e-mail
info.ptpl@tiscali.it

APPALTI
CONVEGNI
FORUM
G.U.R.I. - G.U.U.E. - B.U.R.L.
LINK
NEWS PUBBLICATE:
1-aggiornam. pregressi
2-Corte dei Conti
3-
dite la vostra ...
4-dottrina e contributi
5-funzione pubblica
6-giurisprudenza
7-modulistica
8-news
9-normativa
10-note, circolari e comunicati
11-quesiti & pareri
12-utilità
- - -
DOSSIER
:
13-
ABUSI EDILIZI
14-
AFFIDAMENTO IN HOUSE
15-AGIBILITA'
16-APPALTI
17-ARIA
18-ASCENSORE
19-ASL + ARPA
20-ATTI AMMINISTRATIVI
21-ATTI AMMINISTRATIVI (impugnazione-legittimazione)
22-ATTIVITA' COMMERCIALE IN LOCALI ABUSIVI
23-AVCP
24-BOSCO
25-BOX
26-CAMBIO DESTINAZIONE D'USO (con o senza opere)
27-CANNE FUMARIE e/o COMIGNOLI
28-CARTELLI STRADALI
29-CERTIFICATO DESTINAZIONE URBANISTICA
30-CERIFICAZIONE ENERGETICA e F.E.R.
31
-COMPETENZE GESTIONALI
32
-COMPETENZE PROFESSIONALI - PROGETTUALI
33-CONDIZIONATORE D'ARIA
34-CONDOMINIO
35-CONSIGLIERI COMUNALI
36-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE
37-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (gratuità per oo.pp. e/o private di interesse pubblico)
38-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (prescrizione termine dare/avere)
39-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (rateizzato e/o ritardato versamento)
40-DEBITI FUORI BILANCIO
41-DEFINIZIONI INTERVENTI EDILIZI
42-DIA e SCIA
43-DIAP
44-DISTANZA dagli ALLEVAMENTI ANIMALI
45-DISTANZA dai CONFINI
46-DISTANZA dai CORSI D'ACQUA
47-DISTANZA dalla FERROVIA

48-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
49-DURC
50-EDICOLA FUNERARIA
51-EDIFICIO UNIFAMILIARE
52-ESPROPRIAZIONE
53-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
54-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
55-INCENTIVO PROGETTAZIONE
56-INDUSTRIA INSALUBRE
57L.R. 12/2005
58-L.R. 23/1997
59-LEGGE CASA LOMBARDIA
60-LOTTO INTERCLUSO
61-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
62-MOBBING
63-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
64-OPERE PRECARIE
65-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
66-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU
67-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
68-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
69-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
70-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
71-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
72-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
73-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
74-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
75
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
76-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
77-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
78-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
79-PISCINE
80-PUBBLICO IMPIEGO
81-RIFIUTI E BONIFICHE
82-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
83-RUDERI
84-
RUMORE
85-SAGOMA EDIFICIO
86-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
87-SCOMPUTO OO.UU.
88-SEGRETARI COMUNALI
89-SIC-ZPS - VAS - VIA
90-SICUREZZA SUL LAVORO
91
-
SINDACATI & ARAN
92-SOPPALCO
93-SOTTOTETTI
94-SUAP
95-SUE
96-STRADA PUBBLICA o PRIVATA o PRIVATA DI USO PUBBLICO
97-
TELEFONIA MOBILE
98-TENDE DA SOLE
99-TINTEGGIATURA FACCIATE ESTERNE
100-TRIBUTI LOCALI
101-VERANDA
102-VINCOLO CIMITERIALE
103-VINCOLO IDROGEOLOGICO
104-VINCOLO PAESAGGISTICO + ESAME IMPATTO PAESISTICO + VINCOLO MONUMENTALE
105-VINCOLO STRADALE
106-VOLUMI TECNICI

107-ZONA AGRICOLA

NORMATIVA:
dt.finanze.it
entilocali.leggiditalia.it

leggiditaliaprofessionale.it

simone.it

SITI REGIONALI
STAMPA
 
C.A.P.
Codice Avviamento Postale

link 1 - link 2
CONIUGATORE VERBI
COSTO DI COSTRUZIONE
(ag
g. indice istat):

link 1-BG - link 2-MI
link 3-CR
DIZIONARI
indici ISTAT:
link 1 - link 2-BG
link 3-MI

interessi legali:
link 1
MAPPE CITTA':
link 1 - link 2 - link 3
link 4 - link 5
METEO
1 - PAGINE bianche
2 - PAGINE gialle
P.E.C. (indirizzi):
delle PP.AA.
delle IMPRESE e PROFESSIONISTI
PREZZI:
osservatorio prezzi e tariffe

prodotti petroliferi
link 1
- link 2
PUBBLICO IMPIEGO:
1 - il portale pubblico per il lavoro
2
- mobilità
 

AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di MARZO 2013

Alcuni files sono in formato Acrobat (pdf): se non riesci a leggerli, scarica gratuitamente il programma Acrobat Reader (clicca sull'icona a fianco riportata).  -      segnala un errore nei links                                                                                

aggiornamento al 25.03.2013

aggiornamento al 18.03.2013

aggiornamento all'11.03.2013

aggiornamento al 04.03.2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 25.03.2013

ã

IN EVIDENZA

ANNO 2013: BLOCCO DEI LAVORI PUBBLICI E DEGLI ESPROPRI PER PUBBLICA UTILITA' !!

Il divieto di acquistare immobili, sancito per il 2013, si estende ad ogni tipo di immobile (e non solo ai fabbricati): cioè, si estende anche ai terreni e alle aree agricole.
Non solo: tali condizioni devono riferirsi applicabili anche all’acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità (esproprio).

LAVORI PUBBLICI: Enti locali – Acquisto di immobili – Limiti introdotti dalla legge di stabilità 2013 – Ambito di applicabilità.

     L'art. 12, commi 1-ter e 1-quater, della Legge 15.07.2011 n. 111 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 06.07.2011 n. 98), così recita: "1-ter. A decorrere dal 01.01.2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente." (comma introdotto dall'art. 1, comma 138, legge n. 228 del 2012)
"1-quater.
Per l’anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell’articolo 8 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto". (comma introdotto dall'art. 1, comma 138, legge n. 228 del 2012)
     Dalla ratio della disposizione, consistente nella necessità di consentire una riduzione della complessiva spesa pubblica, consegue la necessità di una sua ampia applicazione compatibilmente, peraltro, con il tessuto ordinamentale in cui va ad inserirsi.
     Alla luce di quanto precede, la Sezione ritiene di fornire le seguenti coordinate interpretative:
1) il divieto di acquistare immobili sancito per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014, si estende ad ogni tipo di immobile e non solo ai fabbricati;
2) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche alle ipotesi di acquisto di diritti reali su cosa altrui;
3) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche all’acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità;
4) le condizioni di cui sopra non devono ritenersi applicabili all’acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità avviate prima del 01.01.2013 ma non ancora concluse;
5) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche alle ipotesi di contratti preliminari di compravendita stipulati prima del 01.01.2013;
6) il divieto di acquisto sancito per il 2013 si applica anche ai diritti di prelazione, compresi quelli aventi fonte legale;
7) gli enti locali, a partire dall’esercizio 2014, potranno partecipare ad aste pubbliche per l’acquisto di immobili ma le offerte presentate non potranno superare il valore indicato nell’attestazione di congruità del prezzo rilasciata dall’Agenzia del Demanio.

---------------
... il Comune di Magliolo chiede di sapere:
1) se il divieto di acquisto immobili sancito per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014, valga per ogni categoria di immobili come definiti dall’art. 812 del codice civile, ovvero possa intendersi limitato ai “fabbricati” (come sembra evincersi dal riferimento ai “locali” contenuto nel comma 1-quater);
2) se il divieto di acquisto di immobili sancito per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014 valga solo per l’acquisto in proprietà, o anche per l’acquisto di altri diritti reali;
3) se il divieto di acquisto di immobili sancito per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014 valga anche per l’acquisizione (in particolare terreni) per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità mediante decreto di esproprio, cessione volontaria (ex art. 45 del DPR 327/2001) o compravendita iure privatorum;
4) quale sia la sorte delle acquisizioni assistite da dichiarazioni di pubblica utilità (decreto di esproprio, cessione volontaria -ex art. 45 del DPR 327/2001- o compravendita iure privatorum) avviate prima del 01/01/2013 ma non ancora concluse;
5) quale sia la sorte dei contratti preliminari di compravendita stipulati prima del 01/01/2013 per i quali non sia stato ancora stipulato il contratto definitivo;
6) come sia possibile conciliare il divieto di acquisto sancito per il 2013, con l’esercizio di diritti di prelazione (anche legale) da esercitarsi entro termini perentori;
7) come sia possibile conciliare l’acquisto di immobili mediante partecipazione ad aste pubbliche (ad es. nel caso di procedure fallimentari) con l’obbligo di acquisire l’attestazione della congruità del prezzo all’Agenzia del Demanio.
La soluzione dei vari quesiti deve ruotare intorno al necessario rispetto della ratio dell’art. 1138 L. n. 228/2012, peraltro chiaramente espressa al suo interno e consistente nella necessità di consentire una riduzione della complessiva spesa pubblica (<<al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno>>). Ne consegue, per rimanere fedeli alla voluntas legis, la necessità di una sua ampia applicazione compatibile, peraltro, con il tessuto ordinamentale in cui le disposizioni de quibus vanno ad inserirsi.
Poiché il concetto di <<immobile>>, come descritto dall’art. 812 c.c., ricomprende <<il suolo, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni anche se unite al suolo a scopo transitorio>> appare evidente come l’ambito di applicazione dell’articolo sopra menzionato non possa essere limitata ai fabbricati in senso stretto, ovvero al trasferimento del diritto di proprietà, ma debba essere esteso anche ai terreni e alle aree agricole.
La risposta al secondo quesito, relativo all’estensione dei divieti o limitazioni all’acquisto di diritti reali su cosa altrui è direttamente fornita dall’art. 813 c.c. il quale chiaramente stabilisce, come principio generale che <<salvo che dalla legge risulti diversamente, le disposizioni concernenti i beni immobili si applicano anche ai diritti reali che hanno per oggetto beni immobili e alle azioni relative>>.
Non avendo previsto l’art. 1 L. cit. alcuna deroga, appare evidente l’applicazione del medesimo anche a tale ultima ipotesi, in linea del resto con l’esigenza di limitare al massimo l’acquisto di diritti immobiliari.
Con riferimento all’acquisizione di immobili accompagnati dalla dichiarazione di pubblica utilità, di cui al terzo e quarto quesito, occorre distinguere in base al principio tempus regit actum l’ipotesi di una procedura espropriativa –o alternativa all’esproprio– che si perfezioni o meno nel 2013.
Preliminarmente,
si deve ritenere necessaria l’estensione dei divieti anche alle procedure espropriative, che nel disegno del T.U. 08.06.2001 n. 327 dovrebbero divenire peraltro residuali rispetto agli accordi di diritto pubblico, in quanto nel caso contrario si consentirebbe, con riferimento ai terreni, un’agevole possibilità di eludere tali divieti stimolando la scelta di moduli (e cioè gli espropri) che nel corso di questi anni si sono sovente dimostrati inefficienti ed inefficaci oltreché del tutto diseconomici.
L’art. 121-quater pone un divieto assoluto di acquistare, a qualunque titolo, diritti immobiliari nell’esercizio 2013, con la sola esclusione dei contratti di locazione passiva nei limiti descritti dal medesimo. Occorre però evitare che l’applicazione pedissequa di tale divieto conduca al risultato opposto rispetto a quello voluto dal Legislatore. Infatti,
mentre non sembra porsi alcun problema in presenza della sola dichiarazione di pubblica utilità, diversa è la situazione, tutt’altro che infrequente, che la medesima sia stata accompagnata dall’emissione, antecedente al 01.01.2013, di un decreto di occupazione d’urgenza dell’area preordinata all’espropriazione con la contemporanea corresponsione della relativa indennità.
In questo caso il procedimento è giunto ad un livello tale (tempus regit actum) da ritenere possibile e più soddisfacente alla ratio finanziaria voluta dal Legislatore condurlo a termine, anche con un possibile accordo di cessione volontaria intervenuto nel frattempo, piuttosto di lasciare ferma la situazione con una complessiva perdita maggiore di denaro pubblico, costituita dall’artificioso prolungamento del periodo di occupazione rispetto all’immissione definitiva nella proprietà da parte dell’ente.
Con riferimento agli esercizi successivi al 2013, l’art. 121-ter L. cit. –che prevede la possibilità di acquistare immobili in caso di comprovata indispensabilità ed indilazionabilità- ben giustifica la conclusione dei procedimenti espropriativi in corso sul presupposto che la loro instaurazione sia stata giustificata proprio dalla necessità di soddisfare interessi pubblici assolutamente primari. In questo caso deve ritenersi che il parere di congruità dell’Agenzia del Demanio debba richiedersi per le sole cessioni volontarie in quanto il riferimento testuale al <<prezzo>> mal si attaglia ad una applicazione estensiva di tale adempimento burocratico alla corresponsione della sola indennità di esproprio.
Per quanto riguarda la concreta esecuzione dei negozi preparatori di cui al quinto e sesto quesito, si deve ritenere che
l’art. 121-quater introduca una fattispecie di impossibilità giuridica sopravvenuta per factum principis preclusiva all’esercizio dei diritti di prelazione ed alla conclusione dei contratti definitivi per l’anno 2013, laddove negli esercizi successivi anche questa tipologia di acquisti immobiliari dovrà soggiacere al requisito dell’indispensabilità ed indilazionabilità.
Infine, sulla conciliabilità dell’<<acquisto di immobili mediante partecipazione ad aste pubbliche (ad es. nel caso di procedure fallimentari) con l’obbligo di acquisire l’attestazione della congruità del prezzo all’Agenzia del Demanio>>,
si può ritenere, in via interpretativa che il Comune possa partecipare alle aste nei limiti della congruità del prezzo fissata dall’Agenzia del Demanio, essendogli precluso rilanciare offerte che superino tale soglia.
Pertanto, in conclusione, la Sezione ritiene che:
1) il divieto di acquistare immobili sancito per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014 si estende ad ogni tipo di immobile e non solo ai fabbricati;
2) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche alle ipotesi di acquisto di diritti reali su cosa altrui;
3) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche all’acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità;
4) le condizioni di cui sopra non devono ritenersi applicabili all’acquisizione di immobili per la realizzazione di opere assistite da dichiarazione di pubblica utilità avviate prima del 01.01.2013 ma non ancora concluse;
5) le condizioni di cui sopra devono riferirsi applicabili anche alle ipotesi di contratti preliminari di compravendita stipulati prima del 01.01.2013;
6) il divieto di acquisto sancito per il 2013 si applica anche ai diritti di prelazione, compresi quelli aventi fonte legale;
7) gli enti locali, a partire dall’esercizio 2014, potranno partecipare ad aste pubbliche per l’acquisto di immobili ma le offerte presentate non potranno superare il valore indicato nell’attestazione di congruità del prezzo rilasciata dall’Agenzia del Demanio
(Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria, parere 31.01.2013 n. 9).

     Quindi, siamo alle solite: si può condividere -o meno- quanto affermato dalla Corte dei Conti ... ma quando c'è di mezzo il denaro pubblico, col rischio di rifondere di tasca propria spese illegittime, è meglio "convenire" ...
     E allora i responsabili degli Uffici Tecnici e, soprattutto, i ragionieri capo (che devono mettere la firma circa l'impegno di spesa) se hanno poca memoria vedano di "fare il nodo sul fazzoletto" ...
25.03.2013 - LA SEGRETERIA PTPL

SINDACATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Patto di stabilità e gestione associata delle funzioni fondamentali (CGIL-FP di Bergamo, nota 20.03.2013).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il conto annuale ed il censimento del personale del pubblico impiego - anno 2011 (CGIL-FP di Bergamo, nota 16.03.2013).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGOAssegno anche senza minimo Inpdap. Funzione pubblica. È sufficiente che il dipendente abbia maturato il diritto in un'altra gestione.
SENZA ECCEZIONI/ Al raggiungimento dei 65 anni deve scattare la collocazione a riposo d'ufficio senza attendere i 70.

Le pubbliche amministrazioni devono risolvere il rapporto di lavoro al raggiungimento dei 65 anni del proprio personale, anche se il dipendente iscritto ex Inpdap non ha maturato un diritto a pensione ma può vantarlo presso un altro ente previdenziale.
Lo precisa la Presidenza del consiglio dei ministri – dipartimento della Funzione Pubblica con la nota n. 13264/2013 di martedì scorso, in riscontro a un quesito posto da un Comune. Nel caso in esame, una dipendente pubblica con oltre 20 anni di contributi all'Inps aveva chiesto la ricongiunzione dei periodi assicurativi all'ex Inpdap ma all'atto della notifica del provvedimento aveva rinunciato alla ricongiunzione. Al compimento del 65esimo anno di età, l'interessata può contare su un'anzianità di servizio presso l'ente locale pari a poco più di 15 anni. L'anzianità contributiva si colloca parzialmente entro il 31.12.1995 e quindi il sistema pensionistico è misto.
A seguito della riforma Monti-Fornero e dell'innalzamento dei requisiti contributivi, così come precisato dall'Inps con la circolare 16 del 1° febbraio scorso, la dipendente non può vantare un diritto a pensione presso l'ex Inpdap, motivo per cui l'amministrazione comunale ha chiesto al Dipartimento se potesse concedere il trattenimento in servizio fino al massimo di 70 anni anche in considerazione del fatto che in questo lasso di tempo l'interessata maturerebbe il diritto a pensione raggiungendo i 20 anni contributivi richiesti.
Infatti le sentenze della Corte costituzionale numero 90 del 21.02.1992 e la 282/1991 hanno sancito la possibilità di trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici ultrasessantacinquenni privi dell'anzianità minima per il diritto a pensione.
La Funzione pubblica sottolinea che la dipendente entro il 2011 ha maturato un diritto autonomo a pensione presso la gestione Inps avendo già perfezionato i requisiti pensionistici per la liquidazione del trattamento di vecchiaia (60 anni con 20 anni di contributi maturati nel 2008) e non è soggetta al regime previdenziale previgente le novità introdotte dal decreto Salva Italia. In generale, prosegue la nota, l'orientamento è che l'amministrazione debba risolvere il rapporto di lavoro al compimento del limite ordinamentale (salvo il trattenimento in servizio in presenza di tutti i presupposti di legge) qualora la dipendente possa contare su un diritto autonomo a pensione –come nel caso in esame– oppure possa, attraverso la totalizzazione, raggiungere il minimo contributivo di 20 anni.
Per il Dipartimento ne deriva che l'ente dovrebbe collocare la dipendente a riposo d'ufficio al compimento del 65esimo anno di età, salvo la concessione del trattenimento in servizio per un biennio di cui all'articolo 16 prevista dal decreto legislativo 503/1992 in presenza dei presupposti di legge.
Nel caso in cui l'interessata dovesse decidere di ricorrere alla pensione in regime di totalizzazione nazionale (Dlgs 42/2006) si applicherà la finestra mobile di 18 mesi istituita dal Dl 78/2010 (articolo Il Sole 24 Ore del 21.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Oggetto: SISTRI: avvio dal 01.10.2013 e sospensione del contributo di iscrizione (ANCE Bergamo, circolare 22.03.2013 n. 85).

PUBBLICO IMPIEGO: DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ANTICORRUZIONE (ANCI, nota 21.03.2013).

APPALTI: OGGETTO: Durc - Interpelli del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in materia di rilascio della regolarità contributiva ad imprese in concordato preventivo con continuazione dell’attività aziendale (n. 41/2012) ed a società di capitali (n. 2/2013) (INPS, messaggio 21.03.2013 n. 4925 - link a www.inps.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pubblicate le specifiche tecniche per i Reticoli Idrici Minori comunali.
Sono state pubblicate le specifiche tecniche ed informatiche per la predisposizione degli elaborati cartografici per la definizione del Reticolo Idrico Minore di competenza comunale come previsto dalla d.g.r. n. 4287 del 25.10.2012.
Nella sezione dedicata alla Polizia Idraulica sono riportati i criteri per la digitalizzazione dell’elaborato cartografico e per la redazione del Documento di Polizia Idraulica (20.03.2013 - link a www.territorio.regione.lombardia.it).

COMPETENZE PROGETTUALI: Oggetto: Nuova circolare relativa alle competenze dell'architetto junior ed del pianificatore junior alla luce di fatti e mutamenti finora intervenuti (Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori, circolare 07.03.2013 n. 21).

CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: In tema di applicabilità dell’articolo 1, comma 46, della legge n. 190 del 2012, in caso di sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione successiva a sentenza di condanna per reato contro la pubblica amministrazione (Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche - Autorità Nazionale Anticorruzione, delibera 07.03.2013 n. 14/2013).

EDILIZIA PRIVATA: MAPEL: monitoraggio autorizzazioni paesaggistiche degli enti locali.
La Struttura Paesaggio ha predisposto un'applicazione WEB per monitorare le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dagli enti locali ed eliminare la trasmissione cartacea dei documenti.
Il processo si inquadra come comunicazione obbligatoria ai sensi del comma 11, art. 146, D.lgs. n. 42/2004: "L'autorizzazione paesaggistica è trasmessa, senza indugio, alla soprintendenza che ha reso il parere nel corso del procedimento, nonché, unitamente allo stesso parere, alla regione ovvero agli altri enti pubblici territoriali interessati e, ove esistente, all'ente parco nel cui territorio si trova l'immobile o l'area sottoposta al vincolo".
Il progetto è in linea con gli obiettivi del D.lgs. 82/2005 ss.mm.ii., "Codice dell'amministrazione digitale", ovvero assicurare la disponibilità, la gestione, l'accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell'informazione in modalità digitale utilizzando le modalità più appropriate e le tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
Il prototipo di MAPEL (Monitoraggio Autorizzazioni Paesaggistiche rilasciate dagli Enti Locali) è accessibile da alcune settimane e rimarrà on-line per una fase di test da parte degli enti locali interessati dal processo per tutto il primo semestre del 2013.
L'applicativo è supportato da servizi e strumenti informatici consolidati nel sistema regionale:
● CRS - Carta regionale dei servizi
● EDMA - Piattaforma documentale di Regione Lombardia
● REGIS - Piattaforma geografica di Regione Lombardia
I prerequisiti per l'utilizzo di MAPEL sono i seguenti:
● un lettore di smart card
● il software CRS Manager installato
● la CRS dell'operatore con PIN attivato
Tutti gli enti interessati a partecipare alla fase di test possono accedere all'applicativo attraverso gli strumenti indicati. Ricordiamo che su www.crs.regione.lombardia.it è possibile scaricare il software, le istruzioni per l'installazione e le indicazioni per l'operatività di firma digitale.
Per ulteriori informazioni, per inviare suggerimenti o osservazioni il riferimento è Stefania Paoletti, tel. 02/6765.4553, stefania_paoletti@regione.lombardia.it
Per problemi sull'applicativo MAPEL durante la fase preliminare e/o durante il test, contattare i referenti di Lombardia Informatica attraverso la mail: assistenza_siba@lispa.it
La fase di test si protrarrà fino a 30.06.2013 (marzo 2013 - link a www.regione.lombardia.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI SERVIZIPolizze, inciuci ko. Assicurazioni, più trasparenza. Dall'Authority dei contratti una stretta per le p.a.
Più trasparenza negli appalti pubblici di servizi assicurativi, che per il 64% vengono aggiudicati a una sola offerta; obbligo di tenere distinti i servizi di brokeraggio da quelli assicurativi; illegittima la prassi di calcolare le commissione dei broker in percentuale sui premi futuri.
Sono alcune delle indicazioni fornite alle stazioni appaltanti dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (Avcp) con la determinazione 13.03.2013 n. 2 sull'affidamento dei servizi assicurativi e di intermediazione assicurativa, un settore affetto da «gravi distorsioni».
Secondo l'organismo di vigilanza presieduto da Sergio Santoro infatti oltre il 30% delle gare sono andate deserte (in particolare presso alcune centrali di committenza il dato è ancora più alto) e nel 64,8% dei casi (in valore) l'affidamento del contratto è avvenuto in presenza di una sola offerta e nel 23,7% con due sole offerte.
Dal momento che «è emersa una diretta correlazione fra strutturazione dei bandi e fenomeno della gare deserte», la determina detta alcune indicazioni per consentire alle stazioni appaltanti di perseguire al meglio l'interesse pubblico, considerando anche che si tratta di un mercato caratterizzato da costi dei sinistri crescenti a fronte di risorse economiche non sempre sufficienti. In questo quadro generale occorre preliminarmente che le stazioni appaltanti le stazioni appaltanti «si impegnino attivamente nelle attività di prevenzione dei rischi e di gestione dei sinistri, considerate fondamentali per ridurre il costo delle polizze».
Altrettanto importante è le amministrazioni «si dotino di tutti gli strumenti necessari per fornire un set informativo completo ai concorrenti che partecipano alle procedure di evidenza pubblica». A tale fine la determina segnala l'opportunità che siano previste nei bandi clausole che impongano, a pena di sanzioni, alle imprese aggiudicatarie di fornire le informazioni necessarie per quotare i sinistri, con modalità e tempi appropriati per la redazione dei documenti per la gara relativa al rinnovo delle coperture, senza che da ciò derivino oneri elevati per le imprese che finirebbero inevitabilmente per scaricarsi sui costi delle polizze.
Le amministrazioni devono poi dotarsi degli strumenti necessari per fornire un set informativo completo ai concorrenti che partecipano alle procedure di evidenza pubblica. La determina invita poi le stazioni appaltanti a prevedere nei bandi clausole che impongano, a pena di sanzioni, alle imprese aggiudicatarie di fornire le informazioni necessarie per quotare i sinistri, con modalità e tempi appropriati per la redazione dei documenti per la gara relativa al rinnovo delle coperture, senza che da ciò derivino oneri elevati per le imprese che finirebbero inevitabilmente per scaricarsi sui costi delle polizze.
Per i servizi di intermediazione assicurativa, oltre a ribadire la necessità che questi siano tenuti ben distinti da quelli assicurativi, l'Avcp ritiene che l'attuale prassi di remunerare il broker con commissioni calcolate in percentuale dei premi futuri «non sia conforme con le previsioni del Codice, in quanto la valutazione delle offerte economiche dei concorrenti viene effettuate su grandezze eterogenee e non conosciute al momento della gara, e rischia di contenere incentivi distorti per l'attività dell'intermediario» (articolo ItaliaOggi del 23.03.2013).

LAVORI PUBBLICI: Co-marketing inammissibile se si guarda all'offerta più vantaggiosa
Costituisce errato esercizio del potere discrezionale l'inserimento di criteri di valutazione fondati su elementi estranei all'appalto. In particolare, attribuire un punteggio all'offerta di condizioni economiche per lo svolgimento di azioni di co-marketing appare illegittimo per violazione della normativa e della giurisprudenza.

Quanto afferma l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con il parere di precontenzioso 13.02.2013 n. 11 appare paradigmatico rispetto ai comportamenti non conformi ai principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di discrezionalità della pubblica amministrazione nella predisposizione degli atti di gare di appalti pubblici.
La vicenda riguardava un comune del messinese che per un appalto di lavori di riqualificazione urbana con importo a base d'asta di 1,052 milioni prevedeva l'attribuzione di un punteggio all'offerta in aumento sull'importo da versare al comune per installare spazi pubblicitari sui luoghi oggetto dell'intervento, per promuovere le opere oggetto dell'appalto.
In sostanza l'amministrazione così facendo voleva valorizzare le possibili azioni di co-marketing proposte dal concorrente, ma ciò, in base anche a quanto esposto dall'Ance Sicilia, non sarebbe stato in linea con le norme e la giurisprudenza. Nel dettaglio, l'anomalia segnalata all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici consisteva nel fatto che, inizialmente, il ribasso sull'importo a base di gara rivestiva una importanza assolutamente minore (15 punti) rispetto a quella attribuita all'elemento concernente il co-marketing (inizialmente fissato a 50/100), consistente nell'offerta per la concessione all'aggiudicatario degli impianti pubblicitari realizzati dalla stazione appaltante dell'appalto per azioni di co-marketing.
Pur avendo ridotto il «peso» dell'elemento co-marketing da 50 punti a 20, rimaneva però ancora in piedi la censura di non conformità di tale elemento di valutazione rispetto al quadro di riferimento nazionale e comunitario, che privilegia valutazioni tese a garantire la qualità dell'offerta dell'impresa, e in contrasto con quanto previsto nella determinazione 7/2011 dell'organismo di vigilanza. L'Autorità di via di Ripetta ha quindi da un lato ritenuto inammissibile questo «discriminante criterio» di valutazione delle offerte e poi ha aggiunto che «non è dato evincere alcuna specifica attinenza tra il criterio in esame e le caratteristiche dell'appalto».
In altre parole non basta che vi sia un interesse pubblico, espressamente riconnesso al valore culturale degli spazi interessati dai lavori, perché il «criterio di valutazione dell'offerta non risulta attinente alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche dell'appalto, volto alla riqualificazione dell'area attraverso l'esecuzione di un complessivo intervento di trasformazione, al fine di migliorarne la fruibilità, che non comprende anche la sua valorizzazione pubblicitaria e commerciale» (articolo ItaliaOggi Sette del 18.03.2013).

UTILITA'

SICUREZZA LAVOROQuaderno della sicurezza per il lavoratore”: ecco un utile vademecum per la sicurezza nei cantieri.
In questo articolo proponiamo un “Quaderno tecnico”, a cura del Comitato Paritetico Territoriale per la sicurezza sul lavoro di Taranto che illustra, in maniera molto chiara e precisa i diversi aspetti da tenere in considerazione quando si lavora in un cantiere edile.
Il documento evidenzia, grazie anche a illustrazioni e foto esplicative, i principali aspetti relativi a:
rischi derivanti dalle attività svolte dai lavoratori
adempimenti prescritti dalla vigente normativa
L’intento della pubblicazione è quello di costituire un utile strumento di lavoro che, attraverso una facile lettura, possa permettere la diffusione della cultura sulla sicurezza basata sul principio che solo l’osservanza delle norme può limitare gli infortuni e, quindi, sul valore indiscusso della prevenzione.
Il documento costituisce un utile strumento per tutte le figure che operano in cantiere o si occupano di sicurezza e fornisce indicazioni utili su:
Diritti e doveri dei lavoratori
Figure di cantiere (es. preposto, coordinatore, RSPP, ecc.)
Organi di Vigilanza
Rischi e misure di prevenzione
Attrezzature e Macchine da Lavoro
Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)
La segnaletica di sicurezza
Documenti da tenere in cantiere: il PIMUS, il POS ed il PSC (21.03.2013 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATAImpianti fotovoltaici: ok alle detrazioni del 50%!
La detrazione del 50% relativa alle ristrutturazioni edilizie vale anche per la realizzazione di impianti fotovoltaici.
Lo conferma l’Agenzia delle Entrate in risposta a un quesito posto dall’ANIE (Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche) che ipotizzava che le agevolazioni fiscali fossero riservate al solo ambito del solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria, che ha un’incidenza immediatamente misurabile sul risparmio energetico.
L’Agenzia, invece, conferma che la realizzazione di un impianto fotovoltaico va considerata a tutti gli effetti opera edile finalizzata al risparmio energetico e, in quanto tale, ha diritto al beneficio della detrazione del 50%.
Tuttavia, chiarisce l’Agenzia delle Entrate, chi opta per la detrazione sulle ristrutturazioni non può richiedere gli incentivi del Quinto Conto Energia sullo stesso intervento.
Al contrario, su indicazione del Ministero dello Sviluppo Economico l’Agenzia delle Entrate ha affermato che il bonus fiscale sulle ristrutturazioni si può cumulare con lo scambio sul posto e il ritiro dedicato (21.03.2013 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Focus giurisprudenza: il silenzio nel rilascio del permesso di costruire.
Le modifiche normative
Il procedimento per il rilascio del permesso di costruire è stato oggetto negli ultimi due anni di ben due interventi legislativi con il (DL 70/2011 e con il DL 83/2012) che ne hanno comportato una completa riscrittura.
Il DL 70/2011 ha introdotto la previsione generale del silenzio-assenso (fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli ambientali) nonché una rivisitazione dei termini procedurali e riformulato la disposizione sull’intervento sostitutivo della Regione, in caso di inerzia del Comune nell’emanazione del titolo, affidando alla legislazione regionale la determinazione di forme e modalità per l’esercizio del potere sostitutivo.
La versione antecedente alla modifica prevedeva che in caso di non risposta da parte dell’amministrazione comunale nei termini indicati per l’adozione finale del provvedimento, si formasse il silenzio-rifiuto impugnabile entro 60 giorni avanti ai competenti Tribunali amministrativi regionali.
La previsione del silenzio-assenso interviene, perciò, a porre rimedio a tale situazione tutelando maggiormente gli interessi privati innanzi all’inerzia dell’amministrazione con conseguente riduzione dei relativi procedimenti giudiziari. Con il silenzio-assenso l’interessato, infatti, potrà far affidamento sulla formazione di un provvedimento tacito senza dover attendere i tempi non certo brevi di un contenzioso amministrativo.
Affinché si intenda formato il silenzio-assenso è necessario che non sia intervenuto alcun provvedimento negativo e che siano rispettate le prescrizioni previste dalla legge.
La formazione del silenzio-assenso, che si configura come provvedimento, non pregiudica, tuttavia, i poteri di autotutela della Pubblica Amministrazione che, ai sensi dell'art. 38 del DPR n. 380/2001 (TU edilizia), può annullare il permesso di costruire.
Con la novella dello scorso anno, oltre alle minime modifiche apportate al comma 1 e al comma 3, che appaiono non determinanti o, comunque, di mero coordinamento, è stato inserito un nuovo comma 5-bis e sono stati riscritti il comma 6 e il comma 10.
Il nuovo comma 10, in particolare, disciplina l’ipotesi in cui l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto ad un vincolo, tutelato da un Ente diverso rispetto all’Amministrazione comunale. In tal caso, lo Sportello Unico è tenuto sempre ad acquisire il relativo atto di assenso in sede di conferenza di servizi, ed è stato confermato che "In caso di esito non favorevole, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto".
Focus giurisprudenza
L’Ance, da sempre attenta a seguire l’opinione della giurisprudenza ha raccolto le prime pronunce dei giudici amministrativi sul nuovo procedimento di rilascio del permesso di costruire fondato sull’istituto del silenzio assenso.
Per i Tribunali amministrativi il nuovo procedimento rappresenta un principio fondamentale della legislazione statale nella materia del governo del territorio e come tale prevale sulle norme regionali di dettaglio.
In applicazione del principio del tempus regit actum, inoltre, le modifiche normative, se sono intervenute prima della formale adozione del provvedimento finale, devono essere osservate dalla P.A. (14.03.2013 - tratto da www.ance.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 12 del 21.03.2013, "Determinazioni in ordine alla composizione della Giunta regionale" (decreto P.G.R. 20.03.2013 n. 2624).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 12 del 21.03.2013, "Contributo straordinario e ordinario annuale ai sensi del regolamento regionale 27.07.2009, n. 2 “Contributi alle Unioni di Comuni lombarde e alle Comunità montane e incentivazione alla fusione dei piccoli Comuni, in attuazione dell’articolo 20 della legge regionale 27.06.2008, n. 19 (‘Riordino delle Comunità montane della Lombardia, disciplina delle Unioni di Comuni lombarde e sostegno all’esercizio associato di funzioni e servizi comunali’)” e s.m.i. - Informatizzazione della procedura di presentazione delle domande di contributo e relativo procedimento istruttorio" (decreto D.S. 18.03.2013 n. 2439).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 12 del 21.03.2013, "Modifica parziale all’allegato alla d.g.r. 28.12.2012 n. IX/4621 di approvazione della “Direttiva per il controllo degli scarichi degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane”" (deliberazione G.R. 15.03.2013 n. 2365).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: P. L. Portaluri, LA REGOLA ESTROSA: NOTE SU PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO E IUS SUPERVENIENS (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: S. Deliperi, Il Giudice amministrativo segue il Giudice penale in materia di violazione del vincolo paesaggistico (17.03.2013 - link a www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: S. Foà, Le novità della legge anticorruzione - Legge 06.11.2012 n. 190 (Urbanistica e appalti 3/2013 - tratto da www.ispoa.it).

CONDOMINIO: G. Benedetti, La responsabilità dell’amministratore per la sicurezza del condomìnio - Legge 11.12.2012 n. 220 (Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 2/2013 - tratto da www.ipsoa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Paone, La raccolta e il trasporto dei rifiuti in forma ambulante (Ambiente & Sviluppo n. 2/2013 - link a www.lexambiente.it).

QUESITI & PARERI

PUBBLICO IMPIEGO: Comune di 12 mila abitanti privo di dirigenza, disciplina delle mansioni.
Domanda
In un Comune di 12 mila abitanti, privo di dirigenza, la struttura organizzativa è divisa in 5 settori. Tre settori sono diretti da funzionari cat. D3 con posizione organizzativa. Per gli altri settori il posto di funzionario cat. D3 è vacante: i settori sono quello finanziario e quello dei tributi.
E' possibile affidare la responsabilità con posizione organizzativa a dipendenti di tali settori di cat. C ex art. 11, comma 3, N.O.P. del 31.03.1999 che svolgono di fatto tutte le incombenze? Oppure la responsabilità di tali settori deve essere affidata ad interim ai funzionari cat. D3 degli altri settori che però hanno laurea in Giurisprudenza ed in Ingegneria e non in Economia e neppure Diploma di ragioniere?
Risposta

L'art. 52 D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 (che ai sensi dell'art. 1 si applica anche ai Comuni) sotto la rubrica "Disciplina delle mansioni" stabilisce che "(...) 2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza.
3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.
4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.
5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggiore onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave
".
In materia di mansioni superiori, l'art. 11 CCNL del 31.03.1999 stabilisce che "1. I Comuni privi di posizioni dirigenziali, che si avvalgano della facoltà di cui all'art. 51, comma 3-bis, della L. 142/1990 introdotto dalla L. 191/1998 e nell'ambito delle risorse finanziarie ivi previste a carico dei rispettivi bilanci, applicano la disciplina degli artt. 8 e ss. esclusivamente a dipendenti cui sia attribuita la responsabilità degli uffici e dei servizi formalmente individuati secondo il sistema organizzativo autonomamente definito e adottato. (...)
3. Nel caso in cui siano privi di posizioni della categoria D, i Comuni applicano la disciplina degli artt. 8 e ss. ai dipendenti di cui al comma 1 classificati nelle categorie C o B, ove si avvalgano della facoltà di cui alla disciplina di legge richiamata nello stesso comma 1. In tal caso, il valore economico della relativa retribuzione di posizione può variare da un minimo di L. 6.000.000 ad un massimo di L. 15.000.000 annui lordi per tredici mensilità
".
L'art. 51 L. 08.06.1990, n. 142 "Organizzazione degli uffici e del personale" stabiliva che "3-bis Nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui al comma 3, fatta salva l'applicazione del comma 68, lettera c), dell'articolo 17 della L. 127/1997, possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione". La disposizione è oggi ripetuta nell'art. 109 D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 secondo cui "2. Nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui all'art. 107, commi 2 e 3, fatta salva l'applicazione dell'art. 97, comma 4, lettera d), possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco".
L'art. 8, CCNL 14.09.2000 integrativo, al co. 6 stabilisce che "6. Al dipendente di categoria C, assegnato a mansioni superiori della categoria D, possono essere conferite, ricorrendone le condizioni e nel rispetto dei criteri predefiniti dagli enti, gli incarichi di cui agli articoli da 8 a 11 del CCNL del 31.03.1999, con diritto alla percezione dei relativi compensi.
7. Per quanto non previsto dal presente articolo resta ferma la disciplina dell'art. 56 del D.lgs. n. 29/1993
" (ora art. 52 D.Lgs. 30.03.2001, n. 165).
Quindi è senz'altro possibile -nei limiti dell'art. 52 D.Lgs. 30.03.2001, n. 165- che un dipendente di cat. C possa avere la reggenza di un ufficio di cat. D (19.03.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATALe leggi regionali che disciplinano il riutilizzo dei materiali di scavo nei piccoli cantieri sono costituzionali? (18.03.2013 - link a www.ambientelegale.it).

TRIBUTIQuali sono le aree escluse dalla Tares? (18.03.2013 - link a www.ambientelegale.it).

TRIBUTICosa è il prototipo di regolamento Tares? (11.03.2013 - link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAAlbo Gestori Ambientali – cat. 9: Ai fini dell’iscrizione in cat. 9, le imprese devono dimostrare di avere eseguito interventi di bonifica? (11.03.2013 - link a www.ambientelegale.it).

APPALTI: Comuni con meno di 5.000 abitanti. Appalti, sussistenza dell'obbligo della centrale unica di committenza.
Domanda
L'art. 33 del Codice dei Contratti Pubblici impone ai Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di affidare ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito delle Unioni dei Comuni, qualora esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i Comuni medesimi avvalendosi dei competenti uffici.
Tale presupposto risulta chiaro se integrato con la norma che prevede l'obbligatorietà dell'esercizio associato delle funzioni fondamentali in capo ai Comuni della sopra specificata classe demografica. Un Comune, avendo fatto parte di Comunità Montana, ed avendo una popolazione di 3800 abitanti risulta ugualmente esonerato dall'obbligo di associare funzioni (L.R. Toscana 27.12.2011, n. 68, art. 55).
Persiste, quindi, l'obbligo della centrale unica di committenza? Se si, è possibile adempiere attraverso la Convenzione (art. 30, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267) con un Comune limitrofo superiore a 5000 abitanti?
Risposta

Il comma 3-bis dell'art. 33, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 (Codice degli appalti) pone un obbligo, in capo ai Comuni con meno di 5.000 abitanti, "di affidare ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture". Detto obbligo può essere assolto, in concreto, con diverse modalità:
1) nell'ambito delle Unioni dei Comuni, se esistenti;
2) costituendo un apposito accordo consortile;
3) "attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento", tra i quali la legge annovera -a titolo esemplificativo ("ivi comprese")- le convenzioni di cui all'art. 26, L. 23.12.1999, n. 488 (relative a servizi e forniture) ed il mercato elettronico della P.A. di cui all'art. 328, D.P.R. 05.10.2010, n. 207.
Invero, il fatto che l'art. 55, L.R. Toscana 27.12.2011, n. 68 non annoveri il Comune richiedente nelle categorie di Comuni obbligati ad associare le funzioni fondamentali, non sembra incidere sulla vigenza dell'obbligo testé descritto, che risponde ad una ratio ben precisa.
Riguardo alle modalità di assolvimento dell'obbligo, si rimanda all'elencazione suesposta. La procedura di cui all'art. 30, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (T.U.E.L.) non è richiamata dall'art. 33 del Codice degli Appalti; pertanto, in un'ottica prudenziale ed in attesa di indicazione applicative da giurisprudenza e prassi, si consiglia di attenersi alla lettera della norma (11.03.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

PATRIMONIO: Acquisto immobili. Art. 12, D.L. n. 98/2011, come novellato dalla legge di stabilità 2013.
Il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso, per l'anno 2013, di cui al nuovo comma 1-quater dell'art. 12, D.L. n. 98/2011, è stabilito per tutte le amministrazioni pubbliche, ivi compresi gli enti territoriali. La clausola di salvezza prevista per gli acquisti già autorizzati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze prima dell'01.01.2013 è espressamente riferita alle Amministrazioni centrali.
La Corte dei Conti, nell'osservare che il comma 1-quater pone 'un divieto assoluto di acquistare, a qualunque titolo, diritti immobiliari nell'esercizio 2013', ha affermato, però, che occorre 'evitare che l'applicazione pedissequa di tale divieto conduca al risultato opposto rispetto a quello voluto dal Legislatore'. In particolare, per il Giudice contabile: per quanto concerne le procedure espropriative, è conforme alla volontà del legislatore portare a termine quelle per cui risultino, in data antecedente all'01.01.2013, un decreto di occupazione di urgenza con la corresponsione della relativa indennità; per i contratti preliminari stipulati prima dell'01.01.2013, il comma 1-quater introduce una fattispecie di impossibilità giuridica sopravvenuta per factum principis preclusiva alla conclusione dei contratti definitivi per l'anno 2013.

Il Comune chiede alcuni chiarimenti in merito alle nuove disposizioni aggiunte all'art. 12, D.L. n. 98/2011
[1], a seguito della novella dettata dall'art. 1, comma 138, L. n. 228/2012 [2], statuenti misure restrittive per l'acquisto di beni immobili da parte delle pubbliche amministrazioni. L'Ente chiede, in particolare, di sapere se trovi applicazione agli enti locali il nuovo comma 1-quater dell'art. 12.
Sentito il Servizio finanza locale di questa Direzione centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
L'art. 12, comma 1, D.L. n. 98/2011 (non interessato dalla novella del 2012) prevede che a partire dal 01.01.2012 le operazioni di acquisto e vendita di immobili, da parte delle amministrazioni pubbliche
[3] sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze. La disposizione esclude espressamente dal suo ambito di applicazione, tra gli altri, gli enti territoriali.
Il nuovo comma 1-quater dell'art. 12, D.L. n. 98/2011, stabilisce che, per l'anno 2013, tutte le amministrazioni pubbliche
[4], incluse le autorità indipendenti, tra cui la Consob, non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata, a condizioni più vantaggiose, per sostituire immobili dismessi o per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Dall'ambito soggettivo di applicazione del comma 1-quater in argomento sono espressamente esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, mentre gli enti territoriali (venendo al quesito posto dall'Ente) si intendono ricompresi nell'alveo delle amministrazioni pubbliche ivi indicate [5].
L'ente pone, inoltre, l'attenzione sul comma 1-quater laddove esclude dal divieto le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto ministeriale di cui al comma 1 (come sopra chiarito, riferito alle Amministrazioni centrali), prima dell'entrata in vigore della novella del 2012
[6], e chiede se una tale esclusione possa applicarsi in via analogica agli enti territoriali ed, altresì, se possano ritenersi esclusi gli acquisti conseguenti a procedure espropriative.
Al riguardo, atteso che le nuove disposizioni recate dall'art. 1, comma 138, L. n. 228/2012, non dispongono in modo specifico, si auspica che i competenti organi statali intervengano tempestivamente a fornire gli opportuni chiarimenti
[7], esulando l'interpretazione delle norme statali dalla competenza dello scrivente Servizio.
Si segnala, comunque, il
parere 31.01.2013 n. 9 della Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Liguria, in ordine ad una richiesta proveniente da un comune e concernente la corretta interpretazione dell'art. 1, comma 138, della Legge di stabilità 2013, di novella dell'art. 12, D.L. n. 98/2011.
In particolare, sul nuovo comma 1-quater dell'art. 12 richiamato, il Giudice contabile, nell'osservare che lo stesso pone 'un divieto assoluto di acquistare, a qualunque titolo, diritti immobiliari nell'esercizio 2013', afferma, però, che occorre 'evitare che l'applicazione pedissequa di tale divieto conduca al risultato opposto rispetto a quello voluto dal Legislatore'.
A tal fine, per quanto concerne le procedure espropriative, la Corte dei conti distingue l'ipotesi della sola dichiarazione di pubblica utilità, per la quale non sembra porsi alcun problema, nel senso dell'applicazione, in questa ipotesi, delle nuove limitazioni agli acquisti immobiliari, dalla diversa situazione, tutt'altro che infrequente, che la dichiarazione di pubblica utilità sia stata accompagnata dall'emissione, antecedente all'01.01.2013, di un decreto di occupazione di urgenza dell'area preordinata all'espropriazione con la contemporanea corresponsione della relativa indennità. In quest'ultimo caso, secondo la Corte, 'il procedimento è giunto ad un livello tale (tempus regit actum) da ritenere possibile e più soddisfacente alla ratio finanziaria voluta dal Legislatore condurlo a termine, anche con possibile accordo di cessione volontaria intervenuto nel frattempo, piuttosto di lasciare ferma la situazione con una complessiva perdita maggiore di denaro pubblico, costituita dall'artificioso prolungamento del periodo di occupazione rispetto all'immissione definitiva nella proprietà da parte dell'ente'.
Mentre, per quanto riguarda la concreta esecuzione dei negozi preparatori -contratti preliminari di compravendita stipulati prima dell'01.01.2013, per i quali non sia stato ancora concluso il contratto definitivo, e diritti di prelazione da esercitarsi entro termini perentori- la Corte dei conti ritiene che il nuovo comma 1-quater introduca una 'fattispecie di impossibilità giuridica sopravvenuta per factum principis preclusiva all'esercizio dei diritti di prelazione e alla conclusione dei contratti definitivi per l'anno 2013, laddove negli esercizi successivi anche questa tipologia di acquisti immobiliari dovrà soggiacere al requisito dell'indispensabilità ed indilazionabilità', di cui al nuovo comma 1-ter
[8], D.L. n. 98/2011 [9]
.
---------------
[1] D.L. 06.07.2011, n. 98, recante: 'Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria', convertito, con modificazioni, dalla L. n. 111/2011.
[2] L. 24.12.2012, n. 228, recante: 'Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)'.
[3] Il comma 1 in argomento si riferisce alle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della L. n. 196/2009, con l'esclusione degli enti territoriali, degli enti previdenziali e degli enti del servizio sanitario nazionale, nonché del Ministero degli affari esteri con riferimento ai beni immobili ubicati all'estero.
[4] Il comma 1-quater in argomento si riferisce alle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della L. n. 196/2009.
Il coinvolgimento di tutte le amministrazioni pubbliche è evidenziato dalla Camera, Temi dell'Attività parlamentare, Acquisto, vendita e manutenzione degli immobili pubblici, all'indirizzo web: http://www.camera.it.
[5] Cfr. parere Anci del 17.01.2013. Per il coinvolgimento degli enti territoriali nelle disposizioni della legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012), cfr.: Eduardo Racca, 'Legge di stabilità: tutte le novità misura per misura', in 'Il sole 24 ore Enti locali', 03.01.2013.
[6] Il comma 1-quater è inserito dall'art. 1, comma 138, L. n. 228/2012, a decorrere dall'01.01.2013.
[7] Si rileva che dette questioni non risultano affrontate nella circolare 05.02.2013, n. 2, del Ministero dell'economia e delle finanze.
[8] Il nuovo comma 1-ter dell'art. 12, D.L. n. 98/2011, dispone che, a partire dal 01.01.2014, gli Enti territoriali e gli Enti del Servizio sanitario nazionale, per ottenere risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal Patto di stabilità interno, possono acquistare immobili solo nel caso in cui sia comprovata documentalmente l'indispensabilità e l'indilazionabilità attestata dal Responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è, altresì, attestata dall'Agenzia del Demanio, previo rimborso delle spese. Sul sito Internet dell'ente deve essere data preventiva notizia dell'operazione di acquisto, con l'indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito.
[9] Per completezza di esposizione, si segnala il diverso avviso dell'ANCI (di maggiore apertura, invero), per cui il legislatore non ha inteso porre le amministrazioni pubbliche di fronte al rischio di contenziosi derivanti ad esempio da compromessi di acquisto che non possono essere rispettati per effetto di norme sopravvenute, o di contenziosi derivanti dal ritardato pagamento di indennità di esproprio con ulteriori aggravi economici per l'ente espropriante.
Per cui, ad avviso dell'Associazione di categoria, si può ritenere che le operazioni già avviate prima dell'entrata in vigore della legge di stabilità 2013 (01.01.2013) possano trovare completamento nell'anno in corso e che, comunque, siano ammissibili operazioni connesse ad interventi di pubblica utilità in conseguenza di progetti o piani di attuazione che hanno già trovato le relative fonti di finanziamento nei bilanci degli anni precedenti.
Per l'ANCI, tale interpretazione, peraltro, sembra risultare coerente con quanto previsto per le amministrazioni dello Stato per le quali il comma 1-quater dell'art. 12 del D.L. n. 98/2011, come introdotto dalla legge di stabilità 2013, fa salve le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate prima dell'entrata in vigore della stessa legge n. 228 (Cfr. parere Anci del 16.01.2013)
(08.03.2013 - link a www.regione.fvg.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAA.U.A.: Chi? Quando? (04.03.2013 - link a www.ambientelegale.it).

PUBBLICO IMPIEGO: OGGETTO: pensionamento dipendente-richiesta di parere.
Un comune ha chiesto di conoscere se possa accedere alla richiesta avanzata da un dipendente di cat. C5, con profilo di istruttore tecnico, di trattenimento in servizio per un biennio oltre i limiti di età, tenuto conto che l’art. 24 della legge 214/2011 ha fissato in 66 anni il nuovo requisito anagrafico necessario per la pensione di vecchiaia.
...
Con una nota un comune ha chiesto di conoscere se possa accedere alla richiesta avanzata da un dipendente, cat. C5, con il profilo di istruttore tecnico, di trattenimento in servizio per un biennio oltre i limiti di età, tenuto conto che l’art. 24 della legge 214/2011 ha fissato in 66 anni il nuovo requisito anagrafico necessario per la pensione di vecchiaia. All’uopo è stata rappresentato che l’Ente è soggetto al patto di stabilità dall’anno in corso e che nel 2012 si è verificata una sola cessazione di personale di cat. B- posizione economica B6.
Al riguardo, si fa presente, preliminarmente, che, ai sensi dell’art. 16, comma 31, della legge 148/2011 a decorrere dal 01.01.2013 i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 ab., quale quello di specie, sono soggetti al patto di stabilità interno.
Pertanto, la normativa assunzionale cui fare riferimento è quella contenuta ai commi 557, 557-bis, 557-ter dell’art. 1 della legge 296/2006 e s.m.i., e all’art. 76, comma 7, della legge 133/2008 e s.m.i. Tale ultimo comma 7 dispone che gli enti, che non superano il limite del 50% della spesa di personale rispetto alla spesa corrente, possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 40% della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente.
Ciò posto, si rileva che il richiamato art. 24 della legge 214/2011, pur avendo introdotto una nuova disciplina in materia di trattamenti pensionistici, non ha inciso sull’applicazione degli istituti previsti dall’art. 72 della citata legge 133/2008, tra cui quello del trattenimento in servizio oltre i limiti di età, così come, anche, evidenziato nella circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 8 dell’08.03.2012.
Conseguentemente, i dipendenti, ai sensi di detta normativa, possono chiedere, e le amministrazioni possono accordare con le dovute valutazioni, il trattenimento in servizio oltre i predetti limiti anagrafici, fermo restando quanto previsto dall’art. 9, comma 31, della legge 122/2010, che consente alle citate amministrazioni di effettuare i suddetti trattenimenti nell’ambito delle facoltà assunzionali concesse alle stesse dalla legislazione vigente in base alle cessazioni di personale.
Stante quanto sopra esposto si ritiene che codesto Ente potrebbe accedere alla richiesta di cui trattasi solamente in presenza di tutte le condizioni e limitazioni previste dalla richiamata normativa (13.02.2013 - link a http://incomune.interno.it).

CORTE DEI CONTI

INCENTIVO PROGETTAZIONE: ► Non sono incentivabili ex art. 92, comma 5, d.lgs. 163/2006 i lavori di manutenzione ordinaria, peraltro finanziati con risorse di parte corrente del bilancio;
► analogamente, sono escluse dall'applicabilità della predetta norma i lavori in economia, siano essi connessi o meno ad eventi imprevedibili o d'urgenza ex art. 175 del d.p.r. 207/2010;
► riguardo, invece, ai lavori di somma urgenza (art. 176 d.p.r. 207/2010) risulta dirimente valutare la natura dei lavori eseguiti che dovranno presentare i caratteri dell'opera pubblica o dei lavori finalizzati alla realizzazione di un'opera di pubblico interesse per poter rientrare nelle tipologie incentivabili ai sensi dell'art. 92 del d.lgs. 163/2006;
►  l'attività di redazione di un piano di gestione di una zona di protezione civile (legge 56/2000) non rientra tra quelle oggetto di incentivo disciplinato dal menzionato art. 92.

---------------
Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla Sezione, con nota in data 08.02.2013 prot. n. 2866/1.13.9, richiesta di parere formulata dal Presidente della provincia di Prato in materia di incentivi alla progettazione di cui all’art. 92 del D.Lgs. 163/2006.
In particolare, ai fini della corretta applicazione delle norme in materia di incentivi al personale, chiede di sapere se rientra nell’applicazione della normativa in materia di incentivi di cui all’art. 92, commi 5 e 6, del D.Lgs. 163/2006 l’ipotesi di:
1. lavori di manutenzione ordinaria con finanziamento di parte corrente, escludendo attività di taglio del verde, sostituzione di infissi e apparati termoidraulici;
2. lavori in economia connessi ad eventi imprevedibili di cui all’art. 125, comma 6, lett. a), del D.Lgs. 163/2006 e lavori di urgenza di cui all’art. 175 del DPR n. 207/2010 realizzati sulla base di perizia tecnica o progettazione esecutiva affidati ai sensi dell’art. 125, comma 8, D.Lgs. 163/2006;
3. lavori di somma urgenza ordinati in via d’urgenza e successivamente regolarizzati mediante approvazione di perizia giustificativa redatta dal responsabile del procedimento con le modalità di cui all’art. 176 DPR 207/2010;
4. redazione del Piano di Gestione di una Zona di Protezione Speciale (L. 56/2000) che prevede tra l’altro la localizzazione di interventi pubblici in relazione ai quali l’ente agisce in veste di stazione appaltante.
...
Nel merito, l’art. 92, comma 5, del D.Lgs. 163/2006 (codice degli appalti) recita: “Una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere. La corresponsione dell'incentivo è disposta dal dirigente preposto alla struttura competente, previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti; limitatamente alle attività di progettazione, l'incentivo corrisposto al singolo dipendente non può superare l'importo del rispettivo trattamento economico complessivo annuo lordo; le quote parti dell'incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione medesima, ovvero prive del predetto accertamento, costituiscono economie. I soggetti di cui all'articolo 32, comma 1, lettere b) e c), possono adottare con proprio provvedimento analoghi criteri”.
Il comma 6 del medesimo articolo 92 recita: “Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, (…) tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.
In risposta ai primi due quesiti la Sezione ribadisce quanto già espresso in altra deliberazione (n. 293 del 23.10.2012), peraltro citata dal comune richiedente, ritenendo che l’art. 90 del D.lgs. n. 163/2006 sia alla rubrica che al c. 1, faccia “riferimento esclusivamente ai lavori pubblici, e l’art. 92, c. 1, presuppone l’attività di progettazione nelle varie fasi, expressis verbis come finalizzata alla costruzione dell’opera pubblica progettata.
A fortiori, lo stesso comma 6 dell’art. 92 prevede che l’incentivo alla progettazione venga ripartito “tra i dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto” e, dunque, è di palmare evidenza come il riferimento normativo e la conseguente voluntas legis sia ascrivibile solo alla materia dei lavori pubblici, presupponendosi una procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla realizzazione di un’opera di pubblico interesse
”; quanto espresso pare escludere dal novero delle attività retribuibili con l’incentivo in questione i lavori di manutenzione ordinaria, peraltro finanziati con risorse di parte corrente del bilancio. Lo stesso può concludersi in riferimento ai lavori in economia, siano essi connessi o meno ad eventi imprevedibili.
In risposta al terzo quesito, riferito a lavori di somma urgenza ordinati in via d’urgenza, appare dirimente, alla luce delle interpretazioni proposte, valutare la natura del lavoro eseguito che dovrà presentare i caratteri dell’opera pubblica o del lavoro finalizzato alla realizzazione di un’opera di pubblico interesse per poter rientrare nelle tipologie incentivabili ai sensi dell’art. 92 del codice dei contratti (D.Lgs. 163/2006).
In merito al quarto quesito, come già evidenziato da questa Sezione in altri pareri (deliberazione n. 213 del 18.10.2011 e deliberazione n. 389 del 27.11.2012) un atto regolamentare “non può essere assimilato, per il suo contenuto intrinseco, ad un progetto di lavori comunque denominato” mentre “l’art. 90 del D.lgs. n. 163/2006 sia alla rubrica che al c. 1, fa riferimento esclusivamente ai lavori pubblici, e l’art. 92, c. 1, presuppone l’attività di progettazione nelle varie fasi, expressis verbis come finalizzata alla costruzione dell’opera pubblica progettata. A fortiori, lo stesso comma 6 dell’art. 92 prevede che l’incentivo alla progettazione venga ripartito “tra i dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto” e, dunque, è di palmare evidenza come il riferimento normativo e la conseguente voluntas legis sia ascrivibile solo alla materia dei lavori pubblici, presupponendosi una procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla realizzazione di un’opera di pubblico interesse”; a parere di questo collegio, pertanto, l’attività di redazione del Piano di Gestione di una Zona di Protezione Speciale, non rientra in quelle oggetto di incentivo disciplinato dalla norma sopra riportata (Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana, parere 19.03.2013 n. 15).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Non può darsi corso alla possibilità di erogare le somme destinate alla produttività del personale dipendente per l’anno in corso, in caso di violazione del patto di stabilità per il medesimo anno.
---------------
Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla Sezione, con nota prot. n. 339/1.13.9 dell’08.01.2013, una richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di San Giuliano Terme, in cui si chiede se l’ente che non ha rispettato il patto di stabilità interno per l’anno 2011, possa erogare le somme destinate alla produttività del personale dipendente per il medesimo anno 2011 già deliberate ed impegnate, qualora sia accertato per l’anno 2012 il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e delle norme vigenti sul contenimento delle spese di personale.
...
Nel merito, la normativa di riferimento è rinvenibile nell’art. 15 del CCNL Regioni ed enti locali del 01/04/1999, in cui si prevede la possibilità di integrare le risorse economiche destinate alla produttività “in sede di contrattazione decentrata integrativa, ove nel bilancio dell’ente sussista la relativa capacità di spesa” (comma 2), nonché nell’art. 40, comma 3-quinquies, del D.Lgs. n. 165/2001, introdotto dall’art. 54 del d.lgs. 27.10.2009, n. 150, che al secondo periodo recita: “Le regioni, per quanto concerne le proprie amministrazioni, e gli enti locali possono destinare risorse aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità e di analoghi strumenti del contenimento della spesa”.
Il quesito proposto è indirizzato a conoscere se l’ente, in caso di violazione del patto di stabilità nell’esercizio 2011, possa erogare le maggiori risorse già deliberate ed impegnate per la produttività del personale per il medesimo anno 2011, avendo conseguito, nell’esercizio 2012, il rispetto sia del patto di stabilità che dei vincoli dettati dalle norme limitative in materia di spesa di personale.
A parere della Sezione
la violazione del patto di stabilità nell’esercizio 2011 è da ritenersi quale elemento impeditivo a determinare la maggiorazione delle risorse destinate alla produttività del personale di cui all’art. 15 CCNL 01/04/1999 per l’esercizio 2011, sebbene già deliberate ed impegnate (in tal senso si esprime anche la Sezione Piemonte della Corte dei conti) alla luce di quanto stabilito dall’art. 40, comma 3-quinquies, del D.Lgs. n. 165/2001.
Del resto, sempre a mente del comma 3-quinquies precedentemente menzionato,
in caso di superamento dei vincoli finanziari posti alla contrattazione, accertato dalle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, la disposizione prevede l’obbligo di recupero nell’ambito della sessione negoziale successiva e, nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di legge, dispone che le clausole contrattuali sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite.
L’ente, nel caso di rispetto delle disposizioni relative al patto di stabilità negli esercizi finanziari successivi, anche in sede previsionale (così si esprime la Sezione regionale di controllo per la Lombardia), e dei vincoli in tema di spesa di personale, potrà, pertanto, addivenire all’applicazione di una maggiorazione delle risorse destinate alla produttività del personale amministrativo ma sempre in riferimento all’esercizio di competenza di volta in volta considerato.
In conclusione
il Collegio ritiene che non possa darsi corso alla possibilità di erogare le somme destinate alla produttività del personale dipendente per l’anno 2011, in caso di violazione del patto di stabilità per il medesimo esercizio 2011 (Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana, parere 19.03.2013 n. 13).

APPALTI: In merito all’interpretazione dell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 che dal 01.01.2013 risulta così modificato: “il contratto è stipulato a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata…” la sezione ritiene che:
a) la comminatoria di nullità prevista dalla norma è riferita a tutte le forme ad substantiam di stipulazione previste dalla citata disposizione;
b) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata (scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter absentes), in caso di trattativa privata, conservano piena validità le forme di stipulazione, previste dall'art. 17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è prevista anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n.163);
c) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo ancora validamente stipulabile il contratto in forma pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
d) l’adozione del rogito notarile condurrà invece all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile, alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione normativa;
e) la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante …" riferita alla modalità elettronica della stipulazione dei contratti è da intendersi non come potere della singola stazione appaltante di autodeterminazione, ma come rinvio ad una normativa tecnica, di rango legislativo o regolamentare, di fonte statale (artt. 117, comma 2, lett. l, Cost.), che detti i precetti in modo uniforme sulla compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità elettronica.
---------------

Il sindaco del comune di Varese, mediante nota n. 9548 del 07.02.2013, ha posto un quesito in merito all’interpretazione dell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 che dal 01.01.2013 risulta così modificato: “il contratto è stipulato a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata…”.
In particolare il sindaco, dopo aver richiamato i lavori preparatori del legislatore, pone i seguenti quesiti:
a) se la comminatoria di nullità prevista dalla norma sia riferibile alla necessità della forma scritta ad substantiam, ovvero anche alle modalità di stipulazione previste dalla norma; in quest'ultima ipotesi non risulterebbero più utilizzabili le forme di stipulazione, alternative alla scrittura privata, previste dall'art. 17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440;
b) se la stipulazione in forma pubblica amministrativa debba avvenire esclusivamente in modalità elettronica, ovvero sia possibile ancora stipulare il contratto in forma pubblica amministrativa su supporto cartaceo, come sembra emergere chiaramente dalle schede di lettura, allegate al progetto di legge. Tale conclusione appare avvalorata dal tenore letterale della norma laddove il legislatore ha aggiunto la specificazione "…informatico…" esclusivamente all'atto pubblico notarile -prevedendo in tal caso un obbligo di utilizzo dell'atto notarile informatico nel caso di stipulazione tramite notaio esterno all'amministrazione appaltante- e non anche alla “…forma pubblica amministrativa…";
c) se la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante …" riferita alla modalità elettronica della stipulazione dei contratti sia da intendere come rinvio ad una legislazione tecnica generale, che detti norme sulla compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità elettronica, ovvero demandi a ciascuna stazione appaltante il potere di determinare autonomamente tali parametri tecnici.
...
L’art. 6, comma 4, del D.L. 18.10.2012, n. 179, convertito nella legge 17.12.2012, n. 221 ha disposto che le norme di cui all’art. 6, comma 3, si applicano a partire dal 01.01.2013. Fra le disposizioni ivi richiamate è ricompresa la norma oggetto del presente parere, a tenore della quale, il legislatore, innovando la disciplina sulla forma dei contratti stipulati dalla pubblica amministrazione nell’ambito del codice degli appalti, ha modificato l’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, prescrivendo che: “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata”.
Si pone a confronto la previgente edizione della norma, che testualmente recitava: ”il contratto è stipulato mediante atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante”.
Preliminarmente, si osserva che la disciplina generale sulla forma dei contratti pubblici è contenuta nella legge di contabilità generale dello Stato (art. 16, 17 e 18 del R.D. 18.11.1923, n. 2440) tuttora vigente.
La legge di contabilità dello Stato prescrive il requisito della forma scritta ad substantiam per tutti i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, anche quando essa agisca iure privatorum; forma scritta declinata mediante i canoni della forma pubblica amministrativa (art. 16 R.D. 18.11.1923, n. 2440), salve le ipotesi derogatorie tipizzate descritte all’art. 17 del R.D. citato, in cui è consentita l’adozione della scrittura privata e la conclusione a distanza a mezzo di corrispondenza.
Il rapporto fra le due disposizioni è regolato dal principio di specialità, atteso che la disposizione in tema di contabilità di Stato è applicabile ad ogni tipo contrattuale stipulato dalla Pubblica Amministrazione, mentre la disciplina prevista dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 è applicabile solo alla materia regolata dal Codice degli Appalti.
Sotto il profilo contenutistico si evidenzia, inoltre, che il novero delle forme ad substantiam previste dal citato art. 11, comma 13, ha una portata più ampia rispetto alla citata legge di contabilità, poiché promuove l’adozione di innovative forme di documentazione dell’attività contrattuale in cui è parte la Pubblica Amministrazione.
Tradizionalmente, si osserva che la forma scritta ad substantiam garantisce la certezza nei rapporti giuridici a contenuto patrimoniale in cui è parte la Pubblica Amministrazione e si pone quale regime speciale sia rispetto al principio di libertà della forma previsto nel codice civile, salve le ipotesi espressamente previste di atti che devono essere redatti per atto pubblico o per scrittura privata sotto pena di nullità (art. 1350 c.c.), sia rispetto al principio generale di libertà della forma dell’atto amministrativo.
La recente riformulazione dell’art. 11, comma 13, del Codice degli Appalti sancisce la nullità testuale per carenza delle forme alternative ad substantiam. Accanto alla forma scritta, tipica della forma pubblica amministrativa e della scrittura privata, la legge prescrive la forma digitale per l’atto pubblico notarile (informatico), nonché la modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante.
In sintesi, la difformità testuale rispetto alla precedente formula legislativa si compendia nella:
1) previsione della nullità testuale per difetto delle forme ad substantiam indicate dalla norma;
2) superamento della tassatività della forma scritta cartacea, mediante la previsione di forme alternative ad substantiam;
3) attribuzione dell’aggettivo “informatico” all’atto pubblico notarile;
4) dequotazione della forma elettronica a “modalità elettronica” secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante.
La disposizione ha inteso adeguare alle moderne tecnologie l’utilizzo delle forme contrattuali in cui è trasfusa la volontà della pubblica amministrazione, aggiungendo, ma non sostituendo alle tradizionali forme scritte cartacee la forma pubblica elettronica e/o digitale, con l’avvertenza che qualora le norme vigenti per la singola stazione appaltante (regolamentari o di legge) prevedessero l’adozione della sola modalità elettronica, l’utilizzo di altra metodologia di documentazione, ancorché scritta o cartacea, in violazione delle norme speciali, sarebbe affetta da nullità assoluta.
Ciò posto, al fine di rispondere ai singoli quesiti prospettati dall’amministrazione, alla luce del chiaro dato testuale, la Sezione si ritiene che:
a) la comminatoria di nullità prevista dalla norma è riferita a tutte le forme ad substantiam di stipulazione previste dalla citata disposizione;
b) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata (scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter absentes), in caso di trattativa privata, conservano piena validità le forme di stipulazione, previste dall'art. 17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è prevista anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163);
c) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo ancora validamente stipulabile il contratto in forma pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
d) l’adozione del rogito notarile condurrà invece all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile, alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione normativa;
e) la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante …" riferita alla modalità elettronica della stipulazione dei contratti è da intendersi non come potere della singola stazione appaltante di autodeterminazione, ma come rinvio ad una normativa tecnica, di rango legislativo o regolamentare, di fonte statale (artt. 117, comma 2, lett. l, Cost.), che detti i precetti in modo uniforme sulla compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità elettronica
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 18.03.2013 n. 97).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Parere della corte dei conti. Paletti agli acquisti oltre soglia comunitaria.
La possibilità per un ente locale di ricorrere all'acquisto di beni e servizi di importo inferiore alla soglia comunitaria, nonostante lo stesso sia tenuto ad avvalersi del Mercato elettronico della Pubblica amministrazione (ME.PA) o di altri mercati elettronici, è ammessa solo nell'ipotesi in cui non si riesca a reperire il bene in tali mercati, ovvero, quando il bene ivi reperito non è equipollente o sostituibile con quello che necessita all'ente.
Occorre, pertanto, che l'ente attui una verifica preliminare in tal senso, ben sapendo che, in caso contrario, il contratto stipulato sarà nullo e, per il dirigente che lo sottoscrive, sarà avviata un'azione disciplinare con conseguente apertura di una parallela azione di responsabilità amministrativa a suo carico.

È quanto mette nero su bianco la Sez. regionale di controllo della Corte dei Conti per la Regione Lombardia, nel testo del parere 18.03.2013 n. 92, con cui fa chiarezza sugli effetti del decreto legge n. 52/2012, in relazione all'obbligo per gli enti locali di avvalersi del mercato elettronico per gli acquisti di beni e servizi.
Il parere nasce dalla richiesta formulata alla Corte lombarda dall'amministrazione comunale di Rovello Porro (Co), in cui viene espressa la perplessità di doversi rivolgere al mercato elettronico anche per gli acquisti al di sotto della soglia di rilievo comunitario. Per la Corte, dopo aver svolto un breve excursus normativo sul punto, è pacifico che dal 9 maggio dello scorso anno, per effetto dell'articolo 7, comma 2, del citato dl n. 52, anche gli enti locali sono tenuti a rivolgersi ai soglia. Tuttavia, ammette la Corte, residua una possibilità. Ovvero che il ricorso ad acquisti al di fuori di tali mercati, è possibile nelle sole ipotesi in cui i beni che necessitano all'ente non possono essere reperiti.
Quindi, nella fase amministrativa di determinazione a contrarre, l'ente dovrà evidenziare le caratteristiche del bene e della prestazione, di avere effettuato il preventivo accertamento della insussistenza degli stessi sui mercati elettronici disponibili e, quando necessario, dovrà indicare la motivazione sulla non equipollenza o sostituibilità con altri beni o servizi presenti nei mercati elettronici. In poche parole, si può ricorrere a procedure autonome, solo quando il bene non può essere acquisito al mercato elettronico oppure, anche se disponibile, è inidoneo alle necessità dell'amministrazione acquirente.
Il tutto, dovrà essere messo per iscritto nella determinazione a contrattare della stessa amministrazione. In difetto di questa rigorosa verifica, la Corte rileva le pesanti conseguenze indicate a tal fine dal decreto legge sulla spending review (il dl n. 95/2012). Ovvero, che i contratti stipulati in violazione di acquisto sui mercati elettronici sono nulli e costituiscono illecito disciplinare e contabile, cui corrisponde un'ipotesi idonea per l'apertura di un fascicolo di responsabilità amministrativa (articolo ItaliaOggi del 23.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIIl Sindaco del Comune di Menaggio (CO) ha posto alla Sezione una richiesta di parere articolata in tre distinti quesiti (ed ulteriori sub-quesiti), in merito all’art. 1 del D.L. n. 95/2012, all’art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012, ed infine all’art 18 del D.L. n. 83/2012.
Più nel dettaglio, l’organo rappresentativo dell’ente osserva quanto segue.
1. Art. 1 del D.L. n. 95/2012
L’art. 26 della legge n. 488/1999, comma 3, dispone che le amministrazioni pubbliche possono ricorrere alle convenzioni stipulate ai sensi del comma 1, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche utilizzando procedure telematiche per l'acquisizione di beni e servizi (...). La stipulazione di un contratto in violazione del presente comma è causa di responsabilità amministrativa; ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo previsto nelle convenzioni e quello indicato nel contratto.
L’ultimo periodo dell’art. 26, comma 3, contempla una specifica deroga per quanto concerne le amministrazioni locali di più ridotte dimensioni, prevedendo quanto segue: “Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e ai comuni montani con popolazione fino a 5.000 abitanti”.
L’art. 1 del D.L. 95/2012, convertito in Legge 135/2012, prevede -al comma 1- che “i contratti stipulati in violazione dell'articolo 26, comma 3 della legge 23.12.1999, n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da CONSIP S.p.A. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa”.
Nel merito, si chiede di conoscere se il ricorso alle convenzioni Consip, MEPA ovvero Centrali di committenza regionali da parte dei comuni montani o al di sotto comunque dei 1.000 abitanti rimanga facoltativo e, quindi, non obbligatorio. Nel caso di conferma circa la vigenza dell’art. 26, comma 3, della L. n. 488/1999 per gli enti di minori dimensioni demografiche, si chiede di conoscere se i prezzi e le tariffe Consip/MEPA debbano essere, comunque, oggetto di comparazione.
2. Art. 4 comma 6 del D.L. 95/2012
Il secondo quesito riguarda l’esatta interpretazione dell’art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012, il quale prevede quanto segue: “a decorrere dal 01.01.2013, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell'amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l'alta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni ed attività culturali, dell'istruzione e della formazione, le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 07.12.2000, n. 383, gli enti di volontariato di cui alla legge 11.08.1991, n. 266, le organizzazioni non governative di cui alla legge 26.02.1987, n. 49, le cooperative sociali di cui alla legge 08.11.1991, n. 381, le associazioni sportive dilettantistiche di cui all'articolo 90 della legge 27.12.2002, n. 289, nonché le associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali”.
In merito alla suddetta norma l’ente chiede un parere sulla possibilità da parte degli enti locali di erogare contributi a soggetti e/o associazioni che svolgono la propria attività a favore della cittadinanza (e indirettamente a favore del Comune).
Inoltre, il sindaco domanda se le Pro Loco possano essere annoverate tra le “associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali” per le quali la norma prevede una esclusione dell’applicazione della norma, ovvero se solo quelle iscritte nei registri nazionali o regionali previsti dalla legge 383/2000 (Associazioni di promozione sociale) possono beneficiare di detta esclusione.
3. Art. 18 del D.L. n. 83/2012
L’art. 18 del D.L. n. 83/2012 dispone quanto segue: “1. La concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese e l'attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere di cui all'articolo 12 della legge 07.08.1990, n. 241 ad enti pubblici e privati, sono soggetti alla pubblicità sulla rete internet, ai sensi del presente articolo e secondo il principio di accessibilità totale di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150.
2. Nei casi di cui al comma 1 ed in deroga ad ogni diversa disposizione di legge o regolamento, nel sito internet dell'ente obbligato sono indicati: a) il nome dell'impresa o altro soggetto beneficiario ed i suoi dati fiscali; b) l'importo; c) la norma o il titolo a base dell'attribuzione; d) l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del relativo procedimento amministrativo; e) la modalità seguita per l'individuazione del beneficiario; f) il link al progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato, nonché al contratto e capitolato della prestazione, fornitura o servizio.
3. Le informazioni di cui al comma 2 sono riportate, con link ben visibile nella homepage del sito, nell'ambito dei dati della sezione «Trasparenza, valutazione e merito» di cui al citato decreto legislativo n. 150 del 2009, che devono essere resi di facile consultazione, accessibili ai motori di ricerca ed in formato tabellare aperto che ne consente l'esportazione, il trattamento e il riuso ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196.
4. Le disposizioni del presente articolo costituiscono diretta attuazione dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità sanciti dall'articolo 97 della Costituzione, e ad esse si conformano entro il 31.12.2012, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettere g), h), l), m), r) della Costituzione, tutte le pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali, le aziende speciali e le società in house delle pubbliche amministrazioni. Le regioni ad autonomia speciale vi si conformano entro il medesimo termine secondo le previsioni dei rispettivi Statuti.
5. A decorrere dal 01.01.2013, per le concessioni di vantaggi economici successivi all'entrata in vigore del presente decreto-legge, la pubblicazione ai sensi del presente articolo costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante delle concessioni ed attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare previste dal comma 1, e la sua eventuale omissione o incompletezza è rilevata d'ufficio dagli organi dirigenziali e di controllo, sotto la propria diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per l'indebita concessione o attribuzione del beneficio economico. La mancata, incompleta o ritardata pubblicazione è altresì rilevabile dal destinatario della prevista concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 30 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 02.07.2010, n. 104
”.
In relazione al suindicato art. 18 del D.L n. 83/2012, il Comune chiede se siffatta pubblicazione, per l’importo superiore ad euro 1.000,00, sia riferita esclusivamente alla concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese e all'attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere di cui all'articolo 12 della legge 07.08.1990, n. 241, ovvero si riferisca a qualsiasi tipologia di spesa superiore a detto importo.
...
La Sezione si pronuncia in ordine alla richiesta di parere del Sindaco del Comune di Menaggio (CO), articolata in tre distinti quesiti, in merito all’art. 1 del D.L. n. 95/2012, all’art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012 ed all’art. 18 del D.L. n. 83/2012.
Primo quesito: la Sezione osserva che
l’unica ipotesi in cui possano ritenersi consentite procedure autonome è quella in cui il bene e/o servizio non possa essere acquisito secondo le modalità sin qui descritte; ovvero, pur disponibile, si appalesi –per mancanza di qualità essenziali– inidoneo rispetto alle necessità della amministrazione procedente.
Tale specifica evenienza dovrà essere prudentemente valutata e dovrà trovare compiuta evidenza nella motivazione della determinazione a contrattare i cui contenuti, per l’effetto, si arricchiscono. In difetto di siffatta rigorosa verifica l’avvenuta acquisizione di beni e servizi, secondo modalità diverse da quelle previste dal novellato art. 1, comma 450, da parte di comuni di qualsivoglia dimensione demografica, nella ricorrenza dei presupposti per il ricorso al Me.PA, inficerà il contratto stipulato ai sensi del disposto di cui all’art. 1, comma 1, L. 135/2012 comportando le connesse responsabilità.
Infatti, il Me.PA, è ascrivibile al genus degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip Spa. E’ fatta salva la disciplina speciale dell’art. 1, comma 7, del d.l. n. 95/2012, più volte richiamata in precedenza, in relazione a puntuali categorie merceologiche.

Secondo quesito: la Sezione osserva che
il divieto di erogazione di contributi ricomprende l’attività prestata dai soggetti di diritto privato menzionati dalla norma in favore dell’Amministrazione Pubblica quale beneficiaria diretta; risulta, invece, esclusa dal divieto di legge l’attività svolta in favore dei cittadini, id est della “comunita' amministrata”, seppur quale esercizio -mediato- di finalità istituzionali dell’ente locale e dunque nell’interesse di quest’ultimo.
Il discrimine appare, in sostanza, legato all’individuazione del fruitore immediato del servizio reso dall’associazione.

Terzo quesito: per quanto concerne il terzo quesito
sulla tipologia di atti rientranti nell’obbligo di pubblicazione ex art. 18 del D.L n. 83/2012, il Collegio osserva che –in virtù dell’espresso tenore letterale della norma soprarichiamata– vi sono assoggettati:
a) gli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese;
b) gli atti di attribuzione, comunque, di vantaggi economici di qualunque genere a enti pubblici e privati ex art. 12 L. n. 241/1990;
c) gli atti di attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 14.03.2013 n. 89).

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALICorte dei conti. Verifiche sulle Regioni. Sindacabili gli atti dei consiglieri.
La Corte dei conti può sindacare sugli atti dei consiglieri regionali.

La vicenda riguarda alcuni consiglieri che, in qualità di componenti dell'ufficio di presidenza del consiglio regionale della Basilicata, con una delibera nel 2005 affidarono a un soggetto esterno l'incarico di redigere un progetto di organizzazione del consiglio regionale con una spesa di 23.869 euro.
La procura regionale della Corte dei conti della Basilicata ha ritenuto illegittimo l'atto di conferimento dell'incarico, e i giudici contabili hanno dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, ritenendo applicabile al caso l'immunità garantita ai componenti del consiglio regionale dall'articolo 122, comma 4, della Costituzione «per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle proprie funzioni».
I giudici della
Sez. I giurisdizionale centrale di appello della Corte dei Conti, con la sentenza 07.03.2013 n. 190, hanno invece affermato il principio che l'insindacabilità dei consigli regionali e dei loro appartenenti incontra precisi limiti, relativi appunto a un diretto collegamento delle attività poste in essere con l'esercizio dell'attività assembleare. Conseguentemente, la sentenza impugnata é stata annullata ed è stata dichiarata la sussistenza, nel caso di specie, della giurisdizione contabile.
È importante sottolineare come le recenti norme (in particolare, l'articolo 1, commi 10 e seguenti, del Dl 19.10.2012, n. 174, convertito dalla legge n. 213/2012), secondo cui i vari gruppi consiliari regionali sono tenuti a redigere appositi rendiconti e sono assoggettati a controlli delle spese da parte della Corte dei conti) emanate allo scopo di contrastare i fenomeni di mala gestio e di sperpero di denaro pubblico da parte dei gruppi politici delle assemblee territoriali, hanno contribuito ad offrire ai giudici di appello una valida chiave interpretativa delle norme costituzionali in materia e della portata delle guarentigie per i medesimi consigli.
Senza la giurisdizione contabile della Corte dei conti, infatti, si verrebbe a creare una zona franca, un'area di privilegio sottratta ad ogni sindacato giurisdizionale sulla correttezza e la regolarità della gestione del danaro pubblico, in quanto l'unico riscontro operante sarebbe quello costituito dalla rendicontazione interna all'assemblea (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

LAVORI PUBBLICINo a leasing in costruendo che aggiri l'indebitamento
Gli enti locali non possono utilizzare il leasing in costruendo per aggirare i limiti all'indebitamento.

Lo stop arriva dalla Sez. regionale di controllo della Corte dei Conti per il Veneto, che con il parere 12.03.2013 n. 74 conferma la linea del rigore tracciata in passato dalle sezioni riunite con la deliberazione n. 49/2011.
Il leasing immobiliare è un particolare tipo di contratto che ha come finalità principale la realizzazione di un'opera, ma che può talora comprendere anche un'importante componente di finanziamento.
In pratica, una delle parti (tipicamente, come nel caso in esame, quella pubblica) si impegna a pagare un canone periodico per ottenere la disponibilità del bene che la controparte realizza, con possibilità di riscattarlo dopo un certo numero di anni.
La configurazione del rapporto e le sue conseguenze contabili dipendono dalla ripartizione dei rischi inerenti l'esecuzione e la gestione dell'opera: ove questi ultimi ricadano sul soggetto pubblico, l'operazione si configura sostanzialmente come indebitamento. Pertanto, essa risulta preclusa per tutti gli enti che hanno sforato il Patto di stabilità interno (una delle relative sanzioni consiste proprio nel divieto di assumere nuovi debiti) e per quelli che hanno superato il tetto massimo nel rapporto sugli interessi (attualmente fissato al 4% delle entrate correnti).
Solo nel caso in cui il privato si assuma i predetti rischi, il leasing non ha effetti sull'indebitamento: in tal caso, il bene entra nel patrimonio dell'ente solo al momento del riscatto e il canone periodico viene contabilizzato fra le spese correnti.
Gli enti locali dispongono di una certa discrezionalità nella scelta del metodo di contabilizzazione, ma la giurisprudenza contabile è ferma nel considerare come elusivi dei vincoli di finanza pubblica, e quindi sanzionabili, i contratti che, dietro la facciata di un'operazione di partenariato pubblico-privato con utilizzo di risorse private, celano un sostanziale indebitamento.
Anche nel parere della sezione veneta, pertanto, viene espresso un deciso favor a favore della contabilizzazione con il cosiddetto metodo finanziario, che impone di rilevare in bilancio il debito imputando le uscite alle spese correnti per la componente interessi ed alle spese di rimborso prestiti per la quota capitale (articolo ItaliaOggi del 19.03.2013).

ATTI AMMINISTRATIVIDoppi controlli sugli enti locali. Al via i rapporti ai magistrati su gestione e verifiche interne. Corte dei conti. Approvate le Linee guida per le nuove relazioni di Regioni, Province e Comuni.
SOTTO ESAME/ Le istruzioni applicano il Dl sui «costi della politica» In caso di vizi gravi sanzione fino a 20 mensilità per le amministrazioni.

Un sistema di verifiche in corso d'anno, che all'esame dei sistemi di controllo interno messi in opera dalle amministrazioni locali uniranno un check up completo sui risultati delle gestioni.
Sono i nuovi controlli interni degli enti territoriali introdotti dal Dl 174/2012 e disciplinati dalla Corte dei conti con la deliberazione 18.02.2013 n. 4 e 5/2013 diffuse ieri dalla Sezione delle autonomie.
Proprio la Corte dei conti, con le sezioni regionali di controllo, è la destinataria delle nuove relazioni, che andranno preparate dai vertici amministrativi e firmate da sindaci e presidenti per consentire ai magistrati contabili di tenere sotto monitoraggio continuo gli enti territoriali. Nel caso dei Comuni sopra i 15mila abitanti e delle Province, l'invio è semestrale e la prima relazione, che avrà per oggetto i risultati dei primi sei mesi del 2013, andrà inviata entro il 30 settembre prossimo.
Per le Regioni i termini sono invece più stretti: l'esame guarda già al 2012 per cui la prima relazione, con la situazione e i risultati conseguiti l'anno scorso (e, per il sistema dei controlli, con aggiornamenti al quadro attuale), andrà inviata entro maggio prossimo, cioè 60 giorni dopo la pubblicazione delle Linee guida.
Per Comuni e Province, però, la normativa (articolo 148 del decreto legislativo 267/2000, nella versione scritta all'articolo 3, comma 1, lettera e del Dl 174/2012), prevede anche penalità potenzialmente pesanti: se i magistrati contabili rileveranno «l'assenza o inadeguatezza» degli strumenti e delle metodologie che garantiscono la regolarità della gestione e l'efficacia dei controlli interni, potranno condannare gli amministratori a una sanzione pari a una somma che va da 5 a 20 volte la loro retribuzione mensile. Naturalmente l'applicazione delle sanzioni seguirà le regole del «dolo» o della «colpa grave» stabilite dall'articolo 1 della legge 20/1994.
Per Comuni superiori a 15mila abitanti e Province, le relazioni da inviare alla Corte dei conti sono distinte in due maxi-sezioni. La prima guarda direttamente ai conti dell'ente, e passa al setaccio la programmazione (Peg, dotazione organica, sistema delle partecipate, programma triennale dei lavori pubblici e così via) per poi dedicarsi alla dinamica di entrate e spese: sul primo versante si analizza tra l'altro la capacità di riscossione, la valutazione delle fonti di finanziamento e i proventi dalla gestione del patrimonio, mentre sul secondo si chiedono lumi sulle riduzioni effettive conseguenti alla spending review, le modalità di acquisto di beni e servizi, il numero di appalti e le modalità di affidamento, la gestione del contenzioso.
La seconda parte punta, invece, l'attenzione sul sistema dei controlli interni, e chiede di indicare modalità operative e atti assunti in relazione anche al controllo strategico, al controllo di gestione e a quello sulle partecipate. Su questi aspetti, va tenuto ovviamente presente il calendario fissato dal Dl 174/2012, che nel 2013 chiede di applicare questi controlli negli enti con più di 100mila abitanti, per scendere a 50mila abitanti nel 2014 e a 15mila dal 2015.
Il pacchetto dei temi sotto esame, come si vede, è ampio, e in qualche caso si sovrappone con gli argomenti indagati dai questionari annuali previsti dai commi 166 e seguenti della Finanziaria 2006. Anche per questo le stesse Linee guida annunciano l'esigenza di «coordinamento» fra i due strumenti di controllo, con probabile "corsia preferenziale" sulle nuove relazioni che essendo semestrali consentiranno verifiche più puntuali e soprattutto in corso d'esercizio.
Analoga l'impostazione delle relazioni regionali, che oltre ai controlli puntano su obblighi di trasparenza, regolarità della gestione amministrativa e contabile e servizio sanitario (articolo Il Sole 24 Ore del 19.03.2013).

ATTI AMMINISTRATIVI: Esiste nesso causale tra la condotta di chi pone in essere un atto illegittimo e il danno indiretto per le spese di causa.
Mentre ai sensi dell’art. 41, comma, 1, c.p., a ciascuna delle condotte va riconosciuta efficienza causale nel determinismo del danno in quanto ne costituisca condicio sine qua non, il rigore di tale previsione è attenuato dal secondo comma, che attribuisce autonomo determinismo alla causa sopravvenuta, ove essa sia idonea a produrre l’evento, ossia al fattore eccezionale, quale evento che, secondo la miglior scienza ed esperienza, non è conseguenza neppure probabile di quel tipo di condotta.
Ciò premesso, laddove il danno indiretto oggetto del giudizio di responsabilità sia costituito dalle spese del giudizio amministrativo affrontate dall’Ente in seguito all’impugnazione di un atto ritenuto illegittimo, la scelta dell’Amministrazione di resistere in giudizio ed in genere la condotta processuale, ad avviso del Collegio, possono rilevare, al più, come concause del danno, ma non sono idonee, da sole, a produrre il presunto evento di danno.

---------------
... osserva quindi il Collegio come non sia condivisibile l’assunto di parte appellata, per il quale il danno azionato, in relazione alle spese di soccombenza e per onorari corrisposti dal Comune al proprio legale per la difesa in giudizio, non sia ricollegabile causalmente alla condotta ritenuta antigiuridica dalla Procura.
Si ricorda che, ai sensi dell’ art. 41 cod. pen., “1.…Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento. 2. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento…”.
Dunque in forza del primo comma a ciascuna delle condotte va riconosciuta efficienza causale nel determinismo del danno in quanto ne costituisca condicio sine qua non, nel senso che le singole cause hanno svolto un ruolo tale che, senza una di esse, non si sarebbe verificato l'evento dannoso. Ma il rigore di tale previsione è attenuato dal secondo comma, che attribuisce autonomo determinismo alla causa sopravvenuta, ove essa sia idonea a produrre l’evento, ossia al fattore eccezionale, quale evento che, secondo la miglior scienza ed esperienza, non è conseguenza neppure probabile di quel tipo di condotta (Cass. pen. Sez. IV, n. 12224 del 19.06.2006; id. n. 5728 del 04.12.2001).
Nel caso di specie il giudizio dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, è stato conseguenza diretta dell’atto asserito come illegittimo dai proprietari delle aree, i quali hanno avuto titolo, quali ricorrenti vittoriosi, al risarcimento delle spese di difesa. Nello stesso senso, è dall’azione giudiziaria che è derivato l’esborso a favore del difensore del Comune resistente che il Comune non avrebbe sostenuto, ove non fossero stati posti in essere gli atti ritenuti dal Tribunale Superiore illegittimi.
La scelta dell’Amministrazione di resistere in giudizio ed in genere la condotta processuale, ad avviso del Collegio, possono rilevare, al più, come concause del danno, ma non idonee, da sole, a produrre il presunto evento di danno.
Ritiene quindi Collegio che il comportamento degli appellati non sia configurabile come gravemente colposo (massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. II giur. centrale d'appello, sentenza 01.02.2013 n. 42).

ATTI AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI: Rientra tra i doveri di servizio del segretario comunale il rilascio di pareri in materia di regolarità delle deliberazioni.
Sussiste la colpa grave dei convenuti per violazione dei loro doveri di servizio, atteso che con un minimo di diligenza si sarebbe immediatamente evidenziata la natura non solo illegittima, ma anche dannosa della deliberazione adottata.
In particolare, il Segretario comunale –che deve presumersi conoscere la normativa nel dettaglio sia per dovere di ufficio, sia per l’esperienza e la preparazione professionale presumibile dalla categoria di appartenenza– non rese alcun parere sulla regolarità della deliberazione e verbalizzò la delibera senza alcuna osservazione, in violazione dei suoi obblighi di assistenza giuridico-amministrativa (istruttoria e consultiva) agli organi politici dell’ente in sede di adozione delle deliberazioni; ed i componenti della Giunta decisero di confermare le mansioni superiori senza il parere burocratico (del segretario) e a fronte di una evidente illegittimità della delibera stessa che avrebbe imposto tutti gli approfondimenti del caso, in violazione dei doveri di servizio che imponevano ai componenti della giunta la massima diligenza nella gestione di risorse comunali.
---------------
Sussiste quindi la colpa grave dei convenuti per violazione dei loro doveri di servizio, atteso che con un minimo di diligenza si sarebbe immediatamente evidenziata la natura non solo illegittima, ma anche dannosa della deliberazione adottata.
In particolare, come sopra precisato (§ 7.2.1.e), il Segretario comunale –che deve presumersi conoscesse tale normativa nel dettaglio sia per dovere di ufficio, sia per l’esperienza e la preparazione professionale presumibile dalla categoria di appartenenza– non rese alcun parere sulla regolarità della deliberazione (reso invece su tutte le altre deliberazioni in atti) e verbalizzò la delibera senza alcuna osservazione, in violazione dei suoi obblighi di assistenza giuridico-amministrativa (istruttoria e consultiva) agli organi politici dell’ente in sede di adozione delle deliberazioni (artt. 52, 53 e 58 L. 142/1990 nel testo vigente nel 1999, artt. 93 e 97 D.Lgs. 267/2000); ed i componenti della Giunta decisero di confermare le mansioni superiori senza il parere burocratico (del segretario) e a fronte di una evidente illegittimità della delibera stessa che avrebbe imposto tutti gli approfondimenti del caso, in violazione dei doveri di servizio che imponevano ai componenti della giunta la massima diligenza nella gestione di risorse comunali (artt. 58 L. 142/1990 e artt. 78 e 93 D.Lgs. 267/2000)
(massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. II giur. centrale d'appello, sentenza 01.02.2013 n. 41).

CONSIGLIERI COMUNALI: Il potere di sovrintendere del Sindaco può comportare responsabilità per singoli atti di gestione.
La legge non specifica in che cosa esattamente si concreti il potere di sovrintendere del sindaco, ma è certo che le responsabilità connesse a tale potere possono essere differenti in rapporto alle situazioni concrete e alle dimensioni ed all’assetto organizzativo del singolo ente locale nonché dipendere dalle eventuali specificazioni di poteri contenute nelle norme statutarie.
In giurisprudenza sono frequenti le affermazioni di responsabilità del sindaco anche in relazione a singoli atti di gestione specialmente per comuni di piccole dimensioni, laddove il numero esiguo e le modeste dimensioni economiche degli affari trattati, impongono certamente una maggiore attenzione del capo dell’Amministrazione in relazione ad atti amministrativi rilevanti, come quelli dei procedimenti espropriativi.

---------------
Fondata in linea di principio è la censura rivolta dal procuratore generale appellante alla tesi dei primi giudici secondo cui le modifiche apportate dalla legge 142 del 1990 all’ordinamento degli enti locali avrebbero in sostanza del tutto sottratto alla responsabilità del sindaco e degli assessori gli adempimenti relativi alle procedure di espropriazione per pubblica utilità, in quanto atti di gestione riservati ai dirigenti.
L’art. 36, comma 1, della legge 142 del 1990 (con formula testualmente riprodotta nell’art. 50, comma 2, d. l.vo 18.08.2000, n. 267) dispone che il sindaco sovrintende al funzionamento degli uffici e dei servizi (comma 1) e che sovrintende altresì alle funzioni regionali o statali attribuite o delegate al comune (comma 2).
La legge non specifica in che cosa esattamente si concreti il potere di sovrintendere del sindaco, ma è certo che le responsabilità connesse a tale potere possono essere differenti in rapporto alle situazioni concrete e alle dimensioni ed all’assetto organizzativo del singolo ente locale nonché dipendere dalle eventuali specificazioni di poteri contenute nelle norme statutarie. Del resto è vero soltanto in linea di larga massima quanto affermato dalla difesa degli appellanti che il potere di soprintendere agli uffici comunali attribuito al sindaco riguardi soltanto l’organizzazione degli uffici stessi, non la trattazione dei singoli affari.
In giurisprudenza sono frequenti le affermazioni di responsabilità del sindaco anche in relazione a singoli atti di gestione specialmente per comuni di piccole dimensioni, laddove il numero esiguo e le modeste dimensioni economiche degli affari trattati, impongono certamente una maggiore attenzione del capo dell’Amministrazione in relazione ad atti amministrativi rilevanti, come quelli dei procedimenti espropriativi (tratto da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. I giur. centrale d'appello, sentenza 29.01.2013 n. 61).

NEWS

AMBIENTE-ECOLOGIAIl Sistri riparte, ma senza oneri nel 2013.
Il Sistri riparte, ma il versamento del contributo di iscrizione al sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti è sospeso per tutto il 2013. Lo stop riguarda gli enti e le imprese già iscritti al sistema «alla data del 30.04.2013».

A disporlo è il decreto del ministro dell'ambiente, Corrado Clini, i cui contenuti sono stati anticipati da ItaliaOggi il 21 marzo scorso.
Il decreto prevede, comunque, che il sistema di tracciabilità venga attivato già da inizio ottobre per i rifiuti speciali e pericolosi. Inizialmente, il via libera scatterà solo per i produttori di rifiuti con più di dieci dipendenti in organico. E per tutti i soggetti pubblici e privati che gestiscono in un modo o nell'altro rifiuti pericolosi. Per le altre attività, invece, l'avvio del sistema è fissato per il 3 marzo dell'anno prossimo.
La tempistica. Per chi sarà soggetto al Sistri già nel 2013, le procedure di verifica per l'aggiornamento dei dati delle imprese saranno avviate dal 30 aprile. E si concluderanno entro il 30 settembre prossimo.
Dal 30 settembre al 28.02.2014, invece, sarà effettuata la verifica per tutte le altre imprese. In ogni caso, va chiarito che, già da ottobre, tutte le imprese che trattano rifiuti non pericolosi potranno comunque utilizzare il Sistri, su base volontaria (articolo ItaliaOggi del 23.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGOCorruzione, nomine politiche. Responsabile della prevenzione indicato dal sindaco. Le indicazioni sull'applicazione della legge 190/2012 nelle linee guida dell'Anci.
È il sindaco, quale responsabile dell'amministrazione del comune, che deve nominare il responsabile della prevenzione della corruzione. Nomina che, pur non rinvenendosi nella legge un termine tassativo, è opportuno sia effettuata in tempi strettissimi. Inoltre, in merito alla rotazione dei dirigenti negli uffici ad elevato rischio di commissione dei reati, occorrono regole specifiche per le amministrazioni locali, soprattutto in relazione alle caratteristiche organizzative e dimensionali delle stesse. Infine, è compito della Giunta predisporre il Piano triennale di prevenzione della corruzione.
Sono alcune delle precisazioni che l'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) ha messo nero su bianco nel testo del documento 21.03.2013 pubblicato pochi giorni fa, fornendo alle amministrazioni comunali le prime indicazioni in materia di anticorruzione, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 190/2012.
Innanzitutto, precisa l'Anci, è fondamentale che occorra procedere alla nomina del responsabile della prevenzione della corruzione. Secondo la legge n. 190, tale figura, salva diversa e motivata determinazione, deve essere individuata nel segretario dell'ente. Sul punto, l'Anci (così come la Civit e la Funzione pubblica) rileva che il soggetto titolare del potere di nomina non può che essere il Sindaco, quale organo di indirizzo politico-amministrativo e che, tra l'altro, è il responsabile dell'amministrazione del comune.
Sui tempi, poi, inerenti al provvedimento di nomina, le indicazioni dell'associazione guidata da Graziano Delrio rilevano che la legge non prevede un termine tassativo. Tuttavia, in considerazione anche della predisposizione e della successiva adozione del Piano triennale della corruzione, è opportuno che essa avvenga «in tempi rapidi».
Tra i compiti del responsabile della prevenzione della corruzione, vi è anche la verifica dell'effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento di attività «ad alto rischio» di commissione di reati di corruzione. Su questo versante, l'Anci rileva che la norma presenta profili di «estrema problematicità», in quanto occorrerà effettuare una rotazione di dirigenti che siano pur sempre specializzati professionalmente, ma ci si pone il problema di come affrontare una simile rotazione soprattutto in amministrazioni di piccole e medie dimensioni nelle quali il numero dei dirigenti o di funzionari responsabili è estremamente ridotto.
Su questa problematica non di poco conto, l'Anci avrà cura di individuare delle regole specifiche per le amministrazioni locali, in relazione alle caratteristiche organizzative e dimensionali dell'ente. Infine, nel documento in esame, vengono sgomberati i dubbi sull'organo competente ad adottare il Piano triennale di prevenzione della corruzione, il cui termine di adozione originariamente previsto al 31 gennaio scorso è slittato al 31 marzo. È la giunta che vi deve provvedere, in relazione alle sue prerogative ex articolo 48 del Tuel.
Sulla tempistica, anche qui, l'Anci fornisce alcune indicazioni. La legge n. 190 aveva demandato a specifiche intese (entro il 28 marzo) la definizione degli adempimenti da parte degli enti locali. Ma di queste intese, ad oggi, nemmeno l'ombra. Pertanto, nelle more dell'adozione delle stesse, si suggerisce ai comuni di voler adottare «in via prudenziale» un lavoro per la definizione delle «prime misure in materia di prevenzione alla corruzione», così da dare piena attuazione alle disposizioni recate dalla norma e al fine di evitare possibili ripercussioni (leggasi sanzioni) in capo al responsabile della prevenzione, qualora si verifichino episodi di corruzione.
---------------
L'Intervento
Un'ingerenza dalla Civit.
È solo il sindaco competente a nominare il responsabile della prevenzione della corruzione. Tale competenza non può appartenere né al consiglio né alla giunta. Ma non occorre alcun provvedimento per incaricare il segretario comunale. Anche alla luce delle linee guida Anci (si veda altro articolo in pagina).

La
delibera 13.03.2013 n. 15/2013
della Civit sul tema, è estremamente fuorviante per gli enti locali. Si rileva confusione tra potestà ordinamentale ed organizzativa e giunge al paradosso di considerare possibile che gli enti locali possano modificare le competenze fissate per legge.
 A ben vedere, la delibera è un'ingerenza illegittima verso enti la cui autonomia è riconosciuta dalla Costituzione. Essa travalica i compiti della Civit, che in tema di anticorruzione sono definiti dall'art. 1, comma 2, della legge 190/2012, tra i quali non rientra per nulla alcun potere di indicare quale sia l'organo competente ad individuare il responsabile anticorruzione. D'altra parte l'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., assegna alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la competenza in tema di organi degli enti locali.
Dunque, la delibera Civit va qualificata come nulla, perché adottata in totale ed assoluta carenza di potere, per insanabile violazione delle proprie attribuzioni e della Costituzione. In ogni caso, nel merito la delibera, per quanto nulla, è anche fuori bersaglio. In primo luogo perché non affronta una questione fondamentale: cioè che negli enti locali il responsabile della prevenzione della corruzione non deve essere incaricato, in quanto è individuato direttamente ex lege, ai sensi dell'art. 1, comma 7, della legge 190/2012, nel segretario comunale e provinciale.
La delibera, per come è costruita, lascia, invece, trasparire che l'organo di indirizzo politico debba «costituire» la figura del responsabile, col proprio incarico. Niente di tutto questo. L'organo competente può e deve intervenire nel processo di eventuale attribuzione dell'incarico di responsabile della prevenzione della corruzione solo laddove ritenesse di assegnarlo a soggetto diverso dal segretario comunale. L'assenza di tale precisazione è una grave lacuna della deliberazione, che potrebbe creare non poca confusione negli enti che non prendessero atto della nullità, comunque, della deliberazione stessa.
In secondo luogo, la Civit commette un errore rilevantissimo, nell'affermare che gli enti locali possano decidere se la nomina sia di spettanza di giunta o consiglio, al posto del sindaco. La delibera chiarisce bene che l'organo di «indirizzo politico» non è il consiglio, perché le competenze di questo sono tassativamente enumerate dalla legge. D'altra parte, non può essere nemmeno la giunta, in quanto essa dispone di competenza «residuale», cioè interviene se gli altri organi di governo non sono destinatari di poteri specifici. Ma, l'articolo 50, comma 10, del dlgs 267/2000 assegna al sindaco la competenza ad assegnare gli incarichi dirigenziali.
Dunque, solo il sindaco può incaricare il responsabile anticorruzione negli enti locali, laddove ritenga di sottrarre tale funzione spettante ex lege al segretario.
L'esclusività e tassatività dell'ordine delle competenze tra organi degli enti locali, priva di qualsiasi fondamento l'opinione della Civit, secondo la quale la potestà normativa potrebbe consentire di assegnare a consiglio o giunta indifferentemente il potere di nomina. Statuto e regolamenti locali non possono costituire l'ordine delle competenze degli organi, ma solo meglio definirle e specificarle (articolo ItaliaOggi del 23.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALICONSIGLIO DEI MINISTRI/ Ok al dlgs su incompatibilità e inconferibilità nella p.a.. Niente incarichi ai condannati. Bloccato chi non lascia per tempo la politica o il privato.
Niente incarichi dirigenziali nelle amministrazioni pubbliche a chi sia condannato per reati contro la pubblica amministrazione o non sia cessato per un congruo periodo di tempo da precedenti cariche in enti privati o dall'attività politica.

Il consiglio dei ministri ieri ha approvato uno dei tasselli fondamentali della disciplina «anticorruzione», la legge 190/2012, che all'art. 1, c. 49 e 50, aveva delegato l'Esecutivo ad approvare un decreto legislativo in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi dirigenziali ed amministrativi di vertice nelle pubbliche amministrazioni.
Condanne. Nel caso di condanne anche non definitive per reati come corruzione, concussione e le altre fattispecie di reati contro la pubblica amministrazione, il decreto prevede l'assoluta preclusione ad incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali. L'inconferibilità diviene perpetua, laddove vi sia anche la condanna all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ai dirigenti di ruolo, per la durata del periodo di inconferibilità, si potranno assegnare incarichi diversi da quelli che comportino l'esercizio delle competenze di amministrazione e gestione.
Conflitto di interessi. Niente incarichi dirigenziali di qualsiasi tipo a coloro che prima di prendere servizio nella pubblica amministrazione svolto funzioni manageriali all'interno di enti di diritto privato, ivi compresi quelli regolati o finanziati dall'amministrazione, dall'ente pubblico o dall'ente di diritto privato in controllo del soggetto pubblico che conferisce l'incarico. Per superare l'inconferibilità, occorre che il destinatario dell'incarico dirigenziale sia cessato dalle precedenti cariche per un periodo di tempo tale da garantire che nello svolgere la sua funzione pubblica possa, anche solo indirettamente favorire interessi dei soggetti presso i quali aveva lavorato in precedenza.
Le regole sul contrasto al conflitto di interessi mirano anche ad evitare il cumulo di troppe funzioni e remunerazioni in capo al dirigente.
Commistione tra politica e gestione. Il decreto legislativo mira ad ottenere garantire un maggior grado di autonomia della dirigenza dalla politica.
Per questa ragione, si impedisce a coloro che abbiano rivestito incarichi nell'ambito di organi di indirizzo politico nell'anno o biennio precedente, possano essere destinatari di incarichi dirigenziali sia nelle amministrazioni pubbliche, sia negli enti di diritto privato partecipati o comunque finanziati dalla pubblica amministrazione.
Il conferimento di incarichi dirigenziali, tanto a dipendenti di ruolo, quanto a soggetti esterni, deve essere motivato da ragioni di competenza, non di appartenenza politica.
Incompatibilità. Oltre all'inconferibilità, il decreto prevede anche due cause di incompatibilità per i dirigenti, i quali, una volta insediati, non possono svolgere incarichi e cariche in soggetti privati. La medesima l'incompatibilità riguarda l'assunzione di cariche in organi di indirizzo politico.
Sanzioni. Particolarmente incisive le sanzioni, nel caso di violazione delle disposizioni del decreto. Qualora le amministrazioni conferiscano incarichi dirigenziali nell'inosservanza delle disposizioni sull'inconferibilità (che è un divieto vero e proprio ad assegnare l'incarico), scatta la nullità sia degli atti di conferimento, sia dei relativi contratti di lavoro e di regolazione delle attività da svolgere. Per le ipotesi di incompatibilità, i dirigenti debbono rinunciare agli incarichi politici o in enti privati entro 15 giorni dalla contestazione mossa dal responsabile della prevenzione della corruzione; in caso contrario, decadranno dagli incarichi.
Il responsabile anticorruzione è chiamato anche a segnalare i casi di possibile violazione delle regole su inconferibilità e incompatibilità alla Civit in veste di Autorità nazionale anticorruzione, la quale è investita anche del potere di sospendere la procedura di conferimento dell'incarico. Le segnalazioni dovranno essere inoltre rivolte all'Autorità garante della concorrenza e del mercato ed alla Corte dei conti, per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. Sanzioni anche per i componenti degli organi di governo che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli.
Il decreto chiarisce che essi sono da considerare responsabili per le conseguenze economiche (si tratta di responsabilità erariale) e introduce nei loro confronti il divieto di conferire tutti gli incarichi di loro competenza per tre mesi (articolo ItaliaOggi del 22.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOCONSIGLIO DEI MINISTRI/ Verso lo sblocco degli stipendi. Coperture ad hoc per far ripartire gli automatismi. Avviato l'iter del regolamento sulle spese nella p.a..
Spiragli per uno sblocco degli stipendi dei dipendenti pubblici nel 2014. Il Consiglio dei ministri ha proposto ieri di avviare l'iter concernente il regolamento di contenimento delle spese del pubblico impiego.
Questo, spiega palazzo Chigi, consentirà al prossimo governo di scegliere tra la proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali portando a termine la procedura del regolamento, come previsto dal decreto legge 98 del 2011; oppure di trovare una diversa copertura e così evitare per il 2014 il blocco delle progressioni e degli automatismi retributivi nel pubblico impiego.
Formazione e reclutamento
Sempre in tema di pubblico impiego, approvato in via definitiva un regolamento che attua la legge n. 135 del 2012 (spending review) derivante dalla unificazione (così come richiesto dal Consiglio di stato) dei due schemi di regolamento in materia di riordino del sistema di reclutamento e formazione dei dipendenti pubblici da parte delle scuole pubbliche di formazione e di disposizioni per il corso-concorso per funzionari e dirigenti pubblici.
Tra le novità principali: del reclutamento e della formazione dei dipendenti si occuperanno la Scuola superiore della p.a. (rinominata Scuola nazionale dell'amministrazione) assieme all'Istituto diplomatico «Mario Toscano», la Scuola superiore dell'economia e delle finanze, la Scuola superiore dell'amministrazione dell'interno, la Scuola di formazione e perfezionamento del personale civile della difesa e la Scuola superiore di statistica e di analisi sociali ed economiche, che insieme costituiscono il Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica; il dipartimento della funzione pubblica elaborerà ogni anno il «Piano triennale previsionale di reclutamento di dirigenti e funzionari nelle amministrazioni dello stato anche a ordinamento autonomo e negli enti pubblici nazionali»; il reclutamento dei funzionari e dei dirigenti nelle amministrazioni statali, anche a ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici, avverrà per metà dei posti con il sistema unico di reclutamento: obiettivo, concentrare, snellire e rendere più economiche le procedure concorsuali, garantire l'eccellenza dell'attività formativa generale, strutturare i corsi di formazione in modo da assicurare il più elevato livello di specializzazione professionale degli allievi, subordinare l'assunzione degli allievi al superamento di prove valutative che assicurino l'effettiva selezione dei più meritevoli.
Per accedere al corso-concorso chi vuole diventare funzionario dovrà avere laurea specialistica/magistrale o diploma di laurea per i candidati non dipendenti pubblici e laurea triennale per i dipendenti pubblici; svolgere nove mesi di corso di cui i primi sei di formazione generale e i successivi tre mesi di formazione specialistica svolta presso le amministrazioni di destinazione degli allievi; mentre per i dirigenti, il corso sarà di otto mesi più quattro di formazione specialistica (articolo ItaliaOggi del 22.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGO: Non ancora adottati gli schemi quadro: insufficienti le linee guida.
Anticorruzione al futuro. Gli enti non devono adottare subito il piano.
Gli enti locali non devono adottare entro il 31 marzo il primo piano triennale anticorruzione, quello che vale per il triennio 2013/2015, in quanto non sono stati ancora adottati né lo schema di piano nazionale da parte della Conferenza unificata stato-regioni e autonomie locali né il piano per le amministrazioni statali: la semplice adozione da parte del comitato dei ministri competenti di generiche linee guida non è sufficiente.

Il dettato del comma 60 della legge 190/2012 è infatti quanto mai chiaro: entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, cioè entro il 28 marzo, con intese da raggiungere in sede di Conferenza unificata «si definiscono gli adempimenti, con l'indicazione dei relativi termini, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali volti alla piena e sollecita attuazione delle disposizioni della presente legge, con particolare riguardo: a) alla definizione, da parte di ciascuna amministrazione, del piano triennale di prevenzione della corruzione, a partire da quello relativo agli anni 2013-2015, e alla sua trasmissione alla regione interessata e al Dipartimento della funzione pubblica».
Per cui il dettato normativo subordina l'adozione del piano da parte delle regioni e degli enti locali alla definizione di questa intesa. Né si può ritenere che la semplice adozione di linee guida, per la verità assai generiche, da parte del comitato dei ministri possa essere sostitutivo delle indicazioni che devono essere dettate dalla Conferenza unificata.
Nel frattempo la Civit, con la
delibera 13.03.2013 n. 15/2013
, ha chiarito -si fa per dire- che il responsabile anticorruzione deve essere nominato da parte del sindaco o, se l'ente lo ritiene opportuno, da parte della giunta o del consiglio. Con tale presa di posizione ci viene detto che comunque è necessario provvedere alla nomina di tale soggetto, fermo restando che esso è di regola individuato dalla stessa disposizione nel segretario. Per cui non si può ritenere sufficiente la semplice individuazione effettuata da parte del legislatore, ma occorre un atto dell'ente.
Ricordiamo che il legislatore non fissa un termine per la nomina del responsabile da parte delle singole amministrazioni, ma si deve ritenere sulla scorta della circolare della Funzione pubblica n. 1/2013, che ciò debba avvenire «rapidamente» e comunque in tempi utili per consentire al responsabile di avviare le proprie attività. La Civit ha espresso l'avviso che «il titolare del potere di nomina del responsabile della prevenzione della corruzione va individuato nel sindaco... salvo che il singolo comune, nell'esercizio della propria autonomia normativa ed organizzativa, riconosca alla giunta o al consiglio una diversa funzione».
A sostegno di questa tesi due argomenti condivisibili: il segretario è individuato dal sindaco e spetta a questo soggetto il conferimento degli incarichi dirigenziali. Di conseguenza la competenza alla approvazione del piano anticorruzione dovrebbe spettare anche al sindaco, visto che la legge parla in ambedue i casi di organo di indirizzo politico. La deliberazione non invece è affatto condivisibile nella parte in cui lascia all'autonomia dei singoli enti la possibilità di derogare a tale indicazione.
Essa dimentica di individuare quale debba essere il soggetto che sceglie la eventuale deroga e, soprattutto, non tiene conto del fatto che il dlgs n. 267/2000 -e per molti aspetti anche la Costituzione- non lascia alla autonomia dei singoli enti la ripartizione delle competenze tra gli organi degli enti locali, ma prevede che questa materia sia riservata in modo esclusivo alla competenza legislativa nazionale (articolo ItaliaOggi del 22.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Delibere, responsabilità a 360 gradi. I pareri contrari non si riverberano solo sugli organi di governo politico.
I pareri contrari sulle delibere non scaricano la responsabilità per la loro esecuzione solo sugli organi di governo degli enti locali.
La recente riforma apportata al sistema dei controlli dal dl 174/2012, convertito in legge 213/2012 presenta un evidente «buco», difficile da colmare.
La nota stonata riguarda la modifica all'articolo 49 del dlgs 267/2000, il cui nuovo comma 4 stabilisce che «ove la giunta o il consiglio non intendano conformarsi ai pareri di cui al presente articolo, devono darne adeguata motivazione nel testo della deliberazione».
Tale disposizione per un verso conferma che i pareri di regolarità tecnica e contabile sulle proposte di deliberazione sono obbligatori ma non vincolanti. Consigli e giunte, cioè, possono superarli, specificando espressamente le ragioni in base alle quali ritengono di non dover tenere conto delle indicazioni contenute nei pareri. L'articolo 49 citato non lo afferma espressamente, ma dovrebbe risultare chiaro che le controdeduzioni di giunta e consiglio dovrebbero essere simmetriche a quelle dei pareri e, dunque, riguardare gli aspetti tecnici e contabili. È facile, tuttavia, immaginare che organi politico-amministrativi cadano nella tentazione di esprimere il loro diverso avviso rispetto ai pareri, basandosi su ragioni non tecniche ma «politiche» di opportunità. Il che apre le prime crepe nella riforma.
Infatti, non si capisce quali conseguenze vi siano nell'ipotesi in cui gli organi di governo approvino comunque proposte di deliberazioni con pareri contrari di regolarità tecnica e contabili, specie in particolare se le controdeduzioni non siano in grado di avversare i pareri sul piano strettamente tecnico.
L'assenza di regolarità tecnica e contabile può evidenziare illegittimità delle scelte o valutazioni di merito fortemente negative e, comunque, segnalare conseguenze negative sia di natura finanziaria, sia patrimoniale, come, per esempio effetti negativi sul patto di stabilità o sui tantissimi vincoli di spesa posti all'azione degli enti locali.
È evidente che consiglio e giunta, approvando comunque la proposta, si addossano una rilevante responsabilità amministrativa e contabile. Tuttavia, rimane insoluto il problema delle responsabilità discendenti dall'attuazione delle delibere corredate da pareri tecnico-contabili negativi, in quanto l'adozione degli atti esecutivi costituisce, a ben vedere, l'avverarsi delle illegittimità e degli effetti dannosi. La responsabilità, dunque, finisce per spostarsi, o comunque, aggiungersi, nei confronti dei dirigenti o responsabili di servizio.
Possono verificarsi, a questo punto, paradossali situazioni di stallo. Un esempio per tutti è dato dalle deliberazioni di competenza della giunta con le quali si danno gli indirizzi per la stipulazione dei contratti collettivi decentrati, tema delicatissimo, in quanto spesso tali contratti contengono clausole in contrasto con i limiti e vincoli posti dalla legge e dalla contrattazione nazionale collettiva. I pareri di regolarità tecnica e contabile dovrebbero mettere in luce, allora, tali contrasti, che per altro, comportano la nullità assoluta delle clausole. Eppure, la giunta potrebbe superare il parere, con motivazioni ovviamente di alta opportunità. In questo caso, è l'articolo 40, comma 3-quinquies, del dlgs 165/2001 a fornire la risposta: le clausole sono e restano nulle, a prescindere dalla deliberazione e, comunque, «non possono essere attuate». Vi è un divieto assoluto a dare corso alla decisione politica. L'attuazione di simile delibera, con la stipulazione del contratto decentrato e l'esecuzione delle clausole comporterebbe la certa responsabilità anche dei dirigenti e responsabili che vi diano corso.
Ma, simili responsabilità discenderebbero anche da situazioni meno regolate da norme particolari. In effetti, risulta complicato per il dirigente che ha espresso contrarietà tecnica attuare la contraria decisione dell'organo di governo; allo stesso modo, sarebbe complicato per il responsabile del servizio finanziario apporre i visti di regolarità contabile ad atti di spesa esecutivi di una decisione prima qualificata come dannosa.
La norma rischia, dunque, di aprire un contenzioso molto forte tra dirigenza ed organi di governo, in quanto, a stretto rigore, la prima dovrebbe astenersi dall'eseguire gli atti. O, comunque, innescare un contenzioso ancora più inestricabile davanti alla Corte dei conti, se il legislatore non stabilirà al più presto il regime di responsabilità conseguente all'approvazione ed esecuzione di deliberazioni connotate dai pareri contrari (articolo ItaliaOggi del 22.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Il caso della litispendenza dell'amministratore verso l'ente. Incompatibilità in aula. Il Consiglio esamina le cause ostative.
L'esistenza di una litispendenza di un amministratore locale nei confronti dell'ente costituisce una causa di incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 4 del dlgs n. 267/2000?

L'art. 63, comma 1, del decreto legislativo 267/2000 individua le cause ostative all'espletamento del mandato elettivo.
In particolare l'articolo 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 267/2000 dispone che non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale colui che ha lite pendente in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo, rispettivamente con comune o provincia.
La Corte di Cassazione, con giurisprudenza costante, ha evidenziato che per la sussistenza della predetta causa di limitazione all'espletamento del mandato elettivo è necessario far riferimento al concetto tecnico di parte in senso processuale. Le parti del processo, anche in assenza di una espressa definizione legislativa, sono univocamente individuate, in dottrina e in giurisprudenza, in quei soggetti i quali, a seguito del compimento di determinati atti processuali (proposizione della domanda, costituzione nel processo), assumono la qualità e la conseguente titolarità di una serie di poteri e facoltà processuali.
La Suprema corte ha precisato che il concetto di «parte» del giudizio ha portata essenzialmente processuale e non è, quindi, riferibile alla diversa figura del «soggetto interessato all'esito della lite per le ricadute patrimoniali che possano derivargliene».
Il predetto concetto, pertanto, non può essere esteso a tutti coloro che potrebbero trarre vantaggio da una pronuncia giurisdizionale, in quanto si aprirebbe il varco ad una compressione ingiustificata del diritto costituzionalmente garantito di ricoprire una carica amministrativa.
Tale orientamento, volto a salvaguardare il più generale principio della tassatività delle ipotesi di ineleggibilità ed incompatibilità, è confermato dalla giurisprudenza della Suprema corte (Cass. civ. sez. I, 19/05/2001, n. 6880; Corte cost., sent. 240/2008).
Ancora, si osserva che l'art. 69 del dlgs n. 267/2000 -in conformità al principio generale secondo cui ogni organo collegiale deve deliberare, innanzitutto, sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti- attribuisce al consiglio comunale, che ne è responsabile, l'esame delle cause ostative all'espletamento del mandato secondo la procedura dettata dallo stesso art. 69, che garantisce comunque il corretto contraddittorio tra organo e amministratori, assicurando a questi ultimi l'esercizio del diritto di difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa d'incompatibilità contestata (articolo ItaliaOggi del 22.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTITributi locali. Basta che lo preveda il Prg - Non servono i documenti attuativi.
Per l'Imu l'area è edificabile anche se non si può costruire.

La qualifica di area edificabile ai fini dell'Imu prescinde dalle concrete possibilità di sfruttamento edificatorio del suolo e deriva esclusivamente dall'inclusione del bene nell'ambito dello strumento urbanistico generale.
La nozione di area edificabile nell'ordinamento tributario è sancita nell'articolo 36, comma 2, Dl n. 223/2006. A mente di tale disposizione, sono edificabili tutte le aree così qualificate dallo strumento urbanistico generale, anche solo adottato dal comune, a prescindere dall'esistenza dello strumento attuativo. Ciò significa che ai fini fiscali la qualificazione in esame discende da criteri meramente formali (l'inclusione nel piano regolatore), più che sostanziali. Potrebbe quindi accadere, come nel caso proposto dal lettore, che sia considerata edificabile anche un'area sulla quale non è possibile al momento costruire assolutamente nulla.
Alla luce di questi principi di diritto, dunque, il terreno in possesso del lettore deve essere trattato come edificatorio per l'Imu. La circostanza che l'indice di edificabilità sia basso, inoltre, non comporta che una quota del bene possa essere trattata come terreno agricolo, ma che il valore unitario dell'intera area edificabile sia determinato in ragione delle effettive condizioni urbanistiche.
In altri termini, posto che l'imponibile Imu è pari al valore di mercato al primo gennaio di ciascun anno, ne discende che tale valore dovrà essere influenzato sia dall'effettivo indice di edificabilità sia dalle prospettive temporali di costruzione. È infatti evidente che se il tempo per la monetizzazione dell'investimento è piuttosto lungo il valore del bene non potrà essere elevato. Lo stesso dicasi se le possibilità di costruzione non consentono uno sfruttamento intensivo del bene.
Vale da ultimo segnalare che il comune ha solo il potere di indicare valori di orientamento per i contribuenti ma non di determinare la base imponibile dell'imposta. La determinazione dell'imponibile, infatti, è riservata al legislatore statale. Questo significa che se il contribuente ritiene eccessivo l'importo deliberato dal comune egli potrà discostarsene. In caso di successivo contenzioso con l'ente, si potranno far valere le ragioni di parte, meglio se supportate da una perizia di un esperto.
Si evidenzia peraltro che, in presenza di una dichiarazione infedele, il comune irroga la sanzione dal 50% al 100% dell'imposta dovuta. Il termine per la notifica degli avvisi di accertamento è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata commessa la violazione (articolo Il Sole 24 Ore del 22.03.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA Ambiente. Il decreto del ministro Clini individua l'iter per far ripartire la tracciabilità dei rifiuti.
Riavvio scaglionato per il Sistri. Primi obblighi dal 1° ottobre - Niente contributo per il 2013.
Il Sistri, sistema di tracciabilità digitale del ciclo rifiuti, riparte dal punto in cui era rimasto "congelato" lo scorso anno. Il decreto dell'Ambiente, annunciato mercoledì scorso dal ministro Corrado Clini prevede infatti la ripartenza scaglionata secondo criteri di pericolosità dei rifiuti (e di grandezza delle imprese), e di conseguenza il regime di doppio binario "carta+digitale" nella gestione amministrativa aziendale durante il periodo di transizione.
Transizione che riprenderà già dal 30 aprile, quando per le prime imprese chiamate al nastro di partenza (cioè Sistri dal 1° ottobre prossimo) scatteranno le verifiche sull'aggiornamento dei software e delle dotazioni tecnologiche già acquistate e installate –tra mille polemiche– nel 2011. Il 30 settembre l'analoga verifica riguarderà tutte le altre imprese. Le aziende che trattano rifiuti non pericolosi, esonerate da questa prima fase, potranno in ogni caso utilizzare il Sistri su base volontaria già dal 1° ottobre prossimo.
Capitolo tassazione. Nel decreto è previsto l'esonero del pagamento del contributo Sistri anche per tutto il 2013 –ribadendo così la sospensione dell'anno precedente– ma nulla è previsto sia per la ripresa del pagamento del servizio (2014?), sia soprattutto per l'eventuale recupero del biennio 2012/2013. Il timore degli operatori interessati –a regime le imprese coinvolte da Sistri saranno circa 400mila– è che alla ripresa della tassazione possa scattare anche il recupero delle somme rimaste congelate dal triplo mancato avvio del sistema digitale di tracciabilità dei rifiuti. Per le imprese di trasporto con decine di mezzi –solo a titolo di esempio– l'eventuale recupero impositivo sarebbe tutt'altro che simbolico.
Intanto, in vista della ripartenza della fase di verifica della struttura informatica Sistri, il ministero intende implementare la prassi di condivisione con il mondo imprenditoriale. Dopo aver chiamato Confindustria per la presentazione anticipata della "road map" prevista dal decreto Clini, al ministero hanno fissato un nuovo giro di incontri con il resto del mondo delle aziende, a partire dalla prima settimana di aprile. Secondo Clini «il grande rilievo che abbiamo voluto dare alla collaborazione con le imprese si vede anche nei sei mesi che ci separano dall'avvio del sistema per i produttori di rifiuti pericolosi. L'obiettivo di questa fase è anche eliminare le pesantezze burocratiche avvertite come un limite del progetto».
Un approccio e una dichiarazione di intenti già apprezzati da Confindustria nelle parole del direttore generale, Marcella Panucci: «Ci sono state fornite particolari garanzie per lo spazio alla formazione degli operatori, per l'allineamento dei software e dei manuali alla normativa, per la possibilità di operare off–line nonché per una forte semplificazione degli obblighi informativi relativi all'azienda». Impegni e obiettivi che hanno una dead-line il 30 settembre, data del primo, vero debutto di Sistri dopo tre false partenze.
«La decisione del ministro –continua Panucci– allontana il momento dell'avvio del Sistri e consente di avere i tempi per affrontare e superare i problemi, anche rilevanti, che ancora sono sul tavolo e preoccupano le imprese. I prossimi mesi saranno quindi fondamentali per definire gli strumenti e le soluzioni alle criticità da noi individuate».
Secondo Rete Imprese Italia, il Sistri va «integralmente riprogettato e sostituito con un nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti pericolosi che risponda a criteri di efficienza, trasparenza, economicità e semplicità».
---------------
Il provvedimento. Trasmissione a tappe. L'obiettivo diventa la semplificazione.
IL QUADRO/ La premessa del testo richiama la necessità di individuare le misure per rendere la gestione meno complessa.

Il Sistri scalda i motori e prepara il suo avvio dal 01.10.2013 (per i rifiuti pericolosi e produttori più grandi) e dal 01.03.2014 per gli altri soggetti obbligati. Un avvio che passa attraverso due fasi: riallineamento e operatività.
Sul fronte del riallineamento, il calendario inizia il suo conto alla rovescia già dal prossimo 30 aprile. I contributi sono sospesi anche per il 2013 (avrebbero dovuto essere pagati entro il prossimo 30 aprile). Sono questi i contenuti operativi essenziali dello schema di decreto che il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, ha annunciato l'altro ieri nella home-page del sito del ministero.
La dinamica dello schema di decreto prevede un avvio progressivo del Sistri, articolato in due fasi distinte: riallineamento e operatività. La fase del riallineamento è fondamentale e si annuncia densa di attività perché è in questa fase che il Sistri è ridisegnato e corretto. Ancora in questa fase le imprese devono verificare l'attualità dei dati e delle informazioni già trasmessi al Sistri. Il Sistri chiama all'appello soprattutto in ragione della pericolosità o meno dei rifiuti. Infatti, i primi obbligati a usarlo sono i produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi con oltre dieci dipendenti e (a prescindere dai dipendenti) purché operino su rifiuti pericolosi: raccoglitori, trasportatori, recuperatori, smaltitori, commercianti e intermediari, terminalisti e imprese portuali, operatori della logistica ferroviaria.
Costoro verificano l'attualità di dati e informazioni trasmessi (se del caso aggiornandoli o riallineandoli) nel periodo compreso tra il 30 aprile e il 30.09.2013 e iniziano a usare il Sistri dal 01.10.2013. Tutti gli altri soggetti obbligati, invece, procedono alla verifica fra il 30.09.2013 e il 28.02.2014. L'uso obbligatorio del Sistri per costoro decorre dal 03.03.2014. Ma, a livello volontario, potranno anticiparne l'uso dal 01.10.2013.
In ogni caso, per un mese dopo le singole scadenze di avvio, si ripropone il regime del “doppio binario” di tracciabilità; infatti, secondo il Dm tutti gli obbligati dovranno continuare a tenere i tradizionali registri e formulari per i 30 giorni successivi alla data di operatività del Sistri prevista per le diverse categorie di operatori. Dalle date di operatività del Sistri prenderanno vita una serie di articoli del Codice ambientale che non sono ancora in vigore. Tra questi anche la nuova versione degli articoli 190 (registro) e 193 (formulario) che potrebbe creare più di un problema di coordinamento per adempiere al “doppio binario” perché nella futura versione delle norme i soggetti obbligati cambiano radicalmente.
I contenuti di dettaglio si affiancano a un impegno preciso, messo nero su bianco nel preambolo dello schema di Dm, dove i punti dolenti del sistema sono chiamati per nome e cognome: infatti, si legge che per rendere efficace l'operatività del Sistri, fin dalla prima fase di riallineamento, occorre approfondire e individuare necessarie misure di semplificazione, con particolare riguardo all'anagrafica e alle modalità di trasmissione dei dati. Il preambolo allo schema rassicura sulla necessità di formare gli addetti e sulla partecipazione attiva delle imprese, che si realizzerà anche rinnovando il Comitato di vigilanza e controllo.
Il decreto era previsto dall'articolo 52, Dl 83/2012; le misure previste dal Ministro Clini, allontanano scadenze più immediate e danno il tempo per superare i problemi (non tutti piccoli) che, ancora irrisolti, stanno sul tappeto. Occorre, allora, un lavoro intenso da attivare subito perché il 01.10.2013 non è lontano (articolo Il Sole 24 Ore del 22.03.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIAResuscita il Sistri. Il sistema sarà operativo da ottobre. Dm del ministro Clini. Il contributo 2013 resta sospeso.
Resuscita il Sistri. Il sistema di tracciabilità dei rifiuti speciali e pericolosi sarà attivato dal 01.10.2013. Ma solamente per i produttori di rifiuti pericolosi con più di dieci dipendenti. E per enti e imprese che gestiscono rifiuti pericolosi. Per tutte le altre attività, invece, l'avvio del sistema è fissato per il 03.03.2014.

Parola del ministro dell'ambiente, Corrado Clini, che ha fissato la tempistica in un decreto ad hoc.
In merito agli oneri gravanti sulle attività imprenditoriali, invece, una nota del dicastero diffusa ieri recita: «Il pagamento dei contributi di iscrizione al sistema resterà sospeso per tutto il 2013».
Clini ha spiegato ieri di aver presentato «il progetto a Confindustria che lo ha condiviso, apprezzando il grande rilievo che abbiamo voluto dare alla collaborazione con le imprese». Secondo il ministro, in quest'ottica «vanno letti anche i sei mesi che ci separano dall'avvio del sistema per i produttori di rifiuti pericolosi». L'obiettivo di questa fase preparatoria, a sentire il dicastero dell'ambiente «è anche quello di consolidare la collaborazione con le imprese coinvolte e di eliminare le pesantezze burocratiche e amministrative che sono state avvertite come un limite del progetto».
La tempistica. Le procedure di verifica per l'aggiornamento dei dati delle imprese saranno avviate a partire dal 30 aprile. E si concluderanno entro il 30 settembre.
Per queste attività il sistema di tracciabilità dei rifiuti partirà ad ottobre.
Dal 30 settembre al 28.02.2014, invece, sarà effettuata la verifica per tutte le altre imprese.
Resta comunque valido un principio: «Le imprese che trattano rifiuti non pericolosi potranno comunque utilizzare il Sistri, su base volontaria. E questa possibilità non scatterà tra un anno o più, ma già dal primo ottobre prossimo
»
.
«Il sistema di tracciabilità dei rifiuti», ha chiosato il ministro Clini, «è un adempimento che discende dalle leggi nazionali e dalle direttive europee. E rappresenta un forte strumento di lotta alle ecomafie, che sul traffico dei rifiuti costruiscono affari causando enormi danni al territorio e all'ambiente».
Clini ha anche rassicurato gli operatori circa l'affidabilità del nuovo programma per l'avvio del Sistri: «Ha superato le problematiche emerse in passato», ha detto ieri. E ha aggiunto: «Confido possa rappresentare un presidio di legalità e trasparenza per tutta la filiera dei rifiuti» (articolo ItaliaOggi del 21.03.2013).

APPALTI: Aziende in crisi con il Durc. L'ok dopo omologazione del concordato.
Sì al Durc all'azienda in crisi. L'impresa che fa ricorso al concordato preventivo con continuità dell'attività lavorativa, infatti, può ottenere la regolarità contributiva, ma solo dopo l'omologazione del concordato da parte del tribunale.

Lo precisa il Ministero del Lavoro nella nota n. 4323/2013 di prot. rispondendo, negativamente, alla richiesta dell'Ance sulla possibilità di un'attestazione di regolarità contributiva anche nel periodo intercorrente tra la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese presso le camere di commercio e l'omologazione del concordato presso il tribunale.
Interpello. I chiarimenti fanno seguito all'interpello n. 41/2012 (si veda ItaliaOggiSette del 18 febbraio) in cui il ministero ha risposto affermativamente alla richiesta del consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro di sapere se è possibile rilasciare un Durc regolare alle imprese in concordato preventivo con continuità dell'attività lavorativa (articolo 186-bis della legge fallimentare, rd n. 267/1942).
Il ministero in particolare ha basato la risposta sul fatto che l'ammissione alla procedura comporta per l'azienda la sospensione ex lege delle situazioni debitorie sorte antecedentemente al deposito della relativa domanda e la conseguente preclusione delle azioni esecutive dei creditori.
In altre parole, determina una situazione che per il ministero rientra nel campo di applicazione della disciplina del Durc (nello specifico nell'articolo 5, comma 2, lettera b, del dm 24.10.2007) nella parte in cui stabilisce che «la regolarità contributiva sussiste inoltre in caso di sospensione di pagamento a seguito di disposizioni legislative».
Chiarimenti. Nella nota protocollo n. 4323/2013 il ministero precisa che la predetta norma (articolo 5, comma 2, lettera b), non trova applicazione «nell'intervallo di tempo tra la pubblicazione del ricorso al registro delle imprese e l'emanazione del decreto di omologazione del concordato preventivo in continuità ex art. 186-bis» della legge fallimentare.
Con la conseguenza, conclude il ministero, che soltanto dopo l'avvenuta omologazione del piano di ristrutturazione aziendale presso il tribunale potrà essere emesso il Durc (articolo ItaliaOggi del 21.03.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIAAmbiente. Dal 1° ottobre in base a un decreto ministeriale. Rifiuti pericolosi, ritorna la tracciabilità del Sistri.
CONFINDUSTRIA/ Il dg Marcella Panucci: «Abbiamo condiviso il rinvio per avere il tempo di risolvere le criticità evidenziate sin dal 2011»

Torna alla ribalta il Sistri, il sistema di tracciabilità digitale dei rifiuti, il cui varo era già stato rinviato due volte negli ultimi anni per le proteste -sui malfunzionamenti della procedura– delle centinaia di migliaia di imprese coinvolte.
Un decreto del ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, rilancia Sistri a partire dal 01.10.2013 per le aziende produttrici di rifiuti pericolosi con più di dieci dipendenti e per gli enti e le imprese che gestiscono rifiuti pericolosi. Per tutte le altre imprese l'avvio del sistema è fissato invece per il 03.03.2014.
Il pagamento dei contributi di iscrizione al sistema, uno dei temi che avevano sollevato le proteste più vibranti delle imprese –già costrette ad acquistare soluzioni tecnologiche mai diventate operative e a versare le tasse annuali del servizio– resterà però sospeso per tutto il 2013.
Dal 30 aprile e fino al 30 settembre partiranno le procedure di verifica per l'aggiornamento dei dati delle imprese che adotteranno Sistri dall'inizio di ottobre. Dal 30 settembre al 28.02.2014 un'analoga verifica riguarderà tutte le altre imprese. Le aziende che trattano rifiuti non pericolosi, esonerate da questa prima fase, potranno comunque utilizzare il Sistri su base volontaria dal 1° ottobre prossimo.
«Ho presentato il progetto a Confindustria che lo ha condiviso –ha dichiarato il ministro Corrado Clini– apprezzando il grande rilievo che abbiamo voluto dare alla collaborazione con le imprese. Vanno letti in quest'ottica anche i sei mesi che ci separano dall'avvio del sistema per i produttori di rifiuti pericolosi. Obiettivo di questa fase preparatoria è anche quello di consolidare la collaborazione con le imprese coinvolte ed eliminare le pesantezze burocratiche e amministrative avvertite come un limite del progetto».
Confindustria dal canto suo condivide il metodo ma sottolinea che, prima del nuovo avvio di Sistri, restano da risolvere problemi tutt'altro che semplici. «Abbiamo condiviso l'opportunità di un rinvio per avere il tempo necessario a risolvere le criticità che il sistema industriale ha evidenziato fin dal 2011 e ancora in queste ultime settimane» ha detto il direttore generale Marcella Panucci, che sottolinea inoltre che «è certamente positivo che il ministro abbia accolto la nostra richiesta di sospendere il contributo dovuto per il 2013. Ci sono state fornite particolari garanzie per lo spazio alla formazione degli operatori, l'allineamento dei software e dei manuali alla normativa, la possibilità di operare off–line nonché una forte semplificazione degli obblighi informativi relativi all'azienda. La decisione del ministro allontana il momento dell'avvio del Sistri e consente di avere i tempi per affrontare e superare i problemi, anche rilevanti, che ancora sono sul tavolo e preoccupano le imprese. I prossimi mesi saranno quindi fondamentali per definire gli strumenti e le soluzioni alle criticità da noi individuate» (articolo Il Sole 24 Ore del 21.03.2013).

TRIBUTI: Acconto Imu 2013, vietato deliberare in ritardo
Per l'acconto Imu 2013 fa da spartiacque la data del 23.04.2013. Termine ultimo utile per i comuni con i conti in ordine per deliberare le nuove aliquote per l'appuntamento di giugno 2013. Se la delibera arriva in ritardo è possibile che a giugno si dovranno usare le aliquote in vigore nel 2012 e rimandare il tutto al 2014 anche per il saldo 2013 di dicembre.

È questo, secondo quanto risulta a ItaliaOggi l'orientamento che potrebbe prevalere nella stesura di un nuovo intervento di prassi del dipartimento delle finanze sulla campagna Imu 2013.
Accantonate, dunque, tutte le promesse elettorali, rimaste sulla carta, la macchina organizzativa si è già messa in moto iniziando a verificare i tempi di approvazione delle delibere con i tempi di approvazione concessi ai comuni non in regola con i conti e quelli invece in equilibrio.
È previsto infatti un doppio binario per i comuni che presentano conti in squilibrio e per i comuni con i conti in ordine in relazione al calendario di approvazione delle delibere Imu.
Nel primo caso i comuni hanno tempo fino al 30.09.2013 per deliberare sui propri conti e in merito anche all'Imu. Mentre i comuni con i conti in ordine devono fare riferimento al termine del 23 aprile per approvare le eventuali correzioni alle aliquote. L'orientamento che potrebbe essere recepito nella circolare del dipartimento, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, in riferimento ai comuni con i conti in squilibrio, che deliberano tra il primo maggio e il 30 settembre, è quello di andare a far pagare a giugno con le aliquote Imu in vigore nel 2012 e a dicembre applicare una sorta di conguaglio 2013.
Discorso diverso e con i tempi più stretti per i comuni con i conti in ordine. Per questi ultimi infatti arrivare con una delibera successiva al 23 aprile sforando il termine del primo maggio significherebbe precludersi la possibilità di applicare variazioni di aliquota per l'Imu 2013. Se ne riparlerebbe infatti nel 2014.
È questa una linea interpretativa che troverebbe il consenso della consulta dei Caf (centri di assistenza fiscale) che per esigenze organizzative e rispetto ai tempi normativi prendono come riferimento la decorrenza del 1° maggio per avviare la propria campagna di analisi delle delibere e preparazione dei bollettini di versamento e assistenza ai contribuenti. Ma i nodi da sciogliere sulla campagna Imu 2013 non finiscono qui. Intanto nel puzzle degli adempimenti sulla dichiarazione Imu manca all'appello il codice tributo per chi è arrivato oltre il termine del 4 febbraio e vuole ravvedersi.
Nella pratica dunque non è ancora possibile applicare il ravvedimento operoso per la dichiarazione Imu. Resta poi sul tappeto un'altra questione non da poco: alla consulta dei Caf sono arrivate segnalazione di comuni che vorrebbero far pagare l'Imu seconda casa limitatamente alla stanza che il privato, nella propria abitazione dove ha la residenza, ha affittato. Non considerando che ai fini Imu il requisito è quello della residenza e non quello reddituale (articolo ItaliaOggi del 20.03.2013).

CONDOMINIORiforma del condominio. La delibera di nomina dovrà essere adottata con la maggioranza degli intervenuti e almeno 500 millesimi.
Rinnovo tacito per l'amministratore. Per allontanarlo occorrono la revoca o il diniego espresso dall'assemblea a fine mandato.
I DOCUMENTI/ Non è applicabile alla conferma automatica la regola di comunicare ogni volta i propri dati anagrafici.

La riforma del condominio prevede che «l'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata» (articolo 1129, comma 10, primo periodo). In sostanza, una formula di compromesso fra chi voleva mantenere la durata di un anno e chi voleva invece portarla (fra cui il Senato, in prima lettura) a due. Ma, in pratica, cosa significa la formulazione della norma?
Punto di partenza dell'interpretazione è che la riforma conferma in un anno la durata (certa) dell'incarico di amministratore. Questo, salvo rinnovo (tacito). Salvo -quindi- che i condomini manifestino una volontà contraria a tale rinnovo. In sostanza, se l'assemblea condominiale non approvi una delibera di "diniego di rinnovazione" (mutuando l'espressione dalla normativa delle locazioni).
La delibera in questione dovrà essere adottata -deve ritenersi- con la stessa maggioranza prevista per la nomina e la revoca dell'amministratore (articolo 1136, comma 4) e quindi con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio: ciò, sia in prima che in seconda convocazione, dato il tenore -preciso e incondizionato: "sempre" approvate- della precitata disposizione di cui all'articolo 1136, e sempre fermi per la loro valenza generale (stesso articolo) i quorum costitutivi assembleari (rispettivamente, per la prima e seconda convocazione) di cui al primo (tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'edificio intero e la maggioranza dei «partecipanti al condominio») e al terzo comma (tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei «partecipanti al condominio») del medesimo articolo or ora citato. L'assemblea per la delibera di "diniego di rinnovazione", dal canto suo, potrà essere eventualmente convocata da (o a richiesta di) due condomini (articolo 66, comma 1, delle disposizioni di attuazione del Codice) e dovrà essere tempestivamente comunicata -e comunque, prima della scadenza annuale- all'amministratore (che, in ogni caso, potrà anche prenderne formalmente atto -quindi, a verbale- in sede di assemblea).
Non si ritiene automaticamente applicabile all'assemblea in parola (e, quindi, salvo espressa deliberazione favorevole e previo suo inserimento all'ordine del giorno dell'assemblea stessa) quanto previsto dal secondo periodo dell'articolo 1129, comma 10, e cioè la contestuale nomina -come in caso di revoca o dimissioni- di un nuovo amministratore: questo, per ragioni pratiche ma anche per tuziorismo, non prevedendolo espressamente la norma (che si limita, appunto, alla revoca o alle dimissioni). Al proposito, va infatti sottolineato che il "diniego di rinnovazione" è istituto del tutto diverso dalla "revoca", potendo solo la seconda intervenire anche nel corso del mandato, così come precisato -con l'espressione «in ogni tempo»- all'articolo 1129, comma 11.
Ancora, deve dirsi che non si ritiene applicabile al rinnovo tacito la disposizione che prevede che, «ad ogni rinnovo dell'incarico», l'amministratore condominiale comunichi i propri dati anagrafici e le altre informazioni di cui alla stessa disposizione (articolo 1129, comma 2). Ciò, naturalmente, sul presupposto che sia obbligo dell'amministratore -come si ritiene- comunicare senza ritardo a tutti i condomini ogni variazione che intervenga, nei dati e nelle informazioni fornite, in corso di mandato.
Per completezza, va ricordato che -nelle assemblee di cui s'è trattato, come in ogni altra- devono essere conteggiati fra gli intervenuti anche i conferenti delega, mentre il condomino proprietario di più unità immobiliari sarà da conteggiarsi in ragione di un intervenuto. Va pure ricordato, sempre in materia di assemblee, che i quorum costitutivi devono sussistere al momento della costituzione dell'assemblea, essendo ininfluente che alcuni condomini si allontanino ad assemblea in corso, fino anche ad abbattere il quorum necessario per il suo inizio (articolo Il Sole 24 Ore del 20.03.2013).

CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGOIncompatibilità anche ai prescritti. Anticorruzione e Pa. Le istruzioni della Civit.
IL PRINCIPIO/ I tempi lunghi dei processi non cancellano una condanna precedente Resta lo stop all'accesso a uffici e commissioni.

La prescrizione di una condanna nei primi gradi di giudizio non cancella le incompatibilità dettate dalla legge anticorruzione: di conseguenza, chi è per esempio incappato in una condanna per un reato contro la pubblica amministrazione e poi ha visto chiudersi il proprio iter giudiziario per questioni di calendario, si vede comunque chiudere le porte delle commissioni di concorso, di quelle collegate agli appalti e degli uffici finanziari.
L'incompatibilità non riguarda solo chi ha maturato condanne come dipendente, perché la nozione di «pubblici ufficiali» richiamata dalla legge riguarda anche sindaci e assessori.

I due chiarimenti arrivano dalla Civit (delibera 07.03.2013 n. 14/2013), la commissione per l'indipendenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, che in questo modo risponde a un quesito di un ente pubblico.
Il caso prospettato alla commissione disegna in realtà una storia processuale più complicata, in cui l'interessato si era visto condannare in primo e secondo grado per abuso d'ufficio, prima che la Cassazione annullasse la sentenza e la Corte d'appello arrivasse alla sentenza di non doversi procedere per l'intervento della prescrizione.
Il punto fondamentale, però, è dato dai princìpi generali indicati dalla commissione per illustrare il fatto che, anche in un caso come questo, il sistema di incompatibilità introdotto dalla legge anti-corruzione funziona in pieno. L'articolo 1, comma 46, della legge 190/2012 (anticorruzione) blocca una serie di nomine per chi abbia ricevuto una condanna, «anche con sentenza non passata in giudicato», per un reato contro la pubblica amministrazione (capo I, titolo II, libro II del Codice penale).
La sentenza di non doversi procedere a causa della prescrizione, spiega la commissione, non può in sé «essere considerata come una sentenza di condanna», ma non impedisce che «precedenti condanne, venute meno per intervenuta prescrizione, possano assumere rilievo». Il fatto è che la legge anticorruzione vieta l'accesso a una serie di compiti delicati «per ragioni di opportunità e cautela» e in questa chiave tenere conto anche delle condanne pronunciate all'interno di iter processuali poi sfociati nella prescrizione «non contrasta con il principio costituzionale di presunzione d'innocenza».
Anche chi ha vissuto un iter processuale di questo tipo, quindi, viene interessato dalle griglie alzate dalla legge anticorruzione: in particolare, l'incompatibilità riguarda le commissioni di concorso (in tutti i ruoli, anche con compiti di segreteria) per il reclutamento di personale nelle Pubbliche amministrazioni, quelle relative agli appalti di lavori, forniture e servizi, oltre agli organismi che decidono la concessione di sovvenzioni o «vantaggi economici di qualunque genere».
Ai condannati è preclusa inoltre la possibilità di avere ruoli direttivi negli uffici finanziari e in quelli che si occupano di acquisti (articolo Il Sole 24 Ore del 20.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

VARIIl comune risarcisce per l'autovelox galeotto.
Spetta al comune risarcire l'automobilista che ha perso la tranquillità familiare a seguito dell'invio postale di una multa per autovelox completa di un fotogramma galeotto. Le conseguenze dannose dell'operato dei vigili ricadono infatti sempre in capo all'amministrazione locale e non certo allo stato.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. I civ., con la sentenza 28.02.2013 n. 5023.
La vicenda trattata dai giudici del Palazzaccio ha inizio con un verbale per eccesso di velocità accertato con uno strumento elettronico dai vigili di un comune del comprensorio bolognese. Dopo la consegna postale della multa alla moglie, con allegato il fotogramma dell'infrazione, l'interessato ha richiesto la condanna del comune per violazione della legge sulla privacy.
Nel fotogramma infatti, specifica la sentenza, risultava visibile il proprietario del veicolo in compagnia di un'altra persona di sesso femminile con comprensibili conseguenti difficoltà familiari in capo all'intestatario della multa. Mentre il tribunale di Bologna ha riconosciuto la responsabilità del primo cittadino, la Corte d'appello ha ribaltato la questione evidenziando che il sindaco in tal caso avrebbe agito quale organo dello stato esonerando quindi il comune da impegni patrimoniali. La Cassazione è di contrario avviso.
Tutto l'operato della polizia municipale anche in materia di controlli stradali è ascrivibile all'ente di appartenenza degli agenti. Il ministero dell'interno, in qualità di organo di coordinamento dei servizi, può dirigere e predisporre l'attività della polizia stradale ma non certo delimitare le competenze dei vigili urbani, regolate dalla legge 03.07.1986, n. 65 con riferimento all'intero territorio dell'ente di appartenenza. Le conseguenze dannose dell'agire degli agenti devono quindi essere ricondotte al datore di lavoro comunale e non allo stato. Nel caso in specie spetterà al giudice di rinvio giudicare definitivamente per la qualificazione del danno subito dallo sfortunato trasgressore.
Di certo l'invio postale dei fotogrammi con le multe è una pratica sconsigliata da tutte le indicazioni operative diramate dal Viminale alla polizia stradale (articolo ItaliaOggi del 19.03.201).

TRIBUTIIl terreno incolto non paga Imu. Va invece versata l'Irpef sulla base del reddito dominicale. Le risposte ai temi dei lettori. La tassa locale non è dovuta nelle zone montane e collinari.
DOPPIO VANTAGGIO/ I fabbricati rurali a uso strumentale non scontano il tributo locale ma neppure quello sui redditi.

I terreni incolti di collina e di montagna, essendo esenti dall'imposta municipale, scontano l'Irpef; la precisazione è contenuta nella
circolare 11.03.2013 n. 5/E
dell'agenzia delle Entrate.
Il quadro normativo è quello dell'articolo 8 del Dlgs 23/2011, in base al quale gli immobili soggetti all'imposta municipale, se non locati, non devono assolvere l'Irpef sulla rendita fondiaria. Si ricorda che tale agevolazione si applica ai titolari di redditi fondiari e quindi soltanto alle persone fisiche e alle società semplici; questa agevolazione si concretizza per la prima volta nella prossima dichiarazione dei redditi Unico 2013.
Qualora invece questi immobili usufruiscano di qualche esenzione dall'imposta municipale ricadono nell'assoggettamento a Irpef. È proprio il caso dei terreni agricoli situati in zone di collina e di montagna (circolare n. 9 del 14.06.1993) i quali, ai sensi dell'articolo 7 del Dlgs 504/1992, sono esclusi dall'imposta municipale. Quindi per questi terreni i proprietari devono assolvere l'Irpef sul reddito dominicale rivalutato dell'80 per cento.
La stessa regola vale per i terreni incolti, per i quali la circolare n. 3/DF/2012 ha previsto in generale l'assoggettamento all'imposta municipale. Tuttavia, se tali terreni sono collocati in collina o in montagna scatta l'esclusione dall'Imu in quanto non costituiscono una categoria autonoma di immobili ma appartengono alla categoria dei terreni agricoli (non essendo né aree edificabili né fabbricati).
Sul tema è illuminante la circolare 5/E/2013 che, citando la risposta fornita dal governo a un'interrogazione parlamentare, ha ribadito l'esclusione da Imu per i terreni incolti collocati in collina o in montagna.
In particolare in questa circostanza il ministero delle Finanze ha precisato che, ancorché letteralmente l'articolo 7 del Dlgs 504/1992 preveda l'esenzione per i soli terreni agricoli, l'interpretazione corretta è quella basata su una lettura sistematica della norma.
Ciò porta a far rientrare nell'ambito di applicazione dell'esenzione dall'imposta municipale, disposta per i terreni ricadenti in aree montane o in zone collinari, anche i terreni non coltivati. A parere del Ministero questo orientamento risulta altresì confermato dalle istruzione alla compilazione alla dichiarazione Imu (paragrafo 3.2) ove viene decretata l'esenzione per i tutti i terreni ricadenti in territori montani o collinari senza più far riferimento ai soli terreni agricoli.
Ne deriva che l'intento del legislatore non può che essere quello di escludere dall'assoggettamento all'imposta anche i terreni incolti.
Quindi i terreni non coltivati situati in collina e in montagna per effetto della esclusione da Imu devono assolvere l'Irpef. Si ricorda tuttavia che ai sensi dell'articolo 31 del Tuir, in presenza di mancata coltivazione per un'intera annata agraria e per cause non dipendenti dalla tecnica agraria, il reddito dominicale si assume nella misura del 30% mentre il reddito agrario non concorre a formare il reddito complessivo.
Doppia esenzione, invece, per i fabbricati rurali a uso strumentale di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del Dl 557/1993 situati in comuni classificati montani o parzialmente montani, di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istat. In questo caso le costruzioni rurali che sono esenti da Imu non assolvono nemmeno l'Irpef, alla luce dell'esclusione a regime da imposizione diretta contenuta nell'articolo 42 del Tuir (articolo Il Sole 24 Ore del 19.03.2013).

TRIBUTI: L'Imu distingue coniugi e non. Imposta a carico dell'assegnatario ma non del convivente. Diversi i trattamenti di tributo e bonus per separati-divorziati rispetto a famiglie di fatto.
L'Imu distingue le coppie sposate da quelle di fatto. Diverso è, infatti, il trattamento per i coniugi separati o divorziati ai fini del pagamento dell'Imu rispetto alle famiglie di fatto. Normalmente è il possesso di diritto di un immobile che obbliga al pagamento dell'imposta municipale.
L'unica eccezione è rappresentata dal coniuge assegnatario dell'immobile che, in base a quanto disposto dall'articolo 13 del dl «salva-Italia» (201/2011), è obbligato al pagamento dell'Imu anche nei casi in cui non sia né proprietario né titolare di altro diritto reale di godimento sul bene.

Il legislatore, in sede di conversione del dl 16/2012, ha posto a carico del coniuge assegnatario dell'immobile l'obbligo di pagare il tributo. L'articolo 4, comma 12-quinquies, del dl sulle semplificazioni fiscali prevede espressamente che, solo per l'Imu, l'assegnazione della casa coniugale a favore di uno dei coniugi, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, «si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione».
Ma molti contribuenti interessati alla questione si pongono questa domanda: chi è debitore dell'Imu nel caso in cui il giudice ordinario assegni l'immobile a uno dei conviventi, che non sia il proprietario della casa familiare adibita a propria residenza e dimora? Per famiglia di fatto si intende l'unione tra due persone che, pur non avendo contratto matrimonio tra loro, convivono more uxorio. Nonostante la giurisprudenza ordinaria tenda a riconoscere alle coppie di fatto gli stessi diritti assicurati dalla legge a quelle sposate, anche volendo forzare il dato normativo non è possibile ritenere che la disciplina Imu rivolta espressamente al coniuge assegnatario, per quanto concerne il soggetto obbligato al pagamento del tributo, possa essere applicata al convivente assegnatario dell'immobile con provvedimento giudiziale. La soggettività passiva, infatti, deve essere stabilita solo ex lege e non può essere attribuita attraverso interpretazioni estensive.
Pertanto, laddove la norma individua come soggetto obbligato al pagamento dell'Imu il coniuge assegnatario, non può ritenersi che lo stesso trattamento giuridico possa valere anche per il convivente assegnatario della casa familiare. Del resto, per «coniuge» si intende ognuna delle due persone che sono unite in matrimonio. Pertanto, il convivente titolare dell'immobile è tenuto a pagare la nuova imposta locale. Tra l'altro, non può neppure fruire del trattamento agevolato per l'abitazione principale, considerato che essendo l'immobile assegnato all'ex convivente non può adibirlo a propria residenza e dimora abituale, come richiesto dall'articolo 13. Così come non ha diritto alla detrazione d'imposta per i figli affidati dal giudice al convivente.
Soggetti passivi. L'Imu è dovuta dai contribuenti per anni solari, proporzionalmente alla quota di possesso dell'immobile e in relazione ai mesi dell'anno per i quali il bene è stato posseduto. Se il possesso si è protratto per almeno 15 giorni, il mese deve essere computato per intero. Va precisato che la prova della proprietà o della titolarità dell'immobile non è data dalle iscrizioni catastali, ma dalle risultanze dei registri immobiliari. In caso di difformità è tenuto al pagamento dell'Imu il soggetto che risulta titolare da questi registri (Commissione tributaria regionale del Lazio, prima sezione, sentenza 90/2006). Quindi, per l'assoggettamento agli obblighi tributari non è probante quello che risulti iscritto in catasto.
Oltre al proprietario e all'usufruttuario, sono soggetti passivi anche il superficiario, l'enfiteuta, il locatario finanziario, i titolari dei diritti di uso e abitazione, nonché il concessionario di aree demaniali. Rientra tra i diritti reali, poi, il diritto di abitazione che spetta al coniuge superstite, in base all'articolo 540 del codice civile. Non è soggetto al prelievo fiscale, invece, il nudo proprietario dell'immobile. Allo stesso modo, non sono obbligati al pagamento dell'imposta il locatario, l'affittuario e il comodatario, in quanto non sono titolari di un diritto reale di godimento sull'immobile, ma lo utilizzano sulla base di uno specifico contratto. Che il semplice possesso non obblighi al pagamento lo ha chiarito la Cassazione (sentenza 18476/2005), per l'Ici, a proposito del coniuge assegnatario dell'immobile, in caso di separazione.
Secondo la Cassazione, se il giudice assegnava in passato a un coniuge l'abitazione dell'ex casa coniugale, il soggetto assegnatario non era tenuto al pagamento dell'Ici. Il giudice non ha, infatti, il potere di costituire diritti reali di godimento sull'immobile, quali quelli di uso e abitazione, ma può decidere solo in ordine all'attribuzione di un diritto personale sulla casa familiare a favore di un coniuge. In base alla vecchia normativa Ici, l'assegnatario aveva solo un diritto di godimento del bene di natura personale e non reale. Solo per l'Imu è stato posto a carico dell'assegnatario dell'immobile l'obbligo di pagare il tributo.
Bisogna inoltre ricordare che l'utilizzo di un immobile o il possesso di fatto non possono essere inquadrati giuridicamente come diritto d'uso.
In base all'articolo 1021 del codice civile, chi è titolare di questo diritto può servirsi della cosa che ne forma oggetto e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti per quello che è necessario ai bisogni personali.
L'uso, dunque, è un diritto reale di godimento che attribuisce al titolare la facoltà di usare e godere della cosa, in modo diretto, per il soddisfacimento di un bisogno attuale e personale. Questo diritto viene costituito per contratto, testamento o usucapione (articolo ItaliaOggi Sette del 18.03.2013).

APPALTI: Gare, c'è un limite ai requisiti. Da considerare la natura del contratto e il suo valore. La giurisprudenza sul tema del potere discrezionale delle stazioni appaltanti.
Il potere discrezionale della stazione appaltante nel definire requisiti di gara ed elementi di valutazione delle offerte deve essere esercitato tenendo conto della natura del contratto e in modo proporzionato al valore dello stesso. In ogni caso i requisiti non devono essere manifestamente irragionevoli, irrazionali, sproporzionati, illogici ovvero lesivi della concorrenza.

È quanto si deduce dalla giurisprudenza del Consiglio di stato, che ha affrontato il problema, delicato soprattutto in questa fase di contrazione del mercato pubblico degli appalti, connesso ai limiti dell'esercizio del potere discrezionale delle stazioni appaltanti nella definizione dei bandi di gara. Tutto parte dal fatto che l'Amministrazione ha la legittima esigenza di gestire la gara in maniera che il concorrente aggiudicatario risponda a livelli adeguati di affidabilità tecnica, morale e finanziaria.
A tale riguardo si deve però muovere entro precisi confini perché, intanto, è la normativa nazionale e comunitaria, in materia di affidamento di servizi, forniture e lavori pubblici, a definire quali debbano essere gli elementi di valutazione da prendere in considerazione (nel caso dei lavori si definiscono requisiti ad hoc soltanto oltre i 20 milioni come cifra d'affari globale; per il resto vale il possesso dell'attestazione Soa). La questione assume rilievo anche in relazione al fatto che la carenza dei requisiti di partecipazione si traduce necessariamente nell'esclusione dalla gara.
Intanto occorre ricordare che di recente il decreto-legge 95/2012 (conv. in legge 135/2012), per i requisiti di fatturato nei servizi e nelle forniture, ha stabilito la regola che essi sono illegittimi laddove non siano fissati con idonea e congrua motivazione. Per tutti gli altri requisiti i limiti si rinvengono nella normativa nazionale e in quella comunitaria, nonché nella giurisprudenza nazionale. Negli articoli 41 e 42 del Codice vengono elencati alcuni elementi (sia per la capacità economico-finanziaria che per quella tecnico-organizzativa) utili a selezionare i concorrenti (elenco delle attività svolte negli ultimi tre anni, bilanci, attrezzature ecc.) senza fissare un range quantitativo entro il quale definire i valori, cosa invece prevista nel settore dei servizi di ingegneria e architettura (art. 263 del dpr 207/2010).
Non fissando i requisiti la normativa consente alle stazioni appaltanti di fissare i limiti minimi senza vincoli formali (a parte il caso dei servizi di ingegneria e architettura); rimane poi anche la possibilità di fissare diversi requisiti di partecipazione (le due norme del Codice dicono che la capacità del concorrente può essere dimostrata «attraverso uno o più dei seguenti modi»).
Cosa succede quindi quando la stazione appaltante definisce requisiti eccessivi? La giurisprudenza del Consiglio di stato ha ormai stabilito che la stazione appaltante può mettere a punto i requisiti di partecipazione a una gara (così come gli elementi di valutazione delle offerte) definendone anche di più rigorosi o in numero maggiore rispetto a quelli previsti dalla legge, ma ciò deve sempre avvenire nel rispetto del canone di ragionevolezza e in modo non discriminatorio. Laddove ciò non accade si finisce, infatti, per determinare una situazione limitativa della concorrenza, rendendo illegittima la lex specialis, cioè il bando o l'avviso di gara. Per tutte si possono citare le pronunce più significative: Consiglio di stato, sez. IV, 22.10.2004 n. 6972; Id., sez. V, 31.12.2003 n. 9305.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (determinazione 4/2012) ha avuto modo di sintetizzare efficacemente il concetto precisando che i requisiti devono essere fissati «tenendo conto della natura del contratto e in modo proporzionato al valore dello stesso; in ogni caso non devono essere manifestamente irragionevoli, irrazionali, sproporzionati, illogici ovvero lesivi della concorrenza». In particolare i requisiti ulteriori devono giustificati dalla particolare natura del servizio da affidare o dell'opera da realizzare .
Numerosi i casi presi in esame dal giudice amministrativo ed efficacemente messi in risalto in diverse determinazioni dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (per tutte si veda det. 5/2010 e la giurisprudenza in essa richiamata, e Comunicato 20/10/2010). Fra questi, a mero titolo esemplificativo: le limitazioni territoriali (gara aperta soltanto ai professionisti iscritti a un determinato ordine provinciale), i requisiti analoghi esorbitanti, le richieste di organico medio annuo sproporzionate (sei volte le unità fissate), le richieste di esperienze pregresse così specifiche da individuare esattamente il concorrente affidatario.
Analogamente, anche per la fase di valutazione delle offerte gli elementi di valutazione e i criteri motivazionali devono rispondere alle caratteristiche evidenziate e, soprattutto, consentire il sindacato giurisdizionale amministrativo sotto il profilo della logicità e coerenza rispetto alla natura dell'appalto. Non è, per esempio, infrequente il caso di bandi di gara per servizi che prevedono come criteri motivazionali elementi specifici attinenti alla valutazione di particolari figure professionali, inserite nell'offerta tecnica, e che attribuiscano punteggi anche non di poco conto a elementi come la vicinanza della sede del concorrente a quella della stazione appaltante. Difficile in questo caso ritenere congrue e logiche le scelte delle Amministrazioni (articolo ItaliaOggi Sette del 18.03.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAI pannelli solari verso il riciclo totale. Fotovoltaico. La scelta ai consorzi entro fine mese.
Per i pannelli fotovoltaici scocca l'ora del recupero e del riciclo. La prima scadenza è fissata al 31 marzo, quando produttori-importatori, distributori o installatori dovranno aderire a un consorzio di smaltimento. Sarà questo soggetto che tra 10-15 anni (per i moduli si stima una vita intorno ai 20 anni) si farà poi carico di gestire l'intero processo di recupero. Il titolare dell'impianto, a sua volta, è tenuto a trasmettere l'attestato di adesione, messo a disposizione dal produttore, al Gse (Gestore servizi energetici). Il documento contiene una serie d'informazioni minime come il modello del modulo e l'anno di adesione al consorzio.
A questa prima fase sono interessati tutti gli impianti che beneficiano del quarto o quinto conto energia, cioè tutti i pannelli attivati dal 01.07.2012 in poi. Si tratta di circa 20-25 milioni di moduli, secondo Francesco Trezza, responsabile del Conto energia del Gse, per i quali i produttori devono pagare al consorzio un corrispettivo proporzionale ai moduli immessi sul mercato.
Il consorzio, a garanzia dell'effettivo smaltimento dei moduli a fine vita, versa su un fondo un contributo, che in questa fase d'avvio non deve essere inferiore al valore che si ottiene moltiplicando un euro per il peso del modulo e dividendo per venti. In pratica il fee sarà di almeno un euro. Una volta che il meccanismo sarà rodato ci sarà la totale tracciabilità dei moduli attivi e il contributo previsto dovrà coprire almeno i due terzi del costo totale sostenuto dal consorzio l'anno precedente.
I contributi vengono accantonati in un trust vincolato allo smaltimento dei pannelli (si veda Il Sole 24 Ore del 28.02.2013, pagina 19). Il Gse consiglia la legge applicabile, indicandola in quella della Repubblica di San Marino. Su questo punto Michele Zilla, direttore generale di Cobat, è critico: «La gestione del trust secondo lo schema elaborato dal Gse è onerosa per la molteplicità dei soggetti coinvolti. Cobat invece aveva scelto di istituire un trust con legge istitutiva delle isole di Jersey che permetteva l'autodichiarato».
I consorzi accreditati presso il Gse cercano di procurarsi quanti più moduli saranno trattati tra 10-20 anni. «I principali consorzi hanno fissato il fee a carico dei produttori tra 1 e 1,5 euro ovvero tra i 50 e i 75 euro la tonnellata -spiega Maurizio Maggi, responsabile della divisione fotovoltaico del Consorzio Remedia-. Inoltre c'è l'aspettativa che in un prossimo futuro l'evoluzione permetterà di valorizzare l'intero pannello. Oggi invece per smaltire dei pannelli si devono preventivare tra i 150 e i 200 euro la tonnellata.
Vetro, alluminio e rame sono i materiali più facili da ricavare dai moduli, ma la sfida è arrivare al riciclo totale, dall'argento dei contatti al silicio delle celle. «I primi test compiuti evidenziano un tasso di recupero del 90%», aggiunge Paolo Gianese, segretario generale del Comitato Ifi-Industrie fotovoltaiche italiane.
«Esistono altri 50 milioni di moduli installati prima del 01.07.2012 per i quali non esiste alcun obbligo di smaltimento a fine vita -ricorda Trezza-. Potranno essere gestiti quando in Italia sarà recepita la revisione della direttiva europea, in base alla quale i moduli fotovoltaici diventeranno a tutti gli effetti dei Raee ed entreranno nel sistema di recupero» (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013).

CONDOMINIOCondominio, la riforma gioca d'anticipo. Le regole saranno in vigore il 18 giugno ma già oggi si possono preparare delibere e documenti.
INTRECCIO NORMATIVO/ L'impatto sarà diverso a seconda che l'edificio sia dotato di un regolamento di tipo contrattuale o assembleare.

Applicazione delle disposizioni sulle parti comuni previste dall'articolo 1117 del Codice civile anche in situazioni come il supercondominio, in quanto compatibili
La riforma del condominio è già cominciata. O, meglio, consente di giocare d'anticipo. Le nuove regole entreranno in vigore il 18 giugno –fra tre mesi esatti–, ma fin da subito i proprietari di casa e gli amministratori possono cominciare a tenerne conto.
Vediamo qualche caso pratico. Chi vuole modificare la destinazione d'uso delle parti comuni, per esempio trasformando in parcheggio una parte del cortile o dando in affitto la vecchia portineria in disuso, farà bene a sbrigarsi, perché con la riforma servirà una maggioranza rafforzata –e più difficile da raggiungere– pari a quattro quinti dei condòmini e dei millesimi (si veda l'articolo a destra).
Chi sta pensando di installare i pannelli solari per produrre l'acqua calda destinata al proprio alloggio, invece, può già iniziare a informare l'amministratore, che avrà il tempo per suggerire eventuali alternative alla collocazione sul tetto o comunque per convocare l'assemblea e deliberare adeguate garanzie. E ancora, chi vorrebbe acquistare un impianto comune di videosorveglianza può iniziare a informarsi sui costi e a parlarne con gli altri condòmini: con la riforma il quorum scende (metà più uno degli intervenuti in assemblea che rappresentino metà del valore), mentre fino a oggi ci sono stati giudici che hanno chiesto l'unanimità.
L'incrocio tra la riforma e le vecchie regole del Codice civile del 1942 è in qualche modo inevitabile. Le nuove norme, infatti, si applicheranno in toto ai condomini costituitisi dal 18 giugno in poi, mentre per quelli già esistenti bisognerà coordinarle con le disposizioni regolamentari di ogni edificio, ferma restando la validità delle disposizioni "contrattuali", preparate a suo tempo dal costruttore e allegate al rogito o comunque adottate all'unanimità.
La necessità di muoversi per tempo, invece, deriva dal fatto che per sfruttare molte delle novità ci vogliono procedure complesse e tempi lunghi. Pensiamo alla possibilità di staccarsi dall'impianto di riscaldamento centralizzato. La norma è decisamente criticabile, perché non tiene conto delle direttive europee e delle disposizioni di settore per il risparmio energetico (tant'è vero che ne è già stata chiesta la modifica, si veda l'articolo in basso), ma è fuor di dubbio che chi vuole sfruttarla deve attivarsi adesso. Per arrivare in tempo alla prossima accensione autunnale degli impianti, un condòmino potrebbe intanto farsi predisporre da un tecnico una perizia per provare che dal suo distacco non derivano aggravi dei costi né squilibri di funzionamento per gli altri proprietari, informando nel frattempo l'amministratore perché lo comunichi nell'assemblea più vicina.
In altri casi è l'amministratore ad avere la possibilità di anticipare la riforma, così da non farsi cogliere impreparato. Per esempio, può redigere la tabella con i giorni e gli orari di ricevimento e organizzarsi per l'apertura di un conto corrente condominiale: due buone prassi già abbastanza diffuse, ma non adottate ancora da tutti. Inoltre, può convocare l'assemblea di fine mandato –ove possibile– per approvare i rendiconti e iniziare a informare i condòmini morosi che con la riforma sarà obbligato ad adire le vie legali entro sei mesi per il recupero crediti, con la possibilità di sospendere l'erogazione dei servizi in caso di gravi ritardi.
Altri adempimenti sono documentali, ma non per questo meno importanti. L'amministratore può senz'altro iniziare a raccogliere i dati dei condomini e dei documenti tecnico-amministrativi e a predisporre i quattro registri richiesti dalla riforma: registro dei verbali delle assemblee, di nomina e revoca dell'amministratore, di contabilità e di anagrafe condominiale. Non solo: potrebbe anche iniziare a informarsi sull'opportunità di proporre ai condòmini l'attivazione di un sito internet su cui pubblicare in modo tempestivo e trasparente le informazioni sulla gestione dell'edificio e sulle spese.
L'articolo 1117-bis sarà poi di grande aiuto per disciplinare il supercondominio, figura giuridica frequente nei complessi immobiliari costituiti da più edifici: in questi casi, se manca una specifica regolamentazione, si applicherà la normativa sul condominio, eliminando così ogni dubbio. E se i partecipanti sono più di 60, ogni condominio può già designare il proprio rappresentante (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013).

EDILIZIA PRIVATACaldaie e condizionatori con controlli semplificati. In arrivo il regolamento sugli impianti termici.
L'APPLICAZIONE/ Le disposizioni saranno subito in vigore solo nelle Regioni che non hanno già norme specifiche.

Anche il raffrescamento estivo incontrerà un limite di temperatura. La novità è tra quelle inserite nel decreto con le nuove regole per l'esercizio e manutenzione degli impianti di climatizzazione invernale ed estiva.
Il provvedimento, approvato dal Consiglio dei ministri il 15 febbraio e in attesa di pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» ha la finalità sia di riordinare il quadro normativo sugli impianti (modificando e abrogando alcune disposizioni del datato Dpr 412/1993), sia di adempiere ai rilievi sollevati dalla Commissione europea all'Italia, per il mancato recepimento dell'articolo 9 della direttiva 2002/91/CE, che obbliga i Paesi membri ad introdurre norme in materia di ispezioni periodiche degli impianti di condizionamento dell'aria di potenza maggiore di 12 kW.
Tra le prescrizioni, appunto, in aggiunta ai già noti valori massimi di temperatura ambiente per il periodo invernale, viene ora fissato un valore minimo di temperatura durante la climatizzazione estiva di 26°C, con una tolleranza di -2°C. Questi valori, massimo e minimo, sono ora da intendersi riferiti alla media ponderata delle temperature dell'aria misurate nei singoli ambienti.
I Comuni possono sempre ampliare o ridurre i periodi annuali e giornalieri di attivazione degli impianti termici e la temperatura massima degli ambienti: ora i sindaci potranno intervenire direttamente con un'ordinanza, senza più necessità di una delibera di giunta.
Nuove prescrizioni sono introdotte in materia di terzo responsabile (l'impresa di gestione e manutenzione). Viene in particolare disposto che la delega a questo soggetto giuridico non può essere rilasciata in caso di impianti non conformi alla legge, salvo che nell'atto sia conferito l'incarico di procedere alla messa a norma.
Fino all'avvenuta regolarizzazione dell'impianto, il delegante ne rimarrà responsabile. Con il recente decreto dello Sviluppo economico 22.11.2012, nel caso di edifici di proprietà di soggetti diversi da persone fisiche e, in particolare, nel caso delle imprese, il responsabile "naturale" dell'impianto termico, in assenza di delega al terzo responsabile, è il proprietario o l'amministratore delegato.
Un ulteriore decreto, da emanare entro il 1° luglio, fornirà i modelli del nuovo «libretto di impianto per la climatizzazione» e dei nuovi rapporti di efficienza energetica rilasciati dagli operatori che eseguiranno i controlli periodici e la manutenzione.
Per la periodicità dei controlli, viene fatto salvo il principio esistente che vede, in ordine di priorità, le istruzioni dell'installatore, le istruzioni tecniche per il singolo componente/apparecchio predisposte dal fabbricante, le norme Uni e Cei. Installatori e manutentori saranno tenuti a fornire in forma scritta all'utente le istruzioni per l'uso e manutenzione del l'impianto. Al termine delle operazioni di controllo, l'operatore dovrà compilare il rapporto di efficienza, consegnarne copia al responsabile dell'impianto ed inviarne copia all'ente di controllo (Provincia autonoma o Regione), con la cadenza indicata nell'Allegato A del decreto.
I generatori di calore con rendimenti di combustione inferiori ai limiti previsti –e non più manutenibili– devono essere sostituiti entro 180 giorni solari, rispetto agli attuali 300 giorni.
Sono previste, infine, ispezioni delle autorità competenti sia su impianti di climatizzazione invernale di potenza non minore di 10 kW, sia su quelli di climatizzazione estiva di potenza non minore di 12 kW. Per gli impianti invernali tra 10 e 100 kW a metano o gpl e per quelli estivi tra 12 e 100 kW, l'ispezione viene sostituita dall'accertamento del rapporto di efficienza inviato dal manutentore o dal terzo responsabile. Così il legislatore riduce gli obblighi per la Pa e i costi per gli utenti. Le ispezioni possono essere svolte da organismi esterni accreditati dalle Regioni, che devono anche assicurare la copertura dei costi attraverso un contributo da parte dei soggetti controllati.
Il decreto è direttamente applicabile nelle Regioni che non hanno recepito autonomamente la direttiva 2002/91/CE, mentre le altre devono assicurare la coerenza dei loro provvedimenti con i contenuti del decreto.
---------------
La gestione
01|I CONDIZIONATORI
Il decreto impone un limite anche per il raffrescamento estivo. I condizionatori dovranno essere impostati con un temperatura minima di 26 gradi, con una tolleranza di due gradi centigradi. Per i controlli si applica la media ponderata delle temperature misurate nei singoli ambienti. I sindaci possono variare temperature e orari di utilizzo
02|IL TERZO RESPONSABILE
La società incaricata di controllare e gestire l'impianto non può ricevere la delega in caso di impianto non conforme alle disposizioni di legge. La delega può essere assegnata comunque se c'è il proprietario incarica espressamente la società della messa a norma. Per gli immobili di proprietà delle imprese, in assenza di delega, il responsabile dell'impianto è il proprietario o l'amministratore delegato
03|I LIBRETTI
La revisione dei modelli standard dei libretti di impianto per la climatizzazione, in cui sono annotate tutte le notizie relative alla vita e agli interventi sull'impianto stesso, è rinviata a un futuro decreto, che dovrebbe vedere la luce entro il prossimo primo luglio. Nello stesso provvedimento, anche le indicazioni per i nuovi modelli del rapporto di efficienza energetica che il terzo responsabile dovrà compilare
04|I CONTROLLI
Il decreto in arrivo allunga i tempi dei controlli. Per quelli domestici, e, in generale, per tutti quelli di potenza inferiore ai 100 Kw si passa dall'attuale scadenza annuale a un controllo ogni due anni per impianti a combustile liquido o solido, e a quattro anni per quelli alimentati a metano e gpl. Per gli impianti di riscaldamento a metano o gpl tra i 10 e i 100Kw e per quelli di raffrescamento tra 12 e 100 Kw non sono più previste ispezioni dell'ente pubblico, ma solo rapporti redatti dal manutentore o dal terzo responsabile
05|LE VECCHIE CALDAIE
Quando l'impianto di riscaldamento raggiunge un rendimento di combustione inferiore rispetto ai limiti imposti dalla legge deve essere sostituito in un tempo dimezzato –180 giorni– rispetto ai precedenti 300
06|LA PARTENZA
Il decreto che corregge in parte il Dlgs 192/2005 è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri il 15.02.2013. Entrerà in vigore 15 giorni dopo la sua pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale». Da quella data si applica immediatamente e in via integrale nelle Regioni che non hanno una normativa propria sulla materia, mentre le altre Regioni dovranno adeguare le proprie leggi a questo decreto
---------------
PROFILI FISCALI - Sulla revisione periodica l'Iva è al 10%
Si applica l'Iva al 10% alla revisione periodica obbligatoria degli impianti di riscaldamento (condominiali o a uso esclusivo) installati in fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata.
È quanto precisato dal l'agenzia delle Entrate con la risoluzione 15/E/2013. Scontano lo stesso regime anche le prestazioni di servizi per il controllo delle emissioni degli stessi impianti, in quanto riconducibili alla manutenzione ordinaria.
L'Iva ridotta non è applicabile ai contratti aventi a oggetto, oltre alla manutenzione ordinaria, anche prestazioni ulteriori (come la copertura assicurativa della responsabilità civile verso terzi) per le quali non sia indicato un corrispettivo distinto (circolare Finanze, 07.04.2000, n. 71).
L'eventuale richiesta di rimborso dell'Iva addebitata agli utenti oltre il 10% va presentata entro due anni dalla data del versamento dell'Iva ordinaria, ma sarò accolta solo se il prestatore di servizi dimostrerà l'effettiva restituzione del tributo agli utenti e nel limite della somma effettivamente restituita.
Inoltre, per ottenere il rimborso, non potranno essere utilizzati i meccanismi di variazione delle fatture (articolo 26 del Dpr 633/1972) (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013).

EDILIZIA PRIVATA: In ambito domestico il controllo diventa biennale. Le procedure. Estensione a caminetti e stufe.
IL PERIMETRO/ Revisione affidata a tecnici specializzati. Sono esclusi i sistemi destinati solo a produrre acqua calda per gli alloggi.

Con le ultime modifiche all'allegato A del decreto legislativo 192/2005, sono state precisate nel dettaglio alcune procedure di controllo sugli impianti.
Sono stati innanzitutto cambiati i tempi di ispezione degli impianti termici domestici, ovvero quelli con potenza inferiore ai 100 kW. Il decreto, approvato dal Consiglio dei ministri il 15 febbraio e in attesa di pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale», stabilisce che le verifiche dovranno svolgersi «ogni due anni per gli impianti a combustibile liquido o solido» e ogni quattro anni per gli impianti a gas, metano o Gpl. I tempi sono dimezzati solo nel caso in cui la potenza termica sia uguale o maggiore a 100 kW. Si tratta delle ispezioni fatte dagli enti pubblici, con proprio personale.
Cosa diversa sono i controlli abbinati alla manutenzione. In questo caso è il tecnico manutentore a stabilire i tempi, in base alla tipologia di impianto. Rilascerà al termine del controllo un documento tecnico che attesti l'avvenuta revisione e lo stato dell'impianto. Il tecnico ha l'obbligo di suggerire eventuali interventi necessari per un buon funzionamento. Questo passaggio della legge è cruciale, non solo per la questione della sicurezza nel l'utilizzo degli impianti termici, ma anche per evitare di incorrere in sanzioni o denunce.
Il nuovo regolamento definisce «accertamento», l'insieme delle attività di controllo pubblico dirette a verificare in via esclusivamente documentale che il progetto delle opere e gli impianti siano conformi alle norme vigenti e che rispettino le prescrizioni e gli obblighi stabiliti.
Il controllo e la manutenzione sono da affidare a «operatore abilitato ad operare sul mercato, sia al fine dell'attuazione di eventuali operazioni di manutenzione e/o riparazione sia per valutare i risultati conseguiti con dette operazioni», così come per le ispezioni sugli impianti termici si richiama l'importanza di affidarsi ad esperti qualificati, incaricati dalle autorità pubbliche competenti.
Per l'impianto fumario è possibile rivolgersi ad artigiano o ditta con abilitazione (lettera c, Dm 37/2008) o maestro spazzacamino specializzato sotto le dirette subordinazioni del terzo responsabile della centrale termica o, per mandato, del manutentore della centrale termica oppure su specifica richiesta dell'amministratore condominiale nei casi di evidente mancanza di manutenzione dell'impianto fumario (riscontrabile dal libretto di centrale termica).
Caminetti e stufe sono a tutti gli effetti considerati impianti termici poiché da definizione di legge l'impianto termico è l'impianto tecnologico destinato ai servizi di climatizzazione invernale e/o climatizzazione estiva e/o produzione di acqua calda sanitaria, indipendentemente dal vettore energetico utilizzato. Non sono considerati impianti termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di acqua calda sanitaria al servizio di singole unità immobiliari ad uso residenziale (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGOOrganizzazione. Le linee guida ministeriali puntano sul varo dei controlli interni nelle aree «sensibili»
Piani anti-corruzione al via. Entro il 31 marzo vanno adottate le misure di prevenzione.
LE ISTRUZIONI/ Tra i provvedimenti indicati spicca la rotazione dei funzionari addetti alle attività ritenute più esposte al rischio.

Gli enti locali devono approvare entro il 31 marzo il piano per la prevenzione della corruzione, tenendo conto delle linee-guida approvate dal Comitato interministeriale per l'elaborazione del Piano nazionale ed adottate il 12 marzo.
La legge 190/2012 individua come presupposto per l'adozione dello strumento di prevenzione della corruzione da parte degli enti locali (ma anche da parte delle altre amministrazioni pubbliche) proprio le linee-guida, in base alle quali i Comuni e le Province hanno ora la possibilità di impostare il proprio piano in base a una struttura essenziale.
Le linee elaborate dal Comitato interministeriale forniscono anzitutto un impulso diretto all'adozione tempestiva dei piani triennali, i quali devono assicurare un contenuto minimo che corrisponda all'obiettivo ineludibile dell'individuazione preventiva delle aree di attività amministrativa maggiormente esposte al rischio della corruzione («mappatura del rischio»).
L'impostazione degli strumenti di analisi deve essere adeguata alle specifiche funzioni amministrative svolte e alla realtà di ogni contesto, con una focalizzazione in ordine ai destinatari e con metodologie di redazione che li rendano facilmente leggibili.
In ordine ai contenuti, le linee-guida evidenziano come le attività già individuate dalla legge n. 190/2012 come più esposte al rischio corruzione (autorizzazioni, gare, concessione di benefici, concorsi) costituiscano il nucleo di base, che può e deve essere esteso dalle singole amministrazioni.
L'elaborazione del piano deve comportare il coinvolgimento dei dirigenti e di tutto il personale delle amministrazioni addetto alle aree a più elevato rischio nelle attività di analisi e valutazione, di proposta e definizione delle misure e di monitoraggio.
Un elemento-chiave ulteriore è individuato nel monitoraggio, per ciascuna attività, del rispetto dei termini di conclusione del procedimento.
Sul piano regolativo, il documento deve rilevare, in rapporto al grado di rischio, le misure di contrasto (procedimenti a disciplina rinforzata, controlli specifici, particolari valutazioni ex post dei risultati raggiunti, particolari misure nell'organizzazione degli uffici e nella gestione del personale addetto, particolari misure di trasparenza sulle attività svolte) già adottate oppure l'indicazione delle misure che con lo strumento si prevede di adottare o sono direttamente definite dallo stesso.
La componente essenziale del Piano è, infatti, proprio l'individuazione delle misure di carattere generale che l'amministrazione ha adottato o intende adottare per prevenire il rischio di corruzione.
Tra queste assume rilievo particolare l'introduzione di adeguate forme interne di controllo specificamente dirette alla prevenzione e all'emersione di vicende di possibile esposizione al rischio corruttivo. Risulta evidente la relazione stringente con il sistema dei controlli interni derivante dall'innovato articolo 147 del Tuel.
Particolare attenzione deve essere posta anche per l'adozione di adeguati sistemi di rotazione del personale addetto alle aree a rischio, con l'accortezza di mantenere continuità e coerenza degli indirizzi e le necessarie competenze delle strutture. Le amministrazioni dovranno quindi evitare che possano consolidarsi delle rischiose posizioni "di privilegio" nella gestione diretta di certe attività correlate alla circostanza che lo stesso funzionario si occupi personalmente per lungo tempo dello stesso tipo di procedimenti e si relazioni sempre con gli stessi utenti.
Nel piano devono essere contenute anche misure che garantiscano il rispetto delle norme del Codice di comportamento dei dipendenti delle Pubbliche amministrazioni (recentemente approvato), nonché finalizzate ad assicurare la vigilanza sulle varie problematiche inerenti il conferimento di incarichi ai dipendenti. Il particolare strumento, inoltre, deve essere espressamente correlato con il piano della performance e con il piano ella trasparenza
---------------
La procedura
01|LA SCADENZA
Ogni amministrazione pubblica deve adottare il Piano per la prevenzione della corruzione entro il prossimo 31 marzo
02|I CONTENUTI
Il Piano deve dettagliare le misure di carattere generale che l'amministrazione ha adottato, e quelle che intende adottare, per prevenire il rischio di corruzione
03|I CONTROLLI
Vanno anche specificati i sistemi di verifica interna che l'amministrazione adotta, con particolare riferimento alle aree considerate più «a rischio»
04|COINVOLGIMENTO
L'elaborazione del Piano deve passare attraverso la condivisione dei dirigenti e di tutto il personale impegnato nelle attività più esposte (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOIncarichi, trasparenza immediata. Le regole sul personale. L'attuazione delle nuove disposizioni.
TEMPI BREVI/ I conferimenti a dipendenti e le autorizzazioni vanno comunicati entro 15 giorni e non più con cadenza semestrale.

Estensione oggettiva e soggettiva dell'obbligo di astensione in caso di conflitto di interessi, comunicazione immediata alla Funzione Pubblica degli incarichi conferiti e autorizzati al personale, controllo dell'utilizzazione illegittima di ex dipendenti pubblici da parte delle società con cui le Pa entrano in rapporto e delimitazione delle attività che possono essere svolte dai dipendenti condannati per reati contro l'amministrazione.
Sono queste le disposizioni di maggior rilievo e di immediata applicazione contenute nella legge 190/2012 in materia di personale.
Con una modifica alla legge 241/1990, si dispone l'estensione dell'obbligo di astensione dai dirigenti anche ai responsabili di procedimento ed a coloro che sono tenuti a rilasciare pareri endoprocedimentali. Non meno significativa è l'estensione dell'ambito oggettivo di applicazione della disposizione: infatti basta che vi sia una condizione di conflitto di interessi anche potenziale. Queste disposizioni possono creare notevoli problemi applicativi nei piccoli Comuni, realtà in cui il numero dei dipendenti di ogni settore è assai ridotto e rilanciano così, indirettamente, lo stimolo alla gestione associata, così da ampliare la platea dei dipendenti che possono essere utilizzati.
Del possibile conflitto di interessi devono tenere conto i dirigenti nel rilasciare le autorizzazioni ai propri collaboratori allo svolgimento di una seconda attività lavorativa, tema che riguarda le collaborazioni con privati.
Tutte le Pa devono comunicare alla Funzione Pubblica entro i 15 giorni successivi, e non più con cadenza semestrale, i conferimenti di incarichi a dipendenti pubblici e le autorizzazioni rilasciate al proprio personale.
I contratti di assunzione e di collaborazione stipulati da privati con dipendenti pubblici in quiescenza con cui negli ultimi tre anni hanno avuto rapporti sono nulli e non possono dare corso alla erogazione di un compenso. Essi determinano anche il divieto per queste società di contrattare con Pa. Le amministrazioni devono fare osservare questo vincolo senza avere strumenti di controllo: l'autodichiarazione del rispetto appare come la scelta minima obbligata e si aggiunge alle autodichiarazioni sul Durc e sui conti dedicati che vengono già richieste ai contraenti privati.
Tutti i dipendenti pubblici condannati, anche solamente in primo grado, per reati contro la Pa sono più che "dimezzati" nelle attività che possono svolgere. Va ricordato che tra i reati contro le Pa sono compresi oltre alla corruzione, malversazione e concussione, anche fattispecie come il peculato, l'abuso d'atti d'ufficio, la rivelazione di segreti d'ufficio eccetera.
Questi dipendenti non possono far parte, neppure come segretari, di commissioni di concorso; non possono essere inseriti tra i componenti le commissioni di gara; non possono essere dirigenti del settore finanziario; non possono aggiudicare forniture o servizi. Il che vuol dire che, se sono dirigenti, possono svolgere un'attività gestionale assai ridotta.
---------------
In sintesi
01|INCARICHI
Gli incarichi conferiti e le autorizzazioni rilasciate ai dipendenti pubblici vanno comunicate entro 15 giorni alla Funzione pubblica
02|ASTENSIONE
Basta un caso di conflitto di interesse anche potenziale per imporre l'obbligo di astensione ai dirigenti, ai responsabili di procedimento e ai dipendenti che devono rilasciare pareri
03|CONDANNE
Una condanna in primo grado per reati contro la Pa esclude dalle commissioni di concorso e di gara (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTIIl rudere paga l'Imu quando è recuperabile. Cassazione. Imponibili anche i fabbricati collabenti.
IL PRINCIPIO/ La Corte ha equiparato a un'area fabbricabile un terreno agricolo occupato da resti di immobili da demolire.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 5166/2013 ha ritenuto che la cessione unitaria di un terreno agricolo con sovrastanti fabbricati ex rurali collabenti, destinati alla demolizione e alla ricostruzione come fabbricati civili, va considerata come cessione di area fabbricabile.
I giudici di Piazza Cavour prendono le mosse proprie dalla normativa Ici, ricordando che l'area edificabile costituisce un genere articolato nelle due specie dell'area edificabile di diritto, così qualificata in un piano urbanistico, e dell'area edificabile di fatto, vale a dire del terreno che, pur non essendo urbanisticamente qualificato, può nondimeno avere una vocazione edificatoria di fatto, in quanto sia potenzialmente edificatorio anche al di fuori di una previsione programmatica.
Nel caso analizzato dai giudici di legittimità la natura di area edificabile è stata riconosciuta sulla base di una suscettibilità edificatoria unitaria del terreno a prescindere dal fatto che l'area fosse inserita, dallo strumento urbanistico generale, in zona agricola.
Il principio di diritto enunciato risolve il problema applicativo relativo ai fabbricati collabenti, normalmente accatastati in categoria catastale F2. Si tratta di fabbricati con un alto livello di degrado, pericolanti o diroccati, non utilizzabili e per questo accatastati senza rendita catastale. A seguito dell'emersione dei fabbricati ex rurali, iniziata con il Dl 262/2006, molti di questi fabbricati sono stati accatastati proprio in categoria F2.
Questi fabbricati, in realtà, sono da assoggettare come area fabbricabile in quanto lo strumento urbanistico comunale normalmente ne prevede il recupero edilizio, anche se nei limiti della cubatura esistente. Si tratta quindi di aree fabbricabili previste direttamente dallo strumento urbanistico, ai sensi dell'articolo 2 del Dlgs 504/1992, e non di fabbricati che possono essere attratti ad imposizione solo in caso di ristrutturazione, ai sensi dell'articolo 5 della normativa Ici.
Naturalmente, il fabbricato collabente situato in una zona del territorio comunale dove è comunque precluso il recupero edilizio, come nelle fasce di rispetto di un fiume, sarà escluso dall'Ici ed anche dall'Imu, non essendo né un terreno, né un fabbricato con rendita, né un'area fabbricabile.
La Cassazione, con la sentenza citata, completa dopo vent'anni di applicazione dell'Ici, il quadro di riferimento per le aree fabbricabili, costituito da una stratificazione di sentenze della Corte di Cassazione (sezioni unite 30.11.2006, n. 25506) e della Corte Costituzione (27.02.2008, n. 41) e da un susseguirsi di norme, terminate con l'articolo 36 del Dl 223/2006 che considera area fabbricabile, ai fini di tutte le imposte, comunali ed erariali, l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo. Ovviamente l'articolato quadro giurisprudenziale e normativo è integralmente applicabile anche per l'Imu (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: L'affido di servizi pubblici con bando è legittimo. La Consulta ribadisce il principio: le gare indice di virtuosità.
È costituzionalmente legittimo prevedere l'obbligo di affidamento dei servizi pubblici con procedura ad evidenza pubblica e stabilire che il maggiore ricorso all'affidamento in gara costituisca indice di «virtuosità» per gli enti locali.
È quanto afferma la Corte costituzionale nella sentenza 20.03.2013 n. 46 che si è pronunciata su diverse norme del decreto-legge 1/2012 convertito dalla legge 27/2012 su un ricorso presentato dalla Regione Veneto.
Fra le diverse censure avanzate dalla Regione Veneto una riguardava l'adozione obbligatoria della procedura ad evidenza pubblica per l'affidamento dei servizi, e non le procedure in house, ritenuta in contrasto ai sensi dell'art. 117, comma primo, della Costituzione con la disciplina comunitaria, che non esclude affatto la possibilità dell'affidamento in house e in violazione della competenza legislativa regionale.
Inoltre, si sosteneva nel ricorso, la normativa nazionale, escludendo nei fatti la possibilità di affidamenti in house (in seguito a una valutazione negativa operata ex ante), non considera che questa tipologia di affidamento di servizi può essere in concreto più efficiente e virtuosa e finisce per privare gli enti territoriali della possibilità di valutare le proprie esigenze e di scegliere la modalità di gestione dei servizi a loro più convenienti.
Su questo punto la Corte conferma la legittimità della normativa affermando che la disciplina delle procedure ad evidenza pubblica è stata costantemente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla materia «tutela della concorrenza», con la conseguente titolarità da parte dello Stato della potestà legislativa esclusiva. In particolare la Corte motiva la conferma della legittimità delle norme impugnate dalla Regione con la considerazione che «l'intervento normativo statale, con il decreto legge n. 1 del 2012, si prefigge la finalità di operare, attraverso la tutela della concorrenza (liberalizzazione), un contenimento della spesa pubblica» e che tale scopo viene ritenuto perseguibile con l'affidamento dei servizi pubblici locali con il meccanismo delle gare ad evidenza pubblica, in quanto «dovrebbe comportare un risparmio dei costi ed una migliore efficienza nella gestione».
È in questa ottica –dice la sentenza– e in coerenza con la normativa comunitaria che il legislatore ha deciso, da un lato di promuovere l'affidamento dei servizi pubblici locali a terzi e/o a società miste pubblico/private e, dall'altro lato, di contenere il fenomeno delle società in house. La scelta, operata nel 2012, di prevedere come uno degli elementi di valutazione di «virtuosità» degli enti l'applicazione di procedure di affidamento dei servizi ad evidenza pubblica ha, secondo la sentenza, il pregio di non privare le Regioni e gli altri enti territoriali delle loro competenze e di limitarsi a valutare il loro esercizio ai fini dell'attribuzione del «premio», ovvero della coerenza o meno alle indicazioni del legislatore statale, che –comunque– ha agito nell'esercizio della sua competenza esclusiva in materia di concorrenza.
Viene infine confermata anche la legittimità della sottoposizione delle società in house ai vincoli derivanti dal patto di Stabilità, dal momento che con tale disposizione si è, infatti, reso legislativamente esplicito un adempimento di origine comunitaria rientrante in quei contenuti minimi non derogabili cui fa riferimento la sentenza n. 325 del 2010 (articolo ItaliaOggi del 21.03.2013).

ATTI AMMINISTRATIVIE' legittima l'ordinanza contingibile ed urgente (del sindaco) atta a far rimuovere delle scritte sulle pareti esterne dell'appartamento riportanti frasi offensive nei confronti del Sindaco.
- Considerato che il ricorrente ha impugnato l’ordinanza n. 5 del 30.11.2012, con la quale il Comune resistente gli ha ordinato di provvedere a rimuovere delle scritte sulle pareti esterni del proprio appartamento, riportanti frasi offensive nei confronti del Sindaco.
- Considerato che, ai sensi dell’articolo 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, commi 4 e 4-bis, “Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione. Con decreto del Ministro dell’interno è disciplinato l’ambito di applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 4 anche con riferimento alle definizioni relative alla incolumità pubblica e alla sicurezza urbana”.
- Rilevato che, in attuazione di tali disposizioni, è stato adottato il d.m. 05.08.2008, che, all’articolo 1, dispone: ai fini di cui all'art. 54, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, per sicurezza urbana s’intende un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell'ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale.
- Considerato che, sul punto, la stessa Corte Costituzionale, da un lato, ha chiarito che il D.M. 05.08.2008 ha ad oggetto specificamente la tutela della sicurezza pubblica, da intendersi come attività di prevenzione e repressione di reati (cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 196 del 2009); dall’altro, ha ritenuto la norma illegittima, riguardo alla possibilità di emanare provvedimenti atipici in funzione della prevenzione e della eliminazione di gravi pericoli che minacciano detto bene, pur in assenza dei presupposti della contigibilità e dell'urgenza (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 115 del 2011).
- Rilevato che, nel caso di specie, si trattava proprio di impedire la permanenza di scritte offensive e pertanto costituenti, astrattamente, ipotesi di reato.
- Considerato che, qualora si debba interrompere la prosecuzione di fatti costituenti reato e quindi incidenti su beni interessi di rilievo costituzionale, l’urgenza può essere ritenuta in re ipsa, purché la misura adottata sia proporzionale ed adatta allo scopo.
- Considerato che, nel caso di specie, la misura adottata appare adeguata e proporzionata, in comparazione con la lieve entità del sacrificio imposto che rientra appieno nei limiti della “concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare” (cioè esso appare duttilmente adeguato alla concreta situazione di fatto, cfr. Corte Costituzionale n. 4 del 1977 sul previgente articolo 20 del t.u. comunale e provinciale).
- Considerato, pertanto, che, ad avviso del Collegio, sussistevano i presupposti per l’adozione dell’ordinanza impugnata (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 18.03.2013 n. 186 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICINel quadro normativo derivante dal d.lgs. 12.04.2006, n. 163, sussiste l'unica categoria della concessione di lavori pubblici, onde non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di costruzione e gestione dell'opera, ove prevale il profilo autoritativo della traslazione delle pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizione; ciò in quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario, come risulta dall'art. 143 del codice, con la conseguenza che le controversie relative alla fase di esecuzione appartengono alla giurisdizione ordinaria.
In sostanza, l'applicazione del precedente criterio di ripartizione delle giurisdizioni con riferimento alla natura concessoria del rapporto con il Comune -che aveva indotto la giurisprudenza di legittimità, nella vigenza della L. n. 109 del 1994, a distinguere le concessioni di soli lavori equiparate agli appalti da quelle di costruzione e di gestione riservate, ex articolo 5 della legge n. 1034 del 1971, alla giurisdizione esclusiva- non è più attuale, dovendo essere ricondotti tali rapporti indistintamente nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto pubblico.

- considerato che, con le delibere impugnate, il Comune resistente ha provveduto alla “revoca” dell’affidamento in concessione del diritto di superficie di alcuni suoli comunali per la progettazione, realizzazione e gestione di una rete di impianti fotovoltaici;
- rilevato che, al di là del nomen iuris utilizzato, dalle circostanze poste a fondamento degli atti impugnati e dal tenore degli stessi emerge chiaramente che si tratta, in realtà, di manifestazioni della volontà dell’amministrazione resistente di sciogliersi dal rapporto con la ricorrente, per asserito inadempimento di quest’ultima agli obblighi assunti con la concessione in esame, nei termini da essa previsti;
- considerato che, secondo la giurisprudenza prevalente (cfr. Cassazione ss.uu. sentenze n. 14958 del 2011 e n. 28804 del 2011; Consiglio di Stato, sentenza n. 236 del 2013), nel quadro normativo derivante dal d.lgs. 12.04.2006, n. 163, sussiste l'unica categoria della concessione di lavori pubblici, onde non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di costruzione e gestione dell'opera, ove prevale il profilo autoritativo della traslazione delle pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizione; ciò in quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario, come risulta dall'art. 143 del codice, con la conseguenza che le controversie relative alla fase di esecuzione appartengono alla giurisdizione ordinaria;
- ritenuto che, in sostanza, l'applicazione del precedente criterio di ripartizione delle giurisdizioni con riferimento alla natura concessoria del rapporto con il Comune -che aveva indotto la giurisprudenza di legittimità, nella vigenza della L. n. 109 del 1994, a distinguere le concessioni di soli lavori equiparate agli appalti da quelle di costruzione e di gestione riservate, ex articolo 5 della legge n. 1034 del 1971, alla giurisdizione esclusiva- non è più attuale, dovendo essere ricondotti tali rapporti indistintamente nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto pubblico (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 18.03.2013 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONEL'omessa notifica degli atti espropriativi ai proprietari non risultanti dagli atti catastali non assume né carattere invalidante di detti atti espropriativi, né legittima una difesa tardiva in sede giurisdizionale, ovvero in sede amministrativa, essendo comunque onere del privato interessato curare l'esatta corrispondenza delle risultanze catastali alla reale situazione giuridica del bene oggetto della procedura ablatoria.
Ciò perché è da evitare che "...le negligenze dell'avente titolo possano andare a discapito del buon andamento dell'azione amministrativa, a tutela del quale può dirsi anche posto il principio della certezza delle situazioni giuridiche dell'attività della Pubblica Amministrazione...".

Come noto la giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel ritenere che l'omessa notifica degli atti espropriativi ai proprietari non risultanti dagli atti catastali non assume né carattere invalidante di detti atti espropriativi, né legittima una difesa tardiva in sede giurisdizionale, ovvero in sede amministrativa, essendo comunque onere del privato interessato curare l'esatta corrispondenza delle risultanze catastali alla reale situazione giuridica del bene oggetto della procedura ablatoria.
Ciò perché è da evitare che "...le negligenze dell'avente titolo possano andare a discapito del buon andamento dell'azione amministrativa, a tutela del quale può dirsi anche posto il principio della certezza delle situazioni giuridiche dell'attività della Pubblica Amministrazione..." (Cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 3690 del 2010 e sentenza n. 7014 del 2006) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 18.03.2013 n. 182 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna baracca di dimensioni molto modeste (sviluppando un’area di metri 2,75 per 3,00), adibita a deposito di legna, può essere considerata pertinenza, sviluppando un volume minimo, non avendo un valore e una funzione autonomi, ed essendo a servizio dell’edificio principale.
Trattandosi di una pertinenza, inoltre, essa può essere realizzata sulla base di una mera denunzia di inizio attività e, conseguentemente, l’eventuale abuso per difetto del titolo non è soggetto alla sanzione della demolizione, ma solo a quella pecuniaria di cui all’articolo 37 del d.p.r. n. 380 del 2001 (che non può essere di importo inferiore ad euro 516,00, come correttamente stabilito dall’amministrazione resistente).
Ciò, ovviamente, sotto il profilo pubblico edilizio, nel senso che tali considerazioni non limitano affatto l’ordinaria tutela delle distanze nei rapporti civilisti tra proprietari confinanti, come noto sottratta a questo Giudice adito e non oggetto del thema decidendum.

In ogni caso, il ricorso è anche manifestamente infondato.
Il manufatto in questione è una baracca di dimensioni molto modeste (sviluppando un’area di metri 2,75 per 3,00) ed è adibita a deposito di legna.
Ciò premesso, come noto, esso può essere considerato pertinenza, sviluppando, appunto, un volume minimo, non avendo un valore e una funzione autonomi, ed essendo a servizio dell’edificio principale (cfr. Tar Ancona, sentenza n. 57 del 2013; Consiglio di Stato, sentenza n. 211 del 2013).
Trattandosi di una pertinenza, inoltre, essa può essere realizzata sulla base di una mera denunzia di inizio attività (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 615 del 2012) e, conseguentemente, l’eventuale abuso per difetto del titolo non è soggetto alla sanzione della demolizione, ma solo a quella pecuniaria di cui all’articolo 37 del d.p.r. n. 380 del 2001 (che non può essere di importo inferiore ad euro 516,00, come correttamente stabilito dall’amministrazione resistente).
Ciò, ovviamente, sotto il profilo pubblico edilizio, nel senso che tali considerazioni non limitano affatto l’ordinaria tutela delle distanze nei rapporti civilisti tra proprietari confinanti, come noto sottratta a questo Giudice adito e non oggetto del thema decidendum (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 18.03.2013 n. 181 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTIEquitalia, procedure di vetro. Accesso agli atti con i nomi dei funzionari in chiaro. Tar Lazio accoglie il ricorso di un contribuente che aveva chiesto i dati sulle proprie cartelle.
Accesso agli atti, e ai nomi dei responsabili dei procedimenti di Equitalia a tutto campo. Equitalia deve indicare i nomi dei responsabili dei procedimenti relativi alle cartelle esattoriali quando, in sede penale, il funzionario responsabile invoca la presenza di direttive superiori e non fornisce le informazioni.
E non solo. Al contribuente devono essere forniti tutti gli atti e i provvedimenti anche con estremi ignoti, gli atti e i documenti dell'istruttoria relativi alle cartelle in capo al contribuenti, nonché tutti i documenti di prassi amministrativa relativa alla richiesta del contribuente Che devono essere mostrati, o per usare il linguaggio tecnico, messi in ostensione di fronte alla richiesta del contribuente.

Insomma un diritto di accesso amministrativo a tutto campo, quello riconosciuto dal TAR Lazio-Roma, Sez. III, nella sentenza 13.03.2013 n. 2660, con cui ha condannato Equitalia dichiarando illegittimo il suo silenzio. Di più, il Tar ha concesso 30 giorni di tempo alla società per la riscossione per preparare la documentazione richiesta e consegnarla al ricorrente. Una vera e propria operazione trasparenza sulle cartelle esattoriali.
Il Tar ha dunque accolto le richieste di un avvocato che ha presentato ricorso contro il silenzio rifiuto di Equitalia (in particolare Equitalia Sud per la provincia di Roma) sull'istanza di accesso con cui chiedeva di prendere visione e estrarre copia di tutta la serie di documenti sottesi a una iscrizione ipotecaria per cartelle dal valore inferiore agli 8 mila euro. La richiesta era legata alla preparazione della strategia difensiva del contribuente in contenzioso penale proprio a seguito di una lite tributaria con Equitalia per le cartelle in questione.
I giudici amministrativi innanzitutto rilevano che l'accesso ai documenti è un diritto soggettivo di cui il giudice amministrativo conosce in giurisdizione esclusiva e il cui giudizio ha per oggetto la verifica della spettanza del diritto in questione piuttosto che la verifica della sussistenza dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo. «Tanto che», dice la sentenza, «il giudice può direttamente ordinare l'esibizione dei documenti richiesti, sostituendosi all'amministrazione». Per il Tar, nella vicenda, esiste un interesse concreto, diretto e attuale del ricorrente all'ostensione richiesta per «esigenze di difesa in giudizi che lo vedono direttamente coinvolto, sia nei confronti del responsabile dell'iscrizione ipotecaria contestata sia in relazione a querela che ha ricevuto in relazione ai medesimi fatti».
Per i giudici la richiesta del contribuente non contrasta con gli orientamenti del diritto amministrativo nel senso che la «giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che, ai sensi dell'art. 22 l. n. 241/1990, il soggetto che detiene la documentazione oggetto di istanza di ostensione non deve delibare la fondatezza della pretesa sostanziale per la quale occorrano tali atti o sindacare sulla utilità effettiva di questi, in quanto il diritto d'accesso è conformato dalla legge per offrire al titolare, più che utilità finali (caratteristica, questa, ormai riconoscibile non solo ai diritti soggettivi, ma anche agli interessi legittimi), poteri autonomi di natura procedimentale volti ad implementare la tutela d'un interesse (o bisogno) giuridicamente rilevante, per cui il limite di valutazione della pubblica amministrazione sulla sussistenza d'un interesse concreto, attuale e differenziato all'accesso ai documenti, che è correlativamente pure il requisito di ammissibilità della relativa azione, si sostanzia solo nel giudizio estrinseco sull'esistenza di un legittimo bisogno differenziato di conoscenza in capo a chi richiede i documenti»,
I giudici dunque bocciano la linea di difesa di Equitalia sud in ordine alla carenza di legittimazione attiva del ricorrente. Per il Tar infatti il ricorrente ha sufficientemente chiarito nell'atto introduttivo di avere necessità della documentazione richiesta non nel giudizio tributario ma in un giudizio in sede penale nei confronti del funzionario responsabile che invocava la presenza di direttive superiori per procedere (articolo ItaliaOggi del 20.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTITosap. Autotutela blocca riscossione.
Niente riscossione coattiva della Tosap se pende un ricorso in autotutela del contribuente. E se quest'ultimo ha già incassato una sentenza favorevole in appello sulla medesima questione (per un'annualità diversa), i giudici tributari di primo grado devono conformarsi al verdetto.

È quanto ha deciso la Ctp di Brindisi con la sentenza 11.03.2013 n. 108/2/13.
Un contribuente, difeso dall'avv. Maurizio Villani di Lecce, ricorreva contro una cartella emessa dal concessionario della riscossione per il mancato pagamento della tassa di occupazione temporanea di spazi e aree pubbliche, risalente al 1994. Il giudizio era stato riassunto: in primo grado, infatti, la Ctp si era dichiarata incompetente, ma la Ctr Puglia aveva riconosciuto la giurisdizione tributaria, rimandando quindi le carte alla Ctp.
Secondo il contribuente l'esattoria non poteva iscrivere a ruolo il tributo in quanto l'avviso di accertamento da cui era derivata l'iscrizione era stato impugnato in sede amministrativa: prima davanti alla Dre Puglia e poi, a seguito del diniego, presso le finanze, che non si era mai espresso. Ai sensi degli artt. 67 e 68 del dpr 43/1988, il mancato versamento Tosap può dare luogo alla riscossione coattiva in pendenza di un ricorso tributario.
Tali disposizioni, per la Ctp, non trovano però applicazione nel caso dell'azione di autotutela amministrativa, in quanto «secondo quanto risultante dagli atti processuali, il ricorso non è ancora deciso in via definitiva» e quindi l'accertamento non ha carattere di esecutività. Peraltro, sul medesimo argomento il contribuente aveva già ottenuto il verdetto favorevole della Ctr Puglia, sez. Lecce, con sentenza 115/23/10, passata in giudicato.
«Poiché la questione di diritto oggetto del contendere è analoga», conclude la Ctp Brindisi, «per non dire identica a quella che ha formato oggetto del ricorso in appello deciso dalla Ctr con sentenza passata in giudicato, questa commissione ha comunque il dovere di uniformarsi ex art. 2909 c.c. e ciò anche ove (e non è questo il caso in questione) ritenesse di non condividere il principio affermato» (articolo ItaliaOggi del 22.03.2013).

EDILIZIA PRIVATAE’ fondato il motivo di ricorso, con il quale il ricorrente rileva l’erroneità della tesi sostenuta dal Comune, in forza della quale la concessione edilizia in zona agricola può essere rilasciata soltanto al coltivatore diretto a titolo principale, in quanto l’unico requisito rilevante per il rilascio del permesso di costruire è, invece, oltre che la titolarità del diritto di proprietà sul fondo, la compatibilità urbanistico edilizia dell’intervento.
Ed invero contrasta con i principi in materia urbanistica un atto che a prescindere dal tipo di opera realizzanda e dalla verifica di compatibilità con le previsioni dello strumento urbanistico si fondi sulle qualità personali del richiedente, in quanto la qualità indebitamente richiesta assume valore ai soli fini dell’applicazione dei benefici economici previsti in favore dei coltivatori diretti dall’articolo 9, lettera a), della legge 28.01.1977 n. 10.
Ne consegue che l'elemento soggettivo relativo alla qualifica (agricoltore o imprenditore agricolo, o proprietario concedente il fondo in affitto) del richiedente il permesso di costruire in zona agricola è del tutto irrilevante, se il soggetto non intende avvalersi dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di disponibilità del bene, oltre naturalmente alla compatibilità con gli strumenti urbanistici.

Il ricorso è fondato e va accolto.
E’ in particolare fondato il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente rileva l’erroneità della tesi sostenuta dal Comune, in forza della quale la concessione edilizia in zona agricola può essere rilasciata soltanto al coltivatore diretto a titolo principale, in quanto l’unico requisito rilevante per il rilascio del permesso di costruire è, invece, oltre che la titolarità del diritto di proprietà sul fondo, la compatibilità urbanistico edilizia dell’intervento.
Ed invero contrasta con i principi in materia urbanistica un atto che a prescindere dal tipo di opera realizzanda e dalla verifica di compatibilità con le previsioni dello strumento urbanistico si fondi sulle qualità personali del richiedente, in quanto la qualità indebitamente richiesta assume valore ai soli fini dell’applicazione dei benefici economici previsti in favore dei coltivatori diretti dall’articolo 9, lettera a), della legge 28.01.1977 n. 10.
Ne consegue che l'elemento soggettivo relativo alla qualifica (agricoltore o imprenditore agricolo, o proprietario concedente il fondo in affitto) del richiedente il permesso di costruire in zona agricola è del tutto irrilevante, se il soggetto non intende avvalersi dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di disponibilità del bene, oltre naturalmente alla compatibilità con gli strumenti urbanistici (TAR Lazio, Roma, sez. II, 02.11.2010, n. 33106; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 04.01.2008, n. 3) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 07.03.2013 n. 771 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Vecchi pali telefonici all'arsenico: sono riciclabili per altri usi?
Per riparare le strutture delle passerelle di un sentiero da ripristinare si possono usare dei vecchi pali telefonici in legno trattati con una soluzione (tossica) preservante detta RCA (rame, cromo, arsenico)?
La Corte di Giustizia ammette, in linea di principio, tale possibilità.

Questi tipi di “rifiuti pericolosi” possono cessare di essere qualificati come rifiuti (End-of-Waste) se grazie ad un’operazione di recupero li si rende utilizzabili senza mettere in pericolo la salute umana e senza nuocere all’ambiente.
Tale verifica, comunque, spetta al giudice nazionale che dovrà anche accertare se il detentore non se ne disfi o non abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsene.
IL CASO
In Finlandia è stata instaurata una controversia tra il Settore “trasporti ed infrastrutture” dell’Ufficio centrale per l’economia, l’ambiente e i trasporti della Lapponia (liikenne ja infrastruktuuri -vastuualue) e l’Associazione per la protezione della natura della Lapponia (Lapin luonnonsuojelupiiri), in merito ai lavori di ripristino di un sentiero nelle zone selvagge dell’estremo nord dell’Europa.
Nel 2008, il liikenne ja infrastruktuuri-vastuualue ha deciso di ripristinare il sentiero di 35 km che collega il paese lappone di Raittijärvi alla strada carrabile più vicina e che attraversa in parte una zona Natura 2000.
In particolare, i lavori dovevano consistere nella realizzazione di passerelle di legno per facilitare il passaggio, al di fuori della stagione invernale, nelle zone umide, dei veicoli di tipo “quad”: tali passerelle sono sorrette da strutture fatte di vecchi pali per telecomunicazioni, i quali, per il loro precedente impiego, sono stati trattati con una soluzione di composti inorganici comprendenti rame, cromo e arsenico (c.d. “soluzione RCA”), volta a proteggerli dalle intemperie.
L’Associazione ambientalista, però, ritenendo che i pali trattati con questo preservante fossero dei “rifiuti pericolosi”, ha chiesto al Lapin ympäristökeskus –che nel frattempo ha cambiato nome, divenendo l’Autorità incaricata della tutela dell’ambiente– di vietare l’uso di tali materiali.
Dal canto suo, la “nuova” Autorità ha respinto tale domanda, e ciò ha indotto l’Associazione ad adire il Tribunale amministrativo di Vaasa, che, questa volta, con sentenza del 09.10.2009, ha annullato la suddetta decisione di rigetto.
Anche questa sentenza è stata impugnata, dall’Autorità, però, che ha proposto il relativo ricorso dinanzi alla Suprema Corte amministrativa.
Quest’ultimo giudice ha deciso di sospendere il giudizio al fine di chiedere alla Corte di Giustizia se siffatti pali, riutilizzati ormai come legno di supporto, siano rifiuti (recte, rifiuti pericolosi), ovvero se abbiano perso tale caratteristica a causa del predetto riutilizzo, sebbene il regolamento REACH autorizzi l’uso di siffatti legnami trattati.
LA DECISIONE DELLA CORTE
La risposta dei giudici europei aiuterà il giudice del rinvio a determinare se sia necessario essere in possesso di un’autorizzazione ambientale (nella specie, ai sensi della legge 86/2000) per usare vecchi pali per telecomunicazioni trattati con una soluzione RCA.
La domanda di pronuncia pregiudiziale –strutturata in sette questioni pregiudiziali– verte sull’interpretazione della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE e del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).
Come abbiamo visto, alla base della controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio c’è il fatto che se, da un lato, i pali per telecomunicazioni in parola sono stati trattati con una sostanza pericolosa ai sensi e ai fini dell’applicazione del regolamento REACH, dall’altro lato, lo stesso regolamento ammette che, in determinate situazioni e in presenza di determinate condizioni, tali pali di legno possano essere utilizzati per determinate applicazioni tra le quali si possono eventualmente annoverare le passerelle del sentiero interessato.
La soluzione offerta dalla Corte di Giustizia conferma, in buona sostanza, le conclusioni rassegnate il 13.12.2012 dall’AG Kokott che, nell’occasione, prefigurava la possibilità, a talune condizioni, di reimpiegare i pali del telefono non più in uso per riparare un sentiero, anche se il legno di tali pali è stato in origine trattato con la c.d. “soluzione RCA”.
Nella sentenza 07.03.2013 (C-358/11), dunque, la Corte, dopo aver precisato di dover esaminare le questioni sottoposte alla sua attenzione considerando le disposizioni sia della direttiva 2008/98 sia quelle del regolamento REACH, quale normativa questa indipendente da quella relativa ai rifiuti, ha fornito le seguenti risposte:
1) il diritto dell’Ue non esclude per principio che un rifiuto considerato pericoloso possa cessare di essere un rifiuto ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, se un’operazione di recupero consente di renderlo utilizzabile senza mettere in pericolo la salute umana e senza nuocere all’ambiente e se, peraltro, non viene accertato che il detentore dell’oggetto di cui trattasi se ne disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsene ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della medesima direttiva, il che spetta al giudice del rinvio verificare;
2) la normativa REACH presenta un interesse al fine di determinare se un legno trattato con una soluzione c.d. RCA (rame, cromo, arsenico) possa cessare di essere un rifiuto in quanto, qualora fossero soddisfatte le condizioni da esso previsto per autorizzarne l’uso, il suo detentore non sarebbe tenuto a disfarsene ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98;
3) gli articoli 67 e 128 del regolamento n. 1907/2006 (REACH) e s.m.i, devono essere interpretati nel senso che il diritto dell’Ue procede ad un’armonizzazione delle prescrizioni relative alla fabbricazione, all’immissione sul mercato o all’uso di una sostanza come quella afferente ai composti dell’arsenico, che forma oggetto di una restrizione in forza dell’allegato XVII del suddetto regolamento;
4) l’elenco contenuto nell’allegato XVII, punto 19, paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1907/2006 e s.m.i –che elenca in pratica gli usi consentiti, o meglio le applicazioni per le quali, in via derogatoria, può essere usato legno trattato con una “soluzione RCA”– deve essere considerato quale “esaustivo” e, di conseguenza, tale deroga non può essere applicata a casi diversi da quelli ivi contemplati (spetta al giudice del rinvio verificare se, in circostanze analoghe a quelle del procedimento principale, l’uso dei pali per telecomunicazioni in esame, per servire da supporto a passerelle, rientri effettivamente nell’ambito delle applicazioni elencate nella suddetta disposizione);
5) il divieto di usare il legno trattato con una “soluzione RCA” in applicazioni che comportino un rischio di contatto ripetuto con la pelle –di cui all’allegato XVII, punto 19, paragrafo 4, lettera d), secondo trattino, del regolamento n. 1907/2006 e s.m.i– deve essere applicato in qualsiasi situazione che, con ogni probabilità, implichi un contatto reiterato della pelle con il legno trattato, ove una siffatta probabilità deve essere dedotta dalle condizioni concrete di uso normale dell’applicazione per la quale tale legno sia stato impiegato, il che spetta al giudice del rinvio valutare.
I POSSIBILI IMPATTI PRATICO-OPERATIVI
La sentenza 07.03.2013 (C-358/11) presenta dei profili molto interessanti con riguardo all’applicazione delle norme in tema di cessazione della qualifica di rifiuto. Sul punto, il giudice comunitario è chiaro: per principio, un rifiuto considerato pericoloso può cessare di essere un rifiuto ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, qualora, grazie ad un’operazione di recupero, sia possibile utilizzarlo senza mettere in pericolo la salute umana e senza nuocere all’ambiente.
E ciò potrebbe valere, dunque, anche per i vecchi pali telefonici precedentemente trattati con la “soluzione RCA”. In concreto, però, tale verifica spetta all’interprete (giudice nazionale) il quale, caso per caso, deve anche accertare che il detentore dell’oggetto non se ne liberi oppure che non abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsene (ex art. 3, punto 1, della direttiva 2008/98/CE).
Già l’AG Kokott osservava che se, da un lato, la possibilità di impiegare tali pali sarebbe da escludere, alla luce della direttiva 2008/99 sui rifiuti e del regolamento 1907/2006/CE (REACH), “quando la probabilità di un contatto ripetuto con la pelle in condizioni d’uso normali o ragionevolmente prevedibili non è trascurabile”, dall’altro lato, un siffatto impiego potrebbe essere consentito in talune ipotesi eccezionali come quella della costruzione di ponti, dato che in questo caso il contatto cutaneo diretto non c’è.
Presenta forti analogie al caso dei pali all’arsenico il caso del riutilizzo delle traversine ferroviarie (ma anche dei pali delle telecomunicazioni) originariamente trattate col creosoto, sostanza altamente cancerogena che manifesta la sua pericolosità non solo tramite il contatto cutaneo ma anche attraverso il contatto diretto con il suolo, con l'acqua o per l’inalazione dei gas che vengono a sprigionarsi in conseguenza di un aumento della temperatura superiore ai 20 gradi.
Per il creosoto è stata emanata un’apposita direttiva (2011/71/UE) la quale ha consentito l’iscrizione del creosoto tra i principi attivi dell’allegato I della direttiva 98/8/CE relativa all'immissione sul mercato dei biocidi (tale direttiva è stata recepita dal nostro paese col D.M. Salute 18.06.2012). [Commissione europea, comunicato stampa “Ambiente: limiti più severi all'uso del creosoto per fini industriali”, Reference: IP/11/925 Event Date: 26/07/2011].
Riferimenti:
- CGUE (Seconda Sezione), sentenza 07.03.2013 (C-358/11), Lapin ELY-keskus liikenne ja infrastruktuuri
- Conclusioni dell’AG Juliane Kokott presentate il 13.12.2012 (C-358/11), Lapin ELY-keskus, liikenne ja infrastruktuuri (commento tratto da www.ispoa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della decorrenza del termine di impugnazione di un permesso di costruire, il requisito della piena conoscenza non postula necessariamente la conoscenza di tutti i suoi elementi, essendo sufficiente quella degli elementi essenziali quali l'autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento e degli atti presupposti emergano ulteriori profili di illegittimità.
Ciò, anche atteso che, in ossequio al vecchio brocardo "diligentibus jura succurrunt", una volta che l'interessato viene informato dall'amministrazione degli estremi del provvedimento, ha il preciso onere di tutelare senza indugio i propri interessi legittimi.
Sicché, il ricorso presentato risulta tardivo atteso che, in relazione alle censure svolte nel ricorso ed alla descrizione dei lavori indicata nel cartello di cantiere (che poteva essere agevolmente percepita nella sua potenziale lesività ed illegittimità), i termini per la proposizione del presente ricorso hanno iniziato a decorrere per la parte ricorrente dall'apposizione stessa del cartello, salva poi la possibilità di integrazione delle censure mediante la proposizione di motivi aggiunti di ricorso, secondo gli ordinari schemi del giudizio amministrativo.

- considerato che la parte ricorrente ha impugnato i permessi di costruire n. 006/09 del 21.01.2009 e n. 192/2010 del 29.07.2010 rilasciati dal Comune di Pescara alla società controinteressata per eseguire lavori di ristrutturazione edile su un edificio residenziale; censurando sostanzialmente la circostanza che si sarebbero illegittimamente autorizzate opere di ristrutturazione e sopraelevazione;
- rilevato che, tra i documenti depositati in giudizio, v’è una foto del cartello di cui all’articolo 20, comma 6, d.p.r. n. 380 del 2001, recante, oltre agli estremi del permesso di costruire n. 6 del 2006, anche l’indicazione che i lavori in questione avevano ad oggetto opere di ristrutturazione e sopraelevazione; ed è stata prodotta analoga documentazione fotografica del cartello riguardante il successivo permesso di costruire n. 192 del 29.07.2010;
- considerato che non è contestato che il primo cartello sia stato apposto sin dall’inizio dei lavori, che si devono presumere iniziati, secondo la previsione di legge, entro un anno dal rilascio del titolo;
- che, a fronte di tale circostanza, il ricorso appare notificato solo il 21.06.2012, quindi a distanza di circa 5 anni dall’inizio dei lavori, durante i quali, peraltro, era ben evidente, in quanto dichiarato, il tipo di opere in cantiere, e quindi nessun ulteriore elemento di valutazione può essere scaturito dall’aver atteso l’ultimazione dei lavori stessi, in relazione alle censure proposte (se, come dice la parte ricorrente, non erano percepibili le operazioni dietro la facciata, non si comprende come mai sia stato necessario attendere la fine dei lavori per accedere agli atti ed ai progetti e quindi per verificare documentalmente l’illegittimità poi qui censurata);
- rilevato che, secondo la giurisprudenza, pur decorrendo il termine decadenziale per l'impugnazione dalla piena conoscenza dell'esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistiche o dal contenuto specifico del progetto edilizio (cfr. Consiglio Stato sentenza 10.12.2010, n. 8705; Consiglio Stato sentenza 10.12.2010, n. 8705); tuttavia il principio della certezza delle situazioni giuridiche e di tutela di tutti gli interessati deve far ritenere che il soggetto concessionario non si possa lasciare nella perpetua incertezza sulla sorte del proprio titolo edilizio; e pertanto, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un permesso di costruire, il requisito della piena conoscenza non postula necessariamente la conoscenza di tutti i suoi elementi, essendo sufficiente quella degli elementi essenziali quali l'autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento e degli atti presupposti emergano ulteriori profili di illegittimità (cfr. Consiglio Stato sentenza 12.07.2010, n. 4482); ciò, anche atteso che, in ossequio al vecchio brocardo "diligentibus jura succurrunt", una volta che l'interessato viene informato dall'amministrazione degli estremi del provvedimento, ha il preciso onere di tutelare senza indugio i propri interessi legittimi (Consiglio di Stato sentenza 13.06.2011 n. 3583);
- rilevato conclusivamente che il ricorso è tardivo, atteso che, ad avviso del Collegio, per le considerazioni appena esposte, in relazione alle censure svolte nel ricorso ed alla descrizione dei lavori indicata nel cartello di cantiere (che poteva essere agevolmente percepita nella sua potenziale lesività ed illegittimità), i termini per la proposizione del presente ricorso hanno iniziato a decorrere per la parte ricorrente dall'apposizione stessa del cartello, salva poi la possibilità di integrazione delle censure mediante la proposizione di motivi aggiunti di ricorso, secondo gli ordinari schemi del giudizio amministrativo (cfr. Tar Firenze, n. 594 del 2012) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 07.03.2013 n. 156 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'articolo 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 deve leggersi nel senso che sono tenuti alla dichiarazione sostitutiva di notorietà attestante l'inesistenza di cause di esclusione tutti i soggetti che siano rappresentanti legali e/o titolari di poteri institori ex art. 2203 c.c. della ditta concorrente (e, peraltro, tale obbligo incombe anche in mancanza di un suo espresso richiamo nella lex specialis della gara).
Inoltre, secondo un condivisibile orientamento, l’esigenza di certezza cui è collegato l’obbligo della dichiarazione personale di ciascun rappresentante, peraltro garantita nella sua genuinità da sanzione penale, porta ad escludere che possa considerarsi valevole per tutti la dichiarazione resa da un solo amministratore.

Ai sensi dell’articolo 38 del d.lgs. n.163 del 2006, viceversa, i requisiti di ordine generale devono essere riferiti ad ogni amministratore munito di potere di rappresentanza.
Come noto, alla stregua del prevalente orientamento giurisprudenziale (cfr. Tar Venezia sentenza n. 6069 del 2010), l'articolo 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 deve leggersi nel senso che sono tenuti alla dichiarazione sostitutiva di notorietà attestante l'inesistenza di cause di esclusione tutti i soggetti che siano rappresentanti legali e/o titolari di poteri institori ex art. 2203 c.c. della ditta concorrente (e, peraltro, tale obbligo incombe anche in mancanza di un suo espresso richiamo nella lex specialis della gara).
Inoltre, secondo un condivisibile orientamento, l’esigenza di certezza cui è collegato l’obbligo della dichiarazione personale di ciascun rappresentante, peraltro garantita nella sua genuinità da sanzione penale, porta ad escludere che possa considerarsi valevole per tutti la dichiarazione resa da un solo amministratore (cfr. Tar Molise, sentenza n. 19 del 2009); circostanza che, peraltro, nel caso in esame non si è neanche verificata (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 07.03.2013 n. 154 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento negativo annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione non può essere accolta ove persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità in sede di riesercizio del potere e la parte istante abbia chiesto di essere risarcita dell’intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita al quale aspirava o dalla compressione del diritto ad essa spettante e illegittimamente compresso.
L’illegittimità di un provvedimento amministrativo per vizi procedimentali o, comunque, per carenza o illogicità della motivazione (che non escludono, ma anzi consentono il rinnovato esercizio del potere) comporta, invero, che la richiesta di risarcimento del danno non possa essere valutata se non all’esito della nuova manifestazione di volontà da parte della P.A., poiché la facoltà di rideterminazione immanente in capo al soggetto pubblico esclude la cristallizzazione del rapporto, quale necessario presupposto dell’azione risarcitoria; di conseguenza, la domanda di ristoro del danno, asseritamente causato da un provvedimento inficiato da difetto di motivazione, non può essere accolta ove l’Amministrazione, in sede di rinnovato esercizio del potere, abbia nuovamente negato il bene della vita cui l’istante aspirava con un nuovo provvedimento, che non è stato impugnato.

Ciò chiarito deve anche ricordarsi che la giurisprudenza amministrativa -pronunciandosi in relazione a fattispecie analoghe a quella ora all’esame- ha giù avuto modo di chiarire che la domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento negativo annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione non può essere accolta ove persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità in sede di riesercizio del potere e la parte istante abbia chiesto di essere risarcita dell’intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita al quale aspirava o dalla compressione del diritto ad essa spettante e illegittimamente compresso (cfr. per tutti, Cons. St., sez. III, 26.01.2012, n. 345, Cons. giust. amm. Reg. Sic. 19.12.2011, n.1020, TAR Calabria, sede Catanzaro, sez. I, 03.10.2012, n. 975, TAR Sicilia, sez. Catania, sez. I, 12.04.2012, n. 1005, e TAR Campania, sede Napoli, sez. I, 03.07.2012, n. 3163).
L’illegittimità di un provvedimento amministrativo per vizi procedimentali o, comunque, per carenza o illogicità della motivazione (che non escludono, ma anzi consentono il rinnovato esercizio del potere) comporta, invero, che la richiesta di risarcimento del danno non possa essere valutata se non all’esito della nuova manifestazione di volontà da parte della P.A., poiché la facoltà di rideterminazione immanente in capo al soggetto pubblico esclude la cristallizzazione del rapporto, quale necessario presupposto dell’azione risarcitoria; di conseguenza, la domanda di ristoro del danno, asseritamente causato da un provvedimento inficiato da difetto di motivazione, non può essere accolta ove l’Amministrazione, in sede di rinnovato esercizio del potere, abbia nuovamente negato il bene della vita cui l’istante aspirava con un nuovo provvedimento, che non è stato impugnato TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 07.03.2013 n. 142 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAIl proprietario di un’area o di un fabbricato nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell’autorità preposta è titolare di un interesse legittimo all’esercizio di detti poteri e può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con la conseguenza che il silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere espressamente.
---------------
Nei giudizi sul silenzio, il giudice amministrativo non può andare oltre la declaratoria d’illegittimità dell’inerzia e l’ordine di provvedere, restandogli precluso, ove si tratti di attività discrezionale e l’istruttoria non sia completa, il potere di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere dal richiedente e di sostituirsi all’Amministrazione; di conseguenza, nell’ambito di tale giudizio, il giudice può conoscere dell’accoglibilità dell’istanza nelle sole ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui l’istruttoria sia completa e non debba essere compiuta alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni.

Fatta tale premessa e per passare all’esame della prima delle due richieste avanzate dalla ricorrente sopra riassunto alla lettera a), con la quale la parte istante ha chiesto al Comune di reprimere l’abuso posto in essere dalla Abruzzo Affissioni s.r.l. in sede di realizzazione del cartello pubblicitario in questione, va rilevato che la giurisprudenza amministrativa ha già costantemente chiarito che il proprietario di un’area o di un fabbricato nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell’autorità preposta sia titolare di un interesse legittimo all’esercizio di detti poteri e può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con la conseguenza che il silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere espressamente (Cons. St., sez. IV, 27.04.2012, n. 2468, 18.04.2012, n. 2301, e 02.02.2011, n. 744).
Ciò detto, sembra evidente che il Comune, una volta ricevuta la richiesta della ricorrente del 27.06.2012 avrebbe dovuto attivarsi e fornire una risposta in merito.
Tale risposta è oggi pervenuta in corso di giudizio, per cui il ricorso in parola, per la parte volta a censurare il silenzio serbato dall’Amministrazione è divenuto improcedibile; con nota 29.01.2013, n. 15491, infatti, il Comune, dopo aver effettuato un sopralluogo a mezzo degli organi tecnici, ha comunicato alla ricorrente che il manufatto in questione risultava “posizionato conformemente al titolo abilitativo rilasciato”.
--------------
Va, invero, ricordato che -in base al disposto dell’art. 31, n. 3, del codice- il giudice può pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio “solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’Amministrazione”; tale domanda di accertamento della fondatezza di un’istanza, pertanto, è inammissibile ove sia rivolta a sollecitare l’esercizio di un potere discrezionale od ove siano necessari adempimenti istruttori da compiersi dall’Amministrazione.
In definitiva, nei giudizi sul silenzio, il giudice amministrativo non può andare oltre la declaratoria d’illegittimità dell’inerzia e l’ordine di provvedere, restandogli precluso, ove si tratti di attività discrezionale e l’istruttoria non sia completa, il potere di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere dal richiedente e di sostituirsi all’Amministrazione; di conseguenza, nell’ambito di tale giudizio, il giudice può conoscere dell’accoglibilità dell’istanza nelle sole ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui l’istruttoria sia completa e non debba essere compiuta alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni (Cons. St., sez. IV, 25.09.2012, n. 5088, e 18.09.2012, n. 4942, e sez. V, 14.09.2012, n. 4893)
(TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 07.03.2013 n. 140 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Requisiti del reato di omessa bonifica.
Il reato di cui all'articolo 257 d.lgs. 152/2006 si estingue operando il soggetto che ha causato l'inquinamento la bonifica secondo le disposizioni del progetto approvato dall'autorità competente ai sensi degli articoli 242 ss. dello stesso decreto (la bonifica effettuata secondo tale progetto è pertanto condizione di non punibilità del reato) per cui, a contrario, affinché il reato sussista occorre, oltre ai superamento della soglia di rischio, l'adozione del suddetto progetto di bonifica (tratto da www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.02.2013 n. 9214).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti. Abbandono e responsabilità del proprietario dell'area per culpa in vigilando.
La giurisprudenza che di recente ha esaminato la questione dell'esistenza o meno di un obbligo di garanzia in capo al proprietario in relazione alla fattispecie di cui all'art. 256, commi 1 e 3, d.lgs. 152/2006, superando l'interpretazione che aveva portato ad escluderla non ravvisando il reato nella mera consapevolezza da parte del proprietario dell'abbandono di rifiuti sul fondo da parte di terzi si è espressa nel senso invece dell'esistenza di una culpa in vigilando attribuibile al proprietario che trova corretto fondamento nella funzione sociale della proprietà di cui all'articolo 42 Cost., tenendo conto della natura, appunto, sociale delle norme di tutela dell'ambiente (tratto da www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.02.2013 n. 9213).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Reato di trasporto non autorizzato.
Il reato di trasporto non autorizzato di rifiuti si configura anche in presenza di una condotta occasionale, in ciò differenziandosi dall'art. 260 D.Lgs. 03.04.2006 n. 152, che sanziona la continuità della attività illecita (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.02.2013 n. 9187 - tratto da www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti. Acque provenienti da frantoio.
Integra il reato previsto dall'art. 256, comma secondo, del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, lo smaltimento, lo spandimento o l'abbandono incontrollati delle acque provenienti da un frantoio oleario, potendosi applicare la disciplina prevista dalla legge 11.11.1996, n. 574 soltanto laddove i reflui oleosi vengono impiegati a fini agricoli (tratto da www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 25.02.2013 n. 9011).

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. 31.03.1998 n 112 e del relativo regolamento di cui al D.P.R. 20.10.1998, n. 447, la domanda di autorizzazione alle attività produttive presentata ricomprende tutti gli aspetti urbanistici, edilizi, ambientali, di sicurezza per la pubblica incolumità, di igiene dei luoghi di lavoro ecc. ecc.; ed in conseguenza, ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n 112 cit. la relativa istruttoria ha per oggetto in particolare i profili urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della sicurezza.
L'unica domanda –che può contenere, ove necessario, anche la richiesta di permesso edilizio– deve specificare tutti gli elementi che connotano le produzione e deve essere corredata da autocertificazioni, attestanti la conformità dei progetti alle prescrizioni urbanistiche, della sicurezza degli impianti, della tutela sanitaria e della tutela ambientale.
In conseguenza il provvedimento finale deve valutare -ed autorizzare- tutti gli aspetti specificamente indicati nell’oggetto dell’istanza.

In linea di principio deve rilevarsi che, contrariamente a quanto apoditticamente affermano le appellanti, ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. 31.03.1998 n 112 e del relativo regolamento di cui al D.P.R. 20.10.1998, n. 447, la domanda di autorizzazione alle attività produttive presentata ricomprende tutti gli aspetti urbanistici, edilizi, ambientali, di sicurezza per la pubblica incolumità, di igiene dei luoghi di lavoro ecc. ecc.; ed in conseguenza, ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n 112 cit. la relativa istruttoria ha per oggetto in particolare i profili urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della sicurezza.
L'unica domanda –che può contenere, ove necessario, anche la richiesta di permesso edilizio– deve specificare tutti gli elementi che connotano le produzione e deve essere corredata da autocertificazioni, attestanti la conformità dei progetti alle prescrizioni urbanistiche, della sicurezza degli impianti, della tutela sanitaria e della tutela ambientale.
In conseguenza il provvedimento finale deve valutare -ed autorizzare- tutti gli aspetti specificamente indicati nell’oggetto dell’istanza
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.02.2013 n. 1056 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: L’esposto di un privato diretto a sollecitare l’esercizio di poteri di autotutela si sostanzia in una richiesta di riesame, per la quale non può ritenersi in sé sussistente alcun obbligo per la P.A. di far luogo al preavviso di rigetto qualora il successivo provvedimento sia sostanzialmente confermativo del precedente provvedimento.
Invero, l'art. 10-bis, della L. 07.08.1990 n. 241 in materia di partecipazione procedimentale, non deve essere interpretato in senso formalistico, ma si deve avere riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio: la violazione dell'obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, imposto dal cit. art. 10-bis, è inidonea di per sé a giustificare l'annullamento di un atto, non essendo consentito, ai sensi del successivo art. 21-octies, l'annullamento dei provvedimenti amministrativi, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
In un’ottica funzionale, un importante strumento di partecipazione come l’avviso di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990 non può ridursi né ad mero rituale formalistico, né ad un banale cavillo del tutto disgiunto dalla realtà delle cose. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che non ha potuto incolpevolmente sottoporre all'amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile per assoluta genericità.
Pertanto, solo l’allegazione nel successivo giudizio degli elementi che il privato non ha potuto introdurre nel procedimento per un fatto colposo della P.A. rendono l’istituto un presidio ordinamentale a tutela sia del diritto dell’interessato a rappresentare in sede procedimentale le proprie ragioni; e sia della P.A. a valutare compiutamente tutti gli interessi diretti ed indiretti coinvolti nel procedimento.

L’esposto di un privato diretto a sollecitare l’esercizio di poteri di autotutela si sostanzia in una richiesta di riesame, per la quale non può ritenersi in sé sussistente alcun obbligo per la P.A. di far luogo al preavviso di rigetto qualora il successivo provvedimento sia sostanzialmente confermativo del precedente provvedimento.
La Sezione ha, al riguardo, più volte ricordato che l'art. 10-bis, della L. 07.08.1990 n. 241 in materia di partecipazione procedimentale, non deve essere interpretato in senso formalistico, ma si deve avere riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio: la violazione dell'obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, imposto dal cit. art. 10-bis, è inidonea di per sé a giustificare l'annullamento di un atto, non essendo consentito, ai sensi del successivo art. 21-octies, l'annullamento dei provvedimenti amministrativi, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. Consiglio Stato Sez. IV 28.01.2011 n. 679; Sez. IV 16.02.2012 n. 823).
In un’ottica funzionale, un importante strumento di partecipazione come l’avviso di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990 non può ridursi né ad mero rituale formalistico, né ad un banale cavillo del tutto disgiunto dalla realtà delle cose. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che non ha potuto incolpevolmente sottoporre all'amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile per assoluta genericità (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 09.01.2009, n. 120; Consiglio Stato, sez. VI, 29.07.2008, n. 3786; idem sez. V, 19.03.2007, n. 1307).
Pertanto, solo l’allegazione nel successivo giudizio degli elementi che il privato non ha potuto introdurre nel procedimento per un fatto colposo della P.A. rendono l’istituto un presidio ordinamentale a tutela sia del diritto dell’interessato a rappresentare in sede procedimentale le proprie ragioni; e sia della P.A. a valutare compiutamente tutti gli interessi diretti ed indiretti coinvolti nel procedimento.
Nel caso poi l’infondatezza di tutti i motivi di ricorso ha dimostrato indirettamente che l’esito del procedimento non poteva essere diverso per cui correttamente il giudice di primo grado ha qui valutato il contenuto sostanziale del provvedimento ed ha concluso che per la legittimità dell'atto
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.02.2013 n. 1056 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: In rapporto al concetto di lottizzazione abusiva da tempo messo in luce dalla giurisprudenza, in corretta applicazione dell’art. 18 della legge n. 47/1985, quest’ultimo, sostanzialmente riprodotta dall’art. 30 del d.p.r. n. 380/2001, come è ampiamente noto, “disciplina due differenti ipotesi di lottizzazione abusiva, ossia la prima (c.d. materiale), relativa all'inizio della realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione; la seconda (c.d. formale), che si verifica allorquando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne siano già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita (o altri equipollenti) del terreno in lotti che, per le specifiche caratteristiche, quali la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l'ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, e per gli altri elementi riferiti agli acquirenti, evidenzino in modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio, creando così una variazione in senso accrescitivo tanto del numero dei lotti quanto di quello dei soggetti titolari del diritto sul bene”.
Con un seconda doglianza, gli appellanti fanno carico alla sentenza di aver confermato la legittimità della motivazione addotta dal Comune, di confondere i concetti di lottizzazione materiale e di lottizzazione cartolare e comunque di non indicare gli elementi che integrerebbero la fattispecie lottizzatoria, limitandosi ad una mera trascrizione del testo normativo. Al contrario, secondo gli appellanti, la modestia delle opere edilizie e l’assenza di opere di urbanizzazione sui fondi interessati, come su quelli limitrofi, dimostrerebbero l’assenza dell’abuso contestato.
Tali argomentazioni non ritiene il Collegio possano portare all’accoglimento dell’appello, quanto meno in rapporto al concetto di lottizzazione abusiva da tempo messo in luce dalla giurisprudenza, in corretta applicazione dell’art. 18 della legge n. 47/1985. Quest’ultimo, sostanzialmente riprodotta dall’art. 30 del d.p.r. n. 380/2001, come è ampiamente noto, “disciplina due differenti ipotesi di lottizzazione abusiva, ossia la prima (c.d. materiale), relativa all'inizio della realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione; la seconda (c.d. formale), che si verifica allorquando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne siano già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita (o altri equipollenti) del terreno in lotti che, per le specifiche caratteristiche, quali la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l'ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, e per gli altri elementi riferiti agli acquirenti, evidenzino in modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio, creando così una variazione in senso accrescitivo tanto del numero dei lotti quanto di quello dei soggetti titolari del diritto sul bene” (Cons. di Stato, se. IV, n. 5849/2003).
Cosi riassunto il trattamento normativo della fattispecie astratta, il Collegio osserva anzitutto che la sentenza, nell’avallare la locuzione “lottizzazione giuridica” espressa dall’ordinanza comunale, non confonde affatto la lottizzazione materiale con la lottizzazione formale (e tanto meno crea un terzo e non contemplato genere di lottizzazione abusiva), poiché detta aggettivazione connota in realtà entrambe le tipologie di abuso, nel senso che nelle stesse sono presenti atti qualificati giuridicamente dall’ordinamento.
La pronunzia gravata, inoltre e lungi dal costituire una mera trascrizione del testo normativo, risulta assistita da congrua seppur sintetica motivazione che la correla alla norma di legge, poiché in effetti la fattispecie di lottizzazione contestata dal Comune (e che si pone ben oltre la soglia della semplice recinzione del fondo con contestuale realizzazione di strada sterrata, indicate dai ricorrenti) risponde complessivamente a quella di carattere materiale.
Ed invero, sotto il primo aspetto, concernente la natura delle opere realizzate, l’apposizione di baracche di legno e/o roulottes, non accompagnato dal formale e legittimo esercizio di attività agricola, non permette di invocare la giurisprudenza che ha negato la lottizzazione abusiva nel caso di realizzazione di manufatto a servizio della cennata attività (Cons. di Stato, sez. IV, n. 4465/2003). Parimenti non può sostenersi che la modesta natura delle opere non comporti la trasformazione irreversibile del fondo; tale argomento, esaminabile al fine di argomentare sulla non necessità di concessione edilizia, non può valere per la lottizzazione repressa dall’art. 18, poiché questa è qualificata da modificazioni fisiche anche solo dell’uso dell’area che indipendentemente dalla loro entità si pongano in contrasto con le destinazioni stabilite dal PRG.
Al contrario, attraverso la legittimazione di numerosi, singoli modesti abusi si rischierebbe di avallare una progressiva e complessiva trasformazione di intere aree agricole verso non previsti modelli pararesidenziali e sub-urbani (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.02.2013 n. 1028 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOLe prestazioni nei giorni festivi. Il compenso extra non va al turnista.
Nessuna ulteriore maggiorazione per il turnista che lavora di domenica.

Lo precisa la Corte di Cassazione con la sentenza 12.12.2012 n. 22799.
Nei fatti, un agente di polizia municipale presenta ricorso al giudice per ottenere il pagamento del compenso aggiuntivo previsto dal contratto collettivo nazionale per il lavoro prestato di domenica. Retribuzione extra rispetto a quella già pagata dal Comune per il lavoro nel giorno festivo.
La vicenda giunge in Corte d'appello che, accogliendo le ragioni del Comune, respinge il ricorso del lavoratore. In particolare, la Corte afferma che, in base alle norme contrattuali, l'indennità per il lavoro prestato nel turno è diretta a compensare interamente il disagio derivante dalla particolare articolazione dell'orario di lavoro. Del resto, il riposo settimanale del dipendente, in base alla sua turnazione, cade nel giorno in cui non deve espletare la sua prestazione lavorativa, non necessariamente coincidente con la domenica.
L'agente ricorre in Cassazione evidenziando che le Sezioni unite, con la sentenza 9097 del 2007, hanno affermato il principio della cumulabilità delle due maggiorazioni previste per i lavoratori turnisti. Tuttavia, la Suprema corte, respingendo il ricorso, afferma che l'articolazione del servizio per turni comporta la possibilità che la prestazione ordinaria di lavoro ricada anche di domenica, essendo ciò connaturato alla fisiologia del sistema. In questi casi, il lavoratore non ha diritto alla maggiorazione supplementare prevista dal contratto collettivo per il lavoro prestato nei giorni festivi. In sostanza, il contratto ha già previsto un'indennità per i turnisti che lavorano nel giorno festivo che ricade nel normale turno lavorativo, compensando così interamente il disagio per la particolare articolazione dell'orario di lavoro.
Invece, se il lavoro è prestato nel giorno destinato a riposo settimanale, spetta l'ulteriore maggiorazione contrattuale in aggiunta al riposo compensativo per il mancato riposo (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013).

AGGIORNAMENTO AL 18.03.2013

ã

A proposito degli incarichi legali ...

     Tutti noi (comuni, province, ecc.) siamo dotati del regolamento interno circa le modalità di affidamento della fornitura di beni, servizi e lavori pubblici in economia ex art. 125 del codice dei contratti.
     Andando al sodo, la "comodità" di tale regolamento è quella di poter affidare con un unico preventivo di spesa, sino al limite dei 40.000,00 €, appunto beni, servizi e lavori pubblici. E nell'affidamento dei servizi non è ricompresa, purtroppo, anche la possibilità dell'affidamento di un incarico legale, sebbene possa costare meno dei suddetti 40.000,00 €. E diciamo purtroppo poiché il tavolo di lavoro quotidiano è pieno di "rogne" connotate, più che da rilievi tecnici, da rilievi di ordine giuridico.
     Cerchiamo di spiegarci meglio.
     Gli incarichi legali (esterni all'amministrazione) possono essere suddivisi in due categorie: la prima è quella di rappresentanza e patrocinio legale (detto altrimenti, per resistere in giudizio); la seconda è quella che può essere oggetto di una tripartizione: incarico di studio, incarico di ricerca, incarico di consulenza.
     Ora, circa la prima categoria lo scorso anno è stato chiarito dal Consiglio di Stato (Sez. V, sentenza 11.05.2012 n. 2730) che l'incarico può essere affidato direttamente (senza gara), naturalmente a prescindere dall'importo di spesa per il quale -tra l'altro-  non sussistono problemi di contenimento della spesa (sull'apposito capitolo di bilancio) da un anno all'altro. Circa, invece, la seconda categoria possiamo anzitutto ricordare un passaggio significativo della
Corte dei Conti, Sez. Autonomie (deliberazione 24.04.2008 n. 6) di seguito riportato, che può essere d'aiuto a chiarirci le idee:

PRESUPPOSTI
     Va affermato che il legislatore, positivizzando principi di origine pretoria, segnatamente della giurisprudenza contabile, all’art. 7 del d. lgs. n. 165/2001 ha indicato i presupposti essenziali per il ricorso agli incarichi esterni:
- l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati;
- l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
- la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata (ai sensi dell’art. 3, comma 76, legge 244/2007, di particolare e comprovata specializzazione universitaria);
- devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
     Inoltre, è previsto che le amministrazioni pubbliche disciplinino e rendano pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi e che i regolamenti di cui all’art. 110, co. 6, del d.lgs. n. 267/2000 si adeguino ai principi suindicati.
     Le leggi finanziarie, oltre a fissare precisi limiti di spesa per gli incarichi esterni, hanno rafforzato il regime di trasparenza degli stessi, attraverso l’obbligo della pubblicità e dell’adeguata motivazione, ed il controllo sui medesimi in capo agli organi interni e alla Corte dei conti (legge n. 662/1996, d.l. n. 168/2004, convertito nella legge n. 191/2004, legge n. 311/2004, legge n. 266/2005).
OGGETTO
     Oggetto del regolamento sono materie eterogenee in quanto il comma 56, dell’art. 3, della legge finanziaria 2008, si applica sia agli incarichi di studio, ricerca e collaborazione sia alle consulenze.
INCARICHI DI STUDIO, RICERCA E CONSULENZE
     Ai sensi dell’art. 3, comma 55, della legge finanziaria per il 2008 “l’affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze”, a soggetti estranei all’amministrazione può avvenire solo nell’ambito di un programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. b), T.U.E.L.
     La norma citata comprende un’ampia tipologia di documenti programmatici di competenza del Consiglio; di conseguenza gli incarichi di cui si parla debbono essere previsti nel loro oggetto da documenti programmatici, che scontino con adeguata motivazione la necessità/opportunità di ricorrere all’incarico in relazione agli obiettivi ed ai programmi da attuare.
     Com’è noto il d.L. n. 168/2004, convertito nella legge n. 191/2004, ha distinto tre tipologie di incarichi esterni: di studio, di ricerca, di consulenza.
     La Corte dei conti SS.RR. in sede di controllo (delib. n. 6 del 15.02.2005) ne ha fornito una definizione: per gli incarichi di studio, il riferimento è all’art. 5 D.P.R. n. 338/1994 che richiede sempre la consegna di una relazione scritta; gli incarichi di ricerca presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione; le consulenze si sostanziano nella richiesta di un parere ad un esperto esterno.
     Il tratto che accomuna le differenti tipologie è, secondo le SS.RR., la sostanziale riconducibilità di tali fattispecie alla categoria del contratto di lavoro autonomo, più precisamente al contratto di prestazione d’opera intellettuale ex artt. 2229-2239 c.c. In particolare gli incarichi di studio possono essere conferiti a soggetti particolarmente qualificati nella materia. Essi debbono avere ad oggetto materie di interesse del soggetto che li conferisce, avere durata certa e concludersi con la presentazione di elaborati espositivi dei risultati dello studio o della ricerca. Tutti questi elementi debbono risultare dall’atto di conferimento dell’incarico di studio, che regola il rapporto tra soggetto conferente ed incaricato.
MATERIE ESCLUSE DALLA DISCIPLINA
    
Le disposizioni regolamentari non trovano applicazione a quelle materie, come l’appalto di lavori o di beni o di servizi, di cui al d.lgs. n. 163/2006 (cosiddetto “codice dei contratti pubblici”). Infatti, secondo la giurisprudenza amministrativa consolidata (da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 263/2008) l’incarico professionale (di consulenza, studio o ricerca) in linea generale si configura come contratto di prestazione d’opera ex artt. 2222-2238 c.c. riconducibile al modello della locatio operis, rispetto al quale assume rilevanza la personalità della prestazione resa dall’esecutore.
     Concettualmente distinto rimane, pertanto, l’appalto di servizi, il quale ha ad oggetto la prestazione imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con organizzazione strutturata e prodotta senza caratterizzazione personale.
     Con riferimento, poi, all’incarico conferito ad un libero professionista, avvocato esterno all’Amministrazione, va distinta l’ipotesi della richiesta di una consulenza, studio o ricerca, destinata sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto alla rappresentanza e patrocinio giudiziale.
     La prima ipotesi rientra sicuramente nell’ambito di previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il 2008.
     La seconda, invece, esorbita concettualmente dalla nozione di consulenza, e quindi ad essa non potrà applicarsi la disciplina della legge finanziaria per il 2008 sopra indicata.
     Peraltro, appare possibile ricondurre la rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20 del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione).

     Orbene, ciò premesso recentemente la Corte dei Conti, Sez. di controllo della Lombardia, ha reso il sotto riportato parere in materia di regolamento interno relativo al conferimento di incarichi a soggetti esterni che merita di essere attentamente letto.

INCARICHI PROFESSIONALI: Dall’esame del Regolamento comunale di organizzazione degli uffici e dei servizi, relativo al conferimento di incarichi a soggetti esterni, adottato dal Comune di Arconate (Mi), la Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la Lombardia accerta la parziale difformità del citato atto dai criteri enunciati dalla Sezione con le delibere 37/2008, 224/2008 e 37/2009/INPR.
La criticità rilevata dalla Sezione si pone in contrasto con la necessità di garantire adeguata pubblicità alla procedura comparativa, così come previsto dalla legge (art. 7, comma 6-bis, D.Lgs. n. 165/2001): nel dettaglio, l’art. 6 permette il conferimento di incarichi, del valore non superiore a 10mila euro, mediante mera valutazione dei requisiti in possesso dei professionisti iscritti in predeterminate liste di accreditamento, formate ai sensi del successivo art. 9. Come invece evidenziato dalla giurisprudenza della Sezione, il conferimento dell’incarico deve essere sempre preceduto da procedure comparative adeguatamente pubblicizzate (né è possibile richiamare, per analogia, la disciplina in tema di affidamento diretto, posta dal D.Lgs. n. 163/2006, per gli appalti di lavori, servizi e forniture).
Può prescindersi dalla previa effettuazione di adeguate forme di pubblicità, solo in circostanze particolari, esemplificate nelle sopra richiamate delibere. Di conseguenza, ove per la limitatezza dell’importo, l’Amministrazione ritenga di procedere mediante la valutazione dei requisiti e dei curriculum di professionisti preventivamente iscritti in liste di accreditamento, la formazione di queste ultime deve necessariamente essere rispettosa dei principi di adeguata pubblicità, con conseguente formazione e aggiornamento almeno annuale.
Non pare inoltre possibile prescindere, anche nell’ipotesi di incarichi inferiori ai 10mila euro, dall’invito di un numero congruo di concorrenti.

La Sezione dispone pertanto che la presente deliberazione sia trasmessa al Sindaco e al Presidente del Consiglio comunale del Comune di Arconate, al fine di procedere alle necessarie integrazioni e modifiche del predetto Regolamento.

---------------
La legge finanziaria per il 2008 (L. 24.12.2007, n. 244), nel dettare le regole alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione, ha previsto la necessaria emanazione, da parte di ciascun ente locale, di norme regolamentari, da trasmettere alla competente Sezione regionale della Corte dei conti entro trenta giorni dall’adozione (obbligo esteso all’ipotesi di modifiche future ai testi già approvati).
Questa Sezione ha individuato, con il
parere 11.03.2008 n. 37 e parere 06.11.2008 n. 224, i criteri interpretativi della normativa al fine di stabilire, nell’esame dei regolamenti pervenuti, parametri di verifica uniformi, nonché l’alveo giuridico in cui si sostanzia la funzione di controllo.
Il comma 57 dell’art. 3 della legge n. 244/2007 obbliga gli enti a trasmettere alla Corte dei conti le disposizioni regolamentari inerenti gli incarichi di collaborazione esterna, a qualunque titolo affidati. In base al dato testuale, l’efficacia delle disposizioni regolamentari non è subordinata al loro esame da parte della Corte, che non è chiamata ad effettuare un controllo preventivo di legittimità ma, nella logica di sistema, la trasmissione è da ritenere finalizzata all’esercizio delle competenze tipiche della magistratura contabile.
Al riguardo, necessario punto di partenza è la considerazione che la funzione principale delle Sezioni regionali della Corte dei conti rispetto agli enti locali è l’esercizio di un controllo di natura “collaborativa” nell'ambito del quale il legislatore, come ha riconosciuto la Corte costituzionale, è libero di assegnare qualsiasi competenza, purché vi sia un fondamento costituzionale rinvenibile, in base ad una lettura adeguatrice, rispetto al nuovo assetto della Repubblica, delle norme originariamente dettate per lo Stato, quali gli artt. 100, 81, 97, primo comma, e 28 della Costituzione (cfr. sentenza Corte cost. n. 179/2007).
In questo quadro, l’obbligo di trasmissione alla Corte dei conti di atti e documenti, da parte degli enti locali, non può essere fine a se stesso, ma deve essere finalizzato allo svolgimento di specifiche funzioni, come messo in luce dalla Sezione in più occasioni (per tutte, la deliberazione n. 11 del 26.10.2006).
La trasmissione dei regolamenti deve ritenersi pertanto strumentale al loro esame e ad un’eventuale pronuncia della Sezione regionale. Questa forma di controllo è ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità, dovendosi assumere a parametro delle disposizioni regolamentari lo statuto dell’ente, i limiti normativi di settore (in particolare l’art. 7 del d.lgs n. 165/2001 e l’art. 110 del d.lgs. n. 267/2000), oltre ad ogni altra disposizione legislativa che contenga indicazioni, anche di natura finanziaria, riferite a questa materia.
Fissati i parametri di raffronto, occorre verificare quali siano gli effetti del controllo.
Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale, ricostruendo il quadro complessivo dell’attività di controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti locali, ha ritenuto ascrivibile al riesame di legalità e regolarità (alla stessa maniera delle verifiche previste dall’art. 1, comma 166 e seguenti, della legge n. 166/2005) anche il controllo ex art. 3, comma 57, della legge n. 244/2007, che ha la caratteristica, in una prospettiva non più statica (come era il tradizionale controllo di legalità) ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo all’adozione di misure correttive.
Lo strumento per raggiungere siffatto risultato, in una tipologia di controllo di natura collaborativa, può essere individuato nell’applicazione dell’iter procedurale dettato dall’art. 1, comma 168, della legge n. 266/2005 (ora abrogato dall’art. 3, comma 1-bis, del d.l. n. 174/2012, convertito con legge n. 213/2013 e sostituito dal nuovo art. 148-bis del TUEL, introdotto dall’art. 3 del citato d.l. n. 174/2012), norma che prevede specifiche pronunce da indirizzare all’ente controllato, rimettendo ad esso l’adozione delle necessarie misure correttive, nonché la vigilanza sull’effettiva adozione delle misure stesse.
Con il
parere 11.02.2009 n. 37 la Sezione ha stabilito alcuni criteri omogenei per l’esame dei regolamenti trasmessi dai Comuni in materia di affidamento di incarichi di collaborazione e consulenze. Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività, la Sezione ha richiamato le proprie precedenti deliberazioni nn. 37/2008 e 224/2008 ed individuato i seguenti principi:
1) la disciplina dettata dall’art. 3, commi da 54 a 57, della legge n. 244/2007 stabilisce l’obbligo di normazione regolamentare di limiti, criteri e modalità di affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione. La competenza ad adottare i regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, e art. 42, secondo comma, lett. A del T.U.E.L.);
2) l’art. 46 del d.l. n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008, ha unificato gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia generale di collaborazione autonoma, tutti caratterizzati dal grado di specifica professionalità richiesta. Questi presupposti li distinguono dalle collaborazioni “normali”, il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente;
3) quanto alla locuzione “particolare e comprovata specializzazione universitaria”, questa Sezione ha già chiarito, con il
parere 12.05.2008 n. 28 ed il parere 12.05.2008 n. 29, che con essa si intende il possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario, basato su conoscenze specifiche inerenti il tipo di attività professionale oggetto dell’incarico. La specializzazione richiesta, per essere “comprovata”, deve essere oggetto di accertamento in concreto condotto sull’esame di documentati curriculari. Il mero possesso formale di titoli non sempre è sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste capacità professionali;
4) il nuovo testo dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 richiede, come presupposti di legittimità, tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio. In particolare, quello della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente comporta che si possa ricorrere a contratti di collaborazione solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge, oltre che previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42 del d.lgs n. 267/2000;
5) il comma 3 dell’art. 46 del d.l. 112/2008 ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo. È pertanto necessario accertare, in sede di conferimento, l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite;
6) quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome, si richiamano le considerazioni contenute nel punto 6 della deliberazione di questa Sezione n. 37/2008 dell'11.03.2008 sull’inapplicabilità della disciplina a materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico professionale ed appalto di servizi;
7) il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale, adeguatamente pubblicizzate. In proposito si è posto il problema del se, ed in quali limiti, sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico. In taluni casi, le amministrazioni fanno riferimento ai limiti previsti nel Codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 163/2006.
Tuttavia, la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri. Deve invece affermarsi che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale;
8) l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione, in particolare: oggetto della prestazione, durata, modalità di determinazione del corrispettivo, termini di pagamento, verifiche del raggiungimento del risultato (indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo);
9) in ogni caso, tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere o determinazioni di incarico;
10) nel regolamento deve essere espressamente precisato che le società partecipate debbono osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per gli enti cui appartengono, nonché i criteri per il controllo dell’ente locale sulla relativa osservanza
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 19.02.2013 n. 59).

QUINDI ??

     Quindi, per andare al sodo della questione, laddove sia necessario conferire un incarico legale esterno alla p.a. (di studio, di ricerca, di consulenza) non è possibile farlo con un solo preventivo di spesa, anche se di modico importo, ma bisogna confrontare più offerte.
     Invero, la suddetta Corte dei Conti (Sez. controllo Lombardia, parere 19.02.2013 n. 59) offre la possibilità di una scappatoia laddove si sostiene quanto segue: "Si può prescindere dalla previa effettuazione di adeguate forme di pubblicità solo in circostanze particolari, come per esempio una procedura concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo o l’assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza".
     E se la regola è quella di espletare la gara (tranne l'eccezione come sopra ricordata), comunque, per questa seconda categoria di incarichi legali -differentemente dalla prima, sussiste il limite di spesa annuale siccome disposto dall'art. 6, comma 7, del D.L. n. 78/2010 (convertito dalla Legge n. 122/2010) il cui testo così recita: "7. Al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni,
a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31.12.2009 n. 196, incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati nonché gli incarichi di studio e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario, non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009. L'affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle attività sanitarie connesse con il reclutamento, l’avanzamento e l’impiego del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.".
18.03.2013 - LA SEGRETERIA PTPL

dite la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

EDILIZIA PRIVATA: M. Bottone, IL RISCHIO IDROGEOLOGICO DEL PIANO CASA CAMPANIA - Viaggio nella terra di Fantàsia, dove "non è" quel che è (17.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: R. Lasca, QUALE GUERRA ALLA CORRUZIONE NELLE PP.AA. ITALIANE E NEGLI ENTI LOCALI IN PARTICOLARE? - “Salvate il soldato…… Segretario Generale” Ovvero: “Est modus in rebus” ! (13.03.2013).

LAVORI PUBBLICI: L. Bellagamba, La sponsorizzazione ordinaria e quella nel settore dei beni culturali - Il D.M. 19.12.2012 (13.03.2013 - ricevuto da e tratto da www.linobellagamba.it).

PUBBLICO IMPIEGO: R. Lasca, PUBBLICO DIPENDENTE PERICOLOSO E PARASSITA ANCHE QUANDO LAVORA GRATUITAMENTE IN AMBITO EXTRAISTITUZIONALE? Sì: questa la curiosa novità stando alle modifiche apportate dalla L. 190/2012 all’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001 ! (07.03.2013).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

VARI: Oggetto: Compendio di normativa sull’autotrasporto. Edizione num. 2 – anno 2013 (ANCE Bergamo, circolare 15.03.2013 n. 79).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Oggetto: Compendio di normativa ambientale. Edizione num. 3 – anno 2013 (ANCE Bergamo, circolare 15.03.2013 n. 78).

PUBBLICO IMPIEGOOggetto: Articolo 4, comma 24, lettera a), Legge 28.06.2012 n. 92 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”: diritto del padre al congedo obbligatorio e al congedo facoltativo, alternativo al congedo di maternità della madre (circolare 14.03.2013 n. 40 - link a www.inps.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Oggetto: Valorizzazione dei periodi di aspettativa per nomina ad assessore regionale (circolare 14.03.2013 n. 39 - link a www.inps.it).

PUBBLICO IMPIEGO: In tema di organo competente a nominare il responsabile della prevenzione della corruzione nei comuni (Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche - Autorità Nazionale Anticorruzione, delibera 13.03.2013 n. 15/2013).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Linee di indirizzo del Comitato interministeriale (d.p.c.m. 16.01.2013) per la predisposizione, da parte del Dipartimento della funzione pubblica, del PIANO NAZIONALE ANTICORRUZIONE di cui alla legge 06.11.2012, n. 190 (linee di indirizzo 13.03.2013).

ENTI LOCALI - VARI: OGGETTO: Riduzione di costo per gasolio e GPL impiegato in particolari zone geografiche. DECRETO 20.12.2012 recante revisione del decreto 09.03.1999 (ANCI, nota di indirizzi 12.03.2013).

TRIBUTI: OGGETTO: Rapporti tra l’IMU e le imposte sui redditi - Chiarimenti (Agenzia delle Entrate, circolare 11.03.2013 n. 5/E).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Requisiti e procedimento per la nomina dei componenti degli Organismi indipendenti di valutazione (OIV) (Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche - Autorità Nazionale Anticorruzione, delibera 27.02.2013 n. 12/2013).

SINDACATI

ENTI LOCALI: Corte dei Conti - La fondazione strumento inadatto per gestire servizi (CGIL-FP di Bergamo, nota 09.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGO: RAPPORTO DI LAVORO - Si riporta di seguito un interessante articolo di S. Allegretti apparso sul numero 1-2/2013 di Guida al Pubblico Impiego riguardante le modalità di certificazione dei permessi per malattia del bambino, materia questo che spesso da luogo ad incomprensioni e vivaci polemiche negli enti ... (CGIL-FP di Bergamo, nota 09.03.2013).

UTILITA'

ENTI LOCALI: Nota ANCI sulla Riduzione di costo per gasolio e GPL impiegato in particolari zone geografiche.
Il nuovo provvedimento entrerà in vigore il 7 aprile p.v. e, pertanto, sarebbe necessario ed auspicabile che le amministrazioni comunali interessate si attivassero per adottare le citate delibere in tempi brevi
ANCI ha pubblicato una nota di indirizzi per le amministrazioni comunali interessate dal nuovo Decreto al fine di sensibilizzarle sulla necessità che -laddove presentino frazioni non metanizzate- approvino in tempi brevi le relative delibere di Consiglio al fine di consentire ai cittadini di continuare a godere della riduzione di costo senza soluzioni di continuità.
Si evidenzia che il nuovo provvedimento entrerà in vigore il 7 aprile p.v. e, pertanto, sarebbe necessario ed auspicabile che le amministrazioni comunali interessate si attivassero per adottare le citate delibere in tempi brevi.
In allegato pubblichiamo anche la normativa citata nella nota ed una nota dell'Agenzia delle Dogane del 2010 che chiarisce il concetto di frazione non metanizzata ai fini del godimento dell'agevolazione fiscale su GPL e gasolio (13.03.2013 - link a www.anci.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATA: J. Cortinovis, A. Galbiati e L. Spallino, Impianti di telefonia mobile: legislazione, giurisprudenza, dottrina, schema rilascio n.o. paesaggistico (digesto di normativa e giurisprudenza in tema di impianti di telefonia mobile aggiornato al 13.03.2013) (link a http://www.studiospallino.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il trattamento fiscale degli impianti fotovoltaici (inserto ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

VARI: GUIDA ALLE AGEVOLAZIONI FISCALI PER I DISABILI (Agenzia delle Entrate, marzo 2013).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: G.U. 12.03.2013 n. 60 "Approvazione delle norme tecniche e linee guida in materia di sponsorizzazioni di beni culturali e di fattispecie analoghe o collegate" (Ministero per i Beni e le Attività Culturali, decreto 19.12.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 11 dell'11.03.2013, "Pubblicazione ai sensi dell’articolo 5 del regolamento regionale 21.01.2000, n. 1, dell’elenco dei tecnici competenti in acustica ambientale riconosciuti dalla Regione Lombardia alla data del 28.02.2013, in attuazione dell’articolo 2, commi 6 e 7, della legge 26.10.1995, n. 447 e della deliberazione 06.08.2012, n. IX/3935" (comunicato regionale 28.02.2013 n. 23).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 08.03.2013 n. 57 "Revisione del decreto 09.03.1999 in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 8, comma 10, lettera c), della legge 23.12.1998, n. 448 e successive modificazioni - Agevolazioni «zone montane»" (Ministero dell'economia e delle Finanze, decreto 20.12.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI SERVIZI: Costo orario del lavoro dei dipendenti da imprese e società esercenti servizi ambientali (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, decreto 26.02.2013).
--------------
L'art. 1 così recita: "Il costo orario dei dipendenti da imprese e società esercenti servizi ambientali, è determinato, per il settore pubblico, con riferimento ai CCNL aventi come parte datoriale FEDERAMBIENTE, a valere dal mese di ottobre 2012; è aggiornato, per il settore privato, con riferimento ai CCNL aventi come parte datoriale ASSOMBIENTE -Sezione Rifiuti Urbani-, a valere dai mesi di aprile, settembre ed ottobre 2012".

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: Cambio destinazione d'uso in Lombardia - Commento al parere della Regione Lombardia del 10.01.2013 (16.03.2013 - link a http://ufficiotecnico2012.blogspot.it).

EDILIZIA PRIVATA: J. Cortinovis, Vani tecnologici e compatibilità paesaggistica (13.03.2013 - link a http://studiospallino.blogspot.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Acquasaliente, I parcheggi interrati della legge Tognoli non si possono realizzare in zona agricola (11.03.2013 - link a http://venetoius.it).

APPALTI: A. Caroselli, L’Affidamento diretto tra vincoli comunitari e principio di discrezionalità (05.03.2013 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Curatore del fallimento.
Domanda
Sussiste un obbligo del curatore del fallimento di provvedere allo smaltimento dei rifiuti industriali dell'impresa fallita?
Risposta
Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Toscana, con la sentenza del 01.08.2001, numero 1318, ebbe ad affermare che i rifiuti prodotti dall'imprenditore fallito non costituiscono beni da acquisire alla procedura fallimentare e, quindi, non formano oggetto di apprensione da parte del curatore. «Comunque», aggiungono i giudici toscani, «dovendosi rilevare che, esclusa la legittima sussumibilità dei rifiuti stessi nel compendio fallimentare (rispetto alla quale potrebbero venire in considerazione eventuali profili di responsabilità di carattere meramente gestorio in capo al curatore), non viene individuato, nell'ordine di ripristino sottoposto all'esame di questo Collegio, alcun ambito di univoca, autonoma e chiara responsabilità dei curatori stessi ai fini dell'abbandono dei rifiuti onde trattasi (dandosi al contrario, atto, almeno implicitamente, della collocazione temporale della derelizione di questi ultimi a epoca antecedente l'apertura della procedura fallimentare».
Il Consiglio di stato, con la sentenza del 29.07.2003, numero 4328, affermò, che il riferimento alla disponibilità giuridica degli oggetti, qualificati dal comune come rifiuti inquinanti, non è sufficiente per imporre l'adempimento di un obbligo gravante sull'impresa fallita. Il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti. Infatti, la curatela fallimentare non subentrare negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito.
Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) dell'Abruzzo, con la sentenza del 10.03.2005, numero 398, confermò che i diritti e gli obblighi della società fallita non possono essere assunti immediatamente dal curatore che, quale organo ausiliare del giudice è figura che persegue l'interesse pubblico della composizione del dissesto degli imprenditori commerciali, per cui difetta di legittimazione passiva rispetto agli oneri imposti dal comune.
Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Lombardia, con la sentenza del 10.05.2005, numero 1159, ebbe a sottolineare l'insussistenza di alcun obbligo del curatore del fallimento di provvedere allo smaltimento dei rifiuti industriali dell'impresa fallita (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

ENTI LOCALI: Canoni di locazione passiva.
Domanda
Da quando decorre il divieto di revisione dei canoni di locazione passiva previsto dal decreto legge «Spending review»?
Risposta
L'art. 3 del decreto legge n. 95 del 06.07.2012 «Spending review», così come convertito dalla legge n. 135 del 07.08.2012, al comma I prevede che: «In considerazione dell'eccezionalità della situazione economica e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, per gli anni 2012, 2013 e 2014, l'aggiornamento degli indici Istat, previsto dalla normativa vigente non si applica al canone dovuto dalle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione_ per l'utilizzo in locazione passiva di immobili per finalità istituzionali».
In sostanza la disposizione prevede che, laddove le pubbliche amministrazioni siano conduttrici di immobili di proprietà di terzi (si versi quindi in regime di «locazione passiva») per lo svolgimento di finalità istituzionali, per gli anni 2012, 2013, 2014, al canone di locazione dovuto non si applica l'aggiornamento Istat previsto dalla normativa vigente.
All'attuazione pratica della disposizione è sorta la problematica oggetto del presente quesito. Sul punto la Corte dei conti, sezione di controllo per l'Emilia-Romagna, con determinazione 14.11.2012 n. 472, ha precisato che il divieto di revisione dei canoni di locazione passiva non può che decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto «spending review», ovvero dal 07.07.2012. Tale conclusione è anche confermata dalla relazione tecnica al citato decreto (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Parco eolico.
Domanda
Cosa deve intendersi per parco eolico?
Risposta
Il parco eolico, come affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza del 07.02.2012, depositata il 14.03.2012, è dato da un insieme di aerogeneratori, quali pale eoliche o torri, localizzati in un territorio delimitato e interconnessi tra loro che producono energia elettrica sfruttando la forza del vento, allo stesso modo in cui le turbine idrauliche trasformano in energia la forza dell'acqua nelle comuni centrali idroelettriche.
Pertanto, il parco eolico assolve a una funzione assolutamente analoga a quella di una centrale idroelettrica, salvo la diversa fonte naturale (vento in un caso, acqua nell'altro) dalla cui forza è derivata per effetto delle turbine l'energia elettrica prodotta.
A esso può essere applicato il contenuto della sentenza della Corte costituzionale numero 162, del 2008, che investita della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1-quinquies del decreto legislativo del 31.03.2005, numero 44, convertito dalla legge 31.05.2005, numero 88, ebbe ad affermare che «il legislatore ha inteso risolvere il contrasto interpretativo con riferimento alle centrali elettriche (che si era determinato nella giurisprudenza della Corte di cassazione), senza innovare il concetto di immobile per incorporazione, quale emergente dalla normativa esistente ed evidenziata dalla giurisprudenza in precedenza richiamata. L'unico effetto (articolo 1-quinquies del decreto legislativo del 31.03.2005, numero 44) è quello di considerare immobili le centrali elettriche, senza alcuna possibilità per il giudice di fornire una diversa interpretazione, ma non anche quello di escludere dal novero degli immobili per incorporazione le altre costruzioni pure se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. L'articolo 1-quinquies, quindi, non ha creato un regime particolare per le centrali elettriche, ma, anzi, ha riportato le stesse nell'ambito della tipologia di beni cui sono state sempre accomunate, come, tra l'altro, gli altiforni, i carri-ponte, i grandi impianti di produzione di vapore, eliminando qualsiasi dubbio sorto sulla determinazione della rendita catastale delle stesse» (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Ecomafie.
Domanda
In materie di discariche abusive, il regime sanzionatorio risulta inasprito?
Risposta
La legge 13.08.2010, numero 136, relativa al piano straordinario contro le mafie, con l'articolo 11, ha inserito la fattispecie di cui all'articolo 260 del decreto legislativo numero 2006, concernente le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, nel novero dei reati contemplati dall'articolo 51, comma 3-bis del codice di procedura penale. Con detta disposizione, il legislatore vuole reprimere le cosiddette «ecomafie», che, con condotte clandestine e occulte, quali la realizzazione di discariche abusive e non controllate di rifiuti tossici e non su aree, sempre più diffuse, del territorio nazionale, determinano un grave impatto ambientale e un grave pregiudizio per l'ecosistema.
Ora, in tema, la Corte di cassazione, sezione III penale, già in precedenza, con la sentenza del 06.10.2005, numero 40828, aveva affermato che la nozione giuridica di condotta abusiva, di cui all'articolo 53-bis del decreto legislativo numero 22 del 1997, comprende, come attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti, oltre a quella clandestina, cioè a quella effettuata senza alcuna autorizzazione, e quella avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientrante nel titolo abilitativo, anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui si esplicano, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente autorità amministrativa.
E la stessa Corte di cassazione, sezione III penale, con altra sentenza del 03.03.2010, numero 8299, ha puntualizzato che: «L'avverbio “abusivamente” di cui al primo comma dell'articolo 260 del decreto legislativo numero 152, del 2006, si riferisce a tutte le attività non conformi ai precisi dettati normativi svolte nel delicato settore della raccolta dei rifiuti pericolosi e non analiticamente disciplinato dalla normativa» (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

TRIBUTI: Imu per agricoltori.
Domanda
I coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli devono presentare la dichiarazione Imu? Sempre, cioè in qualsiasi caso?
Risposta
Come precisato dal Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento delle finanze-Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale, con la risoluzione n. 2/DF del 18.01.2013: «Se i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali avevano già dichiarato tale condizione soggettiva ai fini Ici, e nell'ipotesi in cui questa continua a persistere anche in vigenza dell'Imu, detti soggetti non sono, ovviamente, tenuti a presentare nuovamente la dichiarazione Imu, dal momento che il comune è già in possesso delle informazioni necessarie per il riconoscimento delle agevolazioni previste dalla legge, vale a dire il moltiplicatore di cui al c. 5 dell'art. 13 del dl n. 201/2011 e la cosiddetta franchigia di cui successivo comma 8-bis» (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Diritto di critica.
Domanda
L'esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro quali limiti incontra?
Risposta
L'esercizio, da parte del lavoratore, del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale, imposti dall'esigenza, anch'essa costituzionalmente assicurata (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana. Ne consegue che, ove tali limiti siano superati p.e. con riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

CORTE DEI CONTI

ATTI AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI: Va escluso che la disciplina innovativa del 2012 (D.L. 10.10.2012 n. 174 convertito in legge 07.12.2012 n. 213) assegni al Segretario comunale un ruolo nel sistema dei controlli tale da porlo in situazione di incompatibilità.
Invero, i nuovi compiti di direzione e di trasmissione delle risultanze del controllo assegnati dalla novella al Segretario, unitamente a quelli della trasmissione alla Sezione del controllo della relazione semestrale del Sindaco, contenente il referto ex art. 148, comma 1, non configurano ipotesi di incompatibilità, tenuto anche conto della “(…) concomitante autonomia normativa, organizzativa e regolamentare riconfermata dal Legislatore in capo agli enti locali, ovvero, alla possibilità loro rimessa di selezionare la concreta articolazione delle modalità dei controlli, da calibrare anche con riferimento alle caratteristiche dimensionali dei diversi enti, in modo che si possano evitare eventuali ipotesi di incompatibilità.”.

---------------
Il Sindaco del Comune di Nuxis domanda se alla luce della nuova normativa (v. D.L. 10.10.2012 n. 174 convertito in legge 07.12.2012 n. 213), che ha inciso anche sulle disposizioni in materia di controlli interni ed esterni di cui al D.Lgs. 267/2000, si configuri incompatibilità per il Segretario comunale titolare degli incarichi di responsabilità di servizi/settori/aree -allo stesso attribuiti ai sensi del richiamato D.Lgs. 267/2000- e le competenze di cui è investito in materia di controlli.
...
4. A fondamento dell’ipotetico contrasto interpretativo ora sollevato, il Comune adduce il fatto che il Segretario comunale, eventualmente incaricato della responsabilità dirigenziale di servizi o settori, rivestirebbe contemporaneamente il compito di controllore e controllato, presentando conseguenti profili di incompatibilità, dovendosi successivamente far carico dei compiti espressamente previsti ora dal novellato art. 148 D.Lgs. 267/2000 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). In effetti, nel caso in cui l’ente sia sprovvisto di dirigenti o di responsabili dei servizi, le relative funzioni possono essere conferite al Segretario, tenuto in tal caso ai pareri di responsabilità tecnico-amministrativa (ai sensi degli art. 49, 107, 108 e 109 del TUEL).
5. Nel merito della richiesta formulata dal Comune, cosi come rilevato dal Consiglio delle Autonomie locali, la Sezione non ravvisa la sussistenza di contrasto interpretativo tra l’applicazione della disposizione di cui all’art. 97, comma 4, lett. d) (che reca la disciplina del ruolo e funzioni dei Segretari comunali e provinciali e al richiamato comma autorizza il Sindaco o il Presidente della provincia al conferimento di ogni altra funzione a termini di statuto o regolamenti) e delle disposizioni, così come ora innovate, di cui al capo III e capo IV del cit. T.U. 267/2000 (rispettivamente dedicate alla tipologia dei controlli interni e ai controlli esterni sulla gestione).
Inoltre, si fa osservare che, limitatamente ai profili sopra delineati, l’assetto di attribuzione di compiti/funzioni in capo ai Segretari e ai Dirigenti non viene interessato dal recente D.L. 174/2012. Viceversa, la nuova normativa detta, tra le altre, disposizioni di rafforzamento dei controlli per gli enti locali, prescrivendo l’adozione e l’operatività -entro tre mesi dalla sua entrata in vigore- di apposito regolamento che definisca strumenti e modalità di controllo interno, disegnando puntualmente detti strumenti e modalità e riscrivendo gli art. 147 e seguenti del T.U. 267/2000 e disegna nuove articolazioni delle tipologie di controllo (v. art. 3, comma 1, lett. d), e comma 2 cit. D.L. 174/2012).
6. Il novellato art. 147 del TUEL (tipologia dei controlli interni), comma 4, prevede che partecipano all’organizzazione del sistema dei controlli interni il segretario dell’ente, il direttore generale, laddove previsto, i responsabili dei servizi e le unità di controllo, laddove istituite. Dall’art. 147-bis vengono, poi, modulate articolazioni del controllo di regolarità amministrativo contabile, in via preventiva assicurato dai pareri di conformità dei responsabili dei servizi, compreso il servizio finanziario, in via successiva assicurato proprio dalla direzione del Segretario. <<Le risultanze del controllo di cui al comma 2 sono trasmesse periodicamente, a cura del segretario, ai responsabili dei servizi, unitamente alle direttive cui conformarsi in caso di riscontrate irregolarità, nonché ai revisori dei conti e agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti, come documenti utili per la valutazione, e al consiglio comunale>>.
7. In conseguenza, i nuovi compiti di direzione e di trasmissione delle risultanze del controllo finora esaminati, unitamente a quelli della trasmissione alla Sezione del controllo della relazione semestrale del Sindaco, contenente il referto ex art. 148, comma 1, previsti a carico del Segretario comunale, non può ritenersi che configurino ipotesi di contabilità secondo le previsioni ipotizzate dal Legislatore, contrariamente alle perplessità manifestate dal comune di Nuxis.
Ciò anche in considerazione della concomitante autonomia normativa, organizzativa e regolamentare riconfermata dal Legislatore in capo agli enti locali, ovvero, alla possibilità loro rimessa di selezionare la concreta articolazione delle modalità dei controlli, da calibrare anche con riferimento alle caratteristiche dimensionali dei diversi enti, in modo che si possano evitare eventuali ipotesi di incompatibilità (Corte dei Conti, Sez. controllo Sardegna, parere 15.03.2013 n. 28).

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALIConsulenti al palo. Solo incarichi di valenza politica. Giro di vite della Corte dei conti sulle regioni.
I consigli regionali rispondono alla Corte dei conti nel caso in cui conferiscano incarichi di consulenza non pertinenti alla loro funzione «politica».
La sentenza della Corte dei Conti, Sez. I giurisdizionale centrale, sentenza 07.03.2013 n. 190, stringe le maglie dei controlli sulle assemblee legislative regionali, fornendo grazie alla riforma dei controlli, il dl 174/2012, convertito in legge 213/2012, un'interpretazione innovativa sulla presunta insindacabilità delle decisioni dei consigli.
La sentenza, accogliendo l'appello presentato dalla procura della Basilicata avverso la decisione del giudice di prime cure, smonta dalle radici la presunzione molto radicata negli organi legislativi delle regioni di essere sostanzialmente al di fuori di ogni controllo sul loro operato. Occasione del contendere era stata la contestazione mossa dalla medesima Procura di danno erariale, per il conferimento da parte dell'ufficio di presidenza del consiglio della regione Basilicata di un incarico di consulenza per l'organizzazione del Consiglio regionale, assegnato ad un soggetto esterno, per un importo di 23.869 euro.
Secondo la Procura si era trattato di un incarico assegnato in violazione dei limiti e vincoli imposti dall'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001, in particolare per l'assenza della specificità dell'attività da svolgere, considerata di ordinaria amministrazione, anche considerando la presenza, nell'organico del consiglio regionale, di un direttore generale, 9 dirigenti e 46 funzionari direttivi.
Tuttavia, la sentenza di primo grado non aveva esaminato la questione, fermandosi immediata alla questione pregiudiziale dell'assenza della giurisdizione della magistratura contabile, dovuta all'insindacabilità del consiglio. La Procura ha sostenuto che, a ben vedere, l'articolo 122 della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale debbono essere letti nel senso di riconoscere alle assemblee regionali mera autonomia organizzativa, a differenza del parlamento che dispone di poteri e prerogative discendenti dall'esercizio della sovranità. La sentenza ha ritenuto che l'organizzazione del consiglio non rientra tra le funzioni «politiche» dell'assemblea, ma si tratti di mera «amministrazione attiva», cioè pura ed ordinaria gestione, non riguardanti lo svolgimento dei lavori dei consiglieri, ma della struttura servente.
Secondo la sezione, le funzioni puramente amministrative non sono garantite da immunità ed insindacabilità. E questo è confermato dall'articolo 1, commi 10 e seguenti, del dl 174/2012, che contribuisce a chiarire i limiti delle guarentigie assicurate dalla Costituzione ai consigli regionali, riguardanti solo ed esclusivamente le attività politiche. Sicché, la Corte dei conti può esercitare la propria giurisdizione allo scopo di sanzionare la mala gestione amministrativa, come può essere l'assegnazione di incarichi di consulenza per attività ordinarie (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013 - tratto da www.cndcec.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Il sindaco del comune di Cislago chiedeva se fosse corretto corrispondere l’incentivo ex art. 92 al personale dipendente interno all’ufficio tecnico comunale coinvolto nella realizzazione di opere e di lavori di manutenzione sugli immobili comunali o del verde pubblico quali: opere di manutenzione ordinaria e straordinaria sugli immobili (di carattere edile e relative agli impianti); opere di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle strade, manutenzione del verde.
Chiedeva, inoltre, se l’incentivo per gli atti di pianificazione fosse erogabile per la redazione di varianti allo strumento urbanistico generale (Piano di Governo del Territorio), relative alla predisposizione di modifiche parziali e/o totali di articoli delle norme tecniche di attuazione del PGT o alla stesura di elaborati relativi all’azzonamento, sia riguardanti aree con destinazioni di interesse pubblico che di carattere privato, con relativa procedura di V.A.S.
.
---------------
L’incentivo alla progettazione non può venire riconosciuto per qualunque lavoro di manutenzione ordinaria/straordinaria su beni dell’ente locale ma solo per lavori di realizzazione di un’opera pubblica alla cui base vi sia una necessaria attività di progettazione.
Esulano, pertanto, tutti quei lavori manutentivi per la cui realizzazione non è necessaria l’attività progettuale richiamata negli articoli 90, 91 e 92 del decreto n. 163.
E' di palmare evidenza come il riferimento normativo e la conseguente voluntas legis sia ascrivibile solo alla materia dei lavori pubblici, presupponendosi una procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla realizzazione di un’opera di pubblico interesse.
---------------
Quanto al corretto significato da attribuire alla locuzione “atto di pianificazione” inserita nel testo dell’art. 92, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006, la Sezione richiama il condivisibile orientamento espresso dalla Sezione regionale di controllo per il Piemonte a tenore del quale, l’atto di pianificazione, comunque denominato, debba necessariamente riferirsi alla progettazione di opere pubbliche e non ad un mero atto di pianificazione territoriale redatto dal personale tecnico abilitato dipendente dell’amministrazione.
Stante la sedes materiae della norma sugli incentivi alla progettazione (Codice degli appalti), nonché la ratio della disposizione (contenere i costi connessi alla progettazione delle opere pubbliche valorizzando le professionalità interne alla pubblica amministrazione), si condivide l’argomentazione secondo cui “
la norma àncora chiaramente il riconoscimento del diritto ad ottenere il compenso incentivante alla circostanza che la redazione dell’atto di pianificazione, riferita ad opere pubbliche e non ad atti di pianificazione del territorio, sia avvenuta all’interno dell’Ente. Qualora sia avvenuta all’esterno non è idonea a far sorgere il diritto di alcun compenso in capo ai dipendenti degli Uffici tecnici dell’Ente”.
In conclusione,
ciò che rileva ai fini della riconoscibilità del diritto al compenso incentivante non è tanto il nomen juris attribuito all’atto di pianificazione, quanto il suo contenuto specifico intimamente connesso alla realizzazione di un’opera pubblica, ovvero a quel quid pluris di progettualità interna, rispetto ad un mero atto di pianificazione generale (piano regolatore o variante generale) che costituisce, al contrario, diretta espressione dell’attività istituzionale dell’ente per la quale al dipendente è già corrisposta la retribuzione ordinariamente spettante.
--------------
Il sindaco del comune di Cislago, con nota n. 2011 del 05.02.2013, chiedeva all’adita Sezione l’espressione di un parere in ordine alla corretta interpretazione dell’articolo 92, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 163/2006.
In particolare, il sindaco del comune di Cislago chiedeva se fosse corretto corrispondere l’incentivo ex art. 92 al personale dipendente interno all’ufficio tecnico comunale coinvolto nella realizzazione di opere e di lavori di manutenzione sugli immobili comunali o del verde pubblico quali: opere di manutenzione ordinaria e straordinaria sugli immobili (di carattere edile e relative agli impianti); opere di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle strade, manutenzione del verde.
Chiedeva, inoltre, se l’incentivo per gli atti di pianificazione fosse erogabile per la redazione di varianti allo strumento urbanistico generale (Piano di Governo del Territorio), relative alla predisposizione di modifiche parziali e/o totali di articoli delle norme tecniche di attuazione del PGT o alla stesura di elaborati relativi all’azzonamento, sia riguardanti aree con destinazioni di interesse pubblico che di carattere privato, con relativa procedura di V.A.S..
...
La questione in esame concerne la corretta interpretazione dell’articolo 92, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 63/2006, questione su cui la giurisprudenza di questa Sezione è ormai più che consolidata.
Più nel dettaglio, l’istanza di parere concerne separatamente il comma 5 citato (incentivi per l’affido di lavori di manutenzione ordinaria/straordinaria) ed il comma 6 (incentivi per la redazione di varianti allo strumento urbanistico generale), così da rendere opportuna una separata trattazione.
Seguendo l’ordine numerico, il menzionato comma 5 prevede che “una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, (…), è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere. La corresponsione dell'incentivo è disposta dal dirigente preposto alla struttura competente, previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti (…); le quote parti dell'incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione medesima, ovvero prive del predetto accertamento, costituiscono economie”.
La disciplina in discorso è stata già oggetto di attenzione da parte di precedenti pronunce della Corte dei conti (cfr., fra le altre, Sezione Autonomie
delibera 13.11.2009 n. 16/2009, Sezione Veneto parere 26.07.2011 n. 337, Sezione Piemonte parere 30.08.2012 n. 290, Sezione Lombardia parere 06.03.2012 n. 57 e parere 30.05.2012 n. 259) alle cui motivazioni e conclusioni può farsi riferimento per l’analisi dei profili generali.
La norma va letta nel complessivo contesto delle modalità d’affidamento degli incarichi tecnico-professionali, previste dalla legislazione in materia di contratti pubblici. Quest’ultima (si rinvia agli artt. 10, 84, 90, 112, 120 e 130 del d.lgs. 163/2006) è informata da un principio generale, già codificato dall’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, in base al quale i predetti incarichi possono essere conferiti a soggetti esterni al plesso amministrativo solo se non si disponga di professionalità adeguate nel proprio organico e tale carenza non sia altrimenti risolvibile con strumenti flessibili di gestione delle risorse umane. Tale presupposto mira a preservare le finanze pubbliche oltre che a valorizzare il personale interno alle amministrazioni.
Pertanto, nelle ipotesi ordinarie in cui gli incarichi tecnici sono espletati da personale interno, ai fini della loro remunerazione, occorre far riferimento alle regole generali previste per il pubblico impiego, il cui sistema retributivo è conformato da due principi cardine, quello di definizione contrattuale delle componenti economiche e quello di onnicomprensività della retribuzione (cfr. artt. 2, 24, 40 e 45 del d.lgs. n. 165/2001, nonché Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, sentenze nn. 464, 475 e 487 del 2010). Secondo questi ultimi nulla è dovuto, oltre al trattamento economico fondamentale ed accessorio stabilito dai contratti collettivi, al dipendente che ha svolto una prestazione che rientra nei suoi doveri d’ufficio, anche se di particolare complessità.
Il c.d. “incentivo alla progettazione”, previsto dal Codice dei contratti pubblici, costituisce uno di quei casi nei quali il legislatore, derogando al principio per cui il trattamento economico è fissato dai contratti collettivi, attribuisce un compenso ulteriore e speciale, rinviando ai regolamenti dell’amministrazione aggiudicatrice, previa contrattazione decentrata, i criteri e le modalità di ripartizione.
L’art. 92, comma 5, del d.lgs. 163/2006 deroga ai principi di onnicomprensività e determinazione contrattuale della retribuzione del dipendente pubblico e, come tale, costituisce un’eccezione che si presta a stretta interpretazione e per la quale sussiste il divieto di analogia posto dall’art. 12 delle diposizioni preliminari al codice civile (in tal senso Sezione Campania,
parere 07.05.2008 n. 7/2008).
Come evincibile dalla lettera del comma, la legge pone alcuni paletti per l’attribuzione del predetto incentivo, rimettendone la disciplina concreta (“criteri e modalità”) ad un regolamento interno assunto previa contrattazione decentrata.
I punti fermi che il regolamento interno deve rispettare (sull’impossibilità da parte del regolamento di derogare a quanto previsto dalla legge o di attribuire compensi non previsti, si rimanda al parere della Sezione n. 259/2012) paiono essere i seguenti:
erogazione ai soli dipendenti espletanti gli incarichi tassativamente indicati dalla norma (responsabile del procedimento, incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, e loro collaboratori), riferiti all’aggiudicazione ed esecuzione “di un’opera o un lavoro” (non, pertanto, per un appalto di fornitura di beni o di servizi).
La norma non presuppone, tuttavia, ai fini della legittima erogazione, il necessario espletamento interno di una o più attività (per esempio, la progettazione) purché, come sarà meglio specificato, il regolamento ripartisca gli incentivi in maniera conforme alle responsabilità attribuite e devolva in economia la quota relativa agli incarichi conferiti a professionisti esterni;
ammontare complessivo non superiore al due per cento dell’importo a base di gara. Di conseguenza la somma concretamente prevista dal regolamento interno può essere stabilita in misura percentuale inferiore;
ancoramento del fondo incentivante alla base di gara (non all’importo oggetto del contratto, né a quello risultante dallo stato finale dei lavori).
Si deduce che
non appare ammissibile la previsione e l’erogazione di alcun compenso nel caso in cui l’iter dell’opera o del lavoro non sia giunto, quantomeno, alla fase della pubblicazione del bando o della spedizione delle lettere d’invito (cfr., per esempio, l’art. 2, comma 3, del DM Infrastrutture n. 84 del 17/03/2008). Quanto detto non esclude che, in sede di regolamento interno, al fine di ancorare l’erogazione dell’incentivo a più stringenti presupposti, l’amministrazione possa prevedere la corresponsione solo subordinatamente all’aggiudicazione dell’opera;
puntuale ripartizione del fondo incentivante tra gli incarichi attribuibili (responsabile del procedimento, progettista, direttore dei lavori, collaudatori, nonché loro collaboratori), secondo percentuali rimesse alla discrezionalità dell’amministrazione, da mantenere, tuttavia, entro i binari della logicità, congruenza e ragionevolezza (cfr. Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, Deliberazioni n. 315 del 13/12/2007, n. 70 del 22/06/2005, n. 97 del 19/05/2004;
devoluzione in economia delle quote del fondo incentivante corrispondenti a prestazioni non svolte dai dipendenti, ma affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione. Obbligo che impone di prevedere analiticamente nel regolamento interno, e graduare, le percentuali spettanti per ogni incarico espletabile dal personale, in maniera tale da permettere, nel caso in cui alcune prestazioni siano affidate a professionisti esterni, la predetta devoluzione (si rinvia alle Deliberazioni dell’Autorità di vigilanza n. 315 del 13/12/2007, n. 35 del 08/04/2009, n. 18 del 07/05/2008 e n. 150 del 02/05/2001).
Sulla base di tali criteri si può rispondere negativamente al primo quesito posto dal Comune di Cisalgo:
l’incentivo alla progettazione non può venire riconosciuto per qualunque lavoro di manutenzione ordinaria/straordinaria su beni dell’ente locale ma solo per lavori di realizzazione di un’opera pubblica alla cui base vi sia una necessaria attività di progettazione.
Esulano, pertanto, tutti quei lavori manutentivi per la cui realizzazione non è necessaria l’attività progettuale richiamata negli articoli 90, 91 e 92 del decreto n. 163.

Sulla stessa linea, con motivazione ampiamente condivisibile, va richiamata la deliberazione della Sezione Toscana n. 293/2012/PAR secondo cui “l’art. 90 del D.lgs. n. 163/2006 sia alla rubrica che al c. 1, fa riferimento esclusivamente ai lavori pubblici, e l’art. 92, c. 1, presuppone l’attività di progettazione nelle varie fasi come finalizzata alla costruzione dell’opera pubblica progettata. A fortiori, lo stesso comma 6 dell’art. 92 prevede che l’incentivo alla progettazione venga ripartito tra i dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto e, dunque,
è di palmare evidenza come il riferimento normativo e la conseguente voluntas legis sia ascrivibile solo alla materia dei lavori pubblici, presupponendosi una procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla realizzazione di un’opera di pubblico interesse” (nello stesso senso, la medesima Sezione si è espressa più di recente con il parere n. 459/2012).
Analoga risposta negativa merita la seconda ipotesi prospettata nell’istanza di parere (incentivi per la redazione di varianti allo strumento urbanistico generale).
Ai sensi dell’articolo 92, comma 6, decreto legislativo n. 163/2003 “il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.
Anche su tale disposto normativo la Sezione si è già più volte pronunciata con le deliberazioni n. 57, 259 e 440 del 2012 cui si rinvia per la completezza del quadro giurisprudenziale.
Richiamati le suesposte considerazioni sull’eccezionalità della previsione normativa, va ricordato che le condivisibili conclusioni di questa Sezione sono pertanto che “
l’art. 92, comma 6, non potrebbe costituire titolo per l’erogazione di speciali compensi ai dipendenti che svolgono attività sussidiarie, strumentali o di supporto alla redazione di atti di pianificazione affidata a professionisti esterni. Tale disposizione, infatti, abilita (nella misura autoritativamente fissata dalla legge) a riconoscere uno speciale compenso, al di là del trattamento economico ordinariamente spettante, solo in presenza dei due seguenti elementi di fattispecie:
a) sul piano dell’oggetto, che la prestazione consista nella diretta “redazione di un atto di pianificazione”, non in attività variamente sussidiarie che rientrano nei doveri d’ufficio dei dipendenti, nel contesto dell’attività di governo del territorio
(cfr. la deliberazione del 27.01.2009, n. 9 di questa Sezione);
b) implicitamente, che la redazione dello stesso non sia stata esternalizzata ad un professionista esterno ai sensi dell’art. 90, comma 6
”.
Quanto al corretto significato da attribuire alla locuzione “atto di pianificazione” inserita nel testo dell’art. 92, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006, la Sezione richiama il condivisibile orientamento espresso dalla Sezione regionale di controllo per il Piemonte (cfr. deliberazione n. 290/2012/SRPIE/PAR), a tenore del quale,
l’atto di pianificazione, comunque denominato, debba necessariamente riferirsi alla progettazione di opere pubbliche e non ad un mero atto di pianificazione territoriale redatto dal personale tecnico abilitato dipendente dell’amministrazione.
Stante la sedes materiae della norma sugli incentivi alla progettazione (Codice degli appalti), nonché la ratio della disposizione (contenere i costi connessi alla progettazione delle opere pubbliche valorizzando le professionalità interne alla pubblica amministrazione), si condivide l’argomentazione secondo cui “
la norma àncora chiaramente il riconoscimento del diritto ad ottenere il compenso incentivante alla circostanza che la redazione dell’atto di pianificazione, riferita ad opere pubbliche e non ad atti di pianificazione del territorio, sia avvenuta all’interno dell’Ente. Qualora sia avvenuta all’esterno non è idonea a far sorgere il diritto di alcun compenso in capo ai dipendenti degli Uffici tecnici dell’Ente” (in termini, Sezione contr. Piemonte deliberazione cit.; cfr. altresì Sezione contr. Lombardia, 30.05.2012, n. 259; 06.03.2012, n. 57; Sezione contr. Puglia, 16.01.2012, n. 1; Sezione contr. Toscana, 18.10.2011, n. 213).
In conclusione,
ciò che rileva ai fini della riconoscibilità del diritto al compenso incentivante non è tanto il nomen juris attribuito all’atto di pianificazione, quanto il suo contenuto specifico intimamente connesso alla realizzazione di un’opera pubblica, ovvero a quel quid pluris di progettualità interna, rispetto ad un mero atto di pianificazione generale (piano regolatore o variante generale) che costituisce, al contrario, diretta espressione dell’attività istituzionale dell’ente per la quale al dipendente è già corrisposta la retribuzione ordinariamente spettante (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 06.03.2013 n. 72).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMobilità volontaria resta fuori dai tetti. Gli ultimi orientamenti sull'istituto.
La mobilità volontaria è uno strumento centrale per arrivare alla migliore allocazione del personale nelle amministrazioni pubbliche; i suoi oneri non entrano nel tetto alla spesa per le assunzioni ed i suoi risparmi non possono essere calcolati al fine di determinare il tetto di spesa per le nuove assunzioni.
Essa deve essere attivata necessariamente prima della indizione di un concorso pubblico, mentre vi sono opinioni diverse sul vincolo della sua attivazione prima della utilizzazione di una graduatoria esistente nell'ente. Occorre in ogni caso il consenso dell'amministrazione cedente, consenso che si esprime tramite il parere del dirigente competente; continua ad essere utilizzabile la mobilità per interscambio e, fatta salva la preferenza per il personale in comando, occorre attivare procedure comparative e dare adeguata pubblicità preventiva alla sua utilizzazione.

Sono queste le principali indicazioni che sintetizzano gli ambiti e le caratteristiche della mobilità volontaria, anche tenendo conto delle letture fornite nei giorni scorsi dal parere 06.03.2013 n. 65 della Sez. regionale di controllo della Corte dei Conti del Veneto e dalla nota 01.03.2013 n. 10395 di prot. del dipartimento della funzione pubblica.
Prima della indizione del concorso pubblico è necessario attivare le procedure di mobilità volontaria ex articolo 30 dlgs n. 165/2001. Le regole per la mobilità volontaria devono essere dettate da ogni singolo ente e devono rispettare i principi di pubblicità previsti dall'ordinamento. Il personale in comando presso lo stesso ente ha diritto di precedenza nelle assunzioni in mobilità.
Il ricorso a questo istituto non può essere esteso al personale non dipendente delle p.a., neppure a quello delle società in house assunti con concorso pubblico. Essa non può essere limitata al personale dello stesso comparto e, in attesa della tabella di equiparazione, tale operazione deve essere effettuata da ogni ente.
La mobilità, come chiarito dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti del Veneto, parere n. 65 del 6 marzo 2013, può continuare ad essere disposta anche come interscambio tra enti, nonostante l'avvenuta abrogazione delle norme contrattuali a opera del dl n. 5/20112, articolo 62. Il parere chiarisce che «l'abrogazione della disposizione contrattuale di cui all'articolo 6, comma 20, del dpr 268/1987 non preclude alle amministrazioni locali di poter attivare una mobilità reciproca o bilaterale con altre amministrazioni locali in applicazione del principio generale contenuto nell'articolo 6 del dlgs 165/2001».
Il parere pone numerose limitazioni nella sua concreta utilizzazione: «La mobilità deve avvenire tra enti soggetti entrambi ai medesimi vincoli assunzionali; l'interscambio deve avvenire tra dipendenti appartenenti alla stessa qualifica funzionale; l'interscambio deve avvenire entro un periodo di tempo congruo (contestualità) che consenta agli enti di non abbattere le spese di personale (derivanti dalla cessione del contratto del dipendente transitato in mobilità ad altro ente) qualora l'assunzione del dipendente in entrata slitti dal punto di vista temporale rischiando di traslarsi all'esercizio successivo». Ed ancora, occorre garantire «la neutralità finanziaria» ed «il personale soggetto ad interscambio non deve essere stato dichiarato in eccedenza o sovrannumero».
Come chiarito dalla nota 01.03.2013 n. 10395 di prot. del dipartimento della funzione pubblica, la mobilità richiede il consenso tanto dell'ente cedente che di quello ricevente, oltre che, ovviamente, l'iniziativa del dipendente.
A differenza del passato, con il testo dell'articolo 30 del dlgs n. 165/2001 per come modificato dal dlgs n. 150/2009, c.d. legge Brunetta, il nulla osta continua quindi di fatto a sussistere, ma nella forma del parere del dirigente individuato come competente dall'amministrazione, parere che deve essere preceduto da quello del dirigente dell'articolazione organizzativa presso cui il dipendente presta la sua attività lavorativa. Per cui, contro la volontà dell'ente presso cui il dipendente presta servizio, non è possibile dare corso alla mobilità (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013 - tratto da http://rstampa.pubblica.istruzione.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: Spese di rappresentanza 2011 - Profili di non conformità alla legge.
Questa Sezione ha definito le linee guida per l’esame dei prospetti sulle spese di rappresentanza, indicando criteri uniformi di verifica, sia di carattere sostanziale sia di carattere procedimentale.
In maggior dettaglio, nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività, la Sezione ha individuato i seguenti principi di carattere procedimentale e sostanziale:
1) Ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono individuate le risorse destinate all'attività di rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati dal legislatore.
2) Esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) Non hanno finalità rappresentative verso l'esterno le spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all'Ente che le dispongono.
4) Le spese di rappresentanza devono essere congrue rispetto sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle finalità per le quali viene erogata la spesa.
5) L’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 della Costituzione.
---------------
Risultano non conformi a legge le voci di spesa (di rappresentanza) afferenti:
• Omaggi, interventi e rinfreschi in occasione di festività particolari;
• Iniziative di carattere culturale ed istituzionale.
---------------
I) Il controllo della sez. regionale della Corte dei Conti sulle spese di rappresentanza sostenute dagli Enti locali.
L’art. 16, comma 26, del D.L. n. 138/2011, conv. nella legge n. 148/2011 (c.d. legge taglia costi della politica) ha stabilito che <<le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di governo degli enti locali sono elencate, per ciascun anno, in apposito prospetto allegato al rendiconto di cui all'articolo 227 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Tale prospetto è trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed è pubblicato, entro dieci giorni dall'approvazione del rendiconto, nel sito internet dell'ente locale>>. Gli adempimenti si applicano a partire dall'approvazione del rendiconto di gestione dell'esercizio finanziario 2011.
Il D.M. 23.01.2012, in attuazione dell’ultimo periodo del comma 16 citato, ha adottato lo schema tipo del prospetto nel quale sono elencate le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di governo degli enti locali.
Ai sensi dell’art. 2 del DM cit. il prospetto, che elenca le spese di rappresentanza sostenute in ciascun esercizio finanziario, deve essere allegato al rendiconto della gestione di cui all'art. 227 TUEL e trasmesso alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti, entro dieci giorni dall'approvazione del predetto rendiconto. Entro lo stesso termine, l'elenco è pubblicato nel sito internet dell'ente locale. In particolare, il prospetto è compilato a cura del segretario dell'ente e del responsabile di servizi finanziari, nonché sottoscritto dai predetti soggetti, oltre che dall'organo di revisione economico finanziario.
Con la deliberazione Lombardia 151/2012/INPR del 26.04.2012, questa Sezione ha definito le linee guida per l’esame dei prospetti sulle spese di rappresentanza, indicando criteri uniformi di verifica, sia di carattere sostanziale sia di carattere procedimentale.
In maggior dettaglio, nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività, la Sezione ha individuato i seguenti principi di carattere procedimentale e sostanziale:
1) Ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono individuate le risorse destinate all'attività di rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati dal legislatore.
2) Esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) Non hanno finalità rappresentative verso l'esterno le spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all'Ente che le dispongono.
4) Le spese di rappresentanza devono essere congrue rispetto sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle finalità per le quali viene erogata la spesa.
5) L’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 della Costituzione.
II) Profili di non conformità a legge delle spese di rappresentanza sostenute dalla Comune di Caselle Lurani (LO) nel corso dell’esercizio finanziario 2011.
Dal prospetto redatto secondo lo schema tipo individuato da D.M. 23.01.2012, tenuto conto altresì delle notizie acquisite, risultano non conformi a legge le voci di spesa afferenti:
• Omaggi, interventi e rinfreschi in occasione di festività particolari
• Iniziative di carattere culturale ed istituzionale (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 18.02.2013 n. 55).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: Spese di rappresentanza 2011 - Profili di non conformità alla legge.
Questa Sezione ha definito le linee guida per l’esame dei prospetti sulle spese di rappresentanza, indicando criteri uniformi di verifica, sia di carattere sostanziale sia di carattere procedimentale.
In maggior dettaglio, nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività, la Sezione ha individuato i seguenti principi di carattere procedimentale e sostanziale:
1) Ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono individuate le risorse destinate all'attività di rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati dal legislatore.
2) Esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) Non hanno finalità rappresentative verso l'esterno le spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all'Ente che le dispongono.
4) Le spese di rappresentanza devono essere congrue rispetto sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle finalità per le quali viene erogata la spesa.
5) L’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 della Costituzione.
---------------
Risultano non conformi a legge le voci di spesa (di rappresentanza) afferenti:
• Omaggi agli sposi in occasione di matrimoni civili;
• Omaggi floreali e catering in occasione di festività particolari;
• Iniziative di carattere culturale ed istituzionale;
• Gemellaggi.

---------------
I) Il controllo della sez. regionale della Corte dei Conti sulle spese di rappresentanza sostenute dagli Enti locali.
L’art. 16, comma 26, del D.L. n. 138/2011, conv. nella legge n. 148/2011 (c.d. legge taglia costi della politica) ha stabilito che <<le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di governo degli enti locali sono elencate, per ciascun anno, in apposito prospetto allegato al rendiconto di cui all'articolo 227 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Tale prospetto è trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed è pubblicato, entro dieci giorni dall'approvazione del rendiconto, nel sito internet dell'ente locale>>. Gli adempimenti si applicano a partire dall'approvazione del rendiconto di gestione dell'esercizio finanziario 2011.
Il D.M. 23.01.2012, in attuazione dell’ultimo periodo del comma 16 citato, ha adottato lo schema tipo del prospetto nel quale sono elencate le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di governo degli enti locali.
Ai sensi dell’art. 2 del DM cit. il prospetto, che elenca le spese di rappresentanza sostenute in ciascun esercizio finanziario, deve essere allegato al rendiconto della gestione di cui all'art. 227 TUEL e trasmesso alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti, entro dieci giorni dall'approvazione del predetto rendiconto. Entro lo stesso termine, l'elenco è pubblicato nel sito internet dell'ente locale. In particolare, il prospetto è compilato a cura del segretario dell'ente e del responsabile di servizi finanziari, nonché sottoscritto dai predetti soggetti, oltre che dall'organo di revisione economico finanziario.
Con la deliberazione Lombardia 151/2012/INPR del 26.04.2012, questa Sezione ha definito le linee guida per l’esame dei prospetti sulle spese di rappresentanza, indicando criteri uniformi di verifica, sia di carattere sostanziale sia di carattere procedimentale.
In maggior dettaglio, nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività, la Sezione ha individuato i seguenti principi di carattere procedimentale e sostanziale:
1) Ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono individuate le risorse destinate all'attività di rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati dal legislatore.
2) Esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) Non hanno finalità rappresentative verso l'esterno le spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all'Ente che le dispongono.
4) Le spese di rappresentanza devono essere congrue rispetto sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle finalità per le quali viene erogata la spesa.
5) L’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 della Costituzione.
II) Profili di non conformità a legge delle spese di rappresentanza sostenute dalla Città di Lodi nel corso dell’esercizio finanziario 2011.
Dal prospetto redatto secondo lo schema tipo individuato da D.M. 23.01.2012, tenuto conto altresì delle notizie acquisite, risultano non conformi a legge le voci di spesa afferenti:
• Omaggi agli sposi in occasione di matrimoni civili
• Omaggi floreali e catering in occasione di festività particolari
• Iniziative di carattere culturale ed istituzionale
• Gemellaggi (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 18.02.2013 n. 54).

PATRIMONIO: La Sezione, chiamata a rendere parere in merito alla possibilità di alienare l’immobile, in caso di plurime aste andate deserte, ad un prezzo ribassato e all’esistenza di limite economico minimo entro il quale si possa procedere alla vendita in rapporto al valore di acquisizione, giunge alla conclusione che non si rinviene un limite normativo oltre il quale l’amministrazione non possa scendere nella determinazione del valore da porre a base di gara per l’atto dispositivo in parola.
Si precisa, tuttavia,
che detto valore dovrà mantenersi comunque congruo rispetto alla situazione concreta del mercato, oltre che, come posto in evidenza dal medesimo Comune, al prezzo di acquisizione, ove il bene sia entrato recentemente nel patrimonio dell’Ente.
L’esigenza di valutare costantemente la congruità del valore di un bene da alienare, o acquisire, costituisce, infatti, uno dei principi cardine della contabilità e contrattualistica pubblica, cui l’art. 12 del d.lgs. n. 127/1997 fa riferimento.
---------------
Il Sindaco del Comune di Calcinato (LO), con nota del 07.12.2012, ha formulato alla Sezione una richiesta di parere inerente le modalità di alienazione di un immobile comunale.
In particolare, il Comune ha inserito un immobile, acquisito nel 2009 per il valore stimato di circa un milione di euro, nel piano delle alienazioni. Con successivi provvedimenti del responsabile dell’area tecnica, sono state bandite varie aste per la vendita: la prima, nel 2010, con base di gara pari a € 1.020.000 e l’ultima, nel 2012, dopo una riduzione dell’area in vendita, con base di gara di € 872.100. Tutte le suddette procedure sono andate deserte.
La mancata alienazione dipende dalla grave crisi del mercato immobiliare e, in particolare, di quello industriale. Pertanto il Comune vorrebbe bandire altre gare, anche a prezzi ancora ribassati, al fine di evitare un ulteriore depauperamento del bene, oggi in stato di abbandono (oltre a risparmiare l’onere derivante dalle spese di manutenzione).
Posto che la questione ha notevole incidenza sul bilancio dell'ente, il Sindaco chiede un parere circa la possibilità di alienare l’immobile ad un prezzo ribassato e, a tal fine, se vi sia un limite economico minimo entro il quale si possa procedere alla vendita, in rapporto al valore di acquisizione.
In alternativa, chiede se può essere opportuno attendere una futura ripresa del mercato immobiliare, al fine di alienare l’immobile con maggiore valorizzazione.
...
L’Ente istante può trarre utili indicazioni dall’art. 12 (“Disposizioni in materia di alienazione degli immobili di proprietà pubblica”) della legge n. 127 del 15/05/1997 (“Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”) in base al quale: “I comuni e le province possono procedere alle alienazioni del proprio patrimonio immobiliare anche in deroga alle norme di cui alla L. 24.12.1908, n. 783, e successive modificazioni, ed al regolamento approvato con R.D. 17.06.1909, n. 454, e successive modificazioni, nonché alle norme sulla contabilità generale degli enti locali, fermi restando i princìpi generali dell'ordinamento giuridico-contabile. A tal fine sono assicurati criteri di trasparenza e adeguate forme di pubblicità per acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto, da definire con regolamento dell'ente interessato”.
La norma evidenzia come i Comuni, pur non essendo obbligati a seguire le disposizioni (ancora parzialmente vigenti) per l’alienazione dei beni immobili dello Stato, debbano comunque osservare i criteri di trasparenza, parità di trattamento e pubblicità, da definire con regolamenti interni dell’Ente medesimo, conformi ai principi generali della contrattualistica pubblica (l'ampiezza della deroga, giustificata dall’esigenza di procedere celermente alla definizione dei provvedimenti concernenti l'alienazione di beni, anche per consentire il risanamento dei bilanci degli enti locali, è stata evidenziata da Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 4418 del 13/07/2006).
Il precetto normativo sopra esposto risulta sostanzialmente conforme, fra l’altro, all’art. 27 del Codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 163/2006, emanato in esecuzione delle Direttive n. 2004/17/CE e 2004/18/CE, che, per i contratti esclusi in tutto in parte dall’applicazione della disciplina comunitaria (fra cui quelli attivi di alienazione di beni mobili e immobili, mentre quelli passivi, di acquisto e locazione, sono oggetto di specifica considerazione nell’art. 19 del d.lgs. n. 163/2006), richiede che l’affidamento avvenga nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità.
Si rinvia, per approfondimenti, alle Comunicazioni interpretative della Commissione europea del 12.04.2000 (richiamata nella Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche comunitarie, n. 945 del 01.03.2002) e del 01.08.2006. E, per i precedenti giurisprudenziali, alle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 03.12.2001, C-59/2000; 07.12.2000, C-324/1998; 13.10.2005, C-458/2003; 20.10.2005, C-264/2003).
La presenza di un limite oltre il quale, andate deserte una serie di aste, non è possibile far scendere il prezzo del bene a base di gara, non si rinviene neppure nella legge che disciplina l’alienazione dei beni immobili dello Stato (non applicabile direttamente ai Comuni per effetto del citato art. 12 della legge n. 127/1997).
L’art. 6 della legge n. 783 del 24/12/1908 (“Unificazione dei sistemi di alienazione e di amministrazione dei beni immobili patrimoniali dello Stato”) prevede infatti quanto segue: “Qualora il primo esperimento d'asta vada deserto, il secondo avrà luogo mediante offerte per schede segrete con le modalità di cui al primo comma del presente articolo. L'aggiudicazione sarà pronunciata a favore di colui la cui offerta sia la maggiore e raggiunga almeno il prezzo indicato nell'avviso d'asta.
Riuscito infruttuoso anche il secondo esperimento l'amministrazione demaniale potrà ordinare ulteriori esperimenti d'asta con successive riduzioni, ciascuna delle quali non potrà eccedere il decimo del valore di stima
”.
Allo stesso modo, l’art. 38 del R.D. n. 454 del 17/06/1909 (“Regolamento per l'esecuzione della L. 24.12.1908, n. 783, sull’unificazione dei sistemi di alienazione e di amministrazione dei beni immobili patrimoniali dello Stato”), come sostituito dall'art. 1 del R.D. 09.12.1940, n. 1837 dispone che: “Qualora riesca infruttuoso anche il secondo esperimento d'incanto e l'Intendenza, ovvero il Ministero delle finanze, quando il prezzo di asta superi le lire 20.000.000, ritenga che la ripetuta diserzione non sia causata da eventuale elevatezza del prezzo medesimo, ma da altre cagioni, provvede per nuovi esperimenti mediante estinzione di candele vergini o a schede segrete sullo stesso prezzo.
Nel caso contrario si procede ad ulteriori esperimenti d'asta con successive riduzioni, ciascuna delle quali non può eccedere il decimo del valore di stima, salvo il disposto dell'art. 54
”.
L’ultimo inciso rinvia alla disposizione che permette all’amministrazione statale, in caso di plurime aste andate deserte, di procedere a trattativa privata.
In conclusione, non si rinviene un limite normativo oltre il quale l’amministrazione non possa scendere nella determinazione del valore da porre a base di gara per l’alienazione di un’immobile.
Appare evidente che quest’ultimo dovrà mantenersi comunque congruo rispetto alla situazione concreta del mercato, oltre che, come posto in evidenza dal medesimo Comune, al prezzo di acquisizione, ove il bene sia entrato recentemente nel patrimonio dell’Ente.
L’esigenza di valutare costantemente la congruità del valore di un bene da alienare, o acquisire, costituisce, infatti, uno dei principi cardine della contabilità e contrattualistica pubblica, cui l’art. 12 del d.lgs. n. 127/1997 fa riferimento (ne è espressione, per esempio, in tema di contratti passivi, l’art. 89 del d.lgs. n. 163/2006) (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 14.02.2013 n. 50).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOSì alle spese per formazione. Parere della Corte conti Lombardia.
La Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo per la Lombardia, interviene ulteriormente in merito alla corretta interpretazione dell'art. 6, comma 13, del dl n. 78/2010 in particolare soffermandosi
sulla possibilità per i comuni che nell'anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa di formazione, di assumere per tale finalità impegni di spesa.
Con il parere 07.02.2013 n. 38 la Corte dei conti lombarda fornisce un suggerimento utile e pienamente legittimo. Seguendo rigorosamente il dettato normativo sopra citato, dell'art. 6, comma 13, del dl n. 78/2010 che riferisce «a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione per attività esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009».
La Corte dei conti lombarda, consapevole di detta stortura, riferisce che «ove si adottasse un'interpretazione meramente matematica, la norma finirebbe per determinare un divieto assoluto alla stipulazione di questa tipologia di contratti, effetto eccedente le finalità della norma e contrastante con la pronuncia della consulta».
Conseguentemente la Corte afferma esplicitamente che «nel caso in cui la spesa costituente il parametro sia inesistente occorre colmare la lacuna normativa: pertanto, ai fini dell'applicazione della previsione, per gli enti locali che nel corso dell'anno 2009 non abbiano sostenuto alcuna spesa a detto titolo si dovrà individuare un diverso parametro che rappresenti il limite di spesa anche per gli anni successivi».
Le amministrazioni comunali non dovranno quindi più negare la partecipazione ai corsi di formazione adducendo la mancanza di risorse disponibili e i dipendenti comunali potranno riprendere la partecipazione ai necessari corsi di formazione, specialmente quando sono da approfondire novità normative (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013).

ENTI LOCALI: Considerata la natura del d.p.r. n. 194/1996 si deve ritenere che non vi sia coincidenza tra le funzioni ivi indicate e quelle che costituiscono oggetto di aggregazione che devono essere identificate dagli Enti interessati in base alla loro attuale organizzazione, in concreto, in base alle indicazioni contenute nel co. 27 dell’art. 14 del d.l. n. 78, conv. dalla legge n. 122 del 20104.
Il Sindaco del Comune di Frassino ha inoltrato alla Sezione, per il tramite del Consiglio delle Autonomie Locali del Piemonte, un quesito inerente all’interpretazione delle norme risultanti dall’art. 14, co. 25 – 31-quater del d.l. n. 78 del 2010, conv. dalla legge n. 122 del 2010, come integrate dall’art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, conv. dalla legge n. 135 del 2012 che stabiliscono l’obbligo della gestione associata delle funzioni fondamentali per i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero a 3.000 se il loro territorio ricade all’interno di Comunità montane.
Il richiedente dopo aver osservato che il co. 27 del citato art. 14 del d.l. n. 78 “definisce le funzioni fondamentali dei Comuni che non corrispondono alle funzioni indicate dal d.p.r. n. 194 del 1996 che ha approvato gli schemi di bilancio per i Comuniha domandato alla Sezione “quali siano i servizi di cui al d.p.r. n. 194 del 1996, che associando le funzioni fondamentali debbano a loro volta essere associati.
...
1. In base all’art. 14, co. 27 e segg. del d.l. 31.05.2010, n. 78, conv. dalla legge 30.07.2010, n. 122, come modificato ed integrato dall’art. 19 del d.l. 06.07.2012, n. 95, conv. dalla legge 07.08.2012, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario”, i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti sono tenuti, entro scadenze prefissate dal legislatore, ad esercitare “obbligatoriamente, in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali dei comuni di cui al comma 27, ad esclusione della lettera l)” (art. 14, co. 27 e co. 28).
Il legislatore ha indicato l’obiettivo dell’esercizio associato delle funzioni, da raggiungere progressivamente, ma non ha fornito indicazioni in merito ai rapporti con l’organizzazione del sistema di bilancio, disciplinata dal d.p.r. 31.01.1996, n. 194, recante “Regolamento per l’approvazione dei modelli di cui all’articolo 114 del decreto legislativo 25.02.1995, n. 77, concernente l’ordinamento finanziario e contabile degli Enti locali”.
2. Lo scopo perseguito con la previsione contenuta nei commi 27 e segg. del citato art. 14 del d.l. n. 78, conv. dalla legge n. 122 del 2010, è quello di migliorare l’organizzazione degli Enti interessati al fine di fornire servizi più adeguati sia ai cittadini che alle imprese, nell’osservanza dei principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.
Spetta, quindi, agli Enti interessati dalla procedura di aggregazione delle funzioni individuare le modalità organizzative ottimali al fine di raggiungere gli obiettivi di maggior efficienza, razionalizzazione e risparmio che il legislatore intende conseguire con la previsione dell’obbligatorietà dell’esercizio associato delle funzioni.
3. In relazione alla concreta organizzazione di ciascuna funzione, gli Enti che intendono procedere unitariamente per attuare la previsione legislativa debbono unificare le attività e gli uffici in relazione alle aggregazioni specificamente individuate dal comma 273.
Lo svolgimento unitario di ciascuna funzione implica che la stessa sia espressione di un disegno unitario riconducibile alle aree individuate all’interno del comma 27 citato.
Spetta agli Enti interessati disegnare la nuova organizzazione delle funzioni, partendo dalle attività sinora svolte da ciascuno di essi, adottando un modello che non si riveli elusivo degli intenti di riduzione della spesa, efficacia, efficienza ed economicità perseguiti dal legislatore (come si evince espressamente dal co. 30 del citato art. 14 del d.l. n. 78), non essendo sufficiente che il nuovo modello organizzativo non preveda costi superiori alla fase precedente nella quale ciascuna funzione era svolta singolarmente da ogni Ente.
4. L’organizzazione unitaria delle funzioni prevista dal co. 28 dell’art. 14 del d.l. n. 78 non incide sull’organizzazione del sistema di bilancio di ciascun Comune che è tenuto a predisporre quest’ultimo in relazione alle previsioni contenute nel d.p.r. n. 194 del 1996, tenendo conto che il citato d.p.r. n. 194 non è stato adeguato ancora alle modifiche organizzative degli Enti locali introdotte negli ultimi anni.
Invero, il d.p.r. n. 194 del 1996 ha fornito una regolamentazione del sistema di bilancio degli Enti locali prima ancora dell’entrata in vigore del d.lgs. 06.08.2000, n. 267 (TUEL) e dovrà essere rivisto alla luce sia delle numerose modifiche all’organizzazione degli Enti, introdotte dal legislatore negli ultimi anni (ad es.: esercizio unificato delle funzioni), che del nuovo sistema contabile in corso di introduzione in attuazione della legge 05.03.2009, n. 42, recante “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”.
Considerata la natura del d.p.r. n. 194/1996 si deve ritenere che non vi sia coincidenza tra le funzioni ivi indicate e quelle che costituiscono oggetto di aggregazione che devono essere identificate dagli Enti interessati in base alla loro attuale organizzazione, in concreto, in base alle indicazioni contenute nel co. 27 dell’art. 14 del d.l. n. 78, conv. dalla legge n. 122 del 20104 (Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, parere 23.01.2013 n. 9).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il disavanzo può creare danni erariali. Corte conti. Condanna per trucchi contabili.
Un disavanzo di amministrazione frutto di ripetute e gravi anomalie contabili costituisce un danno all'Erario.
Lo ha affermato la Corte dei conti - III Sezione giurisdizionale d'appello (sentenza 11.01.2013 n. 21), confermando la decisione di primo grado della Sezione Lazio (sent. 161/2010).
In un Comune sono emersi importanti disavanzi causati anche da false rappresentazioni dei dati, poi ripianati dall'amministrazione subentrante. La Procura ha dimostrato le gravi violazioni delle norme, come la non corretta registrazione degli impegni, l'emissione di mandati di pagamento senza riferimenti ai capitoli di spesa e l'errata emissione di ordinativi d'incasso.
La Corte ha ritenuto fonte di responsabilità amministrativa per sindaco, alcuni assessori e revisori dei conti, questa produzione di disavanzi. È stato ritenuta sanzionabile in termini erariali la lesione degli equilibri di bilancio con l'utilizzo di artifici contabili. Nella sentenza, facendo riferimento alla giurisprudenza costituzionale, si parla «di diritto al bilancio quale valore di trasparenza, integrità, corretto rispetto dell'autorizzazione e della destinazione delle somme».
Il danno è qualificato di tipo patrimoniale, per la violazione dei valori costituzionali dell'equilibrio di bilancio e della tenuta dei conti pubblici nell'ambito dei vincoli derivanti dall'appartenenza Ue.
La produzione di disavanzi (non ripianati) grazie ad artifici contabili rappresenta un danno giuridicamente risarcibile, poiché impone alla collettività maggiori oneri per prestazioni non scelte dai rappresentanti, crea disservizi dovuti alle manovre di riequilibrio e devia spese ritenute prioritarie dalla collettività. La Corte afferma che la teorica utilità per gli amministrati derivante dalle spese indebite potrà essere considerata solo ai fini della riduzione del danno in capo ai responsabili. Danno che potrà essere valutato anche in via equitativa.
L'importanza della decisione d'appello consiste nel fatto che, in sostanza, s'individua un'equazione fra disavanzo derivante da violazioni contabili e danno alle casse dell'ente. Questo è l'aspetto che la differenzia da altri importanti interventi della Corte in materia finanziaria.
Si pensi alla recente sent. 6/2013 della Corte dei conti Piemonte, che in un caso di dissesto di un comune, ha ritenuto fonte di responsabilità amministrativa il rispetto del Patto con falsa rappresentazione dei dati, utilizzando come parametro per la quantificazione del danno le maggiori spese sostenute grazie alla mancata applicazione delle sanzioni (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

LAVORI PUBBLICIIl decreto del Mef è stato pubblicato in G.U. La prima rilevazione al 30 giugno
Opere pubbliche monitorate. Tutte le informazioni alla banca dati della Ragioneria.

Al via il monitoraggio sulle opere pubbliche finanziate dallo Stato.
Con il decreto del Mef 26.02.2013 (pubblicato sulla G.U. n. 54 del 05.03.2013) sono state dettate le modalità attuative dell'art. 5 del dlgs 229/2011.
Nel mirino ci sono i lavori in corso di progettazione o di realizzazione alla data del 21.02.2012 e quelli avviati successivamente.
Alle amministrazioni pubbliche e agli altri soggetti attuatori destinatari di finanziamenti a carico del bilancio statale è imposto l'obbligo di comunicare una nutrita batteria di informazioni di natura finanziaria, fisica e procedurale alla banca dati costituita presso la Ragioneria generale dello Stato.
Il decreto, in particolare, definisce il contenuto informativo minimo da rilevare e le modalità e regole di trasmissione.
A regime, la rilevazione dovrà essere effettuata con cadenza bimestrale (alle date del 28 febbraio, del 30 aprile, del 30 giugno, del 31 agosto, del 31 ottobre e del 31 dicembre di ciascun anno) e i dati dovranno essere resi disponibili entro i 30 giorni successivi.
Solo per il 2013 è prevista una deroga: la rilevazione potrà essere effettuata al 30 giugno e la trasmissione tra il 30 settembre e il 20 ottobre.
Il puntuale adempimento dell'obbligo informativo costituisce presupposto fondamentale per l'erogazione del finanziamento, a pena di blocco dello stesso.
Tale disciplina si colloca nell'ambito del più ampio progetto di realizzazione di un sistema di programmazione, valutazione e monitoraggio della spesa pubblica per investimenti. L'obiettivo è quello di migliorare la gestione delle risorse finanziarie impiegate e di aumentare la conoscenza e la trasparenza complessiva di settore nella prospettiva di migliorare l'efficienza degli interventi.
Per gli enti di minori dimensioni è prevista la facoltà di usufruire dell'ausilio della Rgs nella fase di start-up (articolo ItaliaOggi del 16.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGODue gemelli, un congedo. Astensioni dei papà slegate dal numero di figli. Le indicazioni dell'Inps sui permessi introdotti dalla legge Fornero.
Nessun bis di congedi per il papà se la cicogna è gemellare. Infatti, nel parto plurimo non subiscono variazioni la durata del congedo obbligatorio (un giorno) e quella del congedo facoltativo (massimo due giorni).
Lo precisa l'Inps nella circolare 14.03.2013 n. 40, illustrando i nuovi permessi per maternità a favore dei neopapà introdotti dalla riforma Fornero (legge n. 92/2012).
Due nuovi congedi. Due i nuovi congedi istituiti a favore del padre, lavoratore dipendente del solo settore privato: un congedo obbligatorio (un giorno) e un congedo facoltativo, alternativo al congedo di maternità della madre (due giorni). Entrambe le nuove prestazioni, che sono disciplinate dal dm 22.12.2012 pubblicato sulla G.U. n. 37/2013, vanno fruite entro i primi cinque mesi di vita del bambino.
Riguardo alle durate dei due congedi, l'Inps precisa che, analogamente a quanto disposto per il congedo di maternità (ex astensione obbligatoria), esse non subiscono variazioni nei casi di parto plurimo. Ciò significa, pertanto, che in caso di parto gemellare o plurigemellare, il papà avrà sempre e comunque obbligo di un giorno di congedo e diritto a due giorni di congedo facoltativo.
Congedo obbligatorio. È di un giorno ed è fruibile, spiega l'Inps, anche durante il congedo di maternità della madre (che sia lavoratrice). L'Inps precisa che si tratta di un diritto autonomo e, pertanto, aggiuntivo a quello della madre e spetta comunque indipendentemente dal diritto della madre al congedo obbligatorio. In altre parole, anche se la madre è casalinga il papà ha diritto ad assentarsi per un giorno; e spetta anche se il papà fruisce del congedo di paternità.
Congedo facoltativo. La fruizione del congedo facoltativo è condizionata alla scelta della madre di non fruire di altrettanti giorni del proprio congedo di maternità, con conseguente anticipazione del termine finale del congedo post partum. Quindi non si configura come un diritto autonomo del papà, ma come un diritto derivato da quello della madre. L'Inps precisa che il congedo facoltativo è fruibile dal padre anche contemporaneamente all'astensione della madre; e che spetta anche se la madre, pur avendone diritto, non si avvale del congedo di maternità.
Padre adottivo o affidatario. Entrambi i congedi si applicano anche al padre adottivo o affidatario e il termine del quinto mese decorre dall'effettivo ingresso in famiglia del minore nel caso di adozione nazionale o dall'ingresso del minore in Italia nel caso di adozione internazionale.
La richiesta. Per poter usufruire dei giorni di congedo il padre deve comunicare in forma scritta al datore di lavoro le date in cui intende fruirne con anticipo di almeno 15 giorni. Il datore di lavoro comunica all'Inps le giornate di congedo fruite attraverso il flusso UniEmens (l'Inps si riserva di fornire le istruzioni) (articolo ItaliaOggi del 16.03.2013).

CONSIGLIERI COMUNALIContributi figurativi all'assessore nominato
I lavoratori dipendenti hanno diritto all'accredito figurativo dei contributi anche se, non eletti, sono nominati assessori regionali.

Lo precisa l'Inps nella circolare 14.03.2013 n. 39, estendendo la facoltà di copertura contributiva del periodo di aspettativa ai lavoratori non eletti in consiglio regionale. Le domande, anche per i periodi pregressi, vanno presentate entro il prossimo 12 giugno.
Si tratta, dunque, dell'ampliamento della platea dei soggetti che possono fruire dell'accredito della contribuzione figurativa, con inclusione dei lavoratori dipendenti non solo eletti, ma anche chiamati a svolgere le funzioni di assessore regionale sulla base di una «nomina» decisa da organo elettivo. Il nuovo quadro, spiega l'Inps, adottato d'intesa con il ministero del lavoro, scaturisce dalla previsione della nuova figura dell'assessore nominato (cioè chiamato al di fuori dagli eletti a un consiglio regionale), prima non contemplata. Pertanto, destinatari sono tutti i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, eletti membri del Parlamento, nazionale ed europeo, o di assemblea regionale ovvero nominati a ricoprire funzioni pubbliche.
I lavoratori iscritti alla gestione ex Inpdap, nominati a ricoprire la carica di assessore regionale, possono valorizzare, ai fini pensionistici i periodi di aspettativa senza assegni fruiti a tale titolo, presentando entro 90 giorni dall'emanazione della presente circolare, ora per allora, domanda cartacea di accredito figurativo all'Inps, Gestione ex Inpdap - Direzione centrale Entrate e Posizione Assicurativa, Ufficio 1, Via Ballarin n. 42, 00142 Roma.
Il modello di domanda è disponibile sul sito internet dell'Inps. Chi avesse già presentato una domanda in passato, che sia stata oggetto di provvedimenti di diniego, non deve ripresentarla in quanto verrà riesaminata d'ufficio. Gli accrediti figurativi da regolarizzare sono naturalmente quelli relativi ai periodi per aspettative fruite per le nomine di assessore regionale riferite a tutte legislature regionali precedenti fino a quelle tuttora vigenti (articolo ItaliaOggi del 16.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGOCongedo al padre con preavviso. Richiesta 15 giorni prima - Il permesso può coincidere con la nascita.
Lavoro. L'Inps ricorda che l'istituto previsto dalla legge Fornero vale solo per i lavoratori del settore privato
LA CURA/ Il dipendente ha diritto alla pausa facoltativa anche se la madre non si avvale dell'astensione obbligatoria.

L'Inps, con la circolare 14.03.2013 n. 40, ha diffuso le prime istruzioni sul nuovo sistema di congedo parentale che la riforma del lavoro (legge 92/2012) ha riconosciuto a favore dei padri (lavoratori privati esclusi i dipendenti pubblici). Il documento fornisce una puntale ricostruzione dell'istituto ma non contiene le modalità operative (recupero compreso) che dovranno essere seguite di datori di lavoro, per la gestione complessiva dell'evento.
Per le nascite (adozioni e affidamenti) avvenute dal 01.01.2013, le norme contenute nella legge Fornero riconoscono ai padri due tipi di congedo: uno obbligatorio e uno facoltativo; il primo di un giorno e l'altro di due giornate. I nuovi permessi, la cui durata non subisce variazioni in caso di parto plurimo, devono essere utilizzati entro il quinto mese di vita del bambino e ciò vale anche in caso di parto prematuro.
Il relativo trattamento economico, pari al 100% della retribuzione, è posto a carico del l'Inps. Per il calcolo si applicano le stesse regole previste per l'indennità di maternità. Le giornate confluiranno nel flusso UniEmes; le regole verranno specificate con un successivo messaggio con cui l'Inps dirà anche come recuperare i permessi già concessi, dal mese di gennaio in poi.
Il congedo obbligatorio è autonomo e svincolato da quello concesso alla madre. Quindi si aggiunge a quello della madre e va sempre concesso a prescindere dal diritto di quest'ultima, al suo congedo obbligatorio. Diverso è il caso del permesso facoltativo che può essere fruito dal padre solo se la madre rinuncia allo stesso numero di giorni fruiti dal lavoratore. Ciò implica che la madre deve essere una lavoratrice dipendente o iscritta alla gestione separata e che deve trovarsi in astensione dal l'attività lavorativa.
Il lavoratore/padre ha diritto alla pausa facoltativa anche se la madre, pur avendone diritto, non si avvale del suo congedo. L'Inps ribadisce (in linea con le indicazione contenute nel DM 22/12/2012) che il lavoratore deve farne richiesta, al datore di lavoro, 15 giorni prima e, inoltre, che la fruizione non può avvenire a ore. Considerato che il giorno di astensione obbligatoria potrebbe essere chiesto, in particolare, in occasione della nascita, è previsto che il preavviso possa essere rispettato con riferimento alla data presunta del parto.
Quando il padre lavoratore presenta la domanda di congedo facoltativo deve allegare alla richiesta una dichiarazione di responsabilità in cui la madre dichiara di rinunciare, dal suo congedo di maternità, agli stessi giorni (massimo 2) utilizzati dal padre. In tal caso la decurtazione dei giorni a carico della madre verrà effettuata nella fase finale del congedo obbligatorio (di fatto, quindi, entrambi i genitori si possono assentare contemporaneamente anche se dipendenti di un unico datore di lavoro).
La stessa dichiarazione rilasciata dalla lavoratrice va presentata anche al datore di lavoro della madre da parte di uno dei due genitori. I nuovi congedi non si applicano solamente in vigenza del rapporto di lavoro; conseguentemente, gli stessi sono compatibili con l'ASpI, la mini ASpI, l'indennità di mobilità e la Cig e prevalgono su dette prestazioni, non essendo cumulabili. Per tutte e due le tipologie di congedo spettano gli Anf. La mancata fruizione non sembra sanzionata dalla legge (articolo Il Sole 24 Ore del 16.03.2013).

EDILIZIA PRIVATASul paesaggio no al fai-da-te. Autorizzazioni semplificate? Ok, ma se circoscritte.
Parere del Consiglio di stato sul decreto: su tende, insegne ecc. troppa mano libera.

Autorizzazioni paesaggistiche, no al fai-da-te. La bozza di regolamento del governo sugli interventi di lieve entità, che godono di una autorizzazione semplificata, lascia troppo le mani libere agli interessati. Che, per esempio, potrebbero piazzare tende da sole o insegne senza regole. Non solo. Va chiarita anche la vigilanza sulle occupazioni temporanee, che rischiano di rimanere prive di controllo. E infine il decreto ministeriale è uno strumento inadatto a fissare le regole, visto che la legge demanda la disciplina a un decreto del capo dello stato.
Questo il parere 11.03.2013 n. 1136 del Consiglio di Stato, Sez. consultiva atti normativi, sullo schema di regolamento sul procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità (articolo 146, comma 9, del dlgs 42/2001, codice dei beni culturali e del paesaggio).
L'obiettivo del provvedimento è di precisare le ipotesi di interventi di lieve entità, anche perché senza linee di indirizzo si rischiano confusioni e complicazioni. E la prassi di questi anni lo ha dimostrato.
Lo schema di regolamento in esame modifica il precedente dpr 139/2010 e applica il regime semplificato a tutti gli interventi di lieve entità, indipendentemente dalla tipologia di vincolo al quale è assoggettata l'area sulla quale l'intervento deve essere realizzato. Solo pochi casi sono esclusi dal regime autorizzatorio semplificato.
Lo schema inoltre indica con maggiore dettaglio la documentazione illustrativa del progetto nei casi in cui la semplificazione era esclusa del tutto: viene, tra l'altro, arricchito il contenuto della relazione paesaggistica. La bozza elenca gli interventi di maggiore impatto esclusi dalla «semplificazione». Inoltre rimane esclusa dal regime semplificato l'autorizzazione al taglio di alberi nelle aree sottoposte al vincolo di «bellezza individua».
LA LIEVE ENTITÀ
Palazzo Spada muove alcune obiezioni di dettaglio con riferimento alla individuazione degli interventi di lieve entità.
Secondo Palazzo Spada va approfondita la definizione di installazione di insegne con riferimento alla individuazione della collocazione. Anche per le tende da sole va chiarito il concetto di «piccole dimensioni», tali da escludere la necessità dell'autorizzazione paesaggistica.
Un discorso generale sul concetto di lieve entità tocca un aspetto formale del regolamento. Lo schema di dpr consente di specificare e rettificare l'elenco degli interventi con decreto ministeriale. Qui il consiglio di stato fa un problema di competenza: la legge a monte (articolo 44 del decreto legge 5/2012) ha rinviato a un regolamento (adottato con decreto del presidente della repubblica) l'individuazione degli interventi; se il regolamento rinvia a un semplice decreto ministeriale si pone un problema di rispetto della gerarchia delle fonti.
E non si può ribattere che il decreto ministeriale sarebbe idoneo in quanto si tratta di rettificazioni di carattere tecnico. Palazzo Spada sottolinea che basta scorrere l'elenco degli interventi di «lieve entità» analiticamente indicati nell'allegato al provvedimento per pervenire alla conclusione che i tipi degli interventi medesimi sono, nella quasi totalità, di natura tale da essere suscettibili di stravolgimento proprio per effetto di scelte «tecniche» (dimensioni, altezze, volumetrie).
OCCUPAZIONI TEMPORANEE
Un ultimo rilievo riguarda le occupazioni temporanee. Secondo il parere va migliorata la norma sulla esclusione dell'autorizzazione per le occupazioni temporanee «fino a trenta giorni». Ciò perché lo schema di regolamento non prevede strumenti di verifica della data di inizio delle occupazioni medesime (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013).

VARIMulta nonostante la tracciabilità. Non vale il tetto dei mille euro.
Chi deve pagare una multa salata in contante alla polizia stradale non deve preoccuparsi del vincolo sulla tracciabilità obbligatorio per gli importi superiori a 1.000 euro. Quando i pagamenti sono effettuati a favore dello stato o degli altri enti pubblici infatti è sempre possibile derogare alle strette disposizioni previste dal dlgs 231/2007.
Lo ha chiarito il Ministero dell'interno con un inedito parere del 6 febbraio divulgato dal comando della polizia municipale di Torino con la circolare 20.02.2013 n. 25.
Dal 06.12.2011 la libera circolazione del denaro contante è limitata a 1.000 euro per effetto del dl 201/2011, convertito nella legge 214/2011, che ha inciso, modificandolo, sul contenuto del dlgs 231/2007. Con le recenti riforme stradali, peraltro, sono sensibilmente aumentate le possibilità di riscossione delle multe brevi manu, specialmente in caso di veicoli stranieri e di violazione delle disposizioni in materia di tempi di guida e di riposo dei mezzi pesanti.
In relazione a questa circostanza abbastanza diffusa il comando della polizia locale torinese ha richiesto chiarimenti al ministero evidenziando in particolare la possibilità di ricomprendere i pagamenti delle infrazioni stradali nelle deroghe espressamente contemplate dall'art. 49 del dlgs 231/2007. Con la risposta dell'organo di coordinamento dei servizi di polizia stradale è stata sciolta ogni riserva.
Le disposizioni contenute nell'art. 49/17° del dlgs 231/2007, specifica il ministero, «consentono di derogare tale limite quando i pagamenti sono effettuati allo stato o agli altri enti pubblici». Specifica infatti letteralmente questa normativa che «restano ferme le disposizioni relative ai pagamenti effettuati allo Stato o agli altri enti pubblici e alle erogazioni da questi comunque disposte verso altri soggetti. È altresì fatta salva la possibilità di versamento prevista dall'articolo 494 del codice di procedura civile».
Alla luce di questa considerazioni, conclude la circolare torinese, trova piena applicazione il disposto degli artt. 202 e 207 del codice stradale, indipendentemente dall'importo della sanzione pecuniaria prevista (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGODati telefonici senza segreti per i vigili.
Anche la polizia locale può accedere per esigenze di polizia giudiziaria ai dati telefonici dei sistemi informatizzati dei principali gestori.
Lo ha reso noto la Regione Piemonte con la circolare 01.03.2013.
Ai sensi dell'art. 96 del codice delle comunicazioni elettroniche (di cui al dlgs n. 259 del 01.08.2003), gli operatori telefonici sono tenuti a fornire le informazioni richieste per fini di giustizia dalle competenti autorità giudiziarie. E finché non sarà emanato un apposito decreto ministeriale, che dovrà disciplinare il servizio e determinarne i costi di accesso, il rilascio di informazioni relative al traffico telefonico sarà gratuito.
La circolare della Regione Piemonte evidenzia che, per ottenere le credenziali di accesso gratuito ai sistemi informatizzati dei principali gestori telefonici, la polizia locale dovrà inviare apposita richiesta via e-mail a Hydra (per Telecom e Tim), ad Agweb (per Vodafone) e al Portale Law (per Wind e Infostrada), indicando una casella di posta elettronica del Comando. Al momento, invece, H3G non dispone di un portale o un servizio informatizzato a disposizione dell'autorità giudiziaria e delle forze di polizia.
Successivamente all'invio della richiesta, la polizia locale dovrà compilare e trasmettere la modulistica seguendo le indicazioni che saranno fornite dai singoli gestori telefonici. Una volta ottenute le credenziali di accesso, la polizia locale potrà ricercare e consultare gratuitamente, esclusivamente per esigenze di polizia giudiziaria, i dati degli intestatari di numeri telefonici fissi o radiomobili, di utenze telefoniche o di linee Adsl. Invece, per ottenere i tabulati del traffico telefonico (chiamate, dati, sms) e i dati sull'ubicazione dei ripetitori agganciati, la polizia locale dovrà munirsi preventivamente di un decreto del pubblico ministero.
La circolare della Regione Piemonte sottolinea che gli accessi devono essere eseguiti con massima cautela e che i dati vanno trattati con assoluta riservatezza. Per eventuali abusi sono applicabili gravi sanzioni, come previsto fra l'altro dal dlgs n. 196 del 30.06.2003 e dagli artt. 615-ter e 640-ter del codice penale (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTIImmobili fantasma all'appello. Scade il 2 aprile il termine per la regolarizzazione. Entro lo stesso termine il ricorso in Commissione contro i provvedimenti catastali.
Scade il 2 aprile il termine per la presentazione da parte dei contribuenti degli atti di aggiornamento dei fabbricati non dichiarati in catasto ai quali l'Agenzia del territorio ha attribuito la rendita presunta. Gli interessati possono regolarizzare la loro posizione presentando gli atti di aggiornamento catastale entro 120 giorni dalla pubblicazione del comunicato dell'Agenzia nella Gazzetta Ufficiale, al quale è allegato l'elenco dei comuni interessati dall'attività di attribuzione della rendita presunta.
Considerato che il comunicato è stato pubblicato il 30.11.2012, il termine per la regolarizzazione scade il prossimo 2 aprile. In caso contrario i contribuenti sono soggetti al pagamento delle sanzioni amministrative. Entro lo stesso termine è possibile presentare ricorso contro i provvedimenti catastali innanzi alla commissione tributaria provinciale competente per territorio.
Al comunicato dell'Agenzia del territorio del 30 novembre scorso è allegato l'elenco dei comuni interessati dalla seconda fase dell'attività di attribuzione della rendita presunta ai fabbricati cosiddetti fantasma. Sul sito internet dell'Agenzia è ancora disponibile per la consultazione l'elenco delle particelle del catasto terreni e le corrispondenti unità immobiliari del catasto edilizio urbano alle quali è stata attribuita la rendita presunta. Gli atti di aggiornamento devono essere presentati entro 120 giorni dalla pubblicazione del comunicato nella Gazzetta Ufficiale. Mentre i termini per la proposizione del ricorso (60 giorni) iniziano a decorrere trascorsi 60 giorni dalla data di pubblicazione del comunicato. Quindi, sia per gli aggiornamenti che per l'impugnazione dei provvedimenti adottati dall'Agenzia il termine di scadenza è fissato al 2 aprile, poiché il 30 marzo è sabato e i due giorni successivi sono festivi.
In effetti, dal 2011 l'Agenzia del territorio può attribuire, provvisoriamente, la rendita presunta (in attesa della rendita definitiva) agli immobili non dichiarati in catasto. Le modalità e i criteri per l'attribuzione della rendita presunta sono indicate in un provvedimento del direttore del Territorio del 19.04.2011, pubblicato sul sito dell'Agenzia. L'articolo 19, comma 8, del decreto legge 78/2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 122/2010, ha imposto l'obbligo ai titolari di diritti reali sugli immobili non dichiarati di presentare la dichiarazione di aggiornamento catastale. L'Agenzia del territorio sulla base di nuove informazioni connesse a verifiche tecnico-amministrative, effettuate con telerilevamento e con sopralluogo sul terreno, infatti, monitora costantemente il territorio, individuando, in collaborazione con i comuni, i fabbricati fantasma. Decorso il termine di legge (7 mesi) senza che il titolare dell'immobile abbia provveduto all'accatastamento, l'Agenzia è legittimata ad adottare il provvedimento attribuivo della rendita presunta.
Se per gli immobili ai quali è stata attribuita la rendita presunta i soggetti obbligati non presentano gli atti di aggiornamento, scattano le sanzioni amministrative che sono state quadruplicate. Il 75% dell'importo delle sanzioni è devoluto ai comuni in cui sono ubicati gli immobili accertati (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOAnticorruzione, piani triennali nella p.a.. Approvate le linee guida.
Al via i piani triennali anticorruzione nella p.a..
Come anticipato su ItaliaOggi del 13/03/2013, il comitato interministeriale di cui fanno parte i ministri Patroni Griffi, Cancellieri e Severino ha approvato le linee di indirizzo 13.03.2013 per la predisposizione del piano nazionale anticorruzione che ciascuna amministrazione dovrà tradurre in pratica nei piani triennali.
Le linee guida spiegano quali sono i contenuti minimi che le p.a. dovranno avere cura di inserire nei piani, partendo proprio dalle attività più esposte a rischio corruzione: autorizzazioni, concessioni, procedure di scelta del contraente nell'affidamento di lavori, forniture e servizi, concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, concorsi e prove selettive per l'assunzione di personale.
Le misure individuate per ridurre il rischio di fenomeni corruttivi prevedono la necessità di introdurre adeguate forme di controllo interno, ma soprattutto la rotazione del personale in modo da evitare il consolidamento di «pericolose forme di privilegio nella gestione diretta di certe attività».
I funzionari, insomma, non dovranno occuparsi per troppo tempo delle stesse pratiche. Le denunce dei dipendenti (cosiddetto whistleblowing) dovranno essere tenute in debito conto e bisognerà assicurare ai denuncianti adeguate forme di tutela. In caso di violazione dei doveri di comportamento dovrà scattare la responsabilità disciplinare. I dipendenti dovranno conoscere bene i contenuti del piano triennale anticorruzione che dovrà essere sottoposto alla loro attenzione sia all'atto dell'assunzione sia successivamente con cadenza periodica.
Nei comuni sarà il sindaco a nominare il responsabile della prevenzione della corruzione, salvo che l'ente decida che la competenza spetta alla giunta o al consiglio. Lo ha deciso la Civit con delibera 13.03.2013 n. 15/2013 (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Dimissioni irrevocabili. Anche se rivolte al sindaco e non al consiglio. Sulla disciplina della surroga decide il regolamento comunale
Quali provvedimenti devono essere adottati dalla prefettura a seguito delle dimissioni di quattro consiglieri comunali, su sei assegnati all'ente, qualora tali rinunce siano riferite non alla carica di consigliere comunale, ma alle deleghe attribuite dal sindaco?

Le dimissioni indirizzate al sindaco, cioè all'organo rappresentativo dell'ente, una volta acquisite al protocollo ufficiale del comune assumono rilevanza giuridica, nel senso che, da quel momento, sono efficaci ed irrevocabili, risultando irrilevante che le stesse siano indirizzate al primo cittadino anziché al consiglio.
Inoltre, sulla base di quanto disposto dall'art. 38, comma 8, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, le dimissioni dalla carica di consigliere sono irrevocabili, non necessitano di presa d'atto e sono immediatamente efficaci. La stessa giurisprudenza ha avuto modo di precisare che, una volta acquisito al protocollo dell'ente il documento contenente le dimissioni, non è più possibile prendere in considerazione eventuali dichiarazioni successive alla loro presentazione volte ad asserire una propria originaria volontà, diversa dalle dimissioni stesse (Consiglio di stato, sez. I, n. 3049/2002).
In particolare, per quanto attiene alla possibilità di procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari, il comma 2 del citato art. 38 dispone che il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dello statuto, è disciplinato dal regolamento che prevede, in particolare, le modalità per la convocazione, per la presentazione e per la discussione delle proposte. Il regolamento indica, altresì, il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all'ente, senza computare a tale fine il sindaco e il presidente della provincia.
Ciò posto, sulla base di quanto previsto dal citato comma 2, si ritiene non sia possibile riunire il consiglio comunale per procedere alla surroga degli ulteriori consiglieri dimissionari, in quanto per la validità della relativa delibera occorrerebbe la presenza di almeno la metà dei consiglieri assegnati, senza computare a tal fine il sindaco, così come riportato nel regolamento comunale.
Pertanto, nella fattispecie, si configurano i presupposti di cui all'art. 141, comma 1, lett. b), n. 4, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 per riduzione dell'organo assembleare ad oltre la metà dei suoi componenti (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consiglieri comunali.
Se lo statuto di un ente locale dispone che il consiglio comunale è riunito validamente con l'intervento della metà dei componenti e che, in seconda convocazione, le deliberazioni sono valide purché intervengano almeno quattro componenti, qual è la procedura da seguire per l'eventuale surroga dei consiglieri comunali dimissionari, tenuto conto che, dei sedici consiglieri comunali assegnati per legge, nell'arco di un breve periodo, dodici degli stessi hanno rassegnato le dimissioni?

L'art. 38, comma 2, del decreto del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, nel disciplinare le modalità di funzionamento dei consiglieri comunali e provinciali dispone che, affinché le sedute siano valide, è necessaria la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all'ente, senza computare a tal fine il sindaco.
Il legislatore statale ha, quindi, fissato una soglia minima, inderogabile, dei componenti nel consiglio comunale, rimettendo all'autonomia normativa dell'ente la possibilità di stabilire maggioranze qualificate per l'adozione di determinati atti deliberativi sui quali si reputi che debba convergere un più elevato numero di consensi
Nel caso di specie, pertanto, le disposizioni dello statuto comunale non risultano in linea con la normativa di rango primario, conseguentemente le stesse non possono trovare applicazione.
Ciò posto, sulla base di quanto previsto dal menzionato art. 38, comma 2, Tuel, si ritiene non sia possibile riunire il consiglio comunale per procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari in quanto per la validità della relativa delibera occorrerebbe la presenza, anche in seconda convocazione, di almeno cinque consiglieri escluso il sindaco mentre, attualmente, presso il comune sono in carica solo quattro consiglieri (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGOLa nomina dei responsabili anticorruzione.
La nomina del responsabile anti-corruzione spetta direttamente al sindaco in qualità di «organo di indirizzo politico amministrativo»; i Comuni, però, possono intervenire sul punto esercitando la propria «autonomia normativa e organizzativa», e affidare questo compito alla Giunta o al consiglio.

L'indicazione arriva dalla Civit, la Commissione di valutazione delle Pa: le nomine rappresentano la prima scadenza, immediata, nel piano applicativo delle norme anti-corruzione, che entro il 31 marzo devono giungere anche al varo del piano da parte di ogni amministrazione pubblica (articolo Il Sole 24 Ore del 15.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOAgli statali niente indennità di vacanza contrattuale. In Finanziaria non sono state stanziate le risorse.
TUTELA PARZIALE/ Anche senza il Dpr che congela le intese rimane in pagamento la tutela economica relativa al 2010-2012.
Niente indennità di vacanza contrattuale aggiuntiva per il pubblico impiego, nemmeno se il provvedimento che la congela espressamente insieme ai rinnovi contrattuali non dovesse arrivare entro il mese di aprile. L'unico fattore di urgenza per il Governo, in questo quadro, sarebbe legato al riconoscimento contabile degli scatti di anzianità nella scuola, che in mancanza del blocco entrerebbero nei tendenziali di finanza pubblica.
Il blocco di fatto delle retribuzioni pubbliche anche dopo la scadenza di quello "di diritto" a fine 2012 emerge dalla lettura combinata delle regole sulla «tutela retributiva» dei dipendenti pubblici. Il blocco di rinnovi contrattuali e stipendi individuali introdotto con la manovra estiva 2010 (articolo 9 del Dl 78/2010) è scaduto a fine 2012, e la sua estensione al biennio 2013-2014, prevista nella prima manovra estiva 2011 (articolo 16 del Dl 98/2011), ha bisogno di un Dpr per essere applicata.
Il Dpr è già stato predisposto, ma si sta incagliando anche per ragioni legate all'opportunità o meno per un Governo uscente di assumere un atto di forte peso simbolico. I sindacati nei giorni scorsi sono passati all'attacco, e non è ancora stata presa una decisione sul suo approdo o meno al prossimo consiglio dei ministri.
Qui si innesta il problema dell'indennità di vacanza contrattuale per i dipendenti pubblici. Introdotta per il primo biennio dalla Finanziaria 2009 e prolungata fino al 2012 dalla manovra 2010, l'indennità è stata resa strutturale dalla riforma Brunetta, che l'ha introdotta nel Testo unico del pubblico impiego (articolo 47-bis del Dlgs 165/2001). L'indennità andrebbe pagata a partire da aprile dell'anno successivo alla scadenza del contratto nazionale di riferimento, ma la sua partenza non è automatica: l'attribuzione deve infatti avvenire «entro i limiti previsti dalla legge finanziaria in sede di definizione delle risorse contrattuali». E qui sta il punto.
Nella sua prima versione la legge di stabilità bloccava per il 2013-2014 sia i rinnovi contrattuali sia l'indennità di vacanza contrattuale, con una previsione che è poi stata espunta per essere trasferita nel Dpr sul tema. Ovvio, quindi, che nella stessa legge non sia stato predisposto alcuno stanziamento per l'indennità, e nemmeno per i rinnovi contrattuali che quindi non possono partire senza risorse.
In questo quadro, rimane in vita solo l'indennità che copre la prima vacanza contrattuale, quella del 2010-2012, senza aggiunte per l'ulteriore stallo dei rinnovi (articolo Il Sole 24 Ore del 15.03.2013 - tratto da http://rstampa.pubblica.istruzione.it).

TRIBUTI: Imu, riduzione discrezionale. Variabile l'effetto sostitutivo per gli immobili merce. La circolare 5 riconosce l'imposta per gli stabili non produttivi di redditi fondiari.
Nessun effetto sostitutivo per gli immobili merce. Se però sono destinati alla rivendita e non locati, è possibile una riduzione discrezionale e a tempo, dell'aliquota applicabile.
Con la circolare 11.03.2013 n. 5/E (si veda ItaliaOggi del 12/03/2013) sono stati esaminati i rapporti tra l'imposta municipale sperimentale (Imu) e le imposte sui redditi, come l'Ires, l'Irpef e le addizionali, il tutto in relazione a quanto prescritto dal comma 1, dell'articolo 8 del dlgs 23/2011, inerente al federalismo fiscale.
Se dal un lato sono numerose le fattispecie per cui quando l'immobile è assoggettato a imposta municipale fuoriesce dalla tassazione diretta, vi sono altrettanti casi dove l'effetto sostitutivo appena indicato, non esplica i propri effetti. Emblematico è infatti il caso dei terreni destinati all'esercizio delle attività agricole, di cui all'art. 2135 del codice civile, soggetti a tassazione fondiaria, ai sensi dell'articolo 32 del dpr n. 917/1986.
Per l'allevamento di animali, infatti, se si sviluppa con mangimi ottenibili per almeno il 25% dal terreno, l'affittuario dichiara il reddito agrario e il proprietario, persona fisica, oltre a versare il tributo municipale, deve anche pagare l'Irpef e le relative addizionali. In questo caso, pur non rendendosi applicabile l'effetto sostitutivo, non riduce, in quanto esente, l'imposizione diretta sull'immobile strumentale agricolo collocato in aree montane. Il tutto solo se rispettoso dei requisiti oggettivi di ruralità, di cui al comma 3-bis, dell'articolo 9 del dl n. 557/1993. Si tratta infatti, tra gli altri, dell'ufficio dell'impresa agricola, dell'abitazione concessa in affitto ai dipendenti e degli immobili destinati alla protezione delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli, al ricovero degli animali e all'agriturismo.
Posto il principio generale per cui tutti gli immobili esenti dall'Imu scontano le imposte sui redditi, pagano pegno anche i terreni collocati in zone collinari o montane, come delimitati dall'articolo 15 del dlgs n. 984/1977, e quelli destinati ad attività diverse da quelle agricole, come le cave e i parcheggi. Si conferma quindi l'assoggettamento all'imposizione diretta per gli immobili non produttivi di redditi fondiari, di cui all'articolo 43 del Tuir, con l'eccezione di quelli non locati utilizzati in modo promiscuo dal professionista.
Pertanto, in tutti quei casi in cui non opera l'effetto sostitutivo, si determina un notevole aggravio del prelievo fiscale. Tra questi, il caso degli immobili locati, degli immobili di soggetti Ires e degli immobili-merce appartenenti alle imprese. Si verifica quindi l'assenza di un regime sostitutivo per gli immobili delle imprese, per i quali l'Imu è sempre dovuta, ai sensi del comma 1, dell'articolo 9 del dlgs n. 23/2011 e sui quali l'imprenditore paga anche le imposte dirette, poiché componente del reddito d'impresa come rimanenza.
Per detti ultimi beni quindi, l'unico possibile vantaggio è quello inerente alla riduzione dell'aliquota da parte del comune fino allo 0,38%. Per un periodo superiore a tre anni rispetto all'ultimazione dei lavori, l'aliquota ridotta si rende applicabile però, solo fino a che permane la destinazione alla vendita del fabbricato e a condizione che l'immobile non sia locato (articolo ItaliaOggi del 14.03.2013).

ENTI LOCALI - VARIPermessi invalidi, durata lunga. Scadenza prorogata d'ufficio al giorno del compleanno. Parere della Funzione pubblica sul nuovo contrassegno di parcheggio modello europeo.
Al nuovo contrassegno per il parcheggio dei disabili rilasciato su modello europeo si applica la regola della scadenza allineata al giorno del compleanno del titolare. Purché si tratti di autorizzazioni permanenti, aventi validità pluriennale.
Lo ha chiarito il Dipartimento per la funzione pubblica con il parere 05.03.2013.
L'allineamento della scadenza di tutti i documenti di identità e di riconoscimento alla data di nascita del titolare è una novità recente, introdotta dall'art. 7 del dl 5/2012, convertito nella legge 35/2012. Dopo un primo periodo di incertezza a questa curiosa disposizione si è allineata anche la Motorizzazione che ora rilascia le patenti normali con scadenza allineata al giorno del compleanno. Mentre nessuno si è ancora preoccupato di attivare o perlomeno richiedere questa semplificazione anche in materia di patenti nautiche, un comando di polizia locale ha richiesto chiarimenti in materia di contrassegni invalidi.
I nuovi permessi blu, conformi alle disposizioni comunitarie ed in vigore dallo scorso anno grazie al dpr 151/2012, specifica la nota della polizia locale, devono necessariamente qualificarsi come documenti di riconoscimento ai sensi dell'art. 1 del dpr 445/2000. In virtù di questa classificazione a parere dei vigili anche a questi contrassegni che hanno validità 5 anni deve applicarsi la rivoluzione copernicana della scadenza allineata alla data di compleanno del titolare.
La Funzione pubblica ha confermato questa interpretazione, perlomeno in riferimento ai contrassegni permanenti, ovvero con scadenza quinquennale. Specifica infatti la nota centrale che sono condivisibili le motivazioni che portano a ritenere il contrassegno invalidi come «un documento di riconoscimento ai sensi dell'art. 1, lett. c), del dpr n. 445/2000. Detto contrassegno, si sensi della normativa vigente, è rilasciato da una pubblica amministrazione italiana su supporto cartaceo, è strettamente personale, riporta nome e cognome del titolare ed è munito di fotografia e firma».
In buona sostanza anche a questi documenti si applica quindi l'allineamento della scadenza al compleanno del titolare previsto dal dl 5/2012 (articolo ItaliaOggi del 13.03.2013).

TRIBUTICase inagibili esenti dall'Irpef. Sugli immobili già si applica l'Imu. Anche se ridotta. La circolare dell'Agenzia delle entrate ha richiamato un precedente datato 2012.
I contribuenti non sono tenuti a pagare l'Irpef sui fabbricati inagibili, poiché questi immobili non sono esenti dall'Imu. I titolari di fabbricati inagibili o inabitabili, infatti, pagano l'imposta in misura ridotta. Quindi, non sono soggetti al pagamento delle imposte sui redditi.
Lo ha chiarito l'Agenzia delle entrate con la circolare 11.03.2013 n. 5/E (si veda ItaliaOggi di ieri).
Secondo l'Agenzia, per gli immobili inagibili per i quali siano rispettate tutte le prescrizioni contenute nell'articolo 13, comma 3, lett. b), del decreto «salva Italia» (201/2011), è dovuta solamente l'Imu. Per questi fabbricati l'Imu è dovuta in misura ridotta, in quanto la base imponibile è pari al 50 per cento. Dunque, non possono essere considerati esenti e, per l'effetto, «opera l'effetto di sostituzione dell'Irpef».
In effetti, l'articolo 8 del decreto sul Federalismo municipale (23/2011) dispone in via di principio che la nuova imposta locale sostituisce, per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali dovute per i redditi fondiari relativi ai beni non locati. Inoltre, l'articolo 9 dello stesso decreto stabilisce che sono comunque assoggettati alle imposte sui redditi e alle relative addizionali, «ove dovute», gli immobili esenti dall'Imu.
La circolare delle Entrate richiama una precedente circolare ministeriale 3DF/2012, con la quale è stato già precisato che la locuzione «ove dovute» «è finalizzata a ribadire che, nel momento in cui si verifica un'esenzione ai fini Imu, devono comunque continuare ad applicarsi le regole ordinarie proprie che disciplinano l'Irpef e le relative addizionali». Pertanto, sono assoggettati alle imposte sui redditi solo gli immobili esenti dall'imposta comunale.
Per i fabbricati inagibili o inabitabili il legislatore non aveva, nel momento in cui è stata istituita la nuova imposta locale, previsto alcun trattamento agevolato. Solo con l'articolo 4 del dl 16/2012, che ha integrato l'articolo 13, è stata disposta la riduzione al 50% della base imponibile. Della stessa riduzione possono fruire i fabbricati di interesse storico o artistico. È previsto che lo stato d'inagibilità debba essere accertato dall'ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che è tenuto ad allegare idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa, il contribuente ha facoltà di presentare una dichiarazione sostitutiva.
Per l'Ici, ma il principio è applicabile anche all'Imu, la giurisprudenza ha sostenuto che spetti il trattamento agevolato anche nei casi in cui l'interessato non abbia presentato la dichiarazione d'inagibilità, purché sia noto all'amministrazione comunale lo stato dell'immobile. In queste situazioni la base imponibile deve essere ridotta al 50%, a condizione che il fabbricato non venga di fatto utilizzato. La riduzione è però limitata al periodo dell'anno durante il quale sussiste l'inagibilità.
È evidente che le condizioni dell'immobile vanno accertate dall'ente impositore, sia se il contribuente alleghi idonea documentazione alla richiesta di riduzione dell'imposta, sia se presenti dichiarazione sostitutiva e autocertifichi questa situazione. Per avere diritto al beneficio previsto dalla legge, però, l'istanza deve essere inoltrata nel momento in cui il fabbricato è inagibile, al fine di consentire all'ente di verificare la dichiarazione del soggetto interessato.
Infine, bisogna ricordare che in base all'articolo 59, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 446/1997, il comune aveva la facoltà di introdurre nel regolamento che la riduzione dell'imposta spettasse solo quando il degrado del fabbricato non fosse superabile con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. Con l'introduzione dell'Imu questa disposizione è stata espressamente abrogata (articolo ItaliaOggi del 13.03.2013 - tratto da www.escostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOFerie senza tasse. L'indennità sostitutiva è risarcitoria. Sentenza Ctr Lazio nel caso di mancato godimento.
Il compenso sostitutivo delle ferie non godute non può essere soggetto a tassazione poiché ha natura risarcitoria e dunque, nei termini consentiti, può essere richiesto il rimborso di quanto indebitamente trattenuto negli anni.
Sono le conclusioni che si leggono nella sentenza 06.02.2013 n. 89/04/2013 emessa dalla Sez. IV della Commissione tributaria regionale del Lazio.
Riferendosi a una interpretazione «costituzionalmente orientata» i giudici regionali romani hanno definitivamente accolto la richiesta di rimborso delle ritenute fiscali illegittime trattenute su questa indennità, stabilendone la sua completa intassabilità. «L'articolo 6, comma 2, del Tuir n. 917/1986 stabilisce l'imponibilità delle sole “indennità” conseguite a fronte di effettive perdite di reddito (lucro cessante), ma non anche a quelle, come nella specie, che sono tese a riparare un danno, senza effettivo incremento reddituale».
Secondo gli stessi giudici, l'indennità delle ferie non godute, quindi, ha natura risarcitoria e non è soggetta alle imposte dirette; le ferie annuali e i riposi settimanali costituiscono, infatti, un diritto insopprimibile del lavoratore, connesso alla protezione della sua salute quale bene primario costituzionalmente garantito.
Qualora per un qualsiasi motivo, anche volontario, il lavoratore non ne usufruisca, si verifica un fatto illecito da parte del datore di lavoro che ordini o consenta tale comportamento e lo stesso lavoratore avrà diritto di ricevere una «indennità», che contenga, oltre alla retribuzione ordinaria, una adeguata maggiorazione che compensi lo stress fisico e psichico.
Da quanto detto si evince che, poiché l'erogazione di questa indennità è riconducibile fra quelle costituenti un mero risarcimento per danni della sfera biologica della persona, essa avrà natura di mera reintegrazione di una decurtazione di tipo patrimoniale (danno emergente) e non invece la funzione di reintegrare la perdita di un reddito (lucro cessante), non vi sono, quindi dubbi sulla sua non assoggettabilità a imposizione Irpef, in quanto una siffatta fattispecie non è espressamente prevista fra quelle costituenti ipotesi tassative di reddito imponibile.
Il collegio aggiunge che si potrebbe distinguere la parte di indennità corrispondente alla retribuzione «ordinaria» dalla vera e propria maggiorazione, ma poiché la previsione normativa in merito è del tutto carente, la richiesta di rimborso deve essere accolta interamente (articolo ItaliaOggi del 13.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGOLicenziare ora sarà più facile. Nei casi di violazione ripetuta della buona condotta. Via libera finale del governo al nuovo codice di comportamento. Il Miur dovrà integrarlo.
Il licenziamento diventa più facile. I dirigenti scolastici, i docenti e il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario in servizio nella scuola pubblica potranno incorrere nella sanzione del licenziamento disciplinare nel caso di violazioni gravi o reiterate degli obblighi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta indicati nel codice di comportamento dei pubblici dipendenti contenuto in un decreto del Presidente della Repubblica che, dopo avere ottenuto il via libera dal Consiglio dei ministri nella riunione di venerdì 8 marzo, sarà pubblicato prossimamente nella Gazzetta Ufficiale.
La pubblicazione del Codice comporta l'abrogazione del decreto del ministro per la funzione pubblica 28.11.2000 recante «Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni». Le previsioni contenute nel nuovo codice, messo a punto dal ministro della funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, devono comunque essere integrate e specificate dal codice di comportamento che sarà adottato dal ministero dell'istruzione.
Il Codice, nei termini definiti dal comma 44 dell'articolo 1 della legge 06.11.2012, n. 190, comma che ha sostituito l'articolo 54 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, ha il fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico.
Regali off limits
Il Codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite, e comunque prevede per tutti i dipendenti pubblici, ivi compreso il personale della scuola, il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compresi, regali o altre utilità, in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso,(in via orientativa, non superiore a euro 100) e nei limiti delle normali relazioni di cortesia.
Tra le altre disposizioni che possono coinvolgere direttamente il personale della scuola si sottolineano: il divieto di accettare incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti l'ufficio di appartenenza; l'obbligo -fatta eccezione per l'adesione ai partiti politici o ai sindacati- di comunicare al dirigente scolastico l'adesione o l'appartenenza ad associazioni o organizzazioni i cui ambiti di interessi siano coinvolti o possano interferire con lo svolgimento delle proprie funzioni; il divieto di utilizzare a fini privati materiale o attrezzature di cui dispone per ragioni dei suoi compiti e di utilizzare le linee telefoniche della scuola per esigenze personali, fatti salvi i casi di urgenza.
I doveri minimi
La violazione dei doveri minimi previsti dal Codice, dispone tra l'altro l'art. 17, integra comportamenti contrari ai doveri d'ufficio ed è fonte di responsabilità accertata all'esito del procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di colpevolezza, gradualità e proporzionalità delle sanzioni. Le sanzioni disciplinari che non comportano il licenziamento con o senza preavviso sono quelle previste dal contratto nazionale di lavoro.
Ferma restando la comminazione del licenziamento senza preavviso per i casi già previsti dalla legge, dai regolamenti e dal contratto collettivo nazionale di lavoro, la sanzione disciplinare del licenziamento si applica nei seguenti casi indicati nell'art. 55-quater del decreto legislativo n. 165/2001:
a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione;
c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio;
d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;
e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignità personale altrui;
f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro. Nei casi di cui alle lettere a), d),e) ed f), il licenziamento sarà senza preavviso (articolo ItaliaOggi del 12.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTITares, sconti a carico dell'ente. Bonus extra coperti da risorse diverse
Il comune può concedere riduzioni tariffarie e agevolazioni «atipiche», anche se non previste dalla legge, purché non comportino un aumento della tassazione per i contribuenti soggetti al pagamento della Tares. Quindi, coloro che sono soggetti al prelievo non devono pagare di più. La copertura, infatti, deve essere assicurata da risorse diverse dai proventi del tributo di competenza dell'esercizio. Mentre, per i benefici fiscali concessi dalla norma di legge il minor gettito è giustificato dalla minore produzione di rifiuti.

Lo ha precisato il ministero dell'economia e delle finanze nelle nuove linee guida per la redazione del piano finanziario e l'elaborazione delle tariffe.
Secondo il ministero, le agevolazioni atipiche possono essere iscritte nel piano economico-finanziario, purché siano «controbilanciate da un eguale contributo a carico del comune». Invece, per quelle contemplate dall'articolo 14 del dl Monti (201/2011), considerata la loro «minor attitudine a fruire del servizio pubblico», il minor gettito, suddiviso in quote fisse e variabili, «deve essere inserito tra i costi del Pef».
In effetti, al di là dei benefici elencati dalla norma, il comune può deliberare ulteriori agevolazioni. A patto, però, che il mancato gettito venga coperto da risorse diverse dai proventi del tributo. Il consiglio comunale può deliberare altre riduzioni ed esenzioni, che vanno iscritte in bilancio come autorizzazioni di spesa. La relativa copertura deve essere assicurata da risorse diverse dai proventi del tributo di competenza dell'esercizio al quale si riferisce l'iscrizione. Altrimenti, visto che devono essere coperti i costi del servizio, le somme riscosse avrebbero un'incidenza negativa sul quantum dovuto dai contribuenti soggetti al prelievo.
L'articolo 14, poi, disciplina espressamente alcune agevolazioni tariffarie, riconoscendo al comune la facoltà di stabilire, con regolamento, riduzioni del tributo dovuto in presenza di determinate situazioni, in cui si presume che vi sia una minore capacità di produzione di rifiuti. A questi benefici viene però fissato un tetto massimo. La riduzione della tariffa non può superare il limite del 30%.
Il trattamento agevolato può essere concesso per: abitazioni con unico occupante; abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo; locali e aree scoperte adibiti a uso stagionale; abitazioni occupate da soggetti che risiedono o hanno la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero; fabbricati rurali a uso abitativo. Oltre a queste riduzioni tariffarie, meramente facoltative, sono previste agevolazioni che spettano ai contribuenti ex lege.
Per esempio, le riduzioni per locali e aree situati nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, per le quali il tributo è dovuto nella misura del 40% della tariffa. Questa misura massima deve essere graduata tenendo conto della distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita. Percentuale che scende al 20% in caso di mancato o irregolare svolgimento del servizio. Le agevolazioni si applicano anche alla maggiorazione, destinata alla copertura dei servizi indivisibili prestati dall'amministrazione comunale (articolo ItaliaOggi del 12.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTI: Onlus, esenzione Imu elastica. Agevolazione salva per i beni concessi ad altri non profit. I chiarimenti del ministero: c'è più tempo per adeguare lo statuto al regolamento.
Un ente non commerciale che concede in comodato un immobile a un altro ente non profit che svolga un'attività con modalità non commerciali ha diritto all'esenzione Imu, anche se non lo utilizza direttamente. Questi enti, inoltre, hanno ancora tempo per adeguare atti costitutivi e statuti, perché il termine del 31.12.2012 fissato dal regolamento ministeriale non è perentorio.

Questi chiarimenti sono stati forniti dal dipartimento delle finanze del ministero dell'economia, con le risoluzioni 3 e 4 del 04.03.2013.
La presa di posizione del ministero non è però in linea con le pronunce sia della Corte costituzionale sia della Cassazione, secondo cui per fruire dell'esenzione Ici (ma la stessa regola dovrebbe valere per l'Imu) l'ente non commerciale avrebbe dovuto non solo possedere, ma anche utilizzare direttamente l'immobile.
Nella risoluzione 4/2013, invece, viene data una lettura a dir poco elastica delle tesi giurisprudenziali, in quanto viene ritenuto fruibile il beneficio fiscale anche nei casi in cui l'immobile posseduto da un ente non commerciale venga concesso in comodato a un altro ente, che svolga le attività elencate dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 504/1992 (ricreative, culturali, didattiche, sportive, assistenziali, sanitarie e così via).
A maggior ragione, secondo il ministero, se l'immobile venga dato «in comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell'ente concedente», purché l'utilizzatore fornisca all'ente non profit «tutti gli elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento degli obblighi tributari sia di carattere formale sia sostanziale». A proposito di adempimenti, viene poi chiarito che la data del 31.12.2012 imposta dal regolamento ministeriale (dm 19.11.2012 n. 200) per adeguare atti costitutivi e statuti «non deve considerarsi perentoria».
Va ricordato che la disciplina Imu ha confermato l'esenzione per gli immobili posseduti e utilizzati dagli enti non commerciali, fissando però regole diverse rispetto all'Ici.
L'articolo 7, comma 1), lettera i), riconosce l'esenzione alle attività elencate dalla norma svolte dagli enti purché non abbiano natura esclusivamente commerciale. In effetti, l'articolo 91-bis del dl liberalizzazioni (1/2012), in sede di conversione in legge (27/2012), ha previsto che gli enti ecclesiastici e non profit pagano l'Imu se sugli immobili posseduti vengono svolte attività didattiche, ricreative, sportive, assistenziali, culturali e via dicendo con modalità commerciali.
Tuttavia, sono state apportate delle modifiche alla disciplina delle agevolazioni Ici riconoscendo, in presenza di determinate condizioni, un'esenzione parziale.
Infatti, qualora l'unità immobiliare abbia un'utilizzazione mista, l'esenzione si applica solo sulla parte nella quale si svolge l'attività non commerciale, sempre che sia identificabile. La parte dell'immobile dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente, però, deve essere iscritta in catasto e la rendita produce effetti a partire dal 01.01.2013.
Nel caso in cui non sia possibile accatastarla autonomamente, l'agevolazione spetta in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile che deve risultare da apposita dichiarazione dell'ente interessato.
Non a caso il comma 3 dell'articolo 91-bis prevede l'emanazione di un regolamento che contenga norme di dettaglio nei casi in cui gli immobili abbiano un'utilizzazione mista e per le quali non sia possibile accatastare separatamente una parte dell'unità immobiliare nella quale si svolge l'attività commerciale. Provvedimento attuativo che è stato già adottato.
Sono invece soggetti all'Imu gli immobili posseduti dalle fondazioni bancarie, anche se hanno la natura di enti non commerciali. Non possono, infatti, fruire dell'esenzione dal pagamento dell'imposta municipale, a prescindere dalle attività esercitate. Lo ha precisato il dipartimento delle finanze del ministero dell'economia con la risoluzione 1/2013.
Il dipartimento, oltre ad aver chiarito che gli enti non commerciali non erano tenuti a presentare la dichiarazione Imu entro il 04.02.2103, per il cui adempimento bisogna attendere l'approvazione del relativo modello, in cui verrà indicato il termine di presentazione, ha anche ricordato che l'articolo 9, comma 6-quinquies, del dl «salva enti» (174/2012) dispone che, in ogni caso, l'esenzione Imu per gli enti non commerciali non si applica alle fondazioni bancarie.
Nonostante questi enti siano persone giuridiche private senza fini di lucro, dotate di autonomia statutaria e gestionale, che perseguono scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

VARI: Neopapà, il congedo raddoppia. Ora stare a casa è d'obbligo. In G.U. il regolamento che rende operative le novità contenute nella riforma Fornero.
Un giorno a casa obbligatoriamente, più altri due se lo vuole la moglie. Sono i nuovi permessi per i papà lavoratori dipendenti previsti dalla riforma Fornero. Che usa il bastone per «promuovere la cultura di maggiore condivisione dei compiti genitoriali e favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro», imponendo cioè ai papà di dedicarsi obbligatoriamente un giorno alle cure del bebè appena arrivato, più altri due se così decide la consorte. I nuovi permessi si applicano alle nascite avvenute dal 01.01.2013.
Misure sperimentali per i papà. I nuovi congedi sono stati introdotti in via sperimentale per il triennio 2013/2015 dalla citata legge n. 92/2012 (articolo 4, comma 24), la riforma Fornero:
a) un congedo obbligatorio di un giorno;
b) un congedo facoltativo massimo di due giorni (uno o due giorni).
Il via libero operativo è arrivato dalla pubblicazione, sulla G.U. n. 37 del 13 febbraio, del regolamento approvato con decreto 22.12.2012). Le misure a favore dei papà si applicano con esclusivo riferimento alla nascite a partire dal 01.01.2013 (invece sia il congedo obbligatorio sia quello facoltativo non si applicano alle nascite avvenute entro il 31.12.2012).
Solo per i lavoratori dipendenti. Entrambi i nuovi congedi spettano solo ed esclusivamente ai papà, che siano lavoratori dipendenti, ossia titolari di un contratto di lavoro subordinato. E si applicano, inoltre, anche alle ipotesi di padre adottivo o affidatario; in tal caso, il limite di fruizione (cinque mesi) va evidentemente riferito alla data di ingresso del minore in famiglia.
Il congedo obbligatorio. Si tratta di un «obbligo» vero e proprio di astensione dal lavoro. Vale un giorno, come accennato, ed è fruibile a scelta del padre (che ne ha diritto) nei primi cinque mesi di vita del figlio. La fruizione può avvenire anche durante il congedo di maternità di cui stia fruendo il coniuge (la madre), ossia nei tre o quattro mesi di astensione obbligatoria post-partum.
Il congedo di maternità, infatti, riconosce alla madre lavoratrice dipendente l'obbligo di astenersi dal lavoro per un totale di cinque mesi da suddividere prima e dopo la nascita; ordinariamente la ripartizione è due mesi prima della data presunta del parto e tre mesi dopo, ma la lavoratrice può decidere di posticipare fino a un mese l'astensione obbligatoria prima della data presunta del parto allungando di conseguenza fino a quattro mesi quella dopo il parto (è la cosiddetta «flessibilità» del congedo). Ovviamente, poiché la legge impone al papà di fruire del nuovo congedo «nei primi cinque mesi di vita del figlio», la sua astensione in contemporanea al congedo di maternità del coniuge potrà avvenire soltanto nel periodo post partum.
Nei casi di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono del figlio, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, quest'ultimo ha diritto al cd «congedo di paternità» ossia ad assentarsi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice madre. La ricorrenza della predetta ipotesi non pregiudica il diritto al nuovo congedo obbligatorio di un giorno che, dunque, si andrà a sommare al congedo di paternità.
Il congedo facoltativo. Il congedo facoltativo dà l'opportunità al padre lavoratore dipendente di fruire di uno o due giorni di astensione dal lavoro, anche in maniera continuativa. Attenzione, però, a differenza dell'altro congedo (quello obbligatorio di 1 giorno) il quale spetta incondizionatamente, questo congedo facoltativo è subordinato alla scelta del proprio coniuge (la madre), anch'essa lavoratrice, di non fruire di altrettanti giorni (uno o due) del proprio congedo di maternità, con conseguente anticipazione del termine finale del periodo post partum di astensione obbligatoria. Un esempio. Come detto prima la madre ha diritto al congedo di maternità per cinque mesi.
Poniamo che la nascita sia avvenuta il 01.01.2013 e che la madre non abbia optato per alcuna flessibilità del congedo, cosicché ha diritto al congedo di maternità post partum per tre mesi, ossia fino al 01.04.2013. Se il papà decide di fruire di un giorno del nuovo congedo facoltativo, la madre dovrà anticipare la fine del congedo di maternità al 31.03.2013; se il papà decide di fruire di entrambi i giorni a disposizione dl nuovo congedo facoltativo, la madre dovrà anticipare la fine del congedo di maternità al 30.03.2013.
Va notato che la fruizione del nuovo congedo facoltativo da parte del padre può avvenire «entro i primi cinque mesi di vita del figlio»; nell'esempio precedente, quindi, entro il 31.05.2013. Ciò comporta che, se il padre volesse fruire di uno o due giorni del nuovo congedo dopo il 01.04.2013 (termine di fruizione del congedo di maternità da parte del coniuge-madre), il coniuge-madre dovrà comunque anticipare la fine del proprio congedo di maternità: non farlo, determinerebbe l'impossibilità per il padre di fruire del congedo facoltativo.
Modalità di fruizione. Entrambi i congedi vanno fruiti per giornate intere di lavoro, in quanto per espressa previsione di legge non possono essere frazionati a ore. Il congedo facoltativo inoltre è fruibile dal padre anche contemporaneamente alla «astensione» della madre. Poiché il regolamento parla solo di «astensione» della madre, senza precisare se si tratti di astensione obbligatoria (congedo di maternità) o facoltativa (congedo parentale), deve ritenersi che la fruizione sia possibile in entrambi i casi (congedo maternità e parentale della madre).
Invece, il regolamento non precisa se il congedo spetti al padre anche nell'ipotesi in cui la madre non sia lavoratrice dipendente. Poiché la nuova misura, nella sostanza, si basa sullo scambio del congedo tra madre e padre (i giorni di congedo del padre vengono tolti alla madre), dovrebbe concludersi che il nuovo congedo non spetti ai papà che hanno il coniuge (la madre) non lavoratrice dipendente.
Trattamento delle assenze per i nuovi congedi. Entrambi i congedi sono retribuiti e coperti da contribuzione. Infatti, il regolamento stabilisce che il padre lavoratore dipendente ha diritto, per i giorni di congedo (sia obbligatorio che facoltativo), a un'indennità giornaliera a carico dell'Inps, pari al 100% della retribuzione. L'indennità è corrisposta al lavoratore direttamente dal datore di lavoro, il quale la recupera mediante conguaglio con i contributi che deve versare mensilmente all'Inps.
Come richiedere i congedi. Per entrambi i nuovi congedi (obbligatorio e facoltativo) è prevista un'unica procedura di richiesta. Il padre intenzionato a fruirne, in particolare, deve darne comunicazione in forma scritta al datore di lavoro, specificando i giorni in cui intende fruirne. La comunicazione va fatta con un anticipo non inferiore a 15 giorni, ove possibile in relazione all'evento nascita, sulla base della data presunta del parto. Se in azienda è in funzione un sistema informativo specifico per la richiesta e la gestione delle assenze, la forma scritta della comunicazione può essere sostituita dall'utilizzo di tale sistema.
Il datore di lavoro comunica all'Inps le giornate di congedo fruite, attraverso i canali telematici messi a disposizione dallo stesso istituto di previdenza (al momento non è arrivata ancora alcuna circolare indicativa, ma ciò non pregiudica la fruizione dei congedi). Con esclusivo riguardo al nuovo congedo facoltativo è previsto un adempimento aggiuntivo. Infatti, il padre lavoratore deve allegare alla richiesta una dichiarazione della madre di non fruizione del congedo di maternità a lei spettante per un numero di giorni equivalente a quello fruito dal padre. E questa documentazione andrà trasmessa anche al datore di lavoro della madre (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Prove di eco-semplificazione. Saranno le regioni a modulare il novero dei titoli annessi. Arriva l'Aua, l'autorizzazione unica ambientale che accorpa più procedimenti.
Una sola domanda, rivolta a un singolo ufficio, con costi contenuti e risposta garantita entro 150 giorni, per essere autorizzati a emettere inquinanti in aria, acqua e suolo e per gestire i rifiuti prodotti.
A promettere di salvare le imprese dall'eco-burocrazia è la nuova disciplina sulla «autorizzazione unica ambientale», disciplina prevista da un decreto già approvato in via definitiva dal governo lo scorso 05.02.2013 ed ora in attesa di debutto sulla Gazzetta Ufficiale.
Debutto con il quale la parola passerà a regioni e province autonome, alle quali il decreto in itinere attribuisce la facoltà di ampliare a livello locale il novero delle autorizzazioni ambientali incorporabili nel nuovo «provvedimento unico» (la norma statale ne prevede solo sette) al fine di rendere lo snellimento amministrativo maggiormente appetibile per le imprese interessate (le aziende medio-piccole e quelle a ridotto impatto sull'ecosistema).
L'autorizzazione unica. L'Autorizzazione unica ambientale (già ribattezzata «Aua») è il provvedimento amministrativo che sostituirà e raccoglierà in un unico documento i sette permessi ambientali «base» previsti dal decreto in itinere e quelli che i singoli enti locali vorranno affiancare al nucleo minimo stabilito a livello statale.
Rilasciata dal comune attraverso il suo Sportello Unico per le attività produttive («Suap»), l'Aua avrà una durata di 15 anni ma dovrà essere sottoposta a revisione anticipata in caso di modifica dell'attività d'impresa o degli impianti aziendali.
I titoli ambientali incorporabili. Il nuovo regolamento governativo (predisposto nella forma di decreto del presidente della Repubblica) stabilisce, come accennato, solo il nocciolo duro delle autorizzazioni che l'Aua sostituirà, lasciando a regioni e province autonome la facoltà di aggiungere (nel rispetto delle norme comunitarie e nazionali) altri titoli assimilabili.
Nel tenore del dpr licenziato, le autorizzazioni minime che l'Aua potrà concentrare sono le seguenti: autorizzazione allo scarico nelle acque ex dlgs 152/2006; comunicazione preventiva per utilizzo agronomico di effluenti di allevamento, acque di vegetazione di frantoi oleari, acque reflue da parte di aziende del settore ex dlgs 152/2006; autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti produttivi ex dlgs 152/2006; autorizzazione generale per le emissioni «scarsamente rilevanti» in aria dlgs 152/2006; nulla osta alle emissioni sonore ex legge 447/1995 da parte degli impianti produttivi, sportivi, ricreativi commerciali; autorizzazione per utilizzo fanghi da depurazione in agricoltura ex dlgs 99/1992; comunicazione per auto-smaltimento e/o recupero rifiuti in procedura semplificata ex dlgs 152/2006.
Le imprese interessate. Ad essere interessate dall'Aua saranno tre tipologie di imprese: quelle non ammesse all'autorizzazione integrata ambientale («Aia») prevista dal dlgs 152/2006 (coincidenti con le grandi industrie elencate dall'allegato VIII alla parte Seconda del «Codice ambientale»); il consistente insieme delle micro, piccole e medie imprese (ossia le imprese rientranti nei parametri dimensionali e di fatturato previsti dall'articolo 2 del dm 18.04.2005); le imprese soggette a valutazione di impatto ambientale (statale o regionale) non comprensiva di tutti gli atti autorizzatori in base al Codice ambientale.
Per le imprese citate l'Aua costituirà la procedura autorizzatoria obbligatoria per acquisire l'intero novero dei titoli stabiliti dal dpr (unitamente a quelli eventualmente stabiliti territorialmente), mentre rappresenterà solo una alternativa a quella tradizione nel caso le stesse intenderanno ottenere solo uno dei citati titoli oppure provvedere a semplici comunicazioni.
Il procedimento di rilascio. Il Suap rilascerà l'autorizzazione unica ambientale dietro presentazione di domanda entro un termine «standard» compreso (in base alla complessità dell'istruttoria prevista dalla legge) tra 90 e 150 giorni dall'istanza.
Un'accelerazione dell'iter burocratico arriverà però con l'adozione da parte del Minambiente del modello semplificato ed unificato di domanda.
Fino ad allora la domanda dovrà però essere inoltrata mediante istanza corredata dai documenti, dalle dichiarazioni ed attestazioni previste dalle norme di settore. Sempre al «Suap» andrà indirizzata, entro sei mesi dalla scadenza dell'autorizzazione unica rilasciata, l'istanza di rinnovo della stessa, e tramite una corsia preferenziale (autodichiarazione in luogo di nuova istanza corredata dai rituali documenti) se richiesta da imprese a più basso impatto ambientale.
Modifiche di impianti e attività andranno invece autorizzate (non dal «Suap» ma) direttamente dalla provincia o dalle altre autorità competenti indicate dalle singole regioni, alle quali le imprese che necessitano di variazioni non sostanziali potranno rivolgersi mediante semplice comunicazione (in luogo della più complessa domanda, obbligatoria invece per i cambiamenti sostanziali). Un tetto, come anticipato, è dal dpr previsto per i costi massimi del procedimento amministrativo sotteso al rilascio dell'autorizzazione unica: l'onere totale dell'istruttoria non potrà essere superiore alla somma dei singoli tributi previsti per i diversi provvedimenti ambientali.
Il raccordo con le autorizzazioni in essere. I soggetti già titolari di autorizzazioni rilasciate in base al tradizionale regime previsto dalla normativa ambientale, così come quelli in attesa di provvedimenti richiesti in base alla stessa, potranno accedere all'iter semplificato dell'Aua solo in fase di rinnovo dei permessi ambientali rilasciati o rilasciandi (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013.

PUBBLICO IMPIEGO: Per gli statali un taglio a doppio effetto. Perso circa il 10% dello stipendio, con forti penalizzazioni sulla pensione soprattutto per chi è vicino all'uscita.
TEMPI STRETTI/ L'iter destinato a chiudersi prima di aprile: in caso contrario ai dipendenti andrebbe corrisposta l'«indennità di vacanza».

Approvato il «codice di comportamento», che impedisce di ricevere regali troppo pregiati e di usare dotazioni di lavoro per fini privati, i dipendenti pubblici aspettano un provvedimento decisamente più pesante. Il bilancio dello Stato l'aveva messo in conto fin dal luglio del 2011, quando la prima manovra estiva dell'anno dello spread aveva "ipotizzato" un nuovo blocco di rinnovi contrattuali e stipendi individuali negli uffici pubblici anche per il 2013-14, da attivare per decreto dopo il primo congelamento triennale del 2010-2012.
Ora però, archiviate le cautele elettorali, il regolamento preparato da Economia e Funzione pubblica è in arrivo, e a fare i calcoli sono i diretti interessati: una platea da quasi quattro milioni di persone, che ai dipendenti della Pubblica amministrazione unisce quelli delle società in house e degli enti strumentali (si veda anche l'articolo a fianco). Per avere un quadro completo, i calcoli dovranno considerare anche i riflessi previdenziali, particolarmente pesanti per chi andrà in pensione nei prossimi anni.
La cifra pagata da ogni dipendente pubblico sull'altare della crisi, come mostrano i conti in tasca alle varie categorie riprodotti nel grafico qui a fianco, è importante, tanto più che nel nuovo congelamento dovrebbe essere compresa anche l'indennità di vacanza contrattuale (e proprio questo fattore spinge il provvedimento all'approdo in Gazzetta Ufficiale entro il mese di aprile). Il sacrificio è ovviamente proporzionale allo stipendio che ogni profilo di dipendente pubblico aveva all'inizio del congelamento, ed è calcolato su un doppio indicatore: per la prima tornata contrattuale saltata, quella del 2010-2012, il taglio è misurato sulla base delle risorse che erano state messe a disposizione dei vecchi rinnovi, mentre per il nuovo congelamento biennale il punto di riferimento è l'Ipca, l'indice armonizzato dei prezzi al consumo che esclude i prodotti energetici importati e offre il punto di riferimento di tutti i nuovi contratti biennali. Risultato: nei cinque anni "congelati" gli statali e i loro colleghi delle Pubbliche amministrazioni territoriali hanno rinunciato in termini di mancati aumenti a circa il 9,2% dello stipendio. Un dato che, soprattutto per il 2013-2014 visti i meccanismi di calcolo, tende a coincidere con la perdita di potere d'acquisto causata dall'inflazione.
Tradotto in cifre, significa 2.575 euro all'anno a regime in meno per gli impiegati degli enti locali, che con il loro stipendio medio inferiore ai 28mila euro lordi annui sono sul gradino più basso della categoria. Per i loro colleghi di Palazzo Chigi, che di euro ne guadagnano in media quasi 43mila, la tagliola vale a regime poco meno di 4mila euro, e le cifre crescono ovviamente man mano che si sale la scala gerarchica delle amministrazioni. Per chi sta in cima, e ha stipendi superiori ai 90mila euro lordi annui, in realtà il conto avrebbe dovuto essere ben più salato, a causa del contributo di solidarietà che chiedeva il 5% della quota di stipendio superiore ai 90mila euro e il 10% di quella sopra i 150mila. Il meccanismo, però, è caduto sotto i colpi della Corte costituzionale, e quindi è uscito dal conto.
Il sacrificio è permanente, perché le norme escludono espressamente ogni possibilità di recupero di quanto perso alla ripresa dei rinnovi. Ma a rendere "eterna" la sforbiciata sono anche i suoi effetti sugli assegni previdenziali, in particolare per chi va in pensione in questi anni: chi si avvicina all'uscita oggi ha circa la metà della pensione calcolata con il sistema retributivo, e sconterà sull'assegno circa l'80% del costo complessivo del blocco. In altri termini, chi ha "perso" 7mila euro come mancati aumenti e andrà in pensione nel 2014-15 riceverà una pensione più leggera di circa 5.500 euro annui rispetto a quella che avrebbe ottenuto in tempi normali. L'effetto si diluirà poi nel tempo, ovviamente con il ritorno ai rinnovi contrattuali.
La prospettiva, insomma, non è leggera. Complice il quadro frastagliato uscito dalle urne, anche il fuoco di fila da parte dei sindacati è un dato quasi scontato, basato com'è sull'argomento non secondario che contesta l'opportunità da parte di un Governo uscente di adottare un provvedimento di questo peso, tra l'altro perfettamente in linea con la «politica del rigore» uscita malconcia dal voto di febbraio. Altrettanto scontato, però, sembra l'arrivo al traguardo del decreto, perché proprio dal nuovo blocco di contratti e stipendi dipende gran parte del miliardo di euro di risparmi messi a bilancio per il 2013-2015 dalla manovra estiva numero uno del luglio di due anni fa (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Nei Comuni partita aperta sugli esuberi. Revisione degli organici. Si attende il decreto per il taglio dei dipendenti degli enti locali.
La parola «esuberi» è entrata ufficialmente nel mondo degli uffici pubblici con il decreto di luglio scorso sulla revisione di spesa. Nella Pubblica amministrazione centrale, dopo un complesso lavorio di revisione degli organici ministero per ministero ed ente per ente, ha individuato 7.576 dipendenti "di troppo": resta però tutto da scrivere il capitolo dedicato agli enti locali, perché anche a loro la spending review chiede di trovare gli organici troppo rigogliosi e di metterli a dieta.
Per far partire questo secondo tempo della "razionalizzazione" del personale serve un provvedimento attuativo, ma le regole sono già scritte nel decreto di luglio e naturalmente mettono sotto esame chi spende troppo. Il principale parametro di riferimento è rappresentato dal rapporto fra dipendenti e popolazione, e il primo compito del provvedimento attuativo è trovare l'indicatore medio per ogni classe demografica: chi sarà in linea con la media potrà continuare a gestire il personale con le regole ordinarie, a partire dal turn-over che permette di dedicare alle assunzioni fino al 40% dei risparmi ottenuti con le cessazioni dell'anno precedente, ma chi è fuori media dovrà invertire la rotta.
Le misure più drastiche riguarderanno gli enti in cui l'indicatore supera del 40% la media della propria classe demografica, perché questi Comuni e Province troppo ingrassati negli anni dovranno mettere mano alla stessa cassetta degli attrezzi prevista per la Pubblica amministrazione centrale: pensionamento per chi raggiunge entro il 2014 i vecchi requisiti previdenziali, part-time per gli altri più vicini alla pensione, mobilità e, se tutto questo non basta, lo scivolo biennale all'80% dello stipendio. Uno scivolo che nella pratica costerà agli interessati ben più del 20% del reddito, perché l'80% si calcola sullo stipendio di base e non sulle indennità aggiuntive: queste ultime voci, quindi, andrebbero integralmente perse, e a seconda dei profili il costo effettivo della misura si attesterebbe intorno al 40-50% delle entrate.
Anche senza aspettare questa extrema ratio, comunque, il mondo degli enti locali ha in molti casi perso già da tempo le certezze occupazionali di una volta. In un quadro di finanza pubblica sempre più affannoso, si sono moltiplicati i casi di enti locali, anche grandi, che non riescono a pagare puntualmente gli stipendi, con un fenomeno naturalmente diffuso soprattutto nelle amministrazioni che ballano sull'orlo del dissesto finanziario.
L'aiuto ai Comuni in crisi introdotto dal decreto «enti locali» di novembre potrà far respirare questi enti (da Napoli a Cosenza, da Reggio Calabria a Catania e Messina sono più di 50 i Comuni che hanno chiesto aiuto) ma non dare certezze per il futuro: i piani di rientro richiedono drastiche revisioni di una spesa uscita da ogni controllo, e ad essere colpite sono prima di tutto le indennità aggiuntive dei dipendenti. E in prospettiva, in molti di questi enti una revisione strutturale degli organici rappresenterà un passaggio obbligato (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIAcquisti pubblici, la mappa degli obblighi. Dopo l'estensione del perimetro di Consip e delle centrali locali una bussola per tutti gli enti della Pa.
Spending review. I contratti autonomi sono ammessi solo in via residuale: se la fornitura è più «cara» scattano l'annullamento e la responsabilità del funzionario.
La Pa ormai deve comprare solo all'ingrosso. Sono poche le amministrazioni che dopo il massiccio intervento della spending review, possono sottrarsi all'obbligo di rifornirsi da una centrale di acquisto, sia essa la Consip, mega struttura dell'Economia, o una delle centrali di acquisto a livello locale, di fatto organizzate su base territoriale dalle Regioni.
Gli ultimi ritocchi al programma di razionalizzazione degli acquisti della Pa sono entrati in vigore con la legge di stabilità, il 1° gennaio di quest'anno. La legge 228/2012 ha chiarito alcuni aspetti di dettaglio della riforma varata con il decreto Salva Italia (Dl 201/2011) e con gli analoghi provvedimenti sulla spending review (Dl 52 e 95 del 2012). Tra questi, ad esempio, c'è la possibilità per le amministrazioni statali che hanno già in corso un contratto con un fornitore a prezzi più bassi rispetto a quelli Consip, di mantenere in vita l'accordo «a condizione che tra l'amministrazione interessata e l'impresa –recita la norma– non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza».
Ma la riscrittura delle procedure di acquisto per ministeri, Comuni, Province, Regioni, scuole e, per la prima volta in modo così massiccio, anche per gli enti del servizio sanitario nazionale è avvenuta, appunto, con i decreti sulla spending review. Ora il quadro è totalmente cambiato: sono pochi i casi di amministrazioni che "sfuggono" alla regola dell'acquisto centralizzato, sia per forniture di beni e servizi di valore superiore alla soglia comunitaria (fino al 2014 pari a 130mila euro per le amministrazioni statali e a 200mila per le altre).
A riepilogare gli obblighi di acquisto per tutte le tipologie di ente è la Consip con una tabella sintetica (da oggi in versione integrale anche su tre siti: www.dag.mef.gov.it, www.acquistinretepa.it e www.consip.it). In questo modo, a colpo d'occhio le amministrazioni hanno rapido accesso alla normativa applicabile in base alla propria categoria di appartenenza (amministrazione centrale, regionale, territoriale, Asl, scuole e organismi di diritto pubblico), alla tipologia di acquisto (importi superiori o inferiori alla soglia comunitaria) e al tipo di merce da acquistare. In questo ultimo caso, infatti, la distinzione riguarda le categorie merceologiche per le quali il ricorso a Consip è obbligatorio (il primo riquadro rosso della tabella) e quelle per le quali invece, spesso, l'offerta Consip o delle centrali regionali di acquisto è solo facoltativa.
Ma, in realtà, la tabella mostra proprio l'estensione del metodo Consip a gran parte delle amministrazioni, senza molte distinzioni né di importo della fornitura, né merceologiche. Le convenzioni, ad esempio, ovvero l'acquisto centralizzato del bene tramite fornitori pre-selezionati da Consip con gara, sono infatti la prima strada obbligata di approvvigionamento, non più solo per i ministeri, ma anche per le scuole e per le società partecipate. Solo Regioni, Province e Comuni possono scegliere un'altra strada che è comunque l'acquisto centralizzato presso la centrale regionale, se esiste.
Al contrario, gli acquisti autonomi sono dappertutto l'ultima ratio e le amministrazioni devono comunque riuscire da sole a spuntare –operazione non certo facile– prezzi competitivi rispetto a quelli dei "giganti" degli acquisti.
Ora, poi, le scelte degli enti non sono prive di conseguenze: i decreti sulla spending review infatti hanno previsto che i contratti stipulati in violazione delle procedure di acquisto sono nulli e costituiscono per il funzionario che li firma «illecito disciplinare e causa di responsabilità amministrativa» (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013).

APPALTI: Stazione unica appalti in Unione o convenzione. La scelta dipende dalla gestione associata già in funzione.
Piccoli Comuni. L'organismo va attivato entro marzo negli enti fino a 5mila abitanti.

Mentre gli enti locali più piccoli sono intenti a discutere sulle funzioni fondamentali da gestire insieme, tramite Unione o convenzione, un servizio interno da associare con immediatezza è quello che si occupa degli appalti finalizzati alla realizzazione dei lavori pubblici e all'acquisizione di beni e di servizi.
I Comuni con popolazione fino a 5mila abitanti devono accentrare queste procedure secondo lo schema della «Stazione unica appaltante» o della «Centrale unica di committenza» (articolo 33 del Dlgs 163/2006), con decorrenza dalle gare bandite successivamente al 31.03.2013 (lo prevedono l'articolo 23, comma 5, del Dl 201/2011 e l'articolo 29 del Dl 216/2011).
È ormai acquisito che l'obbligo in esame riguarda solo le procedure di gara (ufficiale o ufficiosa), mentre ogni ente rimane responsabile delle fasi a monte (programmazione/progettazione) e a valle (esecuzione). Ogni ente (o ufficio associato) provvede inoltre autonomamente agli affidamenti diretti nei casi consentiti dall'ordinamento (si veda Corte dei conti, sezione Piemonte, parere n. 271 del 06.07.2012).
Resta peraltro l'opportunità di associare anche l'ufficio acquisti, che costituisce uno strumento essenziale ai fini della razionalizzazione della spesa degli enti locali; non a caso questa facoltà diviene obbligo entro la fine del 2013, come previsto dall'articolo 14, comma 27, del Dl 78/2010, che dispone l'obbligo per i piccoli Comuni di gestire in forma associata «l'organizzazione generale dell'amministrazione».
Meno chiaro e tassativo è il contenuto di questa norma con riferimento ai lavori pubblici - anche se sarebbe paradossale non considerarli all'interno delle funzioni «fondamentali» dell'ente.
La scadenza in esame va necessariamente posta in raccordo con le disposizioni in materia di associazionismo, potendo distinguere anche alla luce di tale previsione due ipotesi:
a) se al 31.03.2013 risulta costituita una Unione di Comuni, l'obbligo di costituzione della centrale di committenza dovrà gravare verosimilmente sull'Unione stessa, in una logica complessiva conforme allo spirito dell'intervento normativo. È stato affermato che i piccoli Comuni possono fare ricorso a una pluralità di forme associative, fermo restando il divieto di scomposizione di ogni singola funzione; vista la trasversalità delle gare ad evidenza pubblica sembra possibile sostenere che questa gestione debba essere ricondotta all'insieme delle funzioni fondamentali quale funzione strumentale o connessa (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle gare riguardanti l'edilizia scolastica o la fornitura di materiale scolastico);
b) se invece al 31.03.2013 l'Unione non è ancora costituita, o se i Comuni hanno deciso di stipulare una convenzione per la gestione associata delle funzioni fondamentali, sembra gravare sugli stessi l'obbligo di stipulare un «accordo consortile» - al quale la norma fa riferimento e che va inteso tuttavia nel senso previsto dall'articolo 30 del Dlgs 267/2000.
Il riferimento ai consorzi in questa delicata materia è in palese contraddizione con quanto affermato in altra recente opzione espressa dal legislatore statale (legge Finanziaria 2010), che ha immaginato la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali (articolo 2, comma 186, legge 191/2009). Il probabile "refuso" legislativo, quindi, non può che essere interpretato in modo coerente con la normativa generale in materia di gestione associata dei servizi, che prevede due sole forme: l'Unione e la convenzione.
---------------
Le opzioni
01|LA SCADENZA
Entro il 31 marzo i Comuni con popolazione compresa entro i 5mila abitanti devono associare nella Stazione unica appaltante, per una popolazione superiore alla soglia, gli uffici che si occupano degli appalti per la realizzazione di lavori e per le prestazioni di servizi
02|LE UNIONI
La scadenza si intreccia con l'obbligo di avviare la gestione associata negli stessi enti di almeno tre funzioni fondamentali a partire da quest'anno, mentre dall'anno prossimo sarà l'intero novero delle funzioni fondamentali a dover essere associato. Negli enti in cui è già costituita un'Unione, può essere questa l'organizzazione a cui collegare la stazione unica appaltante
03|L'ALTERNATIVA
In linea con gli obblighi generali di gestione associata, anche la convenzione può essere utilizzata come strumento per avviare la stazione unica appaltante. Fuori linea appare invece il richiamo della norma agli accordi consortili, perché i consorzi sono stati soppressi nel 2009
---------------
Forme alternative. L'infortunio della norma. Da escludere il ricorso a nuovi consorzi.
IL «REFUSO»/ Il richiamo agli «accordi consortili» nella legge è in netto contrasto con la Finanziaria 2010 che li ha aboliti.

L'interpretazione che vede il riferimento ai consorzi come "refuso" normativo nella disciplina sulla Stazione unica appaltante ha certamente il pregio di evitare la costituzione di ulteriori organi consortili e con essi le relative spese. Ogni altra lettura della norma si porrebbe in evidente violazione degli obiettivi sottesi alla spending review.
In altri termini, come da più parti osservato, il termine «accordo consortile» contenuto al comma 3-bis dell'articolo 33 del Dlgs 163/2006 -anche alla luce delle disposizioni introdotte dall'articolo 2, comma 186, lettera e), della legge 191/2009- deve ritenersi utilizzato dal legislatore in senso atecnico.
Da questa previsione normativa, in sostanza, non discenderebbe dunque l'obbligo di istituire un Consorzio, quanto, piuttosto semplicemente l'obbligo, attraverso un atto convenzionale, di istituire una centrale di committenza.
La centrale di committenza può essere costituita di conseguenza mediante accordo convenzionale ex articolo 30 del Testo unico degli enti locali, utilizzando il modello della delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all'accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.
Sulla base di questi presupposti, in merito alla dimensione demografica ottimale della gestione in forma associata della centrale di committenza, in assenza di puntuali previsioni normative, devono ritenersi applicabili le disposizioni regionali già adottate per la gestione associata obbligatoria delle funzioni fondamentali (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Risorse umane. Le regole collegate al Patto. Per il personale riduzioni di spesa di anno in anno.
I piccoli Comuni che sono entrati nel Patto di stabilità dal 1° gennaio non hanno problemi solo con gestioni associate e saldi finanziari. La gestione del personale sta diventando insostenibile, perché l'applicazione del nuovo parametro di riduzione della spesa e del turn-over al 40% rischia di mettere in ginocchio le amministrazioni.
Nel nuovo regime, prima di tutto, la riduzione della spesa non deve più avvenire rispetto al 2008, ma all'anno precedente. Si tratta di un limite "dinamico" che ha messo in croce non poche amministrazioni, anche di grandi dimensioni. La difficoltà principale sta nel gestire le assenze dal servizio (maternità, congedi parentali, aspettative, eccetera) in quanto, comportando queste una riduzione di spesa in un anno, la ripresa dell'attività lavorativa provoca nell'anno successivo il ripristino del costo al valore precedente.
Sul fronte degli spazi assunzionali, fino al 2012, i piccoli enti potevano assumere nel limite delle cessazioni dell'anno precedente. Diversi interventi della Corte dei conti avevano permesso inoltre di utilizzare le cessazioni non solo dell'anno precedente, ma anche quelle avvenute dal 2006 in poi e non ricoperte.
Da quest'anno si applica invece il turn-over "generale", che permette un'assunzione solo nel tetto del 40% della spesa delle cessazioni dell'anno precedente.
Per questa ragione è importante l'apertura parziale della Ragioneria generale nella nota prot. 6279 in risposta all'Anci sull'applicazione del turn-over nell'anno del debutto (si veda Il Sole 24 Ore del 02.03.2.013).
La Ragioneria afferma che i limiti assunzionali appaiono inderogabili, mettendo a tacere le voci che ammetterebbero di continuare a cumulare le cessazioni degli anni precedenti ai fini del calcolo. I piccoli enti potranno però concludere i concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato già avviati nel rispetto della procedura prevista dal comma 562 della Finanziaria 2007 (turn-over al 100%).
Vi sono però due condizioni: il calendario delle prove di esame deve già essere stato pubblicato entro il 31.12.2012 e il procedimento di reclutamento dovrà concludersi entro il corrente anno.
Si tratta certamente di un'interpretazione che va al di là dei disposti legislativi, ma che potrebbe offrire qualche chance in più in questo delicatissimo contesto.
Sulla questione delle assunzioni dei piccoli comuni, è inoltre importante richiamare la recentissima deliberazione n. 19/2013 della Corte dei conti della Sardegna. I giudici rispondono a un ente che chiede se, al fine di determinare la corretta base con la quale affacciarsi al 2013, sia possibile effettuare un conteggio figurativo, esteso all'intero anno 2012, per una spesa sostenuta per un solo mese nell'anno 2012 per un'unità di personale. La Corte afferma che tale analisi risulta priva di base normativa ed è impedita dalla natura del vincolo in esame, che opera mediante il criterio del confronto storico della spesa del personale e presuppone, pertanto, la considerazione delle sole spese effettivamente sostenute.
---------------
I vincoli
01|RIDUZIONE DI SPESA
L'ammontare della spesa di personale deve diminuire rispetto all'anno precedente. Il parametro sostituisce il criterio collegato al 2008
02|TURN-OVER
Insieme al Patto di stabilità debutta anche l'obbligo del rispetto del turn-over, che consente di assumere entro il 40% dei risparmi da cessazioni dell'anno precedente
03|LA DEROGA
Per la Ragioneria generale i piccoli enti possono concludere le procedure di assunzione avviate, purché i bandi siano stati pubblicati entro il 2012 e l'assunzione avvenga entro il 2013 (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

TRIBUTI: Fabbricati strumentali in «D». Immobili agricoli, aliquota Imu decisa dalla nota catastale.
IMPOSTA MOLTIPLICATA/ Senza l'annotazione in visura scattano la richiesta piena al 7,6 per mille di competenza statale e l'eventuale aumento locale.

Il problema dell'aliquota Imu applicabile dal 2013 ai fabbricati strumentali all'attività agricola rappresenta l'ennesima incognita per i Comuni, alle prese con la predisposizione dei bilanci preventivi.
La nuova scansione dell'imposta dettata dall'articolo 1, comma 380, lettera h), della legge 228/2012 prevede infatti che il gettito derivante dagli immobili produttivi classificati nel gruppo D sarà riservato allo Stato, ad aliquota standard dello 0,76%, maggiorabile dai Comuni fino all'1,06%.
Anche i fabbricati rurali strumentali accatastati in categoria D10 costituiscono indubbiamente immobili produttivi, in relazione ai quali l'articolo 13, comma 8 del Dl 201/2011 (non abrogato) continua tuttavia a prevedere, come nello scorso anno, l'applicazione di una aliquota dello 0,2%, riducibile allo 0,1% da parte del Comune.
Non essendo stato previsto che i possessori di questi immobili possano versare l'imposta sulla base dell'aliquota agevolata a favore dello Stato, il gettito dei fabbricati rurali rimarrà di competenza dell'ente locale; tanto più che i rurali strumentali non sono necessariamente accatastati in D10, ma possono rientrare in categoria ordinaria (C6 o C2 destinato al ricovero di mezzi o attrezzature agricole, ma anche D1 o D7 destinati allo svolgimento di attività di trasformazione di prodotti agricoli), dal momento che -ai sensi del Dm Finanze del 26.07.2012 e della Circolare 2/2012 dell'agenzia del Territorio- il riconoscimento dei requisiti di ruralità è legato non più all'attribuzione della categoria A6 e D10, ma all'inserimento di apposita annotazione in visura, a prescindere dalla categoria catastale. Siccome questi immobili devono essere assoggettati a un trattamento fiscale unitario, è evidente che non tutti i fabbricati produttivi di categoria D potranno essere chiamati a versare l'imposta allo Stato, in quanto, in presenza di un fabbricato iscritto in D1, D7 o D8, ma strumentale all'attività agricola, con annotazione riportata in visura, il gettito rimarrà di competenza del Comune e l'aliquota non potrà che rimanere quella ridotta.
Al contrario, rimarrà di competenza esclusiva dello Stato il gettito di un immobile di categoria D che, pur essendo strumentale all'attività agricola, sia privo della relativa annotazione catastale; che viene quindi ad assumere valore costitutivo non soltanto per la determinazione dell'aliquota applicabile (dallo 0,1% all'1,06%, con un aumento di oltre dieci volte) ma anche per l'individuazione del soggetto a cui l'imposta dovrà essere versata. Il tutto tenendo ferma la possibilità per lo Stato di variare (articolo 1, comma 380, lettera i) della legge 228/2012) non solo l'aliquota applicabile, ma anche la stessa individuazione dei fabbricati di categoria D che dovranno versare l'imposta allo Stato, per garantire l'esatta compensazione tra la nuova riserva statale e la quota erariale 2012 ora devoluta ai Comuni.
Poiché il differenziale di gettito che lo Stato si dovrà assicurare dall'imposta del 2013 resta ancora da definire in modo preciso, il legislatore ha infatti previsto che tali dati potranno essere modificati a seguito della verifica del gettito 2012 entro il 31.03.2013.
Solo una volta accertati questi dati sarà possibile individuare il gettito 2013 dei singoli Comuni e la quota di imposta che ogni Ente dovrà destinare a finanziare il nuovo Fondo di solidarietà comunale, all'interno di un quadro normativo che evidenzia una situazione assolutamente in divenire, in cui, allo stato attuale, appare impossibile stabilire in modo preciso quali saranno gli esatti confini della quota di imposta che lo Stato si riserverà nel 2013 in relazione ai fabbricati di categoria D produttivi, coinvolgendo in questa incertezza anche le modalità applicative dell'imposta ai fabbricati strumentali (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGOL'induzione guadagna terreno. Le «minacce» del geometra del Comune punite per concussione.
Cassazione. Disposizione applicabile al vicesindaco che chiede tangenti per la campagna elettorale.
Il geometra del Comune tresca con un avvocato per spingere una società a versare una tangente per condurre a termine una pratica urbanistica? Viene condannato per concussione. Il vicesindaco chiede un contributo alla propria campagne elettorale per spingere la medesima pratica? Se la cava con il più bando reato di induzione. Sempre nel segno della piena continuità normativa tra vecchia e nuova disciplina del Codice penale. Comincia a stratificarsi una giurisprudenza sull'applicazione della (tanto invocata e assai criticata) legge 190 del 2012 sul contrasto alla corruzione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza 15.03.2013 n. 12373 della VI Sez. penale, ha affrontato una vicenda a suo modo "classica" con un'impresa messa alle strette e "costretta" a pagare mazzette ai rappresentanti di un Comune del Nord-Est per condurre in porto una pratica urbanistica. Insomma, lavori se paghi.
Ma diverso è stato, nel giudizio della Cassazione, il grado di responsabilità dei funzionari pubblici (il vicesindaco era anche assessore). I giudici, infatti, prendono in esame le diverse condotte alla luce del mutato quadro normativo che, trattandosi di successione di leggi penali nel tempo, impone l'applicazione della legge più favorevole all'imputato.
Così il geometra, responsabile dell'ufficio edilizia e urbanistica, viene sanzionato per avere commesso il più grave reato, concussione, previsto dall'articolo 317 del Codice penale. La pressione messa in atto dal funzionario per sbloccare una pratica che di fatto era ferma da tempo presso il Comune era stata tale da concretizzarsi in minacce di «guerra totale» nel caso la tangente non fosse stata pagata. Tanto è vero che il progetto urbanistico cui teneva l'impresa si sbloccò solo quando fu chiara la volontà di pagare. Non può certo parlarsi allora di una «blanda induzione» come invece avrebbe preferito la difesa dell'imputato, condannato peraltro in appello.
Diversa, invece, la valutazione dei giudici per quanto riguarda la condotta del vicesindaco-assessore. Quest'ultimo, infatti, si mosse con maggiore blandizie. Esercitò, cioè, «una forma di pressione più blanda e, comunque, tale da lasciare al destinatario della pretesa un margine di scelta, avuto riguardo anche ai contesti e alla causale della richiesta stessa, giustificata nella specie con il finanziamento e il buon esito della campagna elettorale, campagna che ove non si fosse conclusa con la rielezione del richiedente X, avrebbe potuto determinare il ritardo o la non approvazione della pratica».
Per questo al vicesindaco va applicata la fattispecie più favorevole dell'articolo 319-quater e la sua posizione rinviata alla Corte d'appello per una nuova valutazione.
---------------
LA SENTENZA
Va infatti in proposito tenuto conto, sotto il profilo del diritto intertemporale, della ormai ribadita «continuità normativa» (...). Conclusione da ribadirsi nonostante la circostanza che la nuova fattispecie di induzione indebita si configuri oggi come «reato a concorso necessario», tenuto conto che tale struttura, necessariamente plurisoggettiva, era caratteristica anche della vecchia fattispecie di concussione, a prescindere dalla circostanza che uno dei partecipi necessari, il privato autore del pagamento o della promessa, non fosse punibile sino alla riforma, e sia divenuto oggi punibile, limitatamente all'ipotesi di cui all'articolo 319-quater del Codice penale - Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 15.03.2013 n. 12373 (articolo Il Sole 24 Ore del 16.03.2013).

COMPETENZE PROGETTUALI: Va affermata l’illegittimità del titolo edilizio formatosi, per effetto della DIA presentata, che ha permesso la nuova edificazione di 5 villette a schiera, nella sola parte che ne ha affidato la progettazione a professionista geometra.
Dalla esegesi sistematica del R.D. 11.02.1929 n. 274, del R.D. 16.11.1939 n. 2229, della L. 02.03.1949 n. 144 e della L. 05.11.1971 n. 1086, è desumibile che non tutte le opere edilizie con impiego di cemento armato sono precluse alla progettazione dei geometri, ma solo quelle in cui, in relazione alla loro destinazione, il predetto impiego possa comportare pericolo per l'incolumità delle persone, il che tendenzialmente avviene per le costruzioni destinate a civile abitazione e progettate su più piani, ……. con struttura portante in cemento armato, comunque destinata all'abitazione delle persone, intervento che deve ritenersi riservato ai tecnici laureati (ingegneri ed architetti).

Nel merito, tra i motivi di ricorso proposti e per i quali la ricorrente sostiene l’illegittimità del mancato esercizio dei poteri repressivi della DIA, il Collegio ritiene, in ordine procedimentale, di dover dare la priorità alla censura (rubricata al n. 7 del ricorso) che, in base alle disposizioni ivi invocate, evidenzia la redazione del progetto da parte di un tecnico, quale il geometra, non abilitato a redigerlo; la doglianza è fondata.
Al riguardo la giurisprudenza di questo Consiglio ha da tempo affermato, con orientamento dal quale non sussistono ragioni per discostarsi, che “Dalla esegesi sistematica del R.D. 11.02.1929 n. 274, del R.D. 16.11.1939 n. 2229, della L. 02.03.1949 n. 144 e della L. 05.11.1971 n. 1086, è desumibile che non tutte le opere edilizie con impiego di cemento armato sono precluse alla progettazione dei geometri, ma solo quelle in cui, in relazione alla loro destinazione, il predetto impiego possa comportare pericolo per l'incolumità delle persone, il che tendenzialmente avviene per le costruzioni destinate a civile abitazione e progettate su più piani, ……. con struttura portante in cemento armato, comunque destinata all'abitazione delle persone, intervento che deve ritenersi riservato ai tecnici laureati (ingegneri ed architetti)” (v., fra le altre, Cons. di Stato, sez. V, n. 25/1999).
Pertanto, avendo riguardo al criterio basilare cui fare riferimento e costituito (come riconosce lo stesso Comune) dalla valutazione di struttura e modalità costruttive di un edificio di più piani, non possono essere condivise le argomentazioni dell’amministrazione secondo le quali l’intervento edilizio (ndr: di nuova edificazione costituito dalle cinque villette a schiera) sarebbe di assai modesta dimensione e rientrerebbe quindi nella competenza professionale del geometra.
...
Va in conclusione affermata l’illegittimità del titolo edilizio formatosi per effetto della DIA n. 18/2005, sulla particella n. 216, e che ha permesso la nuova edificazione di 5 villette a schiera, nella sola parte che ne ha affidato la progettazione a professionista geometra (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.03.2013 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIE' perentorio anche il termine di cui al comma 2 dell’art. 48 del d.lgs. nr. 163 del 2006, oltre che quello del comma 1, come peraltro confermato anche dalla più recente introduzione nella norma del comma 1-bis il quale, richiamando solo in parte il precedente comma 1, conferma a contrario che il successivo richiamo contenuto nel comma 2 deve intendersi integrale, con conseguente identità di “regime” anche quanto al termine per la produzione comprovante il possesso dei requisiti dichiarati.
Ritenuto che l’ordinanza appellata appare meritevole di conferma, tenuto conto che il più recente indirizzo giurisprudenziale –che questo Collegio condivide– è nel senso della perentorietà anche del termine di cui al comma 2 dell’art. 48 del d.lgs. nr. 163 del 2006, oltre che di quello del comma 1 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 08.03.2012, nr. 1321), come peraltro confermato anche dalla più recente introduzione nella norma del comma 1-bis il quale, richiamando solo in parte il precedente comma 1, conferma a contrario che il successivo richiamo contenuto nel comma 2 deve intendersi integrale, con conseguente identità di “regime” anche quanto al termine per la produzione comprovante il possesso dei requisiti dichiarati (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 13.03.2013 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini dell’applicabilità della disciplina in materia di “pareti finestrate” di cui all’art. 9 del d.m. 02.04.1968, nr. 1444, ed a tutti i regolamenti edilizi locali che a questo si richiamano, è indifferente che le aperture preesistenti rientrino nella nozione civilistica di “luci” o in quella di “vedute” (ciò in considerazione della ratio di dette regole, che va ricondotta a esigenze igienico-sanitarie e non di tutela di diritti di vicinato).
Ritenuto che detti approfondimenti, al contrario, si impongono ai fini della definizione del giudizio nel merito, tenuto conto anche della circostanza che la Sezione –contrariamente all’assunto di fondo espresso nella sentenza impugnata– reputa che, ai fini dell’applicabilità della disciplina in materia di “pareti finestrate” di cui all’art. 9 del d.m. 02.04.1968, nr. 1444, ed a tutti i regolamenti edilizi locali che a questo si richiamano, è indifferente che le aperture preesistenti rientrino nella nozione civilistica di “luci” o in quella di “vedute” (ciò in considerazione della ratio di dette regole, che va ricondotta a esigenze igienico-sanitarie e non di tutela di diritti di vicinato) (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 13.03.2013 n. 844 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PATRIMONIOCostituisce principio ormai pacifico quello per cui anche per i cc.dd. contratti attivi (mediante cui la p.a. si procura entrate, come vendita e locazione) sussiste un obbligo di rispetto dei principi di trasparenza e di imparzialità.
Per ciò che concerne in particolare l’alienazione degli immobili di proprietà pubblica, tali principi appaiono invero ancor più radicati alla luce della risalenza della relativa disciplina, a mente della quale la vendita deve avvenire secondo modalità tali da garantire gli interessi pubblici con la massima trasparenza ed imparzialità nella scelta del contraente, esclusivamente attraverso le seguenti procedure: pubblici incanti o asta pubblica (sulla base del valore di stima, previe pubblicazioni, affissioni ed inserzioni da ordinarsi dall'Amministrazione demaniale in conformità del regolamento di esecuzione).
In via del tutto eccezionale, qualora gli incanti siano andati deserti e l'Amministrazione lo ritenga conveniente, gli immobili possono essere venduti, purché non siano variati se non a tutto vantaggio dell'Ente, il prezzo e le condizioni di vendita, mediante le modalità di gara della licitazione privata o della trattativa privata. La vendita è poi deliberata a favore di colui che abbia fatto la maggiore offerta in aumento rispetto alla base d'asta nel bando di gara stabilita.

... per l'annullamento della deliberazione Consiglio Comunale n. 44/2011 nella parte in cui delibera la vendita mediante trattativa privata dell'area individuata al CT Foglio n. 310, mappale n. 214 di proprietà del Comune di Milano.
...
In linea di diritto costituisce principio ormai pacifico quello per cui anche per i cc.dd. contratti attivi (mediante cui la p.a. si procura entrate, come vendita e locazione) sussiste un obbligo di rispetto dei principi di trasparenza e di imparzialità.
Per ciò che concerne in particolare l’alienazione degli immobili di proprietà pubblica, tali principi appaiono invero ancor più radicati alla luce della risalenza della relativa disciplina, a mente della quale la vendita deve avvenire secondo modalità tali da garantire gli interessi pubblici con la massima trasparenza ed imparzialità nella scelta del contraente, esclusivamente attraverso le seguenti procedure: pubblici incanti o asta pubblica (sulla base del valore di stima, previe pubblicazioni, affissioni ed inserzioni da ordinarsi dall'Amministrazione demaniale in conformità del regolamento di esecuzione). In via del tutto eccezionale, qualora gli incanti siano andati deserti e l'Amministrazione lo ritenga conveniente, gli immobili possono essere venduti, purché non siano variati se non a tutto vantaggio dell'Ente, il prezzo e le condizioni di vendita, mediante le modalità di gara della licitazione privata o della trattativa privata. La vendita è poi deliberata a favore di colui che abbia fatto la maggiore offerta in aumento rispetto alla base d'asta nel bando di gara stabilita.
Questo è quanto prevede la Legge n. 783 del 1908 ed il successivo regolamento di esecuzione R.D. n. 454 del 1908.
L'articolo 12, comma 2, della legge 15.05.1997 numero 127 ha invero disposto che "I comuni e le province possono procedere alle alienazioni del proprio patrimonio immobiliare anche in deroga alle norme di cui alla legge 24.12.1908, n. 783, e successive modificazioni, ed al regolamento approvato con regio decreto 17.06.1909, n. 454, e successive modificazioni, nonché alle norme sulla contabilità generale degli enti locali, fermi restando i princìpi generali dell'ordinamento giuridico-contabile. A tal fine sono assicurati criteri di trasparenza e adeguate forme di pubblicità per acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto, da definire con regolamento dell'ente interessato".
A tal fine è quindi fatto obbligo alle amministrazioni, secondo la condivisa opinione giurisprudenziale (cfr. ad es. Tar Catania n. 419/2009) di assicurare idonei criteri di trasparenza ed adeguate forme di pubblicità per acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto, la cui determinazione non può essere rimessa al libero arbitrio, ma ad una normazione contenuta nel dedicato regolamento adottato dall'ente interessato.
Nel caso di specie, per un verso è mancata del tutto la predisposizione di tali adeguate forme di pubblicità, avendo la p.a. proceduto direttamente a disporre la trattativa privata diretta, peraltro immotivatamente ed illogicamente nel contesto di una delibera avente diverso e più ampio oggetto. Per un altro verso, la delibera si è altresì posta in diretta violazione della disciplina regolamentare che lo stesso comune resistente si è conseguentemente dato nel 1998.
A quest’ultimo riguardo, mentre la delibera non ha speso una parola di motivazione in ordine alla verifica della sussistenza di tali eccezionali presupposti per ricorrere alla trattativa privata diretta (e le difese giudiziali sul punto non sono ammissibili a fronte del consolidato principio che vieta l’integrazione in giudizio della motivazione), nel caso de quo gli stessi neppure risultano sussistere.

Sul punto, l’unico possibile specifico riferimento, ricavabile dalla lettera c) dell’art. 8 del regolamento in merito all’interclusione, risulta non indicato in delibera e smentito dalle produzioni delle parti, atteso che l’interclusione stessa eventualmente riguarda tre diversi immobili confinanti, tutti possibili interessati. Né del pari è invocabile l’ipotesi residuale del terzo comma: sia per generalità della stesso, che conseguentemente deve essere restrittivamente inteso quale deroga ed eccezione ad un principio; sia per mancata indicazione di ragioni tali da integrare le necessarie circostanze speciali. A quest’ultimo proposito, la delibera richiama: l’appartenenza storica ad un immobile già dismesso, in gran parte smentita dalla situazione di fatto emersa con la pluralità di immobili e proprietà confinanti, oltre che per la diversità soggettiva rispetto all’invocato fondo immobiliare; i tempi ed i costi di una gara che non sarebbero convenienti per l’amministrazione, secondo una valutazione invero illogica e collidente, prima facie, con la ratio sottesa ai principi concernenti l’obbligo di una procedura trasparente ed aperta, che è (anche, oltre alla tutela degli interessi collettivi della trasparenza e della par condicio) quella (egoistica per la p.a.) di ottenere il miglior prezzo possibile.
Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso va accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 13.03.2013 n. 677 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIPur trattandosi di soggetto con struttura ed identità autonoma rispetto a quella delle cooperative consorziate, il possesso dei requisiti generali e morali ex art. 38 codice appalti deve essere verificato non solo in capo al consorzio, ma anche alle consorziate, dovendosi ritenere cumulabili in capo al consorzio i soli requisiti di idoneità tecnica e finanziaria ai sensi dell’art. 35 codice appalti.
La diversa opzione ermeneutica condurrebbe invero a conseguenze paradossali in quanto le stringenti garanzie di moralità professionale richieste inderogabilmente ai singoli imprenditori potrebbero essere eluse da cooperative che, attraverso la costituzione di un consorzio con autonoma identità, riuscirebbero di fatto ad eseguire lavori e servizi per le pubbliche amministrazioni alle cui gare non sarebbero state singolarmente ammesse.
Nel senso qui seguito è la giurisprudenza secondo cui, mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono essere riferiti al consorzio (come previsto dall’art. 35 codice appalti), i requisiti generali di partecipazione alla procedura di affidamento previsti dall’art. 38 codice citato devono essere posseduti dalle singole imprese consorziate; se, infatti, in caso di consorzi, tali requisiti andassero accertati solo in capo al consorzio e non anche in capo ai consorziati che eseguono le prestazioni, il consorzio potrebbe agevolmente diventare uno schermo di copertura consentendo la partecipazione di consorziati privi dei necessari requisiti; per gli operatori che non hanno i requisiti dell’art. 38 (si pensi al caso di soggetti con condanne penali per gravi reati incidenti sulla moralità professionale) basterebbe, anziché concorrere direttamente andando incontro a sicura esclusione, aderire a un consorzio da utilizzare come copertura.

Ritiene, infatti, il Collegio di condividere le argomentazioni espresse sul punto dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8/2012.
La predetta decisione, che ha affrontato un caso analogo a quello per cui è causa, in quanto riguardante un consorzio fra società cooperative di produzione e lavoro, ha affermato che ammettere la sostituzione successiva della consorziata, in caso di esito negativo della verifica sul possesso dei requisiti generali, significherebbe, di fatto, rendere vano il controllo preventivo ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 in capo alla ditta originariamente indicata nella domanda di partecipazione.
Ai sensi dell’art. 37, comma 7, del codice dei contratti pubblici, in effetti, i consorzi di cui all'articolo 34, comma 1, lettera b) (consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro, e consorzi tra imprese artigiane), sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorra.
In applicazione di tale disposizione, la lex specialis di gara aveva richiesto al sodalizio di indicare preventivamente la ditta incaricata per l’esecuzione dell’appalto, onde consentire la verifica dei requisiti di ordine generale; il consorzio, di conseguenza, aveva fatto presentare a Baviera Costruzioni, una delle due società indicate per l’affidamento dei lavori, un’autodichiarazione attestante la sua regolarità contributiva.
Tale autodichiarazione, peraltro, in sede di verifica dei requisiti, è risultata falsa (elemento di fatto non contestato dalla ricorrente), di modo che il consorzio si è visto costretto a sostituire la ditta non in regola con un’altra.
Sostiene la ricorrente che il consorzio non avrebbe responsabilità in ordine alle eventuali dichiarazioni mendaci o erronee rilasciate dai propri soci, essendo un soggetto giuridico distinto ed autonomo rispetto alle singole imprese che lo compongono.
A questo riguardo appare sufficiente richiamare quanto espresso, in senso contrario, dalla decisione dell’Adunanza Plenaria su citata: “Pur trattandosi di soggetto con struttura ed identità autonoma rispetto a quella delle cooperative consorziate, il possesso dei requisiti generali e morali ex art. 38 codice appalti deve essere verificato non solo in capo al consorzio, ma anche alle consorziate, dovendosi ritenere cumulabili in capo al consorzio i soli requisiti di idoneità tecnica e finanziaria ai sensi dell’art. 35 codice appalti.
La diversa opzione ermeneutica condurrebbe invero a conseguenze paradossali in quanto le stringenti garanzie di moralità professionale richieste inderogabilmente ai singoli imprenditori potrebbero essere eluse da cooperative che, attraverso la costituzione di un consorzio con autonoma identità, riuscirebbero di fatto ad eseguire lavori e servizi per le pubbliche amministrazioni alle cui gare non sarebbero state singolarmente ammesse.
Nel senso qui seguito è la giurisprudenza secondo cui, mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono essere riferiti al consorzio (come previsto dall’art. 35 codice appalti), i requisiti generali di partecipazione alla procedura di affidamento previsti dall’art. 38 codice citato devono essere posseduti dalle singole imprese consorziate; se, infatti, in caso di consorzi, tali requisiti andassero accertati solo in capo al consorzio e non anche in capo ai consorziati che eseguono le prestazioni, il consorzio potrebbe agevolmente diventare uno schermo di copertura consentendo la partecipazione di consorziati privi dei necessari requisiti; per gli operatori che non hanno i requisiti dell’art. 38 (si pensi al caso di soggetti con condanne penali per gravi reati incidenti sulla moralità professionale) basterebbe, anziché concorrere direttamente andando incontro a sicura esclusione, aderire a un consorzio da utilizzare come copertura [Cons. St., sez. V, 15.06.2010, n. 3759; Id., sez. IV, 27.06.2007, n. 3765; Id., sez. V, 05.09.2005, n. 4477; Id., sez. V, 30.01.2002, n. 507]
”.
Ne consegue che il consorzio è stato legittimamente escluso dalla procedura, in quanto, da un lato, una delle imprese consorziate espressamente indicate per l’affidamento dell’appalto non possedeva i prescritti requisiti generali di partecipazione alla gara, dall’altro, tale impresa aveva presentato una dichiarazione sostitutiva falsa.
Né la legittimità del provvedimento impugnato può essere inficiata dalla circostanza della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento alle imprese consorziate o dal mancato rispetto dei trenta giorni per la conclusione del procedimento di esclusione (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 13.03.2013 n. 674 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAL'ordine di rimozione dei rifiuti intimato dal Sindaco ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. 22/1997 può essere adottato esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo, e, rispetto a tale contraddittorio, la comunicazione dell'avvio del procedimento si configura come un adempimento imprescindibile.
In conformità con la prevalente giurisprudenza amministrativa, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, deve ritenersi che l'ordine di rimozione dei rifiuti intimato dal Sindaco ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. 22/1997 possa essere adottato esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo, e che, rispetto a tale contraddittorio, la comunicazione dell'avvio del procedimento si configura come un adempimento imprescindibile (Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 4061 del 25.08.2008; TAR Parma, sez. I, 12.07.2011 n. 255) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 13.03.2013 n. 670 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulle conseguenze derivanti dalla mancata allegazione del documento di identità alla dichiarazione sostitutiva sui requisiti generali prescritti dall'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
L'allegazione della copia fotostatica del documento del sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva, prescritta dal c. 3 dell'art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000, è adempimento inderogabile, atto a conferire, in considerazione della sua introduzione come forma di semplificazione, legale autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione e giuridica esistenza ed efficacia all'autocertificazione.
Si tratta di un elemento integrante della fattispecie normativa, teso a stabilire, data l'unità della fotocopia sostitutiva del documento di identità e della dichiarazione sostitutiva, un collegamento tra la dichiarazione ed il documento ed a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imputabilità soggettiva della dichiarazione al soggetto che la presta.
L'assenza della copia fotostatica del documento di identità alla dichiarazione sostitutiva sui requisiti generali prescritti dall'art. 38 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006) non determina, pertanto, una mera incompletezza del documento, idonea a far scattare il potere di soccorso della stazione appaltante tramite la richiesta di chiarimenti sul suo contenuto ex art. 46 d.lgs. n. 163/2006, ma la sua giuridica inesistenza con la conseguenza che, in ossequio al principio della par condicio e della parità di trattamento tra le imprese partecipanti, l'impresa deve essere esclusa per mancanza della prescritta dichiarazione (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 13.03.2013 n. 223 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le impugnazioni degli atti con i quali si approva un PAI, rientrano nella giurisdizione del Tribunale superiore delle acque, ovvero del giudice speciale che, ai sensi dell'art. 143, comma I, lettera a), del R.D. 11.12.1933 n. 1775, conosce dei "ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall'amministrazione in materia di acque pubbliche”.
Tali provvedimenti comprendono infatti tutti quelli che comunque incidano in modo significativo sul regime di tali acque, anche se emanati nell’esercizio di poteri finalizzati alla tutela di differenti interessi, e quindi a maggior ragione quelli direttamente funzionali alla gestione delle acque pubbliche stesse, come quello per cui è causa.
Così come ritenuto da recente e costante giurisprudenza, infatti, le impugnazioni degli atti con i quali si approva un PAI, rientrano nella giurisdizione del Tribunale superiore delle acque, ovvero del giudice speciale che, ai sensi dell'art. 143, comma I, lettera a), del R.D. 11.12.1933 n.  1775, conosce dei "ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall'amministrazione in materia di acque pubbliche”.
Tali provvedimenti comprendono infatti tutti quelli che comunque incidano in modo significativo sul regime di tali acque, anche se emanati nell’esercizio di poteri finalizzati alla tutela di differenti interessi, e quindi a maggior ragione quelli direttamente funzionali alla gestione delle acque pubbliche stesse, come quello per cui è causa: così da ultimo TAR Sicilia Palermo, sez. I, 02.02.2012 n. 266 e TAR Abruzzo L’Aquila, sez. I, 23.01.2009 n. 44, ove ampia citazione di ulteriori precedenti, entrambe non impugnate e passate in giudicato.
Deve solo precisarsi che non rileva in contrario l’apparentemente difforme decisione di questa Sezione 10.04.2012 n. 284, la quale ha pronunciato nel merito in un caso consimile, trattandosi di decisione la quale, in ragione del chiaro ed evidente esito che si prospettava per le domande di merito, ha deciso direttamente sulle stesse, senza pertanto formare giudicato implicito sulla questione di giurisdizione, da nessuno prospettata nel relativo giudizio (sul principio per cui una decisione per saltum sul merito non forma giudicato, nemmeno implicito, sulla giurisdizione, si veda per tutte Cass. S.U. 09.10.2008 n. 24883) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 12.03.2013 n. 251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla sussistenza degli oneri di dichiarazione di precedenti sentenze penali ex art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. 163/2006, anche in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione.
Nel caso di incorporazione o fusione societaria, sussiste in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione l'onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito di cui all'art. 38, c. 1, lett. c), d.lgs. n. 163/2006, anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la società incorporata o le società fusesi nell'ultimo triennio, ovvero che sono cessati dalla relativa carica in detto periodo (dopo il d.l. n. 70 del 2011, nell'ultimo anno).
Resta ferma la possibilità di dimostrare la c.d. dissociazione. L'art. 38, c. 2, d.lgs. n. 163/2006, sia prima che dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 70/2011, pertanto, impone la presentazione di una dichiarazione sostitutiva completa, a pena di esclusione, anche per gli amministratori delle società che partecipano ad un procedimento di incorporazione o di fusione (CdS, Adunanza Plenaria del 07.06.2012, n. 21).
Tenuto conto della precedente incertezza giurisprudenziale, l'Adunanza Plenaria giunge alla conclusione che i concorrenti che omettono la dichiarazione possono essere esclusi dalle gare -in relazione alle dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c)- fino alla data di pubblicazione della decisione medesima (07.06.2012) solo se il bando espliciti tale onere di dichiarazione e la conseguente causa di esclusione; in caso contrario, l'esclusione può essere disposta solo ove vi sia la prova che gli amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali.
Nelle ipotesi di fusione o di incorporazione di società, ancorché venute in essere antecedentemente all'avvio della gara, si realizza, infatti, anche se non la fattispecie di successione a titolo universale, "l'integrazione reciproca delle società partecipanti all'operazione, ossia una vicenda meramente evolutiva del medesimo soggetto, che conserva la propria identità pur in un nuovo assetto organizzativo." Ritenuta la continuità nel nuovo soggetto, perdura, per le società che proseguono sotto la nuova identità della società incorporante l'onere di rendere la dichiarazione relativa ai propri amministratori cessati.
In altri termini, la società incorporante o risultante dalla fusione, non è un soggetto "altro" e "diverso", ma semmai un soggetto composito in cui proseguono la loro esistenza le società partecipanti all'operazione di incorporazione e, per l'effetto, non si possono considerare "altrui" gli amministratori che sono amministratori di un soggetto che è parte del tutto e che conserva la sua identità originaria sotto una diversa forma giuridica. Diversamente opinando, le operazioni di fusione tra società finirebbero per prestarsi alla elusione dello scopo perseguito con la preclusione di cui all'art. 38 cit., da individuarsi sicuramente in quello di impedire anche solo la possibilità di inquinamento dei pubblici appalti, derivante dalla partecipazione alle relative procedure di soggetti di cui sia accertata la non affidabilità sul piano morale e professionale" (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 08.03.2013 n. 1411 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gli operatori che concorrono alle procedure di gara possono modificare la veste giuridica assunta inizialmente, quantomeno fino alla presentazione delle offerte.
Dagli articoli 37 (c. 9 e 12) e 51 del d.lgs. n. 163 del 2006, sia dalla normativa comunitaria di riferimento, emerge l'indifferenza dell'ordinamento, alla veste giuridica a mezzo della quale gli operatori concorrono alle procedure di gara ed alle eventuali modifiche della veste assunta inizialmente, quanto meno fino alla presentazione delle offerte. In particolare l'art. 37, c. 9 e 12, del codice degli appalti consente espressamente che l'operatore prequalificatosi modifichi il proprio profilo soggettivo in vista della gara, sempre che detta modifica intervenga prima della presentazione delle offerte e sempre che la stessa non risulti preordinata a sopperire ad una carenza di requisiti intervenuta medio tempore o esistente ab origine.
Pertanto, nel caso di specie, non è condivisibile la tesi prospettata dall'appellante intesa a restringere il mutamento della forma giuridica di partecipazione ai soli rti e anzi la lex specialis, ove interpretata nel senso auspicato dall'appellante principale, risulterebbe illegittima ponendo inutili limiti alle capacità concorrenziali e imprenditoriali in specie limitando la facoltà delle imprese di scegliere e utilizzare gli strumenti aggregativi più idonei (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.03.2013 n. 1328 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATALa trasformazione di balconi, terrazze o altri sporti di un edificio in verande mediante opere cementizie o incorporazioni di strutture metalliche in parti murarie a sostegno di pareti di materiale vitreo o quant’altro contribuisca a intercludere stabilmente lo spazio per renderlo abitabile o più convenientemente utilizzabile, è attività edilizia che non rientra nel regime eccezionale dell’autorizzazione comunale, bensì in quello ordinario della concessione edilizia, non trattandosi di manutenzione straordinaria, né di opera di recupero abitativo, né di pertinenza dell’edificio, né di impianto tecnologico al suo servizio.
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la trasformazione di balconi, terrazze o altri sporti di un edificio in verande mediante opere cementizie o incorporazioni di strutture metalliche in parti murarie a sostegno di pareti di materiale vitreo o quant’altro contribuisca a intercludere stabilmente lo spazio per renderlo abitabile o più convenientemente utilizzabile, è attività edilizia che non rientra nel regime eccezionale dell’autorizzazione comunale, bensì in quello ordinario della concessione edilizia, non trattandosi di manutenzione straordinaria, né di opera di recupero abitativo, né di pertinenza dell’edificio, né di impianto tecnologico al suo servizio (ex multis Cassazione, Sez. III 20.04.1983 n. 3398) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 05.03.2013 n. 519 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna volta proposta istanza di accertamento di conformità o domanda di condono edilizio, successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione, quest’ultima perde definitivamente efficacia, in quanto il Comune è tenuto a rideterminarsi sull’esistenza dei presupposti per la demolizione anche nel caso in cui l’istanza venga respinta.
Per giurisprudenza consolidata, una volta proposta istanza di accertamento di conformità o domanda di condono edilizio, successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione, quest’ultima perde definitivamente efficacia, in quanto il Comune è tenuto a rideterminarsi sull’esistenza dei presupposti per la demolizione anche nel caso in cui l’istanza venga respinta (ex multis Tar Lazio Latina 19.09.2006 n. 628; Tar Campania Salerno n. 620 del 2012) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 05.03.2013 n. 516 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe somme pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata.
L’obbligo di restituzione sorge nella data in cui sia intervenuta la decadenza della concessione per la mancata realizzazione delle opere di cui al progetto approvato.
Spettano gli interessi legali. Al contrario, trattandosi di un debito di valuta, indebito oggettivo, e non di valore, la rivalutazione non spetta.

Come affermato dalla giurisprudenza, le somme pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata.
L’obbligo di restituzione sorge nella data in cui sia intervenuta la decadenza della concessione per la mancata realizzazione delle opere di cui al progetto approvato (cfr. Cons. Stato sezione V 22.02.1998 n. 1145, Cons. St., sez. V, 22.02.1988, n. 105, ma vedi anche Tar Lazio II-bis 2294/2008).
Il Comune non si è costituito e, pertanto, le allegazioni di parte ricorrente non trovano smentita in merito alla mancata realizzazione dell’opera.
Quanto alla somma versata, di cui si chiede la restituzione con interessi e rivalutazioni, la ricorrente allega copie dei bonifici eseguiti a mezzo istituto bancario dai quali si evince l’esatto importo di cui chiede la restituzione.
Ciò premesso il Collegio, in accoglimento del ricorso, dichiara il diritto della ricorrente alla restituzione dei contributi concessori versati a far data dal giorno della intervenuta archiviazione del titolo edilizio per mancata realizzazione dell’opera in progetto.
Condanna, pertanto, l’amministrazione comunale al pagamento della somma di euro 4.994,00, oltre interessi legali, da calcolarsi dalla data della domanda di restituzione proposta, ovvero dal 20.01.2012, come risulta dal timbro del protocollo sulla istanza presentata al Comune e fino all’effettivo soddisfo (cfr. Tar Lazio, II-bis, 2294/2008).
Trattandosi di un debito di valuta, indebito oggettivo, e non di valore, la richiesta rivalutazione non spetta (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 20.05.2011, n. 3027) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 05.03.2013 n. 513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La determinazione di imporre un vincolo archeologico indiretto su un'area, ai sensi dell'art. 21 l. n. 1089/1939 (trasfuso nell'art. 49 d.lgs. n. 490/1999) appartiene alle valutazioni di merito dell'azione amministrativa e non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della scelta di salvaguardare la zona vincolata; peraltro, l'imposizione del vincolo -quanto all'identificazione del suo contenuto e alla delimitazione della sua estensione- appartiene alla sfera di discrezionalità tecnica dell'autorità procedente ed è di per sé soggetto a sindacato "debole" dinanzi al giudice amministrativo, vale a dire è censurabile allorché la sua motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste e macroscopiche incongruenze o illogicità, in ragione dell'elasticità e dell'indeterminatezza dei parametri tecnici delle discipline storiche ed archeologiche.
Peraltro, con riferimento all’imposizione del vincolo indiretto la giurisprudenza è solita ribadire che "La determinazione di imporre un vincolo archeologico indiretto su un'area, ai sensi dell'art. 21 l. n. 1089/1939 (trasfuso nell'art. 49 d.lgs. n. 490/1999) appartiene alle valutazioni di merito dell'azione amministrativa e non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della scelta di salvaguardare la zona vincolata; peraltro, l'imposizione del vincolo -quanto all'identificazione del suo contenuto e alla delimitazione della sua estensione- appartiene alla sfera di discrezionalità tecnica dell'autorità procedente ed è di per sé soggetto a sindacato "debole" dinanzi al giudice amministrativo, vale a dire è censurabile allorché la sua motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste e macroscopiche incongruenze o illogicità, in ragione dell'elasticità e dell'indeterminatezza dei parametri tecnici delle discipline storiche ed archeologiche: TAR Puglia Lecce, sez. I, 28.04.2010, n. 1038” (così TAR Campania Napoli Sez. VIII, 29-08-2011, n. 4239) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 05.03.2013 n. 218 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'attendibilità dell’offerta presentata nell’ambito di una gara d’appalto e sospettata di anomalia deve essere valutata nella sua globalità, poiché l'art. 88, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) -quando statuisce che, all'esito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, la stazione appaltante dichiara l'eventuale esclusione dell’offerta che risulta, "nel suo complesso", inaffidabile- va inteso nel senso che la stazione appaltante deve accertare l'affidabilità globale dell’offerta mediante un giudizio sintetico sulla serietà o meno della medesima nel suo insieme considerata.
In altre parole, “Il giudizio di congruità dell’offerta per l'aggiudicazione di un gara d'appalto si basa su una valutazione complessiva, riguardante tutte le diverse voci, nella quale il sospetto su alcune parti può essere trascurato sulla base del giudizio globale. Il giudizio positivo non deve essere giustificato sulla base della minuta disamina espressa di tutte le componenti dell’offerta, di conseguenza, chi contesta la legittimità dell'aggiudicazione ha l'onere di individuare specifici punti che dimostrano l’anomalia dell’offerta dimostrando anche, nel corso del contraddittorio processuale, il loro rilievo nella sua logica complessiva".
---------------
Se si dovesse ritenere che l’esame, nel merito, della congruità dell’offerta dovesse avvenire solo alla luce di quanto esposto nell’offerta, considerando come un’inammissibile modifica dell’offerta ogni successivo chiarimento od integrazione, la valutazione dell’anomalia sarebbe assolutamente priva di significato.
Pur dovendosi, dunque, ritenere immodificabile l’offerta, deve altresì ammettersi la possibilità di integrare le varie voci di spesa, chiarendo il metodo di calcolo e l’esatta imputazione. Le giustificazioni debbono, dunque, ritenersi modificabili.

Come già affermato in sede cautelare, <<per costante ed uniforme giurisprudenza, l'attendibilità dell’offerta presentata nell’ambito di una gara d’appalto e sospettata di anomalia deve essere valutata nella sua globalità, poiché l'art. 88, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) -quando statuisce che, all'esito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, la stazione appaltante dichiara l'eventuale esclusione dell’offerta che risulta, "nel suo complesso", inaffidabile- va inteso nel senso che la stazione appaltante deve accertare l'affidabilità globale dell’offerta mediante un giudizio sintetico sulla serietà o meno della medesima nel suo insieme considerata (in tal senso, da ultimo, TAR Lombardia Milano Sez. I, 13.09.2012, n. 2318). In altre parole, “Il giudizio di congruità dell’offerta per l'aggiudicazione di un gara d'appalto si basa su una valutazione complessiva, riguardante tutte le diverse voci, nella quale il sospetto su alcune parti può essere trascurato sulla base del giudizio globale. Il giudizio positivo non deve essere giustificato sulla base della minuta disamina espressa di tutte le componenti dell’offerta, di conseguenza, chi contesta la legittimità dell'aggiudicazione ha l'onere di individuare specifici punti che dimostrano l’anomalia dell’offerta dimostrando anche, nel corso del contraddittorio processuale, il loro rilievo nella sua logica complessiva” (Cons. Stato Sez. V, 27.08.2012, n. 4600)>>.
Tale esame, complessivo e globale, risulta essere stato positivamente superato, in sede di valutazione dell’anomalia, dall’offerta della Servizi comunali s.p.a., la cui congruità risulta essere sostenuta da elementi che, unitariamente considerati, sono sufficienti ad escludere un giudizio affetto da profili di illogicità ed incongruità che consentirebbero il sindacato “debole” del giudice amministrativo.
Appare, comunque, condivisibile la tesi dell’Amministrazione secondo cui, se si dovesse ritenere che l’esame, nel merito, della congruità dell’offerta dovesse avvenire solo alla luce di quanto esposto nell’offerta, considerando come un’inammissibile modifica dell’offerta ogni successivo chiarimento od integrazione, come vorrebbe la ricorrente, la valutazione dell’anomalia sarebbe assolutamente priva di significato. Pur dovendosi, dunque, ritenere immodificabile l’offerta, deve altresì ammettersi la possibilità di integrare le varie voci di spesa, chiarendo il metodo di calcolo e l’esatta imputazione. Le giustificazioni debbono, dunque, ritenersi modificabili (Cons. Stato, V, 20.05.2012, n. 875) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 05.03.2013 n. 216 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: La proroga è un istituto adoperato dalle amministrazioni per il tempo strettamente necessario a completare procedure di gara già indette (o ad avviarle ed ultimarle ex novo), ed il semestre può ritenersi la soglia massima ragionevolmente accettabile, potendo garantire contro eventuali imprevisti nell’espletamento della selezione.
Anche il dato normativo di riferimento (art. 23, comma 2, della L. 62/2005) conforta tale linea interpretativa.

In linea generale la proroga è un istituto adoperato dalle amministrazioni per il tempo strettamente necessario a completare procedure di gara già indette (o ad avviarle ed ultimarle ex novo), ed il semestre può ritenersi la soglia massima ragionevolmente accettabile, potendo garantire contro eventuali imprevisti nell’espletamento della selezione (cfr. sentenze Sezione 11/03/2011 n. 419; 24/06/2011 n. 939 confermata in appello da Consiglio di Stato, sez. V – 21/06/2012 n. 3668).
Anche il dato normativo di riferimento (art. 23, comma 2, della L. 62/2005) conforta tale linea interpretativa (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 05.03.2013 n. 214 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di jus poenitendi dell’amministrazione, dopo l’avvio della procedura di scelta del contraente la stessa mantiene il potere di revoca per documentate e motivate esigenze di interesse pubblico, anche consistenti in un diverso apprezzamento dei medesimi presupposti già considerati, in ragione delle quali sia evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione della gara stessa: è sufficiente al riguardo che non risulti illogica né illegittima per manifesta abnormità o travisamento dei presupposti di fatto la decisione di perseguire una strada diversa.
---------------
Il divieto rigoroso di rinegoziazione delle offerte economiche è pacifico in giurisprudenza e non può essere messo in discussione con considerazioni che si diffondano sulla misura ridotta dello sconto praticato posteriormente allo svolgimento della selezione.

In quest’ottica può essere richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di jus poenitendi dell’amministrazione che –dopo l’avvio della procedura di scelta del contraente– mantiene il potere di revoca per documentate e motivate esigenze di interesse pubblico, anche consistenti in un diverso apprezzamento dei medesimi presupposti già considerati, in ragione delle quali sia evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione della gara stessa: è sufficiente al riguardo che non risulti illogica né illegittima per manifesta abnormità o travisamento dei presupposti di fatto la decisione di perseguire una strada diversa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 05/09/2011 n. 5002; TAR Puglia Lecce, sez. III – 25/01/2012 n. 139).
Ebbene, nel caso all’esame ragioni di opportunità (ossia il reperimento di offerte più economiche) hanno indotto l’Azienda Ospedaliera a non privilegiare l’opzione dell’affidamento alla seconda classificata (divenuta poi prima ed unica nella gara): a questo punto deve essere sciolto l’interrogativo circa la sostenibilità, la coerenza e la ragionevolezza di tale condotta.
---------------
Anzitutto il divieto rigoroso di rinegoziazione delle offerte economiche –richiamato nell’atto impugnato– è pacifico in giurisprudenza (cfr. TAR Lazio Roma, sez. III-quater – 24/07/2012 n. 6868), e non può essere messo in discussione con considerazioni che si diffondano sulla misura ridotta dello sconto praticato posteriormente allo svolgimento della selezione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 05.03.2013 n. 214 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Sull'istanza di accesso di un consigliere comunale ai documenti amministrativi costituiti da fatture e distinte dettagliate delle entrate e delle uscite riguardanti il rendiconto di un progetto posto in essere da una società partecipata dall'ente locale.
In base all'art. 43 del T.U.E.L. il diritto di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni necessarie per valutare la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'amministrazione comunale è riconosciuto a favore dei consiglieri comunali in funzione del proprio mandato elettivo.
Si tratta di un diritto che trova il suo presupposto non nella generale previsione di cui agli art. 22 e ss della L. n. 241/1990, relativa all'accesso del privato ai documenti amministrativi, ma nella specifico potere di verifica e di sindacato che spetta ai componenti del Consiglio Comunale in forza della disciplina generale sugli enti locali e delle disposizioni dei singoli statuti.
Nel caso di specie, pertanto è legittimo il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituiti da fatture e distinte dettagliate delle entrate e delle uscite riguardanti il rendiconto di un progetto posto in essere da una società partecipata dall'Ente locale al fine di tutelare, in via generale, i diritti derivanti dalla propria posizione di consigliere comunale e più in particolare di consentire la piena conoscenza di elementi e di informazioni utili all'espletamento del mandato.
Quanto al contenuto della richiesta essa va però limitata al rendiconto delle entrate e delle uscite connesse ai "Progetti" sopra indicati e cioè in sostanza al libro giornale dell'impresa per la parte attinente le operazioni compiute in tale settore di attività e quindi va respinta per ciò che riguarda tutte le fatture emesse, stante l'estrema genericità di tale formulazione (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 04.03.2013 n. 169 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATANon esiste alcuna automaticità nel rilascio del certificato di agibilità a seguito di concessione in sanatoria, dovendo, pur sempre, il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di agibilità siano osservate le disposizioni normative sulle condizioni igienico–sanitarie.
Dunque, il rilascio di una sanatoria edilizia non comporta necessariamente l’obbligo per l’autorità amministrativa di emettere un provvedimento ugualmente positivo in ordine all’agibilità con riguardo all’attività che vi deve essere svolta, in quanto il rilascio di tale ulteriore licenza implica, in capo all’autorità emanante, il preventivo accertamento e la conseguente valutazione di elementi non rilevanti in sede di rilascio della sanatoria che presuppone la presenza di requisiti diversi e autonomi.
---------------
L’attività di allevamento di animali (qual è quella che oggi viene svolta all’interno del manufatto, essendo irrilevante il numero di animali che attualmente vi sono custoditi) rientra nell’elenco delle industrie insalubri di prima classe di cui al D.M. 05.09.1994 e all’art. 216 del R.D. 1265/1934, che devono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni..

In ogni caso, anche se nella concessione in sanatoria si fa riferimento ad una destinazione a “pollaio” non significa, come invece sostiene il ricorrente, che sia stata implicitamente concessa l’agibilità per uso ricovero animali del manufatto condonato. Licenza questa che, invece, non è mai stata rilasciata.
Peraltro, non esiste alcuna automaticità nel rilascio del certificato di agibilità a seguito di concessione in sanatoria, dovendo, pur sempre, il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di agibilità siano osservate le disposizioni normative sulle condizioni igienico–sanitarie (cfr. Corte Cost. n. 256/1996; Cons. Stato n. 2140/2004).
Dunque, il rilascio di una sanatoria edilizia non comporta necessariamente l’obbligo per l’autorità amministrativa di emettere un provvedimento ugualmente positivo in ordine all’agibilità con riguardo all’attività che vi deve essere svolta, in quanto il rilascio di tale ulteriore licenza implica, in capo all’autorità emanante, il preventivo accertamento e la conseguente valutazione di elementi non rilevanti in sede di rilascio della sanatoria che presuppone la presenza di requisiti diversi e autonomi.
Nel caso di specie, l’amministrazione ha da ultimo rilevato, nel corso di un apposito sopralluogo, che il manufatto condonato era stato in concreto destinato ad un’attività, quella di allevamento di maiali, che poteva influire sulle condizioni di salubrità dell’ambiente circostante, essendo situato in prossimità dell’abitazione dell’odierno controinteressato.
Pertanto, la destinazione dell’annesso rustico a porcile, costituendo una circostanza nuova e rilevante sul piano igienico–sanitario, comporta la necessità del rilascio di una specifica licenza di agibilità che, d’altra parte, non sembra possa essere attualmente conseguita, stante l’esistenza dell’abitazione di P.C. a distanza inferiore a quella di trenta metri prevista dalle n.t.a. e dal regolamento edilizio.
Va infatti evidenziato che l’attività di allevamento di animali (qual è quella che oggi viene svolta all’interno del manufatto, essendo irrilevante il numero di animali che attualmente vi sono custoditi) rientra nell’elenco delle industrie insalubri di prima classe di cui al D.M. 05.09.1994 e all’art. 216 del R.D. 1265/1934, che devono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni.
Ne consegue che sussistevano tutti i presupposti per l’emissione del divieto di destinare a porcilaia l’annesso rustico in questione e che la circostanza della preesistenza o meno dell’annesso rustico all’abitazione di Pio Carretta non è decisiva, in quanto ciò che conta è che l’attività ivi esercitata non è mai stata regolarizzata e dunque oggi è destinata a scontare la vicinanza della detta abitazione (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 28.02.2013 n. 289 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAAccertata l’esistenza del vincolo ambientale gravante sull’intero territorio comunale, la valutazione della compatibilità (ambientale) deve essere effettuata anche con riguardo al piano di lottizzazione e non solo successivamente in occasione della sua realizzazione: ciò tenuto conto della natura di piano attuativo di detto strumento pianificatorio, che, contemplando anche la pianificazione di dettaglio, è in grado di incidere direttamente sull’ambiente e sui valori paesaggistici.
Peraltro, la stessa normativa statale (D.lgs. n. 42/2004, art. 146) impone il conseguimento del nullaosta in materia paesaggistica anche per i piani attuativi e tale disposizione va intesa quale principio generale, essendo rivolto alla cura e protezione di interessi aventi rilevanza costituzionale quali sono il paesaggio e l’ambiente.

A tale ultimo riguardo, accertata l’esistenza del vincolo gravante sull’intero territorio comunale, va considerato che la valutazione della compatibilità deve essere effettuata anche con riguardo al piano di lottizzazione e non solo successivamente in occasione della sua realizzazione (cfr. TAR Veneto, II, n. 3201/2003; C.d.S., VI, n. 1095/2000): ciò tenuto conto della natura di piano attuativo di detto strumento pianificatorio, che, contemplando anche la pianificazione di dettaglio, è in grado di incidere direttamente sull’ambiente e sui valori paesaggistici.
Peraltro, la stessa normativa statale (D.lgs. n. 42/2004, art. 146) impone il conseguimento del nullaosta in materia paesaggistica anche per i piani attuativi e tale disposizione va intesa quale principio generale, essendo rivolto alla cura e protezione di interessi aventi rilevanza costituzionale quali sono il paesaggio e l’ambiente (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 28.02.2013 n. 288 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità per danno erariale gli amministratori che hanno conferito incarichi professionali senza determinazione specifica di contenuto etc.
L'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e l'organizzazione amministrativa, e quindi il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità per danno erariale gli amministratori che hanno conferito incarichi professionali senza determinazione specifica di contenuto, durata, criteri, compenso, in contrasto con il D.Lgs. 03.02.1993, n. 29, art. 7, u.c., secondo il quale "per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione", e dunque il conferimento dell'incarico è legittimo solo in ipotesi di impossibilità oggettiva, da rappresentare nella delibera di far fronte all'esigenza richiesta con personale interno all'organizzazione, la cui qualificazione professionale l'amministrazione ha infatti l'obbligo di verificare periodicamente ed incrementare.
Pertanto, nel caso di specie, l'esame da parte della Corte dei conti delle scelte degli amministratori pubblici di UNIRE di incaricare professionisti esterni per consulenze, pareri e difesa giudiziale alla luce dei presupposti legali e delle clausole generali di giuridicità innanzi richiamati al fine di verificare la legittimità della scelta e la correttezza della gestione delle risorse pubbliche per i compensi corrisposti, alla luce anche del fondamentale principio del buon andamento e della ragionevole proporzionalità tra costi e benefici in relazione ai fini da perseguire, non travalica il limite esterno della giurisdizione erariale (Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 21.02.2013 n. 4283 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAQuesta Sezione, proprio in riferimento al tema del recupero dei sottotetti nella regione Lombardia e ripercorrendo negli anni la mutevole disciplina regionale, aveva già evidenziato come, ai sensi della legge della regione Lombardia n. 15 del 1996, “Il recupero volumetrico a scopo residenziale del piano sottotetto in base alla citata legge regionale non poteva prescindere dall'esistenza dell'edificio e del sottotetto medesimo (da intendersi come vero e proprio volume preesistente) e doveva avvenire nel rispetto delle prescrizioni igienico-sanitarie e di abitabilità previste dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 6 dell'art. 1 della legge medesima” e che tale disciplina, superata e modificata successivamente, confluiva infine nel “Capo I del Titolo IV della nuova legge regionale n. 12/2005, (che) ribadisce il principio generale del "favor" per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti (commi 1 e 2 dell'art. 63) e definisce il sottotetto esistente come volume soprastante l'ultimo piano degli edifici <esistente al momento della presentazione della domanda di permesso di costruire ovvero della denuncia di inizio attività>”.
Questa Sezione (Consiglio di Stato, sez. IV, 04.02.2008 n. 298, che richiama le precedenti sentenze 21.12.2006, n. 7770 e 30.05.2005 n. 2767), proprio in riferimento al tema del recupero dei sottotetti nella regione Lombardia e ripercorrendo negli anni la mutevole disciplina regionale (e prima ancora dell’intervento tranciante della sentenza della Corte Costituzionale, 23.11.2011 n. 309), aveva già evidenziato come, ai sensi della legge della regione Lombardia n. 15 del 1996, “Il recupero volumetrico a scopo residenziale del piano sottotetto in base alla citata legge regionale non poteva prescindere dall'esistenza dell'edificio e del sottotetto medesimo (da intendersi come vero e proprio volume preesistente) e doveva avvenire nel rispetto delle prescrizioni igienico-sanitarie e di abitabilità previste dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 6 dell'art. 1 della legge medesima” e che tale disciplina, superata e modificata successivamente, confluiva infine nel “Capo I del Titolo IV della nuova legge regionale n. 12/2005, (che) ribadisce il principio generale del "favor" per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti (commi 1 e 2 dell'art. 63) e definisce il sottotetto esistente come volume soprastante l'ultimo piano degli edifici <esistente al momento della presentazione della domanda di permesso di costruire ovvero della denuncia di inizio attività>” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.02.2013 n. 1058 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Consiglio di Stato. Mancate comunicazioni. Sull'avvio dell'iter ricorsi solo motivati.
È inammissibile, per assoluta genericità, un ricorso giurisdizionale che si limiti a contestare la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento.

Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.02.2013 n. 1056, che -in relazione a un motivo di impugnazione per la mancata comunicazione di un preavviso di rigetto- ha precisato che l'avvio del procedimento non è un «rituale formalistico», né un «banale cavillo», e quindi il ricorrente non può contestare soltanto la mancata comunicazione di avvio, ma deve almeno «allegare» quelle «circostanze che non aveva potuto incolpevolmente sottoporre all'amministrazione».
La sentenza è innovativa e può -a prima vista- sollevare dei dubbi. Si potrebbe infatti obiettare che l'avvio del procedimento è un «obbligo» della Pubblica amministrazione, perché l'articolo 7 della legge 241/1990 stabilisce che «l'avvio del procedimento è comunicato» (e quindi «deve» essere comunicato), e quest'obbligo è rafforzato dall'inciso della parte finale del comma 2: «l'amministrazione è tenuta a fornire notizia dell'inizio del procedimento».
Ma l'obiezione, che pur si basa sulla lettera della legge, non sarebbe persuasiva. È pur vero che l'amministrazione deve ottemperare all'obbligo di comunicare all'interessato l'avvio del procedimento, ma vi è anche (articolo 40, lettera c) del Codice amministrativo) l'obbligo del ricorrente di indicare «i motivi specifici» del ricorso, e quindi le ragioni e le circostanze che ne costituiscono gli elementi essenziali, in modo che sia rispettato il «principio di parità delle parti» (articolo 2 del Codice citato). Un ricorso giurisdizionale basato soltanto sulla mancata comunicazione dell'avvio del procedimento sarebbe poi contraddittorio, perché esso denuncia una violazione «formale» della Pubblica amministrazione, ma costituisce esso stesso un «cavillo formale», rivolto ad altri fini.
La sentenza del Consiglio di Stato merita perciò di essere condivisa. Essa ha interpretato la norma -come si legge nella motivazione- «in un'ottica funzionale», e quindi con il positivo obiettivo di limitare i ricorsi che intralciano l'azione della pubblica amministrazione e impediscono la concorrenza, specie in materia di appalti (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIIn difetto di esplicite sanzioni di esclusione contenute nella legge e/o nel bando, deve ritenersi che non possa farsi luogo ad esclusioni, come prevede ora l’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti, modificato dall’art. 4, comma 2, lett. d), del D.L. 13.05.2011, n. 70.
Si è pertanto osservato, estendendo detto principio a casi e fattispecie analoghe, che nelle gare pubbliche le cause di esclusione, incidendo sull'autonomia privata delle imprese e limitando la libertà di concorrenza -nonché il principio di massima partecipazione-, devono ritenersi tassative e non possono essere interpretate analogicamente.
Ne consegue che qualora manchi una chiara prescrizione che imponga in modo esplicito l'obbligo della esclusione, vale il principio della più ampia partecipazione alla gara allo scopo di garantire il migliore risultato per l'amministrazione stessa.

Come ha peraltro confermato una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sezione Terza – sentenza 04.10.2012, n. 5203) in difetto di esplicite sanzioni di esclusione contenute nella legge e/o nel bando, deve ritenersi che non possa farsi luogo ad esclusioni, come prevede ora l’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti, modificato dall’art. 4, comma 2, lett. d), del D.L. 13.05.2011, n. 70.
Si è pertanto osservato, estendendo detto principio a casi e fattispecie analoghe, che nelle gare pubbliche le cause di esclusione, incidendo sull'autonomia privata delle imprese e limitando la libertà di concorrenza -nonché il principio di massima partecipazione-, devono ritenersi tassative e non possono essere interpretate analogicamente.
Ne consegue che qualora manchi una chiara prescrizione che imponga in modo esplicito l'obbligo della esclusione, vale il principio della più ampia partecipazione alla gara allo scopo di garantire il migliore risultato per l'amministrazione stessa (Consiglio Stato sez. IV, 12.06.2009, n. 3696; TAR Lazio sez. I, 21.07.1997, n. 1157) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.02.2013 n. 228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASi ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà.
Al contrario, occorre il permesso di costruire quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica o da opera muraria.

- che invero, come costantemente ritenuto dalla giurisprudenza, si ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà (TAR Campania Napoli, sez. VII, 04.07.2007, n. 6458; TAR Campania Napoli, sez. IV, 08.05.2007, n. 4821; TAR Emilia Romagna, sez. II, 26.01.2007, n. 82; TAR Veneto Venezia, sez. II, 07.03.2006, n. 533); al contrario occorre il permesso di costruire, quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica (TAR Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897) o da opera muraria (Cassazione penale, sez. III, 13.12.2007, n. 4755);
- atteso che nel caso di specie, la natura e le dimensioni della recinzione realizzata abusivamente dal ricorrente, costituita da muretto di base e sovrastante cancellata, richiedeva il permesso di costruire;
- ne consegue che, respinta la sanatoria, l’ordine di demolizione impartito risulta legittimo (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.02.2013 n. 223 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: Regolamento quasi blindato. Per le modifiche la forma scritta è requisito essenziale. La Cassazione: non si cambia la destinazione d'uso dei locali solo con accordo unanime.
Le modifiche al regolamento condominiale devono essere effettuate per atto scritto perché, in mancanza, le stesse non possono considerarsi produttive di effetti. Il comportamento concludente osservato nel tempo dai condomini che non si siano mai opposti ad attività contrarie a un divieto regolamentare non può quindi mai comportare la modifica della relativa disposizione.
Il regolamento di natura contrattuale, inoltre, vincola tutti i condomini, compreso il comproprietario che sia anche l'originario costruttore dell'edificio ed estensore materiale dell'atto.

Sono questi i chiarimenti forniti dalla II Sez. civile della Corte di Cassazione con la sentenza 05.02.2013 n. 2668.
Il caso concreto. Nella specie un condomino proprietario di alcuni locali a piano terreno destinati ad autorimessa era stato citato in giudizio dall'amministratore che lamentava il mutamento della destinazione d'uso degli stessi, trasformati in comunità di alloggio per minori e anziani, nonostante un espresso divieto contenuto nel regolamento condominiale. Il proprietario si era difeso sostenendo sia che il regolamento non lo vincolasse, in quanto originario costruttore dell'edificio e materiale estensore dell'atto, sia che detto divieto, a fronte della tolleranza mostrata dalla compagine condominiale, dovesse ritenersi ormai del tutto venuto meno. Sia in primo che in secondo grado le eccezioni avanzate dal condomino erano però state ritenute infondate. Di qui la decisione del proprietario dei locali di presentare ricorso in Cassazione.
La decisione della Suprema corte. I giudici di legittimità, nel richiamare sul punto le conclusioni alle quali erano giunte le sezioni unite nella sentenza n. 943/99, pur riconoscendo vigente nell'ordinamento il principio generale della libertà di forme, hanno chiarito che la formazione del regolamento condominiale deve necessariamente avvenire in forma scritta, poiché il codice civile prevede (ancor più dopo la riscrittura dell'art. 1130 operata dalla legge di riforma n. 220/2012) che lo stesso sia allegato a un apposito registro.
A maggior ragione, dunque, le eventuali modifiche di quest'ultimo devono avvenire anch'esse per iscritto, anche perché se di natura assembleare esse risulteranno da apposite deliberazioni assembleari da trascrivere anch'esse nello specifico registro tenuto dall'amministratore, se di natura contrattuale le stesse comunque incideranno su diritti reali dei condomini relativi alle proprietà esclusive o alle parti comuni. Per questo motivo la Suprema corte ha rigettato il ricorso presentato dal condomino, condannandolo anche alle spese del giudizio di legittimità.
---------------
La potestà del proprietario ha limiti.
È convinzione diffusa tra i condomini quella di essere padroni in casa propria nel senso, cioè, di essere liberi di realizzare nel proprio appartamento nuovi manufatti o modifiche interne o di potervi svolgere qualunque tipo di attività. Spesso, però, a prescindere dai divieti di legge in campo civilistico ed edilizio, possono esserci specifiche norme contrattuali del regolamento condominiale predisposto dal costruttore originario e accettate dai condomini nei relativi atti di acquisto che possono limitare le facoltà del singolo comproprietario all'interno delle proprietà esclusive.
• I limiti del regolamento: il divieto di opere interne o del mutamento di destinazione.
Se il regolamento contiene una clausola contrattuale che impedisce di compiere qualsiasi opera interna, il singolo condomino non può, per esempio, dividere l'abitazione in due unità immobiliari, riunire due appartamenti con costruzione di servizi e accessi nuovi, trasferire un bagno da un locale all'altro, costruire un locale deposito nel giardino ecc. Da notare che è possibile pure che una norma del regolamento consenta al singolo condomino di eseguire opere interne, del tipo di quelle sopra elencate, soltanto previa autorizzazione dell'assemblea dei condomini.
Una clausola siffatta, che sia stata accettata dall'intera collettività condominiale, pone un ostacolo alla realizzazione di opere interne che vale per tutti i condomini, i quali sono costretti a rivolgersi all'assemblea per ottenere un'autorizzazione in deroga. Che poi l'assemblea, con suo libero apprezzamento, possa consentire a un condomino e negare a un altro la realizzazione di una determinata opera è conseguenza naturale di un meccanismo che i condomini hanno accettato nel regolamento condominiale, rimettendo alla volontà dell'assemblea tutte le decisioni in proposito.
È anche frequente che clausole regolamentari di natura contrattuale prevedano un espresso divieto di mutare la destinazione d'uso delle proprietà esclusive del singolo condomino. L'obiettivo di tali divieti è quello di evitare un godimento e un uso dei servizi e delle parti comuni superiore alle facoltà del condomino che operi la trasformazione dell'immobile. In presenza di tali limitazioni, quindi, non è possibile, per esempio, il mutamento della destinazione dei locali posti nel sottotetto da uso soffitta in abitazione: è ovvio, infatti, che tale modifica comporterebbe non solo la predisposizione dei servizi essenziali di luce, acqua e gas, ma anche un maggior aggravio di costi per i servizi condominiali e un'alterazione dell'uso o del godimento degli stessi rispetto ai limiti della quota millesimale di spettanza del condomino che abbia trasformato in abitazione il sottotetto. E naturalmente il discorso può riguardare anche la trasformazione di negozi in abitazioni, ma anche l'operazione opposta, cioè la trasformazione di locali abitativi in negozi.
• Le attività vietate dal regolamento condominiale.
Se nel regolamento si vogliono vietare alcune attività ma si utilizzano espressioni generiche che mirano a precisare solo gli inconvenienti indesiderati, si rende necessario procedere a un'interpretazione delle relative clausole che spesso, però, è fonte di controversia destinata a sfociare in una vertenza giudiziaria. Tuttavia non sempre lo sforzo interpretativo risulta particolarmente impegnativo. Così, per esempio, se nel regolamento vi è il divieto di attività notturna, non sarà certo possibile aprire nello stabile una panetteria con annesso laboratorio, ma non si potrà pretendere di evitare la vendita al pubblico di pane durante il giorno. In ogni caso è opportuno che il regolamento, in apposita clausola, indichi, con specifica descrizione, il contenuto delle limitazioni che si intenda porre alle unità immobiliari che compongono l'edificio.
Così se una norma (contrattuale) del regolamento, oltre alla destinazione a privata abitazione, preveda la possibilità di destinare gli appartamenti solamente ad attività professionali, non sarà possibile utilizzare gli stessi come discoteca o come bar. Non è escluso però che nel regolamento del condominio vengano utilizzati entrambi i criteri di individuazione delle attività vietate (cioè quello della loro espressa elencazione, nonché quello del riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare): in tal caso, secondo la giurisprudenza, deve ritenersi, da un lato, che l'elenco delle attività vietate non sia tassativo, dall'altro lato che tutte le attività specificamente indicate siano di per sé vietate, senza necessità di verificare in concreto l'idoneità a recare i pregiudizi sopra detti.
• I limiti della normativa condominiale.
La normativa condominiale di cui agli articoli 1117 e seguenti del codice civile prevede espressamente il divieto riferibile al singolo di porre in essere opere sulla proprietà esclusiva che determinino danni sulle parti comuni. Tale principio è stato confermato anche dalla recente legge di riforma del condominio n. 220/2012, che proibisce lavori nella proprietà del singolo condominio che danneggino le parti comuni dell'edificio o che determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio. Il discorso, comunque, riguarda anche quelle parti normalmente destinate all'uso comune che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale (per esempio le terrazze a livello).
Inoltre il divieto non sembra riguardare unicamente le opere che siano eseguite nell'unità immobiliare di proprietà esclusiva (per esempio la modifica della parete interna di un appartamento che potrebbe intaccare il muro maestro comune), ma comprende anche le attività compiute nell'unità immobiliare esclusiva (come rumore, immissioni odorose ecc.). In ogni caso, prima di realizzare opere (o attività) che possano mettere in pericolo le parti comuni, deve essere preventivamente informato l'amministratore, il quale ne riferirà quanto prima in assemblea (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013).

EDILIZIA PRIVATA: In zona agricola non è applicabile la normativa della cosiddetta “legge Tognoli” che consente la realizzazione di autorimesse nel sottosuolo anche in deroga gli strumenti urbanistici, essendo questa consentita solo nelle zone residenziali, e ciò a prescindere dall'ulteriore considerazione postulante l'esclusione della deroga in presenza di vincoli ambientali.
Va poi ribadito che trattandosi di intervento in zona agricola non è applicabile, per giurisprudenza pacifica, la normativa della cosiddetta “legge Tognoli” che consente la realizzazione di autorimesse nel sottosuolo anche in deroga gli strumenti urbanistici, essendo questa consentita solo nelle zone residenziali, e ciò a prescindere dall'ulteriore considerazione postulante l'esclusione della deroga in presenza di vincoli ambientali (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 02.05.2007 n. 1331 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO ALL'11.03.2013

ã

NOVITA' NEL SITO

Inseriti i nuovi bottoni:
dossier S.U.E. (Sportello Unico per l'Edilizia)

dossier TINTEGGIATURA FACCIATE ESTERNE

CONVEGNI

LAVORI PUBBLICI: Si segnala n. 1 convegno gratuito organizzato dalla PROVINCIA DI MILANO che si terrà giovedì 14.03.2013 sull'argomento "LA MANUTENZIONE STRADALE - Tradizione, innovazione e aspetti ambientali collegati all'uso del fresato d'asfalto".
Maggiori dettagli e la locandina possono essere letti cliccando qui.

IN EVIDENZA

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Mutamento della destinazione d’uso senza opere edilizie (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, risposta e-mail del 20.07.2012 + ulteriore e complementare risposta e-mail del 10.01.2013).
---------------
Lo scorso 23.07.2012 abbiamo pubblicato l'interessante quesito redatto dall'U.T. di un comune bergamasco con annessa risposta regionale.
Tuttavia, lo stesso comune ha richiesto -dopo poche settimane- un ulteriore chiarimento in materia [circa il fatto che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 309 del 23.11.2011 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui disapplica l’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)] ... e la relativa risposta del 10.01.2013 è sopra linkata.
11.03.2013 - LA SEGRETERIA PTPL

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGOOggetto: richiesta di parere sull'attuazione delle procedure di mobilità volontaria ai sensi dell'art. 30 del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165 (nota 01.03.2013 n. 10395 di prot.).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

APPALTI: Oggetto: Legge 07.08.2012 n.134, di conversione con modificazioni del cd. “Decreto Sviluppo” (D.L. 83/2012): Responsabilità solidale nei contratti di appalto - Chiarimenti ministeriali: Circolare n. 2/E del 01.03.2013 (ANCE Bergamo, circolare 08.03.2013 n. 74).

APPALTI: Oggetto: Banca dati nazionale dei contratti pubblici – AVCPASS - Sistema operativo dall’01.07.2013 (ANCE Bergamo, circolare 08.03.2013 n. 73).

APPALTI: Oggetto: Documentazione antimafia – Nuove disposizioni (ANCE Bergamo, circolare 08.03.2013 n. 64).

APPALTI: Oggetto: Forma del contratto d’appalto – Indicazioni dell’Autorità per la vigilanza (ANCE Bergamo, circolare 08.03.2013 n. 63).

TRIBUTI: Oggetto: Imposta municipale propria (IMU) di cui all'art. 13 del D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214. Esenzione per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali. Art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504. Immobili concessi in comodato Ministero dell'Economia e delle Finanze, risoluzione 04.03.2013 n. 4/DF).

TRIBUTI: Oggetto: Imposta municipale propria (IMU) di cui all'art. 13 del D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214. Esenzione per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali. Art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504. Art. 7 del Regolamento 19.11.2012, n. 200. Adeguamento dello statuto e dell'atto costitutivo (Ministero dell'Economia e delle Finanze, risoluzione 04.03.2013 n. 3/DF).

ATTI AMMINISTRATIVI: Oggetto: regolamenti locali sui controlli interni - art. 3, comma 2, del decreto legge 10.10.2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 07.12.2012, n. 213 (Ministero della Giustizia, circolare 18.02.2013 n. 2/2013).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: G.U. 05.03.2013 n. 54 "Attuazione dell’art. 5 del decreto legislativo 29.12.2011, n. 229, concernente la definizione dei dati riguardanti le opere pubbliche, oggetto del contenuto informativo minimo dei sistemi gestionali informatizzati che le Amministrazioni e i soggetti aggiudicatori sono tenute a detenere e a comunicare alla banca dati delle amministrazioni pubbliche, di cui all’art. 13 della legge 31.12.2009, n. 196" (Ragioneria Generale dello Stato, decreto 26.02.2013).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 19.02.2013 n. 42 "Intesa sulle linee guida in materia di controlli, ai sensi dell’articolo 14, comma 5, del decreto-legge 09.02.2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 04.04.2012, n. 35" (Conferenza Unificata, intesa 24.01.2013).   

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Magari non sempre, ma ogni tanto: "i nodi vengono al pettine" (CGIL-FP di Bergamo, nota 02.03.2013).
---------------
Avendo appreso da un articolo apparso su “L’Eco di Bergamo” del 20 febbraio scorso che in merito della vicenda relativa alla convenzione per l’esercizio associato del servizio di polizia locale tra il comune di Pontida e il comune di Filago, per la quale il comune di Filago è stato condannato per comportamento antisindacale a seguito del ricorso presentato dalla FP-CGIL, il comune di Pontida: “.. sulla base delle richieste pervenute dal Comune di Filago ha posto la soluzione del caso a Regione Lombardia, nel rispetto delle competenze e dei ruoli, al fine di evitare ogni possibile strumentalizzazione. Pertanto, tutte le OO. SS. compresa la CGIL FP potranno accedere a tutte le informazioni, anche attraverso un confronto diretto che non è stato mai richiesto, neanche informalmente.”, questa organizzazione sindacale ha subito presentato richiesta di accesso alle citate informazioni. (... continua).

PUBBLICO IMPIEGO: Il foglio dei lavoratori della Funzione Pubblica (CGIL-FP di Bergamo, febbraio 2013).

CORTE DEI CONTI

CONSIGLIERI COMUNALI: Niente mimose in comune.
Se a qualche sindaco oggi balenasse l'idea di voler regalare mimose alle proprie dipendenti con i soldi del bilancio comunale, facendo passare tale acquisto come spesa di rappresentanza, è bene che se la faccia passare. Oppure, se proprio vuole togliersi lo sfizio, che le acquisti di tasca propria. Una simile spesa non è certamente configurabile come rappresentanza, in quanto la stessa deve essere caratterizzata da un legame con il fine istituzionale dell'ente, oltre alla necessità per la stessa amministrazione di ottenere una sua proiezione esterna o di intrattenere relazioni pubbliche con soggetti estranei nell'ambito dei normali rapporti istituzionali.

Lo spunto per trattare il caso viene dalla lettura del parere 19.02.2013 n. 60 della Sez. regionale di controllo della Corte dei Conti per la Lombardia con cui è stato dichiarato non conforme a legge il comportamento del comune di Brugherio (Mi) su alcune voci delle spese di rappresentanza sostenute nel corso del 2011.
Spese che, come prevede l'art. 16, comma 26, del dl n. 138/2011, devono essere elencate in un prospetto allegato al rendiconto di gestione, trasmesse alla competente sezione regionale di controllo della Corte per la successiva verifica e, in contemporanea, pubblicate sul sito internet istituzionale dell'ente.
Per il collegio è pacifico che sono prive della qualifica di spese di rappresentanza quelle erogate in occasione e nell'ambito di normali rapporti istituzionali a favore di soggetti che non sono rappresentativi degli organi di appartenenza e, in linea più generale, quelle prive di funzioni rappresentative verso l'esterno, quali quelle destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all'ente che le dispone (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013 - link a www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: La Corte dei Conti contesta "spese allegre", dei comuni, non conformi alla legge.
Rinfresco per consiglieri comunali e assessori per sessione del consiglio comunale.
L’amministrazione si limita ad osservare che la spesa è stata effettuata su richiesta del Presidente del Consiglio comunale.
Fermo restando quanto detto sulla mancanza del carattere di spese di rappresentanza per convivialità di cui beneficiano gli organi medesimi del comune, resta ferma la necessità di una congruità della spesa di tal fatta: infatti, “
non è comunque congruo mostrare prodigalità attraverso celebrazioni e rinfreschi, e semmai è richiesto il contrario, ossia l’evidenza di una gestione accorta che rifugga gli sprechi e si concentri sull’adeguato espletamento delle funzioni sue proprie” (Sez. Giurisdizionale Abruzzo n. 394/2008).
Ristorazione ai Militari dei Carabinieri e agli agenti della Polizia di Stato in occasione della consultazione referendaria.
Anche in questo caso la prodigalità in questione non rientrava tra i doveri del comune, né si integrano gli estremi della “rappresentatività”, in quanto non legato alle relazioni inter-istituzionali, ma al normale rapporto di servizio reso dai corpi di sicurezza alla cittadinanza intera della Repubblica e non del singolo comune.
In proposito e ad ogni buon conto si evidenza che
l’attaccamento del personale pubblico al lavoro, come quello alle istituzioni, rappresenta una finalità per il cui perseguimento non necessitano spese ulteriori rispetto a quelle consentite dalla disciplina del rapporto di lavoro (Corte dei conti, Sezione I Giurisdizionale Centrale d’Appello, n. 417/2011) (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 19.02.2013 n. 60).

ENTI LOCALI: Personale. Le modalità di calcolo dei limiti al turn-over. L'assunzione programmata «prenota» la spesa nell'anno.
L'OBIETTIVO/ Questo meccanismo consente di evitare il superamento dei limiti nel periodo nel quale avviene l'ingresso effettivo.

Al tetto alla spesa del personale ai fini del confronto con l'anno precedente vanno aggiunte le risorse necessarie al finanziamento delle assunzioni programmate in modo da coprire l'intero anno, così si evita il rischio del superamento del tetto nell'anno successivo a seguito delle assunzioni programmate nell'anno precedente.
A questa conclusione stanno arrivando in modo consolidato le sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti. In questo senso si è infatti pronunciata la Sez. del Veneto, con il parere 07.02.2013 n. 45; in precedenza si erano così espresse le sezioni della Basilicata (parere n. 2/2012) e della Campania (parere n. 235/2012).
Siamo in presenza di un orientamento interpretativo che consente a numerose amministrazioni di dare corso alle assunzioni programmate, riducendo gli effetti negativi che possono essere determinati dai tempi lunghi necessari per le assunzioni. Si ricordi che dopo la programmazione del fabbisogno, occorre effettuare la comunicazione per l'eventuale assegnazione di personale in disponibilità ed attendere due mesi dalla ricezione da parte della Funzione Pubblica di tale comunicazione, quindi dare corso alla mobilità volontaria, indire il concorso, attendere la presentazione delle domande e, solo a questo punto, effettuare il concorso e, se non ci sono ulteriori intoppi, assumere i vincitori.
La Corte dei Conti del Veneto risponde al dubbio «se l'adozione di un provvedimento pianificatorio sia sufficiente a superare la mancanza di un impegno di spesa vero e proprio nel finale dell'esercizio (che sostenga l'intero onere annuale ...). Ciò, al fine di evitare che la riduzione della spesa complessiva del personale, dovuta a cessazione ed a collocamento in aspettativa di ...dipendenti, determini, nel confronto con quella complessiva da sostenere nell'anno successivo, lo sforamento del vincolo imposto dall'articolo 1, comma 557, della legge 267/2006», cioè la spesa dell'anno precedente.
Il parere ricorda che «l'assunzione dell'impegno presuppone: l'esistenza di un'obbligazione giuridicamente perfezionata, la determinazione del soggetto creditore e la definizione della somma da pagare nel quantum e nel titolo.. la mera programmazione di assunzione di personale nell'esercizio di riferimento, seppur approvata in sede di bilancio di previsione, non integra la fattispecie d'impegno automatico».
Questa lettura è corretta formalmente, «tuttavia, il collegio è ben consapevole che un'interpretazione rigorosa della normativa citata determinerebbe il rischio di compromettere la possibilità di realizzare il parziale turn-over, che è riconosciuto e garantito ex lege». Da qui la conclusione che «la programmazione di nuove assunzioni con avvio delle relative procedure determina un effetto prenotativo nello stesso anno sulle relative somme ai soli fini del disposto di cui all'articolo 1, comma 557, della legge 27.12.2006, n. 296, senza che ciò comporti una prenotazione d'impegno in senso contabile».
Il parere si conclude con la raccomandazione che «il mancato compimento dell'iter assunzionale non deve essere imputabile a fatto dell'ente medesimo o concretare condotte elusive» (articolo Il Sole 24 Ore del 04.03.2013 - link a www.corteconti.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Senza bando niente incentivi ai progetti. Non spetta l'incentivo se non si arriva alla fase dell'appalto.
Questa è la posizione della Corte dei conti Campania in tema di incentivi ai progettisti interni previsti dall'articolo 92, comma 5, del Dlgs 163/2006 (Codice degli appalti) espressa in un parere di rara chiarezza e linearità (parere 31.01.2013 n. 17).
Un Comune ha chiesto se fosse legittimo riconoscere l'incentivo di cui all'articolo 92, comma 5, ai tecnici dipendenti dell'ente, qualora sia stata realizzata una progettazione interna per un'opera che poi non risulti finanziata da un soggetto terzo.
L'articolo 92, comma 5, prevede la possibilità di ripartire, previo regolamento interno e contrattazione decentrata, una somma non superiore al 2 per cento dell'importo a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico della Pa, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, oltre che tra i loro collaboratori.
La Corte precisa che l'"incentivo alla progettazione" costituisce deroga al principio per cui il trattamento economico è fissato dai contratti collettivi, essendo la legge stessa ad attribuire un compenso ulteriore e speciale, rinviando a regolamenti e contrattazione decentrata per i criteri e le modalità di ripartizione.
Derogando ai principi di onnicomprensività e determinazione contrattuale della retribuzione del dipendente pubblico, l'articolo 92, comma 5, è norma eccezionale di stretta interpretazione, non estensibile mediante analogia (Corte dei conti, sezione Campania, delibera 7/2008).
Facendo riferimento anche al parere 6/1999 dell'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, la Corte non ritiene legittima l'erogazione del compenso nel caso in cui l'iter della procedura d'appalto non sia giunto, quantomeno, alla fase della pubblicazione del bando o della spedizione delle lettere d'invito. Si richiama anche l'articolo 2, comma 3 del Dm Infrastrutture 84 del 17.03.2008 dove si prevede che «gli incentivi … sono riconosciuti soltanto quando i relativi progetti sono posti a base di gara».
Resta sempre possibile per l'ente, con regolamento interno, condizionare l'incentivo a presupporti più stringenti, come ad esempio l'effettiva l'aggiudicazione dell'opera (Corte dei conti, sezione Lombardia, delibera 425/2012).
I magistrati campani sottolineano che la pubblicazione del bando di gara (o la spedizione delle lettere d'invito) costituisce un posterius rispetto al reperimento delle risorse finanziarie idonee a garantire la copertura contabile della spesa necessaria per la realizzazione dell'opera progettata. Solo con l'individuazione, acquisizione e destinazione nel bilancio di previsione dell'Ente delle risorse finanziarie (almeno in termini di prenotazione d'impegno di spesa ex articolo 183, comma 3 del Tuel), infatti, si può procedere alla redazione del quadro economico dell'opera (comprensivo dell'incentivo alla progettazione) ed alla successiva attivazione della procedura di gara.
In conclusione, il collegio ritiene come non sia prospettabile il riconoscimento, né a maggior ragione la liquidazione, dell'incentivo nei confronti del personale tecnico dipendente dall'ente, nel caso in cui la progettazione realizzata abbia riguardato un'opera per la quale non sia stato accordato il finanziamento da parte del soggetto terzo e conseguentemente non sia stata legittimamente possibile l'indizione della gara d'appalto (articolo Il Sole 24 Ore del 04.03.2013 - link a www.corteconti.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI - LAVORI PUBBLICI: G. Ciaglia, L'evoluzione dell'accordo di programma: da strumento di programmazione delle opere pubbliche a generale modello di semplificazione delle procedure di approvazione di interventi complessi (L'ufficio tecnico n. 1-2/2013).

EDILIZIA PRIVATA: P. Sciscioli, Opere precarie, stagionali ed amovibili: lo sfuggente solco discriminante (L'ufficio tecnico n. 1-2/2013).

APPALTI: C. De Portu, Apertura dell’offerta tecnica: novità giurisprudenziali e normative (Urbanistica e appalti n. 2/2013 - tratto da www.ispoa.it).

PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: A. Trovato, Affidamento di funzioni dirigenziali al segretario (Guida al Pubblico Impiego n. 1-2/2013).
---------------
Responsabilità attribuita al segretario comunale.
È possibile per un comune, in presenza di figure dirigenziali, procedere all’affidamento di un incarico dirigenziale al segretario generale?

Su concorde avviso espresso dalla ex Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali, si rileva preliminarmente che l’art. 97 del decreto legislativo n. 267/2000 stabilisce i compiti e le funzioni dei segretari comunali e provinciali.
In particolare, il comma 2 di detto articolo statuisce che il segretario svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti. Il successivo comma 4, nel prevedere che il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti coordinandone l’attività, elenca le funzioni a esso spettanti.
Invero, la lett. d) del medesimo comma 4 dispone che il segretario esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia.
Tale norma, come evidenziato anche nella circolare del ministero dell’Interno n. 1/1997 del 15.07.1997, ha valenza di clausola di salvaguardia ai fini del buon andamento della macchina organizzativa, amministrativa e gestionale dell’ente. Infatti, occorre rilevare che le assegnazioni di ulteriori funzioni al segretario possono avvenire solo nel momento in cui l’ente locale risulti privo sia di personale di qualifica dirigenziale sia di responsabili dei servizi, ovvero qualora l’ente intenda fare una specifica scelta gestionale in tal senso. Bisogna, difatti, rammentare che i dirigenti -ovvero i dipendenti nominati responsabili degli uffici e dei servizi- sono titolari delle funzioni loro attribuite, risultando, quindi, residuale l’applicazione della citata disposizione di cui alla lett. d) del comma 4 dell’art. 97.
Ciò posto, poiché ai sensi dell’art. 89 del decreto legislativo n. 267/2000 l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi è coperto da riserva di tipo regolamentare, si deve ritenere che l’eventuale attribuzione di specifiche funzioni gestionali o di titolarità degli uffici o dei servizi al segretario sia necessariamente da prevedere attraverso una specifica disposizione regolamentare, previa un’attenta verifica dell’assenza all’interno dell’ente di adeguate figure professionali; mentre il conferimento delle funzioni, riservato al sindaco o al presidente della provincia, non può che essere temporaneo e limitato all’espletamento di una prestazione nell’ambito di una funzione (ad esempio, la presidenza di una gara per temporanea assenza del dirigente).
Si rammenta, infine, che le stesse disposizioni contrattuali, contenute nell’art. 1 del Ccnl dei segretari comunali e provinciali del 22.12.2003, stabiliscono che, relativamente agli incarichi per attività di carattere gestionale, occorre che gli stessi siano conferiti in via temporanea e dopo aver accertato l’inesistenza delle necessarie professionalità all’interno dell’ente. Si deve tenere conto, infatti, che, per l’esercizio delle funzioni aggiuntive affidate al segretario, è prevista una maggiorazione della retribuzione di posizione in godimento (Linea diretta con il Viminale, prot. n. Ta 2012 E 14013).

SICUREZZA LAVORO: L. Fantini, Le procedure standardizzate per la valutazione dei rischi sul lavoro (Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2013 - tratto da www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I. Meo e A. Pesce, Sportello unico edilizia operativo su tutto il territorio - Finalmente operativo lo Sportello unico edilizia (SUE), un unico ufficio per tutte le pratiche: procedure, quindi, più semplici per il rilascio del permesso di costruire e la presentazione della DIA (Consulente Immobiliare n. 925/2013).

INCARICHI PROFESSIONALI: R. Patumi, L’attribuzione degli incarichi professionali esterni da parte degli enti locali (Istituzioni del Federalismo n. 4/2012 - tratto da www.regione.emilia-romagna.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: L. Oliveri, Incarichi ad avvocati: sono servizi ex allegato IIB al Codice dei contratti (15.06.2009 - link a www.gedit.it).

PUBBLICO IMPIEGO: L. Oliveri, Incarichi, le contraddizioni di una disciplina superata - Dfp e Corte dei conti su posizioni divergenti (Guida al Pubblico Impiego n. 6/2008 - tratto da www.professionisti24.ilsole24ore.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: L. Oliveri, L’irregolarità del provvedimento amministrativo nell’articolo 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, novellata (aprile 2005 - link a www.lexitalia.it).

QUESITI & PARERI

TRIBUTI: Tares.
Domanda
Gradirei avere qualche notizia sulla Tares.
Risposta
La Tares è la nuova tassa sui rifiuti che è in vigore dal primo gennaio 2013. È un tributo, previsto, da più di un anno, dal decreto Salva-Italia, e viene a sostituire la Tassa smaltimento rifiuti solidi urbani (Tarsu) o, per i comuni in cui essa è applicata, la Tassa di igiene ambientale (Tia). Sua peculiare caratteristica, oltre quelle proprie della Tarsu o della Tia, è quella di finanziare anche i cosiddetti Servizi indivisibili, forniti dagli enti locali, cioè i servizi comunali di cui beneficia l'intera collettività. Per detti servizi, infatti, non è possibile effettuare una suddivisione in base all'effettiva percentuale di utilizzo da parte di ogni singolo cittadino.
Detti servizi vanno individuati, a titolo di esempio, nella manutenzione delle strade, nell'illuminazione pubblica ecc. Pertanto, la Tares, oltre che coprire i costi per la Tarsu o la Tia, deve garantire la totale copertura dell'onere sostenuto per gli annessi servizi indivisibili; deve pure assicurare un introito aggiuntivo di trenta centesimi o di quaranta centesimi (se la percentuale viene innalzata dal comune) al metro quadrato per finanziare i suddetti, annessi servizi indivisibili.
I soggetti tenuti al pagamento della Tares sono tutti coloro che, a qualsiasi titolo, utilizzano un bene immobile, e, quindi, non soltanto i proprietari di case. I termini di versamento erano, all'origine, gennaio, aprile, giugno, dicembre 2013. Il termine di gennaio è stato spostato, con un recente provvedimento del governo, a luglio prossimo.
La Tares ha costi maggiori per il cittadino, rispetto alla precedente tassazione in materia. Vi è un aumento, come su detto, di trenta o quaranta centesimi per metro quadrato, che si traduce in maggiori oneri sia per le famiglie, sia per le imprese. Si spera che i comuni adottino, in materia, regolamenti «virtuosi», che tengano conte delle specifiche esigenze della famiglia e degli operatori economici (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

TRIBUTI: Cosiddetti camion-vela.
Domanda
I cosiddetti camion-vela sono soggetti all'imposta sulla pubblicità agevolata o a titolo normale?
Risposta
Dal quadro normativo di riferimento contenuto nel decreto legislativo numero 507, del 15.11.1993, si desume che, in materia di imposta sulla pubblicità, ricade nella previsione degli articoli 5, 6 e 12, comma 1, del decreto legislativo numero 507, del 15.11.1993, citato, che disciplina la pubblicità ordinaria, l'esercizio dell'attività pubblicitaria visiva effettuata con mezzi e strumentazione installati su veicoli costruiti o strutturalmente trasformati per l'esclusivo e/o prevalente esercizio di tale attività pubblicitaria.
Pertanto, la disposizione del successivo articolo 13 del predetto decreto legislativo numero 507, viene disciplinare il diverso caso in cui l'attività pubblicitaria venga espletata, installando i mezzi pubblicitari, per periodi di tempo anche limitati, su veicoli di uso pubblico o privato, i quali continuano a mantenere le caratteristiche strutturali e la destinazione d'uso propria.
Nel caso dei cosiddetti camion-vela, la particolare peculiarità del mezzo, all'uopo realizzato o trasformato e concretamente utilizzato per l'esclusivo esercizio dell'attività pubblicitaria, porta ad affermare che, nella fattispecie, si verte in tema di pubblicità ordinaria. Quindi, come affermato dalla Corte di cassazione, sezione tributaria, con la sentenza del 13.04.2012, numero 5858, «spetta al contribuente, che intenda sostenere l'utilizzazione esclusiva e/o prevalente del veicolo per uso pubblico o privato, fornire la prova di tali circostanze».
Una diversa interpretazione porterebbe a sostenere un accorgimento (trasformazione del mezzo in camion-vela) sostanzialmente elusivo (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

TRIBUTI: Veicoli in genere.
Domanda
Per una pubblicità dall'interno della mia autovettura sono tenuto al pagamento dell'imposta comunale sulla pubblicità?
Risposta
In tema di imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni (Ip) è principio consolidato e condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Corte di cassazione sentenze numero 15654 del 12.08.2004; numero 17852 del 03.09.2004) secondo il quale qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico che risulti, indipendentemente dalla ragione e finalità della sua adozione, obiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti e utenti il nome e il prodotto di un'azienda, è soggetto a imposta sulla pubblicità ai sensi degli articoli 5 e 6 del decreto legislativo numero 507, del 15.11.1993, restando irrilevante che detto mezzo di comunicazione assolva pure a una funzione reclamistica o propagandistica.
Ora, in tema di pubblicità visiva effettuata per conto proprio o altrui all'interno e all'esterno di veicoli in genere, di vetture autofilotranviarie, battelli, barche e simili, di uso pubblico o privato trova applicazione il disposto dell'articolo 13 del predetto decreto legislativo numero 507, del 15.11.1993, che costituisce una previsione eccezionale rispetto alla generale previsione dell'articolo 12 del medesimo decreto legislativo.
Ne consegue che, alla luce della normativa vigente, la pubblicità sui predetti mezzi di trasporto è soggetta al pagamento della relativa imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni, con costi inferiori anche connessi alle differenze di imposta in base alle classi di appartenenza fra diversi comuni.
Al riguardo si rimanda pure alla sentenza della Corte di cassazione, sezione tributaria, del 13.04.2012, numero 5858 (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Parchi eolici.
Domanda
I parchi eolici devono essere accatastati?
Risposta
La Corte di cassazione con la sentenza del 07.02.2012, depositata il 14.03.2012, ha enunciato il seguente principio di diritto: «I parchi eolici in quanto costituiscono una centrale elettrica sono accatastabili nella categoria D/1 – Opificio e le pale eoliche devono essere computate ai fini di determinazione della rendita come lo sono le turbine di una centrale idroelettrica, poiché le prime, come le seconde, costituiscono una componente strutturale ed essenziale della centrale stessa, sicché questa senza quelle non potrebbe più essere qualificata tale, restando diminuita nella sua funzione complessiva e unitaria, e incompleta nella sua struttura».
La Corte di cassazione, con la predetta sentenza, ha escluso che i parchi eolici possano essere accatastati nella categoria E, di solito attribuita ai beni aventi rilevanza pubblica, atteso che nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6, E/9, non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati a uso commerciale, industriale, a ufficio privato ovvero a usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale.
Inoltre dalla normativa comunitaria, di cui alla direttiva 2009/28/Ce, attuata con il decreto legislativo numero 28, del 2011, che prevede un regime di sostegno per lo sviluppo della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, non prevede una specificità per l'accatastamento degli impianti suddetti. Pertanto i parchi eolici, anche se suscettibili di essere qualificati come impianti ecologici, non possono essere accatastati nella nelle categorie del gruppo E, attribuita a immobili effettivamente caratterizzati da una destinazione di rilevante interesse pubblico e comunque privi di una diretta rilevanza economica (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Categoria catastale del gruppo E.
Domanda
I parcheggi appartenenti a soggetti privati, gravati, per obblighi derivanti da convenzioni urbanistiche, da servitù che ne precludono la possibilità di percepire canoni per il posteggio delle auto possono essere accatastai nelle categoria catastali del gruppo E?
Risposta
La Commissione tributaria provinciale di Perugia, con la sentenza del 02.03.2011, numero 78/01/2011, ha affermato che i parcheggi che, pur appartenendo a soggetti privati, sono gravati, per obblighi derivanti da convenzioni urbanistiche, da servitù che ne precludono la possibilità di percepire canoni per il posteggio delle auto devono avere la categoria catastale E, attribuita, anche a prescindere dalla natura del proprietario, a immobili realmente caratterizzati da una destinazione dal rilevante interesse pubblico e comunque privi di una diretta rilevanza economica.
Peraltro, la Corte di cassazione con la sentenza del 07.02.2012, depositata il 14.03.2012, ha ribadito il principio che: «Nell'ambito delle unità immobiliari censite nelle categorie catastali del gruppo E non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati a uso commerciale o industriale». Infatti, l'articolo 2, comma 40, del decreto legge numero 262, del 03.10.2006, convertito dalla legge 24.11.2006, numero 286, dispone che: «nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2; E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati a uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale» (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGO: Personale e dirigenti degli enti locali. Rimborso spese di consulenza tecnica di parte.
L'ARAN ha chiarito che l'interpretazione della locuzione 'ogni onere di difesa' contemplata nelle clausole contrattuali che disciplinano il patrocinio legale, può anche consentire di ricomprendere, nel concetto di 'ogni onere', le spese relative ad eventuali consulenze tecniche di parte che l'avvocato difensore abbia ritenute necessarie per la migliore difesa in giudizio del dipendente.
Il Comune ha chiesto se sia possibile procedere al rimborso spese di consulenza tecnica di parte, a propri dipendenti e dirigenti, nell'ambito di procedimenti penali, con riferimento alle vigenti norme contrattuali dei rispettivi contratti, che disciplinano il patrocinio legale.
Sentito il Servizio organizzazione e relazioni sindacali, si formulano le seguenti considerazioni.
Preliminarmente si osserva che l'art. 60 del CCRL del 01.08.2002 (area non dirigenti) e l'art. 51 del CCRL del 29.02.2008 (area dirigenti) presentano una formulazione pressoché identica.
Infatti, in entrambe le richiamate disposizioni contrattuali si dispone che l'ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l'apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale
[1] nei confronti di un dipendente/dirigente per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio (o delle funzioni attribuite) e all'adempimento dei compiti d'ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto d'interessi, ogni onere di difesa fin dall'apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente/dirigente da un legale di comune gradimento.
Si precisa, a tal proposito, che l'ARAN
[2], nell'esaminare la locuzione 'ogni onere di difesa' inserita nella norma contrattuale che disciplina il patrocinio legale, ha evidenziato di propendere per una lettura interpretativa che può anche consentire di ricomprendere, nel concetto di 'ogni onere', le spese relative ad eventuali consulenze tecniche di parte che l'avvocato difensore, scelto di comune gradimento, abbia ritenute necessarie per la migliore difesa in giudizio del dipendente.
Si conferma, pertanto, l'orientamento espresso dallo scrivente Servizio
[3], in relazione alla disposizione di cui all'art. 67 del d.pr. 268/1987 -un tempo applicabile anche al personale degli enti locali del Friuli Venezia Giulia- di contenuto sostanzialmente analogo a quello dell'attuale contrattazione collettiva regionale.
---------------
[1] Per i dirigenti è contemplata anche la fattispecie relativa alla responsabilità amministrativa.
[2] Cfr. parere RAL031 - Orientamenti Applicativi, consultabile sul sito: www.aranagenzia.it. L'Agenzia nazionale si è espressa in ordine ad una clausola contrattuale, l'art. 28 del CCNL del 14.09.2000, che presenta una formulazione analoga a quella contenuta all'art. 60 del CCRL del 01.08.2002.
[3] Nel parere prot. n. 5078 del 31.03.2003, richiamato dal Comune istante
(01.03.2013 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: Esclusione dall'appalto? Bisogna rifarsi al DURC.
Domanda
Cosa sono le gravi violazioni che possono portare all'esclusione da una gara d'appalto?
Risposta
Sono, inequivocabilmente, da considerarsi causa di esclusione dalle gare di appalto le gravi violazioni alle norme in materia previdenziale e assistenziale.
La nozione di "violazione grave" non è rimessa alla valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma deve farsi discendere dalla disciplina previdenziale, e in particolare dalle norme che disciplinano il D.U.R.C.
Di conseguenza, la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti a procedure di gara per l'aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni (D.U.R.C.) si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto (28.02.2013 - tratto da www.ispoa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Parere in merito alla necessità di acquisire l'autorizzazione paesaggistica per la piantumazione di alberi di specie autoctona a fini didattici - Riserva Naturale Regionale Nazzano Tevere-Farfa (Regione Lazio, parere 27.02.2013 n. 536288 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Parere in merito all'esclusione del vincolo paesaggistico di cui all'art. 142, comma 2, lett. b), del d.lgs. 42/2004 e alla decadenza del vincolo di piano regolatore a parco pubblico - Comune di Roccagorga (Regione Lazio, parere 27.02.2013 n. 563257 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Parere in merito alla possibilità di procedere allo stralcio di un'area facente parte di un piano di lottizzazione approvato - Comune di Manziana (Regione Lazio, parere 27.02.2013 n. 500045 di prot.).

EDILIZIA PRIVATAParere in merito alla possibilità di rilasciare titolo abilitativo edilizio per completare edifici, con permesso di costruire scaduto, di cui è stata realizzata la sola struttura portante, senza tamponatura, in zona agricola - Comune di Sant'Angelo Romano (Regione Lazio, parere 27.02.2013 n. 322042 di prot.).

INCARICHI PROFESSIONALI: Le spese legali.
DOMANDA:
Lo scrivente ente ha conferito incarico di patrocino legale ad un avvocato, determinando preventivamente, con apposito disciplinare sottoscritto tra le parti, modalità di svolgimento dell’incarico ed entità del compenso da riconoscersi a conclusione del procedimento giudiziario.
Con sentenza favorevole il giudice ha accolto l’appello incidentale del Comune condannando la controparte al pagamento delle spese processuali a favore dell’ente, e quantificandole in un importo superiore a quello inizialmente pattuito tra ente e legale.
Poiché l’avvocato ha chiesto il ristoro a proprio favore dell’intero importo liquidato dal giudice, si chiede se tale richiesta possa essere legittimamente accolta, ovvero se al legale debbano essere liquidate le sole spettanze pattuite al momento del conferimento dell’incarico.
RISPOSTA:
La Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti, con
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008, ha effettuato una chiara distinzione tra l’ipotesi della richiesta di una consulenza, studio o ricerca, destinata sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto a quella della rappresentanza e del patrocinio giudiziale, applicandosi alla prima ipotesi, ma non alla seconda, la normativa in materia di incarichi di cui al D.Lgs. n. 165/2001 (a norma della quale il compenso è quello pattuito nella lettera di incarico).
Come rileva la stessa Sezione delle Autonomie con la citata delibera, concettualmente distinto rimane il patrocinio giudiziale, disciplinato dalle norme del codice di rito e da quelle che disciplinano la professione forense. E' utile ricordare che il D.M. 140/2012 ha abolito le tariffe forensi e regolato la disciplina del contratto tra cliente e avvocato. Il compenso va determinato per iscritto in una apposita scrittura privata, che segue il preventivo di massima.
Il contratto scritto produce effetti vincolanti (nei rapporti avvocato-cliente) per la determinazione del compenso da parte del giudice, e può rappresentare un punto di riferimento per la determinazione, sempre giudiziale, delle spese di soccombenza. A quest’ultimo proposito va ricordato che non potendosi più elaborare una nota spese da produrre al giudice, è opportuno produrre copia del contratto, previa prudenziale autorizzazione del cliente. Il giudice, nella liquidazione delle spese, potrà tenere conto del livello del compenso pattuito documentato con il contratto stesso.
Il modello di contratto ricavabile dal decreto ministeriale stabilisce -nel caso in cui, all’esito della causa, il giudice riconosca alla parte vittoriosa il recupero delle spese legali in misura inferiore a quella pattuita dal cliente con il proprio legale- la prevalenza dell’accordo rispetto alla liquidazione del giudice: in questo caso, la parte eccedente rimane a carico del cliente.
Al contrario, e per quanto interessa nel caso di specie, se il giudice dovesse liquidare a carico della controparte una soccombenza più alta rispetto a quanto pattuito nel contratto di patrocinio, il modello di contratto attribuisce all’avvocato il maggiore importo stabilito dal Giudice (27.02.2013 - tratto da www.ancirisponde.ancitel.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Personale degli enti locali. Congedo straordinario ex art. 42, comma 5, del d.lgs. 151/2001.
L'art. 42, comma 5, del d.lgs. 151/2001, ai fini della fruizione del congedo straordinario ivi previsto, trova applicazione esclusivamente nei confronti dei soggetti ivi indicati (familiari e parenti dell'interessato con handicap grave); di tale diritto non può invece beneficiare lo stesso assistito.
Il Comune ha chiesto di conoscere se sia possibile accogliere la richiesta, per se stesso, di un dipendente con handicap grave, volta ad ottenere la fruizione di un periodo di congedo straordinario ex art. 42, comma 5, del d.lgs. 151/2001. L'Ente manifesta in proposito forti perplessità, atteso che dall'esame della normativa vigente che disciplina la materia, non risulta che il beneficiario del predetto congedo possa essere lo stesso soggetto con handicap in situazione di gravità.
Nel confermare i dubbi espressi dall'Amministrazione istante, si formulano le seguenti considerazioni.
L'art. 42, comma 5, del d.lgs. 151/2001 nell'attuale formulazione ha recepito le indicazioni della Corte costituzionale che si è pronunciata con più sentenze sulla materia. Nello specifico, il diritto a fruire del congedo di cui all'art. 4, comma 2, della l. 53/2000
[1], viene riconosciuto prioritariamente in capo al coniuge convivente del soggetto con handicap in situazione di gravità e, solo in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del titolare prioritario del diritto, può essere riconosciuto agli altri soggetti legittimati alla fruizione, secondo un ordine di priorità ben preciso (dopo il coniuge, il padre o la madre, anche adottivi, il figlio convivente, i fratelli e le sorelle).
La richiamata disposizione, pertanto, da un lato recepisce il dettato della Corte costituzionale
[2], che aveva sancito l'illegittimità del comma 5 dell'art. 42 in esame, laddove non prevedeva per il coniuge convivente con soggetto con handicap grave, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti, il diritto a fruire del congedo biennale e, dall'altro, mette ordine tra le diverse sentenze della Consulta che, a più riprese, avevano allargato il novero dei soggetti legittimati ad usufruire del congedo.
Nel dettato della Corte, infatti, il diritto ad usufruire del congedo da parte di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap, era subordinato all'ipotesi in cui i genitori fossero impossibilitati a provvedere all'assistenza del figlio perché totalmente inabili, mentre il figlio convivente era legittimato ad usufruirne solo in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave
[3].
La genericità del pronunciamento della Consulta poteva lasciare dubbi interpretativi su come valutare la totale inabilità dei genitori o la non idoneità di altri soggetti e si traduceva, di fatto, nella previsione di una pluralità di soggetti legittimati ad usufruire del congedo.
Con la norma novellata invece si stabilisce un preciso ordine di priorità fra i soggetti legittimati e si esplicitano le circostanze (mancanza, decesso, presenza di patologie invalidanti) in presenza delle quali il diritto, non potendo essere esercitato dall'avente titolo, viene riconosciuto in capo al soggetto che si trova nella posizione immediatamente successiva in una sorta di 'ordine gerarchico'.
Quanto alle nozioni di 'mancanza' e 'patologie invalidanti', il Dipartimento della funzione pubblica ha già chiarito con la circolare n. 13/2010 quali situazioni possano esser ricondotte al concetto di assenza e quali siano i riferimenti normativi per l'individuazione delle patologie invalidanti
[4] .
Sia il Dipartimento della funzione pubblica
[5], che l'INPS [6], hanno chiarito diffusamente quali siano i soggetti legittimati alla fruizione del congedo straordinario in argomento.
In particolare, al punto 8. Ambito di applicazione, della circolare INPS, si fa riferimento espresso a 'domande pervenute da genitori, figli e fratelli di soggetti disabili in situazione di gravità (...) per l'assistenza allo stesso soggetto con disabilità grave'.
Pertanto, alla luce della normativa vigente e dei chiarimenti interpretativi sopra esposti, non si ritiene possibile che il lavoratore disabile possa usufruire, per se stesso, del congedo straordinario disciplinato dall'art. 42, comma 5, del d.lgs. 151/2001
[7].
Si rammenta da ultimo che, a mente di quanto disposto dall'art. 33, comma 6, della l. 104/1992, la persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo, cioè o di due ore di permesso giornaliero retribuito o di tre giorni di permesso mensile retribuito.
---------------
[1] In virtù di detta norma, i dipendenti pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del comma 4 del medesimo articolo, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni.
[2] Cfr. sentenza 08-16.06.2005, n. 233.
[3] Cfr. Corte costituzionale, sentenza 18.04-08.05.2007, n. 158.
[4] Si tratta delle patologie indicate nell'art. 2, comma 1, lett. d), del decreto interministeriale n. 278 del 2000.
[5] Cfr. circolare 03.03.2012, n. 1.
[6] Cfr. circolare n. 32/2012.
[7] Cfr. Agevolazioni lavorative - Congedo straordinario retribuito (D.Lgs. 151/2001). Presupposti oggettivi per il riconoscimento, consultabile in: www.superabile.it. (INAIL - Contact Center integrato per la disabilità)
(22.02.2013 - link a www.regione.fvg.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Mobilità ''volontaria'', quando può essere revocata.
Domanda
Un Ente che ha rilasciato il nulla osta al trasferimento per mobilità al dipendente, e lo ha comunicato all'altro Ente, può revocarlo?
Risposta
La "mobilità volontaria" è una particolare fattispecie di "cessione del contratto", mediante la quale è consentito ai dipendenti pubblici il "passaggio diretto tra amministrazioni diverse", ossia il trasferimento da un'amministrazione ad altra amministrazione, previo espletamento di una procedura ad evidenza pubblica per individuare il lavoratore da acquisire in mobilità. Infatti, l'istituto della "mobilità volontaria" altro non è che una fattispecie di cessione del contratto; a sua volta, la cessione del contratto è un negozio tipico disciplinato dal codice civile (artt. 1406-1410) (Corte Costituzionale 03-12.11.2010, n. 324). Si è, pertanto, in materia di rapporti di diritto privato.
Le normative di riferimento dell'istituto sono:
- l'art. 30 del D.Lgs. 30-03-2001, n. 165: "Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire (omissis). Le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio. Il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell'area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza; il trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia presente in area diversa da quella di inquadramento assicurando la necessaria neutralità finanziaria".
- l'art. 1406 del codice civile: "Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta";
- l'art. 1408 del codice civile: "Il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto dal momento in cui la sostituzione diviene efficace nei confronti di questo. Tuttavia il contraente ceduto, se ha dichiarato di non liberare il cedente, può agire contro di lui qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte. Nel caso previsto dal comma precedente, il contraente ceduto deve dare notizia al cedente dell'inadempimento del cessionario, entro quindici giorni da quello in cui l'inadempimento si è verificato; in mancanza è tenuto al risarcimento del danno".
Ad avviso dello scrivente, premesso che qualora il preventivo assenso incondizionato abbia già dato luogo al perfezionamento della cessione del contratto di lavoro, con immissione in ruolo del dipendente interessato, non è più possibile esercitare alcuna revoca, la problematica esposta importa la seguente situazione: la posizione giuridica del lavoratore interessato e della Amministrazione cessionaria, con il preventivo consenso incondizionato, espresso dall'Amministrazione cedente, si eleva da mero "interesse di fatto" ad "interesse legittimo" nei confronti di quest'ultima.
Quindi, mentre il caso di una procedura di mobilità conclusasi con l'individuazione di un soggetto idoneo, senza acquisizione del preventivo nulla-osta dell'amministrazione di provenienza, non implica alcun obbligo da parte di quest'ultima Amministrazione di motivare il provvedimento di diniego, nel caso esposto nel quesito l'Amministrazione, che aveva già espresso il suo preventivo incondizionato assenso alla mobilità, dovrà necessariamente adottare un atto di revoca in autotutela, motivando dettagliatamente le ragioni di interesse pubblico (intervenute evidentemente in un momento successivo all'espressione del consenso) che prevalgano sull'interesse legittimo del lavoratore ad essere trasferito (21.02.2013 - tratto da www.ipsoa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Personale degli enti locali. Incompatibilità attività svolta da dipendente.
Per i dipendenti con rapporto di lavoro a part-time al 50%, la possibilità di svolgere un'altra attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma, anche mediante l'iscrizione ad albi professionali, è subordinata all'insussistenza di conflitti d'interesse con l'attività lavorativa svolta presso l'ente di appartenenza.
L'Ente ha chiesto un parere in ordine alla compatibilità tra l'attività svolta da un dipendente, geometra di categoria C, istruttore tecnico a tempo indeterminato, part-time al 50%, assegnato all'Ufficio tecnico in qualità di istruttore di pratiche edilizie, e l'attività svolta dal medesimo in qualità di agente di affari in mediazione (libero professionista, iscritto all'albo dei mediatori in affari immobiliari e titolare della propria agenzia).
L'Ente precisa che l'agenzia immobiliare di cui è unico titolare il dipendente si trova in un comune limitrofo, ma che l'attività di intermediazione interessa comunque anche la compravendita e/o locazione di immobili siti nel territorio comunale. Alla luce di un tanto, l'Amministrazione si è posta la questione se, in base alla normativa vigente, si possa considerare esistente l'ipotesi di conflitto di interesse, in relazione alla specifica attività svolta all'interno del Comune.
Preliminarmente, si osserva che esula dalle competenze dello scrivente Servizio fornire valutazioni in concreto su specifiche questioni sottoposte dagli enti, avendo questa struttura come finalità la prestazione di attività di consulenza consistente nell'indicazione del quadro normativo, giurisprudenziale e dottrinale, in base al quale l'amministrazione locale possa assumere le determinazioni rientranti nella propria autonomia decisionale.
Infatti, entrare nel merito delle singole problematiche comporterebbe un coinvolgimento diretto di questo Servizio nell'amministrazione attiva, di competenza esclusiva dell'Ente interessato.
Pertanto, si rimettono alla valutazione di codesto Comune le considerazioni che seguono, come utile contributo da cui, in base agli elementi di fatto posseduti ed in relazione alla concreta situazione, l'Ente potrà trarre le debite conclusioni.
Premesso un tanto, si osserva che il rapporto di lavoro a part-time non superiore al 50% rileva quale istituto idoneo ad attenuare il dovere di esclusività posto a carico del pubblico dipendente, ogni qualvolta questi intenda svolgere attività per le quali vige una situazione di incompatibilità assoluta.
Nello specifico, il riferimento alla tipologia di rapporto a part-time è contenuto all'art. 1, comma 58, della l. 662/1996, all'art. 53, commi 1 e 6, del d.lgs. 165/2001, nonché, in relazione alla contrattazione collettiva regionale di comparto, all'art. 4, comma 7 e successivi, del CCRL del 25.07.2001.
Scopo della normativa sul part-time è la facilitazione e l'incentivazione del passaggio dal contratto a tempo pieno al contratto a tempo parziale, rendendolo più vantaggioso rispetto al previgente assetto normativo, perché cumulabile con una seconda attività lavorativa, di tipo subordinato, autonomo o libero-professionale.
Esaminata quindi la ratio del part-time, è evidente che il ricorso a detto istituto ha attenuato il principio di esclusività posto a carico del pubblico dipendente, principio sancito in termini assoluti dall'art. 60 del d.p.r. 3/1957, quanto meno in relazione all'elemento del raffronto quantitativo fra la prestazione di lavoro dipendente e l'attività concomitante.
Con la previsione di consentire, al dipendente con una determinata tipologia di rapporto di lavoro a tempo parziale, di svolgere un'attività lavorativa o libero-professionale è, pertanto, caduto definitivamente l'ostacolo fondato sulla considerazione che il cumulo di attività lavorative non permetterebbe al pubblico dipendente di dedicare la parte preponderante delle proprie energie lavorative al disimpegno dei propri compiti di ufficio, con conseguente detrimento del buon andamento dell'attività amministrativa.
In questo modo, il divieto generalizzato previsto dall'art. 60 del d.p.r. 3/1957, che preclude al dipendente pubblico di esercitare 'il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro', espressione di un principio generale dell'ordinamento, è ragionevolmente derogato quando la prestazione lavorativa non eccede la metà del debito orario normalmente previsto.
Si rappresenta comunque che la riduzione quantitativa della prestazione lavorativa, nei limiti suddetti, è condizione necessaria, ma non sufficiente a rendere lecito l'esercizio di un'attività concomitante altrimenti vietata in modo tassativo.
L'attività concomitante, infatti, deve rivestire comunque un contenuto tale da non configurare conflitto di interessi con l'attività svolta presso l'ente di appartenenza. In buona sostanza, deve trattarsi di attività non incompatibile, che non arrechi nocumento al buon andamento ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, ovvero al prestigio e all'immagine dell'amministrazione.
Esaminando la disciplina contrattuale di riferimento, si può notare, parimenti a quanto disposto dall'art. 1, comma 58, della l. 662/1196, che l'art. 4, comma 4, del CCRL del 25.07.2001 prevede che, nella domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, deve essere indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere.
Il successivo comma 7 prevede inoltre che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, qualora la prestazione lavorativa non sia superiore al 50% di quella a tempo pieno, nel rispetto delle vigenti norme sulle incompatibilità, possono svolgere un'altra attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma, anche mediante l'iscrizione ad albi professionali.
Il comma 8 dell'articolo in argomento precisa altresì che gli enti, ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi, sono tenuti ad individuare le attività che, in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, non sono comunque consentite ai dipendenti.
Il comma 9 dispone che, nel caso di verificata sussistenza di un conflitto di interessi tra l'attività esterna del dipendente -sia subordinata che autonoma- e la specifica attività di servizio, l'ente nega la trasformazione del rapporto a tempo parziale.
Da ultimo il comma 10 specifica che il dipendente è tenuto a comunicare, entro quindici giorni, all'ente nel quale presta servizio l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa esterna.
Da tutto ciò consegue che sul dipendente pubblico incombe l'obbligo giuridico di fornire indicazioni non generiche sulle condizioni di svolgimento delle attività ulteriori che intende effettuare, ponendo l'amministrazione di appartenenza nella concreta e piena condizione di poter effettuare il proprio apprezzamento in ordine alla sussistenza o meno di una situazione di conflitto di interessi, e quindi di autorizzare o meno la possibilità di svolgere tale seconda attività.
Come peraltro rappresentato dall'ANCI
[1], non è agevole, in astratto, esprimere un parere sul conflitto di interesse delle fattispecie rappresentate dai rispettivi enti locali. Infatti, il conflitto di interesse deve essere verificato, nel concreto, dal singolo ente, in base agli elementi di giudizio e valutazione in suo possesso.
E' chiaro che la verifica della sussistenza o meno del conflitto di interesse deve riguardare le effettive funzioni svolte dal dipendente interessato all'interno dell'amministrazione di appartenenza e quelle derivanti dalla natura specifica dell'attività esterna.
Si evidenzia, in merito, che la Corte costituzionale
[2] si è riferita, ai fini della configurazione di un conflitto di interessi, 'alla specifica attività di servizio svolta dal dipendente' e la Suprema Corte [3] ha rilevato come il dipendente pubblico debba mantenere comunque 'una posizione di indipendenza, al fine di evitare di prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni, anche solo apparenti, di conflitto di interessi; ciò non solo per evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi della pubblica amministrazione, ma anche per salvaguardarne l'immagine'.
In sostanza, per la configurazione di un conflitto di interessi, è necessario far riferimento alle possibili decisioni o attività che il dipendente sia chiamato ad adottare o compiere in concreto nello svolgimento delle proprie funzioni istituzionali presso l'amministrazione di appartenenza.
--------------
[1] Cfr. pareri dell'01.12.2006, del 03.04.2007, dell'11.02.2008 e dell'01.12.2010.
[2] Cfr. sentenza n. 390 del 2006.
[3] Cfr. Corte di cassazione, sez. lavoro, sentenza n. 5113 del 2010. Nella fattispecie si esaminava il caso di un licenziamento per giusta causa di un dirigente che non aveva segnalato l'insorgere di una situazione di conflitto di interessi relativa ad un dipendente
(20.02.2013 - link a www.regione.fvg.it).

EDILIZIA PRIVATA: Soppressione Commissioni provinciali di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo.
In applicazione dell'art. 12, comma 20, del D.L. 95/2012, è prevista la soppressione delle Commissioni provinciali di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo, come confermato dalla Circolare del Ministero dell'Interno prot. 557/PAS del 21.09.2012.
Come affermato dallo stesso Ministero, in attesa degli auspicati indirizzi interpretativi, non risulta possibile al momento individuare quali siano gli uffici competenti ad assicurare il prosieguo dell'attività esercitata da dette Commissioni.

L'Ente istante, considerata la previsione della soppressione della Commissione provinciale di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo, ai sensi dell'art. 12, comma 20, del D.L. 06.07.2012, n. 95
[1], chiede un parere in merito all'individuazione dell'ufficio titolare delle funzioni già esercitate da tale organismo.
Premesso che spetta esclusivamente ai competenti uffici statali formulare indicazioni in ordine all'applicazione delle norme in esame, si esprimono le seguenti considerazioni di carattere generale.
L'art. 12, comma 20, del D.L. 95/2012, stabilisce che le attività svolte dagli organismi collegiali -operanti presso le pubbliche amministrazioni in regime di proroga, ai sensi dell'art. 68, comma 2, del decreto legge 25.06.2008, n. 112
[2]- sono definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell'ambito delle quali essi operano.
In applicazione di tale disposizione, è prevista pertanto la soppressione delle Commissioni provinciali sui locali di pubblico spettacolo
[3], come confermato dalla Circolare prot. 557/PAS del 21.09.2012 del Ministero dell'Interno riportata dal Comune istante.
Tale circolare, però, non ha dissipato i dubbi riguardo all'individuazione degli uffici destinatari delle competenze della Commissione in argomento. Il Ministero giustifica tale incertezza motivando che: 'Lo scrivente, al momento, non può che fare riserva di ulteriori seguiti, nelle more della messa a punto di indirizzi interpretativi unitari e condivisi da parte di tutti gli uffici interessati'.
Nella circolare viene, inoltre, auspicato che vengano definite le modalità applicative della nuova disposizione di legge nonché le procedure che regoleranno il funzionamento degli uffici destinatari dell'attività trasferita, in modo tale da assicurarne l'efficacia giuridica e l'affidabilità sostanziale, pur in mancanza delle competenze tecniche specialistiche che i membri della commissione soppressa potevano assicurare
[4].
Dalla lettura delle norme in esame e, in particolare, della previsione secondo cui 'le attività svolte dagli organismi stessi sono definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell'ambito delle quali operano', si desume che le funzioni, in precedenza esercitate dalla Commissione provinciale, rimangano di pertinenza statale, spettando agli uffici maggiormente competenti istituiti dallo Stato, analogamente a quanto previsto per gli enti locali dall'art. 96 del TUEL in relazione ai soppressi organi collegiali costituiti presso gli stessi.
Come già affermato dal Ministero dell'Interno nella citata circolare, in attesa degli auspicati indirizzi intrepretativi, non risulta però possibile al momento individuare quali siano tali uffici competenti ad assicurare le attività precedentemente esercitate dalle Commissioni provinciali
[5].
---------------
[1] Convertito, con modificazioni, dalla legge 07.
08.2012, n. 135.
[2] Convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 112.
[3] Pur essendo dislocate territorialmente su base locale, le Commissioni provinciali di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo erano organismi periferici ministeriali, istituite presso le Prefetture.
[4] La Commissione provinciale di vigilanza, nominata ogni tre anni dal Prefetto, era composta: dal Prefetto o dal Vice Prefetto con funzioni vicarie, dal Questore o dal vice Questore con funzioni vicarie, dal Sindaco del comune in cui si trova o deve essere realizzato il locale o impianto o da un suo delegato, dal dirigente medico dell'organo sanitario pubblico di base competente per territorio o da un medico dallo stesso delegato, da un ingegnere dell'organismo che, per disposizione regionale, svolge le funzioni del genio civile, dal comandante provinciale dei Vigili del fuoco o suo delegato, da un esperto in elettrotecnica.
[5] E' stato osservato che la Commissione provinciale non era più, a seguito della riforma operata dal D.P.R. 28.05.2001, n. 311, l'organo competente alla verifica di incolumità, fatta eccezione per le competenze specifiche indicate dall'art. 143 del R.D. 06.05.1940, n. 635. La riforma suddetta aveva, infatti, imposto la costituzione delle Commissioni comunali di vigilanza, anche in forma sovra-comunale, lasciando il ricorso alla commissione provinciale per i soli casi di non operatività di quella comunale (v. 'La soppressione delle Commissioni provinciali di vigilanza', di Vincenzo Staiano, su 'Commercio & Attività produttive', n. 11/2012)
(20.02.2013 - link a www.regione.fvg.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Richiesta di parere in ordine all’accessibilità ad atti propedeutici e connessi a procedimento penale pendente.
Codesto Comando, con nota del 28.9.2011, ha chiesto alla Commissione l’indicazione di linee guida da seguire nella valutazione e trattazione di istanze di accesso formulate e motivate analogamente all’istanza di accesso del Gen. B. (aus.) ... (istanza in un primo tempo rigettata e, a seguito di una successiva precisazione della stessa, su invito di codesto Comando, accolta).
Ad avviso della Commissione ben aveva fatto l’Amministrazione a rigettare l’originaria istanza di accesso del ..., in ragione della sua genericità, giacché il riferimento agli atti propedeutici e connessi al procedimento penale pendente nei suoi confronti non consentiva di individuare con la dovuta precisione i documenti in relazione ai quali veniva esercitato il diritto di accesso, in ragione della vaghezza delle nozioni di “connessione” e di “propedeuticità”.
Non appare condivisibile, invece, il rilievo circa la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza in capo all’accedente di un interesse tale da legittimare l’accesso, ex art. 22 della legge n. 241/1990, qualora si tratti - come nel caso del Gen. ...- di un accesso cosiddetto endoprocedimentale, vale a dire avente ad oggetto atti inerenti ad un procedimento amministrativo destinato a concludersi con un atto/o provvedimento incidente nella sfera giuridica dell’accedente, come è desumibile dall’istanza di accesso del ..., datata 13.06.2011, in cui si fa riferimento ad atti istruttori e valutativi (posti in essere dall’ufficio personale ed eventualmente da altri uffici di codesto Comando) propedeutici all’invio della denuncia alla Procura militare da cui era scaturito il procedimento penale pendente nei suoi confronti.
In casi del genere il diritto di accesso spetta all’accedente, indipendentemente dalla sussistenza dei requisiti di legittimazione di cui all’art. 22 della legge n. 241/1990, in virtù del combinato disposto degli articoli 7 e 10 della legge n. 241/1990 (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta dell'08.11.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Richiesta di parere circa la natura giuridica delle video ispezioni ai fini dell’esercizio del diritto di accesso.
L’istante, società per azioni a totale capitale pubblico costituita ex art. 113 TUEL per la gestione di servizi locali (acqua, gas, energia elettrica, etc.), ha chiesto di conoscere se anche le ispezioni eseguite mediante videoriprese sugli impianti della rete fognaria, di sua proprietà e/o affidati in gestione, possano essere considerate “documento amministrativo” ai sensi della legge n 241/1990 e come tali se siano accessibili o meno.
La Commissione osserva che l'art. 22, co. 1, lett. d), legge n. 241/1990 definisce "documento amministrativo", ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una Pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.
La disposizione, pertanto, individua le forme in cui può manifestarsi un atto amministrativo, e cioè non solo su supporto cartaceo ma anche magnetico e video.
Nella specie, così come il documento cartaceo è il risultato di un atto di conoscenza o volontà del funzionario o impiegato che materialmente lo ha formato e lo ha inserito nella “pratica”, così le videoriprese -in particolare inerenti le ispezioni eseguite su impianti fognari gestititi da una società a partecipazione pubblica- sono il risultato di un’operazione paragonabile alla compilazione di un documento, a monte del quale, tuttavia, è sempre un atto di conoscenza o volontà di un funzionario o impiegato pubblici.
Appare, quindi, indubbio che la video ispezione costituisce in sé un documento amministrativo cui dare accesso, fermo restando il rigoroso rispetto dei limiti normativi in tema di riservatezza e segreto relativi agli interessi industriali e aziendali che, di volta in volta, l’amministrazione dovesse individuare (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta dell'08.11.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Richiesta di parere sul diritto di accesso agli esposti ex art. 1 TULPS.
Un commissariato di P.S. ha chiesto a questa Commissione un parere sull’accessibilità di un esposto di un privato che aveva innescato un procedimento per la bonaria composizione dei dissidi privati ex art. 1 TULPS.
La Commissione ribadisce il costante orientamento secondo cui nel sistema delineato dalla legge 07.08.1990, n. 241 e ss. mm., ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica -nell'ambito dell'ordinamento giuridico generale che non riconosce il diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi- ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo, di controllo o sanzionatorio nei suoi confronti, non potendo in proposito la Pubblica Amministrazione procedente opporre all’interessato esigenze di riservatezza (così TAR Lombardia Brescia, sez. I, 29.10.2008, n. 1469, nello stesso senso cfr., Cons. Stato, Sez. V 19.05.2009 n 3081; Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n. 1699).
Alla luce di tale orientamento, non pare che possa essere esclusa l'ostensione dell’esposto (di cui peraltro risulta già data lettura alla controparte), non potendo essere considerato un fatto circoscritto al solo autore o al Commissariato di PS competente al suo esame ai fini dell'apertura del procedimento di composizione bonaria, riguardando direttamente anche i soggetti "denunciati", fatti comunque salvi i limiti previsti all’accesso per casi di dati sensibili o supersensibili ex art. 24, comma 7, legge n. 241/1990 (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta dell'08.11.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: OGGETTO: Richiesta di parere concernente il diritto di accesso dei consiglieri comunali di minoranza.
Un consigliere comunale ha chiesto parere in ordine alla legittimità del Regolamento per il diritto di accesso agli atti, approvato con delibera consiliare n. 17 del 13.7.2011, ritenendo in particolare che l’art. 22 della disciplina avrebbe leso le prerogative in materia di accesso stabilite per i consiglieri comunali, secondo quanto previsto dall’art. 43 TUEL.
Lamenta, in particolare, per quanto rileva in questa sede, che:
1. “…La richiesta di accesso ai documenti deve essere redatta in modo preciso, circostanziato e puntuale, tale da consentire l’individuazione esatta del documento su cui si intende esercitare il diritto di accesso”;
2. “Non sono ammesse istanze di accesso ripetitive nel tempo..
3. “Nel caso di documenti particolarmente corposi o complessi è possibile il rilascio di estratti limitati a quanto richiesto dal consigliere…per i casi di cui al comma precedente è possibile, previo accordo con il consigliere richiedente, procedere al rilascio su supporto informatico, compatibilmente con le risorse e le tecnologie in possesso dell’ente”;
4. “…Le copie rilasciate su supporto cartaceo riporteranno in sovraimpressione la dicitura “copia rilasciata al Consigliere Comunale ai sensi dell’art. 43, comma 2, d.lgs. n 267/2000 per l’espletamento del mandato elettivo”.
Preliminarmente, la Commissione rileva che il regolamento Comunale non risulta a suo tempo trasmesso a questa Commissione, in contrasto con quanto stabilito dal dPR 12.04.2006 n. 184, art. 11, commi 1 e 3. Si segnala pertanto l’esigenza che a ciò venga provveduto.
In generale, l’art. 43 del TUEL che riconosce ai consiglieri comunali e provinciali il “diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato”.
Dal contenuto della citata norma si evince il riconoscimento in capo al consigliere comunale di un diritto pieno e non comprimibile “all’informazione” dal contenuto più ampio rispetto sia al diritto di accesso ai documenti amministrativi attribuito al cittadino nei confronti del Comune di residenza (art. 10 del TUEL) sia, più in generale, nei confronti della P.A. quale disciplinato dalla legge n. 241/1990.
Da ciò conseguono, quale corollario, una serie di principi informatori di tale diritto:
a) il consigliere non è tenuto a corredare la richiesta di accesso di altra motivazione che non sia quella inerente all'esercizio del mandato perché diversamente gli organi di amministrazione sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l’estensione del controllo sul loro operato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 7900/2004).
Ciò, tuttavia, non esclude il rispetto di alcune forme e modalità di esercizio: oltre alla necessità che l’interessato alleghi la sua qualità, resta l’esigenza che le istanze siano formulate in maniera specifica e dettagliata, recando l’esatta indicazione degli estremi identificativi degli atti e documenti o, qualora siano ignoti tali estremi, almeno degli elementi che consentano l’individuazione dell’oggetto dell’accesso (tra le molte, in tal senso, TAR Cagliari Sardegna n. 32 del 16.01.2008; C.d.S., Sez. V, n. 4471 del 02.09.2005 e n. 6293 del 13.11.2002);
b) al consigliere comunale e provinciale non può essere opposto alcun diniego -salvi i casi in cui l’accesso sia piegato ad esigenze meramente personali, al perseguimento di finalità emulative o che comunque aggravino eccessivamente, al di là dei limiti di proporzionalità e ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa- fermo restando che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso - determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della sua funzione, che è quella di verificare che il Sindaco e la Giunta municipale esercitino correttamente la loro funzione (arg ex Cons. Stato, 29.08.2011 n. 4829; Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.09.2005, n. 4471);
c) il diritto di accesso del consigliere comunale non può subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell’Ente, tali da ostacolare l’esercizio del suo mandato istituzionale, con l’unico limite di poter esaudire la richiesta (qualora essa sia di una certa gravosità sia organizzativa che economica per gli uffici comunali) secondo i tempi necessari per non determinare interruzione alle altre attività di tipo corrente (cfr., fra le molte, Cons. Stato, sez. V, 22.05.2007 n. 929).
Rientrerà nelle facoltà del responsabile del procedimento dilazionare opportunamente nel tempo il rilascio delle copie richieste, al fine di contemperare tale adempimento straordinario con l’esigenza di assicurare il normale funzionamento dell’attività ordinaria degli uffici comunali, ma giammai potrà essere negato l’accesso. Inoltre, non può essere giustificato un diniego di accesso con l'impossibilità di rilasciare l'eccessiva documentazione richiesta, in quanto è obbligo dell'amministrazione di dotarsi di un apparato burocratico in grado di soddisfare gli adempimenti di propria competenza (cfr. TAR Veneto Venezia Sez. I Sent., 15-02-2008, n. 385).
Proprio al fine di evitare che le continue richieste di accesso si trasformino in un aggravio della ordinaria attività amministrativa dell’ente locale, la Commissione per l’accesso ha riconosciuto la possibilità per il consigliere comunale di avere accesso diretto al sistema informatico interno (anche contabile) dell’ente attraverso l’uso di password di servizio e, più recentemente, anche al protocollo informatico.
Alla luce di quanto sopra, in relazione alle specifiche segnalazioni dell’istante, si fa presente che:
sub 1) l’obbligo di redigere la richiesta di accesso “in modo preciso, circostanziato e puntuale”, oltre ad essere palesemente in contrasto con la prima parte della disposizione (che ritiene comunque sufficiente l’indicazione degli elementi essenziali dell’atto), appare di dubbia legittimità essendo sufficiente l’indicazione di elementi che consenta modi individuare i documenti;
sub 2) l’inammissibilità delle istanze di accesso “ripetitive nel tempo”, pur nella indeterminatezza della formulazione regolamentare, di per sé non costituisce un limite alle prerogative del consigliere, dovendosi valutare di volta in volta se le istanze di accesso siano irragionevoli o sproporzionate e come tali se abbiano o meno aggravato gli uffici pregiudicandone la funzionalità;
sub 3) le previsioni del rilascio di “estratti di documenti” corposi e complessi ovvero su supporto informatico, solo previo accordo col consigliere e compatibilmente con le risorse e le tecnologie dell’ente, potrebbero dare adito a qualche dubbio di legittimità in quanto motivazioni di carattere meramente organizzatorio o economico non possono limitare o impedire di per sé l’esercizio del diritto di accesso. Semmai il rilascio di estratti di documenti corposi dovrebbe limitarsi solo ai casi di urgente necessità, consentendo al consigliere di ottenere subito uno stralcio degli atti che interessano per esercitare il mandato, dilazionando nel tempo il rilascio della integrale copia del documento, anche con mezzi informatici secondo le decisioni che l’amministrazione, alla quale spetta di assicurare “…che il diritto di accesso possa essere esercitato in via telematica” (art. 13 dpr n 184/2006) valuterà discrezionalmente alla luce delle modalità dalla stessa stabilite (ex art. 1 d.p.r. cit);
sub 4) la previsione dell’attestazione con timbro sulle copie rilasciate al consigliere è indubbio che costituisce un adempimento burocratico che non potrà tradursi in limitazioni delle prerogative concesse al consigliere.
Si fa, comunque, presente che l’autorità competente ad annullare eventuali determinazioni amministrative illegittime è solo il Tar e non anche questa Commissione, salve le iniziative di modifica rimesse alla autonoma valutazione consiliare (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta dell'08.11.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento incarico di consulenza legale.
Per l'affidamento di un incarico di consulenza legale, si segnala la necessità di indire una procedura comparativa al fine di individuare il soggetto cui affidare l'incarico de quo.
L'ente necessita di conoscere le modalità per l'affidamento di un incarico di consulenza legale.

Rinviando alla lettura di due pareri già formulati dallo scrivente
[1], si segnala la necessità di indire una procedura comparativa al fine di individuare il soggetto cui affidare l'incarico de quo.
Si evidenzia, invero, che i servizi legali rientrano in una delle categorie di servizi menzionati nell'allegato II B al codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12.04.2006, n. 163) e che, ai sensi dell'articolo 27, comma 1, del medesimo codice
[2], l'aggiudicazione degli appalti, aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B, è soggetta all'applicazione dei noti principi -di derivazione comunitaria- dell'evidenza pubblica, della trasparenza, della par condicio, della parità di trattamento.
È, pertanto, in tal modo, confermata la necessità che l'individuazione del legale -comunque operatore economico nella lata accezione europeista
[3]- avvenga tramite una procedura competitiva e, pertanto, comparativa. L'incarico all'avvocato, nel contesto dei contratti pubblici, non può reputarsi di natura fiduciaria, venendo, in ogni caso, in gioco una spesa pubblica capace di creare opportunità e sollecitazioni per il mercato, bene giuridico -quest'ultimo- massimamente tutelato dalla normativa comunitaria.
La procedura di gara richiede, ex articolo 27, comma 1, del decreto legislativo 163/2006, di rivolgere invito ad almeno cinque liberi professionisti. Questi saranno scelti o tramite indagine di mercato ovvero dall'elenco dei professionisti avvocati già redatto dall'ente
[4], elenco al quale gli avvocati che possiedono i requisiti chiedono di iscriversi.
In sede comparativa, sarà valutato l'aspetto economico e la competenza professionale dell'aspirante contraente con la pubblica amministrazione: quali indici di valutazione di quest'ultima potranno essere utilizzati, ad esempio, il numero di pubblicazioni o docenze o di seminari tenuti
[5].
Si segnala, inoltre, che, nell'ipotesi di scelta del contraente attingendo all'elenco degli operatori economici già redatto dall'ente, la pubblica amministrazione appaltante ha l'obbligo di individuare i soggetti da invitare alla procedura di gara con il criterio -imparziale e trasparente- della rotazione fra gli iscritti al predetto elenco dei liberi professionisti.
Si ricorda, in conclusione, che, anche al fine dell'individuazione dei concorrenti tramite rotazione, è, pur sempre, necessario il previo sorteggio, per determinare da quale soggetto, tra gli iscritti all'elenco, inizierà la rotazione medesima. Tale procedura deve essere, in ogni caso, previamente, disciplinata dalla pubblica amministrazione, ad esempio nel regolamento dei contratti dell'ente.
Dopo di che, formulato l'invito e ricevute le offerte, il Comune procederà alla valutazione comparativa delle stesse.
---------------
[1] Pareri protocollo n. 6255 del 21.04.2009 e n. 3911 del 29.02.2008, consultabili nella banca dati di cui all'indirizzo internet http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/.
[2] Il comma citato statuisce: 'L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'applicazione del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità. L'affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto'.
[3] In tal senso, parere protocollo n. 3911 del 29.02.2008 cit.
[4] Si segnala che, nella giornata di studio, tenutasi in Udine, nel mese di marzo 2010, intitolata 'La procedura negoziata e le spese in economia negli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi', organizzata dalla casa editrice Maggioli, il relatore, avvocato Alberto Ponti, ha suggerito di dividere, per categoria, l'elenco dei professionisti redatto dall'ente (ad esempio avvocati appaltisti, avvocati espropriativisti, eccetera), elenco al quale coloro che possiedono i requisiti chiedono di iscriversi.
[5] In tal senso, 'La procedura negoziata e le spese in economia negli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi', avvocato Alberto Ponti, Maggioli, giornata di studio in Udine, marzo 2010
(04.10.2010 - link a www.regione.fvg.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento di incarico di assistenza e rappresentanza in giudizio.
1) Gli incarichi di prestazioni di servizi legali, consistenti in un complesso di prestazioni di natura legale componibili da un insieme di difese in giudizio, determinate o determinabili o connesse a tutte le possibili vertenze giudiziali nelle quali sia coinvolta l'amministrazione, entro un dato arco di tempo, devono essere attribuiti con una procedura quanto meno negoziata.
2) L'atto di conferimento dei servizi legali, inclusi la consulenza e il patrocinio innanzi a tutti i Tribunali, rientra nel novero di quegli atti e provvedimenti che, non essendo in alcun modo riconducibili alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministartivo, sono riservati alla dirigenza.

Il Comune chiede di conoscere un parere in merito ad uno schema di convenzione, predisposto dall'Ente, avente ad oggetto l'affidamento diretto di un incarico di assistenza legale e rappresentanza in giudizio ad un avvocato. In particolare, il mandato sarebbe riferito 'ad ogni contenzioso attualmente pendente e a quelli che il Comune avesse da promuovere per i propri interessi patrimoniali o morali ovvero con riferimento a quei procedimenti civili, penali o amministrativi che fossero avviati nei confronti del Comune'.
L'Ente desidera, altresì, sapere quale sia il soggetto competente a decidere lo strumento e le modalità con cui procedere all'affidamento dell'incarico in riferimento.
Premesso che rientra nelle competenze dello scrivente Ufficio fornire consulenza giuridico-amministrativa in termini generali, senza entrare nel merito del singolo caso concreto, si forniscono, di seguito, in via collaborativa, alcuni elementi che possono risultare utili in relazione alla fattispecie descritta.
Circa il primo quesito posto si osserva come rientri nella discrezionalità dell'Ente decidere di individuare un unico studio legale cui rivolgersi per tutte le cause che possano coinvolgere il Comune, suoi amministratori o funzionari e con lo stesso stipulare apposito contratto/convezione diretto a regolare i reciproci diritti ed obblighi.
Si esprimono, invece, delle perplessità circa la possibilità di procedere ad un affidamento diretto di un tale incarico, ciò sia che si faccia rientrare la fattispecie nell'alveo degli incarichi esterni di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 sia che, invece, la si annoveri nella prestazione di servizi soggetta alla normativa di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163.
[1]
Nel primo caso, si rammenta come il comma 6-bis dell'articolo 7 del d.lgs. 165/2001 recita: 'Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione'.
Nel secondo caso, l'affidamento dell'incarico legale rientrerebbe tra i 'servizi legali' previsti nell'allegato IIB del d.lgs. 163/2006 e soggiacerebbe, quindi, in particolare, all'articolo 27, il quale dispone che: 'L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'applicazione del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità. L'affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto'
[2].
Come evidenziato da certa dottrina
[3], gli incarichi di prestazioni di servizi legali, consistenti in un 'complesso di prestazioni di natura legale componibili da un insieme di difese in giudizio, determinate o determinabili o connesse a tutte le possibili vertenze giudiziali nelle quali sia coinvolta l'amministrazione, entro un dato arco di tempo', come il caso in esame, 'oppure dall'impegno continuativo a svolgere funzioni di consulenza legale, o, ancora, dall'impegno a rendere un numero predeterminato di pareri legali', qualora siano oggetto di affidamento, dovranno essere attribuiti con una procedura quanto meno negoziata. In questo caso, inevitabilmente, il procedimento deve obbedire ai principi di trasparenza, non discriminazione e pubblicità ed occorre predeterminare criteri oggettivi di valutazione, seppur nell'esercizio della discrezionalità della loro individuazione. [4]
A favore della necessaria previa indizione di una procedura selettiva depone anche la giurisprudenza. Si consideri, al riguardo il TAR Campania, sez. II, del 21.05.2008, n. 4855, il quale ha affermato la necessità della previa adozione di procedure comparative, rese adeguatamente note attraverso idonea pubblicità, ed ha statuito l'illegittimità del conferimento di un incarico di collaborazione e di consulenza legale non preceduto dalle predette procedure selettive, in diretta applicazione dell'art. 7, comma 6-bis, del d.lgs. 165/2001 (si trattava di un caso di attribuzione di un incarico di patrocinio e consulenza legale in sede amministrativa e civile, di durata annuale, ad un professionista esterno all'amministrazione, con compenso mensile predeterminato).
[5]
Con riferimento alla seconda questione posta, si osserva come la giurisprudenza abbia sottolineato che 'l'atto di conferimento dei servizi legali, inclusi la consulenza e il patrocinio innanzi a tutti i Tribunali, rientri nel novero di quegli atti e provvedimenti che, non essendo in alcun modo riconducibili alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministartivo, sono riservati alla dirigenza'
[6].
Nulla vieta, tuttavia, che l'organo politico manifesti, con un atto di indirizzo, la propria volontà circa l'opportunità di procedere all'affidamento dei servizi legali ad unico studio legale, che si occupi delle controversie che possano coinvolgere l'ente in un determinato arco temporale, fermo rimanendo che la susseguente procedura di individuazione del professionista esterno competerà agli organi burocratici competenti.
---------------
[1] Sulla questione dell'inquadramento giuridico degli incarichi professionali legali si veda il parere reso da questo Ufficio in data 29.02.2008, prot. n. 3911/1.3.16, consultabile sul seguente sito internet: http://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/link/pareri.
[2] Si ricorda come gli appalti di servizi elencati nell'allegato IIB rientrino tra i 'contratti esclusi'.
[3] L. Oliveri, 'La configurazione delle consulenze e delle prestazioni d'opera ai fini dell'applicazione del codice dei contratti - le procedure comparative per gli incarichi di collaborazione', consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it, articolo n. 12/2006.
[4] Si discute, invece, circa la possibilità di procedere mediante affidamento diretto nella diversa ipotesi, che esula dalla fattispecie in esame, del conferimento del solo patrocinio giudiziale relativo ad una specifica vertenza.
[5] La sentenza citata è stata richiamata, condividendola, anche dal TAR Piemonte, sez. I, sentenza del 29.09.2008, n. 2106. Nello stesso senso si è espresso il TAR Calabria-Reggio Calabria, sez. I, con sentenza del 04.05.2007, n. 330.
[6] TAR Calabria-Reggio Calabria, sez. I, sentenza sopra citata. Nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 09.09.2005, n. 4654
(21.04.2009 - link a www.regione.fvg.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Modalità conferimento incarico ad un avvocato.
1) Pare sia preferibile procedere all'individuazione del professionista cui affidare la difesa legale dell'ente in giudizio mediante apposita procedura pubblica.
2) Il conferimento dell'incarico di rappresentanza in giudizio non è soggetto alle norme di cui all'art. 3, commi 55-57, della finanziaria 2008.

Il Comune chiede di conoscere un parere in merito a quali siano le modalità di affidamento di un incarico ad un avvocato, nel caso in cui l'ente debba intraprendere un'azione ovvero resistere in giudizio.
Il quesito posto attiene alla più ampia tematica dell'inquadramento giuridico degli incarichi professionali da cui discende, poi, l'individuazione della procedura da adottare per l'affidamento dell'incarico stesso.
Il tema, si è, di recente, riacceso, stante le disposizioni legislative introdotte con la legge 24.12.2007, n. 244 che, all'articolo 3, commi 55-57, pone delle specifiche incombenze agli enti locali in materia di affidamenti di incarichi di studio, di ricerca, ovvero di consulenze, nonché di incarichi di collaborazione.
In generale si tratta di definire se gli incarichi professionali si configurino come contratti di prestazione d'opera ovvero come appalto.
Entrambe le tesi sono sostenute sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Infatti, un primo orientamento
[1] afferma che la disciplina degli 'incarichi professionali' sia soggetta alla normativa di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, essendo gli stessi nient'altro che prestazioni di servizi e considerato, altresì, che il D.Lgs. 163/2006 espressamente li menziona negli allegati IIA e IIB.
In particolare si rileva come la distinzione, esistente nell'ordinamento italiano interno, tra imprenditore
[2] e libero professionista [3] sia stata profondamente modificata a seguito della ricezione, nell'ordinamento italiano, della nozione di imprenditore formulata dall'ordinamento europeo. Quest'ultima mette in discussione seriamente la configurazione degli articoli 2222-2238 del Codice civile come norme che regolano una fattispecie lavorativa tipica, a metà strada tra l'attività di impresa ed il lavoro subordinato, quale la professione d'opera, per attrarla definitivamente nell'ambito del vero e proprio appalto di servizi.
Si osserva, infatti, come, l'art. 3, comma 19, del D.Lgs. n. 163/2006 specifica che ''I termini «imprenditore», «fornitore» e «prestatore di servizi» designano una persona fisica, o una persona giuridica, [...] che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi.'.
Ciò che conta, allora, è la presenza del soggetto nel mercato aperto: imprenditore è chi offre prestazioni di servizi ad un parco potenzialmente indefinito di committenti, reperiti sul mercato aperto, offrendo le proprie capacità, a prezzi convenienti.
Il codice dei contratti, nella sostanza, si presenterebbe come ordinamento 'concorrente' con il decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 nella regolamentazione dei rapporti di lavoro autonomo con le amministrazioni pubbliche.
Diretta conseguenza di una tale impostazione è che l'affidamento di tali incarichi non potrebbe prescindere dal rispetto delle procedure concorsuali o quanto meno para-concorsuali.
Afferma al riguardo certa dottrina
[4] che: 'Il fatto che prestazione d'opera e appalto, civilisticamente, siano distinti non rileva [5], in quanto la prestazione d'opera è assimilata all'appalto ai fini della normativa pubblica in materia di assegnazione dei contratti della p.a., con scopi diversi, cioè di assicurare la concorrenza (mediante l'evidenza pubblica) anche in tale settore.........è ben presente la possibilità (ricorrente nelle prestazioni intellettuali) che le specifiche di queste ultime non possano essere stabilite dalle stazioni appaltanti con sufficiente precisione perché possano essere aggiudicate selezionando l'offerta migliore in base alle norme delle procedure aperte o ristrette. Ciò, pur tuttavia, non legittima l'affidamento diretto, ma l'attivazione di una procedura negoziata tra più concorrenti, preceduta dalla pubblicazione di un bando'.
Con specifico riferimento alle modalità di affidamento dell'incarico professionale, pertanto, secondo tale impostazione, lo stesso non potrebbe avvenire sulla base della sola valutazione di idoneità di un candidato, dando rilievo unicamente al requisito fiduciario.
Il riferimento alla scelta 'eminentemente fiduciaria', infatti, che giustificherebbe l'affidamento non in base alla disciplina degli appalti di servizi, si fonda su una decisione della Cassazione risalente, del 1998, quando la giurisprudenza, in particolare proprio quella amministrativa, non aveva ancora sviluppato l'orientamento divenuto consolidato e pacifico dopo il 2001, secondo il quale tutte le prestazioni di servizi, anche intellettuali, sono soggette a procedure quanto meno para-concorsuali. Con esclusione pressoché assoluta del criterio solo fiduciario, contrario ai principi di trasparenza e buon andamento dell'azione amministrativa, i quali impongono la piena sindacabilità delle scelte amministrative, sulla base di una chiara motivazione delle scelte compiute.
[6]
Quanto alla giurisprudenza, in questo senso il TAR Puglia
[7] afferma che: 'L'art. 32 della L. 248/2006, recante la conversione in legge del D.L. 223/2006, dopo aver stabilito precisi limiti al conferimento di incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. di cui al D.Lgs 165/2001, impone che il conferimento di incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e non già in base alla sola valutazione di idoneità del prescelto (quindi non si tratta di incarichi che possono essere conferiti intuitu personae)'.
Passando, ora, al diverso orientamento secondo il quale gli incarichi professionali andrebbero ascritti tra i contratti di prestazione d'opera e, come tali, non rientranti nell'ambito applicativo della disciplina degli appalti pubblici, si afferma come 'il modello di produzione del servizio nell'ambito dell'incarico professionale (tradotto nel contratto di prestazione d'opera) è caratterizzato dalla personalità della prestazione e da un'obbligazione di risultato. Ben diverso è il caso in cui l'amministrazione intenda acquisire prestazioni più articolate, rese da soggetti con organizzazione strutturata, prodotte senza caratterizzazione personale e con obbligazione di mezzi. [...] l'affidamento non è sottoposto alle regole degli appalti, poiché questi si distinguono dal contratto di prestazione d'opera in quanto l'appaltatore deve essere una media o grande impresa'
[8].
A sostegno di questa linea interpretativa si è espresso, di recente, il Consiglio di Stato, il quale, nella sentenza del 29.01.2008, n. 263
[9], ha affermato che: 'Il conferimento di un incarico professionale di consulenza per gli aspetti geologici nell'ambito della redazione di un piano urbanistico e di un regolamento edilizio non rientra né nell'ambito della disciplina degli appalti di lavori pubblici (trattandosi invero di un'attività professionale -qualificata locatio operis- riferibile ad una scelta eminentemente fiduciaria del professionista, né in quella degli appalti di servizi (non rinvenendosi i caratteri propri dell'appalto di servizio ex art. 1655 cod. civ. ed art. 3 del decreto legislativo 17.03.1995, n. 157, giacché l'appalto si distingue dal contratto d'opera in quanto l'appaltatore deve essere una media o grande impresa); trattandosi invece di incarico fiduciario, non occorre per il suo conferimento una procedura ad evidenza pubblica'.
Da ultimo si segnala un ulteriore orientamento dottrinario
[10] che distingue, all'interno dei servizi legali, quelli che comportano il conferimento di incarichi per 'prestazioni di servizi legali' dall'incarico di difesa in giudizio.
I primi consisterebbero in un complesso di prestazioni di natura legale componibili da un insieme di difese in giudizio, determinate o determinabili o connesse a tutte le possibili vertenze giudiziali nelle quali sia coinvolta l'amministrazione, entro un dato arco di tempo, oppure dall'impegno continuativo a svolgere funzioni di consulenza legale, o, ancora, dall'impegno a rendere un numero predeterminato di pareri legali. Tali servizi, qualora siano oggetto di affidamento, dovranno essere attribuiti con una procedura quanto meno negoziata.
Qualora, invece, l'oggetto dell'affidamento sia unicamente il patrocinio giudiziale nell'ambito di una specifica vertenza, si sarebbe fuori dall'ambito di applicazione del codice dei contratti.
Il patrocinio in giudizio vero e proprio, non accompagnato da altri servizi legali, resterebbe una prestazione professionale specifica, non considerata dal codice dei contratti, e rientrante esclusivamente nella disciplina normativa regolante la professione.
In questo caso l'ente potrebbe procedere ad un affidamento anche diretto al singolo professionista, sulla base di valutazioni anche influenzate dall'intuitu personae, tenendo sempre conto che la fiducia rimane, prevalentemente, tecnica e, dunque, legata alla competenza professionale dimostrata dal legale che si incarica.
A conclusione di quanto sopra esposto, e con specifico riferimento al quesito posto, relativo all'affidamento di un incarico ad un legale limitato alla solo patrocino giudiziale, pare a chi scrive che l'orientamento da ultimo esposto, benché, in linea teorica, condivisibile, sia contestato da alcune pronunce giurisprudenziali.
Al riguardo significativa, in quanto relativa proprio all'affidamento di un incarico di assistenza legale da parte di un ente locale, è la sentenza emessa dal TAR Calabria, in data 04.05.2007
[11], la quale recita che l'affidamento di detto incarico non può avvenire in assenza di un bando o un invito, in quanto deve scaturire da una valutazione comparativa dei curricula presentati dai candidati e deve essere necessariamente preceduto da una adeguata pubblicità dell'avviso contenente i criteri di valutazione, dai quali deve emergere l'iter logico con la motivazione che ha comportato la scelta.
In particolare, la sentenza, citando altra giurisprudenza conforme
[12], afferma che: 'La procedura finalizzata all'aggiudicazione di un appalto di servizi, anche per gli appalti di servizi sotto soglia, è soggetta, in fase di individuazione del contraente privato, a regole comunitarie quali la trasparenza, la non discriminazione e la pubblicità delle procedure'.
Alla luce di un tanto sembrerebbe preferibile procedere all'individuazione del professionista mediante una procedura pubblica.
In particolare, normativa di riferimento sarebbe la legge regionale 30.04.2003, n. 12, la quale all'articolo 4, prevede che i contratti di appalto di servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario possono essere stipulati con contraenti scelti mediante procedura negoziata qualora trattasi di servizi il cui valore stimato sia di importo non inferiore a 20.001 euro e non superiore a 200.000 euro al netto dell'IVA, previo esperimento di gara ufficiosa tra un numero di imprese non inferiori a cinque. Per i servizi il cui valore stimato sia di importo inferiore a 20.000 euro al netto di IVA, si prescinde dall'espletamento della gara ufficiosa
[13].
Per quanto riguarda l'assoggettabilità di un incarico come quello in oggetto alla disciplina introdotta con la legge 244/2007, l'ANCI, in un recente parere
[14], ha fornito risposta negativa.
A sostegno della tesi per cui gli incarichi di rappresentanza in giudizio non sono da ricomprendere tra gli incarichi di studio, di ricerca, ovvero di consulenza, si era già pronunciata la Corte dei conti, con la delibera 15.02.2005, n. 6, la quale nell'individuare quali atti di conferimento rientrassero nella disciplina di cui alla legge 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), aveva escluso espressamente 'la rappresentanza in giudizio ed il patrocinio dell'amministrazione'. La motivazione di una tale esclusione risiede nel fatto che si tratta di incarichi conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell'amministrazione.
---------------
[1] L. Olivieri, Consulenze e collaborazioni non sono prestazioni personali, ma veri e propri appalti, consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it.
[2] Inteso come soggetto che organizza a scopo di lucro capitale, risorse umane e strumentali.
[3] Inteso come colui che pone in essere la locatio operis, cioè si impegna a conseguire risultati operativi, in assenza, tuttavia, di un'organizzazione tipicamente imprenditoriale, avendo prevalenza la sua capacità lavorativa, anche di tipo intellettuale.
[4] M. Greco 'L'art. 24 della finanziaria (289/2002) si applica anche agli incarichi professionali...', in www.appaltiecontratti.it: la presente dottrina viene riportata, in quanto ritenuta rilevante per il principio che essa enuncia di 'assimilazione', a determinati fini, tra appalto di servizi e prestazione d'opera, prescindendo, quindi, dal riferimento legislativo che essa reca.
[5] Per le differenze tra appalto e contratto d'opera, riguardanti la maggiore struttura e organizzazione del primo (li accomuna, invece, l'assunzione di rischio dell'esecutore e la mancanza di subordinazione), si vedano C. Cass. sent. 7606/1999 e sent. 5451/1999.
[6] In questo senso L. Olivieri, Consulenze e collaborazioni non sono prestazioni personali, ma veri e propri appalti, consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it
[7] TAR Puglia-Lecce, sez. II, sentenza del 19.02.2007, n. 494.
[8] A. Barbiero, 'Consulenze e collaborazioni sono prestazioni personali', in il Sole 24 Ore, del 18.02.2008.
[9] Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 29.01.2008, n. 263, consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it
[10] L. Oliveri, 'La configurazione delle consulenze e delle prestazioni d'opera ai fini dell'applicazione del codice dei contratti - le procedure comparative per gli incarichi di collaborazione', consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it, articolo n. 12/2006.
[11] TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza del 04.05.2007, n. 330.
[12] TAR Puglia-Lecce, sez. II, sentenza del 25.10.2006, n. 5053.
[13] Sarebbe opportuno, ad ogni buon conto, considerato il complesso quadro normativo di riferimento e gli orientamenti emersi anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 165/2001, che, anche nell'ipotesi di servizi il cui valore stimato sia di importo inferiore ai 20.000 euro, fossero previste e garantite procedure comparative. In questo senso, si veda nostro parere del 22.12.2006 (Prot. n. 21242/1.3.16) consultabile sul seguente sito internet: http://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/link/pareri
[14] ANCI, parere del 14.02.2008, consultabile sul seguente sito internet: www.ancitel.it
(29.02.2008 - link a www.regione.fvg.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGOCONSIGLIO DEI MINISTRI/ Codice di condotta esteso a consulenti e collaboratori della p.a.
I dieci comandamenti dei travet. Stretta sui regali. Internet e telefono solo per servizio.

Vietato chiedere o accettare regali di importo superiore a 150 euro. Ma anche utilizzare informazioni d'ufficio a fini privati e far parte di associazioni o organizzazioni (esclusi partiti e sindacati) in conflitto di interesse con l'ente pubblico. Vietato pure utilizzare per fini personali i telefoni, internet e il parco auto dell'amministrazione, salvo in casi di estrema urgenza. E guai anche a scaricare sui colleghi attività o decisioni di propria spettanza. Si rischia la responsabilità disciplinare e in caso di violazioni reiterate anche il licenziamento. Per i dirigenti pubblici, poi, sono in arrivo norme ad hoc: obbligo di comunicare all'amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possono porli in conflitto d'interesse con le funzioni che svolgono; obbligo di fornire informazioni sulla propria situazione patrimoniale; evitare «nei limiti delle loro possibilità» che si diffondano notizie non vere sull'organizzazione, sull'attività e sugli altri dipendenti.
Il «bon ton» dei dipendenti pubblici è stato approvato ieri dal consiglio dei ministri. Si tratta di una lunga serie di divieti e cautele che piomberanno sul groppone degli statali con lo scopo di prevenire la diffusione di fenomeni corruttivi e garantire il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione.
Il codice di comportamento avrà un ambito di applicazione ben più ampio della già vasta platea costituita dai 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici. Oltre ai lavoratori «contrattualizzati» delle amministrazioni centrali dello stato, degli enti locali, dalle scuole di ogni ordine e grado, delle università, delle camere di commercio e degli enti del Servizio sanitario nazionale, il dpr si applicherà anche a collaboratori e consulenti e persino ai dipendenti delle imprese che forniscono beni e servizi o realizzano opere per la p.a. L'obiettivo è rafforzare l'immagine del pubblico dipendente quale servitore dello stato.
Lo si evince chiaramente dall'incipit dell'art. 3 che con tono solenne afferma che il dipendente pubblico «
osserva la Costituzione servendo la Nazione con disciplina e onore». Egli deve conformare «la propria condotta ai princìpi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa», svolgere i propri compiti «nel rispetto della legge» e perseguire l'interesse pubblico «senza abusare della posizione e dei poteri di cui è titolare». Nei rapporti col pubblico il dipendente statale dovrà farsi riconoscere esponendo in modo visibile un badge e dovrà operare con «spirito di servizio, correttezza, cortesia e disponibilità».
In funzione anti-corruzione la stretta più evidente sarà sui regali. Al dipendente pubblico sarà vietato chiedere, sollecitare o accettare, per sé o per altri, regali o altre utilità salvo quelli di modico valore nell'ambito delle normali relazioni di cortesia. Per regali di modico valore si intendono quelli di importo non superiore a 100 euro. Ma i piani di prevenzione della corruzione approvati dai singoli enti potranno modulare tale importo, riducendolo o innalzandolo fino a un massimo di 150 euro. Vietato anche utilizzare le linee telefoniche dell'ufficio e i mezzi di trasporto dell'amministrazione per esigenze personali, salvo casi di urgenza.
Sul parco auto della p.a. non potranno viaggiare terze persone, se non per motivi di ufficio. Per garantire la trasparenza dell'azione amministrativa, il dipendente pubblico sarà chiamato a comunicare tempestivamente al proprio responsabile l'appartenenza ad associazioni e organizzazioni (riservate o meno) i cui interessi siano coinvolti o possano interferire con lo svolgimento dell'attività d'ufficio. All'atto dell'assegnazione dell'ufficio, il lavoratore pubblico dovrà informare per iscritto il dirigente di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione retribuita intrattenuti con soggetti privati negli ultimi tre anni. Il dipendente dovrà, infine, astenersi dal prendere decisioni o svolgere attività in situazioni di conflitto di interesse anche potenziale (articolo ItaliaOggi del 09.03.2013).

VARI: Il proprietario del veicolo paga se non sa chi lo usa.
Nessuna scusa per il proprietario di un mezzo a motore che si dimentica del veicolo. In caso di multa automatica spetta infatti sempre a questo soggetto comunicare alla polizia chi era alla guida. Diversamente scatterà una multa di 284 euro.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, Sez. VI civile, con l'ordinanza 06.03.2013 n. 5585.
Un conducente ha ricevuto a casa la notifica di una multa per eccesso di velocità con invito a comunicare i dati dell'effettivo trasgressore. Nonostante la dichiarazione tempestiva di non essere transitato in quella strada l'interessato ha ricevuto un secondo verbale per omessa comunicazione dei dati dell'effettivo conducente. Contro questa ulteriore misura punitiva il proprietario del veicolo ha quindi proposto ricorso fino in cassazione ma senza alcun risultato apprezzabile.
In tema di violazioni al codice stradale, specifica il collegio, «integra l'ipotesi di illecito amministrativo previsto dal combinato disposto degli artt. 126-bis e 180 Cds l'omessa collaborazione che il cittadino deve prestare all'autorità amministrativa al fine di consentirle l'attuazione dei necessari e previsti accertamenti per l'espletamento dei servizi di polizia stradale».
In buona sostanza secondo la cassazione tutti i conducenti hanno il dovere di collaborare con l'autorità amministrativa per consentirle di attuare i necessari accertamenti finalizzati all'attività di polizia stradale (articolo ItaliaOggi del 09.03.2013).

TRIBUTITares, smaltire i rifiuti costerà. Tassa più salata per i comuni che investono in green. Il ministero dell'economia ha pubblicato le linee guida sull'applicazione della tariffa.
Pagheranno una Tares più salata i cittadini di quei comuni che hanno deciso di investire somme rilevanti in beni e servizi necessari per lo smaltimento dei rifiuti (macchinari, impianti eccetera): tali costi, infatti, dovranno essere caricati sulla tariffa.
Il Ministero dell'economia e della finanze indica ai comuni il percorso da seguire per la gestione della nuova tassa sui rifiuti e i servizi istituita a partire da quest'anno.
Sul sito ministeriale, infatti, sono state pubblicate ieri le linee guida per la redazione del piano economico-finanziario e la determinazione delle tariffe.
Alle amministrazioni locali spetta il compito di predisporre il piano economico e finanziario e di determinare le tariffe per le utenze domestiche e non domestiche. L'obiettivo primario è quello di garantire la copertura integrale dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Secondo il Ministero, il metodo da seguire «è costituito da un complesso di regole, metodologie e prescrizioni per determinare, da un lato, i costi del servizio di gestione e, dall'altro, l'intera struttura tariffaria applicabile alle varie categorie di utenza». La tariffa deve essere commisurata - almeno nella versione «tributaria», alle quantità e qualità di rifiuti prodotti per unità di superficie, rapportate agli usi e alla tipologia di attività svolte. La Tares è un'entrata tributaria, ma va ricordato che i comuni che sono in grado di misurare i rifiuti effettivamente conferiti, possono optare per la gestione del servizio attraverso una tariffa puntuale, avente natura corrispettiva.
Il piano finanziario deve contenere il programma degli interventi richiesti dalla normativa ambientale, gli acquisti di beni o servizi e la realizzazione di impianti. Deve inoltre essere specificato se il servizio è affidato a terzi. Al piano va allegata una relazione sul modello gestionale e organizzativo prescelto e sulla qualità dei servizi. Nella elaborazione del piano una importanza particolare rivestono i profili economico-finanziari. Annualmente occorre porre in rilievo i flussi di spesa e i fabbisogni occorrenti a fronteggiarli, indicando anche gli aspetti patrimoniali ed economici della gestione. In effetti, è dal piano che bisogna partire per determinare le tariffe e per adeguarle di anno in anno. Del resto, come recita l'articolo 14, comma 23, del dl 201/2011, è il consiglio comunale che deve approvare le tariffe Tares entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione del bilancio di previsione, «in conformità al piano finanziario» del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Competente alla redazione del piano è il soggetto che svolge il servizio.
La tariffa Tares deve essere composta da una quota determinata in relazione ai costi del servizio di gestione dei rifiuti (investimenti per le opere e relativi ammortamenti), e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione, compresi quelli di smaltimento. Sotto quest'aspetto la norma del dl Monti (articolo 14 del dl 201/2011), che ha istituito il nuovo regime di prelievo, si uniforma alla previsioni che il legislatore aveva già stabilito per la Tia1 e la Tia2. Le stesse regole valgono anche per i rifiuti assimilati agli urbani. I comuni possono applicare un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero.
Nelle linee guida viene illustrato il percorso che gli enti devono osservare per determinare la tariffa. In particolare, la metodologia tariffaria si articola nelle seguenti fasi: individuazione e classificazione dei costi del servizio; suddivisione dei costi tra fissi e variabili; ripartizione dei costi fissi e variabili in quote imputabili alle utenze domestiche e alle utenze non domestiche; calcolo delle voci tariffarie, fisse e variabili, da attribuire alle singole categorie di utenza. L'articolo 14 impone l'integrale copertura dei costi del servizio. Quindi, sia quelli di investimento che di esercizio. Tuttavia, le voci di costo (spazzamento, raccolta, trasporto e via dicendo) sono solo quelle elencate dal regolamento sul metodo normalizzato (dpr 158/1999). Regolamento che si applicherà a regime, in quanto la legge di Stabilità (228/2012) ha abrogato la norma che prevedeva l'emanazione di un nuovo provvedimento attuativo (articolo ItaliaOggi del 09.03.2013 - link a www.ecostampa.it).

TRIBUTITariffe della Tares determinate dal Consiglio.
LA PREVISIONE/ L'aggiornamento alle linee guida delle Finanze affrontano il tema della competenza.

Le tariffe della Tares dovranno essere approvate dal consiglio comunale, con una doppia deroga: al Testo unico degli enti locali (articolo 42, comma 2, lettera f, del decreto legislativo 267/2000), che assegna le delibere tariffarie alla competenza generale della Giunta, e al decreto Sviluppo-bis (articolo 34, comma 23, del Dl 179/2012) che invece ha trasferito la competenza tariffaria sui servizi a rete agli ambiti territoriali ottimali (Ato).
La normativa Tares scritta nel decreto salva-Italia (articolo 14, comma 23, del Dl 201/2011) costituisce infatti una disciplina speciale, che vince quindi sulle regole generali previste dalle norme appena citate.
La spiegazione è del dipartimento Finanze, che diffondendo ieri una versione aggiornata e rivista delle Linee guida e del modello di regolamento per la Tares ha risolto in questo modo una possibile empasse sulle competenze a deliberare le tariffe.
Il problema nasce in particolare dal decreto Sviluppo-bis, che nel tentativo di rilanciare il ruolo degli ambiti ottimali previsti dalla manovra-bis del 2011 (articolo 3-bis del Dl 138/2011) ma mai decollati in molte Regioni, aveva trasferito a loro «le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza». Gli ambiti territoriali ottimali, però, in molte parti d'Italia non ci sono ancora, o sono solo ai nastri di partenza, e ciò avrebbe contribuito a elevare il già consistente tasso di confusione che regna intorno al nuovo tributo sui rifiuti nato in sostituzione di Tia e Tarsu.
In una prima versione delle Linee guida (si veda Il Sole 24 Ore del 18 febbraio) le indicazioni ministeriali sembravano aver ignorato il problema, che nelle nuove istruzioni diffuse ieri trova invece una spiegazione tecnica. La competenza è del consiglio comunale in base alla gerarchia delle norme, secondo il principio che la disciplina "speciale", tagliata su misura, vince sempre su quelle generali.
Il chiarimento è importante, anche se da solo ovviamente non basta a dissipare la nebbia che ancora avvolge le amministrazioni locali alle prese con il debutto del nuovo tributo. A parte i problemi di liquidità prodotti dal rinvio "elettorale" della prima rata a luglio, che impone alle aziende di lavorare "gratis" per oltre metà dell'anno, la stessa definizione delle tariffe è un compito non semplice.
Ogni Comune è infatti inserito in un ambito, e solo i piani d'ambito redatti dai gestori e approvati dagli Ato (o dai consigli dove l'Ato non c'è) possono offrire la base per determinare una tariffa che copra integralmente i costi.
Anche per questa ragione, si ritiene che i Comuni possano deliberare i bilanci preventivi anche senza le tariffe Tares, rimandando a un secondo momento (entro il termine generale del 30 giugno) le scelte su questo versante (articolo Il Sole 24 Ore del 09.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGOStatali, arriva lo stop ai regali. Approvato il Codice di comportamento ma non le incompatibilità.
Consiglio dei ministri. Via libera a metà per l'attuazione della legge anticorruzione nel pubblico impiego.
Torna in auge l'obbligo di indossare il badge per i dipendenti pubblici che lavorano a contatto con l'utenza. È all'interno del nuovo «Codice di comportamento», che fra le altre cose vieta di ricevere regali di valore superiore ai 150 euro e arriva a prevedere il licenziamento per chi sgarra in modo particolarmente grave.
Il Consiglio dei ministri ieri ha approvato il Codice, che secondo il ministro della Funzione pubblica in questo modo ha «posto un ulteriore tassello per rendere pienamente operativa la lotta al malcostume» contenuta nella legge anticorruzione. Però non è riuscito dare il via libera a un altro regolamento, collegato alla stessa norma e probabilmente di maggior valore sostanziale: quello che dovrebbe bloccare gli incarichi dirigenziali e amministrativi di vertice a chi è titolare di conflitti di interesse e a chi è incappato in una condanna, anche non definitiva, per reati contro la pubblica amministrazione.
In larga parte, il Codice di comportamento approvato ieri si risolve in una sorta di Galateo del dipendente pubblico, chiamato a «perseguire l'interesse pubblico senza abusare della posizione di cui è titolare», a «contenere i costi senza pregiudicare la qualità dei risultati» e così via, e «operare con correttezza, cortesia e disponibilità» quando lavora con il pubblico.
Nel caso dei dirigenti, viene rilanciata la loro responsabilità nella «promozione del benessere organizzativo», assumendo «un comportamento esemplare e imparziale» nei rapporti con i colleghi e «favorendo l'instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi» all'interno dell'ufficio.
Più concrete le regole che puntano direttamente contro fenomeni di corruzione e micro-corruzione, anche quando questi non rientrano nel raggio d'azione del Codice penale. Da questo punto di vista, il tema più noto riguarda la limitazione ai regali al «modico valore» (si veda anche Il Sole 24 Ore del 7 marzo), indicato in 150 euro. I dipendenti non possono accettare cadeaux più importanti e se ne ricevessero devono metterli subito a disposizione dell'amministrazione di appartenenza perché siano restituiti o «devoluti ai fini istituzionali».
Le violazioni delle norme scritte nel Codice di comportamento implicano responsabilità disciplinare secondo le solite modalità, che graduano la sanzione in base alla gravità della violazione e, almeno sulla carta, possono arrivare anche al licenziamento nei casi peggiori.
La responsabilità disciplinare può colpire anche chi viola le nuove regole di trasparenza, un concetto che nel Codice viene declinato in modo diverso a seconda che si rivolga a dipendenti o dirigenti. I primi devono comunicare per iscritto ai propri dirigenti tutti i rapporti di collaborazione retribuiti avuti con soggetti privati negli ultimi tre anni, precisando se con questi soggetti hanno avuto o abbiano a che fare anche suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente. Il dirigente, invece, è tenuto a dichiarare anche partecipazioni azionarie e interessi finanziari «che possano porlo in conflitto d'interesse con la sua funzione pubblica», e a indicare parenti o affini entro il secondo grado (oltre al coniuge o al convivente) le cui attività li pongano «in contatti frequenti con l'ufficio che dovrà dirigere».
Il tema dei conflitti d'interesse era al centro dell'altro provvedimento attuativo della legge anti-corruzione atteso ieri al Consiglio dei ministri: quello sull'incandidabilità. La legge 190/2012, in particolare all'articolo 1, commi 49-50, chiede infatti al Governo di disciplinare l'impossibilità di conferire incarichi dirigenziali a chi abbia cariche politiche o ruoli di peso in soggetti privati sottoposti a regolazione dalla stessa amministrazione, oltre che per i condannati anche non definitivi per reati contro la Pa. Ieri, però, il provvedimento si è arenato sul tavolo del Consiglio dei ministri.
---------------
I contenuti principali
01 | REGALI
Il Codice di comportamento vieta ai dipendenti pubblici di ricevere regali superiori ai 150 euro, individuati dalla norma come il limite per il «modico valore». Nel caso, i regali devono essere messi subito a disposizione dell'amministrazione per la restituzione o la «devoluzione alle attività istituzionali». Vietati anche i regali tra un dipendente e il superiore
02 | TRASPARENZA
I dipendenti pubblici devono comunicare tempestivamente al dirigente del loro ufficio tutti i rapporti di collaborazione retribuiti con soggetti privati effettuati negli ultimi tre anni. Devono anche precisare se con questi soggetti hanno avuto rapporti di collaborazione parenti o affini, il coniuge o il convivente
03 | CONFLITTI D'INTERESSE
I dirigenti devono comunicare partecipazioni azionarie e interessi finanziari che possano porlo in conflitto d'interesse con la sua funzione pubblica, e indicare parenti o affini entro il secondo grado (oltre al coniuge o al convivente) le cui attività li pongano in contatti frequenti con l'ufficio che dovranno dirigere
04 | INCOMPATIBILITÀ
Non è stato approvata ieri dal Consiglio dei ministri la disciplina attuativa delle norme della legge anticorruzione (articolo 1, commi 49-50 della legge 190/2012) che regolano l'impossibilità di conferire incarichi di vertice a chi abbia incarichi politici o ruoli di peso in soggetti privati controllati o finanziati dalla stessa Pubblica amministrazione
L'anticipazione
L'emanazione di un Codice di comportamento per i dipendenti della pubblica amministrazione era stata annunciata da tempo da parte del Governo. Ne è seguita una fase di studio e stesura, portata alla finalizzazione soltanto nelle ultime settimane. I contenuti del provvedimento fissati dal Governo sono stati anticipati dal Sole 24 Ore giovedì 7 marzo (articolo Il Sole 24 Ore del 09.03.2013 - link a www.ecostampa.it).

CONDOMINIORiforma del condominio/ Tabelle millesimali corrette a maggioranza. Ma la modifica è possibile senza assenso di tutti solo nei casi previsti dalla legge.
IL QUADRO/ La rettifica con consenso parziale è possibile per eliminare gli errori o per il cambio di condizioni dell'edificio.

La riforma del condominio interviene anche sulle tabelle millesimali. Il nuovo articolo 68 delle Disposizioni di attuazioni del Codice civile (riscritto dalla legge di riforma 220/2013) stabilisce che, ove non precisato dal titolo, ai sensi dell'articolo 1118 del Codice civile, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio.
Ciò vale sia per l'accertamento (articolo 68) sia per la revisione o modificazione delle tabelle (articolo 69), sia per la ripartizione delle spese (articolo 1127 del Codice civile), sia per la partecipazione all'assemblea (articolo 1136).
La riforma del condominio è intervenuta con il nuovo articolo 69 stabilendo che: «I valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all'articolo 68 possono essere rettificati o modificati all'unanimità. Tali valori possono essere rettificati o modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, secondo comma, Cc, nei seguenti casi:
● quando risulta che sono conseguenza di un errore;
quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione.
Ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio ai sensi dell'articolo 68, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona del l'amministratore
».
La nuova normativa ha modificato sensibilmente la decisione delle Sezioni unite della Cassazione (sentenza n. 18477/2010). La Cassazione aveva infatti disatteso l'orientamento della giurisprudenza in base al quale per l'approvazione o la revisione delle tabelle millesimali è necessario il consenso di tutti i condomini (si veda l'articolo qui sotto). L'affermazione che la necessità dell'unanimità dei consensi dipenderebbe dal fatto che la deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali costituirebbe un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni è in contrasto con quanto ad altri fini sostenuto nella giurisprudenza di legittimità, e cioè che la tabella millesimale serve solo a esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini, senza incidere in alcun modo su tali diritti.
Quando, poi, i condomini approvano la tabella che ha determinato il valore dei piani o delle porzioni di piano secondo i criteri stabiliti dalla legge non fanno altro che riconoscere l'esattezza delle operazioni di calcolo della proporzione tra il valore della quota e quello del fabbricato. Il valore di una cosa è quello che è, e il suo accertamento non implica alcuna operazione volitiva, ragion per cui il semplice riconoscimento che le operazioni sono state compiute in conformità al precetto legislativo non può qualificarsi attività negoziale.
Alla luce di quanto sopra esposto, le Sezioni unite della Corte suprema avevano quindi affermato che le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'articolo 1136, comma 2.
Con la nuova norma (articolo 69, Disposizioni attuative Cc) le tabelle millesimali possono essere rettificate o modificate solo all'unanimità, salvo limitate e circoscritte ipotesi di revisione: a) nel caso di un errore; b) quando per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare. Con questa formulazione sono state eliminate le ipotesi di espropriazione parziale o di innovazione di vasta portata.
Infine va chiarito che gli errori rilevanti ai fini della revisione sono quelli obiettivamente verificabili, restando esclusa la rilevanza dei criteri soggettivi nella stima degli elementi necessari per la valutazione.
L'errore non coincide con l'errore vizio del consenso.
* * *
L'iniziativa
01 | LE CORREZIONI DA FARE
Dalla doppia maggioranza per gli interventi di risparmio energetico, ai nuovi obblighi (alcuni irrealizzabili) degli amministratori, alla possibilità di "distaccarsi" dal riscaldamento centralizzato, al fondo condominiale obbligatorio per la straordinaria manutenzione, solo per citarne alcune
02 | LA MOSSA VINCENTE
Per evitare che gli errori del legislatore impediscano la riforma, Il Sole 24 Ore ha lanciato l'iniziativa di «correggere la riforma». Hanno risposto praticamente tutte le associazioni di condomini e amministratori e gli ordini interessati: Agiai, Alac, Anaci, Anaip, Anammi, Anapi, Apac, Arpe-Federproprietà, Assocond, Asppi, Assoedilizia-Confedilizia, Confabitare, Confai, Fna, Gesticond, Ordine degli avvocati di Milano, Unai e Uppi
---------------
Gli altri casi. Le modalità di aggiornamento. Per gli «indici» contrattuali correzione all'unanimità.
IL VINCOLO/ Il regolamento interno non può prevedere la immodificabilità o la modifica a condizioni differenti da quelle di legge.

Per comprendere appieno la portata della sentenza di Cassazione n. 18477/2010 e delle modifiche apportate con la legge 220/2012 è necessario spiegare cosa si intenda per tabelle, come vengono calcolate e qual è la loro natura, ovvero se traggono la loro origine da un atto dispositivo o da una più semplice presa di coscienza di una valutazione tecnica.
Sappiamo che la funzione delle tabelle è quella di determinare i poteri e attribuire gli oneri relativi alla gestione del condominio. Anche il nuovo articolo 68 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile prevede la quantificazione delle quote in «valori millesimali», soffermandosi non certo a spiegare o a determinare i criteri da utilizzare per addivenire a dette quote, bensì indicando quello di cui non va tenuto conto (canone locatizio, miglioramenti, stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare).
Quindi la determinazione viene lasciata ai tecnici che, partendo dai criteri indicati in una circolare del ministero dei Lavori pubblici (la 12480 del 1966 e la 2945 del 1993) con riferimento all'edilizia popolare, prendono in considerazione diversi elementi, come il coefficiente di destinazione della superficie (box, negozio, cantina, abitazione e altro), i coefficienti di luminosità, esposizione di piano eccetera. A ogni coefficiente si assegna un parametro che moltiplicati con i metri quadri dà un valore, cosiddetto "superficie virtuale" che poi viene tradotto in millesimi.
Il processo di calcolo sembra abbastanza semplice ma a complicarlo vi è il fatto che ogni tecnico spesso utilizza criteri diversi a cui assegna parametri differenti e, quindi, non è improbabile che una stessa unità immobiliare, senza subire variazioni di sorta, se valutata da due tecnici diversi, può essere rappresentata da valori che si discostano anche del 20 per cento.
Per poter comprendere se davvero le tabelle possono essere modificate all'unanimità o a maggioranza bisogna preventivamente stabilire se le stesse hanno un'origine negoziale, ovvero contrattuale, oppure sono un semplice atto di adesione a una valutazione esposta da un tecnico.
Le tabelle di natura contrattuale, ovvero quelle stabilite e sottoscritte da tutti i condomini in quanto frutto di espressa convenzione, non sono modificabili a maggioranza neppure dopo la sentenza del 2010. Esse hanno la stessa natura dei regolamenti contrattuali e quindi la loro modifica presuppone l'accettazione dell'intera compagine condominiale. La necessità, invece, di modificare le tabelle sopraggiunge nel caso di sopraelevazioni o di incremento di superfici (si pensi alla chiusura di un balcone o alla costruzione di un soppalco) o di incremento delle unità immobiliari (si pensi al recupero dei sottotetti o alla costruzione sotterranea di box) e in questo caso la sentenza della Cassazione è intervenuta affermando che era sufficiente la maggioranza, sempre che non si trattasse di tabelle di natura convenzionale.
Si ricordi, infine, che l'articolo 72 delle Disposizioni di attuazione, non modificato dalla legge di riforma, stabilisce che il regolamento di condominio non può derogare alle disposizioni del precedente articolo 69. Ciò significa che il regolamento di condominio non può prevedere l'immodificabilità delle tabelle millesimali né prevederne la modifica a condizioni differenti rispetto a quelle legislativamente stabilite
(articolo Il Sole 24 Ore del 09.03.2013).

ENTI LOCALIIl Mef risponde all'Anci. Le selezioni devono concludersi entro il 2013
Mini-enti, concorsi salvi. Il Patto non vanifica le procedure avviate.

I piccoli comuni soggetti al Patto di stabilità interno dal 01.01.2013 possono concludere i concorsi per assunzioni a tempo indeterminato avviati nel rispetto del più favorevole regime di turnover previsto per gli enti non soggetti, purché la pubblicazione del calendario delle prove d'esame sia avvenuta entro il 31.12.2012 e il reclutamento delle nuove risorse umane si concluda entro il corrente anno.
Lo ha chiarito il ministero dell'economia e delle finanze con la nota 26.02.2013 n. 927 di prot., in risposta ad un quesito posto dall'Anci.
Il dubbio riguardava la possibilità di completare le procedure concorsuali avviate quando ai predetti enti era applicabile l'art. 1, comma 562, della l. 296/2006 (legge finanziaria 2007), che al di fuori del perimetro del Patto consente nuove assunzioni di personale «nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno» (cosiddetto turnover «per teste»). Viceversa, agli enti soggetti al Patto si applica la più restrittiva disciplina di cui all'art. 76, comma 7, del dl 112/2008, che consente di assumere entro il limite del 40% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno prima.
Il Mef, pur ribadendo che l'inclusione nel Patto comporta per i comuni fra 1.001 e 5 mila abitanti la necessità di rispettare il più severo regime assunzionale in passato previsto solo per quelli con popolazione superiore, da atto delle difficoltà organizzative che esso è destinato a produrre. Pertanto, accogliendo la richiesta dell'Anci, consente di fare salvi i concorsi già in itinere. Ciò, tuttavia, a una duplice condizione: in primo luogo, essi devono trovarsi a uno stadio avanzato di svolgimento, che può dirsi verosimilmente coincidente con l'avvenuta pubblicazione, al 31.12.2012, del calendario delle relative prove d'esame; in secondo luogo, il procedimento di reclutamento dovrà concludersi entro il corrente anno. Si tratta di un'apertura importante, a fronte della più restrittiva posizione assunta in passato dalla Corte dei conti.
Con la deliberazione n. 6/2012, infatti, la sezione autonomie aveva espressamente affermato che «l'assenza di specifiche disposizioni di diritto intertemporale in ordine all'applicazione dei nuovi vincoli alla spesa di personale, quali derivano dall'estensione della disciplina del Patto di stabilità interno ai comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti, non consente di legittimare interpretazioni additive o derogatorie dell'art. 76, comma 7, del dl 112/2008, sussistendo margini organizzativi idonei a colmare eventuali deficit di competenze tecniche o amministrative, legati all'inadeguatezza degli organici o alla insufficienza di risorse economiche dei comuni di più ridotte dimensioni».
Alla luce della lettura più favorevole del Mef, invece, tali enti possono concludere i concorsi già avviati nel 2012, anche se le relative assunzioni, da effettuare entro il 2013, portano a sforare il tetto del 40% della spesa del personale cessato lo scorso anno. Restano fermi, ovviamente, tutti gli altri vincoli, ovvero, in particolare, l'obbligo di rispettare l'obiettivo annuale di Patto e quello di garantire la riduzione della spesa complessiva di personale rispetto all'anno precedente (art. 1, comma 557, della stessa legge 296/2006) (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Prelievo tfr, ancora ricorsi. La ritenuta del 2,5% non è stata restituita. Consulta nuovamente chiamata in causa. Su iniziativa della Confsal.
Trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici di nuovo a sospetto di illegittimità costituzionale.
Il tribunale di Reggio Emilia, in veste di giudice del lavoro, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale riguardante la disciplina del trattamento di fine servizio (che per il lavoro pubblico corrisponde al tfr del privato), già di recente oggetto di una pronuncia della Consulta e di un intervento normativo.
Come si ricorderà, la Corte costituzionale con sentenza 223/2012 ha considerato incostituzionale l'articolo 12, comma 10, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, per aver leso i principi di eguaglianza posti dalla Costituzione.
Detta norma modificò il sistema di determinazione del trattamento di fine servizio che precedentemente era computato applicando un accantonamento del 9,60% sull'80% della retribuzione lorda, assoggettato a una ritenuta a carico del dipendente del 2,50%, sempre sul lordo retributivo; estendendo ai dipendenti pubblici la disciplina del tfr privato, la manovra estiva 2010 fissò un accantonamento del 6,91 sull'intero trattamento lordo, ma mantenendo l'accantonamento del 2,50% sull'80% del lordo. In conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale, su iniziativa del governo, il parlamento con l'articolo 1, commi 98 e 99, della legge 228/2012, ha abolito la riforma del 2010, ripristinando lo stato precedente.
Tuttavia, alcuni dipendenti dei ministeri della giustizia e dell'economia, su iniziativa della Confsal-Unsa, hanno proposto ricorso al giudice del lavoro di Reggio Emilia, eccependo che l'intervento normativo posto in essere con la legge di stabilità era a sua volta lesivo della Costituzione. Il tribunale considera «non manifestamente infondata» e «rilevante» la questione di legittimità costituzionale proposta, in particolare sotto l'aspetto sostanziale.
Infatti, non è stata espressamente disposta la restituzione della ritenuta del 2,50% sull'80% del trattamento economico lordo dei dipendenti, tanto è vero che molte amministrazioni non l'hanno versata ai dipendenti. Secondo il giudice del lavoro, inoltre, il ripristino della disciplina del trattamento di fine servizio non sana la disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati, proprio per la presenza del prelievo a titolo previdenziale, inesistente nel sistema privatistico. Non solo: vi è una disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici assunti prima del 2001, per i quali vale il trattamento di fine servizio, e quelli assunti dopo, ai quali, invece, si applica il regime del trattamento di fine rapporto di stampo privatistico.
Ancora, la legge di stabilità per il 2013 sarebbe viziata da illegittimità costituzionale perché dichiarando l'estinzione dei processi già instaurati dai dipendenti pubblici, li priva della possibilità di vedersi riconosciuto il diritto alla restituzione dei prelievi previdenziali, così pregiudicando il diritto all'azione per ottenere tutela giurisdizionale (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013 - link a www.ecostampa.it).

TRIBUTIImu non profit, enti in rivolta. Fa discutere l'esenzione per i beni dati in comodato. Gli uffici tributi dei comuni contestano la tesi sostenuta dalle Finanze nella circolare n. 4.
La risoluzione ministeriale 04.03.2013 n. 4/DF, sostiene che nella particolare ipotesi in cui l'immobile posseduto da un ente non commerciale venga concesso in comodato a un altro ente non commerciale per lo svolgimento di una delle attività meritevoli di cui al c. 1, lett. i), dell'art. 7 del dlgs n. 504/1992, possa trovare applicazione l'agevolazione in oggetto, sì da esentare dall'Imu come dall'Ici il possessore sebbene non utilizzatore del detto immobile.
Secondo il Mef poiché a seguito del comodato d'uso gratuito, l'ente concedente non ritrae alcun reddito non si realizza una manifestazione di ricchezza e di capacità economica, che avrebbe al contrario giustificato un apporto contributivo alla spesa pubblica e quindi l'imposizione. Tale ottica di valutazione pare trascurare che l'art. 7 lett. i) del dlgs n. 504/1992, trova la sua ratio non già nell'evitare la tassazione di una ricchezza non realizzata ovvero una capacità contributiva inespressa, bensì è una disposizione di indubbio contenuto e funzione premiale per specifiche attività di particolare rilevanza sociale svolte dagli enti non commerciali in quegli specifici immobili. È quindi una norma di incentivazione ma rimane pur sempre un'agevolazione tributaria e come tale di natura eccezionale e quindi di stretta interpretazione (S.U. n. 28160/2008).
Come è noto, il diritto vivente, in interpretazione costituzionalmente orientata anche in considerazione delle ordinanze della Corte cost. n. 429/2006 e n. 19/2007, impropriamente richiamate dalla stessa risoluzione n. 4/Df, ha elaborato la condizione soggettiva dell'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore, escludendo che il beneficio possa spettare in caso di utilizzazione indiretta, pur se assistita da finalità di pubblico interesse (cass. ord. n. 3843/2013, cass. sent. n. 7385/2012).
La necessaria coincidenza tra ente rientrante nella categoria dell'art. 73 c. 1 del Tuir nella sua veste di proprietario (o titolare di altro diritto reale sul bene e come tale soggetto passivo Ici/Imu) ed ente che utilizza l'immobile stesso è requisito pacifico e non più disputabile (cass. sent. n. 2821/2012 e n. 4502/2012). Sulla scorta della interpretazione consolidata del giudice di legittimità non appare per nulla convincente l'argomentare del Mef che con eccessiva disinvoltura sterilizza la conditio sine qua non della necessaria coincidenza soggettiva tra utilizzatore dell'immobile e soggetto passivo Ici/Imu. Né pare condivisibile la omologazione soggettiva tra concedente a titolo gratuito ed effettivo utilizzatore svolgente attività meritoria, atteso che il trasferimento della detenzione non può certo ritenersi per il concedente come una forma di esercizio diretto dell'attività meritoria istituzionale, anzi la concessione si manifesta in via oggettiva come una forma di non utilizzo.
Tra l'altro, la Corte di cassazione ha già da tempo affrontato la questione della concessione in uso gratuito escludendo categoricamente la esenzione per i beni immobili non direttamente utilizzati per lo scopo istituzionale e ciò indipendentemente dalla natura gratuita o onerosa con la quale ne risultasse ceduto ad altri l'utilizzo (cass. nn. 21329-21330/2008, cass. nn. 22201-22202-22203). Conclusivamente, la risoluzione ministeriale non offre alcun nuovo elemento di interpretazione di spessore tale da poter prevedere un'inversione di rotta della Cassazione quanto meno nelle ipotesi di concessione gratuita a diverso ente.
Merita, invece, approfondimento la fattispecie della concessione ad altro ente commerciale appartenente alla stessa struttura dell'ente concedente per lo svolgimento di attività meritoria. Anche in questo caso la gratuità della concessione non rileva ma ciò che deve essere verificato è l'immedesimazione tra concedente e utilizzatore. Se la struttura organizzativa di detti enti, seppur giuridicamente distinti è la medesima ben può ritenersi sussistente la utilizzazione diretta del concedente. Come già indicato dalla Cassazione (n. 2821/2012) al fine di ravvisare l'utilizzazione diretta necessita dare rilevanza diretta e specifica al fatto concreto e alle reali connotazioni economiche, piuttosto che al limite della distinta alla forma giuridica.
Quindi nell'ipotesi in cui si verifichi in fatto e in diritto che l'ente utilizzatore sia una articolazione organizzativa dell'ente concedente, tale peculiarità del rapporto di legame, sostiene la raffigurazione della utilizzazione diretta seppure per via di altro soggetto, dell'ente concedente e quindi, il diritto di godere della esenzione ex art. 7, lett. i), del dlgs n. 504/1992. Solo per quest'ultima ristretta fattispecie, la risoluzione n. 4 Df si manifesta in linea con l'interpretazione consolidata e pacifica dell'ambito applicativo della esenzione per gli enti non profit, mentre l'allargamento del documento di prassi ai soggetti non legati appare clamorosamente disallineato rispetto al diritto vivente e non convincente oltre che non nuovo nelle argomentazioni spese (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Controlli, Viminale out. Nessun potere sulle delibere degli enti locali. Contro le determinazioni del consiglio l'unico rimedio è fare ricorso.
Un consigliere comunale può richiedere l'intervento dell'amministrazione dell'interno avverso una delibera consiliare con la quale, al termine della procedura prevista dall'art. 69 del decreto legislativo n. 267/2000, è stata dichiarata sussistente un'ipotesi di incompatibilità nei confronti dell'interessato e, conseguentemente, è stata deliberata la decadenza dello stesso dal mandato?
In conformità al principio generale secondo cui ogni organo collegiale è tenuto a deliberare in merito alla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la verifica delle cause ostative all'espletamento del mandato è compiuta con la procedura consigliare prevista dall'art. 69 del decreto legislativo citato, che garantisce il contraddittorio tra organo e amministratore, assicurando a quest'ultimo l'esercizio del diritto alla difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa di incompatibilità contestata.
Pertanto, nel contesto istituzionale vigente, ferme restando le richieste direttamente rivolte al sindaco, non sussiste da parte dell'amministrazione invocata un potere di controllo sugli atti adottati dagli enti locali, né la possibilità di procedere al riesame avverso eventuali illegittimità lamentate dagli interessati.
Le determinazioni assunte dal consiglio comunale ai sensi dell'art. 69 del decreto 18.08.2000, n. 267, possono formare oggetto di ricorso davanti all'autorità giudiziaria a norma del comma 5 del citato articolo (cfr. Corte cost., sent. n. 377 del 20/11/2008) (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013).

ENTI LOCALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Non approvazione del rendiconto.
Sono applicabili a un comune che non ha approvato il rendiconto di gestione entro il 30.04.2012 le misure introdotte dall'art. 3, comma 1, del decreto legge 10.10.2012, n. 174?

Il decreto legge citato modifica l'art. 227 del decreto legislativo n. 267 del 18.08.2000, introducendo disposizioni finalizzate, tra l'altro, al riequilibrio della situazione finanziaria degli enti locali in difficoltà, allo scopo di assicurare una gestione amministrativo-contabile efficiente e trasparente, in un quadro generale che vede gli enti locali chiamati a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, al consolidamento dei conti e al rispetto del principio del pareggio di bilancio.
In tale ottica, la procedura di cui all'art. 141, comma 2, del dlgs 267/2000, relativa alla mancata approvazione del bilancio nei termini di legge, è stata estesa all'ipotesi di mancata approvazione del rendiconto di gestione entro il termine del 30 aprile dell'anno successivo alla chiusura del bilancio.
La misura in questione ha carattere sanzionatorio e innova una fattispecie che, in precedenza, non prevedeva la dissoluzione dell'ente nell'ipotesi di inadempimento dell'amministrazione. Tale disposizione, pertanto, non può disciplinare fatti giuridici antecedenti alla data di entrata in vigore del decreto legge citato in quanto è applicabile, con efficacia ex nunc, a decorrere dal prossimo anno, relativamente al rendiconto di gestione che dovrà essere approvato entro il 30.04.2013.
Pur tuttavia, l'ente dovrà adottare il rendiconto relativo all'esercizio 2011 con la massima urgenza, atteso che il termine di legge è ampiamente scaduto e che il documento contabile riveste assoluta rilevanza per dare dimostrazione del risultato contabile di gestione e di quello contabile di amministrazione, in termini di avanzo, pareggio o disavanzo.
Del resto, la dimostrazione dei predetti risultati rileva anche ai fini dell'adozione del provvedimento di salvaguardia degli equilibri di bilancio, ai sensi dell'art. 193 del decreto legislativo n. 267/2000, poiché in tale sede vanno adottati anche i provvedimenti per l'eventuale ripiano del disavanzo di amministrazione e, in termini generali, per rispettare la sequenza temporale degli atti di bilancio.
Nel caso di specie, pertanto, non sussistono le condizioni per l'applicazione della misura dissolutoria nei confronti dell'amministrazione comunale.
Restano comunque ferme le disposizioni di cui all'art. 6 del decreto legislativo 06.09.2011, n. 149, relative al procedimento sanzionatorio conseguente a pronunce delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, per comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazione degli obiettivi di finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri strutturali di bilancio dell'ente locale, in grado di provocarne il dissesto finanziario (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013).

CONDOMINIORiforme. Basta l'80% dei consensi. In condominio arrivano piscine e campi da calcio.
La riforma del condominio (legge 220/2012) ha stabilito, in tema di modificazioni delle destinazioni d'uso, che per soddisfare esigenze di interesse condominiale l'assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio, può modificare la destinazione d'uso delle parti comuni (è il nuovo articolo 1117-ter). Una maggioranza comunque difficile da ottenere.
In questi casi la convocazione dell'assemblea deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione. La convocazione dell'assemblea, a pena di nullità, deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso. La deliberazione deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti previsti.
Naturalmente la nuova normativa riguarda solo le modificazioni che siano legittime, che cioè corrispondono a esigenze di interesse condominiale. Non sono, quindi, consentite, se non all'unanimità, modifiche che siano finalizzate a soddisfare l'interesse particolare di un condomino o di un gruppo di condomini (Cassazione, sentenza n. 17397/2004). La nuova normativa non è –per esempio– applicabile alla trasformazione, anche solo parziale, del tetto dell'edificio in terrazza a uso esclusivo del singolo condomino (Cassazione, n. 5753/2007 e 24414/2006), Tra l'altro, il nuovo articolo 1117-ter stabilisce, altresì, che sono vietate le modificazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico.
Limiti, questi, già sanciti dall'articolo 1120 (rimasto in vigore) che aggiunge, riguardo alle innovazioni, che «non devono essere rese talune parti dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino». Non si può, quindi, condividere qualsiasi interpretazione di diversificazione dei limiti e delle preclusioni tra innovazioni e modifiche di destinazione d'uso.
E, venendo all'applicazione pratica della nuova norma, si possono configurare alcune ipotesi: ad esempio, installazione di una piscina, di un campo di tennis o di calcio nell'area comune, la modifica della destinazione pertinenziale dei locali adibiti ad alloggio del portiere, l'accorpamento di più edifici in un unico condominio.
Riguardo alla tutela delle destinazioni d'uso il nuovo articolo 1117-quater prevede che, nel caso di attività che incidano negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione anche mediante azioni giudiziarie. La nuova norma è solo ricognitiva di quanto è già presente nella prassi condominiale.
L'unica effettiva modifica riguarda la facoltà di convocazione dell'assemblea attribuita al singolo (e non più a due condomini con 166,66 millesimi). D'altra parte, la giurisprudenza è costante nell'affermare che ciascun condomino è legittimato ad agire in giudizio per la tutela del bene che interessa la generalità dei condomini (Cassazione, sentenze 10717/2011, 7300/2010 e 3900/2010) (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGOBuonuscita. Sotto esame la legge di stabilità. Tfs statali ancora alla Consulta.
DOPPIO AFFONDO/ Il Tribunale di Reggio Emilia contesta lo stop d'ufficio per la restituzione della trattenuta del 2,5% e il ritorno al vecchio regime.

La Corte costituzionale dovrà tornare a occuparsi dell'intricata vicenda sul Tfr degli statali, dopo aver cancellato per illegittimità con la sentenza 223/2012 il tentativo di "riforma" operato con la manovra estiva 2010.
A investirla del nuovo incarico è il giudice del lavoro del Tribunale di Reggio Emilia, che con l'ordinanza 05.03.2013 richiama in causa la Consulta in un ricorso avanzato da 25 dipendenti dello stesso tribunale assistiti dalla Confsal-Unsa (quarto sindacato nella Pa centrale).
Il problema nasce ancora una volta dalla "riforma" del 2010, che in realtà costituiva un tassello nel mosaico di interventi per tagliare i costi del lavoro pubblico, ma ne rappresenta un'evoluzione. Con il Dl 78/2010 fu equiparato il trattamento dei dipendenti in regime di Tfs (assunti prima del 2001) a quello dei dipendenti privati, con l'applicazione dell'aliquota del 6,91%. L'allineamento, però, fu parziale, perché non cancellò il prelievo del 2,5% sull'80% della retribuzione previsto per la vecchia buonuscita, creando di conseguenza una nuova disparità di trattamento.
Di qui la bocciatura costituzionale, a cui il Governo Monti ha cercato di rimediare prima con un decreto legge trasferito poi in tre commi nell'ultima legge di stabilità (articolo 1, commi 98-100 della legge 228/2012). Con quella norma, è stata ristabilita la situazione precedente, impedendo però il recupero delle trattenute effettuate nel periodo in cui ha operato la regola cancellata dalla Consulta e dichiarando estinti d'ufficio i ricorsi avanzati dai lavoratori per ottenere la restituzione.
Proprio da questo aspetto parte la questione di legittimità ora sollevata dal Tribunale, che vede il rischio di vanificare «il diritto del cittadino alla tutela» (articoli 3 e 24 della Costituzione) e un'interferenza della legge con le funzioni giudiziarie (articoli 101-103).
Ma il tribunale non si ferma qui: il ripristino tout court del vecchio regime, si legge nell'ordinanza, rideterminerebbe una disparità di trattamento fra i dipendenti privati (e gli assunti nella Pa dal 2001) e quelli pubblici; fra questi ultimi, poi, lo stop d'ufficio ai ricorsi aprirebbe un'ulteriore disparità fra chi ha fatto in tempo a vincere la causa per la restituzione della trattenuta prima della legge di stabilità 2012 e chi no (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.03.2013 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOParere funzione pubblica. Per la mobilità serve anche l'assenso della p.a. cedente.
Per dare il via libera alla mobilità da una pubblica amministrazione a un'altra è necessario un doppio consenso. Non solo, com'è ovvio, quello dell'ente che riceve il dipendente, ma è indispensabile anche quello della p.a. cedente.

Lo ha chiarito la Funzione pubblica nel
parere 01.03.2013 n. 10395 di prot..
Il ministero ha risposto a un quesito dell'Università Federico II di Napoli nient'affatto convinta della tesi, suffragata anche da alcune clausole contrattuali in materia, secondo cui l'amministrazione di appartenenza non potrebbe rifiutarsi di dare corso alla richiesta di trasferimento del proprio dipendente se questi ha trascorso 5 anni nella sede di prima destinazione.
Palazzo Vidoni ha fatto notare come la riforma Brunetta (dlgs 150/2009) abbia rafforzato le prerogative dei dirigenti pubblici, a cui spettano «i poteri del datore di lavoro pubblico nella gestione delle risorse umane». E ciò è avvenuto anche attraverso il riconoscimento in capo allo stesso della competenza sull'istituto della mobilità individuale «secondo criteri oggettivi finalizzati ad assicurare la trasparenza delle scelte operate».
In questo modo, precisa la nota, «è stata formalizzata la buona prassi amministrativa di richiedere preventivamente il parere dei dirigenti degli uffici interessati nelle varie ipotesi di diversa allocazione funzionale dei dipendenti assegnati» (articolo ItaliaOggi del 07.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGOVerso il Cdm. Domani l'esame del Governo sul «Codice di comportamento dei dipendenti».
Tetto ai regali nella «Pa». Il limite fissato a 100-150 euro - Niente doni ai capi dai sottoposti.
SEMAFORO ROSSO/ Stop all'uso di auto blu, telefoni o internet di Stato per motivi personali Astensione dalle decisioni per conflitto di interessi.

Niente regali o graziosi sconti fino a 100 euro, al massimo fino a 150 se l'amministrazione sarà generosa. E niente cadeaux ai capi dai sottoposti, anche tramite loro parenti entro il secondo grado. Pena il licenziamento. E stop all'uso di auto blu, telefoni o internet di Stato a sbafo per motivi personali. Ma anche conflitti d'interesse nel mirino e bocche cucite a prova di insider sulle informazioni d'ufficio. Scatta la stretta anti-corruzione (e anti-spreco) per 3,3 milioni di travet. Una vita a dieta, per chi sgarra, è in arrivo con il «Codice di comportamento dei dipendenti pubblici» che, sotto forma di Dpr, sbarca domani in Consiglio dei ministri.
Vita più dura per chi lavora nella Pa, insomma, ma anche per tutti i consulenti e collaboratori della pubblica amministrazione. Compresi i collaboratori degli uffici di ministri, vice ministri, sottosegretari, assessori e politici un genere che hanno le mani in pasta nella cosa pubblica. Il tutto in 17 articoli di un provvedimento che, dopo l'intesa con enti locali e Regioni, ha incassato anche il via libera del Consiglio di Stato, dando così attuazione alla legge (la 190 del 2012) sull'anticorruzione, che a questo punto dà forma generalizzata ai Codici già esistenti. Ma irrobustendoli, rendendoli più severi e più stringenti.
La nuova puntata della lotta alla corruzione che il Governo uscente dei professori ha significativamente deciso di varare proprio in questa fase di difficilissimi equilibri politici per la formazione del nuovo Esecutivo, si arricchisce insomma di nuovi contenuti. L'inserimento tra i destinatari del «Codice» dei consulenti degli organi politici e dei collaboratori o consulenti della Pa e dei suoi fornitori, a qualsiasi titolo, è uno degli esempi più significativi delle novità dell'ultima ora.
Intanto i principi generali. A partire dal dovere di osservare la Costituzione e di «servire lo Stato» con «disciplina e onore». E così «integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza», saranno la stella polare. Su su, fino ai dirigenti e ai maxi burocrati. Il dipendente pubblico sopra ogni sospetto, dovrà astenersi dal partecipare a decisioni «in caso di conflitto d'interessi» che lo riguardino, e che andranno sempre comunicati all'amministrazione. Mentre la lotta all'insider diventa regola: «Il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni d'ufficio». E ancora: «Evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione». Della quale, per inciso, in pubblico non dovrà mai dir male. Rispettando i diritti del cittadino, la priorità delle pratiche, sesso, razze, religione o meno, appartenenza politica, condizioni sociali e di salute.
Col capitolo «regali, compensi e altre utilità» si entra nel vivo degli usi (quando ci sono) da mettere all'indice. E così: «Il dipendente non chiede, per sé o per altri, regali o altre utilità». Non li chiede, né li «accetta», ovviamente. Fatti salvi «quelli d'uso di modico valore effettuati occasionalmente nell'ambito delle normali relazioni di cortesia». Se ricevuti vanno consegnati all'amministrazione, che li restituirà. E per «modico valore», chiarisce il Dpr, si intendono regali e «altre utilità» che «in via orientativa» valgono fino a 100 euro «anche sotto forma di sconto». Che i piani di prevenzione anti-corruzione delle amministrazioni, potranno abbassare anche sotto i 100 euro. O andare oltre: «Al massimo non superiore a 150 euro».
In ogni caso i regali oltre il «modico valore» legati ad attività d'ufficio, non potranno essere accettati o sollecitati neppure sotto forma di sconti o buoni acquisto. Anche da un «subordinato» (coniuge, convivente, parenti e affini fino al secondo grado inclusi), né i doni proibiti potranno esser fatti al capo, al suo coniuge o convivente. E questo varrà a maggior ragione anche per gli alti burocrati, che avranno un altro dovere: informare l'amministrazione della partecipazioni azionarie e di altri interessi finanziari che possano configurare conflitti d'interesse col suo lavoro, anche per parenti e affini fino al secondo grado. Tutto alla luce del sole, si spera: perfino la dichiarazione dei redditi (articolo Il Sole 24 Ore del 07.03.2013 - link a www.corteconti.it).

CONDOMINIORiforme da correggere. Una svista del legislatore rende necessario intervenire prima del 18 giugno.
Condominio, disabili penalizzati. Le nuove maggioranze rendono difficile eliminare le barriere.

Una delle conseguenze più imprevedibili (e probabilmente neppure davvero voluta dal legislatore) della riforma della disciplina sul condominio contenuta nella legge 220/2012 –che entrerà in vigore il 18 giugno– è l'elevazione della maggioranza prevista dall'attuale normativa per deliberare le innovazioni dirette a eliminare le barriere architettoniche negli edifici privati.
Si tratta di una previsione che di sicuro non trova alcuna valida giustificazione, eppure l'articolo 27 della legge di riforma modifica l'articolo 2, comma 1, della legge 09.01.1989, n. 13 e stabilisce, con un rinvio al nuovo comma 2 dell'articolo 1120 del Codice civile (il quale a sua volta, rinvia al secondo comma dell'articolo 1136), che l'assemblea condominiale delibera le innovazioni relative all'abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. Invece l'originario (e ancora in vigore fino al 18 giugno) testo dell'articolo 2, comma 1, della legge 13/1989 ha consentito finora di approvare queste delibere, purché adottate in un'assemblea di seconda convocazione, con un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio.
Se anche l'obiettivo fosse stato quello di rendere la maggioranza per eliminare le barriere architettoniche più omogenea a quelle previste da altre similari leggi speciali, come l'articolo 26 della legge 10/1991 sul risparmio energetico e l'articolo 2-bis, comma 13, della legge 66/2001 sugli impianti di radiodiffusione satellitare, questa non sembra proprio una valida ragione per elevare una maggioranza "agevolata" che risponde a una esigenza sociale e a un principio costituzionale, come è stato evidenziato dalle più recenti sentenze emesse dalla Corte di cassazione sull'argomento.
Infatti, con la sentenza n. 18334/2012 la Cassazione ha affermato che in generale i rapporti fra condomini devono essere informati al principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi, e che quindi il principio di solidarietà condominiale trova applicazione, a maggior ragione, per la tutela dei diritti fondamentali dei disabili.
Con la precedente sentenza n. 2156/2012, relativa alla costruzione di un ascensore nella tromba delle scale con riduzione dei gradini, la Cassazione ha stabilito che nell'ambito della valutazione comparativa delle opposte esigenze (da un parte dei portatori di handicap a installare l'ascensore e dall'altra dei condomini a continuare a fruire nella sua interezza della scala, che viene ristretta senza però diventare inservibile), deve prevalere la prima, in conformità ai principi costituzionali della tutela della salute (articolo 32 della Costituzione) e della funzione sociale della proprietà (articolo 42).
Stando così le cose, non si comprende allora il motivo per cui il legislatore della riforma ha deciso di elevare l'attuale maggioranza proprio in un settore che coinvolge interessi talmente delicati e importanti.
Dovendo la nuova disciplina entrare in vigore fra poco più di tre mesi è allora auspicabile che la maggioranza sulle barriere architettoniche venga riportata al suo testo originario prima di quella data.
---------------
01 | CORREGGERE È NECESSARIO
La riforma del condominio è a 100 giorni dall'entrata in vigore (prevista per il 18 giugno) e ormai è stata passata al microscopio da uffici studi ed esperti delle associazioni, studiosi, magistrati e avvocati. Le criticità sono emerse e insieme a esse la necessità di intervenire prima dell'entrata in vigore, per evitare il rischio che la riforma parte zoppa
02 | LA MOSSA VINCENTE
Per questo Il Sole 24 Ore ha lanciato l'iniziativa di «correggere la riforma», approfittando del periodo di "vacanza" di sei mesi concesso dalla norma (la legge 220/2012). Hanno risposto praticamente tutte le associazioni di condomini e amministratori e gli ordini interessati: Agiai, Alac, Anaci, Anaip, Anammi, Anapi, Apac, Arpe-Federproprietà, Assocond, Asppi, Assoedilizia-Confedilizia, Confabitare, Fna, Gesticond, Ordine degli avvocati di Milano, Unai e Uppi
03 | I PASSAGGI
Il primo passo è già stato fatto: l'iniziativa del Sole 24 Ore ha raccolto le adesioni del settore che, su invito del giornale, hanno già inviato le loro proposte di modifica. Compito del Sole è ora quello di elaborarle in un testo di modifica normativa agile e che risolva i problemi maggiori, quelli che davvero potrebbero impedire il decollo della riforma. Il testo sarà condiviso da tutte le associazioni e verrà presentato in maggio al nuovo Governo.
La presentazione
L'idea di «correggere la riforma del condominio» è maturata negli scorsi mesi e ieri è stata lanciata sulle pagine del Sole 24 Ore. I passaggi dell'iniziativa (illustrati qui accanto) prevedono alla fine un convegno, organizzato dal Sole 24 Ore, nel quale verrà presentato il disegno di legge, risultato degli sforzi collettivi del giornale e delle associazioni del settore (articolo Il Sole 24 Ore del 07.03.2013).

CONDOMINIOLe novità da salvare. Spazi più ampi per le iniziative dei singoli proprietari.
Impianti individuali nelle parti comuni.

Via libera per il singolo condomino o anche a un gruppo di loro all'installazione su parti comuni condominiali di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva (le paraboliche) e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informatico, anche da satellite o via cavo.
Anche se la recente normativa favorisce espressamente la centralizzazione degli impianti di ricezione, non è certo impedito al singolo condomino di continuare ad avvalersi di una antenna individuale o di installarne una nuova: si tratta del principio di libera manifestazione del pensiero con ogni mezzo di diffusione previsto dalla Costituzione (articolo 21). Solo un regolamento condominiale di natura contrattuale può limitare tale facoltà.
Il nuovo articolo 1122-bis prevede anche la facoltà per il condomino di installare impianti di energia da fonti rinnovabili ad uso esclusivo su lastrici o su altra idonea superficie comune (si veda il Sole 24 Ore di ieri).
Tutti questi interventi, se rispettosi dei divieti di cui si è detto, possono essere eseguiti dal condomino senza necessità di preventiva autorizzazione da parte dell'assemblea e solo semmai sotto il suo vigile controllo. Attenzione però, perché se l'installazione dei nuovi impianti comportano delle modificazioni delle parti comuni, allora l'interessato ha l'obbligo di indicare all'amministratore il contenuto specifico degli interventi e le modalità con cui vuole porli in essere.
A questo punto l'assemblea, dopo aver preso atto delle modifiche che il condomino vuole apportare alle parti comuni, può prescrivere soluzioni alternative di esecuzione e imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico. La relativa delibera deve essere assunta con l'elevata maggioranza di cui al quinto comma dell'articolo 1136 del Codice civile, cioè con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea portatori di almeno e due terzi dei millesimi. La pratica condominiale insegna però che simili maggioranze sono difficilmente raggiungibili in assemblea, quindi al condomino resterà solo l'obbligo del rispetto dei più generali limiti impostigli dall'articolo 1102 in tema di uso particolare delle parti comuni (articolo Il Sole 24 Ore del 07.03.2013).

LAVORI PUBBLICIDecreto ministeriale. La mancata comunicazione da parte degli enti determinerà il blocco dei finanziamenti.
Monitoraggio a tappeto per le opere pubbliche.

Le amministrazioni pubbliche e le società partecipate devono rilevare e trasmettere al sistema di monitoraggio nazionale presso il Cipe un'ampia serie di informazioni inerenti la realizzazione di lavori finanziati da risorse pubbliche.
Il decreto del ministro dell'Economia 26.02.2013 ridefinisce i flussi informativi e i relativi adempimenti collegati al Cup, finalizzati a tracciare le varie fasi di sviluppo delle opere pubbliche.
La rilevazione è effettuata con le nuove modalità in attuazione del Dlgs 229/2011 (che ha riorganizzato il sistema di monitoraggio che fa leva sul codice unico di progetto) e si riferisce alle opere pubbliche in corso di progettazione o di realizzazione alla data del 21.02.2012.
Il decreto individua il dettaglio dei dati anagrafici, finanziari, fisici e procedurali concernenti la realizzazione di lavori pubblici destinatari di finanziamenti e di agevolazioni a carico del bilancio dello Stato. Questo profilo applicativo potrebbe determinare la possibilità di ricomprendere nel novero delle opere anche quelle di urbanizzazione (principalmente secondaria) realizzate a scomputo dai soggetti attuatori di piani urbanistici.
Il dato principale per la rilevazione è sempre il Cup, ma nella comunicazione devono essere precisate anche le informazioni descrittive delle intese istituzionali o degli strumenti attuativi nell'ambito dei quali sono realizzate le opere. Le amministrazioni devono precisare anche se il progetto genera entrate, nonché un'ampia serie di elementi descrittivi dei finanziamenti pubblici e la segnalazione di eventuali cofinanziatori privati. Un aspetto molto interessante della schedatura è individuabile nella dettagliata descrizione del monitoraggio dei pagamenti. Le amministrazioni, inoltre, sono tenute a fornire elementi di riscontro relativi a indicatori di realizzazione fisica del progetto e occupazionali.
Il Dm delinea il suo ambito applicativo non solo con riguardo alle amministrazioni pubbliche (peraltro secondo l'ampio quadro di riferimento della legge di contabilità pubblica), ma anche alle società da esse partecipate a qualsiasi livello. La rilevazione dei dati deve essere effettuata quattro volte all'anno, ma per il 2013 vale una deroga che consente di concretizzare la prima operazione entro il 30 giugno. La periodicità dei riscontri può essere comunque aumentata per consentire l'ottimizzazione con altre linee di rilevazione di informazioni settoriali.
Gli enti di minori dimensioni potranno fruire dell'ausilio della ragioneria generale dello Stato, qualora non riuscissero nella fase iniziale a raccogliere i dati con i propri sistemi. La comunicazione dei dati relativi al monitoraggio dello stato di realizzazione delle opere pubbliche costituisce presupposto fondamentale per l'erogazione del finanziamento: qualora non sia effettuata, la diretta conseguenza è il blocco dello stesso (articolo Il Sole 24 Ore del 07.03.2013 - link a www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICIL'Authority contratti boccia le nuove prassi per la promozione dell'opera. Illegittimo aggiudicare l'appalto valutando anche il co-marketing.
Illegittimo aggiudicare un appalto valutando anche il cosiddetto “co-marketing” nell'ambito delle offerte tecnico-economiche; si tratta di elemento non attinente alle caratteristiche dell'appalto che non può essere oggetto di valutazione ai fini dell'affidamento del contratto.

E' quanto afferma l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con il parere di precontenzioso 13.02.2013 n. 11 (prec. 222/12/L, ancora non pubblicato sul sito www.avcp.it), in accoglimento dell'istanza presentata da Ance Sicilia.
Si tratta della prima pronuncia relativa ad una innovativa prassi di valutazione delle offerte posta in essere da alcune amministrazioni locali nell'ambito della valutazione tramite il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Il caso specifico riguardava un appalto di lavori di riqualificazione urbana con importo a base d'asta di 1,052 milioni per l'aggiudicazione del quale si prevedeva anche l'attribuzione di un punteggio all'offerta in aumento sull'importo da versare al Comune per installare spazi pubblicitari sui luoghi oggetto dell'intervento, per promuovere le opere oggetto dell'appalto (sotto questo profilo si parla di “co-marketing”).
L'anomalia segnalata all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici consisteva nel fatto che al vero e proprio ribasso sul prezzo posto a base di gara si attribuiva un punteggio ben più basso (15 punti su 100) rispetto a quello attribuito all'elemento concernente il “co-marketing” (inizialmente fissato a 50/100 e poi ridotto a 20/100) e, soprattutto che si trattava di un elemento di valutazione non coerente rispetto al quadro di riferimento nazionale e comunitario, che privilegia valutazioni tese a garantire la qualità dell'offerta dell'impresa, e in contrasto con quanto previsto nella determinazione 7/2011 dell'organismo di vigilanza.
L'Autorità di via di Ripetta (relatore Giuseppe Borgia) ha in primo luogo ritenuto inammissibile questo “discriminante criterio” di valutazione delle offerte e poi ha aggiunto che “non è dato evincere alcuna specifica attinenza tra il criterio in esame e le caratteristiche dell'appalto”.
Inoltre è stato rilevato che “la semplice ricorrenza del profilo di interesse pubblico, espressamente riconnesso al valore culturale degli spazi interessati dai lavori, non è tale da giustificare l'inserimento del contestato criterio di valutazione dell'offerta appunto perché non attinente alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche dell'appalto, volto alla riqualificazione dell'area attraverso l'esecuzione di un complessivo intervento di trasformazione, al fine di migliorarne la fruibilità, che non comprende anche la sua valorizzazione pubblicitaria e commerciale”.
Nel capitolato era previsto, in particolare, che gli impianti pubblicitari realizzati dalla stazione appaltante sarebbero stati concessi per 12 mesi e affidati all'aggiudicatario dell'appalto per azioni di co-marketing e che il corrispettivo sarebbe comunque e sempre dovuto alla stazione appaltante anche in caso di mancato utilizzo degli impianti pubblicitari (in sostanza l'appaltatore si sarebbe accollato il “rischio di domanda”) (articolo ItaliaOggi del 06.03.2013 - link a www.corteconti.it).

APPALTI:  RESPONSABILITÀ APPALTI/ Semplificazione, passi avanti con la circolare 2/E. Versamenti asseverati a tentoni. Professionisti, l'unico riferimento il visto sui crediti Iva.
Nell'asseverazione della regolarità dei versamenti nell'ambito della disciplina sulla responsabilità fiscale negli appalti, professionisti senza certezze.
Manca una disciplina organica per le modalità di esecuzione delle verifiche, dovendo necessariamente far riferimento, per quanto compatibili e adattandole, alle modalità di verifica dei dati utilizzati in sede di rilascio del visto di conformità del credito Iva.

L'Agenzia delle entrate, con la circolare n. 2/E di venerdì scorso (si veda ItaliaOggi del 2 e del 5 marzo), ha fatto passi avanti nella semplificazione degli adempimenti, ma servono ancora numerose indicazioni per poter applicare senza affanni (e senza rischi) la disciplina introdotta dall'art. 13-ter, dl n. 83/2012, sulla solidarietà fiscale nell'ambito dei contratti di appalto.
Passando in rassegna le problematiche ancora aperte si segnala, innanzitutto, quella relativa alla sanzione posta a carico del committente che varia da euro 5 mila a euro 200 mila; sul punto, non è stata indicata alcuna modulazione, ma si ritiene che la stessa sanzione si renda applicabile soltanto nel caso in cui sia riscontrato l'effettivo inadempimento tributario in capo ai soggetti obbligati, tenendo conto della gravità dell'omissione e della ripetitività dell'inadempimento.
Si ritiene che, essendo la sanzione non commisurata alla somma oggetto dell'inadempimento, in presenza di violazioni concernenti importi contenuti, la sanzione applicabile sia quella minima, ma non indifferente, pari a 5 mila euro.
Né la circolare n. 40/E/2012, né quella in commento (n. 2/E/2013) hanno speso più di qualche riga per fissare la disciplina dell'eventuale asseverazione; nel primo documento di prassi richiamato, in effetti, l'Agenzia delle entrate aveva precisato che la certificazione sulla regolarità dei versamenti effettuati dall'appaltatore o dal sub-appaltatore poteva essere rilasciata, oltre che con una dichiarazione sostitutiva, attraverso un'asseverazione resa dai responsabili dei Caf o da professionisti abilitati (dottori commercialisti, consulenti del lavoro e quant'altro).
Sul punto, in assenza di un modello ad hoc, nell'asseverazione si ritiene opportuno indicare, alla stessa stregua di quanto previsto per la dichiarazione sostitutiva, l'applicazione dell'inversione contabile o dell'Iva per cassa, gli estremi delle deleghe «F24», in caso di debito da liquidazione periodica dell'Iva, l'indicazione del periodo nel quale le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente sono state versate, con l'indicazione degli estremi delle deleghe e l'attestazione che detti versamenti sono riferibili al contratto (o ai contratti) per il quale l'asseverazione si rende necessaria.
Permangono perplessità, inoltre, sull'eventuale presenza di contratti verbali, ai fini della relativa dimostrabilità degli stessi, ma si nutre ulteriormente perplessità che, per i casi soggetti alla disciplina, si sia in assenza di contratti redatti in forma scritta, anche per cautelare le parti dalle rispettive inadempienze, soprattutto quando l'entità delle prestazioni sono di una certa consistenza.
Si nutrono, inoltre, perplessità sulla esclusione dalla disciplina di determinate tipologie, come le prestazioni d'opera; se chiara e scontata appare l'esclusione delle prestazioni intellettuali (commercialista, avvocato, ingegnere e quant'altro), non altrettanta chiara è l'esclusione di taluni soggetti, come gli artigiani.
È proprio la delimitazione organizzativa (l'assenza dell'organizzazione di mezzi) che crea perplessità non potendo sic et simpliciter escludere dall'applicazione tutti gli artigiani, per esempio, inseriti nel relativo albo, posto che all'interno vi sono operatori che operano con utilizzo minimo di mezzi e risorse, ma anche società a responsabilità limitata, nelle quali i soci prestano la propria opera.
Pertanto, al fine di evitare possibili contenziosi (e sanzioni), è consigliabile che anche i prestatori d'opera, potenzialmente esclusi ma con un minimo di organizzazione, rilascino l'attestazione; soluzione che permetterà, inoltre, di incassare il corrispettivo (articolo ItaliaOggi del 06.03.2013).

LAVORI PUBBLICIIn G.U. il dm attuativo del dlgs 299/2011. Adempimenti necessari per i finanziamenti. Appalti trasparenti o stop soldi. Tutte le informazioni vanno alla banca dati delle p.a..
Appalti trasparenti o stop ai finanziamenti pubblici. Con il decreto del mineconomia 26.02.2013, pubblicato sulla G.U. n. 54 di ieri, si dà attuazione dell'art. 5 del decreto legislativo 29.12.2011, n. 229, individuando le informazioni che le amministrazioni e i soggetti aggiudicatori sono tenute a detenere e a comunicare alla banca dati delle amministrazioni pubbliche.
Le informazioni, riassunte in una scheda, sono le più varie, e vanno dall'indicazione delle fonti di finanziamento dell'opera (compreso il codice fiscale del cofinanziatore privato) ai ribassi d'asta registrati, dai pagamenti effettuati dalle amministrazioni aggiudicatrici alle imprese che attuano il progetto allo stato di avanzamento dell'opera «misurato» passo passo. Ma rientrano anche le informazioni sull'occupazione creata e quelle più generali su tutti i soggetti collegati al progetto a vario titolo: chi sono, cosa fanno, dimensioni, addetti, rappresentante legale ecc. In sostanza un'operazione trasparenza necessaria anche per monitorare l'andamento delle opere pubbliche e il cui mancato rispetto avrà conseguenze pesanti per gli operatori.
Il decreto dell'Economia, infatti, prevede che «l'adempimento degli obblighi di comunicazione (_) è un presupposto del relativo finanziamento a carico del bilancio dello stato, verificato all'atto della sua erogazione dai competenti uffici preposti al controllo di regolarità amministrativa e contabile». In altre parole, se manca la comunicazione, che è tutta imperniata sul Codice identificativo di gara (Cig) e sul Codice unico di progetto (Cup), il finanziamento viene meno. Le disposizioni del decreto si applicano alle amministrazioni pubbliche ma anche ai soggetti diversi destinatari di finanziamenti e agevolazioni a carico del bilancio dello stato finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche. Oggetto di rilevazione saranno le opere pubbliche in corso di progettazione o realizzazione alla data del 21.02.2012, nonché quelle avviate successivamente.
Per quanto riguarda la tempistica, le amministrazioni e i soggetti aggiudicatori rilevano le informazioni riferite allo stato di attuazione delle opere alle date del 28 febbraio, del 30 aprile, del 30 giugno, del 31 agosto, del 31 ottobre e del 31 dicembre di ciascun anno e le rendono disponibili alla banca dati delle amministrazioni pubbliche entro i 30 giorni successivi. In questa fase iniziale, la rilevazione riguarderà lo stato delle opere al 30 giugno e l'invio dovrà avvenire tra il 30.09.2013 e il 20.10.2013 (articolo ItaliaOggi del 06.03.2013 - link a www.corteconti.it).

CONDOMINIOLe nuove regole. L'entrata in vigore il 18 giugno consente al Parlamento di evitare che la norma arrivi «zoppa» al traguardo.
Condominio, riforma da rivedere. Va risolto il caso delle due maggioranze su opere per il risparmio energetico.
Nella riforma del condominio sono tante le cose da cambiare (si veda la scheda qui a fianco) ma tra le sviste del legislatore sull'uso più o meno inteso delle parti comuni una è decisamente vistosa: alcune modifiche al Codice civile ora risultano in aperto contrasto con altri articoli dello stesso Codice che non sono stati toccati dalla riforma. In particolare, il nuovo articolo 1120, comma 2, punto 2, prevede che le innovazioni aventi a oggetto opere e interventi volti al contenimento del consumo energetico, quali la produzione di energia attraverso l'uso di fonti rinnovabili, da parte del condominio o di terzi, sul lastrico solare o su altra idonea superficie comune, sono disposte con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136: la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
Ma lo stesso legislatore è intervenuto a modificare l'articolo 26, comma 2, della legge 10/1991, che prevede, per gli stessi interventi, una maggioranza meno qualificata: quella degli intervenuti, che rappresenti un terzo del valore dell'edificio. Questa discrepanza così marcata potrebbe essere giustificata dal fatto che nel secondo caso la delibera condominiale si fonderebbe su un preventivo attestato di certificazione energetica o, comunque, su una diagnosi energetica che consentirebbe ai condomini di effettuare una scelta più precisa e ponderata. Va anche detto che in un caso, quello dell'installazione della termoregolazione, usando l'articolo 26 (nuovo comma 5) diventa possibile anche l'indispensabile variazione della ripartizione delle spese, questa volta con la maggioranza del 1120, comma 2. In ogni caso la mancanza di coordinamento rischia fortemente di ampliare i contrasti già esistenti in condominio.
Ma non è finita qui. Il nuovo articolo 1122-bis del Codice civile consente l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, a servizio di singoli proprietari, sul lastrico solare e su ogni altra idonea superficie comune, oltre che, naturalmente sulle parti di proprietà esclusiva dell'interessato senza alcuna preventiva delibera assembleare al riguardo. Solo qualora detti interventi vadano a modificare delle parti comuni, l'interessato è tenuto a darne comunicazione all'amministratore, indicando le opere che intende eseguire e le relative modalità di esecuzione delle stesse.
Le differenze sono evidenti. Tutto si gioca sulle parole "innovazione" e "modifica" delle parti comuni, termini tra i quali il confine rimane molto labile, soprattutto perché il legislatore afferma nell'articolo 1120 che questi interventi siano di natura innovativa per poi, nell'articolo 1122-bis, ritenere che queste opere, qualora siano nell'interesse di un singolo proprietario, possano semmai apportare delle modifiche alle parti comuni. Ma come contemperare questa norma, che necessariamente prevede un uso della parte comune a proprio esclusivo vantaggio (i pannelli solari, si sa, occupano buona parte del tetto), con l'ultimo comma degli articoli 1120 e 1102, rimasti invariati? In particolare l'articolo 1120, ultimo comma, vieta di rendere «talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino» e l'articolo 1102 stabilisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non impedisca agli altri di farne parimenti uso. Tutto ciò è ovviamente impraticabile: l'installazione a favore di un singolo condomino di un impianto a pannelli solari sul tetto o sul lastrico condominiale finirà inevitabilmente con il compromettere pari uso di questa parte comune da parte di altro comproprietario.
----------------
I temi più discussi
01|L'AMMINISTRATORE
L'amministratore dovrà avere un diploma delle superiori, la polizza Rc professionale e aver seguito un corso di formazione iniziale e quelli periodici. Ma, se ha già svolto questa funzione per almeno un anno nell'ultimo triennio, potrà fare a meno di diploma e corso di formazione iniziale. Se poi è uno dei condòmini, evita anche la Rc professionale e la formazione periodica. Tra i nuovi obblighi dell'amministratore c'è quello di chiedere il decreto ingiuntivo per i morosi, entro sei mesi dal consuntivo in cui sia indicata la spesa, e di redigere una contabilità trasparente, con registro di contabilità, riepilogo finanziario e nota esplicativa della gestione. I condòmini potranno verificare i giustificativi di spesa in ogni momento
02|LE DESTINAZIONI D'USO
La possibilità di «modificare» la destinazione d'uso delle parti comuni è una delle novità principali e apre la strada alla costruzione di box nel giardino o all'installazione di impianti di cogenerazione nei locali comuni. Ci vorrà l'80% dei condòmini e dei millesimi
03|I NUOVI IMPIANTI
Per decidere l'installazione di impianti (sull'intero edificio) di fonti rinnovabili, ricezione televisiva, videosorveglianza o per qualunque flusso informativo, occorre il consenso della maggioranza degli intervenuti all'assemblea, con almeno 500 millesimi. Gli impianti individuali sono sempre leciti, salvo il «decoro architettonico»
04|IL «DISTACCO»
Sancito per legge il diritto al «distacco» dal riscaldamento centralizzato, ma solo se non emergono notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini
05|ANIMALI
Non sarà più possibile vietare la detenzione di animali domestici con i regolamenti condominiali votati in assemblea
06|SCALE E ASCENSORI
Per scale e ascensori la suddivisione delle spese sarà calcolata solo per metà in base al valore millesimale e per l'altra metà esclusivamente in base al piano in cui si abita
07|IN ASSEMBLEA
Per l'assemblea in seconda convocazione ora ci vogliono almeno un terzo dei condòmini e dei millesimi, mentre prima questo minimo era richiesto solo per le delibere. Le impugnazioni delle delibere possono essere fatte solo dai condòmini assenti, dissenzienti o astenuti (articolo Il Sole 24 Ore del 06.03.2013).

PUBBLICO IMPIEGOLavoro. La Cassazione: legittimo il licenziamento del dipendente assente che aveva scelto di andare a caccia.
In malattia obblighi rigidi. Giusto il recesso se si svolgono attività che ritardano la guarigione.
ANALISI PREVENTIVA/ La valutazione sulla gravità dell'inadempimento va svolta in via preventiva e non serve un effettivo aggravamento dello stato di salute.

È legittimo il licenziamento del lavoratore che, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia, va a caccia con gli amici. E questo perché tale attività, per le modalità con cui si svolge, è incompatibile con la patologia (mal di schiena) dichiarata per giustificare l'assenza dal lavoro.
È questa la conclusione cui giunge la Corte di Cassazione con la sentenza 22.02.2013 n. 4559, che rinforza un orientamento già noto in sede di legittimità.
Non è raro che un lavoratore, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia, venga scoperto a svolgere attività poco compatibili con lo stato patologico denunciato. In questi casi, il datore di lavoro si trova di fronte a due strade: provare a mettere in dubbio la veridicità della malattia, oppure contestare al dipendente la condotta imprudente, che compromette la guarigione.
La prima strada è troppo complessa, perché passa per una complicata contestazione delle certificazioni mediche prodotte dal dipendente, e quindi nei casi di questi tipo l'azienda si orienta sempre verso la contestazione della condotta negligente. Questa scelta è stata fatta dal datore di lavoro anche nel caso deciso dalla Corte con la sentenza prima ricordata; un lavoratore è stato licenziato perché si è assentato dal posto di lavoro per il riacutizzarsi di un episodio di lombalgia, ma durante i giorni di cura è andato, per ben due giorni, a caccia in una valle del Trentino.
Durante le battute di caccia, il dipendente è rimasto per molto tempo appostato in un apposito gabbiotto, esponendosi a un alto tasso di umidità, e tenendo una postura inadatta alla patologia denunciata.
La Suprema corte ha giudicato valido il licenziamento, spiegando che il lavoratore assente da proprio domicilio durante il periodo di malattia può essere licenziato se il suo comportamento determina una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.
La valutazione circa la gravità dell'inadempimento del lavoratore deve essere compiuta in via preventiva, nel senso che non deve effettivamente esserci un effettivo aggravamento delle sue condizioni; è sufficiente che l'attività svolta dal dipendente abbia messo a repentaglio la possibilità di guarigione tempestiva.
La pronuncia conferma quanto sostenuto in decisioni precedenti (ad esempio, nelle sentenze 10706/2008 e 9474/2009), con le quali già la Corte aveva chiarito che lo svolgimento di altra attività da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a giustificare il licenziamento se l'attività espletata costituisce indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.
--------------
MASSIMA
L'assenza dal domicilio per lo svolgimento di attività lavorativa o di altro genere del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, secondo una valutazione da compiere ex ante, non solo allorché tale attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, ma anche nell'ipotesi in cui la medesima attività possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio.
La valutazione sulla natura pregiudizievole di tale attività, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui dall'esame del ragionamento del giudice del merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, oppure un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate - Corte di Cassazione, sentenza 4559/2013 (articolo Il Sole 24 Ore del 06.03.2013).

APPALTII riflessi dei chiarimenti dell'Agenzia delle entrate. Contratti d'opera esenti. Non si applica la responsabilità solidale.
Ai contratti d'opera non si applica la corresponsabilità tributaria prevista nel caso di appalto e sub appalto. È necessaria l'analisi della singola fattispecie per poter qualificare il contratto. La bussola per decidere è fornita dal codice civile.

Sono le riflessioni che scaturiscono dalla circolare 2/E del 2013 dell'Agenzia delle entrata (si veda ItaliaOggi del 2 marzo scorso) che ha previsto che la disciplina in tema di responsabilità tributaria in presenza di contratti di appalto e sub appalto non si applica a una serie di figure contrattuali affini tra cui il contratto d'opera.
Esso è definito dall'art. 2222 cc come quello in cui «una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente». Il successivo art. 2223 prevede anche che tale qualificazione giuridica del rapporto è confermata «anche se la materia è fornita dal prestatore d'opera, purché le parti non abbiano avuto prevalentemente in considerazione la materia, nel qual caso si applicano le norme sulla vendita». L'appalto è invece definito dall'art. 1655 come quel contratto «col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro».
Inoltre la materia necessaria a compiere l'opera deve essere fornita dall'appaltatore. Il vero elemento distintivo tra contratto d'opera e appalto è la prevalenza o meno dell'elemento personale rispetto a quello dell'organizzazione. Qualora l'impresa che assume l'incarico sia di dimensioni rilevanti e/o qualora il servizio richiesto necessiti oltre alle capacità personali dell'assuntore anche di una organizzazione d'impresa, sarà sempre più facile riconoscere un contratto di appalto invece che un contratto d'opera.
Ipotizziamo una serie di rapporti abituali quali per esempio quello dell'idraulico, dell'elettricista ecc. che svolgono la loro opera per l'appaltatore impresa edile. Se trattasi di imprenditori individuali sorge allora più di un dubbio che il rapporto possa qualificarsi di sub appalto, nonostante quello principale sia effettivamente di appalto, ma appare più coerente la qualificazione dello stesso come contratto d'opera. Ciò permetterebbe di escludere un gran numero di rapporti dalle nuove regole.
Ma a sostegno, oltre alla circolare 2/E nella parte in cui esprime la necessità di evitare «interpretazioni di tipo estensivo», si può anche richiamare la circolare 7/2007, che dovendo commentare un ambito oggettivo riferito anche in quel caso ai contratti di appalto ha ricompreso le prestazioni per interventi di manutenzione o ristrutturazione dell'edificio condominiale e degli impianti elettrici o idraulici, e anche per l'esecuzione di attività di pulizia, manutenzione di caldaie, ascensori, giardini, piscine e altre parti comuni dell'edificio.
Ma tale scelta derivava dal fatto che la norma ampliava in modo esplicito il suo ambito oggettivo anche ai compensi corrisposti a fronte di prestazioni occasionali «ossia rese nell'ambito di attività non abituali e verosimilmente in assenza di organizzazioni complesse e articolate». Nelle regole in commento tale estensione invece non è prevista dal testo letterale e quindi appare coerente disegnare l'ambito oggettivo in modo più limitato rispetto a quanto previsto dalla circolare 7 del 07.02.2007 (articolo ItaliaOggi del 05.03.2013 - link a www.corteconti.it).

TRIBUTIRisoluzione ministeriale amplia la portata dell'agevolazione per il non profit. Esenzione Imu a maglie larghe. Vale anche se il bene è dato in comodato ad altro ente.
L'esenzione dall'imposta municipale propria (Imu) opera anche se l'immobile posseduto da un ente non commerciale è concesso in comodato a un altro ente non commerciale per lo svolgimento di una delle attività meritevoli stabilite dalla legge. Si allargano, quindi, le maglie dell'esenzione Imu.

È questo l'innovativo principio stabilito dalla risoluzione 04.03.2013 n. 4/DF del dipartimento Finanze del Mef, che offre una rilettura della giurisprudenza che si era consolidata in materia di Ici sulle norme di esenzione inserite nell'art. 7, comma 1, lettera i), del dlgs 30 dicembre 1992, n. 504, che viene espressamente richiamato ai fini Imu dall'art. 9, comma 8, del dlgs 14.03.2011, n. 23.
Questa norma, che è stata «ritoccata» dall'art. 91-bis del dl 24.01.2012, n. 1, prevede l'esenzione dall'Imu per gli immobili «utilizzati» dagli enti non commerciali «destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della legge 20.05.1985, n. 222».
Sia la Corte costituzionale che la Cassazione hanno sempre sostenuto che l'esenzione può essere riconosciuta solo se l'immobile è «posseduto» dall'ente non commerciale ed «utilizzato» direttamente dallo stesso.
Più volte la Corte di cassazione ha affermato a chiare lettere che l'art. 7, comma 1, lettera i), del dlgs n. 504 del 1992 esige la duplice condizione dell'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore e dell'esclusività della loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. Logica conclusione è stata che l'esenzione non poteva essere riconosciuta nel caso di utilizzazione indiretta, ancorché assistita da finalità di pubblico interesse.
È stata proprio la Corte costituzionale con le ordinanze n. 429 del 19.12.2006 n. 19 del 26.01.2007 a ribadire tale concetto, pur pronunciandosi sull'art. 59, comma 1, lett. c), del dlgs 15.12.1997, n. 446, che non trova applicazione per l'Imu, giacché non è più espressamente richiamato dall'art. 14, comma 6, del dlgs n. 23 del 2011.
Bisogna tuttavia tener conto del fatto che la fattispecie oggetto di contenzioso costituzionale era ben diversa, poiché si riferiva ad un immobile che il soggetto passivo dava in locazione (e non in comodato) a un ente non commerciale che vi esercitava una delle attività agevolate. Detto soggetto, quindi, ritraeva un reddito dall'immobile, e questa circostanza, di fatto sintomatica di capacità contributiva, non è stata ritenuta idonea a giustificare l'attribuzione del beneficio fiscale.
Da tale assunto i tecnici del ministero arrivano ad affermare che nell'ipotesi in cui l'ente non commerciale concede l'immobile in comodato -che è essenzialmente gratuito- ad altro ente non commerciale, non ritraendo da tale concessione alcun reddito, può beneficiare dell'esenzione dall'Imu.
L'ente non commerciale concedente, in sostanza, si troverebbe nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se avesse utilizzato direttamente l'immobile per lo svolgimento di una delle attività meritevoli, beneficiando, quindi, dell'esenzione.
Come si legge nella risoluzione ministeriale «questa considerazione appare coerente con i principi ricavabili dalle citate pronunce sia della Corte costituzionale sia della Corte di cassazione proprio perché la concessione in comodato, che è un contratto essenzialmente gratuito, non costituisce, chiaramente, una manifestazione di ricchezza e di capacità economica che avrebbe, al contrario, giustificato un concreto apporto contributivo alla spesa pubblica e, quindi, l'imposizione ai fini Imu».
L'esenzione dall'Imu deve essere riconosciuta anche nell'ipotesi in cui l'immobile è concesso in comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell'ente concedente, per lo svolgimento di una delle attività agevolate.
Con la nuova interpretazione che esplora un campo mai affrontato dalla giurisprudenza di legittimità si allargano sicuramente le maglie dell'esenzione Imu, anche se il campo di azione deve esser tuttavia limitato al solo svolgimento di attività meritevoli individuate dalla norma agevolativa.
Resta fermo, però, che l'ente non commerciale che utilizza l'immobile è escluso dal campo di applicazione dell'Imu poiché non è il soggetto passivo del tributo. Come adempimento a suo carico nella risoluzione viene individuato quello di fornire all'ente non commerciale che gli ha concesso l'immobile in comodato tutti gli elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento degli obblighi tributari (articolo ItaliaOggi del 05.03.2013).

INCARICHI PROGETTUALIDm appalti al palo. Gare di progettazione senza bussola. Il regolamento sui compensi finisce nel pantano.
Finiscono (per ora) in un cassetto i parametri per i compensi delle gare di progettazione. L'atteso regolamento che avrebbe dovuto determinare «i corrispettivi a base di gara per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria», si impantana, infatti, di nuovo nelle stanze ministeriali.
Questa volta a cercare di trovare una quadratura del cerchio rispetto ai rilievi sollevati è il ministero delle infrastrutture guidato da Corrado Passera che, insieme a quello della giustizia, ha ricevuto la delega per determinare tali corrispettivi appunto con un decreto interministeriale «che avrebbe anche definito le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi».
Ma il tutto con un paletto preciso: «I parametri individuati non possono condurre alla determinazione di un importo a base di gara superiore a quello derivante dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del presente decreto». Proprio quello che viene contestato al provvedimento. E il rischio che il testo passi direttamente nelle mani del nuovo governo è dietro l'angolo vista la difficoltà dei due dicasteri di venire a capo di tale criticità.
Il regolamento, infatti, ha ricevuto poche settimane fa pesanti osservazioni da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell'Autorità di vigilanza dei contratti pubblici secondo i quali i parametri contenuti nel provvedimento supera le vecchie tariffe professionali e volta le spalle al mercato. Secondo i due organi, che hanno fornito un parere sostanzialmente allineato, il quadro di sintesi e le verifiche elaborate dal ministero della giustizia con tanto di grafici e tabelle presenti nella relazione illustrativa non sono sufficienti a ricavare che i parametri non determinino corrispettivi maggiori delle vecchie tariffe.
E non solo perché secondo l'Authority il calcolo del corrispettivo non sembrerebbe rinconducibile ai risultati di un'analisi di mercato, ma piuttosto a un approccio pragmatico che ha assunto quali riferimenti le precedenti tariffe e quelle del recente dm 240/2010. Un'accusa respinta al mittente dalle stesse categorie tecniche che hanno invece verificato come, in tutte le ipotesi declinabili, i parametri risultano sempre inferiori alle abolite tariffe del 2001 e, quindi, sono in sintonia con la legge.
Il punto semmai è che secondo qualcuno si è dato spazio ad interpretazioni che non tengono conto delle differenze e novità della nuova normativa, non automaticamente comparabile con quella precedente, peraltro sempre a parere delle categorie tecniche carente in molti aspetti (articolo ItaliaOggi del 05.03.2013 - link a www.corteconti.it).

APPALTII chiarimenti delle Entrate. Le aperture interpretative sulla responsabilità solidale nella circolare dell'Agenzia.
Appalti con certificazione unica. In caso di contratti tra le stesse parti basta un documento a cadenza periodica.
TAGLIO ALLE CARTE INUTILI/ Non è necessario richiedere attestati di regolarità a lavoratori autonomi legati da contratti d'opera intellettuale.

Certificazione unica con riferimento a tutti i contratti di appalto stipulati tra le medesime parti e con possibilità di attestazione con cadenza periodica della regolarità di tutti i versamenti di Iva e ritenute nel frattempo scaduti.
Sono due delle aperture della circolare 2/E dell'Agenzia (commentata sul quotidiano il 2 marzo e visibile nella sezione Strumenti di lavoro, voce Documenti, sul sito del Sole 24 Ore), nell'ottica di semplificare per quanto possibile gli adempimenti delle imprese chiamate dal legislatore ad assolvere compiti "innaturali" di controllo altrui, pena pesanti sanzioni.
Ricordiamo che la solidarietà dell'appaltatore nei confronti del subappaltatore per versamenti fiscali irregolari di quest'ultimo, nonché la sanzione da 5mila a 200mila euro a carico del committente per lo stesso motivo (articolo 35, commi 28 e seguenti del Dl 223/2006) ha effetto per tutti i contratti stipulati dal 12.08.2012 e relativamente ai pagamenti effettuati dall'11 ottobre (circolare 40/E/2012).
Nella circolare 2/E l'Agenzia ha fornito molti chiarimenti che aiutano l'operatività quotidiana delle imprese; altri dovranno poi verificare se le disposizioni raggiungono –e a quali costi– gli obiettivi desiderati.
Assodato che l'ambito di applicazione non è limitato alla sola edilizia (dove già la presenza del reverse charge nei subappalti elimina gran parte dei problemi) l'Agenzia ha ricondotto le disposizioni ai soli contratti di appalto di opere o servizi (e relativi subappalti) come individuati dal l'articolo 1655 del Codice civile. Restano fuori, pertanto, tutti i contratti d'opera (articolo 2222, Codice civile) che si qualificano in quanto la prestazione va svolta, quanto meno in via prevalente, con il lavoro proprio (al massimo familiare) del prestatore, senza l'organizzazione di mezzi e persone che contraddistinguono l'appaltatore.
Nei casi dubbi sarà opportuno chiarire per iscritto sin dall'inizio quale sia la figura contrattuale a cui le parti hanno inteso fare riferimento. Devono cessare le richieste (del tutto fuori luogo) dell'attestazione della regolarità dei versamenti da parte dei lavoratori autonomi, i quali, stipulando contratti d'opera intellettuale (articolo 2230, Codice civile), sono, a maggior ragione, fuori dal campo applicativo. Positiva anche l'esclusione degli «appalti di fornitura di beni», indicazione che l'Agenzia ha ricondotto a un refuso del legislatore.
Per l'attestazione, nella pratica si assiste quasi sempre all'autocertificazione resa ai sensi del Dpr 445/2000, con un contenuto molto specifico ricalcato dalle istruzioni fornite nella circolare 40/E. Dove l'Agenzia ha chiarito che essa deve «contenere l'affermazione che l'Iva e le ritenute versate includono quelle riferibili al contratto di appalto/subappalto per il quale la dichiarazione viene resa», implicitamente negando efficacia a dichiarazioni "generiche" di regolarità fiscale.
Con la circolare 2, affermando che l'attestazione può essere resa in modo unitario per i vari contratti in essere tra le medesime parti, nonché riconoscendo efficacia a una certificazione periodica onnicomprensiva, l'Agenzia sembra ora allentare un po' il vincolo di specificità, anche se i riferimenti a contratti in essere, fatture ricevute e ritenute operate in relazione ai singoli rapporti contrattuali non dovrebbero poter essere omessi nella dichiarazione rilasciata dall'appaltatore o dal subappaltatore.
Se c'è un solo contratto di appalto, senza alcun subappalto, le norme si applicano ugualmente, per quanto limitate nell'estensione. Si ritiene (ma una conferma sarebbe opportuna) che in questo caso non si possa parlare di solidarietà (comma 28) ma di semplice soggezione alla sanzione (comma 28-bis) essendo il committente chiamato in causa solo in questi termini. In proposito, il riferimento testuale presente nella circolare n. 40/E/2012 («la disposizione... prevede la responsabilità dell'appaltatore e del committente») non è confermata nella circolare n. 2/E/2013, dove, nelle premesse, in relazione al committente si torna a citare la sola applicabilità della sanzione e non più il vincolo solidale.
In ogni caso vanno sempre ricordati i punti fondamentali. Il momento determinante che fa scattare la solidarietà (o la sanzione) è quello del pagamento (anche parziale) delle spettanze; il rischio della solidarietà è limitato all'importo contrattuale e agli adempimenti (omessi) relativi all'appalto già scaduti a tale data; se non ci sono omissioni nei versamenti l'assenza della certificazione non comporta alcuna conseguenza (articolo Il Sole 24 Ore del 05.03.2013).

APPALTI: Irresponsabilità solidale.
Le Entrate cercano di limitare i disastri combinati dalla norma che scarica sulle imprese il peso dei controlli fiscali. Con effetti paradossali.

Diciamo la verità: la norma sulla responsabilità solidale nei contratti di appalto è una stupidaggine solenne, un capriccio legislativo di qualche politicante che non ha la minima idea di come gira l’economia delle piccole e medie imprese. L’Agenzia delle entrate ha cercato, con la circolare del 1° marzo, di mettere qualche pezza.
Ma il risultato finale rimane un pasticcio legislativo del quale proprio non si sentiva la necessità. Tutto nasce con il governo dei tecnici che, nel decreto 83 del 2012, ha la brillante idea di trasformare gli imprenditori in tanti sceriffi del fisco. Come se non bastassero gli uomini dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza. Come se il signor Brambilla non avesse niente di meglio da fare. In nessun paese del mondo si era arrivati a tanta protervia da parte del legislatore fiscale. L’articolo 13-ter del decreto Crescita prevede infatti sanzioni fino a 200 mila euro per l’appaltatore che paga regolarmente i suoi debiti senza aver prima verificato che il subappaltatore sia in regola con il fisco. La norma è in vigore dal 12 agosto, e finora ha prodotto solo danni.
Se è vero che la maggior parte delle imprese ha ben altro da pensare che ai ghiribizzi del legislatore, e quindi si è comportata come se questa follia nemmeno esistesse, altre imprese hanno utilizzato questa disposizione come ottimo espediente per ritardare i pagamenti, altre si sono preoccupate oltre misura e hanno distribuito a raffica richieste di certificazione fiscale ben oltre il ragionevole. Anche gli interpreti si sono mossi in ordine sparso. Ora le Entrate precisano che la responsabilità solidale non si applica solo in edilizia (e questo era ovvio, anche se in molti hanno provato a circoscrivere questa bomba a orologeria). Chiariscono che le disposizioni si applicano ad appalti e subappalti, ma non al contratto d’opera: è già un passo in avanti, ma il problema è che non è facile nella pratica distinguere le due fattispecie. Interessante anche l’esplicita ammissione della necessità «di evitare interpretazioni di tipo estensivo».
Ma sul problema fondamentale di cosa certificare, anche gli uomini di Befera sembrano alzare le mani, limitandosi a scrivere che con la certificazione «deve essere attestata la regolarità di tutti i versamenti relativi alle ritenute e all’Iva scaduti a tale data». Allora se l’appaltatore non emette fattura fino al momento del pagamento può disinteressarsi della responsabilità solidale? E in tutti gli altri casi nei quali i termini per i versamenti non sono ancora scaduti che succede? Norme così assurde minano un bene primario quale la certezza e la ragionevolezza del diritto, mantenendo gli operatori economici nell’incertezza continua sui comportamenti corretti da tenere. E comunque alla continua mercé del verificatore di turno.
Una pubblica amministrazione che non riesce a onorare i suoi debiti con le imprese (100 miliardi di arretrati) pretende di scaricare sulle stesse anche il lavoro di verifica di correttezza dei versamenti fiscali. Ma allora a cosa servono le enormi banche dati del fisco, l’abolizione del segreto bancario, l’obbligo di trasmettere in formato digitale decine di documenti? Poi ci si stupisce che la gente voti in massa per Grillo (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013 - link a www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Corruzione e reati ambientali. Aziende all'appello della 231. Da novembre l'elenco delle condotte-presupposto (e dei rischi) è ancora più ampio.
Non solo gestione illecita di rifiuti e inquinamento di aria, acque e suolo, ma anche indebite pressioni per conseguire autorizzazioni pubbliche o vantaggi economici nel settore.
A far scattare la responsabilità amministrativa diretta delle imprese che interagiscono con l'ecosistema possono contribuire, oltre agli illeciti strettamente ambientali commessi da loro dipendenti e rappresentanti a vantaggio della struttura, anche le violazioni delle ultime norme «anticorruzione».
Dopo l'inserimento avvenuto il 16.08.2011 degli illeciti ambientali tra le fattispecie delittuose che comportano ex dlgs 231/2001 (il provvedimento madre in materia di responsabilità amministrativa degli enti) l'applicazione di pene pecuniarie e interdittive a carico delle imprese, dallo scorso 28.11.2012 il novero dei «reati presupposto» è stato ulteriormente allargato dalla legge 190/2012 ai riformulati reati di corruzione previsti da Codice penale e civile.
La «responsabilità 231». Il dlgs 231/2001, lo ricordiamo, ha introdotto nel luglio 2001 la responsabilità diretta di persone giuridiche ed enti di fatto che traggono vantaggio da determinati illeciti commessi da loro dipendenti e amministratori, prevedendo carico delle strutture di appartenenza (quale «riflesso» dell'illecito commesso dalle persone fisiche) sanzioni sia di carattere pecuniario (computate in quote da tradurre in euro) che interdittivo (quali la sospensione o il divieto di esercitare l'attività).
Tale responsabilità può dagli Enti in parola essere evitata solo attraverso la dimostrazione di aver adottato, concretamente attuato e fatto osservare (tramite apposita vigilanza e sistema sanzionatorio dissuasivo) un valido «modello di organizzazione e gestione», ossia un sistema di prevenzione dei reati a rischio commissione.
Gli illeciti ambientali. L'elenco degli illeciti penali richiamati dal dlgs 231/2001 che fanno scattare la responsabilità amministrativa dell'ente (per tal ragione meglio noti come «reati presupposto») è stato dal dlgs 121/2011 (emanato in recepimento delle direttive 2008/99/Ce sulla tutela penale dell'ambiente e 2009/123/Ce sull'inquinamento provocato da navi) ampliato fino a ricomprendervi i principali reati previsti dalla normativa ambientale nazionale, tra cui la gestione illecita dei rifiuti, l'inquinamento oltre i limiti consentiti di suolo, acque e aria, il danneggiamento di specie animali e vegetali protette.
Gli illeciti «connessi» all'ambiente. L'elenco dei «reati presupposto» è poi stato, come accennato, ulteriormente rivisitato dalla legge 190/2012, provvedimento che ha riformulato (ampliandone la portata) i reati di corruzione e li ha agganciati (nella loro nuova versione) al dlgs 201/2001. Ed è proprio tale ampliamento, sia delle condotte colpite che dei soggetti imputabili, ad allargare le ipotesi di responsabilità amministrativa delle imprese cui gli agenti sono riconducibili. Nel nuovo reato di «indebita induzione a dare o promettere denaro o altra utilità» (articolo 319-quater, Codice penale), oltre al pubblico ufficiale che abusando dei suoi poteri persuade un soggetto a dagli utilità è infatti colpito anche il soggetto privato che dà o promette il vantaggio (e quindi, di riflesso, anche l'ente di appartenenza). Così come nel nuovo reato di «corruzione tra privati» (articolo 2635, Codice civile) laddove sono ora colpiti, oltre ai corrotti, anche i soggetti che danno o promettono denaro e utilità per ottenere atti contrari a obblighi di ufficio o di fedeltà.
Il modello di organizzazione e gestione. Se da un lato il dlgs 231/2001 fa gravare sulle imprese grevi conseguenze per le condotte illecite poste in essere a proprio vantaggio, dall'altro non sembra offrire altrettanti strumenti di prevenzione, limitandosi a stabilire (nei suoi articoli 6 e 7) solo gli elementi minimi essenziali affinché il citato modello di organizzazione sia «esimente», senza però conferire (a differenza del dlgs 81/2008 in materia di sicurezza sul lavoro) una presunzione di conformità a determinati standard tecnici.
Utile guida alla corretta condotta preventiva dell'impresa può in tale senso essere rappresentata dalla recente sentenza 18 giugno 2012 n. 1824 con la quale la Corte d'appello di Milano ha riconosciuto come «idoneo» (in base ai citati articoli del dlgs 231/2001) il modello che contiene: la precisa individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi i «reati presupposto»; gli specifici protocolli per la formazione e l'attuazione delle decisioni in relazione agli stessi illeciti; la previsione di obblighi di informazione degli organi di vigilanza; un adeguato sistema sanzionatorio per la violazione delle misure preventive indicate dal modello (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Per la sanzione basta la colpa. Gli addetti ai lavori illustrano le criticità emerse in due anni d'applicazione normativa.
L'introduzione dei reati ambientali tra quelli rilevanti ai fini della responsabilità delle persone giuridiche, a cura del dlgs 121/2011, non è stata indolore. Il censimento condotto da ItaliaOggi Sette tra gli addetti ai lavori mette in luce i limiti di una normativa che, pur promossa nello spirito iniziale, ha provocato pesanti ricadute sul livello pratico, senza garantire i ritorni attesi.
Le innovazioni normative. Gli interventi del 2011 si sono innestati del dlgs n.231 del 2001, che ha introdotto in Italia la responsabilità delle imprese per reati commessi da amministratori, manager o dipendenti, collegando ad esse pesanti sanzioni pecuniarie o interdittive. L'innovazione ha riguardato una serie di reati contro l'ambiente (ex dlgs 152/2006, legge 150/1992, legge 549/1993 e dlgs 202/2007).
La particolarità di questa normativa, che in buona parte spiega le difficoltà applicative, nasce dal fatto che, rispetto ai reati originari, quelli di natura ambientale costituiscono una categoria molto più ampia e diversificata, il che richiede un adeguamento da definire caso per caso in base all'ambito di attività e alle peculiarità delle varie aziende, con incombenze non secondarie per molte realtà. Per Marco Moretti, di Legalitax Roma, spiega la principale novità è stata data dal fatto che per la prima volta sono comparse nel nostro ordinamento «fattispecie di reati presupposto di solo pericolo astratto e anche solo di matrice colposa».
Con la conseguenza che sono cambiate le modalità di calcolo del cosiddetto «rischio accettabile». «Rispetto al passato, quando la valutazione veniva effettuata con riferimento a reati presupposto di pericolo solo dolosi o a reati presupposto colposi solo di danno, ora ogni impresa esposta a rischi ambientali deve calcolare questo rischio in termini contemporaneamente di solo pericolo e di sola colpa».
Dello stesso avviso è Marco Levis, partner di Plenum Consulting, per il quale proprio l'astrattezza della normativa del 2011 fa sì che occorra «ricostruire il quadro generale desumibile dal sistema delineato dal dlgs 231/2001 e verificarne il concreto ambito di applicazione, tenendo anche conto delle indicazioni che provengono dal diritto “vivente” del settore di specie».
In concreto questo significa che l'azienda è chiamata a effettuare i controlli su un duplice livello: diretto e indiretto, quest'ultimo finalizzato a controllare lo svolgimento delle procedure di controllo e l'adeguatezza degli assetti organizzativi. «Questo tipo di controllo a carattere indiretto è di competenza dell'organismo di vigilanza», spiega Levis, «che non è investito di un potere di supervisione di carattere generale, trasversale su tutti i settori e le funzioni dell'organizzazione, ma deve svolgere la sua funzione ricevendo i flussi informativi dalla struttura, dai preposti al controllo interno, dall'audit e dal collegio sindacale».
Insomma, un'incombenza non da poco, che richiede competenze e procedure nuove per le aziende. Senza offrire la garanzia di maggior tutela per l'ambiente. «Tra le incongruenze più evidenti», spiega l'esperto, «la non punibilità dell'articolo 256, comma 2, del dlgs 152/2006 riguardante l'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti da parte dei titolari di imprese o responsabili di enti. Statisticamente questa ipotesi è quella che trova maggior riscontro nella casistica processuale e avrebbe rappresentato la base naturale su cui costruire la responsabilità da reato dell'ente».
Bene lo spirito della legge, ma non tutte le aziende sono pronte. Per Luciano Butti, avvocato di B&P (oltre che professore a contratto di diritto internazionale dell'ambiente all'Università di Padova), le innovazioni normative introdotte due anni fa «da una parte hanno aggravato le conseguenze economiche e di immagine per le aziende in caso di condanna di loro dirigenti o amministratori; dall'altro reso più conveniente per le stesse adottare -attraverso un efficace modello organizzativo- politiche di prevenzione dei possibili reati». Una novità che ha avvicinato l'Italia alla maggior parte delle altre esperienze europee, che puntano ad allargare i casi di responsabilità delle organizzazioni per gli illeciti dei propri dipendenti.
«Nei Paesi anglosassoni», aggiunge l'avvocato, «questo avviene per lo più in applicazione di un principio generale del diritto di quelle realtà, sulla base del quale le organizzazioni rispondono per i reati commessi dai dipendenti anche nell'interesse dell'organizzazione. Nella maggior parte dei Paesi continentali, vi sono invece delle norme specifiche: per esempio in Francia la responsabilità delle organizzazioni è regolata dal codice penale, ed è stata estesa a partire dal 2005 (con legge n. 204/2004) a tutti i principali reati. Regole simili sono state introdotte in Spagna nel dicembre 2010 dall'art. 31-bis della legge n. 5/2010, mentre la Germania ha da diverso tempo un sistema simile al nostro, basato soprattutto su sanzioni economiche a carico delle organizzazioni (Legge OWiG)».
Tornando al quadro italiano, a fare la differenza per Butti è il modo in cui l'azienda accoglie la 231: «Se la vive come un aggravio formale in più, ne sentirà il peso. Se invece -come molte aziende stanno facendo- la utilizza per migliorare la propria organizzazione interna, il sistema delle deleghe e l'attenzione verso la legittimità del proprio operato, il vantaggio può essere enorme. Non dimentichiamo che, in caso di coinvolgimento in inchieste ambientali (che qualche volta avviene anche per violazioni solo formali), il danno soprattutto di immagine per l'azienda può essere enorme», aggiunge.
Dello stesso avviso è Nicola Nicoletti, risk & legal compliance Italy leader di Pwc: «Le imprese, infatti, si trovano in posizioni differenti a seconda dalla sensibilità del management verso questi tipi di rischi: per alcune è stata l'occasione per approfondire e migliorare i propri sistemi di gestione dei rischi ambientali, armonizzandoli all'interno di un modello che li affronta in modo sinergico, ad esempio, con quelli sulla salute e sicurezza sul lavoro. Per altre, invece, si tratta dell'ennesima richiesta di una legge che, consentendo l'adozione del modello organizzativo ma non prescrivendolo, mira a complicare la vita dell'azienda con ulteriori adempimenti burocratici. In questo secondo caso, purtroppo, troviamo la legittimazione della norma proprio nella scarsa attenzione che ad essa viene ancora riconosciuta da imprese che si ritengono al di sopra dei rischi che l'adozione dei modelli organizzativi mira a prevenire» (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

APPALTI:L'Agenzia delle Entrate chiarisce diversi punti ma permangono i dubbi sull'ambito applicativo. Corresponsabilità a sorpresa. Indispensabile qualificare i rapporti volta per volta.
La corresponsabilità tributaria in caso di appalto non è limitata al settore edile. Sono però esclusi i contratti di opera riconosciuti come differenti da quelli di appalto. Esclusi dall'applicazione delle norme i condomini. Nuovi dubbi su cosa occorre chiedere all'appaltatore per evitare problemi.

Questi i temi di maggior interesse approfonditi dalla circolare 2/E del 1° marzo a commento dell'articolo 13-ter del dl n. 83 del 2012 che ha introdotto la responsabilità dell'appaltatore con il subappaltatore per il versamento all'Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta dal subappaltatore, in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto ed anche la responsabilità sanzionatoria in capo al committente.
L'ambito oggettivo. Come previsto la circolare rigetta al tesi che era stata avanzata circa la possibilità di limitare al settore edile l'applicazione delle nuove regole.
Correttamente l'Agenzia osserva che l'articolo 13-ter in commento ha disposto la modifica dell'articolo 35 del dl n. 223 del 2006, rubricato «Misure di contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale».
Pertanto tale rubrica mostra l'intenzione del legislatore di contrastare pratiche evasive correlate a contratti di appalto e subappalto a prescindere dal settore economico in cui operano le parti contraenti.
Ancor più interessanti le indicazioni contenute con riguardo ai contratti interessati.
Pur senza giungere (comprensibilmente) ad una definizione dell'appalto e del sub appalto, ma rimandando sul punto al dettato dell'art. 1655 del codice civile, la circolare esprime dapprima una buona intenzione ovvero quella della necessità di «definire con chiarezza l'ambito di applicazione della norma in base al suo contenuto letterale al fine di evitarne interpretazioni di tipo estensivo».
Nel dettaglio si esclude poi specificatamente dal campo di applicazione gli appalti di fornitura dei beni (ma ciò era già chiaro dal comma 28 dell'articolo 13-ter), il contratto d'opera, disciplinato dall'articolo 2222 c.c. (quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV), il contratto di trasporto; il contratto di subfornitura, le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile.
Sul punto è senza dubbio positiva l'esclusione con riguardo ai contratti d'opera (che invece ricordiamo che la circolare 7 del 07.02.2007 aveva ritenuto compresi nelle regole che riguardano l'obbligo di ritenuta dei condomini che letteralmente è anch'essa da riferire al caso dei contratti di appalto e sub appalto), anche se in tal modo le finalità della norma lasciano qualche perplessità. Spesso i soggetti maggiormente a rischio sono proprio i piccoli imprenditori/artigiani che per loro natura più che contratti di appalto stipulano appunto contratti d'opera.
Non si capisce neanche perché la circolare voglia ribadire che altri contratti (ad esempio quello di trasporto) sono esclusi dall'applicazione: trattasi di contratti tipici e differenti rispetto a quello di appalto e quindi automaticamente esclusi dall'applicazione.
Purtroppo sul punto rimangono tutti i dubbi circa l'esatta qualificazione dei rapporti: su questo rimane la necessità di verificare (con le difficoltà conseguenti) se i rapporti contrattuali possano o meno qualificarsi come appalti.
I rapporti bilaterali. Un altro punto chiarito è quello per cui le regole trovano applicazione anche nel caso in cui vi sia un contratto di appalto e non invece un conseguente subappalto.
Quindi anche in assenza di un rapporto trilaterale la corresponsabilità (o meglio la responsabilità sanzionatoria) si applica. Ciò in quanto la norma quando descrive gli adempimenti del committente circa l'acquisizione della documentazione che attesti il regolare adempimento degli obblighi fiscali da parte dell'appaltatore, indica il subappaltatore quale figura eventuale: quindi anche in sua assenza la stessa si applica.
Il condominio e i privati. Da più parti si era sollevato il dubbio circa l'applicabilità delle norme ai condomini. La circolare prima di tutto ricorda che il comma 28-ter delimita l'ambito di applicazione ai contratti di appalto e di subappalto «conclusi da soggetti che stipulano i predetti contratti nell'ambito di attività rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto».
Da qui la circolare è per fortuna decisa nell'escludere per carenza del requisito soggettivo, le persone fisiche che risultano prive di soggettività passiva ai fini Iva e anche il condominio in quanto non riconducibile fra i soggetti individuati agli articoli 73 e 74 del Tuir.
---------------
Attestazione della regolarità fiscale da correlare al singolo contratto.
Dopo l'apertura all'autocertificazione della circolare 40/E sul punto ci si poteva aspettare qualcosa di più dal nuovo documento di prassi.
Il tutto perché nel paragrafo 3 della circolare non si chiarisce fino in fondo e senza dubbi il pensiero della prassi circa il contenuto dell'attestazione.
Dalla norma pare chiaro che la regolarità (e quindi l'attestazione) riguardi gli adempimenti Iva e ritenute sui redditi di lavoro dipendenti:
● scaduti al momento del pagamento;
● e che riguardano le prestazioni rese con riguardo al singolo contratto di appalto.
La circolare indagando sull'ipotesi di coesistenza di più contratti intercorrenti tra le medesime parti afferma che la certificazione attestante la regolarità dei versamenti delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva relativi al contratto d'appalto «può essere fornita anche con cadenza periodica fermo restando che, al momento del pagamento, deve essere attestata la regolarità di tutti i versamenti relativi alle ritenute e all'Iva scaduti a tale data, che non siano stati oggetto di precedente attestazione».
Tale frase fin troppo generica parrebbe insinuare il dubbio che la regolarità non sia da correlare alla singola situazione ma in generale alla posizione del contribuente. Tale ipotesi è però assolutamente da scartare in quanto sia letteralmente che indagando sulla sua ratio la norma dispone invece che al regolarità debba riguardare solo il singolo contratto che è «oggetto» del pagamento.
D'altra parte la stessa circolare analizzando il caso dei pagamenti effettuati mediante bonifico bancario o altri strumenti che non consentono al beneficiario l'immediata disponibilità della somma versata a suo favore afferma che in tali casi «occorra attestare la regolarità dei versamenti fiscali scaduti al momento in cui il committente o l'appaltatore effettuano la disposizione bancaria e non anche di quelli scaduti al momento del successivo accreditamento delle somme al beneficiario». Da notare che ciò renderà molto spesso la regola priva di importanza. Si pensi all'appaltatore che non emette fattura (come consentito) fino al momento del pagamento del corrispettivo: non dovrà certificare alcunché in materia di Iva al committente e quindi potrà incassare il corrispettivo senza troppi pensieri in capo alle due parti.
Ciò accerta in modo chiaro che l'attestazione non può che riguardare gli adempimenti scaduti al momento del pagamento e non invece che dovendo l'attestazione riguardare tutti gli adempimenti correlati a quel contratto sia necessario attendere in ogni caso la loro scadenza così da poter rilasciare l'attestazione e conseguentemente ottenerne il pagamento (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

CONDOMINIO: Condominio. Per i difetti di costruzione rispondono i proprietari
Non è sempre responsabile il condomino per i danni da cose in custodia, regolati dall'articolo 2051 del Codice civile. Infatti, risponde il proprietario, senza alcuna compartecipazione del condominio, per i danni ricollegabili ai difetti originari di progettazione o di esecuzione del lastrico solare, soprattutto se tollerati.

Questo principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2840/2013.
La pronuncia riguarda un condomino –proprietario di una unità immobiliare posta all'ultimo piano e del sovrastante lastrico– che ha chiesto la condanna del condominio a eliminare il dissesto delle strutture del proprio appartamento provocate dalla mancata manutenzione del lastrico, o a rifondergli le spese sostenute a questo fine, oltre al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata utilizzazione dell'immobile.
Il condomino ha ottenuto pronunce favorevoli nei primi due gradi di giudizio, ma la Cassazione ha ribaltato le sentenze di merito, accogliendo il ricorso presentato da altri condomini. La Suprema corte ha evidenziato che i giudici d'appello, nel condannare il condominio a sostenere la spesa necessaria per il rifacimento della parte esterna delle mura perimetrali e del lastrico solare, non hanno dato conto dell'effettiva origine dei danni. Anzi, secondo i giudici di legittimità, la corte d'appello ha deciso prescindendo dal concreto accertamento delle cause dei danni: vale a dire se fossero riconducibili anche a vizi costruttivi. Mentre proprio l'accertamento delle cause dei danni, secondo la Cassazione, guida l'attribuzione dell'onere economico.
Infatti, per i vizi riconducibili a vetustà e a deterioramento per difetto di manutenzione del lastrico solare trova applicazione l'articolo 1126 del Codice civile, che regola la ripartizione delle spese di riparazione fra i condomini. Invece, con riferimento alla responsabilità per i danni ricollegabili ai difetti originari di progettazione o di esecuzione, anche in sede di ricostruzione, del lastrico solare si applica l'articolo 2051 del Codice civile, con l'accollo delle spese al proprietario esclusivo, senza alcuna compartecipazione del condominio (articolo Il Sole 24 Ore del 04.03.2013).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Con riguardo all’apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche tale obbligo si deve ritenere ora applicabile solo alle gare indette dopo l’entrata in vigore (07.07.2012) della citata novella all’art. 120 del DPR 207/2010, per effetto dell’art. 12 del DL 52/2012 che l’ha previsto in modo espresso per la prima volta.
- Considerato che l’appello è meritevole d’accoglimento, anzitutto con riguardo all’apertura in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche, nella specie avvenuta il 01.03.2011, in quanto il relativo obbligo si deve ritenere ora applicabile solo alle gare indette dopo l’entrata in vigore (07.07.2012) della citata novella all’art. 120 del DPR 207/2010, per effetto dell’art. 12 del DL 52/2012 che l’ha previsto in modo espresso per la prima volta (cfr. Cons. St., IV, 04.01.2013 n. 4);
- Considerato che in questa sede non si può rimettere in discussione quanto deciso dall’Adunanza Plenaria con decisione n. 13/2011, né per quanto riguarda il merito della questione di diritto (obbligo di aprire le buste con le offerte tecniche in seduta pubblica), né per quanto riguarda il carattere interpretativo e non innovativo della massima affermata in quella decisione (anche perché nel nostro ordinamento giuridico, come in tutti quelli di c.d. civil law, il còmpito del giudice è esclusivamente quello d’interpretare le norme giuridiche, non di dettarne delle nuove: «è proibito ai giudici di pronunciare in via di disposizione generale o di regolamento nelle cause di loro competenza»: art. 1, comma 5, del Codice Napoleone nella versione promulgata il 16.01.1806 per il Regno d’Italia; cfr. anche gli artt. 1 e 12 delle vigenti disposizioni sulla legge in generale);
- Considerato tuttavia che dopo la decisione dell’Adunanza Plenaria il legislatore è intervenuto con l’art. 12 del decreto legge n. 52/2012, il quale, con le parole «La commissione, anche per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data del 09.05.2012, apre in seduta pubblica i plichi contenenti le offerte tecniche al fine di procedere alla verifica della presenza dei documenti prodotti» nel recepire e fare proprio suddetto principio giurisprudenziale, ha tuttavia fissato positivamente un dies a quo per la sua applicazione, coincidente con la data di entrata in vigore della legge di conversione, lasciando così intendere che anteriormente a quella data dovesse applicarsi la regola opposta;
- Considerato pertanto che all’art. 12 del DL 52/2012 va riconosciuta la natura di norma transitoria in funzione di salvaguardia (o sanatoria) delle modalità d’apertura di tali plichi e dei relativi effetti, relativamente alle procedure già concluse al 09.05.2012 o i cui plichi siano stati già aperti a quella data, donde la portata non solo ricognitiva di detta disposizione (cfr. Cons. St., III, 14.01.2013 n. 145) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.03.2013 n. 1333 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIRate fiscali? Niente appalto. La dilazione del debito non consente la partecipazione. Sentenza del Consiglio di stato: le imprese devono essere perfettamente in regola.
Brutta sorpresa per le imprese che a causa della crisi o per altri motivi hanno dovuto rateizzare il debito fiscale. Esse, infatti, non possono partecipare alle gare d'appalto. Perché chi vuole lavorare con la pubblica amministrazione deve rispettare gli obblighi di lealtà e correttezza.
E la rateizzazione di un debito fiscale non implica che esso venga necessariamente estinto.

Il Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.03.2013 n. 1332, traccia una strada che non farà sicuramente piacere alle aziende già alle prese con la crisi economica e finanziaria.
Dal punto di vista giuridico, i giudici di palazzo Spada, ribaltando la decisione della prima sezione del Tar di Napoli., evidenziano che l'accordo di ristrutturazione del debito non ha natura novativa. Tanto più nel caso di specie, in cui la dichiarazione circa il quantum era risultata poi essere mendace.
La vicenda
La vicenda vede protagonisti tre istituti di vigilanza privata, tutti contemporaneamente concorrenti alla gara d'appalto indetta dalla pubblica amministrazione per la sorveglianza della Azienda sanitaria locale di Caserta. Se in prima battuta una delle tre imprese era risultata essere provvisoriamente aggiudicataria, questa stessa in un secondo momento vedeva sottrarsi l'assegnazione della gara in favore della seconda classificata. Questo a seguito della verifica della regolarità dei requisiti previsti dall'articolo 38, I comma, lett. g), del dlgs 163/2006, così come modificata dalla legge 106/2011.
La norma, facente parte del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, prevede che «Debbano essere esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni di appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che: hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello stato in cui sono stabiliti».
Ricorrendo in prima battuta di fronte Tar, l'azienda interessata asseriva l'illegittimità della revoca della aggiudicazione provvisoria per irregolarità fiscale, sostenendo che i debiti tributari che gli venivano eccepiti, erano stati oggetto di rateizzazione prima che venisse accolta la loro richiesta di partecipazione alla gara, non sussistendo quindi alcuna violazione definitivamente accertata. La prima sezione, accogliendo il ricorso, andava ad annullare la prima assegnazione, affermando che «sia la concessione della rateizzazione del debito tributario, sia la successiva stipula di una transazione fiscale, presupponevano un accordo tra il contribuente e l'amministrazione erariale, tale per cui il concorrente interessato non potesse essere considerato in situazione di irregolarità fiscale».
Secondo questa opinione, sia la rateizzazione sia l'accordo di ristrutturazione avrebbero quindi avuto natura novativa. Di tutt'altro avviso si dimostrerà essere il Consiglio di stato. Divenuta ricorrente, la ditta a cui viene sottratta l'assegnazione, eccepisce non solo la falsità circa l'effettivo ammontare del debito in capo all' azienda aggiudicataria, che era in realtà quasi dieci volte tanto, ma anche l'inesistenza vera e propria dell'accordo transattivo, che in realtà non sarebbe mai stato iscritto al ruolo.
Il no dei giudici
In punto di diritto però, i giudici di palazzo Spada si pronunciano mettendo in evidenza due elementi fondamentali. Il primo proprio in relazione alla falsità della dichiarazione. Per il Consiglio «è opinione largamente condivisa in giurisprudenza che costituisca in sé motivo di esclusione dalla gara, il fatto che l'autodichiarazione presentata dalla concorrente, sia risultata non veritiera». Il secondo elemento evidenziato riguarda la natura degli accordi tra contribuente e amministrazione erariale. Viene infatti negata, ribaltando quanto sostenuto dalla prima sezione del Tar di Napoli, la natura novativa sia della rateizzazione, sia dell'accordo di ristrutturazione.
Al di là del caso di specie quindi, il Consiglio di stato prende posizione circa i requisiti necessari per la partecipazione alle gare di appalto indette dalle pubbliche amministrazioni. Per i giudici infatti, «i soggetti che contraggono con la pubblica amministrazione devono rispettare obblighi di lealtà e correttezza», per tanto non ha più rilevanza il quantum del debito, né qualsiasi tipo di accordo volto a regolarizzarlo.
I requisiti previsti dall'articolo 38, I comma, lett. g) del dlgs 163/2006, così come modificato dalla legge 106/2011, indispensabili per la partecipazione alle gare di appalto e alla successiva stipula dei contratti, si ritengono soddisfatti solo in assenza di qualsiasi tipo di irregolarità (articolo ItaliaOggi del 07.03.2013 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’adozione da parte dell’amministrazione, nel corso del giudizio, di atti interamente sostitutivi di quelli inizialmente oggetto di impugnativa e allo stesso tempo integralmente satisfattivi della pretesa dell’interessato determinano l’improcedibilità del ricorso per cessazione della materia del contendere.
Pertanto la presente vicenda processuale va definita con applicazione del consolidato principio per cui l’adozione da parte dell’amministrazione, nel corso del giudizio, di atti interamente sostitutivi di quelli inizialmente oggetto di impugnativa e allo stesso tempo integralmente satisfattivi della pretesa dell’interessato determinano l’improcedibilità del ricorso per cessazione della materia del contendere (sul punto, ex plurimis: Cons. Stato, V, 12.12.2009 n. 7800) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.03.2013 n. 1262 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn tema di gara per l’affidamento di appalti pubblici, l’omessa predisposizione di una busta apposita nella quale inserire la documentazione amministrativa non integra una delle ipotesi astrattamente contemplate dall'art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, non essendo pregiudicate né la segretezza dell'offerta né l’integrità del plico.
Per queste ragioni deve pertanto ritenersi illegittimo il bando di gara, laddove commina l’esclusione per il concorrente che non abbia inserito la documentazione nella busta A, chiusa, sigillata e controfirmata, nonché dell'atto applicativo di esclusione dalla gara della ricorrente principale e, per illegittimità derivata, dell'aggiudicazione provvisoria a favore della contro interessata.

L’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 163/2006, prevede che la stazione appaltante possa escludere i concorrenti dalla gara nel caso di mancato adempimento delle prescrizioni previste dallo stesso codice, dal suo regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte. I bandi di gara e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Se poste tali prescrizioni sono da ritenersi nulle.
Orbene, nel caso di specie l’omissione contestata alla società ricorrente non può ritenersi rientrare tra quelle per le quali il citato art. 46, comma 1-bis, giustifica l’esclusione, trattandosi di una mera inadempienza formale che non incide sulla possibilità della identificazione e della certezza del soggetto presentatore dell’offerta (il domicilio e il numero di fax non inseriti nella busta potevano comunque essere desunti dalla documentazione presentata dalla stessa ricorrente)
D’altra parte, anche la giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare che in tema di gara per l’affidamento di appalti pubblici, l’omessa predisposizione di una busta apposita nella quale inserire la documentazione amministrativa non integra una delle ipotesi astrattamente contemplate dall'art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, non essendo pregiudicate né la segretezza dell'offerta né l’integrità del plico. Per queste ragioni deve pertanto ritenersi illegittimo il bando di gara, laddove commina l’esclusione per il concorrente che non abbia inserito la documentazione nella busta A, chiusa, sigillata e controfirmata, nonché dell'atto applicativo di esclusione dalla gara della ricorrente principale e, per illegittimità derivata, dell'aggiudicazione provvisoria a favore della contro interessata (cfr. ex multis, TAR Catanzaro, sez. II, n. 914/2012).
Non può dunque trovare accoglimento la tesi delle parti resistenti in ordine alla circostanza che il bando al punto 3.3, a pena esclusione, richiede l’indicazione del domicilio eletto in coerenza art. 46, comma 1, d.lgs. 163/2006. Come sopra rilevato, dalla documentazione agli atti di causa emerge che la società ricorrente ha comunque indicato il suo domicilio nella busta A, seppure nella dichiarazione sostitutiva sulla insussistenza di cause di esclusione dalle gare d’appalto, ed anche nella documentazione trasmessa ai fini della prequalifica.
Deve poi ritenersi superata, con la proposizione dei motivi aggiunti, anche l’eccezione di inammissibilità formulata dalla controinteressata Among srl in ordina alla mancata impugnazione del provvedimento di aggiudicazione (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 28.02.2013 n. 2221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 30, comma 19, della legge 724/1994 prevede che “per le opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge, il proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha il diritto di ottenere l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell'art. 7, terzo comma, della legge 28.02.1985, n. 47, e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare dietro esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria. Sono in ogni caso fatti salvi i diritti dei terzi e del comune nel caso in cui le opere stesse siano state destinate ad attività di pubblica utilità entro la data del 01.12.1994”.
La norma, sufficientemente chiara, richiede, ai fini dell’annullamento dell’acquisizione gratuita, due requisiti: a) la sanabilità, sotto il profilo temporale, delle opere (opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge); b) l’adempimento degli oneri previsti dalla legge di condono. Per l’annullamento della trascrizione pregiudizievole è invece sufficiente la certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria.
E’ evidente che ove i requisiti di condonabilità in concreto non sussistano, l’amministrazione può in ogni tempo, e salva l’applicazione del regime di tacito assenso, negare il rilascio del titolo in sanatoria e conseguentemente impedire l’operatività del meccanismo garantistico previsto dall’art. 30 cit. in favore dell’istante. Ma ove, o sino a quando, non provveda, l’interessato ha diritto all’annullamento sol che siano integrati i due requisiti sopra indicati.

L’art. 30, comma 19, della legge 724/1994 (sulla cui astratta applicabilità le parti convengono) prevede che “per le opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge, il proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha il diritto di ottenere l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell'art. 7, terzo comma, della legge 28.02.1985, n. 47, e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare dietro esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria. Sono in ogni caso fatti salvi i diritti dei terzi e del comune nel caso in cui le opere stesse siano state destinate ad attività di pubblica utilità entro la data del 01.12.1994”.
La norma è sufficientemente chiara. Essa richiede, ai fini dell’annullamento dell’acquisizione gratuita, due requisiti: a) la sanabilità, sotto il profilo temporale, delle opere (opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge); b) l’adempimento degli oneri previsti dalla legge di condono. Per l’annullamento della trascrizione pregiudizievole è invece sufficiente la certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria.
E’ evidente che ove i requisiti di condonabilità in concreto (richiamati dall’amministrazione appellante) non sussistano, l’amministrazione può in ogni tempo, e salva l’applicazione del regime di tacito assenso, negare il rilascio del titolo in sanatoria e conseguentemente impedire l’operatività del meccanismo garantistico previsto dall’art. 30 cit. in favore dell’istante. Ma ove, o sino a quando, non provveda, l’interessato ha diritto all’annullamento sol che siano integrati i due requisiti sopra indicati.
Poco senso avrebbe, discutere, in sede processuale, delle effettive e reali prospettive di accoglimento della domanda di condono, atteso che è la sede amministrativa e procedimentale quella in cui naturaliter siffatte valutazioni devono essere operate (com’è noto il giudice amministrativo è precluso pronunciare su poteri non ancora esercitati); nelle more trovando applicazione il disposto garantistico dell’art. 30 cit., in guisa che il ritardo patologico dell’azione amministrativo non riverberi in irreversibile pregiudizio dell’istante (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.02.2013 n. 1233 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIQuando la Pa sbaglia paga anche il danno morale. La sentenza. Non spetta solo il risarcimento patrimoniale.
LO STRUMENTO/ Per la liquidazione i giudici hanno fatto riferimento alle tabelle utilizzate dal Tribunale di Milano per gli infortuni.

Una giustizia amministrativa più vicina alla realtà quotidiana emerge dalla sentenza 28.02.2013 n. 1220 del Consiglio di Stato, Sez. V, che riconosce a un privato il risarcimento del danno morale.
Per arrivarci, tagliando corto su vari disegni di legge, si applicano le tabelle usate dal Tribunale civile di Milano in materia di infortuni. Così lo stravolgimento della vita generato da atti amministrativi illegittimi diventa quantificabile, con la stessa logica del danno da incidente stradale: oltre al danno patrimoniale, che compensa il reddito non percepito (per esempio il commerciante che non riesce ad aprire un esercizio o l'imprenditore scavalcato in un appalto), la pubblica amministrazione indennizza anche il danno morale, per stress e disagio.
L'episodio deciso dal Consiglio riguarda un assegnatario di alloggio pubblico, che voleva acquistare l'abitazione riscattandola dal Comune di Poggibonsi. Gli sono stati riconosciuti oltre 16.000 euro di danno morale, in aggiunta a 100.000 euro di danno patrimoniale per non aver potuto acquistare la casa.
Dopo anni di attesa di parametri per quantificare i danni causati da attività amministrativa (fin dalla legge 59/1997), la magistratura supplisce al legislatore, utilizzando i criteri della giustizia civile. I danni subiti dal cittadino vengono, cioè, valutati come componente del danno non patrimoniale, partendo dal presupposto che anche gli errori dell'ente pubblico generano una sorta di infermità, quantificabile in "punti": nel caso specifico, era emersa una sindrome ansioso-depressiva, con crisi di panico e inasprimento dei rapporti con il figlio e la nuora.
Questi danni sono stati valutati da un consulente tecnico, così come in altra occasione (Consiglio di Stato, sentenza n. 1271/2011) l'ansia e la perdita di capelli collegati al ritardo di un permesso di costruire erano stati indennizzati riconoscendo all'interessato circa 11.000 euro.
La materia dei danni torna quindi in primo piano come deterrente: ne prende atto il legislatore sottolineando che le «utilità illecitamente percepite» vanno restituite all'Erario in misura doppia (articolo 1, comma 62, della legge anticorruzione 190/2012, ma il principio è già contenuto nel diritto romano, nella legge delle XII tavole); la Corte dei conti riesca ad accertare la colpa grave di amministratori con lo stesso metro (legge 231/2001) che la magistratura ordinaria applica sugli enti privati (Cassazione 16849/2012).
Sempre per evitare i danni, si invogliano i pubblici dipendenti a collaborare, segnalando gli illeciti dei colleghi (articolo 1, comma 51, della legge anticorruzione, la 190/2012). Per voltare pagina, ed evitare danni maggiori, si ricorre infine anche alla collaborazione degli stessi autori o compartecipi delle condotte illecite: su questa strada fin dal 1990 si muove l'Antitrust con propri "programmi di clemenza" (articolo 15 della legge 287/1990), assicurando immunità agli imprenditori "pentiti" che denuncino "cartelli" restrittivi della concorrenza.
Per questo motivo, i 16.000 euro che il Comune di Poggibonsi dovrà versare all'assegnatario di alloggio popolare per compensarlo (anche) dei dissidi con la nuora hanno valore ben maggiore del loro mero importo. Infatti, sono il sintomo del venir meno di immunità della pubblica amministrazione che finora erano state ritenute inattaccabili.
---------------
MASSIMA
Per quanto riguarda la configurabilità e la decorrenza del danno, la sentenza impugnata appare esente da ogni critica, avendo motivatamente motivato il riconoscimento del danno non patrimoniale sulla base delle specifiche valutazioni della Ctu, peraltro modificate dal giudicante proprio in ordine alla decorrenza del danno. Fondata è invece la censura relativa alla quantificazione del danno per giorno, risultando in effetti non motivato l'importo giornaliero di € 110,00 rispetto all'importo base di € 91,00 risultante dalle tabelle applicate dal Tribunale di Milano - Consiglio di Stato, sentenza 1220/2013 (articolo Il Sole 24 Ore del 05.03.2013 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'indennità di cui all’art. 167 dlgs 42/2004 è una sanzione amministrativa irrogabile a prescindere dal vulnus materiale al paesaggio, essendo sufficiente la violazione formale, ovvero la realizzazione dell'opera, in assenza della corrispondente autorizzazione paesaggistica.
La natura dissuasiva o sanzionatoria si desume dalla modalità di calcolo prevista dal legislatore, non incentrata sul pregiudizio causato al paesaggio, ma ancorata al criterio della maggiore somma tra danno arrecato e profitto conseguito mediante l'illecito, con la conseguenza che la sanzione, in caso di assenza di qualsiasi nocumento ambientale, va commisurata unicamente al profitto.
Poiché la ratio della predetta sanzione è dissuadere il privato dall'evitare il controllo preventivo e valorizzare la necessità di ottenere il titolo autorizzatorio prima dell’esecuzione delle opere, a prescindere dall’effettiva produzione di un danno ambientale, ne discende che l’amministrazione non ha alcun obbligo motivazionale in ordine a tale ultimo punto.
---------------
In forza del 1° comma dell'articolo 28 della legge n. 689/1981, "il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione", disposizione applicabile a tutte le violazioni punite con sanzione amministrativa pecuniaria e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesaggistica puniti con sanzione pecuniaria.
Occorre precisare che il citato art. 28 fissa come dies a quo del termine prescrizionale "il giorno in cui è stata commessa la violazione". Nelle ipotesi, come quella di specie (sanatoria ambientale), in cui l'illecito ha carattere permanente, la prescrizione comincia, quindi, a decorrere solo dalla cessazione di detta permanenza.

Secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, condivisa dal Collegio, l'indennità di cui all’art. 167 dlgs 42/2004 è una sanzione amministrativa irrogabile a prescindere dal vulnus materiale al paesaggio, essendo sufficiente la violazione formale, ovvero la realizzazione dell'opera, in assenza della corrispondente autorizzazione paesaggistica. La natura dissuasiva o sanzionatoria si desume dalla modalità di calcolo prevista dal legislatore, non incentrata sul pregiudizio causato al paesaggio, ma ancorata al criterio della maggiore somma tra danno arrecato e profitto conseguito mediante l'illecito, con la conseguenza che la sanzione, in caso di assenza di qualsiasi nocumento ambientale, va commisurata unicamente al profitto (cfr. Tar Toscana, III, 26.03.2012, n. 607; Cons. Stato, VI, 08.11.2000, n. 6007).
Poiché la ratio della predetta sanzione è dissuadere il privato dall'evitare il controllo preventivo e valorizzare la necessità di ottenere il titolo autorizzatorio prima dell’esecuzione delle opere, a prescindere dall’effettiva produzione di un danno ambientale, ne discende che l’amministrazione non ha alcun obbligo motivazionale in ordine a tale ultimo punto (cfr. TAR Veneto, II, 29.11.2006, n. 3925).
Anche l’eccezione di intervenuta prescrizione deve essere disattesa in quanto non fondata.
In conformità all'indirizzo consolidato della giurisprudenza il Collegio ritiene applicabile nel caso di specie il primo comma dell'articolo 28 della legge n. 689/1981, ai sensi del quale "il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione", disposizione applicabile a tutte le violazioni punite con sanzione amministrativa pecuniaria e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesaggistica puniti con sanzione pecuniaria (cfr. Consiglio Stato, V, 11.01.2012, n. 81; Consiglio Stato, IV, 11.04.2007, n. 1585).
Occorre precisare che il citato art. 28 fissa come dies a quo del termine prescrizionale "il giorno in cui è stata commessa la violazione". Nelle ipotesi, come quella di specie, in cui l'illecito ha carattere permanente, la prescrizione comincia, quindi, a decorrere solo dalla cessazione di detta permanenza.
Nella vicenda sottoposta all’esame del Collegio tale momento va ricondotto alla positiva conclusione del procedimento di condono in quanto la concessione edilizia in sanatoria, pure nell'autonoma configurazione dei due illeciti -quello edilizio e quello paesaggistico-, non può non determinare la conclusione della permanenza anche della violazione paesaggistica, facendo cessare l'antigiuridicità dell'intero fatto (TAR Umbria, sentenza 28.02.2013 n. 126 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZILe tabelle redatte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali danno indicazione dei costi medi del lavoro, formulati sulla base dei valori economici risultanti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di settore e di altre variabili attinenti alla natura e all’organizzazione dell’impresa.
Tali tabelle offrono alla stazione appaltante un parametro in base al quale valutare la congruità dell’offerta. Pertanto, lo scostamento dai costi medi orari del lavoro ivi indicati non determina l’inammissibilità dell’offerta stessa, bensì esclusivamente la necessità che l’impresa fornisca adeguate giustificazioni al riguardo.
Ciò premesso, la stazione appaltante non può, nella lex specialis di gara, stabilire l’inderogabilità di tali costi medi a pena di esclusione, stante il principio di tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46, comma 1-bis del codice dei contratti pubblici.
Alla luce di siffatto principio, la stazione appaltante può escludere i concorrenti soltanto in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché in ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o per altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte.
Ma i bandi e le lettere di invito, come espressamente chiarisce la norma, “non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.

Preliminarmente, pare opportuno ricordare che le tabelle redatte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali danno indicazione dei costi medi del lavoro, formulati sulla base dei valori economici risultanti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di settore e di altre variabili attinenti alla natura e all’organizzazione dell’impresa.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, condivisa da questo Collegio, tali tabelle offrono alla stazione appaltante un parametro in base al quale valutare la congruità dell’offerta. Pertanto, lo scostamento dai costi medi orari del lavoro ivi indicati non determina l’inammissibilità dell’offerta stessa, bensì esclusivamente la necessità che l’impresa fornisca adeguate giustificazioni al riguardo (cfr. Tar Sardegna, sez. I, sentenza 09.01.2013, n. 6 e Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 28.05.2012, n. 3134).
Ciò premesso, la stazione appaltante non può, nella lex specialis di gara, stabilire l’inderogabilità di tali costi medi a pena di esclusione, stante il principio di tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46, comma 1-bis del codice dei contratti pubblici.
Alla luce di siffatto principio, la stazione appaltante può escludere i concorrenti soltanto in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché in ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o per altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte. Ma i bandi e le lettere di invito, come espressamente chiarisce la norma, “non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIGli oneri a carico dell’impresa relativi alla sicurezza dei lavoratori debbono essere computati con riferimento ai soli lavoratori che operino stabilmente alle dipendenze dell’impresa, non anche con riguardo a coloro i quali siano deputati saltuariamente ad effettuare sostituzioni dei lavoratori assenti.
L’art. 4, d.lgs. 09.04.2008, n. 81 (T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) dispone, infatti, che “ai fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale il presente decreto legislativo fa discendere particolari obblighi non sono computati: (…) d) i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 06.09.2001, n. 368, in sostituzione di altri prestatori di lavoro assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro; e) i lavoratori che svolgono prestazioni occasionali di tipo accessorio ai sensi degli articoli 70, e seguenti, del decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, e successive modificazioni, nonché prestazioni che esulano dal mercato del lavoro ai sensi dell'articolo 74 del medesimo decreto”.
Da tale disposizione si evince che gli oneri a carico dell’impresa relativi alla sicurezza dei lavoratori debbono essere computati con riferimento ai soli lavoratori che operino stabilmente alle dipendenze dell’impresa, non anche con riguardo a coloro i quali siano deputati saltuariamente ad effettuare sostituzioni dei lavoratori assenti.
Alla luce di tale norma, non devono, dunque, essere computati tra i lavoratori, ai fini del calcolo degli oneri di sicurezza, coloro i quali svolgono attività lavorativa soltanto in sostituzione dei lavoratori assenti.
Pertanto, nel caso di specie, correttamente il Consorzio SGM ha computato gli oneri di sicurezza per rischi specifici con riguardo soltanto agli 11 lavoratori da impiegare stabilmente nel servizio oggetto dell’appalto
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl principio di immodificabilità dell’offerta, teso a garantire, da un lato, la par condicio fra i concorrenti, e dall’altro, l’affidabilità del contraente, attiene non ad ogni aspetto della stessa, bensì ai profili economici e tecnici essenziali della medesima. In altri termini, è precluso all’impresa alla quale sia stato richiesto di giustificare l’offerta “anormalmente bassa”, ex art. 88 del codice dei contratti pubblici, di modificare l’offerta economica, non anche quella tecnica, salvo per quegli aspetti che si riverberino, ovviamente, sui profili economici ovvero sui contenuti tecnici essenziali posti a base di gara dalla stazione appaltante.
---------------
Obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso, e nel suo importo originario, affidabile o meno, il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia quelli che militano a favore, sia quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme: deve di conseguenza ritenersi possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa dimostri che per converso altre voci di prezzo sono state inizialmente sopravvalutate, e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di altre voci.
Pertanto, ciò che si può consentire è:
a) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite), lasciando le voci di costo invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili.
La giurisprudenza ha infatti precisato che il subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile.

Tuttavia, il principio di immodificabilità dell’offerta, teso a garantire, da un lato, la par condicio fra i concorrenti, e dall’altro, l’affidabilità del contraente, attiene non ad ogni aspetto della stessa, bensì ai profili economici e tecnici essenziali della medesima. In altri termini, è precluso all’impresa alla quale sia stato richiesto di giustificare l’offerta “anormalmente bassa”, ex art. 88 del codice dei contratti pubblici, di modificare l’offerta economica, non anche quella tecnica, salvo per quegli aspetti che si riverberino, ovviamente, sui profili economici ovvero sui contenuti tecnici essenziali posti a base di gara dalla stazione appaltante.
In tal senso si muove anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, nel confermare il principio di immodificabilità dell’offerta, anche in sede di giustificazioni, rileva come «obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso, e nel suo importo originario, affidabile o meno, il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia quelli che militano a favore, sia quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme: deve di conseguenza ritenersi possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa dimostri che per converso altre voci di prezzo sono state inizialmente sopravvalutate, e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di altre voci (nella specie, si era riconosciuto che il maggior importo di alcune voci del costo della manodopera rispetto a quello indicato dall’impresa potesse essere compensato dal maggior risparmio conseguito sul prezzo dei contratti di fornitura) [Cons. St., sez. VI, 21.05.2009 n. 3146; Cons. St., sez. VI, 19.05.2000 n. 2908].
Dalla citata giurisprudenza si desume che ciò che si può consentire è:
a) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite), lasciando le voci di costo invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili.
La giurisprudenza ha infatti precisato che il subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile [Cons. St., sez. V, 12.03.2009 n. 1451]
» (così, di recente, Cons. St., VI, 07.02.2012, n. 636)
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Debbono qualificarsi come controinteressati, specialmente a seguito delle modifiche apportate all’art. 22, comma 1, lett. c), della L. 07.08.1990, n. 241 dalla legge 11.02.2005, n. 15, non tutti coloro i quali siano, in qualsiasi modo, “contemplati” nell’istanza di accesso, bensì coloro che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.
Pertanto, ai fini della qualifica di un soggetto come controinteressato «non basta che taluno venga chiamato in qualche modo in causa dal documento richiesto, ma occorre in capo a tale soggetto un quid pluris, vale a dire la titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati racchiusi nello stesso documento, atteso che in materia di accesso la veste di controinteressato è una proiezione del valore della riservatezza, e non già della mera oggettiva riferibilità di un dato alla sfera di un certo soggetto».

La giurisprudenza ha, al riguardo, chiarito che debbono qualificarsi come controinteressati, specialmente a seguito delle modifiche apportate all’art. 22, comma 1, lett. c), della L. 07.08.1990, n. 241 dalla legge 11.02.2005, n. 15, non tutti coloro i quali siano, in qualsiasi modo, “contemplati” nell’istanza di accesso, bensì coloro che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.
Pertanto, ai fini della qualifica di un soggetto come controinteressato «non basta che taluno venga chiamato in qualche modo in causa dal documento richiesto, ma occorre in capo a tale soggetto un quid pluris, vale a dire la titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati racchiusi nello stesso documento, atteso che in materia di accesso la veste di controinteressato è una proiezione del valore della riservatezza, e non già della mera oggettiva riferibilità di un dato alla sfera di un certo soggetto» (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, sentenza 27.05.2011, n. 3190; cfr., da ultimo, anche Cons. Stato, sez. IV, sentenza 17.10.2012, n. 5325) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 27.02.2013 n. 162 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' da ritenersi illegittima -per difetto di istruttoria adeguata- una autorizzazione, in seguito a presentazione di denuncia di inizio attività edilizia, tacitamente assentita, per il fatto che il Comune non ha adeguatamente valutato, pur in presenza di contestazioni circa la titolarità dell'area, il presupposto della disponibilità dell'area previsto dalle richiamate disposizioni.
L'art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10, infatti (riprodotto dall'art. 11 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 - T.U. edilizia), nel prevedere che la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo", prevede anche che, in sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi.
Se, dunque, il potere-dovere così delineato in capo all'Amministrazione può limitarsi alla verifica dell'esistenza del possesso dell'area (e cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente il titolo, del potere sulla cosa, che si concreta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale), tale accertamento attiene pur sempre ad un livello minimo di istruttoria, che va superato ed approfondito allorché, problematiche di asserita, indebita, appropriazione del fondo altrui insorgano già all'atto della domanda.

Si è detto pertanto, in giurisprudenza, che “è da ritenersi illegittima -per difetto di istruttoria adeguata- una autorizzazione, in seguito a presentazione di denuncia di inizio attività edilizia, tacitamente assentita, per il fatto che il Comune non ha adeguatamente valutato, pur in presenza di contestazioni circa la titolarità dell'area, il presupposto della disponibilità dell'area previsto dalle richiamate disposizioni. L'art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10, infatti (riprodotto dall'art. 11 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 - T.U. edilizia), nel prevedere che la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo", prevede anche che, in sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi. Se, dunque, il potere-dovere così delineato in capo all'Amministrazione può limitarsi alla verifica dell'esistenza del possesso dell'area (e cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente il titolo, del potere sulla cosa, che si concreta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale), tale accertamento attiene pur sempre ad un livello minimo di istruttoria, che va superato ed approfondito allorché, problematiche di asserita, indebita, appropriazione del fondo altrui insorgano già all'atto della domanda” (Cons. Stato Sez. IV Sent., 25-11-2008, n. 5811) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.02.2013 n. 1144 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gli "intrecci personali" determinano l'esclusione dalla gara.
Indizi gravi, precisi e concordanti come gli “intrecci personali” esistenti tra società collegate e partecipanti ad una gara pubblica determinano la legittima esclusione dalla procedura.

Questo il principio ribadito dalla VI Sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 22.02.2013 n. 1091.
Nel caso in esame alcune imprese concorrenti ad una procedura ad evidenza pubblica, per l’affidamento dei lavori di ristrutturazione di un edificio scolastico, erano state escluse:
- per non aver dichiarato l’esistenza di una situazione di collegamento formale (come espressamente richiesto dal bando di gara);
- perché tra di loro esistevano degli “intrecci personali” che facevano presumere l’esistenza di quegli indizi gravi, precisi e concordanti che il legislatore ritiene i presupposti per la sussistenza di un unico centro decisionale.
Respinto il ricorso presentato in primo grado contro l’esclusione, le imprese adivano il Supremo Consesso Amministrativo, che giudica infondato il ricorso: “Premesso che il collegamento sostanziale ricorre nel caso in cui le offerte, seppure provenienti da imprese diverse, siano riconducibili ad un medesimo centro di interessi, si osserva che tale fattispecie, delineata dal richiamato orientamento giurisprudenziale sulla scorta della disciplina comunitaria, secondo cui il sistema delle gare pubbliche può funzionare solo, se le imprese partecipanti si trovino in posizione di reciproca ed effettiva concorrenza, ha poi avuto riconoscimento normativo nel d.lgs. n. 163 del 2006 –dapprima, nell’art. 34, comma 2, ora, nell’art. 38, comma 1, lett. m-quater), inserito dall’art. 3, comma 1, d.l. 25.09.2009, n. 135–, che, in aggiunta alla fattispecie tipizzata delle situazioni di controllo ex art. 2359 cod. civ., contempla espressamente, a ricognizione del principio già affermato in via giurisprudenziale, le ipotesi di collegamenti, anche di fatto, tra imprese partecipanti che comportino l’imputabilità delle relative offerte ad un unico centro decisionale.”
Pertanto: “…applicando le enunciate coordinate normative e giurisprudenziali alla fattispecie sub iudice, deve, in primo luogo, affermarsi la legittimità delle impugnate previsioni della lex specialis di gara e del c.d. "Patto di integrità", sopra citate, in quanto conformi all’enunciato principio della natura escludente di collegamenti sostanziali tra imprese partecipanti lesivi dei canoni della segretezza delle offerte e della serietà e trasparenza delle procedure di evidenza pubblica.”
Il collegamento societario e la partecipazione alle gare pubbliche hanno più volte interessato anche il legislatore comunitario, il quale ha recentemente disposto la contrarietà ai principi comunitari di trasparenza e concorrenza di una norma nazionale che impedisce, in via di principio, la partecipazione ai bandi pubblici di imprese tra loro collegate.
Con l’art. 38, comma 1, lett. m-quater), il legislatore italiano ha voluto recepire questo indirizzo, stabilendo che l’eventuale esclusione può essere stabilita soltanto valutando l’effettiva situazione concreta sottoposta all’attenzione della stazione appaltante (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALINon impugnabili dai consiglieri i bilanci incompleti.
I consiglieri comunali non possono impugnare un bilancio di previsione carente in alcuni allegati, tra i quali le delibere in materia di tributi o programmatiche (programma dei lavori e delle assunzioni) collegate al bilancio, per la mancanza di interesse personale dei consiglieri a sollevare doglianze non incidenti sulle prerogative loro riconosciute dall'ordinamento in ragione del ruolo ricoperto.

I consiglieri comunali, infatti, sono legittimati a ricorrere avverso gli atti adottati dagli organi di appartenenza nei ristretti limiti tracciati dalla lesione del loro diritto.
Limiti che il TAR Campania-Salerno, Sez. II, nella sentenza 22.02.2013 n. 490, reputa non essere stati violati in quanto afferenti a meri profili di legittimità dell'azione amministrativa non incidenti sulla loro posizione giuridica (Consiglio di Stato, sezione IV, 02/10/2012, n. 5184; sezione V, 15.12.2005, n. 7122, sezione I, 30.07.2003 n. 2695).
Secondo il Tar, solo quando si concretizza un contrasto interno qualificato in ragione della lesione di un interesse personale rilevante per l'ordinamento può dirsi sorta una posizione qualificata e idonea a stimolare la funzione giurisdizionale; in quanto capace di rilevare all'esterno e come tale oggetto di possibile sindacato da parte del Tar, atteso che la giurisdizione amministrativa non concerne l'astratto sindacato sulla legalità dell'azione dei pubblici poteri, ma è giurisdizione di diritto soggettivo, richiedendosi, per la sua attivazione la sussistenza di un interesse personale prima che attuale,
A ragione si afferma, dunque, che la difformità delle delibere consiliari (per mancanza di pareri o delibere connesse) dal modello legale, di per sé impugnabile dai soggetti diretti destinatari o direttamente lesi, non attiva la legittimazione dei consiglieri comunali a impugnare, perché altrimenti si dovrebbe loro riconoscere un'inammissibile azione popolare di diritto oggettivo, a tutela della conformità a legge delle delibere consiliari, che prescinde del tutto dall'interesse dei ricorrenti (Consiglio di Stato V n. 2457/2010).
Non ogni violazione di forma o di sostanza nell'adozione di una deliberazione si traduce in una automatica lesione del diritto del consigliere; ciò accade solo nella misura in cui l'illegittimità si sia tradotta nella lesione del diritto e dovere della persona investita della carica di consigliere comunale di esercitare la propria funzione, tramite il proprio voto; il contrasto che si crea non deve essere suscettibile di risoluzione nella sede dialettica interna all'organo, atteso che proprio la lesione del ruolo impedisce l'attivazione dei meccanismi di responsabilità politica e rende necessario il ricorso all'autorità giurisdizionale.
Questa lesione sussiste se si lamentano violazioni che incidono sui diritti di partecipazione del consigliere comunale, e non nel caso di violazioni afferenti a profili formali o alla legalità obiettiva delle delibere consiliari (articolo Il Sole 24 Ore del 04.03.2013 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOSul demansionamento decisivo il fattore tempo. Per la Cassazione nessuna incidenza se l'incarico è breve.
LO SCENARIO/ Con la sentenza 4301/12 riconfermato l'orientamento prevalente ma sul punto continuano a pesare i limiti della normativa vigente.

La Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con la sentenza 21.02.2013 n. 4301, ha ritenuto legittima l'adibizione per esigenze di servizio a mansioni inferiori del dipendente, se viene assicurato in modo prevalente e assorbente l'espletamento delle mansioni ordinarie.
La controversia è stata promossa da un dipendente comunale, il quale ha chiesto al Tribunale di primo grado di accertare il suo diritto al risarcimento dei danni professionali, morali ed esistenziali subiti a seguito di un presunto demansionamento attuato ai sui danni.
La domanda, dopo l'esito positivo del primo grado, è stata respinta dalla Corte d'appello di Cagliari, in quanto secondo i giudici le mansioni attribuite al lavoratore erano sicuramente dequalificanti, ma implicavano un impegno temporale circoscritto nel tempo. Per questo motivo le mansioni inferiori non intaccavano le mansioni svolte in prevalenza. Il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione contro la decisione, ma la Suprema corte ha confermato le conclusioni del precedente giudizio.
Secondo la sentenza le mansioni assegnate al dipendente erano sicuramente inferiori rispetto a quelle inizialmente attribuite allo stesso, ma si sono risolte in adempimenti limitati nel tempo, che non hanno inciso in maniera prevalente sulle mansioni ordinarie relative all'inquadramento di appartenenza. In questo modo viene confermato un orientamento della Cassazione, la quale già in passato ha chiarito che si possono affidare mansioni inferiori quando queste richiedono un impiego di energie lavorative di breve durata, che non incidono sullo svolgimento prevalente delle mansioni ordinarie.
La conferma del principio può aiutare a fare chiarezza su molte situazioni controversie, ma è difficile pensare che si ridurranno i contenziosi in materia. Le liti sulle mansioni proliferano perché le aziende chiedono con frequenza sempre maggiore di poter cambiare i compiti assegnati al personale, ma i limiti imposti dall'attuale normativa lavoristica non sono chiari e oggettivi.
L'attuale criterio cardine è che le mansioni attribuite al momento dell'assunzione possono essere cambiate, ma solo se equivalenti o superiori; invece, se la variazione disposta comporta l'attribuzione di mansioni inferiori, il dipendente ha diritto al risarcimento del danno alla professionalità che ne consegue.
Il principio è attenuto nel caso di mansioni promiscue: in tal caso, occorre fare riferimento alle mansioni primarie e caratterizzanti, ossia quelle prevalenti sia sotto un profilo quantitativo, sia qualitativo.
Vi sono anche altre ipotesi nelle quali le mansioni, in deroga alla regola generale, possono essere ridotte. Uno dei casi più noti è quello delle procedure di riduzione del personale; durante tali procedure, possono essere firmati accordi sindacali che prevedono il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori in esubero con l'assegnazione di mansioni diverse. Altra ipotesi diffusa è quello in cui il demansionamento costituisce l'unica alternativa al licenziamento. Per queste situazioni, la giurisprudenza ha ritenuto (disapplicando la norma che sancisce con la nullità ogni patto in materia) valido il "patto di demansionamento", con cui il lavoratore accetta di proseguire il rapporto di lavoro con mansioni e retribuzione inferiori a quelle di assunzione, se questa misura è l'unico rimedio per evitare il licenziamento.
Le mansioni possono essere ridotte anche durante il periodo della gestazione e fino a sette mesi dopo il parto, per evitare pregiudizi alla salute della lavoratrice, e nei confronti del lavoratore giudicato inidoneo alla mansione specifica e adibito ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute (articolo Il Sole 24 Ore del 05.03.2013 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: PA, consulenze esterne solo se indispensabili.
Il manager pubblico può rispondere di danno erariale nel caso in cui affidi incarichi esterni a professionisti fatta eccezione nel caso in cui sussista una impossibilità oggettiva di svolgere l'attività all'interno dell'ente con i propri dipendenti.
Diventa sempre più restringente per le pubbliche amministrazioni legittimare le motivazioni per affidare incarichi esterni a professionisti; la Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza 21.02.2013 n. 4283, ha affermato che il manager pubblico che affida un incarico ad un consulente esterno risponde di danni erariali se non dimostra che vi è una riscontrata oggettiva impossibilità di far svolgere tale incarico all'interno dell'ente.
Nel novembre 2003 la Procura regionale citava in giudizio amministratori e dipendenti di un ente pubblico chiedendone la condanna per responsabilità amministrativo-contabile, per aver conferito incarichi professionali a soggetti esterni all'ente.
La Corte dei Conti con sentenza del 2010 ha condannato gli amministratori a pagare una cifra di poco inferiore ai quarantamila euro ciascuno per l'illecito conferimento dell'incarico di redazione di un parere richiesto a degli avvocati nonché a pagare una somma di poco superiore ai quattromila euro per illecito conferimento agli stessi avvocati del mandato difensivo innanzi al TAR; agli stessi amministratori erano, inoltre, contestati illeciti conferimenti a professionisti in relazione ad un ricorso promosso davanti al Consiglio di Stato.
La Corte dei Conti, in particolare, osserva che le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di provvedere ai compiti affidatile con la propria organizzazione ed il proprio personale in servizio ed il ricorso a soggetti esterni è consentito solo nei casi previsti dalla legge o per eventi straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica.
Nel caso specifico erano stati attribuiti, da parte degli amministratori pubblici, incarichi in maniera eccessiva a dei professionisti per difendere l'ente pubblico presso il Consiglio di Stato, senza accertare se quello interno era abilitato ad agire innanzi alle magistrature superiori; per i giudici amministrativi la somma pagata costituiva danno per l'ente e doveva essere ripartito tra i responsabili. Gli amministratori pubblici avverso la sentenza della Corte dei Conti ricorrono in Cassazione.
Per i giudici della Corte di Cassazione la sentenza impugnata ha condannato i manager pubblici al risarcimento del danno per l'affidamento a soggetti estranei di incarichi di collaborazione, consulenza e studio pur potendo costoro avvalersi di personale interno. Gli amministratori pubblici nel ricorso contestano, in particolare, la giurisdizione della Corte dei Conti e negano l'incidenza negativa sul bilancio dell'ente attraverso la denuncia della violazione di norme e principi che, nel disciplinare i poteri degli amministratori nella gestione della finanza pubblica, costituiscono il merito dell'azione amministrativa, in modo tale che i relativi comportamenti non sarebbero auspicabili dalla Corte dei Conti.
Di notevole importanza alla luce dei recenti interventi del legislatore in tema di collaborazioni esterne nelle pubbliche amministrazioni, è la deliberazione n. 7, depositata il 21.01.2009, della Corte dei Conti -Sezione regionale di controllo per il Veneto- riguardante gli incarichi conferiti nel contesto delle gestione delle risorse umane, con particolare riferimento ai Comuni privi di avvocati dipendenti che si affidano a collaborazioni con soggetti esterni.
Nel caso in esame gli incarichi in questione sono inquadrabile nella categoria 21 "servizi legali" contemplata nell'Allegato IIB, D.Lgs. n. 163 del 2006, cd. Codice degli Appalti, recante l'elencazione dei contratti d'appalto dei servizi esclusi ex art. 20, con conseguente necessaria osservanza delle disposizioni poste dallo stesso art. 20 e dei principi generali sanciti dall'art. 27. Lo stesso art. 7, D.Lgs. n. 165 del 2001 che disciplina gli incarichi di collaborazione autonoma, al comma 6-bis è ben lontano dal consentire i conferimenti "intuitu personae"; tale norma impone invece che le Amministrazioni pubbliche disciplinino e rendano pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.
Secondo la Sezione regionale della Corte dei Conti l'Amministrazione deve predisporre tutti quegli strumenti idonei ad assicurare in modo adeguato l'osservanza dei principi, di valenza generale, di trasparenza, pubblicità ed apertura alla libera concorrenza, così come richiesto dall'ormai consolidata giurisprudenza interna e comunitaria.
Con riferimento alla sentenza oggetto del presente commento gli amministratori, nel ricorso in Cassazione, censurano il comportamento della Corte dei Conti che ha sindacato l'esercizio del potere procedimentale di acquisire un parere da soggetti estranei all'amministrazione, senza tenere conto che la P.A., nel rispetto del principio di adeguatezza e completezza dell'istruttoria, è obbligata ad accertare d'ufficio la realtà dei fatti e la consistenza degli atti. L'ufficio legale dell'ente pubblico era composto da un solo avvocato e due funzionari che dovevano fronteggiare il contenzioso complessivo. Il ricorso a professionisti esterni era un atto indispensabile per fronteggiare un imminente contenzioso e l'ufficio legale non aveva competenze sulla materia oggetto del contenzioso stesso.
Per la Corte di Cassazione le scelte degli amministratori, dovendo conformarsi ai suddetti criteri di legalità e a quelli giuridici di economicità, di efficacia e di buon andamento sono soggette al controllo della Corte dei Conti perché assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell'azione amministrativa.
Per i giudici di legittimità occorre ribadire il principio secondo il quale l'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti, non comporta che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e l'organizzazione amministrativa, e quindi il giudice contabile non viola i limiti esterni alla propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità per danno erariale gli amministratori che hanno conferito incarichi professionali senza rispettare le indicazioni contenute nella normativa di riferimento e soprattutto senza determinazione specifica di contenuto, durata, compenso, etc. in relazione all'affidamento conferito .
Per la Corte di Cassazione il ricorso dei manager pubblici deve essere respinto, mentre la giurisdizione della Corte dei Conti va confermata (commento tratto da www.ipsoa.it).

LAVORI PUBBLICIL'individuazione dell'area ove ubicare un'opera di pubblica utilità costituisce una scelta tecnico-discrezionale dell'amministrazione, come tale sottratta al sindacato di legittimità, salvo evidenti profili di illogicità o abnormità.
In linea di principio, l'individuazione dell'area ove ubicare un'opera di pubblica utilità costituisce una scelta tecnico-discrezionale dell'amministrazione, come tale sottratta al sindacato di legittimità, salvo evidenti profili di illogicità o abnormità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25.07.2011, n. 4454) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.02.2013 n. 1077 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell'art. 5, d.P.R. 20.10.1998 n. 447, dovendosi procedere all'introduzione di una variante al piano regolatore generale necessaria per la realizzazione di un impianto produttivo, la conferenza di servizi può essere utilizzata come procedimento urbanistico alternativo solo in presenza di due presupposti: in primo luogo, la conformità del progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro; in secondo luogo, che lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato.
---------------
L'indisponibilità di aree posta dall'art. 5 dpr 447/1998 quale primo requisito per l'avvio dell'iter di variante cd. "semplificata" non dev'essere valutata avendo solo come unico punto di riferimento l'esistenza -o meno- di terreni immediatamente utilizzabili, sui quali sia dunque possibile edificare sulla base del rilascio diretto di un titolo edilizio ma, invece, esaminando il complesso delle aree libere aventi una destinazione urbanisticamente compatibile con l'intervento in oggetto: la normativa in parola, infatti, di stretta interpretazione per il suo carattere derogatorio, non prevede in alcun modo che l'eventuale necessità di una iniziativa pianificatoria di secondo grado, pubblica o privata, escluda l'idoneità di una zona all'ubicazione di insediamenti produttivi, consentendo appunto l'eccezione allo strumento urbanistico soltanto nei casi in cui lo stesso, in termini generali, non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi, ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato.

Ai sensi dell'art. 5, d.P.R. 20.10.1998 n. 447, dovendosi procedere all'introduzione di una variante al piano regolatore generale necessaria per la realizzazione di un impianto produttivo, la conferenza di servizi può essere utilizzata come procedimento urbanistico alternativo solo in presenza di due presupposti: in primo luogo, la conformità del progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro; in secondo luogo, che lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato.
Per quanto riguarda il requisito dell’insufficienza delle aree, la giurisprudenza di questo Tribunale ha precisato “l'indisponibilità di aree posta dall'art. 5 quale primo requisito per l'avvio dell'iter di variante cd. "semplificata" non dev'essere valutata avendo solo come unico punto di riferimento l'esistenza -o meno- di terreni immediatamente utilizzabili, sui quali sia dunque possibile edificare sulla base del rilascio diretto di un titolo edilizio ma, invece, esaminando il complesso delle aree libere aventi una destinazione urbanisticamente compatibile con l'intervento in oggetto: la normativa in parola, infatti, di stretta interpretazione per il suo carattere derogatorio, non prevede in alcun modo che l'eventuale necessità di una iniziativa pianificatoria di secondo grado, pubblica o privata, escluda l'idoneità di una zona all'ubicazione di insediamenti produttivi, consentendo appunto l'eccezione allo strumento urbanistico soltanto nei casi in cui lo stesso, in termini generali, non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi, ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato" (Tar Lecce, sez. I, 12.04.2012, n. 620)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.02.2013 n. 398 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'atto soprassessorio non è impugnabile solo se ha natura meramente interlocutoria e, dunque, sia inidoneo a manifestare la volontà dell'Amministrazione; al contrario, ove detto atto determini un'interruzione del procedimento, assume un contenuto sostanzialmente reiettivo dell'istanza del privato giacché, rinviando il soddisfacimento dell'interesse pretensivo ad un accadimento futuro ed incerto nel quando, determina un arresto a tempo indeterminato del procedimento amministrativo, con immediata capacità lesiva della posizione giuridica dell'interessato; come tale, infatti, costituisce un'eccezione alla regola per la quale l'atto procedimentale non è autonomamente impugnabile, perché ha un'immediata capacità lesiva della posizione giuridica dell'interessato.
Sono invece infondate le censure proposte con i motivi aggiunti avverso la nota della Provincia del 10.05.2012, con la quale sono stati comunicati i motivi ostativi, ex art. 10-bis l. 241/1990 alla conclusione della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA, perché “la localizzazione dell’impianto in tale area necessita … della procedura di variante allo strumento urbanistico, che può essere avviata solo da un atto del Consiglio Comunale” mentre “non è pervenuta alcuna comunicazione da parte dell’Ufficio Urbanistica del Comune di Ugento”.
È da rilevare, anzitutto, che il provvedimento in questione è un atto soprassessorio che determina l’interruzione del procedimento e, come tale, autonomamente impugnabile.
Infatti, secondo costante giurisprudenza “L'atto soprassessorio non è impugnabile solo se ha natura meramente interlocutoria e, dunque, sia inidoneo a manifestare la volontà dell'Amministrazione; al contrario, ove detto atto determini un'interruzione del procedimento, assume un contenuto sostanzialmente reiettivo dell'istanza del privato giacché, rinviando il soddisfacimento dell'interesse pretensivo ad un accadimento futuro ed incerto nel quando, determina un arresto a tempo indeterminato del procedimento amministrativo, con immediata capacità lesiva della posizione giuridica dell'interessato; come tale, infatti, costituisce un'eccezione alla regola per la quale l'atto procedimentale non è autonomamente impugnabile, perché ha un'immediata capacità lesiva della posizione giuridica dell'interessato.” (Cons. St., sez. V, 03.05.2012, n. 2530)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.02.2013 n. 398 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

TRIBUTITariffe Tarsu-Tia non retroattive. Vale lo Statuto del contribuente.
Le regole contenute nello Statuto dei diritti del contribuente valgono anche per delibere e regolamenti comunali. Questi atti, infatti, non possono avere efficacia retroattiva, se non nei limiti stabiliti da norme di legge. Pertanto, le tariffe deliberate per Tarsu o Tia oltre il termine stabilito dalla legge possono essere applicate solo dall'anno successivo alla loro approvazione.

Lo ha affermato il TAR Sicilia-Catania, Sez. II, con la sentenza 18.02.2013 n. 547.
Per il Tar Sicilia, le delibere con le quali i comuni fissano le tariffe per la Tarsu o la Tia, se risultano tardive, non possono «essere retroattivamente applicate». In questi casi, quindi, devono «intendersi prorogati i precedenti piani tariffari o i precedenti regimi». L'applicazione retroattiva, in effetti, si pone in contrasto con i principi contenuti nello Statuto dei diritti del contribuente. Del resto, l'articolo 3 della legge 212/2000 stabilisce che le disposizioni tributarie non possono avere effetto retroattivo e che, relativamente ai tributi periodici, le modifiche si applicano solo dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle norme che le prevedono. Naturalmente, la regola vale anche per delibere e regolamenti comunali.
Una parziale deroga al principio dello Statuto è rappresentata dall'articolo 1, comma 169, della Finanziaria 2007 (legge 296/2006), richiamato nella motivazione della sentenza, che impone agli enti locali di deliberare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Queste deliberazioni, anche se approvate successivamente all'inizio dell'anno d'imposta, purché entro il termine per il bilancio preventivo, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento. Tuttavia, in caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno.
Va ricordato che l'amministrazione comunale deve motivare la delibera che prevede un aumento delle tariffe per coprire i costi del servizio di smaltimento dei rifiuti. Non si può invocare genericamente la necessità di assicurare la copertura totale della spesa, senza fornire dati certi sullo scostamento tra entrate e costo del servizio (Consiglio di stato, sentenza 5616/2010). Per stabilire in una determinata entità l'importo dell'aumento, occorre indicare spese ed entrate (articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013).

APPALTI: Il partecipante a una selezione pubblica ha diritto di accedere ai curricula degli altri concorrenti.
Questo è quanto ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza 08.02.2013 n. 731.
Nel caso in esame un professore associato di medicina interna della facoltà di medicina dell'Università degli studi di Bari aveva partecipato a una procedura finalizzata al provvisorio conferimento per l'anno accademico 2011-2012 dell'incarico di direttore della struttura di geriatria. A seguito del conferimento dell'incarico a un altro associato di medicina interna, il ricorrente aveva inoltrato domanda di accesso ai documenti riguardanti i titoli dichiarati dal vincitore della procedura nel suo curriculum.
L'amministrazione, però, aveva messo a disposizione dell'interessato atti diversi da quelli richiesti e, pertanto, era stato proposto ricorso al Tar Puglia contro il diniego di accesso. Il tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso ritenendo soddisfatto il diritto di accesso con i documenti rilasciati. Il Cds, invece, accoglie il ricorso e ordina al Policlinico di Bari di rilasciare all'interessato copia degli atti, non ancora esibiti. Secondo il Collegio, infatti, il ricorrente, in quanto partecipante alla procedura selettiva, vanta il diritto a conoscere gli atti relativi al curriculum degli altri partecipanti, atti in relazione ai quali non vi è alcuna contrapposta esigenza di riservatezza.
Si precisa, poi, che «anche se è vero che è inammissibile il diritto di accesso esercitato in maniera generica e indifferenziata, chiedendo all'amministrazione di svolgere un'attività di indagine e ricerca o un'attività valutativa ed elaborativa», è altresì vero «che non può considerarsi generica una richiesta di accesso che indica precisamente quale sia il contenuto degli atti, ignorandone soltanto gli estremi, ma consentendone agevolmente all'amministrazione l'identificazione».
In conclusione, essendo stati messi a disposizione della ricorrente documenti in parte diversi dai richiesti, e comunque non idonei a soddisfare integralmente la domanda, l'impugnazione deve essere accolta e, conseguentemente, va ordinato all'azienda di rilasciare all'interessato copia degli oggetti della richiesta di accesso, non ancora mostrati (articolo ItaliaOggi del 07.03.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Opere abusive, gli ulteriori lavori "buoni" replicano l'illegittimità principale.
In presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente.

In presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del comune di ordinarne la demolizione.
Ciò nella precisazione che tanto non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l'immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell'art. 35 della L. n. 47 del 1985, ancora applicabile per effetto dei rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica (art. 39 della L. 23.12.1994, n. 724 ed art. 32 della L. 24.11.2003, n. 326).
Procedure da seguirsi rigidamente, anche per quanto attiene alle modalità di presentazione dell'istanza, sia al fine di conferire certezze in ordine allo stato dei luoghi che ad evitarsi postumi tentativi di disconoscimenti della circostanza che, come previsto dalla legge, l'esecuzione delle opere, pur se autorizzate, avviene sotto la propria responsabilità, ovverosia nella piena consapevolezza -resa esplicita dal ricorso espresso alla procedura ex art. 35 L. n. 47 del 1985 cit.- che, sebbene interventi di natura eminentemente conservativa possono essere ammessi, si sta agendo assumendo espressamente a proprio carico rischi e pericoli connessi, cosicché se il condono verrà negato si dovrà demolire anche le migliorie apportate; e ciò, nella ulteriore precisazione che l'art. 35 L. n. 47 del 1985 cit. consente solo interventi di completamento: dell'opus già ultimato per poter essere ammesso a condono e sempre che le opere siano suscettibili di sanatoria, ossia non siano comprese tra quelle indicate dall'art. 33 cit. L. n. 47 del 1985 (recante prescrizioni di inedificabilità assoluta), e, ove invece soggiacenti al regime di inedificabilità solo relativa cui all'art. 32 precedente, abbiano ottenuto il previo parere delle competenti amministrazioni (commento tratto da www.ispoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 07.02.2013 n. 809 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di abitabilità delle costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa vigente.
Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine utile al fine di effettuare una consapevole valutazione sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto quando in un edificio siano state realizzate modifiche strutturali.
---------------
La conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24, comma 3, D.P.R. n. 380/2001, e art. 35, comma 2, l. n. 47/1985; del resto, risponde ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione è preordinata la disciplina urbanistico-edilizia.

In base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380 del 2001, il certificato di abitabilità delle costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa vigente. Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine utile al fine di effettuare una consapevole valutazione sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto quando in un edificio siano state realizzate modifiche strutturali (cfr., in argomento, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 16.03.2011 n. 740), che implichino un nuovo o diverso uso degli spazi.
Tanto deriva dalla espressa previsione dell’art. 25, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 380 del 2001: “1. Entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento, il soggetto di cui all'articolo 24, comma 3, è tenuto a presentare allo sportello unico la domanda di rilascio del certificato di agibilità, corredata della seguente documentazione:
b) dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità di conformità dell'opera rispetto al progetto approvato, nonché in ordine alla avvenuta prosciugatura dei muri e della salubrità degli ambienti;
..
3. Entro trenta giorni dalla ricezione della domanda di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, previa eventuale ispezione dell'edificio, rilascia il certificato di agibilità verificata la seguente documentazione:
c) la documentazione indicata al comma 1
.”
L'art. 25, commi 3-5, del D.P.R. n. 380 del 2001, inoltre, prevede un procedimento di rilascio del certificato di agibilità, articolato sui seguenti principi fondamentali:
1) il procedimento deve essere concluso nel termine di 30 giorni dalla ricezione della domanda di rilascio del certificato di agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire con autocertificazione il parere dell'A.S.L. previsto dall'art. 5, 3° comma, lett. a), del D.P.R. n. 380 del 2001;
2) il decorso del termine per la definizione del procedimento, importa la formazione del silenzio assenso sull'istanza di rilascio del certificato di agibilità;
3) il termine del procedimento può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di documentazione integrativa, che non sia già nella disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere acquisita autonomamente; in tal caso, il termine per la conclusione del procedimento ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa;
4) il rilascio del certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265 (art. 26 D.P.R. n. 380 del 2001).
Sul rapporto tra certificato di agibilità e conformità urbanistica-edilizia, recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto modo di osservare che "La conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24, comma 3, D.P.R. n. 380/2001, e art. 35, comma 2, l. n. 47/1985; del resto, risponde ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione è preordinata la disciplina urbanistico-edilizia" (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 30.04.2009, n. 2760).
L’inequivoco tenore letterale e la finalità delle norme comportano quindi l’infondatezza del ricorso nella parte in cui si deduce che la funzione del certificato di agibilità investirebbe esclusivamente la rispondenza del fabbricato ai requisiti igienico-sanitari e non assumerebbe rilievo sotto il profilo urbanistico-edilizio.
Non sussiste neppur il dedotto vizio motivazionale in cui si assume sia incorsa la P.A. nell’annullare gli effetti della richiesta di agibilità atteso che la rilevata difformità urbanistica ed edilizia giustifica ex se l’adozione del provvedimento impugnato.
Infine non assumono rilievo neppure i dedotti vizi formali atteso che il rigetto del principale motivo che sorregge l'impugnazione priva di rilevanza i residui argomenti con essa spiegati, stante l’applicabilità dell’art. 21-octies della L. 241/1990 il quale rende non annullabile il provvedimento amministrativo per vizi formali quali la violazione di regole procedimentali (mancata comunicazione avvio procedimento) quanto il suo contenuto non potrebbe essere diverso (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 07.02.2013 n. 294 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione in sanatoria, da quando si forma il silenzio-assenso?
In tema di sanatoria edilizia la formazione del silenzio-assenso presuppone non solo l'avvenuto pagamento dell'oblazione e la presentazione della documentazione richiesta ma anche la corresponsione al Comune dei contributi relativi agli oneri concessori.

L'art. 35, commi 1 e 3, della L. 28.02.1985, n. 47 (Norme in materia d controllo dell'attività urbanistica-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) -nel disciplinare il "procedimento per la sanatoria"- prevede che la domanda di concessione "è corredata dalla prova dell'eseguito versamento dell'oblazione" e che alla stessa devono essere allegati una serie di documenti che vengono specificamente indicati.
Il successivo comma 17 stabilisce che "decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda", quest'ultima "si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio".
L'art. 37, comma 1, della stessa legge prevede che "il versamento dell'oblazione non esime" i soggetti legittimati a presentare la domanda "dalla corresponsione al Comune, ai fini del rilascio della concessione, del contributo previsto dall'art. 3 della L. 28.01.1977, n. 10, ove dovuto".
Pertanto la formazione del silenzio assenso presuppone non solo l'avvenuto pagamento dell'oblazione e la presentazione della documentazione richiesta ma anche la corresponsione al Comune dei contributi relativi agli oneri concessori.
In particolare, il primo comma dell'art. 37 è chiaro nell'imporre, "ai fini del rilascio della concessione", il versamento, unitamente all'oblazione, dei predetti oneri.
L'art. 35, comma 17, nella parte in cui stabilisce che si forma il silenzio assenso "ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio", va, pertanto, inteso nel senso che tra tali somme devono essere incluse anche quelle che rilevano in questa sede.
La successiva normativa statale sul condono -art. 32 del D.L. 30.09.2003, n. 269, non applicabile alla fattispecie in esame- esplicita con chiarezza un enunciato desunto, in relazione alla L. n. 47 del 1985, all'esito dell'esposta interpretazione sistematica delle norme rilevanti.
Il comma 32 del predetto articolo dispone che la domanda relativa alla definizione dell'illecito edilizio deve essere corredata dalla "attestazione del pagamento dell'oblazione e dell'anticipazione degli oneri concessori".
Il successivo comma 37 subordina espressamente la formazione del silenzio-assenso, in mancanza di risposta dall'amministrazione entro il termine di ventiquattro mesi, al "pagamento degli oneri di concessione".
Del resto che il legislatore pretenda, ai fini della formazione del titolo abilitativo tacito, il pagamento degli oneri concessori è coerente:
a) sul piano generale con il meccanismo che presiede alla formazione del silenzio assenso il quale, consentendo che, per fini di semplificazione, si possa prescindere dall'adozione di un atto espresso e motivato, postula che la domanda di avvio del procedimento sia completa;
b) sul piano specifico, con la natura del procedimento di sanatoria che presuppone la già intervenuta realizzazione illecita delle opere.
La mancata formazione del silenzio assenso, per non avere l'appellante versato i predetti oneri, comporta, ovviamente, che non sia possibile ritenere prescritto un credito che presuppone l'esistenza del titolo abilitativo in sanatoria.
Inoltre, l'art. 35, comma 17, della L. n. 45 del 1987, prevede, ai fini della formazione del silenzio assenso, non solo che l'interessato abbia pagato tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ma anche che abbia provveduto alla "presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento".
La medesima norma è contenuta nell'art. 29, comma 3, lettera e), della legge provinciale n. 4 del 1987.
Nel caso in esame l'amministrazione comunale ha affermato, in risposta a quanto chiesto con la citata ordinanza istruttoria, che "non si rinviene all'interno dei fascicoli relativi alle pratiche di condono la dichiarazione del Sig. E.E., richiamata nell'atto di appello, con cui l'ufficio del catasto attesta l'avvenuta variazione di unità immobiliare".
La incompletezza della domanda presentata costituisce, pertanto, una (ulteriore) causa impeditiva della formazione del silenzio assenso, con conseguente impossibilità di postulare lo stesso inizio di decorrenza del termine di prescrizione (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 01.02.2013 n. 612 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Polizia locale in funzione di polizia giudiziaria: sugli illeciti edilizi poteri più ampi.
Il Consiglio di Stato ha precisato e chiarito due questioni fondamentali nel caso degli accertamenti di violazioni urbanistico edilizie. La prima è che
il diniego dell'accesso agli atti è legittimo solo nel caso di atti assunti dalla Polizia Municipale in quanto atti di Polizia Giudiziaria. La seconda è la non necessità di preavviso per l'esecuzione di sopralluoghi.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.01.2013 n. 547, ha affrontato la problematica dell'accesso agli atti nel caso in cui vi siano accertamenti della Polizia Municipale.
Nel caso di specie siamo di fronte ad accertamenti correlati ad attività edilizia.
A prescindere dall'esito processuale ci pare particolarmente interessante trattare due aspetti ben evidenziati e chiariti nella Decisione del Consiglio di Sato e che sono quelli di seguito descritti.
Primo aspetto: LIMITI ALL'ACCESSO AGLI ATTI NELL'AMBITO DI UN PROCESSO PENALE.
Verrebbe spontaneo affermare prontamente che è escluso in ogni caso il diritto di accesso, ma la decisione del Collegio afferma che così non è.
Il Giudicante precisa che la negazione dell'accesso agli atti deve trovare giustificazione nella tipologia dell'atto e, più specificatamente, in relazione al soggetto che li ha assunti ed alla funzione dallo stesso soggetto espletata nel momento in cui ha assunto gli atti, quindi, in altra e più sintetica formulazione, al modus operandi.
Precisamente, nell'ambito generale degli atti finalizzati all'accertamento ed alla repressione di presunti abusi edilizi vi sono:
1) Atti delegati dall'Autorità Giudiziaria;
2) Atti "notizia criminis" posti in essere dalla Polizia Municipale nella funzione di delega ricevuta, attribuiti alla Polizia Municipale dall'ordinamento;
3) Atti di indagine ed accertamento che confluiscono anche in denunce all'Autorità Giudiziaria, ma compiuti nell'ambito delle funzioni amministrative istituzionali proprie della Polizia Municipale e non compiuti quali attività di Polizia Giudiziaria.
Conclude il Collegio affermando che sulla summenzionata ed elencata tipologia di atti è legittimo negare l'accesso solo nelle ipotesi di cui ai punti sub 1) e sub 2), nel mentre l'ipotesi sub 3) non può sopportare alcuna limitazione all'accesso da parte dei privati interessati.
A giustificazione di tali conclusioni è richiamato l'art. 329 del Codice di Procedura Penale sul segreto istruttorio ed è richiamato il Consiglio di Stato -Sezione Sesta- Dec. n. 6117 del 09.12.2008, in ordine all'art. 24, L. n. 241 del 1990.
Secondo aspetto: DOVERE DA PARTE DELL'ENTE LOCALE DI PREAVVISARE IL PRIVATO CIRCA IL SOPRALLUOGO DI ACCERTAMENTO.
Nell'ambito processuale il ricorrente ha eccepito la negazione del diritto di accesso all'atto con il quale il Comune ha avviato l'accertamento effettuando ossia la determinazione espressa di effettuare un sopralluogo.
Nello specifico deve essere chiarito che l'atto richiesto, in quanto preavviso del sopralluogo, era inesistente perché non sussiste la necessità di una determinazione a compiere il sopralluogo e quindi la necessità preavviso, a tutela del privato, in quanto trattasi di accertamenti e non di provvedimenti.
Il Giudicante ciò giustifica in considerazione del fatto che l'art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 attribuisce al Dirigente dell'Ufficio tecnico Comunale la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale e ciò al fine di assicurare la conformità degli interventi alle prescrizioni di leggi, regolamenti, strumenti urbanistici e permessi di costruire.
Per quanto appena esposto il Collegio ha affermato che il Dirigente Responsabile, anche a mezzo di propri dipendenti, può "a sorpresa" effettuare accessi e sopralluoghi, sui siti di intervento edilizio, al fine di verificare se sussistono violazioni edilizie, con o senza rilevanza penale, tali da giustificare se vada emesso un ordine di sospensione dei lavori o se ci si debba determinare per un procedimento finalizzato al ritiro del precedente titolo abilitativo all'edificazione.
Conclude il Collegio che, solo in quest'ultimo caso (rectius: in quest'ultima fase del procedimento), sussiste l'obbligo, per la Pubblica Amministrazione, di trasmettere formale avviso dell'avvio del procedimento, ai sensi dell'art. 7, L. n. 241 del 1990 (commento tratto da www.ispoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: Furti, condominio incolpevole. Non c'è responsabilità quando il ladro usa l'impalcatura. La Cassazione: niente risarcimento se l'assemblea ha votato contro l'impianto di allarme.
Per il furto subito da un condomino nel proprio appartamento e che sia stato agevolato dai ponteggi installati per procedere ai lavori di manutenzione delle parti comuni non sono responsabili né l'impresa edile né il condominio ove risulti che in assemblea i condomini, compreso quello derubato, abbiano rinunciato a deliberare l'installazione di sistemi antifurto.

È il principio espresso dalla III Sez. civile della Corte di Cassazione che, nella recente sentenza 28.01.2013 n. 1890, si è occupata del problema della responsabilità del condominio e delle imprese nel caso di furto in appartamento favorito dalle impalcature erette per la ristrutturazione dello stabile condominiale.
I fatti di causa.
Questa la vicenda portata alla decisione della Cassazione: un condomino aveva subito il furto di preziosi custoditi nel proprio appartamento e il furto, come spesso accade, era stato agevolato dalla presenza di ponteggi installati da un'impresa per realizzare lavori di ristrutturazione dello stabile condominiale. Per quanto sopra il derubato aveva citato in giudizio sia il condomino sia l'impresa che aveva montato le impalcature, chiedendo che tribunale condannasse gli stessi al risarcimento dei danni subiti, cioè al rimborso di una somma pari al valore dei preziosi sottratti dall'abitazione.
La sentenza di primo grado aveva accolto i motivi del ricorrente, ma la stessa era stata impugnata dall'impresa e dal condominio che, in secondo grado, avevano vinto la causa. Secondo la Corte d'appello non era, infatti, stata provata la responsabilità dell'impresa. Secondo i giudici di secondo grado sebbene il condomino derubato avesse affermato che il furto si era verificato durante l'orario di lavoro e le tapparelle della stanza nella quale si trovavano i gioielli era bloccata, dalla ricostruzione dei fatti avvenuta in giudizio era emerso invece che la sottrazione dei preziosi si era prodotta oltre il termine di lavoro delle maestranze, mentre la tapparella era solo abbassata e priva di ogni sistema di blocco. Del resto era risultata la mancata adozione, da parte del condomino, di qualsiasi cautela idonea a evitare o a rendere più difficoltosa l'opera di eventuali ladri: i gioielli, infatti, non si trovavano in cassaforte, ma in una semplice scatola posta all'interno di un armadio della camera da letto.
La posizione della Cassazione.
Le precedenti considerazioni sono state pienamente condivise dalla Suprema corte che, in primo luogo, ha contestato l'assoluta genericità delle critiche mosse dal condomino nei confronti della decisione della Corte di appello. In ogni caso i giudici supremi hanno ritenuto corretta la decisione di merito non già perché il condominio e l'impresa avessero adottato tutti i provvedimenti necessari a evitare i furti, ma bensì perché vi era stata una delibera condominiale, a cui aveva assentito anche il condomino derubato, in cui per eccessiva onerosità l'assemblea aveva rinunciato all'installazione dei sistemi di allarme sul ponteggio.
Era stato, infatti, dimostrato che l'impresa aveva sollecitato l'installazione dell'antifurto proprio perché il ponteggio poteva facilitare l'ingresso di malintenzionati, ma l'assemblea condominiale non aveva aderito a tale richiesta. Il condomino ricorrente, inoltre, non aveva protetto adeguatamente i gioielli: infatti i preziosi rubati, nonostante l'ingente valore, erano contenuti in una scatola custodita nell'armadio e non in una cassaforte o in un blindato.
In ogni caso il ponteggio non era risultato pericoloso, né con caratteristiche volte ad agevolare l'intrusione di malintenzionati nell'appartamento del derubato (posto all'ottavo piano) (articolo ItaliaOggi Sette del 04.03.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie, dalla data di ricezione da parte del Comune della richiesta di restituzione inviata dagli odierni ricorrenti.

Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (cfr: CS, V, 02.02.1988 n. 105, 12.06.1995 n. 894 e 23.06.2003 n. 3714; TAR Lombardia, Sez. II, 24.03.2010, n. 728 e TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890, TAR Parma 07.04.1998 n. 149).
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie, dalla data di ricezione da parte del Comune (09.08.2011) della richiesta di restituzione inviata dagli odierni ricorrenti, atteso che questi ultimi, pur avendo inutilmente dato luogo ad una complessa ed articolata attività amministrativa, hanno poi tenuto un comportamento non significativo che in ipotesi avrebbe potuto sfociare anche in un riutilizzo del titolo abilitativo edilizio.
In conclusione, va dichiarato il diritto dei ricorrenti alla restituzione, da parte del Comune di Tremestieri Etneo, della somma di € 158.000,00 oltre interessi al tasso legale a partire dal 09.08.2011 all’effettivo soddisfo, con conseguente condanna del Comune medesimo al pagamento di tali importi (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 18.01.2013 n. 159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La Giunta non può imporre specifiche prescrizioni in tema di DIA.
E' illegittimo il provvedimento giuntale, reso a fronte di una DIA recante parere favorevole, contenente prescrizioni riduttive indicate per ragioni di tutela del demanio marittimo. La Giunta, in quanto organo politico, è incompetente ad imporre singole prescrizioni.

Con ricorso al TAR per la Campania, Sezione di Salerno, la società Alfa, titolare di una struttura ricettiva sita nel Comune di Castellabate, esponeva di aver presentato, a quest'ultimo, una dichiarazione di inizio di attività edilizia, consistente nell'ampliamento di una pedana amovibile con struttura in legno, già assentita con precedente autorizzazione.
A fronte dell'istanza, il responsabile del procedimento comunicava la sospensione dell'iter procedimentale finalizzata all'acquisizione, tanto dei pareri paesaggistico ambientali, quanto dell'autorizzazione demaniale ex art. 55 c.n..
In seguito, lo stesso responsabile notificava alla società istante un provvedimento con il quale, comunicava l'intervenuto parere favorevole della giunta comunale subordinato all'ottemperamento di alcune prescrizioni. Invitava pertanto la richiedente a ripresentare una nuova DIA conforme alle indicazioni emanate dall'organo politico.
Con ricorso la società Alfa domandava al Giudice Amministrativo l'annullamento del predetto atto.
Con sentenza resa in forma semplificata, ex art. 60 c.p.a., il TAR accoglieva il gravame, annullando il suddetto provvedimento e riconoscendo l'incompetenza della giunta, in quanto organo politico, ad imporre prescrizioni.
Ricorreva avverso tale sentenza il Comune chiedendone l'integrale riforma. Giunta la questione all'attenzione dei Giudici di Palazzo Spada, la Quarta Sezione ha rilevato che, nel caso di specie, la questione dirimente verte sulla legittimità di un provvedimento giuntale reso a fronte di una dichiarazione di inizio di attività edilizia recante parere favorevole, ma con prescrizioni riduttive della superficie assentibile, indicate per ragioni di tutela del demanio marittimo.
Sul punto il Collegio ha rilevato l'anomalia "normativa" dell'intervento nel procedimento amministrativo della giunta, in quanto organo politico, e la mancata applicazione delle disposizioni che il regolamento locale prevedeva in materia.
Nella specie, ha proseguito la Sezione, non è da considerarsi contestato il ruolo "politico" amministrativo che la giunta può, in base ai principi generali, svolgere in sede di pianificazione urbanistica bensì la legittimità della fonte che detto intervento prevede nei procedimenti edilizi che investono il demanio marittimo.
Sul punto, il Collegio ha confermato la correttezza della pronuncia del giudice di prime cure che, aveva già rilevato, il contrasto tra il provvedimento impugnato ed il principio di separazione tra politica ed amministrazione (art. 107 del t.u.ee.ll.).
Pertanto, Palazzo Spada, condividendo l'impianto della sentenza impugnata e valutando in termini fortemente negativi l'intervento normativo dell'organo politico nei singoli procedimenti edilizi, ha ritenuto di confermare la tesi accolta dal TAR in applicazione del menzionato ed elementare principio di separazione tra politica ed amministrazione ex art. 107 t.u.ee.ll. e proprio in forza di questa regola, di confermare l'incompetenza della giunta in materia.
Il Collegio ha altresì chiarito che, la fattispecie provvedimentale oggetto di controversia, viene in essere al termine di un procedimento nel quale, a fronte di una dichiarazione di inizio di un'attività edilizia con riflessi sul demanio marittimo, è ai sensi di legge richiesto, oltre a quelli paesaggistici, anche il nulla osta dell'autorità preposta alla tutela del demanio.
Nel caso in esame tuttavia, nel corso del prescritto "iter" procedimentale, il responsabile dell'ufficio, dopo aver sospeso gli sviluppi della DIA, non ha ordinato alla società, in esecuzione dell'art. 23, comma 6, D.P.R. n. 380 del 2001, di non eseguire l'intervento per la parte ritenuta in contrasto con la tutela del demanio, ma le ha direttamente opposto le emanate prescrizioni giuntali, invitandola alla presentazione di una nuova DIA.
In tal modo il comune, ha spiegato ancora Palazzo Spada, non esercitando i poteri previsti dalla legge in ordine alla dichiarazione di inizio di attività, ha posto in essere una distorsione del paradigma procedimentale tipico, puntualmente sanzionato dal giudice di prime cure.
Pertanto, ha concluso la Sezione, l'iter procedimentale dovrà essere ripetuto a partire dalla DIA presentata dalla società appellata, sulla quale l'amministrazione comunale, avrà nuovamente il potere-dovere di pronunciarsi, a norma del comma 6 dell'art. 23 del T.U. n. 380 del 2001, esprimendosi anche con riferimento ai profili di tutela del demanio, ma autonomamente, vale a dire senza obbligo di aderire al parere giuntale reso in forza di un regolamento la cui non contestata disapplicazione è divenuta inoppugnabile (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.01.2013 n. 168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Urgenza motivata, procedimento amministrativo senza comunicazione d'avvio.
Le norme che disciplinano le regole da osservare nell'ambito del procedimento amministrativo e, in particolare, nel corso del suo iter dispongono la comunicazione dell'avvio del procedimento ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento stesso. Orbene, tali esigenze devono essere esternate mediante una motivazione idonea a dimostrare che, a causa dell'adempimento dell'obbligo di comunicazione, potrebbe essere compromesso il soddisfacimento dell'interesse pubblico, cui il provvedimento è rivolto.
Nel 1995, il Comune di Bivongi aveva concesso in uso, attraverso la stipula di una convenzione, alla Metropolia Greco-Ortodossa, per la pratica della vita ascetica, il complesso della Basilica bizantina di San Giovanni Theristis.
Nel mese di maggio del 2007, le chiavi del complesso vennero affidate all'Amministrazione Comunale di Bivongi, a causa della temporanea assenza dei monaci.
Con una serie di specifiche comunicazioni, il Comune aveva sollecitato la Metropolia Greco-Ortodossa a riassumere la custodia del monastero, senza ottenere alcuna risposta.
Allora, anche in ragione della pericolosità determinata dall'incuria della folta vegetazione esistente intorno al complesso edilizio, il Comune dispose la revoca della convenzione, senza comunicare l'avvio del procedimento amministrativo.
La Metropolia Greco-Ortodossa impugna il provvedimento di revoca, lamentando, oltre il travisamento dei fatti, correlato alla cattiva interpretazione della condotta di consegna delle chiavi, la mancata comunicazione di avvio del procedimento.
Si costituisce in giudizio il Comune, evidenziando, in particolare quanto segue:
- nella concreta fattispecie, ricorrevano le ragioni d'urgenza, che giustificavano la mancata comunicazione d'avvio del procedimento, in ragione del pericolo di incendi, correlato all'incuria della folta vegetazione;
- comunque, la Metropolia era venuta a conoscenza del procedimento, a seguito delle note, con cui il Comune l'aveva sollecitata a riassumere la custodia del monastero;
- in ogni caso, il contenuto dei provvedimenti assunti non avrebbe potuto essere diverso;
- il protrarsi dell'omessa custodia minacciava direttamente il complesso monastico e impediva la valorizzazione del bene quale risorsa culturale e turistica per il territorio;
- nel complesso non era stata mai istituita una stabile comunità monastica.
Dunque, un complesso di articolate ragioni, con le quali il Comune cerca di far maggiormente comprendere le ragioni del proprio agire d'urgenza.
Il Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, con la Sent. n. 169 del 2009, respinge il ricorso, evidenziando che, in relazione alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, deve essere osservato che, con la deliberazione n. 18 del 2008, l'Amministrazione aveva puntualmente indicato le ragioni d'urgenza, che hanno consigliato, nella specie, l'immediata revoca della convenzione, atteso che, a causa della mancata custodia del bene, "l'incuria del verde" avrebbe potuto "favorire l'insorgere di incendi".
Inoltre, occorre tener conto del fatto che il Comune aveva ripetutamente sollecitato la Metropolia a riassumere la custodia del complesso, in tal modo rendendo la medesima edotta, sotto un profilo sostanziale, della possibile adozione di un provvedimento di revoca.
Invero, i giudici amministrativi calabresi non disdegnano di affrontare il merito della questione dedotta in giudizio.
Infatti, prendono atto che la convenzione, all'art. 3, faceva obbligo al concessionario di custodire i beni secondo la diligenza del buon padre di famiglia.
Ciò implica che, anche per l'ipotesi di assenza dei monaci dal complesso, la Metropolia avrebbe dovuto garantire la custodia dei beni, condotta che non è stata posta in essere, dal momento che le chiavi dell'immobile sono state riconsegnate all'Amministrazione Municipale in data 20.05.2008 dal Presidente dell'Associazione italo-greca "San Giovanni Theristis", il quale si è esonerato per il prosieguo da ogni responsabilità per danni alle cose o alla persone.
Ora, ad avviso del Tar, l'inadempimento dell'obbligo di custodia secondo la diligenza del buon padre di famiglia non può reputarsi di scarsa importanza, ai sensi dell'art. 1455 del codice civile, in quanto precipua finalità della convenzione (come si desume in particolare dagli artt. 1, 2 e 3) era quella di preservare la conservazione e l'integrità dei beni del complesso edilizio.
Pertanto, in questa prospettiva deve ritenersi che il Comune già avesse "ex lege" il potere di recedere dal rapporto concessorio, in quanto, sia secondo i principi generali dell'ordinamento, che secondo la speciale disciplina del comodato applicabile alla fattispecie in esame in via analogica (art. 1804 c.c.), costituisce facoltà dell'Amministrazione recedere dalla concessione quando il concessionario trascuri di custodire debitamente i beni a lui affidati.
Avverso la sentenza di primo grado, propone ricorso in appello la Metropolia Greco-Ortodossa, lamentando, primariamente, la mancata comunicazione di avvio del procedimento.
Come noto, l'art. 7, L. n. 241 del 1990, espressamente al comma 1, esclude dall'obbligo di comunicazione dell'avviso di inizio del procedimento i casi in cui "sussistono ragioni di impedimento derivate da particolari esigenze di celerità del procedimento".
L'esclusione è chiaramente prevista per contemperare il principio di pubblicità e trasparenza della Pubblica amministrazione con il principio di efficienza e di celerità, principi posti, in modo potenzialmente contraddittorio, dall'art. 1.
Trattandosi di deroga al generale obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento, è stato evidenziato già da tempo, in dottrina, che non è sufficiente un generico richiamo ad esigenze di celerità od a mere difficoltà operative, ma che è necessario un oggettivo impedimento, capace, cioè, di compromettere l'interesse pubblico di volta in volta perseguito.
L'impedimento, quindi e conseguentemente, deve essere, di volta in volta, adeguatamente motivato, in relazione allo specifico procedimento da adottare, per poter legittimamente giustificare la deroga.
La giurisprudenza più recente ha svolto alcune importanti considerazioni in merito alle conseguenze dell'omessa comunicazione di avvio.
In particolare, il Tar Marche, in materia di ricorsi proposti avverso un'ordinanza di rimozione e smaltimento di rifiuti, emessa ai sensi dell'art. 192, D.Lgs. n. 152 del 2006, ha evidenziato che la comunicazione di avvio non può essere mai omessa, se non nei casi espressamente previsti dalla norma medesima, ovvero qualora sussistano "ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento".
Peraltro, tali esigenze debbono essere, comunque, valutate, in concreto, e, se possibile, esplicitate da parte dell'Amministrazione, non essendo sufficiente che la medesima faccia riferimento ad una generica contingibilità dell'atto stesso o, meno ancora, che ne presupponga l'urgenza in considerazione della particolare natura del provvedimento stesso.
Questo, soprattutto nel caso in cui vi sia un erroneo inquadramento normativo della concreta fattispecie, da cui consegue un evidente vizio di travisamento dei fatti e di violazione di legge, che si ripercuote nel provvedimento adottato.
Sempre in tema di inquinamento ambientale, altra giurisprudenza si è dimostrata più attenta alle esigenze di immediato inizio delle necessarie operazioni di risanamento, affermando che: "in presenza di fenomeni di inquinamento della falda freatica, con possibile inquinamento batteriologico, può legittimamente omettersi la comunicazione di avvio del procedimento, in quanto fondata ragione di impedimento derivante da particolari esigenze di celerità".
Ancora, in materia di dichiarazione di decadenza di alloggio ERP, si è affermato che l'omessa comunicazione di avvio ha precluso, in pregiudizio del soggetto interessato, la possibilità di far valere le proprie ragioni: "né vale, in contrario, obiettare che la determinazione impugnata si pone quale atto conclusivo del procedimento amministrativo già avviato in precedenza e di cui l'interessa era a diretta conoscenza per aver avuto modo di proporre istanze al Comune come di impugnare l'ordinanza sindacale". Tuttavia, in tema di detenzione di armi, si è affermato che "Fra gli atti caratterizzati da particolari esigenze di celerità, per i quali l'art. 7, L. 07.08.1990, n. 241 consente che si prescinda dalla comunicazione di avvio del procedimento, rientra il divieto di detenzione di armi, munizioni e esplosivi previsto dall'art. 39 t.u.l.p.s., in quanto ispirato all'esigenza ineludibile di privare quanto prima delle armi un soggetto ritenuto in grado di abusarne".
Il Consiglio di Stato, confermando la sentenza di primo grado, si dimostra pienamente consapevole, nella sentenza in esame, delle diverse posizioni assunte dalla giurisprudenza, come ora illustrate, in ragione delle differenti fattispecie concrete. I giudici di appello osservano che le ragioni di celerità, idonee a giustificare un'omessa comunicazione di avvio, devono essere "qualificate", cioè devono essere adeguatamente e puntualmente esplicitate nella motivazione del provvedimento in concreto adottato.
Ora, nella concreta vicenda, tale adeguata motivazione viene ritenuta pienamente sussistente. Infatti, i giudici osservano che, nella deliberazione n. 18 del 2008 del Consiglio comunale di Bivongi, sono state evidenziate le ragioni di urgenza, che avevano consigliato l'immediata revoca della convenzione con la Arcidiocesi, consistenti nella circostanza che, a causa della mancata custodia del bene, l'incuria del verde avrebbe potuto favorire l'insorgere di incendi.
Siffatto pericolo, lungi dal presentarsi come solo teorico, era concretamente e non solo ipoteticamente sussistente, in quanto il complesso, costituito dalla Basilica di S. Giovanni Theristis e dalle sue pertinenze, ,è circondato da boschi e macchia mediterranea, che, proprio nell'anno 2008, sono stati colpiti da incendi.
Di conseguenza, il CdS rileva che: "la necessità di assicurare con sollecitudine la custodia di detto complesso, senza soluzioni di continuità, appare quindi pienamente idonea a giustificare la adozione degli impugnati provvedimenti, tenuto conto della circostanza che la deliberazione n. 12 del 10.06.2008 del Consiglio Comunale di Bivongi, con cui erano stati invitati il Sindaco e la Giunta ad intraprendere tutte le iniziative idonee a consentire la riapertura del Monumento, era stata inviata a mezzo fax alla utenza telefonica intestata alla Metropolia Greco-Ortodossa di Italia e Malta, che era stata quindi resa edotta della sussistenza della urgenza di porre fine all'abbandono del complesso da parte dei monaci di detta Metropolia".
Dunque, le ragioni di particolare e qualificata urgenza sono state puntualmente enunciate nel provvedimento di revoca e ciò legittima l'omessa comunicazione di avvio (commento tratto da www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2013 n. 91 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzioni, pertinenze, distanze legali, applicabilità.
Deve ritenersi "costruzione" qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione.
Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono soggette al rispetto della normativa sulle distanze.

--------------
Anche le pertinenze devono rispettare le distanze.
Si deve ritenere costruzione qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione.
E’ questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 03.01.2013 n. 72 in tema di distanze di costruzioni. Portando a conseguenza il principio ribadito, infatti, gli Ermellini sostengono che gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono soggette al rispetto della normativa sulle distanze.
Nel caso di specie due coniugi convenivano in giudizio il vicino che aveva realizzato a confine con la porzione di un immobile di loro proprietà un vano di circa m. 5x3 di lato e m. 3 di altezza, in violazione delle norme sulle distanze previste dal regolamento edilizio comunale.
Da qui la richiesta di demolizione del vano, che tuttavia veniva rigettata dal giudice di prime cure con la condanna al pagamento delle spese processuali. Al contrario, in sede di appello, il Giudice riformava la sentenza di primo grado, condannando il vicino ad arretrare il vano in questione fino alla distanza di m. 5 dal confine col vialetto di proprietà degli appellanti, rigettando al contempo la domanda di risarcimento di ulteriori danni. In buona sostanza, secondo i giudici di merito, il vano –a prescindere dalla sua funzione pertinenziale– costitutiva un edificio e non rispettava l’obbligo della distanza di almeno cinque metri dal confine.
Come si è visto, in sede di cassazione il Palazzaccio conferma la correttezza del ragionamento seguito dai giudici di appello, evidenziando con chiarezza l’irrilevanza dell’eventuale funzione pertinenziale ai fini della sussunzione nella categoria costruzione del vano in questione e rilevando al contempo la dimensione del vano tale da accrescere la superficie o la funzionalità economica della costruzione
(link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Ancora sulle distanze per accessori e pertinenze.
Ricordando quanto deciso dal TAR Veneto nella sentenza n. 57 del 2013 (si veda in questo sito il post del 13.02.2013), ritorniamo ad esaminare l’applicazione dell’art. 873 c.c., in relazione ad opere pertinenziali all’edificio principale già esistente.
La Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 03.01.2013 n. 72 ha stabilito che: “ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c. e segg., e delle norme dei regolamenti integrativi della disciplina codicistica, ha affermato che deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione. Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, cosi da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono soggette al rispetto della normativa sulle distanze” (link a http://venetoius.it).

EDILIZIA PRIVATALa tinteggiatura della facciata esterna di un edificio rientra nella definizione degli interventi di manutenzione ordinaria recata dall'articolo 3 del testo unico dell'edilizia; infatti, l'articolo 3 del d.p.r. 380 del 2001 definisce interventi di manutenzione ordinaria “gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici”.
La tinteggiatura della facciata di un edificio consiste, effettivamente, nel rinnovamento o riparazione di una finitura dell'edificio stesso, per cui ricade certamente nella suddetta definizione di manutenzione ordinaria.
Erroneamente il comune ha classificato tale intervento edilizio nella manutenzione straordinaria, intendendosi per manutenzione straordinaria le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, ai sensi del medesimo articolo 3.
Ne deriva che, configurandosi la manutenzione ordinaria come attività edilizia libera, ai sensi dell'articolo 6 del testo unico dell'edilizia, l'intervento di tinteggiatura poteva essere svolto senza alcun titolo abilitativo.
---------------
Ai fini della realizzabilità di interventi edilizi in area sottoposta a vincolo paesaggistico, è necessaria, in linea generale, la contestuale acquisizione sia del titolo autorizzatorio edilizio, sia di quello paesaggistico (che assume, tra l'altro, carattere prioritario e preminente rispetto al titolo edilizio). Tuttavia, ai sensi dell'art. 149 comma 1, lett. a), d.lgs. 22.01.2004 n. 42, l'autorizzazione non è comunque richiesta per "gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici".
Nella fattispecie, l'intervento di tinteggiatura della facciata deve essere considerato, come già visto, opera di manutenzione ordinaria; trattandosi di tinteggiatura della facciata, qualora fosse stato scelto un colore diverso da quello originario, si sarebbe potuta verificare quella alterazione dell'aspetto esteriore degli edifici che avrebbe richiesto una previa autorizzazione paesaggistica.
Secondo il ricorrente, peraltro, il piano paesistico si limiterebbe a prescrivere colori tenui, rinviando al piano colori comunale una più dettagliata regolamentazione, che non sarebbe mai stata adottata dal comune stesso. Inoltre, sempre secondo il ricorrente, il colore originario della facciata sarebbe stato proprio il rosa e il fatto sarebbe apparso evidente dopo la raschiatura della parete. Inoltre, il colore rosa sarebbe prevalente nelle facciate degli edifici situati nella via pubblica su cui si trova l'edificio.
Ritiene il collegio di poter condividere le deduzioni di parte ricorrente, in quanto una colorazione tenue non può essere ritenuta tale da alterare l'aspetto esteriore dei luoghi in misura tale da deteriorare o porre in pericolo il valore della tutela del paesaggio. Dalla stessa documentazione fotografica allegata agli atti dal Comune, si rileva che le case situate nei paraggi dell'edificio interessato presentano una tinteggiatura non assolutamente uniforme, comparendo colori tenui diversi tra loro, dal giallo chiaro al verde grigio, dall'ocra al rosa pallido; deve concludersi dunque, per l'inconsistenza della contestazione mossa al ricorrente con la seconda parte della motivazione dell'ordinanza di demolizione.

Con il provvedimento impugnato, il comune di Pescolanciano ha ordinato all'attuale ricorrente la riduzione in pristino della situazione dei luoghi sui quali sarebbero stati svolti lavori abusivi, consistenti nella tinteggiatura delle facciate esterne dell'immobile in colore rosa e nella parziale demolizione di una parete tramezzale interna situata tra un vano negozio ed un retrostante disimpegno.
...
Il ricorso deve ritenersi fondato.
Nell'ordinanza di demolizione impugnata, la tinteggiatura delle facciate esterne in colore rosa viene considerata abusiva in quanto rientrerebbe tra le opere soggette a denuncia di inizio attività e perché, inoltre, comportando una modifica del preesistente aspetto esteriore del fabbricato, sottoposto a vincolo di tutela ai sensi del decreto legislativo 42 del 2004, doveva essere preventivamente autorizzata a norma dell'articolo 146 del predetto decreto legislativo.
Ritiene il collegio che, diversamente da quanto considerato nell'ordinanza impugnata, la tinteggiatura della facciata esterna di un edificio rientri nella definizione degli interventi di manutenzione ordinaria recata dall'articolo tre del testo unico dell'edilizia; infatti, l'articolo tre del d.p.r. 380 del 2001 definisce interventi di manutenzione ordinaria “gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici”.
La tinteggiatura della facciata di un edificio consiste, effettivamente, nel rinnovamento o riparazione di una finitura dell'edificio stesso, per cui ricade certamente nella suddetta definizione di manutenzione ordinaria. Erroneamente il comune ha classificato tale intervento edilizio nella manutenzione straordinaria, intendendosi per manutenzione straordinaria le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, ai sensi del medesimo articolo tre. Ne deriva che, configurandosi la manutenzione ordinaria come attività edilizia libera, ai sensi dell'articolo sei del testo unico dell'edilizia, l'intervento di tinteggiatura poteva essere svolto senza alcun titolo abilitativo.
Viene a cadere, di conseguenza, la prima parte della motivazione dell'ordinanza impugnata, secondo la quale l'intervento contestato sarebbe stato soggetto a denuncia di inizio attività.
La seconda parte della motivazione dell'ordinanza, come già esposto, considera l'abusività dell'opera come conseguenza della violazione del decreto legislativo 42 del 2004.
Secondo il comune resistente, l'intero territorio comunale sarebbe vincolato a tutela paesaggistica e il passaggio dal colore verde chiaro della facciata al colore rosa costituirebbe una modifica dell'aspetto esterno, per la quale sarebbe stata necessaria una previa autorizzazione.
Ai fini della realizzabilità di interventi edilizi in area sottoposta a vincolo paesaggistico, è necessaria, in linea generale, la contestuale acquisizione sia del titolo autorizzatorio edilizio, sia di quello paesaggistico (che assume, tra l'altro, carattere prioritario e preminente rispetto al titolo edilizio). Tuttavia, ai sensi dell'art. 149 comma 1, lett. a), d.lgs. 22.01.2004 n. 42, l'autorizzazione non è comunque richiesta per "gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici".
Nella fattispecie, l'intervento di tinteggiatura della facciata deve essere considerato, come già visto, opera di manutenzione ordinaria; trattandosi di tinteggiatura della facciata, qualora fosse stato scelto un colore diverso da quello originario, si sarebbe potuta verificare quella alterazione dell'aspetto esteriore degli edifici che avrebbe richiesto una previa autorizzazione paesaggistica.
Secondo il ricorrente, peraltro, il piano paesistico si limiterebbe a prescrivere colori tenui, rinviando al piano colori comunale una più dettagliata regolamentazione, che non sarebbe mai stata adottata dal comune stesso. Inoltre, sempre secondo il ricorrente, il colore originario della facciata sarebbe stato proprio il rosa e il fatto sarebbe apparso evidente dopo la raschiatura della parete. Inoltre, il colore rosa sarebbe prevalente nelle facciate degli edifici situati nella via pubblica su cui si trova l'edificio.
Ritiene il collegio di poter condividere le deduzioni di parte ricorrente, in quanto una colorazione tenue non può essere ritenuta tale da alterare l'aspetto esteriore dei luoghi in misura tale da deteriorare o porre in pericolo il valore della tutela del paesaggio. Dalla stessa documentazione fotografica allegata agli atti dal Comune, si rileva che le case situate nei paraggi dell'edificio interessato presentano una tinteggiatura non assolutamente uniforme, comparendo colori tenui diversi tra loro, dal giallo chiaro al verde grigio, dall'ocra al rosa pallido; deve concludersi dunque, per l'inconsistenza della contestazione mossa al ricorrente con la seconda parte della motivazione dell'ordinanza di demolizione (TAR Molise, sentenza 27.12.2012 n. 786 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

IMPIANTI TECNOLOGICI: Il manutentore che è consapevole del malfunzionamento di una caldaia, a causa della presenza di un componente non originale, non deve limitarsi a consigliare un uso limitato dell'apparecchio, ma deve impedirne l'uso, al fine di evitare il determinarsi di una situazione di pericolo per gli inquilini.
Infatti, il solo fatto di aver lasciato libero il cliente di utilizzare una caldaia potenzialmente dannosa, nella specie perché dotata di un pressostato d'incerte origini, costituisce una grave imprudenza, fonte di responsabilità per l'intossicazione cagionata da questa alle persone residenti nello stabile dove è posta; aggravato dall'abuso di fiducia insita nel contratto d'opera di manutenzione.

---------------
Caldaia non a norma? Ne risponde il manutentore che non ne impedisce l'uso.
Il solo fatto di aver lasciato libero il cliente di utilizzare una caldaia potenzialmente dannosa, in quanto dotata di un componente non originale, costituisce una grave imprudenza, fonte di responsabilità e l'eventuale effettuazione di una perizia tecnica in sede dibattimentale appare del tutto ininfluente.
E' quanto ha stabilito la VI Sez. penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 13.12.2012, n. 48229.
Un manutentore viene chiamato, con contratto d’opera, per controllare l’installazione e il malfunzionamento di una caldaia a gas in una casa. Non compiendo correttamente il proprio lavoro, causa un’intossicazione collettiva degli inquilini, della quale viene ritenuto responsabile, per aver omesso di eseguire un completo ed efficace controllo dell’impianto, in particolare della canna fumaria che risultava, poi, essere ostruita da carogne di uccelli.
L'imputato ricorre per Cassazione deducendo la mancata effettuazione della perizia tecnica, volta ad accertare il regolare funzionamento di un pezzo della caldaia, ritenuto il vero responsabile dell'intossicazione delle vittime, rispetto al quale sussiste il dubbio se si tratti di componente originale o meno.
Secondo gli ermellini, una volta accertata la consapevolizzazione di tale dubbio (emersa dal fatto che il manutentore aveva consigliato agli inquilini di utilizzare il meno possibile la caldaia), l'imputato avrebbe dovuto impedire, a titolo precauzionale, ogni uso della caldaia alle persone poi rimaste offese, non potendo certamente assumersi personalmente il rischio di un malfunzionamento della stessa, con la conseguente creazione di un prevedibile pericolo per la salute dei familiari risiedenti nell'abitazione.
Costituiva, dunque, un preciso dovere dell'imputato avvertire il cliente sul pericolo relativo all'utilizzazione di una caldaia con un pressostato di dubbia funzionalità (rectius, con un pressostato la cui funzionalità avrebbe dovuto prudentemente ritenersi dubbia), e rifiutarsi di lasciarlo utilizzare senza una previa verifica della sicurezza della funzionalità del pressostato.
In conclusione, "a nulla vale la giustificazione addotta dall'imputato, secondo cui lo stesso non avrebbe imposto lo spegnimento della caldaia per l'insistenza dello stesso cliente, non potendo tale scelta esimere il tecnico dall'assunzione delle conseguenti responsabilità" (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 13.12.2012 n. 48229 - commento tratto da www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996 chiarisce che l’inapplicabilità, a seguito del condono edilizio, delle sanzioni amministrative, statuita dall’art. 38 della legge n. 47/1985, non si estende all’indennità risarcitoria prevista dall’art. 15 della legge n. 1497/1939.
Del resto la giurisprudenza si era già espressa nel senso che la sospensione dei procedimenti sanzionatori e l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative poteva riguardare unicamente le violazioni urbanistico edilizie, e non anche le violazioni previste dalla normativa a tutela del paesaggio, in quanto gli illeciti paesaggistici non sono considerati dalla legge n. 47/1985 per disporne la sanatoria, ma solo per configurarli come eventuali cause ostative al condono edilizio: più volte il Consiglio di Stato, prima dell’entrata in vigore della legge n. 662/1996, aveva statuito che la condonabilità di manufatti in zona vincolata non esclude la sanzione pecuniaria paesaggistica introdotta dall’art. 15 della legge n. 1497/1939.
Il citato art. 2, comma 46, non ha quindi carattere innovativo, in quanto conferma, "ex auctoritate legis", la pregressa interpretazione giurisprudenziale dell'art. 15 l. 29.06.1939 n. 1497, operando alla stregua di norma di interpretazione autentica.
---------------
La giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato ha costantemente qualificato l’indennità in argomento come sanzione amministrativa da irrogare indipendentemente dal vulnus materiale al paesaggio, essendo sufficiente la violazione formale, ovvero la realizzazione dell’opera in assenza della corrispondente autorizzazione paesaggistica. La natura dissuasiva o sanzionatoria si desume dalla modalità di calcolo prevista dal legislatore, non incentrata sul pregiudizio causato al paesaggio, ma ancorata al criterio della maggiore somma tra danno arrecato e profitto conseguito mediante l’illecito, con la conseguenza che la sanzione, in caso di assenza di qualsiasi nocumento ambientale, va commisurata unicamente al profitto.
La ratio, condivisibile, dell’art. 15 della legge n. 1497/1939 e dell’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996 è quindi quella di dissuadere il privato dall’evitare il controllo preventivo, e di valorizzare la necessità di ottenere il preventivo titolo autorizzatorio, indipendentemente dalla sussistenza di illeciti sostanziali.

L’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996 chiarisce che l’inapplicabilità, a seguito del condono edilizio, delle sanzioni amministrative, statuita dall’art. 38 della legge n. 47/1985, non si estende all’indennità risarcitoria prevista dall’art. 15 della legge n. 1497/1939.
Del resto la giurisprudenza si era già espressa nel senso che la sospensione dei procedimenti sanzionatori e l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative poteva riguardare unicamente le violazioni urbanistico edilizie, e non anche le violazioni previste dalla normativa a tutela del paesaggio, in quanto gli illeciti paesaggistici non sono considerati dalla legge n. 47/1985 per disporne la sanatoria, ma solo per configurarli come eventuali cause ostative al condono edilizio: più volte il Consiglio di Stato, prima dell’entrata in vigore della legge n. 662/1996, aveva statuito che la condonabilità di manufatti in zona vincolata non esclude la sanzione pecuniaria paesaggistica introdotta dall’art. 15 della legge n. 1497/1939 (Cons. Stato, VI, 31.05.1990, n. 551; Cons. Stato, II, 07.03.1990, n. 189).
Il citato art. 2, comma 46, non ha quindi carattere innovativo, in quanto conferma, "ex auctoritate legis", la pregressa interpretazione giurisprudenziale dell'art. 15 l. 29.06.1939 n. 1497 (Cons. Stato, VI, 02.06.2000, n. 3184; TAR Veneto, II, 29.11.2006, n. 3925), operando alla stregua di norma di interpretazione autentica.
---------------
La giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato, alla quale il Collegio ritiene di aderire, ha costantemente qualificato l’indennità in argomento come sanzione amministrativa da irrogare indipendentemente dal vulnus materiale al paesaggio, essendo sufficiente la violazione formale, ovvero la realizzazione dell’opera in assenza della corrispondente autorizzazione paesaggistica. La natura dissuasiva o sanzionatoria si desume dalla modalità di calcolo prevista dal legislatore, non incentrata sul pregiudizio causato al paesaggio, ma ancorata al criterio della maggiore somma tra danno arrecato e profitto conseguito mediante l’illecito, con la conseguenza che la sanzione, in caso di assenza di qualsiasi nocumento ambientale, va commisurata unicamente al profitto (Cons. Stato, VI, 08.11.2000, n. 6007).
La ratio, condivisibile, dell’art. 15 della legge n. 1497/1939 e dell’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996 è quindi quella di dissuadere il privato dall’evitare il controllo preventivo, e di valorizzare la necessità di ottenere il preventivo titolo autorizzatorio, indipendentemente dalla sussistenza di illeciti sostanziali (cioè a prescindere dalla effettiva produzione di un danno ambientale –si veda anche TAR Veneto, II, 29.11.2006, n. 3925-)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 26.03.2012 n. 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In mancanza di specifiche disposizioni primarie e secondarie o dello strumento urbanistico comunale, non può essere negata la concessione edilizia in base a generiche considerazioni di carattere estetico, non tradotte in norme o previsioni urbanistiche, relativamente ad aree su cui le norme vigenti non impediscono di costruire e su cui non sussistono vincoli di carattere storico-artistico o paesaggistico.
Circa l’altro motivo del diniego, cioè il pregiudizio estetico derivante alla prospettiva della piazza, esso effettivamente incorre nelle censure dedotta col primo e col secondo mezzo di gravame.
Infatti, in mancanza di specifiche disposizioni primarie e secondarie o dello strumento urbanistico comunale, non può essere negata la concessione edilizia in base a generiche considerazioni di carattere estetico, non tradotte in norme o previsioni urbanistiche, relativamente ad aree su cui le norme vigenti non impediscono di costruire e su cui non sussistono vincoli di carattere storico-artistico o paesaggistico (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23.06.1997 n. 718) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 04.07.2001 n. 1971 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Circa la questione riguardante la possibilità di irrogare la misura pecuniaria prevista, in alternativa alla demolizione, dall’art. 15 della L. 29.06.1939, n. 1497, quando l’abuso edilizio commesso si trovi in ambiente paesisticamente protetto e sia eventualmente riscontrabile, ma solo ex post, per richiesta di sanatoria, l’assenza di un danno ambientale o almeno la sanabilità in via successiva della condotta (perché il danno sia sufficientemente lieve da non meritare la demolizione o perché il danno non sia più facilmente eliminabile).
L’interessante e dibattuta questione proposta all’esame di questo consesso riguarda la possibilità di irrogare la misura pecuniaria prevista, in alternativa alla demolizione, dall’art. 15 della L. 29.06.1939, n. 1497, quando l’abuso edilizio commesso si trovi in ambiente paesisticamente protetto e sia eventualmente riscontrabile, ma solo ex post, per richiesta di sanatoria, l’assenza di un danno ambientale o almeno la sanabilità in via successiva della condotta (perché il danno sia sufficientemente lieve da non meritare la demolizione o perché il danno non sia più facilmente eliminabile).
Nel caso l’appello è della Regione (Liguria, di cui sono state annullate le direttive, traenti spunto da istruzioni statali, con effetto caducante sul provvedimento di irrogazione del Sindaco di Levanto, comune in cui era avvenuto l’abuso), in quanto il TAR ha ritenuto essenzialmente:
● che, se si concede la sanatoria, come il Sindaco aveva giudicato possibile, l’indennità, che ha carattere solo reintegrativo, non è applicabile;
● che la sanatoria eliminerebbe ex post le violazioni formali, come quella della mancata sottoposizione al preventivo controllo della Soprintendenza;
● che la legge sopravvenuta –art. 2, comma 46, L. 23.12.1996, n.662, nel testo aggiunto dall’art. 10 D.L. 31.12.1996, n. 669, convertito nella L. 28.02.1997, n. 30-, là dove si prevede che la sanzione è da corrispondere anche in presenza di condono, riguarda, appunto, le sole fattispecie di condono, è riferita a fatti successivi e, comunque, sarebbe da intendere, per essere costituzionale, nel senso dell’irrogabilità dell’indennità solo quando il condono non sia accordato.
La questione è stata già affrontata, recentissimamente, dalla Sezione, sia pure con riguardo a fattispecie di condono, a partire dalla sentenza capostipite pubblicata nel giorno dell’udienza in cui è stata trattata la presente vicenda (sentenza 02.06.2000, n. 3184).
Vero è che nella presente causa ci si trova di fronte ad un’ipotesi di sanatoria semplice e non di condono. Ma è vero pure che la tesi, rappresentata in relazione al condono, vale qui, per così dire a fortiori, perché essa è stata affermata per una previsione normativa riferita a periodo transitorio, e quindi, se la tesi medesima vale in una situazione guardata dal legislatore con miglior favore, essa deve valere a maggior ragione se riferita ad abusi commessi nella fase a regime, rispetto alla quale il legislatore urbanistico ed ambientale manifestano una più intensa severità.
La Sezione ha adottato una serie di argomenti, di seguito riassunti, che conducono a giudicare fondato l’appello regionale qui in esame.
A).- Una piana lettura dell’art. 15 della L. n. 1497 del 1939 induce a ritenere il carattere sanzionatorio dell’indennità ivi prevista, dato:
   A.1-. che demolizione delle opere abusive e pagamento dell’indennità sono misure alternative, secondo valutazioni tecnico-discrezionali dell’Amministrazione;
   A.2-. che le due misure alternative sono connesse ad ogni ipotesi di inottemperanza agli obblighi e ordini in materia di tutela del paesaggio stabiliti dalla L. n. 1497, senza alcuna distinzione fra violazioni sostanziali (produttive di un danno ambientale effettivo) e violazioni formali, sicché si tratta di misure non solo ripristinatorie, ma anche deterrenti; in proposito si può aggiungere, riprendendo un argomento dell’appellante, che è importante dissuadere i cittadini dall’evitare il controllo preventivo, posto che, nel sistema complessivamente tuttora vigente, il legislatore ha inteso rafforzare il controllo preventivo ed evitare rischi per un bene delicato come il paesaggio attraverso l’introduzione di uno specifico reato, giusta l’art. 1-sexies D.L. 27.06.1985, n. 312, conv., con modifiche, dalla L. 08.08.1985, n. 431;
   A.3-. che la funzione dissuasiva è propria anche delle sanzioni amministrative;
   A.4-. che l’uso del termine “indennità” non è tecnicamente significativo, sia per la risalenza della disposizione, sia per la funzione distinta da un carattere risarcitorio che si usa ricollegare alle c.d. indennità (indennità di esproprio; indennità come somme di danaro e simili);
   A.5-. che, del resto, l’art. 15 l. n. 1497, qui applicabile, parla di indennità, mentre solo la legge del 1996 aggiunge l’aggettivo “risarcitoria”;
   A.6-. che il carattere dissuasivo e, dunque, sanzionatorio dell’indennità si arguisce anche dalle modalità del suo calcolo, fondate pure sul profitto;
   A.7-. che, in vero, il concetto di “danno arrecato” entra nella disposizione del 1939 solo per dettare uno dei parametri possibili della quantificazione (cioè per il quantum e non per l’an debeatur);
   A.8-. che, pertanto, se manca il danno, la commisurazione avverrà pur sempre con riguardo al profitto (qui si aggiunge, con la Regione appellante, che la nozione di profitto è di carattere estimativo, come differenza fra costo e valore, e non se ne può negare l’esistenza sol perché il pregiudizio ambientale sostanziale non vi sia);
   A.9-. che l’ordinamento, per il risarcimento del danno ambientale, appresta il diverso e specifico strumento dell’azione risarcitoria ex art. 18 L. 08.07.1986, n. 349;
   A.10-. che misure risarcitorie e sanzionatorio-deterrenti ben possono concorrere fra loro (C.g.a.R.si., sez. cons. 16.11.1993, n. 452);
   A.11-. che la giurisprudenza della Cassazione e di questo Consiglio militano per il carattere sanzionatorio della misura pecuniaria (Cass., ss.uu., 10.08.1996, n. 7403; idem, 18.05.1995, n. 5473; Cons. Stato, sez. V, 21.11.1985, n. 419; sez. II, 04.06.1997, n. 2479/1996; idem, 28.10.1997, n. 2065; idem, 29.10.1997, n. 2066), nel senso della necessità di colpire chi violi la legge del 1939, indipendentemente dal vulnus materiale al paesaggio, bastando, come si diceva, la violazione formale.
B).- La Sezione ha poi chiarito, ragionando con riguardo alla legislazione anteriore al 1996, che la sanzione indennitaria è dovuta perfino di fronte ad un assenso a titolo di condono edilizio di manufatti in area paesaggisticamente vincolata.
Essa ha notato la riguardo:
   B.1-. che la sospensione delle misure amministrative, disposta dagli artt. 38 e 44 della L. n. 47/1985, riguarda le sole sanzioni edilizie e non anche quelle sancite a tutela del paesaggio (Cons. Stato, sez. VI, 29.03.1987, n. 140; idem, 31.05.1990, n. 551), perché gli abusi paesistici sono presi in considerazione dalla normativa non per disporne la sanabilità, ma solo quali cause eventualmente ostative al condono (Cons. Stato, sez.VI, 29.09.1988, n. 1062);
   B.2-. che, perciò, la condonabilità edilizia, per l’appunto, non esclude la sanzione pecuniaria paesistica di cui all’art. 15 L. n. 1497 (Cons. Stato, sez. II, 07.03.1990, n. 189).
C).- Quanto al sopravvenire della L. n. 662 del 1996, che ha imposto, a lettere patenti, il pagamento dell’indennità (risarcitoria) pur di fronte al pagamento dell’oblazione, sempre la Sezione ha evidenziato che la disposizione non intende attribuire carattere risarcitorio all’indennità di cui si tratta, ma vuole soltanto che essa rimanga applicabile nonostante la concessione del condono edilizio (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.11.2000 n. 6007 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 04.03.2013

ã

CONVEGNI

LAVORI PUBBLICI: Si segnala n. 1 convegno gratuito organizzato dalla PROVINCIA DI MILANO che si terrà giovedì 14.03.2013 sull'argomento "LA MANUTENZIONE STRADALE - Tradizione, innovazione e aspetti ambientali collegati all'uso del fresato d'asfalto".
Maggiori dettagli e la locandina possono essere letti cliccando qui.

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGOOggetto: congedo straordinario retribuito ex art. 42, commi 5 e ss., del d.lgs. n. 151 del 2001 - computabilità ai fini dell'anzianità di servizio ed elle progressione di economica (nota 15.01.2013 n. 2285 di prot.).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Bonifica dei siti contaminati: alcune novità per l’iscrizione all’Albo (ANCE Bergamo, circolare 01.03.2013 n. 61).

VARIE: Oggetto: Modifiche al Codice della Strada in materia di patenti di guida e CQC (ANCE Bergamo, circolare 01.03.2013 n. 58).

APPALTI: OGGETTO: Articolo 13-ter del DL n. 83 del 2012 - Disposizioni in materia di responsabilità solidale dell’appaltatore - Circolare n. 40/E dell’08.10.2012 - Problematiche interpretative (Agenzia delle Entrate, circolare 01.03.2013 n. 2/E).
---------------
M. Denaro, Responsabilità solidale negli appalti non solo nel settore dell’edilizia.
Sono esclusi, invece, quelli di fornitura di beni, nonché quelli di opere e servizi, di trasporto, di subfornitura e le prestazioni rese nell’ambito del rapporto consortile.
L’Agenzia delle Entrate, a integrazione dei chiarimenti forniti con la circolare n. 40/2012, torna a occuparsi dell’esatta interpretazione delle disposizioni contenute nell’articolo 13-ter del Dl n. 83/2012 (“decreto crescita”), che hanno modificato, a decorrere dal 12.08.2012, la disciplina in materia di responsabilità fiscale nell’ambito dei contratti d’appalto e subappalto di opere e servizi (circolare n. 2/E dell'01.03.2013). ...
(link a http://www.fiscooggi.it).

APPALTI: Decreto dirigenziale Ministero della Giustizia 05.12.2012 - Richiesta di attivazione procedura per la consultazione diretta del Sistema Informativo del Casellario (S.I.C.) ai sensi dell'art. 39 DPR 313/2012, prot. n. --- del 14.02.2013 (Ministero della Giustizia, nota 20.02.2013 n. 24051 di prot.).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLa contrattazione decentrata negli Enti Locali (ANCI, febbraio 2013).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

LAVORI PUBBLICI: A. Mancini, La nuova disciplina dei ritardi nei pagamenti applicabile ai lavori pubblici dal 2013 (Bollettino di Legislazione Tecnica n. 2/2013).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: D. de Paolis, Determinazione dei compensi professionali: indicazioni pratiche sui parametri cui fare riferimento (Bollettino di Legislazione Tecnica n. 2/2013).

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Camarda, Incarichi professionali: consulenze o appalto di servizi? (Diritto e pratica amministrativa n. 2/2013).

SEGRETARI COMUNALI: L. Camarda, Le nuove responsabilità del segretario comunale (Diritto e pratica amministrativa n. 2/2013).

EDILIZIA PRIVATA: L. Ieva, La nuova disciplina dei parcheggi pertinenziali (Urbanistica e appalti n. 3/2013).

APPALTI: F. De Lucia, Il RUP cardine del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta (Urbanistica e appalti n. 3/2013).

COMPETENZE GESTIONALI - SEGRETARI COMUNALI: S. Salvai, Gli incarichi dirigenziali al Segretario Comunale (24.02.2013 - link a www.gianlucabertagna.it).

EDILIZIA PRIVATA: G. Fontana, Il comune è tenuto a valersi della fideiussione prima di applicare al debitore principale le sanzioni per il ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione? (18.02.2013 - link a http://venetoius.it).

APPALTI: R. Labriola. Impugnabilità del bando di gara - (Il Consiglio di Stato mette in discussione il principio della impugnabilità del bando di gara riservato solo alle clausole immediatamente lesive) (15.02.2013 - link a www.appaltieriserve.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: F. Vanettie A. Gussoni, D.M. n. 161/2012: note introduttive (terre e rocce da scavo) (link a www.lexambiente.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: M. Perin, Danno da disservizio e disorganizzazione nell’amministrazione (febbraio 2013 - link a www.lexitalia.it).

LAVORI PUBBLICI: M. Mattalia, I partenariati pubblici privati per il superamento della crisi economica (febbraio 2013 - link a www.lexitalia.it).

EDILIZIA PRIVATA: G. A.A Dato, Sportello unico per l’edilizia: interventi giurisprudenziali e novità normative (Diritto e pratica amministrativa n. 11-12/2012).

CONSIGLIERI COMUNALI: E. Madeo, Spese legali: il rimborso spetta anche agli amministratori degli enti locali (Diritto e pratica amministrativa n. 11-12/2012).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Confermato il sì al rinnovo del contratto se previsto sin dal principio.
Con il provvedimento in rassegna, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, ha dapprima ripercorso le tappe dell’annosa questione del rinnovo dei contratti pubblici, ricordando che, in seguito alle modifiche normative introdotte per effetto dell’art. 23 della legge n. 62/2005, la giurisprudenza ha chiarito che la finalità della norma citata era quella di adeguare l’ordinamento ai principi del diritto comunitario attraverso un intervento di portata generale diretto a precludere la rinnovazione dei contratti pubblici di appalto in deroga al principio di evidenza pubblica.
Indi, ha precisato che, su queste basi, l’Autorità aveva già concluso nel senso che, in seguito a detto intervento, residuavano margini per la previsione di rinnovi o proroghe solo in forma espressa e in presenza di determinate condizioni, distinguendo l’ipotesi in cui la possibilità di una prosecuzione del rapporto contrattuale in seguito alla scadenza sia predeterminata già nell’ambito del bando e l’ulteriore periodo sia computato ai fini della quantificazione dell’importo del contratto (deliberazione n. 183/2007 e parere n. 242/2008); d’altro canto, ha precisato altresì l’Autorità, sebbene non possa ritenersi che le disposizioni di cui all’art. 29 del codice dei contratti costituiscano il fondamento dell’istituto della proroga o del rinnovo, visto che la norma è diretta a fissare le regole per la determinazione dell’importo contrattuale (cfr. deliberazione n. 34/2011), in base alla richiamata disposizione detto calcolo “tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di opzione o rinnovo”.
Del resto, anche un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che “laddove una tale previsione sia contenuta nella lex specialis, essa potrebbe consentire una limitata deroga al principio del divieto di rinnovo, purché con puntuale motivazione l’amministrazione dia conto degli elementi che conducono a disattendere il principio generale”.
In questo senso, si è espressa la VI sez. del Consiglio di Stato (sent. n. 6194/2011) alla quale era stato sottoposto il caso di una stazione appaltante che, pur avendo indicato nel bando la possibilità “prevista dall’art. 7, secondo comma, lett. f), del Dlgs n. 157 del 17.03.1995, di affidare l’appalto al medesimo contraente per il successivo triennio” aveva poi bandito una nuova procedura di evidenza pubblica; in queste ipotesi, secondo il Consiglio di Stato “se l’amministrazione opta per l’indizione della gara, nessuna particolare motivazione è necessaria e certamente nessun diritto può riconoscersi in capo all’aggiudicatario. Non così, invece, se si avvale della possibilità di proroga prevista dal bando. Detta ultima opzione dovrà essere analiticamente motivata, dovendo essere chiarite le ragioni per le quali si sia stabilito di discostarsi dal principio generale”.
Più di recente, il Consiglio di Stato (sez. V, sent. n. 2459/2012) ha anche ribadito che “All’affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui a un affidamento con gara segua, dopo la sua scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario.
Infatti, le proroghe dei contratti affidati con gara sono consentite se già previste ab origine, e comunque entro termini determinati.
Una volta che il contratto scada e si proceda a una sua proroga senza che essa sia prevista ab origine, od oltre i limiti temporali consentiti, la proroga è da equiparare a un affidamento senza gara (sez. VI, n. 850/2010 cit.)
” (deliberazione 10.10.2012 n. 85 - commento tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 11-12/2012).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Illegittimità dei provvedimenti amministrativi.
Domanda
Sono legittimi quei provvedimenti amministrativi che pongono in tutto o in parte a carico del proprietario o detentore del fondo gli oneri, anche procedurali, e i costi di bonifica dei suoli o dell'ambiente dai danni derivanti dall'inquinamento?
Risposta
Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Friuli-Venezia Giulia, sezione prima, con la sentenza del 13.01.2011, numero 6, ha affermato che devono ritenersi illegittimi quei provvedimenti amministrativi che pongono in tutto o in parte a carico del proprietario o detentore del fondo gli oneri, anche procedurali, ed i costi di bonifica dei suoli o dell'ambiente dai danni derivanti dall'inquinamento. La legittimità di quanto sopra sussiste se viene accertata la responsabilità dei predetti proprietari o detentori, anche in relazione alla specifica attività svolta.
Il predetto Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Friuli-Venezia Giulia, sezione prima, con la sentenza del 13.01.2011, numero 6, ha indicato anche i criteri che, alla luce della vigente normativa, devono essere tenuti presenti per individuare i soggetti obbligati a realizzare gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica dei siti contaminati.
Criteri così indicati dai suddetti giudici:
● prima di emettere la diffida a realizzare la messa in sicurezza e la bonifica dell'area, è necessario accertare preventivamente e rigorosamente la responsabilità dei soggetti coinvolti nella contaminazione;
● il proprietario incolpevole dell'area non deve essere coinvolto negli adempimenti, ma ne deve essere informato;
● gli interventi devono essere effettuati dalla pubblica amministrazione, qualora l'accertamento delle responsabilità non sia possibile o risulti oltremodo difficoltoso. La pubblica amministrazione, poi, in un secondo tempo, potrà recuperare le somme, nei limiti dell'arricchimento, dal proprietario non responsabile dell'inquinamento dell'area. A tal fine deve attivare le garanzie dell'onere reale e del privilegio speciale previste dalla normativa;
● il proprietario dell'area, non responsabile della contaminazione e/o altro soggetto interessato hanno la semplice facoltà di effettuare la bonifica all'uopo necessaria e di intervenire al riguardo.
La Corte di giustizia della Comunità europea, con le sentenze relative alle cause C-478/08 e C-479/08, ha sottolineato la possibilità di individuare la responsabilità anche attraverso presunzioni fondate sulla ricostruzione storica delle attività e sui dati emersi dalla verifica delle contaminazioni.
Si rimanda, anche, alla sentenza del consiglio di stato, sezione V, numero 38885, del 16.06.2009 (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013).

PATRIMONIO: Iscrizione dei beni negli elenchi.
Domanda
L'iscrizione dei beni negli elenchi, di cui all'art. 58 dl n. 112/2008 (Piano delle alienazioni e valorizzazioni), produce conseguenze a favore della vendibilità del bene?
Risposta
Il comma 3 dell'art. 58 dl 112/2008, prevede che «Gli elenchi di cui al comma 1, da pubblicare mediante le forme previste per ciascuno di tali enti, hanno effetto dichiarativo della proprietà, in assenza di precedenti trascrizioni, e producono effetti previsti dall'articolo 2644 del codice civile, nonché effetti sostitutivi dell'iscrizione del bene in catasto
Dalla disposizione ut supra emerge pertanto che la norma riconosce a tali elenchi, in assenza di precedenti trascrizioni, conseguenze di favore per la vendibilità del bene: hanno effetti dichiarativi della proprietà e non costitutivi. Producono gli stessi effetti della trascrizione (Art. 2644 del Codice civile), e quelli sostitutivi dell'iscrizione catastale del bene. Spetta invece al responsabile del procedimento, se necessario procedere alla trascrizione degli elenchi, intavolazione e voltura. Contro l'iscrizione del bene nel Piano delle alienazioni è previsto il ricorso amministrativo entro sessanta giorni dalla pubblicazione, e sono confermati gli altri rimedi di legge.
Inoltre visti gli importanti e dirompenti effetti che produce l'approvazione di tali elenchi, tra cui quello dichiarativo della proprietà, la deliberazione di approvazione del Piano delle alienazioni e valorizzazioni, di competenza del Consiglio, è preceduta da altra distinta deliberazione con cui l'organo di governo individua, redigendo apposito elenco, i beni immobili non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Tale delibera, di competenza della Giunta, precede l'adozione del piano e contiene la sola elencazione dei beni individuati. La stessa deve essere pubblicata «mediante le forme previste» per l'Ente locale (come il Piano delle opere pubbliche).
Gli effetti dell'approvazione del Piano, tra cui quello dichiarativo della proprietà, sono prodotti comunque, lo si ribadisce, solo a seguito dell'approvazione della delibera di Consiglio (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013).

TRIBUTI: Fabbricati inabitabili.
Domanda
Ai fini dell'Imposta municipale propria (Imu), i fabbricati inabitabili godono delle agevolazioni?
Risposta
Il legislatore, con l'introduzione dell'Imposta municipale propria (Imu), ha tracciato il quadro normativo di riferimento applicabile alla detta imposta. Esso è stato delineato e circoscritto in maniera espressa dalle disposizioni recate dall'articolo 13 del decreto legge 06.12.2011, numero 201, convertito dalla legge 22.12.2011, numero 214, dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo numero 23 del 14.03.2011, dall'articolo 91-bis del decreto legge 24.01.2011, numero 1, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 16 del 2012.
Ciò comporta che le agevolazioni stabilite, in materia di Imposta comunale sugli immobili (Ici), non sono più applicabili in materia di Imposta municipale propria (Imu). Al riguardo la Corte di cassazione, con la sentenza del 12.01.2012, numero 288, ha puntualizzato che le agevolazioni in materia tributaria non possono implicare un'interpretazione analogica o estensiva onde farvi comprendere ipotesi non espressamente previste.
Pertanto, le agevolazioni stabilite in materia di Imposta comunale sugli immobili (Ici) non sono applicabili all'Imposta municipale propria (Imu), a meno che non siano espressamente richiamate dalle disposizioni dalla nuova normativa. E la nuova normativa Imu, in tema di agevolazioni stabilisce, con il disposto dell'articolo 13, comma 3, del decreto legge 06.12.2011, numero 201, convertito dalla legge 22.12.2011, numero 214, che la base imponibile è ridotta del 50%:
- per i fabbricati di interesse storico o artistico di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 22.01.2004, numero 42, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 06.07.2002, numero 137»;
- per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell'anno durante il quale sussistono dette condizioni (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Pubblica utilità.
Domanda
Il comune può autorizzare le opere necessarie per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili?
Risposta
Il consiglio di stato, pronunciandosi sul ricorso in appello numero 7971, del 2006, ha affermato che l'articolo 12 del decreto legislativo numero 387, del 2003, ha qualificato le opere di realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili come di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti. Lo stesso articolo, al comma 3, ha disposto che i predetti impianti sono soggetti ad un'autorizzazione unica rilasciata dalla regione nel rispetto della normativa di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico.
Detta autorizzazione, ai sensi del comma 9, del succitato articolo, costituisce titolo per costruire e per esercitare l'impianto in conformità al progetto approvato. Inoltre, alla luce del disposto del comma 7 del più volte su citato articolo 12, si deve precisare che, con riferimento agli impianti di produzione di energia elettrica, si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo.
Tanto premesso, per il consiglio di stato, l'articolo 423 della legge numero 266, del 2005, che qualifica come connesse, ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile, la riproduzione e la cessione di energia da fonte fotovoltaica dell'imprenditore agricolo non pone alcuna deroga al citato articolo 12 del decreto legislativo numero 387, del 2003, e, pertanto, resta di competenza della Regione rilasciare, secondo la procedura indicata, l'autorizzazione per la realizzazione di tale impianto fotovoltaico.
Quindi, un provvedimento comunale, in materia, è assolutamente inidoneo, alla luce della suddetta normativa a provvedere su una eventuale richiesta ed è, di conseguenza, ai sensi dell'articolo 21-septies della legge numero 241, del 1990, nullo (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013).

TRIBUTI: Pubbliche affissioni.
Domanda
Quali cartelli sono soggetti all'imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni?
Risposta
L'articolo 5 del decreto legislativo numero 507, del 1993, dispone, in ordine alla funzione pubblicitaria dei cartelli esposti, che la diffusione dei messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta all'imposta sulla pubblicità prevista da detto decreto.
I messaggi diffusi nell'esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o di servizi, ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato si considerano rilevanti ai fini dell'imposizione summenzionata. La Corte di cassazione, con la sentenza del 22.07.1993, ebbe ad affermare che è soggetto all'imposta sulla pubblicità qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico, il quale risulti, indipendentemente dalla ragione e finalità della sua esposizione, oggettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti e utenti il nome o il prodotto dell'azienda.
La stessa Corte di cassazione, con la sentenza del 03.09.2004, numero 17852, ha puntualizzato che è soggetto all'imposta sulla pubblicità qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico che, indipendentemente dalla ragione e finalità della sua adozione, risulti obiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti ed utenti il nome, l'attività ed il prodotto dell'azienda (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013).

CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: RIMBORSABILITÀ SPESE LEGALI EX AMMINISTRATORE E DIPENDENTE COMUNALE.
Sono rimborsabili -a un ex amministratore e a un dipendente comunale- le spese legali sostenute dagli stessi per un procedimento penale a loro carico per il reato di cui all’articolo 323 del codice penale (abuso d’ufficio) conclusosi con decreto di archiviazione del Gip, procedimento avviato a seguito dell’invio degli atti alla Procura della Repubblica da parte dello stesso Comune?
NO.
In merito a quanto prospettato nel quesito, non esiste una disposizione che obblighi il Comune a tenere indenni gli amministratori delle spese processuali sostenute in giudizi penali concernenti imputazioni oggettivamente connesse all’espletamento dell’incarico, espressamente prevista, invece, per i dipendenti comunali.
In via generale occorre sottolineare che la disposizione di cui all’articolo 28 del Ccnl dei dipendenti degli Enti locali del 14.09.2000 è stata considerata dalla giurisprudenza «applicabile in via retroattiva ed anche in via estensiva agli amministratori e non solo ai dipendenti pubblici, ma si è ritenuta limitata ai procedimenti giurisdizionali, senza che ciò escluda tuttavia la rimborsabilità delle spese sopportate in sede di indagine penale, potendosi fare ricorso all’azione di ingiustificato arricchimento» (si veda Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 5367/2004).
Tale estensione è stata giustificata «in considerazione del loro status di pubblici funzionari».
In forza di tale norma, «... hanno titolo al rimborso delle spese legali il dipendente e quindi l’amministratore locale, sottoposti a giudizio penale per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, sempreché il giudizio non si sia concluso con una sentenza di condanna e non vi sia conflitto di interessi con l’amministrazione di appartenenza…» (si veda Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 3946/2001).
Altra parte della giurisprudenza (si veda Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 2242/2000), non condividendo il suddetto indirizzo, ha applicato l’analogia iuris tramite il richiamo all’articolo 1720, comma 2, codice civile, in base al quale «… il mandante deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico».
Nella medesima decisione, il Consiglio di Stato ha comunque evidenziato la sostanziale eccezionalità del rimborso delle spese legali e ha ribadito, con richiamo alla giurisprudenza ordinaria che, ai fini del rimborso, è necessario accertare che le spese siano state sostenute a causa e non semplicemente in occasione dell’incarico e sempre entro il limite costituito dal positivo e definitivo accertamento della mancanza di responsabilità penale degli amministratori che hanno sostenuto le spese legali.
Il giudice ordinario ha, peraltro, chiarito ulteriormente tale concetto precisando che il rimborso previsto dalla citata norma del codice civile «concerne solo le spese sostenute dal mandatario in stretta dipendenza dall’adempimento dei propri obblighi. Più esattamente, esso si riferisce alle sole spese effettuate per espletamento di attività che il mandante ha il potere di esigere.
Perciò, il Legislatore del 1942 ha sostituito l’espressione “a causa” all’espressione “in occasione dell’incarico”, contenuta nell’articolo 1754 codice civile 1865. In tal modo, si è precisato, il Legislatore si è riferito a spese che, per la loro natura, si collegano necessariamente all’esecuzione dell’incarico conferito, nel senso che rappresentino il rischio inerente all’esecuzione dell’incarico. L’ipotesi, si è chiarito, non si verifica quando l’attività di esecuzione dell’incarico abbia in qualsiasi modo dato luogo a un’azione penale contro il mandatario, e questi abbia dovuto effettuare spese di difesa delle quali intenda chiedere il rimborso ex articolo 1720 citato.
Ciò è evidente nel caso in cui l’azione si riveli, a esito del procedimento penale, fondata, e il mandatario-reo venga condannato, giacché la commissione di un reato non può rientrare nei limiti di un mandato validamente conferito (articoli 1343 e 1418 codice civile). Ma il verificarsi dell’ipotesi non è possibile neppure quando il mandatario-imputato venga prosciolto, giacché in tal caso la necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l’esecuzione del mandato, ma tra l’uno e l’altro fatto si pone un elemento intermedio, dovuto all’attività di una terza persona, pubblica o privata, e dato dall’accusa poi rivelatasi infondata.
Anche in questa eventualità non è dunque ravvisabile il nesso di causalità necessaria tra l’adempimento del mandato e la perdita pecuniaria, di cui perciò il mandatario non può pretendere il rimborso
». (si veda Corte suprema di cassazione, sezione I civile, sentenza del 20.12.2007, depositata il 16.04.2008, n. 10052).
Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali della Cassazione e del Consiglio di Stato, le spese legali possono essere rimborsate solo qualora vi sia una sentenza definitiva che abbia escluso la responsabilità del dipendente o dell’amministratore con una pronuncia di assoluzione nel merito dalle imputazioni contestate.
Tale pronuncia, va da sé, esclude un eventuale conflitto di interesse con l’Ente locale.
A ciò si aggiunge che, ai fini del rimborso, occorre ravvisare il nesso di causalità necessaria tra l’adempimento del mandato e la perdita pecuniaria.
Occorre evidenziare, però, come non sia sufficiente che il processo penale per fatti connessi all’espletamento di compiti d’ufficio si sia concluso con l’assoluzione, ma debba coesistere l’ulteriore condizione della mancanza di conflitto di interessi con l’ente (si veda Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale della Liguria, sentenza n. 580 del 13.10.2008) condizione che, nel caso in questione, sembra possa escludersi, considerato che il procedimento penale è stato avviato a seguito dell’invio degli atti alla Procura della Repubblica da parte dell’amministrazione di appartenenza.
È ormai opinione dominante nell’ambito della giurisprudenza contabile che per non configurare conflitto di interessi occorra una sentenza emessa con la formula più ampia possibile, tale da far ritenere il comportamento degli amministratori e/o dipendenti improntata al rispetto del principio cardine dell’articolo 97 Costituzione.
In questo scenario, nel caso in esame non è possibile rimborsare le spese legali sia all’ex amministratore che al dipendente comunale in quanto, seppur per i medesimi risulti il decreto di archiviazione, la necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l’esecuzione del mandato.
A ciò si aggiunga che non risulta vi sia stato, nel caso in esame, il coinvolgimento iniziale dell’ente nella scelta del difensore, che deve essere scelto preventivamente e concordemente tra le parti (si veda sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 552/2007)
(tratto da Guida agli Enti Locali n. 3-4/2012).

COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: OGGETTO: esposto di un consigliere comunale contro un comune.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha chiesto l’avviso di questo Ministero in ordine all’esposto, presentato da un consigliere contro il comune, concernente l’affidamento da oltre un anno di un incarico dirigenziale al Segretario Generale, nonostante la presenza nell’ente di figure dirigenziali.
---------------
Il Dipartimento della Funzione Pubblica con una la nota ha chiesto l’avviso di questo Ministero in ordine all’esposto, presentato da un consigliere contro un Comune, concernente l’affidamento, da oltre un anno, di un incarico dirigenziale al Segretario Generale, nonostante la presenza nell’ente di figure dirigenziali.
Al riguardo, su concorde avviso espresso dalla ex Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari Comunali e Provinciali, si rileva preliminarmente che l’art. 97 del Dlgs 267/2000 stabilisce i compiti e le funzioni dei segretari comuni e provinciali. In particolare, il comma 2 di detto articolo statuisce che il segretario svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti. Il successivo comma 4, nel prevedere che il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti coordinandone l’attività, elenca le funzioni ad stesso spettanti. Invero, la lett. d) del medesimo comma 4 dispone che il segretario esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia.
Tale norma, come evidenziato anche nella circolare di questo Ministero del 15.07.1997 n. 1/1997, citata dall’esponente, ha valenza di clausola di salvaguardia ai fini del buon andamento della macchina organizzativa, amministrativa e gestionale dell’ente. Infatti, occorre rilevare che le assegnazioni di ulteriori funzioni al segretario può avvenire solo nel momento in cui l’ente locale risulti privo sia di personale di qualifica dirigenziale sia di responsabili dei servizi, ovvero qualora l’ente intenda fare una specifica scelta gestionale in tal senso. Bisogna, difatti, rammentare che i dirigenti -ovvero i dipendenti nominati responsabili degli uffici e dei servizi- sono titolari delle funzioni loro attribuite, risultando, quindi, residuale l’applicazione della citata disposizione di cui al comma 4, lett. d), dell’art. 97.
Ciò posto, poiché ai sensi dell’art. 89 del Dlgs 267/2000 l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi è coperto da riserva di tipo regolamentare, si deve ritenere che l’eventuale attribuzione di specifiche funzioni gestionali o di titolarità degli uffici o dei servizi al segretario sia necessariamente da prevedere attraverso una specifica disposizione regolamentare, previa un’attenta verifica dell’assenza all’interno dell’ente di adeguate figure professionali; mentre il conferimento delle funzioni, riservato al Sindaco o al presidente della Provincia, non può che essere temporaneo e limitato all’espletamento di una prestazione nell’ambito di una funzione (ad esempio la presidenza di una gara per temporanea assenza del dirigente).
Si rammenta, infine, che le stesse disposizioni contrattuali, contenute nell’art. 1 del CCNL dei segretari comunali e provinciali del 22.12.2003, stabiliscono che, relativamente agli incarichi per attività di carattere gestionale, occorre che gli stessi siano conferiti in via temporanea e dopo aver accertato l’inesistenza delle necessarie professionalità all’interno dell’Ente. Si deve tenere conto, infatti, che, per l’esercizio delle funzioni aggiuntive affidate al segretario, è prevista una maggiorazione della retribuzione di posizione in godimento
(09.10.2012 - link a http://incomune.interno.it).

CORTE DEI CONTI

ATTI AMMINISTRATIVILEGGE PINTO/ Sentenza della Corte conti Puglia. Sentenze in tempo. Il giudice lento deve rifondere.
Il magistrato è tenuto al deposito tempestivo dei propri provvedimenti, essendo questa una regola essenziale per l'effettivo esercizio del principio del giusto processo, la cui reale osservanza non può prescindere dalla ragionevole durata dello stesso. Ne discende che, se il giudice deposita irragionevolmente e senza alcuna giustificazione una sentenza in notevole ritardo, con ciò provocando la condanna del Ministero della giustizia ai sensi della Legge Pinto, lo stesso è tenuto a rifondere l'amministrazione giudiziaria per l'inerzia posta in essere.

È quanto ha messo nero su bianco la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti Puglia, nel testo della
sentenza 18.02.2013 n. 251, con cui ha condannato un magistrato onorario per aver depositato, dopo tre anni e cinque mesi dal passaggio della causa in decisione, una sentenza in materia civile.
Allungando in tal modo i tempi di conclusione del processo e permettendo alle parti in causa di citare in giudizio, ai sensi della legge Pinto, il Ministero della giustizia per violazione della ragionevole durata dello stesso. Giudizio che, nel caso che ci interessa, ha visto soccombere l'amministrazione giudiziaria. Per il collegio della magistratura contabile pugliese è evidente, alla luce della documentazione acquisita, il nesso causale (alla produzione del danno erariale) tra la condanna del Ministero della giustizia e i tre anni e cinque mesi di ritardo «irragionevole e ingiustificato» nel deposito della sentenza successivamente al passaggio della causa in decisione. Ritardo ascrivibile alla sola inerzia del magistrato onorario.
 La gravità della colpa è data, pertanto, dalla macroscopica violazione di uno degli obblighi essenziali del giudice, ovvero, quello di assicurare la ragionevole durata del processo. Una violazione che è ancor più grave, a detta della Corte, in quanto perpetrata da parte di un soggetto che è munito di una specifica preparazione giuridica. Né può essere sostenuto, a giustificazione del ritardo, che lo stesso è dovuto a «disfunzioni» dell'ufficio giudiziario. Il giudice, in questi casi, è comunque tenuto ad adottare le necessarie cautele che gli consentano di avere contezza dei fascicoli assegnatigli che deve portare a decisione (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVIControlli interni, la Corte dei conti dà le indicazioni ai sindaci.
Si fondano su cinque punti cardine le linee guida per il referto semestrale del sindaco per i comuni con più di 15.000 abitanti e del presidente della provincia, ai fini della regolarità della gestione (ex art. 148 Tuel) messe a punto dalla sezione autonomie della Corte dei conti con la deliberazione 18.02.2013 n. 4/2013.
In pratica, l'adeguatezza del sistema dei controlli interni, la coerenza degli strumenti utilizzati per quantificare i risultati della gestione, il rispetto dei principali vincoli normativi, nonché rilevare gli eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica e il consolidamento dei risultati della singola amministrazione con quelli degli organismi partecipati. Entro il prossimo 30 giugno, poi, i referti relativi al primo semestre del 2013 dovranno essere inviati alle rispettive sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, mentre quelli relativi al secondo semestre 2013, dovranno essere inviati entro il 31.03.2014.
Con le linee guida in argomento, è stato pertanto approvato da parte della Corte, anche uno schema-tipo che i vertici politici degli enti interessati dovranno provvedere a compilare. Uno schema che è suddiviso in due sezioni, ma che, come ammette la Corte, potrà essere integrato in una fase successiva. Nella prima sezione del referto si dovrà dare conto della corretta gestione delle entrate e della copertura delle spese. Poi, si dovranno indicare le principali delibere adottate in materia di determinazione delle aliquote o tariffe dei tributi locali, con un occhio al trend storico del rapporto riscossioni/accertamenti.
Di pari rilievo l'indicazione della regolare e puntuale riscossione dei proventi da locazione o altra forma di concessione dei cespiti patrimoniali, indicando altresì anche i beni concessi in comodato gratuito. Sul versante delle spese, l'amministrazione deve indicare gli obiettivi che intende utilizzare per la riduzione degli oneri di funzionamento, soprattutto in relazione agli acquisti di beni e servizi e ai costi per il personale.
In particolare, si dovranno evidenziare i provvedimenti ex spending review e gli interventi in materia di disponibilità, mobilità e blocco del turn-over. Infine, sarà necessario riferire in merito all'adozione di regolamenti che disciplinino le modalità di pubblicità e trasparenza dello stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche sul sito internet istituzionale dell'ente. La seconda sezione del referto, invece, è dedicata all'adeguatezza e all'efficacia del sistema dei controlli interni.
Pertanto, spazio alle informazioni sul sistema di contabilità adottato e alle misure che consentono di verificare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità dell'azione amministrativa (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIFuori giurisdizione il consiglio dell'Ordine degli avvocati. La sezione del Friuli sulla responsabilità erariale per una questione di parcelle. Corte conti se ne lava le mani.
Esula dalla giurisdizione della Corte dei conti il giudizio di responsabilità erariale promosso nei confronti dei membri di un Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, per un parere di congruità espresso su parcelle professionali relative al rimborso di spese legali nei confronti degli amministratori degli Enti locali.
Lo ha precisato la stessa Corte dei Conti, Sez. Giur. Regione Friuli-Venezia Giulia con la sentenza 17.01.2013 n. 2.
Nel caso in esame l'ipotesi di danno erariale sottoposta al giudizio della Corte si fondava sul parere favorevole rilasciato dai componenti del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Gorizia, alla liquidazione delle parcelle dei difensori del Sindaco e dell'Assessore di Cormons (Go), nella parte in cui prevedevano l'aumento del triplo degli onorari in considerazione della particolare complessità e gravità della causa e dell'esito ottenuto.
La Procura Regionale aveva ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei conti ipotizzando «l'interposizione di un ente pubblico non economico nel processo di attuazione dell'attività amministrativa».
Da tutti i convenuti era stata sollevata l'eccezione di difetto di giurisdizione.
L'eccezione è fondata. Secondo il Collegio non sussiste alcun rapporto funzionale tra l'ente locale e il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Gorizia cui sono stati sottoposti i preavvisi di parcella: al momento della richiesta di parere dell'Ordine, infatti, (ovvero nel 2006) non esisteva ancora l'obbligatorietà del visto dell'Ordine degli Avvocati sulla richiesta di rimborso delle spese legali da parte degli amministratori degli enti locali, poi introdotta con la lr n. 9/2008.
Solo l'art. 12, comma 30, lett. b), L. reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9/2008, novellando l'art. 151 della L. reg. n. 53/1981, ha di fatto equiparato gli amministratori locali ai regionali, introducendo il visto di congruità dell'Ordine professionale quale garanzia di equo rimborso per chi è stato coinvolto in un «_ giudizio civile, penale o amministrativo di qualsiasi tipo_» per tutelare la continuità e la serenità dell'amministrazione attiva; quindi solamente con la L. reg. n. 9/2008, che ne ha imposto l'obbligatorietà, può ritenersi instaurato un rapporto diretto e funzionale tra l'ente locale e il Consiglio dell'Ordine che presenta il parere di congruità, rendendo effettivo il rapporto di servizio necessario per ipotizzare l'eventuale responsabilità amministrativa dei componenti dell'organo di vertice del Consiglio professionale (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Carenze di personale ed eccessiva mole di lavoro escludono la colpa grave.
Danno erariale - Colpa grave - Sussistenza anche laddove i convenuti abbiano operato in condizioni di carenza di personale ed eccessiva mole di lavoro - Va esclusa specie in caso di atteggiamento proattivo.
Con la decisione in rassegna, i giudici contabili di appello hanno ribadito che, alla stregua di quanto più volte affermato dalla giurisprudenza, le accertate e gravi carenze di personale e la eccessiva mole di lavoro consentono di escludere, quando rivestano caratteristiche macroscopiche di gravità, la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa grave (Sezioni riunite n. 661/A del 19.04.1990, sez. II n. 329 del 30.10.1991).
Di qui, la conclusione nel senso che il corretto espletamento dei compiti demandati ai direttori e ai cassieri dell’ufficio del registro atti e successioni di Roma fosse oggettivamente ostacolato, come rilevato dai primi giudici, da fattori indipendenti dalla volontà degli ex funzionari; i quali, anche quando si proposero di intervenire
fattivamente per l’eliminazione delle gravi irregolarità di funzionamento degli uffici, nessun positivo risultato riuscirono ad ottenere se non quello di imbattersi nel ristagnante fenomeno di ingestibili anomalie.
Fu così, ha puntualizzato la decisione in commento, quando nessun esito seguì, come si è visto, alle reiterate segnalazioni delle gravi inefficienze amministrative.
Pertanto, ha concluso la Sezione, deve escludersi che la condotta degli appellati possa considerarsi gravemente colpevole. La colpa grave, normativamente prevista come elemento costitutivo della responsabilità patrimoniale, viene infatti in evidenza solo quando sia omessa la diligenza minima che anche l’operatore meno accorto suole impiegare nell’adempimento dei compiti demandatigli, e non ricorre dunque laddove i convenuti non si siano negati al senso del dovere dal quale continuarono invece ad essere animati nonostante le difficoltà, premurandosi di informare gli organi superiori, proponendo a volte soluzioni migliorative e in genere cercando di ridare efficacia all’azione amministrativa (Corte dei conti, Sez. II giurisdiz. centrale d’appello, sentenza 07.01.2013 n. 5 - tratto da Diritto e pratica amministrativa n. 1/2013).

NEWS

APPALTIResponsabilità solidale leggera. Fuori condomìni, forniture di beni e contratti d'opera. Circolare dell'Agenzia delle entrate. Applicazione semplificata per il dl 83/2012.
Responsabilità solidale negli appalti soft. Fuori i privati e i condomini, nonché i contratti di appalto per fornitura dei beni, d'opera, di trasporto e di subfornitura.

L'Agenzia delle entrate, tentando una chiara operazione di semplificazione, ha emanato ieri il secondo e atteso documento di prassi (circolare 01.03.2013 n. 2/E), concernente le disposizioni in materia di responsabilità solidale dell'appaltatore, di cui all'art. 13-ter, dl n. 83/2012 (si veda ItaliaOggi del 26/02/2013).
Il documento, che si aggiunge al precedente (circ. n. 40/E/2012), conferma la presenza di pesanti sanzioni poste a carico dei committenti (da 5 mila a 200 mila euro), nel caso in cui gli stessi eseguano i pagamenti delle prestazioni di servizio ricevute senza ottenere almeno una dichiarazione sostitutiva, ai sensi del dpr n. 445/2000, con il quale l'appaltatore e/o il subappaltore attesti l'avvenuto versamento delle ritenute e dell'Iva.
Primo dubbio fugato dalle Entrate riguarda l'ambito oggettivo, con riferimento all'applicazione della disciplina al settore edile, stante la collocazione delle disposizioni nell'ambito delle misure urgenti per le infrastrutture; si conferma l'applicazione alla generalità dei soggetti e non solo al settore edile, nell'ambito dei contratti di appalto, finalizzata all'emersione di base imponibile nell'ambito dei servizi.
L'Agenzia delle entrate, però, ritiene, sulla base del tenore letterale delle disposizioni, che la disciplina sia applicabile nell'ambito dei contratti di appalto, come individuati dall'art. 1655 c.c., anche nel caso in cui la prestazione sia eseguita direttamente dall'appaltatore (senza subappalto), con esclusione di quelli concernenti forniture di beni, d'opera (art. 2222 c.c.), di trasporto (art. 1678 c.c.) e di subfornitura (legge 192/1998) e delle prestazioni rese nell'ambito dei rapporti di natura consortile.
Per l'applicazione della disciplina risulta necessario che i contratti di appalto siano conclusi nell'ambito di attività soggette alla disciplina Iva e, comunque, esercitate da società ed enti, di cui agli articoli 73 e 74, dpr n. 917/1986 (società di capitali, enti privati, cooperative, ecc.), restando escluse le stazioni appaltanti (comma 33, art. 3, dlgs n. 163/2006), i condomini e le persone fisiche non Iva.
Sul punto, si ritiene di poter confermare che nell'ambito di una prestazione in cui il committente è un consumatore finale (privato) che si avvale del solo appaltatore, la disciplina resta inapplicabile, ma se l'appaltatore opera con un subappaltatore, nell'ambito dei rapporti tra questi due ultimi soggetti, la disciplina deve essere interamente applicata.
Come indicato nel precedente documento di prassi (circ. n. 40/E/2012), l'obbligo riguarda i contratti stipulati a decorrere dal 12/08/2012, data di entrata in vigore dell'art. 13-ter, con la conseguenza che anche il rinnovo di un contratto già in essere a tale data deve essere assimilato a una nuova stipula e assoggettato alla disciplina.
In presenza di più contratti stipulati tra le parti, l'Agenzia è del parere che la regolarità dei versamenti delle ritenute e dell'Iva possa essere attestata in modo unitario ovvero considerando tutti i contratti in essere tra le medesime controparti e non per singolo contratto, potendo rilasciare la stessa attestazione con cadenza periodica.
In detto caso è necessario che l'attestazione di regolarità dei versamenti riguardanti le ritenute e l'Iva, riferibili al contratto per il quale la dichiarazione viene resa, siano scaduti alla data di pagamento, escludendo quelli oggetto di una precedente attestazione.
Per i pagamenti eseguiti a mezzo canale bancario (bonifici), l'Agenzia delle entrate ritiene che sia necessario attestare la regolarità dei versamenti erariali scaduti al momento in cui il committente (o appaltatore) ha eseguito la disposizione di pagamento e non di quelli scaduti alla data dell'accreditamento delle somme al beneficiario.
Un'altra ipotesi contemplata dalla circolare riguarda l'eventuale cessione del credito vantato dall'appaltatore e dal subappaltatore a terzi, per la quale l'Agenzia richiama le precisazioni fornite dalla Ragioneria dello Stato nell'ambito dei pagamenti con le pubbliche amministrazioni (circ. n. 29/2009).
In sintesi, gli enti appartenenti alla Pubblica amministrazione, prima di eseguire il pagamento per importi superiori a 10 mila euro, verificano la regolarità dei versamenti erariali del beneficiario e, in caso di omissione dei detti versamenti, procedono nella sospensione del relativo pagamento.
Al fine di liberare il cessionario da potenziali rischi di inadempimenti del cedente, per l'Agenzia è necessario che la regolarità, riferibile al rapporto oggetto di cessione, sia attestata nel momento in cui il cedente, appaltatore e/o subappaltatore, comunica la cessione al debitore ceduto, committente o appaltatore.
Nonostante il notevole sforzo dell'Agenzia, che si è necessariamente mossa nel perimetro delle norme, volto ad alleggerire la disciplina, restano numerosi i punti ancora oscuri, non ultimo quello inerente alla qualificazione delle prestazioni eseguite da artigiani che operano con una modesta organizzazione e che si ritiene debbano essere riconducibili nell'ambito dell'art. 2222 c.c. e, di conseguenza, esclusi dalla disciplina (articolo ItaliaOggi del 02.03.2013).

ENTI LOCALIRevisori locali doc. Oltre 13 mila iscritti nell'elenco. Varato il dm. Ma i requisiti continuano a far discutere.
Cresce la voglia di revisione negli enti locali. Rispetto all'anno scorso, l'elenco da cui verranno estratti a sorte i controllori dei conti di comuni e province triplica e annovera quest'anno 13.479 professionisti contro i 4.146 del 2012. Ma i criteri per entrare a far parte della lista dei papabili continuano a far discutere.
Anche se, a differenza del 2012 (anno che ha tenuto a battesimo il nuovo sistema) gli esclusi sono stati pochissimi. Sono state respinte infatti solo 20 delle 13.499 domande di aggiornamento e nuova iscrizione nell'elenco correttamente presentate, mentre nel 2012 (si veda ItaliaOggi del 14/12/2012) ben 5.774 richiedenti erano scivolati proprio sulla «buccia di banana» dei crediti formativi. L'elenco da cui saranno estratti a sorte i revisori per il periodo 01.03-31.12.2013 è allegato al decreto 28.02.2013 del ministero dell'interno che è stato pubblicato ieri sul sito del dipartimento finanza locale del Viminale.
Ma le sorprese, seppur in misura ridotta rispetto al passato, non sono mancate neanche questa volta.
A novembre 2012 l'oggetto del contendere erano i stati i crediti formativi che, secondo una nota del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, sembravano non dover necessariamente riguardare la contabilità pubblica e la gestione finanziaria degli enti locali. Questa tesi era stata subito corretta dallo stesso Cndcec (si veda ItaliaOggi dell'11/01/2013) ma a molti professionisti il dietrofront del Consiglio nazionale era sfuggito. Con la conseguenza che erano state spedite all'indirizzo del ministero moltissime domande prive dei requisiti.
Con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21.12.2012 si sono riaperti i termini (scaduti il 21 gennaio) per chiedere la re-iscrizione nell'elenco o la permanenza nello stesso. E questa volta la «vexata quaestio» si è concentrata sul requisito minimo di dieci crediti formativi previsto dalla legge.
Molti professionisti, nonostante le regole non siano cambiate dal primo al secondo elenco, hanno ritenuto equiparabili ai «crediti di discenza» (accumulati cioè attraverso la frequenza di corsi di formazione) quelli ottenuti attraverso le docenze. A trarli in errore il fatto che docenze e discenze sono equiparate per l'iscrizione all'albo dei commercialisti o a quello dei revisori. Ma come hanno sempre ripetuto al ministero dell'interno, i requisiti per l'iscrizione all'albo vanno tenuti distinti rispetto a quelli per l'inserimento nell'elenco che, precisano al Viminale, «devono essere più stringenti sul fronte della formazione perché l'estrazione a sorte non dà più nessuna discrezionalità ai sindaci nella nomina». Di qui la necessità di garantire la professionalità e l'aggiornamento degli aspiranti revisori. Peraltro, fanno notare al ministero dell'interno, la giurisprudenza amministrativa ha recentemente affermato che i revisori degli enti locali sono incaricati di pubblico servizio e ciò richiede che venga posta maggiore attenzione all'aggiornamento professionale rispetto alle docenze.
Del resto conseguire 10 crediti formativi non si può certo dire che sia stata un'impresa ardua per i professionisti. E il merito è del Cndcec che ha organizzato un corso online (disponibile fin dai primi giorni di novembre e quindi in tempo utile per presentare le nuove domande) diffuso gratuitamente a tutti gli ordini locali che dava diritto proprio a 10 crediti formativi.
Per il Viminale insomma le norme erano molto chiare fin dall'inizio e accumulare 10 crediti abbastanza agevole per chiunque avesse reale interesse a far parte dell'elenco. Anche se non è escluso che dall'anno prossimo i requisiti di ammissione possano cambiare ancora. Nel frattempo però i professionisti sembrano essere soddisfatti del nuovo sistema di nomina che garantisce imparzialità e parità di chance rispetto alle logiche spesso clientelari del passato. E anche i sindaci per il momento non si lamentano (articolo ItaliaOggi del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

TRIBUTIDenunce Tares senza doppioni. Vale la dichiarazione Tarsu-Tia.
I contribuenti non sono tenuti a presentare la dichiarazione Tares se hanno già denunciato l'occupazione degli immobili per Tarsu e Tia. Il silenzio equivale a conferma dei dati comunicati. La dichiarazione deve essere presentata direttamente agli uffici comunali oppure a mezzo del servizio postale o in via telematica. In quest'ultimo caso può essere trasmessa dal comune già compilata. L'interessato deve solo sottoscriverla. È però provvisoriamente valida anche la dichiarazione non sottoscritta.
Sono queste le previsioni ministeriali contenute nel prototipo del regolamento Tares. Dunque, il ministero dell'economia e della finanze conferma la tesi che l'obbligo di presentare la dichiarazione non deve essere assolto se l'immobile è stato già denunciato per la Tarsu o la Tia, a meno che non intervengano variazioni.
È demandato ai comuni il compito di fissare un termine per la denuncia delle occupazioni effettuate a partire dal 2013 e di approvare il nuovo modello. La dichiarazione va sottoscritta dal soggetto che occupa l'immobile. Se non sottoscritta è però provvisoriamente valida, ma non sono sospese le richieste di pagamento. Deve essere presentata direttamente agli uffici comunali oppure può essere spedita per posta tramite raccomandata con avviso di ricevimento o inviata in via telematica con posta certificata. Qualora sia attivato un sistema di presentazione telematica il comune provvede «a far pervenire al contribuente il modello di dichiarazione compilato, da restituire sottoscritto».
Naturalmente, questo presuppone che gli uffici comunali siano già in possesso dei dati del contribuente, comunicati nel momento in cui fanno richieste di residenza, rilascio di licenze, autorizzazioni o concessioni. Del resto, già in presenza di queste istanze i comuni devono invitare i contribuenti a presentare la dichiarazione nel termine previsto. Nello schema di regolamento Tares viene specificato quale deve essere il contenuto della dichiarazione. Viene infatti posto in rilievo che la disciplina di legge non è esaustiva.
Tuttavia, secondo il ministero, «è agevolmente desumibile dalla funzione dell'atto, diretto a comunicare al comune gli eventi rilevanti per l'applicazione del tributo al caso concreto». In particolare vanno dichiarati: le generalità del contribuente, i dati dell'utenza (ubicazione, superficie, utilizzo), la data di inizio dell'occupazione, la composizione del nucleo familiare, ma solo per le utenze domestiche dei non residenti, nonché eventuali cause che danno diritto ad agevolazioni fiscali, riduzioni tariffarie o esclusioni.
Nelle dichiarazioni degli immobili a destinazione ordinaria (classificati nelle categorie catastali A, B e C), inoltre, devono essere indicati obbligatoriamente: dati catastali, numero civico di ubicazione degli immobili e numero interno, se esistente. Lo prevede l'articolo 1, comma 387, della legge di stabilità (228/2012) che ha apportato delle modifiche al nuovo regime di prelievo sui rifiuti. In seguito a queste modifiche, anche per l'anno in corso la tassa va calcolata sulla superficie calpestabile e non più su quella catastale.
Questo parametro, quindi, deve essere preso a base per tutti gli immobili a prescindere dalla loro destinazione, ordinaria o speciale. Si passerà alla commisurazione del tributo sulla superficie catastale solo quando verranno allineati i dati degli immobili a destinazione ordinaria e quelli riguardanti la toponomastica e la numerazione civica, interna e esterna, di ciascun comune (articolo ItaliaOggi del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTII chiarimenti delle Entrate. Circolare dell'Agenzia sui nuovi obblighi di responsabilità riferiti ai versamenti fiscali.
Appalti «solidali», fissati i confini. Responsabilità non solo per l'edilizia - Esclusi professionisti, trasporti e forniture.
La responsabilità solidale si applica in tutti i settori economici e non soltanto nel settore dell'edilizia come faceva supporre il titolo I del Dl 83/2012 rubricato «Misure urgenti per le infrastrutture, l'edilizia e i trasporti».

Lo precisa la circolare 01.03.2013 n. 2/E dell'agenzia delle Entrate. Viene infatti precisato che la finalità della norma è quella di far emergere la base imponibile in relazione alle prestazioni di servizi in esecuzione di contratti di appalto intesi nella loro generalità. Tuttavia la circolare chiarisce che alcune forme di appalti sono escluse dalla responsabilità solidale quali ad esempio gli appalti di fornitura di beni e i contratti d'opera.
Il dato normativo è contenuto nell'articolo 13-ter del Dl 83 del 22.06.2012, convertito nella legge 134/2012 il quale, sostituendo il comma 28 dell'articolo 35 del Dl 223/206, ha previsto la solidarietà dell'appaltatore con il subappaltatore nel versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva. Inoltre il committente è soggetto a una sanzione amministrativa pecuniaria da 5mila a 200mila euro nel caso in cui provveda a effettuare il pagamento all'appaltatore senza che questi abbia provato il corretto versamento dell'Iva e ritenute.
La circolare emanata ieri dall'Agenzia ha precisato che l'obbligo solidale ha una portata generale e non riguarda soltanto lo specifico settore dell'edilizia. Tuttavia l'Agenzia entra nel merito della tipologia di contratti soggetti all'obbligo solidale. La fattispecie riguarda il contratto di appalto di cui all'articolo 1655 del Codice civile e cioè quello in cui una parte, con organizzazione di mezzi, assume il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro. Sono invece esclusi dalla responsabilità solidale gli appalti di fornitura di beni (in cui prevale la cessione del bene) e il contratto d'opera di cui all'articolo 2222 del Codice civile; rientrano in questa categoria tutte le prestazioni professionali di lavoro autonomo, ma anche quelle svolte da piccoli artigiani senza organizzazione di mezzi. Inoltre sono esclusi i contratto di trasporto, quelli di subfornitura (legge 192/1998), nonché le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile (il consorzio non risponde dei versamenti fiscali omessi dai soci consorziati).
La circolare ricorda che la responsabilità solidale si applica anche in presenza del solo appaltatore in quanto il coma 28-bis dell'articolo 35 del Dl 223/2006 indica il subappaltatore come figura eventuale.
I nuovi obblighi decorrono dai contratti stipulati a partire dal 12.08.2012 (circolare 40/E del 08.10.2012), ma comprende anche quelli rinnovati successivamente a tale data.
Sotto il profilo soggettivo la responsabilità solidale riguarda i contratti di appalto e subappalto stipulati dai soggetti che rientrano nel campo di applicazione dell'Iva, oppure dai soggetti Ires di cui agli articoli 73 e 74 del Tuir, compresi quindi gli enti non commerciali. Sono invece escluse le stazioni appaltanti dei contratti pubblici (Dlgs 163/2006), privati e anche i condomini.
Con la precedente circolare 40/E/2012, l'Agenzia aveva stabilito che la responsabilità solidale viene rimossa se l'appaltatore/subappaltatore attesta l'avvenuto pagamento dell'Iva e delle ritenute. La circolare 2/E/2013 precisa che, in presenza di più contratti stipulati fra le medesime parti, l'autocertificazione può essere rilasciata in modo unitario. Questa attestazione può essere rilasciata periodicamente in presenza del pagamento del corrispettivo e attestare la regolarità dei versamenti scaduti prima di questa data. Infatti l'autocertificazione è riferita ai versamenti scaduti nel momento del versamento del corrispettivo e non può avere come oggetto fatti successivi al suo rilascio.
L'Agenzia esamina anche la fattispecie della cessione del credito e in questo caso l'autocertificazione deve essere rilasciata nel momento in cui il cedente dà notizia della cessione al proprio committente.
---------------
Tra conferme e novità
01 | LE ESCLUSIONI
La circolare 2 emanata ieri dall'agenzia delle Entrate esclude dalla responsabilità fiscale solidale per l'appaltatore (e dalla sanzione per il committente) i contratti d'opera, quelli di trasporto e di subfornitura, nonché gli appalti di fornitura dei beni e le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile. La circolare non cita le prestazioni d'opera intellettuale ma non vi sono dubbi sulla loro esclusione
02 | LE CONFERME
Confermata l'esclusione soggettiva delle stazioni appaltanti, dei condomìni e delle persone fisiche non soggetti passivi Iva
03 | L'ESTENSIONE
Le disposizioni si applicano a tutti i settori, non solo all'edilizia. Sono soggetti alla nuova disciplina tutti i contratti (non solo stipulati ma anche) rinnovati a decorrere dal 12.08.2012, per i pagamenti effettuati dall'11.10.2012. Le sanzioni scattano, nel contratto tra committente e appaltatore, anche in assenza di subappalto
04 | LA CERTIFICAZIONE
La certificazione (anche in forma di dichiarazione sostitutiva del prestatore) può essere rilasciata in modo unitario per Iva e ritenute e anche con cadenza periodica, purché attesti la regolarità di tutti i versamenti scaduti a tale data non già certificati (articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIDisposizioni semplificate ma sempre inefficaci.
La responsabilità solidale degli appaltatori e la sanzionabilità del committente per le irregolarità relative all'Iva e alle ritenute fiscali commesse dal prestatore di servizio costituisce un onere sproporzionato e pressoché inefficace per gli obiettivi antievasione che si propone. Questo giudizio che nasce dalla formulazione della norma non può essere assolutamente scalfito dagli interventi interpretativi dell'agenzia delle Entrate che nel loro ambito di competenza hanno fatto di tutto per semplificare e ridurre gli effetti che lo specifico onere produce in capo alle imprese che agiscono quali committenti e/o appaltatori.
È chiaro, infatti, che gli sforzi interpretativi del fisco contribuiscono certamente a rendere meno oneroso l'adempimento, sia definendo, in modo chiaro la sua portata (finalmente risulta chiaro che le regole si escludono per i contratti tipici ovvero per i contratti d'opera dei professionisti e si applicano solo per gli appalti veri e propri), sia individuando più ampi margini per la tempistica di attivazione e per il contenuto della dichiarazione del prestatore.
Questi elementi positivi che porteranno, finalmente, a una drastica riduzione delle richieste fatte nei mesi scorsi dalle imprese nei confronti di fornitori di servizi, non consentono però di considerare chiusa la partita. In effetti sarebbe più utile superare lo strumento della solidarietà ponendo a carico dei prestatori obblighi di preventiva autorizzazione presso le autorità fiscali (inserimento in un albo) o chiedendo un intervento diretto dell'amministrazione con controlli preventivi con emissione (come per il Durc) di una certificazione di regolarità fiscale.
---------------
I dubbi. Le risposte non date.
Applicazione a rischio sui contratti verbali.

Nonostante lo sforzo dell'Agenzia per chiarire alcune delle questioni più spinose, la circolare 01.03.2013 n. 2/E non risolve tutti i dubbi sollevati dagli operatori.
Dal lato soggettivo è importante comprendere se, anche in presenza di un'esclusione per il contratto che lega il committente all'appaltatore (ad esempio, poiché il primo soggetto è un condominio o una stazione appaltante ai sensi del Dlgs 163/2006), i relativi contratti di subappalto possano ritenersi anch'essi liberi dai nuovi adempimenti. Ad esempio: il subappaltatore, nell'ambito di un appalto in cui il committente è una persona fisica, deve fornire all'appaltatore la dichiarazione di "regolarità fiscale" per evitare a quest'ultimo le responsabilità? Anche considerando lo scopo della norma, la risposta sembra positiva (forse il legislatore poteva esonerare i contratti di importo non significativo).
Quanto all'aspetto oggettivo, l'Agenzia fa il massimo dal lato interpretativo, riconoscendo l'inapplicabilità della norma a tutte le figure contrattuali diverse dal contratto di appalto anche se a volte del tutto «contigue» (si pensi al contratto d'opera o a quello di subfornitura). Ma ora il problema si sposta sul piano operativo, poiché spesso ci sono accordi solo verbali o dal contenuto non ben definito.
E se la giurisprudenza (anche di Cassazione) si affatica da decenni proprio sull'individuazione degli elementi distintivi tra le diverse tipologie contrattuali, è facile trarre la seguente conclusione: o, anche nella pratica, imprese e professionisti si abituano a pattuire in forma scritta le varie prestazioni ("battezzandole" di volta in volta sin dall'inizio in maniera conforme alle modalità applicative), oppure aumenta il rischio che, in sede di verifica, vi sia la tendenza a classificarle in quelle maggiormente presidiate da adempimenti e sanzioni. Si consideri che non è ancora chiaro se la responsabilità dell'appaltatore si estende anche alle sanzioni, oltre all'imposta non versata, mentre quella del committente ha una sanzione minima di 5mila euro che non si comprende se possa essere limitata per contratti di importo inferiore.
Infine, sotto l'aspetto temporale un dubbio frequente è il seguente: se il contratto di appalto è anteriore al 12 agosto scorso, un eventuale subappalto stipulato nella vigenza delle nuove norme è soggetto o meno agli adempimenti che quest'ultima richiede? L'autonomia dei singoli accordi porta a rispondere in senso positivo (articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2013).

ENTI LOCALITurn over flessibile nei piccoli centri.
L'ingresso degli enti locali con meno di 5mila abitanti nei vincoli del Patto di stabilità a partire dal 2013 estende anche a loro i vincoli al turn over previsti per gli altri Comuni, che non possono dedicare alle assunzioni più del 40% dei risparmi ottenuti dalle cessazioni dell'anno precedente. La prima applicazione delle nuove regole, però, può avvenire con un certo grado di flessibilità, che consente ai piccoli enti di portare a termine le procedure di assunzione già avviate l'anno scorso, quando il Patto per loro non c'era.
L'apertura arriva dal Ministero dell'Economia, Ragioneria Generale dello Stato, che con la nota 26.02.2013 n. 6279 di prot. ha risposto in questi termini a un quesito inviato dall'Anci. Nei piccoli enti, il turn-over al 40% rischia di fatto di bloccare gli organici, visti i numeri in gioco. Consapevole di queste difficoltà, il ministero decide di chiudere un occhio sulle procedure già avviate ma non ancora al traguardo. A due condizioni: che a fine 2012 fosse già stato pubblicato il calendario con le prove d'esame, e che l'assunzione vera e propria avvenga entro il 2013.
Il problema riguarda oggi in particolare gli enti fra mille e 5mila abitanti, mentre per quelli sotto i mille abitanti l'ingresso nel Patto avverrà con le Unioni nel 2014 (articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

SEGRETARI COMUNALISegretario comunale responsabile anticorruzione.
Per i segretari comunali non scattano le incompatibilità allo svolgimento della funzione di responsabile della prevenzione della corruzione, indicate dalla circolare 25.01.2013 n. 1/2013 della Funzione pubblica.
La nota di Palazzo Vidoni, specificamente riferita alle amministrazioni dello stato, ha individuato due espresse situazioni di incompatibilità, che escludono la possibilità di assegnare ai dirigenti l'incarico di responsabile anticorruzione. La prima consiste nel far parte di uffici di diretta collaborazione degli organi di governo. La seconda, discende dal far parte degli uffici per i procedimenti disciplinari. La figura del segretario comunale per sua stessa natura ricade in entrambe le situazioni indicate. Il segretario è necessariamente posto alla diretta collaborazione degli organi di governo, nei confronti dei quali principalmente svolge la funzione di garanzia della legittimità e correttezza dell'azione amministrativa.
Per altro, l'attuale ordinamento degli enti locali pone (molto discutibilmente sul piano della rispondenza alla Costituzione) il segretario alla diretta dipendenza del sindaco o presidente della provincia, che lo nominano per via sostanzialmente fiduciaria, in un rapporto di spoils system puro. Il segretario comunale, inoltre, per la sua posizione peculiare all'interno degli enti e le competenze che lo caratterizzano fa parte quasi sempre, con la veste di presidente, delle commissioni di disciplina.
Tuttavia, queste circostanze non possono essere utilizzate per giustificare l'attribuzione dell'incarico di responsabile della prevenzione della corruzione a un soggetto diverso dal segretario comunale. Esse valgono per le amministrazioni statali, nelle quali quello di responsabile anticorruzione è una tra le tante tipologie di incarichi dirigenziali. Negli enti locali, invece, per espressa previsione della legge 190/2012, il segretario comunale è necessariamente il responsabile della prevenzione della corruzione.
Occorre precisare che questo incarico non rientra tra quelli che possono essere conferiti al segretario ai sensi del Tuel. Tali incarichi, infatti, derivano da una scelta organizzativa discrezionale del vertice monocratico. Invece, la funzione di responsabile della prevenzione della corruzione è un'attribuzione assegnata al segretario comunale direttamente dalla legge: dunque, non è necessario alcun provvedimento del sindaco o del presidente della provincia (articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Assessori, gettoni variabili. Mezza indennità se non chiede l'aspettativa. Non conta il fatto che il rapporto di lavoro sia a tempo pieno o part-time.
Qual è l'indennità da corrispondere a un assessore comunale che svolge attività lavorativa in qualità di dipendente privato, con contratto part-time, in cui è stata esclusa espressamente la possibilità di fruire di periodi di aspettativa?

Ai lavoratori dipendenti è riconosciuto il diritto di essere collocati, a richiesta, in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato (art. 81 del decreto legislativo 267/2000). La rinuncia allo svolgimento del lavoro retribuito, per assolvere a tempo pieno alle funzioni pubbliche connesse alla carica ricoperta nell'ente locale, trova compensazione nell'erogazione del regime di indennità di funzione riconosciuta dal successivo art. 82 del decreto legislativo 267/2000.
Tale disposizione prevede inoltre che l'indennità sia dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l'aspettativa non retribuita.
La norma, che stabilisce un principio di ordine generale di valore cogente, si applica anche alla fattispecie in esame (lavoratore dipendente in part-time), in quanto esplica la propria efficacia a prescindere dalla tipologia oraria del rapporto di lavoro, sia lo stesso a tempo pieno oppure parziale.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità nei confronti di un amministratore comunale che è stato designato a rappresentare il comune nel consiglio di amministrazione di una società per azioni, concessionaria delle attività di gestione dell'aeroporto della stessa città, cui il comune partecipa con quota pari al 9,65% dell'intero capitale? In particolare, nel caso in questione, è applicabile l'art. 4, comma 21, del decreto-legge 13.08.2011, n. 138, convertito con modificazioni in legge 14.09.2011, n. 1, secondo cui «non possono essere nominati amministratori di società partecipate da enti locali coloro che nei tre anni precedenti alla nomina hanno ricoperto la carica di amministratore, di cui all'art. 77 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, e successive modificazioni, negli enti locali che detengono quote di partecipazione al capitale della stessa società»?
La Corte costituzionale, con sentenza 17-20.07.2012, n. 199, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato articolo.
In proposito giova rammentare che, ai sensi dell' art. 136 Cost. e dell'art. 30, comma 3, della legge n. 87/1953, «le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione».
In altri termini, la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge determina la cessazione della sua efficacia erga omnes e impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza, che essa possa essere applicata ai rapporti in relazione ai quali la norma dichiarata incostituzionale risulti comunque rilevante, con l'unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito. Per giurisprudenza consolidata, possono legittimamente ritenersi «esauriti» soltanto i rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato, ovvero sia decorso il termine prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge (cfr. Cass., sez. III, 6/5/2010, n. 10958).
Quanto poi alla possibilità di ravvisare, a prescindere dalla disposizione sopra richiamata, una situazione di conflitto di interesse tra la società de qua e l'ente comunale, questo potrà essere valutato in concreto alla luce delle disposizioni di cui all'art. 63, comma 1, n. 1 e 2, del decreto legislativo n. 267/2000. La ratio della causa di incompatibilità in esame, annoverabile tra le cosiddette «incompatibilità di interessi», «consiste nell'impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli del comune o i quali si trovino comunque in condizione che ne possano compromettere l'imparzialità» (Corte costituzionale, sent. n. 44 del 1977, n. 450 del 2000 e n. 220 del 2003).
Ciò posto, in conformità al principio generale secondo cui ogni organo collegiale delibera sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la verifica delle cause ostative all'espletamento del mandato è compiuta con la procedura consiliare prevista dall'art. 69 del decreto legislativo citato, che garantisce il contraddittorio tra organo e amministratore, assicurando a quest'ultimo l'esercizio del diritto alla difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa di incompatibilità (articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013).

ENTI LOCALIEnti e partecipate, conti unici. I comuni devono verificare debiti e crediti con le società. L'obbligo non fa sconti e crea i presupposti per l'elaborazione del bilancio consolidato.
L'art. 6, comma 4, del dl 95/2012 prevede che, a partire dall'esercizio 2012, i comuni e le province devono allegare al proprio rendiconto di gestione una «nota informativa», asseverata dall'organo di revisione, relativa alla verifica dei crediti e debiti con le proprie società partecipate, con la motivazione delle eventuali discordanze. Si tratta quindi di un'attività di riconciliazione da effettuare nelle prossime settimane.
La previsione è andata ad aggiungersi al già complesso insieme di norme che riguardano le società partecipate dagli enti locali ed ha la finalità non dichiarata di spingere gli enti e le loro società a riconciliare le reciproche posizioni debitorie e creditorie con due anni di anticipo (almeno per gli enti nella fascia demografica 15.000-100.000 abitanti) rispetto all'entrata in vigore dell'obbligo di elaborazione del bilancio consolidato previsto dal nuovo art. 147-quater del Tuel. In altre parole, il legislatore ha previsto questo nuovo adempimento per creare i presupposti necessari al processo di consolidamento, attività quest'ultima che si preannuncia tutt'altro che facile.
La norma è stata scritta in modo piuttosto semplicistico e la sua interpretazione letterale porta a sostenere che la verifica debba essere effettuata da tutti i comuni e province, a prescindere dalla loro dimensione, e nei confronti di tutte le società partecipate, a prescindere dall'attività svolta e dalla percentuale di partecipazione del comune o della provincia.
Dovranno quindi essere presi in considerazione i rapporti esistenti con le società partecipate di gestione dei Spl a rilevanza economica, con le società strumentali e con quelle che esercitano attività a carattere commerciale o industriale (qualora le partecipazioni in tali ultime società siano ancora nel patrimonio dell'ente locale dopo il processo di dismissione di cui all'art. 3, commi 27-29 della legge 244/2007). Sarebbe stato preferibile che il legislatore avesse introdotto dei limiti dimensionali, prevedendo l'obbligo di riconciliazione delle posizioni debitorie e creditorie solo per gli enti con popolazione superiore a 15.000 abitanti e solo con le società partecipate dal comune o dalla provincia per percentuali pari o superiori, per esempio, al 20%; è infatti piuttosto difficile che un piccolo comune riesca a trovare riscontro alle proprie richieste presso una grande società che gestire servizi pubblici locali, della quale detiene magari una partecipazione minima.
Ma è anche vero che queste situazioni sono probabilmente le più semplici da riconciliare, anche perché spesso i rapporti sono limitati solo all'erogazione di un servizio da parte della società e al pagamento delle relative fatture da parte dell'ente. Niente rispetto ai complessi rapporti che possono coinvolgere, per esempio, un ente locale ed una propria società strumentale, dove, oltre che allo svolgimento di specifiche funzioni esternalizzate, si è spesso in presenza anche di erogazioni di contributi per la realizzazione d'investimenti, che si solito vengono riscontati dalla società e portati a conto economico in base all'andamento del piano di ammortamento delle opere realizzate.
Il processo di riconciliazione delle posizioni di debito/credito previsto dall'art. 6, comma 4, non si presenta certo privo di difficoltà, anche perché i sistemi contabili adottati dall'ente e dalle rispettive società partecipate si basano su principi contabili che rimangono a tutt'oggi nettamente diversi. Ciò che nel bilancio della società può apparire, per esempio, come un credito verso l'ente per fatture da emettere al 31/12/2012, può non essere presente fra i residui passivi dell'ente locale, anche per semplice dimenticanza. È quindi consigliabile che l'attività di riconciliazione che i responsabili dei servizi finanziari degli enti locali si apprestano ad effettuare in questi giorni sia preceduta da una fase di confronto informale con i responsabili amministrativi delle società partecipate, con l'obiettivo di portare a conoscenza della controparte le informazioni poste a base della riconciliazione.
In questo modo, potranno essere risolte molte delle eventuali incongruenze e si potrà così evitare che banali errori di contabilizzazione siano sottoposti all'attenzione dell'organo di revisione –chiamato ad asseverare la verifica– e, addirittura, a quella del Consiglio dell'ente che sarà chiamato ad approvare il rendiconto della gestione. Al termine di questo riscontro informale, sarà però opportuno che ciascuna società certifichi ai propri enti locali soci la situazione dei crediti e debiti esistente al 31/12/2012 nei confronti di ciascuno, evidenziando e motivando in modo analitico le eventuali discordanze non risolte e fornendo così le informazioni che potranno essere inserite nella «nota informativa» da allegare al rendiconto di gestione 2012.
Per quanto riguarda l'applicabilità dell'art. 6, comma 4 ai consorzi, facendo tale norma esplicito riferimento alle «società», si ritiene che l'ambito applicativo della stessa sia limitato a tutti quei soggetti previsti e disciplinati dalle norme contenute nel Titolo V «delle Società» del Libro V del codice civile, ivi comprese comunque le società consortili che, ai sensi dell'art. 2615-ter del codice civile, sono società commerciali che assumono come oggetto sociale uno scopo consortile. I consorzi, invece, sono disciplinati dalle norme contenute nel successivo Titolo X «della disciplina della concorrenza e dei consorzi», e sono enti ai quali il codice civile riconosce una funzione ben diversa rispetto a quella riconosciuta alle società.
Inoltre, ogni volta che il legislatore ha voluto allargare l'ambito di applicazione di una norma anche ad altri organismi partecipati dalle amministrazioni pubbliche, lo ha fatto in modo esplicito, come nel caso del successivo art. 9 del dl in commento, dove per definire l'ambito applicativo della norma, è stata usata l'espressione «enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica» (articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALILegalità, regioni spalle al muro. Governatori tenuti a redigere la relazione sulla gestione. La sezione autonomie della Corte conti ha emanato le linee guida per la compilazione.
Una regione senza più segreti. L'obiettivo, nemmeno troppo velato, è quello di responsabilizzare il suo organo di vertice politico a dare informazioni dettagliate sulla situazione generale dell'ente che governa.
Il decreto legge n. 174/2012, meglio noto come salva enti, su questo punto, è stato categorico. Il presidente della regione deve redigere una relazione annuale sulla regolarità della gestione e sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni, sulla base di apposite linee guida oggetto della Corte dei conti. E la magistratura contabile non si è fatta certo attendere.
Con la deliberazione n. 5/2013, la sezione autonomie ha infatti emanato le citate linee guida, corredate da un corposo schema-tipo di relazione che i governatori dovranno compilare entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Anche se lo schema tipo del questionario è redatto con domande a risposta sintetica, ma che permettono comunque l'inserimento di risposte ad ampio ventaglio, il fine di tale struttura è mirato. Ovvero, quello di tirare le somme, senza possibilità di sbagliare, su alcuni elementi fondamentali che diano un'accurata radiografia dell'ente regionale.
Le linee guida emanate dalla Corte lo sottolineano. Non si scappa dalla congruenza dei risultati della gestione e, soprattutto, delle sue prospettive di sviluppo, in relazione agli obiettivi che ci si è prefissati e che siano in linea con i vincoli di finanza pubblica. Allo stesso modo, sarà messa a nudo la verifica del corretto funzionamento o meno del sistema dei controlli interni attualmente operanti nelle regioni.
È evidente che un questionario strutturato in questi termini va nella direzione voluta dal legislatore nel dl n. 174, ovvero sottolineare la responsabilità politica del governatore in relazione ai più rilevanti aspetti gestionali, al funzionamento delle strutture amministrative, al grado di raggiungimento dei risultati attesi, con un occhio di riguardo alle misure di vigilanza poste a carico degli organismi partecipati e sugli enti del servizio sanitario regionale.
Lo schema tipo cui i governatori saranno chiamati a rispondere a breve si articola in cinque sezioni. La prima ha una valenza ricognitiva, nel senso che immediatamente può rilevare eventuali criticità nel sistema organizzativo-contabile regionale. Per esempio, viene richiesto se la regione ha istituito o meno il collegio dei revisori dei conti e se sono state adottate misure che riducano i cosiddetti costi della politica (e in caso negativo, si dovrà scrivere il perché).
La seconda sezione è invece dedicata alla «pubblicità e trasparenza». In particolare, il governatore dovrà dire se ha comunicato alla Funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai propri dipendenti e se, come previsto dalla riforma Brunetta del novembre 2009, ha reso visibile la valutazione della performance dei propri dipendenti mediante pubblicazione sul sito istituzionale della regione. Ma non è tutto. Lo screening comprende anche l'avvenuta comunicazione a Palazzo Vidoni dell'elenco dei consorzi e delle società partecipate e la pubblicazione (ex art. 18 dl n. 83/2012) delle concessioni di sovvenzioni, contributi, sussidi e, comunque, di vantaggi economici di qualunque genere elargiti a enti pubblici e privati.
La terza sezione è dedicata alla gestione. In questa si dovrà indicare, tra l'altro, se il bilancio di previsione è stato approvato senza ricorrere all'esercizio provvisorio e il rispetto dei limiti di indebitamento. Nelle altre sezioni in cui è suddiviso lo schema, la Corte chiede di conoscere se la regione effettua indagini, anche a campione, su alcuni fatti gestionali e se viene esercitata una vigilanza sulla regolarità contabile delle attività del consiglio regionale e degli agenti contabili. Spazio, poi, alle informazioni relative al sistema di report sulla gestione e sulla valutazione del personale (articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOPa, braccio di ferro Monti-Grilli. Il decreto che congela gli stipendi dei travet è a rischio. Il provvedimento del Tesoro fermo a Palazzo Chigi. Cgil, Cisl e Uil: atto ingiustificato.
L'affare è complicato. Gli stipendi di 3 milioni di dipendenti pubblici sono fermi dal 2010. Il governo Monti dovrebbe ora comunicare che non cresceranno di un euro per altri due anni, fino a tutto il 2014. Il decreto di congelamento, come anticipato in esclusiva da ItaliaOggi martedì scorso, è pronto, messo a punto dai vertici del dicastero della Funzione pubblica e dell'Economia.
Ma Cgil, Cisl e Uil sono scesi in campo, anche se separatamente, per dire che non se ne parla proprio e il Pd, nonostante la fase di confusione, ha detto chiaramente che sarebbe un atto improprio da parte di un governo a fine mandato. Ma a essere decisiva sulla partita che si è aperta sarà la valutazione che farà lo stesso Monti, pressato in queste ore dal ministro dell'economia, Vittorio Grilli, per firmare un provvedimento che sarebbe inevitabile, ragiona il Tesoro, anche per un governo politico di centrosinistra.
Un braccio di ferro, quello tra Tesoro e Palazzo Chigi, che dovrà avere un risultato nel giro di pochi giorni. E su cui pesano inevitabilmente anche le incertezze dell'attuale fase politica, in cui da un lato ci sono i timori di una imminente gestione caotica, che non consentirebbe più di assumere quelli che a via XX Settembre sono stati definiti «atti responsabili e non rinviabili». E dall'altro lato le prospettivie dello stesso Mario Monti di riavere un incarico di transizione per il disbrigo delle pratiche ordinarie e di garanzia presso l'Unione europea, lasciando al parlamento il compito di fare le riforme.
Ieri, una nota del ministero d dell'economia chiariva che «nulla ancora è deciso». Intanto la Cisl di Raffaele Bonanni ha aperto il fuoco di sbarramento del fronte sindacale. «Il decreto non sarebbe un atto dovuto, ma un atto sbagliato che colpirebbe il bersaglio sbagliato», dicono Giovanni Faverin e Francesco Scrima, rispettivamente segretari di Funzione pubblica e Scuola della Cisl, che mettono all'indice la contraddizione di una stretta sulla spesa pubblica che non servirebbe a risparmiare: «Non è la spesa per il personale che zavorra le finanze pubbliche, ma gli sprechi e la cattiva organizzazione. Dal 2006 in 5 anni il numero dei dipendenti pubblici è calato del 7,5%, nella scuola il calo è stato ancora più marcato. Le retribuzioni sono ferme dal 2010. Mentre la spesa pubblica continua a crescere».
E ragiona Rossana Dettori, segretario generale dell'Fp-Cgil: «In una fase di instabilità come quella attuale il governo non può procedere in assenza di un confronto con i lavoratori. Un confronto», spiega la sindacalista, «che parta dalla necessità imminente di riformare e innovare la pubblica amministrazione senza cercare capri espiatori, come sembrano fare anche in questi giorni alcune forze politiche». Sta di fatto che, nelle stesse retrovie del sindacato di Corso Italia, si considera inevitabile un nuovo intervento restrittivo sul settore pubblico visto l'andamento negativo dei saldi di bilancio.
Il decreto predisposto prevede per tutto il 2013 e 2014 il blocco di ogni aumento contrattuale, anche per fondazioni, enti previdenziali, società partecipate come l'Anas. Un raggio che sarebbe più ampio dell'attuale blocco. E che andrebbe a incidere anche sul futuro: gli aumenti non dati non si recuperano e anzi dal 2015 di procederà con un nuovo tasso di inflazione. Intanto, all'Aran si è tenuto ieri il primo vertice per evitare che dal primo agosto 2013 i precari con contratti che superano il tetto dei tre anni, fissato dalla legge Fornero, siano licenziati dallo stato.
«Non sono arrivate proposte chiare, non c'è nessuno spiraglio per un percorso di stabilizzazione», commenta Antonio Foccillo, segretario confederale Uil con delega per il pubblico impiego, «navighiamo a vista. Con la prospettiva a breve di più disoccupati e meno servizi pubblici». Probabile che anche di questa partita, come quella sui contratti, si dovrà occupare il prossimo esecutivo (articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIEnti locali. Pronto il Dpcm attuativo del nuovo obbligo. Relazione di fine mandato nei 667 Comuni al voto.
IL CALENDARIO/ Per gli amministratori uscenti ci sarà tempo fino ad aprile per completare il documento che mostra i risultati dei loro anni di gestione.

I 667 Comuni attesi alle elezioni amministrative del 26 e 27 giugno avranno tempo fino alla seconda settimana di aprile per scrivere la relazione di fine mandato, il nuovo strumento di trasparenza previsto dai decreti attuativi del federalismo fiscale che debutta proprio negli enti al voto quest'anno.
Il testo del Dpcm attuativo ha esaurito i propri passaggi istituzionali e attende la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale»: il calendario ordinario, previsto dal decreto legislativo su «premi e sanzioni» federalista (Dlgs 149/2011), prevederebbe la firma della relazione da parte del sindaco o del presidente di Provincia almeno 90 giorni prima della scadenza del mandato: i tempi lunghi del decreto attuativo e l'imminenza elettorale, però, hanno praticamente obbligato a introdurre la proroga nell'anno di avvio della relazione.
Il responsabile del servizio finanziario, o il segretario generale a seconda dell'incarico dato da sindaci e presidenti, dovranno però cominciare presto a lavorare per la preparazione della relazione, che appare piuttosto corposa.
Il compito del documento, che va firmato da sindaci e presidenti e certificato nei dieci giorni successivi da parte dei revisori dei conti, è quello di rendere trasparenti i risultati dell'azione amministrativa dei politici giunti alla fine del proprio mandato. L'obiettivo è duplice: prima del voto favorire campagne elettorali locali basate sui dati, e chiuse le urne evitare il rimpallo di responsabilità fra i nuovi eletti e i predecessori sull'eventuale «polvere sotto il tappeto» ereditata.
Per queste ragioni, i modelli vincolanti di relazione allegati al Dpcm puntano tutto sui dati oggettivi, secondo un'articolazione che segue quella dei certificati di bilancio anche per semplificare il compito di redazione del documento. I modelli sono differenti a seconda che siano relativi a Province, Comuni con più di 5mila abitanti ed enti più piccoli (come accade per i questionari della Corte dei conti), ma seguono un'articolazione fissa.
I risultati sono distinti per anno di mandato, per cui arrivano a costruire una serie storica di tutte le principali voci del bilancio dell'ente. Oltre a ogni Titolo di entrata e di spesa, vengono messi sotto osservazione le entrate non riscosse (residui attivi) e i mancati pagamenti (residui passivi), evidenziandone anche il rapporto percentuale con le dimensioni del bilancio per chiarire l'entità del problema.
Focus specifici sono dedicati alla gestione dell'indebitamento e all'eventuale riconoscimento dei debiti fuori bilancio, oltre che alla gestione delle partecipate. Nel documento, inoltre, andranno riportati gli eventuali rilievi ricevuti dagli organi di controllo esterno, a partire dalla Corte dei conti. Le parti descrittive sono il più possibile limitate, e riguardano soprattutto l'illustrazione delle modalità operative dell'ente per quel che riguarda i controlli interni (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOL'Anci sulla riforma Brunetta. «Patti» decentrati, nullità selettiva.
Il mancato adeguamento dei contratti decentrati alle regole della riforma Brunetta determina una "nullità selettiva", che riguarda solo le clausole in contrasto con la stessa riforma. In questo caso, l'amministrazione può procedere unilateralmente all'adeguamento, ma solo sulle materie su cui non si è raggiunto l'accordo ed esclusivamente per «assicurare continuità e migliore svolgimento della funzione pubblica». Anche dopo l'eventuale atto unilaterale, gli enti devono provare periodicamente a riaprire il dialogo con i sindacati, per arrivare a una «definizione consensuale» delle regole.
Con una nota interpretativa diffusa ieri, l'Anci è intervenuta sulla questione dei contratti integrativi "a rischio nullità" per il fatto di non essere stati allineati con la riforma del Pubblico impiego. Le regole scritte nel «decreto Brunetta» (Dlgs 150/2009) hanno infatti sottratto alla contrattazione una serie di materie, in particolare quelle che riguardano l'organizzazione degli uffici (affidate alla competenza esclusiva dei dirigenti), imponendo a Regioni ed enti locali di adeguare le loro intese decentrate entro il 31.12.2012.
Il termine, frutto già di una proroga annuale, è scaduto senza che in molte amministrazioni territoriali si ridisegnassero gli accordi già in vigore nel novembre 2009, che per questo motivo possono decadere. L'inefficacia, secondo i tecnici dell'Associazione dei Comuni riguarderebbe solo le clausole non in linea con la riforma, e non l'intero contratto (che altrimenti trascinerebbe con sé anche le indennità disciplinate solo in sede decentrata).
In base alla lettera della legge (articolo 40, comma 3-quinquies, del Dlgs 165/2001), l'illegittimità parziale riguarderebbe solo le intese che conservano clausole difformi anche dopo il rinnovo, ma l'Anci invoca il principio di «conservazione degli atti giuridici» per estenderlo anche ai casi di mancato adeguamento tout court.
Alcuni enti hanno avviato azioni unilaterali per cambiare i contratti decentrati, e l'Anci accende per loro il semaforo verde; l'adeguamento unilaterale, però, deve essere limitato alla rimozione chirurgica delle clausole non in linea con la riforma e va "sanato" quanto prima riaprendo i dialoghi con il sindacato (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.03.2013 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOStatali. La discussione nel prossimo Cdm. Pubblico impiego, si rischia il blocco degli aumenti.
LA MISURA/ Il congelamento per il 2014 era stato previsto dalla manovra del luglio 2011 Coinvolta anche la scuola: la protesta dei confederali.

La contrattazione nel pubblico impiego potrebbe rimanere bloccata fino a tutto il 2014.
Una decisione definitiva non è ancora stata presa sul Dpr che, attuando quanto previsto nella manovra di luglio 2011, punta a congelare per altri due anni (il 2013 e il 2014) stipendi e vacanza contrattuale per oltre 3 milioni di dipendenti pubblici.
Il provvedimento è all'esame del Tesoro, ma il nodo sarà sciolto molto probabilmente al prossimo consiglio dei ministri (forse la prossima settimana) dove si discuterà approfonditamente la questione. Tuttavia una eventuale emanazione del Dpr non dovrebbe sorprendere visto che i risparmi (che ne derivano) erano già stati tutti conteggiati nei tendenziali di spesa indicati nella nota di aggiornamento del Def (il Documento di economia e finanza) di settembre scorso.
I sindacati però sono sul piede di guerra, anche perché la bozza del provvedimento prevede interventi pure nel settore scuola prorogando per il 2013 il blocco degli scatti d'anzianità per il personale docente e amministrativo. Nel pubblico impiego invece si confermerebbe che non si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, e verrebbe prorogato anche (sempre per il medesimo personale) il congelamento del riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall'anno 2011.
Per quanto riguarda poi l'indennità di vacanza contrattuale si specifica che, con riferimento al triennio 2015-2017, dovrà essere calcolata secondo le modalità e i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti in materia, ed erogata dal 2015.
«Un'altra proroga al blocco dei contratti pubblici sarebbe inaccettabile», hanno sottolineato Giovanni Faverin e Francesco Scrima della Cisl: «Un atto sbagliato che colpirebbe il bersaglio sbagliato».
Sulla stessa lunghezza d'onda Massimo Di Menna (Uil Scuola). Mentre per Rossana Dettori (Fp-Cgil), questo Dpr è inopportuno «specie in quadro politico così poco chiaro, in assenza di un confronto con i lavoratori e con un tavolo ancora aperto all'Aran».
Certo, il blocco dei contratti e degli stipendi degli statali fino al 2014 «non faciliterà la trattativa sugli assetti generali della contrattazione», ha sottolineato il presidente dell'Aran, Sergio Gasparrini: «Sono problemi che vanno però affrontati e riguardano l'adeguamento al pubblico impiego della legge Fornero, il modello di relazioni sindacali e i nuovi comparti».
La bozza di Dpr, come detto, sarà discussa dal prossimo consiglio dei ministri. Il provvedimento dovrà poi essere esaminato dal Consiglio di Stato, ricevere i pareri delle commissioni Lavoro di Camera e Senato, e infine tornare per l'ok definitivo in Cdm. E quindi, se verrà emanato, toccherà comunque al prossimo esecutivo gestire l'intera partita (articolo Il Sole 24 Ore dell'01.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALII phone center senza paletti. Il comune non può porre alcun vincolo.
Il Comune non può porre alcun vincolo alle imprese che hanno aperto un phone center, perché ciò sarebbe in contrasto con il dl 223/2006 che, in una prospettiva di liberalizzazione degli accessi al mercato, esclude l'applicazione di limitazioni all'assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare.
Lo ha chiarito l'Autorità per la concorrenza ed il mercato con la decisione 31.01.2013 e pubblicata sul bollettino 7/2013.
L'interpretazione del garante è stata sollecitata in riferimento al regolamento comunale approvato dal Comune di Arezzo nel marzo del 2012, il quale ha stabilito il divieto di svolgere contestualmente all'attività di phone center anche quella di money transfer.
L'Antitrust, relativamente alle questioni poste, ha precisato che l'attività di phone center è soggetta alla disciplina speciale contenuta nel decreto legislativo n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), il quale, oltre a stabilire il principio generale secondo cui «[l]a fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, che è di preminente interesse generale, è libera», prevede che siano ammesse limitazioni nei soli casi di difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell'ambiente e della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da specifiche disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione» (art. 3, commi 2 e 3).
E, per quanto riguarda il divieto di svolgere attività di money transfer, l'Autorità, a proposito della legge approvata dalla regione Veneto, aveva già osservato che «[i]l divieto di svolgimento, nei centri di telefonia in sede fissa, di servizi diversi dalla cessione al pubblico di servizi telefonici e dell'attività commerciale accessoria rappresenta una ingiustificata limitazione quantitativa e qualitativa dell'offerta in contrasto con le esigenze di salvaguardia della concorrenza» (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti, Mud da presentare entro il 30/4.
Entro il 30.04.2013 alcuni gestori di rifiuti (come gli speciali, i veicoli fuori uso, i Raee) nonché i produttori di imballaggi e di Aee devono presentare alle camere di commercio competenti il modello unico di dichiarazione ambientale (Mud).

A seguito della sospensione dell'operatività del Sistri al 30.06.2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29.12.2012 il dpcm 20.12.2012 con cui si ripristina la presentazione del Mud.
 Per la presentazione del Mud è previsto il pagamento del diritto di segreteria di euro 10 per le dichiarazioni inviate via telematica; di euro 15 per le dichiarazioni su supporto cartacea. Una dichiarazione corrisponde ad una unità locale. Per la comunicazione Aee non sono previsti diritti di segreteria.
Il software per la compilazione del Mud sarà reso disponibile tramite le Cciaa, l'Unioncamere (www.unioncamere.it), Infocamere (www.infocamere.it), Ecocerved (www.ecocerved.it) (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013).

APPALTII comuni potranno accedere al casellario giudiziale tramite l'Anci.
Al ministero della giustizia non può essere richiesto di stipulare più di 8.000 convenzioni, una per comune, al fine di consentire alle amministrazioni l'accesso al Sic, (Sistema informativo del casellario). E di conseguenza, la direzione generale agli affari penali ha già scelto nell'Anci e nel Authority di vigilanza dei contratti pubblici i propri interlocutori. Sarà cura di ogni ente, quindi, aderire all' intesa tra il ministero della giustizia e l'Associazione dei comuni per le verifiche connesse alle attività produttive, mentre per le opere ed i servizi pubblici le verifiche dovranno essere esperite tramite l'Autorità per la vigilanza sui contratti.

Lo ha chiarito il direttore dell'Ufficio III del dipartimento per gli affari di giustizia con la nota 20.02.2013 n. 24051 di prot..
Con la nota stessa, peraltro, il ministero ha colto l'occasione per fornire alcune indicazioni operative connesse alla tutela della riservatezza dei dati contenuti nel casellario. Per acquisire il certificato selettivo previsto dall'art. 39 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale (dpr 313/2002), infatti, ha precisato il dicastero, dovranno essere «assolutamente» indicate nella scheda informativa che accompagnerà la richiesta, le norme che regolamentano lo specifico procedimento amministrativo che ne giustifica la domanda.
In altre parole, ha sottolineato il direttore Barbara Chiari, occorre indicare puntualmente, sia la legge che disciplina il procedimento, sia lo specifico articolo che stabilisce i requisiti morali che deve possedere l'interessato per l'accoglimento dell'istanza. A titolo di esempio, nel procedimento per l'avvio di attività di vendita al dettaglio, occorrerà indicare sia il riferimento al dlgs 59/2010, che all'articolo 71, commi 1, 3, 4 e 5, nei quali sono stabiliti i motivi ostativi all'esercizio dell'attività commerciale di vendita e somministrazione.
Per quanto riguarda, invece, la consultazione diretta del Sic per l'acquisizione del certificato previsto dall'art. 21 del codice dei contratti pubblici, rilasciato ai fini del controllo delle dichiarazioni sostitutive di certificati da parte di tutte le stazioni appaltanti e degli enti aggiudicatari, la stessa potrà avvenire soltanto per il tramite dell'Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp) presso la quale è istituita la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (art. 6-bis del dlgs 163/2006).
E, a tale proposito, sarà stipulata una convenzione con la suddetta Autorità, nei tempi stabiliti dalla deliberazione dell'Avcp n. 111 del 20.12.2012, consultabile all'indirizzo http://avcp.it/portal/public/classic/ (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOChiarimenti Covip sulla previdenza integrativa. Il fondo è blindato. Nuova assunzione senza riscatto.
Il fondo pensione non ammette ripensamenti. Se il lavoratore non effettua il riscatto, avendone la facoltà una volta persi i requisiti di adesione al fondo pensione, non può più farlo se viene riassunto o se manifesta la volontà di proseguire l'iscrizione al fondo pensione mediante il versamento di contributi volontari.

Lo precisa, tra l'altro, la Covip in risposta ad appositi quesiti in materia di riscatto per perdita dei requisiti di partecipazione su base collettiva (aziendale) a un fondo pensione aperto.
Tre i quesiti. Il primo chiede di sapere fino a quando dura la facoltà di riscatto per il lavoratore che, persi i requisiti di partecipazione al fondo pensione, non l'abbia esercitata immediatamente e sia stato assunto da una nuova impresa avente titolo all'iscrizione allo stesso fondo pensione. La Covip risponde che, con la nuova assunzione, il lavoratore perde la facoltà di riscatto; pertanto, il riscatto può avvenire soltanto nel periodo tra la perdita del primo lavoro e a nuova occupazione.
Il secondo
quesito ipotizza la situazione di un lavoratore iscritto al fondo pensione che, persi i requisiti di partecipazione, venga assunto per un nuovo lavoro che prevede l'adesione collettiva a un fondo diverso da quello originario. In tal caso, spiega la Covip, si realizza la situazione di perdita dei requisiti e, di conseguenza, il lavoratore può esercitare il riscatto anche successivamente alla nuova assunzione. Unica eccezione: il lavoratore decida di trasferire la posizione al nuovo fondo pensione; in tal caso, infatti, la decisione di trasferimento equivale a rinuncia alla facoltà di riscatto.
Terzo e ultimo quesito riguarda un lavoratore che, venuti meno i requisiti di partecipazione al fondo pensione, prosegua l'iscrizione su base individuale, cioè mediante versamenti volontari. La Covip spiega che l'adesione, in tal caso, è collettiva fintanto che il lavoratore non inizi a effettuare i versamenti contributivi, momento a partire dal quale l'adesione diventa individuale.
Pertanto, è solo in questa passaggio, cioè nel periodo tra la perdita dei requisiti di adesione collettiva fino al primo versamento di contributi individuali, che può essere esercitata l'opzione del riscatto. Invece, una volta che il lavoratore ha cominciato ad alimentare la posizione contributiva con propri versamenti, è manifesta la volontà di continuare la partecipazione al fondo a titolo individuale e diventa non più possibile esercitare la facoltà di riscatto per perdita dei requisiti.
In altre parole, conclude la Covip, la facoltà di riscatto è esercitabile finché perdura la situazione legittimante (cioè la perdita dei requisiti di iscrizione al fondo pensione), mentre resta preclusa una volta eseguito il pagamento individuale di contributi, per effetto del quale la partecipazione al fondo cambia titolo, diventando da collettiva a individuale (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Funzione pubblica. La precisazione riguarda il periodo di astensione per curare familiari con handicap. Congedo valido per la pensione.
IL LIMITE/ L'assenza non incide sulla progressione economica in quanto questa è legata all'attività svolta effettivamente.

Il periodo trascorso in congedo straordinario è valido a fini previdenziali, ma non per la progressione economica.
La precisazione è stata fornita dal dipartimento della Funzione pubblica (nota 15.01.2013 n. 2285 di prot.) in risposta a un quesito posto dal ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca.
Oggetto della richiesta di chiarimenti è il congedo straordinario retribuito che, in base a quanto previsto dai commi 5 e seguenti dell'articolo 42 del Dlgs 151/2001, può essere richiesto dal coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità (in assenza del coniuge il diritto spetta a uno dei due genitori, anche adottivi o in assenza degli stessi a un figlio convivente o, ancora, a uno dei fratelli o sorelle conviventi).
Tale congedo può avere una durata massima di due anni nell'intera vita lavorativa per ciascuna persona portatrice di handicap e durante tale periodo il dipendente recepisce un'indennità pari all'ultima retribuzione con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, con relativa copertura della contribuzione figurativa ma senza maturazione delle ferie, della tredicesima e del trattamento di fine rapporto.
Poiché, scrive il Dipartimento, la legge ha previsto l'istituto della contribuzione figurativa (che però vale solo per i dipendenti del settore privato dato che la contribuzione nel settore pubblico è legata alla retribuzione effettivamente versata), si deve ritenere che il periodo di congedo è valido ai fini pensionistici.
Invece, sottolinea ancora la Funzione pubblica, non è rilevante per la progressione economica di chi ne usufruisce: «Questa conclusione è confermata dalla considerazione che, di regola, i periodi rilevanti ai fini delle progressioni economiche presuppongono un'attività lavorativa effettivamente svolta, che porta ad un arricchimento della professionalità e ad un miglioramento delle capacità lavorative del dipendente, situazione che non ricorre nel momento in cui il dipendente si assenta dal servizio e non svolge la propria attività lavorativa» (articolo Il Sole 24 Ore del 27.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOEntro marzo il decreto sul blocco degli stipendi. Pa. Oltre quella data scatta l'indennità di vacanza contrattuale.
TEMPO DETERMINATO/ Avviate le trattative all'Aran per la disciplina degli accordi a termine, rispetto a cui dovrebbe essere esclusa la scuola.

Esaurite le esigenze da campagna elettorale, è atteso a giorni il decreto dell'Economia che confermerà il blocco di contrattazione, stipendi individuali e indennità di vacanza contrattuale per i dipendenti pubblici nel 2013-2014.
Il congelamento delle buste paga per i 3,3 milioni di dipendenti del pubblico impiego era spuntato nella manovra estiva 2010, che aveva sospeso rinnovi e trattamenti economici per il 2010-2012.
La possibilità di proroga era stata avanzata dall'articolo 16 della prima manovra estiva 2011 (Dl 98/2011), e si era nei fatti trasformata di un dato ovvio con l'evoluzione non troppo rassicurante della nostra finanza pubblica, che non lasciava spazi a una ripresa della spesa per stipendi. La proroga, però, nella manovra estiva del 2011 era configurata come uno strumento solo potenziale nelle mani dell'amministrazione finanziaria, che avrebbe dovuto tradurla in pratica con un decreto dell'Economia.
Sul decreto si era lavorato per tempo, ma l'avvicinarsi dell'appuntamento con le urne ha consigliato di rimandarne l'emanazione, lasciando campo libero almeno in teoria al rinnovo dei contratti nazionali (si veda Il Sole 24 Ore del 28.01.2013). Tanta prudenza non sembra essere servita a proteggere le performance dei partiti che hanno sostenuto la «strana maggioranza» di Mario Monti, ma comunque sia, chiuse le urne, il decreto può vedere ufficialmente la luce. Da un punto di vista tecnico-operativo, è essenziale che la sua approvazione definitiva arrivi entro marzo, prima cioè che scatti l'obbligo giuridico di pagare l'indennità di vacanza ai dipendenti pubblici con i contratti scaduti da anni.
Più lontana da una soluzione sembra invece l'altra scadenza passata sotto silenzio con la fine del 2012, che rappresentava il termine ultimo per adeguare i contratti integrativi in Regioni ed enti locali alle previsioni della riforma Brunetta attuata con il Dlgs 150/2009. In base alla legge, le intese decentrate che non sono state riformate per allinearle al nuovo quadro delle competenze (che per esempio sottrarrebbe al confronto sindacale le materie relative all'organizzazione degli uffici, considerate di competenza esclusivamente dirigenziale) diventerebbero illegittime, e lo stesso accadrebbe di conseguenza alle indennità che non trovano base normativa nei contratti nazionali, per esempio l'indennità di rischio e quelle legate a specifiche responsabilità.
Intese successive fra i sindacati e la Funzione pubblica guidata da Filippo Patroni Griffi durante i 13 mesi del Governo Monti hanno però ipotizzato di ridisegnare nuovamente i rapporti fra sindacati e amministrazioni, per cui le parti sociali attendono le nuove intese (è appena partita la trattativa sui contratti quadro) per "superare" nei fatti le previsioni della riforma Brunetta: rimane per il momento il "buco" normativo, che potrebbe esporre l'erogazione delle indennità locali a contestazioni da parte della Corte dei conti.
Le trattative all'Aran, l'agenzia negoziale nel pubblico impiego, sono appena state avviate anche per quel che riguarda la disciplina dei contratti a termine. Le regole generali dovrebbero continuare a escludere la scuola, su cui incombe ancora però il pericolo giurisprudenziale legato a sentenze come quella di Trapani che hanno riconosciuto a un docente precario il diritto a essere rimborsato anche dei mancati stipendi estivi e scatti di anzianità del futuro (si veda Il Sole 24 Ore del 23 febbraio).
---------------
I precedenti
01 | IL PRIMO BLOCCO
I rinnovi dei contratti nazionali, i trattamenti economici individuali e il pagamento dell'indennità di vacanza contrattuale erano stati sospesi la prima volta con il Dl 78/2010, che ha disposto il blocco per il triennio 2010-2012
02 | LA PROROGA
L'ipotesi di prorogare il congelamento al 2013-2014 era stata inserita dall'articolo 16 del Dl 98/2011. Nella legge, la proroga era solo un'ipotesi, da tradurre in atto con un decreto del ministero dell'Economia
03 | IL DECRETO
Il decreto non è stato varato entro il 31 dicembre scorso, per cui in teoria la contrattazione nel pubblico impiego sarebbe potuta ripartire. Il decreto va varato entro marzo, prima che scatti l'obbligo di versamento dell'indennità di vacanza contrattuale (articolo Il Sole 24 Ore del 27.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIIn via di ultimazione la circolare dell'Agenzia delle entrate con le semplificazioni. Appalti, responsabilità limitata. Pagamento sospeso per la quota di debito non versata.
Nella disciplina sulla responsabilità (fiscale) nei contratti di appalto, possibile sospensione del pagamento limitata alla somma di debito erariale non versata dall'appaltatore o dal sub-appaltatore e non all'intero corrispettivo dovuto.

Numerose sono le perplessità operative, in presenza di contratti di appalto e di sub-appalto, per effetto del recente intervento, di cui all'art. 13-ter, del dl n. 83/2012 («Decreto crescita») e nonostante l'emanazione di un recente documento di prassi (Agenzia delle entrate, circolare 8/10/2012 n. 40/E).
L'art. 13-ter, dl n. 83/2012, in vigore dal 12/08/2012, ha sostituito il comma 28, dell'art. 35, dl n. 223/2006 introducendo nuove disposizioni sulla disciplina applicabile ai contratti di appalto o sub-appalto di opere, forniture e servizi, conclusi da soggetti passivi Iva e da soggetti collettivi, come le società di capitali, le cooperative, gli enti pubblici e quant'altro, di cui agli artt. 73 e 74, dpr n. 917/1986 (Tuir).
Innanzitutto, da quanto risulta a ItaliaOggi, l'Agenzia delle entrate è in dirittura di arrivo per quanto concerne l'emanazione della nuova (e seconda) circolare sul tema, con l'obiettivo di semplificare la vita delle imprese, come già anticipato a suo tempo dal quotidiano (si veda ItaliaOggi 26/01/2013).
Il documento di prassi è veramente atteso poiché la disciplina, già in vigore, risulta particolarmente complessa e articolata, anche per la definizione dell'ambito applicativo; sul punto, nonostante l'art. 13-ter sia contenuto in una sezione destinata alle misure per l'edilizia, è opportuno confermare che la relativa applicazione si estende a tutti i settori che operano nell'ambito di appalti o sub-appalti. Si ritiene che siano escluse dalla disciplina le prestazioni eseguite nei confronti di un committente «privato» e sicuramente quelle di natura intellettuale, fornite da professionisti, poiché queste ultime trovano la giusta collocazione nell'ambito dell'art. 2229 c.c. e non dell'art. 1655 c.c.
Al contrario, le disposizioni sulla solidarietà tributaria parlano di contratti di appalto e di sub-appalto ovvero di quei contratti con i quali una parte (appaltatore) assume il compimento di un'opera o di un servizio su incarico di un committente e verso un corrispettivo in danaro, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, ai sensi dell'articolo 1655 c.c., e riguardano le attività delle imprese. L'individuazione del perimetro applicativo non è del tutto agevole poiché il tenore letterale delle disposizioni appena richiamate porterebbero a escludere che tale disciplina si estenda ai contratti d'opera, come disciplinati dall'art. 2222 c.c., che prevedono la fattispecie in cui un soggetto si obbliga a compiere un'opera verso pagamento di un corrispettivo, con il lavoro proprio e senza vincolo di subordinazione. Di conseguenza, alcuni autori, condivisibilmente, hanno evidenziato che la prestazione d'opera di un artigiano con modesta organizzazione d'impresa, sia riconducibile più in un contratto d'opera (art. 2222 c.c.) che in un contratto di appalto (art. 1655 c.c.) e che la corretta individuazione del perimetro applicativo non può essere rimessa alla discrezionalità delle parti in causa, sulla base delle clausole contrattuali che potrebbero non essere apposte in assenza di un accordo scritto.
Non è chiaro nemmeno se la disciplina, in presenza di committenza privata, sia o meno applicabile nel caso in cui l'appaltatore utilizzi uno o più sub-appaltatori, con la possibile applicazione limitata ai rapporti tra queste due ultime figure (appaltatore e sub-appaltore).
Una paradossale situazione, infine, è quella in cui l'appaltatore, nei rapporti con il committente, o il sub-appaltatore, nei confronti dell'appaltatore, non abbia onorato i versamenti delle ritenute alla fonte sui redditi da lavoratore dipendente o dell'Iva ma debba incassare un corrispettivo più alto rispetto al debito erariale impagato.
Le disposizioni, in tal caso, non danno certezze con la conseguenza che si ritiene che il committente o l'appaltatore debbano sospendere l'intero pagamento del corrispettivo fino al pagamento del debito erariale. In attesa delle necessarie precisazioni in merito sembrerebbe più corretto, in tal caso, sospendere il pagamento per l'ammontare di debito erariale non ancoro onorato, mentre dal dettato letterale pare che, per esempio, se il committente deve pagare all'appaltatore prestazioni per un corrispettivo pari a 10 mila euro, in presenza di debiti (ritenute e Iva) dell'appaltatore non onorati per 5 mila euro, lo stesso non può erogare gli ulteriori 5 mila euro (10 mila - 5 mila) fino alla sistemazione di quanto dovuto, creando ulteriori problemi di liquidità del prestatore (appaltatore o sub-appaltatore) (articolo ItaliaOggi del 26.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOStatali a digiuno fino al 2014. Nessun aumento anche per la scuola. Nuova inflazione. Ecco il decreto che Monti firmerà prima di lasciare il governo. Economia: atto dovuto.
Dalle parti di via XX Settembre, dove il decreto è stato lavorato in tandem con i tecnici del ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, spiegano che si tratta di un atto dovuto. Vista la situazione del bilancio dello stato, non ci sarebbero le condizioni per far fronte a un aumento di stipendio in sede di rinnovo contrattuale per i 3 milioni di dipendenti pubblici.
Il decreto che sarà nei prossimi giorni alla firma del premier Mario Monti, su proposta di Patroni Griffi e del ministro dell'economia, Vittorio Grilli, è dunque solo un mettere nero su bianco un blocco dei contratti che era nell'aria già ai tempi dell'approvazione della legge di Stabilità. E su cui nessuno, neanche un esecutivo di centrosinistra, dicono rumors governativi, potrebbe fare diversamente. Il provvedimento, che ItaliaOggi ha letto, recita che «non si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche cosi come individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31.12.2009 n. 196 e successive modificazioni».
Nel novero del blocco contrattuale ricade dunque la scuola, che con il suo milione di lavoratori è il settore più corposo dell'intero pubblico impiego. La proroga comporta anche per il 2013 il blocco degli scatti di anzianità di docenti, ausiliari e amministrativi, che per gli anni passati sono stati recuperati in sede negoziale tra governo e sindacati. «Per il medesimo personale non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall'anno 2011».
Ma non è finita, per gli anni 2013 e 2014 non ci sarà neanche la corresponsione dell'indennità di vacanza contrattuale: «In deroga alle previsioni di cui all'articolo 47-bis, comma 2 del decreto legislativo 30.03.2011, n. 165 e successive modificazioni, e all'articolo 2, comma 35 della legge 22.12.2008, n. 303, per gli anni 2013 e 2014 non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento di incrementi a titolo di indennità di vacanza contrattuale che continua a essere corrisposta nelle misure di cui all'articolo 9, comma 17, secondo periodo, del decreto legge 31.05.2010, n. 78/2010.
L'indennità di vacanza contrattuale relativa al triennio contrattuale 2015-2017 è calcolata secondo le modalità e i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti in materi
a». Ci sarà infatti un nuovo meccanismo per individuare anche l'inflazione da recuperare, avendo mandato in soffitta il parametro europeo dell'Ipca (articolo ItaliaOggi del 26.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

TRIBUTITares, deroghe ad ampio raggio. Niente imposta per i locali che non producono rifiuti. I chiarimenti nello schema tipo di regolamento predisposto dal dipartimento finanze.
Non sono soggetti alla Tares i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o che non comportano, secondo la comune esperienza, la produzione di rifiuti in misura apprezzabile per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati.
A chiarirlo è lo schema-tipo di regolamento predisposto dal Dipartimento delle Finanze per agevolare il compito dei comuni, chiamati a disciplinare il nuovo tributo che, dallo scorso 1° gennaio, ha sostituito Tarsu e Tia.
Il presupposto della Tares, ai sensi dell’art. 14, comma 3, del dl 201/2011 è dato alternativamente dal possesso, dall’occupazione o dalla detenzione di locali o aree scoperte, indipendentemente dal loro uso, purché potenzialmente in grado di produrre rifiuti. Quest’ultimo aspetto, ovvero la suscettibilità delle diverse tipologie di immobili a produrre rifiuti, aveva generato, nella vigenza della Tarsu, un ampio contenzioso.
L’art. 62 del dlgs 507/1993, infatti, contemplava, al comma 1, una presunzione legale di produttività di rifiuti collegata alla detenzione e all’occupazione (non era contemplato il possesso), mentre il successivo comma 2 escludeva «gli immobili che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno».
La disciplina relativa alla Tares, invece, sembra ricollegare il presupposto non al fatto in sé del possesso/occupazione/ detenzione dell’immobile, bensì alla idoneità oggettiva dello stesso a produrre rifiuti. L’ambito delle esclusioni, pertanto sembra essere più ampio di quello rilevante ai fini della Tarsu, come confermato dall’art. 8 della bozza di regolamento predisposta dalle Finanze, che esonera dal tributo, oltre agli immobili che non possono produrre rifiuti, anche quelli che non comportano una produzione «in misura apprezzabile», secondo la comune esperienza. Tale previsione, che certamente include gli immobili inutilizzati (espressamente richiamati dalla disciplina Tarsu), lascia notevoli margini di flessibilità ai comuni, che possono individuare le ipotesi di esclusione adattandole alla specifica situazione locale.
Le linee-guida individuano a titolo esemplificativo le fattispecie più diffuse, fra cui: le unità immobiliari adibite a civile abitazione prive di mobili e suppellettili e sprovviste di contratti attivi di fornitura dei servizi pubblici a rete; le superfici destinate al solo esercizio di attività sportiva (ma non quelle con usi diversi, quali spogliatoi, servizi igienici, uffici, biglietterie, punti di ristoro, gradinate); i locali stabilmente riservati a impianti tecnologici (vani ascensore, centrali termiche, cabine elettriche, celle frigorifere, locali di essicazione e stagionatura senza lavorazione, silos); le unità immobiliari per le quali sono stati rilasciati, anche in forma tacita, atti abilitativi per restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia (limitatamente al periodo dalla data di inizio dei lavori fino alla data di inizio dell’occupazione); le aree impraticabili o intercluse da stabile recinzione; le aree adibite in via esclusiva al transito o alla sosta gratuita dei veicoli.
Tale elenco potrà essere modificato e integrato dai singoli comuni, anche mediante l’individuazione di altre fattispecie: ad esempio, lo schema di regolamento approvato dalla Regione autonoma Valle d’Aosta include anche soffitte, ripostigli, stenditoi, lavanderie, legnaie e simili limitatamente alla parte del locale con altezza inferiore a metri 1,60.
Anche per la Tares (come per la Tarsu), l’esclusione è subordinata alla duplice condizione dell’indicazione di tali circostanze nella denuncia (originaria o di variazione) ed alla sussistenza di elementi di riscontro obiettivi direttamente rilevabili o comprovati da idonea documentazione. Qualche dubbio rimane in merito alla ripartizione dell’onere della prova in caso di contestazioni. A parere di chi scrive rimane fermo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità rispetto alla Tarsu, secondo cui la prova contraria atta a dimostrare la inidoneità del bene a produrre rifiuti è ad esclusivo carico del contribuente, dovendo il soggetto attivo (ovvero il comune) dimostrare solo il fatto oggettivo dell’occupazione/ detenzione (si veda Cass. n. 14770 del 15.11.2000).
Peraltro, lo scheda di regolamento predisposto dal ministero prevede (art. 8, comma 3) che «nel caso in cui sia comprovato il conferimento di rifiuti al pubblico servizio da parte di utenze totalmente escluse da tributo verrà applicato il tributo per l’intero anno solare in cui si è verificato il conferimento, oltre agli interessi di mora e alle sanzioni per infedele dichiarazione».
Tale formulazione pare riferirsi ai soli casi di conferimento abusivo di rifiuti da parte di utenze che siano state interamente escluse dalla Tares, ma potrebbe fornire appigli ai contribuenti per invocare un’inversione dell’onere della prova. È quindi opportuno che i comuni ne circoscrivano la portata ai predetti casi (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013).

ENTI LOCALI - APPALTIP.a., finanziamenti in chiaro. Obblighi rafforzati per le concessioni oltre i mille euro. Le misure contenute nel decreto sulla trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
Totale trasparenza sui corrispettivi e sui contratti affidati a imprese e professionisti; introdotto l'indicatore di tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni; trasparenza assoluta sui finanziamenti e sui contributi alle imprese, oltre che sulle partecipazioni pubbliche in enti privati.

Sono alcune delle principali novità contenute nel decreto legislativo recante la disciplina degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle p.a., approvato in via definitiva dal consiglio dei ministri del 15 febbraio scorso e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Il provvedimento riveste particolare interesse per le imprese: infatti, da un lato le mette in condizione di avere la massima e totale trasparenza sull'operato delle pubbliche amministrazioni, dall'altro rende trasparenti e accessibili a tutti situazioni che coinvolgono l'operato delle imprese. Esempio emblematico è l'introduzione del diritto di accesso civico che comporta un'estensione soggettiva del generale diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui all'art. 22, comma 1, legge 241/1990 anche per coloro che non sono portatori di alcun interesse giuridico qualificato (diretto, concreto e attuale) rispetto al procedimento.
Un primo aspetto che può interessare direttamente il settore imprenditoriale è quello legato ai pagamenti delle amministrazioni per appalti e contratti pubblici affidati alle imprese.
L'articolo 33 del decreto, riprendendo quanto già previsto dalla lett. a) del comma 5 dell'articolo 23 della legge n. 69 del 2009, impone alle pubbliche amministrazioni di pubblicare e aggiornare annualmente l'indicatore dei tempi medi di pagamento per l'acquisto di beni, servizi e forniture, denominato «indicatore di tempestività dei pagamenti». In questo modo, e anche in relazione alle nuove disposizioni in materia di ritardati pagamenti, sarà possibile tenere sotto controllo e monitorare i comportamenti delle amministrazioni debitrici nei confronti delle imprese aggiudicatarie dei contratti.
Un altro profilo di interesse attiene alle modalità di pagamento: l'articolo 36 stabilisce che, per i pagamenti informatici, le pubbliche amministrazioni rendano note nei propri siti istituzionali e specifichino nelle richieste di pagamento i codici Iban identificativi del conto di pagamento, ovvero gli identificativi del conto corrente postale sul quale i soggetti versanti possono effettuare i pagamenti mediante bollettino postale, oltre ai codici identificativi del pagamento da indicare obbligatoriamente per il versamento.
Pubblicità e trasparenza assoluta viene prevista dall'articolo 26 anche per gli atti di concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari alle imprese, nonché per l'attribuzione dei corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati, e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati. L'obbligo di pubblicità è addirittura «rafforzato» dal fatto che la pubblicazione diviene condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare al medesimo beneficiario (è poi anche prevista la responsabilità disciplinare del pubblico dipendente che abbia violato l'obbligo). In base all'articolo 27 vengono poi specificati, riprendendo quanto già previsto dal dl 83/2012, gli elementi oggetto di pubblicità, fra cui: il nome dell'impresa o altro soggetto beneficiario, la norma o il titolo base dell'attribuzione, l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del procedimento, le modalità seguite per individuazione del soggetto beneficiario, il link al progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato.
L'articolo 25 del decreto prevede, sulla scorta dell'articolo 14, comma 3 del dl n. 5/2012 (che delega il governo ad adottare sistemi di semplificazione dei controlli sulle imprese) che le pubbliche pubblichino sul proprio sito istituzionale e sul sito www.impresainungiorno.gov.it sia l'elenco delle tipologie di controllo cui sono assoggettate le imprese in ragione della dimensione e del settore di attività, sia l'elenco degli obblighi e degli adempimenti oggetto delle attività di controllo che le imprese sono tenute a rispettare. Infine, alcune norme del provvedimento si occupano della pubblicità e trasparenza dei dati relativi agli enti di diritto privato controllati o vigilati dall'amministrazione pubblica, nonché alle partecipazioni in società di diritto privato (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTIContratti pubblici, uno spazio ad hoc sui siti istituzionali.
Obbligo di pubblicare sui siti internet i dati principali dei contratti stipulati dalle amministrazioni con le imprese; trasparenza assoluta sui processi di pianificazione e programmazione sulle opere pubbliche e di valutazione degli investimenti.

È quanto prevede il decreto legislativo in materia di pubblicità e trasparenza dell'operato delle amministrazioni che all'articolo 37 declina i principi di trasparenza e pubblicità anche come obbligo di pubblicazione delle informazioni, relative ai contratti pubblici, sui siti istituzionali di ciascuna amministrazione pubblica.
Si tratta di un adempimento che è funzionale a garantire esigenze di garanzia, a favore di ogni potenziale offerente e della collettività, a che siano conoscibili e accessibili i dati relativi alle procedure di aggiudicazione ed esecuzione dei contratti pubblici, in modo da consentire un maggior controllo sull'imparzialità degli affidamenti nonché una maggiore apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. Saranno quindi accessibili l'oggetto del bando, l'elenco degli offerenti, l'aggiudicatario, l'importo di aggiudicazione, i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate.
Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all'anno precedente, dovranno essere pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto, per un maggior controllo sull'imparzialità degli affidamenti, nonché una maggiore apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. La norma richiama anche, con una formula omnicomprensiva, tutti gli obblighi di pubblicazione, in materia di contratti pubblici, derivanti dalla normativa nazionale, ivi compresi quelli che si sostanziano nella pubblicazione sui quotidiani, locali e nazionali, per estratto, di avvisi e bandi di gara.
Di particolare rilievo è anche la previsione con la quale si introduce per le pubbliche amministrazioni l'obbligo di pubblicare, nell'ipotesi di cui all'articolo 57, comma 6, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, la delibera a contrarre. Si tratta dei casi in cui le amministrazioni affidano contratti con procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara. Sui propri siti istituzionali le amministrazioni dovranno inoltre rendere pubbliche le informazioni concernenti tempi, costi unitari e indicatori di realizzazione delle opere pubbliche completate.
L'articolo 38 del decreto, riprendendo quanto già previsto dall'articolo 9, comma 1, dlgs 228 del 2011 in ordine alla trasparenza dei processi di pianificazione, realizzazione e valutazione delle opere pubbliche, prevede poi l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare tempestivamente sui propri siti istituzionali: i documenti di programmazione anche pluriennale delle opere pubbliche, le linee guida per la valutazione degli investimenti, le relazioni annuali e ogni altro documento predisposto nell'ambito della valutazione, compresi i pareri dei valutatori che si discostino dalle scelte delle amministrazioni e gli esiti delle valutazioni ex post (articolo ItaliaOggi Sette del 25.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

TRIBUTILa Tares comunale dimentica i rifiuti speciali. La maggiorazione segue le regole della quota ambiente.
Dal 1° gennaio è entrato in vigore il nuovo tributo a copertura dei servizi indivisibili dei Comuni, anche se di "comunale" c'è ben poco, visto che la misura base, pari a 0,30 euro al mq di superficie imponibile, e che secondo le stime del Governo vale un miliardo di euro, andrà tutta allo Stato. Ai Comuni rimane comunque la possibilità di incrementare il tributo di altri 0,10 euro, riservandosene il gettito.
Peraltro, sul fronte del "riversamento" allo Stato le regole sono ancora da definire, anche alla luce delle varie modifiche succedutesi nel corso del 2012. L'articolo 14, comma 13-bis, Dl 201/2011, prevede una riduzione del soppresso fondo sperimentale di riequilibrio, ora sostituito dal fondo di solidarietà comunale, in «misura corrispondente» al gettito derivante dalla maggiorazione standard; si prevede inoltre che in caso di incapienza ciascun Comune deve versare allo Stato le somme residue.
La normativa nulla dispone in merito al criterio di quantificazione degli importi dovuti allo Stato, se in base a una stima una tantum, o a poco attendibili superfici catastali o, infine, a una rendicontazione puntuale degli incassi registrati da ogni singolo Comune. Considerato che, rispetto al testo originario, è oggi previsto il pagamento esclusivamente con F24 o con bollettino postale centralizzato - i cui modelli ancora non sono stati approvati - sarebbe auspicabile che fossero individuati due codici tributo, uno per il tributo sui servizi indivisibili di competenza statale e uno per quello di competenza comunale, in modo tale che ci sia un riversamento diretto nelle casse dello Stato, come già avviene per l'Imu. Ciò eviterebbe inutili e dispendiose rendicontazioni.
Lo stesso sistema peraltro potrebbe essere usato anche per il tributo provinciale di tutela dell'ambiente.
Nel prototipo di regolamento Tares predisposto dall'Economia si ricorda che la maggiorazione per i servizi indivisibili ha natura di imposta addizionale rispetto al tributo sui rifiuti (che ha invece natura di tassa), di cui assume il medesimo presupposto.
Questo porta ad applicare alla maggiorazione sui servizi le stesse esclusioni, riduzioni, agevolazioni ed esenzioni applicabili al tributo sui servizi. Così le aree e i locali sui cui si producono rifiuti speciali non assimilati sono esclusi sia dal tributo sui rifiuti che da quello sui servizi. O ancora, le percentuali di riduzione da applicare alle superfici in cui vi è contestuale produzione di rifiuti urbani e speciali, saranno applicabili anche al tributo sui servizi.
Oltre ad agevolazioni che si traducono in riduzione di superficie vi sono agevolazioni che si applicano sotto forma di riduzione della tariffa, come quelle assicurate a chi effettua la raccolta differenziata, alle abitazioni occupate dai residenti esteri e altre ancora previste dalla normativa o che possono essere decise autonomamente dai Comuni con il regolamento Tares.
L'articolo 14, comma 21, Dl 201/2011, prevede che tutte queste agevolazioni, riduzioni ed esenzioni si applicano anche al tributo sui servizi indivisibili, sia di competenza statale che comunale (articolo Il Sole 24 Ore del 25.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTICodice appalti. Le istruzioni dell'Authority. Contratti in forma elettronica con regolamenti autonomi.
La nuova disciplina sulla stipulazione elettronica dei contratti vale solo per gli appalti e richiede l'elaborazione di regole attuative da parte degli enti locali.
L'Autorità sugli appalti ha fornito una serie di chiarimenti sulla nuova formulazione dell'articolo 11, comma 13, del Codice Appalti, introdotta dalla legge 221/2006 che comporta l'obbligo di digitalizzare i contratti.
Nella determinazione n. 1/ 2013 l'Authority evidenzia che la nuova norma riguarda solo i contratti disciplinati dal Dlgs 163/2006, mentre rimangono esclusi i contratti di locazione o quelli di compravendita immobiliare. Il nuovo comma 13 non incide però sul generale obbligo di stipulazione dei contratti mediante atto pubblico o in forma pubblica amministrativa, dettato dall'articolo 16 del Rd 2240/1923, ancora vigente come l'articolo 17 dello stesso decreto, che individua l'eccezione per i contratti derivanti da procedura negoziata (stipulabili anche con scrittura privata).
Secondo l'Autorità, infatti, la disposizione determina l'obbligo ulteriore, riferito appunto ai soli contratti per gli appalti e le concessioni, di composizione con modalità elettroniche: l'atto pubblico notarile informatico e l'atto in forma pubblica con l'intervento dell'ufficiale rogante (il segretario comunale o provinciale), secondo regole di gestione informatizzata stabilite da ciascuna amministrazione.
Ogni amministrazione aggiudicatrice è quindi chiamata a definire all'interno del proprio regolamento dei contratti alcune norme specifiche.
L'Authority evidenzia che le amministrazioni possono prevedere la sottoscrizione dalle parti con la firma elettronica "leggera", ossia l'acquisizione digitale della firma autografa, richiedendo invece come passaggio essenziale l'apposizione della firma digitale da parte dell'ufficiale rogante.
Il percorso è garantito sia dall'articolo 25, comma 2, del Dlgs 82/2005 sia dalla legge notarile sull'atto pubblico informatico (in particolare dall'articolo 52-bis).
L'Autorità, inoltre precisa che l'articolo 6 della legge 221/2012 ha introdotto invece (comma 2) un obbligo di stipulazione solo con firma digitale degli accordi tra Pubbliche amministrazioni, quando stipulati ai sensi dell'articolo 15 della legge 241/1990.
La determinazione 1/2013 chiarisce anche che la forma della scrittura privata può ancora essere gestita secondo modalità tradizionali (firma autografa su supporto cartaceo), nulla vietando, peraltro, alle amministrazioni di applicare alla stessa la sottoscrizione con firma digitale o realizzare lo scambio delle lettere secondo gli usi del commercio mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata (articolo Il Sole 24 Ore del 25.02.2013).

APPALTI: Pagamenti, la trasparenza non va online. Gli enti disattendono l'obbligo di pubblicazione sui siti delle spese oltre mille euro in vigore da gennaio.
Quanto spende il tuo sindaco? In teoria dal primo gennaio dovrebbe bastare un click per saperlo. In pratica, invece, il sipario sui pagamenti della pubblica amministrazione non si è ancora alzato.
A distanza di due mesi dall'entrata in vigore dell'obbligo di mettere on-line tutti i pagamenti oltre i mille euro sono veramente pochissime le amministrazioni pubbliche in regola con le nuove disposizioni (articolo 18 del Dl 83/2012).
Un censimento ufficiale non è ancora disponibile, ma un monitoraggio ufficioso, svolto dal sito «L'era della trasparenza» e coordinato da Agorà digitale, segnala a fine gennaio un tasso di regolarità praticamente nullo: su circa mille siti pubblici censiti sono poco più di una trentina -molte le Province- quelli con l'elenco.
Tra questi, c'è la Regione Lombardia. Il monitoraggio fornisce uno spaccato rappresentativo di tutte le provvidenze, le fatture, le spese grandi e piccole dell'era Formigoni. Tutto visibile, fin nei minimi dettagli: dai 363mila euro richiesti dal Centro studi interregionale Cinsedo come quota associativa 2013 ai 2.860 versati alla Royal Food (rinfresco o tramezzini?) per spese di rappresentanza. La Regione Lazio, invece, rende noti solo i dati del microcredito, dei sussidi agricoli e per il diritto allo studio. Ancora un po' poco per l'ente di Fiorito.
Buio pesto, poi, nelle aziende sanitarie locali lombarde. A fronte di 797 milioni di servizi acquistati (bilancio 2010), ad esempio, dalla Asl 2 di Milano, non un centesimo è ancora visibile nella sezione "Trasparenza, valutazione e merito" dell'azienda. Zero anche per le medesime realtà di Bergamo. Ma non è un fatto territoriale: nulla cambia, per esempio, nelle Asl di Alessandria o di Livorno.
Tra le amministrazioni centrali rispetta l'obiettivo la Presidenza del Consiglio dei ministri, ma non l'enorme centro di spesa rappresentato dal ministero delle Infrastrutture.
L'intento della norma è chiaro: fare luce sulla gestione della spesa pubblica, sui 140 miliardi di euro solo per gli acquisti (stima Istat), senza contare i mille rivoli dei finanziamenti e contributi a pioggia.
Da qui l'obbligo di mettere in rete, in formato aperto, qualsiasi uscita (fatture, contributi) sopra i modesti mille euro.
Alla Pa è stato dato un po' di tempo per organizzarsi di fronte alla ciclopica sfida: l'obbligo è in vigore da agosto scorso, ma solo da gennaio è accompagnato da pesanti «sanzioni». Innanzitutto per i beneficiari dei pagamenti: la pubblicazione preventiva degli importi è «condizione legale di efficacia del titolo» di pagamento. In altre parole se si aggira la norma, il pagamento diventa un fatto indebito (e va restituito). Una vera e propria spada di Damocle che dal primo gennaio pende su milioni di cittadini (e pochi lo sanno): dall'impresa appaltatrice di un lavoro pubblico, fino allo studente che incassa il sussidio scolastico. Possono tutelarsi solo segnalando l'inadempienza. Anche i dirigenti dell'amministrazione rischiano in proprio: per loro può scattare la responsabilità patrimoniale e devono risarcire i danni.
Eppure l'opacità resta. «In realtà sappiamo che molte amministrazioni stanno cercando di mettersi in regola -spiega Antonio Naddeo, capo dipartimento della Funzione pubblica- ma hanno difficoltà organizzative, e nessuna risorsa aggiuntiva». Ancora più difficile per le realtà più grandi e articolate sul territorio organizzare il flusso di informazioni e centralizzarle.
Per Ernesto Belisario di Agorà digitale a rallentare le scelte degli enti hanno contribuito «le prime bozze del decreto di riordino della trasparenza amministrativa che sembravano rimensionare questi obblighi e sospenderli per sei mesi». Proprio Agorà rivendica di essere riuscita «con un emendamento a ripristinare il testo vigente». La riforma è stata approvata il 15 febbraio dal Consiglio dei ministri. Se come sembra anche si confermerà il rigore sulla spesa non è più tempo di sconti. Dopo la stretta sui tempi di pagamento dei fornitori, anche la mancata trasparenza sui destinatari dei soldi pubblici può costare molto cara alle amministrazioni (articolo Il Sole 24 Ore del 25.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

GIURISPRUDENZA

ATTI AMMINISTRATIVI: La convalida attiene alla rimozione ex ufficio del vizio di un atto invalido e non già nell’annullamento in autotutela del medesimo, e che quantunque quest’ultimo sia posto in essere (anche) per dare coerenza e legittimità al successivo operato dell’amministrazione esso non per questo perde i caratteri della discrezionalità e della cura di interessi ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità, caratteri incompatibili con la vicenda della convalida descritta dall’art. 21-nonies secondo comma.
Quanto al secondo ed al quarto motivo d’appello, entrambi incentrati, sebbene con diversa declinazione, sulla convalidabilità dell’atto annullabile, ex art. 21-nonies, secondo comma, della legge 241/1990 a mente del quale, “è fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”, può osservarsi che la fattispecie oggetto dell’odierno esame integra piuttosto un’ipotesi di sanatoria in senso stretto esulante dai margini applicativi della norma citata. Ma anche a volere ammettere un generale potere di sanatoria, esso potrebbe estendersi esclusivamente agli apporti procedimentali necessari che non siano collegati ad una fisiologica e funzionale scansione temporale, com’è invece per i pareri, espressione di un potere consultivo il cui esercizio informa ed istruisce quello provvedimentale successivo.
Inappropriato è poi il riferimento alla convalida con riguardo all’autoannullamento dell’atto presupposto. Nella tesi dell’appellante, siccome l’ultra vigenza dell’atto presupposto provocava l’invalidità dell’atto conseguente (e fondava la doglianza ritualmente avanzata nel giudizio) l’avere l’amministrazione annullato anche l’atto presupposto si tradurrebbe in una indiretta convalida dei vizi dell’atto a valle, effettuata in corso di giudizio.
In proposito è sufficiente sottolineare che la convalida attiene alla rimozione ex ufficio del vizio di un atto invalido e non già nell’annullamento in autotutela del medesimo, e che quantunque quest’ultimo sia posto in essere (anche) per dare coerenza e legittimità al successivo operato dell’amministrazione esso non per questo perde i caratteri della discrezionalità e della cura di interessi ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità, caratteri incompatibili con la vicenda della convalida descritta dall’art. 21-nonies secondo comma (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.02.2013 n. 1228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La mera pubblicazione dell'aggiudicazione di un appalto sull'albo pretorio non può essere ritenuta idonea, nel sistema previsto dall'art. 79 del Codice dei contratti, come modificato dall'art. 2, d.lgs. n. 53 del 2010, a determinare la decorrenza del termine di impugnazione in caso di mancata comunicazione dell'aggiudicazione definitiva a tutti gli interessati secondo la prescrizione della citata disposizione normativa.
In quest’ultimo caso, infatti, al di fuori delle ipotesi in cui i convenuti eccepiscano la piena conoscenza dell’aggiudicazione da parte del ricorrente e dimostrino tale evenienza in capo alla ricorrente medesima, la decorrenza del termine di impugnazione di trenta giorni ex art. 120, comma 1, c.p.a. non opera, dovendosi, dunque, ricorrere alla disposizione del seguente comma 2, secondo cui il termine decorre dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso ex artt. 65 e 225 del d.lgs. 163/2006 (nella specie insussistente o, comunque non dimostrato da chi l’avrebbe dovuto eccepire, ovvero dai convenuti in appello), ovvero è pari a sei mesi dalla data di stipulazione del contratto.

Tuttavia, il Collegio deve osservare che la mera pubblicazione dell'aggiudicazione di un appalto sull'albo pretorio, come è avvenuto nella specie, non può essere ritenuta idonea, nel sistema previsto dall'art. 79 del Codice dei contratti, come modificato dall'art. 2, d.lgs. n. 53 del 2010, a determinare la decorrenza del termine di impugnazione in caso di mancata comunicazione dell'aggiudicazione definitiva a tutti gli interessati secondo la prescrizione della citata disposizione normativa.
In quest’ultimo caso, infatti, al di fuori delle ipotesi in cui i convenuti eccepiscano la piena conoscenza dell’aggiudicazione da parte del ricorrente e dimostrino tale evenienza in capo alla ricorrente medesima (il che non si verifica nel caso di specie), la decorrenza del termine di impugnazione di trenta giorni ex art. 120, comma 1, c.p.a. non opera, dovendosi, dunque, ricorrere alla disposizione del seguente comma 2, secondo cui il termine decorre dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso ex artt. 65 e 225 del d.lgs. 163/2006 (nella specie insussistente o, comunque non dimostrato da chi l’avrebbe dovuto eccepire, ovvero dai convenuti in appello), ovvero è pari a sei mesi dalla data di stipulazione del contratto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.02.2013 n. 1204 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIGare lavori, l'avvalimento non può essere limitato. Conclusioni dell'Avvocato generale della Corte di giustizia Ue.
Illegittimo limitare l'avvalimento per le gare di lavori: il codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006) viola la direttiva 2004/18 sugli appalti pubblici perché non consente di utilizzare i requisiti di due imprese per qualificarsi in una specifica categoria di lavori e impedisce l'accesso alle gare da parte delle piccole e medie imprese.
È questa la conclusione cui giunge l'Avvocato generale Jääskinen nella conclusione 28.02.2013 causa C-94/12, rimessa alla Corte di giustizia europea dal Tar delle Marche, che -laddove confermate- porterebbero al superamento dei vincoli oggi previsti nel «codice De Lise».
La questione riguarda in particolare una specifica norma del Codice dei contratti pubblici: l'articolo 49, comma 6, del decreto legislativo n. 163, del 12.04.2006, che per quanto riguarda la partecipazione a gare d'appalto prevede che «per i lavori, il concorrente può avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione. Il bando di gara può ammettere l'avvalimento di più imprese ausiliarie in ragione dell'importo dell'appalto o della peculiarità delle prestazioni, fermo restando il divieto di utilizzo frazionato per il concorrente dei singoli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi di cui all'articolo 40, comma 3, lettera b), che hanno consentito il rilascio dell'attestazione in quella categoria».
Nella fattispecie oggetto del contenzioso era accaduto che la stazione appaltante aveva provveduto ad escludere dalla gara un raggruppamento temporaneo in cui una delle imprese si era qualificata in una determinata categoria di qualificazione Soa utilizzando i requisiti di due imprese diverse, in assenza di previsione del bando. Dopo avere ricostruito la posizione della giurisprudenza comunitaria, prendendo le mosse dalla sentenza del 1994 (Ballast Noedam groep, vedi ItaliaOggi del 20.05.1994, pag. 25), l'Avvocato generale afferma espressamente che «l'esclusione degli offerenti sulla base del numero dei soggetti che partecipano all'esecuzione, da cui discende che sia ammessa una sola impresa ausiliaria per categoria, riduce le scelte dell'amministrazione aggiudicatrice e può incidere sull'efficacia della concorrenza».
Il diritto comunitario deve infatti tendere a garantire la massima apertura alla concorrenza «non solo con riguardo all'interesse alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, bensì anche nell'interesse stesso dell'amministrazione aggiudicatrice, la quale disporrà così di un'ampia scelta circa l'offerta più vantaggiosa».
Ma c'è un secondo obiettivo da perseguire: «aprire il relativo mercato a tutti gli operatori economici indipendentemente dalla loro dimensione», favorendo quindi «l'integrazione delle piccole e medie imprese (pmi)», che, nelle parole dell'Avvocato generale, «vengono considerate la spina dorsale dell'economia dell'Ue». Da ciò l'esigenza che le pmi non siano «ostacolate dalla dimensione degli appalti».
Pertanto contrastano con tali esigenze i limiti alla possibilità per gli offerenti di partecipare a raggruppamenti facendo affidamento sulle capacità di imprese ausiliarie come previsto nel codice dei contratti italiano (articolo ItaliaOggi del 02.03.2013).

URBANISTICAIl proprietario che impugna gli atti di pianificazione urbanistica generale ha un interesse qualificato a censurare la violazione delle norme sulla VAS, laddove le determinazioni di quest’ultima abbiano inciso sulle scelte di piano relative al proprio compendio in senso sfavorevole.
---------------
Occorre rimarcare, con riguardo all’individuazione dell’autorità competente per la VAS nella persona del sindaco, Che l’Amministrazione locale resistente ha in ogni modo dato applicazione alle prescrizioni regionali in materia, vale a dire il decreto regionale 14.12.2010, n. 13071, il quale consente nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti che l’autorità competente possa essere individuata anche nell’organo esecutivo titolare della responsabilità degli uffici e dei servizi di tutela e valorizzazione ambientale.
---------------
Va ricordata l’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica, nei confronti della quale i privati possono godere di aspettative qualificate soltanto in un numero limitato di casi, peraltro insussistenti nella presente fattispecie.

La censura appare priva di pregio, sotto vari profili.
In primo luogo, essa si pone in contrasto con l’indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato (cfr. la sentenza della Sezione IV di quest’ultimo, 12.01.2011, n. 133), per il quale il proprietario che impugna gli atti di pianificazione urbanistica generale ha un interesse qualificato a censurare la violazione delle norme sulla VAS, laddove le determinazioni di quest’ultima abbiano inciso sulle scelte di piano relative al proprio compendio in senso sfavorevole (nella citata sentenza n. 133/2011 si legge a tale proposito che: <<….occorre che le "determinazioni lesive" fondanti l'interesse a ricorrere siano effettivamente "condizionate", ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l'istante avrebbe dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà…>>).
Nel caso di specie, le censure specificamente riguardanti la destinazione urbanistica dell’area degli esponenti non paiono attenere alle scelte effettuate in sede di VAS.
Fermo restando quanto sopra esposto, avente carattere assorbente, occorre altresì rimarcare, con riguardo all’individuazione dell’autorità competente nella persona del sindaco –che nel Comune di Lambrugo ricopre anche il ruolo di responsabile di servizio, ai sensi della legge 388/2000– che l’Amministrazione locale resistente ha in ogni modo dato applicazione alle prescrizioni regionali in materia, vale a dire il decreto regionale 14.12.2010, n. 13071, il quale (vedesi punto 5 dell’allegato A), consente nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti che l’autorità competente possa essere individuata anche nell’organo esecutivo titolare della responsabilità degli uffici e dei servizi di tutela e valorizzazione ambientale (cfr. il documento depositato dalla difesa regionale il 28.12.2012; si rimarca altresì che tale decreto non è neppure stato oggetto di rituale impugnazione).
---------------
Preliminarmente occorre ricordare il pacifico indirizzo giurisprudenziale, ribadito di recente in importanti arresti del Giudice Amministrativo d’appello, sull’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica, nei confronti della quale i privati possono godere di aspettative qualificate soltanto in un numero limitato di casi, peraltro insussistenti nella presente fattispecie (cfr., fra le tante, la fondamentale sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 10.05.2012, n. 2710, richiamata e confermata dalla successiva sentenza della stessa Sezione IV, 28.11.2012, n. 6040; Consiglio di Stato, sez. IV, 28.12.2012, n. 6703, oltre che, fra le decisioni di primo grado, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 08.02.2012, n. 437 e TAR Basilicata, 16.12.2011, n. 602) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.02.2013 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’Amministrazione comunale è certamente chiamata allo svolgimento di un’attività istruttoria per accertare la sussistenza del titolo legittimante, anche se all’Ente pubblico spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia, il che spiega perché il permesso di costruire ed in genere i titoli edilizi sono sempre rilasciati con la formula “fatti salvi i diritti dei terzi”.
L’art. 23, comma 1, del DPR 380/2001 consente la presentazione della DIA al <<proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo (…)>>, utilizzando un’espressione sostanzialmente identica a quella contenuta nell’art. 11 del medesimo DPR (sulle caratteristiche del permesso di costruire) e, nella Regione Lombardia, negli articoli 35 e 42 della legge regionale 12/2005 sul governo del territorio.
La disposizione di cui sopra –in ordine ai soggetti legittimati a chiedere al Comune di poter svolgere attività edilizia- viene interpretata dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che l’Amministrazione comunale è certamente chiamata allo svolgimento di un’attività istruttoria per accertare la sussistenza del titolo legittimante, anche se all’Ente pubblico spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia, il che spiega perché il permesso di costruire ed in genere i titoli edilizi sono sempre rilasciati con la formula “fatti salvi i diritti dei terzi” (cfr. sul punto, Consiglio di Stato, sez. IV, 08.06.2011, n. 3508; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 10.02.2012, n. 496 e 31.03.2010, n. 842, con la giurisprudenza ivi richiamata, oltre a TAR Campania, Napoli, sez. II, 06.12.2010, n. 26817).
Nella Regione Lombardia, a conferma del citato indirizzo interpretativo, l’art. 42, comma 8, lett. a), della legge regionale 12/2005 prevede che il dirigente o il responsabile dell’ufficio competente verifichi, in relazione alla DIA, <<la regolarità formale e la completezza della documentazione presentata>> (TAR Lombardia-Milano, sez. II, sentenza 26.02.2013 n. 529 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In caso di clausole di dubbio significato, deve preferirsi l'interpretazione che favorisca la massima partecipazione alla gara piuttosto che quella che la ostacoli essendo esclusa, per la commissione di gara, la possibilità di ricavare ab implicito dei requisiti di partecipazione o delle cause di esclusione inespressi nella legge di gara.
---------------
Ove si lamenti la mancata, idonea custodia delle buste contenenti la documentazione di gara e delle offerte, spetta al deducente suffragare l’assunto con elementi circostanziati o quantomeno sintomatici, tali da far ritenere verosimile o altamente probabile che la condotta dell’amministrazione possa avere dato adito a manomissioni e che in mancanza di deduzioni specifiche ogni censura avanzata in proposito è affetta da assoluta genericità.
---------------
Non esiste un principio assoluto di unicità o immodificabilità delle commissioni giudicatrici e tale principio è destinato ad incontrare deroghe ogni volta vi sia un caso di indisponibilità da parte di uno dei componenti della commissione a svolgere le proprie funzioni.
Questo Consiglio di Stato ha statuito infatti che i “...membri delle commissioni di gara ...possono essere sostituiti in relazione ad esigenze di rapidità e continuità della azione amministrativa” configurandosi la sostituzione come “...un provvedimento di ordinaria amministrazione necessario a garantire il corretto funzionamento e la continuità delle operazioni".
---------------
Con riferimento alla “omessa verifica d’integrità dei plichi e delle buste ivi contenute” la giurisprudenza ha rilevato che la censura deve ritenersi infondata ove il verbale espliciti chiaramente l’avvenuta effettuazione delle operazioni ricomprendendovi anche la verifica della integrità dei plichi ma che la sinteticità della formula utilizzata nel verbale per descrivere lo svolgimento di tale attività non può essere ritenuta idonea a viziare la procedura di gara non dovendo il seggio di gara verbalizzare in maniera minuziosa tutte le attività di fatto materialmente svolte.
---------------
Il principio di concentrazione e continuità delle operazioni di gara è un principio solo tendenziale, derogabile in presenza di ragioni oggettive quali la complessità delle operazioni di valutazione delle offerte, il numero delle offerte in gara, l’eventuale indisponibilità dei membri della commissione, la correlata necessità di nominare sostituti ecc. che giustifichino il ritardo anche in relazione al preminente interesse alla effettuazione di scelte ponderate.
---------------
Il punteggio numerico assegnato agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa integra una sufficiente motivazione quando siano prefissati con chiarezza e adeguato grado di dettaglio i criteri di valutazione, prevedenti un minimo ed un massimo; in questo caso, infatti, sussiste comunque la possibilità di ripercorrere il percorso valutativo e quindi di controllare la logicità e la congruità del giudizio tecnico.

Va ricordato il pacifico principio giurisprudenziale secondo il quale in caso di clausole di dubbio significato, deve preferirsi l'interpretazione che favorisca la massima partecipazione alla gara piuttosto che quella che la ostacoli (Cons. Stato, VI , 04.03.2008 n. 874) essendo esclusa, per la commissione di gara, la possibilità di ricavare ab implicito dei requisiti di partecipazione o delle cause di esclusione inespressi nella legge di gara.
---------------
Tali argomentazioni del Tar non meritano conferma ritenendo la Sezione di richiamare, anche nella presente vicenda, l’orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. III, 25.11.2011 n. 6266; III, 13.05.2011 n. 2908; V, 07.07.2011 n. 4055; V, 05.10.2011 n. 5456) secondo il quale, ove si lamenti la mancata, idonea custodia delle buste contenenti la documentazione di gara e delle offerte, spetta al deducente suffragare l’assunto con elementi circostanziati o quantomeno sintomatici, tali da far ritenere verosimile o altamente probabile che la condotta dell’amministrazione possa avere dato adito a manomissioni e che in mancanza di deduzioni specifiche ogni censura avanzata in proposito è affetta da assoluta genericità.
---------------
In fatto deve sottolinearsi che la sostituzione è avvenuta per indisponibilità di un componente in un momento in cui la commissione non aveva ancora cominciato le operazioni valutative che invece sono state effettuate dalla commissione sempre nella medesima composizione; si aggiunga che il sostituto aveva le medesime qualità e la medesima esperienza del sostituito trattandosi in entrambi i casi del direttori medici di presidi ospedalieri.

Al riguardo la Sezione richiama l’orientamento seguito più volte da questo Consiglio di Stato secondo il quale non esiste un principio assoluto di unicità o immodificabilità delle commissioni giudicatrici e che tale principio è destinato ad incontrare deroghe ogni volta vi sia un caso di indisponibilità da parte di uno dei componenti della commissione a svolgere le proprie funzioni. Questo Consiglio di Stato ha statuito infatti che i “...membri delle commissioni di gara ...possono essere sostituiti in relazione ad esigenze di rapidità e continuità della azione amministrativa” (Cons. Stato,V, 03.12.2010 n. 8400) configurandosi la sostituzione come “...un provvedimento di ordinaria amministrazione necessario a garantire il corretto funzionamento e la continuità delle operazioni" (Cons. Stato, V, 05.11.2009 n. 6872).
---------------
Con riferimento alla “omessa verifica d’integrità dei plichi e delle buste ivi contenute” la giurisprudenza ha rilevato che la censura deve ritenersi infondata ove il verbale espliciti chiaramente l’avvenuta effettuazione delle operazioni ricomprendendovi anche la verifica della integrità dei plichi ma che la sinteticità della formula utilizzata nel verbale per descrivere lo svolgimento di tale attività non può essere ritenuta idonea a viziare la procedura di gara non dovendo il seggio di gara verbalizzare in maniera minuziosa tutte le attività di fatto materialmente svolte (Cons. Stato, Sez. V, 13.10.2010 n. 7470).
---------------
La giurisprudenza ha evidenziato che il principio di concentrazione e continuità delle operazioni di gara è un principio solo tendenziale, derogabile in presenza di ragioni oggettive quali la complessità delle operazioni di valutazione delle offerte, il numero delle offerte in gara, l’eventuale indisponibilità dei membri della commissione, la correlata necessità di nominare sostituti ecc. che giustifichino il ritardo anche in relazione al preminente interesse alla effettuazione di scelte ponderate (Cons. Stato, V, 25.07.2006 n. 4657; IV, 05.10.2005 n. 5360).
---------------
Come questo Consiglio di Stato ha frequentemente osservato, il punteggio numerico assegnato agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa integra una sufficiente motivazione quando siano prefissati con chiarezza e adeguato grado di dettaglio i criteri di valutazione, prevedenti un minimo ed un massimo; in questo caso, infatti, sussiste comunque la possibilità di ripercorrere il percorso valutativo e quindi di controllare la logicità e la congruità del giudizio tecnico (cfr., Sez. V, 17.01.2011 n. 222; Sez. V, 16.06.2010 n. 3806; 11.05.2007 n. 2355; 09.04.2010 n. 1999)
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 25.02.2013 n. 1169 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'annullamento di un atto illegittimo per difetto di motivazione non può ex se comportare il diritto al risarcimento dei danni subiti, in quanto tale vizio non esclude (ma, anzi, consente) il riesercizio del potere, con la conseguenza che la domanda di risarcimento non può essere valutata che all'esito del nuovo eventuale esercizio del potere.
Deve escludersi che l'annullamento di un atto illegittimo per difetto di motivazione possa ex se comportare il diritto al risarcimento dei danni subiti, in quanto tale vizio non esclude (ma, anzi, consente) il riesercizio del potere, con la conseguenza che la domanda di risarcimento non può essere valutata che all'esito del nuovo eventuale esercizio del potere (Cons. St., sez. VI, 30.06.2011 n. 3887; sez. V, 08.02.2011 n. 854) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 25.02.2013 n. 1137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La tutela del paesaggio è principio fondamentale della Costituzione (art. 9) ed ha carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo nella difesa del territorio, di tal che anche le previsioni degli strumenti urbanistici devono necessariamente coordinarsi con quelle sottese alla difesa paesaggistica.
La difesa del paesaggio si attua eminentemente a mezzo di misure di tipo conservativo, nel senso che la miglior tutela di un territorio qualificato sul piano paesaggistico è quella che garantisce la conservazione dei suoi tratti naturalistici, impedendo o riducendo al massimo quelle trasformazioni pressoché irreversibili del territorio propedeutiche all’attività edilizia (come gli sbancamenti, le perforazioni funzionali alla realizzazione delle fondamenta, i terrazzamenti ed in genere tutte le opere funzionali alla costruzione di edifici in territorio collinare); non par dubbio che gli interventi di antropizzazione connessi alla trasformazione territoriale con finalità residenziali, soprattutto quando siano particolarmente consistenti per tipologia e volumi edilizi da realizzare, finiscono per alterare la percezione visiva dei tratti tipici dei luoghi, incidendo (quasi sempre negativamente) sul loro aspetto esteriore e sulla godibilità del paesaggio nel suo insieme. Tali esigenze di tipo conservativo devono naturalmente contemperarsi, senza tuttavia mai recedere completamente, con quelle connesse allo sviluppo edilizio del territorio che sia consentito dalla disciplina urbanistica nonché con le aspettative dei proprietari dei terreni che mirano legittimamente a sfruttarne le potenzialità edificatorie.
E’ proprio in relazione al difficile equilibrio tra tali contrapposti interessi che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico deve trovare, nei casi in cui la disciplina urbanistica consenta l’esercizio dello ius aedificandi, il giusto contemperamento nel rilasciare o denegare il necessario assenso al formarsi del titolo autorizzatorio secondo il modello procedimentale delineato nell’art. 146 del d.lgs. 42 del 2004 (che come è noto attribuisce oggi al Ministero dei beni e delle attività culturali, per il tramite delle locali Soprintendenze, un ruolo di cogestione attiva del vincolo paesaggistico, con la titolarità di penetranti poteri valutativi di merito).
Si tratta di valutazioni spesso connotate da elementi tecnico-discrezionali non sindacabili in sede giurisdizionale, se non per illogicità manifesta, per palese incongruità o inadeguatezza del provvedimento in rapporto alle sue finalità di protezione del territorio vincolato, ad evitare inammissibili sovrapposizioni del giudicante in ambiti che la legge ha voluto riservare alla amministrazione titolare del potere.

Giova premettere che la tutela del paesaggio è principio fondamentale della Costituzione (art. 9) ed ha carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo nella difesa del territorio, di tal che anche le previsioni degli strumenti urbanistici devono necessariamente coordinarsi con quelle sottese alla difesa paesaggistica.
La difesa del paesaggio si attua eminentemente a mezzo di misure di tipo conservativo, nel senso che la miglior tutela di un territorio qualificato sul piano paesaggistico è quella che garantisce la conservazione dei suoi tratti naturalistici, impedendo o riducendo al massimo quelle trasformazioni pressoché irreversibili del territorio propedeutiche all’attività edilizia (come gli sbancamenti, le perforazioni funzionali alla realizzazione delle fondamenta, i terrazzamenti ed in genere tutte le opere funzionali alla costruzione di edifici in territorio collinare); non par dubbio che gli interventi di antropizzazione connessi alla trasformazione territoriale con finalità residenziali, soprattutto quando siano particolarmente consistenti per tipologia e volumi edilizi da realizzare, finiscono per alterare la percezione visiva dei tratti tipici dei luoghi, incidendo (quasi sempre negativamente) sul loro aspetto esteriore e sulla godibilità del paesaggio nel suo insieme. Tali esigenze di tipo conservativo devono naturalmente contemperarsi, senza tuttavia mai recedere completamente, con quelle connesse allo sviluppo edilizio del territorio che sia consentito dalla disciplina urbanistica nonché con le aspettative dei proprietari dei terreni che mirano legittimamente a sfruttarne le potenzialità edificatorie.
E’ proprio in relazione al difficile equilibrio tra tali contrapposti interessi che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico deve trovare, nei casi in cui la disciplina urbanistica consenta l’esercizio dello ius aedificandi, il giusto contemperamento nel rilasciare o denegare il necessario assenso al formarsi del titolo autorizzatorio secondo il modello procedimentale delineato nell’art. 146 del d.lgs. 42 del 2004 (che come è noto attribuisce oggi al Ministero dei beni e delle attività culturali, per il tramite delle locali Soprintendenze, un ruolo di cogestione attiva del vincolo paesaggistico, con la titolarità di penetranti poteri valutativi di merito).
Si tratta di valutazioni spesso connotate da elementi tecnico-discrezionali non sindacabili in sede giurisdizionale, se non per illogicità manifesta, per palese incongruità o inadeguatezza del provvedimento in rapporto alle sue finalità di protezione del territorio vincolato, ad evitare inammissibili sovrapposizioni del giudicante in ambiti che la legge ha voluto riservare alla amministrazione titolare del potere (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.02.2013 n. 1129 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il voto numerico esprime, e sintetizza, il giudizio tecnico discrezionale della commissione, e non abbisogna di ulteriori spiegazioni o chiarimenti; e ciò in quanto la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla Commissione nell'ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato.
Ed è del tutto legittimo che, all’esito della valutazione complessivamente condotta sul singolo candidato, il giudizio sia stato espresso in termini numerici, giacché l’espressione in numeri costituisce l’applicazione di un particolare codice, che reca in sé la propria motivazione, riassunta secondo una precisa scala di valori.
Il voto numerico, per consolidata e condivisa giurisprudenza, esprime, infatti, e sintetizza, il giudizio tecnico discrezionale della commissione, e non abbisogna di ulteriori spiegazioni o chiarimenti; e ciò in quanto la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla Commissione nell'ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato (per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 02.11.2012, n. 5581) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.02.2013 n. 1124 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In materia di partecipazione ad appalti pubblici deve essere mantenuta una distinzione ben netta tra l’attività di mera integrazione o di specificazione di dichiarazioni già rese in sede di gara, rispetto alla distinta ipotesi della introduzione di elementi o fatti nuovi, successivamente alla data di scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte; soltanto quest’ultima attività deve ritenersi assolutamente non consentita, in quanto violativa della fondamentale regola della par condicio competitorum.
Per converso, laddove si tratti di esplicitare o di chiarire una dichiarazione o il contenuto di un atto già tempestivamente prodotto agli atti di gara, l’attività di integrazione non soltanto è consentita ma la stessa risulta dovuta, nel senso che la stazione appaltante è tenuta, in omaggio al principio di leale collaborazione codificato all’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, a richiedere o a consentire la suddetta integrazione, in modo da rendere conforme l’offerta, anche in relazione al materiale documentale di corredo, a quanto richiesto dalla lex specialis di gara. In tal caso è il principio di massima partecipazione alle gare ad imporre tale soluzione interpretativa finalizzata a consentire un’effettiva concorrenza tra le imprese in gara.

In materia di partecipazione ad appalti pubblici deve essere mantenuta una distinzione ben netta tra l’attività di mera integrazione o di specificazione di dichiarazioni già rese in sede di gara, rispetto alla distinta ipotesi della introduzione di elementi o fatti nuovi, successivamente alla data di scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte; soltanto quest’ultima attività deve ritenersi assolutamente non consentita, in quanto violativa della fondamentale regola della par condicio competitorum.
Per converso, laddove si tratti di esplicitare o di chiarire una dichiarazione o il contenuto di un atto già tempestivamente prodotto agli atti di gara, l’attività di integrazione non soltanto è consentita ma la stessa risulta dovuta, nel senso che la stazione appaltante è tenuta, in omaggio al principio di leale collaborazione codificato all’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, a richiedere o a consentire la suddetta integrazione, in modo da rendere conforme l’offerta, anche in relazione al materiale documentale di corredo, a quanto richiesto dalla lex specialis di gara. In tal caso è il principio di massima partecipazione alle gare ad imporre tale soluzione interpretativa finalizzata a consentire un’effettiva concorrenza tra le imprese in gara (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.02.2013 n. 1122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI - TRIBUTIPubblicità stradale con gara. È obbligatoria per affidare spazi in concessione. L'adunanza plenaria del Consiglio di stato: necessario garantire la concorrenza.
È obbligatoria la gara per l'affidamento in concessione di spazi pubblicitari stradali; si tratta di gare con offerte in aumento («al rialzo») motivate dal fatto che gli spazi pubblicitari sono contingentati in ogni comune e che occorre garantire la libera concorrenza.
È il Consiglio di Stato, adunanza plenaria sentenza 25.02.2013 n. 5, a chiarire definitivamente la questione posta dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia con ordinanza n. 653 del 2012.
La materia è trattata in più sedi: nella normativa sulla viabilità, che sottopone gli impianti, per la sicurezza del traffico veicolare, ad autorizzazione comunale se collocati nei centri abitati (art. 23, comma 4, del codice della strada dlgs n. 285 del 1992), in quella sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici [articoli 49 e 153 del codice dei beni culturali e del paesaggio (dlgs n. 42 del 2004)], se gli impianti incidano su tali profili, e nella normativa tributaria, posta in particolare dal dlgs n. 507 del 1993 (e poi dal dlgs n. 446 del 1997).
Sul tema dell'assegnazione degli spazi pubblici disponibili per gli impianti pubblicitari ad affissione diretta, in giurisprudenza erano emersi due indirizzi. Il primo, sposato dal giudice che ha rimesso la questione all'Adunanza plenaria e risalente a una pronuncia del Consiglio di stato del 2007, poggia la sua tesi sul fatto che le imprese, titolari di un diritto alla libera attività di affissione diretta (ai sensi della pronuncia della Corte costituzionale n. 355 del 2002), sarebbero sottoposte soltanto ad autorizzazione onerosa, ai sensi degli articoli 23 del codice della strada e 53 del relativo regolamento attuativo, con un «prezzo» (tariffa) pagato dall'autorizzato anche per compensare l'occupazione del suolo pubblico. Il secondo indirizzo del Consiglio di stato del 2009, prevalente anche a livello di Tar, parte dalla considerazione che il «mercato dell'uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino è, allo stato attuale, contingentato, a motivo della limitatezza degli spazi disponibili», con conseguente obbligo per i comuni di determinare «la quantità degli impianti pubblicitari».
Pertanto in questa ottica lo strumento idoneo a garantire la libera iniziativa economica non può che essere quello della concessione degli spazi tramite gara. Diversamente, infatti, sarebbe del tutto inibito a nuovi operatori l'accesso ad un mercato che resterebbe riservato a quanti hanno conseguito in passato le autorizzazioni all'uso degli spazi più remunerativi.
L'adunanza plenaria sposa questo secondo indirizzo partendo dalla conferma della considerazione generale per cui la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane è vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi disponibili all'interno del territorio comunale e ulteriormente ristretta per effetto dei vincoli sia di viabilità, sia di tutela dei beni culturali, gravanti sul territorio. Di fatto, quindi, tale assetto configura un vero e proprio «mercato contingentato» determinato da una scarsa risorsa pubblica, cioè il suolo pubblico. La sentenza delinea quindi, in questo ambito, un rapporto tra l'ente locale e privato che non può che essere di natura concessoria, sotto forma di concessione di area pubblica.
Per l'adunanza plenaria è quindi «corretto allocare l'uso degli spazi pubblici contingentati con gara, dovendosi altrimenti ricorrere all'unico criterio alternativo dell'ordine cronologico di presentazione delle domande accoglibili, che è di certo meno idoneo ad assicurare l'interesse pubblico all'uso più efficiente del suolo pubblico e quello dei privati al confronto concorrenziale».
Per assicurare il perseguimento del principio di tutela della concorrenza nell'esercizio dell'attività economica privata incidente sull'uso di risorse pubbliche occorre quindi riferirsi all'istituto della concessione tramite gara dell'uso di beni pubblici per l'esercizio di attività economiche private, che risulta del tutto coerente anche con i principi comunitari, in particolare di non discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza.
In particolare la concessione di un'area pubblica fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato (come è nella specie e quindi la gara si impone come strumento a presidio e tutela del principio, fondamentale, della piena concorrenza. Si tratterà, ovviamente, di una gara con offerte in aumento, «al rialzo», per l'assegnazione di una concessione con durata temporale prefissata (articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Tutte le pretese patrimoniali dei pubblici dipendenti, ivi compresa l'indennità di missione, si prescrivono nel termine di cinque anni.
La giurisprudenza consolidata del giudice amministrativo (ex plurimis, Consiglio Stato sez. IV, 08.08.2006, n. 4785; Cons. St., sez. IV, 11.07.1994, n. 587; Cons. St., Ad. Plen., 20.03.1989, n. 8) che questo Collegio condivide, ha chiarito che tutte le pretese patrimoniali dei pubblici dipendenti, ivi compresa l'indennità di missione, si prescrivono nel termine di cinque anni.
Agli atti sono documentati molteplici atti di diffida ad adempiere dei ricorrenti nei confronti dell’amministrazione (cfr., note del 03.12.1999, del 28.02.2000, del 06.09.2007, del 03.03.2008) che hanno reiteratamente interrotto il corso della prescrizione (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 22.02.2013 n. 491 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: I consiglieri comunali sono legittimati a ricorrere avverso gli atti adottati dagli organi di appartenenza nei ristretti limiti tracciati dalla lesione dello ius ad officium.
La difformità delle delibere consiliari dal modello legale, di per sé impugnabile dai soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dal medesimo, non attiva la legittimazione dei consiglieri comunali ad impugnare, perché altrimenti si dovrebbe loro riconoscere un'inammissibile azione popolare di diritto oggettivo, a tutela della conformità a legge delle delibere consiliari, che prescinde del tutto dall'interesse dei ricorrenti.
Invero, non ogni violazione di forma o di sostanza nell'adozione di una deliberazione, si traduce in una automatica lesione dello ius ad officium ma solo nella misura in cui detta illegittimità si sia tradotta nella lesione del diritto e dovere della persona investita della carica di consigliere comunale di esercitare la propria funzione, tramite il proprio voto, creando un contrasto che però non è suscettibile di risoluzione nella sede dialettica interna all'organo, atteso che proprio la lesione del munus impedisce l'attivazione dei meccanismi di responsabilità politica e rende necessario il ricorso all'autorità giurisdizionale per ripristinare il libero esercizio dello jus ad officium.

Con riferimento a detti motivi il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione all'azione, attesa la mancanza di interesse personale dei ricorrenti a sollevare doglianze non incidenti sulle prerogative loro riconosciute dall'ordinamento in ragione del munus publicum ricoperto.
I consiglieri comunali, infatti, sono legittimati a ricorrere avverso gli atti adottati dagli organi di appartenenza nei ristretti limiti tracciati dalla lesione dello ius ad officium, limiti che il Collegio reputa non essere stati violati nel caso del secondo e terzo motivo di ricorso in quanto afferenti a meri profili di legittimità dell’azione amministrativa non incidenti sulla loro posizione giuridica (ex pluribus Cons. di Stato, sez. IV, 02/10/2012, n. 5184; Cons. Stato, Sez. V, 15.12.2005, n. 7122, Cons. St., sez. I, 30.07.2003 n. 2695).
Come rilevato da consolidata giurisprudenza la giurisdizione amministrativa non è strutturata come giurisdizione di diritto oggettivo: essa non concerne un astratto sindacato sulla legalità dell'azione dei pubblici poteri, ma è giurisdizione di diritto soggettivo, richiedendosi, per la sua attivazione la sussistenza di un interesse personale prima che attuale, e ciò sin dalla istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato con legge n. 5992 del 1889 (Cons. di Stato sez. V n. 826 del 19.02.2007).
Il giudizio amministrativo, di regola, è diretto alla risoluzione di controversie intersoggettive e non tra organi o componenti di organi di una stessa Amministrazione o Ente, sicché solo quando si concretizza un contrasto interno qualificato in ragione della lesione di un interesse personale rilevante per l'ordinamento può dirsi sorta una posizione qualificata ed idonea a stimolare la funzione giurisdizionale, in quanto capace di rilevare all'esterno.
Nel caso che qui interessa, solo con la lesione diretta ed immediata del diritto all'ufficio del consigliere comunale può dirsi sorta la legitimatio ad agendum, ovvero l'interesse personale al ricorso al fine del ripristino della situazione sostanziale lesa, attraverso la rimozione della situazione antigiuridica affidata all'organo giurisdizionale.
A ragione si afferma, dunque, che la difformità delle delibere consiliari dal modello legale, di per sé impugnabile dai soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dal medesimo, non attiva la legittimazione dei consiglieri comunali ad impugnare, perché altrimenti si dovrebbe loro riconoscere un'inammissibile azione popolare di diritto oggettivo, a tutela della conformità a legge delle delibere consiliari, che prescinde del tutto dall'interesse dei ricorrenti (Cons. di Stato V n. 2457/2010).
Invero, non ogni violazione di forma o di sostanza nell'adozione di una deliberazione, si traduce in una automatica lesione dello ius ad officium ma solo nella misura in cui detta illegittimità si sia tradotta nella lesione del diritto e dovere della persona investita della carica di consigliere comunale di esercitare la propria funzione, tramite il proprio voto, creando un contrasto che però non è suscettibile di risoluzione nella sede dialettica interna all'organo, atteso che proprio la lesione del munus impedisce l'attivazione dei meccanismi di responsabilità politica e rende necessario il ricorso all'autorità giurisdizionale per ripristinare il libero esercizio dello jus ad officium
(TAR Campania, Salerno, Sez. II, sentenza 22.02.2013 n. 490 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: Le previsioni dei bilanci che si susseguono anno dopo anno e le poste dei bilanci annuali e di quelli pluriennali devono, per il principio di unitarietà del bilancio trovare corrispondenza fra loro. Ciò comporta che ogni atto di bilancio debba trovare il suo fondamento in un atto anteriore e presupposto, in modo che sia assicurata al contempo l’unitarietà della finanza pubblica e la continuità e coerenza delle scritturazioni.
Nell'ordinamento contabile degli enti locali la delibera consiliare di approvazione del bilancio rappresenta l'atto attraverso cui il Consiglio comunale autorizza preventivamente, all'inizio dell'anno, le spese e le entrate previste in termini valoristici nel bilancio, ovvero nel documento contabile, predisposto dall'esecutivo, con funzione programmatoria, in cui sono elencate tutte le spese che saranno sostenute nel corso dell'esercizio di riferimento e tutte le entrate che serviranno per finanziarle, ovvero sono programmate tutte le attività e sono destinate le risorse ai servizi che il comune eroga.
L’approvazione del bilancio consente, dunque, il preventivo controllo democratico sulla gestione finanziaria, indirizzandola verso il miglior utilizzo delle risorse, al fine del soddisfacimento dei bisogni della collettività di riferimento.
Ai sensi dell'art. 162 del D.lgs. n. 267 del 2000 “gli enti locali deliberano annualmente il bilancio di previsione finanziario redatto in termini di competenza, per l’anno successivo, osservando i principi di unità, annualità, universalità ed integrità, veridicità, pareggio finanziario e pubblicità.”
Da tali principi, che sostanzialmente rispecchiano quelli involgenti il bilancio dello Stato, si ricava, come precisato dal Consiglio di Stato in una recente sentenza (sez. V n. 2457/2010) che "Le previsioni dei bilanci che si susseguono anno dopo anno e le poste dei bilanci annuali e di quelli pluriennali devono, per il principio di unitarietà del bilancio trovare corrispondenza fra loro. Ciò comporta che ogni atto di bilancio debba trovare il suo fondamento in un atto anteriore e presupposto, in modo che sia assicurata al contempo l’unitarietà della finanza pubblica e la continuità e coerenza delle scritturazioni".
La funzione autorizzatoria del Consiglio comunale non si esaurisce con la delibera di approvazione del bilancio, atteso che, ai sensi dell'art. 175 del Testo unico sugli enti locali, il bilancio comunale può subire variazioni nel corso dell'esercizio di competenza, sia nella parte relativa alle entrate che nella parte relativa alle spese, e ciò fino al 30 novembre di ciascun anno.
Entro tale data viene approvato dal Consiglio comunale l’assestamento di bilancio ossia viene fatta una variazione che allinea il bilancio di previsione con le entrate realmente incassate e con le spese realmente sostenute. Il risultato di gestione che si evince dalla delibera di variazione di assestamento generale del bilancio di previsione costituisce poi, insieme ai consuntivi degli anni immediatamente precedenti all'ultimo esercizio, il parametro di riferimento per la programmazione finanziaria relativa alle ulteriori fasi in cui si articola il ciclo della gestione finanziaria degli enti locali, ovvero fondamentale base di calcolo per l'approvazione del bilancio annuale e pluriennale dell' esercizio immediatamente successivo.
E' vero che dopo il 31 dicembre di ciascun anno, ovvero ad esercizio terminato, viene approvato dal Consiglio comunale un ulteriore documento contabile, il Rendiconto della gestione (entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello di riferimento ai sensi dell'art. 227 del D.lgs. 267/2000), ma è pur vero che tale atto si limita a fotografare e dimostrare i dati relativi ai risultati di una gestione finanziaria oramai conclusa ed immodificabile, che, pertanto, ha già potuto produrre effetti sul bilancio relativo al successivo esercizio finanziario.
Dunque non rileva il fatto che alla data dell'approvazione del nuovo bilancio non sia ancora stato redatto il conto consuntivo dell'anno precedente, come pur sostenuto dalla difesa del ricorrente.
Infatti, le risultanze contabili dell'esercizio precedente, già evincibili dalla variazione di assestamento generale del bilancio di previsione, per il principio di continuità ed universalità dei bilanci, si saldano a quelle dell'anno immediatamente successivo, rappresentandone la premessa imprescindibile delle nuove previsioni di entrata e di spesa.
Ne deriva che, in ragione del nesso di conseguenzialità tra gli atti, allorquando i vizi fatti valere avverso il bilancio di previsione non siano stati tempestivamente dedotti avverso i documenti di bilancio successivi, ciò rileva sul piano del giudizio amministrativo, comportando una pronuncia in termini di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Né tantomeno può affermarsi che dalla sentenza di annullamento derivi l'effetto caducatorio dei successivi atti contabili, ostandovi esigenze di certezza, continuità e veridicità del bilancio, che informano anche la disciplina del trattamento processuale delle impugnative che coinvolgono tali atti dell’ordinamento contabile (Cons. di Stato V n. 2457/2010)
(TAR Campania, Salerno, Sez. II, sentenza 22.02.2013 n. 490 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In relazione all’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, ex art. 151 D.Lgs. n. 490/1999, l'Amministrazione dei beni culturali è obbligata a comunicare al destinatario dell'autorizzazione l'avvio del procedimento, allo scopo di consentire a quest'ultimo di avvalersi concretamente degli strumenti di partecipazione e di accesso previsti dalla L. n. 241/1990.
Inoltre, l'onere di comunicare l'avvio del procedimento non può essere soddisfatto dalla semplice indicazione della soggezione al potere ministeriale contenuta nell'autorizzazione paesaggistica, né dall'indicazione del Ministero tra i destinatari dell'atto medesimo, in quanto siffatte indicazioni non garantiscono né che la pratica sia stata effettivamente trasmessa all'autorità statale, né che questa l'abbia ricevuta, di modo che l'interessato dovrebbe esercitare la propria pretesa partecipativa senza sapere se l'autorizzazione rilasciatagli ed il relativo incartamento siano pervenuti a destinazione, con il rischio di porre in essere un'attività che potrebbe, poi, rivelarsi prematura e inutile.

In relazione all’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, ex art. 151 D.Lgs. n. 490/1999, l'Amministrazione dei beni culturali è obbligata a comunicare al destinatario dell'autorizzazione l'avvio del procedimento, allo scopo di consentire a quest'ultimo di avvalersi concretamente degli strumenti di partecipazione e di accesso previsti dalla L. n. 241/1990 (Così, CdS, Sez. VI, n. 5247 del 11-09-2006).
La giurisprudenza ha anche evidenziato che l'onere di comunicare l'avvio del procedimento non può essere soddisfatto dalla semplice indicazione della soggezione al potere ministeriale contenuta nell'autorizzazione paesaggistica, né dall'indicazione del Ministero tra i destinatari dell'atto medesimo, in quanto siffatte indicazioni non garantiscono né che la pratica sia stata effettivamente trasmessa all'autorità statale, né che questa l'abbia ricevuta, di modo che l'interessato dovrebbe esercitare la propria pretesa partecipativa senza sapere se l'autorizzazione rilasciatagli ed il relativo incartamento siano pervenuti a destinazione, con il rischio di porre in essere un'attività che potrebbe, poi, rivelarsi prematura e inutile.
Né può ritenersi irrilevante il vizio, ai sensi dell'art. 21-octies l. n. 241/1990, perché, presentando la valutazione di compatibilità paesaggistica un margine di opinabilità, la partecipazione dell'interessato al procedimento avrebbe potuto fornire un apporto per una soluzione favorevole, anche mediante l'indicazione di marginali modifiche del progetto di ristrutturazione (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 22.02.2013 n. 488 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia concernente l’osservanza degli obblighi assunti dal privato nei confronti dell’ente locale in ordine alla realizzazione di opere di urbanizzazione ed alla cessione gratuita all’ente delle aree stradali e dei servizi, ambito nel quale è esperibile dinanzi a detto giudice l’azione di cui all’art. 2932 c.c..
La domanda è ammissibile in quanto, come chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 20.07.2012, n. 28), rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia concernente l’osservanza degli obblighi assunti dal privato nei confronti dell’ente locale in ordine alla realizzazione di opere di urbanizzazione ed alla cessione gratuita all’ente delle aree stradali e dei servizi, ambito nel quale è esperibile dinanzi a detto giudice l’azione di cui all’art. 2932 c.c. (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.02.2013 n. 243 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Ai sensi dell’art. 22, c. 1, lett. c), della l. 07.08.1990 n. 241, rispetto alla richiesta d’accesso a documenti amministrativi vi sono soggetti che, in linea di principio, potrebbero subire dall’ostensione di tali atti un pregiudizio alla loro riservatezza e, perciò, essi sono titolari di posizione di legittimo controinteresse a tal richiesta.
Per controinteressati in materia d’accesso si devono intendere tutti coloro i quali non tanto sono nominati o coinvolti nel documento che incorpora le informazioni cui si vuole accedere, quanto, piuttosto, potrebbero vedere pregiudicato il loro diritto alla riservatezza, la qual cosa è un quid pluris rispetto alla mera circostanza d’esser, o no chiamati in causa in tal documento.

- Considerato in diritto che l’appello non può esser condiviso, anzitutto perché, ai sensi dell’art. 22, c. 1, lett. c), della l. 07.08.1990 n. 241, rispetto alla richiesta d’accesso a documenti amministrativi vi sono soggetti che, in linea di principio, potrebbero subire dall’ostensione di tali atti un pregiudizio alla loro riservatezza (cfr., da ultimo, Cons. St., IV, 17.10.2012 n. 5325) e, perciò, essi sono titolari di posizione di legittimo controinteresse a tal richiesta;
- Considerato invero che, per controinteressati in materia d’accesso si devono intendere tutti coloro i quali non tanto sono nominati o coinvolti nel documento che incorpora le informazioni cui si vuole accedere, quanto, piuttosto, potrebbero vedere pregiudicato il loro diritto alla riservatezza, la qual cosa è un quid pluris rispetto alla mera circostanza d’esser, o no chiamati in causa in tal documento (cfr. Cons. St., V, 27.05.2011 n. 3190; arg. pure ex id., VI, 20.07.2010 n. 4669) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 21.02.2013 n. 1065 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell'articolo 25 del d.lgs. 31.03.1998 n 112 e del relativo regolamento di cui al D.P.R. 20.10.1998, n. 447, la domanda di autorizzazione alle attività produttive presentata ricomprende tutti gli aspetti urbanistici, edilizi, ambientali, di sicurezza per la pubblica incolumità, di igiene dei luoghi di lavoro ecc. ecc.; ed in conseguenza, ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n 112 cit. la relativa istruttoria ha per oggetto in particolare i profili urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della sicurezza.
L'unica domanda –che può contenere, ove necessario, anche la richiesta di permesso edilizio– deve specificare tutti gli elementi che connotano le produzione e deve essere corredata da autocertificazioni, attestanti la conformità dei progetti alle prescrizioni urbanistiche, della sicurezza degli impianti, della tutela sanitaria e della tutela ambientale.
In conseguenza il provvedimento finale deve valutare -ed autorizzare- tutti gli aspetti specificamente indicati nell’oggetto dell’istanza.

In linea di principio deve rilevarsi che, contrariamente a quanto apoditticamente affermano le appellanti, ai sensi dell'articolo 25 del d.lgs. 31.03.1998 n 112 e del relativo regolamento di cui al D.P.R. 20.10.1998, n. 447, la domanda di autorizzazione alle attività produttive presentata ricomprende tutti gli aspetti urbanistici, edilizi, ambientali, di sicurezza per la pubblica incolumità, di igiene dei luoghi di lavoro ecc. ecc.; ed in conseguenza, ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n 112 cit. la relativa istruttoria ha per oggetto in particolare i profili urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della sicurezza.
L'unica domanda –che può contenere, ove necessario, anche la richiesta di permesso edilizio– deve specificare tutti gli elementi che connotano le produzione e deve essere corredata da autocertificazioni, attestanti la conformità dei progetti alle prescrizioni urbanistiche, della sicurezza degli impianti, della tutela sanitaria e della tutela ambientale.
In conseguenza il provvedimento finale deve valutare -ed autorizzare- tutti gli aspetti specificamente indicati nell’oggetto dell’istanza (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.02.2013 n. 1056 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'art. 10-bis, della L. 07.08.1990 n. 241 in materia di partecipazione procedimentale, non deve essere interpretato in senso formalistico, ma si deve avere riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio: la violazione dell'obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, imposto dal cit. art. 10-bis, è inidonea di per sé a giustificare l'annullamento di un atto, non essendo consentito, ai sensi del successivo art. 21-octies, l'annullamento dei provvedimenti amministrativi, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
In un’ottica funzionale, un importante strumento di partecipazione come l’avviso di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990 non può ridursi né ad mero rituale formalistico, né ad un banale cavillo del tutto disgiunto dalla realtà delle cose. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che non ha potuto incolpevolmente sottoporre all'amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile per assoluta genericità.
Pertanto, solo l’allegazione nel successivo giudizio degli elementi che il privato non ha potuto introdurre nel procedimento per un fatto colposo della P.A. rendono l’istituto un presidio ordinamentale a tutela sia del diritto dell’interessato a rappresentare in sede procedimentale le proprie ragioni; e sia della P.A. a valutare compiutamente tutti gli interessi diretti ed indiretti coinvolti nel procedimento.

L’esposto di un privato diretto a sollecitare l’esercizio di poteri di autotutela si sostanzia in una richiesta di riesame, per la quale non può ritenersi in sé sussistente alcun obbligo per la P.A. di far luogo al preavviso di rigetto qualora il successivo provvedimento sia sostanzialmente confermativo del precedente provvedimento.
La Sezione ha, al riguardo, più volte ricordato che l'art. 10-bis, della L. 07.08.1990 n. 241 in materia di partecipazione procedimentale, non deve essere interpretato in senso formalistico, ma si deve avere riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio: la violazione dell'obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, imposto dal cit. art. 10-bis, è inidonea di per sé a giustificare l'annullamento di un atto, non essendo consentito, ai sensi del successivo art. 21-octies, l'annullamento dei provvedimenti amministrativi, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. Consiglio Stato Sez. IV 28.01.2011 n. 679; Sez. IV 16.02.2012 n. 823).
In un’ottica funzionale, un importante strumento di partecipazione come l’avviso di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990 non può ridursi né ad mero rituale formalistico, né ad un banale cavillo del tutto disgiunto dalla realtà delle cose. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che non ha potuto incolpevolmente sottoporre all'amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile per assoluta genericità (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 09.01.2009, n. 120; Consiglio Stato, sez. VI, 29.07.2008, n. 3786; idem sez. V, 19.03.2007, n. 1307).
Pertanto, solo l’allegazione nel successivo giudizio degli elementi che il privato non ha potuto introdurre nel procedimento per un fatto colposo della P.A. rendono l’istituto un presidio ordinamentale a tutela sia del diritto dell’interessato a rappresentare in sede procedimentale le proprie ragioni; e sia della P.A. a valutare compiutamente tutti gli interessi diretti ed indiretti coinvolti nel procedimento
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.02.2013 n. 1056 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La contraddittorietà tra gli atti del procedimento, figura sintomatica dell’eccesso di potere, si può rinvenire solo allorquando sussista tra più atti successivi un contrasto inconciliabile tale da far sorgere dubbi su quale sia l’effettiva volontà dell’amministrazione, mentre non sussiste quando si tratti di provvedimenti che, pur riguardanti lo stesso oggetto, siano adottati all’esito di procedimenti indipendenti o, comunque, qualora si tratti di due diversi atti che, ancorché inerenti al medesimo oggetto, provengano da uffici diversi e non entrambi competenti a provvedere o siano espressione di poteri differenti o –ancora– allorquando il nuovo provvedimento dell’Amministrazione, diverso da quello pregresso, sia stata adottata alla stregua di presupposti in parte differenti concretatisi “medio tempore”.
La contraddittorietà tra gli atti del procedimento, figura sintomatica dell’eccesso di potere, si può rinvenire solo allorquando sussista tra più atti successivi un contrasto inconciliabile tale da far sorgere dubbi su quale sia l’effettiva volontà dell’amministrazione, mentre non sussiste quando si tratti di provvedimenti che, pur riguardanti lo stesso oggetto, siano adottati all’esito di procedimenti indipendenti (Cons. Stato, Sez. V, 05.09.2011 n. 4982) o, comunque, qualora si tratti di due diversi atti che, ancorché inerenti al medesimo oggetto, provengano da uffici diversi e non entrambi competenti a provvedere o siano espressione di poteri differenti (Cons. Stato, Sez. V, 13.11.1995 n. 1558) o –ancora– allorquando il nuovo provvedimento dell’Amministrazione, diverso da quello pregresso, sia stata adottata alla stregua di presupposti in parte differenti concretatisi “medio tempore” (Cons. Stato, Sez. V, 20.06.1987 n. 403) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.02.2013 n. 1023 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Collegio non vede ostacoli giuridici a che l’Ufficio preposto al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (il nulla-osta) possa prevedere sia che limitate varianti siano oggetto di successiva autorizzazione sia che questa possa essere rilasciata nella semplice forma del visto apposto sugli elaborati grafici che detta modifica propongano; il ricorso a questa seconda forma, infatti, non indica “ex se” una riduzione dell’intensità del controllo sul rispetto del vincolo ma integra semplicemente uno snellimento del procedimento in caso di modifiche che, per la loro assolutamente modesta entità, la discrezionalità amministrativa non ritiene giustifichino una nuova e complessiva valutazione di compatibilità dell’intervento.
Tantomeno lo snellimento procedurale indica una sostanziale soppressione, od un aggiramento, quanto meno nella fase del procedimento che prevede l’invio del nulla osta alla Sovrintendenza; occorre infatti tenere presente che la clausola che permette la modifica successiva al rilascio è contenuta nell’autorizzazione formale che viene inviata alla Sovrintendenza, la quale è posta in grado quindi di valutare entità e legittimità della clausola stessa.
---------------
Il vincolo paesaggistico non persegue la tutela della visuale in godimento ai proprietari limitrofi alla singola costruzione “sub iudice” (profilo questo tutelato da tutte le altre disposizioni urbanistiche e civilistiche), bensì protegge il paesaggio quale interesse pubblico alla tutela della bellezza dei luoghi nel loro insieme quindi rispetto la sua fruibilità visiva da parte della collettività; pertanto il suo scopo precipuo è quello di verificare se l’entità delle opere sia tale da arrecare pregiudizio al bene protetto complessivamente considerato, che non coincide quindi con il bene del singolo proprietario.

Le tesi dell’appellante non possono essere condivise, per le ragioni che seguono.
a)- In primo luogo, sotto l’aspetto formale, il Collegio non vede ostacoli giuridici a che l’Ufficio preposto al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (il nulla-osta) possa prevedere sia che limitate varianti siano oggetto di successiva autorizzazione sia che questa possa essere rilasciata nella semplice forma del visto apposto sugli elaborati grafici che detta modifica propongano; il ricorso a questa seconda forma, infatti, non indica “ex se” una riduzione dell’intensità del controllo sul rispetto del vincolo ma integra semplicemente uno snellimento del procedimento in caso di modifiche che, per la loro assolutamente modesta entità, la discrezionalità amministrativa non ritiene giustifichino una nuova e complessiva valutazione di compatibilità dell’intervento.
Tantomeno lo snellimento procedurale indica una sostanziale soppressione, od un aggiramento, quanto meno nella fase del procedimento che prevede l’invio del nulla osta alla Sovrintendenza (tesi che si sviluppa a punto 20 della memoria); occorre infatti tenere presente che la clausola che permette la modifica successiva al rilascio è contenuta nell’autorizzazione formale che viene inviata alla Sovrintendenza, la quale è posta in grado quindi di valutare entità e legittimità della clausola stessa.
b)– Sotto l’aspetto sostanziale, poi, l’appellante propone un’errata ricostruzione delle finalità del vincolo paesaggistico, poiché, come affermato da copiosa giurisprudenza, esso non persegue la tutela della visuale in godimento ai proprietari limitrofi alla singola costruzione “sub iudice” (profilo questo tutelato da tutte le altre disposizioni urbanistiche e civilistiche), bensì protegge il paesaggio quale interesse pubblico alla tutela della bellezza dei luoghi nel loro insieme (Cons. Stato, VI Sez., n. 106/1998) quindi rispetto la sua fruibilità visiva da parte della collettività; pertanto il suo scopo precipuo è quello di verificare se l’entità delle opere sia tale da arrecare pregiudizio al bene protetto complessivamente considerato, che non coincide quindi con il bene del singolo proprietario.
Ciò premesso, risulta pienamente conforme a queste finalità il procedimento nella specie contestato nel quale l’Amministrazione, nella sua discrezionalità tecnica, ha ritenuto non irrazionale autorizzare, perché non incidenti sul complessivo valore paesaggistico, le altezze edilizie in questione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.02.212 n. 1022 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALIOnorari avvocato in base al valore reale della causa.
Ai fini della liquidazione degli onorari di un avvocato, la determinazione del valore della causa va compiuta avendo riguardo alla somma effettivamente corrisposta e non a quella originariamente richiesta: per i giudici della III Sez. civile della Corte di Cassazione nell'ipotesi in cui la lite si sia conclusa con una transazione, a nulla rileva che il pagamento sia a carico del cliente o dell'avversario «poiché per la sussistenza delle reciproche concessioni ciascuna parte non è né vincitrice né perdente».
È vero –si legge nella sentenza 14.02.2013 n. 3660– che secondo quanto stabilito dalla legge 794/1942 esiste «una netta distinzione tra la posizione della “parte soccombente» e quella “del cliente”» rafforzata dal richiamo contenuto nell'art. 5; ma tale principio troverebbe un ulteriore condizionamento nella posizione processuale che le parti assumono all'esito dell'emanazione di un provvedimento decisorio (es.: una sentenza). Nel caso di specie, invece, vi era stata una transazione per cui non era dato individuare né un vincitore né un soccombente.
Nel rigettare il ricorso presentato dal legale, secondo il quale il parametro di riferimento per la liquidazione delle spettanze professionali andava calcolato sulla base di quanto richiesto al momento della domanda e non di quello, successivo, dell'intervenuta transazione, gli ermellini hanno, dunque, chiarito che «il principio generale secondo cui il valore della causa si determina in base alle norme del codice di procedura civile avendo riguardo all'oggetto della domanda considerato al momento iniziale della lite trova un limite alla sua applicabilità nei casi in cui, al momento dell'instaurazione del giudizio, non sia possibile indicare il quantum –ciò verificandosi, in genere, nelle controversie per risarcimento danni, ove, il più delle volte, la domanda di condanna è formulata con riserva di quantificazione in corso di giudizio–, rendendosi in tale ipotesi, ai fini de quibus, il riferimento al valore definito e, quindi, al quantum stabilito dalle parti in altro modo –eventualmente come nella specie con transazione– sicché in definitiva il valore della causa viene ad essere determinato sulla base del predetto importo» (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Modifica della destinazione d'uso e momento consumativo del reato urbanistico.
Nei casi in cui si proceda al mutamento di destinazione d'uso di un immobile mediante l'esecuzione di opere il cui scopo è quello di renderlo utilizzabile per finalità diverse da quelle originarie, la trasformazione dovrà ritenersi ultimata con il completamento delle opere medesime, quando, cioè, l’uso del manufatto secondo la nuova destinazione sia effettivamente possibile (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.02.2013 n. 6298 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Violazioni antisismiche e responsabilità dell'esecutore dei lavori.
Anche il titolare della ditta chiamata ad eseguire opere edilizie in zone sismiche, in quanto destinatario diretto del divieto di esecuzione dei lavori in assenza dell'autorizzazione e in violazione delle prescrizioni tecniche, può commettere il reato di cui all'art. 93 d.P.R. 380/2001 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.02.2013 n. 6282 - tratto da www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAAcque. Differenza tra acque reflue domestiche ed industriali.
La definizione di acque reflue domestiche, contenuta nell'art. 74, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 152 del 2006, quali acque provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche, è tale da non ricomprendere (ai sensi del successivo art. 101, comma 7, lettera e) le acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche.
In particolare, la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra la tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale: nel caso in cui lo scarico abusivo abbia ad oggetto acque reflue domestiche, potrà configurarsi l'illecito amministrativo, ex d.lgs. n. 156 del 2006, art. 133, comma 2; mentre si avrà il reato di cui all'art. 137, comma 1, del richiamato decreto, qualora lo scarico riguardi acque reflue industriali, definite dall'art. 74, lettera h), come qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti.
Pertanto nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone; con la conseguenza che sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche, come nel caso delle acque reflue provenienti da laboratori diretti alla produzione di alimenti (Corte di  Cassazione, Sez. III penale, sentenza 31.01.2013 n. 4844 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Determinazione dell'appartenenza di una strada al demanio comunale.
Al fine di determinare l'appartenenza di una strada al demanio comunale, costituiscono indici di riferimento, oltre che l’uso pubblico, cioè l’uso da parte di un numero indeterminato di persone (il quale, isolatamente considerato, potrebbe essere indicativo soltanto di una servitù di passaggio), le risultanze delle mappe catastali, la ubicazione della strada all'interno dei luoghi abitati (tenuto conto che, in base all'art. 16, lett. b, della legge 20.03.1985, n. 2248, allegato F, si presumono comunali le strade site all'interno dei centri abitati), l’attività di manutenzione effettuata dall’ente, i comportamenti tenuti dalla pubblica amministrazione che presuppongano la natura pubblica della strada e l'assoggettamento dei cittadini alle prassi determinate da tali comportamenti.
Alla inclusione o, rispettivamente, alla mancata inclusione della strada nell’elenco delle strade comunali (già previsto dall’art. 8 della legge n. 126 del 1958) deve riconoscersi mero valore dichiarativo e ricognitivo, ma non costitutivo della proprietà del suolo da parte dell'ente locale. Si tratta, perciò, di circostanze che non possono ritenersi decisive per affermare o escludere la natura pubblica e, nonostante il difetto dell'iscrizione, l'appartenenza di una strada al demanio comunale ben può essere desunta da altri elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 cod. civ. (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.01.2013 n. 4145 - tratto da www.lexambiente.it).

URBANISTICALottizzazione abusiva e realizzazione di case mobili.
Configura un'ipotesi di lottizzazione abusiva la realizzazione, in un campeggio, di manufatti attrezzati con servizi igienici, muniti di ruote e di un sistema di aggancio per il traino ma privi di targhe e di luci di posizione che ne impediscono la circolazione su strada ed a tale circolazione non siano omologati e che risultano collegati ai servizi già esistenti nel campeggio (rete idrica, fognaria ed elettrica) attraverso la nuova plurima realizzazione di tubature in PVC e pozzetti interrati, nonché stabilizzati mediante posizionamento su basamenti di cemento, in modo da lasciare sollevate le ruote, con addossate verande di legno oppure pavimentazioni di mattonelle autobloccanti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.01.2013 n. 4129 - tratto da www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: La rilevazione di presenze non tocchi il legale.
È illegittima la delibera con la quale un Comune ha disposto la rilevazione automatica delle presenze anche per i dipendenti avvocati.

Lo ha confermato il TAR Campania-Napoli, Sez. V, con la sentenza 24.01.2013 n. 547.
La controversia verte sul ricorso di un dipendente a tempo indeterminato presso il comune di Nola, con il profilo di «Avvocato», con il quale era stato chiesto l'annullamento della delibera che gli aveva imposto l'obbligo dell'utilizzo del cd. «badge» per la rilevazione delle sue presenze in ufficio.
Il ricorrente ritiene che, considerato il suo specifico profilo professionale, non era tenuto alla rilevazione automatica e, in ogni caso, in conformità al sistema in uso alle Avvocature pubbliche, annotava le proprie presenze in un apposito registro.
Il Tar accoglie il ricorso.
Secondo il Collegio, infatti, un tale strumento di rilevamento delle presenze finirebbe per limitare i profili di autonomia professionale e di indipendenza che vanno invece riconosciuti alla figura professionale dell'avvocato.
Inoltre, l'avvocato di un ente pubblico, per intuibili ragioni connesse alle esigenze di patrocinio, è spesso costretto ad assentarsi dal posto di lavoro per raggiungere le sedi giudiziarie dove pendono le controversie in cui è parte l'ufficio da lui rappresentato ed è evidente quanto tale necessaria mobilità sia in contrasto con gli obblighi, ma anche con le formalità ed i tempi legati ad un obbligatorio utilizzo del badge.
Il Tribunale riconosce quindi un'incompatibilità logica e strutturale fra le mansioni implicate dal profilo professionale affidatogli e il sistema automatico di rilevazione fondato sul c.d. «badge».
A confortare questa tesi dei giudici campani, interviene una precedente pronuncia (Tar Napoli Campania sez. II 04.12.1996 n. 560), secondo cui: «Il provvedimento col quale l'Inps dispone che anche i dipendenti appartenenti al ruolo legale soggiacciano alle medesime procedure di rilevazione automatica delle presenze vigenti per il restante personale, è da considerarsi illegittimo perché il lavoro esterno che in talune occasioni può essere richiesto al detto personale, non può giustificare metodi di accertamento del rispetto dell'orario di servizio differenti» (articolo ItaliaOggi del 28.02.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Discarica abusiva ed elemento soggettivo del reato.
Ai fini della configurabilità dei reato di gestione abusiva di una discarica è sufficiente la colpa, consistente in una negligente condotta omissiva, ovvero il non aver verificato le condizioni del luogo di deposito dei rifiuti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.01.2013 n. 3430 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAEsclusione della natura pertinenziale di un porticato.
Non possono essere considerate opere pertinenziali quelle che concorrono a integrare l’edificio principale e risultano per questo prive di autonomia, con la conseguenza che la realizzazione di un porticato, al pari della realizzazione di una tettoia che completi un lastrico, divengono elementi complementari che accrescono la superficie utile dell'edificio e la sua fruibilità (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.01.2013 n. 2752 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATANuove costruzioni. L'orientamento dei tribunali amministrativi supera quello del Consiglio di Stato che aveva bocciato qualsiasi tipo di edificazione
Il Tar apre alla sanatoria dei volumi tecnici. I giudici di Puglia e Umbria dicono sì alla regolarizzazione a titolo di abuso minore in zona paesaggistica.
La realizzazione di volumi tecnici può ottenere l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria.

È quanto affermato dalla III Sez. del TAR Puglia-Bari, con la sentenza 11.01.2013 n. 35.
Davanti ai giudici pugliesi era stato impugnato un diniego di permesso di costruire in sanatoria di un locale realizzato sulla copertura dell'edificio e destinato a ospitare impianti tecnologici. Poiché il fabbricato ricadeva in area assoggettata a vincolo paesistico, il Comune –pur ritenendo sanabile l'abuso sotto il profilo edilizio– si era però dovuto adeguare al parere obbligatorio della Soprintendenza, che si era espressa in termini negativi, così precludendo l'assenso all'accertamento di conformità.
Il ricorrente ha quindi denunciato la violazione dell'articolo 167 del Dlgs 42/2004, nella sua attuale formulazione, in base al quale tra gli interventi per cui è ammessa la sanatoria paesaggistica vi sono «i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati». Il diniego della Soprintendenza, e quello conseguente del Comune, dovevano ritenersi illegittimi perché il locale in questione, in quanto destinato a ospitare impianti tecnologici, aveva natura di vano tecnico e non determinava aumento di cubatura, né di superficie utile. Inoltre il vano non comportava neanche un incremento del carico urbanistico, per le sue ridotte dimensioni e il rapporto di pertinenzialità con il sottostante bene principale.
Il Tar Puglia ha accolto l'impugnativa, evidenziando come la questione fosse quella di stabilire se la realizzazione di un vano tecnico possa o meno rientrare tra i cosiddetti abusi minori per i quali è ammissibile la sanatoria ai sensi del combinato disposto dell'articolo 146, comma 4, con gli articoli 167, comma 4, e 181, comma 1-ter, del Dlgs 42/2004, che disciplinano, rispettivamente, le sanzioni amministrative e quelle penali. Ciò in quanto l'autorizzazione paesaggistica ex post costituisce atto presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli, compresi quelli in sanatoria.
Se si interpreta la norma in modo "teleologico", cioè prestando attenzione alla sua finalità complessiva,spiega la sentenza, si capisce come la «creazione di superfici utili o volumi», nonostante la congiunzione "o", esprima «un concetto unitario con due termini coordinati». La pronuncia ritiene pertanto che il divieto di autorizzazione paesistica in sanatoria riguardi i soli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi, ma che, al contrario, «siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici».
La decisione conferma un orientamento già recentemente espresso dalla stessa sezione (30.10.2012, n. 1859) in piena sintonia con quello elaborato dal Tar Campania, sezione di Napoli, sin dalla sentenza del 03.04.2009, n. 1748, riferita alla costruzione di un torrino ascensore posto sul lastrico solare di un edificio, e poi ribadito con le pronunce 15.12.2010, n. 27380 e 01.09.2011, n. 4263.
Nello stesso senso si è espresso anche il Tar Umbria, con la sentenza 46 del 29 gennaio scorso, rilevando che «per costante orientamento giurisprudenziale il divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria non opera per i volumi tecnici e, quindi, con riferimento a interventi destinati a operare il solo adeguamento funzionale dell'edificio e, ciò, senza che vengano realizzati manufatti suscettibili di essere abitabili o di un'autonoma destinazione, non funzionale al complesso nell'ambito del quale incidono».
Per il consolidamento di questo filone interpretativo bisogna tuttavia attendere eventuali pronunce d'appello. Esiste infatti anche una difforme decisione del Consiglio di Stato (Sezione IV, 28.03.2011, n. 1879). Quest'ultimo, pure riferendosi ad un diverso e più significativo intervento edificatorio, ha affermato che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio precluderebbe qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che «sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, costituendo opera valutabile anche come aumento di volume la realizzazione di un garage interrato con accesso all'esterno tramite rampa in zona sottoposta a vincolo paesaggistico».
---------------
Le pronunce
01 | IL LOCALE DI SERVIZIO
In tema di distanze legali tra fabbricati, integra la nozione di "volume tecnico", non computabile nella volumetria della costruzione, solo l'opera edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi -quali quelli connessi alla condotta idrica, termica o all'ascensore- di una costruzione principale per esigenze tecnico funzionali dell'abitazione e che non possono essere ubicati nella stessa, e non anche quella che costituisce -come il vano scale- parte integrante del fabbricato - Cassazione civile, sezione II, n. 2566/2011
02 | GLI IMPIANTI TECNICI
Al fine dell'osservanza dei limiti massimi di volumetria dei fabbricati i "volumi tecnici" che vanno esclusi dal relativo computo, sono soltanto quelli indispensabili a contenere gli impianti tecnici dell'edificio e non anche quelli che assolvano ad una funzione diversa, sia pur necessaria al godimento dell'edificio stesso e delle sue singole porzioni di proprietà individuale - Cassazione civile, sezione II, n. 2566/2011
03 | LE MANSARDE
Sono volumi tecnici soltanto quelli la cui funzione è necessaria e strumentale per la utilizzazione dell'immobile e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto non sono tali, e sono computabili quindi ai fini della volumetria consentita le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli di sgombero; e non è volume tecnico neppure un piano di copertura, definito impropriamente sottotetto, se costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda - Consiglio di Stato, sezione IV, n. 678/2011
04 | IL VANO SCALE
La nozione di volume tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria massima consentita, può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa, cioè gli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non possono essere ubicati all'interno di questa (come, ad esempio, la condotta idrica e termica, l'ascensore e così via): resta dunque estraneo a tale nozione il volume del vano scale - Consiglio di Stato, sezione IV, n. 2565/2010
05 | IL PICCOLO ARMADIO
L'armadio di contenimento di limitata consistenza strutturale (pianta di base di mq cinque e altezza di mt. 1,75) destinato ad ospitare impianti tecnologici al servizio dell'antenna di telecomunicazione va ricondotto nella nozione di volume tecnico, che, per la mancanza di utilizzazione abitative o similari, è ritenuto in giurisprudenza inidoneo ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale e, quindi, ininfluente ai fini del calcolo degli indici di fabbricabilità - Consiglio di Stato, sezione VI, n. 3227/2006
06 | LE SERRE E LE LOGGE
Costituiscono volumi tecnici -non rientranti nel conteggio dell'indice edificatorio in quanto non sono generatori del cosiddetto carico urbanistico- solo quelli adibiti alla sistemazione di impianti (ad esempio riscaldamento, ascensore o, come previsto dall'articolo 4 della legge Regione Lombardia n. 39/2004, le serre bioclimatiche e le logge addossate od integrate nell'edificio, opportunamente chiuse e trasformate per essere utilizzate come serre per lo sfruttamento dell'energia solare passiva) aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione e che non possono essere ubicati all'interno della parte abitativa. Pertanto non può esistere volume tecnico laddove, come nel caso in esame, si tratti di vani che presentano tutte le caratteristiche per essere adibiti ad abitazione - Tar Lombardia-Brescia, sezione I, 11.02.2010, n. 712
07 | PAESAGGIO E VINCOLI
Il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, costituendo opera valutabile anche come aumento di volume la realizzazione di un garage interrato con accesso all'esterno tramite rampa in zona sottoposta a vincolo paesaggistico - Consiglio di Stato, sezione IV, n. 1879/2011
08 | LA SANATORIA
L'istituto dell'accertamento di conformità, disciplinato dagli articoli 36 e 45 Tu 06.06.2001 n. 380, può eccezionalmente trovare applicazione anche in caso di opere eseguite su aree soggette a vincolo paesaggistico, ma in tal caso il rilascio del permesso di costruire in sanatoria rimane comunque subordinato al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica ex articolo 146 Dlgs 22.01.2004 n. 42 che deve normalmente intervenire prima dell'inizio dei lavori: conseguentemente l'articolo 146, 12º comma, ha limitato la possibilità dell'acquisizione dell'autorizzazione "in sanatoria" alle sole ipotesi di cui al 4º e 5º comma dell'articolo 167, escludendo che ciò possa avvenire nel caso in cui siano stati illegittimamente realizzati nuovi volumi - Tar Lombardia, sezione IV, n. 1762/2009 (articolo Il Sole 24 Ore del 25.02.2013).

EDILIZIA PRIVATA: La questione centrale posta dall’odierno ricorso è stabilire se la realizzazione di un vano tecnico possa rientrare tra i cosiddetti “abusi minori” per i quali è ammissibile la relativa sanatoria ai sensi del combinato disposto degli artt. 146, comma 4 e 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004, e dell’art. 181, comma 1-ter, avente lo stesso contenuto del citato art. 167, comma 4, articoli questi ultimi disciplinanti, rispettivamente, le sanzioni amministrative e le sanzioni penali.
In punto di diritto l’art. 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004 esclude dal divieto di rilasciare ex post l’autorizzazione paesaggistica -che, sempre ai sensi dell’art. 146, comma 4, costituisce atto presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio, ivi compresi quelli in sanatoria- i casi previsti dall’articolo 167, comma 4, del medesimo decreto legislativo n. 42 del 2004 e costituiti oltre che dall’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e dai lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria proprio dai “lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Al riguardo il Collegio ritiene che l’interpretazione teleologica induce inevitabilmente a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati (cfr. in senso conforme TAR Campania Napoli, Sezione VII, 01.09.2011).
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l'autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall'articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004) in coerenza con la ratio dell'introduzione di tale divieto, induce il Collegio a ritenere, confermando l’orientamento di questa Sezione dal quale non si ha motivo di discostarsi che esulino dalla eccezione prevista dall'articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono, trattandosi di opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale che non risultano particolarmente pregiudizievole per il territorio, sono inidonei ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale.

Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
Coglie nel segno l’unico motivo di ricorso con il quale il sig. P. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, come sostituito dall’art. 1, comma 36, della legge n. 308 del 2004; parte ricorrente sostiene che, ai sensi della suddetta disposizione normativa, tra gli interventi per i quali sarebbe ammessa la sanatoria paesaggistica vi sarebbero “i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”; inoltre, considerato che la realizzazione della copertura a tetto sarebbe espressamente prevista e disciplinata dall’art. 79 del regolamento comunale, che il locale per cui è causa sarebbe destinato a vano tecnico, come ritenuto dallo stesso Comune, attese le ridotte dimensioni ed il rapporto di pertinenzialità con il bene sottostante principale, sarebbe da escludere l’incremento di carico urbanistico; il vano creato, essendo destinato ad ospitare gli impianti tecnologici, sarebbe infatti un vano tecnico e la sua realizzazione non inciderebbe dunque né sulla cubatura, né sulla superficie utile.
Il motivo è fondato.
Premesso che nella fattispecie oggetto di gravame è pacifico in atti che l’intervento abusivo consiste in un “vano tecnologico”, in quanto espressamente riconosciuto come tale anche dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Bari e Foggia nella relazione illustrativa prot. n. 5212 del 10.07.2008, depositata in giudizio dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato in data 16.07.2008, la questione centrale posta dall’odierno ricorso è stabilire se la realizzazione di un vano tecnico possa rientrare tra i cosiddetti “abusi minori” per i quali è ammissibile la relativa sanatoria ai sensi del combinato disposto degli artt. 146, comma 4 e 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004, e dell’art. 181, comma 1-ter, avente lo stesso contenuto del citato art. 167, comma 4, articoli questi ultimi disciplinanti, rispettivamente, le sanzioni amministrative e le sanzioni penali.
In punto di diritto l’art. 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004 esclude dal divieto di rilasciare ex post l’autorizzazione paesaggistica -che, sempre ai sensi dell’art. 146, comma 4, costituisce atto presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio, ivi compresi quelli in sanatoria- i casi previsti dall’articolo 167, comma 4, del medesimo decreto legislativo n. 42 del 2004 e costituiti oltre che dall’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e dai lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria proprio dai “lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Al riguardo il Collegio ritiene che l’interpretazione teleologica induce inevitabilmente a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati (cfr. in senso conforme TAR Campania Napoli, Sezione VII, 01.09.2011).
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l'autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall'articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004) in coerenza con la ratio dell'introduzione di tale divieto, induce il Collegio a ritenere, confermando l’orientamento di questa Sezione dal quale non si ha motivo di discostarsi (cfr. TAR Bari, Sezione III, 30.10.2012, n. 1859) che esulino dalla eccezione prevista dall'articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono, trattandosi di opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale che non risultano particolarmente pregiudizievole per il territorio, sono inidonei ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VII, 15.12.2010, n. 27380).
Alla luce di quanto sopra esposto, passando ad analizzare la fattispecie oggetto di gravame, il Collegio, considerato che l’intervento abusivo consiste in un “vano tecnologico”, ritiene che esso sia astrattamente sanabile ai sensi dell’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004; che conseguentemente la Soprintendenza avrebbe dovuto esprimere il giudizio di sua competenza valutando l’effettiva incidenza dell’opera assentita dall’organo comunale sui valori paesaggistici.
Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere accolto e, conseguentemente, devono essere annullati i provvedimenti impugnati (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 11.01.2013 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATAAnche l'ascensore rientra tra gli impianti «liberi». Palazzo Spada. Niente permesso di costruire né distanze legali.
Sulla natura giuridica degli ascensori, sulla possibilità di considerarli nuova costruzione e sui titoli abilitativi necessari si è espressa la quarta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 05.12.2012 n. 6253.
La vicenda concerne l'installazione di un ascensore all'esterno di un immobile per agevolare l'accesso e la mobilità di familiari disabili. In primo grado era stato impugnato il diniego di permesso di costruire, opposto agli interessati dal Comune, secondo cui l'intervento doveva ritenersi precluso in forza delle previsioni dell'articolo 79, comma 2, del Dpr 380/2001. Tale norma, infatti, pur consentendo opere per eliminare le barriere architettoniche in deroga alle norme sulle distanze contenute nei regolamenti edilizi, fa comunque «salvo l'obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell'ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune».
Il Tar aveva respinto il ricorso sulla base di tre considerazioni. Innanzitutto che la tutela della salute e della vita di relazione dei portatori di handicap non è incondizionata, ma può subire limitazioni per la tutela di valori di pari rilevanza, quale la proprietà privata; in secondo luogo che l'articolo 79, pur considerando prevalenti le ragioni del portatore di handicap su altri interessi contrastanti dei soggetti residenti nel medesimo edificio, non riconosce analoga prevalenza rispetto al diritto alla salute tutelato attraverso l'articolo 873 del codice civile la cui ratio è quella di evitare la creazione di intercapedini dannose o pericolose. Infine, l'ascensore si sarebbe trovato ad una distanza inferiore a quella minima di tre metri rispetto al fabbricato confinante.
Il Consiglio di Stato ha però riformato la sentenza di primo grado, facendo proprio lo specifico orientamento della Cassazione (sezione II, n. 2566/2011), secondo cui «l'impianto di ascensore...rientra fra i volumi tecnici o impianti tecnologici strumentali alle esigenze tecnico-funzionali dell'immobile». Ne consegue «l'inapplicabilità all'ascensore delle disposizioni in tema di distanze legali».
Inoltre, con riferimento al caso concreto, la sentenza osserva come nell'applicare la deroga al rispetto delle distanze, l'articolo 79 vada letto in correlazione alla complessiva disciplina sull'eliminazione delle barriere architettoniche per i soggetti portatori di handicap e in particolare al Dm 236/1989. L'articolo 2 del decreto, infatti, qualifica come spazio esterno «l'insieme degli spazi aperti, anche se coperti, di pertinenza dell'edificio o di più edifici» e come parti comuni dell'edificio «quelle unità ambientali che servono o che connettono funzionalmente più unità immobiliari». Da qui risulta chiaro come il legislatore, nel far riferimento a spazi o aree «di proprietà o di uso comune», abbia inteso richiamare non solo l'esistenza di una comproprietà o di una servitù di uso comune, ma anche l'esistenza di uno spazio comunque denominato impiegato dai residenti di entrambi gli immobili confinanti.
Nel caso in esame il cortile fra i due immobili nel quale doveva insistere l'ascensore, pur non essendo in comproprietà fra i due condomini, risultava utilizzato dai residenti di entrambi gli immobili, dal che deriva l'illegittimità dell'atto impugnato e l'erroneità della decisione del Tar (articolo Il Sole 24 Ore del 25.02.2013).

inizio home-page