorità e che, in assenza della
delibera non si possano attribuire diritti
di esclusiva. Se l'ente locale deciderà per
l'effettuazione di gare per affidare i
servizi, il concessionario o affidatario del
servizio avrà l'obbligo di fornire i dati
sulle caratteristiche del servizio da
mettere in gara previste sanzioni da 5 mila
a 500 mila euro per il mancato inoltro dei
dati richiesti).
Rilevante è poi l'intervento sulle gestioni
cosiddette «in house»: se ad agosto si
ammetteva l'affidamento diretto del servizio
a società interamente pubbliche se il valore
del servizio fosse pari o inferiore a 900
mila euro, con il nuovo decreto questo
importo scende drasticamente a 200 mila
euro. Non solo: la gestione in house potrà
avere una durata massima di cinque anni (a
decorrere dal 31.12.2012, data entro
la quale dovranno cessare gli affidamenti
diretti di valore superiori ai 200 mila
euro) per le aziende risultanti da fusioni
di preesistenti gestioni dirette che abbiano
determinato la nascita di un gestore unico
del servizio a livello di ambito ottimale.
Il decreto legge stabilisce anche che siano
integralmente applicabili le norme sulle
liberalizzazioni dei servizi pubblici locali
(come risultanti dalle modifiche apportate
all'articolo 4 della legge 148) anche al
trasporto ferroviario regionale, in
precedenza escluso.
Confermata l'esclusione dall'applicazione
delle nuove norme per il servizio idrico
integrato per il quale valgono le competenze
dell'Autorità per l'energia elettrica e il
gas, divenuta competente dopo il decreto
Monti di dicembre.
L'organizzazione dei servizi pubblici locali
in ambiti o bacini territoriali ottimali e
omogenei (che consentano econome di scala e
massimizzazione dell'efficienza) costituirà
«principio generale dell'ordinamento
nazionale», rafforzando il vincolo per il
legislatore regionale.
Il rispetto delle norme sulle
liberalizzazioni dei servizi pubblici locali
rappresenterà per l'ente locale un indice di
«virtuosità» per non concorrere alla
realizzazione degli obiettivi di finanza
pubblica.
Prevista una priorità nel finanziamento con
risorse statali per gli enti di governo
degli ambiti o dei bacini territoriali. Gli
enti locali potranno cedere le proprie quote
societarie (con procedura di gara aperta)
per ripianare posizioni debitorie o
promuovere l'ampliamento del mercato.
Vengono toccate anche alcune norme del dlgs
267/2000, prevedendo in particolare che le
aziende speciali siano operative solo per
gestire servizi diversi da quelli di
interesse economico generale e che esse,
insieme alle istituzioni, siano assoggettate
al patto di stabilità interno secondo
modalità che definiranno appositi decreti
ministeriali. Si prevede inoltre che alle
aziende speciali si applichi il Codice dei
contratti pubblici e le norme che prevedono
limiti o divieti alle assunzioni di
personale, al conferimento di consulenze e
in genere le norme sulla finanza pubblica.
---------------
Palazzo Chigi vigilerà
sulla concorrenza negli enti.
Tra le competenze anche l'accertamento delle
clausole vessatorie.
Sarà palazzo Chigi a vigilare sulla
concorrenza nelle regioni e negli enti
locali. Non attraverso un'Authority vera e
propria (come emergeva dalla lettura delle
prime bozze del pacchetto liberalizzazioni),
ma attraverso un ufficio dedicato che dovrà
essere istituito entro due mesi con dpcm.
Alla nuova struttura, il cui mantenimento in
vita (il decreto lo dice espressamente) non
dovrà comportare oneri ulteriori per le
casse dello stato, spetterà innanzitutto
monitorare la normativa regionale e locale e
individuare, anche su segnalazione
dell'Antitrust, se nelle pieghe delle leggi
locali si annidano disposizioni contrastanti
con la tutela o la promozione della
concorrenza.
In questo caso il neonato ufficio fisserà un
«congruo termine» per rimuovere i limiti
alla concorrenza, decorso il quale il
governo potrà esercitare i poteri
sostitutivi previsti dall'articolo 8 della
legge La Loggia (legge 05.06.2003, n.
131). La nuova struttura dovrà anche
supportare gli enti locali nel monitoraggio
e nelle procedure di dismissione delle loro
partecipazioni nelle società di utility.
Tra le competenze dell'ufficio anche
l'accertamento della vessatorietà delle
clausole inserite nei contratti tra
professionisti e consumatori. Nell'esercizio
di tali funzioni all'ufficio è attribuito il
potere di richiedere, tramite funzionari
appositamente autorizzati, informazioni a
privati ed enti pubblici. Le regole sulle
procedure istruttorie da tenere e sulle
garanzie di contraddittorio saranno
individuate con successivo regolamento da
emanare ai sensi della legge 400/1988. In
ogni caso in questi procedimenti dovranno
essere garantiti «la piena cognizione degli
atti, la verbalizzazione e la maggiore
speditezza possibile dell'intervento
amministrativo».
I componenti, i funzionari e i dipendenti
dell'ufficio non percepiranno emolumenti
aggiuntivi o gettoni di presenza. Dovranno
operare con autonomia di giudizio e
risponderanno per gli atti compiuti
nell'esercizio delle loro funzioni solo per
dolo o colpa grave (articolo ItaliaOggi del
13.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
aggiornamento al
13.01.2012 |
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PUBBLICO IMPIEGO: Il Santo patrono rimane
festivo.
Tempo scaduto per il dpcm attuativo. Tutto
resta come prima. Lo chiarisce l'Anci. Il decreto con le
ricorrenze da fare slittare doveva arrivare
entro il 30/11.
I Santi patroni restano dove sono, almeno
per il 2012. E i giorni in cui si celebrano
continuano a essere considerati festivi se
ricadenti in giornate lavorative.
A
chiarirlo è il segretario generale dell'Anci,
Angelo Rughetti, che nella
nota 11.01.2012 è
intervenuto a dissipare i dubbi dei comuni
sull'applicazione di una delle norme più
controverse della manovra di Ferragosto.
Quell'art. 1, comma 24, che per scoraggiare
l'invalso costume dei ponti a cavallo delle
festività civili e religiose ha stabilito
che da quest'anno la gran parte delle
ricorrenze (con esclusione di quelle
concordatarie, del 25 aprile, del 1° maggio
e del 2 giugno) dovesse cadere la domenica
seguente oppure il venerdì precedente o il
lunedì successivo a quest'ultima.
Peccato che l'individuazione delle festività
da spostare sarebbe dovuta arrivare con un
decreto di palazzo Chigi da approvare in
tempo utile (entro il 30.11.2011)
prima dell'inizio del nuovo anno. La
scadenza è invece trascorsa invano e il 2012
è iniziato senza che i comuni sapessero la
sorte delle rispettive feste patronali. Un
particolare non da poco, visto che la
ricorrenza del Santo patrono è da
considerare giorno festivo a tutti gli
effetti.
Secondo l'Anci, in assenza del dpcm e dal
momento che la disposizione del dl 138/2011
«non apporta alcuna modifica alle date delle
ricorrenze, è da ritenere tuttora vigente la
disciplina contrattuale del comparto».
Diversamente, sottolinea l'Associazione
presieduta da Graziano Delrio, ci si
troverebbe davanti a una situazione di vuoto
normativo.
Per il comparto dei comuni, chiarisce la
nota dell'Anci, continua dunque a trovare
applicazione, l'art. 18, comma 6, del
Contratto nazionale di lavoro del 06.07.1995 secondo il quale la ricorrenza del
Santo patrono dell'ente in cui il dipendente
presta servizio è considerata giorno festivo
se cade in una giornata lavorativa
(articolo ItaliaOggi del 12.01.2012). |
VARI: Giudici di pace legati ai comuni.
Ma se l'ente è in mora per un anno cala il
sipario sull'ufficio. Lo schema di decreto
sulla soppressione aggancia il mantenimento
alla volontà dei sindaci.
Gli enti locali che hanno ottenuto il
mantenimento dell'ufficio del giudice di
pace sul quale pende la scure della
soppressione voluta dalla legge n. 148/2011,
non potranno fare i «furbetti». Infatti, se
si dovesse accertare che l'amministrazione
locale, per un periodo superiore a un anno,
non ha ottemperato all'obbligo di provvedere
con proprie risorse alle spese di
funzionamento della sede e a quelle relative
al personale amministrativo, calerà subito
il sipario sull'ufficio del giudice di pace.
È quanto si ricava dal testo della lettura
dello
schema di decreto legislativo sulla
«Revisione delle circoscrizioni
giudiziarie», redatto a norma dell'articolo
1, comma 2, della legge n. 148/2011, in
materia di riorganizzazione della
distribuzione sul territorio degli uffici
giudiziari, pubblicato ieri sul sito
internet del Ministero della giustizia, (di
cui ItaliaOggi ne ha anticipato i contenuti
sul numero del 22 dicembre scorso).
Come noto, per effetto delle disposizioni
contenute all'articolo 1, comma 2, della
legge n. 148/2011 (la norma di conversione
del decreto legge di Ferragosto), il governo
è delegato a mettere in pratica una
revisione delle circoscrizioni giudiziarie,
soprattutto in termini di soppressione degli
uffici del giudice di pace dislocati in
comuni di piccole-medie dimensioni.
Nelle intenzioni dell'esecutivo, questi
scompariranno per essere accorpati a quelli
ubicati nelle città di dimensioni maggiori.
L'obiettivo, non tanto celato, è quello di
«recuperare» circa 2 mila magistrati onorari
e un pari numero di personale amministrativo
da destinare negli organici dei tribunali e
delle procure della repubblica.
Allo schema sono allegate due tabelle. Nella
prima, è incluso il lungo elenco degli
uffici di giudice di pace che verranno
colpiti dal taglio. Nella seconda, vi sono
elencate le nuove distribuzioni territoriali
degli uffici accorpanti. Questi due elenchi
verranno pubblicati sul bollettino ufficiale
del Ministero della giustizia, oltre che sul
sito internet dello stesso dicastero.
Dalla
data di pubblicazione, entro il termine di
60 giorni, gli enti locali, anche
consorziati tra loro, potranno richiedere il
mantenimento della sede di cui si propone la
soppressione. A condizione, però, che gli
stessi enti si facciano carico delle spese
di funzionamento dell'ufficio e di quelle
relative all'erogazione del servizio
giustizia nelle relative sedi, incluso il
fabbisogno del personale amministrativo che
sarà messo a disposizione degli enti locali.
A carico del Ministero della giustizia,
resta l'organico del personale di
magistratura onoraria e la sola formazione
del personale amministrativo.
L'articolo 3
dello schema in esame prevede poi, una sorta
di «clausola di salvaguardia». In pratica,
si dispone che se l'ente locale (o gli enti
consorziati) non rispetti gli impegni
relativi al personale amministrativo e alle
spese di funzionamento, per un periodo
superiore a un anno, il dicastero di via Arenula non attenderà oltre disponendo
l'immediata soppressione dell'ufficio.
Infine, lo schema dispone che il personale
amministrativo in organico all'ufficio
soppresso, verrà riassegnato, in misura non
inferiore al 50% alla sede di tribunale o di
procura limitrofa e, nella restante parte,
all'ufficio del giudice di pace accorpante
(articolo ItaliaOggi del 12.01.2012). |
aggiornamento al
12.01.2012 |
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PUBBLICO IMPIEGO: Assistenza, congedi una tantum.
Permessi fruibili solo per due anni in tutta
la vita lavorativa. La stretta in una nota
dell'Inpdap che scalza la Funzione pubblica:
impossibile cumulare.
L'Inpdap ha bypassato la Funzione pubblica e
ha dettato le regole per la fruizione dei
congedi biennali per assistere i portatori
di handicap, limitandone complessivamente la
fruizione a soli due anni nell'arco della
vita lavorativa. Anche se i disabili da
assistere sono più di uno e le necessità si
verificano in epoche diverse.
É quanto si
evince dalla
circolare 28.12.2011 n. 22
emanata
dall'ente
previdenziale (INPDAP) guidato da Paolo Crescimbeni,
ente in corso di trasferimento all'Inps in
virtù dell'accorpamento deciso dalla manvora
salva-Italia.
L'istituto si spinge fino ad impartire
disposizioni alle altre amministrazioni
dello stato su come fruire dei congedi
previsti dall'art. 42 del decreto
legislativo 151/2001. La materia dei congedi
è stata decontrattualizzata e, per effetto
della delega contenuta nell'articolo 23
della legge 04.11.2010, n. 183, è ormai
riservata ai regolamenti. Ciò comporta che
non sia più il tavolo negoziale a dettare le
regole, ma direttamente il governo, per il
tramite di decreti legislativi. Più che
all'Inpdap, dunque, il potere di orientare
le amministrazioni centrali e periferiche
dello stato nell'applicazione della
complessa materia dei permessi decontrattualizzati spetta alla Funzione
pubblica.
All'Inpdap toccherebbe indicare
alle proprie sedi periferiche come far
pagare i contributi alle amministrazioni
quando i dipendenti fruiscono dei congedi.
Resta il fatto, però, che l'ente
previdenziale è andato ben oltre e ha messo
nero su bianco che i due anni del congedo
per assistere i disabili sono da
considerarsi una tantum. A prescindere dl
fatto che vi siano più leggi che prevedono
diverse tipologie di congedi biennali e a
nulla rilevando che vi sia più di un
disabile da assistere.
Pertanto, una volta
esauriti i due anni, secondo l'Inpdap, non
si può più fruire di altro. Il tutto senza
tenere conto che il diritto al congedo, pur
assumendo rilievo in capo al soggetto che ne
richiede la fruizione, trova la sua causa
nelle necessità di ciascuno dei disabili da
assistere e non in capo al lavoratore che lo
assista. Oltre tutto l'ente ha i giorni
contati, perché la manovra Monti ne ha
previsto la cessazione per incorporazione
nell'Inps insieme all'Enpals.
Ma nonostante
il de profundis intonato dal governo,
l'Inpdap non ha voluto rinunciare ad un
ultimo pronunciamento per dire no al cumulo
tra il congedo biennale per assistere il
disabile grave (art. 42, dlgs n. 151/2001) e
il congedo non retribuito per gravi motivi
di famiglia (art. 4, comma 2, della legge n.
53/2000). Secondo l'ente previdenziale le
due tipologie di congedo non sono cumulabili
e, in ogni caso, anche se la stessa persona
dovesse assistere nel corso della vita due
disabili diversi in epoche diverse, una
volta esauriti i 2 anni di congedo, ciò
comporterà la preclusione del diritto al
congedo biennale di cui all'art. 42 del dlgs
151/2001. E ciò determinerà l'ulteriore
effetto di non poter fruire nemmeno di
quello previsto dall'art. 4 della legge
53/2000.
Il ragionamento seguito dall'Inpdap
è il seguente: il congedo biennale non può
superare la durata di due anni per ciascuna
persona portatrice di handicap e nell'arco
della vita lavorativa. Pertanto, chi fruisce
del congedo biennale di cui all'art. 42 del dlgs 151/2000 perde la possibilità di
giovarsi del congedo biennale previsto dalla
legge 53.
---------------
Fuori
nipoti e cugini del lavoratore con handicap.
Il congedo biennale per assistere il
portatore di handicap grave può essere
fruito, nell'ordine: dal coniuge, dai
genitori, dai figli, dai fratelli e dalle
sorelle. Sono esclusi, invece, nipoti,
cugini, generi o altri familiari, anche se
convivono con il portatore di handicap.
E'
questo uno dei chiarimenti contenuti nella
circolare 28.12.2011 n. 22
emanata dall'Inpdap.
Il provvedimento dedica un
paragrafo all'individuazione degli aventi
diritto ai congedi previsti dall'art. 42 del
decreto legislativo 151/2001, la cui
disciplina è stata interessata da alcune
recenti modifiche. In particolare, l'ente
previdenziale ha spiegato che, fermo il
requisito della convivenza con l'assistito,
il congedo spetta in via prioritaria al
coniuge della persona gravemente disabile.
In mancanza del coniuge convivente il
diritto al congedo insorge in capo ai
genitori, naturali o adottivi.
L'ente
previdenziale ha chiarito inoltre che il
beneficio spetta in via subordinata in caso
di mancanza, decesso o in presenza di
patologie invalidanti del coniuge
convivente, alla madre o al padre e non può
essere utilizzato contemporaneamente da
entrambi i genitori. È possibile usufruire
del beneficio anche se l'altro genitore non
lavora, sia in caso di figlio minorenne che
maggiorenne. Non è richiesta la
dichiarazione/prova di convivenza con il
soggetto disabile e non è previsto alcun
limite di età del soggetto che assiste il
disabile. In assenza dei genitori il diritto
al congedo scatta per il figlio convivente
del soggetto disabile grave. Se non vi sono
figli nelle condizioni previste dalla legge,
il congedo può essere fruito dai fratelli e
dalle sorelle.
Lo scorrimento della scala di
priorità deve avvenire secondo l'ordine
fissato dalla legge: coniuge, genitore,
figlio, fratello, a prescindere dal sesso
degli interessati e fermo il requisito
necessario della convivenza con il disabile.
Sono esclusi nipoti, cugini, generi o altri
familiari che, pur assistendo, in
convivenza, un familiare con handicap grave,
non hanno diritto alla concessione del
congedo.
Quanto al requisito della
convivenza esso si intende soddisfatto
qualora l'assistito e l'assistente abbiano
la stessa residenza, intendendo per tale la
medesima dimora abituale. E cioè
l'abitazione nel medesimo stabile avente lo
stesso numero civico, a nulla rilevando che
i soggetti abitino in interni diversi.
---------------
Anche il congedo fa festa quando
capita di domenica. Ammessa
la fruizione frazionata, ma solo su base giornaliera.
Se il congedo va dal lunedì a un giorno
prefestivo, non è necessario ritornare in
servizio per evitare che il festivo rientri
nel periodo di congedo. La sospensione delle
lezioni, infatti, sposta l'obbligo della
presa di servizio al primo giorno utile dopo
la festa. Ma se l'assenza del lavoratore
riparte dal giorno dopo la festa, anche il
giorno festivo rientra nel congedo.
É questo
uno dei chiarimenti sulle assenze previste
dall'art. 42 del dlgs 151/2001, contenuti
nella
circolare 28.12.2011 n. 22, emanata dall'Inpdap.
L'ente previdenziale ha chiarito, inoltre,
che la fruizione del congedo per
l'assistenza dei portatori di handicap non
può eccedere il decorso del termine del
certificato della Asl che attesta lo stato
di handicap dell'assistito. Pertanto, anche
se la legge fissa il limite massimo del
congedo in due anni, la relativa fruizione
non può andare oltre il periodo di vigenza
del certificato sanitario. Si pensi, per
esempio al caso del portatore di handicap
giudicato rivedibile che, all'atto del
successivo accertamento, perda lo stato di
handicap per effetto dell'intervenuta
guarigione.
L'Inpdap ha spiegato, inoltre, che il
congedo è fruibile anche in modo frazionato.
La frazionabilità però va intesa nel senso
che l'assenza può essere fruita a giorni,
rimanendo preclusa la possibilità della
fruizione ad ore in quanto non espressamente
prevista dalla legge. Ai fini della
frazionabilità, tra un periodo e l'altro di
fruizione, per evitare che vengano computati
nel periodo di congedo i giorni festivi, i
sabati e le domeniche, è necessaria,
l'effettiva ripresa del lavoro. Il requisito
della ripresa del lavoro non è richiesto nei
casi di domanda di congedo dal lunedì al
venerdì.
A questo proposito l'Inpdap ha
fatto riferimento all'ipotesi della
settimana corta (che viene adottata talvolta
anche nelle istituzioni scolastiche). In tal
caso, secondo l'ente previdenziale, il
sabato e la domenica antecedenti la ripresa
del lavoro non devono essere conteggiati.
Sempre che non si presenti una nuova
richiesta di congedo dello stesso tipo per
il lunedì successivo.
La ripresa di servizio non è necessaria
anche se muta il titolo dell'assenza. Per
esempio se, una volta esaurito il periodo di
congedo richiesto, l'interessato prosegua
l'assenza fruendo di ferie, di permessi o si
assenti per malattia. In questi casi, cioè
nell'ipotesi di giorni di ulteriori assenze
a diverso titolo collocate immediatamente
dopo il congedo le giornate festive ed i
sabati (in caso di settimana corta) non
vanno computate nel congedo
(articolo ItaliaOggi del
10.01.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Statali, i vincoli al part-time.
Entro 60 giorni la Pa accoglie o respinge
(con motivi) la domanda (articolo Il Sole 24
Ore del 09.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Consolidamento solo sul personale.
Nei calcoli dei tetti le società «pesano»
per le spese in stipendi ma non per le
correnti.
Corte
dei conti. I chiarimenti della Sezione
autonomie sull'applicazione del limite del
50% di uscite per risorse umane che blocca
le assunzioni.
L'illusione è durata pochi giorni. La legge
di stabilità 2012 ha regalato un
allentamento della morsa sui vincoli alle
assunzioni, aumentando dal 40 al 50% il
limite del rapporto fra spesa di personale e
spesa corrente, oltre al quale scatta lo
stop ai contratti di lavoro. Ma è stata la
Corte dei conti, sezione autonomie, a
riportare gli enti con i piedi per terra.
Interpretando le modalità di applicazione
dell'articolo 76, comma 7, del Dl 78/2010,
ha indicato criteri di calcolo che
comportano, quasi certamente, lo sforamento
del vincolo appena indicato e, quindi,
l'applicazione della sanzione. Nel contempo
ha, forse involontariamente, indicato una
strada per sopperire al problema.
Ma andiamo con ordine. Con la deliberazione
14/Aut/2011, i magistrati contabili
risolvono alcuni dubbi sul consolidamento
della spesa di personale delle società
partecipate con quella degli enti locali ai
fini del calcolo dell'incidenza della spesa
di personale sulla spesa corrente. Il
principio posto a base del consolidamento
sta nella proporzionalità diretta: il valore
dei corrispettivi pagati da ogni singolo
ente determina il quantum della spesa di
personale che spetta a ogni soggetto che
partecipa in società a capitale pubblico
totalitario o di controllo, che abbia
ottenuto affidamenti senza gara (si veda
l'articolo a lato).
Tre sono, quindi, le quantità che devono
essere recuperate dal bilancio della società
stessa o dalla relazione al rendiconto che i
revisori inviano alla stessa Corte dei conti
e che, a sua volta, richiama lo schema di
conto economico del Codice civile:
- la spesa di personale della società,
coincidente con la voce B9 del conto
economico, senza alcuna decurtazione per
fondi o accantonamenti. Ne fanno, quindi,
parte anche l'accantonamento per il Tfr e
per eventuali fondi di previdenza
complementare. A questi fini, il concetto di
spesa e di costo coincidono e il criterio
guida è rappresentato dalla competenza
economica;
- il valore della produzione della società,
corrispondente, come specificato nelle
istruzioni alla relazione, alla lettera A
del conto economico;
- i corrispettivi pagati alla società per le
prestazioni rese a favore dell'ente.
Sottolineano i magistrati contabili che, in
caso di servizio a tariffa, si devono
considerare anche i ricavi associati agli
utenti di ciascun ente partecipante alla
società.
Il riparto avviene rapportando i
corrispettivi (punto 3) al valore della
produzione (punto 2) e moltiplicando il
quoziente per la spesa di personale (punto
1). Questo è l'importo da consolidare con la
spesa di personale dell'ente e l'operazione
va ripetuta per ogni amministrazione
partecipante la società.
I conti, però, non quadrano. Infatti, nel
valore della produzione il Codice civile
ricomprende anche altre voci che non sono
direttamente correlate alle prestazioni di
servizi, quali i contributi in conto
esercizio, le variazioni delle rimanenze e
gli incrementi delle immobilizzazioni per
lavori interni. Ne consegue che una parte
della spesa di personale potrebbe non essere
imputata ai singoli enti o, in caso di
variazione negativa delle scorte, la spesa
imputata potrebbe superare la spesa
effettiva di personale della società.
Ma la forte penalizzazione per gli enti è
rappresentata dal consolidamento della sola
spesa di personale, senza alcun incremento
della quantità "spesa corrente". È evidente
come, operando in tal modo, il valore del
rapporto spesa di personale sulla spesa
corrente si incrementi in modo
significativo, in spregio a quel criterio di
ragionevolezza e ai principi che si pongono
a base del bilancio consolidato, che la
stessa Corte auspica nella delibera in
commento. Aumentare anche la spesa corrente
dei costi che la società sostiene a fronte
di ricavi non correlati a corrispettivi
pagati dai singoli enti rappresenterebbe una
misura sicuramente più equa. Emblematico è
il caso delle farmacie.
Con molta probabilità, comunque, non è stata
messa la parola fine: l'interpretazione
proviene dalla sezione autonomie della Corte
dei conti e non dalle sezioni riunite, e
quindi non ha effetto vincolante per le
sezioni regionali
(articolo Il Sole 24
Ore del 09.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, semplificazioni beffa.
Per gli operatori resta l'obbligo di inviare
il Mud entro aprile. Le misure introdotte
dal dm 298/2011. Al Sistri vanno comunicati
codici, quantità e destinazione.
Ormai è ufficiale: il termine per l'invio
dei dati su produzione, recupero e
smaltimento rifiuti relativi al periodo 2011
non coperto dal Sistri è slittato dal 31.12.2011 al 30.04.2012. Come
disposto dal decreto 12.11.2011
dell'ormai ex ministro all'Ambiente Stefania
Prestigiacomo approdato finalmente alla
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 298
del 23.12.2011.
L'esigenza di rinviare la scadenza al 30.04.2012 nasce da una serie di proroghe
succedutesi a catena. Da ultimo quella
dell'art. 13, comma 2, del dl 216/2011 (c.d.
decreto «mille proroghe») pubblicato in G.U.
n. 302 del 29.12.2011 che posticipava
l'entrata in vigore del Sistri al 02.04.2012. Una posticipazione che seguiva quella
già disposta dall'art. 6, comma 2, del dl
138/2011 (la manovra di fine estate),
convertito con legge 14.09.2011 n.
148 e che prorogava il termine di entrata in
operatività del Sistri al 09.02.2012.
Ciò in costanza dell'art. 12, comma 1, del
dm 17.12.2009, come modificato con
successivo dm del 22.12.2010, che
disponeva che le informazioni relative
all'anno 2011 sui rifiuti prodotti o gestiti
fossero comunicate al Sistri entro il 31.12.2011 da parte dei soggetti tenuti
alla presentazione del modello unico di
dichiarazione ambientale (Mud) di cui alla
legge 25.01.1994, n. 70.
Da ora, pertanto, sia i produttori iniziali
di rifiuti sia le imprese e gli enti che
effettuano operazioni di recupero e
smaltimento, e che erano tenuti alla
presentazione del Mud, dovranno comunicare
al Sistri entro il prossimo 30 di aprile,
compilando l'apposita scheda, le seguenti
informazioni, relative al periodo dell'anno
2010 precedente all'operatività del sistema
Sistri, sulla base dei dati inseriti nel
registro di carico e scarico di cui
all'articolo 190 del dlgs 03.04.2006, n.
152:
a) il quantitativo totale di rifiuti
annotati in carico sul registro, suddiviso
per codice Cer;
b) per ciascun codice Cer, il quantitativo
totale annotato in scarico sul registro, con
le relative destinazioni;
c) per le imprese e gli enti che effettuano
operazioni di recupero e di smaltimento dei
rifiuti, le operazioni di gestione dei
rifiuti effettuate;
d) per ciascun codice Cer, il quantitativo
totale che risulta in giacenza.
A questo punto è opportuno ricordare che tra
gli obiettivi del Sistri c'era quello della
semplificazione normativa ed operativa in
favore delle imprese, oltre a quello del
miglioramento della tracciabilità dei
rifiuti. In realtà, sembra che così non si
riesca affatto a ridurre il numero di
adempimenti per le imprese. Il «tormentone»
del Sistri e della sua entrata in vigore ha
inoltre avuto il demerito di distrarre
amministrazioni e opinione pubblica da altri
temi di fondamentale importanza per l'Italia
e l'Europa. Per esempio la Direttiva rifiuti
n. 98/2008 (recepita dal dlgs n. 205/2010),
che introduce degli obiettivi vincolanti di
riuso e riciclaggio per i rifiuti domestici
e per quelli derivanti dall'edilizia.
La
recente Tabella di marcia per l'uso
efficiente delle risorse, pubblicata nello
scorso mese di settembre, prevede, fra
l'altro, il miglioramento della gestione dei
rifiuti attraverso un miglior utilizzo delle
risorse e può aprire nuovi mercati e creare
posti di lavoro, favorendo una minore
dipendenza dalle importazioni di materie
prime e consentendo di ridurre gli impatti
ambientali
(articolo ItaliaOggi
Sette del 09.01.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Imu-Ici, dieci gradi di
separazione.
Tra detrazioni familiari e case all'estero,
cosa fa la differenza. Similitudini e
diverse caratteristiche delle due imposte
immobiliari, con gli effetti per i contribuenti.
L'Imu non è l'Ici. Almeno dieci differenze
fanno sì che la nuova imposta abbia effetti
diversi dalla vecchia comunale sugli
immobili. Da quando la manovra Monti ha
anticipato al 2012 l'entrata in vigore dell'Imu,
questa è stata spesso definita come una
sorta di Ici allargata e nulla più.
Si tratta, invece, di una nuova imposta che
è vero che sostituisce l'Ici (ma non solo) e
che ha non pochi punti in comune con la
stessa, ma è anche vero che ha
caratteristiche proprie. Ecco allora le
dieci differenze di maggior rilevanza che
saranno quelle che i contribuenti dovranno
considerare per verificare convenienze e
sconvenienze della nuova imposta.
1. Abitazione principale. Forse è la
differenza che ha avuto la maggior
pubblicità. Al contrario di quanto accadeva
con l'Ici, con la nuova imposta anche
l'abitazione principale sarà da assoggettare
al tributo con un evidente aggravio per i
titolari dell'abitazione principale (che
fino a oggi non pagavano alcunché né ai fini
Ici né ai fini Irpef). L'imposta
sull'abitazione principale è fissata allo
0,4% ma i comuni hanno il potere di
modificarla di 0,2 punti percentuali in più
o in meno. Quindi la stessa potrà variare
dallo 0,2 allo 0,6%.
2. Detrazione per carichi di famiglia. In
sede di conversione per ogni figlio fino ai
26 anni di età, che vive in famiglia, è
concessa una detrazione aggiuntiva a quella
stabilita per l'abitazione principale di 50
euro. Il tetto massimo della nuova
detrazione sarà di 400 euro da sommare ai
200 concessi in generale per l'abitazione
principale (quindi il bonus massimo sarà di
600 euro). Lo sconto sarà efficace nel 2012
e 2013 mentre nulla si prevede con riguardo
al 2014. Nessun previsione similare esisteva
ai fini Ici (nemmeno quando era tassata
l'abitazione principale).
3. Sostituzione dell'Irpef. Questa ulteriore
differenza non sempre è stata messa in
evidenza. La nuova Imu infatti oltre a
sostituire l'Ici sostituisce anche l'Irpef e
le addizionali sugli immobili non locati
differenti dall'abitazione principale.
Da ciò i calcoli di convenienza rispetto al
passato dovranno tener conto anche di tale
situazione. Per le seconde o terze case solo
un calcolo sul singolo caso potrà consentire
di verificare l'effetto della nuova
previsione anche se molto spesso si giungerà
a individuare anche in questo caso un
aggravio. I calcoli dell'esborso e quindi
del confronto con la situazione attuale
dovranno però tener conto anche del potere
che è assegnato ai comuni per la
rimodulazione delle aliquote e delle misure
delle detrazioni.
4. Valore immobili. La base imponibile Imu è
individuata partendo dal valore della
rendita catastale rivalutato. Poi, come già
succedeva con l'Ici, per passare dalla
rendita al valore dell'immobile sono stati
individuati alcuni moltiplicatori. Ma tali
moltiplicatori sono ben più alti rispetto a
quelli in vigore con l'Ici. Da qui
naturalmente una logica conseguenza è quella
che si assisterà a un incremento della base
imponibile dell'imposta municipale rispetto
a quella Ici.
Almeno per ora il nuovo valore
così individuato esplica efficacia solo con
riferimento all'imposta comunale. Guardando
ai casi più comuni, gli effetti si faranno
sentire non poco. Basti pensare che sulle
abitazioni il nuovo moltiplicare di 160
sostituisce il precedente di 100 e sugli
uffici il nuovo di 100 sostituisce il
precedente di 50 (con una sorta di raddoppio
della base imponibile).
5. Aliquote. Anche sul fronte delle aliquote
non mancano le novità. La vecchia Ici
prevedeva per le abitazioni una imposta che
poteva variare dal 4 al 7 per mille, spazio
entro cui i comuni poteva scegliere le
differenziazioni che volevano introdurre nel
loro territorio comunale. Ora invece
sull'abitazione principale è fissata allo
0,4% ma i comuni hanno il potere di
modificarla di 0,2 punti percentuali in più
o in meno. Quindi la stessa potrà variare
dallo 0,2 allo 0,6%.
Sugli immobili è
fissata allo 0,76%, ma i comuni hanno il
potere di modificarla di 0,3 punti
percentuali in più o in meno. Quindi la
stessa potrà variare dall'1,06% allo 0,46%.
Inoltre la stessa è fissata allo 0,2% per i
fabbricati rurali a uso strumentale e i
comuni possono ridurre la suddetta aliquota
fino allo 0,1%. Inoltre i comuni possono
ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4%
nel caso di immobili non produttivi di
reddito fondiario o nel caso di immobili
posseduti da soggetti Ires, ovvero nel caso
di immobili locati.
6. Potere regolamentare dei comuni. Anche in
ambito Imu rimane fermo il potere
regolamentare dei comuni, ovvero la
possibilità degli stessi di modulare
l'imposta con riguardo a specifiche
fattispecie. Una particolarità riguarda però
gli immobili inagibili e per i fabbricati
realizzati per la vendita e non venduti
dalle imprese che hanno per oggetto
esclusivo o prevalente dell'attività la
costruzione e l'alienazione di immobili. In
tal caso l'Ici non era dovuta per espressa
previsione normativa mentre di tale
esclusione non vi è traccia nell'Imu. La
stessa quindi potrà essere accordata, ma
solo in via opzionale dai comuni esercitando
il loro potere regolamentare.
7. Compartecipazioni erariale. L'Ici era
un'imposta comunale il cui gettito finiva
interamente nelle casse dell'ente
periferico. Non è così per l'Imu. È stata,
infatti, prevista una compartecipazione
dello stato all'Imu nella misura: del 50%
dell'imposta determinata applicando
l'aliquota di base di cui al (0,76%) alla
base imponibile di tutti gli immobili, a
eccezione dell'abitazione principale e dei
fabbricati rurali. In tal caso le detrazioni
e le riduzioni di aliquota deliberate dai
comuni, non si applicano alla quota di
imposta riservata allo stato di cui al
periodo precedente.
Ora ciò può avere un
effetto diretto per i contribuenti. Se gli
immobili diversi dalla casa di abitazione e
quelli rurali il gettito dovrà essere
devoluto allo stato nella misura del 50%
dell'imposta totale calcolata con l'aliquota
dello 0,76% sarà ben difficile che i comuni
sfruttando il loro potere giungeranno ad
abbattere tale aliquota perché così facendo
correrebbero il rischio di incassare solo
poco più di quello che in ogni caso sarà il
gettito di competenza (per legge)
dell'erario centrale.
8. Fabbricati rurali. Niente sconti per i
fabbricati rurali. La nuova Imu cancella
l'esenzione Ici per i fabbricati rurali.
Tali immobili pagheranno con un'aliquota
ridotta allo 0,2% nel caso di fabbricati
rurali ad uso strumentale (quindi stalle,
depositi attrezzi, ecc). Vi è però la
possibilità dei comuni di abbattere
l'aliquota allo 0,1%. Nel caso di fabbricati
rurali a destinazione abitativa non vi sono
differenze rispetto alla tassazione di tutti
i fabbricati abitativi non rurali. Se il
fabbricato rurale a uso abitativo, è
abitazione principale pagherà l'Imu in base
all'aliquota e alle detrazioni stabilite per
detta fattispecie. Se invece non è
abitazione principale, sarà assoggettato
all'Imu secondo le regole ordinarie.
9. Fabbricati esteri. Anche se tecnicamente
ha un altro nome un'altra differenza
rispetto all'Ici è che la nuova imposizione
colpirà anche gli immobili esteri. Il
decreto Monti ha introdotto un'imposta sul
valore degli immobili situati all'estero
stabilita nella misura dello 0,76% del
valore degli immobili specificando che lo
stesso è costituito dal costo risultante
dall'atto di acquisto o dai contratti e, in
mancanza, secondo il valore di mercato
rilevabile nel luogo in cui è situato
l'immobile. Quindi in prima battuta vale il
costo di acquisto, ma se non vi è la
possibilità di dimostrarlo (o forse anche se
lo stesso non esiste in quanto l'immobile è
pervenuto in forma gratuita) ecco allora che
interviene il valore di mercato.
10. Pagamenti. Qui il cantiere è ancora
aperto. Le abituali scadenze Ici erano
quella del 16 giugno e del 16 dicembre.
Entro la prima data occorreva versare
l'acconto d'imposta per l'anno in corso ed
entro la seconda il saldo di quanto dovuto.
Il decreto sul federalismo prevede invece
scadenze differenti. Si prevede infatti che
il pagamento dell'Imu intervenga in un
minimo di 4 rate:
●
31 marzo -
●
16 giugno -
●
30 settembre -
●
16 dicembre.
Sul punto saranno necessari i chiarimenti
della prassi soprattutto in sede di prima
applicazione che presumibilmente dovranno
indicheranno anche gli obblighi dichiarativi
correlati alla nuova imposta
(articolo ItaliaOggi
Sette del 09.01.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Dalla riforma delle pensioni a
guadagnarci sono gli autonomi. Le nuove
prestazioni previdenziali: accesso ridotto
di un semestre per artigiani e commercianti.
Artigiani e commercianti vanno in pensione
di vecchiaia sei mesi prima. Gli unici a
guadagnarci dalla riforma Monti, infatti,
sono i lavoratori autonomi che già da
quest'anno possono accedere sei mesi prima
al riposo. È la nuova pensione di vecchiaia,
che eleva il requisito dell'età (senza più
la vecchia «finestra mobile») quasi a 66
anni per dipendenti e autonomi uomini e per
le donne del pubblico impiego, a 63 anni e 6
mesi per le lavoratrici autonome e a 62 anni
per le donne del privato (requisiti per il
2012).
La nuova pensione di vecchiaia. Dall'anno
2012 scompaiono le pensioni di vecchiaia, di
vecchiaia anticipata e di anzianità,
sostituite da due sole prestazioni: la
«pensione di vecchiaia» e la «pensione
anticipata». Dal 2012, in particolare,
esiste un solo trattamento di vecchiaia che
si consegue, con riferimento a «tutti» i
lavoratori e per l'anno 2012, in presenza di
un requisito minimo contributivo pari a 20
anni (che sostituisce il vecchio requisito
di 20 di contribuzione per la pensione di
vecchiaia retributiva e quello di 5 anni per
la pensione di vecchiaia contributiva) e
un'età non inferiore: 66 anni per i
lavoratori dipendenti e autonomi, compresi
quelli iscritti alla gestione separata Inps
(co.co.co. e lavoratori a progetto); 62 anni
per le lavoratrici dipendenti del settore
privato; 63 anni e 6 mesi per le lavoratrici
autonome del settore privato, comprese
quelle iscritte alla gestione separata Inps
(co.co.co. e lavoratrici a progetto); 66
anni per i lavoratori dipendenti del settore
pubblico.
Va notato, tuttavia, che
l'innalzamento dell'età non sempre
corrisponde a un effettivo aumento del
requisito per il diritto alla pensione,
perché i nuovi requisiti inglobano anche il
tempo di attesa per la «decorrenza» della
pensione, che nella vecchia disciplina era
rappresentato dalla «finestra mobile».
Oltre
al requisito di età e di contribuzione,
inoltre, se il lavoratore appartiene
pienamente al regime contributivo (cioè ha
iniziato a lavorare a partire dall'01.01.1996), per il diritto alla pensione di
vecchiaia occorre che soddisfi un'ulteriore
condizione: l'assegno di pensione non deve
risultare di importo inferiore a 1,5 volte
l'assegno sociale (in precedenza questo
limite era di 1,2 volte). Non è necessario
soddisfare la predetta soglia minima da
parte di chi è in possesso di un'età pari a
70 anni; in tal caso, inoltre, è sufficiente
anche un'anzianità contributiva minima
effettiva di soli 5 anni. Tale importo
soglia (1,5 volte l'assegno sociale) è
soggetto all'annuale rivalutazione sulla
base della variazione media quinquennale del
prodotto interno lordo (pil) nominale,
appositamente calcolata dall'Istat, con
riferimento al quinquennio precedente l'anno
da rivalutare.
Novità assoluta della nuova pensione di
vecchiaia è la flessibilità che si sostanzia
in un meccanismo premiale a favore di chi
ritardi l'accesso alla pensione, rispetto
all'età minima prestabilita per legge e fino
a 70 ani. Chi prosegue l'attività lavorativa
oltre l'età minima di pensione, in altre
parole, è premiato con l'applicazione di un
«coefficiente di trasformazione» di misura
più conveniente. A tal fine, questi
coefficienti (che sono i tassi percentuali
che applicati al montante contributivo danno
la misura della pensione) saranno
predeterminati fino all'età di 70 anni
(salvo successivi adeguamenti alla speranza
di vita).
Poiché, come già detto, la
revisione del requisito di età ha decretato
l'abrogazione definitiva delle finestre di
pensionamento, dall'01.01.2012 la pensione
decorre dal mese successivo a quello di
maturazione dei requisiti per il diritto
(ossia cessazione dal lavoro)
(articolo ItaliaOggi
Sette del 09.01.2012). |
aggiornamento al
09.01.2012 |
|
ENTI LOCALI: Comuni, no ai bilanci che snobbano
il Patto. Cndcec,
in arrivo il parere dell'organo di
revisione.
Parere non favorevole al bilancio dell'ente
locale, da parte dei revisori, nel caso in
cui le previsioni di bilancio annuali e
pluriennali: non siano atte a rispettare il
principio della coerenza esterna ed in
particolare gli obiettivi programmatici
disposti dalla legge per il patto di
stabilità interno; non tengano conto degli
effetti sanzionatori per il mancato rispetto
del patto di stabilità interno anno, in
particolare per le limitazioni imposte alle
spese.
È quanto specificato nella versione
aggiornata del parere dell'Organo di
Revisione sulla proposta di bilancio 2012
elaborata dal Consiglio nazionale dei
dottori commercialisti ed esperti contabili,
disponibile nei prossimi giorni (i lavori
della commissione sono stati coordinati da
Giosuè Boldrini).
Le principali novità del
nuovo parere (che sostituisce integralmente
quello pubblicato lo scorso 23 dicembre),
riguardano, nella sezione dedicata ai
controlli, l'introduzione dei paragrafi
relativi all'Imu ed al Tributo Comunale sui
Rifiuti nonché l'apporto di significative
modifiche nei paragrafi relativi al Patto di
Stabilità (inserendo anche il calcolo del
saldo obiettivo 2013 e 2014 per i Comuni da
1.000 a 5.000 abitanti), all'applicazione
dell'avanzo presunto, all'Addizionale
Comunale IRPEF, al Fondo Sperimentale di
Riequilibrio ed alle Spese di Personale.
Nella sezione dedicata alle Osservazioni ed
ai Suggerimenti le principali novità
riguardano l'introduzione di specifici
paragrafi che riguardano le delibere
regolamentari e tariffarie relative ad
entrate tributarie, le gare bandite dal
31/03/2012 dai Comuni inferiori a 5.000
abitanti, la «delibera quadro» sui servizi
pubblici, il «regime transitorio» degli
affidamenti non conformi, la riduzione del
numero dei componenti degli organi di
amministrazione, di vigilanza e di controllo
negli enti e negli organismi strumentali.
Va
ricordato che con decreto del Ministro
dell'Interno è stato prorogato al 31.03.2012 il termine per l'approvazione del
bilancio di previsione degli enti locali.
Dovrebbe consentire di risolvere le
difficoltà in ordine alla esatta
quantificazione del Fondo di Riequilibrio e
degli obiettivi del Patto di Stabilità per
effetto delle modifiche e delle novità
introdotte dalla decreto Monti, oltre a
consentire una più puntuale elaborazione
delle previsioni di gettito Imu. Il parere
richiama i nuovi Principi di Vigilanza e
Controllo approvati dallo stesso Cndcec lo
scorso 21 dicembre
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Semplificazione.
La legge di stabilità 2012 taglia la
richiesta di certificati da parte degli
uffici.
Autocertificazione estesa nella Pa.
La «decertificazione» nei rapporti tra
privati e Pubblica amministrazione
introdotta dalla legge di stabilità 2012
(legge 183/2011), in base alla quale le Pa
centrali e locali e i gestori di servizi non
possono più richiedere al privato, né
accettare certificati, riguarda tutte le
tipologie di certificati, da qualsiasi ente
pubblico o gestore di servizi pubblici siano
emessi. I certificati rilasciati
dall'amministrazione potranno essere usati
solo nei rapporti fra privati (si veda «Il
Sole 24 Ore» di ieri). Questo significa che,
in ogni caso, le Amministrazioni devono
procurarsi le informazioni necessarie
direttamente dagli enti certificanti, o
accettare dai cittadini solo dichiarazioni
sostitutive di certificati o di atti di
notorietà.
Autocertificazione estesa.
È destinato a estendersi, dunque, il
perimetro dell'autocertificazione tracciato
dall'articolo 46 del Dpr 445/2000. Fra le
informazioni autocertificabili (si veda la
tabella a lato), figura ad esempio, per le
imprese, l'iscrizione in registri (come il
Registro imprese) e in Albi pubblici, nonché
il fatto di non trovarsi in stato di
liquidazione o di fallimento e di non aver
presentato domanda di concordato.
La portata generale della nuova disposizione
interessa, per esempio, i soggetti che
intendano intraprendere un'attività
imprenditoriale, con o senza dipendenti. In
questa seconda ipotesi, la semplificazione
riguarda la documentazione da allegare alla
comunicazione unica per l'avvio
dell'attività di impresa, che l'interessato
(articolo 9 del Dl 7/2007) dovrà presentare
all'ufficio del Registro imprese. La
riduzione dei documenti da presentare
diventa poi rilevante quando l'attività
d'impresa deve essere iniziata tramite la
Scia (Segnalazione certificata di inizio
attività).
Per quanto riguarda i datori di lavoro, la
semplificazione è sempre applicata in
occasione del riconoscimento di particolari
benefici per l'assunzione di lavoratori che
hanno uno status occupazionale di disagio,
in base all'età, alla durata della
disoccupazione, alle condizioni fisiche, e
così via.
Per le lavoratrici madri, decade l'obbligo
di produrre il certificato di nascita del
figlio, da presentare all'Inps entro 15
giorni dall'evento (articolo 21 del Testo
unico 151/2001). Per la presentazione dello
stesso certificato al datore di lavoro,
l'Inps aveva già stabilito (messaggio
14488/1999) che potesse essere sostituito
con una dichiarazione di responsabilità.
Autocertificazione esclusa.
Restano, però, dei casi in cui
l'autocertificazione è esplicitamente
esclusa, che sono regolati dall'articolo 49
del Dpr 445/2000. È il caso, ad esempio, del
certificato di origine di una merce,
rilasciato dalla Camera di commercio e
generalmente destinato all'export. Non può
essere il produttore, infatti, ad
autocertificare l'origine della propria
merce. Rientrano in questa categoria anche i
certificati medici, sanitari, veterinari, di
conformità Ce, di marchi e brevetti
(articolo Il Sole 24
Ore del 07.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
VARI: UE
E TRASPORTI/1 - Nuovi requisiti di
sicurezza. I catarifrangenti su tutte le
biciclette.
Sono stati fissati dalla
Commissione europea i requisiti di sicurezza
delle biciclette.
È stata infatti pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale dell'Unione Europea L319 del
02.12.2011 la
decisione della Commissione n.
2011/786/Ue del 29.11.2011, che entra in
vigore il 22.12.2011.
La decisione, adottata conformemente alle
norme e alle procedure previste dalla
direttiva n. 2001/95/Ce del Parlamento
europeo e del Consiglio del 03.12.2001
sulla sicurezza generale dei prodotti,
definisce i requisiti specifici di sicurezza
per le biciclette. Spetterà ora agli
organismi europei di normalizzazione
elaborare in dettaglio le norme tecniche
conformemente a quanto specificato dalla
Commissione europea.
Rientrano nel campo di applicazione della
decisione n. 2011/786/Ue le biciclette per
bambini (con un'altezza massima della sella
superiore a 435 mm e inferiore a 635 mm,
destinata a persone di un peso massimo di 30
kg), le biciclette da città e da trekking,
le mountain bikes, le biciclette da corsa e
i portapacchi fissati sulla ruota anteriore
o su quella posteriore per trasportare
bagagli o bambini seduti su un apposito
seggiolino. Fra i requisiti generali, la
decisione prevede che, per garantire
un'adeguata visibilità del mezzo e del suo
guidatore, tutte le biciclette devono essere
munite di dispositivi di illuminazione e
catarifrangenti davanti, dietro e ai lati,
secondo le disposizioni in vigore nel paese
in cui il prodotto è commercializzato.
Il fabbricante deve indicare la capacità
massima di carico ammissibile e specificare
se è possibile fissare alla bicicletta il
portapacchi o il seggiolino per bambini.
Devono essere presenti almeno due sistemi di
frenatura indipendenti, che agiscono sulla
ruota anteriore e su quella posteriore. Sul
telaio deve essere indicato in modo visibile
e permanente il numero di serie e i
riferimenti di chi ha effettuato il
montaggio. Particolare attenzione viene
riservata alle biciclette per i bambini,
considerato che, secondo la banca dati
europea sulle lesioni, per il 37% i danni
fisici connessi all'utilizzo del velocipede
riguardano bambini di età compresa fra 5 e 9
anni.
Le biciclette per bambini, che non siano
considerate giocattoli ai sensi della
direttiva n. 2009/48/Ce, devono essere
progettate in modo che non siano montati
cinturini o staffe per pedali e dispositivi
di sganciamento rapido, sia limitata la
forza dei freni anteriori e non ci siano
pericoli di intrappolamento.
La decisione n. 2011/786/Ue definisce anche
i requisiti di sicurezza dei portapacchi per
biciclette, dove possono essere trasportati
bagagli o bambini sull'apposito seggiolino.
In dettaglio, il portapacchi non deve
ostacolare la visibilità del mezzo in
condizioni di oscurità o scarsa visibilità.
Le sporgenze e gli angoli taglienti non
devono comportare rischi di lesione. Insieme
al prodotto devono essere fornite ai
consumatori le necessarie informazioni
sull'utilizzo e sull'eventuale montaggio,
con le avvertenze sull'utilizzo in
condizioni di sicurezza
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: Uno
stop all'equo indennizzo. Addio a pensioni
privilegiate e rimborsi per cause di
servizio. Ecco le novità in materia di
personale contenute nella manovra Monti
(legge 214 del 2011).
Abrogazione dell'equo
indennizzo, del rimborso delle spese di
degenza e delle pensioni privilegiate in
caso di cause di servizio; innalzamento al
50% del tetto massimo del rapporto tra spesa
per il personale e spesa corrente ed
utilizzazione nel corso del 2012 delle
graduatorie approvate dopo il dicembre del
2005: sono queste le principali novità in
materia di personale dipendente dalle P.a.
contenute nel decreto legge n. 201, per come
convertito dalla legge n. 214/2011, cd salva
Italia, e nel decreto n. 216/2011, cd
milleproroghe.
Le novità contenute in queste disposizioni
non sono certamente le parti più importanti
di questi provvedimenti, in quanto le misure
di maggiore rilievo innovativo per il
pubblico impiego erano state già assunte con
le precedenti manovre. Ma il loro rilievo è
comunque assai importante, in particolare
per l'apertura che consente alla possibilità
di utilizzare i ridotti margini di
assunzioni previsti dall'ordinamento.
Vengono abrogati i benefici previsti per i
dipendenti che hanno contratto patologie per
cause di servizio: l'accertamento della
dipendenza dell'infermità da causa di
servizio, il rimborso delle spese di degenza
per causa di servizio, l'equo indennizzo e
la pensione privilegiata. Ricordiamo che
l'equo indennizzo si concretizza nella
erogazione di un compenso una tantum e la
pensione privilegiata è il collocamento in
quiescenza di coloro che hanno acquisito una
grave inabilità, a prescindere dalla
anzianità effettivamente maturata. Questi
benefici erano tra loro sommabili, previo
accertamento medico. L'abrogazione si
applica a tutti i dipendenti, tranne che a
quelli impegnati in uno dei seguenti
comparti: sicurezza, difesa e soccorso
pubblico, nonché ai vigili del fuoco.
L'abrogazione non interessa i procedimenti
che sono in corso, nonché quelli per cui non
sia scaduto il termine di presentazione
delle domande e quelli instaurabili
d'ufficio per fatti accaduti precedentemente
alla data di entrata in vigore del decreto
stesso. Il decreto legge cd salva Italia
aumenta al 50% il tetto massimo del rapporto
tra spese del personale e spese correnti che
consente agli enti locali di effettuare
assunzioni di personale a qualsiasi titolo.
Ricordiamo che tale tetto era stato fissato,
a decorrere dallo scorso 01.01.2011, nel
40%. In questo modo si torna ad offrire a
numerose amministrazioni locali, siano esse
soggette o meno al patto di stabilità, la
possibilità di effettuare assunzioni di
personale a tempo indeterminato e
determinato.
Infatti la sanzione per gli enti
inadempienti di questo vincolo, come del
rispetto del patto di stabilità e del
rispetto del tetto di spesa del personale
dell'anno precedente (per gli enti non
soggetti al patto del 2004) è il divieto di
effettuare assunzioni di dipendenti a
qualunque titolo, ivi comprese le mobilità,
nonché di utilizzare i contratti di
somministrazione.
Ricordiamo che con la lettura data dalle
sezioni riunite di controllo della Corte dei
Conti (deliberazione n. 27/2011) la nozione
di spesa del personale è stata fortemente
ampliata e con le previsioni contenute nel
dl n. 98/2011 è stato previsto l'inserimento
della spesa del personale delle società
controllate dagli enti locali. Il decreto
legge milleproroghe 2011 dispone la
utilizzazione nel corso del 2012 delle
graduatorie concorsuali approvate dopo il
31/12/2005.
Ricordiamo che, prima con il decreto
milleproroghe 2012 e poi con uno specifico
decreto del ministro per la Pubblica
Amministrazione e l'Innovazione, era stata
disposta nel 2011 la utilizzazione delle
graduatorie concorsuali approvate dopo il
mese di settembre del 2003. Ed ancora, che
in assenza di norme di proroga, la durata
delle graduatorie concorsuali è fissata in
un triennio
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: Il
2012 potrebbe essere un anno molto delicato
per il personale delle amministrazioni
pubbliche. Riqualificazione, futuro in
bilico. Dipendenti in esubero, blocco delle
risorse per la formazione.
La riqualificazione dei dipendenti pubblici
in esubero viene messa a rischio dal blocco
delle risorse da spendere per la formazione.
Il 2012 potrebbe essere un anno molto
delicato per il personale pubblico. Vi è,
infatti, una normativa che nel suo complesso
può preludere ad una forte redistribuzione e
reimpiego del personale.
In primo luogo, l'articolo 33 del dlgs
165/2001 impone alle amministrazioni
pubbliche di effettuare annualmente la
ricognizione di eventuali esuberi,
giustificati sia da esigenze funzionali, sia
da problemi di bilancio e finanziari. Poi,
le varie manovre finanziarie hanno imposto
un ulteriore taglio del 10 per cento della
spesa relativa alle dotazioni organiche
delle amministrazioni statali da effettuare
entro il 31 marzo. Infine, l'accorpamento
tra Inps e Inpdap ha già determinato la
previsione di circa 700 esuberi. La stima è
di oltre 15.000 dipendenti pubblici in
eccedenza rispetto ai fabbisogni.
Anche nella pubblica amministrazione,
dunque, si pone un potenziale problema di
rilevanti fuoriuscite di personale. Occorre
ricordare, infatti, che i dipendenti in
esubero se non sono ricollocati all'interno
degli enti che li considerano in eccedenza
in altre mansioni o non sono trasferiti
verso altri enti per mobilità, vengono
inseriti nelle liste di «disponibilità».
Il che equivale ad essere sulle soglie del
licenziamento: il dipendente in
disponibilità, infatti, non svolge più
attività lavorative per l'ente di
appartenenza e riceve per 24 mesi
un'indennità pari all'80% del trattamento
economico fondamentale oltre all'assegno di
famiglia. Decorsi i 24 mesi, il rapporto di
lavoro si chiude.
Proprio i tagli alla spesa per le dotazioni
organiche (che considerando il periodo
2008-2010 ammonta, ormai, a quasi il 30%)
renderanno piuttosto difficile il
trasferimento dei dipendenti per mobilità.
Gran parte delle amministrazioni statali,
infatti, potrebbe ritrovarsi in condizione
di esubero, sicché non potrebbero accogliere
personale proveniente da altri enti.
La mobilità intercompartimentale, cioè
trasferimenti tra enti diversi, per esempio
Stato ed enti locali, potrebbe essere resa
complicata sia dall'attuazione dell'articolo
33 del dlgs 165/2001, sia dalla manovra
intricatissima relativa alle province:
potenzialmente, ben 56.000 dipendenti
provinciali potrebbero essere coinvolti in
processi di esubero e trasferimenti.
Un'arma per contenere gli effetti anche
sociali enormi che esuberi così massicci di
personale potrebbero determinare, allora, è
la già ricordata possibilità di reimpiego
dei dipendenti in esubero in altre mansioni
e ruoli, sia all'interno degli enti da cui
dipendono, sia presso altri enti.
A questo scopo, allora, risulta fondamentale
investire in formazione e aggiornamento:
solo in questo modo si può garantire ai
lavoratori la possibilità di acquisire
competenze nuove e diverse, utili per una
ricollocazione lavorativa.
Tuttavia, l'articolo 6, comma 13, del dl
78/2010, convertito in legge 122/2010,
continua ad inchiodare la spesa per
formazione sostenibile dalle amministrazioni
entro il tetto del 50% di quella sostenuta
nel 2009.
Risulta evidente che col nuovo assetto
normativo il tetto alla formazione, già di
per sé poco strategico ed asfittico, visto
che il recupero di efficienza del pubblico
impiego non potrebbe che passare per
attività formative di qualità, non è
coerente. Potenziali esuberi per decine di
migliaia di dipendenti vanno necessariamente
gestiti anche tramite la formazione, la cui
spesa dovrebbe aumentare, piuttosto che
restare ancorata ad un tetto.
In assenza di un'urgente cancellazione del
vincolo alla spesa, l'attuazione delle
misure di contenimento della spesa di
personale e l'avvio degli esuberi potrebbe
determinare una Caporetto organizzativa ed
occupazionale, della quale proprio non si
sentirebbe il bisogno
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Accesso per il candidato.
L'aspirante sindaco può visionare l'esposto.
La trasparenza prevale se in ballo ci sono
interessi giuridici del richiedente.
Come si configura
l'esercizio del diritto di accesso nel caso
di un candidato a sindaco, poi eletto,
interessato ad acquisire copie di un esposto
volto a segnalare una causa ostativa
all'assunzione della candidatura?
Nell'impianto normativo di cui agli artt. 22
e segg. della legge n. 241/1990 e successive
modifiche, il diritto di accesso ai
documenti amministrativi si configura come
diritto alla conoscenza di fatti incidenti
nella sfera giuridica del richiedente per la
tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti.
Tale diritto è naturalmente subordinato alla
prova della corretta correlazione tra le
posizioni dell'istante e l'oggetto della
richiesta rivolta alla pubblica
amministrazione. L'istanza deve, dunque,
essere motivata in relazione ad un interesse
giuridicamente rilevante, nonché concreto ed
effettivo, cioè immediatamente riferibile al
soggetto che pretende di conoscere i
documenti e specificatamente inerente alla
situazione da tutelare (art. 22, l.
241/1990; art. 2, comma 1, dpr 12.04.2006, n.
184). Ancora, l'interesse del richiedente
deve essere serio e non emulativo, né
riconducibile a mere curiosità (cfr. Tar
Campania, sez. V, sent. n. 131 del 07.01.2002)
e deve essere attuale (cfr. Tar Campania,
sez. I, sent. n. 121 del 12.02.2003).
Per «documento amministrativo» si intende
ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di
qualunque altra specie del contenuto di
atti, anche interni o non relativi ad uno
specifico procedimento, detenuti da una
pubblica amministrazione e concernenti
attività di pubblico interesse,
indipendentemente dalla natura pubblicistica
o privatistica della loro disciplina
sostanziale. A norma dell'art. 22, comma 3,
della legge n. 241/1990, come riformulato
dall'art. 15 della legge n. 15/2005, tutti i
documenti amministrativi sono accessibili ad
eccezione di quelli previsti dall'art. 24,
commi 1, 2, 3, 5 e 6 della legge 07.08.1990,
n. 241 (c. d. fattispecie di esclusione
dell'accesso), tra i quali è contemplata
l'esclusione per le richieste di accesso
agli atti preordinati ad un controllo
generalizzato dell'operato delle pubbliche
amministrazioni (cfr. Cds, sez. V, sent. n.
421 dell'01.02.2010) e per le istanze che,
ove soddisfatte, possano pregiudicare il
diritto alla riservatezza di persone
fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese
e associazioni.
Deve, comunque, essere garantito ai
richiedenti l'accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia
necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici (art. 24, comma
7). Il principio della trasparenza
amministrativa accolto dall'ordinamento non
è affatto assoluto e incondizionato, ma
subisce alcuni temperamenti e limitazioni in
relazione ai soggetti attivi del diritto di
accesso, al tipo di documenti richiesti o
alla posizione del richiedente. La posizione
legittimante l'accesso è costituita da una
situazione giuridicamente rilevante e dal
collegamento qualificato tra questa
posizione sostanziale e la documentazione di
cui si pretende la conoscenza, come nel caso
di specie l'esercizio delle funzioni
sindacali.
L'accoglimento della richiesta di accesso a
un documento comporta anche la facoltà di
accesso agli altri documenti nello stesso
richiamati e appartenenti al medesimo
procedimento, fatte salve le eccezioni di
legge o di regolamento (art. 7, comma 2, del
dpr 12.04.2006, n. 184).
In merito, sia la giurisprudenza sia la
commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi, hanno ritenuto che nel
bilanciamento di interessi che connota la
disciplina del diritto di accesso,
quest'ultimo prevale sull'esigenza di
riservatezza del terzo ogniqualvolta
l'accesso venga in rilievo per la cura o la
difesa di interessi giuridici del
richiedente.
Pertanto, sussiste il diritto del
richiedente di ottenere l'accesso al
documento richiesto unitamente ai relativi
allegati
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Rimborso spese.
Possono essere rimborsate le spese di
giudizio richieste all'attuale
amministrazione dall'ex sindaco, per un
giudizio instaurato dal suo predecessore?
Non è dato rinvenire nell'ordinamento
vigente norme che prevedono la possibilità
di rimborsare agli amministratori locali le
spese legali sostenute per giudizi
instaurati in relazione a fatti
asseritamente posti in essere nell'esercizio
delle proprie funzioni. Benché in passato
parte della giurisprudenza abbia ritenuto di
poter estendere in via analogica agli
amministratori locali la normativa che
consente, a determinate condizioni, tale
rimborso per i dipendenti degli enti locali,
secondo orientamenti ermeneutici più recenti
la possibilità di tale ricorso all'analogia
nella materia in questione è stata
decisamente negata.
In base a tali
orientamenti è stato, infatti, ritenuto non
pertinente il richiamo all'analogia, che
risulta correttamente evocabile quando
emerga un vuoto normativo nell'ordinamento,
vuoto che nella specie non è configurabile,
atteso che il legislatore si è limitato a
dettare una diversa disciplina per due
situazioni non identiche fra loro, e la
detta diversità non appare priva di
razionalità, atteso che gli amministratori
pubblici non sono dipendenti dell'ente ma
sono eletti dai cittadini, ai quali
rispondono (e quindi non all'ente) del loro
operato (cfr. sent. Cassazione civile,
sezione I, n. 12645 del 25.05.2010)
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Incompatibilità del consigliere.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità nel
caso di un consigliere comunale che, in
qualità di ingegnere, ha ricevuto incarichi
tecnici dallo stesso comune per la
progettazione e direzione di lavori di
ammodernamento del campo sportivo comunale e
per il consolidamento del dissesto
idrogeologico di competenza dello stesso
ente?
La Corte di cassazione, sez. I, con sentenza
n. 550 del 16.01.2004, ha affermato che
«l'art. 63 del dlgs. n. 267/2000, comma 1,
n. 2, nello stabilire la causa di
«incompatibilità di interessi» (non può
ricoprire la carica di consigliere comunale) colui che, come titolare, ha parte,
direttamente o indirettamente, in servizi,
nell'interesse del comune) ivi prevista e
rivelante nella fattispecie, pone, ai fini
della sua sussistenza, una duplice,
concorrente condizione: la prima, di natura
soggettiva; la seconda, di natura oggettiva.
È necessario, innanzitutto (condizione
soggettiva), che il soggetto, in ipotesi
incompatibile all'esercizio della carica
elettiva, rivesta la qualità di «titolare»
(ad es., di impresa individuale ), o di
amministratore (ad es., di società di
persone o di capitali) ovvero di «dipendente
con poteri di rappresentanza o di
coordinamento».
In secondo luogo, il legislatore prevede -come condizione «oggettiva», che deve
necessariamente concorrere con quella
«soggettiva» per la sussistenza della causa
di «incompatibilità di interessi»- che il
soggetto, rivestito di una delle predette
qualità, intanto è incompatibile, in quanto
«ha parte in servizi, nell'interesse del
comune».
Appare chiaro che la locuzione
«aver parte» allude alla contrapposizione
tra interesse «particolare» del soggetto, in
ipotesi incompatibile, ed interesse del
comune, istituzionalmente «generale», in
relazione alle funzioni attribuitegli (cfr.,
ad es., art. 13 del dlgs n. 267/2000), e,
quindi allude alla situazione di potenziale
conflitto di interesse, in cui trova tale
soggetto rispetto all'esercizio imparziale
della carica elettiva. In altri termini e ad
esempio, se un professionista ha parte, nel
senso ora indicato, in cui servizio, al
quale l'ente locale è interessato, lo stesso
non è idoneo, secondo la previsione tipica
del legislatore, ad adempiere imparzialmente
i doveri connessi all'esercizio della carica
elettiva.
Ha ritenuto, in particolare, la Suprema
corte, che il professionista cui sia
conferito, dal comune presso il quale svolge
il proprio mandato di consigliere,
l'incarico di progettista di opere
pubbliche, viene a trovarsi in una specifica
situazione di incompatibilità di interessi
risultante dalla contestuale e
contraddittoria coincidenza, in quanto
eletto alla carica di consigliere comunale,
delle posizioni di «controllato» ( quale
professionista, poiché i progetti redatti
sono assoggettati all'adozione e
all'approvazione del consiglio comunale) e
«controllore» (quale consigliere comunale
chiamato a concorrere alla deliberazione di
adozione ed approvazione dei progetti dal
medesimo elaborati).
L'ipotesi prospettata, pertanto, configura
la causa di incompatibilità prevista dal
citato articolo 63, comma 1, n. 2), del
decreto legislativo n. 267/2000
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Permessi.
Quali permessi spettano al presidente del
consiglio comunale, che voglia partecipare
anche alle sedute delle commissioni
consiliari di cui non è componente?
Se il legislatore regionale disciplina la
fattispecie adottando l'espressione “facente
parte” (delle commissioni consiliari),
sembra esclusa, nel caso di specie, la
possibilità di fruire di tali permessi.
Tuttavia, per la partecipazione alle
riunioni delle commissioni in questione, il
presidente del consiglio comunale potrà
avvalersi degli eventuali permessi non
retribuiti, ove previsti dalla norma
regionale
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Semplificazione.
È entrata in vigore il 1° gennaio la «decertificazione»
che è stata prevista dalla legge di
stabilità 2012.
La Pa non chiede più certificati.
Gli uffici possono acquisire i dati o
accettare un'autocertificazione dell'utente.
IL PROBLEMA/
La dichiarazione sostitutiva di numerose
informazioni può esporre al rischio di
commettere errori.
Con l'inizio del nuovo anno, si chiude
un'epoca nei rapporti tra cittadini e
pubbliche amministrazioni. Ha trovato
attuazione, infatti, la norma per cui le
pubbliche amministrazioni non possono
chiedere ai privati informazioni già in loro
possesso. Così, i privati (cittadini,
imprese, professionisti) non faranno più la
spola da un ente pubblico all'altro
(compresi i gestori di servizi pubblici) per
consegnare i certificati che attestano
situazioni e qualità che li riguardano.
Le nuove disposizioni sui certificati e
sulle dichiarazioni sostitutive sono
previste dalla legge 183/2011 (legge di
stabilità 2012), all'articolo 15. In
particolare, si dispone che:
- i certificati rilasciati dalle Pubbliche
amministrazioni riguardanti stati e qualità
di un privato (residenza, iscrizione in un
Albo, situazione penale, elencati
nell'articolo 46 del Dpr 445/2000) sono
validi e utilizzabili dal privato soltanto
nei rapporti con un altro privato. Sui
certificati sarà posta una dicitura che
precisa questo vincolo («Il presente
certificato non può essere prodotto agli
organi della pubblica amministrazione o ai
privati gestori di pubblici servizi»). Il
certificato senza questa dicitura è
considerato inesistente.
- le Pubbliche amministrazioni e i gestori
di servizi non possono quindi né richiedere
al privato, né accettare certificati
- le Pubbliche amministrazioni e i gestori
hanno due possibilità per conoscere stati e
qualità del privato: ottenere i dati
direttamente dagli enti che li possiedono,
oppure richiedere al privato interessato di
compilare una dichiarazione che riporti i
dati richiesti (autocertificazione).
Queste due modalità, però, non comportano
analoghe conseguenze per il privato.
Compilare una dichiarazione sostitutiva di
certificazione è un'operazione rischiosa
quando i dati da riportare sono di
comprensione non immediata, complessi o
numerosi. Questo è il caso, per esempio,
delle aziende che devono autocertificare i
dati riportati negli attuali certificati o
visure del Registro imprese: i dati sono
numerosi, e in certi casi (come l'attività
economica svolta e le eventuali condanne
subite) non sempre memorizzati
dall'imprenditore.
Il rischio di errore, anche in buona fede, è
altissimo e le conseguenze penali e
amministrative sono molto pesanti.
Se si vuole instaurare un corretto rapporto
con i cittadini, l'unica modalità
utilizzabile da una Pubblica amministrazione
è l'acquisizione d'ufficio delle notizie
detenute dagli enti che hanno il potere di
certificare.
Lo strumento della dichiarazione sostitutiva
dovrebbe essere usato solo quando riguarda
atti di notorietà, cioè atti con i quali si
dichiarano fatti che non sono certificati da
nessun ente pubblico (articolo 47 del Dpr
445/2000) e non quando la dichiarazione
riguarda notizie certificabili dalle Pa.
Così operando, si ottengono due risultati: i
funzionari pubblici sono quasi del tutto
liberati dal lavoro di controllo
dell'autocertificazione. Inoltre,
l'obiettivo della certezza pubblica è
raggiunto perché i privati evitano il
rischio di una dichiarazione infedele.
A sostegno dell'esigenza di un leale ed
efficiente rapporto con il cittadino, che
può essere garantito solo quando la Pa che
deve gestire la pratica richiede alle altre
amministrazioni i dati in loro possesso, si
deve richiamare il comma 3 dell'articolo 18
della legge 241/1990, che è la legge
fondamentale dell'azione amministrativa.
Questo comma prevede come unica modalità
operativa la richiesta d'ufficio dei
certificati e non l'autocertificazione: c'è
quindi una incongruenza con il comma 1
dell'articolo 43 del Dpr 445/2000.
Un altro chiarimento si impone sulla durata
della validità dei vari tipi di certificati,
considerato che sono rilasciati
esclusivamente per essere usati nelle
relazioni tra privati.
L'articolo 41, comma 1, del Dpr 445/2000
stabilisce che hanno validità illimitata i
certificati che attestano stati e qualità
non soggetti per loro natura a modifiche (si
possono citare quelli di nascita e i titoli
di studio). Gli altri certificati, che
contengono notizie variabili nel tempo,
valgono per sei mesi dalla data del
rilascio, salvo che le norme non prevedano
un durata più lunga (si possono citare
quelli dell'Albo artigiani, del registro
imprese, di residenza).
Ovviamente, però, il cittadino non è in
grado di conoscere la durata dei vari
certificati se la Pa che li emette non
aggiunge una dicitura che la indica. È
necessario, dunque, risolvere ancora alcuni
dubbi per la completa «decertificazione» nei
rapporti tra privati e pubblica
amministrazione, che deve anche tradursi in
minori oneri per le strutture pubbliche.
---------------
Le nuove regole
01 | LA DECERTIFICAZIONE
La legge 183/2011 prevede che, dal 01.01.2012, i certificati rilasciati dalle
pubbliche amministrazioni riguardanti stati
e qualità di un privato (come residenza,
iscrizione in un Albo, situazione penale)
sono validi e utilizzabili dal privato solo
nei rapporti con un altro privato. Le Pa e i
gestori di servizi non possono quindi né
richiedere al privato, né accettare
certificati.
02 | LE ALTERNATIVE
Le pubbliche amministrazioni e i gestori
hanno due possibilità per conoscere stati e
qualità del cittadino: ottenere i dati
direttamente dagli enti che li possiedono, o
chiedere al privato interessato di compilare
una dichiarazione che riporti i dati
richiesti (autocertificazione).
03 | LA VIA PREFERIBILE
Fare un'autocertificazione può esporre al
rischio di una dichiarazione infedele quando
i dati da riportare sono complessi o
numerosi. Inoltre, i funzionari pubblici
devono effettuare un controllo sulle
autocertificazioni. Sarebbe dunque
preferibile l'acquisizione d'ufficio delle
notizie dagli enti certificatori.
Il
cittadino dovrebbe usare la dichiarazione
sostitutiva solo quando riguarda atti di
notorietà (con cui si dichiarano fatti che
non sono certificati da nessun ente
pubblico)
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Certificati, il pasticcio del
Durc.
Informazioni da acquisire d'ufficio. Ma ad
oggi è impossibile. Le procedure gestite da
Inps, Inail e Cassa edile consentono solo la
richiesta online del documento.
L'01.01.2012 è partito il sistema
della «decertificazione», ma rimane il nodo
irrisolto del Durc. Come largamente
prevedibile, l'entrata in vigore delle
previsioni contenute nell'articolo 15, comma
1, della legge 183/2011, il cui scopo è la
semplificazione mediante l'eliminazione dei
certificati, creerà all'inizio più problemi
di quanti ne vorrebbe risolvere.
Le disposizioni della norma sono chiare: i
certificati potranno essere emessi solo in
favore di privati.
Le pubbliche amministrazioni né potranno
chiederli né potranno utilizzarli ai fini
delle proprie attività. Per loro sarà
ammissibile solo verificare la veridicità
delle dichiarazioni sostitutive ricevute dai
privati, mediante l'acquisizione d'ufficio
dei documenti conservati nelle banche dati
delle amministrazioni certificanti, le quali
dovranno rispondere alle richieste di
verifica entro 30 giorni, oppure consentire
l'accesso diretto alle proprie banche dati.
Il caso del documento unico di regolarità
contributiva, tuttavia, appare del tutto
peculiare. Le previsioni della legge
183/2011 non semplificano nulla, anzi appare
vero il contrario. In primo luogo,
l'aggiunta dell'articolo 44-bis al dpr
445/2000, ai sensi del quale «le
informazioni relative alla regolarità
contributiva sono acquisite d'ufficio,
ovvero controllate ai sensi dell'articolo
71, dalle pubbliche amministrazioni
procedenti, nel rispetto della specifica
normativa di settore» non ha alcuna concreta
utilità, visto che la medesima disposizione
è stata già fissata ben due volte in
precedenza dall'articolo 16-bis, comma 10,
del dl 185/2008, convertito in legge 2/2009
e dall'articolo 6, comma 3, del dpr
207/2010.
Soprattutto il Durc è un vero e proprio
certificato, come del resto indicato dalla
disciplina normativa che lo regola. Infatti,
ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del dpr
207/2010 «per documento unico di regolarità
contributiva si intende il certificato che
attesta contestualmente la regolarità di un
operatore economico per quanto concerne gli
adempimenti Inps, Inail, nonché cassa edile
per i lavori, verificati sulla base della
rispettiva normativa di riferimento».
Trattandosi, allora, di un certificato vero
e proprio, le pubbliche amministrazioni non
potrebbero più richiedere né utilizzare il
Durc, né le amministrazioni competenti
emetterlo. Questo creerebbe non pochi
problemi operativi, visto che il Durc è un
certificato fondamentale per tutte le fasi
delle procedure di appalto.
Un primo sistema per evitare il
cortocircuito innescato dalla frettolosa
formulazione dell'articolo 15 della legge
183/2011 potrebbe consistere nell'applicare
anche al Durc il nuovo sistema di verifiche
imposto dalla riforma. Le pubbliche
amministrazioni titolari della competenza di
un iter per il quale sia necessario
acquisire informazioni un tempo inserite in
certificati non dovranno chiedere alle altre
amministrazioni che possiedano dette
informazioni nelle proprie banche dati
l'emanazione del certificato; potranno solo
chiedere la verifica della veridicità delle
autocertificazioni ricevute dai privati. Le
amministrazioni certificanti potranno
rispondere confermando la rispondenza al
vero delle autocertificazioni o spiegando le
ragioni del mendacio rilevato, senza
emettere certificati e, così, rispettare le
previsioni normative.
Ma, a oggi, questo per il Durc è
impossibile: le procedure telematiche
gestite da Inps, Inail e Cassa edile
consentono solo di effettuare la richiesta
on-line finalizzata all'emanazione di ciò
che la legge vieta: il certificato relativo
alla posizione contributiva.
Una seconda via potrebbe consistere
nell'accesso diretto delle amministrazioni
alle banche dati di Inps, Inail e Cassa
edile. Del resto, l'articolo 72, comma 1,
novellato del dpr 445/2000 prevede
espressamente che le amministrazioni
certificanti predispongano «convenzioni
quadro» per garantire l'accesso diretto alle
altre amministrazioni. Ma questa ipotesi,
alla data del 28 dicembre, non è nemmeno
stata lontanamente presa in considerazione
dal portale del Durc, la cui pagina di
informazioni è ferma alla data del
10.03.2011
(articolo ItaliaOggi del 04.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Ma
le attestazioni dei medici sono fuori dalla
semplificazione.
I certificati medici non rientrano
nell'ambito delle semplificazioni anti
burocrazia contenute nell'articolo 15 della
legge 183/2010.
Tale disposizione ha
modificato, come noto, l'articolo 40 del dpr
445/2001, inserendo un nuovo comma 01, ai
sensi del quale «le certificazioni
rilasciate dalla pubblica amministrazione in
ordine a stati, qualità personali e fatti
sono valide e utilizzabili solo nei rapporti
tra privati.
Nei rapporti con gli organi della pubblica
amministrazione e i gestori di pubblici
servizi i certificati e gli atti di
notorietà sono sempre sostituiti dalle
dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47».
Il successivo comma 02 impone che sulle
certificazioni da produrre ai soggetti
privati è apposta, a pena di nullità, la
dicitura: «Il presente certificato non può
essere prodotto agli organi della pubblica
amministrazione o ai privati gestori di
pubblici servizi».
Queste disposizioni hanno lo scopo di
indurre le pubbliche amministrazioni a
utilizzare pienamente l'accesso diretto alle
proprie banche dati, sollevando i privati
dall'onere di reperire o produrre e, poi,
trasmettere i certificati relativi a
informazioni che le amministrazioni stesse
già possiedono o sono in condizione di
acquisire dialogando tra loro.
Risulta, dunque, palpabile l'inapplicabilità
alla fattispecie dei certificati medici.
Ancorché detti certificati possano
considerarsi provenienti da una pubblica
amministrazione, alcuni elementi indicano
senza ombra di dubbio che i certificati
medici sono totalmente fuori dalla nuova
regolamentazione.
In primo luogo, la semplificazione prevista
dalla legge di stabilità è connessa all'autocertificabilità
di stati, fatti o qualità comprovabili
mediante i certificati. In altre parole, ai
cittadini è consentito di chiedere e
ottenere benefici sulla semplice base di
loro dichiarazioni sostitutive, che
sostituiscono in via definitiva ogni
certificato. Ma, ai sensi dell'articolo 49,
comma 1, del dpr 445/2001 «i certificati
medici, sanitari, veterinari, di origine, di
conformità Ce, di marchi o brevetti non
possono essere sostituiti da altro
documento, salvo diverse disposizioni della
normativa di settore».
Mancando, dunque, la possibilità di
sostituire il certificato medico con
dichiarazioni, non può sorgere il
presupposto per attuare la semplificazione
disposta dall'articolo 15 della legge
183/2011. Del resto, l'amministrazione
datore di lavoro non avrebbe nessuna
possibilità di verificare lo stato di salute
del proprio dipendente accedendo a banche
dati di altre amministrazioni.
Se la questione relativa ai certificati
medici appare abbastanza chiara, vi sono
però molte zone che l'articolo 15 lascia in
ombra. Per esempio, rientrano nella
categoria dei certificati i certificati di
destinazione urbanistica, fondamentali per
provvedimenti amministrativi che concernono
la gestione del territorio; si tratta di
certificati che spessissimo hanno come
destinatari pubbliche amministrazioni, per
loro natura impossibili da sostituire con
dichiarazioni dei privati. Piuttosto
difficile immaginare di sottrarre tali
certificati alla trasmissione tra pubbliche
amministrazioni.
C'è, per esempio, il problema degli
attestati di servizio dei dipendenti
pubblici che abbiano vinto un concorso
presso un'altra amministrazione.
Altro paradosso della normativa riguarda,
per esempio, i certificati di frequenza di
istituti scolastici o centri di formazione
professionale, richiesti dalle aziende dei
trasporti, per applicare le tariffe
agevolate agli studenti. Tutte queste
aziende rientrano nella categoria dei
«gestori di pubblici servizi», che al pari
delle pubbliche amministrazioni non possono
legittimamente utilizzare i certificati per
svolgere le proprie attività.
Dunque, gli studenti dovrebbero presentare
ai gestori una dichiarazione sostitutiva
nella quale attestare di frequentare una
certa scuola e dovrebbero essere, poi, le
aziende di trasporto a chiedere ai singoli
istituti conferma della veridicità della
dichiarazione o, cosa del tutto improbabile,
accedere direttamente alle loro banche dati.
Ovviamente, se si vuole rispettare la
lettera di una norma che rivela da subito
una serie di difetti operativi piuttosto
gravi.
Infine, l'irrisolto problema del Durc, che
altro non è se non un certificato, da
produrre prevalentemente alle pubbliche
amministrazioni per le tante finalità cui è
destinato. Pare oggettivamente improponibile
sostenere che esso sia soggetto al divieto
di produzione a pubbliche amministrazioni a
pena di nullità.
L'articolo 15 della legge 183/2011 pare una
norma troppo poco ponderata, che
necessiterebbe di un urgente intervento
normativo posto a chiarirne esattamente la
portata e i confini
(articolo ItaliaOggi del 04.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I
concorsi pubblici su Cliclavoro.
Le pubbliche amministrazioni devono
comunicare alla borsa nazionale del lavoro (cliclavoro)
tutte le procedure comparative e selettive
(concorsi) per l'attribuzione di incarichi
di collaborazione e per l'assunzione con
ogni tipo di contratto di lavoro.
Lo prevede
il decreto ministeriale 13.10.2011
pubblicato in G.U. n. 1/2012.
Per l'operatività del provvedimento, in
vigore dal 1° febbraio, occorrerà attendere
la direttiva del ministro per la pubblica
amministrazione che, peraltro, potrà
prevedere un periodo di sperimentazione non
superiore a 12 mesi. Il nuovo obbligo, che
interessa tutte le p.a., mira a favorire una
maggiore efficienza del mercato del lavoro,
con la disponibilità online
(www.cliclavoro.gov.it) delle offerte di
impiego pubblico sull'intero territorio
nazionale
(articolo ItaliaOggi del 04.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
locali più aperti al mercato.
Pronto il decreto Monti-Gnudi: in esclusiva
solo le reti non pienamente liberalizzabili.
LOGICA RIBALTATA
Comuni e Province dovranno motivare con una
delibera-quadro la scelta di riconfermare i
monopoli nella fornitura.
Gli enti locali potranno dare in esclusiva,
in monopolio, in concessione -sempre
passando per una gara- soltanto quei
servizi pubblici locali per cui non ci siano
le condizioni di mercato per una
liberalizzazione piena, con più operatori
pronti a fornire il servizio in regime di
concorrenza. Comuni e province dovranno
anche motivare, con un'apposita analisi di
mercato e una delibera-quadro, una scelta
esplicita di riconferma dei monopoli nella
fornitura dei servizi.
Questo ribaltamento
in chiave concorrenziale del regime attuale,
che prevede invece un netto prevalere delle
"esclusive", riguarderà intere reti di
servizi locali come i trasporti o la
raccolta dei rifiuti o anche parti di queste
reti di servizio (per esempio i collegamenti
per gli aeroporti o i servizi notturni).
Il Governo Monti è pronto ora a confermare e
ad attuare con la "fase due" le scelte fatte
con la manovra di Ferragosto dall'ex
ministro Raffaele Fitto che aveva fatto
inserire nell'articolo 4 del decreto legge
138/2011, oltre allo stop degli affidamenti
in house sopra 900mila euro l'anno e
all'obbligo di gara (la cosiddetta
"concorrenza per il mercato"), anche il
principio di affidare al mercato tutte le
attività liberalizzabili ("concorrenza nel
mercato"). Un ribaltamento che era stato
richiesto più volte in passato anche
dall'Antitrust guidato da Antonio Catricalà,
che ora da sottosegretario alla presidenza
del Consiglio sta lavorando al dossier
liberalizzazioni.
A lavorare a questo aspetto delle
liberalizzazioni nei servizi pubblici locali
è oggi il ministro delle Regioni, Piero
Gnudi, che ha confermato in Parlamento la
volontà di procedere nell'attuazione della
manovra di Ferragosto. Gnudi sta lavorando
in particolare al decreto interministeriale
Regioni-Economia-Interno che dà attuazione
al ribaltamento voluto da Fitto, dettando ai
Comuni e agli altri enti locali le direttive
sulla delibera quadro e sull'analisi di
mercato da svolgere prima di nuovi
affidamenti di servizi. Il decreto
interministeriale deve essere emanato entro
il 31 gennaio dopo essere passato alla
conferenza unificata Stato-Regioni-città e
finirà naturalmente nel "pacchetto
liberalizzazioni". I Comuni avranno tempo
per adeguarsi fino alla scadenza delle
attuali gestioni: la prima applicazione sarà
quindi già al 31 marzo, quando scadranno le
cosiddette gestioni "non conformi" perché
affidate senza gara e senza alcuna
legittimazione.
Nel decreto interministeriale
Gnudi-Monti-Cancellieri sarà contenuta anche
un'altra rivoluzione voluta dall'articolo 4:
l'obbligo di rendere pubblici, anche in
modalità on-line, «i dati concernenti il
livello di qualità del servizio reso, il
prezzo medio per utente e il livello degli
investimenti effettuati». Il decreto
interministeriale detterà i criteri con cui
i comuni dovranno procedere a rendere
pubblici i dati. La finalità del
provvedimento è quella di «assicurare il
progressivo miglioramento della qualità di
gestione dei servizi pubblici locali e di
effettuare valutazioni comparative delle
diverse gestioni». Cittadini, utenti,
imprese potranno confrontare le performance
dei singoli gestori, anche se qui non
mancano nodi da sciogliere, quali sono
l'asimmetria informativa e i dati riservati
che i gestori accampano per limitare non di
rado la trasparenza.
Gnudi ha anche riconfermato nel question
time di quindici giorni fa in Parlamento
le tre direttrici in cui si muove la
disciplina dei servizi pubblici locali a
proposito delle modalità di affidamento dei
servizi in esclusiva: affidamento a gara per
la selezione del soggetto gestore;
affidamento a gara "a doppio oggetto" per la
selezione del socio privato della società
mista, con partecipazione pubblica non
inferiore al 40%; affidamenti in house,
senza gara a società controllate al 100%
dagli enti locali, circoscritti ai soli
servizi pubblici locali di valore economico
inferiore a 900.000 euro/anno
(articolo
Il Sole 24 Ore del 04.01.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Casa,
il Comune sceglie gli sconti.
Spetta al nuovo regolamento decidere le
agevolazioni applicabili all'Imu.
Nella stesura del nuovo regolamento comunale
per l'applicazione dell'Imu i comuni devono
valutare quali agevolazioni previste per
l'Ici possono essere confermate, sia con
riferimento ai vincoli normativi che di
bilancio.
Occorre districarsi in un quadro
normativo che non brilla per chiarezza,
visto che l'Imu è disciplinata dall'articolo
13 del decreto Monti, dagli articoli 8 e 9
del Dlgs 23/2011 «in quanto compatibili» e
dal Dlgs 504/1992 «in quanto richiamato».
L'articolo 14, comma 6 del Dlgs 23/2011
conferma la potestà regolamentare –prevista
dagli articoli 52 e 59 del Dlgs 446/1997–
anche per il nuovo tributo. Il Dl 201/2011
(convertito dalla legge 214) individua a sua
volta una ristretta casistica di intervento,
come la possibilità di assimilare
all'abitazione principale quella posseduta
da anziani o disabili che acquisiscono la
residenza in istituto di ricovero o la
possibilità di ridurre l'aliquota fino allo
0,4 per cento per gli immobili locati.
Il primo nodo da sciogliere è capire qual è
il rapporto che esiste tra le possibilità
elencate nel decreto Monti e l'esercizio in
generale della potestà regolamentare,
espressamente confermata anche per l'Imu. La
soluzione dovrebbe essere quella di ritenere
che le previsioni del decreto Monti
rappresentano una limitazione alla potestà
regolamentare e che per il resto il comune
abbia ampia potestà di scelta. Così, per
esempio, sarebbe illegittimo stabilire
un'aliquota dello 0,39 per cento per gli
immobili locati, visto che è espressamene
previsto che la riduzione può arrivare fino
allo 0,4.
Non sarebbe però illegittimo individuare
all'interno della più ampia categoria
"immobili locati" alcune casistiche, come
quella delle abitazioni locate con contratto
concordato, e limitare solo a queste la
riduzione di aliquota.Il comune può anche
differenziare con riferimento a categorie di
immobili. Tale possibilità è stata prevista
dall'articolo 8, comma 7, del Dlgs 23/2011
con riferimento ai fabbricati utilizzati
dalle imprese, ma può essere estesa anche ad
altre casistiche. Sarebbe, pertanto,
legittima la previsione di un'aliquota più
alta, ma entro il tetto dell'1,06 per cento,
solo per le abitazioni tenute sfitte.
Sarà poi possibile intervenire ulteriormente
sulla detrazione principale –che con i
figli può arrivare fino a 600 euro– anche
con riferimento a particolari situazioni di
disagio economico, possibilità questa
espressamene prevista nell'Ici, ma
confermabile anche nell'Imu, considerato che
è espressamente prevista la possibilità di
intervenire «genericamente» sulla
detrazione. Infatti, l'articolo 13, comma 11
prevede che le «detrazioni e le riduzioni di
aliquota deliberate dai comuni non si
applicano alla quota di imposta riservata
allo Stato»
(articolo Il Sole 24
Ore del 04.01.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: «Cliclavoro»
apre anche al pubblico.
Cliclavoro apre al pubblico. È stato infatti
pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 1
del 02.01.2012 il decreto del ministero
del Lavoro 13.10.2011 sulla
trasmissione informatica delle informazioni
e dei dati relativi alle procedure di
reclutamento dei lavoratori da parte delle
amministrazioni e società pubbliche.
Scopo della normativa è favorire
l'efficienza e la trasparenza del mercato
del lavoro pubblico in Italia tramite "Cliclavoro".
Si tratta di un luogo di incontro virtuale
che ha lo scopo di agevolare l'occupazione
dei lavoratori su tutto il territorio
nazionale attraverso un catalogo completo e
dettagliato di informazioni e servizi per il
lavoro. Questi servizi permetteranno alle
amministrazioni pubbliche di pubblicare le
candidature e le offerte di lavoro ed
effettuare ricerche per entrare più
facilmente in contatto con i lavoratori. La
navigazione tra le informazioni del portale
è libera, senza bisogno di registrazione,
necessaria invece per iscriversi alla
newsletter o per rimanere aggiornati sulle
novità mediante la sezione rassegna stampa
periodica e sui sondaggi.
Con la pubblicazione del decreto si completa
la riforma sull'attività di intermediazione,
prezioso strumento per la promozione
dell'occupazione e le cui procedure sono
state oggi snellite. Lo spirito della
riforma sembra posarsi in primo luogo sulla
creazione di un sistema flessibile e veloce
di gestione del mercato del lavoro, dove il
collocamento dei lavoratori risulti fondato
su un immediato ed effettivo scambio di
informazioni e notizie. La riforma si
propone di completare il processo di
liberalizzazione del collocamento, avviato
già dal 1997 con il superamento del regime
di "monopolio pubblico" e portato avanti
dalla legge Biagi, che aveva dato la
possibilità di svolgere attività di
intermediazione anche a specifiche agenzie
private (le Agenzie per il lavoro) e altri
operatori. Con il collegato lavoro era stata
poi ampliata la platea dei soggetti
abilitati a operare nel mercato del lavoro.
La lista era molto lunga e includeva gli
enti locali, le Università, le Scuole
superiori, statali e parificate, le Camere
di commercio, i gestori di siti Internet, i
consulenti del lavoro e le associazioni dei
datori di lavoro e dei lavoratori
comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale.
Le novità più importanti, nell'ottica di una
semplificazione dell'attività di
collocamento, riguardano il nuovo regime di
autorizzazione allo svolgimento
dell'attività di intermediazione. Ferme
restando le normative regionali vigenti per
specifici regimi di autorizzazione su base
regionale, i soggetti abilitati che
intendano effettivamente svolgere attività
di intermediazione non saranno più tenuti a
ottenere il consenso delle Regioni o del
ministero del Lavoro.
Le recenti riforme sono intervenute,
altresì, sui requisiti cui è condizionata
l'autorizzazione, ora esclusivamente
subordinata all'interconnessione alla Borsa
continua nazionale del lavoro (Bcnl) per il
tramite del portale "Cliclavoro",
nonché al rilascio alle Regioni e al
ministero del Lavoro di ogni informazione
"strategica" al monitoraggio dei fabbisogni
professionali e al buon funzionamento del
mercato del lavoro. Il mancato conferimento
dei dati alla Borsa continua nazionale del
lavoro –prosegue la norma– comporterà
l'applicazione di pesanti sanzioni
amministrative pecuniarie che vanno da 2mila
a 12mila euro, nonché la cancellazione
dall'albo degli intermediari e conseguente
divieto di proseguire l'attività di
intermediazione
(articolo Il Sole 24
Ore del 04.01.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Il nuovo modello
ambientale entro fine aprile. In Gazzetta
Ufficiale il restyling del Mud. Che
dovrà essere utilizzato anche dai soggetti
rimasti orfani del Sistri.
Entro fine aprile 2012 va presentato il
nuovo Mud, il modello unico di dichiarazione
ambientale per le dichiarazioni inerenti i
rifiuti prodotti o trattati nell'ambito
delle specifiche attività previste dalla
legge.
Il modello è quello di riferimento
per l'anno 2011 ed è stato approvato con
decreto del presidente del consiglio dei
ministri del 23.12.2011 e pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre
scorso.
Il nuovo formulario sostituisce quello
precedente, che era stato approvato con dpcm
del 27.04.2010.
Il nuovo Mud verrà utilizzato dai soggetti
che nel 2010, non essendosi realizzata la
piena operatività del nuovo sistema di
tracciabilità dei rifiuti (Sistri) per
effetto delle proroghe succedutesi nel tempo
fino alla più recente, disposta dal «decreto milleproroghe» (dl n. 216/2011), hanno
continuato a utilizzare i registri cartacei
di carico e scarico dei rifiuti.
Lo scorso anno, con circolare del 03.03.2011, il ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare aveva
chiarito che la dichiarazione ai fini Mud
andava presentata, ai sensi dell'art. 28,
comma 1, del decreto 18.02.2011, n.
52, dai produttori iniziali di rifiuti
pericolosi e da quelli dei rifiuti non
pericolosi di cui all'articolo 184, comma 3,
lettere c), d) e g) del dlgs n 152/2006 con
più di 10 dipendenti (rifiuti da lavorazioni
industriali; rifiuti da lavorazioni
artigianali; rifiuti derivanti dalla
attività di recupero e smaltimento di
rifiuti, fanghi prodotti dalla
potabilizzazione e da altri trattamenti
delle acque e dalla depurazione delle acque
reflue e da abbattimento di fumi), nonché
dalle imprese ed enti che effettuano
operazioni di recupero e di smaltimento dei
rifiuti che già erano tenuti alla
presentazione del modello unico di
dichiarazione ambientale (Mud) di cui alla
legge 25.01.1994, n. 70.
Ciò sebbene l'articolo 264-bis del Codice
dell'ambiente, aggiunto dal dlgs n.
205/2010, avesse provveduto ad abrogare le
norme concernenti le parti del modello unico
di dichiarazione ambientale di cui al dpcm
27.04.2010 riguardanti i produttori di
rifiuti e le imprese e gli enti che
effettuano il trasporto di rifiuti speciali,
nonché i soggetti che effettuano operazioni
di recupero e smaltimento dei rifiuti e gli
intermediari e commercianti di rifiuti senza
detenzione, tenuti a iscriversi al Sistri.
Nelle more della piena entrata a regime del
Sistri quale unico strumento per la
registrazione e la tracciabilità dei
rifiuti, infatti, il dm 17.12.2009,
istitutivo del Sistri, aveva previsto, a
carico dei soli produttori iniziali di
rifiuti e delle imprese ed enti che
effettuano operazioni di recupero e di
smaltimento dei rifiuti che erano tenuti a
presentare il Mud, l'obbligo di comunicare
al Sistri determinate informazioni. I
trasportatori di rifiuti e coloro che
effettuano attività di commercio e
intermediazione dei rifiuti senza detenzione
non erano tenuti, pertanto, a porre in
essere alcun adempimento di comunicazione a
decorrere dall'anno 2010.
Fermo il Sistri ancora per tutto il 2011, si
riproponeva l'esigenza di utilizzare ancora
il previgente sistema, aggiornando il
modello Mud, anche in relazione alle
modifiche al codice dell'ambiente apportate
dal richiamato dlgs n. 205/2010. Va
ricordato che intanto, sulla Gazzetta
Ufficiale n. 298, del 23.12.2011, è
stato pubblicato il decreto del ministero
dell'ambiente del 12.11.2011, recante
proroga dei termini per la presentazione
della comunicazione di cui all'art. 28,
comma 1, del decreto 18.02.2011, n.
52.
Ne consegue che i soggetti obbligati
devono effettuare le dovute comunicazioni
entro il 30.04.2012, con riferimento
alle informazioni relative all'anno 2011, ed
entro sei mesi dalla data di entrata in
operatività del Sistri per ciascuna
categoria di soggetti di cui all'art. 1 del
decreto ministeriale 26.05.2011, con
riferimento alle informazioni relative
all'anno 2012
(articolo ItaliaOggi del 03.01.2012). |
ENTI LOCALI: Nei
tetti al personale entra anche lo «staff»
del sindaco. Dalla Corte dei conti le
istruzioni sul nuovo vincolo del 50%.
La conversione del decreto Monti introduce
una novità di forte impatto sulla gestione
del personale delle autonomie locali per il
2012. Viene infatti riportato al 50% il
limite massimo del rapporto tra spese di
personale e spese correnti per stabilire la
possibilità di assunzione degli enti. Nel
calcolo sono da includere anche i costi
delle società partecipate.
E proprio al foto-finish sono giunti i
necessari chiarimenti della Sezione
autonomie su come correttamente procedere
(si veda Il Sole 24 Ore di venerdì 30
dicembre scorso). La deliberazione
14/aut/2011 identifica quindi aspetti
soggettivi e modalità di calcolo: si agisce
soltanto sul numeratore, ma le spese di
personale delle società da sommare a quelle
dell'ente sono da proporzionare in base ai
corrispettivi a carico del l'ente medesimo
(o ai ricavi derivanti da tariffa). E cioè:
il valore della produzione della partecipata
sta alle spese totali del personale della
stessa come il corrispettivo sta alla quota
del costo di personale attribuibile
all'ente, che è appunto l'incognita da
calcolare.
L'altro problema
Negli ultimi mesi i dubbi si sono però
estesi anche su un'altra questione destinata
ad avere conseguenze rilevanti nel 2012: i
limiti alle assunzioni con le forme del
lavoro flessibile. A oggi solo la Corte dei
conti della Campania ha preso in esame il
caso degli incarichi in staff degli organi
politici e le situazioni correlate al
comando dei dipendenti degli enti locali.
Fino alla legge di stabilità, il lavoro
flessibile e le co.co.co non avevano per le
amministrazioni territoriali un tetto
preciso e definito; contribuivano a
determinare il limite complessivo delle
spese di personale di cui al comma 557 o 562
della legge finanziaria 2007. Con l'avvento
della regola del turn-over del 20% delle
cessazioni dell'anno precedente (solo per
gli enti soggetti a Patto di stabilità) la
situazione si è complicata in quanto, la
delibera 46/2011 della Corte dei conti,
sezioni riunite, ha ricompreso in questa
percentuale ogni tipologia di assunzione e
non solo quelle a tempo indeterminato.
A chiudere la vicenda, almeno dal punto di
vista normativo, ci ha pensato la legge
183/2011 facendo rientrare gli enti locali
tra le amministrazioni che, ai sensi
dell'articolo 9, comma 28, del Dl 78/2010,
devono contenere nel limite del 50% della
spesa sostenuta nel 2009 le assunzioni a
tempo determinato per contratti di
formazione e lavoro, attraverso convenzioni,
voucher (buoni lavoro), contratti di
somministrazione e co.co.co.
Un quadro quindi particolarmente complesso
che lascia non pochi dubbi concreti agli
operatori. Anche perché, secondo alcuni, tra
cui l'Anci (si veda anche la successiva
pagina 12), la norma non avrebbe carattere
imperativo, ma costituirebbe un semplice
"principio" a cui gli enti locali dovrebbero
adeguarsi.
Norma cogente
La Corte dei conti della Campania non è però
d'accordo e ritiene la norma cogente e di
diretta applicazione anche per le Autonomie.
Anche per questo motivo la Sezione campana
ricomprende nel limite del 50% le assunzioni
che avvengono ai sensi dell'articolo 90 del
Dlgs 267/2000 e le situazioni di comando dei
dipendenti. Con la deliberazione 493/2011
innanzitutto afferma che è completamente
mutato il quadro preso in riferimento dalla
Corte dei conti, sezioni riunite, nella
deliberazione 46/2011 che, tra l'altro,
prevedeva casi di deroga in presenza di
eccezioni espressamente stabilite per legge.
La disposizione -che è entrata in vigore
ieri- non ammette quindi alcuna deroga e
secondo i giudici contabili campani si
estende anche alle assunzioni in staff degli
organi politici. La delibera 497/2011
affronta, invece, il caso del comando ricompendendolo
nel calcolo del 50% rispetto alla spesa del
2009 in quanto viene di fatto assimilato a
un'assunzione a tempo determinato
(articolo Il Sole 24
Ore 02.01.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Rischio
nullità per gli atti che violano la
concorrenza.
LA NOVITÀ/ L'Antitrust può cancellare le
decisioni locali. Se l'ente non si adegua al
parere motivato scatta il ricorso
dell'Avvocatura.
Ai più sembra sfuggito l'articolo 35 del
decreto salva Italia (legge n. 214/2011),
eppure esso è la conferma che a Roma inizia
a destare preoccupazione il fatto che molte
norme sulla pubblica amministrazione
rimangano di fatto lettera morta.
Il riferimento è al comma 2 dell'articolo
citato, ove si prevede che «l'Autorità
garante della concorrenza e del mercato, se
ritiene che una pubblica amministrazione
abbia emanato un atto in violazione delle
norme a tutela della concorrenza e del
mercato, emette, entro sessanta giorni, un
parere motivato, nel quale indica gli
specifici profili delle violazioni
riscontrate. Se la pubblica amministrazione
non si conforma nei sessanta giorni
successivi alla comunicazione del parere,
l'Autorità può presentare, tramite
l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro
i successivi trenta giorni».
In pratica l'Autorità, se ritiene che un
atto violi i principi di libera concorrenza,
può muoversi prima con le buone e poi
arrivare a promuovere la rimozione dell'atto
(con quanto ne può conseguire sul piano
delle responsabilità contabili e degli
allarmi penali). Chi pensava di avere
rimosso l'ostacolo rappresentato
dall'Autorità con l'abrogazione del 23-bis
della manovra estiva 2008 è servito.
Il tutto dovrebbe suscitare non poca
preoccupazione nei nostri amministratori e
dirigenti: «non è che questa volta si fa sul
serio?». Nel Paese dei rinvii e dei "penultimatum"
siamo certo portati a dubitare che davvero
si decida di verificare con determinazione
la corretta applicazione di norme difficili
da digerire. È quindi difficile prevedere
che cosa potrà mai avvenire in concreto, ma
certo, a giudicare dagli ultimi interventi
normativi, è innegabile che si abbia la
sensazione che molte cose stiano cambiando.
Fino a poco tempo fa, infatti, niente era
più facile del l'elusione delle norme o, per
i meno raffinati, del semplice ignorarle.
Eppure l'articolo 35 del decreto salva
Italia è solo l'ultima norma di una lunga
serie di interventi tesi a far rispettare le
regole con maggiore rigore. Gli effetti del
decreto "premi e sanzioni", ad esempio, lo
ha provato per primo il Comune di Castiglion
Fiorentino, del quale la Corte dei conti ha
chiesto e ottenuto il dissesto (ma altri
atti del genere sembrano essere in dirittura
d'arrivo).
Ancora, si ricorda che il Dl 138/2011 prima
(articolo 16, comma 14) e la legge di
stabilità poi (introducendo all'articolo 4
del Dl 138/2011 il comma 32-bis) hanno
affidato alle prefetture il compito di
verificare gli adempimenti dei Comuni sia in
tema di messa in liquidazione delle società
non ammesse sia di correttezza delle
procedure in tema di servizi pubblici
locali, fino ad arrivare all'esercizio del
potere sostitutivo con tutto ciò che ne
consegue: «nel caso in cui, all'esito
dell'accertamento, il Prefetto rilevi la
mancata attuazione di quanto previsto dalle
disposizioni (...), assegna agli enti
inadempienti un termine perentorio entro il
quale provvedere. Decorso inutilmente detto
termine, il Prefetto nomina un commissario ad acta per l'adozione dei provvedimenti
necessari».
E non è finita qui. L'antesignano di queste
norme sono certo i commi da 10 a 12 del
l'articolo 20 del Dl 98/2011 che esordiscono
stabiliscono «i contratti di servizio e gli
altri atti posti in essere dalle Regioni e
dagli enti locali che si configurano elusivi
delle regole del patto di stabilità interno
sono nulli» e che affidano alla Corte dei
conti il potere di perseguire e sanzionare
con una consistente sanzione pecuniaria il
responsabile dei servizi finanziari e gli
«amministratori che hanno posto in essere
atti elusivi delle regole del patto di
stabilità interno».
Vedremo come verranno applicate queste
norme. Ma è bene non sottovalutare il
rafforzamento dei controlli che il
legislatore sta, gradualmente, realizzando
(articolo Il Sole 24
Ore 02.01.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti,
un'ondata di proroghe. Il Sistri slitta al 2
aprile, addio alla discarica al 31 dicembre.
Con due decreti di fine anno ufficializzato
il rinvio degli ultimi adempimenti
ambientali.
Appuntamento dall'aprile
2012 in poi per l'operatività del nuovo
sistema di tracciamento telematico rifiuti,
per la denuncia dei rifiuti gestiti nel 2011
e per il divieto di conferimento in
discarica di determinati rifiuti.
Con due provvedimenti di fine anno, il
rituale decreto legge «Milleproroghe»
e un parallelo dm Ambiente (il primo
approvato il 23 dicembre, il secondo
pubblicato sulla G.U. della medesima data),
il Legislatore ha fatto slittare tutti i
principali termini di scadenza in materia
ambientale, quali la partenza dell'atteso «Sistri»
(posticipata al 02.04.2012) e del connesso «Mudino»
(la denuncia dei dati relativi ai rifiuti
gestiti nel corso dell'anno 2011, prorogata
al 30.04.2012), l'avvio a pieno regime del
meccanismo di «addio alla discarica»
imposto dalle norme comunitarie (saltato
all'01.01.2013).
Sistri.
In base al nuovo «Milleproroghe» è
slittato dal 9 febbraio al 02.04.2012
l'obbligo per i medi e grandi gestori di
rifiuti di adempiere agli obblighi operativi
del nuovo sistema di tracciamento telematico
dei rifiuti (ossia comunicazione telematica
al sistema informativo centrale dei rifiuti
gestiti, tracciamento satellitare dei mezzi
di trasporto, monitoraggio ingresso/uscite
dalle discariche).
L'appuntamento per i piccoli produttori non
partirà invece prima dell'01.06.2012, poiché
nel prorogare di due mesi il termine
generale di partenza del sistema Sistri
stabilito dal dl 138/2011 il nuovo «Milleproroghe»
ha salvato il più lungo termine concesso dal
dl 70/2011 ai produttori di rifiuti speciali
pericolosi con non più di dieci dipendenti,
compresi i produttori che effettuano il
trasporto dei propri rifiuti entro i 30
Kg/litri al giorno (novero di soggetti
individuato dal combinato disposto degli
articoli 212, comma 8, dlgs 152/2006, comma
5, dm Ambiente 26.05.2011, 3, comma 1, dm
Ambiente 52/2011) termine che scatterà dalla
data stabilita da un futuro dm Ambiente e
che non potrà essere (per espressa
statuizione dello stesso dl 138/2011)
anteriore all'01.06.2012.
Il nuovo «Milleproroghe» fa altresì
slittare dal 31.12.2011 al 02.07.2012 il
termine iniziale (previsto dal dlgs
205/2010) dell'obbligo di iscrizione al
Sistri per gli imprenditori agricoli che
producono e trasportano a una piattaforma di
conferimento, oppure conferiscono a un
circuito organizzato di raccolta, i propri
rifiuti pericolosi in modo «occasionale e
saltuario».
Sempre tramite un decreto del dicastero
dell'ambiente (questa volta previsto però
dal citato dl 138/2011 e i cui termini di
adozione sono già scaduti lo scorso
16.12.2011) arriverà un ulteriore
alleggerimento degli oneri Sistri,
alleggerimento consistente nella mera
facoltatività (in luogo della
obbligatorietà) di aderire al sistema di
tracciamento telematico per chi gestisce in
quantità limitate specifiche tipologie di
rifiuti a «bassa criticità ambientale».
Fino allo scoccare dei nuovi termini di
operatività del Sistri, lo ricordiamo, il
regime per il tracciamento dei rifiuti
continuerà a essere quello del cosiddetto «doppio
binario» previsto dall'articolo 12,
comma 2, del dm 17.12.2009, ossia:
obbligatorietà della tenuta dei registri di
carico e scarico dei rifiuti e formulario di
trasporto; facoltatività di adesione al
sistema di tracciamento telematico.
Denuncia rifiuti
(cosiddetto «Mudino»).
Come accennato, parallelamente al rinvio
degli adempimenti operativi Sistri, il nuovo
decreto del ministero dell'ambiente di fine
anno (dm 12.11.2011, pubblicato sulla G.U.
del 23.12.2011 n. 298) ha spostato i termini
per la denuncia (da effettuarsi mediante
l'apposita scheda Sistri prevista dm
17.12.2009, scheda meglio nota come «Mudino»)
dei dati relativi ai rifiuti gestiti nel
corso dell'anno 2011 e non coperti dal
Sistri, prevedendo inoltre (sulla base del
fatto che il sistema di tracciamento
telematico dei rifiuti non partirà che dal
02.04.2012, come previsto dal citato dl «Milleproroghe»)
il calendario per l'analoga denuncia
relativa ai rifiuti gestiti «fuori Sistri»
nel corso del 2012.
In base al nuovo scadenzario disegnato dal
dm Ambiente 12.11.2011 gli appuntamenti sono
i seguenti: le informazioni relative ai
rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2011
dovranno essere comunicate entro il
30.04.2012; le informazioni relative ai
rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2012 non
coperti dal Sistri dovranno essere invece
comunicate entro i successivi sei mesi dalla
operatività del nuovo sistema di
tracciamento telematico dei rifiuti,
operatività che scatterà (rispettivamente,
come accennato) il 02.04.2012 per i medi e
grandi gestori di rifiuti (con conseguente
obbligo di comunicazione dati entro il
02.10.2012) e dopo l'01.06.2012 per i
piccoli gestori (in una data, come stabilito
dal dl 70/2011 più sopra ricordato, che sarà
precisata dal Minambiente con decreto e che
farà scattare da quel momento i sei mesi
entro cui effettuare la comunicazione dei
dati «Mudino»).
A essere obbligati alla «Mudino» sono
i produttori iniziali di rifiuti e le
imprese e gli enti che effettuano operazioni
di recupero e di smaltimento dei rifiuti già
tenuti alla presentazione del «modello
Unico di dichiarazione ambientale»
(cosiddetto «Mud») previsto dalla legge
25.01.1994, n. 70.
«Addio alla discarica».
I rifiuti con «Pci» (ossia potere calorifico
inferiore) superiore a 13 mila kJ/kg
potranno continuare a essere ammessi in
discarica fino al 31.12.2012. Il citato dl «Milleproroghe»
ha spostato dall'01.01.2012 all'01.01.2013
l'«addio alla discarica» per i
rifiuti in parola previsto dal dlgs 36/2003
in attuazione della direttiva comunitaria
1999/31/Ce. La scelta, si legge nella
relazione al decreto legge approvato il
23.12.2011, è stata informata dalla carenza
di impianti di recupero energetico da
rifiuti a livello nazionale.
Una nuova stretta alla gestione dei rifiuti
in discarica arriverà però proprio nel 2013,
anno che costringerà l'Italia a tradurre sul
piano nazionale (e attraverso la
rivisitazione del dlgs 36/2003 in parola) le
ultime disposizioni comunitarie dettate
dalla direttiva 2011/31/Ce, direttiva che,
riformulando l'omonimo provvedimento
comunitario madre n. 1999/31/Ce, impone
nuovi adempimenti alla discariche che
ospitano mercurio metallico per oltre un
anno.
In base alla nuova direttiva 2011/31/Ce (Guue
del 10.12.2011 n. L328) l'ammissibilità di
tali rifiuti da parte delle discariche dovrà
infatti essere subordinata dagli Stati
membri al rispetto di particolari procedure
preliminari (campionamento «ad hoc»
compreso), lo stoccaggio temporaneo dovrà
poi essere effettuato in modo separato dagli
altri rifiuti e tramite serbatoi rispondenti
a precisi parametri tecnici.
Con l'upgrade delle norme sul
deposito dei rifiuti scatterà inoltre dal
2013 la piena applicabilità allo stoccaggio
del mercurio metallico il meccanismo di
controllo dei pericoli di incidenti
rilevanti previsto dalla direttiva 96/82/Ce,
meccanismo (meglio noto come «Seveso»
e tradotto sul piano nazionale con il dlgs
334/1999) fino a oggi non pienamente
declinabile alla fattispecie in esame a
causa (come sottolinea la stessa Ue nella
nuova direttiva 2011/31/Ce) della mancanza
di requisiti tecnici supplementari di
sicurezza analoghi a quelli ora previsti
(articolo ItaliaOggi
Sette del 02.01.2012). |
aggiornamento al
02.01.2012 |
|
ENTI LOCALI - VARI: Fabbricati
rurali, le domande da presentare fino al 31.03.2012.
Prorogato al 31.03.2012 il termine per la
presentazione delle domande di variazione
catastale all'agenzia del Territorio al fine
di ottenere le agevolazioni fiscali sui
fabbricati rurali.
Il differimento del termine è previsto
dall'articolo 29, comma 8, del dl 216, che
considera regolari anche le domande
presentate dopo la scadenza del termine
originario fissato al 30.09.2011.
La norma fa salvo però il classamento
originario degli immobili rurali a uso
abitativo.
Quindi sono interessati alle variazioni i
titolari di immobili strumentali, per
ottenere l'inquadramento catastale nella
categoria D/10, per i quali dal prossimo
anno con l'introduzione dell'Imu non sarà
più prevista l'esenzione, ma un trattamento
agevolato con applicazione dell'aliquota del
2 per mille, che i comuni potranno ridurre
all'1 per mille.
Va ricordato che con decreto del ministro
dell'Economia e delle finanze del 14.09.2011, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 220/2011, è stata data
attuazione alle disposizioni contenute
nell'art. 7, commi 2-bis e seguenti, del Dl
Sviluppo (70/2011).
Sono state infatti fissate le modalità
procedurali per la presentazione delle
domande di variazione catastale all'agenzia
del Territorio al fine di ottenere i
benefici fiscali sui fabbricati rurali.
Inoltre, sono stati indicati i documenti
necessari che i contribuenti devono allegare
alle richieste che potranno essere
presentate, in seguito alla proroga, entro
il 31.03.2012. Il provvedimento
ministeriale ha dato indicazioni sul
contenuto delle domande di variazione
catastale e delle autocertificazioni che i
contribuenti devono allegare alle istanze.
L'agenzia del Territorio, con la circolare
6/2011, ha fornito dei chiarimenti sugli
adempimenti che devono porre in essere gli
interessati.
Nella circolare viene precisato che la
domanda di variazione per il riconoscimento
della categoria catastale deve essere
presentata solo per le unità immobiliari già
iscritte al Catasto edilizio urbano, secondo
le seguenti modalità:
●
mediante consegna diretta all'ufficio;
●
tramite servizio postale, con raccomandata
con avviso di ricevimento;
●
tramite fax;
●
mediante posta elettronica certificata.
Gli indirizzi degli uffici locali
dell'Agenzia e ogni altro riferimento o
indicazione utili alla presentazione della
domanda di variazione sono consultabili sul
sito internet: www.agenziaterritorio.gov.it.
L'istanza deve presentata all'ufficio
competente, in duplice originale,
direttamente dal proprietario o titolare del
diritto reale sui fabbricati rurali o
tramite i soggetti incaricati, vale a dire i
professionisti abilitati alla redazione
degli atti di aggiornamento del Catasto
terreni ed edilizio urbano oppure tramite le
associazioni di categoria degli agricoltori.
Un originale deve essere restituito come
ricevuta al soggetto che ha presentato la
domanda. Se la richiesta viene spedita
tramite raccomandata con avviso di
ricevimento, mediante fax o per posta
elettronica certificata fanno fede,
rispettivamente, le date di spedizione, di
invio del fax o l'attestato di trasmissione
elettronica. La compilazione e la
presentazione della domanda è consentita
anche con modalità informatiche
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2011). |
ENTI LOCALI: Vecchie
regole per i revisori locali.
Per la scelta dei propri nuovi revisori dei
conti, gli enti locali devono continuare a
seguire le vecchie regole, sia per quanto
riguarda le modalità di nomina sia per la
durata del mandato.
Nell'ultima versione del «Milleproroghe» (Dl
216/2011), è saltata la norma che avrebbe
dato più tempo per la fissazione delle nuove
regole, introdotte dalla manovra-bis di
Ferragosto (articolo 16, comma 25, del Dl
138/2011) con il principio del sorteggio
presso le Prefetture (si veda anche Il Sole
24 Ore di ieri).
I termini previsti dalla
norma per l'emanazione del decreto
ministeriale con cui il Viminale avrebbe
dovuto indicare le modalità operative della
nuova disciplina sono abbondantemente
scaduti (andava pubblicato entro il 15
novembre) e nel frattempo rimangono, dunque,
valide le indicazioni ministeriali sulla
necessità di seguire le vecchie procedure
fino a quando le nuove non saranno pronte.
Anche perché la pubblicazione del decreto,
che oltre ai requisiti per accedere alle
varie fasce demografiche dovrebbe indicare
anche le modalità per esprimere le
preferenze territoriali degli aspiranti
revisori, non basta da sola a far partire la
giostra dei sorteggi, a cui serve anche il
varo delle liste regionali e la preparazione
dei sistemi informatici per gestire le
richieste. Nel frattempo, quindi, è il
decreto legislativo 293/1994 (articolo 3,
comma 1) a dettare legge, prevedendo una
proroga massima di 45 giorni per i collegi
in carica e il rinnovo con il passaggio in
consiglio comunale.
Per quanto riguarda le altre scadenze,
invece, si sposta a giugno il termine per la
gestione associata delle prime due funzioni
fondamentali nei Comuni fino a 10mila
abitanti, e slitta di un anno l'applicazione
della "riforma" della riscossione
come previsto dal Dl 201/2011
(articolo Il Sole 24
Ore
del 31.12.2011). |
ENTI LOCALI: Revisori estratti a
sorte, anzi no.
Salta il rinvio della riforma che è in stand
by in attesa del dm. La mancata proroga
dell'art. 16 lascia invariata anche la dead line per le
dismissioni societarie.
Nessun rinvio per l'estrazione a sorte dei
revisori locali e la dismissione delle
società partecipate. La mancata proroga
delle norme sull'associazionismo dei piccoli
comuni contenute nell'art. 16 della manovra
di Ferragosto (dl n. 138/2011) vanifica
anche due differimenti molto attesi dagli
enti.
E che, stando alle prime indiscrezioni sul
decreto milleproroghe (dl n. 216/2011),
avrebbero dovuto trovare posto nel
provvedimento, salvo poi scomparire
all'improvviso nel testo pubblicato giovedì
sera in Gazzetta Ufficiale (si veda
ItaliaOggi di ieri).
Il primo rinvio avrebbe dovuto riguardare il
comma 25 dell'art. 16, quello per intenderci
che ha affidato la nomina dei revisori
locali a una sorta di lotteria con tanto di
estrazione a sorte da un elenco in cui i
professionisti saranno inseriti in base a
criteri non ancora definiti da parte del
ministero dell'interno. Il mancato rinvio
non avrà però conseguenze pratiche sulla
gestione dei comuni perché come chiarito dal
Viminale e dalla Corte dei conti (si veda
ItaliaOggi di ieri), la riforma non può
considerarsi applicabile fino a quando non
sarà stato approvato il decreto che il
ministero avrebbe dovuto licenziare entro 60
giorni dalla conversione in legge del dl
138.
Il termine è trascorso invano, ma
proprio la natura stessa di scadenza
ordinatoria (e dunque non sanzionata in caso
di inottemperanza) mal si concilia con
l'eventualità che possa essere differita con
una proroga. «In effetti non c'era bisogno
di un rinvio visto che le nuove regole
possono considerarsi già in stand-by in
attesa del decreto ministeriale», osserva
Antonino Borghi, presidente dell'Ancrel.
«Basta che il Viminale non approvi il
decreto e l'estrazione a sorte dei revisori
non diventerà mai operativa».
Discorso diverso per le dismissioni delle
partecipate da parte dei comuni con meno di
30 mila abitanti. La manovra di Ferragosto
ha anticipato di un anno (dal 31.12.2013 al 31.12.2012) la
dead line per
mettere in liquidazione le società o cederne
le quote di partecipazione. La modifica è
contenuta nel comma 27 dell'art. 16 che in
un primo momento figurava nell'elenco di
norme che avrebbero dovuto beneficiare della
proroga di un anno. Dunque il termine
sarebbe dovuto slittare nuovamente a fine
2013. Ma il fatto che la versione definitiva
del milleproroghe non ne faccia menzione
riporta tutto come prima. E assegna ai
comuni un orizzonte temporale di un solo
anno per portare a termine le dismissioni,
salvo un ripensamento globale da parte del
governo Monti che secondo quanto risulta a
ItaliaOggi appare assai probabile.
Confermata invece la proroga di un anno
della riforma della riscossione locale
introdotta dal decreto sviluppo di maggio
(dl n. 70/2011) e differita di 12 mesi dalla
manovra Monti (dl n. 201/2011)
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Mini-enti, proroga con
giallo.
Salta la sospensione dell'art. 16. Funzioni
associate dal 30/06/2012. La sorpresa nel
testo definitivo del milleproroghe in Gazzetta Ufficiale. I
comuni: andiamo avanti.
Proroga con giallo per i piccoli comuni. Nel
testo definitivo del decreto milleproroghe
(dl n. 216/2011), pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 302 di ieri, i mini-enti che
già festeggiavano per lo slittamento di un
anno della marcia di avvicinamento verso
l'associazionismo forzoso scandita dall'art.
16 della manovra di Ferragosto (dl
138/2011), trovano invece una proroga a
metà.
Con buona pace dell'Anci (che dopo il varo
del decreto aveva ringraziato il governo per
la «sensibilità mostrata») e di un ordine
del giorno ad hoc approvato dalla camera,
del differimento dell'art. 16 non c'è
infatti traccia. E delle modifiche, già date
per acquisite dall'Anci, resta solo la
proroga della scadenza più ravvicinata:
quella che entro la fine di quest'anno
avrebbe imposto ai piccoli comuni di
svolgere in forma associata almeno due delle
sei funzioni fondamentali individuate dalla
legge delega sul federalismo fiscale:
amministrazione, gestione e controllo;
polizia locale; istruzione pubblica,
compresi gli asili nido e l'edilizia
scolastica; viabilità e trasporti; gestione
del territorio e ambiente; welfare.
La proroga c'è, ma a differenza delle
aspettative, non è più di un anno, ma di sei
mesi. La dead line per quello che prima di
questo pasticcio era considerato il primo
step dell'associazionismo scadrà dunque il
30.06.2012 (per esercitare in forma
associata tutte e sei le funzioni ci sarà
tempo fino al 30.06.2013). Ma prima di
questa data, visto che è sfumato lo
slittamento di un anno del cronoprogramma
imposto dall'art. 16, i piccoli comuni
troveranno una scadenza molto più
ravvicinata e per di più perentoria: entro
il 17.03.2012 (salvo proroghe) gli enti
sotto i mille abitanti dovranno trasmettere
alle regioni le proprie proposte di unione.
Meno di tre mesi, dunque, per capire se
Mario Monti intenda proseguire sulla strada
tracciata da Berlusconi e Tremonti o
piuttosto sospendere l'art. 16 per ripensare
in maniera globale la materia.
Il dietrofront del decreto milleproroghe
lascerebbe propendere per la prima ipotesi,
tanto più che nelle stanze del Mef e di
palazzo Chigi l'associazionismo obbligatorio
dei piccoli comuni può vantare sostenitori
di tutto rispetto (tra questi il
sottosegretario alla presidenza del
consiglio, Antonio Catricalà).
Ma in realtà l'impressione è che si sia
trattato solo di un pasticcio. Del resto,
dopo il varo del decreto, era stato lo
stesso ministro dell'interno Anna Maria
Cancellieri a telefonare al presidente dell'Anci,
Graziano Delrio per rassicurarlo sul
recepimento delle richieste di proroga dell'Anci.
Solo un qui pro quo, dunque? È possibile, ma
resta in piedi l'ipotesi che il governo
abbia consapevolmente rinviato di affrontare
il capitolo relativo all'art. 16 preferendo
invece concentrarsi sui soli termini di
immediata scadenza (quelli sull'esercizio
associato delle funzioni contenuti nell'art.
14, comma 31, lettere a) e b) del dl
78/2010). E le dichiarazioni di Monti al
termine del consiglio dei ministri, in cui
il premier ha vantato il numero limitato di
differimenti presenti nel decreto (per
questo non più etichettabile, ha detto, come
«milleproroghe») potrebbero essere un
indizio in tal senso.
I comuni dal canto
loro non fanno drammi. «Siamo comunque
soddisfatti per la proroga del termine per
l'esercizio delle funzioni fondamentali in
forma associata», ha dichiarato a ItaliaOggi
Delrio. «Sarebbe scaduto domani ed era
urgente spostarlo in avanti». «Possiamo dire
che se non è stato sospeso l'art. 16 ne è
stata sospesa la premessa».
Per Mauro
Guerra, coordinatore nazionale dei piccoli
comuni dell'Anci, «questi pochi mesi che ci
separano dalla scadenza di marzo devono
servire per riscrivere le norme in modo che
l'associazionismo non pregiudichi le unioni
già in atto da anni». Mentre Franca Biglio,
presidente dell'Anpci, invita a «lavorare
con ancora più forza per far comprendere al
parlamento e al governo che obbligare i
piccoli comuni ad associarsi non genera
risparmi»
(articolo ItaliaOggi
del 30.12.2011). |
ENTI LOCALI: In house, paletti dalla Corte
conti.
Dai corrispettivi dell'ente almeno l'80%
della produzione. La sezione autonomie pone
un punto fermo sulle spese di personale
delle società partecipate.
Ai fini del calcolo dell'incidenza delle
spese di personale negli enti locali, che si
riflettono sulla possibilità di effettuare
assunzioni, con riferimento alle spese
sostenute da società partecipate, queste
devono intendersi quelle partecipate
dall'ente o da più enti in modo totalitario,
il cui valore della produzione è costituito
da corrispettivi dell'ente proprietario in
misura non inferiore all'80% dei ricavi
complessivi.
Inoltre, ai fini della determinazione della
spesa complessiva, in attesa della riforma
dei sistemi contabili degli enti locali, si
assume quale riferimento la spesa inserita
nei questionari che i revisori dei conti
sono tenuti a trasmettere alla Corte dei
conti sul rendiconto dell'ente. Infine, per
determinare la quota delle spese di
personale della società partecipata,
occorrerà una semplice proporzione
matematica, il cui calcolo va effettuato per
ciascun organismo partecipato.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione
delle autonomie della Corte dei conti, nel
testo della
deliberazione
28.12.2011 n. 14, in merito alla
determinazione della quota di spese di
personale da assumere ai fini del rispetto
del limite imposto dall'articolo 76, comma 7,
del dl n. 112/2008, norma che impedisce agli
enti locali di procedere ad assunzioni se
l'incidenza della spesa di personale è pari
o superiore al quaranta per cento delle
spese correnti.
Su impulso del comune di Campi Bisenzio (Fi),
la sezione autonomie ha inteso dirimere i
dubbi sussistenti sulla corretta
applicazione della disposizione, con
particolare riferimento alle spese delle
società partecipate, sia singolarmente sia
in consorzio, da enti locali.
In particolare, la Corte ha rilevato che
l'ambito soggettivo della disposizione si
applica a quelle società partecipate in modo
totalitario da un ente pubblico o da più
enti pubblici congiuntamente, tenuto conto
del concetto di società in house, come
società che vive «prevalentemente» di
risorse provenienti dall'ente locale (o da
più enti locali), caratterizzata da un
valore della produzione costituito per non
meno dell'80% da corrispettivi dell'ente
proprietario ovvero società che presentano
le caratteristiche di cui all'art. 2359 del
codice civile, purché affidatarie dirette di
servizi pubblici locali.
In merito al secondo quesito posto, ovvero
su quali basi (numeriche) porre a fondamento
la spesa di personale, la Corte ha
sottolineato che, al momento, gli enti
locali sono interessati da una profonda
ristrutturazione dei loro sistemi contabili.
Infatti, il dlgs n. 118/2011, all'articolo
11, prevede che le p.a. (tra cui enti locali
e loro società strumentali) sono tenuti ad
adottare schemi di bilancio finanziari,
economici e patrimoniali e schemi di
bilancio consolidato con i propri enti e
organismi strumentali, aziende, società
controllate e partecipate e altri organismi
controllati. Sistema che, terminata la fase
di sperimentazione che interessa una
trentina circa di amministrazioni
appositamente indicate, andrà a regime
dall'01/01/2014.
In attesa della «rivoluzione
contabile», con riferimento alle
partecipate, i dati rilevanti ai fini del
computo possono essere tratti dai
questionari allegati alle relazioni degli
organi di revisione al rendiconto dell'ente
locale, trattandosi di dati certificati
provenienti dalle contabilità degli enti e
verificati dagli organi di revisione.
Quindi, la Corte ha individuato nei
corrispettivi a carico dell'ente, desumibili
dai questionari delle predette linee guida,
lo strumento che consente di attribuire al
medesimo le spese di personale della società
che possono essere associati alla
prestazione dei servizi erogati a fronte di
quel corrispettivo.
Infine, per determinare la quota delle spese
di personale della società partecipata, da
sommare alle spese di personale degli enti
proprietari, la Corte ha elaborato un metodo
sintetico. In pratica, occorrerà effettuare
una semplice proporzione, secondo cui il
valore della produzione della società sta
alle spese totali del personale della stessa
come il corrispettivo sta alla quota del
costo di personale attribuibile all'ente,
che è poi l'incognita da calcolare. Quindi,
moltiplicare le spese di personale per il
corrispettivo e dividere tale risultato per
il valore della produzione.
La quota, così individuata, va a sommarsi
alle spese di personale dell'ente e il
totale si divide per le spese correnti
dell'ente stesso. Questo calcolo, rileva la
corte, va effettuato per ciascun organismo
partecipato, sia che si tratti di società
posseduta da uno o più enti, ovvero di
società miste pubblico-privato, che l'ente
controlla
(articolo ItaliaOggi
del 30.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: L'estrazione dei revisori non è
immediatamente applicabile. Novità congelate
in assenza del regolamento del Viminale.
La riforma del sistema di nomina dei
revisori dei conti negli enti locali, sia in
forma monocratica sia collegiale, dettata
dalla manovra-bis di Ferragosto (il dl n.
138/2011), non è immediatamente applicabile.
Almeno fino a quando non sarà pienamente
operativo il meccanismo di nomina dei
revisori che implica la preventiva
definizione dei criteri e dei principi cui
attenersi nella predisposizione degli
elenchi da cui trarre i nominativi ai quali
conferire l'incarico.
Così, in attesa di questi criteri, la nomina
dei revisori resta regolata, ancora oggi,
dall'articolo 234 del Tuel.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione
regionale di controllo della Corte dei conti
Basilicata, nel testo del parere
16.12.2011 n. 136, con cui, per la prima volta sul
panorama giurisprudenziale, ha fatto
chiarezza sulla portata applicativa delle
disposizioni contenute all'articolo 16,
comma 25, del decreto legge n. 138/2011.
Come noto, tale norma prevede che a
decorrere dal primo rinnovo dell'organo di
revisione, i revisori dei conti degli enti
locali sono scelti mediante estrazione da un
elenco nel quale possono essere inseriti, a
richiesta, i soggetti iscritti, a livello
regionale, nel registro dei revisori legali,
nonché gli iscritti all'Ordine dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili.
Con un decreto del Mininterno, che avrebbe
dovuto essere emanato entro lo scorso mese
di ottobre, ma di cui si sono perse le
tracce, sono stabiliti i criteri per
l'inserimento degli interessati nel predetto
elenco, sulla scorta di alcuni parametri tra
cui la precedente richiesta degli
interessati di voler svolgere la funzione di
revisore per enti locali e il possesso di
una specifica qualificazione professionale
in materia di contabilità pubblica.
Sulla vicenda, il sindaco di Banzi (Pz),
nell'esporre alla Corte che l'incarico di
revisore nel suo comune è scaduto il 30
settembre scorso, chiede se, nelle more
dell'emanazione del citato decreto
Mininterno, possa ritenersi vigente un
regime di prorogatio, secondo cui siano
ancora applicabili le disposizioni di nomina
dei revisori contenuti all'articolo 234 del
Testo unico sugli enti locali.
Per il collegio della Corte lucana, le
disposizioni contenute nella manovra di
Ferragosto sono destinate a sostituire il
vigente sistema di nomina dei revisori, con
nuove modalità. Ma è altrettanto vero che
per prodursi l'effetto abrogativo di tale
sistema, occorra la piena operatività della
nuova disposizione, destinata a prendere il
posto della precedente. Se tale operatività
non sia piena o non sia assicurata l'effetto
abrogativo non può realizzarsi.
In poche
parole, per la Corte, nel caso in esame, la
mancanza degli elenchi in cui gli
interessati alla nomina di revisore
avrebbero potuto chiedere di far inserire il
proprio nominativo, sulla base dei titoli e
dei criteri stabiliti dal Ministero
dell'interno, rende la disposizione di legge
non immediatamente operativa, con la
conseguenza che anche l'effetto abrogativo
della disposizione contenuta nell'art. 234
del Testo unico resta, al momento, impedito.
Sulla base di queste considerazioni, ha
concluso il collegio, fino a quando non sarà
pienamente operativo e applicabile il
meccanismo di nomina dei revisori previsto
dall'art. 16, comma 25, del decreto legge n.
138/2011, che implica la preventiva
definizione dei criteri e dei principi cui
attenersi nella predisposizione degli
elenchi da cui trarre i nominativi ai quali
conferire l'incarico, resta immutato e
vigente il sistema oggi regolato dall'art.
234 del Testo unico
(articolo ItaliaOggi
del 30.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Dallo stadio al comune.
Molti ostacoli per il patron che vuole
candidarsi. L'incompatibilità del
presidente di un club sportivo va valutata
caso per caso.
La carica di sindaco è incompatibile con
quella di presidente di una società sportiva
che ha in concessione beni comunali, oltre a
ricevere dal comune aiuti economici sotto
forma di contributi?
L'eventuale incompatibilità potrebbe
configurarsi in base all'art. 63, comma 1,
n. 1 del Tuel, qualora risulti che la
società riceva in via continuativa la
sovvenzione, purché quest'ultima sia in
tutto o in parte facoltativa e la parte
facoltativa superi nell'anno il 10% del
totale delle entrate della società.
Una causa ostativa all'esercizio del mandato
potrebbe altresì verificarsi in base
all'ipotesi di cui al n. 2 del comma 1 del
citato art. 63, qualora risultasse
dall'analisi dell'eventuale convenzione
stipulata con il comune, che la società «ha
parte, direttamente o indirettamente, in
servizi nell'interesse del comune», ovvero
che si tratti di impresa volta al profitto
di privati, sovvenzionata dal comune in modo
continuativo, qualora la sovvenzione non sia
dovuta in forza di una legge dello stato o
della regione.
In ogni caso sarebbe necessario accertare se
il consiglio comunale si sia già espresso
sulla posizione del sindaco, in sede di
convalida degli eletti o, successivamente,
in esito alla procedura prevista dall'art.
69 del citato testo unico
(articolo ItaliaOggi
del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
LAVORI PUBBLICI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Consorzi per strade
vicinali.
Qual è l'attuale disciplina dei consorzi per
le strade vicinali ad uso pubblico e la
misura della partecipazione alle spese da
parte dell'ente locale, posto che l'unica
disposizione in vigore in materia
sembrerebbe essere l'art. 14 della legge
12/02/1958, n. 126, sulla base del
presupposto che il d.llgt. 01/09/1918, n. 1446
risulterebbe abrogato dal dl 22/12/2008, n.
200, convertito dalla legge 18/02/2009, n. 9?
Dalla ricostruzione dei passaggi normativi
che hanno interessato la disciplina in
materia, emerge che il dllgt n. 1446/1918
era stato mantenuto in vigore dalla citata
legge 18-2-2009 n. 9 fino al 15/12/2009.
Sennonché, il decreto legislativo 01.12.2009, n. 179, ha sottratto all'effetto
abrogativo le disposizione di cui al
suddetto dllgt 01/09/1918, n. 1446 (art. 1,
comma 2, all. 2); inoltre ha ritenuto
indispensabile la permanenza in vigore
dell'art. 14 della legge 12/12/1958, n. 126,
relativamente all'obbligo delle strade
vicinali di uso pubblico (art. 1, comma 1,
in combinato disposto con l'allegato 1 al dlgs n. 179/ 2009).
Ciò stante, la disciplina relativa alla
manutenzione e riscossione delle strade
vicinali, ed alla facoltà per gli utenti
delle stesse di costituirsi in consorzio,
può essere tutt'ora ricondotta alle
disposizioni di cui al dllgt 01/09/1918, n.
1446 e all'art 14 della legge n. 126 del
1958.
Occorre, tuttavia, distinguere se si tratti
di strade vicinali soggette ad uso pubblico
o esclusivamente ad uso privato.
Nel primo caso, quando il comune è titolare
di un diritto reale di uso pubblico sulla
strada vicinale, che è sempre di proprietà
privata, la costituzione di consorzi per la
manutenzione, sistemazione e ricostruzione
di dette strade, ai sensi dell'art. 14 della
legge n. 126 del 12/2/1958, è obbligatoria,
mentre rimane facoltativa nel secondo caso.
Dalla sussistenza o meno del pubblico
utilizzo deriva anche l'obbligo, per il
comune, di concorrere alle spese; in
applicazione, infatti, dell'art. 3 del citato dllgt n. 1446 del 1918, che fissa i limiti
di compartecipazione per le strade vicinali
soggette al pubblico transito, il comune è
tenuto a concorrere alle spese di
manutenzione, sistemazione e ricostruzione
nella misura variabile da un quinto sino
alla metà della spesa, a seconda
dell'importanza della strada.
Detti limiti, che riguardano il comune, sono
inderogabili in quanto con tale disciplina,
tenuto conto dello speciale regime giuridico
di queste strade, il legislatore ha già
contemperato a monte gli interessi pubblici
e privati in gioco, demandando ai comuni
solo la possibilità di scegliere in concreto
l'ammontare della contribuzione all'interno
dei limiti minimi e massimi consentiti,
motivando esaurientemente tale scelta (in
tal senso la Corte dei conti, sez. reg. di
controllo per il Veneto n. 140/2008).
Pertanto, nella fattispecie prospettata, che
riguarda i consorzi per le strade vicinali
ad uso pubblico, nella ritenuta applicazione
dell'art. 14 della legge n. 126/1958, che
rende obbligatoria la costituzione della
forma associativa, e degli artt. 1 e 3 del
dllgt n. 1446/1918, si deduce che gli oneri
per la manutenzione e sistemazione delle
strade vicinali gravano essenzialmente sui
soggetti privati che le utilizzano, salvo il
concorso del contributo comunale nei limiti
e termini stabiliti dalla legge
(articolo ItaliaOggi
del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Milleproroghe.
Sei mesi in più (invece di 12) per risolvere
i problemi applicativi della riforma della
riscossione locale.
Niente rinvio per i mini-Comuni.
Salta la dilazione sulle Unioni obbligatorie
per gli enti fino a mille abitanti.
Nella versione definitiva del decreto «Milleproroghe»
(battezzato come Dl 216/2011 nella «Gazzetta
Ufficiale» di ieri) scompaiono i tempi
supplementari per le Unioni obbligatorie
previste dalla manovra-bis di Ferragosto, si
riduce a sei mesi il rinvio della "riforma"
della riscossione locale scritta (male) nel
decreto Sviluppo di maggio, mentre vengono
confermati i sei mesi in più per il
calendario attuativo dell'esercizio in forma
associata delle funzioni fondamentali da
parte dei Comuni sotto i 10mila abitanti.
Saltata anche la proroga per le nuove regole
sui revisori.
In pratica, per i piccoli Comuni l'unica
concessione del decreto di fine anno nella
sua versione definitiva riguarda la prima
"razionalizzazione" amministrativa, quella
introdotta dalla manovra correttiva
dell'anno scorso (Dl 78/2010, articolo 14,
comma 31) e tutta concentrata sull'esercizio
associato delle sei «funzioni fondamentali»
individuate dalla legge sul federalismo
fiscale (si tratta di amministrazione
generale, Polizia locale, istruzione
pubblica, viabilità e trasporti, territorio
e ambiente –tranne l'edilizia residenziale
pubblica– e settore sociale). La norma
chiede di aggregare almeno 10mila abitanti
nella gestione di due funzioni fondamentali
entro fine 2011, quattro entro il 2012 e
tutte e sei entro il 2013, e con
l'intervento del Milleproroghe i termini si
spostano dall'ultimo giorno dell'anno al 30
giugno di quello successivo.
Nelle ultime settimane, però, la battaglia
da parte degli amministratori locali si era
accesa soprattutto sul secondo passo della
"razionalizzazione", quello che impone di
aggregare in Unioni di Comuni con almeno
5mila abitanti tutte le attività e i servizi
pubblici oggi gestiti da enti con meno di
mille residenti, e di far convogliare in
gestioni associate di almeno 10mila abitanti
tutte le funzioni fondamentali dei Comuni
oggi compresi fra mille e 5mila persone.
L'obbligo è molto più stringente rispetto al
primo, perché determina in pratica la
scomparsa delle attuali strutture
amministrative nei mini-enti (che perdono
anche le Giunte e si vedono ridotti i posti
in Consiglio) e lo spostamento delle
attività cruciali (bilancio compreso) dal
Comune all'Unione.
La prima scadenza è ad agosto 2012, e questo
potrebbe spiegare l'uscita dal Milleproroghe.
Il problema, però, è che la maggior parte
delle Regioni non hanno individuato in tempo
limiti demografici adeguati ai propri
territori, e l'applicazione rischia di
trasformarsi in un rebus insolubile
(articolo Il Sole 24
Ore
del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Imu, niente sgravi al comodato.
Non è possibile usufruire dell'aliquota
ridotta pari a 0,4%. L'imposta municipale
propria manda in soffitta l'agevolazione per
la casa concessa in uso gratuito.
Con l'introduzione dell'imposta municipale
propria (Imu) esce di scena l'agevolazione
sulle unità abitative destinate ad
abitazione principale concesse in uso
gratuito a parenti e la riduzione del 50%
del tributo sull'immobile locato.
Dal 2012 troverà applicazione, in luogo
dell'imposta comunale sugli immobili (Ici),
di cui al dlgs. 504/1992, l'imposta
municipale propria che, ancorché introdotta
in via sperimentale dal dl. 201/2011, è del
tutto autonoma e svincolata complessivamente
dal vecchio tributo locale.
A sostegno di quanto indicato, si evidenzia
l'assoggettamento al tributo anche dei
fabbricati rurali, sia a destinazione
abitativa (0,4%) che strumentale (0,2%),
ancorché rispettosi dei requisiti di
ruralità, di cui ai commi 3 e 3-bis,
dell'art. 9, dl. 557/1993 e ancorché censiti
nelle categorie specifiche (A/6 o D/10).
Sulla medesima falsariga non si rendono più
applicabili gli abbattimenti disposti
dall'art. 9, del dlgs.504/1992 per i terreni
agricoli, ancorché permanga la nota
«finzione giuridica», stante il richiamo
all'art. 2 del medesimo decreto istitutivo
dell'imposta comunale (Ici), secondo la
quale i terreni fabbricabili devono essere
considerati agricoli, se coltivati.
Permangono, inoltre, numerose perplessità
sulle modalità applicative dell'imposta
municipale, con la necessità di attendere
l'approvazione dei singoli regolamenti
comunali, considerata l'ampia potestà
legislativa concessa a tali enti, che non si
limita alla modulazione dell'aliquota, in
aumento o in diminuzione, fino a 0,2 punti
percentuali.
L'unica certezza è l'impossibilità di
usufruire dell'aliquota ridotta pari allo
0,4% per le abitazioni principali concesse
in uso gratuito (comodato) a parenti, con la
conseguenza che, fatte salve indicazioni
regolamentari diverse, a questa tipologia si
rende applicabile l'aliquota maggiorata pari
allo 0,76% e che soltanto le unità inserite
nelle categorie C/2, C/6 e C/7 possono
essere considerate pertinenze
dell'abitazione principale, con
l'applicazione della relativa aliquota
ridotta.
Peraltro, rispetto all'imposta municipale a
regime, non è prevista neppure la riduzione
al 50% dell'imposta dovuta per gli immobili
locati, stante il rinvio alla potestà
legislativa dei comuni che hanno la facoltà
di ridurre l'aliquota di tali immobili fino
allo 0,4%.
Con riferimento alle ulteriori perplessità,
permane quella dei fabbricati inagibili o
non abitabili, per i quali il comma 1,
dell'art. 8, dlgs n. 504/1992, dispone la
riduzione del 50% dell'imposta dovuta, se
non utilizzati nel periodo, mentre le
disposizioni di cui all'art. 13, dl n.
201/2011 non ne fanno alcun cenno,
richiamando l'articolo 8 solo nella parte
inerente (comma 4) le unità immobiliari,
appartenenti alle cooperative a proprietà
indivisa, adibite ad abitazione principale
dai soci assegnatari, ai fini del
riconoscimento della detrazione di 200 euro,
rapportata al periodo dell'anno in cui
l'unità è adibita a tale scopo.
Nessun riferimento specifico alle esenzioni
prescritte dall'art. 7, dlgs 504/1992 con
riferimento agli immobili destinati
«esclusivamente» ai compiti istituzionali
posseduti da Stato, regioni, province e
comuni, i fabbricati classificati nelle
categorie «E» (da E/1 a E/9), i fabbricati
destinati a usi culturali o all'esercizio
del culto o posseduti dalla Santa Sede o
Onlus, i terreni agricoli collocati nelle
zone collinari o montane e gli immobili
utilizzati dagli enti pubblici o privati
diversi dalle società per l'esercizio di
attività assistenziali, previdenziali,
sanitarie e didattiche o del culto.
Il nuovo tributo prevede esplicitamente
l'applicazione di un'aliquota ridotta solo
per l'abitazione principale e la detrazione
per il coniuge separato o divorziato non
assegnatario della casa coniugale, di cui al
comma 3-bis, art. 6, dlgs n. 504/1992 e per
l'unità immobiliare, non locata, posseduta a
titolo di proprietà o usufrutto da anziani o
disabili che prendono la residenza presso
istituti di ricovero o sanitari per ricovero
permanente, di cui al comma 56, dell'art. 3,
legge n. 662/1996.
Dubbi sull'applicazione delle agevolazioni
destinate agli immobili di interesse
storico-artistico, compresi quelli
appartenuti a enti pubblici o non
commerciali, restando in piedi le
disposizioni introdotte dall'art. 10, del
dlgs n. 42/2004 per la determinazione della
base imponibile ai fini dell'Ici, che non
sono state abrogate.
Infine, si prende atto dell'innalzamento (in
sede di conversione) della maggiorazione
della detrazione limitata ai primi due anni
di applicazione (2012 e 2013) che, con la
nuova formulazione, non può superare
l'importo massimo di 400 euro; di
conseguenza, se la maggiorazione massima
(400) si somma alla detrazione base (200),
l'ammontare complessivo potrà raggiungere
600 euro.
Sul punto, infine, si ritiene che la
detrazione di 50 euro per ciascun figlio di
età non superiore a 26 anni, purché
dimorante e residente nell'unità immobiliare
adibita ad abitazione principale, dovrà
essere applicata pro rata temporis,
mentre non risulta necessario che i figli
siano fiscalmente a carico del proprietario,
in attesa dei necessari chiarimenti sulla
corretta ripartizione in presenza di figli
di un solo coniuge o di figli comproprietari
dell'unità immobiliare
(articolo ItaliaOggi
del 29.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - VARI: P.a., certificati in soffitta dal
2012.
Chi continuerà a chiederli rischierà
sanzioni disciplinari. Direttiva di Patroni
Griffi. Due le chance: autocertificazioni o
acquisizione dei dati d'ufficio.
Dall'01.01.2012 niente più certificati
alla p.a.. Gli uffici pubblici dal prossimo
anno avranno solo due possibilità: acquisire
d'ufficio dati e informazioni sui cittadini
o accettare le autocertificazioni. Ma non
potranno più richiedere certificati. E chi
continuerà a farlo rischierà grosso perché
si tratterà di un'ipotesi di violazione dei
doveri d'ufficio.
Sui documenti dovrà essere obbligatoriamente
inserita la seguente avvertenza: «Il
presente certificato non può essere prodotto
agli organi della pubblica amministrazione o
ai privati gestori di pubblici servizi». Una
dicitura essenziale per la validità stessa
del certificato, in assenza della quale,
oltre alla nullità del documento, potranno
scattare pesanti sanzioni per il dipendente
pubblico responsabile.
Sulla «decertificazione» dei rapporti tra
p.a. e privati il ministro della funzione
pubblica Filippo Patroni Griffi si muove nel
solco avviato dal suo predecessore Renato
Brunetta. E con
la
direttiva 22.12.2011 n. 14
richiama
tutte le amministrazioni a un'applicazione
immediata delle norme contenute nella legge
di stabilità 2012 (legge n. 183/2011) che in
realtà non si inventano nulla di nuovo, ma
semplicemente puntano ad attuare due
principi esistenti nel nostro ordinamento da
oltre 20 anni, ma mai attuati. Il primo si
trova nell'art. 18 della legge sul
procedimento amministrativo (n. 241/1990)
secondo cui «i documenti attestanti atti,
fatti, qualità e stati soggettivi» sono
«acquisiti d'ufficio» quando «sono in
possesso dell'amministrazione procedente,
ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da
altre pubbliche amministrazioni».
Il secondo nell'art. 43 del dpr 445/2000
(Testo unico sulla documentazione
amministrativa) che recita: «Le
amministrazioni pubbliche e i gestori di
pubblici servizi non possono richiedere atti
o certificati concernenti stati, qualità
personali e fatti che siano attestati in
documenti già in loro possesso o che
comunque esse stesse siano tenute a
certificare». E prosegue: «In luogo di tali
atti», le p.a. sono tenute «ad acquisire
d'ufficio le relative informazioni, ovvero
ad accettare la dichiarazione sostitutiva
prodotta dall'interessato». Eppure gli
uffici pubblici non li applicano mai,
costringendo i cittadini a file
interminabili e disagi.
I due principi per volere di Renato Brunetta
sono stati inseriti dapprima nella bozza di
decreto sviluppo che il governo Berlusconi
avrebbe dovuto presentare a fine ottobre ma
poi sono transitati nella legge di
stabilità.
Ora Patroni Griffi stringe i tempi. E la
direttiva è il chiaro segno della volontà
del ministro di non trasformare questa
opportunità di semplificazione nell'ennesima
occasione mancata. A farne le spese, oltre
ai cittadini, sarebbero soprattutto le
imprese a cui le nuove norme portano in dote
due ulteriori opportunità: l'acquisizione
d'ufficio del Durc (il Documento unico di
regolarità contributiva che attesta
l'assolvimento degli obblighi legislativi e
contrattuali nei confronti di Inps, Inail e
Cassa Edile) e la trasmissione telematica
dei certificati antimafia (che tanto ha
fatto discutere al momento dell'annuncio da
parte di Brunetta, si veda ItaliaOggi del
27/09/2011).
Per scongiurare il rischio di un nuovo flop
le p.a. che emettono i certificati dovranno
individuare un ufficio responsabile «per
tutte le attività volte a gestire, garantire
e verificare la trasmissione dei dati o
l'accesso diretto alle informazioni da parte
delle amministrazioni». La mancata risposta
alle richieste di controllo entro 30 giorni
costituirà violazione dei doveri d'ufficio e
verrà presa in considerazione ai fini della
valutazione delle performance individuali.
Non solo. Le amministrazioni certificanti
dovranno pubblicare sul proprio sito
internet istituzionale le misure
organizzative adottate per garantire una
«efficiente, efficace e tempestiva
acquisizione d'ufficio dei dati».
La correttezza delle autocertificazioni sarà
verificata attraverso controlli a campione,
mentre l'acquisizione dei dati da altre p.a.
dovrà avvenire senza oneri «con qualunque
mezzo idoneo ad assicurare la certezza della
loro fonte di provenienza».
A questo scopo le p.a. titolari di banche
dati accessibili per via telematica dovranno
predisporre, sulla base delle linee guida di
DigitPa e sentito il Garante privacy,
apposite convenzioni aperte a tutte le
amministrazioni e soprattutto senza oneri a
loro carico
(articolo ItaliaOggi
del 28.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Slittano le unioni, non i tagli.
Proroga di un anno. La falcidia delle
poltrone scatta nel 2012. Il dl Milleproroghe modifica il programma della
manovra di Ferragosto per i piccoli
comuni.
L'associazionismo forzato dei piccoli comuni
può attendere ma non i tagli alle poltrone.
Il tradizionale
decreto legge di fine anno
con le proroghe dei termini in scadenza
(limitato dal governo Monti a pochi,
fondamentali differimenti e per questo non
più etichettabile come milleproroghe),
licenziato venerdì scorso dal consiglio dei
ministri, (si veda ItaliaOggi del
24/12/2011) fa slittare di un anno gran
parte del cronoprogramma fissato dall'art.
16 della manovra di Ferragosto (dl
138/2011), ma non le norme che a partire
dalle prossime elezioni amministrative
alleggeriranno gli organi di governo dei
comuni fino a 10 mila abitanti.
Il dl proroghe, infatti, sposta in avanti di
12 mesi solo le scadenze contenute nei commi
da 1 a 16 e nei commi 22, 24, 25 e 27
dell'art. 16. Non, quindi, il taglio di
consigli e giunte, disciplinato dal comma
17, che scatterà «dal primo rinnovo
amministrativo di ciascun comune a partire
dalla data di entrata in vigore della legge
di conversione del dl 138». E dunque dalla
tornata elettorale della prossima primavera.
Nei comuni fino a 1.000 abitanti le giunte
verranno eliminate e resteranno solo il
sindaco e sei consiglieri. Nei municipi fino
a 3.000 abitanti a questi si aggiungeranno
anche due assessori. Negli enti tra 3.000 e
5.000 abitanti il sindaco sarà coadiuvato da
7 consiglieri e 3 assessori, mentre nei
comuni tra 5.000 e 10.000 abitanti il
consiglio sarà composto da 10 consiglieri e
le giunte da 4 assessori.
Resta invariato anche il timing del taglio
dei gettoni di presenza ai consiglieri dei
comuni fino a 1.000 abitanti. Come previsto
dal comma 18 dell'art. 16, che non è stato
prorogato dal dl varato venerdì, la falcidia
scatterà a partire dalle prime elezioni
amministrative successive alla data del 13.08.2012 e dunque dalla primavera 2013.
Tutte le altre scadenze legate al termine
del 13.08.2012 (obbligo di esercizio
associato di tutte le funzioni
amministrative e dei servizi pubblici,
successione dell'unione di comuni in tutti i
rapporti giuridici degli enti associati)
slittano di un anno e con esse il momento
dal quale saranno operative, ossia,
verosimilmente, la primavera del 2014.
Nessuna novità anche per l'applicazione del
patto di stabilità ai piccoli comuni.
L'appuntamento resta il 2013 (essendo
previsto nel comma 31 non prorogato dal
decreto legge) mentre slitta di un anno il
debutto del patto di stabilità per le unioni
costituite dai comuni fino a 1.000 abitanti.
A parte questi punti fermi tutto il resto
dell'art. 16 guadagna 12 mesi di tempo in
più per diventare operativo. A cominciare
dal primo step, l'individuazione da parte
delle regioni di limiti demografici
ulteriori per la costituzione delle unioni,
rispetto a quelli individuati dalla norma.
La dead line era il 17 novembre scorso, ma
pochi governatori l'hanno centrata,
preferendo invece ricorrere alla Consulta
(lo hanno fatto Toscana e Lombardia, si veda
ItaliaOggi del 16/11/2011) contro le norme
sull'associazionismo ritenute lesive delle
prerogative regionali.
Tra i tanti
adempimenti prorogati di un anno (riassunti
nel cronoprogramma pubblicato in pagina) i
sindaci dei mini-enti dovranno tenerne a
mente soprattutto due perché si tratta di
termini perentori: la data entro cui i
comuni fino a 1.000 abitanti dovranno
avanzare alle rispettive regioni le loro
proposte di unione e la data entro cui i
governatori dovranno istituirle sulla base
delle indicazioni degli enti o in modo
autonomo in caso di mancanza di proposte da
parte dei municipi.
I due appuntamenti sono
rinviati rispettivamente al 17.03. e al 31.12.2013. Un tempo che dovrebbe
essere sufficiente per adeguarsi alle nuove
norme o affossarle del tutto. L'Anci, per
esempio, plaude alla «sensibilità mostrata
dal governo Monti» (così il presidente
Graziano Delrio) ma auspica un ripensamento
globale della disciplina
dell'associazionismo «per non
compromettere i processi già in atto da anni»
(articolo ItaliaOggi
del 27.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ESPROPRIAZIONE: Aree
fabbricabili: una sentenza della Corte
costituzionale tutela il diritto alla proprietà. Indennità di esproprio al sicuro.
Garantito un ragionevole rapporto con il
valore del suolo.
Per la Consulta, l'indennità di esproprio di
un'aera fabbricabile non può essere
totalmente azzerata (confiscata) per effetto
dell'assenza di un valore minimo di
riferimento, in caso di omissione della
presentazione della dichiarazione Ici.
Questo, in estrema sintesi, il principio
sancito dalla Corte costituzionale che,
con la
sentenza 22.12.2011 n. 338, è intervenuta
sull'illegittimità costituzionale del comma
1, dell'art. 16, del dlgs n. 504/1992, come
trasfuso, con decorrenza dal 30/06/2003, nel
comma 7, dell'art. 37, del dpr 327/2001.
La questione di illegittimità parte
dall'assunto, indicato nelle disposizioni
richiamate, che «l'indennità è ridotta a un
importo pari al valore indicato nell'ultima
dichiarazione o denuncia presentata
dall'espropriato ai fini dell'imposta
comunale sugli immobili prima della
determinazione formale dell'indennità (_),
qualora il valore dichiarato risulti
contrastante con la normativa vigente e
inferiore all'indennità di espropriazione
come determinata in base ai commi
precedenti».
Di conseguenza, in assenza di una
dichiarazione ai fini del tributo locale o
per indicazione di un valore irrisorio,
l'indennità si sarebbe potuta azzerare per
carenza del valore di riferimento, stante il
fatto che le disposizioni richiamate
condizionano la quantificazione
dell'indennità all'originario comportamento
tenuto ai fini tributari dall'espropriato.
Sul punto, con la recente sentenza
21/07/2000 n. 351, la stessa Corte
costituzionale aveva dichiarato
inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale sollevate, con riferimento a
taluni articoli della carta costituzionale
per irragionevole disparità di trattamento
tra espropriato e proprietario privato
dell'immobile (art. 3), per disparità di
trattamento tra evasori totali ed evasori
parziali (articoli 3 e 24), per
inadeguatezza della sanzione o indennizzo
(art. 42, terzo comma), per la natura
extrafiscale della sanzione per mancato
rispetto di un dovere tributario (art. 53) e
per l'arbitrario e indiretto recupero di un
tributo non più dovuto a soggetto
espropriato (art. 97); l'infondatezza delle
questioni sollevate, per la Consulta, non
modificava i criteri stabiliti per il
calcolo dell'indennizzo, di cui all'art.
5-bis, dl 333/1992, come modificato dal
comma 65, dell'art. 3, legge 662/1996.
Per la Consulta, la sanzione relativa alla
riduzione dell'indennità di esproprio, in
caso di omessa o dichiarazione infedele (ai
fini Ici) trova applicazione con riferimento
all'ultima dichiarazione o denuncia
presentata, a prescindere da eventuali
ravvedimenti o presentazioni spontanee
successive alla determinazione formale
dell'indennità, resta esclusa ogni
possibilità di garantire un valore minimo
garantito, ma la vanificazione totale del
ristoro resta costituzionalmente
illegittima, a prescindere che la misura
sanzionatoria sia dipendente o meno dalla
volontà dell'espropriato o da un mero
errore.
Di conseguenza, ancorché le
disposizioni possano essere ritenute
applicabili per effetto del comportamento
omissivo del contribuente, non si può non
tenere conto del principio della tutela del
diritto della proprietà, di cui al terzo
comma, dell'art. 42 della carta
costituzionale e di quanto sancito dall'art.
1 per primo protocollo addizionale della
Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali (Cedu).
Pertanto, la Corte
costituzionale ha concluso che la norma
censurata (art. 16, dlgs n. 504/1992),
nell'interpretazione fornita dalle sezioni
unite, viola gli articoli 42, terzo comma e
117, primo comma, della carta, con
riferimento a quanto indicato dal citato
art. 1 del protocollo addizionale Cedu,
poiché «non contempla alcun meccanismo
che, in caso di omessa
dichiarazione/denuncia Ici, consenta di
porre un limite alla totale elisione di tale
indennità, garantendo comunque un
ragionevole rapporto tra il valore venale
del suolo espropriato e l'ammontare
dell'indennità», anche in presenza di
una denuncia a valori irrisori; di fatto,
via libera alla possibile applicazione di
sanzioni, anche deterrenti, a cura del
legislatore, ma da escludere la «reale»
confisca del bene
(articolo ItaliaOggi
del 27.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
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