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AGGIORNAMENTO AL 25.03.2013 |
ã |
IN EVIDENZA |
ANNO 2013: BLOCCO DEI LAVORI PUBBLICI E DEGLI
ESPROPRI PER PUBBLICA UTILITA' !! |
Il
divieto di acquistare immobili, sancito per il 2013,
si estende ad ogni tipo di immobile (e non solo ai
fabbricati): cioè, si estende anche ai terreni e
alle aree agricole.
Non solo: tali condizioni devono riferirsi
applicabili anche all’acquisizione di immobili per
la realizzazione di opere assistite da dichiarazione
di pubblica utilità (esproprio). |
LAVORI PUBBLICI:
Enti locali –
Acquisto di immobili – Limiti introdotti dalla legge
di stabilità 2013 – Ambito di applicabilità. |
L'art. 12, commi 1-ter e 1-quater, della Legge
15.07.2011 n. 111 (conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 06.07.2011 n. 98),
così recita: "1-ter.
A decorrere dal
01.01.2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa
ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di
stabilità interno, gli enti territoriali
e gli enti del Servizio sanitario nazionale
effettuano
operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano
comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità
attestate dal responsabile del procedimento.
La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del
demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette
operazioni è data preventiva notizia, con
l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo
pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente."
(comma introdotto dall'art. 1, comma 138, legge n.
228 del 2012)
"1-quater.
Per l’anno 2013
le amministrazioni pubbliche inserite nel conto
economico consolidato della pubblica amministrazione,
come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo
1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e
successive modificazioni, nonché le autorità
indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale
per le società e la borsa (CONSOB),
non possono acquistare
immobili a titolo oneroso
né stipulare contratti di locazione passiva salvo
che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la
locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni
più vantaggiose, la disponibilità di locali in
sostituzione di immobili dismessi ovvero per
continuare ad avere la disponibilità di immobili
venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali
pubblici e privati, per i quali restano ferme le
disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell’articolo 8
del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122. Sono
fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di
immobili già autorizzate con il decreto previsto dal
comma 1, in data antecedente a quella di entrata in
vigore del presente decreto".
(comma introdotto dall'art. 1, comma 138, legge n.
228 del 2012)
Dalla ratio della disposizione, consistente
nella necessità di consentire una riduzione della
complessiva spesa pubblica, consegue la necessità di
una sua ampia applicazione compatibilmente,
peraltro, con il tessuto ordinamentale in cui va ad
inserirsi.
Alla luce di quanto precede, la Sezione ritiene di
fornire le seguenti coordinate interpretative:
1) il divieto di acquistare immobili sancito
per il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto
delle condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal
2014, si estende ad ogni tipo di immobile e non solo
ai fabbricati;
2) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche alle ipotesi di acquisto di
diritti reali su cosa altrui;
3) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche all’acquisizione di immobili per
la realizzazione di opere assistite da dichiarazione
di pubblica utilità;
4) le condizioni di cui sopra non devono ritenersi
applicabili all’acquisizione di immobili per la
realizzazione di opere assistite da dichiarazione di
pubblica utilità avviate prima del 01.01.2013 ma non
ancora concluse;
5) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche alle ipotesi di contratti
preliminari di compravendita stipulati prima del
01.01.2013;
6) il divieto di acquisto sancito per il 2013 si
applica anche ai diritti di prelazione, compresi
quelli aventi fonte legale;
7) gli enti locali, a partire dall’esercizio 2014,
potranno partecipare ad aste pubbliche per
l’acquisto di immobili ma le offerte presentate non
potranno superare il valore indicato
nell’attestazione di congruità del prezzo rilasciata
dall’Agenzia del Demanio. |
---------------
... il Comune di Magliolo chiede di sapere:
1)
se il divieto di acquisto immobili sancito per il
2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle
condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014,
valga per ogni categoria di immobili come definiti
dall’art. 812 del codice civile, ovvero possa
intendersi limitato ai “fabbricati” (come
sembra evincersi dal riferimento ai “locali”
contenuto nel comma 1-quater);
2)
se il divieto di acquisto di immobili sancito per
il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle
condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014
valga solo per l’acquisto in proprietà, o anche per
l’acquisto di altri diritti reali;
3)
se il divieto di acquisto di immobili sancito per
il 2013, e l’acquisto condizionato al rispetto delle
condizioni di cui al comma 1-ter sancito dal 2014
valga anche per l’acquisizione (in particolare
terreni) per la realizzazione di opere assistite da
dichiarazione di pubblica utilità mediante decreto
di esproprio, cessione volontaria (ex art. 45 del
DPR 327/2001) o compravendita iure privatorum;
4)
quale sia la sorte delle acquisizioni assistite
da dichiarazioni di pubblica utilità (decreto di
esproprio, cessione volontaria -ex art. 45 del DPR
327/2001- o compravendita iure privatorum)
avviate prima del 01/01/2013 ma non ancora concluse;
5)
quale sia la sorte dei contratti preliminari di
compravendita stipulati prima del 01/01/2013 per i
quali non sia stato ancora stipulato il contratto
definitivo;
6)
come sia possibile conciliare il divieto di
acquisto sancito per il 2013, con l’esercizio di
diritti di prelazione (anche legale) da esercitarsi
entro termini perentori;
7)
come sia possibile conciliare l’acquisto di
immobili mediante partecipazione ad aste pubbliche
(ad es. nel caso di procedure fallimentari) con
l’obbligo di acquisire l’attestazione della
congruità del prezzo all’Agenzia del Demanio.
La soluzione dei vari quesiti deve ruotare intorno
al necessario rispetto della ratio dell’art.
1138 L. n. 228/2012, peraltro chiaramente espressa
al suo interno e consistente nella necessità di
consentire una riduzione della complessiva spesa
pubblica (<<al fine di pervenire a risparmi di
spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto
di stabilità interno>>). Ne consegue, per
rimanere fedeli alla voluntas legis, la
necessità di una sua ampia applicazione compatibile,
peraltro, con il tessuto ordinamentale in cui le
disposizioni de quibus vanno ad inserirsi.
Poiché il concetto di <<immobile>>,
come descritto dall’art. 812 c.c., ricomprende <<il
suolo, gli alberi, gli edifici e le altre
costruzioni anche se unite al suolo a scopo
transitorio>> appare evidente come l’ambito di
applicazione dell’articolo sopra menzionato non
possa essere limitata ai fabbricati in senso
stretto, ovvero al trasferimento del diritto di
proprietà, ma debba essere esteso anche ai terreni e
alle aree agricole.
La risposta al secondo quesito, relativo
all’estensione dei divieti o limitazioni
all’acquisto di diritti reali su cosa altrui è
direttamente fornita dall’art. 813 c.c. il quale
chiaramente stabilisce, come principio generale che
<<salvo che dalla legge risulti diversamente, le
disposizioni concernenti i beni immobili si
applicano anche ai diritti reali che hanno per
oggetto beni immobili e alle azioni relative>>.
Non avendo previsto l’art. 1 L.
cit. alcuna deroga, appare evidente l’applicazione
del medesimo anche a tale ultima ipotesi, in linea
del resto con l’esigenza di limitare al massimo
l’acquisto di diritti immobiliari.
Con riferimento all’acquisizione di immobili
accompagnati dalla dichiarazione di pubblica
utilità, di cui al terzo e quarto quesito,
occorre distinguere in base al principio tempus
regit actum l’ipotesi di una procedura
espropriativa –o alternativa all’esproprio– che si
perfezioni o meno nel 2013.
Preliminarmente, si deve ritenere
necessaria l’estensione dei divieti anche alle
procedure espropriative, che nel disegno del T.U.
08.06.2001 n. 327 dovrebbero divenire peraltro
residuali rispetto agli accordi di diritto pubblico,
in quanto nel caso contrario si consentirebbe, con
riferimento ai terreni, un’agevole possibilità di
eludere tali divieti stimolando la scelta di moduli
(e cioè gli espropri) che nel corso di questi anni
si sono sovente dimostrati inefficienti ed
inefficaci oltreché del tutto diseconomici.
L’art. 121-quater pone un divieto assoluto di
acquistare, a qualunque titolo, diritti immobiliari
nell’esercizio 2013, con la sola esclusione dei
contratti di locazione passiva nei limiti descritti
dal medesimo. Occorre però evitare che
l’applicazione pedissequa di tale divieto conduca al
risultato opposto rispetto a quello voluto dal
Legislatore. Infatti, mentre non
sembra porsi alcun problema in presenza della sola
dichiarazione di pubblica utilità, diversa è la
situazione, tutt’altro che infrequente, che la
medesima sia stata accompagnata dall’emissione,
antecedente al 01.01.2013, di un decreto di
occupazione d’urgenza dell’area preordinata
all’espropriazione con la contemporanea
corresponsione della relativa indennità.
In questo caso il procedimento è
giunto ad un livello tale (tempus regit actum)
da ritenere possibile e più soddisfacente alla
ratio finanziaria voluta dal Legislatore
condurlo a termine, anche con un possibile accordo
di cessione volontaria intervenuto nel frattempo,
piuttosto di lasciare ferma la situazione con una
complessiva perdita maggiore di denaro pubblico,
costituita dall’artificioso prolungamento del
periodo di occupazione rispetto all’immissione
definitiva nella proprietà da parte dell’ente.
Con riferimento agli esercizi
successivi al 2013, l’art. 121-ter L. cit.
–che prevede la possibilità di acquistare immobili
in caso di comprovata indispensabilità ed
indilazionabilità- ben giustifica
la conclusione dei procedimenti espropriativi in
corso sul presupposto che la loro instaurazione sia
stata giustificata proprio dalla necessità di
soddisfare interessi pubblici assolutamente primari.
In questo caso deve ritenersi che il parere di
congruità dell’Agenzia del Demanio debba richiedersi
per le sole cessioni volontarie in quanto il
riferimento testuale al <<prezzo>> mal si
attaglia ad una applicazione estensiva di tale
adempimento burocratico alla corresponsione della
sola indennità di esproprio.
Per quanto riguarda la concreta esecuzione dei
negozi preparatori di cui al quinto e sesto
quesito, si deve ritenere che
l’art. 121-quater introduca una fattispecie di
impossibilità giuridica sopravvenuta per factum
principis preclusiva all’esercizio dei diritti
di prelazione ed alla conclusione dei contratti
definitivi per l’anno 2013, laddove negli esercizi
successivi anche questa tipologia di acquisti
immobiliari dovrà soggiacere al requisito
dell’indispensabilità ed indilazionabilità.
Infine, sulla conciliabilità dell’<<acquisto di
immobili mediante partecipazione ad aste pubbliche
(ad es. nel caso di procedure fallimentari) con
l’obbligo di acquisire l’attestazione della
congruità del prezzo all’Agenzia del Demanio>>,
si può ritenere, in via
interpretativa che il Comune possa partecipare alle
aste nei limiti della congruità del prezzo fissata
dall’Agenzia del Demanio, essendogli precluso
rilanciare offerte che superino tale soglia.
Pertanto, in conclusione, la Sezione ritiene che:
1) il divieto di acquistare
immobili sancito per il 2013, e l’acquisto
condizionato al rispetto delle condizioni di cui al
comma 1-ter sancito dal 2014 si estende ad ogni tipo
di immobile e non solo ai fabbricati;
2) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche alle ipotesi di acquisto di
diritti reali su cosa altrui;
3) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche all’acquisizione di immobili per
la realizzazione di opere assistite da dichiarazione
di pubblica utilità;
4) le condizioni di cui sopra non devono ritenersi
applicabili all’acquisizione di immobili per la
realizzazione di opere assistite da dichiarazione di
pubblica utilità avviate prima del 01.01.2013 ma non
ancora concluse;
5) le condizioni di cui sopra devono riferirsi
applicabili anche alle ipotesi di contratti
preliminari di compravendita stipulati prima del
01.01.2013;
6) il divieto di acquisto sancito per il 2013 si
applica anche ai diritti di prelazione, compresi
quelli aventi fonte legale;
7) gli enti locali, a partire dall’esercizio 2014,
potranno partecipare ad aste pubbliche per
l’acquisto di immobili ma le offerte presentate non
potranno superare il valore indicato
nell’attestazione di congruità del prezzo rilasciata
dall’Agenzia del Demanio
(Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria,
parere 31.01.2013 n. 9). |
Quindi, siamo alle solite: si può condividere -o
meno- quanto affermato dalla Corte dei Conti ... ma
quando c'è di mezzo il denaro pubblico, col rischio
di rifondere di tasca propria spese illegittime, è
meglio "convenire" ...
E allora i responsabili degli Uffici Tecnici e,
soprattutto, i ragionieri capo (che devono mettere
la firma circa l'impegno di spesa) se hanno poca
memoria vedano di "fare il nodo sul fazzoletto"
...
25.03.2013 - LA SEGRETERIA PTPL |
SINDACATI |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Patto di stabilità e gestione associata delle
funzioni fondamentali
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 20.03.2013). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Il conto annuale ed il censimento del personale
del pubblico impiego - anno 2011
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 16.03.2013). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO
IMPIEGO: Assegno anche senza minimo Inpdap. Funzione
pubblica. È sufficiente che il dipendente abbia maturato il
diritto in un'altra gestione.
SENZA ECCEZIONI/
Al raggiungimento dei 65 anni deve scattare la collocazione
a riposo d'ufficio senza attendere i 70.
Le pubbliche amministrazioni devono risolvere il rapporto di
lavoro al raggiungimento dei 65 anni del proprio personale,
anche se il dipendente iscritto ex Inpdap non ha maturato un
diritto a pensione ma può vantarlo presso un altro ente
previdenziale.
Lo precisa la Presidenza del consiglio dei ministri –
dipartimento della Funzione Pubblica con la
nota
n. 13264/2013
di martedì scorso, in riscontro a un quesito posto da un
Comune. Nel caso in esame, una dipendente pubblica con oltre
20 anni di contributi all'Inps aveva chiesto la
ricongiunzione dei periodi assicurativi all'ex Inpdap ma
all'atto della notifica del provvedimento aveva rinunciato
alla ricongiunzione. Al compimento del 65esimo anno di età,
l'interessata può contare su un'anzianità di servizio presso
l'ente locale pari a poco più di 15 anni. L'anzianità
contributiva si colloca parzialmente entro il 31.12.1995 e quindi il sistema pensionistico è misto.
A seguito della riforma Monti-Fornero e dell'innalzamento
dei requisiti contributivi, così come precisato dall'Inps
con la circolare 16 del 1° febbraio scorso, la dipendente
non può vantare un diritto a pensione presso l'ex Inpdap,
motivo per cui l'amministrazione comunale ha chiesto al
Dipartimento se potesse concedere il trattenimento in
servizio fino al massimo di 70 anni anche in considerazione
del fatto che in questo lasso di tempo l'interessata
maturerebbe il diritto a pensione raggiungendo i 20 anni
contributivi richiesti.
Infatti le sentenze della Corte costituzionale numero 90 del
21.02.1992 e la 282/1991 hanno sancito la possibilità
di trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici ultrasessantacinquenni privi dell'anzianità minima per il
diritto a pensione.
La Funzione pubblica sottolinea che la dipendente entro il
2011 ha maturato un diritto autonomo a pensione presso la
gestione Inps avendo già perfezionato i requisiti
pensionistici per la liquidazione del trattamento di
vecchiaia (60 anni con 20 anni di contributi maturati nel
2008) e non è soggetta al regime previdenziale previgente le
novità introdotte dal decreto Salva Italia. In generale,
prosegue la nota, l'orientamento è che l'amministrazione
debba risolvere il rapporto di lavoro al compimento del
limite ordinamentale (salvo il trattenimento in servizio in
presenza di tutti i presupposti di legge) qualora la
dipendente possa contare su un diritto autonomo a pensione –come nel caso in esame– oppure possa, attraverso la
totalizzazione, raggiungere il minimo contributivo di 20
anni.
Per il Dipartimento ne deriva che l'ente dovrebbe collocare
la dipendente a riposo d'ufficio al compimento del 65esimo
anno di età, salvo la concessione del trattenimento in
servizio per un biennio di cui all'articolo 16 prevista dal
decreto legislativo 503/1992 in presenza dei presupposti di
legge.
Nel caso in cui l'interessata dovesse decidere di ricorrere
alla pensione in regime di totalizzazione nazionale (Dlgs
42/2006) si applicherà la finestra mobile di 18 mesi
istituita dal Dl 78/2010
(articolo Il Sole 24 Ore del
21.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oggetto: SISTRI: avvio dal 01.10.2013 e sospensione del
contributo di iscrizione (ANCE Bergamo,
circolare 22.03.2013 n. 85). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ANTICORRUZIONE (ANCI,
nota 21.03.2013). |
APPALTI:
OGGETTO: Durc - Interpelli del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali in materia di rilascio della
regolarità contributiva ad imprese in concordato preventivo
con continuazione dell’attività aziendale (n. 41/2012) ed a
società di capitali (n. 2/2013) (INPS,
messaggio 21.03.2013 n. 4925 - link a www.inps.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Pubblicate le specifiche tecniche per i Reticoli Idrici
Minori comunali.
Sono state pubblicate le specifiche tecniche ed informatiche
per la predisposizione degli elaborati cartografici per la
definizione del Reticolo Idrico Minore di competenza
comunale come previsto dalla d.g.r. n. 4287 del 25.10.2012.
Nella sezione dedicata alla Polizia Idraulica sono riportati
i criteri per la digitalizzazione dell’elaborato
cartografico e per la redazione del Documento di Polizia
Idraulica (20.03.2013 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI:
Oggetto: Nuova circolare relativa alle competenze
dell'architetto junior ed del pianificatore junior alla luce
di fatti e mutamenti finora intervenuti
(Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori
Paesaggisti e Conservatori,
circolare 07.03.2013 n. 21). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO:
In tema di applicabilità dell’articolo 1, comma 46, della
legge n. 190 del 2012, in caso di sentenza di non doversi
procedere per intervenuta prescrizione successiva a sentenza
di condanna per reato contro la pubblica amministrazione
(Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza
e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche - Autorità
Nazionale Anticorruzione,
delibera 07.03.2013 n. 14/2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
MAPEL: monitoraggio autorizzazioni paesaggistiche degli enti
locali.
La Struttura Paesaggio ha predisposto un'applicazione WEB
per monitorare le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate
dagli enti locali ed eliminare la trasmissione cartacea dei
documenti.
Il processo si inquadra come comunicazione obbligatoria ai
sensi del comma 11, art. 146, D.lgs. n. 42/2004: "L'autorizzazione
paesaggistica è trasmessa, senza indugio, alla
soprintendenza che ha reso il parere nel corso del
procedimento, nonché, unitamente allo stesso parere, alla
regione ovvero agli altri enti pubblici territoriali
interessati e, ove esistente, all'ente parco nel cui
territorio si trova l'immobile o l'area sottoposta al
vincolo".
Il progetto è in linea con gli obiettivi del D.lgs. 82/2005
ss.mm.ii., "Codice dell'amministrazione digitale",
ovvero assicurare la disponibilità, la gestione, l'accesso,
la trasmissione, la conservazione e la fruibilità
dell'informazione in modalità digitale utilizzando le
modalità più appropriate e le tecnologie dell'informazione e
della comunicazione.
Il prototipo di
MAPEL (Monitoraggio Autorizzazioni Paesaggistiche
rilasciate dagli Enti Locali) è accessibile da alcune
settimane e rimarrà on-line per una fase di test da parte
degli enti locali interessati dal processo per tutto il
primo semestre del 2013.
L'applicativo è supportato da servizi e strumenti
informatici consolidati nel sistema regionale:
● CRS - Carta regionale dei servizi
●
EDMA - Piattaforma documentale di Regione Lombardia
●
REGIS - Piattaforma geografica di Regione Lombardia
I prerequisiti per l'utilizzo di MAPEL sono i seguenti:
●
un lettore di smart card
●
il software CRS Manager installato
●
la CRS dell'operatore con PIN attivato
Tutti gli enti interessati a partecipare alla fase di test
possono accedere all'applicativo attraverso gli strumenti
indicati. Ricordiamo che su
www.crs.regione.lombardia.it è possibile scaricare il
software, le istruzioni per l'installazione e le indicazioni
per l'operatività di firma digitale.
Per ulteriori informazioni, per inviare suggerimenti o
osservazioni il riferimento è Stefania Paoletti, tel.
02/6765.4553,
stefania_paoletti@regione.lombardia.it
Per problemi sull'applicativo MAPEL durante la fase
preliminare e/o durante il test, contattare i referenti di
Lombardia Informatica attraverso la mail:
assistenza_siba@lispa.it
La fase di test si protrarrà fino a 30.06.2013 (marzo
2013 - link a www.regione.lombardia.it). |
AUTORITA' VIGILANZA
CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI SERVIZI: Polizze,
inciuci ko. Assicurazioni, più trasparenza. Dall'Authority
dei contratti una stretta per le p.a.
Più trasparenza negli appalti pubblici di servizi
assicurativi, che per il 64% vengono aggiudicati a una sola
offerta; obbligo di tenere distinti i servizi di brokeraggio
da quelli assicurativi; illegittima la prassi di calcolare
le commissione dei broker in percentuale sui premi futuri.
Sono alcune delle indicazioni fornite alle stazioni
appaltanti dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici (Avcp) con la
determinazione
13.03.2013 n. 2 sull'affidamento dei servizi
assicurativi e di intermediazione assicurativa, un settore
affetto da «gravi distorsioni».
Secondo l'organismo di vigilanza presieduto da Sergio
Santoro infatti oltre il 30% delle gare sono andate deserte
(in particolare presso alcune centrali di committenza il
dato è ancora più alto) e nel 64,8% dei casi (in valore)
l'affidamento del contratto è avvenuto in presenza di una
sola offerta e nel 23,7% con due sole offerte.
Dal momento che «è emersa una diretta correlazione fra
strutturazione dei bandi e fenomeno della gare deserte»,
la determina detta alcune indicazioni per consentire alle
stazioni appaltanti di perseguire al meglio l'interesse
pubblico, considerando anche che si tratta di un mercato
caratterizzato da costi dei sinistri crescenti a fronte di
risorse economiche non sempre sufficienti. In questo quadro
generale occorre preliminarmente che le stazioni appaltanti
le stazioni appaltanti «si impegnino attivamente nelle
attività di prevenzione dei rischi e di gestione dei
sinistri, considerate fondamentali per ridurre il costo
delle polizze».
Altrettanto importante è le amministrazioni «si dotino di
tutti gli strumenti necessari per fornire un set informativo
completo ai concorrenti che partecipano alle procedure di
evidenza pubblica». A tale fine la determina segnala
l'opportunità che siano previste nei bandi clausole che
impongano, a pena di sanzioni, alle imprese aggiudicatarie
di fornire le informazioni necessarie per quotare i
sinistri, con modalità e tempi appropriati per la redazione
dei documenti per la gara relativa al rinnovo delle
coperture, senza che da ciò derivino oneri elevati per le
imprese che finirebbero inevitabilmente per scaricarsi sui
costi delle polizze.
Le amministrazioni devono poi dotarsi degli strumenti
necessari per fornire un set informativo completo ai
concorrenti che partecipano alle procedure di evidenza
pubblica. La determina invita poi le stazioni appaltanti a
prevedere nei bandi clausole che impongano, a pena di
sanzioni, alle imprese aggiudicatarie di fornire le
informazioni necessarie per quotare i sinistri, con modalità
e tempi appropriati per la redazione dei documenti per la
gara relativa al rinnovo delle coperture, senza che da ciò
derivino oneri elevati per le imprese che finirebbero
inevitabilmente per scaricarsi sui costi delle polizze.
Per i servizi di intermediazione assicurativa, oltre a
ribadire la necessità che questi siano tenuti ben distinti
da quelli assicurativi, l'Avcp ritiene che l'attuale prassi
di remunerare il broker con commissioni calcolate in
percentuale dei premi futuri «non sia conforme con le
previsioni del Codice, in quanto la valutazione delle
offerte economiche dei concorrenti viene effettuate su
grandezze eterogenee e non conosciute al momento della gara,
e rischia di contenere incentivi distorti per l'attività
dell'intermediario»
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
Co-marketing inammissibile se si guarda all'offerta più
vantaggiosa
Costituisce errato esercizio del potere discrezionale
l'inserimento di criteri di valutazione fondati su elementi
estranei all'appalto. In particolare, attribuire un
punteggio all'offerta di condizioni economiche per lo
svolgimento di azioni di co-marketing appare illegittimo per
violazione della normativa e della giurisprudenza.
Quanto afferma l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici con il
parere di precontenzioso
13.02.2013 n. 11 appare paradigmatico rispetto ai comportamenti
non conformi ai principi elaborati dalla giurisprudenza in
tema di discrezionalità della pubblica amministrazione nella
predisposizione degli atti di gare di appalti pubblici.
La
vicenda riguardava un comune del messinese che per un
appalto di lavori di riqualificazione urbana con importo a
base d'asta di 1,052 milioni prevedeva l'attribuzione di un
punteggio all'offerta in aumento sull'importo da versare al
comune per installare spazi pubblicitari sui luoghi oggetto
dell'intervento, per promuovere le opere oggetto
dell'appalto.
In sostanza l'amministrazione così facendo
voleva valorizzare le possibili azioni di co-marketing
proposte dal concorrente, ma ciò, in base anche a quanto
esposto dall'Ance Sicilia, non sarebbe stato in linea con le
norme e la giurisprudenza. Nel dettaglio, l'anomalia
segnalata all'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici consisteva nel fatto che, inizialmente, il ribasso
sull'importo a base di gara rivestiva una importanza
assolutamente minore (15 punti) rispetto a quella attribuita
all'elemento concernente il co-marketing (inizialmente
fissato a 50/100), consistente nell'offerta per la
concessione all'aggiudicatario degli impianti pubblicitari
realizzati dalla stazione appaltante dell'appalto per azioni
di co-marketing.
Pur avendo ridotto il «peso» dell'elemento co-marketing da 50 punti a 20, rimaneva però ancora in piedi
la censura di non conformità di tale elemento di valutazione
rispetto al quadro di riferimento nazionale e comunitario,
che privilegia valutazioni tese a garantire la qualità
dell'offerta dell'impresa, e in contrasto con quanto
previsto nella determinazione 7/2011 dell'organismo di
vigilanza. L'Autorità di via di Ripetta ha quindi da un lato
ritenuto inammissibile questo «discriminante criterio»
di valutazione delle offerte e poi ha aggiunto che «non è
dato evincere alcuna specifica attinenza tra il criterio in
esame e le caratteristiche dell'appalto».
In altre parole non basta che vi sia un interesse pubblico,
espressamente riconnesso al valore culturale degli spazi
interessati dai lavori, perché il «criterio di
valutazione dell'offerta non risulta attinente alla natura,
all'oggetto e alle caratteristiche dell'appalto, volto alla
riqualificazione dell'area attraverso l'esecuzione di un
complessivo intervento di trasformazione, al fine di
migliorarne la fruibilità, che non comprende anche la sua
valorizzazione pubblicitaria e commerciale»
(articolo ItaliaOggi Sette del
18.03.2013). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO: “Quaderno
della sicurezza per il lavoratore”: ecco un utile
vademecum per la sicurezza nei cantieri.
In questo articolo proponiamo un “Quaderno tecnico”,
a cura del Comitato Paritetico Territoriale per la sicurezza
sul lavoro di Taranto che illustra, in maniera molto chiara
e precisa i diversi aspetti da tenere in considerazione
quando si lavora in un cantiere edile.
Il documento evidenzia, grazie anche a illustrazioni e foto
esplicative, i principali aspetti relativi a:
●
rischi derivanti
dalle attività svolte dai lavoratori
●
adempimenti
prescritti dalla vigente normativa
L’intento della pubblicazione è quello di costituire un
utile strumento di lavoro che, attraverso una facile
lettura, possa permettere la diffusione della cultura sulla
sicurezza basata sul principio che solo l’osservanza delle
norme può limitare gli infortuni e, quindi, sul valore
indiscusso della prevenzione.
Il documento costituisce un utile strumento per tutte le
figure che operano in cantiere o si occupano di sicurezza e
fornisce indicazioni utili su:
●
Diritti e doveri dei
lavoratori
●
Figure di cantiere
(es. preposto, coordinatore, RSPP, ecc.)
●
Organi di Vigilanza
●
Rischi e misure di
prevenzione
●
Attrezzature e
Macchine da Lavoro
●
Dispositivi di
Protezione Individuale (DPI)
●
La segnaletica di
sicurezza
●
Documenti da tenere
in cantiere: il PIMUS, il POS ed il PSC
(21.03.2013 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Impianti
fotovoltaici: ok alle detrazioni del 50%!
La detrazione del 50% relativa alle ristrutturazioni
edilizie vale anche per la realizzazione di impianti
fotovoltaici.
Lo conferma l’Agenzia delle Entrate in risposta a un quesito
posto dall’ANIE (Federazione Nazionale delle Imprese
Elettrotecniche ed Elettroniche) che ipotizzava che le
agevolazioni fiscali fossero riservate al solo ambito del
solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria,
che ha un’incidenza immediatamente misurabile sul risparmio
energetico.
L’Agenzia, invece, conferma che la realizzazione di un
impianto fotovoltaico va considerata a tutti gli effetti
opera edile finalizzata al risparmio energetico e, in quanto
tale, ha diritto al beneficio della detrazione del 50%.
Tuttavia, chiarisce l’Agenzia delle Entrate, chi opta per la
detrazione sulle ristrutturazioni non può richiedere gli
incentivi del Quinto Conto Energia sullo stesso intervento.
Al contrario, su indicazione del Ministero dello Sviluppo
Economico l’Agenzia delle Entrate ha affermato che il bonus
fiscale sulle ristrutturazioni si può cumulare con lo
scambio sul posto e il ritiro dedicato
(21.03.2013 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Focus giurisprudenza: il silenzio nel rilascio del permesso
di costruire.
Le modifiche normative
Il procedimento per il rilascio del permesso di costruire è
stato oggetto negli ultimi due anni di ben due interventi
legislativi con il (DL 70/2011 e con il DL 83/2012) che ne
hanno comportato una completa riscrittura.
Il DL 70/2011 ha introdotto la previsione generale del
silenzio-assenso (fatti salvi i casi in cui sussistano
vincoli ambientali) nonché una rivisitazione dei termini
procedurali e riformulato la disposizione sull’intervento
sostitutivo della Regione, in caso di inerzia del Comune
nell’emanazione del titolo, affidando alla legislazione
regionale la determinazione di forme e modalità per
l’esercizio del potere sostitutivo.
La versione antecedente alla modifica prevedeva che in caso
di non risposta da parte dell’amministrazione comunale nei
termini indicati per l’adozione finale del provvedimento, si
formasse il silenzio-rifiuto impugnabile entro 60 giorni
avanti ai competenti Tribunali amministrativi regionali.
La previsione del silenzio-assenso interviene, perciò, a
porre rimedio a tale situazione tutelando maggiormente gli
interessi privati innanzi all’inerzia dell’amministrazione
con conseguente riduzione dei relativi procedimenti
giudiziari. Con il silenzio-assenso l’interessato, infatti,
potrà far affidamento sulla formazione di un provvedimento
tacito senza dover attendere i tempi non certo brevi di un
contenzioso amministrativo.
Affinché si intenda formato il silenzio-assenso è necessario
che non sia intervenuto alcun provvedimento negativo e che
siano rispettate le prescrizioni previste dalla legge.
La formazione del silenzio-assenso, che si configura come
provvedimento, non pregiudica, tuttavia, i poteri di
autotutela della Pubblica Amministrazione che, ai sensi
dell'art. 38 del DPR n. 380/2001 (TU edilizia), può
annullare il permesso di costruire.
Con la novella dello scorso anno, oltre alle minime
modifiche apportate al comma 1 e al comma 3, che appaiono
non determinanti o, comunque, di mero coordinamento, è stato
inserito un nuovo comma 5-bis e sono stati riscritti il
comma 6 e il comma 10.
Il nuovo comma 10, in particolare, disciplina l’ipotesi in
cui l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto ad un
vincolo, tutelato da un Ente diverso rispetto
all’Amministrazione comunale. In tal caso, lo Sportello
Unico è tenuto sempre ad acquisire il relativo atto di
assenso in sede di conferenza di servizi, ed è stato
confermato che "In caso di esito non favorevole, sulla
domanda di permesso di costruire si intende formato il
silenzio-rifiuto".
Focus giurisprudenza
L’Ance, da sempre attenta a seguire l’opinione della
giurisprudenza ha raccolto
le prime
pronunce dei giudici amministrativi sul nuovo procedimento
di rilascio del permesso di costruire fondato sull’istituto
del silenzio assenso.
Per i Tribunali amministrativi il nuovo procedimento
rappresenta un principio fondamentale della legislazione
statale nella materia del governo del territorio e come tale
prevale sulle norme regionali di dettaglio.
In applicazione del principio del tempus regit actum,
inoltre, le modifiche normative, se sono intervenute prima
della formale adozione del provvedimento finale, devono
essere osservate dalla P.A. (14.03.2013 - tratto da
www.ance.it). |
GURI - GUUE - BURL
(e anteprima) |
ENTI LOCALI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 12 del 21.03.2013,
"Determinazioni in ordine alla composizione della Giunta
regionale" (decreto
P.G.R. 20.03.2013 n. 2624). |
ENTI LOCALI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 12 del 21.03.2013, "Contributo
straordinario e ordinario annuale ai sensi del regolamento
regionale 27.07.2009, n. 2 “Contributi alle Unioni di Comuni
lombarde e alle Comunità montane e incentivazione alla
fusione dei piccoli Comuni, in attuazione dell’articolo 20
della legge regionale 27.06.2008, n. 19 (‘Riordino delle
Comunità montane della Lombardia, disciplina delle Unioni di
Comuni lombarde e sostegno all’esercizio associato di
funzioni e servizi comunali’)” e s.m.i. - Informatizzazione
della procedura di presentazione delle domande di contributo
e relativo procedimento istruttorio" (decreto
D.S. 18.03.2013 n. 2439). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 12 del 21.03.2013,
"Modifica parziale all’allegato alla d.g.r. 28.12.2012 n.
IX/4621 di approvazione della “Direttiva per il controllo
degli scarichi degli impianti di trattamento delle acque
reflue urbane”"
(deliberazione
G.R. 15.03.2013 n. 2365). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
P. L. Portaluri,
LA REGOLA ESTROSA: NOTE SU PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO E
IUS SUPERVENIENS (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: S.
Deliperi,
Il Giudice amministrativo segue il Giudice penale in materia
di violazione del vincolo paesaggistico
(17.03.2013 - link a www.lexambiente.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: S.
Foà,
Le novità della legge anticorruzione - Legge 06.11.2012 n.
190
(Urbanistica e appalti 3/2013 - tratto da
www.ispoa.it). |
CONDOMINIO:
G. Benedetti,
La responsabilità dell’amministratore per la sicurezza del
condomìnio -
Legge 11.12.2012 n. 220
(Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 2/2013 - tratto da
www.ipsoa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Paone,
La raccolta e il trasporto dei rifiuti in forma ambulante
(Ambiente & Sviluppo n. 2/2013 - link a www.lexambiente.it). |
QUESITI & PARERI |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Comune di 12 mila abitanti privo di dirigenza, disciplina
delle mansioni.
Domanda
In un Comune di 12 mila abitanti, privo di dirigenza, la
struttura organizzativa è divisa in 5 settori. Tre settori
sono diretti da funzionari cat. D3 con posizione
organizzativa. Per gli altri settori il posto di funzionario
cat. D3 è vacante: i settori sono quello finanziario e
quello dei tributi.
E' possibile affidare la responsabilità con posizione
organizzativa a dipendenti di tali settori di cat. C ex art.
11, comma 3, N.O.P. del 31.03.1999 che svolgono di fatto tutte
le incombenze? Oppure la responsabilità di tali settori deve
essere affidata ad interim ai funzionari cat. D3 degli altri
settori che però hanno laurea in Giurisprudenza ed in
Ingegneria e non in Economia e neppure Diploma di
ragioniere?
Risposta
L'art. 52 D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 (che ai sensi dell'art.
1 si applica anche ai Comuni) sotto la rubrica "Disciplina
delle mansioni" stabilisce che "(...) 2. Per obiettive
esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere
adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente
superiore:
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di
sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state
avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come
previsto al comma 4;
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con
diritto alla conservazione del posto, con esclusione
dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza.
3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini
del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo
prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e
temporale, dei compiti propri di dette mansioni.
4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva
prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento
previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione
del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei
posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine
massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è
assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le
procedure per la copertura dei posti vacanti.
5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla
l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una
qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la
differenza di trattamento economico con la qualifica
superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione
risponde personalmente del maggiore onere conseguente, se ha
agito con dolo o colpa grave".
In materia di mansioni superiori, l'art. 11 CCNL del 31.03.1999 stabilisce che "1. I Comuni privi di posizioni
dirigenziali, che si avvalgano della facoltà di cui all'art.
51, comma 3-bis, della L. 142/1990 introdotto dalla L.
191/1998 e nell'ambito delle risorse finanziarie ivi
previste a carico dei rispettivi bilanci, applicano la
disciplina degli artt. 8 e ss. esclusivamente a dipendenti
cui sia attribuita la responsabilità degli uffici e dei
servizi formalmente individuati secondo il sistema
organizzativo autonomamente definito e adottato. (...)
3. Nel caso in cui siano privi di posizioni della categoria
D, i Comuni applicano la disciplina degli artt. 8 e ss. ai
dipendenti di cui al comma 1 classificati nelle categorie C
o B, ove si avvalgano della facoltà di cui alla disciplina
di legge richiamata nello stesso comma 1. In tal caso, il
valore economico della relativa retribuzione di posizione
può variare da un minimo di L. 6.000.000 ad un massimo di L.
15.000.000 annui lordi per tredici mensilità".
L'art. 51 L. 08.06.1990, n. 142 "Organizzazione degli uffici
e del personale" stabiliva che "3-bis Nei comuni privi di
personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui al
comma 3, fatta salva l'applicazione del comma 68, lettera
c), dell'articolo 17 della L. 127/1997, possono essere
attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco,
ai responsabili degli uffici o dei servizi,
indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in
deroga a ogni diversa disposizione". La disposizione è oggi
ripetuta nell'art. 109 D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 secondo cui
"2. Nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale
le funzioni di cui all'art. 107, commi 2 e 3, fatta salva
l'applicazione dell'art. 97, comma 4, lettera d), possono
essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del
sindaco".
L'art. 8, CCNL 14.09.2000 integrativo, al co. 6
stabilisce che "6. Al dipendente di categoria C, assegnato a
mansioni superiori della categoria D, possono essere
conferite, ricorrendone le condizioni e nel rispetto dei
criteri predefiniti dagli enti, gli incarichi di cui agli
articoli da 8 a 11 del CCNL del 31.03.1999, con diritto
alla percezione dei relativi compensi.
7. Per quanto non previsto dal presente articolo resta ferma
la disciplina dell'art. 56 del D.lgs. n. 29/1993" (ora art.
52 D.Lgs. 30.03.2001, n. 165).
Quindi è senz'altro possibile -nei limiti dell'art. 52 D.Lgs.
30.03.2001, n. 165- che un dipendente di cat. C possa avere
la reggenza di un ufficio di cat. D (19.03.2013 - tratto da www.ipsoa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Le
leggi regionali che disciplinano il riutilizzo dei materiali
di scavo nei piccoli cantieri sono costituzionali?
(18.03.2013 - link a www.ambientelegale.it). |
TRIBUTI: Quali
sono le aree escluse dalla Tares?
(18.03.2013 - link a www.ambientelegale.it). |
TRIBUTI: Cosa
è il prototipo di regolamento Tares? (11.03.2013
- link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Albo
Gestori Ambientali – cat. 9: Ai fini dell’iscrizione in cat.
9, le imprese devono dimostrare di avere eseguito interventi
di bonifica?
(11.03.2013 - link a www.ambientelegale.it). |
APPALTI:
Comuni con meno di 5.000 abitanti. Appalti, sussistenza
dell'obbligo della centrale unica di committenza.
Domanda
L'art. 33 del Codice dei Contratti Pubblici impone ai Comuni
con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di affidare ad
un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori,
servizi e forniture nell'ambito delle Unioni dei Comuni,
qualora esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo
consortile tra i Comuni medesimi avvalendosi dei competenti
uffici.
Tale presupposto risulta chiaro se integrato con la norma
che prevede l'obbligatorietà dell'esercizio associato delle
funzioni fondamentali in capo ai Comuni della sopra
specificata classe demografica. Un Comune, avendo fatto
parte di Comunità Montana, ed avendo una popolazione di 3800
abitanti risulta ugualmente esonerato dall'obbligo di
associare funzioni (L.R. Toscana 27.12.2011, n. 68, art.
55).
Persiste, quindi, l'obbligo della centrale unica di
committenza? Se si, è possibile adempiere attraverso la
Convenzione (art. 30, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267) con un
Comune limitrofo superiore a 5000 abitanti?
Risposta
Il comma 3-bis dell'art. 33, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163
(Codice degli appalti) pone un obbligo, in capo ai Comuni
con meno di 5.000 abitanti, "di affidare ad un'unica
centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e
forniture". Detto obbligo può essere assolto, in
concreto, con diverse modalità:
1) nell'ambito delle Unioni dei Comuni, se esistenti;
2) costituendo un apposito accordo consortile;
3) "attraverso gli strumenti elettronici di acquisto
gestiti da altre centrali di committenza di riferimento",
tra i quali la legge annovera -a titolo esemplificativo ("ivi
comprese")- le convenzioni di cui all'art. 26, L.
23.12.1999, n. 488 (relative a servizi e forniture) ed il
mercato elettronico della P.A. di cui all'art. 328, D.P.R.
05.10.2010, n. 207.
Invero, il fatto che l'art. 55, L.R. Toscana 27.12.2011, n.
68 non annoveri il Comune richiedente nelle categorie di
Comuni obbligati ad associare le funzioni fondamentali, non
sembra incidere sulla vigenza dell'obbligo testé descritto,
che risponde ad una ratio ben precisa.
Riguardo alle modalità di assolvimento dell'obbligo, si
rimanda all'elencazione suesposta. La procedura di cui
all'art. 30, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (T.U.E.L.) non è
richiamata dall'art. 33 del Codice degli Appalti; pertanto,
in un'ottica prudenziale ed in attesa di indicazione
applicative da giurisprudenza e prassi, si consiglia di
attenersi alla lettera della norma (11.03.2013 -
tratto da www.ipsoa.it). |
PATRIMONIO:
Acquisto immobili. Art. 12, D.L. n. 98/2011, come novellato
dalla legge di stabilità 2013.
Il divieto di acquistare immobili a
titolo oneroso, per l'anno 2013, di cui al nuovo comma
1-quater dell'art. 12, D.L. n. 98/2011, è stabilito per
tutte le amministrazioni pubbliche, ivi compresi gli enti
territoriali. La clausola di salvezza prevista per gli
acquisti già autorizzati con decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze prima dell'01.01.2013 è
espressamente riferita alle Amministrazioni centrali.
La Corte dei Conti, nell'osservare che il comma 1-quater
pone 'un divieto assoluto di acquistare, a qualunque titolo,
diritti immobiliari nell'esercizio 2013', ha affermato,
però, che occorre 'evitare che l'applicazione pedissequa di
tale divieto conduca al risultato opposto rispetto a quello
voluto dal Legislatore'. In particolare, per il Giudice
contabile: per quanto concerne le procedure espropriative, è
conforme alla volontà del legislatore portare a termine
quelle per cui risultino, in data antecedente
all'01.01.2013, un decreto di occupazione di urgenza con la
corresponsione della relativa indennità; per i contratti
preliminari stipulati prima dell'01.01.2013, il comma
1-quater introduce una fattispecie di impossibilità
giuridica sopravvenuta per factum principis preclusiva alla
conclusione dei contratti definitivi per l'anno 2013.
Il Comune chiede alcuni chiarimenti in merito alle nuove
disposizioni aggiunte all'art. 12, D.L. n. 98/2011
[1], a
seguito della novella dettata dall'art. 1, comma 138, L. n.
228/2012 [2],
statuenti misure restrittive per l'acquisto di beni immobili
da parte delle pubbliche amministrazioni. L'Ente chiede, in
particolare, di sapere se trovi applicazione agli enti
locali il nuovo comma 1-quater dell'art. 12.
Sentito il Servizio finanza locale di questa Direzione
centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
L'art. 12, comma 1, D.L. n. 98/2011 (non interessato dalla
novella del 2012) prevede che a partire dal 01.01.2012 le
operazioni di acquisto e vendita di immobili, da parte delle
amministrazioni pubbliche [3]
sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi
strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto di
natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle
finanze. La disposizione esclude espressamente dal suo
ambito di applicazione, tra gli altri, gli enti
territoriali.
Il nuovo comma 1-quater dell'art. 12, D.L. n. 98/2011,
stabilisce che, per l'anno 2013, tutte le amministrazioni
pubbliche [4],
incluse le autorità indipendenti, tra cui la Consob, non
possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare
contratti di locazione passiva salvo che si tratti di
rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata, a
condizioni più vantaggiose, per sostituire immobili dismessi
o per continuare ad avere la disponibilità di immobili
venduti. Dall'ambito soggettivo di applicazione del comma
1-quater in argomento sono espressamente esclusi gli enti
previdenziali pubblici e privati, mentre gli enti
territoriali (venendo al quesito posto dall'Ente) si
intendono ricompresi nell'alveo delle amministrazioni
pubbliche ivi indicate [5].
L'ente pone, inoltre, l'attenzione sul comma 1-quater
laddove esclude dal divieto le operazioni di acquisto di
immobili già autorizzate con il decreto ministeriale di cui
al comma 1 (come sopra chiarito, riferito alle
Amministrazioni centrali), prima dell'entrata in vigore
della novella del 2012 [6],
e chiede se una tale esclusione possa applicarsi in via
analogica agli enti territoriali ed, altresì, se possano
ritenersi esclusi gli acquisti conseguenti a procedure
espropriative.
Al riguardo, atteso che le nuove disposizioni recate
dall'art. 1, comma 138, L. n. 228/2012, non dispongono in
modo specifico, si auspica che i competenti organi statali
intervengano tempestivamente a fornire gli opportuni
chiarimenti [7],
esulando l'interpretazione delle norme statali dalla
competenza dello scrivente Servizio.
Si segnala, comunque, il
parere 31.01.2013 n. 9 della Corte dei conti,
sezione di controllo per la Regione Liguria, in ordine ad una richiesta proveniente da un
comune e concernente la corretta interpretazione dell'art.
1, comma 138, della Legge di stabilità 2013, di novella
dell'art. 12, D.L. n. 98/2011.
In particolare, sul nuovo comma 1-quater dell'art. 12
richiamato, il Giudice contabile, nell'osservare che lo
stesso pone 'un divieto assoluto di acquistare, a
qualunque titolo, diritti immobiliari nell'esercizio 2013',
afferma, però, che occorre 'evitare che l'applicazione
pedissequa di tale divieto conduca al risultato opposto
rispetto a quello voluto dal Legislatore'.
A tal fine, per quanto concerne le procedure espropriative,
la Corte dei conti distingue l'ipotesi della sola
dichiarazione di pubblica utilità, per la quale non sembra
porsi alcun problema, nel senso dell'applicazione, in questa
ipotesi, delle nuove limitazioni agli acquisti immobiliari,
dalla diversa situazione, tutt'altro che infrequente, che la
dichiarazione di pubblica utilità sia stata accompagnata
dall'emissione, antecedente all'01.01.2013, di un decreto di
occupazione di urgenza dell'area preordinata
all'espropriazione con la contemporanea corresponsione della
relativa indennità. In quest'ultimo caso, secondo la Corte,
'il procedimento è giunto ad un livello tale (tempus
regit actum) da ritenere possibile e più soddisfacente alla
ratio finanziaria voluta dal Legislatore condurlo a termine,
anche con possibile accordo di cessione volontaria
intervenuto nel frattempo, piuttosto di lasciare ferma la
situazione con una complessiva perdita maggiore di denaro
pubblico, costituita dall'artificioso prolungamento del
periodo di occupazione rispetto all'immissione definitiva
nella proprietà da parte dell'ente'.
Mentre, per quanto riguarda la concreta esecuzione dei
negozi preparatori -contratti preliminari di compravendita
stipulati prima dell'01.01.2013, per i quali non sia stato
ancora concluso il contratto definitivo, e diritti di
prelazione da esercitarsi entro termini perentori- la Corte
dei conti ritiene che il nuovo comma 1-quater introduca una
'fattispecie di impossibilità giuridica sopravvenuta per factum
principis preclusiva all'esercizio dei diritti di
prelazione e alla conclusione dei contratti definitivi per
l'anno 2013, laddove negli esercizi successivi anche questa
tipologia di acquisti immobiliari dovrà soggiacere al
requisito dell'indispensabilità ed indilazionabilità', di
cui al nuovo comma 1-ter [8],
D.L. n. 98/2011 [9].
---------------
[1] D.L. 06.07.2011, n. 98, recante: 'Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria', convertito, con
modificazioni, dalla L. n. 111/2011.
[2] L. 24.12.2012, n. 228, recante: 'Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(Legge di stabilità 2013)'.
[3] Il comma 1 in argomento si riferisce alle
amministrazioni inserite nel conto economico consolidato
della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del
comma 3 dell'articolo 1 della L. n. 196/2009, con
l'esclusione degli enti territoriali, degli enti
previdenziali e degli enti del servizio sanitario nazionale,
nonché del Ministero degli affari esteri con riferimento ai
beni immobili ubicati all'estero.
[4] Il comma 1-quater in argomento si riferisce alle
amministrazioni inserite nel conto economico consolidato
della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del
comma 3 dell'articolo 1 della L. n. 196/2009.
Il coinvolgimento di tutte le amministrazioni pubbliche è
evidenziato dalla Camera, Temi dell'Attività parlamentare,
Acquisto, vendita e manutenzione degli immobili pubblici,
all'indirizzo web: http://www.camera.it.
[5] Cfr. parere Anci del 17.01.2013. Per il coinvolgimento
degli enti territoriali nelle disposizioni della legge di
stabilità 2013 (L. n. 228/2012), cfr.: Eduardo Racca, 'Legge
di stabilità: tutte le novità misura per misura', in 'Il
sole 24 ore Enti locali', 03.01.2013.
[6] Il comma 1-quater è inserito dall'art. 1, comma 138, L.
n. 228/2012, a decorrere dall'01.01.2013.
[7] Si rileva che dette questioni non risultano affrontate
nella circolare 05.02.2013, n. 2, del Ministero
dell'economia e delle finanze.
[8] Il nuovo comma 1-ter dell'art. 12, D.L. n. 98/2011,
dispone che, a partire dal 01.01.2014, gli Enti territoriali
e gli Enti del Servizio sanitario nazionale, per ottenere
risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal
Patto di stabilità interno, possono acquistare immobili solo
nel caso in cui sia comprovata documentalmente
l'indispensabilità e l'indilazionabilità attestata dal
Responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è,
altresì, attestata dall'Agenzia del Demanio, previo rimborso
delle spese. Sul sito Internet dell'ente deve essere data
preventiva notizia dell'operazione di acquisto, con
l'indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito.
[9] Per completezza di esposizione, si segnala il diverso
avviso dell'ANCI (di maggiore apertura, invero), per cui il
legislatore non ha inteso porre le amministrazioni pubbliche
di fronte al rischio di contenziosi derivanti ad esempio da
compromessi di acquisto che non possono essere rispettati
per effetto di norme sopravvenute, o di contenziosi
derivanti dal ritardato pagamento di indennità di esproprio
con ulteriori aggravi economici per l'ente espropriante.
Per
cui, ad avviso dell'Associazione di categoria, si può
ritenere che le operazioni già avviate prima dell'entrata in
vigore della legge di stabilità 2013 (01.01.2013) possano
trovare completamento nell'anno in corso e che, comunque,
siano ammissibili operazioni connesse ad interventi di
pubblica utilità in conseguenza di progetti o piani di
attuazione che hanno già trovato le relative fonti di
finanziamento nei bilanci degli anni precedenti.
Per l'ANCI,
tale interpretazione, peraltro, sembra risultare coerente
con quanto previsto per le amministrazioni dello Stato per
le quali il comma 1-quater dell'art. 12 del D.L. n. 98/2011,
come introdotto dalla legge di stabilità 2013, fa salve le
operazioni di acquisto di immobili già autorizzate prima
dell'entrata in vigore della stessa legge n. 228 (Cfr.
parere Anci del 16.01.2013) (08.03.2013 - link a
www.regione.fvg.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: A.U.A.:
Chi? Quando?
(04.03.2013 - link a www.ambientelegale.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
OGGETTO: pensionamento dipendente-richiesta di parere.
Un comune ha chiesto di conoscere se possa accedere alla
richiesta avanzata da un dipendente di cat. C5, con profilo
di istruttore tecnico, di trattenimento in servizio per un
biennio oltre i limiti di età, tenuto conto che l’art. 24
della legge 214/2011 ha fissato in 66 anni il nuovo
requisito anagrafico necessario per la pensione di vecchiaia.
...
Con una nota un comune ha chiesto di conoscere se possa
accedere alla richiesta avanzata da un dipendente, cat. C5,
con il profilo di istruttore tecnico, di trattenimento in
servizio per un biennio oltre i limiti di età, tenuto conto
che l’art. 24 della legge 214/2011 ha fissato in 66 anni il
nuovo requisito anagrafico necessario per la pensione di
vecchiaia. All’uopo è stata rappresentato che l’Ente è
soggetto al patto di stabilità dall’anno in corso e che nel
2012 si è verificata una sola cessazione di personale di
cat. B- posizione economica B6.
Al riguardo, si fa presente, preliminarmente, che, ai sensi
dell’art. 16, comma 31, della legge 148/2011 a decorrere dal
01.01.2013 i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e
5.000 ab., quale quello di specie, sono soggetti al patto di
stabilità interno.
Pertanto, la normativa assunzionale cui fare riferimento è
quella contenuta ai commi 557, 557-bis, 557-ter dell’art. 1
della legge 296/2006 e s.m.i., e all’art. 76, comma 7, della
legge 133/2008 e s.m.i. Tale ultimo comma 7 dispone che gli
enti, che non superano il limite del 50% della spesa di
personale rispetto alla spesa corrente, possono procedere ad
assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del
40% della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno
precedente.
Ciò posto, si rileva che il richiamato art. 24 della legge
214/2011, pur avendo introdotto una nuova disciplina in
materia di trattamenti pensionistici, non ha inciso
sull’applicazione degli istituti previsti dall’art. 72 della
citata legge 133/2008, tra cui quello del trattenimento in
servizio oltre i limiti di età, così come, anche,
evidenziato nella circolare del Dipartimento della Funzione
Pubblica n. 8 dell’08.03.2012.
Conseguentemente, i dipendenti, ai sensi di detta normativa,
possono chiedere, e le amministrazioni possono accordare con
le dovute valutazioni, il trattenimento in servizio oltre i
predetti limiti anagrafici, fermo restando quanto previsto
dall’art. 9, comma 31, della legge 122/2010, che consente
alle citate amministrazioni di effettuare i suddetti
trattenimenti nell’ambito delle facoltà assunzionali
concesse alle stesse dalla legislazione vigente in base alle
cessazioni di personale.
Stante quanto sopra esposto si ritiene che codesto Ente
potrebbe accedere alla richiesta di cui trattasi solamente
in presenza di tutte le condizioni e limitazioni previste
dalla richiamata normativa (13.02.2013 - link a
http://incomune.interno.it). |
CORTE DEI CONTI |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE:
► Non sono incentivabili ex art. 92, comma 5, d.lgs.
163/2006 i lavori di manutenzione ordinaria, peraltro
finanziati con risorse di parte corrente del bilancio;
► analogamente, sono escluse dall'applicabilità della
predetta norma i lavori in economia, siano essi connessi o
meno ad eventi imprevedibili o d'urgenza ex art. 175 del
d.p.r. 207/2010;
► riguardo, invece, ai lavori di somma urgenza (art. 176
d.p.r. 207/2010) risulta dirimente valutare la natura dei
lavori eseguiti che dovranno presentare i caratteri
dell'opera pubblica o dei lavori finalizzati alla
realizzazione di un'opera di pubblico interesse per poter
rientrare nelle tipologie incentivabili ai sensi dell'art. 92
del d.lgs. 163/2006;
► l'attività di redazione di un piano di gestione di una
zona di protezione civile (legge 56/2000) non rientra tra
quelle oggetto di incentivo disciplinato dal menzionato art.
92.
---------------
Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla
Sezione, con nota in data 08.02.2013 prot. n. 2866/1.13.9,
richiesta di parere formulata dal Presidente della provincia
di Prato in materia di incentivi alla progettazione di cui
all’art. 92 del D.Lgs. 163/2006.
In particolare, ai fini della corretta applicazione delle
norme in materia di incentivi al personale, chiede di
sapere se rientra nell’applicazione della normativa in
materia di incentivi di cui all’art. 92, commi 5 e 6, del
D.Lgs. 163/2006 l’ipotesi di:
1. lavori di manutenzione ordinaria con finanziamento di
parte corrente, escludendo attività di taglio del verde,
sostituzione di infissi e apparati termoidraulici;
2. lavori in economia connessi ad eventi imprevedibili di
cui all’art. 125, comma 6, lett. a), del D.Lgs. 163/2006 e
lavori di urgenza di cui all’art. 175 del DPR n. 207/2010
realizzati sulla base di perizia tecnica o progettazione
esecutiva affidati ai sensi dell’art. 125, comma 8, D.Lgs.
163/2006;
3. lavori di somma urgenza ordinati in via d’urgenza e
successivamente regolarizzati mediante approvazione di
perizia giustificativa redatta dal responsabile del
procedimento con le modalità di cui all’art. 176 DPR
207/2010;
4. redazione del Piano di Gestione di una Zona di Protezione
Speciale (L. 56/2000) che prevede tra l’altro la
localizzazione di interventi pubblici in relazione ai quali
l’ente agisce in veste di stazione appaltante.
...
Nel merito, l’art. 92, comma 5, del D.Lgs. 163/2006 (codice
degli appalti) recita: “Una somma non superiore al due
per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di
un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e
assistenziali a carico dell’amministrazione, a valere
direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93,
comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con
le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione
decentrata e assunti in un regolamento adottato
dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e
gli incaricati della redazione del progetto, del piano della
sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché
tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel
limite massimo del due per cento, è stabilita dal
regolamento in rapporto all'entità e alla complessità
dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle
responsabilità professionali connesse alle specifiche
prestazioni da svolgere. La corresponsione dell'incentivo è
disposta dal dirigente preposto alla struttura competente,
previo accertamento positivo delle specifiche attività
svolte dai predetti dipendenti; limitatamente alle attività
di progettazione, l'incentivo corrisposto al singolo
dipendente non può superare l'importo del rispettivo
trattamento economico complessivo annuo lordo; le quote
parti dell'incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte
dai medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale
esterno all'organico dell'amministrazione medesima, ovvero
prive del predetto accertamento, costituiscono economie. I
soggetti di cui all'articolo 32, comma 1, lettere b) e c),
possono adottare con proprio provvedimento analoghi criteri”.
Il comma 6 del medesimo articolo 92 recita: “Il trenta
per cento della tariffa professionale relativa alla
redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è
ripartito, (…) tra i dipendenti dell'amministrazione
aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.
In risposta ai primi due quesiti la Sezione ribadisce
quanto già espresso in altra deliberazione (n. 293 del
23.10.2012), peraltro citata dal comune richiedente,
ritenendo che l’art. 90 del D.lgs. n. 163/2006 sia alla
rubrica che al c. 1, faccia “riferimento esclusivamente
ai lavori pubblici, e l’art. 92, c. 1, presuppone l’attività
di progettazione nelle varie fasi, expressis verbis come
finalizzata alla costruzione dell’opera pubblica progettata.
A fortiori, lo stesso comma 6 dell’art. 92 prevede che
l’incentivo alla progettazione venga ripartito “tra i
dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo
abbiano redatto” e, dunque, è di palmare evidenza come il
riferimento normativo e la conseguente voluntas legis sia
ascrivibile solo alla materia dei lavori pubblici,
presupponendosi una procedura ad evidenza pubblica
finalizzata alla realizzazione di un’opera di pubblico
interesse”; quanto espresso pare escludere dal novero
delle attività retribuibili con l’incentivo in questione i
lavori di manutenzione ordinaria, peraltro finanziati con
risorse di parte corrente del bilancio. Lo stesso può
concludersi in riferimento ai lavori in economia, siano essi
connessi o meno ad eventi imprevedibili.
In risposta al terzo quesito, riferito a lavori di
somma urgenza ordinati in via d’urgenza, appare dirimente,
alla luce delle interpretazioni proposte, valutare la natura
del lavoro eseguito che dovrà presentare i caratteri
dell’opera pubblica o del lavoro finalizzato alla
realizzazione di un’opera di pubblico interesse per poter
rientrare nelle tipologie incentivabili ai sensi dell’art.
92 del codice dei contratti (D.Lgs. 163/2006).
In merito al quarto quesito, come già evidenziato da
questa Sezione in altri pareri (deliberazione n. 213 del
18.10.2011 e deliberazione n. 389 del 27.11.2012) un atto
regolamentare “non può essere assimilato, per il suo
contenuto intrinseco, ad un progetto di lavori comunque
denominato” mentre “l’art. 90 del D.lgs. n. 163/2006 sia
alla rubrica che al c. 1, fa riferimento esclusivamente ai
lavori pubblici, e l’art. 92, c. 1, presuppone l’attività di
progettazione nelle varie fasi, expressis verbis come
finalizzata alla costruzione dell’opera pubblica progettata.
A fortiori, lo stesso comma 6 dell’art. 92 prevede che
l’incentivo alla progettazione venga ripartito “tra i
dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo
abbiano redatto” e, dunque, è di palmare evidenza come il
riferimento normativo e la conseguente voluntas legis sia
ascrivibile solo alla materia dei lavori pubblici,
presupponendosi una procedura ad evidenza pubblica
finalizzata alla realizzazione di un’opera di pubblico
interesse”; a parere di questo collegio, pertanto,
l’attività di redazione del Piano di Gestione di una Zona di
Protezione Speciale, non rientra in quelle oggetto di
incentivo disciplinato dalla norma sopra riportata (Corte dei Conti,
Sez. controllo Toscana,
parere 19.03.2013 n. 15). |
ENTI
LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Non può darsi corso alla
possibilità di erogare le somme destinate alla produttività
del personale dipendente per l’anno in corso, in caso di
violazione del patto di stabilità per il medesimo anno.
---------------
Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla
Sezione, con nota prot. n. 339/1.13.9 dell’08.01.2013, una
richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di San
Giuliano Terme, in cui si chiede se l’ente che non ha
rispettato il patto di stabilità interno per l’anno 2011,
possa erogare le somme destinate alla produttività del
personale dipendente per il medesimo anno 2011 già
deliberate ed impegnate, qualora sia accertato per l’anno
2012 il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità
interno e delle norme vigenti sul contenimento delle spese
di personale.
...
Nel merito, la normativa di riferimento è rinvenibile
nell’art. 15 del CCNL Regioni ed enti locali del 01/04/1999,
in cui si prevede la possibilità di integrare le risorse
economiche destinate alla produttività “in sede di
contrattazione decentrata integrativa, ove nel bilancio
dell’ente sussista la relativa capacità di spesa” (comma
2), nonché nell’art. 40, comma 3-quinquies, del D.Lgs. n.
165/2001, introdotto dall’art. 54 del d.lgs. 27.10.2009, n.
150, che al secondo periodo recita: “Le regioni, per
quanto concerne le proprie amministrazioni, e gli enti
locali possono destinare risorse aggiuntive alla
contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla
contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di
virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti
disposizioni, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di
bilancio e del patto di stabilità e di analoghi strumenti
del contenimento della spesa”.
Il quesito proposto è indirizzato a conoscere se l’ente, in
caso di violazione del patto di stabilità nell’esercizio
2011, possa erogare le maggiori risorse già deliberate ed
impegnate per la produttività del personale per il medesimo
anno 2011, avendo conseguito, nell’esercizio 2012, il
rispetto sia del patto di stabilità che dei vincoli dettati
dalle norme limitative in materia di spesa di personale.
A parere della Sezione la violazione del
patto di stabilità nell’esercizio 2011 è da ritenersi quale
elemento impeditivo a determinare la maggiorazione delle
risorse destinate alla produttività del personale di cui
all’art. 15 CCNL 01/04/1999 per l’esercizio 2011, sebbene
già deliberate ed impegnate
(in tal senso si esprime anche la Sezione Piemonte della
Corte dei conti) alla luce di quanto
stabilito dall’art. 40, comma 3-quinquies, del D.Lgs. n.
165/2001.
Del resto, sempre a mente del comma 3-quinquies
precedentemente menzionato, in caso di
superamento dei vincoli finanziari posti alla
contrattazione, accertato dalle Sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti, la disposizione prevede
l’obbligo di recupero nell’ambito della sessione negoziale
successiva e, nei casi di violazione dei vincoli e dei
limiti di legge, dispone che le clausole contrattuali sono
nulle, non possono essere applicate e sono sostituite.
L’ente, nel caso di rispetto delle disposizioni relative al
patto di stabilità negli esercizi finanziari successivi,
anche in sede previsionale (così si esprime la Sezione
regionale di controllo per la Lombardia), e dei vincoli in
tema di spesa di personale, potrà, pertanto, addivenire
all’applicazione di una maggiorazione delle risorse
destinate alla produttività del personale amministrativo ma
sempre in riferimento all’esercizio di competenza di volta
in volta considerato.
In conclusione il Collegio ritiene che non
possa darsi corso alla possibilità di erogare le somme
destinate alla produttività del personale dipendente per
l’anno 2011, in caso di violazione del patto di stabilità
per il medesimo esercizio 2011
(Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana,
parere 19.03.2013 n. 13). |
APPALTI:
In merito all’interpretazione dell’art. 11, comma
13, del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 che dal 01.01.2013 risulta
così modificato: “il contratto è stipulato a pena di
nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in
modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna
stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura
dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o
mediante scrittura privata…” la sezione ritiene che:
a) la comminatoria di nullità prevista dalla norma è
riferita a tutte le forme ad substantiam di stipulazione
previste dalla citata disposizione;
b) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata
(scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter
absentes), in caso di trattativa privata, conservano piena
validità le forme di stipulazione, previste dall'art. 17 del
R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è prevista
anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n.163);
c) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve
avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista
quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o
di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo
ancora validamente stipulabile il contratto in forma
pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
d) l’adozione del rogito notarile condurrà invece
all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile,
alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione
normativa;
e) la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante …" riferita alla modalità elettronica della
stipulazione dei contratti è da intendersi non come potere
della singola stazione appaltante di autodeterminazione, ma
come rinvio ad una normativa tecnica, di rango legislativo o
regolamentare, di fonte statale (artt. 117, comma 2, lett.
l, Cost.), che detti i precetti in modo uniforme sulla
compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva
degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità
elettronica.
---------------
Il sindaco del comune di Varese, mediante nota n. 9548 del
07.02.2013, ha posto un quesito in merito
all’interpretazione dell’art. 11, comma 13, del D.Lgs.
12.04.2006 n. 163 che dal 01.01.2013 risulta così
modificato: “il contratto è stipulato a pena di nullità,
con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità
elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura
dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o
mediante scrittura privata…”.
In particolare il sindaco, dopo aver richiamato i
lavori preparatori del legislatore, pone i seguenti
quesiti:
a)
se la comminatoria di nullità prevista dalla norma sia
riferibile alla necessità della forma scritta ad
substantiam, ovvero anche alle modalità di stipulazione
previste dalla norma; in quest'ultima ipotesi non
risulterebbero più utilizzabili le forme di stipulazione,
alternative alla scrittura privata, previste dall'art. 17
del R.D. 18.11.1923 n. 2440;
b)
se la stipulazione in forma pubblica amministrativa debba
avvenire esclusivamente in modalità elettronica, ovvero sia
possibile ancora stipulare il contratto in forma pubblica
amministrativa su supporto cartaceo, come sembra emergere
chiaramente dalle schede di lettura, allegate al progetto di
legge. Tale conclusione appare avvalorata dal tenore
letterale della norma laddove il legislatore ha aggiunto la
specificazione "…informatico…" esclusivamente
all'atto pubblico notarile -prevedendo in tal caso un
obbligo di utilizzo dell'atto notarile informatico nel caso
di stipulazione tramite notaio esterno all'amministrazione
appaltante- e non anche alla “…forma pubblica
amministrativa…";
c)
se la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna
stazione appaltante …" riferita alla modalità
elettronica della stipulazione dei contratti sia da
intendere come rinvio ad una legislazione tecnica generale,
che detti norme sulla compilazione, sottoscrizione e
conservazione sostitutiva degli atti pubblici e contratti
stipulati in modalità elettronica, ovvero demandi a ciascuna
stazione appaltante il potere di determinare autonomamente
tali parametri tecnici.
...
L’art. 6, comma 4, del D.L. 18.10.2012, n. 179, convertito
nella legge 17.12.2012, n. 221 ha disposto che le norme di
cui all’art. 6, comma 3, si applicano a partire dal
01.01.2013. Fra le disposizioni ivi richiamate è ricompresa
la norma oggetto del presente parere, a tenore della quale,
il legislatore, innovando la disciplina sulla forma dei
contratti stipulati dalla pubblica amministrazione
nell’ambito del codice degli appalti, ha modificato l’art.
11, comma 13, del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, prescrivendo
che: “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con
atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità
elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura
dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o
mediante scrittura privata”.
Si pone a confronto la previgente edizione della norma, che
testualmente recitava: ”il contratto è stipulato mediante
atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica
amministrativa a cura dell’ufficiale rogante
dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante
scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le
norme vigenti per ciascuna stazione appaltante”.
Preliminarmente, si osserva che la disciplina generale sulla
forma dei contratti pubblici è contenuta nella legge di
contabilità generale dello Stato (art. 16, 17 e 18 del R.D.
18.11.1923, n. 2440) tuttora vigente.
La legge di contabilità dello Stato prescrive il requisito
della forma scritta ad substantiam per tutti i
contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, anche
quando essa agisca iure privatorum; forma scritta
declinata mediante i canoni della forma pubblica
amministrativa (art. 16 R.D. 18.11.1923, n. 2440), salve le
ipotesi derogatorie tipizzate descritte all’art. 17 del R.D.
citato, in cui è consentita l’adozione della scrittura
privata e la conclusione a distanza a mezzo di
corrispondenza.
Il rapporto fra le due disposizioni è regolato dal principio
di specialità, atteso che la disposizione in tema di
contabilità di Stato è applicabile ad ogni tipo contrattuale
stipulato dalla Pubblica Amministrazione, mentre la
disciplina prevista dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163 è applicabile solo alla materia regolata
dal Codice degli Appalti.
Sotto il profilo contenutistico si evidenzia, inoltre, che
il novero delle forme ad substantiam previste dal
citato art. 11, comma 13, ha una portata più ampia rispetto
alla citata legge di contabilità, poiché promuove l’adozione
di innovative forme di documentazione dell’attività
contrattuale in cui è parte la Pubblica Amministrazione.
Tradizionalmente, si osserva che la forma scritta ad
substantiam garantisce la certezza nei rapporti
giuridici a contenuto patrimoniale in cui è parte la
Pubblica Amministrazione e si pone quale regime speciale sia
rispetto al principio di libertà della forma previsto nel
codice civile, salve le ipotesi espressamente previste di
atti che devono essere redatti per atto pubblico o per
scrittura privata sotto pena di nullità (art. 1350 c.c.),
sia rispetto al principio generale di libertà della forma
dell’atto amministrativo.
La recente riformulazione dell’art. 11, comma 13, del Codice
degli Appalti sancisce la nullità testuale per carenza delle
forme alternative ad substantiam. Accanto alla forma
scritta, tipica della forma pubblica amministrativa e della
scrittura privata, la legge prescrive la forma digitale per
l’atto pubblico notarile (informatico), nonché la modalità
elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante.
In sintesi, la difformità testuale rispetto alla precedente
formula legislativa si compendia nella:
1) previsione della nullità testuale per difetto delle forme
ad substantiam indicate dalla norma;
2) superamento della tassatività della forma scritta
cartacea, mediante la previsione di forme alternative ad
substantiam;
3) attribuzione dell’aggettivo “informatico” all’atto
pubblico notarile;
4) dequotazione della forma elettronica a “modalità
elettronica” secondo le norme vigenti per ciascuna
stazione appaltante.
La disposizione ha inteso adeguare alle moderne tecnologie
l’utilizzo delle forme contrattuali in cui è trasfusa la
volontà della pubblica amministrazione, aggiungendo, ma non
sostituendo alle tradizionali forme scritte cartacee la
forma pubblica elettronica e/o digitale, con l’avvertenza
che qualora le norme vigenti per la singola stazione
appaltante (regolamentari o di legge) prevedessero
l’adozione della sola modalità elettronica, l’utilizzo di
altra metodologia di documentazione, ancorché scritta o
cartacea, in violazione delle norme speciali, sarebbe
affetta da nullità assoluta.
Ciò posto, al fine di rispondere ai singoli quesiti
prospettati dall’amministrazione, alla luce del chiaro dato
testuale, la Sezione si ritiene che:
a) la comminatoria di nullità prevista
dalla norma è riferita a tutte le forme ad substantiam
di stipulazione previste dalla citata disposizione;
b) in quanto forme scritte peculiari di scrittura privata
(scambio di proposta ed accettazione nei contratti inter
absentes), in caso di trattativa privata, conservano
piena validità le forme di stipulazione, previste dall'art.
17 del R.D. 18.11.1923 n. 2440 (la scrittura privata è
prevista anche nell’art. 11, comma 13, del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163);
c) la stipulazione in forma pubblica amministrativa deve
avvenire in modalità elettronica solo se essa è prevista
quale metodologia esclusiva da specifiche norme di legge o
di regolamento applicabili alla stazione appaltante, essendo
ancora validamente stipulabile il contratto in forma
pubblica amministrativa su supporto cartaceo;
d) l’adozione del rogito notarile condurrà invece
all’utilizzo esclusivo del documento informatico notarile,
alla stregua del richiamo selettivo contenuto nella dizione
normativa;
e) la locuzione “…le norme vigenti per ciascuna stazione
appaltante …" riferita alla modalità elettronica della
stipulazione dei contratti è da intendersi non come potere
della singola stazione appaltante di autodeterminazione, ma
come rinvio ad una normativa tecnica, di rango legislativo o
regolamentare, di fonte statale (artt. 117, comma 2, lett.
l, Cost.), che detti i precetti in modo uniforme sulla
compilazione, sottoscrizione e conservazione sostitutiva
degli atti pubblici e contratti stipulati in modalità
elettronica
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 18.03.2013 n. 97). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Parere della corte dei conti. Paletti agli acquisti
oltre soglia comunitaria.
La possibilità per un ente locale di ricorrere
all'acquisto di beni e servizi di importo inferiore alla
soglia comunitaria, nonostante lo stesso sia tenuto ad
avvalersi del Mercato elettronico della Pubblica
amministrazione (ME.PA) o di altri mercati elettronici, è
ammessa solo nell'ipotesi in cui non si riesca a reperire il
bene in tali mercati, ovvero, quando il bene ivi reperito
non è equipollente o sostituibile con quello che necessita
all'ente.
Occorre, pertanto, che l'ente attui una verifica preliminare
in tal senso, ben sapendo che, in caso contrario, il
contratto stipulato sarà nullo e, per il dirigente che lo
sottoscrive, sarà avviata un'azione disciplinare con
conseguente apertura di una parallela azione di
responsabilità amministrativa a suo carico.
È quanto mette nero su bianco la Sez. regionale di controllo
della Corte dei Conti per la Regione Lombardia, nel testo
del
parere 18.03.2013 n. 92,
con cui fa chiarezza sugli effetti del decreto legge n.
52/2012, in relazione all'obbligo per gli enti locali di
avvalersi del mercato elettronico per gli acquisti di beni e
servizi.
Il parere nasce dalla richiesta formulata alla Corte
lombarda dall'amministrazione comunale di Rovello Porro
(Co), in cui viene espressa la perplessità di doversi
rivolgere al mercato elettronico anche per gli acquisti al
di sotto della soglia di rilievo comunitario. Per la Corte,
dopo aver svolto un breve excursus normativo sul
punto, è pacifico che dal 9 maggio dello scorso anno, per
effetto dell'articolo 7, comma 2, del citato dl n. 52, anche
gli enti locali sono tenuti a rivolgersi ai soglia.
Tuttavia, ammette la Corte, residua una possibilità. Ovvero
che il ricorso ad acquisti al di fuori di tali mercati, è
possibile nelle sole ipotesi in cui i beni che necessitano
all'ente non possono essere reperiti.
Quindi, nella fase amministrativa di determinazione a
contrarre, l'ente dovrà evidenziare le caratteristiche del
bene e della prestazione, di avere effettuato il preventivo
accertamento della insussistenza degli stessi sui mercati
elettronici disponibili e, quando necessario, dovrà indicare
la motivazione sulla non equipollenza o sostituibilità con
altri beni o servizi presenti nei mercati elettronici. In
poche parole, si può ricorrere a procedure autonome, solo
quando il bene non può essere acquisito al mercato
elettronico oppure, anche se disponibile, è inidoneo alle
necessità dell'amministrazione acquirente.
Il tutto, dovrà essere messo per iscritto nella
determinazione a contrattare della stessa amministrazione.
In difetto di questa rigorosa verifica, la Corte rileva le
pesanti conseguenze indicate a tal fine dal decreto legge
sulla spending review (il dl n. 95/2012). Ovvero, che
i contratti stipulati in violazione di acquisto sui mercati
elettronici sono nulli e costituiscono illecito disciplinare
e contabile, cui corrisponde un'ipotesi idonea per
l'apertura di un fascicolo di responsabilità amministrativa
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Il
Sindaco del Comune di Menaggio (CO) ha posto alla Sezione
una richiesta di parere articolata in tre distinti
quesiti (ed ulteriori sub-quesiti), in merito all’art. 1
del D.L. n. 95/2012, all’art. 4, comma 6, del D.L. n.
95/2012, ed infine all’art 18 del D.L. n. 83/2012.
Più nel dettaglio, l’organo rappresentativo dell’ente
osserva quanto segue.
1. Art. 1 del D.L. n. 95/2012
L’art. 26 della legge n. 488/1999, comma 3, dispone che le
amministrazioni pubbliche possono ricorrere alle convenzioni
stipulate ai sensi del comma 1, ovvero ne utilizzano i
parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per
l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle
stesse, anche utilizzando procedure telematiche per
l'acquisizione di beni e servizi (...). La stipulazione di
un contratto in violazione del presente comma è causa di
responsabilità amministrativa; ai fini della determinazione
del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra
il prezzo previsto nelle convenzioni e quello indicato nel
contratto.
L’ultimo periodo dell’art. 26, comma 3, contempla una
specifica deroga per quanto concerne le amministrazioni
locali di più ridotte dimensioni, prevedendo quanto segue: “Le
disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai
comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e ai comuni
montani con popolazione fino a 5.000 abitanti”.
L’art. 1 del D.L. 95/2012, convertito in Legge 135/2012,
prevede -al comma 1- che “i contratti stipulati in
violazione dell'articolo 26, comma 3 della legge 23.12.1999,
n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi
di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto
messi a disposizione da CONSIP S.p.A. sono nulli,
costituiscono illecito disciplinare e sono causa di
responsabilità amministrativa”.
Nel merito, si chiede di conoscere se il ricorso alle
convenzioni Consip, MEPA ovvero Centrali di committenza
regionali da parte dei comuni montani o al di sotto comunque
dei 1.000 abitanti rimanga facoltativo e, quindi, non
obbligatorio. Nel caso di conferma circa la vigenza
dell’art. 26, comma 3, della L. n. 488/1999 per gli enti di
minori dimensioni demografiche, si chiede di conoscere se i
prezzi e le tariffe Consip/MEPA debbano essere, comunque,
oggetto di comparazione.
2. Art. 4 comma 6 del D.L. 95/2012
Il secondo quesito riguarda l’esatta interpretazione
dell’art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012, il quale prevede
quanto segue: “a decorrere dal 01.01.2013, le pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo
oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a
convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli
da 13 a 42 del codice civile esclusivamente in base a
procedure previste dalla normativa nazionale in conformità
con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato
di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che
forniscono servizi a favore dell'amministrazione stessa,
anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a
carico delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni
istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico
e l'alta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni
operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei
beni ed attività culturali, dell'istruzione e della
formazione, le associazioni di promozione sociale di cui
alla legge 07.12.2000, n. 383, gli enti di volontariato di
cui alla legge 11.08.1991, n. 266, le organizzazioni non
governative di cui alla legge 26.02.1987, n. 49, le
cooperative sociali di cui alla legge 08.11.1991, n. 381, le
associazioni sportive dilettantistiche di cui all'articolo
90 della legge 27.12.2002, n. 289, nonché le associazioni
rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti
territoriali e locali”.
In merito alla suddetta norma l’ente chiede un parere
sulla possibilità da parte degli enti locali di erogare
contributi a soggetti e/o associazioni che svolgono la
propria attività a favore della cittadinanza (e
indirettamente a favore del Comune).
Inoltre, il sindaco domanda se le Pro Loco possano essere
annoverate tra le “associazioni rappresentative, di
coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali”
per le quali la norma prevede una esclusione
dell’applicazione della norma, ovvero se solo quelle
iscritte nei registri nazionali o regionali previsti dalla
legge 383/2000 (Associazioni di promozione sociale) possono
beneficiare di detta esclusione.
3. Art. 18 del D.L. n. 83/2012
L’art. 18 del D.L. n. 83/2012 dispone quanto segue: “1.
La concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed
ausili finanziari alle imprese e l'attribuzione dei
corrispettivi e dei compensi a persone, professionisti,
imprese ed enti privati e comunque di vantaggi economici di
qualunque genere di cui all'articolo 12 della legge
07.08.1990, n. 241 ad enti pubblici e privati, sono soggetti
alla pubblicità sulla rete internet, ai sensi del presente
articolo e secondo il principio di accessibilità totale di
cui all'articolo 11 del decreto legislativo 27.10.2009, n.
150.
2. Nei casi di cui al comma 1 ed in deroga ad ogni diversa
disposizione di legge o regolamento, nel sito internet
dell'ente obbligato sono indicati: a) il nome dell'impresa o
altro soggetto beneficiario ed i suoi dati fiscali; b)
l'importo; c) la norma o il titolo a base dell'attribuzione;
d) l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del
relativo procedimento amministrativo; e) la modalità seguita
per l'individuazione del beneficiario; f) il link al
progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato,
nonché al contratto e capitolato della prestazione,
fornitura o servizio.
3. Le informazioni di cui al comma 2 sono riportate, con
link ben visibile nella homepage del sito, nell'ambito dei
dati della sezione «Trasparenza, valutazione e merito» di
cui al citato decreto legislativo n. 150 del 2009, che
devono essere resi di facile consultazione, accessibili ai
motori di ricerca ed in formato tabellare aperto che ne
consente l'esportazione, il trattamento e il riuso ai sensi
dell'articolo 24 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196.
4. Le disposizioni del presente articolo costituiscono
diretta attuazione dei principi di legalità, buon andamento
e imparzialità sanciti dall'articolo 97 della Costituzione,
e ad esse si conformano entro il 31.12.2012, ai sensi
dell'articolo 117, comma 2, lettere g), h), l), m), r) della
Costituzione, tutte le pubbliche amministrazioni centrali,
regionali e locali, le aziende speciali e le società in
house delle pubbliche amministrazioni. Le regioni ad
autonomia speciale vi si conformano entro il medesimo
termine secondo le previsioni dei rispettivi Statuti.
5. A decorrere dal 01.01.2013, per le concessioni di
vantaggi economici successivi all'entrata in vigore del
presente decreto-legge, la pubblicazione ai sensi del
presente articolo costituisce condizione legale di efficacia
del titolo legittimante delle concessioni ed attribuzioni di
importo complessivo superiore a mille euro nel corso
dell'anno solare previste dal comma 1, e la sua eventuale
omissione o incompletezza è rilevata d'ufficio dagli organi
dirigenziali e di controllo, sotto la propria diretta
responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per
l'indebita concessione o attribuzione del beneficio
economico. La mancata, incompleta o ritardata pubblicazione
è altresì rilevabile dal destinatario della prevista
concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia
interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da
ritardo da parte dell'amministrazione, ai sensi
dell'articolo 30 del codice del processo amministrativo di
cui al decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
In relazione al suindicato art. 18 del D.L n. 83/2012, il
Comune chiede se siffatta pubblicazione, per l’importo
superiore ad euro 1.000,00, sia riferita esclusivamente alla
concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili
finanziari alle imprese e all'attribuzione dei corrispettivi
e dei compensi a persone, professionisti, imprese ed enti
privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere
di cui all'articolo 12 della legge 07.08.1990, n. 241,
ovvero si riferisca a qualsiasi tipologia di spesa superiore
a detto importo.
...
La Sezione si pronuncia in ordine alla richiesta di parere
del Sindaco del Comune di Menaggio (CO), articolata in tre
distinti quesiti, in merito all’art. 1 del D.L. n. 95/2012,
all’art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012 ed all’art. 18 del
D.L. n. 83/2012.
Primo quesito: la Sezione osserva che
l’unica ipotesi
in cui possano ritenersi consentite procedure autonome è
quella in cui il bene e/o servizio non possa essere
acquisito secondo le modalità sin qui descritte; ovvero, pur
disponibile, si appalesi –per mancanza di qualità
essenziali– inidoneo rispetto alle necessità della
amministrazione procedente.
Tale specifica evenienza dovrà
essere prudentemente valutata e dovrà trovare compiuta
evidenza nella motivazione della determinazione a
contrattare i cui contenuti, per l’effetto, si
arricchiscono. In difetto di siffatta rigorosa verifica
l’avvenuta acquisizione di beni e servizi, secondo modalità
diverse da quelle previste dal novellato art. 1, comma 450,
da parte di comuni di qualsivoglia dimensione demografica,
nella ricorrenza dei presupposti per il ricorso al Me.PA,
inficerà il contratto stipulato ai sensi del disposto di cui
all’art. 1, comma 1, L. 135/2012 comportando le connesse
responsabilità.
Infatti, il Me.PA, è ascrivibile al genus
degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip
Spa. E’ fatta salva la disciplina speciale dell’art. 1,
comma 7, del d.l. n. 95/2012, più volte richiamata in
precedenza, in relazione a puntuali categorie merceologiche.
Secondo quesito: la Sezione osserva che
il divieto di
erogazione di contributi ricomprende l’attività prestata dai
soggetti di diritto privato menzionati dalla norma in favore
dell’Amministrazione Pubblica quale beneficiaria diretta;
risulta, invece, esclusa dal divieto di legge l’attività
svolta in favore dei cittadini, id est della “comunita'
amministrata”, seppur quale esercizio -mediato- di
finalità istituzionali dell’ente locale e dunque
nell’interesse di quest’ultimo.
Il discrimine appare, in
sostanza, legato all’individuazione del fruitore immediato
del servizio reso dall’associazione.
Terzo quesito: per quanto concerne il terzo quesito
sulla tipologia di atti rientranti nell’obbligo di
pubblicazione ex art. 18 del D.L n. 83/2012, il Collegio
osserva che –in virtù dell’espresso tenore letterale della
norma soprarichiamata– vi sono assoggettati:
a) gli atti di concessione di sovvenzioni, contributi,
sussidi ed ausili finanziari alle imprese;
b) gli atti di attribuzione, comunque, di vantaggi economici
di qualunque genere a enti pubblici e privati ex art. 12 L.
n. 241/1990;
c) gli atti di attribuzione dei corrispettivi e dei compensi
a persone, professionisti, imprese ed enti privati
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 14.03.2013 n. 89). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Corte
dei conti. Verifiche sulle Regioni.
Sindacabili gli atti dei consiglieri.
La Corte dei conti può sindacare sugli atti dei consiglieri
regionali.
La vicenda riguarda alcuni consiglieri che, in
qualità di componenti dell'ufficio di presidenza del
consiglio regionale della Basilicata, con una delibera nel
2005 affidarono a un soggetto esterno l'incarico di redigere
un progetto di organizzazione del consiglio regionale con
una spesa di 23.869 euro.
La procura regionale della Corte dei conti della Basilicata
ha ritenuto illegittimo l'atto di conferimento
dell'incarico, e i giudici contabili hanno dichiarato il
proprio difetto di giurisdizione, ritenendo applicabile al
caso l'immunità garantita ai componenti del consiglio
regionale dall'articolo 122, comma 4, della Costituzione
«per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle
proprie funzioni».
I giudici della
Sez. I giurisdizionale
centrale
di appello della Corte dei
Conti, con la sentenza
07.03.2013 n. 190, hanno invece affermato il principio
che l'insindacabilità dei consigli regionali e dei loro
appartenenti incontra precisi limiti, relativi appunto a un
diretto collegamento delle attività poste in essere con
l'esercizio dell'attività assembleare. Conseguentemente, la
sentenza impugnata é stata annullata ed è stata dichiarata
la sussistenza, nel caso di specie, della giurisdizione
contabile.
È importante sottolineare come le recenti norme
(in particolare, l'articolo 1, commi 10 e seguenti, del Dl 19.10.2012, n. 174, convertito dalla legge n. 213/2012),
secondo cui i vari gruppi consiliari regionali sono tenuti a
redigere appositi rendiconti e sono assoggettati a controlli
delle spese da parte della Corte dei conti) emanate allo
scopo di contrastare i fenomeni di mala gestio e di sperpero
di denaro pubblico da parte dei gruppi politici delle
assemblee territoriali, hanno contribuito ad offrire ai
giudici di appello una valida chiave interpretativa delle
norme costituzionali in materia e della portata delle
guarentigie per i medesimi consigli.
Senza la giurisdizione contabile della Corte dei conti,
infatti, si verrebbe a creare una zona franca, un'area di
privilegio sottratta ad ogni sindacato giurisdizionale sulla
correttezza e la regolarità della gestione del danaro
pubblico, in quanto l'unico riscontro operante sarebbe
quello costituito dalla rendicontazione interna
all'assemblea (articolo Il Sole 24 Ore del
18.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
LAVORI PUBBLICI: No
a leasing in costruendo che aggiri l'indebitamento
Gli enti locali non possono utilizzare il leasing in
costruendo per aggirare i limiti all'indebitamento.
Lo stop
arriva dalla Sez. regionale di controllo della Corte dei
Conti per il Veneto, che con il parere 12.03.2013 n. 74 conferma
la linea del rigore tracciata in passato dalle sezioni
riunite con la deliberazione n. 49/2011.
Il leasing immobiliare è un particolare tipo di contratto
che ha come finalità principale la realizzazione di
un'opera, ma che può talora comprendere anche un'importante
componente di finanziamento.
In pratica, una delle parti (tipicamente, come nel caso in
esame, quella pubblica) si impegna a pagare un canone
periodico per ottenere la disponibilità del bene che la
controparte realizza, con possibilità di riscattarlo dopo un
certo numero di anni.
La configurazione del rapporto e le sue conseguenze
contabili dipendono dalla ripartizione dei rischi inerenti
l'esecuzione e la gestione dell'opera: ove questi ultimi
ricadano sul soggetto pubblico, l'operazione si configura
sostanzialmente come indebitamento. Pertanto, essa risulta
preclusa per tutti gli enti che hanno sforato il Patto di
stabilità interno (una delle relative sanzioni consiste
proprio nel divieto di assumere nuovi debiti) e per quelli
che hanno superato il tetto massimo nel rapporto sugli
interessi (attualmente fissato al 4% delle entrate
correnti).
Solo nel caso in cui il privato si assuma i predetti rischi,
il leasing non ha effetti sull'indebitamento: in tal caso,
il bene entra nel patrimonio dell'ente solo al momento del
riscatto e il canone periodico viene contabilizzato fra le
spese correnti.
Gli enti locali dispongono di una certa discrezionalità
nella scelta del metodo di contabilizzazione, ma la
giurisprudenza contabile è ferma nel considerare come
elusivi dei vincoli di finanza pubblica, e quindi
sanzionabili, i contratti che, dietro la facciata di
un'operazione di partenariato pubblico-privato con utilizzo
di risorse private, celano un sostanziale indebitamento.
Anche nel parere della sezione veneta, pertanto, viene
espresso un deciso favor a favore della contabilizzazione
con il cosiddetto metodo finanziario, che impone di rilevare
in bilancio il debito imputando le uscite alle spese
correnti per la componente interessi ed alle spese di
rimborso prestiti per la quota capitale
(articolo ItaliaOggi del
19.03.2013). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Doppi controlli sugli enti locali.
Al via i rapporti ai magistrati su gestione e verifiche
interne. Corte
dei conti. Approvate le Linee guida per le nuove relazioni
di Regioni, Province e Comuni.
SOTTO ESAME/
Le istruzioni applicano il Dl sui «costi della politica» In
caso di vizi gravi sanzione fino a 20 mensilità per le
amministrazioni.
Un sistema di verifiche in corso d'anno, che all'esame dei
sistemi di controllo interno messi in opera dalle
amministrazioni locali uniranno un check up completo sui
risultati delle gestioni.
Sono i nuovi controlli interni degli enti territoriali
introdotti dal Dl 174/2012 e disciplinati dalla Corte dei
conti con la
deliberazione 18.02.2013
n. 4 e
5/2013 diffuse ieri dalla Sezione delle autonomie.
Proprio la Corte dei conti, con le sezioni regionali di
controllo, è la destinataria delle nuove relazioni, che
andranno preparate dai vertici amministrativi e firmate da
sindaci e presidenti per consentire ai magistrati contabili
di tenere sotto monitoraggio continuo gli enti territoriali.
Nel caso dei Comuni sopra i 15mila abitanti e delle
Province, l'invio è semestrale e la prima relazione, che
avrà per oggetto i risultati dei primi sei mesi del 2013,
andrà inviata entro il 30 settembre prossimo.
Per le Regioni
i termini sono invece più stretti: l'esame guarda già al
2012 per cui la prima relazione, con la situazione e i
risultati conseguiti l'anno scorso (e, per il sistema dei
controlli, con aggiornamenti al quadro attuale), andrà
inviata entro maggio prossimo, cioè 60 giorni dopo la
pubblicazione delle Linee guida.
Per Comuni e Province,
però, la normativa (articolo 148 del decreto legislativo
267/2000, nella versione scritta all'articolo 3, comma 1,
lettera e del Dl 174/2012), prevede anche penalità
potenzialmente pesanti: se i magistrati contabili
rileveranno «l'assenza o inadeguatezza» degli strumenti e
delle metodologie che garantiscono la regolarità della
gestione e l'efficacia dei controlli interni, potranno
condannare gli amministratori a una sanzione pari a una
somma che va da 5 a 20 volte la loro retribuzione mensile.
Naturalmente l'applicazione delle sanzioni seguirà le regole
del «dolo» o della «colpa grave» stabilite dall'articolo 1
della legge 20/1994.
Per Comuni superiori a 15mila abitanti e Province, le
relazioni da inviare alla Corte dei conti sono distinte in
due maxi-sezioni. La prima guarda direttamente ai conti
dell'ente, e passa al setaccio la programmazione (Peg,
dotazione organica, sistema delle partecipate, programma
triennale dei lavori pubblici e così via) per poi dedicarsi
alla dinamica di entrate e spese: sul primo versante si
analizza tra l'altro la capacità di riscossione, la
valutazione delle fonti di finanziamento e i proventi dalla
gestione del patrimonio, mentre sul secondo si chiedono lumi
sulle riduzioni effettive conseguenti alla spending review,
le modalità di acquisto di beni e servizi, il numero di
appalti e le modalità di affidamento, la gestione del
contenzioso.
La seconda parte punta, invece, l'attenzione
sul sistema dei controlli interni, e chiede di indicare
modalità operative e atti assunti in relazione anche al
controllo strategico, al controllo di gestione e a quello
sulle partecipate. Su questi aspetti, va tenuto ovviamente
presente il calendario fissato dal Dl 174/2012, che nel 2013
chiede di applicare questi controlli negli enti con più di
100mila abitanti, per scendere a 50mila abitanti nel 2014 e
a 15mila dal 2015.
Il pacchetto dei temi sotto esame, come si vede, è ampio, e
in qualche caso si sovrappone con gli argomenti indagati dai
questionari annuali previsti dai commi 166 e seguenti della
Finanziaria 2006. Anche per questo le stesse Linee guida
annunciano l'esigenza di «coordinamento» fra i due strumenti
di controllo, con probabile "corsia preferenziale" sulle
nuove relazioni che essendo semestrali consentiranno
verifiche più puntuali e soprattutto in corso d'esercizio.
Analoga l'impostazione delle relazioni regionali, che oltre
ai controlli puntano su obblighi di trasparenza, regolarità
della gestione amministrativa e contabile e servizio
sanitario
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.03.2013). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Esiste nesso causale tra la condotta di chi pone in essere
un atto illegittimo e il danno indiretto per le spese di
causa.
Mentre ai sensi dell’art. 41, comma, 1, c.p., a ciascuna
delle condotte va riconosciuta efficienza causale nel
determinismo del danno in quanto ne costituisca condicio sine qua non, il rigore di tale previsione è attenuato dal
secondo comma, che attribuisce autonomo determinismo alla
causa sopravvenuta, ove essa sia idonea a produrre l’evento,
ossia al fattore eccezionale, quale evento che, secondo la
miglior scienza ed esperienza, non è conseguenza neppure
probabile di quel tipo di condotta.
Ciò premesso, laddove il
danno indiretto oggetto del giudizio di responsabilità sia
costituito dalle spese del giudizio amministrativo
affrontate dall’Ente in seguito all’impugnazione di un atto
ritenuto illegittimo, la scelta dell’Amministrazione di
resistere in giudizio ed in genere la condotta processuale,
ad avviso del Collegio, possono rilevare, al più, come
concause del danno, ma non sono idonee, da sole, a produrre
il presunto evento di danno.
---------------
... osserva quindi il Collegio come non sia condivisibile
l’assunto di parte appellata, per il quale il danno
azionato, in relazione alle spese di soccombenza e per
onorari corrisposti dal Comune al proprio legale per la
difesa in giudizio, non sia ricollegabile causalmente alla
condotta ritenuta antigiuridica dalla Procura.
Si ricorda che, ai sensi dell’ art. 41 cod. pen., “1.…Il
concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute,
anche se indipendenti dall’azione od omissione del
colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione
od omissione e l’evento. 2. Le cause sopravvenute escludono
il rapporto di causalità quando sono state da sole
sufficienti a determinare l’evento…”.
Dunque in forza del primo comma a ciascuna delle condotte va
riconosciuta efficienza causale nel determinismo del danno
in quanto ne costituisca condicio sine qua non, nel
senso che le singole cause hanno svolto un ruolo tale che,
senza una di esse, non si sarebbe verificato l'evento
dannoso. Ma il rigore di tale previsione è attenuato dal
secondo comma, che attribuisce autonomo determinismo alla
causa sopravvenuta, ove essa sia idonea a produrre l’evento,
ossia al fattore eccezionale, quale evento che, secondo la
miglior scienza ed esperienza, non è conseguenza neppure
probabile di quel tipo di condotta (Cass. pen. Sez. IV, n.
12224 del 19.06.2006; id. n. 5728 del 04.12.2001).
Nel caso di specie il giudizio dinanzi al Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche, è stato conseguenza diretta
dell’atto asserito come illegittimo dai proprietari delle
aree, i quali hanno avuto titolo, quali ricorrenti
vittoriosi, al risarcimento delle spese di difesa. Nello
stesso senso, è dall’azione giudiziaria che è derivato
l’esborso a favore del difensore del Comune resistente che
il Comune non avrebbe sostenuto, ove non fossero stati posti
in essere gli atti ritenuti dal Tribunale Superiore
illegittimi.
La scelta dell’Amministrazione di resistere in giudizio ed
in genere la condotta processuale, ad avviso del Collegio,
possono rilevare, al più, come concause del danno, ma non
idonee, da sole, a produrre il presunto evento di danno.
Ritiene quindi Collegio che il comportamento degli appellati
non sia configurabile come gravemente colposo
(massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. II giur.
centrale d'appello,
sentenza 01.02.2013 n. 42). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - SEGRETARI
COMUNALI:
Rientra tra i doveri di servizio del segretario comunale il
rilascio di pareri in materia di regolarità delle
deliberazioni.
Sussiste la colpa grave dei convenuti per violazione dei
loro doveri di servizio, atteso che con un minimo di
diligenza si sarebbe immediatamente evidenziata la natura
non solo illegittima, ma anche dannosa della deliberazione
adottata.
In particolare, il Segretario comunale –che deve
presumersi conoscere la normativa nel dettaglio sia per
dovere di ufficio, sia per l’esperienza e la preparazione
professionale presumibile dalla categoria di appartenenza–
non rese alcun parere sulla regolarità della deliberazione e
verbalizzò la delibera senza alcuna osservazione, in
violazione dei suoi obblighi di assistenza giuridico-amministrativa (istruttoria e consultiva) agli
organi politici dell’ente in sede di adozione delle
deliberazioni; ed i componenti della Giunta decisero di
confermare le mansioni superiori senza il parere burocratico
(del segretario) e a fronte di una evidente illegittimità
della delibera stessa che avrebbe imposto tutti gli
approfondimenti del caso, in violazione dei doveri di
servizio che imponevano ai componenti della giunta la
massima diligenza nella gestione di risorse comunali.
---------------
Sussiste quindi la
colpa grave dei convenuti per violazione dei loro doveri di
servizio, atteso che con un minimo di diligenza si sarebbe
immediatamente evidenziata la natura non solo illegittima,
ma anche dannosa della deliberazione adottata.
In particolare, come sopra precisato (§ 7.2.1.e), il
Segretario comunale –che deve presumersi conoscesse tale
normativa nel dettaglio sia per dovere di ufficio, sia per
l’esperienza e la preparazione professionale presumibile
dalla categoria di appartenenza– non rese alcun parere sulla
regolarità della deliberazione (reso invece su tutte le
altre deliberazioni in atti) e verbalizzò la delibera senza
alcuna osservazione, in violazione dei suoi obblighi di
assistenza giuridico-amministrativa (istruttoria e
consultiva) agli organi politici dell’ente in sede di
adozione delle deliberazioni (artt. 52, 53 e 58 L. 142/1990
nel testo vigente nel 1999, artt. 93 e 97 D.Lgs. 267/2000);
ed i componenti della Giunta decisero di confermare le
mansioni superiori senza il parere burocratico (del
segretario) e a fronte di una evidente illegittimità della
delibera stessa che avrebbe imposto tutti gli
approfondimenti del caso, in violazione dei doveri di
servizio che imponevano ai componenti della giunta la
massima diligenza nella gestione di risorse comunali (artt.
58 L. 142/1990 e artt. 78 e 93 D.Lgs. 267/2000)
(massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. II giur. centrale d'appello,
sentenza 01.02.2013 n.
41). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Il potere di sovrintendere del Sindaco può comportare
responsabilità per singoli atti di gestione.
La legge non specifica in che cosa esattamente si concreti
il potere di sovrintendere del sindaco, ma è certo che le
responsabilità connesse a tale potere possono essere
differenti in rapporto alle situazioni concrete e alle
dimensioni ed all’assetto organizzativo del singolo ente
locale nonché dipendere dalle eventuali specificazioni di
poteri contenute nelle norme statutarie.
In giurisprudenza
sono frequenti le affermazioni di responsabilità del sindaco
anche in relazione a singoli atti di gestione specialmente
per comuni di piccole dimensioni, laddove il numero esiguo e
le modeste dimensioni economiche degli affari trattati,
impongono certamente una maggiore attenzione del capo
dell’Amministrazione in relazione ad atti amministrativi
rilevanti, come quelli dei procedimenti espropriativi.
---------------
Fondata in linea di principio è la censura rivolta dal
procuratore generale appellante alla tesi dei primi giudici
secondo cui le modifiche apportate dalla legge 142 del 1990
all’ordinamento degli enti locali avrebbero in sostanza del
tutto sottratto alla responsabilità del sindaco e degli
assessori gli adempimenti relativi alle procedure di
espropriazione per pubblica utilità, in quanto atti di
gestione riservati ai dirigenti.
L’art. 36, comma 1, della legge 142 del 1990 (con formula
testualmente riprodotta nell’art. 50, comma 2, d. l.vo
18.08.2000, n. 267) dispone che il sindaco sovrintende al
funzionamento degli uffici e dei servizi (comma 1) e che
sovrintende altresì alle funzioni regionali o statali
attribuite o delegate al comune (comma 2).
La legge non specifica in che cosa esattamente si concreti
il potere di sovrintendere del sindaco, ma è certo che le
responsabilità connesse a tale potere possono essere
differenti in rapporto alle situazioni concrete e alle
dimensioni ed all’assetto organizzativo del singolo ente
locale nonché dipendere dalle eventuali specificazioni di
poteri contenute nelle norme statutarie. Del resto è vero
soltanto in linea di larga massima quanto affermato dalla
difesa degli appellanti che il potere di soprintendere agli
uffici comunali attribuito al sindaco riguardi soltanto
l’organizzazione degli uffici stessi, non la trattazione dei
singoli affari.
In giurisprudenza sono frequenti le affermazioni di
responsabilità del sindaco anche in relazione a singoli atti
di gestione specialmente per comuni di piccole dimensioni,
laddove il numero esiguo e le modeste dimensioni economiche
degli affari trattati, impongono certamente una maggiore
attenzione del capo dell’Amministrazione in relazione ad
atti amministrativi rilevanti, come quelli dei procedimenti
espropriativi
(tratto da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. I giur. centrale d'appello,
sentenza 29.01.2013 n. 61). |
NEWS |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Il
Sistri riparte, ma senza oneri nel 2013.
Il Sistri riparte, ma il versamento del contributo di
iscrizione al sistema informatico di tracciabilità dei
rifiuti è sospeso per tutto il 2013. Lo stop riguarda gli
enti e le imprese già iscritti al sistema «alla data del
30.04.2013».
A disporlo è il decreto del ministro dell'ambiente, Corrado
Clini, i cui contenuti sono stati anticipati da ItaliaOggi
il 21 marzo scorso.
Il decreto prevede, comunque, che il sistema di
tracciabilità venga attivato già da inizio ottobre per i
rifiuti speciali e pericolosi. Inizialmente, il via libera
scatterà solo per i produttori di rifiuti con più di dieci
dipendenti in organico. E per tutti i soggetti pubblici e
privati che gestiscono in un modo o nell'altro rifiuti
pericolosi. Per le altre attività, invece, l'avvio del
sistema è fissato per il 3 marzo dell'anno prossimo.
La tempistica. Per chi sarà soggetto al Sistri già nel 2013,
le procedure di verifica per l'aggiornamento dei dati delle
imprese saranno avviate dal 30 aprile. E si concluderanno
entro il 30 settembre prossimo.
Dal 30 settembre al 28.02.2014, invece, sarà effettuata la
verifica per tutte le altre imprese. In ogni caso, va
chiarito che, già da ottobre, tutte le imprese che trattano
rifiuti non pericolosi potranno comunque utilizzare il
Sistri, su base volontaria
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2013). |
PUBBLICO IMPIEGO: Corruzione,
nomine politiche. Responsabile della prevenzione indicato
dal sindaco. Le indicazioni sull'applicazione della legge
190/2012 nelle linee guida dell'Anci.
È il sindaco, quale responsabile dell'amministrazione
del comune, che deve nominare il responsabile della
prevenzione della corruzione. Nomina che, pur non
rinvenendosi nella legge un termine tassativo, è opportuno
sia effettuata in tempi strettissimi. Inoltre, in merito
alla rotazione dei dirigenti negli uffici ad elevato rischio
di commissione dei reati, occorrono regole specifiche per le
amministrazioni locali, soprattutto in relazione alle
caratteristiche organizzative e dimensionali delle stesse.
Infine, è compito della Giunta predisporre il Piano
triennale di prevenzione della corruzione.
Sono alcune delle precisazioni che l'Associazione nazionale
dei comuni italiani (Anci) ha messo nero su bianco nel testo
del
documento 21.03.2013
pubblicato pochi giorni fa, fornendo alle amministrazioni
comunali le prime indicazioni in materia di anticorruzione,
a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 190/2012.
Innanzitutto, precisa l'Anci, è fondamentale che occorra
procedere alla nomina del responsabile della prevenzione
della corruzione. Secondo la legge n. 190, tale figura,
salva diversa e motivata determinazione, deve essere
individuata nel segretario dell'ente. Sul punto, l'Anci
(così come la Civit e la Funzione pubblica) rileva che il
soggetto titolare del potere di nomina non può che essere il
Sindaco, quale organo di indirizzo politico-amministrativo e
che, tra l'altro, è il responsabile dell'amministrazione del
comune.
Sui tempi, poi, inerenti al provvedimento di nomina, le
indicazioni dell'associazione guidata da Graziano Delrio
rilevano che la legge non prevede un termine tassativo.
Tuttavia, in considerazione anche della predisposizione e
della successiva adozione del Piano triennale della
corruzione, è opportuno che essa avvenga «in tempi rapidi».
Tra i compiti del responsabile della prevenzione della
corruzione, vi è anche la verifica dell'effettiva rotazione
degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento di
attività «ad alto rischio» di commissione di reati di
corruzione. Su questo versante, l'Anci rileva che la norma
presenta profili di «estrema problematicità», in quanto
occorrerà effettuare una rotazione di dirigenti che siano
pur sempre specializzati professionalmente, ma ci si pone il
problema di come affrontare una simile rotazione soprattutto
in amministrazioni di piccole e medie dimensioni nelle quali
il numero dei dirigenti o di funzionari responsabili è
estremamente ridotto.
Su questa problematica non di poco conto, l'Anci avrà cura
di individuare delle regole specifiche per le
amministrazioni locali, in relazione alle caratteristiche
organizzative e dimensionali dell'ente. Infine, nel
documento in esame, vengono sgomberati i dubbi sull'organo
competente ad adottare il Piano triennale di prevenzione
della corruzione, il cui termine di adozione originariamente
previsto al 31 gennaio scorso è slittato al 31 marzo. È la
giunta che vi deve provvedere, in relazione alle sue
prerogative ex articolo 48 del Tuel.
Sulla tempistica, anche qui, l'Anci fornisce alcune
indicazioni. La legge n. 190 aveva demandato a specifiche
intese (entro il 28 marzo) la definizione degli adempimenti
da parte degli enti locali. Ma di queste intese, ad oggi,
nemmeno l'ombra. Pertanto, nelle more dell'adozione delle
stesse, si suggerisce ai comuni di voler adottare «in via
prudenziale» un lavoro per la definizione delle «prime
misure in materia di prevenzione alla corruzione», così da
dare piena attuazione alle disposizioni recate dalla norma e
al fine di evitare possibili ripercussioni (leggasi
sanzioni) in capo al responsabile della prevenzione, qualora
si verifichino episodi di corruzione.
---------------
L'Intervento
Un'ingerenza dalla Civit.
È solo il sindaco competente a nominare il responsabile
della prevenzione della corruzione. Tale competenza non può
appartenere né al consiglio né alla giunta. Ma non occorre
alcun provvedimento per incaricare il segretario comunale.
Anche alla luce delle linee guida Anci (si veda altro
articolo in pagina).
La
delibera 13.03.2013 n. 15/2013
della Civit sul tema, è estremamente fuorviante per gli enti
locali. Si rileva confusione tra potestà ordinamentale ed
organizzativa e giunge al paradosso di considerare possibile
che gli enti locali possano modificare le competenze fissate
per legge.
A ben vedere, la delibera è un'ingerenza illegittima verso enti la cui
autonomia è riconosciuta dalla Costituzione. Essa travalica
i compiti della Civit, che in tema di anticorruzione sono
definiti dall'art. 1, comma 2, della legge 190/2012, tra i
quali non rientra per nulla alcun potere di indicare quale
sia l'organo competente ad individuare il responsabile
anticorruzione. D'altra parte l'art. 117, comma 2, lett. p),
Cost., assegna alla potestà legislativa esclusiva dello
Stato la competenza in tema di organi degli enti locali.
Dunque, la delibera Civit va qualificata come nulla, perché
adottata in totale ed assoluta carenza di potere, per
insanabile violazione delle proprie attribuzioni e della
Costituzione. In ogni caso, nel merito la delibera, per
quanto nulla, è anche fuori bersaglio. In primo luogo perché
non affronta una questione fondamentale: cioè che negli enti
locali il responsabile della prevenzione della corruzione
non deve essere incaricato, in quanto è individuato
direttamente ex lege, ai sensi dell'art. 1, comma 7,
della legge 190/2012, nel segretario comunale e provinciale.
La delibera, per come è costruita, lascia, invece,
trasparire che l'organo di indirizzo politico debba
«costituire» la figura del responsabile, col proprio
incarico. Niente di tutto questo. L'organo competente può e
deve intervenire nel processo di eventuale attribuzione
dell'incarico di responsabile della prevenzione della
corruzione solo laddove ritenesse di assegnarlo a soggetto
diverso dal segretario comunale. L'assenza di tale
precisazione è una grave lacuna della deliberazione, che
potrebbe creare non poca confusione negli enti che non
prendessero atto della nullità, comunque, della
deliberazione stessa.
In secondo luogo, la Civit commette un errore
rilevantissimo, nell'affermare che gli enti locali possano
decidere se la nomina sia di spettanza di giunta o
consiglio, al posto del sindaco. La delibera chiarisce bene
che l'organo di «indirizzo politico» non è il
consiglio, perché le competenze di questo sono
tassativamente enumerate dalla legge. D'altra parte, non può
essere nemmeno la giunta, in quanto essa dispone di
competenza «residuale», cioè interviene se gli altri
organi di governo non sono destinatari di poteri specifici.
Ma, l'articolo 50, comma 10, del dlgs 267/2000 assegna al
sindaco la competenza ad assegnare gli incarichi
dirigenziali.
Dunque, solo il sindaco può incaricare il responsabile
anticorruzione negli enti locali, laddove ritenga di
sottrarre tale funzione spettante ex lege al
segretario.
L'esclusività e tassatività dell'ordine delle competenze tra
organi degli enti locali, priva di qualsiasi fondamento
l'opinione della Civit, secondo la quale la potestà
normativa potrebbe consentire di assegnare a consiglio o
giunta indifferentemente il potere di nomina. Statuto e
regolamenti locali non possono costituire l'ordine delle
competenze degli organi, ma solo meglio definirle e
specificarle
(articolo ItaliaOggi del
23.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/ Ok al dlgs su incompatibilità e
inconferibilità nella p.a..
Niente incarichi ai condannati.
Bloccato chi non lascia per tempo la politica o il privato.
Niente incarichi dirigenziali nelle amministrazioni
pubbliche a chi sia condannato per reati contro la pubblica
amministrazione o non sia cessato per un congruo periodo di
tempo da precedenti cariche in enti privati o dall'attività
politica.
Il consiglio dei ministri ieri ha approvato uno
dei tasselli fondamentali della disciplina «anticorruzione»,
la legge 190/2012, che all'art. 1, c. 49 e 50, aveva delegato
l'Esecutivo ad approvare un decreto legislativo in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi
dirigenziali ed amministrativi di vertice nelle pubbliche
amministrazioni.
Condanne. Nel caso di condanne anche non definitive per
reati come corruzione, concussione e le altre fattispecie di
reati contro la pubblica amministrazione, il decreto prevede
l'assoluta preclusione ad incarichi amministrativi di
vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali.
L'inconferibilità diviene perpetua, laddove vi sia anche la
condanna all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ai
dirigenti di ruolo, per la durata del periodo di
inconferibilità, si potranno assegnare incarichi diversi da
quelli che comportino l'esercizio delle competenze di
amministrazione e gestione.
Conflitto di interessi. Niente incarichi dirigenziali di
qualsiasi tipo a coloro che prima di prendere servizio nella
pubblica amministrazione svolto funzioni manageriali
all'interno di enti di diritto privato, ivi compresi quelli
regolati o finanziati dall'amministrazione, dall'ente
pubblico o dall'ente di diritto privato in controllo del
soggetto pubblico che conferisce l'incarico. Per superare l'inconferibilità,
occorre che il destinatario dell'incarico dirigenziale sia
cessato dalle precedenti cariche per un periodo di tempo
tale da garantire che nello svolgere la sua funzione
pubblica possa, anche solo indirettamente favorire interessi
dei soggetti presso i quali aveva lavorato in precedenza.
Le regole sul contrasto al conflitto di interessi mirano
anche ad evitare il cumulo di troppe funzioni e
remunerazioni in capo al dirigente.
Commistione tra politica e gestione. Il decreto legislativo
mira ad ottenere garantire un maggior grado di autonomia
della dirigenza dalla politica.
Per questa ragione, si impedisce a coloro che abbiano
rivestito incarichi nell'ambito di organi di indirizzo
politico nell'anno o biennio precedente, possano essere
destinatari di incarichi dirigenziali sia nelle
amministrazioni pubbliche, sia negli enti di diritto privato
partecipati o comunque finanziati dalla pubblica
amministrazione.
Il conferimento di incarichi dirigenziali, tanto a
dipendenti di ruolo, quanto a soggetti esterni, deve essere
motivato da ragioni di competenza, non di appartenenza
politica.
Incompatibilità. Oltre all'inconferibilità, il decreto
prevede anche due cause di incompatibilità per i dirigenti,
i quali, una volta insediati, non possono svolgere incarichi
e cariche in soggetti privati. La medesima l'incompatibilità
riguarda l'assunzione di cariche in organi di indirizzo
politico.
Sanzioni. Particolarmente incisive le sanzioni, nel caso di
violazione delle disposizioni del decreto. Qualora le
amministrazioni conferiscano incarichi dirigenziali
nell'inosservanza delle disposizioni sull'inconferibilità
(che è un divieto vero e proprio ad assegnare l'incarico),
scatta la nullità sia degli atti di conferimento, sia dei
relativi contratti di lavoro e di regolazione delle attività
da svolgere. Per le ipotesi di incompatibilità, i dirigenti
debbono rinunciare agli incarichi politici o in enti privati
entro 15 giorni dalla contestazione mossa dal responsabile
della prevenzione della corruzione; in caso contrario,
decadranno dagli incarichi.
Il responsabile anticorruzione è
chiamato anche a segnalare i casi di possibile violazione
delle regole su inconferibilità e incompatibilità alla Civit
in veste di Autorità nazionale anticorruzione, la quale è
investita anche del potere di sospendere la procedura di
conferimento dell'incarico. Le segnalazioni dovranno essere
inoltre rivolte all'Autorità garante della concorrenza e del
mercato ed alla Corte dei conti, per l'accertamento di
eventuali responsabilità amministrative. Sanzioni anche per
i componenti degli organi di governo che abbiano conferito
incarichi dichiarati nulli.
Il decreto chiarisce che essi sono da considerare
responsabili per le conseguenze economiche (si tratta di
responsabilità erariale) e introduce nei loro confronti il
divieto di conferire tutti gli incarichi di loro competenza
per tre mesi
(articolo ItaliaOggi del
22.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/
Verso lo sblocco degli stipendi.
Coperture ad hoc per far ripartire gli automatismi. Avviato
l'iter del regolamento sulle spese nella p.a..
Spiragli per uno sblocco degli stipendi dei dipendenti
pubblici nel 2014. Il Consiglio dei ministri ha proposto
ieri di avviare l'iter concernente il regolamento di
contenimento delle spese del pubblico impiego.
Questo,
spiega palazzo Chigi, consentirà al prossimo governo di
scegliere tra la proroga del blocco della contrattazione e
degli automatismi stipendiali portando a termine la
procedura del regolamento, come previsto dal decreto legge
98 del 2011; oppure di trovare una diversa copertura e così
evitare per il 2014 il blocco delle progressioni e degli
automatismi retributivi nel pubblico impiego.
Formazione e reclutamento
Sempre in tema di pubblico impiego, approvato in via
definitiva un regolamento che attua la legge n. 135 del 2012
(spending review) derivante dalla unificazione (così
come richiesto dal Consiglio di stato) dei due schemi di
regolamento in materia di riordino del sistema di
reclutamento e formazione dei dipendenti pubblici da parte
delle scuole pubbliche di formazione e di disposizioni per
il corso-concorso per funzionari e dirigenti pubblici.
Tra le novità principali: del reclutamento e della
formazione dei dipendenti si occuperanno la Scuola superiore
della p.a. (rinominata Scuola nazionale
dell'amministrazione) assieme all'Istituto diplomatico «Mario
Toscano», la Scuola superiore dell'economia e delle
finanze, la Scuola superiore dell'amministrazione
dell'interno, la Scuola di formazione e perfezionamento del
personale civile della difesa e la Scuola superiore di
statistica e di analisi sociali ed economiche, che insieme
costituiscono il Sistema unico del reclutamento e della
formazione pubblica; il dipartimento della funzione pubblica
elaborerà ogni anno il «Piano triennale previsionale di
reclutamento di dirigenti e funzionari nelle amministrazioni
dello stato anche a ordinamento autonomo e negli enti
pubblici nazionali»; il reclutamento dei funzionari e
dei dirigenti nelle amministrazioni statali, anche a
ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici,
avverrà per metà dei posti con il sistema unico di
reclutamento: obiettivo, concentrare, snellire e rendere più
economiche le procedure concorsuali, garantire l'eccellenza
dell'attività formativa generale, strutturare i corsi di
formazione in modo da assicurare il più elevato livello di
specializzazione professionale degli allievi, subordinare
l'assunzione degli allievi al superamento di prove
valutative che assicurino l'effettiva selezione dei più
meritevoli.
Per accedere al corso-concorso chi vuole diventare
funzionario dovrà avere laurea specialistica/magistrale o
diploma di laurea per i candidati non dipendenti pubblici e
laurea triennale per i dipendenti pubblici; svolgere nove
mesi di corso di cui i primi sei di formazione generale e i
successivi tre mesi di formazione specialistica svolta
presso le amministrazioni di destinazione degli allievi;
mentre per i dirigenti, il corso sarà di otto mesi più
quattro di formazione specialistica (articolo ItaliaOggi del
22.03.2013). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Non ancora adottati gli schemi quadro: insufficienti le
linee guida.
Anticorruzione al futuro.
Gli enti non devono adottare subito il piano.
Gli enti locali non devono adottare entro il 31 marzo il
primo piano triennale anticorruzione, quello che vale per il
triennio 2013/2015, in quanto non sono stati ancora adottati
né lo schema di piano nazionale da parte della Conferenza
unificata stato-regioni e autonomie locali né il piano per
le amministrazioni statali: la semplice adozione da parte
del comitato dei ministri competenti di generiche linee
guida non è sufficiente.
Il dettato del comma 60 della legge
190/2012 è infatti quanto mai chiaro: entro 120 giorni dalla
data di entrata in vigore della legge, cioè entro il 28
marzo, con intese da raggiungere in sede di Conferenza
unificata «si definiscono gli adempimenti, con l'indicazione
dei relativi termini, delle regioni e delle province
autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali volti
alla piena e sollecita attuazione delle disposizioni della
presente legge, con particolare riguardo: a) alla
definizione, da parte di ciascuna amministrazione, del piano
triennale di prevenzione della corruzione, a partire da
quello relativo agli anni 2013-2015, e alla sua trasmissione
alla regione interessata e al Dipartimento della funzione
pubblica».
Per cui il dettato normativo subordina l'adozione
del piano da parte delle regioni e degli enti locali alla
definizione di questa intesa. Né si può ritenere che la
semplice adozione di linee guida, per la verità assai
generiche, da parte del comitato dei ministri possa essere
sostitutivo delle indicazioni che devono essere dettate
dalla Conferenza unificata.
Nel frattempo la Civit, con la
delibera 13.03.2013 n. 15/2013, ha
chiarito -si fa per dire- che il responsabile
anticorruzione deve essere nominato da parte del sindaco o,
se l'ente lo ritiene opportuno, da parte della giunta o del
consiglio. Con tale presa di posizione ci viene detto che
comunque è necessario provvedere alla nomina di tale
soggetto, fermo restando che esso è di regola individuato
dalla stessa disposizione nel segretario. Per cui non si può
ritenere sufficiente la semplice individuazione effettuata
da parte del legislatore, ma occorre un atto dell'ente.
Ricordiamo che il legislatore non fissa un termine per la
nomina del responsabile da parte delle singole
amministrazioni, ma si deve ritenere sulla scorta della
circolare della Funzione pubblica n. 1/2013, che ciò debba
avvenire «rapidamente» e comunque in tempi utili per
consentire al responsabile di avviare le proprie attività.
La Civit ha espresso l'avviso che «il titolare del potere di
nomina del responsabile della prevenzione della corruzione
va individuato nel sindaco... salvo che il singolo comune,
nell'esercizio della propria autonomia normativa ed
organizzativa, riconosca alla giunta o al consiglio una
diversa funzione».
A sostegno di questa tesi due argomenti
condivisibili: il segretario è individuato dal sindaco e
spetta a questo soggetto il conferimento degli incarichi
dirigenziali. Di conseguenza la competenza alla approvazione
del piano anticorruzione dovrebbe spettare anche al sindaco,
visto che la legge parla in ambedue i casi di organo di
indirizzo politico. La deliberazione non invece è affatto
condivisibile nella parte in cui lascia all'autonomia dei
singoli enti la possibilità di derogare a tale indicazione.
Essa dimentica di individuare quale debba essere il soggetto
che sceglie la eventuale deroga e, soprattutto, non tiene
conto del fatto che il dlgs n. 267/2000 -e per molti aspetti
anche la Costituzione- non lascia alla autonomia dei singoli
enti la ripartizione delle competenze tra gli organi degli
enti locali, ma prevede che questa materia sia riservata in
modo esclusivo alla competenza legislativa nazionale
(articolo ItaliaOggi del
22.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Delibere, responsabilità a 360 gradi. I pareri
contrari non si riverberano solo sugli organi di governo
politico.
I pareri contrari sulle delibere non scaricano la
responsabilità per la loro esecuzione solo sugli organi di
governo degli enti locali.
La recente riforma apportata al sistema dei controlli dal dl
174/2012, convertito in legge 213/2012 presenta un evidente
«buco», difficile da colmare.
La nota stonata riguarda la modifica all'articolo 49 del
dlgs 267/2000, il cui nuovo comma 4 stabilisce che «ove la
giunta o il consiglio non intendano conformarsi ai pareri di
cui al presente articolo, devono darne adeguata motivazione
nel testo della deliberazione».
Tale disposizione per un verso conferma che i pareri di
regolarità tecnica e contabile sulle proposte di
deliberazione sono obbligatori ma non vincolanti. Consigli e
giunte, cioè, possono superarli, specificando espressamente
le ragioni in base alle quali ritengono di non dover tenere
conto delle indicazioni contenute nei pareri. L'articolo 49
citato non lo afferma espressamente, ma dovrebbe risultare
chiaro che le controdeduzioni di giunta e consiglio
dovrebbero essere simmetriche a quelle dei pareri e, dunque,
riguardare gli aspetti tecnici e contabili. È facile,
tuttavia, immaginare che organi politico-amministrativi
cadano nella tentazione di esprimere il loro diverso avviso
rispetto ai pareri, basandosi su ragioni non tecniche ma
«politiche» di opportunità. Il che apre le prime crepe nella
riforma.
Infatti, non si capisce quali conseguenze vi siano
nell'ipotesi in cui gli organi di governo approvino comunque
proposte di deliberazioni con pareri contrari di regolarità
tecnica e contabili, specie in particolare se le
controdeduzioni non siano in grado di avversare i pareri sul
piano strettamente tecnico.
L'assenza di regolarità tecnica e contabile può evidenziare
illegittimità delle scelte o valutazioni di merito
fortemente negative e, comunque, segnalare conseguenze
negative sia di natura finanziaria, sia patrimoniale, come,
per esempio effetti negativi sul patto di stabilità o sui
tantissimi vincoli di spesa posti all'azione degli enti
locali.
È evidente che consiglio e giunta, approvando comunque la
proposta, si addossano una rilevante responsabilità
amministrativa e contabile. Tuttavia, rimane insoluto il
problema delle responsabilità discendenti dall'attuazione
delle delibere corredate da pareri tecnico-contabili
negativi, in quanto l'adozione degli atti esecutivi
costituisce, a ben vedere, l'avverarsi delle illegittimità e
degli effetti dannosi. La responsabilità, dunque, finisce
per spostarsi, o comunque, aggiungersi, nei confronti dei
dirigenti o responsabili di servizio.
Possono verificarsi, a questo punto, paradossali situazioni
di stallo. Un esempio per tutti è dato dalle deliberazioni
di competenza della giunta con le quali si danno gli
indirizzi per la stipulazione dei contratti collettivi
decentrati, tema delicatissimo, in quanto spesso tali
contratti contengono clausole in contrasto con i limiti e
vincoli posti dalla legge e dalla contrattazione nazionale
collettiva. I pareri di regolarità tecnica e contabile
dovrebbero mettere in luce, allora, tali contrasti, che per
altro, comportano la nullità assoluta delle clausole.
Eppure, la giunta potrebbe superare il parere, con
motivazioni ovviamente di alta opportunità. In questo caso,
è l'articolo 40, comma 3-quinquies, del dlgs 165/2001 a
fornire la risposta: le clausole sono e restano nulle, a
prescindere dalla deliberazione e, comunque, «non possono
essere attuate». Vi è un divieto assoluto a dare corso alla
decisione politica. L'attuazione di simile delibera, con la
stipulazione del contratto decentrato e l'esecuzione delle
clausole comporterebbe la certa responsabilità anche dei
dirigenti e responsabili che vi diano corso.
Ma, simili responsabilità discenderebbero anche da
situazioni meno regolate da norme particolari. In effetti,
risulta complicato per il dirigente che ha espresso
contrarietà tecnica attuare la contraria decisione
dell'organo di governo; allo stesso modo, sarebbe complicato
per il responsabile del servizio finanziario apporre i visti
di regolarità contabile ad atti di spesa esecutivi di una
decisione prima qualificata come dannosa.
La norma rischia, dunque, di aprire un contenzioso molto
forte tra dirigenza ed organi di governo, in quanto, a
stretto rigore, la prima dovrebbe astenersi dall'eseguire
gli atti. O, comunque, innescare un contenzioso ancora più
inestricabile davanti alla Corte dei conti, se il
legislatore non stabilirà al più presto il regime di
responsabilità conseguente all'approvazione ed esecuzione di
deliberazioni connotate dai pareri contrari
(articolo ItaliaOggi del
22.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Il
caso della litispendenza dell'amministratore verso l'ente.
Incompatibilità in aula.
Il Consiglio esamina le cause ostative.
L'esistenza di una litispendenza di un amministratore locale
nei confronti dell'ente costituisce una causa di
incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 4 del dlgs n.
267/2000?
L'art. 63, comma 1, del decreto legislativo 267/2000
individua le cause ostative all'espletamento del mandato
elettivo.
In particolare l'articolo 63, comma 1, n. 4, del decreto
legislativo 267/2000 dispone che non può ricoprire la carica
di sindaco, presidente della provincia, consigliere
comunale, provinciale o circoscrizionale colui che ha lite
pendente in quanto parte di un procedimento civile od
amministrativo, rispettivamente con comune o provincia.
La Corte di Cassazione, con giurisprudenza costante, ha
evidenziato che per la sussistenza della predetta causa di
limitazione all'espletamento del mandato elettivo è
necessario far riferimento al concetto tecnico di parte in
senso processuale. Le parti del processo, anche in assenza
di una espressa definizione legislativa, sono univocamente
individuate, in dottrina e in giurisprudenza, in quei
soggetti i quali, a seguito del compimento di determinati
atti processuali (proposizione della domanda, costituzione
nel processo), assumono la qualità e la conseguente
titolarità di una serie di poteri e facoltà processuali.
La Suprema corte ha precisato che il concetto di «parte» del
giudizio ha portata essenzialmente processuale e non è,
quindi, riferibile alla diversa figura del «soggetto
interessato all'esito della lite per le ricadute
patrimoniali che possano derivargliene».
Il predetto concetto, pertanto, non può essere esteso a
tutti coloro che potrebbero trarre vantaggio da una
pronuncia giurisdizionale, in quanto si aprirebbe il varco
ad una compressione ingiustificata del diritto
costituzionalmente garantito di ricoprire una carica
amministrativa.
Tale orientamento, volto a salvaguardare il più generale
principio della tassatività delle ipotesi di ineleggibilità
ed incompatibilità, è confermato dalla giurisprudenza della
Suprema corte (Cass. civ. sez. I, 19/05/2001, n. 6880; Corte
cost., sent. 240/2008).
Ancora, si osserva che l'art. 69 del dlgs n. 267/2000 -in
conformità al principio generale secondo cui ogni organo
collegiale deve deliberare, innanzitutto, sulla regolarità
dei titoli di appartenenza dei propri componenti-
attribuisce al consiglio comunale, che ne è responsabile,
l'esame delle cause ostative all'espletamento del mandato
secondo la procedura dettata dallo stesso art. 69, che
garantisce comunque il corretto contraddittorio tra organo e
amministratori, assicurando a questi ultimi l'esercizio del
diritto di difesa e la possibilità di rimuovere entro un
congruo termine la causa d'incompatibilità contestata
(articolo ItaliaOggi del
22.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
TRIBUTI: Tributi
locali. Basta che lo preveda il Prg - Non servono i
documenti attuativi.
Per l'Imu l'area è edificabile anche se non si può costruire.
La qualifica di area edificabile ai fini dell'Imu prescinde
dalle concrete possibilità di sfruttamento edificatorio del
suolo e deriva esclusivamente dall'inclusione del bene
nell'ambito dello strumento urbanistico generale.
La nozione di area edificabile nell'ordinamento tributario è
sancita nell'articolo 36, comma 2, Dl n. 223/2006. A mente
di tale disposizione, sono edificabili tutte le aree così
qualificate dallo strumento urbanistico generale, anche solo
adottato dal comune, a prescindere dall'esistenza dello
strumento attuativo. Ciò significa che ai fini fiscali la
qualificazione in esame discende da criteri meramente
formali (l'inclusione nel piano regolatore), più che
sostanziali. Potrebbe quindi accadere, come nel caso
proposto dal lettore, che sia considerata edificabile anche
un'area sulla quale non è possibile al momento costruire
assolutamente nulla.
Alla luce di questi principi di diritto, dunque, il terreno
in possesso del lettore deve essere trattato come
edificatorio per l'Imu. La circostanza che l'indice di
edificabilità sia basso, inoltre, non comporta che una quota
del bene possa essere trattata come terreno agricolo, ma che
il valore unitario dell'intera area edificabile sia
determinato in ragione delle effettive condizioni
urbanistiche.
In altri termini, posto che l'imponibile Imu è pari al
valore di mercato al primo gennaio di ciascun anno, ne
discende che tale valore dovrà essere influenzato sia
dall'effettivo indice di edificabilità sia dalle prospettive
temporali di costruzione. È infatti evidente che se il tempo
per la monetizzazione dell'investimento è piuttosto lungo il
valore del bene non potrà essere elevato. Lo stesso dicasi
se le possibilità di costruzione non consentono uno
sfruttamento intensivo del bene.
Vale da ultimo segnalare che il comune ha solo il potere di
indicare valori di orientamento per i contribuenti ma non di
determinare la base imponibile dell'imposta. La
determinazione dell'imponibile, infatti, è riservata al
legislatore statale. Questo significa che se il contribuente
ritiene eccessivo l'importo deliberato dal comune egli potrà
discostarsene. In caso di successivo contenzioso con l'ente,
si potranno far valere le ragioni di parte, meglio se
supportate da una perizia di un esperto.
Si evidenzia peraltro che, in presenza di una dichiarazione
infedele, il comune irroga la sanzione dal 50% al 100%
dell'imposta dovuta. Il termine per la notifica degli avvisi
di accertamento è il 31 dicembre del quinto anno successivo
a quello in cui è stata commessa la violazione
(articolo Il Sole 24 Ore del
22.03.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Ambiente.
Il decreto del ministro Clini individua l'iter per far
ripartire la tracciabilità dei rifiuti.
Riavvio scaglionato per il Sistri.
Primi obblighi dal 1° ottobre - Niente contributo per il
2013.
Il Sistri, sistema di tracciabilità digitale del ciclo
rifiuti, riparte dal punto in cui era rimasto "congelato" lo
scorso anno. Il decreto dell'Ambiente, annunciato mercoledì
scorso dal ministro Corrado Clini prevede infatti la
ripartenza scaglionata secondo criteri di pericolosità dei
rifiuti (e di grandezza delle imprese), e di conseguenza il
regime di doppio binario "carta+digitale" nella gestione
amministrativa aziendale durante il periodo di transizione.
Transizione che riprenderà già dal 30 aprile, quando per le
prime imprese chiamate al nastro di partenza (cioè Sistri
dal 1° ottobre prossimo) scatteranno le verifiche
sull'aggiornamento dei software e delle dotazioni
tecnologiche già acquistate e installate –tra mille
polemiche– nel 2011. Il 30 settembre l'analoga verifica
riguarderà tutte le altre imprese. Le aziende che trattano
rifiuti non pericolosi, esonerate da questa prima fase,
potranno in ogni caso utilizzare il Sistri su base
volontaria già dal 1° ottobre prossimo.
Capitolo tassazione. Nel decreto è previsto l'esonero del
pagamento del contributo Sistri anche per tutto il 2013 –ribadendo così la sospensione dell'anno precedente– ma
nulla è previsto sia per la ripresa del pagamento del
servizio (2014?), sia soprattutto per l'eventuale recupero
del biennio 2012/2013. Il timore degli operatori interessati –a regime le imprese coinvolte da Sistri saranno circa
400mila– è che alla ripresa della tassazione possa scattare
anche il recupero delle somme rimaste congelate dal triplo
mancato avvio del sistema digitale di tracciabilità dei
rifiuti. Per le imprese di trasporto con decine di mezzi –solo a titolo di esempio– l'eventuale recupero impositivo
sarebbe tutt'altro che simbolico.
Intanto, in vista della ripartenza della fase di verifica
della struttura informatica Sistri, il ministero intende
implementare la prassi di condivisione con il mondo
imprenditoriale. Dopo aver chiamato Confindustria per la
presentazione anticipata della "road map" prevista dal
decreto Clini, al ministero hanno fissato un nuovo giro di
incontri con il resto del mondo delle aziende, a partire
dalla prima settimana di aprile. Secondo Clini «il grande
rilievo che abbiamo voluto dare alla collaborazione con le
imprese si vede anche nei sei mesi che ci separano
dall'avvio del sistema per i produttori di rifiuti
pericolosi. L'obiettivo di questa fase è anche eliminare le
pesantezze burocratiche avvertite come un limite del
progetto».
Un approccio e una dichiarazione di intenti già
apprezzati da Confindustria nelle parole del direttore
generale, Marcella Panucci: «Ci sono state fornite
particolari garanzie per lo spazio alla formazione degli
operatori, per l'allineamento dei software e dei manuali
alla normativa, per la possibilità di operare off–line
nonché per una forte semplificazione degli obblighi
informativi relativi all'azienda». Impegni e obiettivi che
hanno una dead-line il 30 settembre, data del primo, vero
debutto di Sistri dopo tre false partenze.
«La decisione del
ministro –continua Panucci– allontana il momento
dell'avvio del Sistri e consente di avere i tempi per
affrontare e superare i problemi, anche rilevanti, che
ancora sono sul tavolo e preoccupano le imprese. I prossimi
mesi saranno quindi fondamentali per definire gli strumenti
e le soluzioni alle criticità da noi individuate».
Secondo Rete Imprese Italia, il Sistri va «integralmente
riprogettato e sostituito con un nuovo sistema di
tracciabilità dei rifiuti pericolosi che risponda a criteri
di efficienza, trasparenza, economicità e semplicità».
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Il provvedimento. Trasmissione a tappe.
L'obiettivo diventa la semplificazione.
IL QUADRO/ La premessa del testo richiama la necessità di individuare
le misure per rendere la gestione meno complessa.
Il Sistri scalda i motori e prepara il suo avvio dal 01.10.2013 (per i rifiuti pericolosi e produttori più
grandi) e dal 01.03.2014 per gli altri soggetti
obbligati. Un avvio che passa attraverso due fasi:
riallineamento e operatività.
Sul fronte del riallineamento, il calendario inizia il suo
conto alla rovescia già dal prossimo 30 aprile. I contributi
sono sospesi anche per il 2013 (avrebbero dovuto essere
pagati entro il prossimo 30 aprile). Sono questi i contenuti
operativi essenziali dello schema di decreto che il ministro
dell'Ambiente, Corrado Clini, ha annunciato l'altro ieri
nella home-page del sito del ministero.
La dinamica dello schema di decreto prevede un avvio
progressivo del Sistri, articolato in due fasi distinte:
riallineamento e operatività. La fase del riallineamento è
fondamentale e si annuncia densa di attività perché è in
questa fase che il Sistri è ridisegnato e corretto. Ancora
in questa fase le imprese devono verificare l'attualità dei
dati e delle informazioni già trasmessi al Sistri. Il Sistri
chiama all'appello soprattutto in ragione della pericolosità
o meno dei rifiuti. Infatti, i primi obbligati a usarlo sono
i produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi con
oltre dieci dipendenti e (a prescindere dai dipendenti)
purché operino su rifiuti pericolosi: raccoglitori,
trasportatori, recuperatori, smaltitori, commercianti e
intermediari, terminalisti e imprese portuali, operatori
della logistica ferroviaria.
Costoro verificano l'attualità di dati e informazioni
trasmessi (se del caso aggiornandoli o riallineandoli) nel
periodo compreso tra il 30 aprile e il 30.09.2013 e
iniziano a usare il Sistri dal 01.10.2013. Tutti gli
altri soggetti obbligati, invece, procedono alla verifica
fra il 30.09.2013 e il 28.02.2014. L'uso
obbligatorio del Sistri per costoro decorre dal 03.03.2014. Ma, a livello volontario, potranno anticiparne l'uso
dal 01.10.2013.
In ogni caso, per un mese dopo le singole scadenze di avvio,
si ripropone il regime del “doppio binario” di
tracciabilità; infatti, secondo il Dm tutti gli obbligati
dovranno continuare a tenere i tradizionali registri e
formulari per i 30 giorni successivi alla data di
operatività del Sistri prevista per le diverse categorie di
operatori. Dalle date di operatività del Sistri prenderanno
vita una serie di articoli del Codice ambientale che non
sono ancora in vigore. Tra questi anche la nuova versione
degli articoli 190 (registro) e 193 (formulario) che
potrebbe creare più di un problema di coordinamento per
adempiere al “doppio binario” perché nella futura versione
delle norme i soggetti obbligati cambiano radicalmente.
I contenuti di dettaglio si affiancano a un impegno preciso,
messo nero su bianco nel preambolo dello schema di Dm, dove
i punti dolenti del sistema sono chiamati per nome e
cognome: infatti, si legge che per rendere efficace
l'operatività del Sistri, fin dalla prima fase di
riallineamento, occorre approfondire e individuare
necessarie misure di semplificazione, con particolare
riguardo all'anagrafica e alle modalità di trasmissione dei
dati. Il preambolo allo schema rassicura sulla necessità di
formare gli addetti e sulla partecipazione attiva delle
imprese, che si realizzerà anche rinnovando il Comitato di
vigilanza e controllo.
Il decreto era previsto dall'articolo 52, Dl 83/2012; le
misure previste dal Ministro Clini, allontanano scadenze più
immediate e danno il tempo per superare i problemi (non
tutti piccoli) che, ancora irrisolti, stanno sul tappeto.
Occorre, allora, un lavoro intenso da attivare subito perché
il 01.10.2013 non è lontano
(articolo Il Sole 24 Ore del
22.03.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Resuscita il Sistri.
Il sistema sarà operativo da ottobre. Dm
del ministro Clini. Il contributo 2013 resta sospeso.
Resuscita il Sistri. Il sistema di tracciabilità dei rifiuti
speciali e pericolosi sarà attivato dal 01.10.2013. Ma
solamente per i produttori di rifiuti pericolosi con più di
dieci dipendenti. E per enti e imprese che gestiscono
rifiuti pericolosi. Per tutte le altre attività, invece,
l'avvio del sistema è fissato per il 03.03.2014.
Parola del ministro dell'ambiente, Corrado Clini, che ha
fissato la tempistica in un decreto ad hoc.
In merito agli oneri gravanti sulle attività
imprenditoriali, invece, una nota del dicastero diffusa ieri
recita: «Il pagamento dei contributi di iscrizione al
sistema resterà sospeso per tutto il 2013».
Clini ha spiegato ieri di aver presentato «il progetto a
Confindustria che lo ha condiviso, apprezzando il grande
rilievo che abbiamo voluto dare alla collaborazione con le
imprese». Secondo il ministro, in quest'ottica «vanno letti
anche i sei mesi che ci separano dall'avvio del sistema per
i produttori di rifiuti pericolosi». L'obiettivo di questa
fase preparatoria, a sentire il dicastero dell'ambiente «è
anche quello di consolidare la collaborazione con le imprese
coinvolte e di eliminare le pesantezze burocratiche e
amministrative che sono state avvertite come un limite del
progetto».
La tempistica. Le procedure di verifica per l'aggiornamento
dei dati delle imprese saranno avviate a partire dal 30
aprile. E si concluderanno entro il 30 settembre.
Per queste attività il sistema di tracciabilità dei rifiuti
partirà ad ottobre.
Dal 30 settembre al 28.02.2014, invece, sarà
effettuata la verifica per tutte le altre imprese.
Resta comunque valido un principio: «Le imprese che trattano
rifiuti non pericolosi potranno comunque utilizzare il
Sistri, su base volontaria. E questa possibilità non
scatterà tra un anno o più, ma già dal primo ottobre
prossimo».
«Il sistema di tracciabilità dei rifiuti», ha chiosato il
ministro Clini, «è un adempimento che discende dalle leggi
nazionali e dalle direttive europee. E rappresenta un forte
strumento di lotta alle ecomafie, che sul traffico dei
rifiuti costruiscono affari causando enormi danni al
territorio e all'ambiente».
Clini ha anche rassicurato gli operatori circa
l'affidabilità del nuovo programma per l'avvio del Sistri:
«Ha superato le problematiche emerse in passato», ha detto
ieri. E ha aggiunto: «Confido possa rappresentare un
presidio di legalità e trasparenza per tutta la filiera dei
rifiuti»
(articolo ItaliaOggi del
21.03.2013). |
APPALTI:
Aziende in crisi con il Durc. L'ok dopo omologazione del concordato.
Sì al Durc all'azienda in crisi. L'impresa che fa ricorso al
concordato preventivo con continuità dell'attività
lavorativa, infatti, può ottenere la regolarità
contributiva, ma solo dopo l'omologazione del concordato da
parte del tribunale.
Lo precisa il Ministero del Lavoro
nella nota n. 4323/2013 di prot. rispondendo,
negativamente, alla richiesta dell'Ance sulla possibilità di
un'attestazione di regolarità contributiva anche nel periodo
intercorrente tra la pubblicazione del ricorso nel registro
delle imprese presso le camere di commercio e l'omologazione
del concordato presso il tribunale.
Interpello. I chiarimenti fanno seguito all'interpello n.
41/2012 (si veda ItaliaOggiSette del 18 febbraio) in cui il
ministero ha risposto affermativamente alla richiesta del
consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro di
sapere se è possibile rilasciare un Durc regolare alle
imprese in concordato preventivo con continuità
dell'attività lavorativa (articolo 186-bis della legge
fallimentare, rd n. 267/1942).
Il ministero in particolare
ha basato la risposta sul fatto che l'ammissione alla
procedura comporta per l'azienda la sospensione ex lege
delle situazioni debitorie sorte antecedentemente al
deposito della relativa domanda e la conseguente preclusione
delle azioni esecutive dei creditori.
In altre parole,
determina una situazione che per il ministero rientra nel
campo di applicazione della disciplina del Durc (nello
specifico nell'articolo 5, comma 2, lettera b, del dm 24.10.2007) nella parte in cui stabilisce che «la
regolarità contributiva sussiste inoltre in caso di
sospensione di pagamento a seguito di disposizioni
legislative».
Chiarimenti. Nella nota protocollo n. 4323/2013 il ministero
precisa che la predetta norma (articolo 5, comma 2, lettera
b), non trova applicazione «nell'intervallo di tempo tra la
pubblicazione del ricorso al registro delle imprese e
l'emanazione del decreto di omologazione del concordato
preventivo in continuità ex art. 186-bis» della legge
fallimentare.
Con la conseguenza, conclude il ministero, che
soltanto dopo l'avvenuta omologazione del piano di
ristrutturazione aziendale presso il tribunale potrà essere
emesso il Durc
(articolo ItaliaOggi del
21.03.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Ambiente.
Dal 1° ottobre in base a un decreto ministeriale.
Rifiuti pericolosi, ritorna la tracciabilità del Sistri.
CONFINDUSTRIA/ Il dg Marcella Panucci: «Abbiamo condiviso il
rinvio per avere il tempo di risolvere le criticità
evidenziate sin dal 2011»
Torna alla ribalta il Sistri, il sistema di tracciabilità
digitale dei rifiuti, il cui varo era già stato rinviato due
volte negli ultimi anni per le proteste -sui
malfunzionamenti della procedura– delle centinaia di
migliaia di imprese coinvolte.
Un decreto del ministro dell'Ambiente, Corrado Clini,
rilancia Sistri a partire dal 01.10.2013 per le aziende
produttrici di rifiuti pericolosi con più di dieci
dipendenti e per gli enti e le imprese che gestiscono
rifiuti pericolosi. Per tutte le altre imprese l'avvio del
sistema è fissato invece per il 03.03.2014.
Il pagamento dei contributi di iscrizione al sistema, uno
dei temi che avevano sollevato le proteste più vibranti
delle imprese –già costrette ad acquistare soluzioni
tecnologiche mai diventate operative e a versare le tasse
annuali del servizio– resterà però sospeso per tutto il
2013.
Dal 30 aprile e fino al 30 settembre partiranno le procedure
di verifica per l'aggiornamento dei dati delle imprese che
adotteranno Sistri dall'inizio di ottobre. Dal 30 settembre
al 28.02.2014 un'analoga verifica riguarderà tutte le
altre imprese. Le aziende che trattano rifiuti non
pericolosi, esonerate da questa prima fase, potranno
comunque utilizzare il Sistri su base volontaria dal 1°
ottobre prossimo.
«Ho presentato il progetto a Confindustria che lo ha
condiviso –ha dichiarato il ministro Corrado Clini–
apprezzando il grande rilievo che abbiamo voluto dare alla
collaborazione con le imprese. Vanno letti in quest'ottica
anche i sei mesi che ci separano dall'avvio del sistema per
i produttori di rifiuti pericolosi. Obiettivo di questa fase
preparatoria è anche quello di consolidare la collaborazione
con le imprese coinvolte ed eliminare le pesantezze
burocratiche e amministrative avvertite come un limite del
progetto».
Confindustria dal canto suo condivide il metodo ma
sottolinea che, prima del nuovo avvio di Sistri, restano da
risolvere problemi tutt'altro che semplici. «Abbiamo
condiviso l'opportunità di un rinvio per avere il tempo
necessario a risolvere le criticità che il sistema
industriale ha evidenziato fin dal 2011 e ancora in queste
ultime settimane» ha detto il direttore generale Marcella Panucci, che sottolinea inoltre che «è certamente positivo
che il ministro abbia accolto la nostra richiesta di
sospendere il contributo dovuto per il 2013. Ci sono state
fornite particolari garanzie per lo spazio alla formazione
degli operatori, l'allineamento dei software e dei manuali
alla normativa, la possibilità di operare off–line nonché
una forte semplificazione degli obblighi informativi
relativi all'azienda. La decisione del ministro allontana il
momento dell'avvio del Sistri e consente di avere i tempi
per affrontare e superare i problemi, anche rilevanti, che
ancora sono sul tavolo e preoccupano le imprese. I prossimi
mesi saranno quindi fondamentali per definire gli strumenti
e le soluzioni alle criticità da noi individuate»
(articolo Il Sole 24 Ore del
21.03.2013). |
TRIBUTI:
Acconto Imu 2013, vietato deliberare in ritardo
Per l'acconto Imu 2013 fa da spartiacque la data del 23.04.2013. Termine ultimo utile per i comuni con i conti
in ordine per deliberare le nuove aliquote per
l'appuntamento di giugno 2013. Se la delibera arriva in
ritardo è possibile che a giugno si dovranno usare le
aliquote in vigore nel 2012 e rimandare il tutto al 2014
anche per il saldo 2013 di dicembre.
È questo, secondo
quanto risulta a ItaliaOggi l'orientamento che potrebbe
prevalere nella stesura di un nuovo intervento di prassi del
dipartimento delle finanze sulla campagna Imu 2013.
Accantonate, dunque, tutte le promesse elettorali, rimaste
sulla carta, la macchina organizzativa si è già messa in
moto iniziando a verificare i tempi di approvazione delle
delibere con i tempi di approvazione concessi ai comuni non
in regola con i conti e quelli invece in equilibrio.
È previsto infatti un doppio binario per i comuni che
presentano conti in squilibrio e per i comuni con i conti in
ordine in relazione al calendario di approvazione delle
delibere Imu.
Nel primo caso i comuni hanno tempo fino al 30.09.2013 per deliberare sui propri conti e in merito anche all'Imu.
Mentre i comuni con i conti in ordine devono fare
riferimento al termine del 23 aprile per approvare le
eventuali correzioni alle aliquote. L'orientamento che
potrebbe essere recepito nella circolare del dipartimento,
secondo quanto risulta a ItaliaOggi, in riferimento ai
comuni con i conti in squilibrio, che deliberano tra il
primo maggio e il 30 settembre, è quello di andare a far
pagare a giugno con le aliquote Imu in vigore nel 2012 e a
dicembre applicare una sorta di conguaglio 2013.
Discorso diverso e con i tempi più stretti per i comuni con
i conti in ordine. Per questi ultimi infatti arrivare con
una delibera successiva al 23 aprile sforando il termine del
primo maggio significherebbe precludersi la possibilità di
applicare variazioni di aliquota per l'Imu 2013. Se ne
riparlerebbe infatti nel 2014.
È questa una linea interpretativa che troverebbe il consenso
della consulta dei Caf (centri di assistenza fiscale) che
per esigenze organizzative e rispetto ai tempi normativi
prendono come riferimento la decorrenza del 1° maggio per
avviare la propria campagna di analisi delle delibere e
preparazione dei bollettini di versamento e assistenza ai
contribuenti. Ma i nodi da sciogliere sulla campagna Imu
2013 non finiscono qui. Intanto nel puzzle degli adempimenti
sulla dichiarazione Imu manca all'appello il codice tributo
per chi è arrivato oltre il termine del 4 febbraio e vuole
ravvedersi.
Nella pratica dunque non è ancora possibile
applicare il ravvedimento operoso per la dichiarazione Imu.
Resta poi sul tappeto un'altra questione non da poco: alla
consulta dei Caf sono arrivate segnalazione di comuni che
vorrebbero far pagare l'Imu seconda casa limitatamente alla
stanza che il privato, nella propria abitazione dove ha la
residenza, ha affittato. Non considerando che ai fini Imu il
requisito è quello della residenza e non quello reddituale
(articolo ItaliaOggi del
20.03.2013). |
CONDOMINIO: Riforma
del condominio. La delibera di nomina dovrà essere adottata
con la maggioranza degli intervenuti e almeno 500 millesimi.
Rinnovo tacito per l'amministratore.
Per allontanarlo occorrono la revoca o il diniego espresso
dall'assemblea a fine mandato.
I DOCUMENTI/
Non è applicabile alla conferma automatica la regola di
comunicare ogni volta i propri dati anagrafici.
La riforma del condominio prevede che «l'incarico di
amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato
per eguale durata» (articolo 1129, comma 10, primo periodo).
In sostanza, una formula di compromesso fra chi voleva
mantenere la durata di un anno e chi voleva invece portarla
(fra cui il Senato, in prima lettura) a due. Ma, in pratica,
cosa significa la formulazione della norma?
Punto di partenza dell'interpretazione è che la riforma
conferma in un anno la durata (certa) dell'incarico di
amministratore. Questo, salvo rinnovo (tacito). Salvo -quindi- che i condomini manifestino una volontà contraria a
tale rinnovo. In sostanza, se l'assemblea condominiale non
approvi una delibera di "diniego di rinnovazione" (mutuando
l'espressione dalla normativa delle locazioni).
La delibera in questione dovrà essere adottata -deve
ritenersi- con la stessa maggioranza prevista per la nomina
e la revoca dell'amministratore (articolo 1136, comma 4) e
quindi con un numero di voti che rappresenti la maggioranza
degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio:
ciò, sia in prima che in seconda convocazione, dato il
tenore -preciso e incondizionato: "sempre" approvate-
della precitata disposizione di cui all'articolo 1136, e
sempre fermi per la loro valenza generale (stesso articolo)
i quorum costitutivi assembleari (rispettivamente, per la
prima e seconda convocazione) di cui al primo (tanti
condomini che rappresentino i due terzi del valore
dell'edificio intero e la maggioranza dei «partecipanti al
condominio») e al terzo comma (tanti condomini che
rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero
edificio e un terzo dei «partecipanti al condominio») del
medesimo articolo or ora citato. L'assemblea per la delibera
di "diniego di rinnovazione", dal canto suo, potrà essere
eventualmente convocata da (o a richiesta di) due condomini
(articolo 66, comma 1, delle disposizioni di attuazione del
Codice) e dovrà essere tempestivamente comunicata -e
comunque, prima della scadenza annuale- all'amministratore
(che, in ogni caso, potrà anche prenderne formalmente atto -quindi, a verbale- in sede di assemblea).
Non si ritiene automaticamente applicabile all'assemblea in
parola (e, quindi, salvo espressa deliberazione favorevole e
previo suo inserimento all'ordine del giorno dell'assemblea
stessa) quanto previsto dal secondo periodo dell'articolo
1129, comma 10, e cioè la contestuale nomina -come in caso
di revoca o dimissioni- di un nuovo amministratore: questo,
per ragioni pratiche ma anche per tuziorismo, non
prevedendolo espressamente la norma (che si limita, appunto,
alla revoca o alle dimissioni). Al proposito, va infatti
sottolineato che il "diniego di rinnovazione" è istituto del
tutto diverso dalla "revoca", potendo solo la seconda
intervenire anche nel corso del mandato, così come precisato
-con l'espressione «in ogni tempo»- all'articolo 1129,
comma 11.
Ancora, deve dirsi che non si ritiene applicabile al rinnovo
tacito la disposizione che prevede che, «ad ogni rinnovo
dell'incarico», l'amministratore condominiale comunichi i
propri dati anagrafici e le altre informazioni di cui alla
stessa disposizione (articolo 1129, comma 2). Ciò,
naturalmente, sul presupposto che sia obbligo
dell'amministratore -come si ritiene- comunicare senza
ritardo a tutti i condomini ogni variazione che intervenga,
nei dati e nelle informazioni fornite, in corso di mandato.
Per completezza, va ricordato che -nelle assemblee di cui
s'è trattato, come in ogni altra- devono essere conteggiati
fra gli intervenuti anche i conferenti delega, mentre il
condomino proprietario di più unità immobiliari sarà da
conteggiarsi in ragione di un intervenuto. Va pure
ricordato, sempre in materia di assemblee, che i quorum
costitutivi devono sussistere al momento della costituzione
dell'assemblea, essendo ininfluente che alcuni condomini si
allontanino ad assemblea in corso, fino anche ad abbattere
il quorum necessario per il suo inizio
(articolo Il Sole 24 Ore del
20.03.2013). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: Incompatibilità
anche ai prescritti. Anticorruzione e Pa. Le istruzioni
della Civit.
IL PRINCIPIO/ I tempi lunghi dei processi non cancellano una
condanna precedente Resta lo stop all'accesso a uffici e
commissioni.
La prescrizione di una condanna nei primi gradi di
giudizio non cancella le incompatibilità dettate dalla legge
anticorruzione: di conseguenza, chi è per esempio incappato
in una condanna per un reato contro la pubblica
amministrazione e poi ha visto chiudersi il proprio iter
giudiziario per questioni di calendario, si vede comunque
chiudere le porte delle commissioni di concorso, di quelle
collegate agli appalti e degli uffici finanziari.
L'incompatibilità non riguarda solo chi ha maturato condanne
come dipendente, perché la nozione di «pubblici ufficiali»
richiamata dalla legge riguarda anche sindaci e assessori.
I due chiarimenti arrivano dalla Civit (delibera
07.03.2013 n. 14/2013), la commissione per
l'indipendenza e l'integrità delle amministrazioni
pubbliche, che in questo modo risponde a un quesito di un
ente pubblico.
Il caso prospettato alla commissione disegna in realtà una
storia processuale più complicata, in cui l'interessato si
era visto condannare in primo e secondo grado per abuso
d'ufficio, prima che la Cassazione annullasse la sentenza e
la Corte d'appello arrivasse alla sentenza di non doversi
procedere per l'intervento della prescrizione.
Il punto fondamentale, però, è dato dai princìpi generali
indicati dalla commissione per illustrare il fatto che,
anche in un caso come questo, il sistema di incompatibilità
introdotto dalla legge anti-corruzione funziona in pieno.
L'articolo 1, comma 46, della legge 190/2012
(anticorruzione) blocca una serie di nomine per chi abbia
ricevuto una condanna, «anche con sentenza non passata in
giudicato», per un reato contro la pubblica
amministrazione (capo I, titolo II, libro II del Codice
penale).
La sentenza di non doversi procedere a causa della
prescrizione, spiega la commissione, non può in sé «essere
considerata come una sentenza di condanna», ma non impedisce
che «precedenti condanne, venute meno per intervenuta
prescrizione, possano assumere rilievo». Il fatto è che
la legge anticorruzione vieta l'accesso a una serie di
compiti delicati «per ragioni di opportunità e cautela»
e in questa chiave tenere conto anche delle condanne
pronunciate all'interno di iter processuali poi sfociati
nella prescrizione «non contrasta con il principio
costituzionale di presunzione d'innocenza».
Anche chi ha vissuto un iter processuale di questo tipo,
quindi, viene interessato dalle griglie alzate dalla legge
anticorruzione: in particolare, l'incompatibilità riguarda
le commissioni di concorso (in tutti i ruoli, anche con
compiti di segreteria) per il reclutamento di personale
nelle Pubbliche amministrazioni, quelle relative agli
appalti di lavori, forniture e servizi, oltre agli organismi
che decidono la concessione di sovvenzioni o «vantaggi
economici di qualunque genere».
Ai condannati è preclusa inoltre la possibilità di avere
ruoli direttivi negli uffici finanziari e in quelli che si
occupano di acquisti
(articolo Il
Sole 24 Ore del 20.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
VARI: Il
comune risarcisce per l'autovelox galeotto.
Spetta al comune risarcire l'automobilista che ha perso la
tranquillità familiare a seguito dell'invio postale di una
multa per autovelox completa di un fotogramma galeotto. Le
conseguenze dannose dell'operato dei vigili ricadono infatti
sempre in capo all'amministrazione locale e non certo allo
stato.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. I civ., con la
sentenza 28.02.2013 n. 5023.
La vicenda trattata dai giudici del Palazzaccio ha inizio
con un verbale per eccesso di velocità accertato con uno
strumento elettronico dai vigili di un comune del
comprensorio bolognese. Dopo la consegna postale della multa
alla moglie, con allegato il fotogramma dell'infrazione,
l'interessato ha richiesto la condanna del comune per
violazione della legge sulla privacy.
Nel fotogramma infatti, specifica la sentenza, risultava
visibile il proprietario del veicolo in compagnia di
un'altra persona di sesso femminile con comprensibili
conseguenti difficoltà familiari in capo all'intestatario
della multa. Mentre il tribunale di Bologna ha riconosciuto
la responsabilità del primo cittadino, la Corte d'appello ha
ribaltato la questione evidenziando che il sindaco in tal
caso avrebbe agito quale organo dello stato esonerando
quindi il comune da impegni patrimoniali. La Cassazione è di
contrario avviso.
Tutto l'operato della polizia municipale anche in materia di
controlli stradali è ascrivibile all'ente di appartenenza
degli agenti. Il ministero dell'interno, in qualità di
organo di coordinamento dei servizi, può dirigere e
predisporre l'attività della polizia stradale ma non certo
delimitare le competenze dei vigili urbani, regolate dalla
legge 03.07.1986, n. 65 con riferimento all'intero
territorio dell'ente di appartenenza. Le conseguenze dannose
dell'agire degli agenti devono quindi essere ricondotte al
datore di lavoro comunale e non allo stato. Nel caso in
specie spetterà al giudice di rinvio giudicare
definitivamente per la qualificazione del danno subito dallo
sfortunato trasgressore.
Di certo l'invio postale dei fotogrammi con le multe è una
pratica sconsigliata da tutte le indicazioni operative
diramate dal Viminale alla polizia stradale
(articolo ItaliaOggi del
19.03.201). |
TRIBUTI: Il terreno incolto non paga Imu.
Va invece versata l'Irpef sulla base del reddito dominicale. Le
risposte ai temi dei lettori. La tassa locale non è dovuta
nelle zone montane e collinari.
DOPPIO VANTAGGIO/
I fabbricati rurali a uso strumentale non scontano il
tributo locale ma neppure quello sui redditi.
I terreni incolti di collina e di montagna, essendo esenti
dall'imposta municipale, scontano l'Irpef; la precisazione è
contenuta nella
circolare 11.03.2013 n. 5/E dell'agenzia delle Entrate.
Il quadro normativo è quello dell'articolo 8 del Dlgs
23/2011, in base al quale gli immobili soggetti all'imposta
municipale, se non locati, non devono assolvere l'Irpef
sulla rendita fondiaria. Si ricorda che tale agevolazione si
applica ai titolari di redditi fondiari e quindi soltanto
alle persone fisiche e alle società semplici; questa
agevolazione si concretizza per la prima volta nella
prossima dichiarazione dei redditi Unico 2013.
Qualora invece questi immobili usufruiscano di qualche
esenzione dall'imposta municipale ricadono
nell'assoggettamento a Irpef. È proprio il caso dei terreni
agricoli situati in zone di collina e di montagna (circolare
n. 9 del 14.06.1993) i quali, ai sensi dell'articolo 7
del Dlgs 504/1992, sono esclusi dall'imposta municipale.
Quindi per questi terreni i proprietari devono assolvere
l'Irpef sul reddito dominicale rivalutato dell'80 per cento.
La stessa regola vale per i terreni incolti, per i quali la
circolare n. 3/DF/2012 ha previsto in generale
l'assoggettamento all'imposta municipale. Tuttavia, se tali
terreni sono collocati in collina o in montagna scatta
l'esclusione dall'Imu in quanto non costituiscono una
categoria autonoma di immobili ma appartengono alla
categoria dei terreni agricoli (non essendo né aree
edificabili né fabbricati).
Sul tema è illuminante la circolare 5/E/2013 che, citando la
risposta fornita dal governo a un'interrogazione
parlamentare, ha ribadito l'esclusione da Imu per i terreni
incolti collocati in collina o in montagna.
In particolare in questa circostanza il ministero delle
Finanze ha precisato che, ancorché letteralmente l'articolo
7 del Dlgs 504/1992 preveda l'esenzione per i soli terreni
agricoli, l'interpretazione corretta è quella basata su una
lettura sistematica della norma.
Ciò porta a far rientrare nell'ambito di applicazione
dell'esenzione dall'imposta municipale, disposta per i
terreni ricadenti in aree montane o in zone collinari, anche
i terreni non coltivati. A parere del Ministero questo
orientamento risulta altresì confermato dalle istruzione
alla compilazione alla dichiarazione Imu (paragrafo 3.2) ove
viene decretata l'esenzione per i tutti i terreni ricadenti
in territori montani o collinari senza più far riferimento
ai soli terreni agricoli.
Ne deriva che l'intento del legislatore non può che essere
quello di escludere dall'assoggettamento all'imposta anche i
terreni incolti.
Quindi i terreni non coltivati situati in collina e in
montagna per effetto della esclusione da Imu devono
assolvere l'Irpef. Si ricorda tuttavia che ai sensi
dell'articolo 31 del Tuir, in presenza di mancata
coltivazione per un'intera annata agraria e per cause non
dipendenti dalla tecnica agraria, il reddito dominicale si
assume nella misura del 30% mentre il reddito agrario non
concorre a formare il reddito complessivo.
Doppia esenzione, invece, per i fabbricati rurali a uso
strumentale di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del Dl
557/1993 situati in comuni classificati montani o parzialmente
montani, di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto
dall'Istat. In questo caso le costruzioni rurali che sono
esenti da Imu non assolvono nemmeno l'Irpef, alla luce
dell'esclusione a regime da imposizione diretta contenuta
nell'articolo 42 del Tuir
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.03.2013). |
TRIBUTI:
L'Imu distingue coniugi e non.
Imposta a carico dell'assegnatario ma non del convivente. Diversi i trattamenti di tributo e bonus per
separati-divorziati rispetto a famiglie di fatto.
L'Imu distingue le coppie sposate da quelle di fatto.
Diverso è, infatti, il trattamento per i coniugi separati o
divorziati ai fini del pagamento dell'Imu rispetto alle
famiglie di fatto. Normalmente è il possesso di diritto di
un immobile che obbliga al pagamento dell'imposta
municipale.
L'unica eccezione è rappresentata dal coniuge assegnatario
dell'immobile che, in base a quanto disposto dall'articolo
13 del dl «salva-Italia» (201/2011), è obbligato al
pagamento dell'Imu anche nei casi in cui non sia né
proprietario né titolare di altro diritto reale di godimento
sul bene.
Il legislatore, in sede di conversione del dl
16/2012, ha posto a carico del coniuge assegnatario
dell'immobile l'obbligo di pagare il tributo. L'articolo 4,
comma 12-quinquies, del dl sulle semplificazioni fiscali
prevede espressamente che, solo per l'Imu, l'assegnazione
della casa coniugale a favore di uno dei coniugi, disposta a
seguito di provvedimento di separazione legale,
annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili
del matrimonio, «si intende in ogni caso effettuata a titolo
di diritto di abitazione».
Ma molti contribuenti interessati alla questione si pongono
questa domanda: chi è debitore dell'Imu nel caso in cui il
giudice ordinario assegni l'immobile a uno dei conviventi,
che non sia il proprietario della casa familiare adibita a
propria residenza e dimora? Per famiglia di fatto si intende
l'unione tra due persone che, pur non avendo contratto
matrimonio tra loro, convivono more uxorio. Nonostante la
giurisprudenza ordinaria tenda a riconoscere alle coppie di
fatto gli stessi diritti assicurati dalla legge a quelle
sposate, anche volendo forzare il dato normativo non è
possibile ritenere che la disciplina Imu rivolta
espressamente al coniuge assegnatario, per quanto concerne
il soggetto obbligato al pagamento del tributo, possa essere
applicata al convivente assegnatario dell'immobile con
provvedimento giudiziale. La soggettività passiva, infatti,
deve essere stabilita solo ex lege e non può essere
attribuita attraverso interpretazioni estensive.
Pertanto,
laddove la norma individua come soggetto obbligato al
pagamento dell'Imu il coniuge assegnatario, non può
ritenersi che lo stesso trattamento giuridico possa valere
anche per il convivente assegnatario della casa familiare.
Del resto, per «coniuge» si intende ognuna delle due persone
che sono unite in matrimonio. Pertanto, il convivente
titolare dell'immobile è tenuto a pagare la nuova imposta
locale. Tra l'altro, non può neppure fruire del trattamento
agevolato per l'abitazione principale, considerato che
essendo l'immobile assegnato all'ex convivente non può
adibirlo a propria residenza e dimora abituale, come
richiesto dall'articolo 13. Così come non ha diritto alla
detrazione d'imposta per i figli affidati dal giudice al
convivente.
Soggetti passivi. L'Imu è dovuta dai contribuenti per anni
solari, proporzionalmente alla quota di possesso
dell'immobile e in relazione ai mesi dell'anno per i quali
il bene è stato posseduto. Se il possesso si è protratto per
almeno 15 giorni, il mese deve essere computato per intero.
Va precisato che la prova della proprietà o della titolarità
dell'immobile non è data dalle iscrizioni catastali, ma
dalle risultanze dei registri immobiliari. In caso di
difformità è tenuto al pagamento dell'Imu il soggetto che
risulta titolare da questi registri (Commissione tributaria
regionale del Lazio, prima sezione, sentenza 90/2006).
Quindi, per l'assoggettamento agli obblighi tributari non è
probante quello che risulti iscritto in catasto.
Oltre al proprietario e all'usufruttuario, sono soggetti
passivi anche il superficiario, l'enfiteuta, il locatario
finanziario, i titolari dei diritti di uso e abitazione,
nonché il concessionario di aree demaniali. Rientra tra i
diritti reali, poi, il diritto di abitazione che spetta al
coniuge superstite, in base all'articolo 540 del codice
civile. Non è soggetto al prelievo fiscale, invece, il nudo
proprietario dell'immobile. Allo stesso modo, non sono
obbligati al pagamento dell'imposta il locatario,
l'affittuario e il comodatario, in quanto non sono titolari
di un diritto reale di godimento sull'immobile, ma lo
utilizzano sulla base di uno specifico contratto. Che il
semplice possesso non obblighi al pagamento lo ha chiarito
la Cassazione (sentenza 18476/2005), per l'Ici, a proposito
del coniuge assegnatario dell'immobile, in caso di
separazione.
Secondo la Cassazione, se il giudice assegnava
in passato a un coniuge l'abitazione dell'ex casa coniugale,
il soggetto assegnatario non era tenuto al pagamento
dell'Ici. Il giudice non ha, infatti, il potere di
costituire diritti reali di godimento sull'immobile, quali
quelli di uso e abitazione, ma può decidere solo in ordine
all'attribuzione di un diritto personale sulla casa
familiare a favore di un coniuge. In base alla vecchia
normativa Ici, l'assegnatario aveva solo un diritto di
godimento del bene di natura personale e non reale. Solo per
l'Imu è stato posto a carico dell'assegnatario dell'immobile
l'obbligo di pagare il tributo.
Bisogna inoltre ricordare che l'utilizzo di un immobile o il
possesso di fatto non possono essere inquadrati
giuridicamente come diritto d'uso.
In base all'articolo 1021 del codice civile, chi è titolare
di questo diritto può servirsi della cosa che ne forma
oggetto e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti per
quello che è necessario ai bisogni personali.
L'uso, dunque, è un diritto reale di godimento che
attribuisce al titolare la facoltà di usare e godere della
cosa, in modo diretto, per il soddisfacimento di un bisogno
attuale e personale. Questo diritto viene costituito per
contratto, testamento o usucapione
(articolo ItaliaOggi Sette del
18.03.2013). |
APPALTI:
Gare, c'è un limite ai requisiti.
Da considerare la natura del contratto e il suo valore.
La giurisprudenza sul tema del potere discrezionale delle
stazioni appaltanti.
Il potere discrezionale della stazione appaltante nel
definire requisiti di gara ed elementi di valutazione delle
offerte deve essere esercitato tenendo conto della natura
del contratto e in modo proporzionato al valore dello
stesso. In ogni caso i requisiti non devono essere
manifestamente irragionevoli, irrazionali, sproporzionati,
illogici ovvero lesivi della concorrenza.
È quanto si deduce
dalla giurisprudenza del Consiglio di stato, che ha
affrontato il problema, delicato soprattutto in questa fase
di contrazione del mercato pubblico degli appalti, connesso
ai limiti dell'esercizio del potere discrezionale delle
stazioni appaltanti nella definizione dei bandi di gara.
Tutto parte dal fatto che l'Amministrazione ha la legittima
esigenza di gestire la gara in maniera che il concorrente
aggiudicatario risponda a livelli adeguati di affidabilità
tecnica, morale e finanziaria.
A tale riguardo si deve però muovere entro precisi confini
perché, intanto, è la normativa nazionale e comunitaria, in
materia di affidamento di servizi, forniture e lavori
pubblici, a definire quali debbano essere gli elementi di
valutazione da prendere in considerazione (nel caso dei
lavori si definiscono requisiti ad hoc soltanto oltre i 20
milioni come cifra d'affari globale; per il resto vale il
possesso dell'attestazione Soa). La questione assume rilievo
anche in relazione al fatto che la carenza dei requisiti di
partecipazione si traduce necessariamente nell'esclusione
dalla gara.
Intanto occorre ricordare che di recente il decreto-legge
95/2012 (conv. in legge 135/2012), per i requisiti di
fatturato nei servizi e nelle forniture, ha stabilito la
regola che essi sono illegittimi laddove non siano fissati
con idonea e congrua motivazione. Per tutti gli altri
requisiti i limiti si rinvengono nella normativa nazionale e
in quella comunitaria, nonché nella giurisprudenza
nazionale. Negli articoli 41 e 42 del Codice vengono
elencati alcuni elementi (sia per la capacità
economico-finanziaria che per quella tecnico-organizzativa)
utili a selezionare i concorrenti (elenco delle attività
svolte negli ultimi tre anni, bilanci, attrezzature ecc.)
senza fissare un range quantitativo entro il quale definire
i valori, cosa invece prevista nel settore dei servizi di
ingegneria e architettura (art. 263 del dpr 207/2010).
Non fissando i requisiti la normativa consente alle stazioni
appaltanti di fissare i limiti minimi senza vincoli formali
(a parte il caso dei servizi di ingegneria e architettura);
rimane poi anche la possibilità di fissare diversi requisiti
di partecipazione (le due norme del Codice dicono che la
capacità del concorrente può essere dimostrata «attraverso
uno o più dei seguenti modi»).
Cosa succede quindi quando la stazione appaltante definisce
requisiti eccessivi? La giurisprudenza del Consiglio di
stato ha ormai stabilito che la stazione appaltante può
mettere a punto i requisiti di partecipazione a una gara
(così come gli elementi di valutazione delle offerte)
definendone anche di più rigorosi o in numero maggiore
rispetto a quelli previsti dalla legge, ma ciò deve sempre
avvenire nel rispetto del canone di ragionevolezza e in modo
non discriminatorio. Laddove ciò non accade si finisce,
infatti, per determinare una situazione limitativa della
concorrenza, rendendo illegittima la lex specialis, cioè il
bando o l'avviso di gara. Per tutte si possono citare le
pronunce più significative: Consiglio di stato, sez. IV, 22.10.2004 n. 6972; Id., sez. V, 31.12.2003 n. 9305.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici
(determinazione 4/2012) ha avuto modo di sintetizzare
efficacemente il concetto precisando che i requisiti devono
essere fissati «tenendo conto della natura del contratto e
in modo proporzionato al valore dello stesso; in ogni caso
non devono essere manifestamente irragionevoli, irrazionali,
sproporzionati, illogici ovvero lesivi della concorrenza».
In particolare i requisiti ulteriori devono giustificati
dalla particolare natura del servizio da affidare o
dell'opera da realizzare .
Numerosi i casi presi in esame dal giudice amministrativo ed
efficacemente messi in risalto in diverse determinazioni
dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (per
tutte si veda det. 5/2010 e la giurisprudenza in essa
richiamata, e Comunicato 20/10/2010). Fra questi, a mero
titolo esemplificativo: le limitazioni territoriali (gara
aperta soltanto ai professionisti iscritti a un determinato
ordine provinciale), i requisiti analoghi esorbitanti, le
richieste di organico medio annuo sproporzionate (sei volte
le unità fissate), le richieste di esperienze pregresse così
specifiche da individuare esattamente il concorrente
affidatario.
Analogamente, anche per la fase di valutazione
delle offerte gli elementi di valutazione e i criteri
motivazionali devono rispondere alle caratteristiche
evidenziate e, soprattutto, consentire il sindacato
giurisdizionale amministrativo sotto il profilo della
logicità e coerenza rispetto alla natura dell'appalto. Non
è, per esempio, infrequente il caso di bandi di gara per
servizi che prevedono come criteri motivazionali elementi
specifici attinenti alla valutazione di particolari figure
professionali, inserite nell'offerta tecnica, e che
attribuiscano punteggi anche non di poco conto a elementi
come la vicinanza della sede del concorrente a quella della
stazione appaltante. Difficile in questo caso ritenere
congrue e logiche le scelte delle Amministrazioni
(articolo ItaliaOggi Sette del
18.03.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: I pannelli solari verso il riciclo totale. Fotovoltaico.
La scelta ai consorzi entro fine mese.
Per i pannelli fotovoltaici scocca l'ora del recupero e del
riciclo. La prima scadenza è fissata al 31 marzo, quando
produttori-importatori, distributori o installatori dovranno
aderire a un consorzio di smaltimento. Sarà questo soggetto
che tra 10-15 anni (per i moduli si stima una vita intorno
ai 20 anni) si farà poi carico di gestire l'intero processo
di recupero. Il titolare dell'impianto, a sua volta, è
tenuto a trasmettere l'attestato di adesione, messo a
disposizione dal produttore, al Gse (Gestore servizi
energetici). Il documento contiene una serie d'informazioni
minime come il modello del modulo e l'anno di adesione al
consorzio.
A questa prima fase sono interessati tutti gli impianti che
beneficiano del quarto o quinto conto energia, cioè tutti i
pannelli attivati dal 01.07.2012 in poi. Si tratta di
circa 20-25 milioni di moduli, secondo Francesco Trezza,
responsabile del Conto energia del Gse, per i quali i
produttori devono pagare al consorzio un corrispettivo
proporzionale ai moduli immessi sul mercato.
Il consorzio, a
garanzia dell'effettivo smaltimento dei moduli a fine vita,
versa su un fondo un contributo, che in questa fase d'avvio
non deve essere inferiore al valore che si ottiene
moltiplicando un euro per il peso del modulo e dividendo per
venti. In pratica il fee sarà di almeno un euro. Una volta
che il meccanismo sarà rodato ci sarà la totale
tracciabilità dei moduli attivi e il contributo previsto
dovrà coprire almeno i due terzi del costo totale sostenuto
dal consorzio l'anno precedente.
I contributi vengono accantonati in un trust vincolato allo
smaltimento dei pannelli (si veda Il Sole 24 Ore del 28.02.2013, pagina 19). Il Gse consiglia la legge
applicabile, indicandola in quella della Repubblica di San
Marino. Su questo punto Michele Zilla, direttore generale di
Cobat, è critico: «La gestione del trust secondo lo schema
elaborato dal Gse è onerosa per la molteplicità dei soggetti
coinvolti. Cobat invece aveva scelto di istituire un trust
con legge istitutiva delle isole di Jersey che permetteva l'autodichiarato».
I consorzi accreditati presso il Gse cercano di procurarsi
quanti più moduli saranno trattati tra 10-20 anni. «I
principali consorzi hanno fissato il fee a carico dei
produttori tra 1 e 1,5 euro ovvero tra i 50 e i 75 euro la
tonnellata -spiega Maurizio Maggi, responsabile della
divisione fotovoltaico del Consorzio Remedia-. Inoltre c'è
l'aspettativa che in un prossimo futuro l'evoluzione
permetterà di valorizzare l'intero pannello. Oggi invece
per smaltire dei pannelli si devono preventivare tra i 150 e
i 200 euro la tonnellata.
Vetro, alluminio e rame sono i materiali più facili da
ricavare dai moduli, ma la sfida è arrivare al riciclo
totale, dall'argento dei contatti al silicio delle celle. «I
primi test compiuti evidenziano un tasso di recupero del
90%», aggiunge Paolo Gianese, segretario generale del
Comitato Ifi-Industrie fotovoltaiche italiane.
«Esistono altri 50 milioni di moduli installati prima del
01.07.2012 per i quali non esiste alcun obbligo di
smaltimento a fine vita -ricorda Trezza-. Potranno essere
gestiti quando in Italia sarà recepita la revisione della
direttiva europea, in base alla quale i moduli fotovoltaici
diventeranno a tutti gli effetti dei Raee ed entreranno nel
sistema di recupero» (articolo Il Sole 24 Ore del
18.03.2013). |
CONDOMINIO: Condominio,
la riforma gioca d'anticipo.
Le regole saranno in vigore il 18 giugno ma già oggi si
possono preparare delibere e documenti.
INTRECCIO NORMATIVO/
L'impatto sarà diverso a seconda che l'edificio sia dotato
di un regolamento di tipo contrattuale o assembleare.
Applicazione delle disposizioni sulle parti comuni previste
dall'articolo 1117 del Codice civile anche in situazioni
come il supercondominio, in quanto compatibili
La riforma del condominio è già cominciata. O, meglio,
consente di giocare d'anticipo. Le nuove regole entreranno
in vigore il 18 giugno –fra tre mesi esatti–, ma fin da
subito i proprietari di casa e gli amministratori possono
cominciare a tenerne conto.
Vediamo qualche caso pratico. Chi vuole modificare la
destinazione d'uso delle parti comuni, per esempio
trasformando in parcheggio una parte del cortile o dando in
affitto la vecchia portineria in disuso, farà bene a
sbrigarsi, perché con la riforma servirà una maggioranza
rafforzata –e più difficile da raggiungere– pari a quattro
quinti dei condòmini e dei millesimi (si veda l'articolo a
destra).
Chi sta pensando di installare i pannelli solari
per produrre l'acqua calda destinata al proprio alloggio,
invece, può già iniziare a informare l'amministratore, che
avrà il tempo per suggerire eventuali alternative alla
collocazione sul tetto o comunque per convocare l'assemblea
e deliberare adeguate garanzie. E ancora, chi vorrebbe
acquistare un impianto comune di videosorveglianza può
iniziare a informarsi sui costi e a parlarne con gli altri condòmini: con la riforma il quorum scende (metà più uno
degli intervenuti in assemblea che rappresentino metà del
valore), mentre fino a oggi ci sono stati giudici che hanno
chiesto l'unanimità.
L'incrocio tra la riforma e le vecchie regole del Codice
civile del 1942 è in qualche modo inevitabile. Le nuove
norme, infatti, si applicheranno in toto ai condomini
costituitisi dal 18 giugno in poi, mentre per quelli già
esistenti bisognerà coordinarle con le disposizioni
regolamentari di ogni edificio, ferma restando la validità
delle disposizioni "contrattuali", preparate a suo tempo dal
costruttore e allegate al rogito o comunque adottate
all'unanimità.
La necessità di muoversi per tempo, invece, deriva dal fatto
che per sfruttare molte delle novità ci vogliono procedure
complesse e tempi lunghi. Pensiamo alla possibilità di
staccarsi dall'impianto di riscaldamento centralizzato. La
norma è decisamente criticabile, perché non tiene conto
delle direttive europee e delle disposizioni di settore per
il risparmio energetico (tant'è vero che ne è già stata
chiesta la modifica, si veda l'articolo in basso), ma è fuor
di dubbio che chi vuole sfruttarla deve attivarsi adesso.
Per arrivare in tempo alla prossima accensione autunnale
degli impianti, un condòmino potrebbe intanto farsi
predisporre da un tecnico una perizia per provare che dal
suo distacco non derivano aggravi dei costi né squilibri di
funzionamento per gli altri proprietari, informando nel
frattempo l'amministratore perché lo comunichi
nell'assemblea più vicina.
In altri casi è l'amministratore ad avere la possibilità di
anticipare la riforma, così da non farsi cogliere
impreparato. Per esempio, può redigere la tabella con i
giorni e gli orari di ricevimento e organizzarsi per
l'apertura di un conto corrente condominiale: due buone
prassi già abbastanza diffuse, ma non adottate ancora da
tutti. Inoltre, può convocare l'assemblea di fine mandato –ove possibile– per approvare i rendiconti e iniziare a
informare i condòmini morosi che con la riforma sarà
obbligato ad adire le vie legali entro sei mesi per il
recupero crediti, con la possibilità di sospendere
l'erogazione dei servizi in caso di gravi ritardi.
Altri adempimenti sono documentali, ma non per questo meno
importanti. L'amministratore può senz'altro iniziare a
raccogliere i dati dei condomini e dei documenti
tecnico-amministrativi e a predisporre i quattro registri
richiesti dalla riforma: registro dei verbali delle
assemblee, di nomina e revoca dell'amministratore, di
contabilità e di anagrafe condominiale. Non solo: potrebbe
anche iniziare a informarsi sull'opportunità di proporre ai
condòmini l'attivazione di un sito internet su cui
pubblicare in modo tempestivo e trasparente le informazioni
sulla gestione dell'edificio e sulle spese.
L'articolo 1117-bis sarà poi di grande aiuto per
disciplinare il supercondominio, figura giuridica frequente
nei complessi immobiliari costituiti da più edifici: in
questi casi, se manca una specifica regolamentazione, si
applicherà la normativa sul condominio, eliminando così ogni
dubbio. E se i partecipanti sono più di 60, ogni condominio
può già designare il proprio rappresentante (articolo Il Sole 24 Ore del
18.03.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Caldaie
e condizionatori con controlli semplificati.
In arrivo il regolamento sugli impianti termici.
L'APPLICAZIONE/
Le disposizioni saranno subito in vigore solo nelle Regioni
che non hanno già norme specifiche.
Anche il raffrescamento estivo incontrerà un limite di
temperatura. La novità è tra quelle inserite nel decreto con
le nuove regole per l'esercizio e manutenzione degli
impianti di climatizzazione invernale ed estiva.
Il
provvedimento, approvato dal Consiglio dei ministri il 15
febbraio e in attesa di pubblicazione sulla «Gazzetta
Ufficiale» ha la finalità sia di riordinare il quadro
normativo sugli impianti (modificando e abrogando alcune
disposizioni del datato Dpr 412/1993), sia di adempiere ai
rilievi sollevati dalla Commissione europea all'Italia, per
il mancato recepimento dell'articolo 9 della direttiva
2002/91/CE, che obbliga i Paesi membri ad introdurre norme
in materia di ispezioni periodiche degli impianti di
condizionamento dell'aria di potenza maggiore di 12 kW.
Tra le prescrizioni, appunto, in aggiunta ai già noti valori
massimi di temperatura ambiente per il periodo invernale,
viene ora fissato un valore minimo di temperatura durante la
climatizzazione estiva di 26°C, con una tolleranza di -2°C.
Questi valori, massimo e minimo, sono ora da intendersi
riferiti alla media ponderata delle temperature dell'aria
misurate nei singoli ambienti.
I Comuni possono sempre ampliare o ridurre i periodi annuali
e giornalieri di attivazione degli impianti termici e la
temperatura massima degli ambienti: ora i sindaci potranno
intervenire direttamente con un'ordinanza, senza più
necessità di una delibera di giunta.
Nuove prescrizioni sono introdotte in materia di terzo
responsabile (l'impresa di gestione e manutenzione). Viene
in particolare disposto che la delega a questo soggetto
giuridico non può essere rilasciata in caso di impianti non
conformi alla legge, salvo che nell'atto sia conferito
l'incarico di procedere alla messa a norma.
Fino all'avvenuta regolarizzazione dell'impianto, il
delegante ne rimarrà responsabile. Con il recente decreto
dello Sviluppo economico 22.11.2012, nel caso di
edifici di proprietà di soggetti diversi da persone fisiche
e, in particolare, nel caso delle imprese, il responsabile
"naturale" dell'impianto termico, in assenza di delega al
terzo responsabile, è il proprietario o l'amministratore
delegato.
Un ulteriore decreto, da emanare entro il 1° luglio, fornirà
i modelli del nuovo «libretto di impianto per la
climatizzazione» e dei nuovi rapporti di efficienza
energetica rilasciati dagli operatori che eseguiranno i
controlli periodici e la manutenzione.
Per la periodicità dei controlli, viene fatto salvo il
principio esistente che vede, in ordine di priorità, le
istruzioni dell'installatore, le istruzioni tecniche per il
singolo componente/apparecchio predisposte dal fabbricante,
le norme Uni e Cei. Installatori e manutentori saranno
tenuti a fornire in forma scritta all'utente le istruzioni
per l'uso e manutenzione del l'impianto. Al termine delle
operazioni di controllo, l'operatore dovrà compilare il
rapporto di efficienza, consegnarne copia al responsabile
dell'impianto ed inviarne copia all'ente di controllo
(Provincia autonoma o Regione), con la cadenza indicata
nell'Allegato A del decreto.
I generatori di calore con rendimenti di combustione
inferiori ai limiti previsti –e non più manutenibili–
devono essere sostituiti entro 180 giorni solari, rispetto
agli attuali 300 giorni.
Sono previste, infine, ispezioni delle autorità competenti
sia su impianti di climatizzazione invernale di potenza non
minore di 10 kW, sia su quelli di climatizzazione estiva di
potenza non minore di 12 kW. Per gli impianti invernali tra
10 e 100 kW a metano o gpl e per quelli estivi tra 12 e 100
kW, l'ispezione viene sostituita dall'accertamento del
rapporto di efficienza inviato dal manutentore o dal terzo
responsabile. Così il legislatore riduce gli obblighi per la
Pa e i costi per gli utenti. Le ispezioni possono essere
svolte da organismi esterni accreditati dalle Regioni, che
devono anche assicurare la copertura dei costi attraverso un
contributo da parte dei soggetti controllati.
Il decreto è direttamente applicabile nelle Regioni che non
hanno recepito autonomamente la direttiva 2002/91/CE, mentre
le altre devono assicurare la coerenza dei loro
provvedimenti con i contenuti del decreto.
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La gestione
01|I CONDIZIONATORI
Il decreto impone un limite anche per il raffrescamento
estivo. I condizionatori dovranno essere impostati con un
temperatura minima di 26 gradi, con una tolleranza di due
gradi centigradi. Per i controlli si applica la media
ponderata delle temperature misurate nei singoli ambienti. I
sindaci possono variare temperature e orari di utilizzo
02|IL TERZO RESPONSABILE
La società incaricata di controllare e gestire l'impianto
non può ricevere la delega in caso di impianto non conforme
alle disposizioni di legge. La delega può essere assegnata
comunque se c'è il proprietario incarica espressamente la
società della messa a norma. Per gli immobili di proprietà
delle imprese, in assenza di delega, il responsabile
dell'impianto è il proprietario o l'amministratore delegato
03|I LIBRETTI
La revisione dei modelli standard dei libretti di impianto
per la climatizzazione, in cui sono annotate tutte le
notizie relative alla vita e agli interventi sull'impianto
stesso, è rinviata a un futuro decreto, che dovrebbe vedere
la luce entro il prossimo primo luglio. Nello stesso
provvedimento, anche le indicazioni per i nuovi modelli del
rapporto di efficienza energetica che il terzo responsabile
dovrà compilare
04|I CONTROLLI
Il decreto in arrivo allunga i tempi dei controlli. Per
quelli domestici, e, in generale, per tutti quelli di
potenza inferiore ai 100 Kw si passa dall'attuale scadenza
annuale a un controllo ogni due anni per impianti a
combustile liquido o solido, e a quattro anni per quelli
alimentati a metano e gpl. Per gli impianti di riscaldamento
a metano o gpl tra i 10 e i 100Kw e per quelli di
raffrescamento tra 12 e 100 Kw non sono più previste
ispezioni dell'ente pubblico, ma solo rapporti redatti dal
manutentore o dal terzo responsabile
05|LE VECCHIE CALDAIE
Quando l'impianto di riscaldamento raggiunge un rendimento
di combustione inferiore rispetto ai limiti imposti dalla
legge deve essere sostituito in un tempo dimezzato –180
giorni– rispetto ai precedenti 300
06|LA PARTENZA
Il decreto che corregge in parte il Dlgs 192/2005 è stato
approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri il 15.02.2013. Entrerà in vigore 15 giorni dopo la sua
pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale». Da quella data si
applica immediatamente e in via integrale nelle Regioni che
non hanno una normativa propria sulla materia, mentre le
altre Regioni dovranno adeguare le proprie leggi a questo
decreto
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PROFILI FISCALI -
Sulla revisione periodica l'Iva è al 10%
Si applica l'Iva al 10% alla revisione periodica
obbligatoria degli impianti di riscaldamento (condominiali o
a uso esclusivo) installati in fabbricati a prevalente
destinazione abitativa privata.
È quanto precisato dal
l'agenzia delle Entrate con la risoluzione 15/E/2013.
Scontano lo stesso regime anche le prestazioni di servizi
per il controllo delle emissioni degli stessi impianti, in
quanto riconducibili alla manutenzione ordinaria.
L'Iva ridotta non è applicabile ai contratti aventi a
oggetto, oltre alla manutenzione ordinaria, anche
prestazioni ulteriori (come la copertura assicurativa della
responsabilità civile verso terzi) per le quali non sia
indicato un corrispettivo distinto (circolare Finanze, 07.04.2000, n. 71).
L'eventuale richiesta di rimborso dell'Iva addebitata agli
utenti oltre il 10% va presentata entro due anni dalla data
del versamento dell'Iva ordinaria, ma sarò accolta solo se
il prestatore di servizi dimostrerà l'effettiva restituzione
del tributo agli utenti e nel limite della somma
effettivamente restituita.
Inoltre, per ottenere il
rimborso, non potranno essere utilizzati i meccanismi di
variazione delle fatture (articolo 26 del Dpr 633/1972) (articolo Il Sole 24 Ore del
18.03.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
In ambito domestico il controllo diventa biennale. Le
procedure. Estensione a caminetti e stufe.
IL PERIMETRO/
Revisione affidata a tecnici specializzati. Sono esclusi i
sistemi destinati solo a produrre acqua calda per gli
alloggi.
Con le ultime modifiche all'allegato A del decreto
legislativo 192/2005, sono state precisate nel dettaglio
alcune procedure di controllo sugli impianti.
Sono stati innanzitutto cambiati i tempi di ispezione degli
impianti termici domestici, ovvero quelli con potenza
inferiore ai 100 kW. Il decreto, approvato dal Consiglio dei
ministri il 15 febbraio e in attesa di pubblicazione in
«Gazzetta Ufficiale», stabilisce che le verifiche dovranno
svolgersi «ogni due anni per gli impianti a combustibile
liquido o solido» e ogni quattro anni per gli impianti a
gas, metano o Gpl. I tempi sono dimezzati solo nel caso in
cui la potenza termica sia uguale o maggiore a 100 kW. Si
tratta delle ispezioni fatte dagli enti pubblici, con
proprio personale.
Cosa diversa sono i controlli abbinati alla manutenzione. In
questo caso è il tecnico manutentore a stabilire i tempi, in
base alla tipologia di impianto. Rilascerà al termine del
controllo un documento tecnico che attesti l'avvenuta
revisione e lo stato dell'impianto. Il tecnico ha l'obbligo
di suggerire eventuali interventi necessari per un buon
funzionamento. Questo passaggio della legge è cruciale, non
solo per la questione della sicurezza nel l'utilizzo degli
impianti termici, ma anche per evitare di incorrere in
sanzioni o denunce.
Il nuovo regolamento definisce «accertamento», l'insieme
delle attività di controllo pubblico dirette a verificare in
via esclusivamente documentale che il progetto delle opere e
gli impianti siano conformi alle norme vigenti e che
rispettino le prescrizioni e gli obblighi stabiliti.
Il controllo e la manutenzione sono da affidare a «operatore
abilitato ad operare sul mercato, sia al fine
dell'attuazione di eventuali operazioni di manutenzione e/o
riparazione sia per valutare i risultati conseguiti con
dette operazioni», così come per le ispezioni sugli impianti
termici si richiama l'importanza di affidarsi ad esperti
qualificati, incaricati dalle autorità pubbliche competenti.
Per l'impianto fumario è possibile rivolgersi ad artigiano o
ditta con abilitazione (lettera c, Dm 37/2008) o maestro
spazzacamino specializzato sotto le dirette subordinazioni
del terzo responsabile della centrale termica o, per
mandato, del manutentore della centrale termica oppure su
specifica richiesta dell'amministratore condominiale nei
casi di evidente mancanza di manutenzione dell'impianto
fumario (riscontrabile dal libretto di centrale termica).
Caminetti e stufe sono a tutti gli effetti considerati
impianti termici poiché da definizione di legge l'impianto
termico è l'impianto tecnologico destinato ai servizi di
climatizzazione invernale e/o climatizzazione estiva e/o
produzione di acqua calda sanitaria, indipendentemente dal
vettore energetico utilizzato. Non sono considerati impianti
termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di
acqua calda sanitaria al servizio di singole unità
immobiliari ad uso residenziale (articolo Il Sole 24 Ore del
18.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Organizzazione.
Le linee guida ministeriali puntano sul varo dei controlli
interni nelle aree «sensibili»
Piani anti-corruzione al via.
Entro il 31 marzo vanno adottate le misure di prevenzione.
LE ISTRUZIONI/
Tra i provvedimenti indicati spicca la rotazione dei
funzionari addetti alle attività ritenute più esposte al
rischio.
Gli enti locali devono approvare entro il 31 marzo il piano
per la prevenzione della corruzione, tenendo conto delle
linee-guida approvate dal Comitato interministeriale per
l'elaborazione del Piano nazionale ed adottate il 12 marzo.
La legge 190/2012 individua come presupposto per l'adozione
dello strumento di prevenzione della corruzione da parte
degli enti locali (ma anche da parte delle altre
amministrazioni pubbliche) proprio le linee-guida, in base
alle quali i Comuni e le Province hanno ora la possibilità
di impostare il proprio piano in base a una struttura
essenziale.
Le linee elaborate dal Comitato interministeriale forniscono
anzitutto un impulso diretto all'adozione tempestiva dei
piani triennali, i quali devono assicurare un contenuto
minimo che corrisponda all'obiettivo ineludibile
dell'individuazione preventiva delle aree di attività
amministrativa maggiormente esposte al rischio della
corruzione («mappatura del rischio»).
L'impostazione degli strumenti di analisi deve essere
adeguata alle specifiche funzioni amministrative svolte e
alla realtà di ogni contesto, con una focalizzazione in
ordine ai destinatari e con metodologie di redazione che li
rendano facilmente leggibili.
In ordine ai contenuti, le linee-guida evidenziano come le
attività già individuate dalla legge n. 190/2012 come più
esposte al rischio corruzione (autorizzazioni, gare,
concessione di benefici, concorsi) costituiscano il nucleo
di base, che può e deve essere esteso dalle singole
amministrazioni.
L'elaborazione del piano deve comportare il coinvolgimento
dei dirigenti e di tutto il personale delle amministrazioni
addetto alle aree a più elevato rischio nelle attività di
analisi e valutazione, di proposta e definizione delle
misure e di monitoraggio.
Un elemento-chiave ulteriore è individuato nel monitoraggio,
per ciascuna attività, del rispetto dei termini di
conclusione del procedimento.
Sul piano regolativo, il documento deve rilevare, in
rapporto al grado di rischio, le misure di contrasto
(procedimenti a disciplina rinforzata, controlli specifici,
particolari valutazioni ex post dei risultati raggiunti,
particolari misure nell'organizzazione degli uffici e nella
gestione del personale addetto, particolari misure di
trasparenza sulle attività svolte) già adottate oppure
l'indicazione delle misure che con lo strumento si prevede
di adottare o sono direttamente definite dallo stesso.
La componente essenziale del Piano è, infatti, proprio
l'individuazione delle misure di carattere generale che
l'amministrazione ha adottato o intende adottare per
prevenire il rischio di corruzione.
Tra queste assume rilievo particolare l'introduzione di
adeguate forme interne di controllo specificamente dirette
alla prevenzione e all'emersione di vicende di possibile
esposizione al rischio corruttivo. Risulta evidente la
relazione stringente con il sistema dei controlli interni
derivante dall'innovato articolo 147 del Tuel.
Particolare attenzione deve essere posta anche per
l'adozione di adeguati sistemi di rotazione del personale
addetto alle aree a rischio, con l'accortezza di mantenere
continuità e coerenza degli indirizzi e le necessarie
competenze delle strutture. Le amministrazioni dovranno
quindi evitare che possano consolidarsi delle rischiose
posizioni "di privilegio" nella gestione diretta di certe
attività correlate alla circostanza che lo stesso
funzionario si occupi personalmente per lungo tempo dello
stesso tipo di procedimenti e si relazioni sempre con gli
stessi utenti.
Nel piano devono essere contenute anche misure che
garantiscano il rispetto delle norme del Codice di
comportamento dei dipendenti delle Pubbliche amministrazioni
(recentemente approvato), nonché finalizzate ad assicurare
la vigilanza sulle varie problematiche inerenti il
conferimento di incarichi ai dipendenti. Il particolare
strumento, inoltre, deve essere espressamente correlato con
il piano della performance e con il piano ella trasparenza
---------------
La procedura
01|LA SCADENZA
Ogni amministrazione pubblica deve adottare il Piano per la
prevenzione della corruzione entro il prossimo 31 marzo
02|I CONTENUTI
Il Piano deve dettagliare le misure di carattere generale
che l'amministrazione ha adottato, e quelle che intende
adottare, per prevenire il rischio di corruzione
03|I CONTROLLI
Vanno anche specificati i sistemi di verifica interna che
l'amministrazione adotta, con particolare riferimento alle
aree considerate più «a rischio»
04|COINVOLGIMENTO
L'elaborazione del Piano deve passare attraverso la
condivisione dei dirigenti e di tutto il personale impegnato
nelle attività più esposte (articolo Il Sole 24 Ore del
18.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Incarichi, trasparenza immediata. Le
regole sul personale. L'attuazione delle nuove disposizioni.
TEMPI BREVI/
I conferimenti a dipendenti e le autorizzazioni vanno
comunicati entro 15 giorni e non più con cadenza semestrale.
Estensione oggettiva e soggettiva dell'obbligo di astensione
in caso di conflitto di interessi, comunicazione immediata
alla Funzione Pubblica degli incarichi conferiti e
autorizzati al personale, controllo dell'utilizzazione
illegittima di ex dipendenti pubblici da parte delle società
con cui le Pa entrano in rapporto e delimitazione delle
attività che possono essere svolte dai dipendenti condannati
per reati contro l'amministrazione.
Sono queste le
disposizioni di maggior rilievo e di immediata applicazione
contenute nella legge 190/2012 in materia di personale.
Con una modifica alla legge 241/1990, si dispone
l'estensione dell'obbligo di astensione dai dirigenti anche
ai responsabili di procedimento ed a coloro che sono tenuti
a rilasciare pareri endoprocedimentali. Non meno
significativa è l'estensione dell'ambito oggettivo di
applicazione della disposizione: infatti basta che vi sia
una condizione di conflitto di interessi anche potenziale.
Queste disposizioni possono creare notevoli problemi
applicativi nei piccoli Comuni, realtà in cui il numero dei
dipendenti di ogni settore è assai ridotto e rilanciano
così, indirettamente, lo stimolo alla gestione associata,
così da ampliare la platea dei dipendenti che possono essere
utilizzati.
Del possibile conflitto di interessi devono tenere conto i
dirigenti nel rilasciare le autorizzazioni ai propri
collaboratori allo svolgimento di una seconda attività
lavorativa, tema che riguarda le collaborazioni con privati.
Tutte le Pa devono comunicare alla Funzione Pubblica entro i
15 giorni successivi, e non più con cadenza semestrale, i
conferimenti di incarichi a dipendenti pubblici e le
autorizzazioni rilasciate al proprio personale.
I contratti di assunzione e di collaborazione stipulati da
privati con dipendenti pubblici in quiescenza con cui negli
ultimi tre anni hanno avuto rapporti sono nulli e non
possono dare corso alla erogazione di un compenso. Essi
determinano anche il divieto per queste società di
contrattare con Pa. Le amministrazioni devono fare osservare
questo vincolo senza avere strumenti di controllo:
l'autodichiarazione del rispetto appare come la scelta
minima obbligata e si aggiunge alle autodichiarazioni sul
Durc e sui conti dedicati che vengono già richieste ai
contraenti privati.
Tutti i dipendenti pubblici condannati, anche solamente in
primo grado, per reati contro la Pa sono più che "dimezzati"
nelle attività che possono svolgere. Va ricordato che tra i
reati contro le Pa sono compresi oltre alla corruzione,
malversazione e concussione, anche fattispecie come il
peculato, l'abuso d'atti d'ufficio, la rivelazione di
segreti d'ufficio eccetera.
Questi dipendenti non possono far parte, neppure come
segretari, di commissioni di concorso; non possono essere
inseriti tra i componenti le commissioni di gara; non
possono essere dirigenti del settore finanziario; non
possono aggiudicare forniture o servizi. Il che vuol dire
che, se sono dirigenti, possono svolgere un'attività
gestionale assai ridotta.
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In sintesi
01|INCARICHI
Gli incarichi conferiti e le autorizzazioni rilasciate ai
dipendenti pubblici vanno comunicate entro 15 giorni alla
Funzione pubblica
02|ASTENSIONE
Basta un caso di conflitto di interesse anche potenziale per
imporre l'obbligo di astensione ai dirigenti, ai
responsabili di procedimento e ai dipendenti che devono
rilasciare pareri
03|CONDANNE
Una condanna in primo grado per reati contro la Pa esclude
dalle commissioni di concorso e di gara (articolo Il Sole 24 Ore del
18.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
TRIBUTI: Il rudere paga l'Imu quando è recuperabile. Cassazione.
Imponibili anche i fabbricati collabenti.
IL PRINCIPIO/
La Corte ha equiparato a un'area fabbricabile un terreno
agricolo occupato da resti di immobili da demolire.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 5166/2013 ha ritenuto
che la cessione unitaria di un terreno agricolo con
sovrastanti fabbricati ex rurali collabenti, destinati alla
demolizione e alla ricostruzione come fabbricati civili, va
considerata come cessione di area fabbricabile.
I giudici di Piazza Cavour prendono le mosse proprie dalla
normativa Ici, ricordando che l'area edificabile costituisce
un genere articolato nelle due specie dell'area edificabile
di diritto, così qualificata in un piano urbanistico, e
dell'area edificabile di fatto, vale a dire del terreno che,
pur non essendo urbanisticamente qualificato, può nondimeno
avere una vocazione edificatoria di fatto, in quanto sia
potenzialmente edificatorio anche al di fuori di una
previsione programmatica.
Nel caso analizzato dai giudici di legittimità la natura di
area edificabile è stata riconosciuta sulla base di una
suscettibilità edificatoria unitaria del terreno a
prescindere dal fatto che l'area fosse inserita, dallo
strumento urbanistico generale, in zona agricola.
Il principio di diritto enunciato risolve il problema
applicativo relativo ai fabbricati collabenti, normalmente
accatastati in categoria catastale F2. Si tratta di
fabbricati con un alto livello di degrado, pericolanti o
diroccati, non utilizzabili e per questo accatastati senza
rendita catastale. A seguito dell'emersione dei fabbricati
ex rurali, iniziata con il Dl 262/2006, molti di questi
fabbricati sono stati accatastati proprio in categoria F2.
Questi fabbricati, in realtà, sono da assoggettare come area
fabbricabile in quanto lo strumento urbanistico comunale
normalmente ne prevede il recupero edilizio, anche se nei
limiti della cubatura esistente. Si tratta quindi di aree
fabbricabili previste direttamente dallo strumento
urbanistico, ai sensi dell'articolo 2 del Dlgs 504/1992, e
non di fabbricati che possono essere attratti ad imposizione
solo in caso di ristrutturazione, ai sensi dell'articolo 5
della normativa Ici.
Naturalmente, il fabbricato collabente situato in una zona
del territorio comunale dove è comunque precluso il recupero
edilizio, come nelle fasce di rispetto di un fiume, sarà
escluso dall'Ici ed anche dall'Imu, non essendo né un
terreno, né un fabbricato con rendita, né un'area
fabbricabile.
La Cassazione, con la sentenza citata, completa dopo
vent'anni di applicazione dell'Ici, il quadro di riferimento
per le aree fabbricabili, costituito da una stratificazione
di sentenze della Corte di Cassazione (sezioni unite 30.11.2006, n. 25506) e della Corte Costituzione (27.02.2008, n. 41) e da un susseguirsi di norme,
terminate con l'articolo 36 del Dl 223/2006 che considera
area fabbricabile, ai fini di tutte le imposte, comunali ed
erariali, l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base
allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune,
indipendentemente dall'approvazione della regione e
dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo.
Ovviamente l'articolato quadro giurisprudenziale e normativo
è integralmente applicabile anche per l'Imu (articolo Il Sole 24 Ore del
18.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
L'affido di servizi pubblici con bando è legittimo. La Consulta ribadisce il principio: le gare indice di
virtuosità.
È costituzionalmente legittimo prevedere l'obbligo di
affidamento dei servizi pubblici con procedura ad evidenza
pubblica e stabilire che il maggiore ricorso all'affidamento
in gara costituisca indice di «virtuosità» per gli enti
locali.
È quanto afferma la Corte costituzionale nella
sentenza 20.03.2013 n. 46 che
si è pronunciata su diverse norme del decreto-legge 1/2012
convertito dalla legge 27/2012 su un ricorso presentato
dalla Regione Veneto.
Fra le diverse censure avanzate dalla Regione Veneto una
riguardava l'adozione obbligatoria della procedura ad
evidenza pubblica per l'affidamento dei servizi, e non le
procedure in house, ritenuta in contrasto ai sensi dell'art.
117, comma primo, della Costituzione con la disciplina
comunitaria, che non esclude affatto la possibilità
dell'affidamento in house e in violazione della
competenza legislativa regionale.
Inoltre, si sosteneva nel ricorso, la normativa nazionale,
escludendo nei fatti la possibilità di affidamenti in house
(in seguito a una valutazione negativa operata ex ante),
non considera che questa tipologia di affidamento di servizi
può essere in concreto più efficiente e virtuosa e finisce
per privare gli enti territoriali della possibilità di
valutare le proprie esigenze e di scegliere la modalità di
gestione dei servizi a loro più convenienti.
Su questo punto la Corte conferma la legittimità della
normativa affermando che la disciplina delle procedure ad
evidenza pubblica è stata costantemente ricondotta dalla
giurisprudenza costituzionale alla materia «tutela della
concorrenza», con la conseguente titolarità da parte
dello Stato della potestà legislativa esclusiva. In
particolare la Corte motiva la conferma della legittimità
delle norme impugnate dalla Regione con la considerazione
che «l'intervento normativo statale, con il decreto legge
n. 1 del 2012, si prefigge la finalità di operare,
attraverso la tutela della concorrenza (liberalizzazione),
un contenimento della spesa pubblica» e che tale scopo
viene ritenuto perseguibile con l'affidamento dei servizi
pubblici locali con il meccanismo delle gare ad evidenza
pubblica, in quanto «dovrebbe comportare un risparmio dei
costi ed una migliore efficienza nella gestione».
È in questa ottica –dice la sentenza– e in coerenza con la
normativa comunitaria che il legislatore ha deciso, da un
lato di promuovere l'affidamento dei servizi pubblici locali
a terzi e/o a società miste pubblico/private e, dall'altro
lato, di contenere il fenomeno delle società in house.
La scelta, operata nel 2012, di prevedere come uno degli
elementi di valutazione di «virtuosità» degli enti
l'applicazione di procedure di affidamento dei servizi ad
evidenza pubblica ha, secondo la sentenza, il pregio di non
privare le Regioni e gli altri enti territoriali delle loro
competenze e di limitarsi a valutare il loro esercizio ai
fini dell'attribuzione del «premio», ovvero della
coerenza o meno alle indicazioni del legislatore statale,
che –comunque– ha agito nell'esercizio della sua competenza
esclusiva in materia di concorrenza.
Viene infine confermata anche la legittimità della
sottoposizione delle società in house ai vincoli derivanti
dal patto di Stabilità, dal momento che con tale
disposizione si è, infatti, reso legislativamente esplicito
un adempimento di origine comunitaria rientrante in quei
contenuti minimi non derogabili cui fa riferimento la
sentenza n. 325 del 2010
(articolo ItaliaOggi del
21.03.2013). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: E'
legittima l'ordinanza contingibile ed urgente (del sindaco)
atta a far rimuovere delle scritte sulle pareti esterne
dell'appartamento riportanti frasi offensive nei confronti
del Sindaco.
- Considerato che il ricorrente ha impugnato
l’ordinanza n. 5 del 30.11.2012, con la quale il
Comune resistente gli ha ordinato di provvedere a rimuovere
delle scritte sulle pareti esterni del proprio appartamento,
riportanti frasi offensive nei confronti del Sindaco.
-
Considerato che, ai sensi dell’articolo 54 del d.lgs. n. 267
del 2000, commi 4 e 4-bis, “Il sindaco, quale ufficiale del
Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali
dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi
pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza
urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono
preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della
predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro
attuazione. Con decreto del Ministro dell’interno è
disciplinato l’ambito di applicazione delle disposizioni di
cui ai commi 1 e 4 anche con riferimento alle definizioni
relative alla incolumità pubblica e alla sicurezza urbana”.
-
Rilevato che, in attuazione di tali disposizioni, è stato
adottato il d.m. 05.08.2008, che, all’articolo 1,
dispone: ai fini di cui all'art. 54, del decreto legislativo
18.08.2000, n. 267, per sicurezza urbana s’intende un
bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a
difesa, nell'ambito delle comunità locali, del rispetto
delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le
condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza
civile e la coesione sociale.
-
Considerato che, sul punto, la stessa Corte Costituzionale,
da un lato, ha chiarito che il D.M. 05.08.2008 ha ad
oggetto specificamente la tutela della sicurezza pubblica,
da intendersi come attività di prevenzione e repressione di
reati (cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 196 del 2009);
dall’altro, ha ritenuto la norma illegittima, riguardo alla
possibilità di emanare provvedimenti atipici in funzione
della prevenzione e della eliminazione di gravi pericoli che
minacciano detto bene, pur in assenza dei presupposti della contigibilità e dell'urgenza (cfr. Corte Costituzionale,
sentenza n. 115 del 2011).
-
Rilevato che, nel caso di specie, si trattava proprio di
impedire la permanenza di scritte offensive e pertanto
costituenti, astrattamente, ipotesi di reato.
-
Considerato che, qualora si debba interrompere la
prosecuzione di fatti costituenti reato e quindi incidenti
su beni interessi di rilievo costituzionale, l’urgenza può
essere ritenuta in re ipsa, purché la misura adottata sia
proporzionale ed adatta allo scopo.
-
Considerato che, nel caso di specie, la misura adottata
appare adeguata e proporzionata, in comparazione con la
lieve entità del sacrificio imposto che rientra appieno nei
limiti della “concreta situazione di fatto che si tratta di
fronteggiare” (cioè esso appare duttilmente adeguato alla
concreta situazione di fatto, cfr. Corte Costituzionale n. 4
del 1977 sul previgente articolo 20 del t.u. comunale e
provinciale).
- Considerato, pertanto, che, ad avviso del Collegio,
sussistevano i presupposti per l’adozione dell’ordinanza
impugnata
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 18.03.2013 n. 186 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Nel
quadro normativo derivante dal d.lgs. 12.04.2006, n. 163,
sussiste l'unica categoria della concessione di lavori
pubblici, onde non è più consentita la precedente
distinzione tra concessione di sola costruzione e
concessione di costruzione e gestione dell'opera, ove
prevale il profilo autoritativo della traslazione delle
pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e
direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti
implicazioni in tema di riparto di giurisdizione; ciò in
quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica
dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della
concessione di costruzione, ma la controprestazione
principale e tipica a favore del concessionario, come
risulta dall'art. 143 del codice, con la conseguenza che le
controversie relative alla fase di esecuzione appartengono
alla giurisdizione ordinaria.
In sostanza, l'applicazione del precedente criterio di
ripartizione delle giurisdizioni con riferimento alla natura
concessoria del rapporto con il Comune -che aveva indotto la
giurisprudenza di legittimità, nella vigenza della L. n. 109
del 1994, a distinguere le concessioni di soli lavori
equiparate agli appalti da quelle di costruzione e di
gestione riservate, ex articolo 5 della legge n. 1034 del
1971, alla giurisdizione esclusiva- non è più attuale,
dovendo essere ricondotti tali rapporti indistintamente
nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto pubblico.
- considerato che, con le delibere impugnate, il Comune
resistente ha provveduto alla “revoca” dell’affidamento in
concessione del diritto di superficie di alcuni suoli
comunali per la progettazione, realizzazione e gestione di
una rete di impianti fotovoltaici;
-
rilevato che, al di là del nomen iuris utilizzato, dalle
circostanze poste a fondamento degli atti impugnati e dal
tenore degli stessi emerge chiaramente che si tratta, in
realtà, di manifestazioni della volontà dell’amministrazione
resistente di sciogliersi dal rapporto con la ricorrente,
per asserito inadempimento di quest’ultima agli obblighi
assunti con la concessione in esame, nei termini da essa
previsti;
-
considerato che, secondo la giurisprudenza prevalente (cfr.
Cassazione ss.uu. sentenze n. 14958 del 2011 e n. 28804 del
2011; Consiglio di Stato, sentenza n. 236 del 2013), nel
quadro normativo derivante dal d.lgs. 12.04.2006, n.
163, sussiste l'unica categoria della concessione di lavori
pubblici, onde non è più consentita la precedente
distinzione tra concessione di sola costruzione e
concessione di costruzione e gestione dell'opera, ove
prevale il profilo autoritativo della traslazione delle
pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e
direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti
implicazioni in tema di riparto di giurisdizione; ciò in
quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica
dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della
concessione di costruzione, ma la controprestazione
principale e tipica a favore del concessionario, come
risulta dall'art. 143 del codice, con la conseguenza che le
controversie relative alla fase di esecuzione appartengono
alla giurisdizione ordinaria;
-
ritenuto che, in sostanza, l'applicazione del precedente
criterio di ripartizione delle giurisdizioni con riferimento
alla natura concessoria del rapporto con il Comune -che
aveva indotto la giurisprudenza di legittimità, nella
vigenza della L. n. 109 del 1994, a distinguere le
concessioni di soli lavori equiparate agli appalti da quelle
di costruzione e di gestione riservate, ex articolo 5 della
legge n. 1034 del 1971, alla giurisdizione esclusiva- non è
più attuale, dovendo essere ricondotti tali rapporti
indistintamente nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto
pubblico
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 18.03.2013 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE: L'omessa
notifica degli atti espropriativi ai proprietari non
risultanti dagli atti catastali non assume né carattere
invalidante di detti atti espropriativi, né legittima una
difesa tardiva in sede giurisdizionale, ovvero in sede
amministrativa, essendo comunque onere del privato
interessato curare l'esatta corrispondenza delle risultanze
catastali alla reale situazione giuridica del bene oggetto
della procedura ablatoria.
Ciò perché è da evitare che "...le negligenze dell'avente
titolo possano andare a discapito del buon andamento
dell'azione amministrativa, a tutela del quale può dirsi
anche posto il principio della certezza delle situazioni
giuridiche dell'attività della Pubblica Amministrazione...".
Come noto la giurisprudenza del Consiglio
di Stato è costante nel ritenere che l'omessa notifica degli
atti espropriativi ai proprietari non risultanti dagli atti
catastali non assume né carattere invalidante di detti atti
espropriativi, né legittima una difesa tardiva in sede
giurisdizionale, ovvero in sede amministrativa, essendo
comunque onere del privato interessato curare l'esatta
corrispondenza delle risultanze catastali alla reale
situazione giuridica del bene oggetto della procedura ablatoria.
Ciò perché è da evitare che "...le negligenze
dell'avente titolo possano andare a discapito del buon
andamento dell'azione amministrativa, a tutela del quale può
dirsi anche posto il principio della certezza delle
situazioni giuridiche dell'attività della Pubblica
Amministrazione..." (Cfr. Consiglio di Stato, sentenza
n. 3690 del 2010 e sentenza n. 7014 del 2006)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 18.03.2013 n. 182 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Una
baracca di dimensioni molto modeste (sviluppando un’area di
metri 2,75 per 3,00), adibita a deposito di legna, può
essere considerata pertinenza, sviluppando un volume minimo,
non avendo un valore e una funzione autonomi, ed essendo a
servizio dell’edificio principale.
Trattandosi di una pertinenza, inoltre, essa può essere
realizzata sulla base di una mera denunzia di inizio
attività e, conseguentemente, l’eventuale abuso per difetto
del titolo non è soggetto alla sanzione della demolizione,
ma solo a quella pecuniaria di cui all’articolo 37 del
d.p.r. n. 380 del 2001 (che non può essere di importo
inferiore ad euro 516,00, come correttamente stabilito
dall’amministrazione resistente).
Ciò, ovviamente, sotto il profilo pubblico edilizio, nel
senso che tali considerazioni non limitano affatto
l’ordinaria tutela delle distanze nei rapporti civilisti tra
proprietari confinanti, come noto sottratta a questo Giudice
adito e non oggetto del thema decidendum.
In ogni caso, il ricorso è anche manifestamente
infondato.
Il manufatto in questione è una baracca di dimensioni molto
modeste (sviluppando un’area di metri 2,75 per 3,00) ed è
adibita a deposito di legna.
Ciò premesso, come noto, esso può essere considerato
pertinenza, sviluppando, appunto, un volume minimo, non
avendo un valore e una funzione autonomi, ed essendo a
servizio dell’edificio principale (cfr. Tar Ancona, sentenza
n. 57 del 2013; Consiglio di Stato, sentenza n. 211 del
2013).
Trattandosi di una pertinenza, inoltre, essa può essere
realizzata sulla base di una mera denunzia di inizio
attività (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 615 del
2012) e, conseguentemente, l’eventuale abuso per difetto del
titolo non è soggetto alla sanzione della demolizione, ma
solo a quella pecuniaria di cui all’articolo 37 del d.p.r.
n. 380 del 2001 (che non può essere di importo inferiore ad
euro 516,00, come correttamente stabilito
dall’amministrazione resistente).
Ciò, ovviamente, sotto il profilo pubblico edilizio, nel
senso che tali considerazioni non limitano affatto
l’ordinaria tutela delle distanze nei rapporti civilisti tra
proprietari confinanti, come noto sottratta a questo Giudice
adito e non oggetto del thema decidendum
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 18.03.2013 n. 181 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - TRIBUTI: Equitalia, procedure di vetro.
Accesso agli atti con i nomi dei funzionari in chiaro. Tar
Lazio accoglie il ricorso di un contribuente che aveva
chiesto i dati sulle proprie cartelle.
Accesso agli atti, e ai nomi dei responsabili dei
procedimenti di Equitalia a tutto campo. Equitalia deve
indicare i nomi dei responsabili dei procedimenti relativi
alle cartelle esattoriali quando, in sede penale, il
funzionario responsabile invoca la presenza di direttive
superiori e non fornisce le informazioni.
E non solo. Al contribuente devono essere forniti tutti gli
atti e i provvedimenti anche con estremi ignoti, gli atti e
i documenti dell'istruttoria relativi alle cartelle in capo
al contribuenti, nonché tutti i documenti di prassi
amministrativa relativa alla richiesta del contribuente Che
devono essere mostrati, o per usare il linguaggio tecnico,
messi in ostensione di fronte alla richiesta del
contribuente.
Insomma un diritto di accesso amministrativo a
tutto campo, quello riconosciuto dal TAR Lazio-Roma, Sez. III, nella
sentenza 13.03.2013 n. 2660, con cui ha
condannato Equitalia dichiarando illegittimo il suo
silenzio. Di più, il Tar ha concesso 30 giorni di tempo alla
società per la riscossione per preparare la documentazione
richiesta e consegnarla al ricorrente. Una vera e propria
operazione trasparenza sulle cartelle esattoriali.
Il Tar ha
dunque accolto le richieste di un avvocato che ha presentato
ricorso contro il silenzio rifiuto di Equitalia (in
particolare Equitalia Sud per la provincia di Roma)
sull'istanza di accesso con cui chiedeva di prendere visione
e estrarre copia di tutta la serie di documenti sottesi a
una iscrizione ipotecaria per cartelle dal valore inferiore
agli 8 mila euro. La richiesta era legata alla preparazione
della strategia difensiva del contribuente in contenzioso
penale proprio a seguito di una lite tributaria con
Equitalia per le cartelle in questione.
I giudici
amministrativi innanzitutto rilevano che l'accesso ai
documenti è un diritto soggettivo di cui il giudice
amministrativo conosce in giurisdizione esclusiva e il cui
giudizio ha per oggetto la verifica della spettanza del
diritto in questione piuttosto che la verifica della
sussistenza dei vizi di legittimità dell'atto
amministrativo. «Tanto che», dice la sentenza, «il giudice
può direttamente ordinare l'esibizione dei documenti
richiesti, sostituendosi all'amministrazione». Per il Tar,
nella vicenda, esiste un interesse concreto, diretto e
attuale del ricorrente all'ostensione richiesta per
«esigenze di difesa in giudizi che lo vedono direttamente
coinvolto, sia nei confronti del responsabile
dell'iscrizione ipotecaria contestata sia in relazione a
querela che ha ricevuto in relazione ai medesimi fatti».
Per
i giudici la richiesta del contribuente non contrasta con
gli orientamenti del diritto amministrativo nel senso che la
«giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che, ai
sensi dell'art. 22 l. n. 241/1990, il soggetto che detiene la
documentazione oggetto di istanza di ostensione non deve
delibare la fondatezza della pretesa sostanziale per la
quale occorrano tali atti o sindacare sulla utilità
effettiva di questi, in quanto il diritto d'accesso è
conformato dalla legge per offrire al titolare, più che
utilità finali (caratteristica, questa, ormai riconoscibile
non solo ai diritti soggettivi, ma anche agli interessi
legittimi), poteri autonomi di natura procedimentale volti
ad implementare la tutela d'un interesse (o bisogno)
giuridicamente rilevante, per cui il limite di valutazione
della pubblica amministrazione sulla sussistenza d'un
interesse concreto, attuale e differenziato all'accesso ai
documenti, che è correlativamente pure il requisito di
ammissibilità della relativa azione, si sostanzia solo nel
giudizio estrinseco sull'esistenza di un legittimo bisogno
differenziato di conoscenza in capo a chi richiede i
documenti»,
I giudici dunque bocciano la linea di difesa di Equitalia
sud in ordine alla carenza di legittimazione attiva del
ricorrente. Per il Tar infatti il ricorrente ha
sufficientemente chiarito nell'atto introduttivo di avere
necessità della documentazione richiesta non nel giudizio
tributario ma in un giudizio in sede penale nei confronti
del funzionario responsabile che invocava la presenza di
direttive superiori per procedere
(articolo ItaliaOggi del
20.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
TRIBUTI: Tosap.
Autotutela blocca riscossione.
Niente riscossione coattiva della Tosap se pende un ricorso
in autotutela del contribuente. E se quest'ultimo ha già
incassato una sentenza favorevole in appello sulla medesima
questione (per un'annualità diversa), i giudici tributari di
primo grado devono conformarsi al verdetto.
È quanto ha
deciso la Ctp di Brindisi con la
sentenza 11.03.2013 n. 108/2/13.
Un contribuente, difeso
dall'avv. Maurizio Villani di Lecce, ricorreva contro una
cartella emessa dal concessionario della riscossione per il
mancato pagamento della tassa di occupazione temporanea di
spazi e aree pubbliche, risalente al 1994. Il giudizio era
stato riassunto: in primo grado, infatti, la Ctp si era
dichiarata incompetente, ma la Ctr Puglia aveva riconosciuto
la giurisdizione tributaria, rimandando quindi le carte alla
Ctp.
Secondo il contribuente l'esattoria non poteva
iscrivere a ruolo il tributo in quanto l'avviso di
accertamento da cui era derivata l'iscrizione era stato
impugnato in sede amministrativa: prima davanti alla Dre
Puglia e poi, a seguito del diniego, presso le finanze, che
non si era mai espresso. Ai sensi degli artt. 67 e 68 del
dpr 43/1988, il mancato versamento Tosap può dare luogo alla
riscossione coattiva in pendenza di un ricorso tributario.
Tali disposizioni, per la Ctp, non trovano però applicazione
nel caso dell'azione di autotutela amministrativa, in quanto
«secondo quanto risultante dagli atti processuali, il
ricorso non è ancora deciso in via definitiva» e quindi
l'accertamento non ha carattere di esecutività. Peraltro,
sul medesimo argomento il contribuente aveva già ottenuto il
verdetto favorevole della Ctr Puglia, sez. Lecce, con
sentenza 115/23/10, passata in giudicato.
«Poiché la
questione di diritto oggetto del contendere è analoga»,
conclude la Ctp Brindisi, «per non dire identica a quella
che ha formato oggetto del ricorso in appello deciso dalla Ctr
con sentenza passata in giudicato, questa commissione ha
comunque il dovere di uniformarsi ex art. 2909 c.c. e ciò
anche ove (e non è questo il caso in questione) ritenesse di
non condividere il principio affermato»
(articolo ItaliaOggi del
22.03.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA: E’
fondato il motivo di ricorso, con il quale il ricorrente
rileva l’erroneità della tesi sostenuta dal Comune, in forza
della quale la concessione edilizia in zona agricola può
essere rilasciata soltanto al coltivatore diretto a titolo
principale, in quanto l’unico requisito rilevante per il
rilascio del permesso di costruire è, invece, oltre che la
titolarità del diritto di proprietà sul fondo, la
compatibilità urbanistico edilizia dell’intervento.
Ed invero contrasta con i principi in materia urbanistica un
atto che a prescindere dal tipo di opera realizzanda e dalla
verifica di compatibilità con le previsioni dello strumento
urbanistico si fondi sulle qualità personali del
richiedente, in quanto la qualità indebitamente richiesta
assume valore ai soli fini dell’applicazione dei benefici
economici previsti in favore dei coltivatori diretti
dall’articolo 9, lettera a), della legge 28.01.1977 n. 10.
Ne consegue che l'elemento soggettivo relativo alla
qualifica (agricoltore o imprenditore agricolo, o
proprietario concedente il fondo in affitto) del richiedente
il permesso di costruire in zona agricola è del tutto
irrilevante, se il soggetto non intende avvalersi
dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità
della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di
disponibilità del bene, oltre naturalmente alla
compatibilità con gli strumenti urbanistici.
Il ricorso è fondato e va accolto.
E’ in particolare fondato il secondo motivo di ricorso, con
il quale il ricorrente rileva l’erroneità della tesi
sostenuta dal Comune, in forza della quale la concessione
edilizia in zona agricola può essere rilasciata soltanto al
coltivatore diretto a titolo principale, in quanto l’unico
requisito rilevante per il rilascio del permesso di
costruire è, invece, oltre che la titolarità del diritto di
proprietà sul fondo, la compatibilità urbanistico edilizia
dell’intervento.
Ed invero contrasta con i principi in materia urbanistica un
atto che a prescindere dal tipo di opera realizzanda e dalla
verifica di compatibilità con le previsioni dello strumento
urbanistico si fondi sulle qualità personali del
richiedente, in quanto la qualità indebitamente richiesta
assume valore ai soli fini dell’applicazione dei benefici
economici previsti in favore dei coltivatori diretti
dall’articolo 9, lettera a), della legge 28.01.1977 n.
10.
Ne consegue che l'elemento soggettivo relativo alla
qualifica (agricoltore o imprenditore agricolo, o
proprietario concedente il fondo in affitto) del richiedente
il permesso di costruire in zona agricola è del tutto
irrilevante, se il soggetto non intende avvalersi
dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità
della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di
disponibilità del bene, oltre naturalmente alla
compatibilità con gli strumenti urbanistici (TAR Lazio,
Roma, sez. II, 02.11.2010, n. 33106; TAR Sicilia,
Palermo, sez. III, 04.01.2008, n. 3)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 07.03.2013 n. 771 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Vecchi pali telefonici all'arsenico: sono riciclabili per
altri usi?
Per riparare le strutture delle
passerelle di un sentiero da ripristinare si possono usare
dei vecchi pali telefonici in legno trattati con una
soluzione (tossica) preservante detta RCA (rame, cromo,
arsenico)?
La Corte di Giustizia ammette, in linea di principio, tale
possibilità.
Questi tipi di “rifiuti pericolosi” possono cessare
di essere qualificati come rifiuti (End-of-Waste) se grazie
ad un’operazione di recupero li si rende utilizzabili senza
mettere in pericolo la salute umana e senza nuocere
all’ambiente.
Tale verifica, comunque, spetta al giudice nazionale che
dovrà anche accertare se il detentore non se ne disfi o non
abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsene.
IL CASO
In Finlandia è stata instaurata una controversia tra il
Settore “trasporti ed infrastrutture” dell’Ufficio
centrale per l’economia, l’ambiente e i trasporti della
Lapponia (liikenne ja infrastruktuuri -vastuualue) e
l’Associazione per la protezione della natura della Lapponia
(Lapin luonnonsuojelupiiri), in merito ai lavori di
ripristino di un sentiero nelle zone selvagge dell’estremo
nord dell’Europa.
Nel 2008, il liikenne ja infrastruktuuri-vastuualue ha
deciso di ripristinare il sentiero di 35 km che collega il
paese lappone di Raittijärvi alla strada carrabile più
vicina e che attraversa in parte una zona Natura 2000.
In particolare, i lavori dovevano consistere nella
realizzazione di passerelle di legno per facilitare il
passaggio, al di fuori della stagione invernale, nelle zone
umide, dei veicoli di tipo “quad”: tali passerelle
sono sorrette da strutture fatte di vecchi pali per
telecomunicazioni, i quali, per il loro precedente impiego,
sono stati trattati con una soluzione di composti inorganici
comprendenti rame, cromo e arsenico (c.d. “soluzione RCA”),
volta a proteggerli dalle intemperie.
L’Associazione ambientalista, però, ritenendo che i pali
trattati con questo preservante fossero dei “rifiuti
pericolosi”, ha chiesto al Lapin ympäristökeskus –che
nel frattempo ha cambiato nome, divenendo l’Autorità
incaricata della tutela dell’ambiente– di vietare l’uso di
tali materiali.
Dal canto suo, la “nuova” Autorità ha respinto tale
domanda, e ciò ha indotto l’Associazione ad adire il
Tribunale amministrativo di Vaasa, che, questa volta, con
sentenza del 09.10.2009, ha annullato la suddetta decisione
di rigetto.
Anche questa sentenza è stata impugnata, dall’Autorità,
però, che ha proposto il relativo ricorso dinanzi alla
Suprema Corte amministrativa.
Quest’ultimo giudice ha deciso di sospendere il giudizio al
fine di chiedere alla Corte di Giustizia se siffatti pali,
riutilizzati ormai come legno di supporto, siano rifiuti (recte,
rifiuti pericolosi), ovvero se abbiano perso tale
caratteristica a causa del predetto riutilizzo, sebbene il
regolamento REACH autorizzi l’uso di siffatti legnami
trattati.
LA DECISIONE DELLA CORTE
La risposta dei giudici europei aiuterà il giudice del
rinvio a determinare se sia necessario essere in possesso di
un’autorizzazione ambientale (nella specie, ai sensi della
legge 86/2000) per usare vecchi pali per telecomunicazioni
trattati con una soluzione RCA.
La domanda di pronuncia pregiudiziale –strutturata in sette
questioni pregiudiziali– verte sull’interpretazione della
direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE e del regolamento
(CE) n. 1907/2006 (REACH).
Come abbiamo visto, alla base della controversia pendente
dinanzi al giudice del rinvio c’è il fatto che se, da un
lato, i pali per telecomunicazioni in parola sono stati
trattati con una sostanza pericolosa ai sensi e ai fini
dell’applicazione del regolamento REACH, dall’altro lato, lo
stesso regolamento ammette che, in determinate situazioni e
in presenza di determinate condizioni, tali pali di legno
possano essere utilizzati per determinate applicazioni tra
le quali si possono eventualmente annoverare le passerelle
del sentiero interessato.
La soluzione offerta dalla Corte di Giustizia conferma, in
buona sostanza, le conclusioni rassegnate il 13.12.2012
dall’AG Kokott che, nell’occasione, prefigurava la
possibilità, a talune condizioni, di reimpiegare i pali del
telefono non più in uso per riparare un sentiero, anche se
il legno di tali pali è stato in origine trattato con la
c.d. “soluzione RCA”.
Nella
sentenza 07.03.2013 (C-358/11), dunque, la Corte, dopo
aver precisato di dover esaminare le questioni sottoposte
alla sua attenzione considerando le disposizioni sia della
direttiva 2008/98 sia quelle del regolamento REACH, quale
normativa questa indipendente da quella relativa ai rifiuti,
ha fornito le seguenti risposte:
1) il diritto dell’Ue non esclude per principio che un
rifiuto considerato pericoloso possa cessare di essere un
rifiuto ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti
2008/98/CE, se un’operazione di recupero consente di
renderlo utilizzabile senza mettere in pericolo la salute
umana e senza nuocere all’ambiente e se, peraltro, non viene
accertato che il detentore dell’oggetto di cui trattasi se
ne disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsene ai
sensi dell’articolo 3, punto 1, della medesima direttiva, il
che spetta al giudice del rinvio verificare;
2) la normativa REACH presenta un interesse al fine di
determinare se un legno trattato con una soluzione c.d. RCA
(rame, cromo, arsenico) possa cessare di essere un rifiuto
in quanto, qualora fossero soddisfatte le condizioni da esso
previsto per autorizzarne l’uso, il suo detentore non
sarebbe tenuto a disfarsene ai sensi dell’articolo 3, punto
1, della direttiva 2008/98;
3) gli articoli 67 e 128 del regolamento n. 1907/2006 (REACH)
e s.m.i, devono essere interpretati nel senso che il diritto
dell’Ue procede ad un’armonizzazione delle prescrizioni
relative alla fabbricazione, all’immissione sul mercato o
all’uso di una sostanza come quella afferente ai composti
dell’arsenico, che forma oggetto di una restrizione in forza
dell’allegato XVII del suddetto regolamento;
4) l’elenco contenuto nell’allegato XVII, punto 19,
paragrafo 4, lettera b), del regolamento n. 1907/2006 e
s.m.i –che elenca in pratica gli usi consentiti, o meglio le
applicazioni per le quali, in via derogatoria, può essere
usato legno trattato con una “soluzione RCA”– deve
essere considerato quale “esaustivo” e, di
conseguenza, tale deroga non può essere applicata a casi
diversi da quelli ivi contemplati (spetta al giudice del
rinvio verificare se, in circostanze analoghe a quelle del
procedimento principale, l’uso dei pali per
telecomunicazioni in esame, per servire da supporto a
passerelle, rientri effettivamente nell’ambito delle
applicazioni elencate nella suddetta disposizione);
5) il divieto di usare il legno trattato con una “soluzione
RCA” in applicazioni che comportino un rischio di
contatto ripetuto con la pelle –di cui all’allegato XVII,
punto 19, paragrafo 4, lettera d), secondo trattino, del
regolamento n. 1907/2006 e s.m.i– deve essere applicato in
qualsiasi situazione che, con ogni probabilità, implichi un
contatto reiterato della pelle con il legno trattato, ove
una siffatta probabilità deve essere dedotta dalle
condizioni concrete di uso normale dell’applicazione per la
quale tale legno sia stato impiegato, il che spetta al
giudice del rinvio valutare.
I POSSIBILI IMPATTI PRATICO-OPERATIVI
La
sentenza 07.03.2013 (C-358/11)
presenta dei profili molto interessanti con riguardo
all’applicazione delle norme in tema di cessazione della
qualifica di rifiuto. Sul punto, il giudice comunitario è
chiaro: per principio, un rifiuto considerato pericoloso può
cessare di essere un rifiuto ai sensi della direttiva quadro
sui rifiuti 2008/98/CE, qualora, grazie ad un’operazione di
recupero, sia possibile utilizzarlo senza mettere in
pericolo la salute umana e senza nuocere all’ambiente.
E ciò potrebbe valere, dunque, anche per i vecchi pali
telefonici precedentemente trattati con la “soluzione RCA”.
In concreto, però, tale verifica spetta all’interprete
(giudice nazionale) il quale, caso per caso, deve anche
accertare che il detentore dell’oggetto non se ne liberi
oppure che non abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsene
(ex art. 3, punto 1, della direttiva 2008/98/CE).
Già l’AG Kokott osservava che se, da un lato, la possibilità
di impiegare tali pali sarebbe da escludere, alla luce della
direttiva 2008/99 sui rifiuti e del regolamento 1907/2006/CE
(REACH), “quando la probabilità di un contatto ripetuto
con la pelle in condizioni d’uso normali o ragionevolmente
prevedibili non è trascurabile”, dall’altro lato, un
siffatto impiego potrebbe essere consentito in talune
ipotesi eccezionali come quella della costruzione di ponti,
dato che in questo caso il contatto cutaneo diretto non c’è.
Presenta forti analogie al caso dei pali all’arsenico il
caso del riutilizzo delle traversine ferroviarie (ma anche
dei pali delle telecomunicazioni) originariamente trattate
col creosoto, sostanza altamente cancerogena che manifesta
la sua pericolosità non solo tramite il contatto cutaneo ma
anche attraverso il contatto diretto con il suolo, con
l'acqua o per l’inalazione dei gas che vengono a
sprigionarsi in conseguenza di un aumento della temperatura
superiore ai 20 gradi.
Per il creosoto è stata emanata un’apposita direttiva
(2011/71/UE) la quale ha consentito l’iscrizione del
creosoto tra i principi attivi dell’allegato I della
direttiva 98/8/CE relativa all'immissione sul mercato dei
biocidi (tale direttiva è stata recepita dal nostro paese
col D.M. Salute 18.06.2012). [Commissione europea,
comunicato stampa “Ambiente: limiti più severi all'uso
del creosoto per fini industriali”, Reference: IP/11/925
Event Date: 26/07/2011].
Riferimenti:
- CGUE (Seconda Sezione), sentenza 07.03.2013 (C-358/11),
Lapin ELY-keskus liikenne ja infrastruktuuri
- Conclusioni dell’AG Juliane Kokott presentate il
13.12.2012 (C-358/11), Lapin ELY-keskus, liikenne ja
infrastruktuuri (commento tratto da www.ispoa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Ai
fini della decorrenza del termine di impugnazione di un
permesso di costruire, il requisito della piena conoscenza
non postula necessariamente la conoscenza di tutti i suoi
elementi, essendo sufficiente quella degli elementi
essenziali quali l'autorità emanante, la data, il contenuto
dispositivo e il suo effetto lesivo, salva la possibilità di
proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del
provvedimento e degli atti presupposti emergano ulteriori
profili di illegittimità.
Ciò, anche atteso che, in ossequio al vecchio brocardo "diligentibus
jura succurrunt", una volta che l'interessato viene
informato dall'amministrazione degli estremi del
provvedimento, ha il preciso onere di tutelare senza indugio
i propri interessi legittimi.
Sicché, il ricorso presentato risulta tardivo atteso che, in
relazione alle censure svolte nel ricorso ed alla
descrizione dei lavori indicata nel cartello di cantiere
(che poteva essere agevolmente percepita nella sua
potenziale lesività ed illegittimità), i termini per la
proposizione del presente ricorso hanno iniziato a decorrere
per la parte ricorrente dall'apposizione stessa del
cartello, salva poi la possibilità di integrazione delle
censure mediante la proposizione di motivi aggiunti di
ricorso, secondo gli ordinari schemi del giudizio
amministrativo.
- considerato che la parte ricorrente ha
impugnato i permessi di costruire n. 006/09 del 21.01.2009 e n. 192/2010 del 29.07.2010 rilasciati dal Comune
di Pescara alla società controinteressata per eseguire
lavori di ristrutturazione edile su un edificio
residenziale; censurando sostanzialmente la circostanza che
si sarebbero illegittimamente autorizzate opere di
ristrutturazione e sopraelevazione;
-
rilevato che, tra i documenti depositati in giudizio, v’è
una foto del cartello di cui all’articolo 20, comma 6, d.p.r.
n. 380 del 2001, recante, oltre agli estremi del permesso di
costruire n. 6 del 2006, anche l’indicazione che i lavori in
questione avevano ad oggetto opere di ristrutturazione e
sopraelevazione; ed è stata prodotta analoga documentazione
fotografica del cartello riguardante il successivo permesso
di costruire n. 192 del 29.07.2010;
-
considerato che non è contestato che il primo cartello sia
stato apposto sin dall’inizio dei lavori, che si devono
presumere iniziati, secondo la previsione di legge, entro un
anno dal rilascio del titolo;
-
che, a fronte di tale circostanza, il ricorso appare
notificato solo il 21.06.2012, quindi a distanza di
circa 5 anni dall’inizio dei lavori, durante i quali,
peraltro, era ben evidente, in quanto dichiarato, il tipo di
opere in cantiere, e quindi nessun ulteriore elemento di
valutazione può essere scaturito dall’aver atteso
l’ultimazione dei lavori stessi, in relazione alle censure
proposte (se, come dice la parte ricorrente, non erano
percepibili le operazioni dietro la facciata, non si
comprende come mai sia stato necessario attendere la fine
dei lavori per accedere agli atti ed ai progetti e quindi
per verificare documentalmente l’illegittimità poi qui
censurata);
-
rilevato che, secondo la giurisprudenza, pur decorrendo il
termine decadenziale per l'impugnazione dalla piena
conoscenza dell'esistenza e dell'entità delle violazioni
urbanistiche o dal contenuto specifico del progetto edilizio
(cfr. Consiglio Stato sentenza 10.12.2010, n. 8705;
Consiglio Stato sentenza 10.12.2010, n. 8705);
tuttavia il principio della certezza delle situazioni
giuridiche e di tutela di tutti gli interessati deve far
ritenere che il soggetto concessionario non si possa
lasciare nella perpetua incertezza sulla sorte del proprio
titolo edilizio; e pertanto, ai fini della decorrenza del
termine di impugnazione di un permesso di costruire, il
requisito della piena conoscenza non postula necessariamente
la conoscenza di tutti i suoi elementi, essendo sufficiente
quella degli elementi essenziali quali l'autorità emanante,
la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo,
salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla
conoscenza integrale del provvedimento e degli atti
presupposti emergano ulteriori profili di illegittimità
(cfr. Consiglio Stato sentenza 12.07.2010, n. 4482);
ciò, anche atteso che, in ossequio al vecchio brocardo "diligentibus
jura succurrunt", una volta che l'interessato viene
informato dall'amministrazione degli estremi del
provvedimento, ha il preciso onere di tutelare senza indugio
i propri interessi legittimi (Consiglio di Stato sentenza 13.06.2011 n. 3583);
-
rilevato conclusivamente che il ricorso è tardivo, atteso
che, ad avviso del Collegio, per le considerazioni appena
esposte, in relazione alle censure svolte nel ricorso ed
alla descrizione dei lavori indicata nel cartello di
cantiere (che poteva essere agevolmente percepita nella sua
potenziale lesività ed illegittimità), i termini per la
proposizione del presente ricorso hanno iniziato a decorrere
per la parte ricorrente dall'apposizione stessa del
cartello, salva poi la possibilità di integrazione delle
censure mediante la proposizione di motivi aggiunti di
ricorso, secondo gli ordinari schemi del giudizio
amministrativo (cfr. Tar Firenze, n. 594 del 2012)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 07.03.2013 n. 156 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'articolo
38 del d.lgs. n. 163 del 2006 deve leggersi nel senso che
sono tenuti alla dichiarazione sostitutiva di notorietà
attestante l'inesistenza di cause di esclusione tutti i
soggetti che siano rappresentanti legali e/o titolari di
poteri institori ex art. 2203 c.c. della ditta concorrente
(e, peraltro, tale obbligo incombe anche in mancanza di un
suo espresso richiamo nella lex specialis della gara).
Inoltre, secondo un condivisibile orientamento, l’esigenza
di certezza cui è collegato l’obbligo della dichiarazione
personale di ciascun rappresentante, peraltro garantita
nella sua genuinità da sanzione penale, porta ad escludere
che possa considerarsi valevole per tutti la dichiarazione
resa da un solo amministratore.
Ai sensi dell’articolo 38 del d.lgs. n.163 del
2006, viceversa, i requisiti di ordine generale devono
essere riferiti ad ogni amministratore munito di potere di
rappresentanza.
Come noto, alla stregua del prevalente orientamento
giurisprudenziale (cfr. Tar Venezia sentenza n. 6069 del
2010), l'articolo 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 deve
leggersi nel senso che sono tenuti alla dichiarazione
sostitutiva di notorietà attestante l'inesistenza di cause
di esclusione tutti i soggetti che siano rappresentanti
legali e/o titolari di poteri institori ex art. 2203 c.c.
della ditta concorrente (e, peraltro, tale obbligo incombe
anche in mancanza di un suo espresso richiamo nella lex
specialis della gara).
Inoltre, secondo un condivisibile orientamento, l’esigenza
di certezza cui è collegato l’obbligo della dichiarazione
personale di ciascun rappresentante, peraltro garantita
nella sua genuinità da sanzione penale, porta ad escludere
che possa considerarsi valevole per tutti la dichiarazione
resa da un solo amministratore (cfr. Tar Molise, sentenza n.
19 del 2009); circostanza che, peraltro, nel caso in esame
non si è neanche verificata
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 07.03.2013 n. 154 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: La
domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo
provvedimento negativo annullato in sede giurisdizionale per
difetto di motivazione non può essere accolta ove persistano
in capo all’Amministrazione significativi spazi di
discrezionalità in sede di riesercizio del potere e la parte
istante abbia chiesto di essere risarcita dell’intero
pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene
della vita al quale aspirava o dalla compressione del
diritto ad essa spettante e illegittimamente compresso.
L’illegittimità di un provvedimento amministrativo per vizi
procedimentali o, comunque, per carenza o illogicità della
motivazione (che non escludono, ma anzi consentono il
rinnovato esercizio del potere) comporta, invero, che la
richiesta di risarcimento del danno non possa essere
valutata se non all’esito della nuova manifestazione di
volontà da parte della P.A., poiché la facoltà di
rideterminazione immanente in capo al soggetto pubblico
esclude la cristallizzazione del rapporto, quale necessario
presupposto dell’azione risarcitoria; di conseguenza, la
domanda di ristoro del danno, asseritamente causato da un
provvedimento inficiato da difetto di motivazione, non può
essere accolta ove l’Amministrazione, in sede di rinnovato
esercizio del potere, abbia nuovamente negato il bene della
vita cui l’istante aspirava con un nuovo provvedimento, che
non è stato impugnato.
Ciò chiarito deve anche ricordarsi
che la giurisprudenza amministrativa -pronunciandosi in
relazione a fattispecie analoghe a quella ora all’esame- ha
giù avuto modo di chiarire che la domanda di risarcimento
del danno causato da un illegittimo provvedimento negativo
annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione
non può essere accolta ove persistano in capo
all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità
in sede di riesercizio del potere e la parte istante abbia
chiesto di essere risarcita dell’intero pregiudizio
derivante dal mancato conseguimento del bene della vita al
quale aspirava o dalla compressione del diritto ad essa
spettante e illegittimamente compresso (cfr. per tutti,
Cons. St., sez. III, 26.01.2012, n. 345, Cons. giust.
amm. Reg. Sic. 19.12.2011, n.1020, TAR Calabria,
sede Catanzaro, sez. I, 03.10.2012, n. 975, TAR
Sicilia, sez. Catania, sez. I, 12.04.2012, n. 1005, e
TAR Campania, sede Napoli, sez. I, 03.07.2012, n.
3163).
L’illegittimità di un provvedimento amministrativo per vizi
procedimentali o, comunque, per carenza o illogicità della
motivazione (che non escludono, ma anzi consentono il
rinnovato esercizio del potere) comporta, invero, che la
richiesta di risarcimento del danno non possa essere
valutata se non all’esito della nuova manifestazione di
volontà da parte della P.A., poiché la facoltà di
rideterminazione immanente in capo al soggetto pubblico
esclude la cristallizzazione del rapporto, quale necessario
presupposto dell’azione risarcitoria; di conseguenza, la
domanda di ristoro del danno, asseritamente causato da un
provvedimento inficiato da difetto di motivazione, non può
essere accolta ove l’Amministrazione, in sede di rinnovato
esercizio del potere, abbia nuovamente negato il bene della
vita cui l’istante aspirava con un nuovo provvedimento, che
non è stato impugnato TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 07.03.2013 n. 142 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA: Il
proprietario di un’area o di un fabbricato nella cui sfera
giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei
poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi
da parte dell’autorità preposta è titolare di un interesse
legittimo all’esercizio di detti poteri e può pretendere, se
non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento
che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con la conseguenza
che il silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del
silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto
al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere
espressamente.
---------------
Nei giudizi sul silenzio, il giudice amministrativo non può
andare oltre la declaratoria d’illegittimità dell’inerzia e
l’ordine di provvedere, restandogli precluso, ove si tratti
di attività discrezionale e l’istruttoria non sia completa,
il potere di accertare direttamente la fondatezza della
pretesa fatta valere dal richiedente e di sostituirsi
all’Amministrazione; di conseguenza, nell’ambito di tale
giudizio, il giudice può conoscere dell’accoglibilità
dell’istanza nelle sole ipotesi di manifesta fondatezza,
allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti
o vincolati in cui l’istruttoria sia completa e non debba
essere compiuta alcuna scelta discrezionale che potrebbe
sfociare in diverse soluzioni.
Fatta tale premessa e per passare all’esame
della prima delle due richieste avanzate dalla ricorrente
sopra riassunto alla lettera a), con la quale la parte
istante ha chiesto al Comune di reprimere l’abuso posto in
essere dalla Abruzzo Affissioni s.r.l. in sede di
realizzazione del cartello pubblicitario in questione, va
rilevato che la giurisprudenza amministrativa ha già
costantemente chiarito che il proprietario di un’area o di
un fabbricato nella cui sfera giuridica incide dannosamente
il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi
relativi ad abusi edilizi da parte dell’autorità preposta
sia titolare di un interesse legittimo all’esercizio di
detti poteri e può pretendere, se non vengono adottate le
misure richieste, un provvedimento che ne spieghi
esplicitamente le ragioni, con la conseguenza che il
silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del
silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto
al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere
espressamente (Cons. St., sez. IV, 27.04.2012, n. 2468,
18.04.2012, n. 2301, e 02.02.2011, n. 744).
Ciò detto, sembra evidente che il Comune, una volta ricevuta
la richiesta della ricorrente del 27.06.2012 avrebbe
dovuto attivarsi e fornire una risposta in merito.
Tale risposta è oggi pervenuta in corso di giudizio, per cui
il ricorso in parola, per la parte volta a censurare il
silenzio serbato dall’Amministrazione è divenuto
improcedibile; con nota 29.01.2013, n. 15491, infatti,
il Comune, dopo aver effettuato un sopralluogo a mezzo degli
organi tecnici, ha comunicato alla ricorrente che il
manufatto in questione risultava “posizionato conformemente
al titolo abilitativo rilasciato”.
--------------
Va, invero, ricordato che
-in base al disposto dell’art. 31, n. 3, del codice- il
giudice può pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa
dedotta in giudizio “solo quando si tratta di attività
vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e non sono
necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti
dall’Amministrazione”; tale domanda di accertamento della
fondatezza di un’istanza, pertanto, è inammissibile ove sia
rivolta a sollecitare l’esercizio di un potere discrezionale
od ove siano necessari adempimenti istruttori da compiersi
dall’Amministrazione.
In definitiva, nei giudizi sul silenzio, il giudice
amministrativo non può andare oltre la declaratoria
d’illegittimità dell’inerzia e l’ordine di provvedere,
restandogli precluso, ove si tratti di attività
discrezionale e l’istruttoria non sia completa, il potere di
accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta
valere dal richiedente e di sostituirsi all’Amministrazione;
di conseguenza, nell’ambito di tale giudizio, il giudice può
conoscere dell’accoglibilità dell’istanza nelle sole ipotesi
di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti
provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui
l’istruttoria sia completa e non debba essere compiuta
alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse
soluzioni (Cons. St., sez. IV, 25.09.2012, n. 5088, e
18.09.2012, n. 4942, e sez. V, 14.09.2012, n. 4893)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 07.03.2013 n. 140 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Requisiti del reato di omessa bonifica.
Il reato di cui all'articolo 257 d.lgs. 152/2006 si estingue
operando il soggetto che ha causato l'inquinamento la
bonifica secondo le disposizioni del progetto approvato
dall'autorità competente ai sensi degli articoli 242 ss.
dello stesso decreto (la bonifica effettuata secondo tale
progetto è pertanto condizione di non punibilità del reato)
per cui, a contrario, affinché il reato sussista occorre,
oltre ai superamento della soglia di rischio, l'adozione del
suddetto progetto di bonifica (tratto da www.lexambiente.it -
Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.02.2013 n. 9214). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Abbandono e responsabilità del proprietario
dell'area per culpa in vigilando.
La giurisprudenza che di recente ha esaminato la questione
dell'esistenza o meno di un obbligo di garanzia in capo al
proprietario in relazione alla fattispecie di cui all'art.
256, commi 1 e 3, d.lgs. 152/2006, superando
l'interpretazione che aveva portato ad escluderla non
ravvisando il reato nella mera consapevolezza da parte del
proprietario dell'abbandono di rifiuti sul fondo da parte di
terzi si è espressa nel senso invece dell'esistenza di una
culpa in vigilando attribuibile al proprietario che trova
corretto fondamento nella funzione sociale della proprietà
di cui all'articolo 42 Cost., tenendo conto della natura,
appunto, sociale delle norme di tutela dell'ambiente (tratto da www.lexambiente.it -
Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.02.2013 n. 9213). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Reato di trasporto non autorizzato.
Il reato di trasporto non autorizzato di rifiuti si
configura anche in presenza di una condotta occasionale, in
ciò differenziandosi dall'art. 260 D.Lgs. 03.04.2006 n.
152, che sanziona la continuità della attività illecita (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.02.2013 n. 9187 -
tratto da www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Acque provenienti da frantoio.
Integra il reato previsto dall'art. 256, comma secondo, del
D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, lo smaltimento, lo
spandimento o l'abbandono incontrollati delle acque
provenienti da un frantoio oleario, potendosi applicare la
disciplina prevista dalla legge 11.11.1996, n. 574
soltanto laddove i reflui oleosi vengono impiegati a fini
agricoli (tratto da www.lexambiente.it -
Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 25.02.2013
n. 9011). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. 31.03.1998 n 112
e del relativo regolamento di cui al D.P.R. 20.10.1998, n.
447, la domanda di autorizzazione alle attività produttive
presentata ricomprende tutti gli aspetti urbanistici,
edilizi, ambientali, di sicurezza per la pubblica
incolumità, di igiene dei luoghi di lavoro ecc. ecc.; ed in
conseguenza, ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n 112 cit. la
relativa istruttoria ha per oggetto in particolare i profili
urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della
sicurezza.
L'unica domanda –che può contenere, ove necessario, anche la
richiesta di permesso edilizio– deve specificare tutti gli
elementi che connotano le produzione e deve essere corredata
da autocertificazioni, attestanti la conformità dei progetti
alle prescrizioni urbanistiche, della sicurezza degli
impianti, della tutela sanitaria e della tutela ambientale.
In conseguenza il provvedimento finale deve valutare -ed
autorizzare- tutti gli aspetti specificamente indicati
nell’oggetto dell’istanza.
In linea di principio deve rilevarsi che, contrariamente a quanto apoditticamente affermano le appellanti, ai sensi
dell'art. 25 del d.lgs. 31.03.1998 n 112 e del
relativo regolamento di cui al D.P.R. 20.10.1998, n.
447, la domanda di autorizzazione alle attività produttive
presentata ricomprende tutti gli aspetti urbanistici,
edilizi, ambientali, di sicurezza per la pubblica
incolumità, di igiene dei luoghi di lavoro ecc. ecc.; ed in
conseguenza, ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n 112 cit. la
relativa istruttoria ha per oggetto in particolare i profili
urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della
sicurezza.
L'unica domanda –che può contenere, ove necessario, anche
la richiesta di permesso edilizio– deve specificare tutti
gli elementi che connotano le produzione e deve essere
corredata da autocertificazioni, attestanti la conformità
dei progetti alle prescrizioni urbanistiche, della sicurezza
degli impianti, della tutela sanitaria e della tutela
ambientale.
In conseguenza il provvedimento finale deve valutare -ed
autorizzare- tutti gli aspetti specificamente indicati
nell’oggetto dell’istanza
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.02.2013 n. 1056 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA:
L’esposto di un privato diretto a sollecitare
l’esercizio di poteri di autotutela si sostanzia in una
richiesta di riesame, per la quale non può ritenersi in sé
sussistente alcun obbligo per la P.A. di far luogo al
preavviso di rigetto qualora il successivo provvedimento sia
sostanzialmente confermativo del precedente provvedimento.
Invero, l'art. 10-bis, della L. 07.08.1990 n. 241 in materia
di partecipazione procedimentale, non deve essere
interpretato in senso formalistico, ma si deve avere
riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio: la
violazione dell'obbligo di preventiva comunicazione dei
motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, imposto dal
cit. art. 10-bis, è inidonea di per sé a giustificare
l'annullamento di un atto, non essendo consentito, ai sensi
del successivo art. 21-octies, l'annullamento dei
provvedimenti amministrativi, il cui contenuto non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
In un’ottica funzionale, un importante strumento di
partecipazione come l’avviso di cui all’art. 7 della L. n.
241/1990 non può ridursi né ad mero rituale formalistico, né
ad un banale cavillo del tutto disgiunto dalla realtà delle
cose. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare
la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le
circostanze che non ha potuto incolpevolmente sottoporre
all'amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata
comunicazione deve intendersi inammissibile per assoluta
genericità.
Pertanto, solo l’allegazione nel successivo giudizio degli
elementi che il privato non ha potuto introdurre nel
procedimento per un fatto colposo della P.A. rendono
l’istituto un presidio ordinamentale a tutela sia del
diritto dell’interessato a rappresentare in sede
procedimentale le proprie ragioni; e sia della P.A. a
valutare compiutamente tutti gli interessi diretti ed
indiretti coinvolti nel procedimento.
L’esposto di un privato
diretto a sollecitare l’esercizio di poteri di autotutela si
sostanzia in una richiesta di riesame, per la quale non può
ritenersi in sé sussistente alcun obbligo per la P.A. di far
luogo al preavviso di rigetto qualora il successivo
provvedimento sia sostanzialmente confermativo del
precedente provvedimento.
La Sezione ha, al riguardo, più volte ricordato che l'art.
10-bis, della L. 07.08.1990 n. 241 in materia di
partecipazione procedimentale, non deve essere interpretato
in senso formalistico, ma si deve avere riguardo
all'effettivo e oggettivo pregiudizio: la violazione
dell'obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza, imposto dal cit. art. 10-bis,
è inidonea di per sé a giustificare l'annullamento di un
atto, non essendo consentito, ai sensi del successivo art.
21-octies, l'annullamento dei provvedimenti amministrativi,
il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello
in concreto adottato (cfr. Consiglio Stato Sez. IV 28.01.2011 n. 679; Sez. IV 16.02.2012 n. 823).
In un’ottica funzionale, un importante strumento di
partecipazione come l’avviso di cui all’art. 7 della L.
n. 241/1990 non può ridursi né ad mero rituale formalistico,
né ad un banale cavillo del tutto disgiunto dalla realtà
delle cose. Ne consegue che ove il privato si limiti a
contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno
allegare le circostanze che non ha potuto incolpevolmente
sottoporre all'amministrazione, il motivo con cui si lamenta
la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile per
assoluta genericità (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 09.01.2009, n. 120; Consiglio Stato, sez. VI, 29.07.2008, n. 3786; idem sez. V, 19.03.2007, n. 1307).
Pertanto, solo l’allegazione nel successivo giudizio degli
elementi che il privato non ha potuto introdurre nel
procedimento per un fatto colposo della P.A. rendono
l’istituto un presidio ordinamentale a tutela sia del
diritto dell’interessato a rappresentare in sede
procedimentale le proprie ragioni; e sia della P.A. a
valutare compiutamente tutti gli interessi diretti ed
indiretti coinvolti nel procedimento.
Nel caso poi l’infondatezza di tutti i motivi di ricorso ha
dimostrato indirettamente che l’esito del procedimento non
poteva essere diverso per cui correttamente il giudice di
primo grado ha qui valutato il contenuto sostanziale del
provvedimento ed ha concluso che per la legittimità
dell'atto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.02.2013 n. 1056 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
In rapporto al concetto
di lottizzazione abusiva da tempo messo in luce dalla
giurisprudenza, in corretta applicazione dell’art. 18 della
legge n. 47/1985, quest’ultimo, sostanzialmente riprodotta
dall’art. 30 del d.p.r. n. 380/2001, come è ampiamente noto,
“disciplina due differenti ipotesi di lottizzazione abusiva,
ossia la prima (c.d. materiale), relativa all'inizio
della realizzazione di opere che comportano la
trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in
violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici,
approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite
direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza
della prescritta autorizzazione; la seconda (c.d.
formale), che si verifica allorquando, pur non essendo
ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di
carattere materiale, se ne siano già realizzati i
presupposti con il frazionamento e la vendita (o altri
equipollenti) del terreno in lotti che, per le specifiche
caratteristiche, quali la dimensione dei lotti stessi, la
natura del terreno, la destinazione urbanistica,
l'ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, e per
gli altri elementi riferiti agli acquirenti, evidenzino in
modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio,
creando così una variazione in senso accrescitivo tanto del
numero dei lotti quanto di quello dei soggetti titolari del
diritto sul bene”.
Con un seconda doglianza, gli appellanti fanno carico alla sentenza di
aver confermato la legittimità della motivazione addotta dal
Comune, di confondere i concetti di lottizzazione materiale
e di lottizzazione cartolare e comunque di non indicare gli
elementi che integrerebbero la fattispecie lottizzatoria,
limitandosi ad una mera trascrizione del testo normativo. Al
contrario, secondo gli appellanti, la modestia delle opere
edilizie e l’assenza di opere di urbanizzazione sui fondi
interessati, come su quelli limitrofi, dimostrerebbero
l’assenza dell’abuso contestato.
Tali argomentazioni non
ritiene il Collegio possano portare all’accoglimento
dell’appello, quanto meno in rapporto al concetto di
lottizzazione abusiva da tempo messo in luce dalla
giurisprudenza, in corretta applicazione dell’art. 18 della
legge n. 47/1985. Quest’ultimo, sostanzialmente riprodotta
dall’art. 30 del d.p.r. n. 380/2001, come è ampiamente noto,
“disciplina due differenti ipotesi di lottizzazione abusiva,
ossia la prima (c.d. materiale), relativa all'inizio
della realizzazione di opere che comportano la
trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in
violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici,
approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite
direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza
della prescritta autorizzazione; la seconda (c.d. formale), che si verifica allorquando, pur non essendo ancora
avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere
materiale, se ne siano già realizzati i presupposti con il
frazionamento e la vendita (o altri equipollenti) del
terreno in lotti che, per le specifiche caratteristiche,
quali la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno,
la destinazione urbanistica, l'ubicazione e la previsione
di opere urbanistiche, e per gli altri elementi riferiti
agli acquirenti, evidenzino in modo non equivoco la
destinazione ad uso edificatorio, creando così una
variazione in senso accrescitivo tanto del numero dei lotti
quanto di quello dei soggetti titolari del diritto sul bene”
(Cons. di Stato, se. IV, n. 5849/2003).
Cosi riassunto il trattamento normativo della fattispecie
astratta, il Collegio osserva anzitutto che la sentenza,
nell’avallare la locuzione “lottizzazione giuridica”
espressa dall’ordinanza comunale, non confonde affatto la
lottizzazione materiale con la lottizzazione formale (e
tanto meno crea un terzo e non contemplato genere di
lottizzazione abusiva), poiché detta aggettivazione connota
in realtà entrambe le tipologie di abuso, nel senso che
nelle stesse sono presenti atti qualificati giuridicamente
dall’ordinamento.
La pronunzia gravata, inoltre e lungi dal costituire una
mera trascrizione del testo normativo, risulta assistita da
congrua seppur sintetica motivazione che la correla alla
norma di legge, poiché in effetti la fattispecie di
lottizzazione contestata dal Comune (e che si pone ben oltre
la soglia della semplice recinzione del fondo con
contestuale realizzazione di strada sterrata, indicate dai
ricorrenti) risponde complessivamente a quella di carattere
materiale.
Ed invero, sotto il primo aspetto, concernente
la natura delle opere realizzate, l’apposizione di baracche
di legno e/o roulottes, non accompagnato dal formale e
legittimo esercizio di attività agricola, non permette di
invocare la giurisprudenza che ha negato la lottizzazione
abusiva nel caso di realizzazione di manufatto a servizio
della cennata attività (Cons. di Stato, sez. IV,
n. 4465/2003). Parimenti non può sostenersi che la modesta
natura delle opere non comporti la trasformazione
irreversibile del fondo; tale argomento, esaminabile al fine
di argomentare sulla non necessità di concessione edilizia,
non può valere per la lottizzazione repressa dall’art. 18,
poiché questa è qualificata da modificazioni fisiche anche
solo dell’uso dell’area che indipendentemente dalla loro
entità si pongano in contrasto con le destinazioni stabilite
dal PRG.
Al contrario, attraverso la legittimazione di numerosi,
singoli modesti abusi si rischierebbe di avallare una
progressiva e complessiva trasformazione di intere aree
agricole verso non previsti modelli pararesidenziali e
sub-urbani (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.02.2013 n. 1028 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Le
prestazioni nei giorni festivi.
Il compenso extra non va al turnista.
Nessuna ulteriore maggiorazione per il turnista che lavora
di domenica.
Lo precisa la Corte di Cassazione con la
sentenza
12.12.2012 n. 22799.
Nei fatti, un agente di polizia municipale presenta ricorso
al giudice per ottenere il pagamento del compenso aggiuntivo
previsto dal contratto collettivo nazionale per il lavoro
prestato di domenica. Retribuzione extra rispetto a quella
già pagata dal Comune per il lavoro nel giorno festivo.
La vicenda giunge in Corte d'appello che, accogliendo le
ragioni del Comune, respinge il ricorso del lavoratore. In
particolare, la Corte afferma che, in base alle norme
contrattuali, l'indennità per il lavoro prestato nel turno è
diretta a compensare interamente il disagio derivante dalla
particolare articolazione dell'orario di lavoro. Del resto,
il riposo settimanale del dipendente, in base alla sua
turnazione, cade nel giorno in cui non deve espletare la sua
prestazione lavorativa, non necessariamente coincidente con
la domenica.
L'agente ricorre in Cassazione evidenziando che le Sezioni
unite, con la sentenza 9097 del 2007, hanno affermato il
principio della cumulabilità delle due maggiorazioni
previste per i lavoratori turnisti. Tuttavia, la Suprema
corte, respingendo il ricorso, afferma che l'articolazione
del servizio per turni comporta la possibilità che la
prestazione ordinaria di lavoro ricada anche di domenica,
essendo ciò connaturato alla fisiologia del sistema. In
questi casi, il lavoratore non ha diritto alla maggiorazione
supplementare prevista dal contratto collettivo per il
lavoro prestato nei giorni festivi. In sostanza, il
contratto ha già previsto un'indennità per i turnisti che
lavorano nel giorno festivo che ricade nel normale turno
lavorativo, compensando così interamente il disagio per la
particolare articolazione dell'orario di lavoro.
Invece, se il lavoro è prestato nel giorno destinato a
riposo settimanale, spetta l'ulteriore maggiorazione
contrattuale in aggiunta al riposo compensativo per il
mancato riposo (articolo Il Sole 24 Ore del
18.03.2013). |
AGGIORNAMENTO AL 18.03.2013 |
ã |
A
proposito degli incarichi legali ... |
Tutti noi (comuni, province, ecc.) siamo dotati del
regolamento interno circa le modalità di affidamento
della fornitura di beni, servizi e lavori pubblici
in economia ex art. 125 del codice dei contratti.
Andando al sodo, la "comodità" di tale regolamento è
quella di poter affidare con un unico preventivo di
spesa, sino al limite dei 40.000,00 €, appunto beni,
servizi e lavori pubblici. E nell'affidamento dei
servizi non è ricompresa, purtroppo, anche la
possibilità dell'affidamento di un incarico legale,
sebbene possa costare meno dei suddetti 40.000,00 €.
E diciamo purtroppo poiché il tavolo di lavoro
quotidiano è pieno di "rogne" connotate, più
che da rilievi tecnici, da rilievi di ordine
giuridico.
Cerchiamo di spiegarci meglio.
Gli incarichi legali (esterni all'amministrazione) possono essere suddivisi
in due categorie: la prima è quella di
rappresentanza e patrocinio legale (detto
altrimenti, per resistere in giudizio); la
seconda è quella che può essere oggetto di una
tripartizione: incarico di studio, incarico
di ricerca, incarico di consulenza.
Ora, circa la prima categoria lo scorso anno è
stato chiarito dal Consiglio di Stato (Sez.
V,
sentenza 11.05.2012 n. 2730) che
l'incarico può essere affidato direttamente (senza
gara), naturalmente a prescindere dall'importo di
spesa per il quale -tra l'altro- non
sussistono problemi di contenimento della spesa
(sull'apposito capitolo di bilancio) da un anno
all'altro. Circa, invece, la seconda categoria
possiamo anzitutto ricordare un passaggio
significativo della
Corte dei
Conti, Sez. Autonomie (deliberazione 24.04.2008 n. 6)
di seguito riportato, che può essere d'aiuto a
chiarirci le idee: |
PRESUPPOSTI
Va affermato che il legislatore, positivizzando
principi di origine pretoria, segnatamente della
giurisprudenza contabile, all’art. 7 del d. lgs. n.
165/2001 ha indicato i presupposti essenziali per il
ricorso agli incarichi esterni:
- l’oggetto della prestazione deve corrispondere
alle competenze attribuite dall’ordinamento
all’amministrazione conferente e ad obiettivi e
progetti specifici e determinati;
- l’amministrazione deve avere preliminarmente
accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le
risorse umane disponibili al suo interno;
- la prestazione deve essere di natura temporanea e
altamente qualificata (ai sensi dell’art. 3, comma
76, legge 244/2007, di particolare e comprovata
specializzazione universitaria);
- devono essere preventivamente determinati durata,
luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
Inoltre, è previsto che le amministrazioni pubbliche
disciplinino e rendano pubbliche, secondo i propri
ordinamenti, procedure comparative per il
conferimento degli incarichi e che i regolamenti di
cui all’art. 110, co. 6, del d.lgs. n. 267/2000 si
adeguino ai principi suindicati.
Le leggi finanziarie, oltre a fissare precisi limiti di
spesa per gli incarichi esterni, hanno rafforzato il
regime di trasparenza degli stessi, attraverso
l’obbligo della pubblicità e dell’adeguata
motivazione, ed il controllo sui medesimi in capo
agli organi interni e alla Corte dei conti (legge n.
662/1996, d.l. n. 168/2004, convertito nella legge
n. 191/2004, legge n. 311/2004, legge n. 266/2005).
OGGETTO
Oggetto del regolamento sono materie eterogenee in
quanto il comma 56, dell’art. 3, della legge
finanziaria 2008, si applica sia agli incarichi di
studio, ricerca e collaborazione sia alle
consulenze.
INCARICHI DI
STUDIO, RICERCA E CONSULENZE
Ai sensi dell’art. 3, comma 55, della legge finanziaria
per il 2008 “l’affidamento da parte degli enti
locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero
di consulenze”, a soggetti estranei
all’amministrazione può avvenire solo nell’ambito di
un programma approvato dal Consiglio ai sensi
dell’art. 42, comma 2, lett. b), T.U.E.L.
La norma citata comprende un’ampia tipologia di
documenti programmatici di competenza del Consiglio;
di conseguenza gli incarichi di cui si parla debbono
essere previsti nel loro oggetto da documenti
programmatici, che scontino con adeguata motivazione
la necessità/opportunità di ricorrere all’incarico
in relazione agli obiettivi ed ai programmi da
attuare.
Com’è noto il d.L. n. 168/2004, convertito nella legge
n. 191/2004, ha distinto tre tipologie di incarichi
esterni: di studio, di ricerca, di
consulenza.
La Corte dei conti SS.RR. in sede di controllo (delib.
n. 6 del 15.02.2005) ne ha fornito una definizione:
per gli incarichi di studio, il riferimento è
all’art. 5 D.P.R. n. 338/1994 che richiede sempre la
consegna di una relazione scritta; gli incarichi
di ricerca presuppongono la preventiva
definizione del programma da parte
dell’amministrazione; le consulenze si
sostanziano nella richiesta di un parere ad un
esperto esterno.
Il tratto che accomuna le differenti tipologie è,
secondo le SS.RR., la sostanziale riconducibilità di
tali fattispecie alla categoria del contratto di
lavoro autonomo, più precisamente al contratto di
prestazione d’opera intellettuale ex artt. 2229-2239
c.c. In particolare gli incarichi di studio possono
essere conferiti a soggetti particolarmente
qualificati nella materia. Essi debbono avere ad
oggetto materie di interesse del soggetto che li
conferisce, avere durata certa e concludersi con la
presentazione di elaborati espositivi dei risultati
dello studio o della ricerca. Tutti questi elementi
debbono risultare dall’atto di conferimento
dell’incarico di studio, che regola il rapporto tra
soggetto conferente ed incaricato.
MATERIE ESCLUSE
DALLA DISCIPLINA
Le
disposizioni regolamentari non trovano applicazione
a quelle materie, come l’appalto di lavori o di beni
o di servizi, di cui al d.lgs. n. 163/2006
(cosiddetto “codice dei contratti pubblici”).
Infatti, secondo la giurisprudenza amministrativa
consolidata (da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV,
sentenza n. 263/2008) l’incarico professionale (di
consulenza, studio o ricerca) in linea generale si
configura come contratto di prestazione d’opera ex
artt. 2222-2238 c.c. riconducibile al modello della
locatio operis, rispetto al quale assume rilevanza
la personalità della prestazione resa
dall’esecutore.
Concettualmente distinto rimane, pertanto, l’appalto di
servizi, il quale ha ad oggetto la prestazione
imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con
organizzazione strutturata e prodotta senza
caratterizzazione personale.
Con riferimento, poi, all’incarico conferito ad un
libero professionista, avvocato esterno
all’Amministrazione, va distinta l’ipotesi della
richiesta di una consulenza, studio o ricerca,
destinata sostanzialmente a sfociare in un parere
legale, rispetto alla rappresentanza e patrocinio
giudiziale.
La prima ipotesi rientra sicuramente nell’ambito di
previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della
legge finanziaria per il 2008.
La seconda, invece, esorbita concettualmente dalla
nozione di consulenza, e quindi ad essa non potrà
applicarsi la disciplina della legge finanziaria per
il 2008 sopra indicata.
Peraltro, appare possibile ricondurre la
rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito
dell’appalto di servizi, dovendosi fare in generale
riferimento alla tipologia dei “servizi legali” di
cui all’allegato 2B del d.lgs. n. 163/2006, che
costituisce, ai sensi dell’art. 20 del decreto, uno
dei contratti d’appalto di servizi cosiddetti
“esclusi”, assoggettato alle sole norme del codice
dei contratti pubblici richiamate dal predetto art.
20, nonché i principi indicati dal successivo art.
27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione). |
Orbene, ciò premesso recentemente la Corte dei
Conti, Sez. di controllo della Lombardia, ha reso il
sotto riportato parere in materia di regolamento
interno relativo al
conferimento di incarichi a soggetti esterni che
merita di essere attentamente letto. |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Dall’esame del Regolamento comunale di organizzazione
degli uffici e dei servizi, relativo al conferimento di
incarichi a soggetti esterni, adottato dal Comune di
Arconate (Mi), la Corte dei conti
Sezione regionale di controllo per la Lombardia accerta la
parziale difformità del citato atto dai criteri enunciati
dalla Sezione con le delibere 37/2008, 224/2008 e 37/2009/INPR.
La criticità rilevata dalla Sezione si pone
in contrasto con la necessità di garantire adeguata
pubblicità alla procedura comparativa, così come previsto
dalla legge (art. 7, comma 6-bis, D.Lgs. n. 165/2001): nel
dettaglio, l’art. 6 permette il conferimento di incarichi,
del valore non superiore a 10mila euro, mediante mera
valutazione dei requisiti in possesso dei professionisti
iscritti in predeterminate liste di accreditamento,
formate ai sensi del successivo art. 9. Come invece
evidenziato dalla giurisprudenza della Sezione,
il conferimento dell’incarico deve essere sempre
preceduto da procedure comparative adeguatamente
pubblicizzate (né è possibile richiamare, per analogia, la
disciplina in tema di affidamento diretto, posta dal D.Lgs.
n. 163/2006, per gli appalti di lavori, servizi e
forniture).
Può prescindersi dalla previa effettuazione
di adeguate forme di pubblicità, solo in circostanze
particolari, esemplificate nelle sopra richiamate delibere.
Di conseguenza, ove per la limitatezza dell’importo,
l’Amministrazione ritenga di procedere mediante la
valutazione dei requisiti e dei curriculum di professionisti
preventivamente iscritti in liste di accreditamento, la
formazione di queste ultime deve necessariamente essere
rispettosa dei principi di adeguata pubblicità, con
conseguente formazione e aggiornamento almeno annuale.
Non pare inoltre possibile prescindere,
anche nell’ipotesi di incarichi inferiori ai 10mila euro,
dall’invito di un numero congruo di concorrenti.
La Sezione dispone pertanto che la presente deliberazione
sia trasmessa al Sindaco e al Presidente del Consiglio
comunale del Comune di Arconate, al fine di procedere alle
necessarie integrazioni e modifiche del predetto
Regolamento.
---------------
La legge finanziaria per il 2008 (L. 24.12.2007, n.
244), nel dettare le regole alle quali gli enti locali
debbono conformarsi per il conferimento di incarichi di
collaborazione, di studio e di ricerca, nonché di
consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione, ha
previsto la necessaria emanazione, da parte di ciascun ente
locale, di norme regolamentari, da trasmettere alla
competente Sezione regionale della Corte dei conti entro
trenta giorni dall’adozione (obbligo esteso all’ipotesi di
modifiche future ai testi già approvati).
Questa Sezione ha individuato, con il
parere 11.03.2008 n. 37
e
parere
06.11.2008 n. 224,
i criteri interpretativi della normativa al fine di
stabilire, nell’esame dei regolamenti pervenuti,
parametri di verifica uniformi, nonché l’alveo giuridico in
cui si sostanzia la funzione di controllo.
Il comma 57 dell’art. 3 della legge n. 244/2007 obbliga gli
enti a trasmettere alla Corte dei conti le disposizioni
regolamentari inerenti gli incarichi di collaborazione
esterna, a qualunque titolo affidati. In base al dato
testuale, l’efficacia delle disposizioni regolamentari non è
subordinata al loro esame da parte della Corte, che non è
chiamata ad effettuare un controllo preventivo di
legittimità ma, nella logica di sistema, la trasmissione è
da ritenere finalizzata all’esercizio delle competenze
tipiche della magistratura contabile.
Al riguardo, necessario punto di partenza è la
considerazione che la funzione principale delle Sezioni
regionali della Corte dei conti rispetto agli enti locali è
l’esercizio di un controllo di natura “collaborativa”
nell'ambito del quale il legislatore, come ha riconosciuto
la Corte costituzionale, è libero di assegnare qualsiasi
competenza, purché vi sia un fondamento costituzionale
rinvenibile, in base ad una lettura adeguatrice, rispetto al
nuovo assetto della Repubblica, delle norme originariamente
dettate per lo Stato, quali gli artt. 100, 81, 97, primo
comma, e 28 della Costituzione (cfr. sentenza Corte cost. n.
179/2007).
In questo quadro, l’obbligo di trasmissione alla Corte dei
conti di atti e documenti, da parte degli enti locali, non
può essere fine a se stesso, ma deve essere finalizzato allo
svolgimento di specifiche funzioni, come messo in luce dalla
Sezione in più occasioni (per tutte, la deliberazione n. 11
del 26.10.2006).
La trasmissione dei regolamenti deve ritenersi pertanto
strumentale al loro esame e ad un’eventuale pronuncia della
Sezione regionale. Questa forma di controllo è ascrivibile
alla categoria del riesame di legalità e regolarità,
dovendosi assumere a parametro delle disposizioni
regolamentari lo statuto dell’ente, i limiti normativi di
settore (in particolare l’art. 7 del d.lgs n. 165/2001 e
l’art. 110 del d.lgs. n. 267/2000), oltre ad ogni altra
disposizione legislativa che contenga indicazioni, anche di
natura finanziaria, riferite a questa materia.
Fissati i parametri di raffronto, occorre verificare quali
siano gli effetti del controllo.
Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale,
ricostruendo il quadro complessivo dell’attività di
controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti
locali, ha ritenuto ascrivibile al riesame di legalità e
regolarità (alla stessa maniera delle verifiche previste
dall’art. 1, comma 166 e seguenti, della legge n. 166/2005)
anche il controllo ex art. 3, comma 57, della legge n.
244/2007, che ha la caratteristica, in una prospettiva non
più statica (come era il tradizionale controllo di legalità)
ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e
parametro normativo all’adozione di misure correttive.
Lo strumento per raggiungere siffatto risultato, in una
tipologia di controllo di natura collaborativa, può essere
individuato nell’applicazione dell’iter procedurale dettato
dall’art. 1, comma 168, della legge n. 266/2005 (ora
abrogato dall’art. 3, comma 1-bis, del d.l. n. 174/2012,
convertito con legge n. 213/2013 e sostituito dal nuovo art.
148-bis del TUEL, introdotto dall’art. 3 del citato d.l. n.
174/2012), norma che prevede specifiche pronunce da
indirizzare all’ente controllato, rimettendo ad esso
l’adozione delle necessarie misure correttive, nonché la
vigilanza sull’effettiva adozione delle misure stesse.
Con il
parere
11.02.2009 n.
37 la Sezione ha
stabilito alcuni criteri omogenei per l’esame dei
regolamenti trasmessi dai Comuni in materia di affidamento
di incarichi di collaborazione e consulenze.
Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività,
la Sezione ha richiamato le proprie precedenti deliberazioni
nn. 37/2008 e 224/2008 ed individuato i seguenti principi:
1) la disciplina dettata dall’art. 3, commi da 54 a 57,
della legge n. 244/2007 stabilisce l’obbligo di normazione
regolamentare di limiti, criteri e modalità di affidamento
degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca, nonché
di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione. La
competenza ad adottare i regolamenti degli uffici e dei
servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto dei criteri
generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, e
art. 42, secondo comma, lett. A del T.U.E.L.);
2) l’art. 46 del d.l. n. 112/2008, convertito nella legge n.
133/2008, ha unificato gli incarichi di collaborazione ad
alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e
consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia
generale di collaborazione autonoma, tutti caratterizzati
dal grado di specifica professionalità richiesta. Questi
presupposti li distinguono dalle collaborazioni “normali”,
il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni
ordinarie dell’ente;
3) quanto alla locuzione “particolare e comprovata
specializzazione universitaria”, questa Sezione ha già
chiarito, con il
parere
12.05.2008 n. 28 ed
il
parere
12.05.2008 n. 29,
che con essa si intende il possesso di conoscenze
specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con
un percorso formativo di tipo universitario, basato su
conoscenze specifiche inerenti il tipo di attività
professionale oggetto dell’incarico. La specializzazione
richiesta, per essere “comprovata”, deve essere
oggetto di accertamento in concreto condotto sull’esame di
documentati curriculari. Il mero possesso formale di titoli
non sempre è sufficiente a comprovare l’acquisizione delle
richieste capacità professionali;
4) il nuovo testo dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001
richiede, come presupposti di legittimità, tutti i requisiti
già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il
ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio. In
particolare, quello della corrispondenza della prestazione
alla competenza attribuita dall’ordinamento
all’amministrazione conferente comporta che si possa
ricorrere a contratti di collaborazione solo con riferimento
alle attività istituzionali stabilite dalla legge, oltre che
previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi
dell’art. 42 del d.lgs n. 267/2000;
5) il comma 3 dell’art. 46 del d.l. 112/2008 ha eliminato
l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo
di spesa sostenibile, prevedendo invece la fissazione del
limite massimo annuale nel bilancio preventivo. È pertanto
necessario accertare, in sede di conferimento, l’esistenza
di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo
limite;
6) quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome, si
richiamano le considerazioni contenute nel punto 6 della
deliberazione di questa Sezione n. 37/2008 dell'11.03.2008
sull’inapplicabilità della disciplina a materia già
autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico
professionale ed appalto di servizi;
7) il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da
procedure selettive di natura concorsuale, adeguatamente
pubblicizzate. In proposito si è posto il problema del se,
ed in quali limiti, sia consentito l’affidamento diretto
dell’incarico. In taluni casi, le amministrazioni fanno
riferimento ai limiti previsti nel Codice dei contratti
pubblici, d.lgs. n. 163/2006.
Tuttavia, la materia è estranea a quella degli appalti di
lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso
a detti criteri. Deve invece affermarsi che il ricorso a
procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può
prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, come
per esempio procedura concorsuale andata deserta, unicità
della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta
urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della
consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un
evento eccezionale;
8) l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi
costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della
Pubblica Amministrazione, in particolare: oggetto della
prestazione, durata, modalità di determinazione del
corrispettivo, termini di pagamento, verifiche del
raggiungimento del risultato (indispensabile in ipotesi di
proroga o rinnovo);
9) in ogni caso, tutti i presupposti che legittimano il
ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata
motivazione nelle delibere o determinazioni di incarico;
10) nel regolamento deve essere espressamente precisato che
le società partecipate debbono osservare i principi e gli
obblighi fissati in materia per gli enti cui appartengono,
nonché i criteri per il controllo dell’ente locale sulla
relativa osservanza
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 19.02.2013 n. 59). |
QUINDI ?? |
Quindi, per andare al sodo della questione,
laddove
sia necessario conferire un incarico legale esterno
alla p.a. (di studio, di ricerca, di
consulenza) non è possibile farlo con un solo
preventivo di spesa, anche se di modico importo, ma
bisogna confrontare più offerte.
Invero, la suddetta Corte dei Conti (Sez.
controllo Lombardia,
parere 19.02.2013 n. 59) offre la
possibilità di una scappatoia laddove si
sostiene quanto segue: "Si può prescindere
dalla previa effettuazione di adeguate forme di
pubblicità solo in circostanze particolari, come per
esempio una procedura concorsuale andata deserta,
l’unicità della prestazione sotto il profilo
soggettivo o l’assoluta urgenza determinata dalla
imprevedibile necessità della consulenza".
E se la regola è quella di espletare la gara (tranne
l'eccezione come sopra ricordata), comunque, per
questa seconda categoria di incarichi legali
-differentemente dalla prima, sussiste il limite di
spesa annuale siccome disposto dall'art. 6, comma 7,
del D.L. n. 78/2010 (convertito dalla Legge n.
122/2010) il cui testo così recita: "7. Al fine
di valorizzare le professionalità interne alle
amministrazioni,
a decorrere
dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi
di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed
incarichi di consulenza conferiti a pubblici
dipendenti, sostenuta dalle pubbliche
amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1
della legge 31.12.2009 n. 196,
incluse le autorità indipendenti, escluse le
università, gli enti e le fondazioni di ricerca e
gli organismi equiparati nonché gli incarichi di
studio e consulenza connessi ai processi di
privatizzazione e alla regolamentazione del settore
finanziario,
non può essere superiore al 20 per cento di
quella sostenuta nell'anno 2009. L'affidamento di
incarichi in assenza dei presupposti di cui al
presente comma costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale.
Le disposizioni di cui al presente comma non si
applicano alle attività sanitarie connesse con il
reclutamento, l’avanzamento e l’impiego del
personale delle Forze armate, delle Forze di polizia
e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.".
18.03.2013 - LA SEGRETERIA PTPL |
dite
la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO |
EDILIZIA
PRIVATA:
M. Bottone,
IL RISCHIO IDROGEOLOGICO DEL PIANO CASA CAMPANIA - Viaggio
nella terra di Fantàsia, dove "non
è" quel che è
(17.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
R. Lasca,
QUALE GUERRA ALLA CORRUZIONE NELLE PP.AA. ITALIANE
E NEGLI ENTI LOCALI IN PARTICOLARE? - “Salvate il
soldato…… Segretario Generale” Ovvero: “Est modus in
rebus” !
(13.03.2013). |
LAVORI PUBBLICI: L.
Bellagamba, La sponsorizzazione
ordinaria e quella nel settore dei beni culturali - Il D.M.
19.12.2012
(13.03.2013 - ricevuto da e tratto da www.linobellagamba.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: R.
Lasca,
PUBBLICO DIPENDENTE PERICOLOSO E PARASSITA ANCHE
QUANDO LAVORA GRATUITAMENTE IN AMBITO EXTRAISTITUZIONALE?
Sì: questa la curiosa novità stando alle modifiche apportate
dalla L. 190/2012 all’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001 !
(07.03.2013). |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
VARI:
Oggetto: Compendio di normativa sull’autotrasporto.
Edizione num. 2 – anno 2013
(ANCE Bergamo,
circolare 15.03.2013 n. 79). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oggetto: Compendio di normativa ambientale. Edizione num.
3 – anno 2013
(ANCE
Bergamo, circolare 15.03.2013 n. 78). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Oggetto:
Articolo 4, comma 24, lettera a), Legge 28.06.2012 n. 92 “Disposizioni
in materia di riforma del mercato del lavoro in una
prospettiva di crescita”: diritto del padre al congedo
obbligatorio e al congedo facoltativo, alternativo al
congedo di maternità della madre
(circolare
14.03.2013 n. 40 - link a www.inps.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
Oggetto: Valorizzazione dei periodi di aspettativa per
nomina ad assessore regionale
(circolare
14.03.2013 n. 39 - link a www.inps.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
In tema di organo competente a nominare il responsabile
della prevenzione della corruzione nei comuni
(Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza
e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche - Autorità
Nazionale Anticorruzione,
delibera
13.03.2013 n. 15/2013). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Linee di indirizzo del Comitato interministeriale
(d.p.c.m. 16.01.2013) per la predisposizione, da parte del
Dipartimento della funzione pubblica, del PIANO NAZIONALE
ANTICORRUZIONE di cui alla legge 06.11.2012, n. 190 (linee
di indirizzo 13.03.2013). |
ENTI LOCALI -
VARI:
OGGETTO: Riduzione di costo per gasolio e GPL impiegato
in particolari zone geografiche. DECRETO 20.12.2012 recante
revisione del decreto 09.03.1999 (ANCI,
nota di indirizzi 12.03.2013). |
TRIBUTI:
OGGETTO: Rapporti tra l’IMU e le imposte sui redditi -
Chiarimenti (Agenzia delle Entrate,
circolare 11.03.2013 n. 5/E). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Requisiti e procedimento per la nomina dei componenti
degli Organismi indipendenti di valutazione (OIV)
(Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza
e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche - Autorità
Nazionale Anticorruzione,
delibera
27.02.2013 n. 12/2013). |
SINDACATI |
ENTI LOCALI:
Corte dei Conti - La fondazione strumento
inadatto per gestire servizi
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 09.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
RAPPORTO DI LAVORO
- Si riporta di seguito un interessante articolo di S.
Allegretti apparso sul numero 1-2/2013 di Guida al Pubblico
Impiego riguardante le modalità di certificazione dei
permessi per malattia del bambino, materia questo che spesso
da luogo ad incomprensioni e vivaci polemiche negli enti ...
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 09.03.2013). |
UTILITA' |
ENTI LOCALI:
Nota ANCI sulla Riduzione di costo per gasolio e GPL
impiegato in particolari zone geografiche.
Il nuovo provvedimento entrerà in vigore il 7 aprile p.v. e,
pertanto, sarebbe necessario ed auspicabile che le
amministrazioni comunali interessate si attivassero per
adottare le citate delibere in tempi brevi
ANCI ha pubblicato una nota di indirizzi per le
amministrazioni comunali interessate dal nuovo Decreto al
fine di sensibilizzarle sulla necessità che -laddove
presentino frazioni non metanizzate- approvino in tempi
brevi le relative delibere di Consiglio al fine di
consentire ai cittadini di continuare a godere della
riduzione di costo senza soluzioni di continuità.
Si evidenzia che il nuovo provvedimento entrerà in vigore il
7 aprile p.v. e, pertanto, sarebbe necessario ed auspicabile
che le amministrazioni comunali interessate si attivassero
per adottare le citate delibere in tempi brevi.
In allegato pubblichiamo anche la normativa citata nella
nota ed una nota dell'Agenzia delle Dogane del 2010 che
chiarisce il concetto di frazione non metanizzata ai fini
del godimento dell'agevolazione fiscale su GPL e gasolio (13.03.2013
- link a www.anci.lombardia.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
J. Cortinovis, A. Galbiati e L. Spallino,
Impianti di telefonia mobile: legislazione, giurisprudenza,
dottrina, schema rilascio n.o. paesaggistico (digesto di
normativa e giurisprudenza in tema di impianti di telefonia
mobile aggiornato al 13.03.2013) (link a
http://www.studiospallino.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il trattamento fiscale degli impianti fotovoltaici (inserto
ItaliaOggi Sette dell'11.03.2013). |
VARI:
GUIDA ALLE AGEVOLAZIONI FISCALI PER I DISABILI (Agenzia
delle Entrate, marzo 2013). |
GURI - GUUE - BURL
(e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 12.03.2013 n. 60 "Approvazione delle norme tecniche
e linee guida in materia di sponsorizzazioni di beni
culturali e di fattispecie analoghe o collegate"
(Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
decreto 19.12.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA
PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 11 dell'11.03.2013, "Pubblicazione
ai sensi dell’articolo 5 del regolamento regionale
21.01.2000, n. 1, dell’elenco dei tecnici competenti in
acustica ambientale riconosciuti dalla Regione Lombardia
alla data del 28.02.2013, in attuazione dell’articolo 2,
commi 6 e 7, della legge 26.10.1995, n. 447 e della
deliberazione 06.08.2012, n. IX/3935"
(comunicato
regionale 28.02.2013 n. 23). |
ENTI LOCALI -
VARI: G.U.
08.03.2013 n. 57 "Revisione del decreto 09.03.1999 in
ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 8, comma 10,
lettera c), della legge 23.12.1998, n. 448 e successive
modificazioni - Agevolazioni «zone montane»"
(Ministero dell'economia e delle Finanze,
decreto 20.12.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI SERVIZI:
Costo orario del lavoro dei dipendenti da imprese e
società esercenti servizi ambientali (Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali,
decreto 26.02.2013).
--------------
L'art. 1 così recita: "Il costo orario dei dipendenti da
imprese e società esercenti servizi ambientali, è
determinato, per il settore pubblico, con riferimento ai
CCNL aventi come parte datoriale FEDERAMBIENTE, a valere dal
mese di ottobre 2012; è aggiornato, per il settore privato,
con riferimento ai CCNL aventi come parte datoriale
ASSOMBIENTE -Sezione Rifiuti Urbani-, a valere dai mesi di
aprile, settembre ed ottobre 2012". |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA
PRIVATA:
Cambio destinazione d'uso in Lombardia - Commento al parere
della Regione Lombardia del 10.01.2013 (16.03.2013
- link a http://ufficiotecnico2012.blogspot.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
J. Cortinovis,
Vani tecnologici e compatibilità paesaggistica
(13.03.2013 - link a http://studiospallino.blogspot.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
M. Acquasaliente,
I parcheggi interrati della legge Tognoli non si possono
realizzare in zona agricola (11.03.2013 - link a
http://venetoius.it). |
APPALTI:
A. Caroselli,
L’Affidamento diretto tra vincoli comunitari e principio di
discrezionalità (05.03.2013 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
QUESITI & PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Curatore del fallimento.
Domanda
Sussiste un obbligo del curatore del fallimento di
provvedere allo smaltimento dei rifiuti industriali
dell'impresa fallita?
Risposta
Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Toscana,
con la sentenza del 01.08.2001, numero 1318, ebbe ad
affermare che i rifiuti prodotti dall'imprenditore fallito
non costituiscono beni da acquisire alla procedura
fallimentare e, quindi, non formano oggetto di apprensione
da parte del curatore. «Comunque», aggiungono i giudici
toscani, «dovendosi rilevare che, esclusa la legittima sussumibilità dei rifiuti stessi nel compendio fallimentare
(rispetto alla quale potrebbero venire in considerazione
eventuali profili di responsabilità di carattere meramente
gestorio in capo al curatore), non viene individuato,
nell'ordine di ripristino sottoposto all'esame di questo
Collegio, alcun ambito di univoca, autonoma e chiara
responsabilità dei curatori stessi ai fini dell'abbandono
dei rifiuti onde trattasi (dandosi al contrario, atto,
almeno implicitamente, della collocazione temporale della
derelizione di questi ultimi a epoca antecedente l'apertura
della procedura fallimentare».
Il Consiglio di stato, con la sentenza del 29.07.2003,
numero 4328, affermò, che il riferimento alla disponibilità
giuridica degli oggetti, qualificati dal comune come rifiuti
inquinanti, non è sufficiente per imporre l'adempimento di
un obbligo gravante sull'impresa fallita. Il potere di
disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari
regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del
giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di
adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla
tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da
fattori inquinanti. Infatti, la curatela fallimentare non
subentrare negli obblighi più strettamente correlati alla
responsabilità dell'imprenditore fallito.
Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) dell'Abruzzo,
con la sentenza del 10.03.2005, numero 398, confermò che
i diritti e gli obblighi della società fallita non possono
essere assunti immediatamente dal curatore che, quale organo
ausiliare del giudice è figura che persegue l'interesse
pubblico della composizione del dissesto degli imprenditori
commerciali, per cui difetta di legittimazione passiva
rispetto agli oneri imposti dal comune.
Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Lombardia,
con la sentenza del 10.05.2005, numero 1159, ebbe a
sottolineare l'insussistenza di alcun obbligo del curatore
del fallimento di provvedere allo smaltimento dei rifiuti
industriali dell'impresa fallita (articolo ItaliaOggi
Sette dell'11.03.2013). |
ENTI LOCALI:
Canoni di locazione passiva.
Domanda
Da quando decorre il divieto di revisione dei canoni di
locazione passiva previsto dal decreto legge «Spending
review»?
Risposta
L'art. 3 del decreto legge n. 95 del
06.07.2012 «Spending
review», così come convertito dalla legge n. 135 del 07.08.2012, al comma I prevede che: «In considerazione
dell'eccezionalità della situazione economica e tenuto conto
delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi
di contenimento della spesa pubblica, a decorrere dalla data
di entrata in vigore del presente provvedimento, per gli
anni 2012, 2013 e 2014, l'aggiornamento degli indici Istat,
previsto dalla normativa vigente non si applica al canone
dovuto dalle amministrazioni inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione_ per l'utilizzo
in locazione passiva di immobili per finalità
istituzionali».
In sostanza la disposizione prevede che, laddove le
pubbliche amministrazioni siano conduttrici di immobili di
proprietà di terzi (si versi quindi in regime di «locazione
passiva») per lo svolgimento di finalità istituzionali, per
gli anni 2012, 2013, 2014, al canone di locazione dovuto non
si applica l'aggiornamento Istat previsto dalla normativa
vigente.
All'attuazione pratica della disposizione è sorta la
problematica oggetto del presente quesito. Sul punto la
Corte dei conti, sezione di controllo per l'Emilia-Romagna,
con determinazione 14.11.2012 n. 472, ha precisato che
il divieto di revisione dei canoni di locazione passiva non
può che decorrere dalla data di entrata in vigore del
decreto «spending review», ovvero dal 07.07.2012.
Tale conclusione è anche confermata dalla relazione tecnica
al citato decreto (articolo ItaliaOggi
Sette dell'11.03.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA: Parco eolico.
Domanda
Cosa deve intendersi per parco eolico?
Risposta
Il parco eolico, come affermato dalla Corte di cassazione
con la sentenza del 07.02.2012, depositata il 14.03.2012, è dato da un insieme di aerogeneratori, quali pale
eoliche o torri, localizzati in un territorio delimitato e
interconnessi tra loro che producono energia elettrica
sfruttando la forza del vento, allo stesso modo in cui le
turbine idrauliche trasformano in energia la forza
dell'acqua nelle comuni centrali idroelettriche.
Pertanto,
il parco eolico assolve a una funzione assolutamente analoga
a quella di una centrale idroelettrica, salvo la diversa
fonte naturale (vento in un caso, acqua nell'altro) dalla
cui forza è derivata per effetto delle turbine l'energia
elettrica prodotta.
A esso può essere applicato il contenuto della sentenza
della Corte costituzionale numero 162, del 2008, che
investita della questione di legittimità costituzionale
dell'articolo 1-quinquies del decreto legislativo del
31.03.2005, numero 44, convertito dalla legge 31.05.2005,
numero 88, ebbe ad affermare che «il legislatore ha
inteso risolvere il contrasto interpretativo con riferimento
alle centrali elettriche (che si era determinato nella
giurisprudenza della Corte di cassazione), senza innovare il
concetto di immobile per incorporazione, quale emergente
dalla normativa esistente ed evidenziata dalla
giurisprudenza in precedenza richiamata. L'unico effetto
(articolo 1-quinquies del decreto legislativo del
31.03.2005, numero 44) è quello di considerare immobili le
centrali elettriche, senza alcuna possibilità per il giudice
di fornire una diversa interpretazione, ma non anche quello
di escludere dal novero degli immobili per incorporazione le
altre costruzioni pure se unite al suolo a scopo
transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o
artificialmente è incorporato al suolo. L'articolo
1-quinquies, quindi, non ha creato un regime particolare per
le centrali elettriche, ma, anzi, ha riportato le stesse
nell'ambito della tipologia di beni cui sono state sempre
accomunate, come, tra l'altro, gli altiforni, i carri-ponte,
i grandi impianti di produzione di vapore, eliminando
qualsiasi dubbio sorto sulla determinazione della rendita
catastale delle stesse» (articolo ItaliaOggi Sette
dell'11.03.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Ecomafie.
Domanda
In materie di discariche abusive, il regime sanzionatorio
risulta inasprito?
Risposta
La legge 13.08.2010, numero 136, relativa al piano
straordinario contro le mafie, con l'articolo 11, ha
inserito la fattispecie di cui all'articolo 260 del decreto
legislativo numero 2006, concernente le attività organizzate
per il traffico illecito di rifiuti, nel novero dei reati
contemplati dall'articolo 51, comma 3-bis del codice di
procedura penale. Con detta disposizione, il legislatore
vuole reprimere le cosiddette «ecomafie», che, con condotte
clandestine e occulte, quali la realizzazione di discariche
abusive e non controllate di rifiuti tossici e non su aree,
sempre più diffuse, del territorio nazionale, determinano un
grave impatto ambientale e un grave pregiudizio per
l'ecosistema.
Ora, in tema, la Corte di cassazione, sezione III penale,
già in precedenza, con la sentenza del 06.10.2005,
numero 40828, aveva affermato che la nozione giuridica di
condotta abusiva, di cui all'articolo 53-bis del decreto
legislativo numero 22 del 1997, comprende, come attività
organizzata per il traffico illecito dei rifiuti, oltre a
quella clandestina, cioè a quella effettuata senza alcuna
autorizzazione, e quella avente per oggetto una tipologia di
rifiuti non rientrante nel titolo abilitativo, anche tutte
quelle attività che, per le modalità concrete con cui si
esplicano, risultano totalmente difformi da quanto
autorizzato, sì da non essere più giuridicamente
riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla
competente autorità amministrativa.
E la stessa Corte di cassazione, sezione III penale, con
altra sentenza del 03.03.2010, numero 8299, ha puntualizzato
che: «L'avverbio “abusivamente” di cui al primo comma
dell'articolo 260 del decreto legislativo numero 152, del
2006, si riferisce a tutte le attività non conformi ai
precisi dettati normativi svolte nel delicato settore della
raccolta dei rifiuti pericolosi e non analiticamente
disciplinato dalla normativa» (articolo ItaliaOggi
Sette dell'11.03.2013). |
TRIBUTI: Imu per agricoltori.
Domanda
I coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli devono
presentare la dichiarazione Imu? Sempre, cioè in qualsiasi
caso?
Risposta
Come precisato dal Ministero dell'economia e delle finanze,
Dipartimento delle finanze-Direzione legislazione tributaria
e federalismo fiscale, con la risoluzione n. 2/DF del 18.01.2013: «Se i coltivatori diretti e gli imprenditori
agricoli professionali avevano già dichiarato tale
condizione soggettiva ai fini Ici, e nell'ipotesi in cui
questa continua a persistere anche in vigenza dell'Imu,
detti soggetti non sono, ovviamente, tenuti a presentare
nuovamente la dichiarazione Imu, dal momento che il comune è
già in possesso delle informazioni necessarie per il
riconoscimento delle agevolazioni previste dalla legge, vale
a dire il moltiplicatore di cui al c. 5 dell'art. 13 del dl
n. 201/2011 e la cosiddetta franchigia di cui successivo
comma 8-bis» (articolo ItaliaOggi Sette
dell'11.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO - VARI: Diritto di critica.
Domanda
L'esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica
nei confronti del datore di lavoro quali limiti incontra?
Risposta
L'esercizio, da
parte del lavoratore, del diritto di critica nei confronti
del datore di lavoro, garantito dagli artt. 21 e 39 Cost.,
incontra i limiti della correttezza formale, imposti
dall'esigenza, anch'essa costituzionalmente assicurata (art.
2 Cost.), di tutela della persona umana. Ne consegue che,
ove tali limiti siano superati p.e. con riferimenti
denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può
essere legittimamente sanzionato in via disciplinare (articolo ItaliaOggi Sette
dell'11.03.2013). |
CORTE DEI CONTI |
ATTI
AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI:
Va escluso che la disciplina innovativa del 2012
(D.L. 10.10.2012 n. 174 convertito
in legge 07.12.2012 n. 213) assegni
al Segretario comunale un ruolo nel sistema dei controlli
tale da porlo in situazione di incompatibilità.
Invero, i nuovi compiti di direzione e di trasmissione delle
risultanze del controllo assegnati dalla novella al
Segretario, unitamente a quelli della trasmissione alla
Sezione del controllo della relazione semestrale del
Sindaco, contenente il referto ex art. 148, comma 1, non
configurano ipotesi di incompatibilità, tenuto anche conto
della “(…) concomitante autonomia normativa, organizzativa e
regolamentare riconfermata dal Legislatore in capo agli enti
locali, ovvero, alla possibilità loro rimessa di selezionare
la concreta articolazione delle modalità dei controlli, da
calibrare anche con riferimento alle caratteristiche
dimensionali dei diversi enti, in modo che si possano
evitare eventuali ipotesi di incompatibilità.”.
---------------
Il Sindaco del Comune di Nuxis domanda se alla luce della
nuova normativa (v. D.L. 10.10.2012 n. 174 convertito in
legge 07.12.2012 n. 213), che ha inciso anche sulle
disposizioni in materia di controlli interni ed esterni di
cui al D.Lgs. 267/2000, si configuri incompatibilità per
il Segretario comunale titolare degli incarichi di
responsabilità di servizi/settori/aree -allo stesso
attribuiti ai sensi del richiamato D.Lgs. 267/2000- e le
competenze di cui è investito in materia di controlli.
...
4. A fondamento dell’ipotetico contrasto interpretativo ora
sollevato, il Comune adduce il fatto che il Segretario
comunale, eventualmente incaricato della responsabilità
dirigenziale di servizi o settori, rivestirebbe
contemporaneamente il compito di controllore e controllato,
presentando conseguenti profili di incompatibilità,
dovendosi successivamente far carico dei compiti
espressamente previsti ora dal novellato art. 148 D.Lgs.
267/2000 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli
enti locali). In effetti, nel caso in cui l’ente sia
sprovvisto di dirigenti o di responsabili dei servizi, le
relative funzioni possono essere conferite al Segretario,
tenuto in tal caso ai pareri di responsabilità
tecnico-amministrativa (ai sensi degli art. 49, 107, 108 e
109 del TUEL).
5. Nel merito della richiesta formulata dal Comune, cosi
come rilevato dal Consiglio delle Autonomie locali, la
Sezione non ravvisa la sussistenza di contrasto
interpretativo tra l’applicazione della disposizione di cui
all’art. 97, comma 4, lett. d) (che reca la disciplina del
ruolo e funzioni dei Segretari comunali e provinciali e al
richiamato comma autorizza il Sindaco o il Presidente della
provincia al conferimento di ogni altra funzione a termini
di statuto o regolamenti) e delle disposizioni, così come
ora innovate, di cui al capo III e capo IV del cit. T.U.
267/2000 (rispettivamente dedicate alla tipologia dei
controlli interni e ai controlli esterni sulla gestione).
Inoltre, si fa osservare che, limitatamente ai profili sopra
delineati, l’assetto di attribuzione di compiti/funzioni in
capo ai Segretari e ai Dirigenti non viene interessato dal
recente D.L. 174/2012. Viceversa, la nuova normativa detta,
tra le altre, disposizioni di rafforzamento dei controlli
per gli enti locali, prescrivendo l’adozione e l’operatività
-entro tre mesi dalla sua entrata in vigore- di apposito
regolamento che definisca strumenti e modalità di controllo
interno, disegnando puntualmente detti strumenti e modalità
e riscrivendo gli art. 147 e seguenti del T.U. 267/2000 e
disegna nuove articolazioni delle tipologie di controllo (v.
art. 3, comma 1, lett. d), e comma 2 cit. D.L. 174/2012).
6. Il novellato art. 147 del TUEL (tipologia dei controlli
interni), comma 4, prevede che partecipano
all’organizzazione del sistema dei controlli interni il
segretario dell’ente, il direttore generale, laddove
previsto, i responsabili dei servizi e le unità di
controllo, laddove istituite. Dall’art. 147-bis vengono,
poi, modulate articolazioni del controllo di regolarità
amministrativo contabile, in via preventiva assicurato dai
pareri di conformità dei responsabili dei servizi, compreso
il servizio finanziario, in via successiva assicurato
proprio dalla direzione del Segretario. <<Le risultanze
del controllo di cui al comma 2 sono trasmesse
periodicamente, a cura del segretario, ai responsabili dei
servizi, unitamente alle direttive cui conformarsi in caso
di riscontrate irregolarità, nonché ai revisori dei conti e
agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti,
come documenti utili per la valutazione, e al consiglio
comunale>>.
7. In conseguenza, i nuovi compiti di direzione e di
trasmissione delle risultanze del controllo finora
esaminati, unitamente a quelli della trasmissione alla
Sezione del controllo della relazione semestrale del
Sindaco, contenente il referto ex art. 148, comma 1,
previsti a carico del Segretario comunale, non può ritenersi
che configurino ipotesi di contabilità secondo le previsioni
ipotizzate dal Legislatore, contrariamente alle perplessità
manifestate dal comune di Nuxis.
Ciò anche in considerazione della concomitante autonomia
normativa, organizzativa e regolamentare riconfermata dal
Legislatore in capo agli enti locali, ovvero, alla
possibilità loro rimessa di selezionare la concreta
articolazione delle modalità dei controlli, da calibrare
anche con riferimento alle caratteristiche dimensionali dei
diversi enti, in modo che si possano evitare eventuali
ipotesi di incompatibilità
(Corte dei Conti, Sez. controllo Sardegna,
parere 15.03.2013 n. 28). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Consulenti al palo.
Solo incarichi di valenza politica. Giro di vite della Corte dei conti sulle regioni.
I consigli regionali rispondono alla Corte dei conti nel
caso in cui conferiscano incarichi di consulenza non
pertinenti alla loro funzione «politica».
La sentenza della
Corte dei Conti, Sez. I giurisdizionale centrale,
sentenza 07.03.2013 n. 190, stringe le maglie dei controlli sulle
assemblee legislative regionali, fornendo grazie alla
riforma dei controlli, il dl 174/2012, convertito in legge
213/2012, un'interpretazione innovativa sulla presunta
insindacabilità delle decisioni dei consigli.
La sentenza,
accogliendo l'appello presentato dalla procura della
Basilicata avverso la decisione del giudice di prime cure,
smonta dalle radici la presunzione molto radicata negli
organi legislativi delle regioni di essere sostanzialmente
al di fuori di ogni controllo sul loro operato. Occasione
del contendere era stata la contestazione mossa dalla
medesima Procura di danno erariale, per il conferimento da
parte dell'ufficio di presidenza del consiglio della regione
Basilicata di un incarico di consulenza per l'organizzazione
del Consiglio regionale, assegnato ad un soggetto esterno,
per un importo di 23.869 euro.
Secondo la Procura si era
trattato di un incarico assegnato in violazione dei limiti e
vincoli imposti dall'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001,
in particolare per l'assenza della specificità dell'attività
da svolgere, considerata di ordinaria amministrazione, anche
considerando la presenza, nell'organico del consiglio
regionale, di un direttore generale, 9 dirigenti e 46
funzionari direttivi.
Tuttavia, la sentenza di primo grado non aveva esaminato la
questione, fermandosi immediata alla questione pregiudiziale
dell'assenza della giurisdizione della magistratura
contabile, dovuta all'insindacabilità del consiglio. La
Procura ha sostenuto che, a ben vedere, l'articolo 122 della
Costituzione e la giurisprudenza costituzionale debbono
essere letti nel senso di riconoscere alle assemblee
regionali mera autonomia organizzativa, a differenza del
parlamento che dispone di poteri e prerogative discendenti
dall'esercizio della sovranità. La sentenza ha ritenuto che
l'organizzazione del consiglio non rientra tra le funzioni «politiche»
dell'assemblea, ma si tratti di mera «amministrazione
attiva», cioè pura ed ordinaria gestione, non
riguardanti lo svolgimento dei lavori dei consiglieri, ma
della struttura servente.
Secondo la sezione, le funzioni puramente amministrative non
sono garantite da immunità ed insindacabilità. E questo è
confermato dall'articolo 1, commi 10 e seguenti, del dl
174/2012, che contribuisce a chiarire i limiti delle
guarentigie assicurate dalla Costituzione ai consigli
regionali, riguardanti solo ed esclusivamente le attività
politiche. Sicché, la Corte dei conti può esercitare la
propria giurisdizione allo scopo di sanzionare la mala
gestione amministrativa, come può essere l'assegnazione di
incarichi di consulenza per attività ordinarie
(articolo ItaliaOggi del 15.03.2013
- tratto da www.cndcec.it). |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE:
Il sindaco del comune di
Cislago chiedeva se fosse corretto corrispondere
l’incentivo ex art. 92 al personale dipendente interno
all’ufficio tecnico comunale coinvolto nella realizzazione
di opere e di lavori di manutenzione sugli immobili comunali
o del verde pubblico quali: opere di manutenzione ordinaria
e straordinaria sugli immobili (di carattere edile e
relative agli impianti); opere di manutenzione ordinaria e
straordinaria sulle strade, manutenzione del verde.
Chiedeva, inoltre, se l’incentivo per gli atti di
pianificazione fosse erogabile per la redazione di varianti
allo strumento urbanistico generale (Piano di Governo del
Territorio), relative alla predisposizione di modifiche
parziali e/o totali di articoli delle norme tecniche di
attuazione del PGT o alla stesura di elaborati relativi
all’azzonamento, sia riguardanti aree con destinazioni di
interesse pubblico che di carattere privato, con relativa
procedura di V.A.S..
---------------
L’incentivo alla
progettazione non può venire riconosciuto per qualunque
lavoro di manutenzione ordinaria/straordinaria su beni
dell’ente locale ma solo per lavori di realizzazione di
un’opera pubblica alla cui base vi sia una necessaria
attività di progettazione.
Esulano, pertanto, tutti quei lavori manutentivi per la cui
realizzazione non è necessaria l’attività progettuale
richiamata negli articoli 90, 91 e 92 del decreto n. 163.
E' di palmare evidenza come il riferimento normativo e la
conseguente voluntas legis sia ascrivibile solo alla materia
dei lavori pubblici, presupponendosi una procedura ad
evidenza pubblica finalizzata alla realizzazione di un’opera
di pubblico interesse.
---------------
Quanto al
corretto significato da attribuire alla locuzione “atto di
pianificazione” inserita nel testo dell’art. 92, comma 6,
del d.lgs. n. 163/2006, la Sezione richiama il condivisibile
orientamento espresso dalla Sezione regionale di controllo
per il Piemonte a tenore del quale,
l’atto di pianificazione, comunque denominato, debba
necessariamente riferirsi alla progettazione di opere
pubbliche e non ad un mero atto di pianificazione
territoriale redatto dal personale tecnico abilitato
dipendente dell’amministrazione.
Stante la sedes materiae della norma sugli incentivi alla
progettazione (Codice degli appalti), nonché la ratio della
disposizione (contenere i costi connessi alla progettazione
delle opere pubbliche valorizzando le professionalità
interne alla pubblica amministrazione), si condivide
l’argomentazione secondo cui “la
norma àncora chiaramente il riconoscimento del diritto ad
ottenere il compenso incentivante alla circostanza che la
redazione dell’atto di pianificazione, riferita ad opere
pubbliche e non ad atti di pianificazione del territorio,
sia avvenuta all’interno dell’Ente. Qualora sia avvenuta
all’esterno non è idonea a far sorgere il diritto di alcun
compenso in capo ai dipendenti degli Uffici tecnici
dell’Ente”.
In conclusione, ciò che rileva ai
fini della riconoscibilità del diritto al compenso
incentivante non è tanto il nomen juris attribuito all’atto
di pianificazione, quanto il suo contenuto specifico
intimamente connesso alla realizzazione di un’opera
pubblica, ovvero a quel quid pluris di progettualità
interna, rispetto ad un mero atto di pianificazione generale
(piano regolatore o variante generale) che costituisce, al
contrario, diretta espressione dell’attività istituzionale
dell’ente per la quale al dipendente è già corrisposta la
retribuzione ordinariamente spettante.
--------------
Il sindaco del
comune di Cislago, con nota n. 2011 del 05.02.2013, chiedeva
all’adita Sezione l’espressione di un parere in ordine alla
corretta interpretazione dell’articolo 92, commi 5 e 6, del
d.lgs. n. 163/2006.
In particolare, il sindaco del comune di Cislago chiedeva se
fosse corretto corrispondere l’incentivo ex art. 92 al
personale dipendente interno all’ufficio tecnico comunale
coinvolto nella realizzazione di opere e di lavori di
manutenzione sugli immobili comunali o del verde pubblico
quali: opere di manutenzione ordinaria e straordinaria sugli
immobili (di carattere edile e relative agli impianti);
opere di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle
strade, manutenzione del verde.
Chiedeva, inoltre, se l’incentivo per gli atti di
pianificazione fosse erogabile per la redazione di varianti
allo strumento urbanistico generale (Piano di Governo del
Territorio), relative alla predisposizione di modifiche
parziali e/o totali di articoli delle norme tecniche di
attuazione del PGT o alla stesura di elaborati relativi
all’azzonamento, sia riguardanti aree con destinazioni di
interesse pubblico che di carattere privato, con relativa
procedura di V.A.S..
...
La questione in esame concerne la corretta interpretazione
dell’articolo 92, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 63/2006,
questione su cui la giurisprudenza di questa Sezione è ormai
più che consolidata.
Più nel dettaglio, l’istanza di parere concerne
separatamente il comma 5 citato (incentivi per l’affido di
lavori di manutenzione ordinaria/straordinaria) ed il comma
6 (incentivi per la redazione di varianti allo strumento
urbanistico generale), così da rendere opportuna una
separata trattazione.
Seguendo l’ordine numerico, il menzionato comma 5 prevede
che “una somma non superiore al due per cento
dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un
lavoro, (…), è ripartita, per ogni singola opera o lavoro,
con le modalità e i criteri previsti in sede di
contrattazione decentrata e assunti in un regolamento
adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del
procedimento e gli incaricati della redazione del progetto,
del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del
collaudo, nonché tra i loro collaboratori. La percentuale
effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita
dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità
dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle
responsabilità professionali connesse alle specifiche
prestazioni da svolgere. La corresponsione dell'incentivo è
disposta dal dirigente preposto alla struttura competente,
previo accertamento positivo delle specifiche attività
svolte dai predetti dipendenti (…); le quote parti
dell'incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai
medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale esterno
all'organico dell'amministrazione medesima, ovvero prive del
predetto accertamento, costituiscono economie”.
La disciplina in discorso è stata già oggetto di attenzione
da parte di precedenti pronunce della Corte dei conti (cfr.,
fra le altre, Sezione Autonomie
delibera 13.11.2009 n. 16/2009, Sezione Veneto
parere 26.07.2011 n. 337, Sezione Piemonte
parere 30.08.2012 n. 290, Sezione
Lombardia
parere 06.03.2012 n. 57 e
parere 30.05.2012 n. 259) alle cui motivazioni e
conclusioni può farsi riferimento per l’analisi dei profili
generali.
La norma va letta nel complessivo contesto delle modalità
d’affidamento degli incarichi tecnico-professionali,
previste dalla legislazione in materia di contratti
pubblici. Quest’ultima (si rinvia agli artt. 10, 84, 90,
112, 120 e 130 del d.lgs. 163/2006) è informata da un
principio generale, già codificato dall’art. 7, comma 6, del
d.lgs. n. 165/2001, in base al quale i predetti incarichi
possono essere conferiti a soggetti esterni al plesso
amministrativo solo se non si disponga di professionalità
adeguate nel proprio organico e tale carenza non sia
altrimenti risolvibile con strumenti flessibili di gestione
delle risorse umane. Tale presupposto mira a preservare le
finanze pubbliche oltre che a valorizzare il personale
interno alle amministrazioni.
Pertanto, nelle ipotesi ordinarie in cui gli incarichi
tecnici sono espletati da personale interno, ai fini della
loro remunerazione, occorre far riferimento alle regole
generali previste per il pubblico impiego, il cui sistema
retributivo è conformato da due principi cardine, quello di
definizione contrattuale delle componenti economiche e
quello di onnicomprensività della retribuzione (cfr. artt.
2, 24, 40 e 45 del d.lgs. n. 165/2001, nonché Corte dei
Conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, sentenze nn.
464, 475 e 487 del 2010). Secondo questi ultimi nulla è
dovuto, oltre al trattamento economico fondamentale ed
accessorio stabilito dai contratti collettivi, al dipendente
che ha svolto una prestazione che rientra nei suoi doveri
d’ufficio, anche se di particolare complessità.
Il c.d. “incentivo alla progettazione”, previsto dal
Codice dei contratti pubblici, costituisce uno di quei casi
nei quali il legislatore, derogando al principio per cui il
trattamento economico è fissato dai contratti collettivi,
attribuisce un compenso ulteriore e speciale, rinviando ai
regolamenti dell’amministrazione aggiudicatrice, previa
contrattazione decentrata, i criteri e le modalità di
ripartizione.
L’art. 92, comma 5, del d.lgs. 163/2006 deroga ai principi
di onnicomprensività e determinazione contrattuale della
retribuzione del dipendente pubblico e, come tale,
costituisce un’eccezione che si presta a stretta
interpretazione e per la quale sussiste il divieto di
analogia posto dall’art. 12 delle diposizioni preliminari al
codice civile (in tal senso Sezione Campania,
parere 07.05.2008 n. 7/2008).
Come evincibile dalla lettera del comma, la legge pone
alcuni paletti per l’attribuzione del predetto incentivo,
rimettendone la disciplina concreta (“criteri e modalità”)
ad un regolamento interno assunto previa contrattazione
decentrata.
I punti fermi che il regolamento interno
deve rispettare
(sull’impossibilità da parte del regolamento di derogare a
quanto previsto dalla legge o di attribuire compensi non
previsti, si rimanda al parere della Sezione n. 259/2012)
paiono essere i seguenti:
►
erogazione ai soli
dipendenti espletanti gli incarichi tassativamente indicati
dalla norma (responsabile del procedimento, incaricati della
redazione del progetto, del piano della sicurezza, della
direzione dei lavori, del collaudo, e loro collaboratori),
riferiti all’aggiudicazione ed esecuzione “di un’opera o
un lavoro” (non, pertanto, per un appalto di fornitura
di beni o di servizi).
La norma non presuppone,
tuttavia, ai fini della legittima erogazione,
il necessario espletamento interno di una o più
attività (per
esempio, la progettazione) purché,
come sarà meglio specificato, il
regolamento ripartisca gli incentivi in maniera conforme
alle responsabilità attribuite e devolva in economia la
quota relativa agli incarichi conferiti a professionisti
esterni;
►
ammontare complessivo
non superiore al due per cento dell’importo a base di gara.
Di conseguenza la somma concretamente prevista dal
regolamento interno può essere stabilita in misura
percentuale inferiore;
►
ancoramento del fondo
incentivante alla base di gara (non all’importo oggetto del
contratto, né a quello risultante dallo stato finale dei
lavori).
Si deduce che non appare ammissibile la
previsione e l’erogazione di alcun compenso nel caso in cui
l’iter dell’opera o del lavoro non sia giunto, quantomeno,
alla fase della pubblicazione del bando o della spedizione
delle lettere d’invito
(cfr., per esempio, l’art. 2, comma 3, del DM Infrastrutture
n. 84 del 17/03/2008). Quanto detto non
esclude che, in sede di regolamento interno, al fine di
ancorare l’erogazione dell’incentivo a più stringenti
presupposti, l’amministrazione possa prevedere la
corresponsione solo subordinatamente all’aggiudicazione
dell’opera;
►
puntuale ripartizione
del fondo incentivante tra gli incarichi attribuibili
(responsabile del procedimento, progettista, direttore dei
lavori, collaudatori, nonché loro collaboratori), secondo
percentuali rimesse alla discrezionalità
dell’amministrazione, da mantenere, tuttavia, entro i binari
della logicità, congruenza e ragionevolezza
(cfr. Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici,
Deliberazioni n. 315 del 13/12/2007, n. 70 del 22/06/2005,
n. 97 del 19/05/2004;
►
devoluzione in economia
delle quote del fondo incentivante corrispondenti a
prestazioni non svolte dai dipendenti, ma affidate a
personale esterno all'organico dell'amministrazione. Obbligo
che impone di prevedere analiticamente nel regolamento
interno, e graduare, le percentuali spettanti per ogni
incarico espletabile dal personale, in maniera tale da
permettere, nel caso in cui alcune prestazioni siano
affidate a professionisti esterni, la predetta devoluzione
(si rinvia alle Deliberazioni dell’Autorità di vigilanza n.
315 del 13/12/2007, n. 35 del 08/04/2009, n. 18 del
07/05/2008 e n. 150 del 02/05/2001).
Sulla base di tali criteri si può rispondere negativamente
al primo quesito posto dal Comune di Cisalgo:
l’incentivo alla progettazione non può
venire riconosciuto per qualunque lavoro di manutenzione
ordinaria/straordinaria su beni dell’ente locale ma solo per
lavori di realizzazione di un’opera pubblica alla cui base
vi sia una necessaria attività di progettazione.
Esulano, pertanto, tutti quei lavori manutentivi per la cui
realizzazione non è necessaria l’attività progettuale
richiamata negli articoli 90, 91 e 92 del decreto n. 163.
Sulla stessa linea, con motivazione ampiamente
condivisibile, va richiamata la deliberazione della Sezione
Toscana n. 293/2012/PAR secondo cui “l’art. 90 del D.lgs.
n. 163/2006 sia alla rubrica che al c. 1, fa riferimento
esclusivamente ai lavori pubblici, e l’art. 92, c. 1,
presuppone l’attività di progettazione nelle varie fasi come
finalizzata alla costruzione dell’opera pubblica progettata.
A fortiori, lo stesso comma 6 dell’art. 92 prevede che
l’incentivo alla progettazione venga ripartito tra i
dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo
abbiano redatto e, dunque, è di
palmare evidenza come il riferimento normativo e la
conseguente voluntas legis sia ascrivibile solo alla materia
dei lavori pubblici, presupponendosi una procedura ad
evidenza pubblica finalizzata alla realizzazione di un’opera
di pubblico interesse”
(nello stesso senso, la medesima Sezione si è espressa più
di recente con il parere n. 459/2012).
Analoga risposta negativa merita la seconda ipotesi
prospettata nell’istanza di parere (incentivi per la
redazione di varianti allo strumento urbanistico generale).
Ai sensi dell’articolo 92, comma 6, decreto legislativo n.
163/2003 “il trenta per cento della tariffa professionale
relativa alla redazione di un atto di pianificazione
comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri
previsti nel regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti
dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.
Anche su tale disposto normativo la Sezione si è già più
volte pronunciata con le deliberazioni n. 57, 259 e 440 del
2012 cui si rinvia per la completezza del quadro
giurisprudenziale.
Richiamati le suesposte considerazioni sull’eccezionalità
della previsione normativa, va ricordato che le
condivisibili conclusioni di questa Sezione sono pertanto
che “l’art. 92, comma 6, non potrebbe
costituire titolo per l’erogazione di speciali compensi ai
dipendenti che svolgono attività sussidiarie, strumentali o
di supporto alla redazione di atti di pianificazione
affidata a professionisti esterni. Tale disposizione,
infatti, abilita
(nella misura autoritativamente fissata dalla legge)
a riconoscere uno speciale compenso,
al di là del trattamento economico ordinariamente spettante,
solo in presenza dei due seguenti elementi
di fattispecie:
a) sul piano dell’oggetto, che la prestazione consista nella
diretta “redazione di un atto di pianificazione”, non in
attività variamente sussidiarie che rientrano nei doveri
d’ufficio dei dipendenti, nel contesto dell’attività di
governo del territorio
(cfr. la deliberazione del 27.01.2009, n. 9 di questa
Sezione);
b) implicitamente, che la redazione dello
stesso non sia stata esternalizzata ad un professionista
esterno ai sensi dell’art. 90, comma 6”.
Quanto al corretto significato da attribuire alla locuzione
“atto di pianificazione” inserita nel testo dell’art.
92, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006, la Sezione richiama il
condivisibile orientamento espresso dalla Sezione regionale
di controllo per il Piemonte (cfr. deliberazione n.
290/2012/SRPIE/PAR), a tenore del quale,
l’atto di pianificazione, comunque denominato, debba
necessariamente riferirsi alla progettazione di opere
pubbliche e non ad un mero atto di pianificazione
territoriale redatto dal personale tecnico abilitato
dipendente dell’amministrazione.
Stante la sedes materiae della norma sugli incentivi
alla progettazione (Codice degli appalti), nonché la
ratio della disposizione (contenere i costi connessi
alla progettazione delle opere pubbliche valorizzando le
professionalità interne alla pubblica amministrazione), si
condivide l’argomentazione secondo cui “la
norma àncora chiaramente il riconoscimento del diritto ad
ottenere il compenso incentivante alla circostanza che la
redazione dell’atto di pianificazione, riferita ad opere
pubbliche e non ad atti di pianificazione del territorio,
sia avvenuta all’interno dell’Ente. Qualora sia avvenuta
all’esterno non è idonea a far sorgere il diritto di alcun
compenso in capo ai dipendenti degli Uffici tecnici
dell’Ente” (in
termini, Sezione contr. Piemonte deliberazione cit.; cfr.
altresì Sezione contr. Lombardia, 30.05.2012, n. 259;
06.03.2012, n. 57; Sezione contr. Puglia, 16.01.2012, n. 1;
Sezione contr. Toscana, 18.10.2011, n. 213).
In conclusione, ciò che rileva ai fini
della riconoscibilità del diritto al compenso incentivante
non è tanto il nomen juris attribuito all’atto di
pianificazione, quanto il suo contenuto specifico
intimamente connesso alla realizzazione di un’opera
pubblica, ovvero a quel quid pluris di progettualità
interna, rispetto ad un mero atto di pianificazione generale
(piano regolatore o variante generale) che costituisce, al
contrario, diretta espressione dell’attività istituzionale
dell’ente per la quale al dipendente è già corrisposta la
retribuzione ordinariamente spettante
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 06.03.2013 n.
72). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Mobilità volontaria resta fuori dai tetti.
Gli ultimi orientamenti sull'istituto.
La mobilità volontaria è uno strumento centrale per arrivare
alla migliore allocazione del personale nelle
amministrazioni pubbliche; i suoi oneri non entrano nel
tetto alla spesa per le assunzioni ed i suoi risparmi non
possono essere calcolati al fine di determinare il tetto di
spesa per le nuove assunzioni.
Essa deve essere attivata necessariamente prima della
indizione di un concorso pubblico, mentre vi sono opinioni
diverse sul vincolo della sua attivazione prima della
utilizzazione di una graduatoria esistente nell'ente.
Occorre in ogni caso il consenso dell'amministrazione
cedente, consenso che si esprime tramite il parere del
dirigente competente; continua ad essere utilizzabile la
mobilità per interscambio e, fatta salva la preferenza per
il personale in comando, occorre attivare procedure
comparative e dare adeguata pubblicità preventiva alla sua
utilizzazione.
Sono queste le principali indicazioni che
sintetizzano gli ambiti e le caratteristiche della mobilità
volontaria, anche tenendo conto delle letture fornite nei
giorni scorsi dal
parere 06.03.2013 n. 65 della Sez. regionale di
controllo della Corte dei Conti del Veneto e dalla
nota 01.03.2013 n. 10395 di prot.
del dipartimento della funzione pubblica.
Prima della indizione del concorso pubblico è necessario
attivare le procedure di mobilità volontaria ex articolo 30
dlgs n. 165/2001. Le regole per la mobilità volontaria
devono essere dettate da ogni singolo ente e devono
rispettare i principi di pubblicità previsti
dall'ordinamento. Il personale in comando presso lo stesso
ente ha diritto di precedenza nelle assunzioni in mobilità.
Il ricorso a questo istituto non può essere esteso al
personale non dipendente delle p.a., neppure a quello delle
società in house assunti con concorso pubblico. Essa non può
essere limitata al personale dello stesso comparto e, in
attesa della tabella di equiparazione, tale operazione deve
essere effettuata da ogni ente.
La mobilità, come chiarito dalla sezione regionale di
controllo della Corte dei conti del Veneto, parere n. 65 del
6 marzo 2013, può continuare ad essere disposta anche come
interscambio tra enti, nonostante l'avvenuta abrogazione
delle norme contrattuali a opera del dl n. 5/20112, articolo
62. Il parere chiarisce che «l'abrogazione della
disposizione contrattuale di cui all'articolo 6, comma 20,
del dpr 268/1987 non preclude alle amministrazioni locali di
poter attivare una mobilità reciproca o bilaterale con altre
amministrazioni locali in applicazione del principio
generale contenuto nell'articolo 6 del dlgs 165/2001».
Il parere pone numerose limitazioni nella sua concreta
utilizzazione: «La mobilità deve avvenire tra enti soggetti
entrambi ai medesimi vincoli assunzionali; l'interscambio
deve avvenire tra dipendenti appartenenti alla stessa
qualifica funzionale; l'interscambio deve avvenire entro un
periodo di tempo congruo (contestualità) che consenta agli
enti di non abbattere le spese di personale (derivanti dalla
cessione del contratto del dipendente transitato in mobilità
ad altro ente) qualora l'assunzione del dipendente in
entrata slitti dal punto di vista temporale rischiando di
traslarsi all'esercizio successivo». Ed ancora, occorre
garantire «la neutralità finanziaria» ed «il personale
soggetto ad interscambio non deve essere stato dichiarato in
eccedenza o sovrannumero».
Come chiarito dalla
nota 01.03.2013 n. 10395 di prot. del dipartimento della funzione
pubblica, la mobilità richiede il consenso
tanto dell'ente cedente che di quello ricevente, oltre che,
ovviamente, l'iniziativa del dipendente.
A differenza del passato, con il testo dell'articolo 30 del
dlgs n. 165/2001 per come modificato dal dlgs n. 150/2009,
c.d. legge Brunetta, il nulla osta continua quindi di fatto
a sussistere, ma nella forma del parere del dirigente
individuato come competente dall'amministrazione, parere che
deve essere preceduto da quello del dirigente
dell'articolazione organizzativa presso cui il dipendente
presta la sua attività lavorativa. Per cui, contro la
volontà dell'ente presso cui il dipendente presta servizio,
non è possibile dare corso alla mobilità
(articolo ItaliaOggi del 15.03.2013
- tratto da http://rstampa.pubblica.istruzione.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - ENTI LOCALI: Spese di rappresentanza 2011 - Profili di non conformità
alla legge.
Questa Sezione ha definito le linee
guida per l’esame dei prospetti sulle spese di
rappresentanza, indicando criteri uniformi di verifica, sia
di carattere sostanziale sia di carattere procedimentale.
In maggior dettaglio, nell’autodeterminare le linee guida
per la propria attività, la Sezione ha individuato i
seguenti principi di carattere procedimentale e sostanziale:
1) Ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della
programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono
individuate le risorse destinate all'attività di
rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza
pubblica fissati dal legislatore.
2) Esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che
non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere
il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della
diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) Non hanno finalità rappresentative verso l'esterno le
spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori
appartenenti all'Ente che le dispongono.
4) Le spese di rappresentanza devono essere congrue rispetto
sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle
finalità per le quali viene erogata la spesa.
5) L’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto
con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui
all'art. 97 della Costituzione.
---------------
Risultano non conformi a legge le voci di spesa (di
rappresentanza) afferenti:
• Omaggi, interventi e rinfreschi in occasione di festività
particolari;
• Iniziative di carattere culturale ed istituzionale.
---------------
I) Il controllo della sez. regionale della
Corte dei Conti sulle spese di rappresentanza sostenute
dagli Enti locali.
L’art. 16, comma 26, del D.L. n. 138/2011, conv. nella
legge n. 148/2011 (c.d. legge taglia costi della politica)
ha stabilito che <<le spese di rappresentanza sostenute
dagli organi di governo degli enti locali sono elencate, per
ciascun anno, in apposito prospetto allegato al rendiconto
di cui all'articolo 227 del citato testo unico di cui al
decreto legislativo n. 267 del 2000. Tale prospetto è
trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte
dei conti ed è pubblicato, entro dieci giorni
dall'approvazione del rendiconto, nel sito internet
dell'ente locale>>. Gli adempimenti si applicano a
partire dall'approvazione del rendiconto di gestione
dell'esercizio finanziario 2011.
Il D.M. 23.01.2012, in attuazione dell’ultimo periodo del
comma 16 citato, ha adottato lo schema tipo del prospetto
nel quale sono elencate le spese di rappresentanza sostenute
dagli organi di governo degli enti locali.
Ai sensi dell’art. 2 del DM cit. il prospetto, che elenca le
spese di rappresentanza sostenute in ciascun esercizio
finanziario, deve essere allegato al rendiconto della
gestione di cui all'art. 227 TUEL e trasmesso alla
competente sezione regionale di controllo della Corte dei
conti, entro dieci giorni dall'approvazione del predetto
rendiconto. Entro lo stesso termine, l'elenco è pubblicato
nel sito internet dell'ente locale. In particolare, il
prospetto è compilato a cura del segretario dell'ente e del
responsabile di servizi finanziari, nonché sottoscritto dai
predetti soggetti, oltre che dall'organo di revisione
economico finanziario.
Con la deliberazione Lombardia 151/2012/INPR del 26.04.2012,
questa Sezione ha definito le linee guida per l’esame dei
prospetti sulle spese di rappresentanza, indicando criteri
uniformi di verifica, sia di carattere sostanziale sia di
carattere procedimentale.
In maggior dettaglio, nell’autodeterminare le linee guida
per la propria attività, la Sezione ha individuato i
seguenti principi di carattere procedimentale e sostanziale:
1) Ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della
programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono
individuate le risorse destinate all'attività di
rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza
pubblica fissati dal legislatore.
2) Esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che
non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere
il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della
diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) Non hanno finalità rappresentative verso l'esterno le
spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori
appartenenti all'Ente che le dispongono.
4) Le spese di rappresentanza devono essere congrue rispetto
sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle
finalità per le quali viene erogata la spesa.
5) L’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto
con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui
all'art. 97 della Costituzione.
II) Profili di non conformità a legge delle spese di
rappresentanza sostenute dalla Comune di Caselle Lurani (LO)
nel corso dell’esercizio finanziario 2011.
Dal prospetto redatto secondo lo schema tipo individuato da
D.M. 23.01.2012, tenuto conto altresì delle notizie
acquisite, risultano non conformi a legge le voci di spesa
afferenti:
• Omaggi, interventi e rinfreschi in occasione di festività
particolari
• Iniziative di carattere culturale ed istituzionale (Corte
dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 18.02.2013 n. 55). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - ENTI LOCALI:
Spese di rappresentanza 2011 - Profili di non conformità
alla legge.
Questa Sezione
ha definito le linee guida per l’esame dei prospetti sulle
spese di rappresentanza, indicando criteri uniformi di
verifica, sia di carattere sostanziale sia di carattere
procedimentale.
In maggior dettaglio, nell’autodeterminare le linee guida
per la propria attività, la Sezione ha individuato i
seguenti principi di carattere procedimentale e sostanziale:
1) Ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della
programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono
individuate le risorse destinate all'attività di
rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza
pubblica fissati dal legislatore.
2) Esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che
non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere
il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della
diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) Non hanno finalità rappresentative verso l'esterno le
spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori
appartenenti all'Ente che le dispongono.
4) Le spese di rappresentanza devono essere congrue rispetto
sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle
finalità per le quali viene erogata la spesa.
5) L’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto
con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui
all'art. 97 della Costituzione.
---------------
Risultano non conformi a legge le voci di spesa (di
rappresentanza) afferenti:
• Omaggi agli sposi in occasione di matrimoni civili;
• Omaggi floreali e catering in occasione di festività
particolari;
• Iniziative di carattere culturale ed istituzionale;
• Gemellaggi.
---------------
I) Il controllo della sez. regionale della Corte
dei Conti sulle spese di rappresentanza sostenute dagli Enti
locali.
L’art. 16, comma 26, del D.L. n. 138/2011, conv. nella legge
n. 148/2011 (c.d. legge taglia costi della politica) ha
stabilito che <<le spese di rappresentanza sostenute
dagli organi di governo degli enti locali sono elencate, per
ciascun anno, in apposito prospetto allegato al rendiconto
di cui all'articolo 227 del citato testo unico di cui al
decreto legislativo n. 267 del 2000. Tale prospetto è
trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte
dei conti ed è pubblicato, entro dieci giorni
dall'approvazione del rendiconto, nel sito internet
dell'ente locale>>. Gli adempimenti si applicano a
partire dall'approvazione del rendiconto di gestione
dell'esercizio finanziario 2011.
Il D.M. 23.01.2012, in attuazione dell’ultimo periodo del
comma 16 citato, ha adottato lo schema tipo del prospetto
nel quale sono elencate le spese di rappresentanza sostenute
dagli organi di governo degli enti locali.
Ai sensi dell’art. 2 del DM cit. il prospetto, che elenca le
spese di rappresentanza sostenute in ciascun esercizio
finanziario, deve essere allegato al rendiconto della
gestione di cui all'art. 227 TUEL e trasmesso alla
competente sezione regionale di controllo della Corte dei
conti, entro dieci giorni dall'approvazione del predetto
rendiconto. Entro lo stesso termine, l'elenco è pubblicato
nel sito internet dell'ente locale. In particolare, il
prospetto è compilato a cura del segretario dell'ente e del
responsabile di servizi finanziari, nonché sottoscritto dai
predetti soggetti, oltre che dall'organo di revisione
economico finanziario.
Con la deliberazione Lombardia 151/2012/INPR del 26.04.2012,
questa Sezione ha definito le linee guida per l’esame dei
prospetti sulle spese di rappresentanza, indicando criteri
uniformi di verifica, sia di carattere sostanziale sia di
carattere procedimentale.
In maggior dettaglio, nell’autodeterminare le linee guida
per la propria attività, la Sezione ha individuato i
seguenti principi di carattere procedimentale e sostanziale:
1) Ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della
programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono
individuate le risorse destinate all'attività di
rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza
pubblica fissati dal legislatore.
2) Esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che
non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere
il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della
diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) Non hanno finalità rappresentative verso l'esterno le
spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori
appartenenti all'Ente che le dispongono.
4) Le spese di rappresentanza devono essere congrue rispetto
sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle
finalità per le quali viene erogata la spesa.
5) L’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto
con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui
all'art. 97 della Costituzione.
II) Profili di non conformità a legge delle spese di
rappresentanza sostenute dalla Città di Lodi nel corso
dell’esercizio finanziario 2011.
Dal prospetto redatto secondo lo schema tipo individuato da
D.M. 23.01.2012, tenuto conto altresì delle notizie
acquisite, risultano non conformi a legge le voci di spesa
afferenti:
• Omaggi agli sposi in occasione di matrimoni civili
• Omaggi floreali e catering in occasione di festività
particolari
• Iniziative di carattere culturale ed istituzionale
• Gemellaggi (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 18.02.2013 n. 54). |
PATRIMONIO:
La Sezione, chiamata a rendere parere in merito alla
possibilità di alienare l’immobile, in caso di plurime aste
andate deserte, ad un prezzo ribassato e all’esistenza di
limite economico minimo entro il quale si possa procedere
alla vendita in rapporto al valore di acquisizione, giunge
alla conclusione che non si rinviene
un limite normativo oltre il quale l’amministrazione non
possa scendere nella determinazione del valore da porre a
base di gara per l’atto dispositivo in parola.
Si precisa, tuttavia, che detto valore
dovrà mantenersi comunque congruo rispetto alla situazione
concreta del mercato, oltre che, come posto in evidenza dal
medesimo Comune, al prezzo di acquisizione, ove il bene sia
entrato recentemente nel patrimonio dell’Ente.
L’esigenza di valutare costantemente la
congruità del valore di un bene da alienare, o acquisire,
costituisce, infatti, uno dei principi cardine della
contabilità e contrattualistica pubblica, cui l’art. 12 del
d.lgs. n. 127/1997 fa riferimento.
---------------
Il Sindaco del Comune di Calcinato (LO), con nota del
07.12.2012, ha formulato alla Sezione una richiesta di
parere inerente le modalità di alienazione di un immobile
comunale.
In particolare, il Comune ha inserito un immobile, acquisito
nel 2009 per il valore stimato di circa un milione di euro,
nel piano delle alienazioni. Con successivi provvedimenti
del responsabile dell’area tecnica, sono state bandite varie
aste per la vendita: la prima, nel 2010, con base di gara
pari a € 1.020.000 e l’ultima, nel 2012, dopo una riduzione
dell’area in vendita, con base di gara di € 872.100. Tutte
le suddette procedure sono andate deserte.
La mancata alienazione dipende dalla grave crisi del mercato
immobiliare e, in particolare, di quello industriale.
Pertanto il Comune vorrebbe bandire altre gare, anche a
prezzi ancora ribassati, al fine di evitare un ulteriore
depauperamento del bene, oggi in stato di abbandono (oltre a
risparmiare l’onere derivante dalle spese di manutenzione).
Posto che la questione ha notevole incidenza sul bilancio
dell'ente, il Sindaco chiede un parere circa la
possibilità di alienare l’immobile ad un prezzo ribassato e,
a tal fine, se vi sia un limite economico minimo entro il
quale si possa procedere alla vendita, in rapporto al valore
di acquisizione.
In alternativa, chiede se può essere opportuno attendere
una futura ripresa del mercato immobiliare, al fine di
alienare l’immobile con maggiore valorizzazione.
...
L’Ente istante può trarre utili indicazioni dall’art. 12 (“Disposizioni
in materia di alienazione degli immobili di proprietà
pubblica”) della legge n. 127 del 15/05/1997 (“Misure
urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e
dei procedimenti di decisione e di controllo”) in base
al quale: “I comuni e le province possono procedere alle
alienazioni del proprio patrimonio immobiliare anche in
deroga alle norme di cui alla L. 24.12.1908, n. 783, e
successive modificazioni, ed al regolamento approvato con
R.D. 17.06.1909, n. 454, e successive modificazioni, nonché
alle norme sulla contabilità generale degli enti locali,
fermi restando i princìpi generali dell'ordinamento
giuridico-contabile. A tal fine sono assicurati criteri di
trasparenza e adeguate forme di pubblicità per acquisire e
valutare concorrenti proposte di acquisto, da definire con
regolamento dell'ente interessato”.
La norma evidenzia come i Comuni, pur non essendo
obbligati a seguire le disposizioni (ancora parzialmente
vigenti) per l’alienazione dei beni immobili dello Stato,
debbano comunque osservare i criteri di trasparenza, parità
di trattamento e pubblicità, da definire con regolamenti
interni dell’Ente medesimo, conformi ai principi generali
della contrattualistica pubblica (l'ampiezza della
deroga, giustificata dall’esigenza di procedere celermente
alla definizione dei provvedimenti concernenti l'alienazione
di beni, anche per consentire il risanamento dei bilanci
degli enti locali, è stata evidenziata da Consiglio di
Stato, Sez. V, sentenza n. 4418 del 13/07/2006).
Il precetto normativo sopra esposto risulta sostanzialmente
conforme, fra l’altro, all’art. 27 del Codice dei contratti
pubblici, d.lgs. n. 163/2006, emanato in esecuzione delle
Direttive n. 2004/17/CE e 2004/18/CE, che, per i contratti
esclusi in tutto in parte dall’applicazione della disciplina
comunitaria (fra cui quelli attivi di alienazione di beni
mobili e immobili, mentre quelli passivi, di acquisto e
locazione, sono oggetto di specifica considerazione
nell’art. 19 del d.lgs. n. 163/2006), richiede che
l’affidamento avvenga nel rispetto dei principi di
economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento,
trasparenza e proporzionalità.
Si rinvia, per approfondimenti, alle Comunicazioni
interpretative della Commissione europea del 12.04.2000
(richiamata nella Circolare della Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Dipartimento per le politiche comunitarie, n.
945 del 01.03.2002) e del 01.08.2006. E, per i precedenti
giurisprudenziali, alle sentenze della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea 03.12.2001, C-59/2000; 07.12.2000,
C-324/1998; 13.10.2005, C-458/2003; 20.10.2005, C-264/2003).
La presenza di un limite oltre il quale, andate deserte
una serie di aste, non è possibile far scendere il prezzo
del bene a base di gara, non si rinviene neppure nella legge
che disciplina l’alienazione dei beni immobili dello Stato
(non applicabile direttamente ai Comuni per effetto del
citato art. 12 della legge n. 127/1997).
L’art. 6 della legge n. 783 del 24/12/1908 (“Unificazione
dei sistemi di alienazione e di amministrazione dei beni
immobili patrimoniali dello Stato”) prevede infatti
quanto segue: “Qualora il primo esperimento d'asta vada
deserto, il secondo avrà luogo mediante offerte per schede
segrete con le modalità di cui al primo comma del presente
articolo. L'aggiudicazione sarà pronunciata a favore di
colui la cui offerta sia la maggiore e raggiunga almeno il
prezzo indicato nell'avviso d'asta.
Riuscito infruttuoso anche il secondo esperimento
l'amministrazione demaniale potrà ordinare ulteriori
esperimenti d'asta con successive riduzioni, ciascuna delle
quali non potrà eccedere il decimo del valore di stima”.
Allo stesso modo, l’art. 38 del R.D. n. 454 del 17/06/1909
(“Regolamento per l'esecuzione della L. 24.12.1908, n.
783, sull’unificazione dei sistemi di alienazione e di
amministrazione dei beni immobili patrimoniali dello Stato”),
come sostituito dall'art. 1 del R.D. 09.12.1940, n. 1837
dispone che: “Qualora riesca infruttuoso anche il secondo
esperimento d'incanto e l'Intendenza, ovvero il Ministero
delle finanze, quando il prezzo di asta superi le lire
20.000.000, ritenga che la ripetuta diserzione non sia
causata da eventuale elevatezza del prezzo medesimo, ma da
altre cagioni, provvede per nuovi esperimenti mediante
estinzione di candele vergini o a schede segrete sullo
stesso prezzo.
Nel caso contrario si procede ad ulteriori esperimenti
d'asta con successive riduzioni, ciascuna delle quali non
può eccedere il decimo del valore di stima, salvo il
disposto dell'art. 54”.
L’ultimo inciso rinvia alla disposizione che permette
all’amministrazione statale, in caso di plurime aste andate
deserte, di procedere a trattativa privata.
In conclusione, non si rinviene un limite normativo oltre
il quale l’amministrazione non possa scendere nella
determinazione del valore da porre a base di gara per
l’alienazione di un’immobile.
Appare evidente che quest’ultimo dovrà mantenersi
comunque congruo rispetto alla situazione concreta del
mercato, oltre che, come posto in evidenza dal medesimo
Comune, al prezzo di acquisizione, ove il bene sia entrato
recentemente nel patrimonio dell’Ente.
L’esigenza di valutare costantemente la congruità del
valore di un bene da alienare, o acquisire, costituisce,
infatti, uno dei principi cardine della contabilità e
contrattualistica pubblica, cui l’art. 12 del d.lgs. n.
127/1997 fa riferimento (ne è espressione, per esempio,
in tema di contratti passivi, l’art. 89 del d.lgs. n.
163/2006) (Corte dei Conti,
Sez. controllo Lombardia,
parere
14.02.2013 n. 50). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Sì alle spese per formazione.
Parere della Corte conti Lombardia.
La Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo per la
Lombardia, interviene ulteriormente in merito alla corretta
interpretazione dell'art. 6, comma 13, del dl n. 78/2010 in
particolare soffermandosi sulla possibilità per i comuni che
nell'anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa di
formazione, di assumere per tale finalità impegni di spesa.
Con il
parere
07.02.2013 n. 38 la Corte dei conti lombarda
fornisce un suggerimento utile e pienamente legittimo.
Seguendo rigorosamente il dettato normativo sopra citato,
dell'art. 6, comma 13, del dl n. 78/2010 che riferisce «a
decorrere dall'anno 2011 la spesa annua sostenuta dalle
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione per attività
esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50
per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009».
La Corte dei conti lombarda, consapevole di detta stortura,
riferisce che «ove si adottasse un'interpretazione meramente
matematica, la norma finirebbe per determinare un divieto
assoluto alla stipulazione di questa tipologia di contratti,
effetto eccedente le finalità della norma e contrastante con
la pronuncia della consulta».
Conseguentemente la Corte
afferma esplicitamente che «nel caso in cui la spesa
costituente il parametro sia inesistente occorre colmare la
lacuna normativa: pertanto, ai fini dell'applicazione della
previsione, per gli enti locali che nel corso dell'anno 2009
non abbiano sostenuto alcuna spesa a detto titolo si dovrà
individuare un diverso parametro che rappresenti il limite
di spesa anche per gli anni successivi».
Le amministrazioni comunali non dovranno quindi più negare
la partecipazione ai corsi di formazione adducendo la
mancanza di risorse disponibili e i dipendenti comunali
potranno riprendere la partecipazione ai necessari corsi di
formazione, specialmente quando sono da approfondire novità
normative
(articolo ItaliaOggi del 15.03.2013). |
ENTI LOCALI:
Considerata la natura del d.p.r. n. 194/1996 si
deve ritenere che non vi sia coincidenza tra le funzioni ivi
indicate e quelle che costituiscono oggetto di aggregazione
che devono essere identificate dagli Enti interessati in
base alla loro attuale organizzazione, in concreto, in base
alle indicazioni contenute nel co. 27 dell’art. 14 del d.l.
n. 78, conv. dalla legge n. 122 del 20104.
Il Sindaco del Comune di Frassino ha inoltrato alla Sezione,
per il tramite del Consiglio delle Autonomie Locali del
Piemonte, un quesito inerente all’interpretazione delle
norme risultanti dall’art. 14, co. 25 – 31-quater del d.l.
n. 78 del 2010, conv. dalla legge n. 122 del 2010, come
integrate dall’art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, conv. dalla
legge n. 135 del 2012 che stabiliscono l’obbligo della
gestione associata delle funzioni fondamentali per i Comuni
con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero a 3.000 se il
loro territorio ricade all’interno di Comunità montane.
Il richiedente dopo aver osservato che il co. 27 del
citato art. 14 del d.l. n. 78 “definisce le funzioni
fondamentali dei Comuni che non corrispondono alle funzioni
indicate dal d.p.r. n. 194 del 1996 che ha approvato gli
schemi di bilancio per i Comuni” ha domandato alla
Sezione “quali siano i servizi di cui al d.p.r. n. 194
del 1996, che associando le funzioni fondamentali debbano a
loro volta essere associati”.
...
1.
In base all’art. 14, co. 27 e segg. del d.l. 31.05.2010, n.
78, conv. dalla legge 30.07.2010, n. 122, come modificato ed
integrato dall’art. 19 del d.l. 06.07.2012, n. 95, conv.
dalla legge 07.08.2012, n. 135, recante “Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza
dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento
patrimoniale delle imprese del settore bancario”, i
Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti sono
tenuti, entro scadenze prefissate dal legislatore, ad
esercitare “obbligatoriamente, in forma associata,
mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni
fondamentali dei comuni di cui al comma 27, ad esclusione
della lettera l)” (art. 14, co. 27 e co. 28).
Il legislatore ha indicato l’obiettivo dell’esercizio
associato delle funzioni, da raggiungere progressivamente,
ma non ha fornito indicazioni in merito ai rapporti con
l’organizzazione del sistema di bilancio, disciplinata dal
d.p.r. 31.01.1996, n. 194, recante “Regolamento per
l’approvazione dei modelli di cui all’articolo 114 del
decreto legislativo 25.02.1995, n. 77, concernente
l’ordinamento finanziario e contabile degli Enti locali”.
2.
Lo scopo perseguito con la previsione contenuta nei commi 27
e segg. del citato art. 14 del d.l. n. 78, conv. dalla legge
n. 122 del 2010, è quello di migliorare l’organizzazione
degli Enti interessati al fine di fornire servizi più
adeguati sia ai cittadini che alle imprese, nell’osservanza
dei principi di economicità, efficienza ed efficacia
dell’azione amministrativa.
Spetta, quindi, agli Enti interessati dalla procedura di
aggregazione delle funzioni individuare le modalità
organizzative ottimali al fine di raggiungere gli obiettivi
di maggior efficienza, razionalizzazione e risparmio che il
legislatore intende conseguire con la previsione
dell’obbligatorietà dell’esercizio associato delle funzioni.
3.
In relazione alla concreta organizzazione di ciascuna
funzione, gli Enti che intendono procedere unitariamente per
attuare la previsione legislativa debbono unificare le
attività e gli uffici in relazione alle aggregazioni
specificamente individuate dal comma 273.
Lo svolgimento unitario di ciascuna funzione implica che la
stessa sia espressione di un disegno unitario riconducibile
alle aree individuate all’interno del comma 27 citato.
Spetta agli Enti interessati disegnare la nuova
organizzazione delle funzioni, partendo dalle attività
sinora svolte da ciascuno di essi, adottando un modello che
non si riveli elusivo degli intenti di riduzione della
spesa, efficacia, efficienza ed economicità perseguiti dal
legislatore (come si evince espressamente dal co. 30 del
citato art. 14 del d.l. n. 78), non essendo sufficiente che
il nuovo modello organizzativo non preveda costi superiori
alla fase precedente nella quale ciascuna funzione era
svolta singolarmente da ogni Ente.
4.
L’organizzazione unitaria delle funzioni prevista dal co. 28
dell’art. 14 del d.l. n. 78 non incide sull’organizzazione
del sistema di bilancio di ciascun Comune che è tenuto a
predisporre quest’ultimo in relazione alle previsioni
contenute nel d.p.r. n. 194 del 1996, tenendo conto che il
citato d.p.r. n. 194 non è stato adeguato ancora alle
modifiche organizzative degli Enti locali introdotte negli
ultimi anni.
Invero, il d.p.r. n. 194 del 1996 ha fornito una
regolamentazione del sistema di bilancio degli Enti locali
prima ancora dell’entrata in vigore del d.lgs. 06.08.2000,
n. 267 (TUEL) e dovrà essere rivisto alla luce sia delle
numerose modifiche all’organizzazione degli Enti, introdotte
dal legislatore negli ultimi anni (ad es.: esercizio
unificato delle funzioni), che del nuovo sistema contabile
in corso di introduzione in attuazione della legge
05.03.2009, n. 42, recante “Delega al Governo in materia
di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119
della Costituzione”.
Considerata la natura del d.p.r. n.
194/1996 si deve ritenere che non vi sia coincidenza tra le
funzioni ivi indicate e quelle che costituiscono oggetto di
aggregazione che devono essere identificate dagli Enti
interessati in base alla loro attuale organizzazione, in
concreto, in base alle indicazioni contenute nel co. 27
dell’art. 14 del d.l. n. 78, conv. dalla legge n. 122 del
20104 (Corte
dei Conti, Sez. controllo Piemonte,
parere 23.01.2013 n. 9). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Il disavanzo può creare danni erariali.
Corte conti. Condanna per trucchi contabili.
Un disavanzo di amministrazione frutto di ripetute e gravi
anomalie contabili costituisce un danno all'Erario.
Lo ha
affermato la Corte dei conti - III Sezione giurisdizionale
d'appello (sentenza
11.01.2013 n. 21), confermando la decisione di primo
grado della Sezione Lazio (sent. 161/2010).
In un Comune sono emersi importanti disavanzi causati anche
da false rappresentazioni dei dati, poi ripianati
dall'amministrazione subentrante. La Procura ha dimostrato
le gravi violazioni delle norme, come la non corretta
registrazione degli impegni, l'emissione di mandati di
pagamento senza riferimenti ai capitoli di spesa e l'errata
emissione di ordinativi d'incasso.
La Corte ha ritenuto fonte di responsabilità amministrativa
per sindaco, alcuni assessori e revisori dei conti, questa
produzione di disavanzi. È stato ritenuta sanzionabile in
termini erariali la lesione degli equilibri di bilancio con
l'utilizzo di artifici contabili. Nella sentenza, facendo
riferimento alla giurisprudenza costituzionale, si parla «di
diritto al bilancio quale valore di trasparenza, integrità,
corretto rispetto dell'autorizzazione e della destinazione
delle somme».
Il danno è qualificato di tipo patrimoniale, per la
violazione dei valori costituzionali dell'equilibrio di
bilancio e della tenuta dei conti pubblici nell'ambito dei
vincoli derivanti dall'appartenenza Ue.
La produzione di disavanzi (non ripianati) grazie ad
artifici contabili rappresenta un danno giuridicamente
risarcibile, poiché impone alla collettività maggiori oneri
per prestazioni non scelte dai rappresentanti, crea
disservizi dovuti alle manovre di riequilibrio e devia spese
ritenute prioritarie dalla collettività. La Corte afferma
che la teorica utilità per gli amministrati derivante dalle
spese indebite potrà essere considerata solo ai fini della
riduzione del danno in capo ai responsabili. Danno che potrà
essere valutato anche in via equitativa.
L'importanza della decisione d'appello consiste nel fatto
che, in sostanza, s'individua un'equazione fra disavanzo
derivante da violazioni contabili e danno alle casse
dell'ente. Questo è l'aspetto che la differenzia da altri
importanti interventi della Corte in materia finanziaria.
Si pensi alla recente sent. 6/2013 della Corte dei conti
Piemonte, che in un caso di dissesto di un comune, ha
ritenuto fonte di responsabilità amministrativa il rispetto
del Patto con falsa rappresentazione dei dati, utilizzando
come parametro per la quantificazione del danno le maggiori
spese sostenute grazie alla mancata applicazione delle
sanzioni (articolo Il Sole 24
Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
LAVORI PUBBLICI: Il decreto del Mef è stato pubblicato in G.U. La prima
rilevazione al 30 giugno
Opere pubbliche monitorate.
Tutte le informazioni alla banca dati della Ragioneria.
Al via il monitoraggio sulle opere pubbliche finanziate
dallo Stato.
Con il decreto del Mef 26.02.2013 (pubblicato sulla
G.U. n. 54 del 05.03.2013) sono state dettate le modalità
attuative dell'art. 5 del dlgs 229/2011.
Nel mirino ci sono i lavori in corso di progettazione o di
realizzazione alla data del 21.02.2012 e quelli
avviati successivamente.
Alle amministrazioni pubbliche e agli altri soggetti
attuatori destinatari di finanziamenti a carico del bilancio
statale è imposto l'obbligo di comunicare una nutrita
batteria di informazioni di natura finanziaria, fisica e
procedurale alla banca dati costituita presso la Ragioneria
generale dello Stato.
Il decreto, in particolare, definisce il contenuto
informativo minimo da rilevare e le modalità e regole di
trasmissione.
A regime, la rilevazione dovrà essere effettuata con cadenza
bimestrale (alle date del 28 febbraio, del 30 aprile, del 30
giugno, del 31 agosto, del 31 ottobre e del 31 dicembre di
ciascun anno) e i dati dovranno essere resi disponibili
entro i 30 giorni successivi.
Solo per il 2013 è prevista una deroga: la rilevazione potrà
essere effettuata al 30 giugno e la trasmissione tra il 30
settembre e il 20 ottobre.
Il puntuale adempimento dell'obbligo informativo costituisce
presupposto fondamentale per l'erogazione del finanziamento,
a pena di blocco dello stesso.
Tale disciplina si colloca nell'ambito del più ampio
progetto di realizzazione di un sistema di programmazione,
valutazione e monitoraggio della spesa pubblica per
investimenti. L'obiettivo è quello di migliorare la gestione
delle risorse finanziarie impiegate e di aumentare la
conoscenza e la trasparenza complessiva di settore nella
prospettiva di migliorare l'efficienza degli interventi.
Per gli enti di minori dimensioni è prevista la facoltà di
usufruire dell'ausilio della Rgs nella fase di start-up
(articolo ItaliaOggi del 16.03.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Due gemelli, un congedo.
Astensioni dei papà slegate dal numero di figli.
Le indicazioni dell'Inps sui permessi introdotti
dalla legge Fornero.
Nessun bis di congedi per il papà se la cicogna è gemellare.
Infatti, nel parto plurimo non subiscono variazioni la
durata del congedo obbligatorio (un giorno) e quella del
congedo facoltativo (massimo due giorni).
Lo precisa l'Inps
nella circolare
14.03.2013 n. 40, illustrando i nuovi permessi per
maternità a favore dei neopapà introdotti dalla riforma Fornero (legge n. 92/2012).
Due nuovi congedi. Due i nuovi congedi istituiti a favore
del padre, lavoratore dipendente del solo settore privato:
un congedo obbligatorio (un giorno) e un congedo
facoltativo, alternativo al congedo di maternità della madre
(due giorni). Entrambe le nuove prestazioni, che sono
disciplinate dal dm 22.12.2012 pubblicato sulla G.U.
n. 37/2013, vanno fruite entro i primi cinque mesi di vita
del bambino.
Riguardo alle durate dei due congedi, l'Inps
precisa che, analogamente a quanto disposto per il congedo
di maternità (ex astensione obbligatoria), esse non
subiscono variazioni nei casi di parto plurimo. Ciò
significa, pertanto, che in caso di parto gemellare o
plurigemellare, il papà avrà sempre e comunque obbligo di un
giorno di congedo e diritto a due giorni di congedo
facoltativo.
Congedo obbligatorio. È di un giorno ed è fruibile, spiega
l'Inps, anche durante il congedo di maternità della madre
(che sia lavoratrice). L'Inps precisa che si tratta di un
diritto autonomo e, pertanto, aggiuntivo a quello della
madre e spetta comunque indipendentemente dal diritto della
madre al congedo obbligatorio. In altre parole, anche se la
madre è casalinga il papà ha diritto ad assentarsi per un
giorno; e spetta anche se il papà fruisce del congedo di
paternità.
Congedo facoltativo. La fruizione del congedo facoltativo è
condizionata alla scelta della madre di non fruire di
altrettanti giorni del proprio congedo di maternità, con
conseguente anticipazione del termine finale del congedo post partum. Quindi non si configura come un diritto
autonomo del papà, ma come un diritto derivato da quello
della madre. L'Inps precisa che il congedo facoltativo è
fruibile dal padre anche contemporaneamente all'astensione
della madre; e che spetta anche se la madre, pur avendone
diritto, non si avvale del congedo di maternità.
Padre adottivo o affidatario. Entrambi i congedi si
applicano anche al padre adottivo o affidatario e il termine
del quinto mese decorre dall'effettivo ingresso in famiglia
del minore nel caso di adozione nazionale o dall'ingresso
del minore in Italia nel caso di adozione internazionale.
La richiesta. Per poter usufruire dei giorni di congedo il
padre deve comunicare in forma scritta al datore di lavoro
le date in cui intende fruirne con anticipo di almeno 15
giorni. Il datore di lavoro comunica all'Inps le giornate di
congedo fruite attraverso il flusso UniEmens (l'Inps si
riserva di fornire le istruzioni)
(articolo ItaliaOggi del 16.03.2013). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: Contributi figurativi all'assessore nominato
I lavoratori dipendenti hanno diritto all'accredito
figurativo dei contributi anche se, non eletti, sono
nominati assessori regionali.
Lo precisa l'Inps nella circolare
14.03.2013 n. 39, estendendo la facoltà di copertura
contributiva del periodo di aspettativa ai lavoratori non
eletti in consiglio regionale. Le domande, anche per i
periodi pregressi, vanno presentate entro il prossimo 12
giugno.
Si tratta, dunque, dell'ampliamento della platea dei
soggetti che possono fruire dell'accredito della
contribuzione figurativa, con inclusione dei lavoratori
dipendenti non solo eletti, ma anche chiamati a svolgere le
funzioni di assessore regionale sulla base di una «nomina»
decisa da organo elettivo. Il nuovo quadro, spiega l'Inps,
adottato d'intesa con il ministero del lavoro, scaturisce
dalla previsione della nuova figura dell'assessore nominato
(cioè chiamato al di fuori dagli eletti a un consiglio
regionale), prima non contemplata. Pertanto, destinatari
sono tutti i lavoratori dipendenti, pubblici e privati,
eletti membri del Parlamento, nazionale ed europeo, o di
assemblea regionale ovvero nominati a ricoprire funzioni
pubbliche.
I lavoratori iscritti alla gestione ex Inpdap, nominati a
ricoprire la carica di assessore regionale, possono
valorizzare, ai fini pensionistici i periodi di aspettativa
senza assegni fruiti a tale titolo, presentando entro 90
giorni dall'emanazione della presente circolare, ora per
allora, domanda cartacea di accredito figurativo all'Inps,
Gestione ex Inpdap - Direzione centrale Entrate e Posizione
Assicurativa, Ufficio 1, Via Ballarin n. 42, 00142 Roma.
Il modello di domanda è disponibile sul sito internet
dell'Inps. Chi avesse già presentato una domanda in passato,
che sia stata oggetto di provvedimenti di diniego, non deve
ripresentarla in quanto verrà riesaminata d'ufficio. Gli
accrediti figurativi da regolarizzare sono naturalmente
quelli relativi ai periodi per aspettative fruite per le
nomine di assessore regionale riferite a tutte legislature
regionali precedenti fino a quelle tuttora vigenti
(articolo ItaliaOggi del 16.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Congedo al padre con preavviso.
Richiesta 15 giorni prima - Il permesso può coincidere con
la nascita.
Lavoro.
L'Inps ricorda che l'istituto previsto dalla legge Fornero
vale solo per i lavoratori del settore privato
LA CURA/
Il dipendente ha diritto alla pausa facoltativa anche se la
madre non si avvale dell'astensione obbligatoria.
L'Inps, con la circolare
14.03.2013 n. 40, ha diffuso le prime
istruzioni sul nuovo sistema di congedo parentale che la
riforma del lavoro (legge 92/2012) ha riconosciuto a favore
dei padri (lavoratori privati esclusi i dipendenti
pubblici). Il documento fornisce una puntale ricostruzione
dell'istituto ma non contiene le modalità operative
(recupero compreso) che dovranno essere seguite di datori di
lavoro, per la gestione complessiva dell'evento.
Per le nascite (adozioni e affidamenti) avvenute dal 01.01.2013, le norme contenute nella legge Fornero
riconoscono ai padri due tipi di congedo: uno obbligatorio e
uno facoltativo; il primo di un giorno e l'altro di due
giornate. I nuovi permessi, la cui durata non subisce
variazioni in caso di parto plurimo, devono essere
utilizzati entro il quinto mese di vita del bambino e ciò
vale anche in caso di parto prematuro.
Il relativo trattamento economico, pari al 100% della
retribuzione, è posto a carico del l'Inps. Per il calcolo si
applicano le stesse regole previste per l'indennità di
maternità. Le giornate confluiranno nel flusso UniEmes; le
regole verranno specificate con un successivo messaggio con
cui l'Inps dirà anche come recuperare i permessi già
concessi, dal mese di gennaio in poi.
Il congedo obbligatorio è autonomo e svincolato da quello
concesso alla madre. Quindi si aggiunge a quello della madre
e va sempre concesso a prescindere dal diritto di
quest'ultima, al suo congedo obbligatorio. Diverso è il caso
del permesso facoltativo che può essere fruito dal padre
solo se la madre rinuncia allo stesso numero di giorni
fruiti dal lavoratore. Ciò implica che la madre deve essere
una lavoratrice dipendente o iscritta alla gestione separata
e che deve trovarsi in astensione dal l'attività lavorativa.
Il lavoratore/padre ha diritto alla pausa facoltativa anche
se la madre, pur avendone diritto, non si avvale del suo
congedo. L'Inps ribadisce (in linea con le indicazione
contenute nel DM 22/12/2012) che il lavoratore deve farne
richiesta, al datore di lavoro, 15 giorni prima e, inoltre,
che la fruizione non può avvenire a ore. Considerato che il
giorno di astensione obbligatoria potrebbe essere chiesto,
in particolare, in occasione della nascita, è previsto che
il preavviso possa essere rispettato con riferimento alla
data presunta del parto.
Quando il padre lavoratore presenta la domanda di congedo
facoltativo deve allegare alla richiesta una dichiarazione
di responsabilità in cui la madre dichiara di rinunciare,
dal suo congedo di maternità, agli stessi giorni (massimo 2)
utilizzati dal padre. In tal caso la decurtazione dei giorni
a carico della madre verrà effettuata nella fase finale del
congedo obbligatorio (di fatto, quindi, entrambi i genitori
si possono assentare contemporaneamente anche se dipendenti
di un unico datore di lavoro).
La stessa dichiarazione
rilasciata dalla lavoratrice va presentata anche al datore
di lavoro della madre da parte di uno dei due genitori. I
nuovi congedi non si applicano solamente in vigenza del
rapporto di lavoro; conseguentemente, gli stessi sono
compatibili con l'ASpI, la mini ASpI, l'indennità di
mobilità e la Cig e prevalgono su dette prestazioni, non
essendo cumulabili.
Per tutte e due le tipologie di congedo spettano gli Anf. La
mancata fruizione non sembra sanzionata dalla legge
(articolo Il Sole 24 Ore del 16.03.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA: Sul paesaggio no al fai-da-te. Autorizzazioni semplificate?
Ok, ma se circoscritte.
Parere
del Consiglio di stato sul decreto: su tende, insegne ecc.
troppa mano libera.
Autorizzazioni paesaggistiche, no al fai-da-te. La bozza di
regolamento del governo sugli interventi di lieve entità,
che godono di una autorizzazione semplificata, lascia troppo
le mani libere agli interessati. Che, per esempio,
potrebbero piazzare tende da sole o insegne senza regole.
Non solo. Va chiarita anche la vigilanza sulle occupazioni
temporanee, che rischiano di rimanere prive di controllo. E
infine il decreto ministeriale è uno strumento inadatto a
fissare le regole, visto che la legge demanda la disciplina
a un decreto del capo dello stato.
Questo il
parere 11.03.2013 n. 1136 del Consiglio di Stato, Sez.
consultiva atti normativi, sullo schema di regolamento sul
procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica
per gli interventi di lieve entità (articolo 146, comma 9,
del dlgs 42/2001, codice dei beni culturali e del
paesaggio).
L'obiettivo del provvedimento è di precisare le ipotesi di
interventi di lieve entità, anche perché senza linee di
indirizzo si rischiano confusioni e complicazioni. E la
prassi di questi anni lo ha dimostrato.
Lo schema di regolamento in esame modifica il precedente dpr
139/2010 e applica il regime semplificato a tutti gli
interventi di lieve entità, indipendentemente dalla
tipologia di vincolo al quale è assoggettata l'area sulla
quale l'intervento deve essere realizzato. Solo pochi casi
sono esclusi dal regime autorizzatorio semplificato.
Lo
schema inoltre indica con maggiore dettaglio la
documentazione illustrativa del progetto nei casi in cui la
semplificazione era esclusa del tutto: viene, tra l'altro,
arricchito il contenuto della relazione paesaggistica. La
bozza elenca gli interventi di maggiore impatto esclusi
dalla «semplificazione». Inoltre rimane esclusa dal regime
semplificato l'autorizzazione al taglio di alberi nelle aree
sottoposte al vincolo di «bellezza individua».
LA LIEVE ENTITÀ
Palazzo Spada muove alcune obiezioni di dettaglio con
riferimento alla individuazione degli interventi di lieve
entità.
Secondo Palazzo Spada va approfondita la definizione di
installazione di insegne con riferimento alla individuazione
della collocazione. Anche per le tende da sole va chiarito
il concetto di «piccole dimensioni», tali da escludere la
necessità dell'autorizzazione paesaggistica.
Un discorso generale sul concetto di lieve entità tocca un
aspetto formale del regolamento. Lo schema di dpr consente
di specificare e rettificare l'elenco degli interventi con
decreto ministeriale. Qui il consiglio di stato fa un
problema di competenza: la legge a monte (articolo 44 del
decreto legge 5/2012) ha rinviato a un regolamento (adottato
con decreto del presidente della repubblica)
l'individuazione degli interventi; se il regolamento rinvia
a un semplice decreto ministeriale si pone un problema di
rispetto della gerarchia delle fonti.
E non si può ribattere che il decreto ministeriale sarebbe
idoneo in quanto si tratta di rettificazioni di carattere
tecnico. Palazzo Spada sottolinea che basta scorrere
l'elenco degli interventi di «lieve entità» analiticamente
indicati nell'allegato al provvedimento per pervenire alla
conclusione che i tipi degli interventi medesimi sono, nella
quasi totalità, di natura tale da essere suscettibili di
stravolgimento proprio per effetto di scelte «tecniche»
(dimensioni, altezze, volumetrie).
OCCUPAZIONI TEMPORANEE
Un ultimo rilievo riguarda le occupazioni temporanee.
Secondo il parere va migliorata la norma sulla esclusione
dell'autorizzazione per le occupazioni temporanee «fino a
trenta giorni». Ciò perché lo schema di regolamento non
prevede strumenti di verifica della data di inizio delle
occupazioni medesime
(articolo ItaliaOggi del 15.03.2013). |
VARI: Multa nonostante la tracciabilità.
Non vale il tetto dei mille euro.
Chi deve pagare una multa salata in contante alla polizia
stradale non deve preoccuparsi del vincolo sulla
tracciabilità obbligatorio per gli importi superiori a 1.000
euro. Quando i pagamenti sono effettuati a favore dello
stato o degli altri enti pubblici infatti è sempre possibile
derogare alle strette disposizioni previste dal dlgs
231/2007.
Lo ha chiarito il Ministero dell'interno con un
inedito parere del 6 febbraio divulgato dal comando della
polizia municipale di Torino con la circolare 20.02.2013 n. 25.
Dal 06.12.2011 la libera
circolazione del denaro contante è limitata a 1.000 euro per
effetto del dl 201/2011, convertito nella legge 214/2011,
che ha inciso, modificandolo, sul contenuto del dlgs
231/2007. Con le recenti riforme stradali, peraltro, sono
sensibilmente aumentate le possibilità di riscossione delle
multe brevi manu, specialmente in caso di veicoli stranieri
e di violazione delle disposizioni in materia di tempi di
guida e di riposo dei mezzi pesanti.
In relazione a questa
circostanza abbastanza diffusa il comando della polizia
locale torinese ha richiesto chiarimenti al ministero
evidenziando in particolare la possibilità di ricomprendere
i pagamenti delle infrazioni stradali nelle deroghe
espressamente contemplate dall'art. 49 del dlgs 231/2007.
Con la risposta dell'organo di coordinamento dei servizi di
polizia stradale è stata sciolta ogni riserva.
Le
disposizioni contenute nell'art. 49/17° del dlgs 231/2007,
specifica il ministero, «consentono di derogare tale
limite quando i pagamenti sono effettuati allo stato o agli
altri enti pubblici». Specifica infatti letteralmente
questa normativa che «restano ferme le disposizioni
relative ai pagamenti effettuati allo Stato o agli altri
enti pubblici e alle erogazioni da questi comunque disposte
verso altri soggetti. È altresì fatta salva la possibilità
di versamento prevista dall'articolo 494 del codice di
procedura civile».
Alla luce di questa considerazioni, conclude la circolare
torinese, trova piena applicazione il disposto degli artt.
202 e 207 del codice stradale, indipendentemente
dall'importo della sanzione pecuniaria prevista
(articolo ItaliaOggi del 15.03.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Dati telefonici senza segreti per i vigili.
Anche la polizia locale può accedere per esigenze di polizia
giudiziaria ai dati telefonici dei sistemi informatizzati
dei principali gestori.
Lo ha reso noto la Regione Piemonte
con la
circolare
01.03.2013.
Ai sensi dell'art. 96
del codice delle comunicazioni elettroniche (di cui al dlgs
n. 259 del 01.08.2003), gli operatori telefonici sono
tenuti a fornire le informazioni richieste per fini di
giustizia dalle competenti autorità giudiziarie. E finché
non sarà emanato un apposito decreto ministeriale, che dovrà
disciplinare il servizio e determinarne i costi di accesso,
il rilascio di informazioni relative al traffico telefonico
sarà gratuito.
La circolare della Regione Piemonte evidenzia
che, per ottenere le credenziali di accesso gratuito ai
sistemi informatizzati dei principali gestori telefonici, la
polizia locale dovrà inviare apposita richiesta via e-mail a Hydra (per Telecom e Tim), ad Agweb (per Vodafone) e al
Portale Law (per Wind e Infostrada), indicando una casella
di posta elettronica del Comando. Al momento, invece, H3G
non dispone di un portale o un servizio informatizzato a
disposizione dell'autorità giudiziaria e delle forze di
polizia.
Successivamente all'invio della richiesta, la
polizia locale dovrà compilare e trasmettere la modulistica
seguendo le indicazioni che saranno fornite dai singoli
gestori telefonici. Una volta ottenute le credenziali di
accesso, la polizia locale potrà ricercare e consultare
gratuitamente, esclusivamente per esigenze di polizia
giudiziaria, i dati degli intestatari di numeri telefonici
fissi o radiomobili, di utenze telefoniche o di linee Adsl.
Invece, per ottenere i tabulati del traffico telefonico
(chiamate, dati, sms) e i dati sull'ubicazione dei
ripetitori agganciati, la polizia locale dovrà munirsi
preventivamente di un decreto del pubblico ministero.
La
circolare della Regione Piemonte sottolinea che gli accessi
devono essere eseguiti con massima cautela e che i dati
vanno trattati con assoluta riservatezza. Per eventuali
abusi sono applicabili gravi sanzioni, come previsto fra
l'altro dal dlgs n. 196 del 30.06.2003 e dagli artt. 615-ter
e 640-ter del codice penale (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
TRIBUTI: Immobili fantasma all'appello.
Scade il 2 aprile il termine per la regolarizzazione. Entro
lo stesso termine il ricorso in Commissione contro i
provvedimenti catastali.
Scade il 2 aprile il termine per la presentazione da parte
dei contribuenti degli atti di aggiornamento dei fabbricati
non dichiarati in catasto ai quali l'Agenzia del territorio
ha attribuito la rendita presunta. Gli interessati possono
regolarizzare la loro posizione presentando gli atti di
aggiornamento catastale entro 120 giorni dalla pubblicazione
del comunicato dell'Agenzia nella Gazzetta Ufficiale, al
quale è allegato l'elenco dei comuni interessati
dall'attività di attribuzione della rendita presunta.
Considerato che il comunicato è stato pubblicato il 30.11.2012, il termine per la regolarizzazione scade il
prossimo 2 aprile. In caso contrario i contribuenti sono
soggetti al pagamento delle sanzioni amministrative. Entro
lo stesso termine è possibile presentare ricorso contro i
provvedimenti catastali innanzi alla commissione tributaria
provinciale competente per territorio.
Al comunicato dell'Agenzia del territorio del 30 novembre
scorso è allegato l'elenco dei comuni interessati dalla
seconda fase dell'attività di attribuzione della rendita
presunta ai fabbricati cosiddetti fantasma. Sul sito
internet dell'Agenzia è ancora disponibile per la
consultazione l'elenco delle particelle del catasto terreni
e le corrispondenti unità immobiliari del catasto edilizio
urbano alle quali è stata attribuita la rendita presunta.
Gli atti di aggiornamento devono essere presentati entro 120
giorni dalla pubblicazione del comunicato nella Gazzetta
Ufficiale. Mentre i termini per la proposizione del ricorso
(60 giorni) iniziano a decorrere trascorsi 60 giorni dalla
data di pubblicazione del comunicato. Quindi, sia per gli
aggiornamenti che per l'impugnazione dei provvedimenti
adottati dall'Agenzia il termine di scadenza è fissato al 2
aprile, poiché il 30 marzo è sabato e i due giorni
successivi sono festivi.
In effetti, dal 2011 l'Agenzia del territorio può
attribuire, provvisoriamente, la rendita presunta (in attesa
della rendita definitiva) agli immobili non dichiarati in
catasto. Le modalità e i criteri per l'attribuzione della
rendita presunta sono indicate in un provvedimento del
direttore del Territorio del 19.04.2011, pubblicato sul
sito dell'Agenzia. L'articolo 19, comma 8, del decreto legge
78/2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 122/2010,
ha imposto l'obbligo ai titolari di diritti reali sugli
immobili non dichiarati di presentare la dichiarazione di
aggiornamento catastale. L'Agenzia del territorio sulla base
di nuove informazioni connesse a verifiche
tecnico-amministrative, effettuate con telerilevamento e con
sopralluogo sul terreno, infatti, monitora costantemente il
territorio, individuando, in collaborazione con i comuni, i
fabbricati fantasma. Decorso il termine di legge (7 mesi)
senza che il titolare dell'immobile abbia provveduto
all'accatastamento, l'Agenzia è legittimata ad adottare il
provvedimento attribuivo della rendita presunta.
Se per gli immobili ai quali è stata attribuita la rendita
presunta i soggetti obbligati non presentano gli atti di
aggiornamento, scattano le sanzioni amministrative che sono
state quadruplicate. Il 75% dell'importo delle sanzioni è
devoluto ai comuni in cui sono ubicati gli immobili
accertati
(articolo ItaliaOggi del 15.03.2013 -
tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Anticorruzione, piani triennali nella p.a..
Approvate le linee guida.
Al via i piani triennali anticorruzione nella p.a..
Come
anticipato su ItaliaOggi del 13/03/2013, il comitato
interministeriale di cui fanno parte i ministri Patroni
Griffi, Cancellieri e Severino ha approvato le linee
di indirizzo 13.03.2013
per la predisposizione del piano nazionale anticorruzione
che ciascuna amministrazione dovrà tradurre in pratica nei
piani triennali.
Le linee guida spiegano quali sono i
contenuti minimi che le p.a. dovranno avere cura di inserire
nei piani, partendo proprio dalle attività più esposte a
rischio corruzione: autorizzazioni, concessioni, procedure
di scelta del contraente nell'affidamento di lavori,
forniture e servizi, concessione di sovvenzioni, contributi,
sussidi, concorsi e prove selettive per l'assunzione di
personale.
Le misure individuate per ridurre il rischio di
fenomeni corruttivi prevedono la necessità di introdurre
adeguate forme di controllo interno, ma soprattutto la
rotazione del personale in modo da evitare il consolidamento
di «pericolose forme di privilegio nella gestione diretta di
certe attività».
I funzionari, insomma, non dovranno
occuparsi per troppo tempo delle stesse pratiche. Le denunce
dei dipendenti (cosiddetto whistleblowing) dovranno essere
tenute in debito conto e bisognerà assicurare ai denuncianti
adeguate forme di tutela. In caso di violazione dei doveri
di comportamento dovrà scattare la responsabilità
disciplinare. I dipendenti dovranno conoscere bene i
contenuti del piano triennale anticorruzione che dovrà
essere sottoposto alla loro attenzione sia all'atto
dell'assunzione sia successivamente con cadenza periodica.
Nei comuni sarà il sindaco a nominare il responsabile della
prevenzione della corruzione, salvo che l'ente decida che la
competenza spetta alla giunta o al consiglio. Lo ha deciso
la Civit con
delibera
13.03.2013 n. 15/2013
(articolo ItaliaOggi del 15.03.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Dimissioni irrevocabili.
Anche se rivolte al sindaco e non al consiglio.
Sulla disciplina della surroga decide il regolamento
comunale
Quali provvedimenti devono essere adottati dalla prefettura
a seguito delle dimissioni di quattro consiglieri comunali,
su sei assegnati all'ente, qualora tali rinunce siano
riferite non alla carica di consigliere comunale, ma alle
deleghe attribuite dal sindaco?
Le dimissioni indirizzate al sindaco, cioè all'organo
rappresentativo dell'ente, una volta acquisite al protocollo
ufficiale del comune assumono rilevanza giuridica, nel senso
che, da quel momento, sono efficaci ed irrevocabili,
risultando irrilevante che le stesse siano indirizzate al
primo cittadino anziché al consiglio.
Inoltre, sulla base di quanto disposto dall'art. 38, comma
8, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, le
dimissioni dalla carica di consigliere sono irrevocabili,
non necessitano di presa d'atto e sono immediatamente
efficaci. La stessa giurisprudenza ha avuto modo di
precisare che, una volta acquisito al protocollo dell'ente
il documento contenente le dimissioni, non è più possibile
prendere in considerazione eventuali dichiarazioni
successive alla loro presentazione volte ad asserire una
propria originaria volontà, diversa dalle dimissioni stesse
(Consiglio di stato, sez. I, n. 3049/2002).
In particolare,
per quanto attiene alla possibilità di procedere alla
surroga dei consiglieri dimissionari, il comma 2 del citato
art. 38 dispone che il funzionamento dei consigli, nel
quadro dei principi stabiliti dello statuto, è disciplinato
dal regolamento che prevede, in particolare, le modalità per
la convocazione, per la presentazione e per la discussione
delle proposte. Il regolamento indica, altresì, il numero
dei consiglieri necessario per la validità delle sedute,
prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di
almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge
all'ente, senza computare a tale fine il sindaco e il
presidente della provincia.
Ciò posto, sulla base di quanto
previsto dal citato comma 2, si ritiene non sia possibile
riunire il consiglio comunale per procedere alla surroga
degli ulteriori consiglieri dimissionari, in quanto per la
validità della relativa delibera occorrerebbe la presenza di
almeno la metà dei consiglieri assegnati, senza computare a
tal fine il sindaco, così come riportato nel regolamento
comunale.
Pertanto, nella fattispecie, si configurano i presupposti di
cui all'art. 141, comma 1, lett. b), n. 4, del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267 per riduzione dell'organo
assembleare ad oltre la metà dei suoi componenti
(articolo ItaliaOggi del 15.03.2013). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Consiglieri comunali.
Se lo statuto di un ente locale dispone che il consiglio
comunale è riunito validamente con l'intervento della metà
dei componenti e che, in seconda convocazione, le
deliberazioni sono valide purché intervengano almeno quattro
componenti, qual è la procedura da seguire per l'eventuale
surroga dei consiglieri comunali dimissionari, tenuto conto
che, dei sedici consiglieri comunali assegnati per legge,
nell'arco di un breve periodo, dodici degli stessi hanno
rassegnato le dimissioni?
L'art. 38, comma 2, del decreto del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, nel disciplinare le modalità di
funzionamento dei consiglieri comunali e provinciali dispone
che, affinché le sedute siano valide, è necessaria la
presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per
legge all'ente, senza computare a tal fine il sindaco.
Il legislatore statale ha, quindi, fissato una soglia
minima, inderogabile, dei componenti nel consiglio comunale,
rimettendo all'autonomia normativa dell'ente la possibilità
di stabilire maggioranze qualificate per l'adozione di
determinati atti deliberativi sui quali si reputi che debba
convergere un più elevato numero di consensi
Nel caso di specie, pertanto, le disposizioni dello statuto
comunale non risultano in linea con la normativa di rango
primario, conseguentemente le stesse non possono trovare
applicazione.
Ciò posto, sulla base di quanto previsto dal menzionato art.
38, comma 2, Tuel, si ritiene non sia possibile riunire il
consiglio comunale per procedere alla surroga dei
consiglieri dimissionari in quanto per la validità della
relativa delibera occorrerebbe la presenza, anche in seconda
convocazione, di almeno cinque consiglieri escluso il
sindaco mentre, attualmente, presso il comune sono in carica
solo quattro consiglieri
(articolo ItaliaOggi del 15.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO: La nomina dei responsabili anticorruzione.
La nomina del responsabile anti-corruzione spetta
direttamente al sindaco in qualità di «organo di indirizzo
politico amministrativo»; i Comuni, però, possono
intervenire sul punto esercitando la propria «autonomia
normativa e organizzativa», e affidare questo compito alla
Giunta o al consiglio.
L'indicazione arriva dalla Civit, la Commissione di
valutazione delle Pa: le nomine rappresentano la prima
scadenza, immediata, nel piano applicativo delle norme
anti-corruzione, che entro il 31 marzo devono giungere anche
al varo del piano da parte di ogni amministrazione pubblica
(articolo Il Sole 24 Ore del 15.03.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Agli statali niente indennità di vacanza contrattuale.
In Finanziaria non sono state stanziate le risorse.
TUTELA PARZIALE/
Anche senza il Dpr che congela le intese rimane in pagamento
la tutela economica relativa al 2010-2012.
Niente indennità di vacanza contrattuale aggiuntiva per il
pubblico impiego, nemmeno se il provvedimento che la congela
espressamente insieme ai rinnovi contrattuali non dovesse
arrivare entro il mese di aprile. L'unico fattore di urgenza
per il Governo, in questo quadro, sarebbe legato al
riconoscimento contabile degli scatti di anzianità nella
scuola, che in mancanza del blocco entrerebbero nei
tendenziali di finanza pubblica.
Il blocco di fatto delle retribuzioni pubbliche anche dopo
la scadenza di quello "di diritto" a fine 2012 emerge dalla
lettura combinata delle regole sulla «tutela retributiva»
dei dipendenti pubblici. Il blocco di rinnovi contrattuali e
stipendi individuali introdotto con la manovra estiva 2010
(articolo 9 del Dl 78/2010) è scaduto a fine 2012, e la sua
estensione al biennio 2013-2014, prevista nella prima
manovra estiva 2011 (articolo 16 del Dl 98/2011), ha bisogno
di un Dpr per essere applicata.
Il Dpr è già stato
predisposto, ma si sta incagliando anche per ragioni legate
all'opportunità o meno per un Governo uscente di assumere un
atto di forte peso simbolico. I sindacati nei giorni scorsi
sono passati all'attacco, e non è ancora stata presa una
decisione sul suo approdo o meno al prossimo consiglio dei
ministri.
Qui si innesta il problema dell'indennità di vacanza
contrattuale per i dipendenti pubblici. Introdotta per il
primo biennio dalla Finanziaria 2009 e prolungata fino al
2012 dalla manovra 2010, l'indennità è stata resa
strutturale dalla riforma Brunetta, che l'ha introdotta nel
Testo unico del pubblico impiego (articolo 47-bis del Dlgs
165/2001). L'indennità andrebbe pagata a partire da aprile
dell'anno successivo alla scadenza del contratto nazionale
di riferimento, ma la sua partenza non è automatica:
l'attribuzione deve infatti avvenire «entro i limiti
previsti dalla legge finanziaria in sede di definizione
delle risorse contrattuali». E qui sta il punto.
Nella sua prima versione la legge di stabilità bloccava per
il 2013-2014 sia i rinnovi contrattuali sia l'indennità di
vacanza contrattuale, con una previsione che è poi stata
espunta per essere trasferita nel Dpr sul tema. Ovvio,
quindi, che nella stessa legge non sia stato predisposto
alcuno stanziamento per l'indennità, e nemmeno per i rinnovi
contrattuali che quindi non possono partire senza risorse.
In questo quadro, rimane in vita solo l'indennità che copre
la prima vacanza contrattuale, quella del 2010-2012, senza
aggiunte per l'ulteriore stallo dei rinnovi
(articolo Il Sole 24 Ore del 15.03.2013
- tratto da http://rstampa.pubblica.istruzione.it). |
TRIBUTI:
Imu, riduzione discrezionale.
Variabile l'effetto sostitutivo per gli immobili merce.
La circolare 5 riconosce l'imposta per gli
stabili non produttivi di redditi fondiari.
Nessun effetto sostitutivo per gli immobili merce. Se però
sono destinati alla rivendita e non locati, è possibile una
riduzione discrezionale e a tempo, dell'aliquota
applicabile.
Con la
circolare 11.03.2013 n. 5/E (si
veda ItaliaOggi del 12/03/2013) sono stati esaminati i
rapporti tra l'imposta municipale sperimentale (Imu) e le
imposte sui redditi, come l'Ires, l'Irpef e le addizionali,
il tutto in relazione a quanto prescritto dal comma 1,
dell'articolo 8 del dlgs 23/2011, inerente al federalismo
fiscale.
Se dal un lato sono numerose le fattispecie per cui
quando l'immobile è assoggettato a imposta municipale
fuoriesce dalla tassazione diretta, vi sono altrettanti casi
dove l'effetto sostitutivo appena indicato, non esplica i
propri effetti. Emblematico è infatti il caso dei terreni
destinati all'esercizio delle attività agricole, di cui
all'art. 2135 del codice civile, soggetti a tassazione
fondiaria, ai sensi dell'articolo 32 del dpr n. 917/1986.
Per l'allevamento di animali, infatti, se si sviluppa con
mangimi ottenibili per almeno il 25% dal terreno,
l'affittuario dichiara il reddito agrario e il proprietario,
persona fisica, oltre a versare il tributo municipale, deve
anche pagare l'Irpef e le relative addizionali. In questo
caso, pur non rendendosi applicabile l'effetto sostitutivo,
non riduce, in quanto esente, l'imposizione diretta
sull'immobile strumentale agricolo collocato in aree
montane. Il tutto solo se rispettoso dei requisiti oggettivi
di ruralità, di cui al comma 3-bis, dell'articolo 9 del dl
n. 557/1993. Si tratta infatti, tra gli altri, dell'ufficio
dell'impresa agricola, dell'abitazione concessa in affitto
ai dipendenti e degli immobili destinati alla protezione
delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli, al
ricovero degli animali e all'agriturismo.
Posto il principio
generale per cui tutti gli immobili esenti dall'Imu scontano
le imposte sui redditi, pagano pegno anche i terreni
collocati in zone collinari o montane, come delimitati
dall'articolo 15 del dlgs n. 984/1977, e quelli destinati ad
attività diverse da quelle agricole, come le cave e i
parcheggi. Si conferma quindi l'assoggettamento
all'imposizione diretta per gli immobili non produttivi di
redditi fondiari, di cui all'articolo 43 del Tuir, con
l'eccezione di quelli non locati utilizzati in modo
promiscuo dal professionista.
Pertanto, in tutti quei casi
in cui non opera l'effetto sostitutivo, si determina un
notevole aggravio del prelievo fiscale. Tra questi, il caso
degli immobili locati, degli immobili di soggetti Ires e
degli immobili-merce appartenenti alle imprese. Si verifica
quindi l'assenza di un regime sostitutivo per gli immobili
delle imprese, per i quali l'Imu è sempre dovuta, ai sensi
del comma 1, dell'articolo 9 del dlgs n. 23/2011 e sui quali
l'imprenditore paga anche le imposte dirette, poiché
componente del reddito d'impresa come rimanenza.
Per detti ultimi beni quindi, l'unico possibile vantaggio è
quello inerente alla riduzione dell'aliquota da parte del
comune fino allo 0,38%. Per un periodo superiore a tre anni
rispetto all'ultimazione dei lavori, l'aliquota ridotta si
rende applicabile però, solo fino a che permane la
destinazione alla vendita del fabbricato e a condizione che
l'immobile non sia locato
(articolo ItaliaOggi del 14.03.2013). |
ENTI LOCALI -
VARI: Permessi invalidi, durata lunga.
Scadenza prorogata d'ufficio al giorno del compleanno.
Parere della Funzione pubblica sul nuovo contrassegno di
parcheggio modello europeo.
Al nuovo contrassegno per il parcheggio dei disabili
rilasciato su modello europeo si applica la regola della
scadenza allineata al giorno del compleanno del titolare.
Purché si tratti di autorizzazioni permanenti, aventi
validità pluriennale.
Lo ha chiarito il Dipartimento per la
funzione pubblica con il parere 05.03.2013.
L'allineamento della scadenza di tutti i documenti di
identità e di riconoscimento alla data di nascita del
titolare è una novità recente, introdotta dall'art. 7 del dl
5/2012, convertito nella legge 35/2012. Dopo un primo
periodo di incertezza a questa curiosa disposizione si è
allineata anche la Motorizzazione che ora rilascia le
patenti normali con scadenza allineata al giorno del
compleanno. Mentre nessuno si è ancora preoccupato di
attivare o perlomeno richiedere questa semplificazione anche
in materia di patenti nautiche, un comando di polizia locale
ha richiesto chiarimenti in materia di contrassegni
invalidi.
I nuovi permessi blu, conformi alle disposizioni comunitarie
ed in vigore dallo scorso anno grazie al dpr 151/2012,
specifica la nota della polizia locale, devono
necessariamente qualificarsi come documenti di
riconoscimento ai sensi dell'art. 1 del dpr 445/2000. In
virtù di questa classificazione a parere dei vigili anche a
questi contrassegni che hanno validità 5 anni deve
applicarsi la rivoluzione copernicana della scadenza
allineata alla data di compleanno del titolare.
La Funzione pubblica ha confermato questa interpretazione,
perlomeno in riferimento ai contrassegni permanenti, ovvero
con scadenza quinquennale. Specifica infatti la nota
centrale che sono condivisibili le motivazioni che portano a
ritenere il contrassegno invalidi come «un documento di
riconoscimento ai sensi dell'art. 1, lett. c), del dpr n.
445/2000. Detto contrassegno, si sensi della normativa
vigente, è rilasciato da una pubblica amministrazione
italiana su supporto cartaceo, è strettamente personale,
riporta nome e cognome del titolare ed è munito di
fotografia e firma».
In buona sostanza anche a questi documenti si applica quindi
l'allineamento della scadenza al compleanno del titolare
previsto dal dl 5/2012
(articolo ItaliaOggi del 13.03.2013). |
TRIBUTI: Case inagibili esenti dall'Irpef.
Sugli immobili già si applica l'Imu. Anche se ridotta. La
circolare dell'Agenzia delle entrate ha richiamato un
precedente datato 2012.
I contribuenti non sono tenuti a pagare l'Irpef sui
fabbricati inagibili, poiché questi immobili non sono esenti
dall'Imu. I titolari di fabbricati inagibili o inabitabili,
infatti, pagano l'imposta in misura ridotta. Quindi, non
sono soggetti al pagamento delle imposte sui redditi.
Lo ha
chiarito l'Agenzia delle entrate con la
circolare 11.03.2013 n. 5/E
(si veda ItaliaOggi di ieri).
Secondo l'Agenzia, per gli immobili inagibili per i quali
siano rispettate tutte le prescrizioni contenute
nell'articolo 13, comma 3, lett. b), del decreto «salva
Italia» (201/2011), è dovuta solamente l'Imu. Per questi
fabbricati l'Imu è dovuta in misura ridotta, in quanto la
base imponibile è pari al 50 per cento. Dunque, non possono
essere considerati esenti e, per l'effetto, «opera l'effetto
di sostituzione dell'Irpef».
In effetti, l'articolo 8 del decreto sul Federalismo
municipale (23/2011) dispone in via di principio che la
nuova imposta locale sostituisce, per la componente
immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e
le relative addizionali dovute per i redditi fondiari
relativi ai beni non locati. Inoltre, l'articolo 9 dello
stesso decreto stabilisce che sono comunque assoggettati
alle imposte sui redditi e alle relative addizionali, «ove
dovute», gli immobili esenti dall'Imu.
La circolare delle
Entrate richiama una precedente circolare ministeriale
3DF/2012, con la quale è stato già precisato che la
locuzione «ove dovute» «è finalizzata a ribadire che, nel
momento in cui si verifica un'esenzione ai fini Imu, devono
comunque continuare ad applicarsi le regole ordinarie
proprie che disciplinano l'Irpef e le relative addizionali».
Pertanto, sono assoggettati alle imposte sui redditi solo
gli immobili esenti dall'imposta comunale.
Per i fabbricati inagibili o inabitabili il legislatore non
aveva, nel momento in cui è stata istituita la nuova imposta
locale, previsto alcun trattamento agevolato. Solo con
l'articolo 4 del dl 16/2012, che ha integrato l'articolo 13,
è stata disposta la riduzione al 50% della base imponibile.
Della stessa riduzione possono fruire i fabbricati di
interesse storico o artistico. È previsto che lo stato
d'inagibilità debba essere accertato dall'ufficio tecnico
comunale con perizia a carico del proprietario, che è tenuto
ad allegare idonea documentazione alla dichiarazione. In
alternativa, il contribuente ha facoltà di presentare una
dichiarazione sostitutiva.
Per l'Ici, ma il principio è applicabile anche all'Imu, la
giurisprudenza ha sostenuto che spetti il trattamento
agevolato anche nei casi in cui l'interessato non abbia
presentato la dichiarazione d'inagibilità, purché sia noto
all'amministrazione comunale lo stato dell'immobile. In
queste situazioni la base imponibile deve essere ridotta al
50%, a condizione che il fabbricato non venga di fatto
utilizzato. La riduzione è però limitata al periodo
dell'anno durante il quale sussiste l'inagibilità.
È
evidente che le condizioni dell'immobile vanno accertate
dall'ente impositore, sia se il contribuente alleghi idonea
documentazione alla richiesta di riduzione dell'imposta, sia
se presenti dichiarazione sostitutiva e autocertifichi
questa situazione. Per avere diritto al beneficio previsto
dalla legge, però, l'istanza deve essere inoltrata nel
momento in cui il fabbricato è inagibile, al fine di
consentire all'ente di verificare la dichiarazione del
soggetto interessato.
Infine, bisogna ricordare che in base all'articolo 59, comma
1, lettera h), del decreto legislativo 446/1997, il comune
aveva la facoltà di introdurre nel regolamento che la
riduzione dell'imposta spettasse solo quando il degrado del
fabbricato non fosse superabile con interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria. Con l'introduzione
dell'Imu questa disposizione è stata espressamente abrogata
(articolo ItaliaOggi del 13.03.2013
- tratto da www.escostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO
IMPIEGO: Ferie senza tasse.
L'indennità sostitutiva è risarcitoria. Sentenza Ctr Lazio nel caso di mancato godimento.
Il compenso sostitutivo delle ferie non godute non può
essere soggetto a tassazione poiché ha natura risarcitoria e
dunque, nei termini consentiti, può essere richiesto il
rimborso di quanto indebitamente trattenuto negli anni.
Sono
le conclusioni che si leggono nella
sentenza
06.02.2013 n. 89/04/2013
emessa dalla Sez. IV della Commissione tributaria
regionale del Lazio.
Riferendosi a una interpretazione
«costituzionalmente orientata» i giudici regionali romani
hanno definitivamente accolto la richiesta di rimborso delle
ritenute fiscali illegittime trattenute su questa indennità,
stabilendone la sua completa intassabilità. «L'articolo 6,
comma 2, del Tuir n. 917/1986 stabilisce l'imponibilità delle
sole “indennità” conseguite a fronte di effettive perdite di
reddito (lucro cessante), ma non anche a quelle, come nella
specie, che sono tese a riparare un danno, senza effettivo
incremento reddituale».
Secondo gli stessi giudici,
l'indennità delle ferie non godute, quindi, ha natura
risarcitoria e non è soggetta alle imposte dirette; le ferie
annuali e i riposi settimanali costituiscono, infatti, un
diritto insopprimibile del lavoratore, connesso alla
protezione della sua salute quale bene primario
costituzionalmente garantito.
Qualora per un qualsiasi motivo, anche volontario, il
lavoratore non ne usufruisca, si verifica un fatto illecito
da parte del datore di lavoro che ordini o consenta tale
comportamento e lo stesso lavoratore avrà diritto di
ricevere una «indennità», che contenga, oltre alla
retribuzione ordinaria, una adeguata maggiorazione che
compensi lo stress fisico e psichico.
Da quanto detto si evince che, poiché l'erogazione di questa
indennità è riconducibile fra quelle costituenti un mero
risarcimento per danni della sfera biologica della persona,
essa avrà natura di mera reintegrazione di una decurtazione
di tipo patrimoniale (danno emergente) e non invece la
funzione di reintegrare la perdita di un reddito (lucro
cessante), non vi sono, quindi dubbi sulla sua non
assoggettabilità a imposizione Irpef, in quanto una siffatta
fattispecie non è espressamente prevista fra quelle
costituenti ipotesi tassative di reddito imponibile.
Il collegio aggiunge che si potrebbe distinguere la parte di
indennità corrispondente alla retribuzione «ordinaria»
dalla vera e propria maggiorazione, ma poiché la previsione
normativa in merito è del tutto carente, la richiesta di
rimborso deve essere accolta interamente
(articolo ItaliaOggi del 13.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Licenziare
ora sarà più facile. Nei casi di violazione ripetuta della
buona condotta. Via libera finale del governo al nuovo
codice di comportamento. Il Miur dovrà integrarlo.
Il licenziamento diventa più facile. I dirigenti scolastici,
i docenti e il personale amministrativo, tecnico ed
ausiliario in servizio nella scuola pubblica potranno
incorrere nella sanzione del licenziamento disciplinare nel
caso di violazioni gravi o reiterate degli obblighi di
diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta indicati
nel codice di comportamento dei pubblici dipendenti
contenuto in un decreto del Presidente della Repubblica che,
dopo avere ottenuto il via libera dal Consiglio dei ministri
nella riunione di venerdì 8 marzo, sarà pubblicato
prossimamente nella Gazzetta Ufficiale.
La pubblicazione del Codice comporta l'abrogazione del
decreto del ministro per la funzione pubblica 28.11.2000
recante «Codice di comportamento dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni». Le previsioni contenute nel
nuovo codice, messo a punto dal ministro della funzione
pubblica, Filippo Patroni Griffi, devono comunque essere
integrate e specificate dal codice di comportamento che sarà
adottato dal ministero dell'istruzione.
Il Codice, nei termini definiti dal comma 44 dell'articolo 1
della legge 06.11.2012, n. 190, comma che ha sostituito
l'articolo 54 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, ha
il fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione
dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri
costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e
servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico.
Regali off limits
Il Codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri
dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni
attribuite, e comunque prevede per tutti i dipendenti
pubblici, ivi compreso il personale della scuola, il divieto
di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compresi,
regali o altre utilità, in connessione con l'espletamento
delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i
regali d'uso,(in via orientativa, non superiore a euro 100)
e nei limiti delle normali relazioni di cortesia.
Tra le altre disposizioni che possono coinvolgere
direttamente il personale della scuola si sottolineano: il
divieto di accettare incarichi di collaborazione da soggetti
privati che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente,
un interesse economico significativo in decisioni o attività
inerenti l'ufficio di appartenenza; l'obbligo -fatta
eccezione per l'adesione ai partiti politici o ai sindacati-
di comunicare al dirigente scolastico l'adesione o
l'appartenenza ad associazioni o organizzazioni i cui ambiti
di interessi siano coinvolti o possano interferire con lo
svolgimento delle proprie funzioni; il divieto di utilizzare
a fini privati materiale o attrezzature di cui dispone per
ragioni dei suoi compiti e di utilizzare le linee
telefoniche della scuola per esigenze personali, fatti salvi
i casi di urgenza.
I doveri minimi
La violazione dei doveri minimi previsti dal Codice, dispone
tra l'altro l'art. 17, integra comportamenti contrari ai
doveri d'ufficio ed è fonte di responsabilità accertata
all'esito del procedimento disciplinare, nel rispetto dei
principi di colpevolezza, gradualità e proporzionalità delle
sanzioni. Le sanzioni disciplinari che non comportano il
licenziamento con o senza preavviso sono quelle previste dal
contratto nazionale di lavoro.
Ferma restando la comminazione del licenziamento senza
preavviso per i casi già previsti dalla legge, dai
regolamenti e dal contratto collettivo nazionale di lavoro,
la sanzione disciplinare del licenziamento si applica nei
seguenti casi indicati nell'art. 55-quater del decreto
legislativo n. 165/2001:
a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante
l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o
con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione
dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica
falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di
giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di
un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso
degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio,
in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato
dall'amministrazione;
c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto
dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio;
d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in
occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero
di progressioni di carriera;
e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte
aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque
lesive dell'onore e della dignità personale altrui;
f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è
prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero
l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.
Nei casi di cui alle lettere a), d),e) ed f), il
licenziamento sarà senza preavviso
(articolo ItaliaOggi del 12.03.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
TRIBUTI: Tares,
sconti a carico dell'ente. Bonus
extra coperti da risorse diverse
Il comune può concedere riduzioni tariffarie e agevolazioni
«atipiche», anche se non previste dalla legge, purché non
comportino un aumento della tassazione per i contribuenti
soggetti al pagamento della Tares. Quindi, coloro che sono
soggetti al prelievo non devono pagare di più. La copertura,
infatti, deve essere assicurata da risorse diverse dai
proventi del tributo di competenza dell'esercizio. Mentre,
per i benefici fiscali concessi dalla norma di legge il
minor gettito è giustificato dalla minore produzione di
rifiuti.
Lo ha precisato il ministero dell'economia e delle finanze
nelle nuove linee guida per la redazione del piano
finanziario e l'elaborazione delle tariffe.
Secondo il ministero, le agevolazioni atipiche possono
essere iscritte nel piano economico-finanziario, purché
siano «controbilanciate da un eguale contributo a carico
del comune». Invece, per quelle contemplate
dall'articolo 14 del dl Monti (201/2011), considerata la
loro «minor attitudine a fruire del servizio pubblico», il
minor gettito, suddiviso in quote fisse e variabili, «deve
essere inserito tra i costi del Pef».
In effetti, al di là dei benefici elencati dalla norma, il
comune può deliberare ulteriori agevolazioni. A patto, però,
che il mancato gettito venga coperto da risorse diverse dai
proventi del tributo. Il consiglio comunale può deliberare
altre riduzioni ed esenzioni, che vanno iscritte in bilancio
come autorizzazioni di spesa. La relativa copertura deve
essere assicurata da risorse diverse dai proventi del
tributo di competenza dell'esercizio al quale si riferisce
l'iscrizione. Altrimenti, visto che devono essere coperti i
costi del servizio, le somme riscosse avrebbero un'incidenza
negativa sul quantum dovuto dai contribuenti soggetti
al prelievo.
L'articolo 14, poi, disciplina espressamente alcune
agevolazioni tariffarie, riconoscendo al comune la facoltà
di stabilire, con regolamento, riduzioni del tributo dovuto
in presenza di determinate situazioni, in cui si presume che
vi sia una minore capacità di produzione di rifiuti. A
questi benefici viene però fissato un tetto massimo. La
riduzione della tariffa non può superare il limite del 30%.
Il trattamento agevolato può essere concesso per: abitazioni
con unico occupante; abitazioni tenute a disposizione per
uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo; locali e
aree scoperte adibiti a uso stagionale; abitazioni occupate
da soggetti che risiedono o hanno la dimora, per più di sei
mesi all'anno, all'estero; fabbricati rurali a uso
abitativo. Oltre a queste riduzioni tariffarie, meramente
facoltative, sono previste agevolazioni che spettano ai
contribuenti ex lege.
Per esempio, le riduzioni per locali e aree situati nelle
zone in cui non è effettuata la raccolta, per le quali il
tributo è dovuto nella misura del 40% della tariffa. Questa
misura massima deve essere graduata tenendo conto della
distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella
zona perimetrata o di fatto servita. Percentuale che scende
al 20% in caso di mancato o irregolare svolgimento del
servizio. Le agevolazioni si applicano anche alla
maggiorazione, destinata alla copertura dei servizi
indivisibili prestati dall'amministrazione comunale
(articolo ItaliaOggi del 12.03.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
TRIBUTI:
Onlus, esenzione Imu elastica.
Agevolazione salva per i beni concessi ad altri non profit.
I chiarimenti del ministero: c'è più
tempo per adeguare lo statuto al regolamento.
Un ente non commerciale che concede in comodato un immobile
a un altro ente non profit che svolga un'attività con
modalità non commerciali ha diritto all'esenzione Imu, anche
se non lo utilizza direttamente. Questi enti, inoltre, hanno
ancora tempo per adeguare atti costitutivi e statuti, perché
il termine del 31.12.2012 fissato dal regolamento
ministeriale non è perentorio.
Questi chiarimenti sono stati
forniti dal dipartimento delle finanze del ministero
dell'economia, con le risoluzioni 3 e 4 del 04.03.2013.
La presa di posizione del ministero non è però in linea con
le pronunce sia della Corte costituzionale sia della
Cassazione, secondo cui per fruire dell'esenzione Ici (ma la
stessa regola dovrebbe valere per l'Imu) l'ente non
commerciale avrebbe dovuto non solo possedere, ma anche
utilizzare direttamente l'immobile.
Nella risoluzione
4/2013, invece, viene data una lettura a dir poco elastica
delle tesi giurisprudenziali, in quanto viene ritenuto
fruibile il beneficio fiscale anche nei casi in cui
l'immobile posseduto da un ente non commerciale venga
concesso in comodato a un altro ente, che svolga le attività
elencate dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto
legislativo 504/1992 (ricreative, culturali, didattiche,
sportive, assistenziali, sanitarie e così via).
A maggior
ragione, secondo il ministero, se l'immobile venga dato «in
comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla
stessa struttura dell'ente concedente», purché
l'utilizzatore fornisca all'ente non profit «tutti gli
elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento
degli obblighi tributari sia di carattere formale sia
sostanziale». A proposito di adempimenti, viene poi chiarito
che la data del 31.12.2012 imposta dal regolamento
ministeriale (dm 19.11.2012 n. 200) per adeguare atti
costitutivi e statuti «non deve considerarsi perentoria».
Va ricordato che la disciplina Imu ha confermato l'esenzione
per gli immobili posseduti e utilizzati dagli enti non
commerciali, fissando però regole diverse rispetto all'Ici.
L'articolo 7, comma 1), lettera i), riconosce l'esenzione
alle attività elencate dalla norma svolte dagli enti purché
non abbiano natura esclusivamente commerciale. In effetti,
l'articolo 91-bis del dl liberalizzazioni (1/2012), in sede
di conversione in legge (27/2012), ha previsto che gli enti
ecclesiastici e non profit pagano l'Imu se sugli immobili
posseduti vengono svolte attività didattiche, ricreative,
sportive, assistenziali, culturali e via dicendo con
modalità commerciali.
Tuttavia, sono state apportate delle modifiche alla
disciplina delle agevolazioni Ici riconoscendo, in presenza
di determinate condizioni, un'esenzione parziale.
Infatti, qualora l'unità immobiliare abbia un'utilizzazione
mista, l'esenzione si applica solo sulla parte nella quale
si svolge l'attività non commerciale, sempre che sia
identificabile. La parte dell'immobile dotata di autonomia
funzionale e reddituale permanente, però, deve essere
iscritta in catasto e la rendita produce effetti a partire
dal 01.01.2013.
Nel caso in cui non sia possibile accatastarla
autonomamente, l'agevolazione spetta in proporzione
all'utilizzazione non commerciale dell'immobile che deve
risultare da apposita dichiarazione dell'ente interessato.
Non a caso il comma 3 dell'articolo 91-bis prevede
l'emanazione di un regolamento che contenga norme di
dettaglio nei casi in cui gli immobili abbiano
un'utilizzazione mista e per le quali non sia possibile
accatastare separatamente una parte dell'unità immobiliare
nella quale si svolge l'attività commerciale. Provvedimento
attuativo che è stato già adottato.
Sono invece soggetti all'Imu gli immobili posseduti dalle
fondazioni bancarie, anche se hanno la natura di enti non
commerciali. Non possono, infatti, fruire dell'esenzione dal
pagamento dell'imposta municipale, a prescindere dalle
attività esercitate. Lo ha precisato il dipartimento delle
finanze del ministero dell'economia con la risoluzione
1/2013.
Il dipartimento, oltre ad aver chiarito che gli enti non
commerciali non erano tenuti a presentare la dichiarazione
Imu entro il 04.02.2103, per il cui adempimento bisogna
attendere l'approvazione del relativo modello, in cui verrà
indicato il termine di presentazione, ha anche ricordato che
l'articolo 9, comma 6-quinquies, del dl «salva enti»
(174/2012) dispone che, in ogni caso, l'esenzione Imu per
gli enti non commerciali non si applica alle fondazioni
bancarie.
Nonostante questi enti siano persone giuridiche private
senza fini di lucro, dotate di autonomia statutaria e
gestionale, che perseguono scopi di utilità sociale e di
promozione dello sviluppo economico (articolo ItaliaOggi
Sette dell'11.03.2013). |
VARI:
Neopapà, il congedo raddoppia. Ora stare a casa è d'obbligo.
In G.U. il regolamento che rende
operative le novità contenute nella riforma Fornero.
Un giorno a casa obbligatoriamente, più altri due se lo
vuole la moglie. Sono i nuovi permessi per i papà lavoratori
dipendenti previsti dalla riforma Fornero. Che usa il
bastone per «promuovere la cultura di maggiore condivisione
dei compiti genitoriali e favorire la conciliazione dei
tempi di vita e di lavoro», imponendo cioè ai papà di
dedicarsi obbligatoriamente un giorno alle cure del bebè
appena arrivato, più altri due se così decide la consorte. I
nuovi permessi si applicano alle nascite avvenute dal 01.01.2013.
Misure sperimentali per i papà. I nuovi congedi sono stati
introdotti in via sperimentale per il triennio 2013/2015
dalla citata legge n. 92/2012 (articolo 4, comma 24), la
riforma Fornero:
a) un congedo obbligatorio di un giorno;
b) un congedo facoltativo massimo di due giorni (uno o due
giorni).
Il via libero operativo è arrivato dalla pubblicazione,
sulla G.U. n. 37 del 13 febbraio, del regolamento approvato
con decreto 22.12.2012). Le misure a favore dei papà
si applicano con esclusivo riferimento alla nascite a
partire dal 01.01.2013 (invece sia il congedo
obbligatorio sia quello facoltativo non si applicano alle
nascite avvenute entro il 31.12.2012).
Solo per i lavoratori dipendenti. Entrambi i nuovi congedi
spettano solo ed esclusivamente ai papà, che siano
lavoratori dipendenti, ossia titolari di un contratto di
lavoro subordinato. E si applicano, inoltre, anche alle
ipotesi di padre adottivo o affidatario; in tal caso, il
limite di fruizione (cinque mesi) va evidentemente riferito
alla data di ingresso del minore in famiglia.
Il congedo obbligatorio. Si tratta di un «obbligo» vero e
proprio di astensione dal lavoro. Vale un giorno, come
accennato, ed è fruibile a scelta del padre (che ne ha
diritto) nei primi cinque mesi di vita del figlio. La
fruizione può avvenire anche durante il congedo di maternità
di cui stia fruendo il coniuge (la madre), ossia nei tre o
quattro mesi di astensione obbligatoria post-partum.
Il
congedo di maternità, infatti, riconosce alla madre
lavoratrice dipendente l'obbligo di astenersi dal lavoro per
un totale di cinque mesi da suddividere prima e dopo la
nascita; ordinariamente la ripartizione è due mesi prima
della data presunta del parto e tre mesi dopo, ma la
lavoratrice può decidere di posticipare fino a un mese
l'astensione obbligatoria prima della data presunta del
parto allungando di conseguenza fino a quattro mesi quella
dopo il parto (è la cosiddetta «flessibilità» del congedo).
Ovviamente, poiché la legge impone al papà di fruire del
nuovo congedo «nei primi cinque mesi di vita del figlio», la
sua astensione in contemporanea al congedo di maternità del
coniuge potrà avvenire soltanto nel periodo post partum.
Nei casi di morte o di grave infermità della madre ovvero di
abbandono del figlio, nonché in caso di affidamento
esclusivo del bambino al padre, quest'ultimo ha diritto al
cd «congedo di paternità» ossia ad assentarsi dal lavoro per
tutta la durata del congedo di maternità o per la parte
residua che sarebbe spettata alla lavoratrice madre. La
ricorrenza della predetta ipotesi non pregiudica il diritto
al nuovo congedo obbligatorio di un giorno che, dunque, si
andrà a sommare al congedo di paternità.
Il congedo facoltativo. Il congedo facoltativo dà
l'opportunità al padre lavoratore dipendente di fruire di
uno o due giorni di astensione dal lavoro, anche in maniera
continuativa. Attenzione, però, a differenza dell'altro
congedo (quello obbligatorio di 1 giorno) il quale spetta
incondizionatamente, questo congedo facoltativo è
subordinato alla scelta del proprio coniuge (la madre),
anch'essa lavoratrice, di non fruire di altrettanti giorni
(uno o due) del proprio congedo di maternità, con
conseguente anticipazione del termine finale del periodo
post partum di astensione obbligatoria. Un esempio. Come
detto prima la madre ha diritto al congedo di maternità per
cinque mesi.
Poniamo che la nascita sia avvenuta il 01.01.2013 e che la madre non abbia optato per alcuna
flessibilità del congedo, cosicché ha diritto al congedo di
maternità post partum per tre mesi, ossia fino al 01.04.2013. Se il papà decide di fruire di un giorno del nuovo
congedo facoltativo, la madre dovrà anticipare la fine del
congedo di maternità al 31.03.2013; se il papà decide di
fruire di entrambi i giorni a disposizione dl nuovo congedo
facoltativo, la madre dovrà anticipare la fine del congedo
di maternità al 30.03.2013.
Va notato che la fruizione
del nuovo congedo facoltativo da parte del padre può
avvenire «entro i primi cinque mesi di vita del figlio»;
nell'esempio precedente, quindi, entro il 31.05.2013.
Ciò comporta che, se il padre volesse fruire di uno o due
giorni del nuovo congedo dopo il 01.04.2013 (termine di
fruizione del congedo di maternità da parte del
coniuge-madre), il coniuge-madre dovrà comunque anticipare
la fine del proprio congedo di maternità: non farlo,
determinerebbe l'impossibilità per il padre di fruire del
congedo facoltativo.
Modalità di fruizione. Entrambi i congedi vanno fruiti per
giornate intere di lavoro, in quanto per espressa previsione
di legge non possono essere frazionati a ore. Il congedo
facoltativo inoltre è fruibile dal padre anche
contemporaneamente alla «astensione» della madre. Poiché il
regolamento parla solo di «astensione» della madre, senza
precisare se si tratti di astensione obbligatoria (congedo
di maternità) o facoltativa (congedo parentale), deve
ritenersi che la fruizione sia possibile in entrambi i casi
(congedo maternità e parentale della madre).
Invece, il
regolamento non precisa se il congedo spetti al padre anche
nell'ipotesi in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.
Poiché la nuova misura, nella sostanza, si basa sullo
scambio del congedo tra madre e padre (i giorni di congedo
del padre vengono tolti alla madre), dovrebbe concludersi
che il nuovo congedo non spetti ai papà che hanno il coniuge
(la madre) non lavoratrice dipendente.
Trattamento delle assenze per i nuovi congedi. Entrambi i
congedi sono retribuiti e coperti da contribuzione. Infatti,
il regolamento stabilisce che il padre lavoratore dipendente
ha diritto, per i giorni di congedo (sia obbligatorio che
facoltativo), a un'indennità giornaliera a carico dell'Inps,
pari al 100% della retribuzione. L'indennità è corrisposta
al lavoratore direttamente dal datore di lavoro, il quale la
recupera mediante conguaglio con i contributi che deve
versare mensilmente all'Inps.
Come richiedere i congedi.
Per entrambi i nuovi congedi (obbligatorio e facoltativo) è
prevista un'unica procedura di richiesta. Il padre
intenzionato a fruirne, in particolare, deve darne
comunicazione in forma scritta al datore di lavoro,
specificando i giorni in cui intende fruirne. La
comunicazione va fatta con un anticipo non inferiore a 15
giorni, ove possibile in relazione all'evento nascita, sulla
base della data presunta del parto. Se in azienda è in
funzione un sistema informativo specifico per la richiesta e
la gestione delle assenze, la forma scritta della
comunicazione può essere sostituita dall'utilizzo di tale
sistema.
Il datore di lavoro comunica all'Inps le giornate di congedo
fruite, attraverso i canali telematici messi a disposizione
dallo stesso istituto di previdenza (al momento non è
arrivata ancora alcuna circolare indicativa, ma ciò non
pregiudica la fruizione dei congedi). Con esclusivo riguardo
al nuovo congedo facoltativo è previsto un adempimento
aggiuntivo. Infatti, il padre lavoratore deve allegare alla
richiesta una dichiarazione della madre di non fruizione del
congedo di maternità a lei spettante per un numero di giorni
equivalente a quello fruito dal padre. E questa
documentazione andrà trasmessa anche al datore di lavoro
della madre (articolo ItaliaOggi
Sette dell'11.03.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Prove di eco-semplificazione.
Saranno le regioni a modulare il novero dei titoli annessi.
Arriva l'Aua, l'autorizzazione unica ambientale che accorpa
più procedimenti.
Una sola domanda, rivolta a un singolo ufficio, con costi
contenuti e risposta garantita entro 150 giorni, per essere
autorizzati a emettere inquinanti in aria, acqua e suolo e
per gestire i rifiuti prodotti.
A promettere di salvare le
imprese dall'eco-burocrazia è la nuova disciplina sulla
«autorizzazione unica ambientale», disciplina prevista da un
decreto già approvato in via definitiva dal governo lo
scorso 05.02.2013 ed ora in attesa di debutto sulla
Gazzetta Ufficiale.
Debutto con il quale la parola passerà a regioni e province
autonome, alle quali il decreto in itinere attribuisce la
facoltà di ampliare a livello locale il novero delle
autorizzazioni ambientali incorporabili nel nuovo
«provvedimento unico» (la norma statale ne prevede solo
sette) al fine di rendere lo snellimento amministrativo
maggiormente appetibile per le imprese interessate (le
aziende medio-piccole e quelle a ridotto impatto
sull'ecosistema).
L'autorizzazione unica. L'Autorizzazione unica ambientale
(già ribattezzata «Aua») è il provvedimento amministrativo
che sostituirà e raccoglierà in un unico documento i sette
permessi ambientali «base» previsti dal decreto in itinere e
quelli che i singoli enti locali vorranno affiancare al
nucleo minimo stabilito a livello statale.
Rilasciata dal comune attraverso il suo Sportello Unico per
le attività produttive («Suap»), l'Aua avrà una durata di 15
anni ma dovrà essere sottoposta a revisione anticipata in
caso di modifica dell'attività d'impresa o degli impianti
aziendali.
I titoli ambientali incorporabili. Il nuovo regolamento
governativo (predisposto nella forma di decreto del
presidente della Repubblica) stabilisce, come accennato,
solo il nocciolo duro delle autorizzazioni che l'Aua
sostituirà, lasciando a regioni e province autonome la
facoltà di aggiungere (nel rispetto delle norme comunitarie
e nazionali) altri titoli assimilabili.
Nel tenore del dpr licenziato, le autorizzazioni minime che
l'Aua potrà concentrare sono le seguenti: autorizzazione
allo scarico nelle acque ex dlgs 152/2006; comunicazione
preventiva per utilizzo agronomico di effluenti di
allevamento, acque di vegetazione di frantoi oleari, acque
reflue da parte di aziende del settore ex dlgs 152/2006;
autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli
stabilimenti produttivi ex dlgs 152/2006; autorizzazione
generale per le emissioni «scarsamente rilevanti» in aria
dlgs 152/2006; nulla osta alle emissioni sonore ex legge
447/1995 da parte degli impianti produttivi, sportivi,
ricreativi commerciali; autorizzazione per utilizzo fanghi
da depurazione in agricoltura ex dlgs 99/1992; comunicazione
per auto-smaltimento e/o recupero rifiuti in procedura
semplificata ex dlgs 152/2006.
Le imprese interessate. Ad essere interessate dall'Aua
saranno tre tipologie di imprese: quelle non ammesse
all'autorizzazione integrata ambientale («Aia») prevista dal
dlgs 152/2006 (coincidenti con le grandi industrie elencate
dall'allegato VIII alla parte Seconda del «Codice
ambientale»); il consistente insieme delle micro, piccole e
medie imprese (ossia le imprese rientranti nei parametri
dimensionali e di fatturato previsti dall'articolo 2 del dm
18.04.2005); le imprese soggette a valutazione di
impatto ambientale (statale o regionale) non comprensiva di
tutti gli atti autorizzatori in base al Codice ambientale.
Per le imprese citate l'Aua costituirà la procedura
autorizzatoria obbligatoria per acquisire l'intero novero
dei titoli stabiliti dal dpr (unitamente a quelli
eventualmente stabiliti territorialmente), mentre
rappresenterà solo una alternativa a quella tradizione nel
caso le stesse intenderanno ottenere solo uno dei citati
titoli oppure provvedere a semplici comunicazioni.
Il procedimento di rilascio. Il Suap rilascerà
l'autorizzazione unica ambientale dietro presentazione di
domanda entro un termine «standard» compreso (in base alla
complessità dell'istruttoria prevista dalla legge) tra 90 e
150 giorni dall'istanza.
Un'accelerazione dell'iter burocratico arriverà però con
l'adozione da parte del Minambiente del modello semplificato
ed unificato di domanda.
Fino ad allora la domanda dovrà però essere inoltrata
mediante istanza corredata dai documenti, dalle
dichiarazioni ed attestazioni previste dalle norme di
settore. Sempre al «Suap» andrà indirizzata, entro sei mesi
dalla scadenza dell'autorizzazione unica rilasciata,
l'istanza di rinnovo della stessa, e tramite una corsia
preferenziale (autodichiarazione in luogo di nuova istanza
corredata dai rituali documenti) se richiesta da imprese a
più basso impatto ambientale.
Modifiche di impianti e attività andranno invece autorizzate
(non dal «Suap» ma) direttamente dalla provincia o dalle
altre autorità competenti indicate dalle singole regioni,
alle quali le imprese che necessitano di variazioni non
sostanziali potranno rivolgersi mediante semplice
comunicazione (in luogo della più complessa domanda,
obbligatoria invece per i cambiamenti sostanziali). Un
tetto, come anticipato, è dal dpr previsto per i costi
massimi del procedimento amministrativo sotteso al rilascio
dell'autorizzazione unica: l'onere totale dell'istruttoria
non potrà essere superiore alla somma dei singoli tributi
previsti per i diversi provvedimenti ambientali.
Il raccordo con le autorizzazioni in essere. I soggetti già
titolari di autorizzazioni rilasciate in base al
tradizionale regime previsto dalla normativa ambientale,
così come quelli in attesa di provvedimenti richiesti in
base alla stessa, potranno accedere all'iter semplificato
dell'Aua solo in fase di rinnovo dei permessi ambientali
rilasciati o rilasciandi (articolo ItaliaOggi
Sette dell'11.03.2013. |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Per gli statali un taglio a doppio effetto.
Perso circa il 10% dello stipendio, con forti penalizzazioni
sulla pensione soprattutto per chi è vicino all'uscita.
TEMPI STRETTI/
L'iter destinato a chiudersi prima di aprile: in caso
contrario ai dipendenti andrebbe corrisposta l'«indennità di
vacanza».
Approvato il «codice di comportamento», che impedisce di
ricevere regali troppo pregiati e di usare dotazioni di
lavoro per fini privati, i dipendenti pubblici aspettano un
provvedimento decisamente più pesante. Il bilancio dello
Stato l'aveva messo in conto fin dal luglio del 2011, quando
la prima manovra estiva dell'anno dello spread aveva
"ipotizzato" un nuovo blocco di rinnovi contrattuali e
stipendi individuali negli uffici pubblici anche per il
2013-14, da attivare per decreto dopo il primo congelamento
triennale del 2010-2012.
Ora però, archiviate le cautele
elettorali, il regolamento preparato da Economia e Funzione
pubblica è in arrivo, e a fare i calcoli sono i diretti
interessati: una platea da quasi quattro milioni di persone,
che ai dipendenti della Pubblica amministrazione unisce
quelli delle società in house e degli enti strumentali (si
veda anche l'articolo a fianco). Per avere un quadro
completo, i calcoli dovranno considerare anche i riflessi
previdenziali, particolarmente pesanti per chi andrà in
pensione nei prossimi anni.
La cifra pagata da ogni dipendente pubblico sull'altare
della crisi, come mostrano i conti in tasca alle varie
categorie riprodotti nel grafico qui a fianco, è importante,
tanto più che nel nuovo congelamento dovrebbe essere
compresa anche l'indennità di vacanza contrattuale (e
proprio questo fattore spinge il provvedimento all'approdo
in Gazzetta Ufficiale entro il mese di aprile). Il
sacrificio è ovviamente proporzionale allo stipendio che
ogni profilo di dipendente pubblico aveva all'inizio del
congelamento, ed è calcolato su un doppio indicatore: per la
prima tornata contrattuale saltata, quella del 2010-2012, il
taglio è misurato sulla base delle risorse che erano state
messe a disposizione dei vecchi rinnovi, mentre per il nuovo
congelamento biennale il punto di riferimento è l'Ipca,
l'indice armonizzato dei prezzi al consumo che esclude i
prodotti energetici importati e offre il punto di
riferimento di tutti i nuovi contratti biennali. Risultato:
nei cinque anni "congelati" gli statali e i loro colleghi
delle Pubbliche amministrazioni territoriali hanno
rinunciato in termini di mancati aumenti a circa il 9,2%
dello stipendio. Un dato che, soprattutto per il 2013-2014
visti i meccanismi di calcolo, tende a coincidere con la
perdita di potere d'acquisto causata dall'inflazione.
Tradotto in cifre, significa 2.575 euro all'anno a regime in
meno per gli impiegati degli enti locali, che con il loro
stipendio medio inferiore ai 28mila euro lordi annui sono
sul gradino più basso della categoria. Per i loro colleghi
di Palazzo Chigi, che di euro ne guadagnano in media quasi
43mila, la tagliola vale a regime poco meno di 4mila euro, e
le cifre crescono ovviamente man mano che si sale la scala
gerarchica delle amministrazioni. Per chi sta in cima, e ha
stipendi superiori ai 90mila euro lordi annui, in realtà il
conto avrebbe dovuto essere ben più salato, a causa del
contributo di solidarietà che chiedeva il 5% della quota di
stipendio superiore ai 90mila euro e il 10% di quella sopra
i 150mila. Il meccanismo, però, è caduto sotto i colpi della
Corte costituzionale, e quindi è uscito dal conto.
Il sacrificio è permanente, perché le norme escludono
espressamente ogni possibilità di recupero di quanto perso
alla ripresa dei rinnovi. Ma a rendere "eterna" la
sforbiciata sono anche i suoi effetti sugli assegni
previdenziali, in particolare per chi va in pensione in
questi anni: chi si avvicina all'uscita oggi ha circa la
metà della pensione calcolata con il sistema retributivo, e
sconterà sull'assegno circa l'80% del costo complessivo del
blocco. In altri termini, chi ha "perso" 7mila euro come
mancati aumenti e andrà in pensione nel 2014-15 riceverà una
pensione più leggera di circa 5.500 euro annui rispetto a
quella che avrebbe ottenuto in tempi normali. L'effetto si
diluirà poi nel tempo, ovviamente con il ritorno ai rinnovi
contrattuali.
La prospettiva, insomma, non è leggera. Complice il quadro
frastagliato uscito dalle urne, anche il fuoco di fila da
parte dei sindacati è un dato quasi scontato, basato com'è
sull'argomento non secondario che contesta l'opportunità da
parte di un Governo uscente di adottare un provvedimento di
questo peso, tra l'altro perfettamente in linea con la «politica
del rigore» uscita malconcia dal voto di febbraio.
Altrettanto scontato, però, sembra l'arrivo al traguardo del
decreto, perché proprio dal nuovo blocco di contratti e
stipendi dipende gran parte del miliardo di euro di risparmi
messi a bilancio per il 2013-2015 dalla manovra estiva
numero uno del luglio di due anni fa (articolo Il Sole 24
Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Nei Comuni partita aperta sugli esuberi.
Revisione degli organici. Si attende il decreto
per il taglio dei dipendenti degli enti locali.
La parola «esuberi» è entrata ufficialmente nel mondo degli
uffici pubblici con il decreto di luglio scorso sulla
revisione di spesa. Nella Pubblica amministrazione centrale,
dopo un complesso lavorio di revisione degli organici
ministero per ministero ed ente per ente, ha individuato
7.576 dipendenti "di troppo": resta però tutto da scrivere
il capitolo dedicato agli enti locali, perché anche a loro
la spending review chiede di trovare gli organici troppo
rigogliosi e di metterli a dieta.
Per far partire questo secondo tempo della
"razionalizzazione" del personale serve un provvedimento
attuativo, ma le regole sono già scritte nel decreto di
luglio e naturalmente mettono sotto esame chi spende troppo.
Il principale parametro di riferimento è rappresentato dal
rapporto fra dipendenti e popolazione, e il primo compito
del provvedimento attuativo è trovare l'indicatore medio per
ogni classe demografica: chi sarà in linea con la media
potrà continuare a gestire il personale con le regole
ordinarie, a partire dal turn-over che permette di dedicare
alle assunzioni fino al 40% dei risparmi ottenuti con le
cessazioni dell'anno precedente, ma chi è fuori media dovrà
invertire la rotta.
Le misure più drastiche riguarderanno
gli enti in cui l'indicatore supera del 40% la media della
propria classe demografica, perché questi Comuni e Province
troppo ingrassati negli anni dovranno mettere mano alla
stessa cassetta degli attrezzi prevista per la Pubblica
amministrazione centrale: pensionamento per chi raggiunge
entro il 2014 i vecchi requisiti previdenziali, part-time
per gli altri più vicini alla pensione, mobilità e, se tutto
questo non basta, lo scivolo biennale all'80% dello
stipendio. Uno scivolo che nella pratica costerà agli
interessati ben più del 20% del reddito, perché l'80% si
calcola sullo stipendio di base e non sulle indennità
aggiuntive: queste ultime voci, quindi, andrebbero
integralmente perse, e a seconda dei profili il costo
effettivo della misura si attesterebbe intorno al 40-50%
delle entrate.
Anche senza aspettare questa extrema ratio, comunque, il
mondo degli enti locali ha in molti casi perso già da tempo
le certezze occupazionali di una volta. In un quadro di
finanza pubblica sempre più affannoso, si sono moltiplicati
i casi di enti locali, anche grandi, che non riescono a
pagare puntualmente gli stipendi, con un fenomeno
naturalmente diffuso soprattutto nelle amministrazioni che
ballano sull'orlo del dissesto finanziario.
L'aiuto ai Comuni in crisi introdotto dal decreto «enti
locali» di novembre potrà far respirare questi enti (da
Napoli a Cosenza, da Reggio Calabria a Catania e Messina
sono più di 50 i Comuni che hanno chiesto aiuto) ma non dare
certezze per il futuro: i piani di rientro richiedono
drastiche revisioni di una spesa uscita da ogni controllo, e
ad essere colpite sono prima di tutto le indennità
aggiuntive dei dipendenti. E in prospettiva, in molti di
questi enti una revisione strutturale degli organici
rappresenterà un passaggio obbligato (articolo Il Sole 24 Ore
dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Acquisti pubblici, la mappa degli obblighi.
Dopo l'estensione del perimetro di Consip e delle centrali
locali una bussola per tutti gli enti della Pa.
Spending review. I contratti autonomi sono ammessi solo in
via residuale: se la fornitura è più «cara» scattano
l'annullamento e la responsabilità del funzionario.
La Pa ormai deve comprare solo all'ingrosso. Sono poche le
amministrazioni che dopo il massiccio intervento della
spending review, possono sottrarsi all'obbligo di rifornirsi
da una centrale di acquisto, sia essa la Consip, mega
struttura dell'Economia, o una delle centrali di acquisto a
livello locale, di fatto organizzate su base territoriale
dalle Regioni.
Gli ultimi ritocchi al programma di razionalizzazione degli
acquisti della Pa sono entrati in vigore con la legge di
stabilità, il 1° gennaio di quest'anno. La legge 228/2012 ha
chiarito alcuni aspetti di dettaglio della riforma varata
con il decreto Salva Italia (Dl 201/2011) e con gli analoghi
provvedimenti sulla spending review (Dl 52 e 95 del 2012).
Tra questi, ad esempio, c'è la possibilità per le
amministrazioni statali che hanno già in corso un contratto
con un fornitore a prezzi più bassi rispetto a quelli Consip,
di mantenere in vita l'accordo «a condizione che tra
l'amministrazione interessata e l'impresa –recita la norma– non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di
eventuali contratti stipulati in precedenza».
Ma la riscrittura delle procedure di acquisto per ministeri,
Comuni, Province, Regioni, scuole e, per la prima volta in
modo così massiccio, anche per gli enti del servizio
sanitario nazionale è avvenuta, appunto, con i decreti sulla
spending review. Ora il quadro è totalmente cambiato: sono
pochi i casi di amministrazioni che "sfuggono" alla regola
dell'acquisto centralizzato, sia per forniture di beni e
servizi di valore superiore alla soglia comunitaria (fino al
2014 pari a 130mila euro per le amministrazioni statali e a
200mila per le altre).
A riepilogare gli obblighi di acquisto per tutte le
tipologie di ente è la Consip con una tabella sintetica (da
oggi in versione integrale anche su tre siti:
www.dag.mef.gov.it, www.acquistinretepa.it e www.consip.it).
In questo modo, a colpo d'occhio le amministrazioni hanno
rapido accesso alla normativa applicabile in base alla
propria categoria di appartenenza (amministrazione centrale,
regionale, territoriale, Asl, scuole e organismi di diritto
pubblico), alla tipologia di acquisto (importi superiori o
inferiori alla soglia comunitaria) e al tipo di merce da
acquistare. In questo ultimo caso, infatti, la distinzione
riguarda le categorie merceologiche per le quali il ricorso
a Consip è obbligatorio (il primo riquadro rosso della
tabella) e quelle per le quali invece, spesso, l'offerta
Consip o delle centrali regionali di acquisto è solo
facoltativa.
Ma, in realtà, la tabella mostra proprio l'estensione del
metodo Consip a gran parte delle amministrazioni, senza
molte distinzioni né di importo della fornitura, né
merceologiche. Le convenzioni, ad esempio, ovvero l'acquisto
centralizzato del bene tramite fornitori pre-selezionati da
Consip con gara, sono infatti la prima strada obbligata di
approvvigionamento, non più solo per i ministeri, ma anche
per le scuole e per le società partecipate. Solo Regioni,
Province e Comuni possono scegliere un'altra strada che è
comunque l'acquisto centralizzato presso la centrale
regionale, se esiste.
Al contrario, gli acquisti autonomi sono dappertutto
l'ultima ratio e le amministrazioni devono comunque riuscire
da sole a spuntare –operazione non certo facile– prezzi
competitivi rispetto a quelli dei "giganti" degli acquisti.
Ora, poi, le scelte degli enti non sono prive di
conseguenze: i decreti sulla spending review infatti
hanno previsto che i contratti stipulati in violazione delle
procedure di acquisto sono nulli e costituiscono per il
funzionario che li firma «illecito disciplinare e causa
di responsabilità amministrativa» (articolo Il Sole 24 Ore
dell'11.03.2013). |
APPALTI:
Stazione unica appalti in Unione o convenzione.
La scelta dipende dalla gestione associata già in funzione.
Piccoli Comuni. L'organismo va attivato entro marzo negli
enti fino a 5mila abitanti.
Mentre gli enti locali più piccoli sono intenti a discutere
sulle funzioni fondamentali da gestire insieme, tramite
Unione o convenzione, un servizio interno da associare con
immediatezza è quello che si occupa degli appalti
finalizzati alla realizzazione dei lavori pubblici e
all'acquisizione di beni e di servizi.
I Comuni con popolazione fino a 5mila abitanti devono
accentrare queste procedure secondo lo schema della
«Stazione unica appaltante» o della «Centrale unica di
committenza» (articolo 33 del Dlgs 163/2006), con decorrenza
dalle gare bandite successivamente al 31.03.2013 (lo
prevedono l'articolo 23, comma 5, del Dl 201/2011 e
l'articolo 29 del Dl 216/2011).
È ormai acquisito che l'obbligo in esame riguarda solo le
procedure di gara (ufficiale o ufficiosa), mentre ogni ente
rimane responsabile delle fasi a monte
(programmazione/progettazione) e a valle (esecuzione). Ogni
ente (o ufficio associato) provvede inoltre autonomamente
agli affidamenti diretti nei casi consentiti
dall'ordinamento (si veda Corte dei conti, sezione Piemonte,
parere n. 271 del 06.07.2012).
Resta peraltro l'opportunità di associare anche l'ufficio
acquisti, che costituisce uno strumento essenziale ai fini
della razionalizzazione della spesa degli enti locali; non a
caso questa facoltà diviene obbligo entro la fine del 2013,
come previsto dall'articolo 14, comma 27, del Dl 78/2010,
che dispone l'obbligo per i piccoli Comuni di gestire in
forma associata «l'organizzazione generale
dell'amministrazione».
Meno chiaro e tassativo è il contenuto di questa norma con
riferimento ai lavori pubblici - anche se sarebbe
paradossale non considerarli all'interno delle funzioni
«fondamentali» dell'ente.
La scadenza in esame va necessariamente posta in raccordo
con le disposizioni in materia di associazionismo, potendo
distinguere anche alla luce di tale previsione due ipotesi:
a) se al 31.03.2013 risulta costituita una Unione di
Comuni, l'obbligo di costituzione della centrale di
committenza dovrà gravare verosimilmente sull'Unione stessa,
in una logica complessiva conforme allo spirito
dell'intervento normativo. È stato affermato che i piccoli
Comuni possono fare ricorso a una pluralità di forme
associative, fermo restando il divieto di scomposizione di
ogni singola funzione; vista la trasversalità delle gare ad
evidenza pubblica sembra possibile sostenere che questa
gestione debba essere ricondotta all'insieme delle funzioni
fondamentali quale funzione strumentale o connessa (si
pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle gare
riguardanti l'edilizia scolastica o la fornitura di
materiale scolastico);
b) se invece al 31.03.2013 l'Unione non è ancora
costituita, o se i Comuni hanno deciso di stipulare una
convenzione per la gestione associata delle funzioni
fondamentali, sembra gravare sugli stessi l'obbligo di
stipulare un «accordo consortile» - al quale la norma fa
riferimento e che va inteso tuttavia nel senso previsto
dall'articolo 30 del Dlgs 267/2000.
Il riferimento ai consorzi in questa delicata materia è in
palese contraddizione con quanto affermato in altra recente
opzione espressa dal legislatore statale (legge Finanziaria
2010), che ha immaginato la soppressione dei consorzi di
funzioni tra gli enti locali (articolo 2, comma 186, legge
191/2009). Il probabile "refuso" legislativo, quindi, non
può che essere interpretato in modo coerente con la
normativa generale in materia di gestione associata dei
servizi, che prevede due sole forme: l'Unione e la
convenzione.
---------------
Le opzioni
01|LA SCADENZA
Entro il 31 marzo i Comuni con popolazione compresa entro i
5mila abitanti devono associare nella Stazione unica
appaltante, per una popolazione superiore alla soglia, gli
uffici che si occupano degli appalti per la realizzazione di
lavori e per le prestazioni di servizi
02|LE UNIONI
La scadenza si intreccia con l'obbligo di avviare la
gestione associata negli stessi enti di almeno tre funzioni
fondamentali a partire da quest'anno, mentre dall'anno
prossimo sarà l'intero novero delle funzioni fondamentali a
dover essere associato. Negli enti in cui è già costituita
un'Unione, può essere questa l'organizzazione a cui
collegare la stazione unica appaltante
03|L'ALTERNATIVA
In linea con gli obblighi generali di gestione associata,
anche la convenzione può essere utilizzata come strumento
per avviare la stazione unica appaltante. Fuori linea appare
invece il richiamo della norma agli accordi consortili,
perché i consorzi sono stati soppressi nel 2009
---------------
Forme alternative. L'infortunio della norma.
Da escludere il ricorso a nuovi consorzi.
IL «REFUSO»/
Il richiamo agli «accordi consortili» nella legge è in netto
contrasto con la Finanziaria 2010 che li ha aboliti.
L'interpretazione che vede il riferimento ai consorzi come
"refuso" normativo nella disciplina sulla Stazione unica
appaltante ha certamente il pregio di evitare la
costituzione di ulteriori organi consortili e con essi le
relative spese. Ogni altra lettura della norma si porrebbe
in evidente violazione degli obiettivi sottesi alla spending
review.
In altri termini, come da più parti osservato, il termine
«accordo consortile» contenuto al comma 3-bis dell'articolo
33 del Dlgs 163/2006 -anche alla luce delle disposizioni
introdotte dall'articolo 2, comma 186, lettera e), della
legge 191/2009- deve ritenersi utilizzato dal legislatore
in senso atecnico.
Da questa previsione normativa, in sostanza, non
discenderebbe dunque l'obbligo di istituire un Consorzio,
quanto, piuttosto semplicemente l'obbligo, attraverso un
atto convenzionale, di istituire una centrale di
committenza.
La centrale di committenza può essere costituita di
conseguenza mediante accordo convenzionale ex articolo 30
del Testo unico degli enti locali, utilizzando il modello
della delega di funzioni da parte degli enti partecipanti
all'accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e
per conto degli enti deleganti.
Sulla base di questi presupposti, in merito alla dimensione
demografica ottimale della gestione in forma associata della
centrale di committenza, in assenza di puntuali previsioni
normative, devono ritenersi applicabili le disposizioni
regionali già adottate per la gestione associata
obbligatoria delle funzioni fondamentali (articolo Il Sole 24
Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Risorse umane. Le regole collegate al Patto.
Per il personale riduzioni di spesa di anno in anno.
I piccoli Comuni che sono entrati nel Patto di stabilità dal
1° gennaio non hanno problemi solo con gestioni associate e
saldi finanziari. La gestione del personale sta diventando
insostenibile, perché l'applicazione del nuovo parametro di
riduzione della spesa e del turn-over al 40% rischia di
mettere in ginocchio le amministrazioni.
Nel nuovo regime, prima di tutto, la riduzione della spesa
non deve più avvenire rispetto al 2008, ma all'anno
precedente. Si tratta di un limite "dinamico" che ha messo
in croce non poche amministrazioni, anche di grandi
dimensioni. La difficoltà principale sta nel gestire le
assenze dal servizio (maternità, congedi parentali,
aspettative, eccetera) in quanto, comportando queste una
riduzione di spesa in un anno, la ripresa dell'attività
lavorativa provoca nell'anno successivo il ripristino del
costo al valore precedente.
Sul fronte degli spazi assunzionali, fino al 2012, i piccoli
enti potevano assumere nel limite delle cessazioni dell'anno
precedente. Diversi interventi della Corte dei conti avevano
permesso inoltre di utilizzare le cessazioni non solo
dell'anno precedente, ma anche quelle avvenute dal 2006 in
poi e non ricoperte.
Da quest'anno si applica invece il turn-over "generale", che
permette un'assunzione solo nel tetto del 40% della spesa
delle cessazioni dell'anno precedente.
Per questa ragione è importante l'apertura parziale della
Ragioneria generale nella nota prot. 6279 in risposta all'Anci
sull'applicazione del turn-over nell'anno del debutto (si
veda Il Sole 24 Ore del 02.03.2.013).
La Ragioneria afferma che i limiti assunzionali appaiono
inderogabili, mettendo a tacere le voci che ammetterebbero
di continuare a cumulare le cessazioni degli anni precedenti
ai fini del calcolo. I piccoli enti potranno però concludere
i concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato già
avviati nel rispetto della procedura prevista dal comma 562
della Finanziaria 2007 (turn-over al 100%).
Vi sono però due condizioni: il calendario delle prove di
esame deve già essere stato pubblicato entro il 31.12.2012 e il procedimento di reclutamento dovrà concludersi
entro il corrente anno.
Si tratta certamente di un'interpretazione che va al di là
dei disposti legislativi, ma che potrebbe offrire qualche
chance in più in questo delicatissimo contesto.
Sulla questione delle assunzioni dei piccoli comuni, è
inoltre importante richiamare la recentissima deliberazione
n. 19/2013 della Corte dei conti della Sardegna. I giudici
rispondono a un ente che chiede se, al fine di determinare
la corretta base con la quale affacciarsi al 2013, sia
possibile effettuare un conteggio figurativo, esteso
all'intero anno 2012, per una spesa sostenuta per un solo
mese nell'anno 2012 per un'unità di personale. La Corte
afferma che tale analisi risulta priva di base normativa ed
è impedita dalla natura del vincolo in esame, che opera
mediante il criterio del confronto storico della spesa del
personale e presuppone, pertanto, la considerazione delle
sole spese effettivamente sostenute.
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I vincoli
01|RIDUZIONE DI SPESA
L'ammontare della spesa di personale deve diminuire rispetto
all'anno precedente. Il parametro sostituisce il criterio
collegato al 2008
02|TURN-OVER
Insieme al Patto di stabilità debutta anche l'obbligo del
rispetto del turn-over, che consente di assumere entro il
40% dei risparmi da cessazioni dell'anno precedente
03|LA DEROGA
Per la Ragioneria generale i piccoli enti possono concludere
le procedure di assunzione avviate, purché i bandi siano
stati pubblicati entro il 2012 e l'assunzione avvenga entro
il 2013 (articolo Il Sole 24
Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
TRIBUTI:
Fabbricati strumentali in «D».
Immobili agricoli, aliquota Imu decisa dalla nota catastale.
IMPOSTA MOLTIPLICATA/
Senza l'annotazione in visura scattano la richiesta piena al
7,6 per mille di competenza statale e l'eventuale aumento
locale.
Il problema dell'aliquota Imu applicabile dal 2013 ai
fabbricati strumentali all'attività agricola rappresenta
l'ennesima incognita per i Comuni, alle prese con la
predisposizione dei bilanci preventivi.
La nuova scansione dell'imposta dettata dall'articolo 1,
comma 380, lettera h), della legge 228/2012 prevede infatti
che il gettito derivante dagli immobili produttivi
classificati nel gruppo D sarà riservato allo Stato, ad
aliquota standard dello 0,76%, maggiorabile dai Comuni fino
all'1,06%.
Anche i fabbricati rurali strumentali accatastati in
categoria D10 costituiscono indubbiamente immobili
produttivi, in relazione ai quali l'articolo 13, comma 8 del
Dl 201/2011 (non abrogato) continua tuttavia a prevedere,
come nello scorso anno, l'applicazione di una aliquota dello
0,2%, riducibile allo 0,1% da parte del Comune.
Non essendo stato previsto che i possessori di questi
immobili possano versare l'imposta sulla base dell'aliquota
agevolata a favore dello Stato, il gettito dei fabbricati
rurali rimarrà di competenza dell'ente locale; tanto più che
i rurali strumentali non sono necessariamente accatastati in
D10, ma possono rientrare in categoria ordinaria (C6 o C2
destinato al ricovero di mezzi o attrezzature agricole, ma
anche D1 o D7 destinati allo svolgimento di attività di
trasformazione di prodotti agricoli), dal momento che -ai
sensi del Dm Finanze del 26.07.2012 e della Circolare
2/2012 dell'agenzia del Territorio- il riconoscimento dei
requisiti di ruralità è legato non più all'attribuzione
della categoria A6 e D10, ma all'inserimento di apposita
annotazione in visura, a prescindere dalla categoria
catastale. Siccome questi immobili devono essere
assoggettati a un trattamento fiscale unitario, è evidente
che non tutti i fabbricati produttivi di categoria D
potranno essere chiamati a versare l'imposta allo Stato, in
quanto, in presenza di un fabbricato iscritto in D1, D7 o
D8, ma strumentale all'attività agricola, con annotazione
riportata in visura, il gettito rimarrà di competenza del
Comune e l'aliquota non potrà che rimanere quella ridotta.
Al contrario, rimarrà di competenza esclusiva dello Stato il
gettito di un immobile di categoria D che, pur essendo
strumentale all'attività agricola, sia privo della relativa
annotazione catastale; che viene quindi ad assumere valore
costitutivo non soltanto per la determinazione dell'aliquota
applicabile (dallo 0,1% all'1,06%, con un aumento di oltre
dieci volte) ma anche per l'individuazione del soggetto a
cui l'imposta dovrà essere versata. Il tutto tenendo ferma
la possibilità per lo Stato di variare (articolo 1, comma
380, lettera i) della legge 228/2012) non solo l'aliquota
applicabile, ma anche la stessa individuazione dei
fabbricati di categoria D che dovranno versare l'imposta
allo Stato, per garantire l'esatta compensazione tra la
nuova riserva statale e la quota erariale 2012 ora devoluta
ai Comuni.
Poiché il differenziale di gettito che lo Stato si dovrà
assicurare dall'imposta del 2013 resta ancora da definire in
modo preciso, il legislatore ha infatti previsto che tali
dati potranno essere modificati a seguito della verifica del
gettito 2012 entro il 31.03.2013.
Solo una volta accertati questi dati sarà possibile
individuare il gettito 2013 dei singoli Comuni e la quota di
imposta che ogni Ente dovrà destinare a finanziare il nuovo
Fondo di solidarietà comunale, all'interno di un quadro
normativo che evidenzia una situazione assolutamente in
divenire, in cui, allo stato attuale, appare impossibile
stabilire in modo preciso quali saranno gli esatti confini
della quota di imposta che lo Stato si riserverà nel 2013 in
relazione ai fabbricati di categoria D produttivi,
coinvolgendo in questa incertezza anche le modalità
applicative dell'imposta ai fabbricati strumentali (articolo Il Sole 24
Ore dell'11.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
CONSIGLIERI
COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO: L'induzione
guadagna terreno. Le «minacce» del geometra del Comune
punite per concussione.
Cassazione. Disposizione applicabile
al vicesindaco che chiede tangenti per la campagna
elettorale.
Il geometra del Comune tresca con un avvocato per spingere
una società a versare una tangente per condurre a termine
una pratica urbanistica? Viene condannato per concussione.
Il vicesindaco chiede un contributo alla propria campagne
elettorale per spingere la medesima pratica? Se la cava con
il più bando reato di induzione. Sempre nel segno della
piena continuità normativa tra vecchia e nuova disciplina
del Codice penale. Comincia a stratificarsi una
giurisprudenza sull'applicazione della (tanto invocata e
assai criticata) legge 190 del 2012 sul contrasto alla
corruzione.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 15.03.2013 n.
12373 della VI Sez. penale, ha affrontato una vicenda a
suo modo "classica" con un'impresa messa alle strette
e "costretta" a pagare mazzette ai rappresentanti di
un Comune del Nord-Est per condurre in porto una pratica
urbanistica. Insomma, lavori se paghi.
Ma diverso è stato, nel giudizio della Cassazione, il grado
di responsabilità dei funzionari pubblici (il vicesindaco
era anche assessore). I giudici, infatti, prendono in esame
le diverse condotte alla luce del mutato quadro normativo
che, trattandosi di successione di leggi penali nel tempo,
impone l'applicazione della legge più favorevole
all'imputato.
Così il geometra, responsabile dell'ufficio edilizia e
urbanistica, viene sanzionato per avere commesso il più
grave reato, concussione, previsto dall'articolo 317 del
Codice penale. La pressione messa in atto dal funzionario
per sbloccare una pratica che di fatto era ferma da tempo
presso il Comune era stata tale da concretizzarsi in minacce
di «guerra totale» nel caso la tangente non fosse
stata pagata. Tanto è vero che il progetto urbanistico cui
teneva l'impresa si sbloccò solo quando fu chiara la volontà
di pagare. Non può certo parlarsi allora di una «blanda
induzione» come invece avrebbe preferito la difesa
dell'imputato, condannato peraltro in appello.
Diversa, invece, la valutazione dei giudici per quanto
riguarda la condotta del vicesindaco-assessore.
Quest'ultimo, infatti, si mosse con maggiore blandizie.
Esercitò, cioè, «una forma di pressione più blanda e,
comunque, tale da lasciare al destinatario della pretesa un
margine di scelta, avuto riguardo anche ai contesti e alla
causale della richiesta stessa, giustificata nella specie
con il finanziamento e il buon esito della campagna
elettorale, campagna che ove non si fosse conclusa con la
rielezione del richiedente X, avrebbe potuto determinare il
ritardo o la non approvazione della pratica».
Per questo al vicesindaco va applicata la fattispecie più
favorevole dell'articolo 319-quater e la sua posizione
rinviata alla Corte d'appello per una nuova valutazione.
---------------
LA SENTENZA
Va infatti in proposito tenuto conto, sotto il profilo del
diritto intertemporale, della ormai ribadita «continuità
normativa» (...). Conclusione da ribadirsi nonostante la
circostanza che la nuova fattispecie di induzione indebita
si configuri oggi come «reato a concorso necessario»,
tenuto conto che tale struttura, necessariamente
plurisoggettiva, era caratteristica anche della vecchia
fattispecie di concussione, a prescindere dalla circostanza
che uno dei partecipi necessari, il privato autore del
pagamento o della promessa, non fosse punibile sino alla
riforma, e sia divenuto oggi punibile, limitatamente
all'ipotesi di cui all'articolo 319-quater del Codice penale
- Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 15.03.2013
n. 12373
(articolo Il
Sole 24 Ore del 16.03.2013). |
COMPETENZE
PROGETTUALI:
Va affermata
l’illegittimità del titolo edilizio formatosi, per effetto
della DIA presentata, che ha permesso la nuova edificazione
di 5 villette a schiera, nella sola parte che ne ha affidato
la progettazione a professionista geometra.
Dalla esegesi sistematica del R.D. 11.02.1929 n. 274, del
R.D. 16.11.1939 n. 2229, della L. 02.03.1949 n. 144 e della
L. 05.11.1971 n. 1086, è desumibile che non tutte le opere
edilizie con impiego di cemento armato sono precluse alla
progettazione dei geometri, ma solo quelle in cui, in
relazione alla loro destinazione, il predetto impiego possa
comportare pericolo per l'incolumità delle persone, il che
tendenzialmente avviene per le costruzioni destinate a
civile abitazione e progettate su più piani, ……. con
struttura portante in cemento armato, comunque destinata
all'abitazione delle persone, intervento che deve ritenersi
riservato ai tecnici laureati (ingegneri ed architetti).
Nel merito, tra i motivi di ricorso proposti e per i quali
la ricorrente sostiene l’illegittimità del mancato esercizio
dei poteri repressivi della DIA, il Collegio ritiene, in
ordine procedimentale, di dover dare la priorità alla
censura (rubricata al n. 7 del ricorso) che, in base alle
disposizioni ivi invocate, evidenzia la redazione del
progetto da parte di un tecnico, quale il geometra, non
abilitato a redigerlo; la doglianza è fondata.
Al riguardo la giurisprudenza di questo Consiglio ha da
tempo affermato, con orientamento dal quale non sussistono
ragioni per discostarsi, che “Dalla esegesi sistematica
del R.D. 11.02.1929 n. 274, del R.D. 16.11.1939 n. 2229,
della L. 02.03.1949 n. 144 e della L. 05.11.1971 n. 1086, è
desumibile che non tutte le opere edilizie con impiego di
cemento armato sono precluse alla progettazione dei
geometri, ma solo quelle in cui, in relazione alla loro
destinazione, il predetto impiego possa comportare pericolo
per l'incolumità delle persone, il che tendenzialmente
avviene per le costruzioni destinate a civile abitazione e
progettate su più piani, ……. con struttura portante in
cemento armato, comunque destinata all'abitazione delle
persone, intervento che deve ritenersi riservato ai tecnici
laureati (ingegneri ed architetti)” (v., fra le altre,
Cons. di Stato, sez. V, n. 25/1999).
Pertanto, avendo riguardo al criterio basilare cui fare
riferimento e costituito (come riconosce lo stesso Comune)
dalla valutazione di struttura e modalità costruttive di un
edificio di più piani, non possono essere condivise le
argomentazioni dell’amministrazione secondo le quali
l’intervento edilizio (ndr: di nuova edificazione
costituito dalle cinque villette a schiera) sarebbe di
assai modesta dimensione e rientrerebbe quindi nella
competenza professionale del geometra.
...
Va in conclusione affermata l’illegittimità del titolo
edilizio formatosi per effetto della DIA n. 18/2005, sulla
particella n. 216, e che ha permesso la nuova edificazione
di 5 villette a schiera, nella sola parte che ne ha affidato
la progettazione a professionista geometra
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.03.2013 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E'
perentorio anche il termine di cui
al comma 2 dell’art. 48 del d.lgs. nr. 163 del 2006, oltre
che quello del comma 1, come peraltro confermato anche dalla
più recente introduzione nella norma del comma 1-bis il
quale, richiamando solo in parte il precedente comma 1,
conferma a contrario che il successivo richiamo contenuto
nel comma 2 deve intendersi integrale, con conseguente
identità di “regime” anche quanto al termine per la
produzione comprovante il possesso dei requisiti dichiarati.
Ritenuto che l’ordinanza appellata appare meritevole di
conferma, tenuto conto che il più recente indirizzo
giurisprudenziale –che questo Collegio condivide– è nel
senso della perentorietà anche del termine di cui al comma 2
dell’art. 48 del d.lgs. nr. 163 del 2006, oltre che di
quello del comma 1 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 08.03.2012,
nr. 1321), come peraltro confermato anche dalla più recente
introduzione nella norma del comma 1-bis il quale,
richiamando solo in parte il precedente comma 1, conferma a
contrario che il successivo richiamo contenuto nel comma 2
deve intendersi integrale, con conseguente identità di “regime”
anche quanto al termine per la produzione comprovante il
possesso dei requisiti dichiarati
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 13.03.2013 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Ai
fini dell’applicabilità della disciplina in materia di
“pareti finestrate” di cui all’art. 9 del d.m. 02.04.1968,
nr. 1444, ed a tutti i regolamenti edilizi locali che a
questo si richiamano, è indifferente che le aperture
preesistenti rientrino nella nozione civilistica di “luci” o
in quella di “vedute” (ciò in considerazione della ratio di
dette regole, che va ricondotta a esigenze
igienico-sanitarie e non di tutela di diritti di vicinato).
Ritenuto che detti approfondimenti, al contrario, si
impongono ai fini della definizione del giudizio nel merito,
tenuto conto anche della circostanza che la Sezione
–contrariamente all’assunto di fondo espresso nella sentenza
impugnata– reputa che, ai fini dell’applicabilità della
disciplina in materia di “pareti finestrate” di cui
all’art. 9 del d.m. 02.04.1968, nr. 1444, ed a tutti i
regolamenti edilizi locali che a questo si richiamano, è
indifferente che le aperture preesistenti rientrino nella
nozione civilistica di “luci” o in quella di “vedute”
(ciò in considerazione della ratio di dette regole,
che va ricondotta a esigenze igienico-sanitarie e non di
tutela di diritti di vicinato) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
ordinanza 13.03.2013 n. 844 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PATRIMONIO: Costituisce
principio ormai pacifico quello per cui anche per i cc.dd.
contratti attivi (mediante cui la p.a. si procura entrate,
come vendita e locazione) sussiste un obbligo di rispetto
dei principi di trasparenza e di imparzialità.
Per ciò che concerne in particolare l’alienazione degli
immobili di proprietà pubblica, tali principi appaiono
invero ancor più radicati alla luce della risalenza della
relativa disciplina, a mente della quale la vendita deve
avvenire secondo modalità tali da garantire gli interessi
pubblici con la massima trasparenza ed imparzialità nella
scelta del contraente, esclusivamente attraverso le seguenti
procedure: pubblici incanti o asta pubblica (sulla base del
valore di stima, previe pubblicazioni, affissioni ed
inserzioni da ordinarsi dall'Amministrazione demaniale in
conformità del regolamento di esecuzione).
In via del tutto eccezionale, qualora gli incanti siano
andati deserti e l'Amministrazione lo ritenga conveniente,
gli immobili possono essere venduti, purché non siano
variati se non a tutto vantaggio dell'Ente, il prezzo e le
condizioni di vendita, mediante le modalità di gara della
licitazione privata o della trattativa privata. La vendita è
poi deliberata a favore di colui che abbia fatto la maggiore
offerta in aumento rispetto alla base d'asta nel bando di
gara stabilita.
... per l'annullamento della deliberazione Consiglio
Comunale n. 44/2011 nella parte in cui delibera la vendita
mediante trattativa privata dell'area individuata al CT
Foglio n. 310, mappale n. 214 di proprietà del Comune di
Milano.
...
In linea di diritto costituisce principio ormai pacifico
quello per cui anche per i cc.dd. contratti attivi (mediante
cui la p.a. si procura entrate, come vendita e locazione)
sussiste un obbligo di rispetto dei principi di trasparenza
e di imparzialità.
Per ciò che concerne in particolare l’alienazione degli
immobili di proprietà pubblica, tali principi appaiono
invero ancor più radicati alla luce della risalenza della
relativa disciplina, a mente della quale la vendita deve
avvenire secondo modalità tali da garantire gli interessi
pubblici con la massima trasparenza ed imparzialità nella
scelta del contraente, esclusivamente attraverso le seguenti
procedure: pubblici incanti o asta pubblica (sulla base del
valore di stima, previe pubblicazioni, affissioni ed
inserzioni da ordinarsi dall'Amministrazione demaniale in
conformità del regolamento di esecuzione). In via del tutto
eccezionale, qualora gli incanti siano andati deserti e
l'Amministrazione lo ritenga conveniente, gli immobili
possono essere venduti, purché non siano variati se non a
tutto vantaggio dell'Ente, il prezzo e le condizioni di
vendita, mediante le modalità di gara della licitazione
privata o della trattativa privata. La vendita è poi
deliberata a favore di colui che abbia fatto la maggiore
offerta in aumento rispetto alla base d'asta nel bando di
gara stabilita.
Questo è quanto prevede la Legge n. 783 del 1908 ed il
successivo regolamento di esecuzione R.D. n. 454 del 1908.
L'articolo 12, comma 2, della legge 15.05.1997 numero 127 ha
invero disposto che "I comuni e le province possono
procedere alle alienazioni del proprio patrimonio
immobiliare anche in deroga alle norme di cui alla legge
24.12.1908, n. 783, e successive modificazioni, ed al
regolamento approvato con regio decreto 17.06.1909, n. 454,
e successive modificazioni, nonché alle norme sulla
contabilità generale degli enti locali, fermi restando i
princìpi generali dell'ordinamento giuridico-contabile. A
tal fine sono assicurati criteri di trasparenza e adeguate
forme di pubblicità per acquisire e valutare concorrenti
proposte di acquisto, da definire con regolamento dell'ente
interessato".
A tal fine è quindi fatto obbligo alle amministrazioni,
secondo la condivisa opinione giurisprudenziale (cfr. ad es.
Tar Catania n. 419/2009) di assicurare idonei criteri di
trasparenza ed adeguate forme di pubblicità per acquisire e
valutare concorrenti proposte di acquisto, la cui
determinazione non può essere rimessa al libero arbitrio, ma
ad una normazione contenuta nel dedicato regolamento
adottato dall'ente interessato.
Nel caso di specie, per un verso è mancata del tutto la
predisposizione di tali adeguate forme di pubblicità, avendo
la p.a. proceduto direttamente a disporre la trattativa
privata diretta, peraltro immotivatamente ed illogicamente
nel contesto di una delibera avente diverso e più ampio
oggetto. Per un altro verso, la delibera si è altresì posta
in diretta violazione della disciplina regolamentare che lo
stesso comune resistente si è conseguentemente dato nel
1998.
A quest’ultimo riguardo, mentre la delibera non ha speso una
parola di motivazione in ordine alla verifica della
sussistenza di tali eccezionali presupposti per ricorrere
alla trattativa privata diretta (e le difese giudiziali sul
punto non sono ammissibili a fronte del consolidato
principio che vieta l’integrazione in giudizio della
motivazione), nel caso de quo gli stessi neppure risultano
sussistere.
Sul punto, l’unico possibile specifico riferimento,
ricavabile dalla lettera c) dell’art. 8 del regolamento in
merito all’interclusione, risulta non indicato in delibera e
smentito dalle produzioni delle parti, atteso che l’interclusione
stessa eventualmente riguarda tre diversi immobili
confinanti, tutti possibili interessati. Né del pari è
invocabile l’ipotesi residuale del terzo comma: sia per
generalità della stesso, che conseguentemente deve essere
restrittivamente inteso quale deroga ed eccezione ad un
principio; sia per mancata indicazione di ragioni tali da
integrare le necessarie circostanze speciali. A quest’ultimo
proposito, la delibera richiama: l’appartenenza storica ad
un immobile già dismesso, in gran parte smentita dalla
situazione di fatto emersa con la pluralità di immobili e
proprietà confinanti, oltre che per la diversità soggettiva
rispetto all’invocato fondo immobiliare; i tempi ed i costi
di una gara che non sarebbero convenienti per
l’amministrazione, secondo una valutazione invero illogica e
collidente, prima facie, con la ratio sottesa
ai principi concernenti l’obbligo di una procedura
trasparente ed aperta, che è (anche, oltre alla tutela degli
interessi collettivi della trasparenza e della par condicio)
quella (egoistica per la p.a.) di ottenere il miglior prezzo
possibile.
Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso va accolto
con conseguente annullamento degli atti impugnati
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 13.03.2013 n. 677 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Pur
trattandosi di soggetto con struttura ed identità autonoma
rispetto a quella delle cooperative consorziate, il possesso
dei requisiti generali e morali ex art. 38 codice appalti
deve essere verificato non solo in capo al consorzio, ma
anche alle consorziate, dovendosi ritenere cumulabili in
capo al consorzio i soli requisiti di idoneità tecnica e
finanziaria ai sensi dell’art. 35 codice appalti.
La diversa opzione ermeneutica condurrebbe invero a
conseguenze paradossali in quanto le stringenti garanzie di
moralità professionale richieste inderogabilmente ai singoli
imprenditori potrebbero essere eluse da cooperative che,
attraverso la costituzione di un consorzio con autonoma
identità, riuscirebbero di fatto ad eseguire lavori e
servizi per le pubbliche amministrazioni alle cui gare non
sarebbero state singolarmente ammesse.
Nel senso qui seguito è la giurisprudenza secondo cui,
mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono
essere riferiti al consorzio (come previsto dall’art. 35
codice appalti), i requisiti generali di partecipazione alla
procedura di affidamento previsti dall’art. 38 codice citato
devono essere posseduti dalle singole imprese consorziate;
se, infatti, in caso di consorzi, tali requisiti andassero
accertati solo in capo al consorzio e non anche in capo ai
consorziati che eseguono le prestazioni, il consorzio
potrebbe agevolmente diventare uno schermo di copertura
consentendo la partecipazione di consorziati privi dei
necessari requisiti; per gli operatori che non hanno i
requisiti dell’art. 38 (si pensi al caso di soggetti con
condanne penali per gravi reati incidenti sulla moralità
professionale) basterebbe, anziché concorrere direttamente
andando incontro a sicura esclusione, aderire a un consorzio
da utilizzare come copertura.
Ritiene, infatti, il Collegio di condividere le
argomentazioni espresse sul punto dall’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato n. 8/2012.
La predetta decisione, che ha affrontato un caso analogo a
quello per cui è causa, in quanto riguardante un consorzio
fra società cooperative di produzione e lavoro, ha affermato
che ammettere la sostituzione successiva della consorziata,
in caso di esito negativo della verifica sul possesso dei
requisiti generali, significherebbe, di fatto, rendere vano
il controllo preventivo ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del
2006 in capo alla ditta originariamente indicata nella
domanda di partecipazione.
Ai sensi dell’art. 37, comma 7, del codice dei contratti
pubblici, in effetti, i consorzi di cui all'articolo 34,
comma 1, lettera b) (consorzi fra società cooperative di
produzione e lavoro, e consorzi tra imprese artigiane), sono
tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali
consorziati il consorzio concorra.
In applicazione di tale disposizione, la lex specialis di
gara aveva richiesto al sodalizio di indicare
preventivamente la ditta incaricata per l’esecuzione
dell’appalto, onde consentire la verifica dei requisiti di
ordine generale; il consorzio, di conseguenza, aveva fatto
presentare a Baviera Costruzioni, una delle due società
indicate per l’affidamento dei lavori, un’autodichiarazione
attestante la sua regolarità contributiva.
Tale autodichiarazione, peraltro, in sede di verifica dei
requisiti, è risultata falsa (elemento di fatto non
contestato dalla ricorrente), di modo che il consorzio si è
visto costretto a sostituire la ditta non in regola con
un’altra.
Sostiene la ricorrente che il consorzio non avrebbe
responsabilità in ordine alle eventuali dichiarazioni
mendaci o erronee rilasciate dai propri soci, essendo un
soggetto giuridico distinto ed autonomo rispetto alle
singole imprese che lo compongono.
A questo riguardo appare sufficiente richiamare quanto
espresso, in senso contrario, dalla decisione dell’Adunanza
Plenaria su citata:
“Pur trattandosi di soggetto con struttura ed identità
autonoma rispetto a quella delle cooperative consorziate, il
possesso dei requisiti generali e morali ex art. 38 codice
appalti deve essere verificato non solo in capo al
consorzio, ma anche alle consorziate, dovendosi ritenere
cumulabili in capo al consorzio i soli requisiti di idoneità
tecnica e finanziaria ai sensi dell’art. 35 codice appalti.
La diversa opzione ermeneutica condurrebbe invero a
conseguenze paradossali in quanto le stringenti garanzie di
moralità professionale richieste inderogabilmente ai singoli
imprenditori potrebbero essere eluse da cooperative che,
attraverso la costituzione di un consorzio con autonoma
identità, riuscirebbero di fatto ad eseguire lavori e
servizi per le pubbliche amministrazioni alle cui gare non
sarebbero state singolarmente ammesse.
Nel senso qui seguito è la giurisprudenza secondo cui,
mentre i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono
essere riferiti al consorzio (come previsto dall’art. 35
codice appalti), i requisiti generali di partecipazione alla
procedura di affidamento previsti dall’art. 38 codice citato
devono essere posseduti dalle singole imprese consorziate;
se, infatti, in caso di consorzi, tali requisiti andassero
accertati solo in capo al consorzio e non anche in capo ai
consorziati che eseguono le prestazioni, il consorzio
potrebbe agevolmente diventare uno schermo di copertura
consentendo la partecipazione di consorziati privi dei
necessari requisiti; per gli operatori che non hanno i
requisiti dell’art. 38 (si pensi al caso di soggetti con
condanne penali per gravi reati incidenti sulla moralità
professionale) basterebbe, anziché concorrere direttamente
andando incontro a sicura esclusione, aderire a un consorzio
da utilizzare come copertura [Cons. St., sez. V, 15.06.2010, n. 3759; Id., sez. IV, 27.06.2007, n. 3765; Id.,
sez. V, 05.09.2005, n. 4477; Id., sez. V, 30.01.2002, n. 507]”.
Ne consegue che il consorzio è stato legittimamente escluso
dalla procedura, in quanto, da un lato, una delle imprese
consorziate espressamente indicate per l’affidamento
dell’appalto non possedeva i prescritti requisiti generali
di partecipazione alla gara, dall’altro, tale impresa aveva
presentato una dichiarazione sostitutiva falsa.
Né la legittimità del provvedimento impugnato può essere
inficiata dalla circostanza della mancata comunicazione
dell’avvio del procedimento alle imprese consorziate o dal
mancato rispetto dei trenta giorni per la conclusione del
procedimento di esclusione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 13.03.2013 n. 674 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: L'ordine
di rimozione dei rifiuti intimato dal Sindaco ai sensi
dell’art. 14 del D.Lgs. 22/1997 può essere adottato
esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in
contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti
preposti al controllo, e, rispetto a tale contraddittorio,
la comunicazione dell'avvio del procedimento si configura
come un adempimento imprescindibile.
In conformità con la prevalente
giurisprudenza amministrativa, da cui il Collegio non ha
motivo di discostarsi, deve ritenersi che l'ordine di
rimozione dei rifiuti intimato dal Sindaco ai sensi
dell’art. 14 del D.Lgs. 22/1997 possa essere adottato
esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in
contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti
preposti al controllo, e che, rispetto a tale
contraddittorio, la comunicazione dell'avvio del
procedimento si configura come un adempimento
imprescindibile (Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 4061 del
25.08.2008; TAR Parma, sez. I, 12.07.2011 n. 255)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 13.03.2013 n. 670 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulle conseguenze derivanti dalla mancata
allegazione del documento di identità alla dichiarazione
sostitutiva sui requisiti generali prescritti dall'art. 38
del d.lgs. n. 163/2006.
L'allegazione della copia fotostatica del documento del
sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva, prescritta
dal c. 3 dell'art. 38 d.P.R. n. 445 del 2000, è adempimento
inderogabile, atto a conferire, in considerazione della sua
introduzione come forma di semplificazione, legale
autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla
dichiarazione e giuridica esistenza ed efficacia
all'autocertificazione.
Si tratta di un elemento integrante della fattispecie
normativa, teso a stabilire, data l'unità della fotocopia
sostitutiva del documento di identità e della dichiarazione
sostitutiva, un collegamento tra la dichiarazione ed il
documento ed a comprovare, oltre alle generalità del
dichiarante, l'imputabilità soggettiva della dichiarazione
al soggetto che la presta.
L'assenza della copia fotostatica del documento di identità
alla dichiarazione sostitutiva sui requisiti generali
prescritti dall'art. 38 del codice dei contratti pubblici
(d.lgs. n. 163/2006) non determina, pertanto, una mera
incompletezza del documento, idonea a far scattare il potere
di soccorso della stazione appaltante tramite la richiesta
di chiarimenti sul suo contenuto ex art. 46 d.lgs. n.
163/2006, ma la sua giuridica inesistenza con la conseguenza
che, in ossequio al principio della par condicio e
della parità di trattamento tra le imprese partecipanti,
l'impresa deve essere esclusa per mancanza della prescritta
dichiarazione (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 13.03.2013 n. 223 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Le impugnazioni degli
atti con i quali si approva un PAI, rientrano nella
giurisdizione del Tribunale superiore delle acque, ovvero
del giudice speciale che, ai sensi dell'art. 143, comma I,
lettera a), del R.D. 11.12.1933 n. 1775, conosce dei
"ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per
violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi
dall'amministrazione in materia di acque pubbliche”.
Tali provvedimenti comprendono infatti tutti quelli che
comunque incidano in modo significativo sul regime di tali
acque, anche se emanati nell’esercizio di poteri finalizzati
alla tutela di differenti interessi, e quindi a maggior
ragione quelli direttamente funzionali alla gestione delle
acque pubbliche stesse, come quello per cui è causa.
Così come ritenuto da recente e costante
giurisprudenza, infatti, le impugnazioni degli atti con i
quali si approva un PAI, rientrano nella giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque, ovvero del giudice speciale
che, ai sensi dell'art. 143, comma I, lettera a), del R.D.
11.12.1933 n. 1775, conosce dei "ricorsi per
incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di
legge avverso i provvedimenti definitivi presi
dall'amministrazione in materia di acque pubbliche”.
Tali
provvedimenti comprendono infatti tutti quelli che comunque
incidano in modo significativo sul regime di tali acque,
anche se emanati nell’esercizio di poteri finalizzati alla
tutela di differenti interessi, e quindi a maggior ragione
quelli direttamente funzionali alla gestione delle acque
pubbliche stesse, come quello per cui è causa: così da
ultimo TAR Sicilia Palermo, sez. I, 02.02.2012 n. 266 e
TAR Abruzzo L’Aquila, sez. I, 23.01.2009 n. 44, ove ampia
citazione di ulteriori precedenti, entrambe non impugnate e
passate in giudicato.
Deve solo precisarsi che non rileva in
contrario l’apparentemente difforme decisione di questa
Sezione 10.04.2012 n. 284, la quale ha pronunciato nel
merito in un caso consimile, trattandosi di decisione la
quale, in ragione del chiaro ed evidente esito che si
prospettava per le domande di merito, ha deciso direttamente
sulle stesse, senza pertanto formare giudicato implicito
sulla questione di giurisdizione, da nessuno prospettata nel
relativo giudizio (sul principio per cui una decisione per saltum
sul merito non forma giudicato, nemmeno implicito, sulla
giurisdizione, si veda per tutte Cass. S.U. 09.10.2008 n.
24883)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 12.03.2013 n. 251 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla sussistenza degli oneri di dichiarazione di
precedenti sentenze penali ex art. 38, c. 1, lett. c), del
d.lgs. 163/2006, anche in capo alla società incorporante o
risultante dalla fusione.
Nel caso di incorporazione o fusione societaria, sussiste in
capo alla società incorporante o risultante dalla fusione
l'onere di presentare la dichiarazione relativa al requisito
di cui all'art. 38, c. 1, lett. c), d.lgs. n. 163/2006,
anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori
tecnici che hanno operato presso la società incorporata o le
società fusesi nell'ultimo triennio, ovvero che sono cessati
dalla relativa carica in detto periodo (dopo il d.l. n. 70
del 2011, nell'ultimo anno).
Resta ferma la possibilità di dimostrare la c.d.
dissociazione. L'art. 38, c. 2, d.lgs. n. 163/2006, sia
prima che dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 70/2011,
pertanto, impone la presentazione di una dichiarazione
sostitutiva completa, a pena di esclusione, anche per gli
amministratori delle società che partecipano ad un
procedimento di incorporazione o di fusione (CdS, Adunanza
Plenaria del 07.06.2012, n. 21).
Tenuto conto della precedente incertezza giurisprudenziale,
l'Adunanza Plenaria giunge alla conclusione che i
concorrenti che omettono la dichiarazione possono essere
esclusi dalle gare -in relazione alle dichiarazioni rese ai
sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c)- fino alla data di
pubblicazione della decisione medesima (07.06.2012) solo se
il bando espliciti tale onere di dichiarazione e la
conseguente causa di esclusione; in caso contrario,
l'esclusione può essere disposta solo ove vi sia la prova
che gli amministratori per i quali è stata omessa la
dichiarazione hanno pregiudizi penali.
Nelle ipotesi di fusione o di incorporazione di società,
ancorché venute in essere antecedentemente all'avvio della
gara, si realizza, infatti, anche se non la fattispecie di
successione a titolo universale, "l'integrazione
reciproca delle società partecipanti all'operazione, ossia
una vicenda meramente evolutiva del medesimo soggetto, che
conserva la propria identità pur in un nuovo assetto
organizzativo." Ritenuta la continuità nel nuovo
soggetto, perdura, per le società che proseguono sotto la
nuova identità della società incorporante l'onere di rendere
la dichiarazione relativa ai propri amministratori cessati.
In altri termini, la società incorporante o risultante dalla
fusione, non è un soggetto "altro" e "diverso",
ma semmai un soggetto composito in cui proseguono la loro
esistenza le società partecipanti all'operazione di
incorporazione e, per l'effetto, non si possono considerare
"altrui" gli amministratori che sono amministratori di un
soggetto che è parte del tutto e che conserva la sua
identità originaria sotto una diversa forma giuridica.
Diversamente opinando, le operazioni di fusione tra società
finirebbero per prestarsi alla elusione dello scopo
perseguito con la preclusione di cui all'art. 38 cit., da
individuarsi sicuramente in quello di impedire anche solo la
possibilità di inquinamento dei pubblici appalti, derivante
dalla partecipazione alle relative procedure di soggetti di
cui sia accertata la non affidabilità sul piano morale e
professionale" (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 08.03.2013 n. 1411 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gli operatori che concorrono alle procedure di
gara possono modificare la veste giuridica assunta
inizialmente, quantomeno fino alla presentazione delle
offerte.
Dagli articoli 37 (c. 9 e 12) e 51 del d.lgs. n. 163 del
2006, sia dalla normativa comunitaria di riferimento, emerge
l'indifferenza dell'ordinamento, alla veste giuridica a
mezzo della quale gli operatori concorrono alle procedure di
gara ed alle eventuali modifiche della veste assunta
inizialmente, quanto meno fino alla presentazione delle
offerte. In particolare l'art. 37, c. 9 e 12, del codice
degli appalti consente espressamente che l'operatore
prequalificatosi modifichi il proprio profilo soggettivo in
vista della gara, sempre che detta modifica intervenga prima
della presentazione delle offerte e sempre che la stessa non
risulti preordinata a sopperire ad una carenza di requisiti
intervenuta medio tempore o esistente ab origine.
Pertanto, nel caso di specie, non è condivisibile la tesi
prospettata dall'appellante intesa a restringere il
mutamento della forma giuridica di partecipazione ai soli
rti e anzi la lex specialis, ove interpretata nel
senso auspicato dall'appellante principale, risulterebbe
illegittima ponendo inutili limiti alle capacità
concorrenziali e imprenditoriali in specie limitando la
facoltà delle imprese di scegliere e utilizzare gli
strumenti aggregativi più idonei (Consiglio di Stato, Sez.
III,
sentenza 05.03.2013 n. 1328 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
trasformazione di balconi, terrazze o altri sporti di un
edificio in verande mediante opere cementizie o
incorporazioni di strutture metalliche in parti murarie a
sostegno di pareti di materiale vitreo o quant’altro
contribuisca a intercludere stabilmente lo spazio per
renderlo abitabile o più convenientemente utilizzabile, è
attività edilizia che non rientra nel regime eccezionale
dell’autorizzazione comunale, bensì in quello ordinario
della concessione edilizia, non trattandosi di manutenzione
straordinaria, né di opera di recupero abitativo, né di
pertinenza dell’edificio, né di impianto tecnologico al suo
servizio.
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che
la trasformazione di balconi, terrazze o altri sporti di un
edificio in verande mediante opere cementizie o
incorporazioni di strutture metalliche in parti murarie a
sostegno di pareti di materiale vitreo o quant’altro
contribuisca a intercludere stabilmente lo spazio per
renderlo abitabile o più convenientemente utilizzabile, è
attività edilizia che non rientra nel regime eccezionale
dell’autorizzazione comunale, bensì in quello ordinario
della concessione edilizia, non trattandosi di manutenzione
straordinaria, né di opera di recupero abitativo, né di
pertinenza dell’edificio, né di impianto tecnologico al suo
servizio (ex multis Cassazione, Sez. III 20.04.1983
n. 3398)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 519 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Una
volta proposta istanza di accertamento di conformità o
domanda di condono edilizio, successivamente
all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione, quest’ultima
perde definitivamente efficacia, in quanto il Comune è
tenuto a rideterminarsi sull’esistenza dei presupposti per
la demolizione anche nel caso in cui l’istanza venga
respinta.
Per giurisprudenza consolidata, una volta
proposta istanza di accertamento di conformità o domanda di
condono edilizio, successivamente all’impugnazione
dell’ordinanza di demolizione, quest’ultima perde
definitivamente efficacia, in quanto il Comune è tenuto a
rideterminarsi sull’esistenza dei presupposti per la
demolizione anche nel caso in cui l’istanza venga respinta
(ex multis Tar Lazio Latina 19.09.2006 n. 628; Tar
Campania Salerno n. 620 del 2012)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 516 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Le
somme pagate a titolo di contributi per oneri di
urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia
sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata.
L’obbligo di restituzione sorge nella data in cui sia
intervenuta la decadenza della concessione per la mancata
realizzazione delle opere di cui al progetto approvato.
Spettano gli interessi legali. Al contrario, trattandosi di
un debito di valuta, indebito oggettivo, e non di valore, la
rivalutazione non spetta.
Come affermato dalla giurisprudenza, le somme
pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione
relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se
la concessione non sia stata utilizzata.
L’obbligo di restituzione sorge nella data in cui sia
intervenuta la decadenza della concessione per la mancata
realizzazione delle opere di cui al progetto approvato (cfr.
Cons. Stato sezione V 22.02.1998 n. 1145, Cons. St., sez. V, 22.02.1988, n. 105, ma vedi anche Tar Lazio II-bis
2294/2008).
Il Comune non si è costituito e, pertanto, le allegazioni di
parte ricorrente non trovano smentita in merito alla mancata
realizzazione dell’opera.
Quanto alla somma versata, di cui si chiede la restituzione
con interessi e rivalutazioni, la ricorrente allega copie
dei bonifici eseguiti a mezzo istituto bancario dai quali si
evince l’esatto importo di cui chiede la restituzione.
Ciò premesso il Collegio, in accoglimento del ricorso,
dichiara il diritto della ricorrente alla restituzione dei
contributi concessori versati a far data dal giorno della
intervenuta archiviazione del titolo edilizio per mancata
realizzazione dell’opera in progetto.
Condanna, pertanto, l’amministrazione comunale al pagamento
della somma di euro 4.994,00, oltre interessi legali, da
calcolarsi dalla data della domanda di restituzione
proposta, ovvero dal 20.01.2012, come risulta dal
timbro del protocollo sulla istanza presentata al Comune e
fino all’effettivo soddisfo (cfr. Tar Lazio, II-bis,
2294/2008).
Trattandosi di un debito di valuta, indebito oggettivo, e
non di valore, la richiesta rivalutazione non spetta (cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV, 20.05.2011, n. 3027)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 513 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La determinazione di imporre un vincolo
archeologico indiretto su un'area, ai sensi dell'art. 21 l.
n. 1089/1939 (trasfuso nell'art. 49 d.lgs. n. 490/1999)
appartiene alle valutazioni di merito dell'azione
amministrativa e non è sindacabile in sede di giudizio di
legittimità, sotto il profilo della scelta di salvaguardare
la zona vincolata; peraltro, l'imposizione del vincolo
-quanto all'identificazione del suo contenuto e alla
delimitazione della sua estensione- appartiene alla sfera di
discrezionalità tecnica dell'autorità procedente ed è di per
sé soggetto a sindacato "debole" dinanzi al giudice
amministrativo, vale a dire è censurabile allorché la sua
motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste e
macroscopiche incongruenze o illogicità, in ragione
dell'elasticità e dell'indeterminatezza dei parametri
tecnici delle discipline storiche ed archeologiche.
Peraltro, con riferimento all’imposizione
del vincolo indiretto la giurisprudenza è solita ribadire
che "La determinazione di imporre un vincolo archeologico
indiretto su un'area, ai sensi dell'art. 21 l. n. 1089/1939
(trasfuso nell'art. 49 d.lgs. n. 490/1999) appartiene alle
valutazioni di merito dell'azione amministrativa e non è
sindacabile in sede di giudizio di legittimità, sotto il
profilo della scelta di salvaguardare la zona vincolata;
peraltro, l'imposizione del vincolo -quanto
all'identificazione del suo contenuto e alla delimitazione
della sua estensione- appartiene alla sfera di
discrezionalità tecnica dell'autorità procedente ed è di per
sé soggetto a sindacato "debole" dinanzi al giudice
amministrativo, vale a dire è censurabile allorché la sua
motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste e
macroscopiche incongruenze o illogicità, in ragione
dell'elasticità e dell'indeterminatezza dei parametri
tecnici delle discipline storiche ed archeologiche: TAR
Puglia Lecce, sez. I, 28.04.2010, n. 1038” (così TAR
Campania Napoli Sez. VIII, 29-08-2011, n. 4239)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 218 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'attendibilità
dell’offerta presentata nell’ambito di una gara d’appalto e
sospettata di anomalia deve essere valutata nella sua
globalità, poiché l'art. 88, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006
(Codice degli appalti) -quando statuisce che, all'esito del
procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, la
stazione appaltante dichiara l'eventuale esclusione
dell’offerta che risulta, "nel suo complesso", inaffidabile-
va inteso nel senso che la stazione appaltante deve
accertare l'affidabilità globale dell’offerta mediante un
giudizio sintetico sulla serietà o meno della medesima nel
suo insieme considerata.
In altre parole, “Il giudizio di congruità dell’offerta per
l'aggiudicazione di un gara d'appalto si basa su una
valutazione complessiva, riguardante tutte le diverse voci,
nella quale il sospetto su alcune parti può essere
trascurato sulla base del giudizio globale. Il giudizio
positivo non deve essere giustificato sulla base della
minuta disamina espressa di tutte le componenti
dell’offerta, di conseguenza, chi contesta la legittimità
dell'aggiudicazione ha l'onere di individuare specifici
punti che dimostrano l’anomalia dell’offerta dimostrando
anche, nel corso del contraddittorio processuale, il loro
rilievo nella sua logica complessiva".
---------------
Se si dovesse ritenere che l’esame, nel merito, della
congruità dell’offerta dovesse avvenire solo alla luce di
quanto esposto nell’offerta, considerando come
un’inammissibile modifica dell’offerta ogni successivo
chiarimento od integrazione, la valutazione dell’anomalia
sarebbe assolutamente priva di significato.
Pur dovendosi, dunque, ritenere immodificabile l’offerta,
deve altresì ammettersi la possibilità di integrare le varie
voci di spesa, chiarendo il metodo di calcolo e l’esatta
imputazione. Le giustificazioni debbono, dunque, ritenersi
modificabili.
Come già affermato in sede cautelare, <<per costante ed
uniforme giurisprudenza, l'attendibilità dell’offerta
presentata nell’ambito di una gara d’appalto e sospettata di
anomalia deve essere valutata nella sua globalità, poiché
l'art. 88, comma 7, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli
appalti) -quando statuisce che, all'esito del procedimento
di verifica dell’anomalia dell’offerta, la stazione
appaltante dichiara l'eventuale esclusione dell’offerta che
risulta, "nel suo complesso", inaffidabile- va inteso nel
senso che la stazione appaltante deve accertare
l'affidabilità globale dell’offerta mediante un giudizio
sintetico sulla serietà o meno della medesima nel suo
insieme considerata (in tal senso, da ultimo, TAR Lombardia
Milano Sez. I, 13.09.2012, n. 2318). In altre parole, “Il
giudizio di congruità dell’offerta per l'aggiudicazione di
un gara d'appalto si basa su una valutazione complessiva,
riguardante tutte le diverse voci, nella quale il sospetto
su alcune parti può essere trascurato sulla base del
giudizio globale. Il giudizio positivo non deve essere
giustificato sulla base della minuta disamina espressa di
tutte le componenti dell’offerta, di conseguenza, chi
contesta la legittimità dell'aggiudicazione ha l'onere di
individuare specifici punti che dimostrano l’anomalia
dell’offerta dimostrando anche, nel corso del
contraddittorio processuale, il loro rilievo nella sua
logica complessiva” (Cons. Stato Sez. V, 27.08.2012, n.
4600)>>.
Tale esame, complessivo e globale, risulta essere stato
positivamente superato, in sede di valutazione
dell’anomalia, dall’offerta della Servizi comunali s.p.a.,
la cui congruità risulta essere sostenuta da elementi che,
unitariamente considerati, sono sufficienti ad escludere un
giudizio affetto da profili di illogicità ed incongruità che
consentirebbero il sindacato “debole” del giudice
amministrativo.
Appare, comunque, condivisibile la tesi dell’Amministrazione
secondo cui, se si dovesse ritenere che l’esame, nel merito,
della congruità dell’offerta dovesse avvenire solo alla luce
di quanto esposto nell’offerta, considerando come
un’inammissibile modifica dell’offerta ogni successivo
chiarimento od integrazione, come vorrebbe la ricorrente, la
valutazione dell’anomalia sarebbe assolutamente priva di
significato. Pur dovendosi, dunque, ritenere immodificabile
l’offerta, deve altresì ammettersi la possibilità di
integrare le varie voci di spesa, chiarendo il metodo di
calcolo e l’esatta imputazione. Le giustificazioni debbono,
dunque, ritenersi modificabili (Cons. Stato, V, 20.05.2012,
n. 875) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 216 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
La proroga è un istituto
adoperato dalle amministrazioni per il tempo strettamente
necessario a completare procedure di gara già indette (o ad
avviarle ed ultimarle ex novo), ed il semestre può ritenersi
la soglia massima ragionevolmente accettabile, potendo
garantire contro eventuali imprevisti nell’espletamento
della selezione.
Anche il dato normativo di riferimento (art. 23, comma 2,
della L. 62/2005) conforta tale linea interpretativa.
In linea generale la proroga è un istituto adoperato dalle
amministrazioni per il tempo strettamente necessario a
completare procedure di gara già indette (o ad avviarle ed
ultimarle ex novo), ed il semestre può ritenersi la
soglia massima ragionevolmente accettabile, potendo
garantire contro eventuali imprevisti nell’espletamento
della selezione (cfr. sentenze Sezione 11/03/2011 n. 419;
24/06/2011 n. 939 confermata in appello da Consiglio di
Stato, sez. V – 21/06/2012 n. 3668).
Anche il dato normativo di riferimento (art. 23, comma 2,
della L. 62/2005) conforta tale linea interpretativa (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 214 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Secondo
il consolidato orientamento
giurisprudenziale in materia di jus poenitendi
dell’amministrazione, dopo l’avvio della procedura di scelta
del contraente la stessa mantiene il potere di revoca per
documentate e motivate esigenze di interesse pubblico, anche
consistenti in un diverso apprezzamento dei medesimi
presupposti già considerati, in ragione delle quali sia
evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della
prosecuzione della gara stessa: è sufficiente al riguardo
che non risulti illogica né illegittima per manifesta
abnormità o travisamento dei presupposti di fatto la
decisione di perseguire una strada diversa.
---------------
Il divieto rigoroso di rinegoziazione delle offerte
economiche è pacifico in giurisprudenza e non può essere
messo in discussione con considerazioni che si diffondano
sulla misura ridotta dello sconto praticato posteriormente
allo svolgimento della selezione.
In quest’ottica può essere
richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in
materia di jus poenitendi dell’amministrazione che
–dopo l’avvio della procedura di scelta del contraente–
mantiene il potere di revoca per documentate e motivate
esigenze di interesse pubblico, anche consistenti in un
diverso apprezzamento dei medesimi presupposti già
considerati, in ragione delle quali sia evidente
l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione
della gara stessa: è sufficiente al riguardo che non risulti
illogica né illegittima per manifesta abnormità o
travisamento dei presupposti di fatto la decisione di
perseguire una strada diversa (cfr. Consiglio di Stato, sez.
VI – 05/09/2011 n. 5002; TAR Puglia Lecce, sez. III –
25/01/2012 n. 139).
Ebbene, nel caso all’esame ragioni di opportunità (ossia il
reperimento di offerte più economiche) hanno indotto
l’Azienda Ospedaliera a non privilegiare l’opzione
dell’affidamento alla seconda classificata (divenuta poi
prima ed unica nella gara): a questo punto deve essere
sciolto l’interrogativo circa la sostenibilità, la coerenza
e la ragionevolezza di tale condotta.
---------------
Anzitutto il divieto rigoroso di rinegoziazione delle
offerte economiche –richiamato nell’atto impugnato– è
pacifico in giurisprudenza (cfr. TAR Lazio Roma, sez.
III-quater – 24/07/2012 n. 6868), e non può essere messo in
discussione con considerazioni che si diffondano sulla
misura ridotta dello sconto praticato posteriormente allo
svolgimento della selezione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 214 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
Sull'istanza di accesso di un consigliere
comunale ai documenti amministrativi costituiti da fatture e
distinte dettagliate delle entrate e delle uscite
riguardanti il rendiconto di un progetto posto in essere da
una società partecipata dall'ente locale.
In base all'art. 43 del T.U.E.L. il diritto di accesso ai
documenti amministrativi e alle informazioni necessarie per
valutare la correttezza e l'efficacia dell'operato
dell'amministrazione comunale è riconosciuto a favore dei
consiglieri comunali in funzione del proprio mandato
elettivo.
Si tratta di un diritto che trova il suo presupposto non
nella generale previsione di cui agli art. 22 e ss della L.
n. 241/1990, relativa all'accesso del privato ai documenti
amministrativi, ma nella specifico potere di verifica e di
sindacato che spetta ai componenti del Consiglio Comunale in
forza della disciplina generale sugli enti locali e delle
disposizioni dei singoli statuti.
Nel caso di specie, pertanto è legittimo il diritto di
accesso ai documenti amministrativi costituiti da fatture e
distinte dettagliate delle entrate e delle uscite
riguardanti il rendiconto di un progetto posto in essere da
una società partecipata dall'Ente locale al fine di
tutelare, in via generale, i diritti derivanti dalla propria
posizione di consigliere comunale e più in particolare di
consentire la piena conoscenza di elementi e di informazioni
utili all'espletamento del mandato.
Quanto al contenuto della richiesta essa va però limitata al
rendiconto delle entrate e delle uscite connesse ai "Progetti"
sopra indicati e cioè in sostanza al libro giornale
dell'impresa per la parte attinente le operazioni compiute
in tale settore di attività e quindi va respinta per ciò che
riguarda tutte le fatture emesse, stante l'estrema
genericità di tale formulazione (TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. II,
sentenza 04.03.2013 n. 169 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Non
esiste alcuna automaticità nel rilascio del certificato di
agibilità a seguito di concessione in sanatoria, dovendo,
pur sempre, il Comune verificare che al momento del rilascio
del certificato di agibilità siano osservate le disposizioni
normative sulle condizioni igienico–sanitarie.
Dunque, il rilascio di una sanatoria edilizia non comporta
necessariamente l’obbligo per l’autorità amministrativa di
emettere un provvedimento ugualmente positivo in ordine
all’agibilità con riguardo all’attività che vi deve essere
svolta, in quanto il rilascio di tale ulteriore licenza
implica, in capo all’autorità emanante, il preventivo
accertamento e la conseguente valutazione di elementi non
rilevanti in sede di rilascio della sanatoria che presuppone
la presenza di requisiti diversi e autonomi.
---------------
L’attività di allevamento di animali (qual è quella che oggi
viene svolta all’interno del manufatto, essendo irrilevante
il numero di animali che attualmente vi sono custoditi)
rientra nell’elenco delle industrie insalubri di prima
classe di cui al D.M. 05.09.1994 e all’art. 216 del R.D.
1265/1934, che devono essere isolate nelle campagne e tenute
lontane dalle abitazioni..
In ogni caso, anche se nella concessione in
sanatoria si fa riferimento ad una destinazione a “pollaio”
non significa, come invece sostiene il ricorrente, che sia
stata implicitamente concessa l’agibilità per uso ricovero
animali del manufatto condonato. Licenza questa che, invece,
non è mai stata rilasciata.
Peraltro, non esiste alcuna
automaticità nel rilascio del certificato di agibilità a
seguito di concessione in sanatoria, dovendo, pur sempre, il
Comune verificare che al momento del rilascio del
certificato di agibilità siano osservate le disposizioni
normative sulle condizioni igienico–sanitarie (cfr. Corte
Cost. n. 256/1996; Cons. Stato n. 2140/2004).
Dunque, il rilascio di una sanatoria edilizia non comporta
necessariamente l’obbligo per l’autorità amministrativa di
emettere un provvedimento ugualmente positivo in ordine
all’agibilità con riguardo all’attività che vi deve essere
svolta, in quanto il rilascio di tale ulteriore licenza
implica, in capo all’autorità emanante, il preventivo
accertamento e la conseguente valutazione di elementi non
rilevanti in sede di rilascio della sanatoria che presuppone
la presenza di requisiti diversi e autonomi.
Nel caso di specie, l’amministrazione ha da ultimo rilevato,
nel corso di un apposito sopralluogo, che il manufatto
condonato era stato in concreto destinato ad un’attività,
quella di allevamento di maiali, che poteva influire sulle
condizioni di salubrità dell’ambiente circostante, essendo
situato in prossimità dell’abitazione dell’odierno
controinteressato.
Pertanto, la destinazione dell’annesso rustico a porcile,
costituendo una circostanza nuova e rilevante sul piano
igienico–sanitario, comporta la necessità del rilascio di
una specifica licenza di agibilità che, d’altra parte, non
sembra possa essere attualmente conseguita, stante
l’esistenza dell’abitazione di P.C. a distanza
inferiore a quella di trenta metri prevista dalle n.t.a. e
dal regolamento edilizio.
Va infatti evidenziato che l’attività di allevamento di
animali (qual è quella che oggi viene svolta all’interno del
manufatto, essendo irrilevante il numero di animali che
attualmente vi sono custoditi) rientra nell’elenco delle
industrie insalubri di prima classe di cui al D.M.
05.09.1994 e all’art. 216 del R.D. 1265/1934, che devono
essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle
abitazioni.
Ne consegue che sussistevano tutti i presupposti per
l’emissione del divieto di destinare a porcilaia l’annesso
rustico in questione e che la circostanza della preesistenza
o meno dell’annesso rustico all’abitazione di Pio Carretta
non è decisiva, in quanto ciò che conta è che l’attività ivi
esercitata non è mai stata regolarizzata e dunque oggi è
destinata a scontare la vicinanza della detta abitazione
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 28.02.2013 n. 289 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Accertata
l’esistenza del vincolo ambientale gravante sull’intero
territorio comunale, la valutazione
della compatibilità (ambientale) deve essere effettuata
anche con riguardo al piano di lottizzazione e non solo
successivamente in occasione della sua realizzazione: ciò
tenuto conto della natura di piano attuativo di detto
strumento pianificatorio, che, contemplando anche la
pianificazione di dettaglio, è in grado di incidere
direttamente sull’ambiente e sui valori paesaggistici.
Peraltro, la stessa normativa statale (D.lgs. n. 42/2004,
art. 146) impone il conseguimento del nullaosta in materia
paesaggistica anche per i piani attuativi e tale
disposizione va intesa quale principio generale, essendo
rivolto alla cura e protezione di interessi aventi rilevanza
costituzionale quali sono il paesaggio e l’ambiente.
A tale ultimo riguardo, accertata
l’esistenza del vincolo gravante sull’intero territorio
comunale, va considerato che la valutazione della
compatibilità deve essere effettuata anche con riguardo al
piano di lottizzazione e non solo successivamente in
occasione della sua realizzazione (cfr. TAR Veneto, II,
n. 3201/2003; C.d.S., VI, n. 1095/2000): ciò tenuto conto
della natura di piano attuativo di detto strumento
pianificatorio, che, contemplando anche la pianificazione di
dettaglio, è in grado di incidere direttamente sull’ambiente
e sui valori paesaggistici.
Peraltro, la stessa normativa statale (D.lgs. n. 42/2004,
art. 146) impone il conseguimento del nullaosta in materia
paesaggistica anche per i piani attuativi e tale
disposizione va intesa quale principio generale, essendo
rivolto alla cura e protezione di interessi aventi rilevanza
costituzionale quali sono il paesaggio e l’ambiente
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 28.02.2013 n. 288 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Il giudice contabile non viola i limiti esterni
della propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di
responsabilità per danno erariale gli amministratori che
hanno conferito incarichi professionali senza determinazione
specifica di contenuto etc.
L'insindacabilità "nel merito" delle scelte
discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla
giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse
siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità
alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e
l'organizzazione amministrativa, e quindi il giudice
contabile non viola i limiti esterni della propria
giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità
per danno erariale gli amministratori che hanno conferito
incarichi professionali senza determinazione specifica di
contenuto, durata, criteri, compenso, in contrasto con il
D.Lgs. 03.02.1993, n. 29, art. 7, u.c., secondo il quale "per
esigenze cui non possono far fronte con personale in
servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire
incarichi individuali ad esperti di provata competenza,
determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione", e dunque il conferimento
dell'incarico è legittimo solo in ipotesi di impossibilità
oggettiva, da rappresentare nella delibera di far fronte
all'esigenza richiesta con personale interno
all'organizzazione, la cui qualificazione professionale
l'amministrazione ha infatti l'obbligo di verificare
periodicamente ed incrementare.
Pertanto, nel caso di specie, l'esame da parte della Corte
dei conti delle scelte degli amministratori pubblici di
UNIRE di incaricare professionisti esterni per consulenze,
pareri e difesa giudiziale alla luce dei presupposti legali
e delle clausole generali di giuridicità innanzi richiamati
al fine di verificare la legittimità della scelta e la
correttezza della gestione delle risorse pubbliche per i
compensi corrisposti, alla luce anche del fondamentale
principio del buon andamento e della ragionevole
proporzionalità tra costi e benefici in relazione ai fini da
perseguire, non travalica il limite esterno della
giurisdizione erariale (Corte di Cassazione, SS.UU. civili,
sentenza 21.02.2013 n. 4283 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Questa
Sezione, proprio in riferimento al tema del recupero dei
sottotetti nella regione Lombardia e ripercorrendo negli
anni la mutevole disciplina regionale, aveva già evidenziato
come, ai sensi della legge della regione Lombardia n. 15 del
1996, “Il recupero volumetrico a scopo residenziale del
piano sottotetto in base alla citata legge regionale non
poteva prescindere dall'esistenza dell'edificio e del
sottotetto medesimo (da intendersi come vero e proprio
volume preesistente) e doveva avvenire nel rispetto delle
prescrizioni igienico-sanitarie e di abitabilità previste
dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 6
dell'art. 1 della legge medesima” e che tale disciplina,
superata e modificata successivamente, confluiva infine nel
“Capo I del Titolo IV della nuova legge regionale n.
12/2005, (che) ribadisce il principio generale del "favor"
per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti
(commi 1 e 2 dell'art. 63) e definisce il sottotetto
esistente come volume soprastante l'ultimo piano degli
edifici <esistente al momento della presentazione della
domanda di permesso di costruire ovvero della denuncia di
inizio attività>”.
Questa Sezione (Consiglio di Stato, sez. IV, 04.02.2008 n. 298, che richiama le precedenti sentenze 21.12.2006, n. 7770 e 30.05.2005 n. 2767), proprio in
riferimento al tema del recupero dei sottotetti nella
regione Lombardia e ripercorrendo negli anni la mutevole
disciplina regionale (e prima ancora dell’intervento
tranciante della sentenza della Corte Costituzionale, 23.11.2011 n. 309), aveva già evidenziato come, ai sensi
della legge della regione Lombardia n. 15 del 1996, “Il
recupero volumetrico a scopo residenziale del piano
sottotetto in base alla citata legge regionale non poteva
prescindere dall'esistenza dell'edificio e del sottotetto
medesimo (da intendersi come vero e proprio volume
preesistente) e doveva avvenire nel rispetto delle
prescrizioni igienico-sanitarie e di abitabilità previste
dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 6
dell'art. 1 della legge medesima” e che tale disciplina,
superata e modificata successivamente, confluiva infine nel
“Capo I del Titolo IV della nuova legge regionale n.
12/2005, (che) ribadisce il principio generale del "favor"
per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti
(commi 1 e 2 dell'art. 63) e definisce il sottotetto
esistente come volume soprastante l'ultimo piano degli
edifici <esistente al momento della presentazione della
domanda di permesso di costruire ovvero della denuncia di
inizio attività>”
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.02.2013 n. 1058 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Consiglio di Stato. Mancate comunicazioni.
Sull'avvio dell'iter ricorsi solo motivati.
È inammissibile, per assoluta genericità, un ricorso
giurisdizionale che si limiti a contestare la mancata
comunicazione dell'avvio del procedimento.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.02.2013 n. 1056, che -in relazione a un motivo di impugnazione
per la mancata comunicazione di un preavviso di rigetto- ha
precisato che l'avvio del procedimento non è un «rituale
formalistico», né un «banale cavillo», e quindi il
ricorrente non può contestare soltanto la mancata
comunicazione di avvio, ma deve almeno «allegare» quelle
«circostanze che non aveva potuto incolpevolmente sottoporre
all'amministrazione».
La sentenza è innovativa e può -a prima vista- sollevare
dei dubbi. Si potrebbe infatti obiettare che l'avvio del
procedimento è un «obbligo» della Pubblica amministrazione,
perché l'articolo 7 della legge 241/1990 stabilisce che
«l'avvio del procedimento è comunicato» (e quindi «deve»
essere comunicato), e quest'obbligo è rafforzato dall'inciso
della parte finale del comma 2: «l'amministrazione è tenuta
a fornire notizia dell'inizio del procedimento».
Ma l'obiezione, che pur si basa sulla lettera della legge,
non sarebbe persuasiva. È pur vero che l'amministrazione
deve ottemperare all'obbligo di comunicare all'interessato
l'avvio del procedimento, ma vi è anche (articolo 40,
lettera c) del Codice amministrativo) l'obbligo del
ricorrente di indicare «i motivi specifici» del ricorso, e
quindi le ragioni e le circostanze che ne costituiscono gli
elementi essenziali, in modo che sia rispettato il
«principio di parità delle parti» (articolo 2 del Codice
citato). Un ricorso giurisdizionale basato soltanto sulla
mancata comunicazione dell'avvio del procedimento sarebbe
poi contraddittorio, perché esso denuncia una violazione
«formale» della Pubblica amministrazione, ma costituisce
esso stesso un «cavillo formale», rivolto ad altri fini.
La sentenza del Consiglio di Stato merita perciò di essere
condivisa. Essa ha interpretato la norma -come si legge
nella motivazione- «in un'ottica funzionale», e
quindi con il positivo obiettivo di limitare i ricorsi che
intralciano l'azione della pubblica amministrazione e
impediscono la concorrenza, specie in materia di appalti (articolo Il
Sole 24 Ore dell'11.03.2013 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI: In
difetto di esplicite sanzioni di esclusione contenute nella
legge e/o nel bando, deve ritenersi che non possa farsi
luogo ad esclusioni, come prevede ora l’art. 46, comma
1-bis, del Codice dei contratti, modificato dall’art. 4,
comma 2, lett. d), del D.L. 13.05.2011, n. 70.
Si è pertanto osservato, estendendo detto principio a casi e
fattispecie analoghe, che nelle gare pubbliche le cause di
esclusione, incidendo sull'autonomia privata delle imprese e
limitando la libertà di concorrenza -nonché il principio di
massima partecipazione-, devono ritenersi tassative e non
possono essere interpretate analogicamente.
Ne consegue che qualora manchi una chiara prescrizione che
imponga in modo esplicito l'obbligo della esclusione, vale
il principio della più ampia partecipazione alla gara allo
scopo di garantire il migliore risultato per
l'amministrazione stessa.
Come ha peraltro confermato una recente
sentenza del Consiglio di Stato (Sezione Terza – sentenza 04.10.2012, n. 5203) in difetto di esplicite sanzioni di
esclusione contenute nella legge e/o nel bando, deve
ritenersi che non possa farsi luogo ad esclusioni, come
prevede ora l’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti,
modificato dall’art. 4, comma 2, lett. d), del D.L. 13.05.2011, n. 70.
Si è pertanto osservato, estendendo detto
principio a casi e fattispecie analoghe, che nelle gare
pubbliche le cause di esclusione, incidendo sull'autonomia
privata delle imprese e limitando la libertà di concorrenza
-nonché il principio di massima partecipazione-, devono
ritenersi tassative e non possono essere interpretate
analogicamente.
Ne consegue che qualora manchi una chiara
prescrizione che imponga in modo esplicito l'obbligo della
esclusione, vale il principio della più ampia partecipazione
alla gara allo scopo di garantire il migliore risultato per
l'amministrazione stessa (Consiglio Stato sez. IV, 12.06.2009, n. 3696; TAR Lazio sez. I, 21.07.1997,
n. 1157) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.02.2013 n. 228 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Si
ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo
le recinzioni che non configurino un'opera edilizia
permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di
immediata asportazione (quali ad esempio recinzioni in rete
metalliche, sorretta da paletti di ferro o di legno e senza
muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in
essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios
o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà.
Al contrario, occorre il permesso di costruire quando la
recinzione costituisca opera di carattere permanente,
incidendo in modo permanente e non precario sull'assetto
edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da
un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete
metallica o da opera muraria.
- che invero, come costantemente ritenuto
dalla giurisprudenza, si ritengono esenti dal regime del
permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino
un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria
installazione e di immediata asportazione (quali ad esempio
recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti di ferro
o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro
tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra
le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo
ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle
singole proprietà (TAR Campania Napoli, sez. VII, 04.07.2007, n. 6458; TAR Campania Napoli, sez. IV,
08.05.2007, n. 4821; TAR Emilia Romagna, sez. II, 26.01.2007, n. 82; TAR Veneto Venezia, sez. II,
07.03.2006, n. 533); al contrario occorre il permesso di
costruire, quando la recinzione costituisca opera di
carattere permanente, incidendo in modo permanente e non
precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad
esempio se è costituita da un muretto di sostegno in
calcestruzzo con sovrastante rete metallica (TAR
Basilicata Potenza, 19.09.2003, n. 897) o da opera
muraria (Cassazione penale, sez. III, 13.12.2007, n.
4755);
-
atteso che nel caso di specie, la natura e le dimensioni
della recinzione realizzata abusivamente dal ricorrente,
costituita da muretto di base e sovrastante cancellata,
richiedeva il permesso di costruire;
- ne consegue che, respinta la sanatoria, l’ordine di
demolizione impartito risulta legittimo
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.02.2013 n. 223 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
Regolamento quasi blindato.
Per le modifiche la forma scritta è requisito essenziale.
La Cassazione: non si cambia la
destinazione d'uso dei locali solo con accordo unanime.
Le modifiche al regolamento condominiale devono essere
effettuate per atto scritto perché, in mancanza, le stesse
non possono considerarsi produttive di effetti. Il
comportamento concludente osservato nel tempo dai condomini
che non si siano mai opposti ad attività contrarie a un
divieto regolamentare non può quindi mai comportare la
modifica della relativa disposizione.
Il regolamento di natura contrattuale, inoltre, vincola
tutti i condomini, compreso il comproprietario che sia anche
l'originario costruttore dell'edificio ed estensore
materiale dell'atto.
Sono questi i chiarimenti forniti dalla
II Sez. civile della Corte di Cassazione con la
sentenza 05.02.2013 n. 2668.
Il caso concreto. Nella specie un condomino proprietario di
alcuni locali a piano terreno destinati ad autorimessa era
stato citato in giudizio dall'amministratore che lamentava
il mutamento della destinazione d'uso degli stessi,
trasformati in comunità di alloggio per minori e anziani,
nonostante un espresso divieto contenuto nel regolamento
condominiale. Il proprietario si era difeso sostenendo sia
che il regolamento non lo vincolasse, in quanto originario
costruttore dell'edificio e materiale estensore dell'atto,
sia che detto divieto, a fronte della tolleranza mostrata
dalla compagine condominiale, dovesse ritenersi ormai del
tutto venuto meno. Sia in primo che in secondo grado le
eccezioni avanzate dal condomino erano però state ritenute
infondate. Di qui la decisione del proprietario dei locali
di presentare ricorso in Cassazione.
La decisione della Suprema corte. I giudici di legittimità,
nel richiamare sul punto le conclusioni alle quali erano
giunte le sezioni unite nella sentenza n. 943/99, pur
riconoscendo vigente nell'ordinamento il principio generale
della libertà di forme, hanno chiarito che la formazione del
regolamento condominiale deve necessariamente avvenire in
forma scritta, poiché il codice civile prevede (ancor più
dopo la riscrittura dell'art. 1130 operata dalla legge di
riforma n. 220/2012) che lo stesso sia allegato a un
apposito registro.
A maggior ragione, dunque, le eventuali
modifiche di quest'ultimo devono avvenire anch'esse per
iscritto, anche perché se di natura assembleare esse
risulteranno da apposite deliberazioni assembleari da
trascrivere anch'esse nello specifico registro tenuto
dall'amministratore, se di natura contrattuale le stesse
comunque incideranno su diritti reali dei condomini relativi
alle proprietà esclusive o alle parti comuni. Per questo
motivo la Suprema corte ha rigettato il ricorso presentato
dal condomino, condannandolo anche alle spese del giudizio
di legittimità.
---------------
La potestà del proprietario ha limiti.
È convinzione diffusa tra i condomini quella di essere
padroni in casa propria nel senso, cioè, di essere liberi di
realizzare nel proprio appartamento nuovi manufatti o
modifiche interne o di potervi svolgere qualunque tipo di
attività. Spesso, però, a prescindere dai divieti di legge
in campo civilistico ed edilizio, possono esserci specifiche
norme contrattuali del regolamento condominiale predisposto
dal costruttore originario e accettate dai condomini nei
relativi atti di acquisto che possono limitare le facoltà
del singolo comproprietario all'interno delle proprietà
esclusive.
• I limiti del regolamento: il divieto di opere interne o
del mutamento di destinazione.
Se il regolamento contiene una clausola contrattuale che
impedisce di compiere qualsiasi opera interna, il singolo
condomino non può, per esempio, dividere l'abitazione in due
unità immobiliari, riunire due appartamenti con costruzione
di servizi e accessi nuovi, trasferire un bagno da un locale
all'altro, costruire un locale deposito nel giardino ecc. Da
notare che è possibile pure che una norma del regolamento
consenta al singolo condomino di eseguire opere interne, del
tipo di quelle sopra elencate, soltanto previa
autorizzazione dell'assemblea dei condomini.
Una clausola
siffatta, che sia stata accettata dall'intera collettività
condominiale, pone un ostacolo alla realizzazione di opere
interne che vale per tutti i condomini, i quali sono
costretti a rivolgersi all'assemblea per ottenere
un'autorizzazione in deroga. Che poi l'assemblea, con suo
libero apprezzamento, possa consentire a un condomino e
negare a un altro la realizzazione di una determinata opera
è conseguenza naturale di un meccanismo che i condomini
hanno accettato nel regolamento condominiale, rimettendo
alla volontà dell'assemblea tutte le decisioni in proposito.
È anche frequente che clausole regolamentari di natura
contrattuale prevedano un espresso divieto di mutare la
destinazione d'uso delle proprietà esclusive del singolo
condomino. L'obiettivo di tali divieti è quello di evitare
un godimento e un uso dei servizi e delle parti comuni
superiore alle facoltà del condomino che operi la
trasformazione dell'immobile. In presenza di tali
limitazioni, quindi, non è possibile, per esempio, il
mutamento della destinazione dei locali posti nel sottotetto
da uso soffitta in abitazione: è ovvio, infatti, che tale
modifica comporterebbe non solo la predisposizione dei
servizi essenziali di luce, acqua e gas, ma anche un maggior
aggravio di costi per i servizi condominiali e
un'alterazione dell'uso o del godimento degli stessi
rispetto ai limiti della quota millesimale di spettanza del
condomino che abbia trasformato in abitazione il sottotetto.
E naturalmente il discorso può riguardare anche la
trasformazione di negozi in abitazioni, ma anche
l'operazione opposta, cioè la trasformazione di locali
abitativi in negozi.
• Le attività vietate dal regolamento condominiale.
Se nel
regolamento si vogliono vietare alcune attività ma si
utilizzano espressioni generiche che mirano a precisare solo
gli inconvenienti indesiderati, si rende necessario
procedere a un'interpretazione delle relative clausole che
spesso, però, è fonte di controversia destinata a sfociare
in una vertenza giudiziaria. Tuttavia non sempre lo sforzo
interpretativo risulta particolarmente impegnativo. Così,
per esempio, se nel regolamento vi è il divieto di attività
notturna, non sarà certo possibile aprire nello stabile una
panetteria con annesso laboratorio, ma non si potrà
pretendere di evitare la vendita al pubblico di pane durante
il giorno. In ogni caso è opportuno che il regolamento, in
apposita clausola, indichi, con specifica descrizione, il
contenuto delle limitazioni che si intenda porre alle unità
immobiliari che compongono l'edificio.
Così se una norma
(contrattuale) del regolamento, oltre alla destinazione a
privata abitazione, preveda la possibilità di destinare gli
appartamenti solamente ad attività professionali, non sarà
possibile utilizzare gli stessi come discoteca o come bar.
Non è escluso però che nel regolamento del condominio
vengano utilizzati entrambi i criteri di individuazione
delle attività vietate (cioè quello della loro espressa
elencazione, nonché quello del riferimento ai pregiudizi che
si ha intenzione di evitare): in tal caso, secondo la
giurisprudenza, deve ritenersi, da un lato, che l'elenco
delle attività vietate non sia tassativo, dall'altro lato
che tutte le attività specificamente indicate siano di per
sé vietate, senza necessità di verificare in concreto
l'idoneità a recare i pregiudizi sopra detti.
• I limiti della normativa condominiale.
La normativa condominiale di cui agli articoli 1117 e
seguenti del codice civile prevede espressamente il divieto
riferibile al singolo di porre in essere opere sulla
proprietà esclusiva che determinino danni sulle parti
comuni. Tale principio è stato confermato anche dalla
recente legge di riforma del condominio n. 220/2012, che
proibisce lavori nella proprietà del singolo condominio che
danneggino le parti comuni dell'edificio o che determinino
pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro
architettonico dell'edificio. Il discorso, comunque,
riguarda anche quelle parti normalmente destinate all'uso
comune che siano state attribuite in proprietà esclusiva o
destinate all'uso individuale (per esempio le terrazze a
livello).
Inoltre il divieto non sembra riguardare unicamente le opere
che siano eseguite nell'unità immobiliare di proprietà
esclusiva (per esempio la modifica della parete interna di
un appartamento che potrebbe intaccare il muro maestro
comune), ma comprende anche le attività compiute nell'unità
immobiliare esclusiva (come rumore, immissioni odorose
ecc.). In ogni caso, prima di realizzare opere (o attività)
che possano mettere in pericolo le parti comuni, deve essere
preventivamente informato l'amministratore, il quale ne
riferirà quanto prima in assemblea (articolo ItaliaOggi Sette
dell'11.03.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In zona agricola non è
applicabile la normativa della cosiddetta “legge Tognoli”
che consente la realizzazione di autorimesse nel sottosuolo
anche in deroga gli strumenti urbanistici, essendo questa
consentita solo nelle zone residenziali, e ciò a prescindere
dall'ulteriore considerazione postulante l'esclusione della
deroga in presenza di vincoli ambientali.
Va poi ribadito che trattandosi di intervento in zona
agricola non è applicabile, per giurisprudenza pacifica, la
normativa della cosiddetta “legge Tognoli” che
consente la realizzazione di autorimesse nel sottosuolo
anche in deroga gli strumenti urbanistici, essendo questa
consentita solo nelle zone residenziali, e ciò a prescindere
dall'ulteriore considerazione postulante l'esclusione della
deroga in presenza di vincoli ambientali (TAR Veneto, Sez.
II,
sentenza 02.05.2007 n. 1331 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO ALL'11.03.2013 |
ã |
NOVITA' NEL SITO |
Inseriti i nuovi bottoni:
►
dossier
S.U.E. (Sportello Unico per l'Edilizia)
►
dossier
TINTEGGIATURA FACCIATE ESTERNE |
CONVEGNI |
LAVORI PUBBLICI:
Si segnala n. 1 convegno gratuito
organizzato dalla PROVINCIA DI MILANO che si terrà
giovedì 14.03.2013 sull'argomento "LA
MANUTENZIONE STRADALE - Tradizione, innovazione e aspetti
ambientali collegati all'uso del fresato d'asfalto".
Maggiori dettagli e la locandina possono essere letti
cliccando qui. |
IN EVIDENZA |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Mutamento della destinazione d’uso senza opere
edilizie (Regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio e Urbanistica,
risposta e-mail del 20.07.2012 + ulteriore e
complementare
risposta e-mail del
10.01.2013).
---------------
Lo scorso 23.07.2012 abbiamo pubblicato l'interessante
quesito redatto dall'U.T. di un comune bergamasco con
annessa risposta regionale.
Tuttavia, lo stesso comune ha richiesto -dopo poche
settimane- un ulteriore chiarimento in materia [circa il
fatto che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 309 del
23.11.2011 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del
2005, nella parte in cui disapplica l’art. 3 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia)] ... e la
relativa risposta del 10.01.2013 è sopra linkata.
11.03.2013 - LA SEGRETERIA PTPL |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO
IMPIEGO: Oggetto:
richiesta di parere sull'attuazione delle procedure di
mobilità volontaria ai sensi dell'art. 30 del decreto
legislativo 30.03.2001 n. 165
(nota
01.03.2013 n. 10395 di prot.). |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
APPALTI:
Oggetto: Legge 07.08.2012 n.134, di conversione con
modificazioni del cd. “Decreto Sviluppo” (D.L. 83/2012):
Responsabilità solidale nei contratti di appalto -
Chiarimenti ministeriali: Circolare n. 2/E del 01.03.2013
(ANCE Bergamo,
circolare 08.03.2013 n. 74). |
APPALTI:
Oggetto: Banca dati nazionale dei contratti pubblici –
AVCPASS - Sistema operativo dall’01.07.2013 (ANCE
Bergamo,
circolare 08.03.2013 n. 73). |
APPALTI:
Oggetto: Documentazione antimafia – Nuove disposizioni
(ANCE Bergamo,
circolare 08.03.2013 n. 64). |
APPALTI:
Oggetto: Forma del contratto d’appalto – Indicazioni
dell’Autorità per la vigilanza (ANCE Bergamo,
circolare 08.03.2013 n. 63). |
TRIBUTI:
Oggetto: Imposta municipale propria (IMU) di cui all'art.
13 del D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214. Esenzione per
gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali. Art. 7,
comma 1, lett. i), del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504. Immobili
concessi in comodato
Ministero dell'Economia e delle Finanze,
risoluzione 04.03.2013 n. 4/DF). |
TRIBUTI:
Oggetto: Imposta municipale propria (IMU) di cui all'art.
13 del D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214. Esenzione per
gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali. Art. 7,
comma 1, lett. i), del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504. Art. 7 del
Regolamento 19.11.2012, n. 200. Adeguamento dello statuto e
dell'atto costitutivo
(Ministero dell'Economia e delle Finanze,
risoluzione 04.03.2013 n. 3/DF). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Oggetto: regolamenti locali sui controlli interni - art.
3, comma 2, del decreto legge 10.10.2012, n. 174,
convertito, con modificazioni, dalla legge 07.12.2012, n.
213 (Ministero della Giustizia,
circolare 18.02.2013 n. 2/2013). |
GURI - GUUE - BURL
(e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 05.03.2013 n. 54 "Attuazione dell’art. 5 del decreto
legislativo 29.12.2011, n. 229, concernente la definizione
dei dati riguardanti le opere pubbliche, oggetto del
contenuto informativo minimo dei sistemi gestionali
informatizzati che le Amministrazioni e i soggetti
aggiudicatori sono tenute a detenere e a comunicare alla
banca dati delle amministrazioni pubbliche, di cui all’art.
13 della legge 31.12.2009, n. 196" (Ragioneria Generale
dello Stato,
decreto 26.02.2013). |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 19.02.2013 n. 42 "Intesa sulle linee guida in
materia di controlli, ai sensi dell’articolo 14, comma 5,
del decreto-legge 09.02.2012, n. 5, convertito, con
modificazioni, dalla legge 04.04.2012, n. 35"
(Conferenza Unificata,
intesa 24.01.2013). |
SINDACATI |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Magari non sempre, ma ogni tanto: "i nodi vengono
al pettine" (CGIL-FP
di Bergamo,
nota 02.03.2013).
---------------
Avendo appreso da un articolo apparso su “L’Eco di
Bergamo” del 20 febbraio scorso che in merito della vicenda
relativa alla convenzione per l’esercizio associato del
servizio di polizia locale tra il comune di Pontida e il
comune di Filago, per la quale il comune di Filago è stato
condannato per comportamento antisindacale a seguito del
ricorso presentato dalla FP-CGIL, il comune di Pontida: “..
sulla base delle richieste pervenute dal Comune di Filago ha
posto la soluzione del caso a Regione Lombardia, nel
rispetto delle competenze e dei ruoli, al fine di evitare
ogni possibile strumentalizzazione. Pertanto, tutte le OO.
SS. compresa la CGIL FP potranno accedere a tutte le
informazioni, anche attraverso un confronto diretto che non
è stato mai richiesto, neanche informalmente.”, questa
organizzazione sindacale ha subito presentato richiesta di
accesso alle citate informazioni. (... continua). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Il foglio dei lavoratori della Funzione Pubblica
(CGIL-FP di Bergamo,
febbraio 2013). |
CORTE DEI CONTI |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
Niente mimose in comune.
Se a qualche sindaco oggi balenasse l'idea di voler regalare
mimose alle proprie dipendenti con i soldi del bilancio
comunale, facendo passare tale acquisto come spesa di
rappresentanza, è bene che se la faccia passare. Oppure, se
proprio vuole togliersi lo sfizio, che le acquisti di tasca
propria. Una simile spesa non è certamente configurabile
come rappresentanza, in quanto la stessa deve essere
caratterizzata da un legame con il fine istituzionale
dell'ente, oltre alla necessità per la stessa
amministrazione di ottenere una sua proiezione esterna o di
intrattenere relazioni pubbliche con soggetti estranei
nell'ambito dei normali rapporti istituzionali.
Lo spunto
per trattare il caso viene dalla lettura del
parere 19.02.2013 n. 60 della Sez. regionale di controllo della
Corte dei Conti per la Lombardia con cui è
stato dichiarato non conforme a legge il comportamento del
comune di Brugherio (Mi) su alcune voci delle spese di
rappresentanza sostenute nel corso del 2011.
Spese che, come prevede l'art. 16, comma 26, del dl n.
138/2011, devono essere elencate in un prospetto allegato al
rendiconto di gestione, trasmesse alla competente sezione
regionale di controllo della Corte per la successiva
verifica e, in contemporanea, pubblicate sul sito internet
istituzionale dell'ente.
Per il collegio è pacifico che sono prive della qualifica di
spese di rappresentanza quelle erogate in occasione e
nell'ambito di normali rapporti istituzionali a favore di
soggetti che non sono rappresentativi degli organi di
appartenenza e, in linea più generale, quelle prive di
funzioni rappresentative verso l'esterno, quali quelle
destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori
appartenenti all'ente che le dispone
(articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013 - link a www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - ENTI LOCALI:
La Corte dei Conti contesta "spese allegre", dei
comuni, non conformi alla legge.
►
Rinfresco per consiglieri comunali e assessori per
sessione del consiglio comunale.
L’amministrazione si limita ad osservare che la spesa è
stata effettuata su richiesta del Presidente del Consiglio
comunale.
Fermo restando quanto detto sulla mancanza del carattere di
spese di rappresentanza per convivialità di cui beneficiano
gli organi medesimi del comune, resta ferma la necessità di
una congruità della spesa di tal fatta: infatti, “non
è comunque congruo mostrare prodigalità attraverso
celebrazioni e rinfreschi, e semmai è richiesto il
contrario, ossia l’evidenza di una gestione accorta che
rifugga gli sprechi e si concentri sull’adeguato
espletamento delle funzioni sue proprie”
(Sez. Giurisdizionale Abruzzo n. 394/2008).
►
Ristorazione ai Militari dei Carabinieri e agli agenti
della Polizia di Stato in occasione della consultazione
referendaria.
Anche in questo caso la prodigalità in questione non
rientrava tra i doveri del comune, né si integrano gli
estremi della “rappresentatività”, in quanto non
legato alle relazioni inter-istituzionali, ma al normale
rapporto di servizio reso dai corpi di sicurezza alla
cittadinanza intera della Repubblica e non del singolo
comune.
In proposito e ad ogni buon conto si evidenza che
l’attaccamento del personale pubblico al lavoro,
come quello alle istituzioni, rappresenta una finalità per
il cui perseguimento non necessitano spese ulteriori
rispetto a quelle consentite dalla disciplina del rapporto
di lavoro (Corte
dei conti, Sezione I Giurisdizionale Centrale d’Appello, n.
417/2011) (Corte
dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 19.02.2013 n. 60). |
ENTI LOCALI:
Personale. Le modalità di calcolo dei limiti al turn-over.
L'assunzione programmata «prenota» la spesa nell'anno.
L'OBIETTIVO/
Questo meccanismo consente di evitare il superamento dei
limiti nel periodo nel quale avviene l'ingresso effettivo.
Al tetto alla spesa del personale ai fini del confronto con
l'anno precedente vanno aggiunte le risorse necessarie al
finanziamento delle assunzioni programmate in modo da
coprire l'intero anno, così si evita il rischio del
superamento del tetto nell'anno successivo a seguito delle
assunzioni programmate nell'anno precedente.
A questa conclusione stanno arrivando in modo consolidato le
sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti. In
questo senso si è infatti pronunciata la Sez. del Veneto,
con il
parere 07.02.2013 n. 45; in precedenza
si erano così espresse le sezioni della Basilicata (parere
n. 2/2012) e della Campania (parere n. 235/2012).
Siamo in
presenza di un orientamento interpretativo che consente a
numerose amministrazioni di dare corso alle assunzioni
programmate, riducendo gli effetti negativi che possono
essere determinati dai tempi lunghi necessari per le
assunzioni. Si ricordi che dopo la programmazione del
fabbisogno, occorre effettuare la comunicazione per
l'eventuale assegnazione di personale in disponibilità ed
attendere due mesi dalla ricezione da parte della Funzione
Pubblica di tale comunicazione, quindi dare corso alla
mobilità volontaria, indire il concorso, attendere la
presentazione delle domande e, solo a questo punto,
effettuare il concorso e, se non ci sono ulteriori intoppi,
assumere i vincitori.
La Corte dei Conti del Veneto risponde al dubbio «se
l'adozione di un provvedimento pianificatorio sia
sufficiente a superare la mancanza di un impegno di spesa
vero e proprio nel finale dell'esercizio (che sostenga
l'intero onere annuale ...). Ciò, al fine di evitare che la
riduzione della spesa complessiva del personale, dovuta a
cessazione ed a collocamento in aspettativa di ...dipendenti,
determini, nel confronto con quella complessiva da sostenere
nell'anno successivo, lo sforamento del vincolo imposto
dall'articolo 1, comma 557, della legge 267/2006», cioè la
spesa dell'anno precedente.
Il parere ricorda che
«l'assunzione dell'impegno presuppone: l'esistenza di
un'obbligazione giuridicamente perfezionata, la
determinazione del soggetto creditore e la definizione della
somma da pagare nel quantum e nel titolo.. la mera
programmazione di assunzione di personale nell'esercizio di
riferimento, seppur approvata in sede di bilancio di
previsione, non integra la fattispecie d'impegno
automatico».
Questa lettura è corretta formalmente,
«tuttavia, il collegio è ben consapevole che
un'interpretazione rigorosa della normativa citata
determinerebbe il rischio di compromettere la possibilità di
realizzare il parziale turn-over, che è riconosciuto e
garantito ex lege». Da qui la conclusione che «la
programmazione di nuove assunzioni con avvio delle relative
procedure determina un effetto prenotativo nello stesso anno
sulle relative somme ai soli fini del disposto di cui
all'articolo 1, comma 557, della legge 27.12.2006, n.
296, senza che ciò comporti una prenotazione d'impegno in
senso contabile».
Il parere si conclude con la raccomandazione che «il mancato
compimento dell'iter assunzionale non deve essere imputabile
a fatto dell'ente medesimo o concretare condotte elusive» (articolo Il Sole 24 Ore
del 04.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE:
Senza bando niente incentivi ai progetti.
Non spetta l'incentivo se non si arriva alla fase
dell'appalto.
Questa è la posizione della Corte dei conti
Campania in tema di incentivi ai progettisti interni
previsti dall'articolo 92, comma 5, del Dlgs 163/2006 (Codice
degli appalti) espressa in un parere di rara chiarezza e
linearità (parere
31.01.2013 n. 17).
Un Comune ha chiesto se fosse legittimo riconoscere
l'incentivo di cui all'articolo 92, comma 5, ai tecnici
dipendenti dell'ente, qualora sia stata realizzata una
progettazione interna per un'opera che poi non risulti
finanziata da un soggetto terzo.
L'articolo 92, comma 5, prevede la possibilità di ripartire,
previo regolamento interno e contrattazione decentrata, una
somma non superiore al 2 per cento dell'importo a base di
gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli
oneri previdenziali e assistenziali a carico della Pa, tra
il responsabile del procedimento e gli incaricati della
redazione del progetto, del piano della sicurezza, della
direzione dei lavori, del collaudo, oltre che tra i loro
collaboratori.
La Corte precisa che l'"incentivo alla progettazione"
costituisce deroga al principio per cui il trattamento
economico è fissato dai contratti collettivi, essendo la
legge stessa ad attribuire un compenso ulteriore e speciale,
rinviando a regolamenti e contrattazione decentrata per i
criteri e le modalità di ripartizione.
Derogando ai principi di onnicomprensività e determinazione
contrattuale della retribuzione del dipendente pubblico,
l'articolo 92, comma 5, è norma eccezionale di stretta
interpretazione, non estensibile mediante analogia (Corte
dei conti, sezione Campania, delibera 7/2008).
Facendo riferimento anche al parere 6/1999 dell'Autorità di
vigilanza sui lavori pubblici, la Corte non ritiene
legittima l'erogazione del compenso nel caso in cui l'iter
della procedura d'appalto non sia giunto, quantomeno, alla
fase della pubblicazione del bando o della spedizione delle
lettere d'invito. Si richiama anche l'articolo 2, comma 3
del Dm Infrastrutture 84 del 17.03.2008 dove si prevede
che «gli incentivi … sono riconosciuti soltanto quando i
relativi progetti sono posti a base di gara».
Resta sempre possibile per l'ente, con regolamento interno,
condizionare l'incentivo a presupporti più stringenti, come
ad esempio l'effettiva l'aggiudicazione dell'opera (Corte
dei conti, sezione Lombardia, delibera 425/2012).
I magistrati campani sottolineano che la pubblicazione del
bando di gara (o la spedizione delle lettere d'invito)
costituisce un posterius rispetto al reperimento delle
risorse finanziarie idonee a garantire la copertura
contabile della spesa necessaria per la realizzazione
dell'opera progettata. Solo con l'individuazione,
acquisizione e destinazione nel bilancio di previsione
dell'Ente delle risorse finanziarie (almeno in termini di
prenotazione d'impegno di spesa ex articolo 183, comma 3 del
Tuel), infatti, si può procedere alla redazione del quadro
economico dell'opera (comprensivo dell'incentivo alla
progettazione) ed alla successiva attivazione della
procedura di gara.
In conclusione, il collegio ritiene come non sia
prospettabile il riconoscimento, né a maggior ragione la
liquidazione, dell'incentivo nei confronti del personale
tecnico dipendente dall'ente, nel caso in cui la
progettazione realizzata abbia riguardato un'opera per la
quale non sia stato accordato il finanziamento da parte del
soggetto terzo e conseguentemente non sia stata
legittimamente possibile l'indizione della gara d'appalto (articolo Il Sole 24 Ore
del 04.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI
AMMINISTRATIVI - LAVORI PUBBLICI:
G. Ciaglia,
L'evoluzione dell'accordo di programma: da strumento di
programmazione delle opere pubbliche a generale modello di
semplificazione delle procedure di approvazione di
interventi complessi (L'ufficio tecnico n. 1-2/2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
P. Sciscioli,
Opere precarie, stagionali ed amovibili: lo sfuggente solco
discriminante
(L'ufficio tecnico n. 1-2/2013). |
APPALTI:
C. De Portu,
Apertura dell’offerta tecnica: novità giurisprudenziali e
normative (Urbanistica e appalti n. 2/2013 -
tratto da www.ispoa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: A.
Trovato,
Affidamento di funzioni dirigenziali al segretario
(Guida al Pubblico Impiego n. 1-2/2013).
---------------
Responsabilità attribuita al segretario
comunale.
È possibile per un comune, in presenza di figure
dirigenziali, procedere all’affidamento di un incarico
dirigenziale al segretario generale?
Su concorde avviso espresso dalla ex Agenzia autonoma per la
gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali, si
rileva preliminarmente che l’art. 97 del decreto legislativo
n. 267/2000 stabilisce i compiti e le funzioni dei segretari
comunali e provinciali.
In particolare, il comma 2 di detto articolo statuisce che
il segretario svolge compiti di collaborazione e funzioni di
assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli
organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione
amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti. Il
successivo comma 4, nel prevedere che il segretario
sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti
coordinandone l’attività, elenca le funzioni a esso
spettanti.
Invero, la lett. d) del medesimo comma 4 dispone che il
segretario esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo
statuto o dai regolamenti o conferitagli dal sindaco o dal
presidente della provincia.
Tale norma, come evidenziato anche nella circolare del
ministero dell’Interno n. 1/1997 del 15.07.1997, ha valenza
di clausola di salvaguardia ai fini del buon andamento della
macchina organizzativa, amministrativa e gestionale
dell’ente. Infatti, occorre rilevare che le assegnazioni di
ulteriori funzioni al segretario possono avvenire solo nel
momento in cui l’ente locale risulti privo sia di personale
di qualifica dirigenziale sia di responsabili dei servizi,
ovvero qualora l’ente intenda fare una specifica scelta
gestionale in tal senso. Bisogna, difatti, rammentare che i
dirigenti -ovvero i dipendenti nominati responsabili degli
uffici e dei servizi- sono titolari delle funzioni loro
attribuite, risultando, quindi, residuale l’applicazione
della citata disposizione di cui alla lett. d) del comma 4
dell’art. 97.
Ciò posto, poiché ai sensi dell’art. 89 del decreto
legislativo n. 267/2000 l’ordinamento generale degli uffici
e dei servizi è coperto da riserva di tipo regolamentare, si
deve ritenere che l’eventuale attribuzione di specifiche
funzioni gestionali o di titolarità degli uffici o dei
servizi al segretario sia necessariamente da prevedere
attraverso una specifica disposizione regolamentare, previa
un’attenta verifica dell’assenza all’interno dell’ente di
adeguate figure professionali; mentre il conferimento delle
funzioni, riservato al sindaco o al presidente della
provincia, non può che essere temporaneo e limitato
all’espletamento di una prestazione nell’ambito di una
funzione (ad esempio, la presidenza di una gara per
temporanea assenza del dirigente).
Si rammenta, infine, che le stesse disposizioni
contrattuali, contenute nell’art. 1 del Ccnl dei segretari
comunali e provinciali del 22.12.2003, stabiliscono che,
relativamente agli incarichi per attività di carattere
gestionale, occorre che gli stessi siano conferiti in via
temporanea e dopo aver accertato l’inesistenza delle
necessarie professionalità all’interno dell’ente. Si deve
tenere conto, infatti, che, per l’esercizio delle funzioni
aggiuntive affidate al segretario, è prevista una
maggiorazione della retribuzione di posizione in godimento
(Linea diretta con il Viminale, prot. n. Ta 2012 E 14013). |
SICUREZZA
LAVORO:
L. Fantini,
Le procedure standardizzate per la valutazione dei rischi
sul lavoro (Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 1/2013
- tratto da www.ipsoa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
I. Meo e A. Pesce,
Sportello unico edilizia operativo su tutto il territorio
- Finalmente operativo lo Sportello unico edilizia (SUE), un
unico ufficio per tutte le pratiche: procedure, quindi, più
semplici per il rilascio del permesso di costruire e la
presentazione della DIA (Consulente Immobiliare n.
925/2013). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
R. Patumi,
L’attribuzione degli incarichi professionali esterni da
parte degli enti locali (Istituzioni del Federalismo
n. 4/2012 - tratto da www.regione.emilia-romagna.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
L. Oliveri,
Incarichi ad avvocati: sono servizi ex allegato IIB al
Codice dei contratti (15.06.2009 - link a
www.gedit.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
L. Oliveri,
Incarichi, le contraddizioni di una disciplina superata -
Dfp e Corte dei conti su posizioni divergenti (Guida
al Pubblico Impiego n. 6/2008 - tratto da
www.professionisti24.ilsole24ore.com). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
L. Oliveri,
L’irregolarità del provvedimento amministrativo
nell’articolo 21-octies, comma 2, della legge 241/1990,
novellata (aprile 2005 - link a
www.lexitalia.it). |
QUESITI & PARERI |
TRIBUTI:
Tares.
Domanda
Gradirei avere qualche notizia sulla Tares.
Risposta
La Tares è la nuova tassa sui rifiuti che è in vigore dal
primo gennaio 2013. È un tributo, previsto, da più di un
anno, dal decreto Salva-Italia, e viene a sostituire la
Tassa smaltimento rifiuti solidi urbani (Tarsu) o, per i
comuni in cui essa è applicata, la Tassa di igiene
ambientale (Tia). Sua peculiare caratteristica, oltre quelle
proprie della Tarsu o della Tia, è quella di finanziare
anche i cosiddetti Servizi indivisibili, forniti dagli enti
locali, cioè i servizi comunali di cui beneficia l'intera
collettività. Per detti servizi, infatti, non è possibile
effettuare una suddivisione in base all'effettiva
percentuale di utilizzo da parte di ogni singolo cittadino.
Detti servizi vanno individuati, a titolo di esempio, nella
manutenzione delle strade, nell'illuminazione pubblica ecc.
Pertanto, la Tares, oltre che coprire i costi per la Tarsu o
la Tia, deve garantire la totale copertura dell'onere
sostenuto per gli annessi servizi indivisibili; deve pure
assicurare un introito aggiuntivo di trenta centesimi o di
quaranta centesimi (se la percentuale viene innalzata dal
comune) al metro quadrato per finanziare i suddetti, annessi
servizi indivisibili.
I soggetti tenuti al pagamento della Tares sono tutti coloro che, a qualsiasi titolo, utilizzano
un bene immobile, e, quindi, non soltanto i proprietari di
case. I termini di versamento erano, all'origine, gennaio,
aprile, giugno, dicembre 2013. Il termine di gennaio è stato
spostato, con un recente provvedimento del governo, a luglio
prossimo.
La Tares ha costi maggiori per il cittadino, rispetto alla
precedente tassazione in materia. Vi è un aumento, come su
detto, di trenta o quaranta centesimi per metro quadrato,
che si traduce in maggiori oneri sia per le famiglie, sia
per le imprese. Si spera che i comuni adottino, in materia,
regolamenti «virtuosi», che tengano conte delle
specifiche esigenze della famiglia e degli operatori
economici (articolo ItaliaOggi Sette
del 04.03.2013). |
TRIBUTI:
Cosiddetti camion-vela.
Domanda
I cosiddetti camion-vela sono soggetti all'imposta sulla
pubblicità agevolata o a titolo normale?
Risposta
Dal quadro normativo di riferimento contenuto nel decreto
legislativo numero 507, del 15.11.1993, si desume che,
in materia di imposta sulla pubblicità, ricade nella
previsione degli articoli 5, 6 e 12, comma 1, del decreto
legislativo numero 507, del 15.11.1993, citato, che
disciplina la pubblicità ordinaria, l'esercizio
dell'attività pubblicitaria visiva effettuata con mezzi e
strumentazione installati su veicoli costruiti o
strutturalmente trasformati per l'esclusivo e/o prevalente
esercizio di tale attività pubblicitaria.
Pertanto, la
disposizione del successivo articolo 13 del predetto decreto
legislativo numero 507, viene disciplinare il diverso caso
in cui l'attività pubblicitaria venga espletata, installando
i mezzi pubblicitari, per periodi di tempo anche limitati,
su veicoli di uso pubblico o privato, i quali continuano a
mantenere le caratteristiche strutturali e la destinazione
d'uso propria.
Nel caso dei cosiddetti camion-vela, la
particolare peculiarità del mezzo, all'uopo realizzato o
trasformato e concretamente utilizzato per l'esclusivo
esercizio dell'attività pubblicitaria, porta ad affermare
che, nella fattispecie, si verte in tema di pubblicità
ordinaria. Quindi, come affermato dalla Corte di cassazione,
sezione tributaria, con la sentenza del 13.04.2012,
numero 5858, «spetta al contribuente, che intenda sostenere
l'utilizzazione esclusiva e/o prevalente del veicolo per uso
pubblico o privato, fornire la prova di tali circostanze».
Una diversa interpretazione porterebbe a sostenere un
accorgimento (trasformazione del mezzo in camion-vela)
sostanzialmente elusivo (articolo ItaliaOggi Sette
del 04.03.2013). |
TRIBUTI: Veicoli in genere.
Domanda
Per una pubblicità dall'interno della mia autovettura sono
tenuto al pagamento dell'imposta comunale sulla pubblicità?
Risposta
In tema di imposta comunale sulla pubblicità e sulle
pubbliche affissioni (Ip) è principio consolidato e
condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Corte di
cassazione sentenze numero 15654 del 12.08.2004; numero
17852 del 03.09.2004) secondo il quale qualsiasi mezzo
di comunicazione con il pubblico che risulti,
indipendentemente dalla ragione e finalità della sua
adozione, obiettivamente idoneo a far conoscere
indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili
acquirenti e utenti il nome e il prodotto di un'azienda, è
soggetto a imposta sulla pubblicità ai sensi degli articoli
5 e 6 del decreto legislativo numero 507, del 15.11.1993, restando irrilevante che detto mezzo di comunicazione
assolva pure a una funzione reclamistica o propagandistica.
Ora, in tema di pubblicità visiva effettuata per conto
proprio o altrui all'interno e all'esterno di veicoli in
genere, di vetture autofilotranviarie, battelli, barche e
simili, di uso pubblico o privato trova applicazione il
disposto dell'articolo 13 del predetto decreto legislativo
numero 507, del 15.11.1993, che costituisce una
previsione eccezionale rispetto alla generale previsione
dell'articolo 12 del medesimo decreto legislativo.
Ne consegue che, alla luce della normativa vigente, la
pubblicità sui predetti mezzi di trasporto è soggetta al
pagamento della relativa imposta comunale sulla pubblicità e
sulle pubbliche affissioni, con costi inferiori anche
connessi alle differenze di imposta in base alle classi di
appartenenza fra diversi comuni.
Al riguardo si rimanda pure alla sentenza della Corte di
cassazione, sezione tributaria, del 13.04.2012, numero 5858 (articolo ItaliaOggi Sette del
04.03.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA: Parchi eolici.
Domanda
I parchi eolici devono essere accatastati?
Risposta
La Corte di cassazione con la sentenza del
07.02.2012,
depositata il 14.03.2012, ha enunciato il seguente
principio di diritto: «I parchi eolici in quanto
costituiscono una centrale elettrica sono accatastabili
nella categoria D/1 – Opificio e le pale eoliche devono
essere computate ai fini di determinazione della rendita
come lo sono le turbine di una centrale idroelettrica,
poiché le prime, come le seconde, costituiscono una
componente strutturale ed essenziale della centrale stessa,
sicché questa senza quelle non potrebbe più essere
qualificata tale, restando diminuita nella sua funzione
complessiva e unitaria, e incompleta nella sua struttura».
La Corte di cassazione, con la predetta sentenza, ha escluso
che i parchi eolici possano essere accatastati nella
categoria E, di solito attribuita ai beni aventi rilevanza
pubblica, atteso che nelle unità immobiliari censite nelle
categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6, E/9, non
possono essere compresi immobili o porzioni di immobili
destinati a uso commerciale, industriale, a ufficio privato
ovvero a usi diversi, qualora gli stessi presentino
autonomia funzionale e reddituale.
Inoltre dalla normativa comunitaria, di cui alla direttiva
2009/28/Ce, attuata con il decreto legislativo numero 28,
del 2011, che prevede un regime di sostegno per lo sviluppo
della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili,
non prevede una specificità per l'accatastamento degli
impianti suddetti. Pertanto i parchi eolici, anche se
suscettibili di essere qualificati come impianti ecologici,
non possono essere accatastati nella nelle categorie del
gruppo E, attribuita a immobili effettivamente
caratterizzati da una destinazione di rilevante interesse
pubblico e comunque privi di una diretta rilevanza economica (articolo ItaliaOggi Sette del
04.03.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA: Categoria catastale del gruppo E.
Domanda
I parcheggi appartenenti a soggetti privati, gravati, per
obblighi derivanti da convenzioni urbanistiche, da servitù
che ne precludono la possibilità di percepire canoni per il
posteggio delle auto possono essere accatastai nelle
categoria catastali del gruppo E?
Risposta
La Commissione
tributaria provinciale di Perugia, con la sentenza del
02.03.2011, numero 78/01/2011, ha affermato che i parcheggi
che, pur appartenendo a soggetti privati, sono gravati, per
obblighi derivanti da convenzioni urbanistiche, da servitù
che ne precludono la possibilità di percepire canoni per il
posteggio delle auto devono avere la categoria catastale E,
attribuita, anche a prescindere dalla natura del
proprietario, a immobili realmente caratterizzati da una
destinazione dal rilevante interesse pubblico e comunque
privi di una diretta rilevanza economica.
Peraltro, la Corte di cassazione con la sentenza del
07.02.2012, depositata il 14.03.2012, ha ribadito il
principio che: «Nell'ambito delle unità immobiliari
censite nelle categorie catastali del gruppo E non possono
essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati a
uso commerciale o industriale». Infatti, l'articolo 2,
comma 40, del decreto legge numero 262, del 03.10.2006,
convertito dalla legge 24.11.2006, numero 286, dispone che:
«nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali
E/1, E/2; E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi
immobili o porzioni di immobili destinati a uso commerciale,
industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi,
qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e
reddituale» (articolo ItaliaOggi Sette del
04.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Personale e dirigenti degli enti locali. Rimborso spese di
consulenza tecnica di parte.
L'ARAN ha chiarito che l'interpretazione
della locuzione 'ogni onere di difesa' contemplata nelle
clausole contrattuali che disciplinano il patrocinio legale,
può anche consentire di ricomprendere, nel concetto di 'ogni
onere', le spese relative ad eventuali consulenze tecniche
di parte che l'avvocato difensore abbia ritenute necessarie
per la migliore difesa in giudizio del dipendente.
Il Comune ha chiesto se sia possibile procedere al rimborso
spese di consulenza tecnica di parte, a propri dipendenti e
dirigenti, nell'ambito di procedimenti penali, con
riferimento alle vigenti norme contrattuali dei rispettivi
contratti, che disciplinano il patrocinio legale.
Sentito il Servizio organizzazione e relazioni sindacali, si
formulano le seguenti considerazioni.
Preliminarmente si osserva che l'art. 60 del CCRL del
01.08.2002 (area non dirigenti) e l'art. 51 del CCRL del
29.02.2008 (area dirigenti) presentano una formulazione
pressoché identica.
Infatti, in entrambe le richiamate disposizioni contrattuali
si dispone che l'ente, anche a tutela dei propri diritti ed
interessi, ove si verifichi l'apertura di un procedimento di
responsabilità civile o penale [1]
nei confronti di un dipendente/dirigente per fatti o atti
direttamente connessi all'espletamento del servizio (o delle
funzioni attribuite) e all'adempimento dei compiti
d'ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non
sussista conflitto d'interessi, ogni onere di difesa fin
dall'apertura del procedimento, facendo assistere il
dipendente/dirigente da un legale di comune gradimento.
Si precisa, a tal proposito, che l'ARAN [2],
nell'esaminare la locuzione 'ogni onere di difesa' inserita
nella norma contrattuale che disciplina il patrocinio
legale, ha evidenziato di propendere per una lettura
interpretativa che può anche consentire di ricomprendere,
nel concetto di 'ogni onere', le spese relative ad eventuali
consulenze tecniche di parte che l'avvocato difensore,
scelto di comune gradimento, abbia ritenute necessarie per
la migliore difesa in giudizio del dipendente.
Si conferma, pertanto, l'orientamento espresso dallo
scrivente Servizio [3],
in relazione alla disposizione di cui all'art. 67 del d.pr.
268/1987 -un tempo applicabile anche al personale degli enti
locali del Friuli Venezia Giulia- di contenuto
sostanzialmente analogo a quello dell'attuale contrattazione
collettiva regionale.
---------------
[1] Per i dirigenti è contemplata anche la fattispecie
relativa alla responsabilità amministrativa.
[2] Cfr. parere RAL031 - Orientamenti Applicativi,
consultabile sul sito: www.aranagenzia.it. L'Agenzia
nazionale si è espressa in ordine ad una clausola
contrattuale, l'art. 28 del CCNL del 14.09.2000, che
presenta una formulazione analoga a quella contenuta
all'art. 60 del CCRL del 01.08.2002.
[3] Nel parere prot. n. 5078 del 31.03.2003, richiamato dal
Comune istante (01.03.2013 - link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI:
Esclusione dall'appalto? Bisogna rifarsi al DURC.
Domanda
Cosa sono le gravi violazioni che possono portare
all'esclusione da una gara d'appalto?
Risposta
Sono, inequivocabilmente, da considerarsi causa di
esclusione dalle gare di appalto le gravi violazioni alle
norme in materia previdenziale e assistenziale.
La nozione di "violazione grave" non è rimessa alla
valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma deve
farsi discendere dalla disciplina previdenziale, e in
particolare dalle norme che disciplinano il D.U.R.C.
Di conseguenza, la verifica della regolarità contributiva
delle imprese partecipanti a procedure di gara per
l'aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione
è demandata agli istituti di previdenza, le cui
certificazioni (D.U.R.C.) si impongono alle stazioni
appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto (28.02.2013
- tratto da www.ispoa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Parere in merito alla necessità di acquisire
l'autorizzazione paesaggistica per la piantumazione di
alberi di specie autoctona a fini didattici - Riserva
Naturale Regionale Nazzano Tevere-Farfa (Regione Lazio,
parere
27.02.2013 n. 536288 di prot.). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Parere in merito all'esclusione del vincolo paesaggistico di
cui all'art. 142, comma 2, lett. b), del d.lgs. 42/2004 e
alla decadenza del vincolo di piano regolatore a parco
pubblico - Comune di Roccagorga (Regione Lazio,
parere
27.02.2013 n. 563257 di prot.). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Parere in merito alla possibilità di procedere allo stralcio
di un'area facente parte di un piano di lottizzazione
approvato - Comune di Manziana (Regione Lazio,
parere
27.02.2013 n. 500045 di prot.). |
EDILIZIA
PRIVATA: Parere in merito alla possibilità di rilasciare titolo
abilitativo edilizio per completare edifici, con permesso di
costruire scaduto, di cui è stata realizzata la sola
struttura portante, senza tamponatura, in zona agricola -
Comune di Sant'Angelo Romano (Regione Lazio,
parere
27.02.2013 n. 322042 di prot.). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Le spese legali.
DOMANDA:
Lo scrivente ente
ha conferito incarico di patrocino legale ad un avvocato,
determinando preventivamente, con apposito disciplinare
sottoscritto tra le parti, modalità di svolgimento
dell’incarico ed entità del compenso da riconoscersi a
conclusione del procedimento giudiziario.
Con sentenza favorevole il giudice ha accolto l’appello
incidentale del Comune condannando la controparte al
pagamento delle spese processuali a favore dell’ente, e
quantificandole in un importo superiore a quello
inizialmente pattuito tra ente e legale.
Poiché l’avvocato ha chiesto il ristoro a proprio favore
dell’intero importo liquidato dal giudice, si chiede se tale
richiesta possa essere legittimamente accolta, ovvero se al
legale debbano essere liquidate le sole spettanze pattuite
al momento del conferimento dell’incarico.
RISPOSTA:
La Sezione delle
Autonomie della Corte dei Conti, con
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008,
ha effettuato una chiara distinzione tra l’ipotesi della
richiesta di una consulenza, studio o ricerca, destinata
sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto a
quella della rappresentanza e del patrocinio giudiziale,
applicandosi alla prima ipotesi, ma non alla seconda, la
normativa in materia di incarichi di cui al D.Lgs. n.
165/2001 (a norma della quale il compenso è quello pattuito
nella lettera di incarico).
Come rileva la stessa Sezione delle Autonomie con la citata
delibera, concettualmente distinto rimane il patrocinio
giudiziale, disciplinato dalle norme del codice di rito e da
quelle che disciplinano la professione forense. E' utile
ricordare che il D.M. 140/2012 ha abolito le tariffe forensi
e regolato la disciplina del contratto tra cliente e
avvocato. Il compenso va determinato per iscritto in una
apposita scrittura privata, che segue il preventivo di
massima.
Il contratto scritto produce effetti vincolanti (nei
rapporti avvocato-cliente) per la determinazione del
compenso da parte del giudice, e può rappresentare un punto
di riferimento per la determinazione, sempre giudiziale,
delle spese di soccombenza. A quest’ultimo proposito va
ricordato che non potendosi più elaborare una nota spese da
produrre al giudice, è opportuno produrre copia del
contratto, previa prudenziale autorizzazione del cliente. Il
giudice, nella liquidazione delle spese, potrà tenere conto
del livello del compenso pattuito documentato con il
contratto stesso.
Il modello di contratto ricavabile dal decreto ministeriale
stabilisce -nel caso in cui, all’esito della causa, il
giudice riconosca alla parte vittoriosa il recupero delle
spese legali in misura inferiore a quella pattuita dal
cliente con il proprio legale- la prevalenza dell’accordo
rispetto alla liquidazione del giudice: in questo caso, la
parte eccedente rimane a carico del cliente.
Al contrario, e per quanto interessa nel caso di specie, se
il giudice dovesse liquidare a carico della controparte una
soccombenza più alta rispetto a quanto pattuito nel
contratto di patrocinio, il modello di contratto attribuisce
all’avvocato il maggiore importo stabilito dal Giudice (27.02.2013
- tratto da www.ancirisponde.ancitel.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Personale degli enti locali. Congedo straordinario ex art.
42, comma 5, del d.lgs. 151/2001.
L'art. 42, comma 5, del d.lgs. 151/2001,
ai fini della fruizione del congedo straordinario ivi
previsto, trova applicazione esclusivamente nei confronti
dei soggetti ivi indicati (familiari e parenti
dell'interessato con handicap grave); di tale diritto non
può invece beneficiare lo stesso assistito.
Il Comune ha chiesto di conoscere se sia possibile
accogliere la richiesta, per se stesso, di un dipendente con
handicap grave, volta ad ottenere la fruizione di un periodo
di congedo straordinario ex art. 42, comma 5, del d.lgs.
151/2001. L'Ente manifesta in proposito forti perplessità,
atteso che dall'esame della normativa vigente che disciplina
la materia, non risulta che il beneficiario del predetto
congedo possa essere lo stesso soggetto con handicap in
situazione di gravità.
Nel confermare i dubbi espressi dall'Amministrazione
istante, si formulano le seguenti considerazioni.
L'art. 42, comma 5, del d.lgs. 151/2001 nell'attuale
formulazione ha recepito le indicazioni della Corte
costituzionale che si è pronunciata con più sentenze sulla
materia. Nello specifico, il diritto a fruire del congedo di
cui all'art. 4, comma 2, della l. 53/2000
[1], viene
riconosciuto prioritariamente in capo al coniuge convivente
del soggetto con handicap in situazione di gravità e, solo
in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie
invalidanti del titolare prioritario del diritto, può essere
riconosciuto agli altri soggetti legittimati alla fruizione,
secondo un ordine di priorità ben preciso (dopo il coniuge,
il padre o la madre, anche adottivi, il figlio convivente, i
fratelli e le sorelle).
La richiamata disposizione, pertanto, da un lato recepisce
il dettato della Corte costituzionale [2],
che aveva sancito l'illegittimità del comma 5 dell'art. 42
in esame, laddove non prevedeva per il coniuge convivente
con soggetto con handicap grave, in via prioritaria rispetto
agli altri congiunti, il diritto a fruire del congedo
biennale e, dall'altro, mette ordine tra le diverse sentenze
della Consulta che, a più riprese, avevano allargato il
novero dei soggetti legittimati ad usufruire del congedo.
Nel dettato della Corte, infatti, il diritto ad usufruire
del congedo da parte di uno dei fratelli o delle sorelle
conviventi con soggetto con handicap, era subordinato
all'ipotesi in cui i genitori fossero impossibilitati a
provvedere all'assistenza del figlio perché totalmente
inabili, mentre il figlio convivente era legittimato ad
usufruirne solo in assenza di altri soggetti idonei a
prendersi cura della persona in situazione di disabilità
grave [3].
La genericità del pronunciamento della Consulta poteva
lasciare dubbi interpretativi su come valutare la totale
inabilità dei genitori o la non idoneità di altri soggetti e
si traduceva, di fatto, nella previsione di una pluralità di
soggetti legittimati ad usufruire del congedo.
Con la norma novellata invece si stabilisce un preciso
ordine di priorità fra i soggetti legittimati e si
esplicitano le circostanze (mancanza, decesso, presenza di
patologie invalidanti) in presenza delle quali il diritto,
non potendo essere esercitato dall'avente titolo, viene
riconosciuto in capo al soggetto che si trova nella
posizione immediatamente successiva in una sorta di 'ordine
gerarchico'.
Quanto alle nozioni di 'mancanza' e 'patologie
invalidanti', il Dipartimento della funzione pubblica ha
già chiarito con la circolare n. 13/2010 quali situazioni
possano esser ricondotte al concetto di assenza e quali
siano i riferimenti normativi per l'individuazione delle
patologie invalidanti [4]
.
Sia il Dipartimento della funzione pubblica
[5], che
l'INPS [6],
hanno chiarito diffusamente quali siano i soggetti
legittimati alla fruizione del congedo straordinario in
argomento.
In particolare, al punto 8. Ambito di applicazione, della
circolare INPS, si fa riferimento espresso a 'domande
pervenute da genitori, figli e fratelli di soggetti disabili
in situazione di gravità (...) per l'assistenza allo stesso
soggetto con disabilità grave'.
Pertanto, alla luce della normativa vigente e dei
chiarimenti interpretativi sopra esposti, non si ritiene
possibile che il lavoratore disabile possa usufruire, per se
stesso, del congedo straordinario disciplinato dall'art. 42,
comma 5, del d.lgs. 151/2001 [7].
Si rammenta da ultimo che, a mente di quanto disposto
dall'art. 33, comma 6, della l. 104/1992, la persona
handicappata maggiorenne in situazione di gravità può
usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e
3 del medesimo articolo, cioè o di due ore di permesso
giornaliero retribuito o di tre giorni di permesso mensile
retribuito.
---------------
[1] In virtù di detta norma, i dipendenti pubblici o
privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi
familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del
comma 4 del medesimo articolo, un periodo di congedo,
continuativo o frazionato, non superiore a due anni.
[2] Cfr. sentenza 08-16.06.2005, n. 233.
[3] Cfr. Corte costituzionale, sentenza 18.04-08.05.2007, n.
158.
[4] Si tratta delle patologie indicate nell'art. 2, comma 1,
lett. d), del decreto interministeriale n. 278 del 2000.
[5] Cfr. circolare 03.03.2012, n. 1.
[6] Cfr. circolare n. 32/2012.
[7] Cfr. Agevolazioni lavorative - Congedo straordinario
retribuito (D.Lgs. 151/2001). Presupposti oggettivi per il
riconoscimento, consultabile in: www.superabile.it. (INAIL -
Contact Center integrato per la disabilità) (22.02.2013 - link a
www.regione.fvg.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Mobilità ''volontaria'', quando può essere revocata.
Domanda
Un Ente che ha
rilasciato il nulla osta al trasferimento per mobilità al
dipendente, e lo ha comunicato all'altro Ente, può
revocarlo?
Risposta
La "mobilità
volontaria" è una particolare fattispecie di "cessione
del contratto", mediante la quale è consentito ai
dipendenti pubblici il "passaggio diretto tra
amministrazioni diverse", ossia il trasferimento da
un'amministrazione ad altra amministrazione, previo
espletamento di una procedura ad evidenza pubblica per
individuare il lavoratore da acquisire in mobilità. Infatti,
l'istituto della "mobilità volontaria" altro non è
che una fattispecie di cessione del contratto; a sua volta,
la cessione del contratto è un negozio tipico disciplinato
dal codice civile (artt. 1406-1410) (Corte Costituzionale
03-12.11.2010, n. 324). Si è, pertanto, in materia di
rapporti di diritto privato.
Le normative di riferimento dell'istituto sono:
- l'art. 30 del D.Lgs. 30-03-2001, n. 165: "Le
amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico
mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti
appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre
amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le
amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le
disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso
passaggio diretto di personale da altre amministrazioni,
fissando preventivamente i criteri di scelta. Il
trasferimento è disposto previo parere favorevole dei
dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il
personale è o sarà assegnato sulla base della
professionalità in possesso del dipendente in relazione al
posto ricoperto o da ricoprire (omissis). Le
amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di
procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti
vacanti in organico, devono attivare le procedure di
mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria,
all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre
amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo,
appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano
domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in
cui prestano servizio. Il trasferimento è disposto, nei
limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell'area
funzionale e posizione economica corrispondente a quella
posseduta presso le amministrazioni di provenienza; il
trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia
presente in area diversa da quella di inquadramento
assicurando la necessaria neutralità finanziaria".
- l'art. 1406 del codice civile: "Ciascuna parte può
sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un
contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono
state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta";
- l'art. 1408 del codice civile: "Il cedente è liberato
dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto dal
momento in cui la sostituzione diviene efficace nei
confronti di questo. Tuttavia il contraente ceduto, se ha
dichiarato di non liberare il cedente, può agire contro di
lui qualora il cessionario non adempia le obbligazioni
assunte. Nel caso previsto dal comma precedente, il
contraente ceduto deve dare notizia al cedente
dell'inadempimento del cessionario, entro quindici giorni da
quello in cui l'inadempimento si è verificato; in mancanza è
tenuto al risarcimento del danno".
Ad avviso dello scrivente, premesso che qualora il
preventivo assenso incondizionato abbia già dato luogo al
perfezionamento della cessione del contratto di lavoro, con
immissione in ruolo del dipendente interessato, non è più
possibile esercitare alcuna revoca, la problematica esposta
importa la seguente situazione: la posizione giuridica del
lavoratore interessato e della Amministrazione cessionaria,
con il preventivo consenso incondizionato, espresso
dall'Amministrazione cedente, si eleva da mero "interesse
di fatto" ad "interesse legittimo" nei confronti
di quest'ultima.
Quindi, mentre il caso di una procedura di mobilità
conclusasi con l'individuazione di un soggetto idoneo, senza
acquisizione del preventivo nulla-osta dell'amministrazione
di provenienza, non implica alcun obbligo da parte di
quest'ultima Amministrazione di motivare il provvedimento di
diniego, nel caso esposto nel quesito l'Amministrazione, che
aveva già espresso il suo preventivo incondizionato assenso
alla mobilità, dovrà necessariamente adottare un atto di
revoca in autotutela, motivando dettagliatamente le ragioni
di interesse pubblico (intervenute evidentemente in un
momento successivo all'espressione del consenso) che
prevalgano sull'interesse legittimo del lavoratore ad essere
trasferito (21.02.2013 - tratto da www.ipsoa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Personale degli enti locali. Incompatibilità attività svolta
da dipendente.
Per i dipendenti con rapporto di lavoro
a part-time al 50%, la possibilità di svolgere un'altra
attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma,
anche mediante l'iscrizione ad albi professionali, è
subordinata all'insussistenza di conflitti d'interesse con
l'attività lavorativa svolta presso l'ente di appartenenza.
L'Ente ha chiesto un parere in ordine alla compatibilità tra
l'attività svolta da un dipendente, geometra di categoria C,
istruttore tecnico a tempo indeterminato, part-time al 50%,
assegnato all'Ufficio tecnico in qualità di istruttore di
pratiche edilizie, e l'attività svolta dal medesimo in
qualità di agente di affari in mediazione (libero
professionista, iscritto all'albo dei mediatori in affari
immobiliari e titolare della propria agenzia).
L'Ente precisa che l'agenzia immobiliare di cui è unico
titolare il dipendente si trova in un comune limitrofo, ma
che l'attività di intermediazione interessa comunque anche
la compravendita e/o locazione di immobili siti nel
territorio comunale. Alla luce di un tanto,
l'Amministrazione si è posta la questione se, in base alla
normativa vigente, si possa considerare esistente l'ipotesi
di conflitto di interesse, in relazione alla specifica
attività svolta all'interno del Comune.
Preliminarmente, si osserva che esula dalle competenze dello
scrivente Servizio fornire valutazioni in concreto su
specifiche questioni sottoposte dagli enti, avendo questa
struttura come finalità la prestazione di attività di
consulenza consistente nell'indicazione del quadro
normativo, giurisprudenziale e dottrinale, in base al quale
l'amministrazione locale possa assumere le determinazioni
rientranti nella propria autonomia decisionale.
Infatti, entrare nel merito delle singole problematiche
comporterebbe un coinvolgimento diretto di questo Servizio
nell'amministrazione attiva, di competenza esclusiva
dell'Ente interessato.
Pertanto, si rimettono alla valutazione di codesto Comune le
considerazioni che seguono, come utile contributo da cui, in
base agli elementi di fatto posseduti ed in relazione alla
concreta situazione, l'Ente potrà trarre le debite
conclusioni.
Premesso un tanto, si osserva che il rapporto di lavoro a
part-time non superiore al 50% rileva quale istituto idoneo
ad attenuare il dovere di esclusività posto a carico del
pubblico dipendente, ogni qualvolta questi intenda svolgere
attività per le quali vige una situazione di incompatibilità
assoluta.
Nello specifico, il riferimento alla tipologia di rapporto a
part-time è contenuto all'art. 1, comma 58, della l.
662/1996, all'art. 53, commi 1 e 6, del d.lgs. 165/2001,
nonché, in relazione alla contrattazione collettiva
regionale di comparto, all'art. 4, comma 7 e successivi, del
CCRL del 25.07.2001.
Scopo della normativa sul part-time è la facilitazione e
l'incentivazione del passaggio dal contratto a tempo pieno
al contratto a tempo parziale, rendendolo più vantaggioso
rispetto al previgente assetto normativo, perché cumulabile
con una seconda attività lavorativa, di tipo subordinato,
autonomo o libero-professionale.
Esaminata quindi la ratio del part-time, è evidente
che il ricorso a detto istituto ha attenuato il principio di
esclusività posto a carico del pubblico dipendente,
principio sancito in termini assoluti dall'art. 60 del
d.p.r. 3/1957, quanto meno in relazione all'elemento del
raffronto quantitativo fra la prestazione di lavoro
dipendente e l'attività concomitante.
Con la previsione di consentire, al dipendente con una
determinata tipologia di rapporto di lavoro a tempo
parziale, di svolgere un'attività lavorativa o
libero-professionale è, pertanto, caduto definitivamente
l'ostacolo fondato sulla considerazione che il cumulo di
attività lavorative non permetterebbe al pubblico dipendente
di dedicare la parte preponderante delle proprie energie
lavorative al disimpegno dei propri compiti di ufficio, con
conseguente detrimento del buon andamento dell'attività
amministrativa.
In questo modo, il divieto generalizzato previsto dall'art.
60 del d.p.r. 3/1957, che preclude al dipendente pubblico di
esercitare 'il commercio, l'industria, né alcuna
professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o
accettare cariche in società costituite a fine di lucro',
espressione di un principio generale dell'ordinamento, è
ragionevolmente derogato quando la prestazione lavorativa
non eccede la metà del debito orario normalmente previsto.
Si rappresenta comunque che la riduzione quantitativa della
prestazione lavorativa, nei limiti suddetti, è condizione
necessaria, ma non sufficiente a rendere lecito l'esercizio
di un'attività concomitante altrimenti vietata in modo
tassativo.
L'attività concomitante, infatti, deve rivestire comunque un
contenuto tale da non configurare conflitto di interessi con
l'attività svolta presso l'ente di appartenenza. In buona
sostanza, deve trattarsi di attività non incompatibile, che
non arrechi nocumento al buon andamento ed all'imparzialità
dell'azione amministrativa, ovvero al prestigio e
all'immagine dell'amministrazione.
Esaminando la disciplina contrattuale di riferimento, si può
notare, parimenti a quanto disposto dall'art. 1, comma 58,
della l. 662/1196, che l'art. 4, comma 4, del CCRL del
25.07.2001 prevede che, nella domanda di trasformazione del
rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, deve essere
indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o
autonomo che il dipendente intende svolgere.
Il successivo comma 7 prevede inoltre che i dipendenti con
rapporto di lavoro a tempo parziale, qualora la prestazione
lavorativa non sia superiore al 50% di quella a tempo pieno,
nel rispetto delle vigenti norme sulle incompatibilità,
possono svolgere un'altra attività lavorativa e
professionale, subordinata o autonoma, anche mediante
l'iscrizione ad albi professionali.
Il comma 8 dell'articolo in argomento precisa altresì che
gli enti, ferma restando la valutazione in concreto dei
singoli casi, sono tenuti ad individuare le attività che, in
ragione della interferenza con i compiti istituzionali, non
sono comunque consentite ai dipendenti.
Il comma 9 dispone che, nel caso di verificata sussistenza
di un conflitto di interessi tra l'attività esterna del
dipendente -sia subordinata che autonoma- e la specifica
attività di servizio, l'ente nega la trasformazione del
rapporto a tempo parziale.
Da ultimo il comma 10 specifica che il dipendente è tenuto a
comunicare, entro quindici giorni, all'ente nel quale presta
servizio l'eventuale successivo inizio o la variazione
dell'attività lavorativa esterna.
Da tutto ciò consegue che sul dipendente pubblico incombe
l'obbligo giuridico di fornire indicazioni non generiche
sulle condizioni di svolgimento delle attività ulteriori che
intende effettuare, ponendo l'amministrazione di
appartenenza nella concreta e piena condizione di poter
effettuare il proprio apprezzamento in ordine alla
sussistenza o meno di una situazione di conflitto di
interessi, e quindi di autorizzare o meno la possibilità di
svolgere tale seconda attività.
Come peraltro rappresentato dall'ANCI [1],
non è agevole, in astratto, esprimere un parere sul
conflitto di interesse delle fattispecie rappresentate dai
rispettivi enti locali. Infatti, il conflitto di interesse
deve essere verificato, nel concreto, dal singolo ente, in
base agli elementi di giudizio e valutazione in suo
possesso.
E' chiaro che la verifica della sussistenza o meno del
conflitto di interesse deve riguardare le effettive funzioni
svolte dal dipendente interessato all'interno
dell'amministrazione di appartenenza e quelle derivanti
dalla natura specifica dell'attività esterna.
Si evidenzia, in merito, che la Corte costituzionale
[2] si è
riferita, ai fini della configurazione di un conflitto di
interessi, 'alla specifica attività di servizio svolta dal
dipendente' e la Suprema Corte [3]
ha rilevato come il dipendente pubblico debba mantenere
comunque 'una posizione di indipendenza, al fine di
evitare di prendere decisioni o svolgere attività inerenti
alle sue mansioni in situazioni, anche solo apparenti, di
conflitto di interessi; ciò non solo per evitare situazioni
e comportamenti che possano nuocere agli interessi della
pubblica amministrazione, ma anche per salvaguardarne
l'immagine'.
In sostanza, per la configurazione di un conflitto di
interessi, è necessario far riferimento alle possibili
decisioni o attività che il dipendente sia chiamato ad
adottare o compiere in concreto nello svolgimento delle
proprie funzioni istituzionali presso l'amministrazione di
appartenenza.
--------------
[1] Cfr. pareri dell'01.12.2006, del 03.04.2007,
dell'11.02.2008 e dell'01.12.2010.
[2] Cfr. sentenza n. 390 del 2006.
[3] Cfr. Corte di cassazione, sez. lavoro, sentenza n. 5113
del 2010. Nella fattispecie si esaminava il caso di un
licenziamento per giusta causa di un dirigente che non aveva
segnalato l'insorgere di una situazione di conflitto di
interessi relativa ad un dipendente (20.02.2013 - link a
www.regione.fvg.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Soppressione Commissioni provinciali di vigilanza sui locali
di pubblico spettacolo.
In applicazione dell'art. 12, comma 20,
del D.L. 95/2012, è prevista la soppressione delle
Commissioni provinciali di vigilanza sui locali di pubblico
spettacolo, come confermato dalla Circolare del Ministero
dell'Interno prot. 557/PAS del 21.09.2012.
Come affermato dallo stesso Ministero, in attesa degli
auspicati indirizzi interpretativi, non risulta possibile al
momento individuare quali siano gli uffici competenti ad
assicurare il prosieguo dell'attività esercitata da dette
Commissioni.
L'Ente istante, considerata la previsione della soppressione
della Commissione provinciale di vigilanza sui locali di
pubblico spettacolo, ai sensi dell'art. 12, comma 20, del
D.L. 06.07.2012, n. 95 [1],
chiede un parere in merito all'individuazione dell'ufficio
titolare delle funzioni già esercitate da tale organismo.
Premesso che spetta esclusivamente ai competenti uffici
statali formulare indicazioni in ordine all'applicazione
delle norme in esame, si esprimono le seguenti
considerazioni di carattere generale.
L'art. 12, comma 20, del D.L. 95/2012, stabilisce che le
attività svolte dagli organismi collegiali -operanti presso
le pubbliche amministrazioni in regime di proroga, ai sensi
dell'art. 68, comma 2, del decreto legge 25.06.2008, n. 112
[2]- sono
definitivamente trasferite ai competenti uffici delle
amministrazioni nell'ambito delle quali essi operano.
In applicazione di tale disposizione, è prevista pertanto la
soppressione delle Commissioni provinciali sui locali di
pubblico spettacolo [3],
come confermato dalla Circolare prot. 557/PAS del 21.09.2012
del Ministero dell'Interno riportata dal Comune istante.
Tale circolare, però, non ha dissipato i dubbi riguardo
all'individuazione degli uffici destinatari delle competenze
della Commissione in argomento. Il Ministero giustifica tale
incertezza motivando che: 'Lo scrivente, al momento, non
può che fare riserva di ulteriori seguiti, nelle more della
messa a punto di indirizzi interpretativi unitari e
condivisi da parte di tutti gli uffici interessati'.
Nella circolare viene, inoltre, auspicato che vengano
definite le modalità applicative della nuova disposizione di
legge nonché le procedure che regoleranno il funzionamento
degli uffici destinatari dell'attività trasferita, in modo
tale da assicurarne l'efficacia giuridica e l'affidabilità
sostanziale, pur in mancanza delle competenze tecniche
specialistiche che i membri della commissione soppressa
potevano assicurare [4].
Dalla lettura delle norme in esame e, in particolare, della
previsione secondo cui 'le attività svolte dagli
organismi stessi sono definitivamente trasferite ai
competenti uffici delle amministrazioni nell'ambito delle
quali operano', si desume che le funzioni, in precedenza
esercitate dalla Commissione provinciale, rimangano di
pertinenza statale, spettando agli uffici maggiormente
competenti istituiti dallo Stato, analogamente a quanto
previsto per gli enti locali dall'art. 96 del TUEL in
relazione ai soppressi organi collegiali costituiti presso
gli stessi.
Come già affermato dal Ministero dell'Interno nella citata
circolare, in attesa degli auspicati indirizzi
intrepretativi, non risulta però possibile al momento
individuare quali siano tali uffici competenti ad assicurare
le attività precedentemente esercitate dalle Commissioni
provinciali [5].
---------------
[1] Convertito, con modificazioni, dalla legge 07.08.2012,
n. 135.
[2] Convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008,
n. 112.
[3] Pur essendo dislocate territorialmente su base locale,
le Commissioni provinciali di vigilanza sui locali di
pubblico spettacolo erano organismi periferici ministeriali,
istituite presso le Prefetture.
[4] La Commissione provinciale di vigilanza, nominata ogni
tre anni dal Prefetto, era composta: dal Prefetto o dal Vice
Prefetto con funzioni vicarie, dal Questore o dal vice
Questore con funzioni vicarie, dal Sindaco del comune in cui
si trova o deve essere realizzato il locale o impianto o da
un suo delegato, dal dirigente medico dell'organo sanitario
pubblico di base competente per territorio o da un medico
dallo stesso delegato, da un ingegnere dell'organismo che,
per disposizione regionale, svolge le funzioni del genio
civile, dal comandante provinciale dei Vigili del fuoco o
suo delegato, da un esperto in elettrotecnica.
[5] E' stato osservato che la Commissione provinciale non
era più, a seguito della riforma operata dal D.P.R.
28.05.2001, n. 311, l'organo competente alla verifica di
incolumità, fatta eccezione per le competenze specifiche
indicate dall'art. 143 del R.D. 06.05.1940, n. 635. La
riforma suddetta aveva, infatti, imposto la costituzione
delle Commissioni comunali di vigilanza, anche in forma
sovra-comunale, lasciando il ricorso alla commissione
provinciale per i soli casi di non operatività di quella
comunale (v. 'La soppressione delle Commissioni provinciali
di vigilanza', di Vincenzo Staiano, su 'Commercio & Attività
produttive', n. 11/2012) (20.02.2013 - link a
www.regione.fvg.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
OGGETTO: Richiesta di parere in ordine all’accessibilità ad
atti propedeutici e connessi a procedimento penale pendente.
Codesto Comando, con nota del 28.9.2011, ha chiesto alla
Commissione l’indicazione di linee guida da seguire nella
valutazione e trattazione di istanze di accesso formulate e
motivate analogamente all’istanza di accesso del Gen. B. (aus.)
... (istanza in un primo tempo rigettata e,
a seguito di una successiva precisazione della stessa, su
invito di codesto Comando, accolta).
Ad avviso della Commissione ben aveva fatto
l’Amministrazione a rigettare l’originaria istanza di
accesso del ..., in ragione della sua
genericità, giacché il riferimento agli atti propedeutici e
connessi al procedimento penale pendente nei suoi confronti
non consentiva di individuare con la dovuta precisione i
documenti in relazione ai quali veniva esercitato il diritto
di accesso, in ragione della vaghezza delle nozioni di
“connessione” e di “propedeuticità”.
Non appare condivisibile, invece, il rilievo circa la
mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza in capo
all’accedente di un interesse tale da legittimare l’accesso,
ex art. 22 della legge n. 241/1990, qualora si tratti - come
nel caso del Gen. ...- di un accesso
cosiddetto endoprocedimentale, vale a dire avente ad oggetto
atti inerenti ad un procedimento amministrativo destinato a
concludersi con un atto/o provvedimento incidente nella
sfera giuridica dell’accedente, come è desumibile
dall’istanza di accesso del ..., datata
13.06.2011, in cui si fa riferimento ad atti istruttori e
valutativi (posti in essere dall’ufficio personale ed
eventualmente da altri uffici di codesto Comando)
propedeutici all’invio della denuncia alla Procura militare
da cui era scaturito il procedimento penale pendente nei
suoi confronti.
In casi del genere il diritto di accesso spetta
all’accedente, indipendentemente dalla sussistenza dei
requisiti di legittimazione di cui all’art. 22 della legge
n. 241/1990, in virtù del combinato disposto degli articoli
7 e 10 della legge n. 241/1990
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per
l'accesso ai documenti amministrativi,
risposta del Plenum in seduta dell'08.11.2011 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
OGGETTO: Richiesta di parere circa la natura giuridica delle
video ispezioni ai fini dell’esercizio del diritto di
accesso.
L’istante, società per azioni a totale capitale pubblico
costituita ex art. 113 TUEL per la gestione di servizi locali
(acqua, gas, energia elettrica, etc.), ha chiesto di
conoscere se anche le ispezioni eseguite mediante
videoriprese sugli impianti della rete fognaria, di sua
proprietà e/o affidati in gestione, possano essere
considerate “documento amministrativo” ai sensi della legge
n 241/1990 e come tali se siano accessibili o meno.
La Commissione osserva che l'art. 22, co. 1, lett. d), legge
n. 241/1990 definisce "documento amministrativo", ogni
rappresentazione grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto
di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico
procedimento, detenuti da una Pubblica amministrazione e
concernenti attività di pubblico interesse,
indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica
della loro disciplina sostanziale.
La disposizione, pertanto, individua le forme in cui può
manifestarsi un atto amministrativo, e cioè non solo su
supporto cartaceo ma anche magnetico e video.
Nella specie, così come il documento cartaceo è il risultato
di un atto di conoscenza o volontà del funzionario o
impiegato che materialmente lo ha formato e lo ha inserito
nella “pratica”, così le videoriprese -in particolare
inerenti le ispezioni eseguite su impianti fognari gestititi
da una società a partecipazione pubblica- sono il risultato
di un’operazione paragonabile alla compilazione di un
documento, a monte del quale, tuttavia, è sempre un atto di
conoscenza o volontà di un funzionario o impiegato pubblici.
Appare, quindi, indubbio che la video ispezione costituisce
in sé un documento amministrativo cui dare accesso, fermo
restando il rigoroso rispetto dei limiti normativi in tema
di riservatezza e segreto relativi agli interessi
industriali e aziendali che, di volta in volta,
l’amministrazione dovesse individuare
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per
l'accesso ai documenti amministrativi,
risposta del Plenum in seduta dell'08.11.2011 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
OGGETTO: Richiesta di parere sul diritto di accesso agli
esposti ex art. 1 TULPS.
Un commissariato di P.S. ha chiesto a questa Commissione un
parere sull’accessibilità di un esposto di un privato che
aveva innescato un procedimento per la bonaria composizione
dei dissidi privati ex art. 1 TULPS.
La Commissione ribadisce il costante orientamento secondo
cui nel sistema delineato dalla legge 07.08.1990, n. 241
e ss. mm., ispirato ai principi della trasparenza, del
diritto di difesa e della dialettica democratica -nell'ambito dell'ordinamento giuridico generale che non
riconosce il diritto all'anonimato di colui che rende una
dichiarazione a carico di terzi- ogni soggetto deve poter
conoscere con precisione i contenuti e gli autori di
segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno,
possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento
ispettivo, di controllo o sanzionatorio nei suoi confronti,
non potendo in proposito la Pubblica Amministrazione
procedente opporre all’interessato esigenze di riservatezza
(così TAR Lombardia Brescia, sez. I, 29.10.2008, n.
1469, nello stesso senso cfr., Cons. Stato, Sez. V 19.05.2009
n 3081; Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n.
5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n.
1699).
Alla luce di tale orientamento, non pare che possa essere
esclusa l'ostensione dell’esposto (di cui peraltro risulta
già data lettura alla controparte), non potendo essere
considerato un fatto circoscritto al solo autore o al
Commissariato di PS competente al suo esame ai fini
dell'apertura del procedimento di composizione bonaria,
riguardando direttamente anche i soggetti "denunciati",
fatti comunque salvi i limiti previsti all’accesso per casi
di dati sensibili o supersensibili ex art. 24, comma 7, legge n.
241/1990 (Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta dell'08.11.2011 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
OGGETTO: Richiesta di parere concernente il diritto di
accesso dei consiglieri comunali di minoranza.
Un consigliere comunale ha chiesto parere in ordine alla
legittimità del Regolamento per il diritto di accesso agli
atti, approvato con delibera consiliare n. 17 del 13.7.2011,
ritenendo in particolare che l’art. 22 della disciplina
avrebbe leso le prerogative in materia di accesso stabilite
per i consiglieri comunali, secondo quanto previsto dall’art.
43 TUEL.
Lamenta, in particolare, per quanto rileva in questa sede,
che:
1. “…La richiesta di accesso ai documenti deve essere
redatta in modo preciso, circostanziato e puntuale, tale da
consentire l’individuazione esatta del documento su cui si
intende esercitare il diritto di accesso”;
2. “Non sono ammesse istanze di accesso ripetitive nel
tempo..”
3. “Nel caso di documenti particolarmente corposi o
complessi è possibile il rilascio di estratti limitati a
quanto richiesto dal consigliere…per i casi di cui al comma
precedente è possibile, previo accordo con il consigliere
richiedente, procedere al rilascio su supporto informatico,
compatibilmente con le risorse e le tecnologie in possesso
dell’ente”;
4. “…Le copie rilasciate su supporto cartaceo riporteranno
in sovraimpressione la dicitura “copia rilasciata al
Consigliere Comunale ai sensi dell’art. 43, comma 2, d.lgs. n
267/2000 per l’espletamento del mandato elettivo”.
Preliminarmente, la Commissione rileva che il regolamento
Comunale non risulta a suo tempo trasmesso a questa
Commissione, in contrasto con quanto stabilito dal dPR 12.04.2006 n. 184, art. 11, commi 1 e 3. Si segnala
pertanto l’esigenza che a ciò venga provveduto.
In generale, l’art. 43 del TUEL che riconosce ai consiglieri
comunali e provinciali il “diritto di ottenere dagli uffici,
rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle
loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le
informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del
proprio mandato”.
Dal contenuto della citata norma si evince il riconoscimento
in capo al consigliere comunale di un diritto pieno e non
comprimibile “all’informazione” dal contenuto più ampio
rispetto sia al diritto di accesso ai documenti
amministrativi attribuito al cittadino nei confronti del
Comune di residenza (art. 10 del TUEL) sia, più in generale,
nei confronti della P.A. quale disciplinato dalla legge n.
241/1990.
Da ciò conseguono, quale corollario, una serie di principi
informatori di tale diritto:
a) il consigliere non è tenuto a corredare la richiesta di
accesso di altra motivazione che non sia quella inerente
all'esercizio del mandato perché diversamente gli organi di
amministrazione sarebbero arbitri di stabilire essi stessi
l’estensione del controllo sul loro operato (Consiglio di
Stato, Sez. V, sentenza n. 7900/2004).
Ciò, tuttavia, non
esclude il rispetto di alcune forme e modalità di esercizio:
oltre alla necessità che l’interessato alleghi la sua
qualità, resta l’esigenza che le istanze siano formulate in
maniera specifica e dettagliata, recando l’esatta
indicazione degli estremi identificativi degli atti e
documenti o, qualora siano ignoti tali estremi, almeno degli
elementi che consentano l’individuazione dell’oggetto
dell’accesso (tra le molte, in tal senso, TAR Cagliari
Sardegna n. 32 del 16.01.2008; C.d.S., Sez. V, n. 4471
del 02.09.2005 e n. 6293 del 13.11.2002);
b) al consigliere comunale e provinciale non può essere
opposto alcun diniego -salvi i casi in cui l’accesso sia
piegato ad esigenze meramente personali, al perseguimento di
finalità emulative o che comunque aggravino eccessivamente,
al di là dei limiti di proporzionalità e ragionevolezza, la
corretta funzionalità amministrativa- fermo restando che la
sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e
approfonditamente vagliata in concreto al fine di non
introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al
diritto stesso - determinandosi altrimenti un illegittimo
ostacolo al concreto esercizio della sua funzione, che è
quella di verificare che il Sindaco e la Giunta municipale
esercitino correttamente la loro funzione (arg ex Cons.
Stato, 29.08.2011 n. 4829; Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.09.2005, n. 4471);
c) il diritto di accesso del consigliere comunale non può
subire compressioni per pretese esigenze di natura
burocratica dell’Ente, tali da ostacolare l’esercizio del
suo mandato istituzionale, con l’unico limite di poter
esaudire la richiesta (qualora essa sia di una certa
gravosità sia organizzativa che economica per gli uffici
comunali) secondo i tempi necessari per non determinare
interruzione alle altre attività di tipo corrente (cfr., fra
le molte, Cons. Stato, sez. V, 22.05.2007 n. 929).
Rientrerà
nelle facoltà del responsabile del procedimento dilazionare
opportunamente nel tempo il rilascio delle copie richieste,
al fine di contemperare tale adempimento straordinario con
l’esigenza di assicurare il normale funzionamento
dell’attività ordinaria degli uffici comunali, ma giammai
potrà essere negato l’accesso. Inoltre, non può essere
giustificato un diniego di accesso con l'impossibilità di
rilasciare l'eccessiva documentazione richiesta, in quanto è
obbligo dell'amministrazione di dotarsi di un apparato
burocratico in grado di soddisfare gli adempimenti di
propria competenza (cfr. TAR Veneto Venezia Sez. I Sent.,
15-02-2008, n. 385).
Proprio al fine di evitare che le
continue richieste di accesso si trasformino in un aggravio
della ordinaria attività amministrativa dell’ente locale, la
Commissione per l’accesso ha riconosciuto la possibilità per
il consigliere comunale di avere accesso diretto al sistema
informatico interno (anche contabile) dell’ente attraverso
l’uso di password di servizio e, più recentemente, anche al
protocollo informatico.
Alla luce di quanto sopra, in relazione alle specifiche
segnalazioni dell’istante, si fa presente che:
sub 1) l’obbligo di redigere la richiesta di accesso “in
modo preciso, circostanziato e puntuale”, oltre ad essere
palesemente in contrasto con la prima parte della
disposizione (che ritiene comunque sufficiente l’indicazione
degli elementi essenziali dell’atto), appare di dubbia
legittimità essendo sufficiente l’indicazione di elementi
che consenta modi individuare i documenti;
sub 2) l’inammissibilità delle istanze di accesso
“ripetitive nel tempo”, pur nella indeterminatezza della
formulazione regolamentare, di per sé non costituisce un
limite alle prerogative del consigliere, dovendosi valutare
di volta in volta se le istanze di accesso siano
irragionevoli o sproporzionate e come tali se abbiano o meno
aggravato gli uffici pregiudicandone la funzionalità;
sub 3) le previsioni del rilascio di “estratti di documenti”
corposi e complessi ovvero su supporto informatico, solo
previo accordo col consigliere e compatibilmente con le
risorse e le tecnologie dell’ente, potrebbero dare adito a
qualche dubbio di legittimità in quanto motivazioni di
carattere meramente organizzatorio o economico non possono
limitare o impedire di per sé l’esercizio del diritto di
accesso. Semmai il rilascio di estratti di documenti corposi
dovrebbe limitarsi solo ai casi di urgente necessità,
consentendo al consigliere di ottenere subito uno stralcio
degli atti che interessano per esercitare il mandato,
dilazionando nel tempo il rilascio della integrale copia del
documento, anche con mezzi informatici secondo le decisioni
che l’amministrazione, alla quale spetta di assicurare “…che
il diritto di accesso possa essere esercitato in via
telematica” (art. 13 dpr n 184/2006) valuterà
discrezionalmente alla luce delle modalità dalla stessa
stabilite (ex art. 1 d.p.r. cit);
sub 4) la previsione dell’attestazione con timbro sulle
copie rilasciate al consigliere è indubbio che costituisce
un adempimento burocratico che non potrà tradursi in
limitazioni delle prerogative concesse al consigliere.
Si fa, comunque, presente che l’autorità competente ad
annullare eventuali determinazioni amministrative
illegittime è solo il Tar e non anche questa Commissione,
salve le iniziative di modifica rimesse alla autonoma
valutazione consiliare (Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai
documenti amministrativi,
risposta del Plenum in seduta dell'08.11.2011 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Affidamento incarico di consulenza legale.
Per l'affidamento di un incarico di
consulenza legale, si segnala la necessità di indire una
procedura comparativa al fine di individuare il soggetto cui
affidare l'incarico de quo.
L'ente necessita di conoscere le modalità per l'affidamento
di un incarico di consulenza legale.
Rinviando alla lettura di due pareri già formulati dallo
scrivente [1],
si segnala la necessità di indire una procedura comparativa
al fine di individuare il soggetto cui affidare l'incarico
de quo.
Si evidenzia, invero, che i servizi legali rientrano in una
delle categorie di servizi menzionati nell'allegato II B al
codice dei contratti pubblici (decreto legislativo
12.04.2006, n. 163) e che, ai sensi dell'articolo 27, comma
1, del medesimo codice [2],
l'aggiudicazione degli appalti, aventi per oggetto i servizi
elencati nell'allegato II B, è soggetta all'applicazione dei
noti principi -di derivazione comunitaria- dell'evidenza
pubblica, della trasparenza, della par condicio, della
parità di trattamento.
È, pertanto, in tal modo, confermata la necessità che
l'individuazione del legale -comunque operatore economico
nella lata accezione europeista [3]-
avvenga tramite una procedura competitiva e, pertanto,
comparativa. L'incarico all'avvocato, nel contesto dei
contratti pubblici, non può reputarsi di natura fiduciaria,
venendo, in ogni caso, in gioco una spesa pubblica capace di
creare opportunità e sollecitazioni per il mercato, bene
giuridico -quest'ultimo- massimamente tutelato dalla
normativa comunitaria.
La procedura di gara richiede, ex articolo 27, comma 1, del
decreto legislativo 163/2006, di rivolgere invito ad almeno
cinque liberi professionisti. Questi saranno scelti o
tramite indagine di mercato ovvero dall'elenco dei
professionisti avvocati già redatto dall'ente
[4],
elenco al quale gli avvocati che possiedono i requisiti
chiedono di iscriversi.
In sede comparativa, sarà valutato l'aspetto economico e la
competenza professionale dell'aspirante contraente con la
pubblica amministrazione: quali indici di valutazione di
quest'ultima potranno essere utilizzati, ad esempio, il
numero di pubblicazioni o docenze o di seminari tenuti
[5].
Si segnala, inoltre, che, nell'ipotesi di scelta del
contraente attingendo all'elenco degli operatori economici
già redatto dall'ente, la pubblica amministrazione
appaltante ha l'obbligo di individuare i soggetti da
invitare alla procedura di gara con il criterio -imparziale
e trasparente- della rotazione fra gli iscritti al predetto
elenco dei liberi professionisti.
Si ricorda, in conclusione, che, anche al fine
dell'individuazione dei concorrenti tramite rotazione, è,
pur sempre, necessario il previo sorteggio, per determinare
da quale soggetto, tra gli iscritti all'elenco, inizierà la
rotazione medesima. Tale procedura deve essere, in ogni
caso, previamente, disciplinata dalla pubblica
amministrazione, ad esempio nel regolamento dei contratti
dell'ente.
Dopo di che, formulato l'invito e ricevute le offerte, il
Comune procederà alla valutazione comparativa delle stesse.
---------------
[1] Pareri protocollo n. 6255 del 21.04.2009 e n. 3911
del 29.02.2008, consultabili nella banca dati di cui
all'indirizzo internet http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/.
[2] Il comma citato statuisce: 'L'affidamento dei contratti
pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture,
esclusi, in tutto o in parte, dall'applicazione del presente
codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità,
efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità. L'affidamento deve essere preceduto da
invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con
l'oggetto del contratto'.
[3] In tal senso, parere protocollo n. 3911 del 29.02.2008
cit.
[4] Si segnala che, nella giornata di studio, tenutasi in
Udine, nel mese di marzo 2010, intitolata 'La procedura
negoziata e le spese in economia negli appalti pubblici di
lavori, forniture e servizi', organizzata dalla casa
editrice Maggioli, il relatore, avvocato Alberto Ponti, ha
suggerito di dividere, per categoria, l'elenco dei
professionisti redatto dall'ente (ad esempio avvocati
appaltisti, avvocati espropriativisti, eccetera), elenco al
quale coloro che possiedono i requisiti chiedono di
iscriversi.
[5] In tal senso, 'La procedura negoziata e le spese in
economia negli appalti pubblici di lavori, forniture e
servizi', avvocato Alberto Ponti, Maggioli, giornata di
studio in Udine, marzo 2010 (04.10.2010 - link a
www.regione.fvg.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Affidamento di incarico di assistenza e rappresentanza in
giudizio.
1) Gli incarichi di prestazioni di
servizi legali, consistenti in un complesso di prestazioni
di natura legale componibili da un insieme di difese in
giudizio, determinate o determinabili o connesse a tutte le
possibili vertenze giudiziali nelle quali sia coinvolta
l'amministrazione, entro un dato arco di tempo, devono
essere attribuiti con una procedura quanto meno negoziata.
2) L'atto di conferimento dei servizi legali, inclusi la
consulenza e il patrocinio innanzi a tutti i Tribunali,
rientra nel novero di quegli atti e provvedimenti che, non
essendo in alcun modo riconducibili alle funzioni di
indirizzo e controllo politico-amministartivo, sono
riservati alla dirigenza.
Il Comune chiede di conoscere un parere in merito ad uno
schema di convenzione, predisposto dall'Ente, avente ad
oggetto l'affidamento diretto di un incarico di assistenza
legale e rappresentanza in giudizio ad un avvocato. In
particolare, il mandato sarebbe riferito 'ad ogni
contenzioso attualmente pendente e a quelli che il Comune
avesse da promuovere per i propri interessi patrimoniali o
morali ovvero con riferimento a quei procedimenti civili,
penali o amministrativi che fossero avviati nei confronti
del Comune'.
L'Ente desidera, altresì, sapere quale sia il soggetto
competente a decidere lo strumento e le modalità con cui
procedere all'affidamento dell'incarico in riferimento.
Premesso che rientra nelle competenze dello scrivente
Ufficio fornire consulenza giuridico-amministrativa in
termini generali, senza entrare nel merito del singolo caso
concreto, si forniscono, di seguito, in via collaborativa,
alcuni elementi che possono risultare utili in relazione
alla fattispecie descritta.
Circa il primo quesito posto si osserva come rientri nella
discrezionalità dell'Ente decidere di individuare un unico
studio legale cui rivolgersi per tutte le cause che possano
coinvolgere il Comune, suoi amministratori o funzionari e
con lo stesso stipulare apposito contratto/convezione
diretto a regolare i reciproci diritti ed obblighi.
Si esprimono, invece, delle perplessità circa la possibilità
di procedere ad un affidamento diretto di un tale incarico,
ciò sia che si faccia rientrare la fattispecie nell'alveo
degli incarichi esterni di cui all'articolo 7 del decreto
legislativo 30.03.2001, n. 165 sia che, invece, la si
annoveri nella prestazione di servizi soggetta alla
normativa di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163.
[1]
Nel primo caso, si rammenta come il comma 6-bis
dell'articolo 7 del d.lgs. 165/2001 recita: 'Le
amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche,
secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il
conferimento degli incarichi di collaborazione'.
Nel secondo caso, l'affidamento dell'incarico legale
rientrerebbe tra i 'servizi legali' previsti
nell'allegato IIB del d.lgs. 163/2006 e soggiacerebbe,
quindi, in particolare, all'articolo 27, il quale dispone
che: 'L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad
oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in
parte, dall'applicazione del presente codice, avviene nel
rispetto dei principi di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità. L'affidamento deve essere preceduto da
invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con
l'oggetto del contratto' [2].
Come evidenziato da certa dottrina [3],
gli incarichi di prestazioni di servizi legali, consistenti
in un 'complesso di prestazioni di natura legale componibili
da un insieme di difese in giudizio, determinate o
determinabili o connesse a tutte le possibili vertenze
giudiziali nelle quali sia coinvolta l'amministrazione,
entro un dato arco di tempo', come il caso in esame, 'oppure
dall'impegno continuativo a svolgere funzioni di consulenza
legale, o, ancora, dall'impegno a rendere un numero
predeterminato di pareri legali', qualora siano oggetto di
affidamento, dovranno essere attribuiti con una procedura
quanto meno negoziata. In questo caso, inevitabilmente, il
procedimento deve obbedire ai principi di trasparenza, non
discriminazione e pubblicità ed occorre predeterminare
criteri oggettivi di valutazione, seppur nell'esercizio
della discrezionalità della loro individuazione.
[4]
A favore della necessaria previa indizione di una procedura
selettiva depone anche la giurisprudenza. Si consideri, al
riguardo il TAR Campania, sez. II, del 21.05.2008, n. 4855,
il quale ha affermato la necessità della previa adozione di
procedure comparative, rese adeguatamente note attraverso
idonea pubblicità, ed ha statuito l'illegittimità del
conferimento di un incarico di collaborazione e di
consulenza legale non preceduto dalle predette procedure
selettive, in diretta applicazione dell'art. 7, comma 6-bis,
del d.lgs. 165/2001 (si trattava di un caso di attribuzione
di un incarico di patrocinio e consulenza legale in sede
amministrativa e civile, di durata annuale, ad un
professionista esterno all'amministrazione, con compenso
mensile predeterminato). [5]
Con riferimento alla seconda questione posta, si osserva
come la giurisprudenza abbia sottolineato che 'l'atto di
conferimento dei servizi legali, inclusi la consulenza e il
patrocinio innanzi a tutti i Tribunali, rientri nel novero
di quegli atti e provvedimenti che, non essendo in alcun
modo riconducibili alle funzioni di indirizzo e controllo
politico-amministartivo, sono riservati alla dirigenza'
[6].
Nulla vieta, tuttavia, che l'organo politico manifesti, con
un atto di indirizzo, la propria volontà circa l'opportunità
di procedere all'affidamento dei servizi legali ad unico
studio legale, che si occupi delle controversie che possano
coinvolgere l'ente in un determinato arco temporale, fermo
rimanendo che la susseguente procedura di individuazione del
professionista esterno competerà agli organi burocratici
competenti.
---------------
[1] Sulla questione dell'inquadramento giuridico degli
incarichi professionali legali si veda il parere reso da
questo Ufficio in data 29.02.2008, prot. n. 3911/1.3.16,
consultabile sul seguente sito internet:
http://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/link/pareri.
[2] Si ricorda come gli appalti di servizi elencati
nell'allegato IIB rientrino tra i 'contratti esclusi'.
[3] L. Oliveri, 'La configurazione delle consulenze e delle
prestazioni d'opera ai fini dell'applicazione del codice dei
contratti - le procedure comparative per gli incarichi di
collaborazione', consultabile sul seguente sito internet:
www.lexitalia.it, articolo n. 12/2006.
[4] Si discute, invece, circa la possibilità di procedere
mediante affidamento diretto nella diversa ipotesi, che
esula dalla fattispecie in esame, del conferimento del solo
patrocinio giudiziale relativo ad una specifica vertenza.
[5] La sentenza citata è stata richiamata, condividendola,
anche dal TAR Piemonte, sez. I, sentenza del 29.09.2008, n.
2106. Nello stesso senso si è espresso il TAR
Calabria-Reggio Calabria, sez. I, con sentenza del
04.05.2007, n. 330.
[6] TAR Calabria-Reggio Calabria, sez. I, sentenza sopra
citata. Nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. V,
sentenza del 09.09.2005, n. 4654 (21.04.2009 -
link a www.regione.fvg.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Modalità conferimento incarico ad un avvocato.
1) Pare sia preferibile procedere
all'individuazione del professionista cui affidare la difesa
legale dell'ente in giudizio mediante apposita procedura
pubblica.
2) Il conferimento dell'incarico di rappresentanza in
giudizio non è soggetto alle norme di cui all'art. 3, commi
55-57, della finanziaria 2008.
Il Comune chiede di conoscere un parere in merito a quali
siano le modalità di affidamento di un incarico ad un
avvocato, nel caso in cui l'ente debba intraprendere
un'azione ovvero resistere in giudizio.
Il quesito posto attiene alla più ampia tematica
dell'inquadramento giuridico degli incarichi professionali
da cui discende, poi, l'individuazione della procedura da
adottare per l'affidamento dell'incarico stesso.
Il tema, si è, di recente, riacceso, stante le disposizioni
legislative introdotte con la legge 24.12.2007, n. 244 che,
all'articolo 3, commi 55-57, pone delle specifiche
incombenze agli enti locali in materia di affidamenti di
incarichi di studio, di ricerca, ovvero di consulenze,
nonché di incarichi di collaborazione.
In generale si tratta di definire se gli incarichi
professionali si configurino come contratti di prestazione
d'opera ovvero come appalto.
Entrambe le tesi sono sostenute sia dalla dottrina che dalla
giurisprudenza.
Infatti, un primo orientamento [1]
afferma che la disciplina degli 'incarichi professionali'
sia soggetta alla normativa di cui al decreto legislativo
12.04.2006, n. 163, essendo gli stessi nient'altro che
prestazioni di servizi e considerato, altresì, che il D.Lgs.
163/2006 espressamente li menziona negli allegati IIA e IIB.
In particolare si rileva come la distinzione, esistente
nell'ordinamento italiano interno, tra imprenditore
[2] e
libero professionista [3]
sia stata profondamente modificata a seguito della
ricezione, nell'ordinamento italiano, della nozione di
imprenditore formulata dall'ordinamento europeo.
Quest'ultima mette in discussione seriamente la
configurazione degli articoli 2222-2238 del Codice civile
come norme che regolano una fattispecie lavorativa tipica, a
metà strada tra l'attività di impresa ed il lavoro
subordinato, quale la professione d'opera, per attrarla
definitivamente nell'ambito del vero e proprio appalto di
servizi.
Si osserva, infatti, come, l'art. 3, comma 19, del D.Lgs. n.
163/2006 specifica che ''I termini «imprenditore»,
«fornitore» e «prestatore di servizi» designano una persona
fisica, o una persona giuridica, [...] che offra sul
mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o
opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi.'.
Ciò che conta, allora, è la presenza del soggetto nel
mercato aperto: imprenditore è chi offre prestazioni di
servizi ad un parco potenzialmente indefinito di
committenti, reperiti sul mercato aperto, offrendo le
proprie capacità, a prezzi convenienti.
Il codice dei contratti, nella sostanza, si presenterebbe
come ordinamento 'concorrente' con il decreto
legislativo 30.03.2001, n. 165 nella regolamentazione dei
rapporti di lavoro autonomo con le amministrazioni
pubbliche.
Diretta conseguenza di una tale impostazione è che
l'affidamento di tali incarichi non potrebbe prescindere dal
rispetto delle procedure concorsuali o quanto meno
para-concorsuali.
Afferma al riguardo certa dottrina [4]
che: 'Il fatto che prestazione d'opera e appalto,
civilisticamente, siano distinti non rileva
[5], in
quanto la prestazione d'opera è assimilata all'appalto ai
fini della normativa pubblica in materia di assegnazione dei
contratti della p.a., con scopi diversi, cioè di assicurare
la concorrenza (mediante l'evidenza pubblica) anche in tale
settore.........è ben presente la possibilità (ricorrente
nelle prestazioni intellettuali) che le specifiche di queste
ultime non possano essere stabilite dalle stazioni
appaltanti con sufficiente precisione perché possano essere
aggiudicate selezionando l'offerta migliore in base alle
norme delle procedure aperte o ristrette. Ciò, pur tuttavia,
non legittima l'affidamento diretto, ma l'attivazione di una
procedura negoziata tra più concorrenti, preceduta dalla
pubblicazione di un bando'.
Con specifico riferimento alle modalità di affidamento
dell'incarico professionale, pertanto, secondo tale
impostazione, lo stesso non potrebbe avvenire sulla base
della sola valutazione di idoneità di un candidato, dando
rilievo unicamente al requisito fiduciario.
Il riferimento alla scelta 'eminentemente fiduciaria',
infatti, che giustificherebbe l'affidamento non in base alla
disciplina degli appalti di servizi, si fonda su una
decisione della Cassazione risalente, del 1998, quando la
giurisprudenza, in particolare proprio quella
amministrativa, non aveva ancora sviluppato l'orientamento
divenuto consolidato e pacifico dopo il 2001, secondo il
quale tutte le prestazioni di servizi, anche intellettuali,
sono soggette a procedure quanto meno para-concorsuali. Con
esclusione pressoché assoluta del criterio solo fiduciario,
contrario ai principi di trasparenza e buon andamento
dell'azione amministrativa, i quali impongono la piena
sindacabilità delle scelte amministrative, sulla base di una
chiara motivazione delle scelte compiute.
[6]
Quanto alla giurisprudenza, in questo senso il TAR Puglia
[7]
afferma che: 'L'art. 32 della L. 248/2006, recante la
conversione in legge del D.L. 223/2006, dopo aver stabilito
precisi limiti al conferimento di incarichi di
collaborazione esterna da parte delle P.A. di cui al D.Lgs
165/2001, impone che il conferimento di incarichi di
collaborazione esterna da parte delle P.A. deve avvenire
previo esperimento di procedure para-selettive e non già in
base alla sola valutazione di idoneità del prescelto (quindi
non si tratta di incarichi che possono essere conferiti
intuitu personae)'.
Passando, ora, al diverso orientamento secondo il quale gli
incarichi professionali andrebbero ascritti tra i contratti
di prestazione d'opera e, come tali, non rientranti
nell'ambito applicativo della disciplina degli appalti
pubblici, si afferma come 'il modello di produzione del
servizio nell'ambito dell'incarico professionale (tradotto
nel contratto di prestazione d'opera) è caratterizzato dalla
personalità della prestazione e da un'obbligazione di
risultato. Ben diverso è il caso in cui l'amministrazione
intenda acquisire prestazioni più articolate, rese da
soggetti con organizzazione strutturata, prodotte senza
caratterizzazione personale e con obbligazione di mezzi.
[...] l'affidamento non è sottoposto alle regole degli
appalti, poiché questi si distinguono dal contratto di
prestazione d'opera in quanto l'appaltatore deve essere una
media o grande impresa' [8].
A sostegno di questa linea interpretativa si è espresso, di
recente, il Consiglio di Stato, il quale, nella sentenza del
29.01.2008, n. 263 [9],
ha affermato che: 'Il conferimento di un incarico
professionale di consulenza per gli aspetti geologici
nell'ambito della redazione di un piano urbanistico e di un
regolamento edilizio non rientra né nell'ambito della
disciplina degli appalti di lavori pubblici (trattandosi
invero di un'attività professionale -qualificata locatio
operis- riferibile ad una scelta eminentemente fiduciaria
del professionista, né in quella degli appalti di servizi
(non rinvenendosi i caratteri propri dell'appalto di
servizio ex art. 1655 cod. civ. ed art. 3 del decreto
legislativo 17.03.1995, n. 157, giacché l'appalto si
distingue dal contratto d'opera in quanto l'appaltatore deve
essere una media o grande impresa); trattandosi invece di
incarico fiduciario, non occorre per il suo conferimento una
procedura ad evidenza pubblica'.
Da ultimo si segnala un ulteriore orientamento dottrinario
[10] che
distingue, all'interno dei servizi legali, quelli che
comportano il conferimento di incarichi per 'prestazioni
di servizi legali' dall'incarico di difesa in giudizio.
I primi consisterebbero in un complesso di prestazioni di
natura legale componibili da un insieme di difese in
giudizio, determinate o determinabili o connesse a tutte le
possibili vertenze giudiziali nelle quali sia coinvolta
l'amministrazione, entro un dato arco di tempo, oppure
dall'impegno continuativo a svolgere funzioni di consulenza
legale, o, ancora, dall'impegno a rendere un numero
predeterminato di pareri legali. Tali servizi, qualora siano
oggetto di affidamento, dovranno essere attribuiti con una
procedura quanto meno negoziata.
Qualora, invece, l'oggetto dell'affidamento sia unicamente
il patrocinio giudiziale nell'ambito di una specifica
vertenza, si sarebbe fuori dall'ambito di applicazione del
codice dei contratti.
Il patrocinio in giudizio vero e proprio, non accompagnato
da altri servizi legali, resterebbe una prestazione
professionale specifica, non considerata dal codice dei
contratti, e rientrante esclusivamente nella disciplina
normativa regolante la professione.
In questo caso l'ente potrebbe procedere ad un affidamento
anche diretto al singolo professionista, sulla base di
valutazioni anche influenzate dall'intuitu personae,
tenendo sempre conto che la fiducia rimane, prevalentemente,
tecnica e, dunque, legata alla competenza professionale
dimostrata dal legale che si incarica.
A conclusione di quanto sopra esposto, e con specifico
riferimento al quesito posto, relativo all'affidamento di un
incarico ad un legale limitato alla solo patrocino
giudiziale, pare a chi scrive che l'orientamento da ultimo
esposto, benché, in linea teorica, condivisibile, sia
contestato da alcune pronunce giurisprudenziali.
Al riguardo significativa, in quanto relativa proprio
all'affidamento di un incarico di assistenza legale da parte
di un ente locale, è la sentenza emessa dal TAR Calabria, in
data 04.05.2007 [11],
la quale recita che l'affidamento di detto incarico non può
avvenire in assenza di un bando o un invito, in quanto deve
scaturire da una valutazione comparativa dei curricula
presentati dai candidati e deve essere necessariamente
preceduto da una adeguata pubblicità dell'avviso contenente
i criteri di valutazione, dai quali deve emergere l'iter
logico con la motivazione che ha comportato la scelta.
In particolare, la sentenza, citando altra giurisprudenza
conforme [12],
afferma che: 'La procedura finalizzata all'aggiudicazione
di un appalto di servizi, anche per gli appalti di servizi
sotto soglia, è soggetta, in fase di individuazione del
contraente privato, a regole comunitarie quali la
trasparenza, la non discriminazione e la pubblicità delle
procedure'.
Alla luce di un tanto sembrerebbe preferibile procedere
all'individuazione del professionista mediante una procedura
pubblica.
In particolare, normativa di riferimento sarebbe la legge
regionale 30.04.2003, n. 12, la quale all'articolo 4,
prevede che i contratti di appalto di servizi di importo
inferiore alla soglia di rilievo comunitario possono essere
stipulati con contraenti scelti mediante procedura negoziata
qualora trattasi di servizi il cui valore stimato sia di
importo non inferiore a 20.001 euro e non superiore a
200.000 euro al netto dell'IVA, previo esperimento di gara
ufficiosa tra un numero di imprese non inferiori a cinque.
Per i servizi il cui valore stimato sia di importo inferiore
a 20.000 euro al netto di IVA, si prescinde
dall'espletamento della gara ufficiosa [13].
Per quanto riguarda l'assoggettabilità di un incarico come
quello in oggetto alla disciplina introdotta con la legge
244/2007, l'ANCI, in un recente parere [14],
ha fornito risposta negativa.
A sostegno della tesi per cui gli incarichi di
rappresentanza in giudizio non sono da ricomprendere tra gli
incarichi di studio, di ricerca, ovvero di consulenza, si
era già pronunciata la Corte dei conti, con la delibera
15.02.2005, n. 6, la quale nell'individuare quali atti di
conferimento rientrassero nella disciplina di cui alla legge
30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), aveva escluso
espressamente 'la rappresentanza in giudizio ed il
patrocinio dell'amministrazione'. La motivazione di una
tale esclusione risiede nel fatto che si tratta di incarichi
conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge,
mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale
dell'amministrazione.
---------------
[1] L. Olivieri, Consulenze e collaborazioni non sono
prestazioni personali, ma veri e propri appalti,
consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it.
[2] Inteso come soggetto che organizza a scopo di lucro
capitale, risorse umane e strumentali.
[3] Inteso come colui che pone in essere la locatio operis,
cioè si impegna a conseguire risultati operativi, in
assenza, tuttavia, di un'organizzazione tipicamente
imprenditoriale, avendo prevalenza la sua capacità
lavorativa, anche di tipo intellettuale.
[4] M. Greco 'L'art. 24 della finanziaria (289/2002) si
applica anche agli incarichi professionali...', in
www.appaltiecontratti.it: la presente dottrina viene
riportata, in quanto ritenuta rilevante per il principio che
essa enuncia di 'assimilazione', a determinati fini, tra
appalto di servizi e prestazione d'opera, prescindendo,
quindi, dal riferimento legislativo che essa reca.
[5] Per le differenze tra appalto e contratto d'opera,
riguardanti la maggiore struttura e organizzazione del primo
(li accomuna, invece, l'assunzione di rischio dell'esecutore
e la mancanza di subordinazione), si vedano C. Cass. sent.
7606/1999 e sent. 5451/1999.
[6] In questo senso L. Olivieri, Consulenze e collaborazioni
non sono prestazioni personali, ma veri e propri appalti,
consultabile sul seguente sito internet: www.lexitalia.it
[7] TAR Puglia-Lecce, sez. II, sentenza del 19.02.2007, n.
494.
[8] A. Barbiero, 'Consulenze e collaborazioni sono
prestazioni personali', in il Sole 24 Ore, del 18.02.2008.
[9] Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 29.01.2008, n.
263, consultabile sul seguente sito internet:
www.lexitalia.it
[10] L. Oliveri, 'La configurazione delle consulenze e delle
prestazioni d'opera ai fini dell'applicazione del codice dei
contratti - le procedure comparative per gli incarichi di
collaborazione', consultabile sul seguente sito internet:
www.lexitalia.it, articolo n. 12/2006.
[11] TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza del 04.05.2007,
n. 330.
[12] TAR Puglia-Lecce, sez. II, sentenza del 25.10.2006, n.
5053.
[13] Sarebbe opportuno, ad ogni buon conto, considerato il
complesso quadro normativo di riferimento e gli orientamenti
emersi anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs.
165/2001, che, anche nell'ipotesi di servizi il cui valore
stimato sia di importo inferiore ai 20.000 euro, fossero
previste e garantite procedure comparative. In questo senso,
si veda nostro parere del 22.12.2006 (Prot. n. 21242/1.3.16)
consultabile sul seguente sito internet:
http://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/link/pareri
[14] ANCI, parere del 14.02.2008, consultabile sul seguente
sito internet: www.ancitel.it (29.02.2008 - link
a www.regione.fvg.it). |
NEWS |
PUBBLICO
IMPIEGO: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/ Codice di condotta esteso a consulenti e
collaboratori della p.a.
I dieci comandamenti dei travet.
Stretta sui regali. Internet e telefono solo per servizio.
Vietato chiedere o accettare regali di importo superiore a
150 euro. Ma anche utilizzare informazioni d'ufficio a fini
privati e far parte di associazioni o organizzazioni
(esclusi partiti e sindacati) in conflitto di interesse con
l'ente pubblico. Vietato pure utilizzare per fini personali
i telefoni, internet e il parco auto dell'amministrazione,
salvo in casi di estrema urgenza. E guai anche a scaricare
sui colleghi attività o decisioni di propria spettanza. Si
rischia la responsabilità disciplinare e in caso di
violazioni reiterate anche il licenziamento. Per i dirigenti
pubblici, poi, sono in arrivo norme ad hoc: obbligo di
comunicare all'amministrazione le partecipazioni azionarie e
gli altri interessi finanziari che possono porli in
conflitto d'interesse con le funzioni che svolgono; obbligo
di fornire informazioni sulla propria situazione
patrimoniale; evitare «nei limiti delle loro possibilità»
che si diffondano notizie non vere sull'organizzazione,
sull'attività e sugli altri dipendenti.
Il «bon ton» dei dipendenti pubblici è stato approvato ieri
dal consiglio dei ministri. Si tratta di una lunga serie di
divieti e cautele che piomberanno sul groppone degli statali
con lo scopo di prevenire la diffusione di fenomeni
corruttivi e garantire il buon andamento e l'imparzialità
della pubblica amministrazione.
Il codice di comportamento avrà un ambito di applicazione
ben più ampio della già vasta platea costituita dai 3
milioni e mezzo di dipendenti pubblici. Oltre ai lavoratori
«contrattualizzati» delle amministrazioni centrali dello
stato, degli enti locali, dalle scuole di ogni ordine e
grado, delle università, delle camere di commercio e degli
enti del Servizio sanitario nazionale, il dpr si applicherà
anche a collaboratori e consulenti e persino ai dipendenti
delle imprese che forniscono beni e servizi o realizzano
opere per la p.a. L'obiettivo è rafforzare l'immagine del
pubblico dipendente quale servitore dello stato.
Lo si
evince chiaramente dall'incipit dell'art. 3 che con tono
solenne afferma che il dipendente pubblico «osserva la
Costituzione servendo la Nazione con disciplina e onore».
Egli deve conformare «la propria condotta ai princìpi di
buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa»,
svolgere i propri compiti «nel rispetto della legge» e
perseguire l'interesse pubblico «senza abusare della
posizione e dei poteri di cui è titolare». Nei rapporti col
pubblico il dipendente statale dovrà farsi riconoscere
esponendo in modo visibile un badge e dovrà operare con
«spirito di servizio, correttezza, cortesia e
disponibilità».
In funzione anti-corruzione la stretta più evidente sarà sui
regali. Al dipendente pubblico sarà vietato chiedere,
sollecitare o accettare, per sé o per altri, regali o altre
utilità salvo quelli di modico valore nell'ambito delle
normali relazioni di cortesia. Per regali di modico valore
si intendono quelli di importo non superiore a 100 euro. Ma
i piani di prevenzione della corruzione approvati dai
singoli enti potranno modulare tale importo, riducendolo o
innalzandolo fino a un massimo di 150 euro. Vietato anche
utilizzare le linee telefoniche dell'ufficio e i mezzi di
trasporto dell'amministrazione per esigenze personali, salvo
casi di urgenza.
Sul parco auto della p.a. non potranno viaggiare terze
persone, se non per motivi di ufficio. Per garantire la
trasparenza dell'azione amministrativa, il dipendente
pubblico sarà chiamato a comunicare tempestivamente al
proprio responsabile l'appartenenza ad associazioni e
organizzazioni (riservate o meno) i cui interessi siano
coinvolti o possano interferire con lo svolgimento
dell'attività d'ufficio. All'atto dell'assegnazione
dell'ufficio, il lavoratore pubblico dovrà informare per
iscritto il dirigente di tutti i rapporti, diretti o
indiretti, di collaborazione retribuita intrattenuti con
soggetti privati negli ultimi tre anni. Il dipendente dovrà,
infine, astenersi dal prendere decisioni o svolgere attività
in situazioni di conflitto di interesse anche potenziale
(articolo ItaliaOggi del 09.03.2013). |
VARI:
Il proprietario del veicolo paga se non sa chi lo usa.
Nessuna scusa per il proprietario di un mezzo a motore che
si dimentica del veicolo. In caso di multa automatica spetta
infatti sempre a questo soggetto comunicare alla polizia chi
era alla guida. Diversamente scatterà una multa di 284 euro.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, Sez. VI civile, con
l'ordinanza 06.03.2013 n. 5585.
Un conducente ha
ricevuto a casa la notifica di una multa per eccesso di
velocità con invito a comunicare i dati dell'effettivo
trasgressore. Nonostante la dichiarazione tempestiva di non
essere transitato in quella strada l'interessato ha ricevuto
un secondo verbale per omessa comunicazione dei dati
dell'effettivo conducente. Contro questa ulteriore misura
punitiva il proprietario del veicolo ha quindi proposto
ricorso fino in cassazione ma senza alcun risultato
apprezzabile.
In tema di violazioni al codice stradale,
specifica il collegio, «integra l'ipotesi di illecito
amministrativo previsto dal combinato disposto degli artt.
126-bis e 180 Cds l'omessa collaborazione che il cittadino
deve prestare all'autorità amministrativa al fine di
consentirle l'attuazione dei necessari e previsti
accertamenti per l'espletamento dei servizi di polizia
stradale».
In buona sostanza secondo la cassazione tutti i conducenti
hanno il dovere di collaborare con l'autorità amministrativa
per consentirle di attuare i necessari accertamenti
finalizzati all'attività di polizia stradale
(articolo ItaliaOggi del 09.03.2013). |
TRIBUTI: Tares, smaltire i rifiuti costerà.
Tassa più salata per i comuni che investono in green.
Il ministero dell'economia ha pubblicato le linee
guida sull'applicazione della tariffa.
Pagheranno una Tares più salata i cittadini di quei comuni
che hanno deciso di investire somme rilevanti in beni e
servizi necessari per lo smaltimento dei rifiuti
(macchinari, impianti eccetera): tali costi, infatti,
dovranno essere caricati sulla tariffa.
Il Ministero dell'economia e della finanze indica ai comuni
il percorso da seguire per la gestione della nuova tassa sui
rifiuti e i servizi istituita a partire da quest'anno.
Sul sito ministeriale, infatti, sono state pubblicate ieri
le linee guida per la redazione del piano
economico-finanziario e la determinazione delle tariffe.
Alle amministrazioni locali spetta il compito di predisporre
il piano economico e finanziario e di determinare le tariffe
per le utenze domestiche e non domestiche. L'obiettivo
primario è quello di garantire la copertura integrale dei
costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Secondo
il Ministero, il metodo da seguire «è costituito da un
complesso di regole, metodologie e prescrizioni per
determinare, da un lato, i costi del servizio di gestione e,
dall'altro, l'intera struttura tariffaria applicabile alle
varie categorie di utenza». La tariffa deve essere
commisurata - almeno nella versione «tributaria», alle
quantità e qualità di rifiuti prodotti per unità di
superficie, rapportate agli usi e alla tipologia di attività
svolte. La Tares è un'entrata tributaria, ma va ricordato
che i comuni che sono in grado di misurare i rifiuti
effettivamente conferiti, possono optare per la gestione del
servizio attraverso una tariffa puntuale, avente natura
corrispettiva.
Il piano finanziario deve contenere il programma degli
interventi richiesti dalla normativa ambientale, gli
acquisti di beni o servizi e la realizzazione di impianti.
Deve inoltre essere specificato se il servizio è affidato a
terzi. Al piano va allegata una relazione sul modello
gestionale e organizzativo prescelto e sulla qualità dei
servizi. Nella elaborazione del piano una importanza
particolare rivestono i profili economico-finanziari.
Annualmente occorre porre in rilievo i flussi di spesa e i
fabbisogni occorrenti a fronteggiarli, indicando anche gli
aspetti patrimoniali ed economici della gestione. In
effetti, è dal piano che bisogna partire per determinare le
tariffe e per adeguarle di anno in anno. Del resto, come
recita l'articolo 14, comma 23, del dl 201/2011, è il
consiglio comunale che deve approvare le tariffe Tares entro
il termine fissato da norme statali per l'approvazione del
bilancio di previsione, «in conformità al piano finanziario»
del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Competente alla
redazione del piano è il soggetto che svolge il servizio.
La tariffa Tares deve essere composta da una quota
determinata in relazione ai costi del servizio di gestione
dei rifiuti (investimenti per le opere e relativi
ammortamenti), e da una quota rapportata alle quantità di
rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei
costi di gestione, compresi quelli di smaltimento. Sotto
quest'aspetto la norma del dl Monti (articolo 14 del dl
201/2011), che ha istituito il nuovo regime di prelievo, si
uniforma alla previsioni che il legislatore aveva già
stabilito per la Tia1 e la Tia2. Le stesse regole valgono
anche per i rifiuti assimilati agli urbani. I comuni possono
applicare un coefficiente di riduzione proporzionale alle
quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di
aver avviato al recupero.
Nelle linee guida viene illustrato il percorso che gli enti
devono osservare per determinare la tariffa. In particolare,
la metodologia tariffaria si articola nelle seguenti fasi:
individuazione e classificazione dei costi del servizio;
suddivisione dei costi tra fissi e variabili; ripartizione
dei costi fissi e variabili in quote imputabili alle utenze
domestiche e alle utenze non domestiche; calcolo delle voci
tariffarie, fisse e variabili, da attribuire alle singole
categorie di utenza. L'articolo 14 impone l'integrale
copertura dei costi del servizio. Quindi, sia quelli di
investimento che di esercizio. Tuttavia, le voci di costo (spazzamento,
raccolta, trasporto e via dicendo) sono solo quelle elencate
dal regolamento sul metodo normalizzato (dpr 158/1999).
Regolamento che si applicherà a regime, in quanto la legge
di Stabilità (228/2012) ha abrogato la norma che prevedeva
l'emanazione di un nuovo provvedimento attuativo
(articolo ItaliaOggi del 09.03.2013 - link a www.ecostampa.it). |
TRIBUTI: Tariffe
della Tares determinate dal Consiglio.
LA PREVISIONE/
L'aggiornamento alle linee guida delle Finanze affrontano il
tema della competenza.
Le tariffe della Tares dovranno essere approvate dal
consiglio comunale, con una doppia deroga: al Testo unico
degli enti locali (articolo 42, comma 2, lettera f, del
decreto legislativo 267/2000), che assegna le delibere
tariffarie alla competenza generale della Giunta, e al
decreto Sviluppo-bis (articolo 34, comma 23, del Dl 179/2012)
che invece ha trasferito la competenza tariffaria sui
servizi a rete agli ambiti territoriali ottimali (Ato).
La normativa Tares scritta nel decreto salva-Italia
(articolo 14, comma 23, del Dl 201/2011) costituisce infatti
una disciplina speciale, che vince quindi sulle regole
generali previste dalle norme appena citate.
La spiegazione è del dipartimento Finanze, che diffondendo
ieri una versione aggiornata e rivista delle Linee guida e
del modello di regolamento per la Tares ha risolto in questo
modo una possibile empasse sulle competenze a deliberare le
tariffe.
Il problema nasce in particolare dal decreto Sviluppo-bis,
che nel tentativo di rilanciare il ruolo degli ambiti
ottimali previsti dalla manovra-bis del 2011 (articolo 3-bis
del Dl 138/2011) ma mai decollati in molte Regioni, aveva
trasferito a loro «le funzioni di organizzazione dei servizi
pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi
quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta
della forma di gestione, di determinazione delle tariffe
all'utenza per quanto di competenza». Gli ambiti
territoriali ottimali, però, in molte parti d'Italia non ci
sono ancora, o sono solo ai nastri di partenza, e ciò
avrebbe contribuito a elevare il già consistente tasso di
confusione che regna intorno al nuovo tributo sui rifiuti
nato in sostituzione di Tia e Tarsu.
In una prima versione delle Linee guida (si veda Il Sole 24
Ore del 18 febbraio) le indicazioni ministeriali sembravano
aver ignorato il problema, che nelle nuove istruzioni
diffuse ieri trova invece una spiegazione tecnica. La
competenza è del consiglio comunale in base alla gerarchia
delle norme, secondo il principio che la disciplina
"speciale", tagliata su misura, vince sempre su quelle
generali.
Il chiarimento è importante, anche se da solo ovviamente non
basta a dissipare la nebbia che ancora avvolge le
amministrazioni locali alle prese con il debutto del nuovo
tributo. A parte i problemi di liquidità prodotti dal rinvio
"elettorale" della prima rata a luglio, che impone alle
aziende di lavorare "gratis" per oltre metà dell'anno, la
stessa definizione delle tariffe è un compito non semplice.
Ogni Comune è infatti inserito in un ambito, e solo i piani
d'ambito redatti dai gestori e approvati dagli Ato (o dai
consigli dove l'Ato non c'è) possono offrire la base per
determinare una tariffa che copra integralmente i costi.
Anche per questa ragione, si ritiene che i Comuni possano
deliberare i bilanci preventivi anche senza le tariffe Tares,
rimandando a un secondo momento (entro il termine generale
del 30 giugno) le scelte su questo versante
(articolo Il Sole 24 Ore del 09.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Statali, arriva lo stop ai regali.
Approvato il Codice di comportamento ma non le
incompatibilità.
Consiglio
dei ministri. Via libera a metà per l'attuazione della legge
anticorruzione nel pubblico impiego.
Torna in auge l'obbligo di indossare il badge per i
dipendenti pubblici che lavorano a contatto con l'utenza. È
all'interno del nuovo «Codice di comportamento», che fra le
altre cose vieta di ricevere regali di valore superiore ai
150 euro e arriva a prevedere il licenziamento per chi
sgarra in modo particolarmente grave.
Il Consiglio dei ministri ieri ha approvato il Codice, che
secondo il ministro della Funzione pubblica in questo modo
ha «posto un ulteriore tassello per rendere pienamente
operativa la lotta al malcostume» contenuta nella legge
anticorruzione. Però non è riuscito dare il via libera a un
altro regolamento, collegato alla stessa norma e
probabilmente di maggior valore sostanziale: quello che
dovrebbe bloccare gli incarichi dirigenziali e
amministrativi di vertice a chi è titolare di conflitti di
interesse e a chi è incappato in una condanna, anche non
definitiva, per reati contro la pubblica amministrazione.
In larga parte,
il Codice di comportamento approvato ieri si
risolve in una sorta di Galateo del dipendente pubblico,
chiamato a «perseguire l'interesse pubblico senza abusare
della posizione di cui è titolare», a «contenere i costi
senza pregiudicare la qualità dei risultati» e così via, e
«operare con correttezza, cortesia e disponibilità» quando
lavora con il pubblico.
Nel caso dei dirigenti, viene rilanciata la loro
responsabilità nella «promozione del benessere
organizzativo», assumendo «un comportamento esemplare e
imparziale» nei rapporti con i colleghi e «favorendo
l'instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi» all'interno
dell'ufficio.
Più concrete le regole che puntano direttamente contro
fenomeni di corruzione e micro-corruzione, anche quando
questi non rientrano nel raggio d'azione del Codice penale.
Da questo punto di vista, il tema più noto riguarda la
limitazione ai regali al «modico valore» (si veda anche Il
Sole 24 Ore del 7 marzo), indicato in 150 euro. I dipendenti
non possono accettare cadeaux più importanti e se ne
ricevessero devono metterli subito a disposizione
dell'amministrazione di appartenenza perché siano restituiti
o «devoluti ai fini istituzionali».
Le violazioni delle norme scritte nel Codice di
comportamento implicano responsabilità disciplinare secondo
le solite modalità, che graduano la sanzione in base alla
gravità della violazione e, almeno sulla carta, possono
arrivare anche al licenziamento nei casi peggiori.
La responsabilità disciplinare può colpire anche chi viola
le nuove regole di trasparenza, un concetto che nel Codice
viene declinato in modo diverso a seconda che si rivolga a
dipendenti o dirigenti. I primi devono comunicare per
iscritto ai propri dirigenti tutti i rapporti di
collaborazione retribuiti avuti con soggetti privati negli
ultimi tre anni, precisando se con questi soggetti hanno
avuto o abbiano a che fare anche suoi parenti o affini entro
il secondo grado, il coniuge o il convivente. Il dirigente,
invece, è tenuto a dichiarare anche partecipazioni azionarie
e interessi finanziari «che possano porlo in conflitto
d'interesse con la sua funzione pubblica», e a indicare
parenti o affini entro il secondo grado (oltre al coniuge o
al convivente) le cui attività li pongano «in contatti
frequenti con l'ufficio che dovrà dirigere».
Il tema dei conflitti d'interesse era al centro dell'altro
provvedimento attuativo della legge anti-corruzione atteso
ieri al Consiglio dei ministri: quello sull'incandidabilità.
La legge 190/2012, in particolare all'articolo 1, commi
49-50, chiede infatti al Governo di disciplinare
l'impossibilità di conferire incarichi dirigenziali a chi
abbia cariche politiche o ruoli di peso in soggetti privati
sottoposti a regolazione dalla stessa amministrazione, oltre
che per i condannati anche non definitivi per reati contro
la Pa. Ieri, però, il provvedimento si è arenato sul tavolo
del Consiglio dei ministri.
---------------
I contenuti principali
01 | REGALI
Il Codice di comportamento vieta ai dipendenti pubblici di
ricevere regali superiori ai 150 euro, individuati dalla
norma come il limite per il «modico valore». Nel caso, i
regali devono essere messi subito a disposizione
dell'amministrazione per la restituzione o la «devoluzione
alle attività istituzionali». Vietati anche i regali tra un
dipendente e il superiore
02 | TRASPARENZA
I dipendenti pubblici devono comunicare tempestivamente al
dirigente del loro ufficio tutti i rapporti di
collaborazione retribuiti con soggetti privati effettuati
negli ultimi tre anni. Devono anche precisare se con questi
soggetti hanno avuto rapporti di collaborazione parenti o
affini, il coniuge o il convivente
03 | CONFLITTI D'INTERESSE
I dirigenti devono comunicare partecipazioni azionarie e
interessi finanziari che possano porlo in conflitto
d'interesse con la sua funzione pubblica, e indicare parenti
o affini entro il secondo grado (oltre al coniuge o al
convivente) le cui attività li pongano in contatti frequenti
con l'ufficio che dovranno dirigere
04 | INCOMPATIBILITÀ
Non è stato approvata ieri dal Consiglio dei ministri la
disciplina attuativa delle norme della legge anticorruzione
(articolo 1, commi 49-50 della legge 190/2012) che regolano
l'impossibilità di conferire incarichi di vertice a chi
abbia incarichi politici o ruoli di peso in soggetti privati
controllati o finanziati dalla stessa Pubblica
amministrazione
L'anticipazione
L'emanazione di un Codice di comportamento per i dipendenti
della pubblica amministrazione era stata annunciata da tempo
da parte del Governo. Ne è seguita una fase di studio e
stesura, portata alla finalizzazione soltanto nelle ultime
settimane. I contenuti del provvedimento fissati dal Governo
sono stati anticipati dal Sole 24 Ore giovedì 7 marzo
(articolo Il Sole 24 Ore del 09.03.2013 - link a www.ecostampa.it). |
CONDOMINIO: Riforma
del condominio/
Tabelle millesimali corrette a maggioranza. Ma la modifica è possibile senza assenso di
tutti solo nei casi previsti dalla legge.
IL QUADRO/ La rettifica con consenso parziale è possibile
per eliminare gli errori o per il cambio di condizioni
dell'edificio.
La riforma del condominio interviene anche sulle tabelle
millesimali. Il nuovo articolo 68 delle Disposizioni di
attuazioni del Codice civile (riscritto dalla legge di
riforma 220/2013) stabilisce che, ove non precisato dal
titolo, ai sensi dell'articolo 1118 del Codice civile, il
valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è
espresso in millesimi in apposita tabella allegata al
regolamento di condominio.
Ciò vale sia per l'accertamento (articolo 68) sia per la
revisione o modificazione delle tabelle (articolo 69), sia
per la ripartizione delle spese (articolo 1127 del Codice
civile), sia per la partecipazione all'assemblea (articolo
1136).
La riforma del condominio è intervenuta con il nuovo
articolo 69 stabilendo che: «I valori proporzionali delle
singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale
di cui all'articolo 68 possono essere rettificati o
modificati all'unanimità. Tali valori possono essere
rettificati o modificati, anche nell'interesse di un solo
condomino, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136,
secondo comma, Cc, nei seguenti casi:
●
quando risulta che sono conseguenza di un errore;
●
quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio,
in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di
superfici o di incremento o diminuzione delle unità
immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore
proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo
condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi
ha dato luogo alla variazione.
Ai soli fini della revisione dei valori proporzionali
espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento
di condominio ai sensi dell'articolo 68, può essere
convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona
del l'amministratore».
La nuova normativa ha modificato sensibilmente la decisione
delle Sezioni unite della Cassazione (sentenza n.
18477/2010). La Cassazione aveva infatti disatteso
l'orientamento della giurisprudenza in base al quale per
l'approvazione o la revisione delle tabelle millesimali è
necessario il consenso di tutti i condomini (si veda
l'articolo qui sotto). L'affermazione che la necessità
dell'unanimità dei consensi dipenderebbe dal fatto che la
deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali
costituirebbe un negozio di accertamento del diritto di
proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti
comuni è in contrasto con quanto ad altri fini sostenuto
nella giurisprudenza di legittimità, e cioè che la tabella
millesimale serve solo a esprimere in precisi termini
aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i
diritti dei vari condomini, senza incidere in alcun modo su
tali diritti.
Quando, poi, i condomini approvano la tabella che ha
determinato il valore dei piani o delle porzioni di piano
secondo i criteri stabiliti dalla legge non fanno altro che
riconoscere l'esattezza delle operazioni di calcolo della
proporzione tra il valore della quota e quello del
fabbricato. Il valore di una cosa è quello che è, e il suo
accertamento non implica alcuna operazione volitiva, ragion
per cui il semplice riconoscimento che le operazioni sono
state compiute in conformità al precetto legislativo non può
qualificarsi attività negoziale.
Alla luce di quanto sopra esposto, le Sezioni unite della
Corte suprema avevano quindi affermato che le tabelle
millesimali non devono essere approvate con il consenso
unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza
qualificata di cui all'articolo 1136, comma 2.
Con la nuova norma (articolo 69, Disposizioni attuative Cc)
le tabelle millesimali possono essere rettificate o
modificate solo all'unanimità, salvo limitate e circoscritte
ipotesi di revisione: a) nel caso di un errore; b) quando
per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in
conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o
di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è
alterato per più di un quinto il valore proporzionale
dell'unità immobiliare. Con questa formulazione sono state
eliminate le ipotesi di espropriazione parziale o di
innovazione di vasta portata.
Infine va chiarito che gli errori rilevanti ai fini della
revisione sono quelli obiettivamente verificabili, restando
esclusa la rilevanza dei criteri soggettivi nella stima
degli elementi necessari per la valutazione.
L'errore non coincide con l'errore vizio del consenso.
* * *
L'iniziativa
01 | LE CORREZIONI DA FARE
Dalla doppia maggioranza per gli interventi di risparmio
energetico, ai nuovi obblighi (alcuni irrealizzabili) degli
amministratori, alla possibilità di "distaccarsi" dal
riscaldamento centralizzato, al fondo condominiale
obbligatorio per la straordinaria manutenzione, solo per
citarne alcune
02 | LA MOSSA VINCENTE
Per evitare che gli errori del legislatore impediscano la
riforma, Il Sole 24 Ore ha lanciato l'iniziativa di
«correggere la riforma». Hanno risposto praticamente tutte
le associazioni di condomini e amministratori e gli ordini
interessati: Agiai, Alac, Anaci, Anaip, Anammi, Anapi, Apac,
Arpe-Federproprietà, Assocond, Asppi,
Assoedilizia-Confedilizia, Confabitare, Confai, Fna,
Gesticond, Ordine degli avvocati di Milano, Unai e Uppi
---------------
Gli altri casi. Le modalità di
aggiornamento.
Per gli «indici» contrattuali correzione all'unanimità.
IL VINCOLO/ Il regolamento interno non può prevedere la
immodificabilità o la modifica a condizioni differenti da
quelle di legge.
Per comprendere appieno la portata della sentenza di
Cassazione n. 18477/2010 e delle modifiche apportate con la
legge 220/2012 è necessario spiegare cosa si intenda per
tabelle, come vengono calcolate e qual è la loro natura,
ovvero se traggono la loro origine da un atto dispositivo o
da una più semplice presa di coscienza di una valutazione
tecnica.
Sappiamo che la funzione delle tabelle è quella di
determinare i poteri e attribuire gli oneri relativi alla
gestione del condominio. Anche il nuovo articolo 68 delle
Disposizioni di attuazione del Codice civile prevede la
quantificazione delle quote in «valori millesimali»,
soffermandosi non certo a spiegare o a determinare i criteri
da utilizzare per addivenire a dette quote, bensì indicando
quello di cui non va tenuto conto (canone locatizio,
miglioramenti, stato di manutenzione di ciascuna unità
immobiliare).
Quindi la determinazione viene lasciata ai tecnici che,
partendo dai criteri indicati in una circolare del ministero
dei Lavori pubblici (la 12480 del 1966 e la 2945 del 1993)
con riferimento all'edilizia popolare, prendono in
considerazione diversi elementi, come il coefficiente di
destinazione della superficie (box, negozio, cantina,
abitazione e altro), i coefficienti di luminosità,
esposizione di piano eccetera. A ogni coefficiente si
assegna un parametro che moltiplicati con i metri quadri dà
un valore, cosiddetto "superficie virtuale" che poi viene
tradotto in millesimi.
Il processo di calcolo sembra abbastanza semplice ma a
complicarlo vi è il fatto che ogni tecnico spesso utilizza
criteri diversi a cui assegna parametri differenti e,
quindi, non è improbabile che una stessa unità immobiliare,
senza subire variazioni di sorta, se valutata da due tecnici
diversi, può essere rappresentata da valori che si
discostano anche del 20 per cento.
Per poter comprendere se davvero le tabelle possono essere
modificate all'unanimità o a maggioranza bisogna
preventivamente stabilire se le stesse hanno un'origine
negoziale, ovvero contrattuale, oppure sono un semplice atto
di adesione a una valutazione esposta da un tecnico.
Le tabelle di natura contrattuale, ovvero quelle stabilite e
sottoscritte da tutti i condomini in quanto frutto di
espressa convenzione, non sono modificabili a maggioranza
neppure dopo la sentenza del 2010. Esse hanno la stessa
natura dei regolamenti contrattuali e quindi la loro
modifica presuppone l'accettazione dell'intera compagine
condominiale. La necessità, invece, di modificare le tabelle
sopraggiunge nel caso di sopraelevazioni o di incremento di
superfici (si pensi alla chiusura di un balcone o alla
costruzione di un soppalco) o di incremento delle unità
immobiliari (si pensi al recupero dei sottotetti o alla
costruzione sotterranea di box) e in questo caso la sentenza
della Cassazione è intervenuta affermando che era
sufficiente la maggioranza, sempre che non si trattasse di
tabelle di natura convenzionale.
Si ricordi, infine, che l'articolo 72 delle Disposizioni di
attuazione, non modificato dalla legge di riforma,
stabilisce che il regolamento di condominio non può derogare
alle disposizioni del precedente articolo 69. Ciò significa
che il regolamento di condominio non può prevedere l'immodificabilità
delle tabelle millesimali né prevederne la modifica a
condizioni differenti rispetto a quelle legislativamente
stabilite (articolo Il
Sole 24 Ore del 09.03.2013). |
ENTI LOCALI: Il Mef risponde all'Anci. Le selezioni devono concludersi entro
il 2013
Mini-enti, concorsi salvi.
Il Patto non vanifica le procedure avviate.
I piccoli comuni soggetti al Patto di stabilità interno dal
01.01.2013 possono concludere i concorsi per assunzioni
a tempo indeterminato avviati nel rispetto del più
favorevole regime di turnover previsto per gli enti non
soggetti, purché la pubblicazione del calendario delle prove
d'esame sia avvenuta entro il 31.12.2012 e il
reclutamento delle nuove risorse umane si concluda entro il
corrente anno.
Lo ha chiarito il ministero dell'economia e delle finanze
con la
nota 26.02.2013 n. 927 di prot., in risposta ad un
quesito posto dall'Anci.
Il dubbio riguardava la possibilità di completare le
procedure concorsuali avviate quando ai predetti enti era
applicabile l'art. 1, comma 562, della l. 296/2006 (legge
finanziaria 2007), che al di fuori del perimetro del Patto
consente nuove assunzioni di personale «nel limite delle
cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato
complessivamente intervenute nel precedente anno»
(cosiddetto turnover «per teste»). Viceversa, agli enti
soggetti al Patto si applica la più restrittiva disciplina
di cui all'art. 76, comma 7, del dl 112/2008, che consente
di assumere entro il limite del 40% della spesa
corrispondente alle cessazioni dell'anno prima.
Il Mef, pur ribadendo che l'inclusione nel Patto comporta
per i comuni fra 1.001 e 5 mila abitanti la necessità di
rispettare il più severo regime assunzionale in passato
previsto solo per quelli con popolazione superiore, da atto
delle difficoltà organizzative che esso è destinato a
produrre. Pertanto, accogliendo la richiesta dell'Anci,
consente di fare salvi i concorsi già in itinere. Ciò,
tuttavia, a una duplice condizione: in primo luogo, essi
devono trovarsi a uno stadio avanzato di svolgimento, che
può dirsi verosimilmente coincidente con l'avvenuta
pubblicazione, al 31.12.2012, del calendario delle
relative prove d'esame; in secondo luogo, il procedimento di
reclutamento dovrà concludersi entro il corrente anno. Si
tratta di un'apertura importante, a fronte della più
restrittiva posizione assunta in passato dalla Corte dei
conti.
Con la deliberazione n. 6/2012, infatti, la sezione
autonomie aveva espressamente affermato che «l'assenza di
specifiche disposizioni di diritto intertemporale in ordine
all'applicazione dei nuovi vincoli alla spesa di personale,
quali derivano dall'estensione della disciplina del Patto di
stabilità interno ai comuni con popolazione inferiore a 5
mila abitanti, non consente di legittimare interpretazioni
additive o derogatorie dell'art. 76, comma 7, del dl
112/2008, sussistendo margini organizzativi idonei a colmare
eventuali deficit di competenze tecniche o amministrative,
legati all'inadeguatezza degli organici o alla insufficienza
di risorse economiche dei comuni di più ridotte dimensioni».
Alla luce della lettura più favorevole del Mef, invece, tali
enti possono concludere i concorsi già avviati nel 2012,
anche se le relative assunzioni, da effettuare entro il
2013, portano a sforare il tetto del 40% della spesa del
personale cessato lo scorso anno. Restano fermi, ovviamente,
tutti gli altri vincoli, ovvero, in particolare, l'obbligo
di rispettare l'obiettivo annuale di Patto e quello di
garantire la riduzione della spesa complessiva di personale
rispetto all'anno precedente (art. 1, comma 557, della
stessa legge 296/2006)
(articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Prelievo tfr, ancora ricorsi.
La ritenuta del 2,5% non è stata restituita.
Consulta nuovamente chiamata in causa. Su
iniziativa della Confsal.
Trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici di
nuovo a sospetto di illegittimità costituzionale.
Il tribunale di Reggio Emilia, in veste di giudice del
lavoro, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di
legittimità costituzionale riguardante la disciplina del
trattamento di fine servizio (che per il lavoro pubblico
corrisponde al tfr del privato), già di recente oggetto di
una pronuncia della Consulta e di un intervento normativo.
Come si ricorderà, la Corte costituzionale con sentenza
223/2012 ha considerato incostituzionale l'articolo 12,
comma 10, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, per
aver leso i principi di eguaglianza posti dalla
Costituzione.
Detta norma modificò il sistema di determinazione del
trattamento di fine servizio che precedentemente era
computato applicando un accantonamento del 9,60% sull'80%
della retribuzione lorda, assoggettato a una ritenuta a
carico del dipendente del 2,50%, sempre sul lordo
retributivo; estendendo ai dipendenti pubblici la disciplina
del tfr privato, la manovra estiva 2010 fissò un
accantonamento del 6,91 sull'intero trattamento lordo, ma
mantenendo l'accantonamento del 2,50% sull'80% del lordo. In
conseguenza della declaratoria di illegittimità
costituzionale, su iniziativa del governo, il parlamento con
l'articolo 1, commi 98 e 99, della legge 228/2012, ha
abolito la riforma del 2010, ripristinando lo stato
precedente.
Tuttavia, alcuni dipendenti dei ministeri della giustizia e
dell'economia, su iniziativa della Confsal-Unsa, hanno
proposto ricorso al giudice del lavoro di Reggio Emilia,
eccependo che l'intervento normativo posto in essere con la
legge di stabilità era a sua volta lesivo della
Costituzione. Il tribunale considera «non manifestamente
infondata» e «rilevante» la questione di legittimità
costituzionale proposta, in particolare sotto l'aspetto
sostanziale.
Infatti, non è stata espressamente disposta la
restituzione della ritenuta del 2,50% sull'80% del
trattamento economico lordo dei dipendenti, tanto è vero che
molte amministrazioni non l'hanno versata ai dipendenti.
Secondo il giudice del lavoro, inoltre, il ripristino della
disciplina del trattamento di fine servizio non sana la
disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati,
proprio per la presenza del prelievo a titolo previdenziale,
inesistente nel sistema privatistico. Non solo: vi è una
disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici assunti
prima del 2001, per i quali vale il trattamento di fine
servizio, e quelli assunti dopo, ai quali, invece, si
applica il regime del trattamento di fine rapporto di stampo
privatistico.
Ancora, la legge di stabilità per il 2013 sarebbe viziata da
illegittimità costituzionale perché dichiarando l'estinzione
dei processi già instaurati dai dipendenti pubblici, li
priva della possibilità di vedersi riconosciuto il diritto
alla restituzione dei prelievi previdenziali, così
pregiudicando il diritto all'azione per ottenere tutela
giurisdizionale
(articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013 - link a www.ecostampa.it). |
TRIBUTI: Imu non profit, enti in rivolta.
Fa discutere l'esenzione per i beni dati in comodato.
Gli uffici tributi dei comuni contestano la tesi
sostenuta dalle Finanze nella circolare n. 4.
La
risoluzione ministeriale 04.03.2013 n. 4/DF, sostiene
che nella particolare ipotesi in cui l'immobile posseduto da
un ente non commerciale venga concesso in comodato a un
altro ente non commerciale per lo svolgimento di una delle
attività meritevoli di cui al c. 1, lett. i), dell'art. 7 del dlgs n. 504/1992, possa trovare applicazione l'agevolazione in
oggetto, sì da esentare dall'Imu come dall'Ici il possessore
sebbene non utilizzatore del detto immobile.
Secondo il Mef poiché a seguito del comodato d'uso gratuito,
l'ente concedente non ritrae alcun reddito non si realizza
una manifestazione di ricchezza e di capacità economica, che
avrebbe al contrario giustificato un apporto contributivo
alla spesa pubblica e quindi l'imposizione. Tale ottica di
valutazione pare trascurare che l'art. 7 lett. i) del dlgs
n. 504/1992, trova la sua ratio non già nell'evitare la
tassazione di una ricchezza non realizzata ovvero una
capacità contributiva inespressa, bensì è una disposizione
di indubbio contenuto e funzione premiale per specifiche
attività di particolare rilevanza sociale svolte dagli enti
non commerciali in quegli specifici immobili. È quindi una
norma di incentivazione ma rimane pur sempre un'agevolazione
tributaria e come tale di natura eccezionale e quindi di
stretta interpretazione (S.U. n. 28160/2008).
Come è noto,
il diritto vivente, in interpretazione costituzionalmente
orientata anche in considerazione delle ordinanze della
Corte cost. n. 429/2006 e n. 19/2007, impropriamente
richiamate dalla stessa risoluzione n. 4/Df, ha elaborato la
condizione soggettiva dell'utilizzazione diretta degli
immobili da parte dell'ente possessore, escludendo che il
beneficio possa spettare in caso di utilizzazione indiretta,
pur se assistita da finalità di pubblico interesse (cass.
ord. n. 3843/2013, cass. sent. n. 7385/2012).
La necessaria
coincidenza tra ente rientrante nella categoria dell'art. 73
c. 1 del Tuir nella sua veste di proprietario (o titolare di
altro diritto reale sul bene e come tale soggetto passivo
Ici/Imu) ed ente che utilizza l'immobile stesso è requisito
pacifico e non più disputabile (cass. sent. n. 2821/2012 e
n. 4502/2012). Sulla scorta della interpretazione
consolidata del giudice di legittimità non appare per nulla
convincente l'argomentare del Mef che con eccessiva
disinvoltura sterilizza la conditio sine qua non della
necessaria coincidenza soggettiva tra utilizzatore
dell'immobile e soggetto passivo Ici/Imu. Né pare
condivisibile la omologazione soggettiva tra concedente a
titolo gratuito ed effettivo utilizzatore svolgente attività
meritoria, atteso che il trasferimento della detenzione non
può certo ritenersi per il concedente come una forma di
esercizio diretto dell'attività meritoria istituzionale,
anzi la concessione si manifesta in via oggettiva come una
forma di non utilizzo.
Tra l'altro, la Corte di cassazione
ha già da tempo affrontato la questione della concessione in
uso gratuito escludendo categoricamente la esenzione per i
beni immobili non direttamente utilizzati per lo scopo
istituzionale e ciò indipendentemente dalla natura gratuita
o onerosa con la quale ne risultasse ceduto ad altri
l'utilizzo (cass. nn. 21329-21330/2008, cass. nn.
22201-22202-22203). Conclusivamente, la risoluzione
ministeriale non offre alcun nuovo elemento di
interpretazione di spessore tale da poter prevedere
un'inversione di rotta della Cassazione quanto meno nelle
ipotesi di concessione gratuita a diverso ente.
Merita, invece, approfondimento la fattispecie della
concessione ad altro ente commerciale appartenente alla
stessa struttura dell'ente concedente per lo svolgimento di
attività meritoria. Anche in questo caso la gratuità della
concessione non rileva ma ciò che deve essere verificato è
l'immedesimazione tra concedente e utilizzatore. Se la
struttura organizzativa di detti enti, seppur giuridicamente
distinti è la medesima ben può ritenersi sussistente la
utilizzazione diretta del concedente. Come già indicato
dalla Cassazione (n. 2821/2012) al fine di ravvisare
l'utilizzazione diretta necessita dare rilevanza diretta e
specifica al fatto concreto e alle reali connotazioni
economiche, piuttosto che al limite della distinta alla
forma giuridica.
Quindi nell'ipotesi in cui si verifichi in
fatto e in diritto che l'ente utilizzatore sia una
articolazione organizzativa dell'ente concedente, tale
peculiarità del rapporto di legame, sostiene la
raffigurazione della utilizzazione diretta seppure per via
di altro soggetto, dell'ente concedente e quindi, il diritto
di godere della esenzione ex art. 7, lett. i), del dlgs n.
504/1992. Solo per quest'ultima ristretta fattispecie, la
risoluzione n. 4 Df si manifesta in linea con
l'interpretazione consolidata e pacifica dell'ambito
applicativo della esenzione per gli enti non profit, mentre
l'allargamento del documento di prassi ai soggetti non
legati appare clamorosamente disallineato rispetto al
diritto vivente e non convincente oltre che non nuovo nelle
argomentazioni spese
(articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/
Controlli, Viminale out.
Nessun potere sulle delibere degli enti locali.
Contro le determinazioni del consiglio
l'unico rimedio è fare ricorso.
Un consigliere comunale può richiedere l'intervento
dell'amministrazione dell'interno avverso una delibera
consiliare con la quale, al termine della procedura prevista
dall'art. 69 del decreto legislativo n. 267/2000, è stata
dichiarata sussistente un'ipotesi di incompatibilità nei
confronti dell'interessato e, conseguentemente, è stata
deliberata la decadenza dello stesso dal mandato?
In conformità al principio generale secondo cui ogni organo
collegiale è tenuto a deliberare in merito alla regolarità
dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la
verifica delle cause ostative all'espletamento del mandato è
compiuta con la procedura consigliare prevista dall'art. 69
del decreto legislativo citato, che garantisce il
contraddittorio tra organo e amministratore, assicurando a
quest'ultimo l'esercizio del diritto alla difesa e la
possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa
di incompatibilità contestata.
Pertanto, nel contesto istituzionale vigente, ferme restando
le richieste direttamente rivolte al sindaco, non sussiste
da parte dell'amministrazione invocata un potere di
controllo sugli atti adottati dagli enti locali, né la
possibilità di procedere al riesame avverso eventuali
illegittimità lamentate dagli interessati.
Le determinazioni assunte dal consiglio comunale ai sensi
dell'art. 69 del decreto 18.08.2000, n. 267, possono formare
oggetto di ricorso davanti all'autorità giudiziaria a norma
del comma 5 del citato articolo (cfr. Corte cost., sent. n.
377 del 20/11/2008)
(articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013). |
ENTI LOCALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Non approvazione del rendiconto.
Sono applicabili a un comune che non ha approvato il
rendiconto di gestione entro il 30.04.2012 le misure
introdotte dall'art. 3, comma 1, del decreto legge 10.10.2012, n. 174?
Il decreto legge citato modifica l'art. 227 del decreto
legislativo n. 267 del 18.08.2000, introducendo
disposizioni finalizzate, tra l'altro, al riequilibrio della
situazione finanziaria degli enti locali in difficoltà, allo
scopo di assicurare una gestione amministrativo-contabile
efficiente e trasparente, in un quadro generale che vede gli
enti locali chiamati a concorrere agli obiettivi di finanza
pubblica, al consolidamento dei conti e al rispetto del
principio del pareggio di bilancio.
In tale ottica, la procedura di cui all'art. 141, comma 2,
del dlgs 267/2000, relativa alla mancata approvazione del
bilancio nei termini di legge, è stata estesa all'ipotesi di
mancata approvazione del rendiconto di gestione entro il
termine del 30 aprile dell'anno successivo alla chiusura del
bilancio.
La misura in questione ha carattere sanzionatorio e innova
una fattispecie che, in precedenza, non prevedeva la
dissoluzione dell'ente nell'ipotesi di inadempimento
dell'amministrazione. Tale disposizione, pertanto, non può
disciplinare fatti giuridici antecedenti alla data di
entrata in vigore del decreto legge citato in quanto è
applicabile, con efficacia ex nunc, a decorrere dal prossimo
anno, relativamente al rendiconto di gestione che dovrà
essere approvato entro il 30.04.2013.
Pur tuttavia, l'ente dovrà adottare il rendiconto relativo
all'esercizio 2011 con la massima urgenza, atteso che il
termine di legge è ampiamente scaduto e che il documento
contabile riveste assoluta rilevanza per dare dimostrazione
del risultato contabile di gestione e di quello contabile di
amministrazione, in termini di avanzo, pareggio o disavanzo.
Del resto, la dimostrazione dei predetti risultati rileva
anche ai fini dell'adozione del provvedimento di
salvaguardia degli equilibri di bilancio, ai sensi dell'art.
193 del decreto legislativo n. 267/2000, poiché in tale sede
vanno adottati anche i provvedimenti per l'eventuale ripiano
del disavanzo di amministrazione e, in termini generali, per
rispettare la sequenza temporale degli atti di bilancio.
Nel caso di specie, pertanto, non sussistono le condizioni
per l'applicazione della misura dissolutoria nei confronti
dell'amministrazione comunale.
Restano comunque ferme le disposizioni di cui all'art. 6 del
decreto legislativo 06.09.2011, n. 149, relative al
procedimento sanzionatorio conseguente a pronunce delle
sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, per
comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria,
violazione degli obiettivi di finanza pubblica allargata e
irregolarità contabili o squilibri strutturali di bilancio
dell'ente locale, in grado di provocarne il dissesto
finanziario
(articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013). |
CONDOMINIO: Riforme.
Basta l'80% dei consensi.
In condominio arrivano piscine e campi da calcio.
La riforma del condominio (legge 220/2012) ha stabilito, in
tema di modificazioni delle destinazioni d'uso, che per
soddisfare esigenze di interesse condominiale l'assemblea,
con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei
partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore
dell'edificio, può modificare la destinazione d'uso delle
parti comuni (è il nuovo articolo 1117-ter). Una maggioranza
comunque difficile da ottenere.
In questi casi la convocazione dell'assemblea deve essere
affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali
di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e
deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o
equipollenti mezzi telematici, in modo da pervenire almeno
venti giorni prima della data di convocazione. La
convocazione dell'assemblea, a pena di nullità, deve
indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la
nuova destinazione d'uso. La deliberazione deve contenere la
dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli
adempimenti previsti.
Naturalmente la nuova normativa riguarda solo le
modificazioni che siano legittime, che cioè corrispondono a
esigenze di interesse condominiale. Non sono, quindi,
consentite, se non all'unanimità, modifiche che siano
finalizzate a soddisfare l'interesse particolare di un
condomino o di un gruppo di condomini (Cassazione, sentenza
n. 17397/2004). La nuova normativa non è –per esempio–
applicabile alla trasformazione, anche solo parziale, del
tetto dell'edificio in terrazza a uso esclusivo del singolo
condomino (Cassazione, n. 5753/2007 e 24414/2006), Tra
l'altro, il nuovo articolo 1117-ter stabilisce, altresì, che
sono vietate le modificazioni d'uso che possono recare
pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o
che ne alterano il decoro architettonico.
Limiti, questi, già sanciti dall'articolo 1120 (rimasto in
vigore) che aggiunge, riguardo alle innovazioni, che «non
devono essere rese talune parti dell'edificio inservibili
all'uso o al godimento anche di un solo condomino». Non si
può, quindi, condividere qualsiasi interpretazione di
diversificazione dei limiti e delle preclusioni tra
innovazioni e modifiche di destinazione d'uso.
E, venendo all'applicazione pratica della nuova norma, si
possono configurare alcune ipotesi: ad esempio,
installazione di una piscina, di un campo di tennis o di
calcio nell'area comune, la modifica della destinazione
pertinenziale dei locali adibiti ad alloggio del portiere,
l'accorpamento di più edifici in un unico condominio.
Riguardo alla tutela delle destinazioni d'uso il nuovo
articolo 1117-quater prevede che, nel caso di attività che
incidano negativamente e in modo sostanziale sulle
destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i
condomini, anche singolarmente, possono diffidare
l'esecutore e possono chiedere la convocazione
dell'assemblea per far cessare la violazione anche mediante
azioni giudiziarie. La nuova norma è solo ricognitiva di
quanto è già presente nella prassi condominiale.
L'unica effettiva modifica riguarda la facoltà di
convocazione dell'assemblea attribuita al singolo (e non più
a due condomini con 166,66 millesimi). D'altra parte, la
giurisprudenza è costante nell'affermare che ciascun
condomino è legittimato ad agire in giudizio per la tutela
del bene che interessa la generalità dei condomini
(Cassazione, sentenze 10717/2011, 7300/2010 e 3900/2010)
(articolo Il Sole 24 Ore dell'08.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Buonuscita.
Sotto esame la legge di stabilità.
Tfs statali ancora alla Consulta.
DOPPIO AFFONDO/
Il Tribunale di Reggio Emilia contesta lo stop d'ufficio per
la restituzione della trattenuta del 2,5% e il ritorno al
vecchio regime.
La Corte costituzionale dovrà tornare a occuparsi
dell'intricata vicenda sul Tfr degli statali, dopo aver
cancellato per illegittimità con la sentenza 223/2012 il
tentativo di "riforma" operato con la manovra estiva 2010.
A
investirla del nuovo incarico è il giudice del lavoro del
Tribunale di Reggio Emilia, che con l'ordinanza 05.03.2013 richiama in causa la Consulta in un ricorso
avanzato da 25 dipendenti dello stesso tribunale assistiti
dalla Confsal-Unsa (quarto sindacato nella Pa centrale).
Il problema nasce ancora una volta dalla "riforma" del 2010,
che in realtà costituiva un tassello nel mosaico di
interventi per tagliare i costi del lavoro pubblico, ma ne
rappresenta un'evoluzione. Con il Dl 78/2010 fu equiparato
il trattamento dei dipendenti in regime di Tfs (assunti
prima del 2001) a quello dei dipendenti privati, con
l'applicazione dell'aliquota del 6,91%. L'allineamento,
però, fu parziale, perché non cancellò il prelievo del 2,5%
sull'80% della retribuzione previsto per la vecchia
buonuscita, creando di conseguenza una nuova disparità di
trattamento.
Di qui la bocciatura costituzionale, a cui il
Governo Monti ha cercato di rimediare prima con un decreto
legge trasferito poi in tre commi nell'ultima legge di
stabilità (articolo 1, commi 98-100 della legge 228/2012).
Con quella norma, è stata ristabilita la situazione
precedente, impedendo però il recupero delle trattenute
effettuate nel periodo in cui ha operato la regola
cancellata dalla Consulta e dichiarando estinti d'ufficio i
ricorsi avanzati dai lavoratori per ottenere la
restituzione.
Proprio da questo aspetto parte la questione di legittimità
ora sollevata dal Tribunale, che vede il rischio di
vanificare «il diritto del cittadino alla tutela» (articoli
3 e 24 della Costituzione) e un'interferenza della legge con
le funzioni giudiziarie (articoli 101-103).
Ma il tribunale non si ferma qui: il ripristino tout
court del vecchio regime, si legge nell'ordinanza,
rideterminerebbe una disparità di trattamento fra i
dipendenti privati (e gli assunti nella Pa dal 2001) e
quelli pubblici; fra questi ultimi, poi, lo stop d'ufficio
ai ricorsi aprirebbe un'ulteriore disparità fra chi ha fatto
in tempo a vincere la causa per la restituzione della
trattenuta prima della legge di stabilità 2012 e chi no
(articolo Il Sole 24 Ore dell'08.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Parere
funzione pubblica.
Per la mobilità serve anche l'assenso della p.a. cedente.
Per dare il via libera alla mobilità da una pubblica
amministrazione a un'altra è necessario un doppio consenso.
Non solo, com'è ovvio, quello dell'ente che riceve il
dipendente, ma è indispensabile anche quello della p.a.
cedente.
Lo ha chiarito la Funzione pubblica nel
parere
01.03.2013 n. 10395 di prot..
Il ministero ha risposto a un quesito dell'Università
Federico II di Napoli nient'affatto convinta della tesi,
suffragata anche da alcune clausole contrattuali in materia,
secondo cui l'amministrazione di appartenenza non potrebbe
rifiutarsi di dare corso alla richiesta di trasferimento del
proprio dipendente se questi ha trascorso 5 anni nella sede
di prima destinazione.
Palazzo Vidoni ha fatto notare come la riforma Brunetta (dlgs
150/2009) abbia rafforzato le prerogative dei dirigenti
pubblici, a cui spettano «i poteri del datore di lavoro
pubblico nella gestione delle risorse umane». E ciò è
avvenuto anche attraverso il riconoscimento in capo allo
stesso della competenza sull'istituto della mobilità
individuale «secondo criteri oggettivi finalizzati ad
assicurare la trasparenza delle scelte operate».
In questo modo, precisa la nota, «è stata formalizzata la
buona prassi amministrativa di richiedere preventivamente il
parere dei dirigenti degli uffici interessati nelle varie
ipotesi di diversa allocazione funzionale dei dipendenti
assegnati»
(articolo ItaliaOggi del
07.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Verso
il Cdm. Domani l'esame del Governo sul «Codice di
comportamento dei dipendenti».
Tetto ai regali nella «Pa».
Il limite fissato a 100-150 euro - Niente doni ai capi dai
sottoposti.
SEMAFORO ROSSO/
Stop all'uso di auto blu, telefoni o internet di Stato per
motivi personali Astensione dalle decisioni per conflitto di
interessi.
Niente regali o graziosi sconti fino a 100 euro, al massimo
fino a 150 se l'amministrazione sarà generosa. E niente
cadeaux ai capi dai sottoposti, anche tramite loro parenti
entro il secondo grado. Pena il licenziamento. E stop
all'uso di auto blu, telefoni o internet di Stato a sbafo
per motivi personali. Ma anche conflitti d'interesse nel
mirino e bocche cucite a prova di insider sulle informazioni
d'ufficio. Scatta la stretta anti-corruzione (e anti-spreco)
per 3,3 milioni di travet. Una vita a dieta, per chi sgarra,
è in arrivo con il «Codice di comportamento dei dipendenti
pubblici» che, sotto forma di Dpr, sbarca domani in
Consiglio dei ministri.
Vita più dura per chi lavora nella Pa, insomma, ma anche per
tutti i consulenti e collaboratori della pubblica
amministrazione. Compresi i collaboratori degli uffici di
ministri, vice ministri, sottosegretari, assessori e
politici un genere che hanno le mani in pasta nella cosa
pubblica. Il tutto in 17 articoli di un provvedimento che,
dopo l'intesa con enti locali e Regioni, ha incassato anche
il via libera del Consiglio di Stato, dando così attuazione
alla legge (la 190 del 2012) sull'anticorruzione, che a
questo punto dà forma generalizzata ai Codici già esistenti.
Ma irrobustendoli, rendendoli più severi e più stringenti.
La nuova puntata della lotta alla corruzione che il Governo
uscente dei professori ha significativamente deciso di
varare proprio in questa fase di difficilissimi equilibri
politici per la formazione del nuovo Esecutivo, si
arricchisce insomma di nuovi contenuti. L'inserimento tra i
destinatari del «Codice» dei consulenti degli organi
politici e dei collaboratori o consulenti della Pa e dei
suoi fornitori, a qualsiasi titolo, è uno degli esempi più
significativi delle novità dell'ultima ora.
Intanto i principi generali. A partire dal dovere di
osservare la Costituzione e di «servire lo Stato» con
«disciplina e onore». E così «integrità, correttezza, buona
fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e
ragionevolezza», saranno la stella polare. Su su, fino ai
dirigenti e ai maxi burocrati. Il dipendente pubblico sopra
ogni sospetto, dovrà astenersi dal partecipare a decisioni
«in caso di conflitto d'interessi» che lo riguardino, e che
andranno sempre comunicati all'amministrazione. Mentre la
lotta all'insider diventa regola: «Il dipendente non usa a
fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni
d'ufficio». E ancora: «Evita situazioni e comportamenti che
possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o
nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica
amministrazione». Della quale, per inciso, in pubblico non
dovrà mai dir male. Rispettando i diritti del cittadino, la
priorità delle pratiche, sesso, razze, religione o meno,
appartenenza politica, condizioni sociali e di salute.
Col capitolo «regali, compensi e altre utilità» si entra nel
vivo degli usi (quando ci sono) da mettere all'indice. E
così: «Il dipendente non chiede, per sé o per altri, regali
o altre utilità». Non li chiede, né li «accetta»,
ovviamente. Fatti salvi «quelli d'uso di modico valore
effettuati occasionalmente nell'ambito delle normali
relazioni di cortesia». Se ricevuti vanno consegnati
all'amministrazione, che li restituirà. E per «modico
valore», chiarisce il Dpr, si intendono regali e «altre
utilità» che «in via orientativa» valgono fino a 100 euro
«anche sotto forma di sconto». Che i piani di prevenzione
anti-corruzione delle amministrazioni, potranno abbassare
anche sotto i 100 euro. O andare oltre: «Al massimo non
superiore a 150 euro».
In ogni caso i regali oltre il «modico valore» legati ad
attività d'ufficio, non potranno essere accettati o
sollecitati neppure sotto forma di sconti o buoni acquisto.
Anche da un «subordinato» (coniuge, convivente, parenti e
affini fino al secondo grado inclusi), né i doni proibiti
potranno esser fatti al capo, al suo coniuge o convivente. E
questo varrà a maggior ragione anche per gli alti burocrati,
che avranno un altro dovere: informare l'amministrazione
della partecipazioni azionarie e di altri interessi
finanziari che possano configurare conflitti d'interesse col
suo lavoro, anche per parenti e affini fino al secondo
grado. Tutto alla luce del sole, si spera: perfino la
dichiarazione dei redditi
(articolo Il Sole 24 Ore del
07.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
CONDOMINIO: Riforme
da correggere. Una svista del legislatore rende necessario
intervenire prima del 18 giugno.
Condominio, disabili penalizzati.
Le nuove maggioranze rendono difficile eliminare le barriere.
Una delle conseguenze più imprevedibili (e probabilmente
neppure davvero voluta dal legislatore) della riforma della
disciplina sul condominio contenuta nella legge 220/2012 –che entrerà in vigore il 18 giugno– è l'elevazione della
maggioranza prevista dall'attuale normativa per deliberare
le innovazioni dirette a eliminare le barriere
architettoniche negli edifici privati.
Si tratta di una previsione che di sicuro non trova alcuna
valida giustificazione, eppure l'articolo 27 della legge di
riforma modifica l'articolo 2, comma 1, della legge 09.01.1989, n. 13 e stabilisce, con un rinvio al nuovo
comma 2 dell'articolo 1120 del Codice civile (il quale a sua
volta, rinvia al secondo comma dell'articolo 1136), che
l'assemblea condominiale delibera le innovazioni relative
all'abbattimento delle barriere architettoniche negli
edifici con un numero di voti che rappresenti la maggioranza
degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
Invece l'originario (e ancora in vigore fino al 18 giugno)
testo dell'articolo 2, comma 1, della legge 13/1989 ha
consentito finora di approvare queste delibere, purché
adottate in un'assemblea di seconda convocazione, con un
numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al
condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio.
Se anche l'obiettivo fosse stato quello di rendere la
maggioranza per eliminare le barriere architettoniche più
omogenea a quelle previste da altre similari leggi speciali,
come l'articolo 26 della legge 10/1991 sul risparmio
energetico e l'articolo 2-bis, comma 13, della legge 66/2001
sugli impianti di radiodiffusione satellitare, questa non
sembra proprio una valida ragione per elevare una
maggioranza "agevolata" che risponde a una esigenza sociale
e a un principio costituzionale, come è stato evidenziato
dalle più recenti sentenze emesse dalla Corte di cassazione
sull'argomento.
Infatti, con la sentenza n. 18334/2012 la Cassazione ha
affermato che in generale i rapporti fra condomini devono
essere informati al principio di solidarietà condominiale,
secondo il quale la coesistenza di più appartamenti in un
unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari
interessi, e che quindi il principio di solidarietà
condominiale trova applicazione, a maggior ragione, per la
tutela dei diritti fondamentali dei disabili.
Con la precedente sentenza n. 2156/2012, relativa alla
costruzione di un ascensore nella tromba delle scale con
riduzione dei gradini, la Cassazione ha stabilito che
nell'ambito della valutazione comparativa delle opposte
esigenze (da un parte dei portatori di handicap a installare
l'ascensore e dall'altra dei condomini a continuare a fruire
nella sua interezza della scala, che viene ristretta senza
però diventare inservibile), deve prevalere la prima, in
conformità ai principi costituzionali della tutela della
salute (articolo 32 della Costituzione) e della funzione
sociale della proprietà (articolo 42).
Stando così le cose, non si comprende allora il motivo per
cui il legislatore della riforma ha deciso di elevare
l'attuale maggioranza proprio in un settore che coinvolge
interessi talmente delicati e importanti.
Dovendo la nuova disciplina entrare in vigore fra poco più
di tre mesi è allora auspicabile che la maggioranza sulle
barriere architettoniche venga riportata al suo testo
originario prima di quella data.
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01 | CORREGGERE È NECESSARIO
La riforma del condominio è a 100 giorni dall'entrata in
vigore (prevista per il 18 giugno) e ormai è stata passata
al microscopio da uffici studi ed esperti delle
associazioni, studiosi, magistrati e avvocati. Le criticità
sono emerse e insieme a esse la necessità di intervenire
prima dell'entrata in vigore, per evitare il rischio che la
riforma parte zoppa
02 | LA MOSSA VINCENTE
Per questo Il Sole 24 Ore ha lanciato l'iniziativa di
«correggere la riforma», approfittando del periodo di
"vacanza" di sei mesi concesso dalla norma (la legge
220/2012). Hanno risposto praticamente tutte le associazioni
di condomini e amministratori e gli ordini interessati: Agiai, Alac, Anaci, Anaip, Anammi, Anapi, Apac,
Arpe-Federproprietà, Assocond, Asppi,
Assoedilizia-Confedilizia, Confabitare, Fna, Gesticond,
Ordine degli avvocati di Milano, Unai e Uppi
03 | I PASSAGGI
Il primo passo è già stato fatto: l'iniziativa del Sole 24
Ore ha raccolto le adesioni del settore che, su invito del
giornale, hanno già inviato le loro proposte di modifica.
Compito del Sole è ora quello di elaborarle in un testo di
modifica normativa agile e che risolva i problemi maggiori,
quelli che davvero potrebbero impedire il decollo della
riforma. Il testo sarà condiviso da tutte le associazioni e
verrà presentato in maggio al nuovo Governo.
La presentazione
L'idea di «correggere la riforma del condominio» è maturata
negli scorsi mesi e ieri è stata lanciata sulle pagine del
Sole 24 Ore. I passaggi dell'iniziativa (illustrati qui
accanto) prevedono alla fine un convegno, organizzato dal
Sole 24 Ore, nel quale verrà presentato il disegno di legge,
risultato degli sforzi collettivi del giornale e delle
associazioni del settore
(articolo Il Sole 24 Ore del
07.03.2013). |
CONDOMINIO: Le
novità da salvare. Spazi più ampi per le iniziative dei
singoli proprietari.
Impianti individuali nelle parti comuni.
Via libera per il singolo condomino o anche a un gruppo di
loro all'installazione su parti comuni condominiali di
impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva
(le paraboliche) e per l'accesso a qualunque altro genere di
flusso informatico, anche da satellite o via cavo.
Anche se la recente normativa favorisce espressamente la
centralizzazione degli impianti di ricezione, non è certo
impedito al singolo condomino di continuare ad avvalersi di
una antenna individuale o di installarne una nuova: si
tratta del principio di libera manifestazione del pensiero
con ogni mezzo di diffusione previsto dalla Costituzione
(articolo 21). Solo un regolamento condominiale di natura
contrattuale può limitare tale facoltà.
Il nuovo articolo 1122-bis prevede anche la facoltà per il
condomino di installare impianti di energia da fonti
rinnovabili ad uso esclusivo su lastrici o su altra idonea
superficie comune (si veda il Sole 24 Ore di ieri).
Tutti questi interventi, se rispettosi dei divieti di cui si
è detto, possono essere eseguiti dal condomino senza
necessità di preventiva autorizzazione da parte
dell'assemblea e solo semmai sotto il suo vigile controllo.
Attenzione però, perché se l'installazione dei nuovi
impianti comportano delle modificazioni delle parti comuni,
allora l'interessato ha l'obbligo di indicare
all'amministratore il contenuto specifico degli interventi e
le modalità con cui vuole porli in essere.
A questo punto l'assemblea, dopo aver preso atto delle
modifiche che il condomino vuole apportare alle parti
comuni, può prescrivere soluzioni alternative di esecuzione
e imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della
sicurezza o del decoro architettonico. La relativa delibera
deve essere assunta con l'elevata maggioranza di cui al
quinto comma dell'articolo 1136 del Codice civile, cioè con
il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in
assemblea portatori di almeno e due terzi dei millesimi. La
pratica condominiale insegna però che simili maggioranze
sono difficilmente raggiungibili in assemblea, quindi al
condomino resterà solo l'obbligo del rispetto dei più
generali limiti impostigli dall'articolo 1102 in tema di uso
particolare delle parti comuni
(articolo Il Sole 24 Ore del
07.03.2013). |
LAVORI PUBBLICI: Decreto
ministeriale. La mancata comunicazione da parte degli enti
determinerà il blocco dei finanziamenti.
Monitoraggio a tappeto per le opere pubbliche.
Le amministrazioni pubbliche e le
società partecipate devono rilevare e trasmettere al sistema
di monitoraggio nazionale presso il Cipe un'ampia serie di
informazioni inerenti la realizzazione di lavori finanziati
da risorse pubbliche.
Il decreto del ministro dell'Economia 26.02.2013 ridefinisce
i flussi informativi e i relativi adempimenti collegati al
Cup, finalizzati a tracciare le varie fasi di sviluppo delle
opere pubbliche.
La rilevazione è effettuata con le nuove modalità in
attuazione del Dlgs 229/2011 (che ha riorganizzato il
sistema di monitoraggio che fa leva sul codice unico di
progetto) e si riferisce alle opere pubbliche in corso di
progettazione o di realizzazione alla data del 21.02.2012.
Il decreto individua il dettaglio dei dati anagrafici,
finanziari, fisici e procedurali concernenti la
realizzazione di lavori pubblici destinatari di
finanziamenti e di agevolazioni a carico del bilancio dello
Stato. Questo profilo applicativo potrebbe determinare la
possibilità di ricomprendere nel novero delle opere anche
quelle di urbanizzazione (principalmente secondaria)
realizzate a scomputo dai soggetti attuatori di piani
urbanistici.
Il dato principale per la rilevazione è sempre il Cup, ma
nella comunicazione devono essere precisate anche le
informazioni descrittive delle intese istituzionali o degli
strumenti attuativi nell'ambito dei quali sono realizzate le
opere. Le amministrazioni devono precisare anche se il
progetto genera entrate, nonché un'ampia serie di elementi
descrittivi dei finanziamenti pubblici e la segnalazione di
eventuali cofinanziatori privati. Un aspetto molto
interessante della schedatura è individuabile nella
dettagliata descrizione del monitoraggio dei pagamenti. Le
amministrazioni, inoltre, sono tenute a fornire elementi di
riscontro relativi a indicatori di realizzazione fisica del
progetto e occupazionali.
Il Dm delinea il suo ambito applicativo non solo con
riguardo alle amministrazioni pubbliche (peraltro secondo
l'ampio quadro di riferimento della legge di contabilità
pubblica), ma anche alle società da esse partecipate a
qualsiasi livello. La rilevazione dei dati deve essere
effettuata quattro volte all'anno, ma per il 2013 vale una
deroga che consente di concretizzare la prima operazione
entro il 30 giugno. La periodicità dei riscontri può essere
comunque aumentata per consentire l'ottimizzazione con altre
linee di rilevazione di informazioni settoriali.
Gli enti di minori dimensioni potranno fruire dell'ausilio
della ragioneria generale dello Stato, qualora non
riuscissero nella fase iniziale a raccogliere i dati con i
propri sistemi. La comunicazione dei dati relativi al
monitoraggio dello stato di realizzazione delle opere
pubbliche costituisce presupposto fondamentale per
l'erogazione del finanziamento: qualora non sia effettuata,
la diretta conseguenza è il blocco dello stesso
(articolo Il Sole 24 Ore del
07.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI: L'Authority
contratti boccia le nuove prassi per la promozione dell'opera. Illegittimo
aggiudicare l'appalto valutando anche il co-marketing.
Illegittimo aggiudicare un appalto valutando anche il
cosiddetto “co-marketing” nell'ambito delle offerte
tecnico-economiche; si tratta di elemento non attinente alle
caratteristiche dell'appalto che non può essere oggetto di
valutazione ai fini dell'affidamento del contratto.
E' quanto afferma l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici con il parere di precontenzioso 13.02.2013 n. 11 (prec. 222/12/L, ancora non
pubblicato sul sito www.avcp.it), in accoglimento
dell'istanza presentata da Ance Sicilia.
Si tratta della prima pronuncia relativa ad una innovativa
prassi di valutazione delle offerte posta in essere da
alcune amministrazioni locali nell'ambito della valutazione
tramite il criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa.
Il caso specifico riguardava un appalto di
lavori di riqualificazione urbana con importo a base d'asta
di 1,052 milioni per l'aggiudicazione del quale si
prevedeva anche l'attribuzione di un punteggio all'offerta
in aumento sull'importo da versare al Comune per installare
spazi pubblicitari sui luoghi oggetto dell'intervento, per
promuovere le opere oggetto dell'appalto (sotto questo
profilo si parla di “co-marketing”).
L'anomalia segnalata
all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici
consisteva nel fatto che al vero e proprio ribasso sul
prezzo posto a base di gara si attribuiva un punteggio ben
più basso (15 punti su 100) rispetto a quello attribuito
all'elemento concernente il “co-marketing” (inizialmente
fissato a 50/100 e poi ridotto a 20/100) e, soprattutto che
si trattava di un elemento di valutazione non coerente
rispetto al quadro di riferimento nazionale e comunitario,
che privilegia valutazioni tese a garantire la qualità
dell'offerta dell'impresa, e in contrasto con quanto
previsto nella determinazione 7/2011 dell'organismo di
vigilanza.
L'Autorità di via di Ripetta (relatore Giuseppe
Borgia) ha in primo luogo ritenuto inammissibile questo
“discriminante criterio” di valutazione delle offerte e poi
ha aggiunto che “non è dato evincere alcuna specifica
attinenza tra il criterio in esame e le caratteristiche
dell'appalto”.
Inoltre è stato rilevato che “la semplice
ricorrenza del profilo di interesse pubblico, espressamente
riconnesso al valore culturale degli spazi interessati dai
lavori, non è tale da giustificare l'inserimento del
contestato criterio di valutazione dell'offerta appunto
perché non attinente alla natura, all'oggetto e alle
caratteristiche dell'appalto, volto alla riqualificazione
dell'area attraverso l'esecuzione di un complessivo
intervento di trasformazione, al fine di migliorarne la
fruibilità, che non comprende anche la sua valorizzazione
pubblicitaria e commerciale”.
Nel capitolato era previsto,
in particolare, che gli impianti pubblicitari realizzati
dalla stazione appaltante sarebbero stati concessi per 12
mesi e affidati all'aggiudicatario dell'appalto per azioni
di co-marketing e che il corrispettivo sarebbe comunque e
sempre dovuto alla stazione appaltante anche in caso di
mancato utilizzo degli impianti pubblicitari (in sostanza
l'appaltatore si sarebbe accollato il “rischio di domanda”)
(articolo ItaliaOggi del
06.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: RESPONSABILITÀ
APPALTI/ Semplificazione, passi avanti con la circolare 2/E. Versamenti
asseverati a tentoni.
Professionisti, l'unico riferimento il visto sui crediti Iva.
Nell'asseverazione della regolarità dei versamenti
nell'ambito della disciplina sulla responsabilità fiscale
negli appalti, professionisti senza certezze.
Manca una disciplina organica per le modalità di esecuzione
delle verifiche, dovendo necessariamente far riferimento,
per quanto compatibili e adattandole, alle modalità di
verifica dei dati utilizzati in sede di rilascio del visto
di conformità del credito Iva.
L'Agenzia delle entrate, con la circolare n. 2/E di venerdì
scorso (si veda ItaliaOggi del 2 e del 5 marzo), ha fatto
passi avanti nella semplificazione degli adempimenti, ma
servono ancora numerose indicazioni per poter applicare
senza affanni (e senza rischi) la disciplina introdotta
dall'art. 13-ter, dl n. 83/2012, sulla solidarietà fiscale
nell'ambito dei contratti di appalto.
Passando in rassegna le problematiche ancora aperte si
segnala, innanzitutto, quella relativa alla sanzione posta a
carico del committente che varia da euro 5 mila a euro 200
mila; sul punto, non è stata indicata alcuna modulazione, ma
si ritiene che la stessa sanzione si renda applicabile
soltanto nel caso in cui sia riscontrato l'effettivo
inadempimento tributario in capo ai soggetti obbligati,
tenendo conto della gravità dell'omissione e della
ripetitività dell'inadempimento.
Si ritiene che, essendo la sanzione non commisurata alla
somma oggetto dell'inadempimento, in presenza di violazioni
concernenti importi contenuti, la sanzione applicabile sia
quella minima, ma non indifferente, pari a 5 mila euro.
Né la circolare n. 40/E/2012, né quella in commento (n.
2/E/2013) hanno speso più di qualche riga per fissare la
disciplina dell'eventuale asseverazione; nel primo documento
di prassi richiamato, in effetti, l'Agenzia delle entrate
aveva precisato che la certificazione sulla regolarità dei
versamenti effettuati dall'appaltatore o dal sub-appaltatore
poteva essere rilasciata, oltre che con una dichiarazione
sostitutiva, attraverso un'asseverazione resa dai
responsabili dei Caf o da professionisti abilitati (dottori
commercialisti, consulenti del lavoro e quant'altro).
Sul punto, in assenza di un modello ad hoc,
nell'asseverazione si ritiene opportuno indicare, alla
stessa stregua di quanto previsto per la dichiarazione
sostitutiva, l'applicazione dell'inversione contabile o
dell'Iva per cassa, gli estremi delle deleghe «F24», in caso
di debito da liquidazione periodica dell'Iva, l'indicazione
del periodo nel quale le ritenute alla fonte sui redditi di
lavoro dipendente sono state versate, con l'indicazione
degli estremi delle deleghe e l'attestazione che detti
versamenti sono riferibili al contratto (o ai contratti) per
il quale l'asseverazione si rende necessaria.
Permangono perplessità, inoltre, sull'eventuale presenza di
contratti verbali, ai fini della relativa dimostrabilità
degli stessi, ma si nutre ulteriormente perplessità che, per
i casi soggetti alla disciplina, si sia in assenza di
contratti redatti in forma scritta, anche per cautelare le
parti dalle rispettive inadempienze, soprattutto quando
l'entità delle prestazioni sono di una certa consistenza.
Si nutrono, inoltre, perplessità sulla esclusione dalla
disciplina di determinate tipologie, come le prestazioni
d'opera; se chiara e scontata appare l'esclusione delle
prestazioni intellettuali (commercialista, avvocato,
ingegnere e quant'altro), non altrettanta chiara è
l'esclusione di taluni soggetti, come gli artigiani.
È proprio la delimitazione organizzativa (l'assenza
dell'organizzazione di mezzi) che crea perplessità non
potendo sic et simpliciter escludere
dall'applicazione tutti gli artigiani, per esempio, inseriti
nel relativo albo, posto che all'interno vi sono operatori
che operano con utilizzo minimo di mezzi e risorse, ma anche
società a responsabilità limitata, nelle quali i soci
prestano la propria opera.
Pertanto, al fine di evitare possibili contenziosi (e
sanzioni), è consigliabile che anche i prestatori d'opera,
potenzialmente esclusi ma con un minimo di organizzazione,
rilascino l'attestazione; soluzione che permetterà, inoltre,
di incassare il corrispettivo
(articolo ItaliaOggi del
06.03.2013). |
LAVORI PUBBLICI: In
G.U. il dm attuativo del dlgs 299/2011. Adempimenti
necessari per i finanziamenti. Appalti trasparenti o stop
soldi.
Tutte le informazioni vanno alla banca dati delle p.a..
Appalti trasparenti o stop ai finanziamenti pubblici. Con il
decreto del mineconomia 26.02.2013, pubblicato sulla
G.U. n. 54 di ieri, si dà attuazione dell'art. 5 del decreto
legislativo 29.12.2011, n. 229, individuando le
informazioni che le amministrazioni e i soggetti
aggiudicatori sono tenute a detenere e a comunicare alla
banca dati delle amministrazioni pubbliche.
Le informazioni, riassunte in una scheda, sono le più varie,
e vanno dall'indicazione delle fonti di finanziamento
dell'opera (compreso il codice fiscale del cofinanziatore
privato) ai ribassi d'asta registrati, dai pagamenti
effettuati dalle amministrazioni aggiudicatrici alle imprese
che attuano il progetto allo stato di avanzamento dell'opera
«misurato» passo passo. Ma rientrano anche le informazioni
sull'occupazione creata e quelle più generali su tutti i
soggetti collegati al progetto a vario titolo: chi sono,
cosa fanno, dimensioni, addetti, rappresentante legale ecc.
In sostanza un'operazione trasparenza necessaria anche per
monitorare l'andamento delle opere pubbliche e il cui
mancato rispetto avrà conseguenze pesanti per gli operatori.
Il decreto dell'Economia, infatti, prevede che
«l'adempimento degli obblighi di comunicazione (_) è un
presupposto del relativo finanziamento a carico del bilancio
dello stato, verificato all'atto della sua erogazione dai
competenti uffici preposti al controllo di regolarità
amministrativa e contabile». In altre parole, se manca la
comunicazione, che è tutta imperniata sul Codice
identificativo di gara (Cig) e sul Codice unico di progetto
(Cup), il finanziamento viene meno. Le disposizioni del
decreto si applicano alle amministrazioni pubbliche ma anche
ai soggetti diversi destinatari di finanziamenti e
agevolazioni a carico del bilancio dello stato finalizzati
alla realizzazione di opere pubbliche. Oggetto di
rilevazione saranno le opere pubbliche in corso di
progettazione o realizzazione alla data del 21.02.2012,
nonché quelle avviate successivamente.
Per quanto riguarda la tempistica, le amministrazioni e i
soggetti aggiudicatori rilevano le informazioni riferite
allo stato di attuazione delle opere alle date del 28
febbraio, del 30 aprile, del 30 giugno, del 31 agosto, del
31 ottobre e del 31 dicembre di ciascun anno e le rendono
disponibili alla banca dati delle amministrazioni pubbliche
entro i 30 giorni successivi. In questa fase iniziale, la
rilevazione riguarderà lo stato delle opere al 30 giugno e
l'invio dovrà avvenire tra il 30.09.2013 e il 20.10.2013
(articolo ItaliaOggi del
06.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
CONDOMINIO: Le
nuove regole. L'entrata in vigore il 18 giugno consente al
Parlamento di evitare che la norma arrivi «zoppa» al
traguardo.
Condominio, riforma da rivedere.
Va risolto il caso delle due maggioranze su opere per il
risparmio energetico.
Nella riforma del condominio sono tante le cose da cambiare
(si veda la scheda qui a fianco) ma tra le sviste del
legislatore sull'uso più o meno inteso delle parti comuni
una è decisamente vistosa: alcune modifiche al Codice civile
ora risultano in aperto contrasto con altri articoli dello
stesso Codice che non sono stati toccati dalla riforma. In
particolare, il nuovo articolo 1120, comma 2, punto 2,
prevede che le innovazioni aventi a oggetto opere e
interventi volti al contenimento del consumo energetico,
quali la produzione di energia attraverso l'uso di fonti
rinnovabili, da parte del condominio o di terzi, sul
lastrico solare o su altra idonea superficie comune, sono
disposte con la maggioranza di cui al secondo comma
dell'articolo 1136: la maggioranza degli intervenuti e
almeno la metà del valore dell'edificio.
Ma lo stesso legislatore è intervenuto a modificare
l'articolo 26, comma 2, della legge 10/1991, che prevede, per
gli stessi interventi, una maggioranza meno qualificata:
quella degli intervenuti, che rappresenti un terzo del
valore dell'edificio. Questa discrepanza così marcata
potrebbe essere giustificata dal fatto che nel secondo caso
la delibera condominiale si fonderebbe su un preventivo
attestato di certificazione energetica o, comunque, su una
diagnosi energetica che consentirebbe ai condomini di
effettuare una scelta più precisa e ponderata. Va anche
detto che in un caso, quello dell'installazione della
termoregolazione, usando l'articolo 26 (nuovo comma 5)
diventa possibile anche l'indispensabile variazione della
ripartizione delle spese, questa volta con la maggioranza
del 1120, comma 2. In ogni caso la mancanza di coordinamento
rischia fortemente di ampliare i contrasti già esistenti in
condominio.
Ma non è finita qui. Il nuovo articolo 1122-bis del Codice
civile consente l'installazione di impianti per la
produzione di energia da fonti rinnovabili, a servizio di
singoli proprietari, sul lastrico solare e su ogni altra
idonea superficie comune, oltre che, naturalmente sulle
parti di proprietà esclusiva dell'interessato senza alcuna
preventiva delibera assembleare al riguardo. Solo qualora
detti interventi vadano a modificare delle parti comuni,
l'interessato è tenuto a darne comunicazione
all'amministratore, indicando le opere che intende eseguire
e le relative modalità di esecuzione delle stesse.
Le differenze sono evidenti. Tutto si gioca sulle parole
"innovazione" e "modifica" delle parti comuni, termini tra i
quali il confine rimane molto labile, soprattutto perché il
legislatore afferma nell'articolo 1120 che questi interventi
siano di natura innovativa per poi, nell'articolo 1122-bis,
ritenere che queste opere, qualora siano nell'interesse di
un singolo proprietario, possano semmai apportare delle
modifiche alle parti comuni. Ma come contemperare questa
norma, che necessariamente prevede un uso della parte comune
a proprio esclusivo vantaggio (i pannelli solari, si sa,
occupano buona parte del tetto), con l'ultimo comma degli
articoli 1120 e 1102, rimasti invariati? In particolare
l'articolo 1120, ultimo comma, vieta di rendere «talune
parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al
godimento anche di un solo condomino» e l'articolo 1102
stabilisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa
comune, purché non impedisca agli altri di farne parimenti
uso. Tutto ciò è ovviamente impraticabile: l'installazione a
favore di un singolo condomino di un impianto a pannelli
solari sul tetto o sul lastrico condominiale finirà
inevitabilmente con il compromettere pari uso di questa
parte comune da parte di altro comproprietario.
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I temi più discussi
01|L'AMMINISTRATORE
L'amministratore dovrà avere un diploma delle superiori, la
polizza Rc professionale e aver seguito un corso di
formazione iniziale e quelli periodici. Ma, se ha già svolto
questa funzione per almeno un anno nell'ultimo triennio,
potrà fare a meno di diploma e corso di formazione iniziale.
Se poi è uno dei condòmini, evita anche la Rc professionale
e la formazione periodica. Tra i nuovi obblighi
dell'amministratore c'è quello di chiedere il decreto
ingiuntivo per i morosi, entro sei mesi dal consuntivo in
cui sia indicata la spesa, e di redigere una contabilità
trasparente, con registro di contabilità, riepilogo
finanziario e nota esplicativa della gestione. I condòmini
potranno verificare i giustificativi di spesa in ogni
momento
02|LE DESTINAZIONI D'USO
La possibilità di «modificare» la destinazione d'uso delle
parti comuni è una delle novità principali e apre la strada
alla costruzione di box nel giardino o all'installazione di
impianti di cogenerazione nei locali comuni. Ci vorrà l'80%
dei condòmini e dei millesimi
03|I NUOVI IMPIANTI
Per decidere l'installazione di impianti (sull'intero
edificio) di fonti rinnovabili, ricezione televisiva,
videosorveglianza o per qualunque flusso informativo,
occorre il consenso della maggioranza degli intervenuti
all'assemblea, con almeno 500 millesimi. Gli impianti
individuali sono sempre leciti, salvo il «decoro
architettonico»
04|IL «DISTACCO»
Sancito per legge il diritto al «distacco» dal riscaldamento
centralizzato, ma solo se non emergono notevoli squilibri di
funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini
05|ANIMALI
Non sarà più possibile vietare la detenzione di animali
domestici con i regolamenti condominiali votati in assemblea
06|SCALE E ASCENSORI
Per scale e ascensori la suddivisione delle spese sarà
calcolata solo per metà in base al valore millesimale e per
l'altra metà esclusivamente in base al piano in cui si abita
07|IN ASSEMBLEA
Per l'assemblea in seconda convocazione ora ci vogliono
almeno un terzo dei condòmini e dei millesimi, mentre prima
questo minimo era richiesto solo per le delibere. Le
impugnazioni delle delibere possono essere fatte solo dai
condòmini assenti, dissenzienti o astenuti
(articolo Il Sole 24 Ore del
06.03.2013). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Lavoro.
La Cassazione: legittimo il licenziamento del dipendente
assente che aveva scelto di andare a caccia.
In malattia obblighi rigidi.
Giusto il recesso se si svolgono attività che ritardano la
guarigione.
ANALISI PREVENTIVA/
La valutazione sulla gravità dell'inadempimento va svolta in
via preventiva e non serve un effettivo aggravamento dello
stato di salute.
È legittimo il licenziamento del lavoratore che, durante il
periodo di assenza dal lavoro per malattia, va a caccia con
gli amici. E questo perché tale attività, per le modalità
con cui si svolge, è incompatibile con la patologia (mal di
schiena) dichiarata per giustificare l'assenza dal lavoro.
È questa la conclusione cui giunge la Corte di Cassazione
con la sentenza 22.02.2013 n. 4559, che
rinforza un orientamento già noto in sede di legittimità.
Non è raro che un lavoratore, durante il periodo di assenza
dal lavoro per malattia, venga scoperto a svolgere attività
poco compatibili con lo stato patologico denunciato. In
questi casi, il datore di lavoro si trova di fronte a due
strade: provare a mettere in dubbio la veridicità della
malattia, oppure contestare al dipendente la condotta
imprudente, che compromette la guarigione.
La prima strada è troppo complessa, perché passa per una
complicata contestazione delle certificazioni mediche
prodotte dal dipendente, e quindi nei casi di questi tipo
l'azienda si orienta sempre verso la contestazione della
condotta negligente. Questa scelta è stata fatta dal datore
di lavoro anche nel caso deciso dalla Corte con la sentenza
prima ricordata; un lavoratore è stato licenziato perché si
è assentato dal posto di lavoro per il riacutizzarsi di un
episodio di lombalgia, ma durante i giorni di cura è andato,
per ben due giorni, a caccia in una valle del Trentino.
Durante le battute di caccia, il dipendente è rimasto per
molto tempo appostato in un apposito gabbiotto, esponendosi
a un alto tasso di umidità, e tenendo una postura inadatta
alla patologia denunciata.
La Suprema corte ha giudicato valido il licenziamento,
spiegando che il lavoratore assente da proprio domicilio
durante il periodo di malattia può essere licenziato se il
suo comportamento determina una violazione dei doveri
generali di correttezza e buona fede e degli specifici
obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.
La valutazione circa la gravità dell'inadempimento del
lavoratore deve essere compiuta in via preventiva, nel senso
che non deve effettivamente esserci un effettivo
aggravamento delle sue condizioni; è sufficiente che
l'attività svolta dal dipendente abbia messo a repentaglio
la possibilità di guarigione tempestiva.
La pronuncia conferma quanto sostenuto in decisioni
precedenti (ad esempio, nelle sentenze 10706/2008 e
9474/2009), con le quali già la Corte aveva chiarito che lo
svolgimento di altra attività da parte del lavoratore
durante lo stato di malattia è idoneo a giustificare il
licenziamento se l'attività espletata costituisce indice di
una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e
ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.
--------------
MASSIMA
L'assenza dal domicilio per lo svolgimento di attività
lavorativa o di altro genere del dipendente assente per
malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro in
relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza
e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di
diligenza e fedeltà, secondo una valutazione da compiere
ex ante, non solo allorché tale attività esterna sia di
per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della
malattia, ma anche nell'ipotesi in cui la medesima attività
possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in
servizio.
La valutazione sulla natura pregiudizievole di tale
attività, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice
di merito, censurabile in sede di legittimità unicamente nel
caso in cui dall'esame del ragionamento del giudice del
merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di
punti decisivi della controversia, oppure un insanabile
contrasto tra le argomentazioni adottate -
Corte di Cassazione, sentenza 4559/2013
(articolo
Il Sole 24 Ore del 06.03.2013). |
APPALTI: I riflessi dei chiarimenti dell'Agenzia delle entrate.
Contratti d'opera esenti.
Non si applica la responsabilità solidale.
Ai contratti d'opera non si applica la corresponsabilità
tributaria prevista nel caso di appalto e sub appalto. È
necessaria l'analisi della singola fattispecie per poter
qualificare il contratto. La bussola per decidere è fornita
dal codice civile.
Sono le riflessioni che scaturiscono
dalla circolare 2/E del 2013 dell'Agenzia delle entrata (si
veda ItaliaOggi del 2 marzo scorso) che ha previsto che la
disciplina in tema di responsabilità tributaria in presenza
di contratti di appalto e sub appalto non si applica a una
serie di figure contrattuali affini tra cui il contratto
d'opera.
Esso è definito dall'art. 2222 cc come quello in cui «una
persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo
un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e
senza vincolo di subordinazione nei confronti del
committente». Il successivo art. 2223 prevede anche che
tale qualificazione giuridica del rapporto è confermata «anche
se la materia è fornita dal prestatore d'opera, purché le
parti non abbiano avuto prevalentemente in considerazione la
materia, nel qual caso si applicano le norme sulla vendita».
L'appalto è invece definito dall'art. 1655 come quel
contratto «col quale una parte assume, con organizzazione
dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il
compimento di un'opera o di un servizio verso un
corrispettivo in danaro».
Inoltre la materia necessaria a compiere l'opera deve essere
fornita dall'appaltatore. Il vero elemento distintivo tra
contratto d'opera e appalto è la prevalenza o meno
dell'elemento personale rispetto a quello
dell'organizzazione. Qualora l'impresa che assume l'incarico
sia di dimensioni rilevanti e/o qualora il servizio
richiesto necessiti oltre alle capacità personali
dell'assuntore anche di una organizzazione d'impresa, sarà
sempre più facile riconoscere un contratto di appalto invece
che un contratto d'opera.
Ipotizziamo una serie di rapporti abituali quali per esempio
quello dell'idraulico, dell'elettricista ecc. che svolgono
la loro opera per l'appaltatore impresa edile. Se trattasi
di imprenditori individuali sorge allora più di un dubbio
che il rapporto possa qualificarsi di sub appalto,
nonostante quello principale sia effettivamente di appalto,
ma appare più coerente la qualificazione dello stesso come
contratto d'opera. Ciò permetterebbe di escludere un gran
numero di rapporti dalle nuove regole.
Ma a sostegno, oltre alla circolare 2/E nella parte in cui
esprime la necessità di evitare «interpretazioni di tipo
estensivo», si può anche richiamare la circolare 7/2007,
che dovendo commentare un ambito oggettivo riferito anche in
quel caso ai contratti di appalto ha ricompreso le
prestazioni per interventi di manutenzione o
ristrutturazione dell'edificio condominiale e degli impianti
elettrici o idraulici, e anche per l'esecuzione di attività
di pulizia, manutenzione di caldaie, ascensori, giardini,
piscine e altre parti comuni dell'edificio.
Ma tale scelta derivava dal fatto che la norma ampliava in
modo esplicito il suo ambito oggettivo anche ai compensi
corrisposti a fronte di prestazioni occasionali «ossia
rese nell'ambito di attività non abituali e verosimilmente
in assenza di organizzazioni complesse e articolate».
Nelle regole in commento tale estensione invece non è
prevista dal testo letterale e quindi appare coerente
disegnare l'ambito oggettivo in modo più limitato rispetto a
quanto previsto dalla circolare 7 del 07.02.2007
(articolo ItaliaOggi del
05.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
TRIBUTI: Risoluzione
ministeriale amplia la portata dell'agevolazione per il non
profit. Esenzione Imu a maglie larghe.
Vale anche se il bene è dato in comodato ad altro ente.
L'esenzione dall'imposta municipale propria (Imu) opera
anche se l'immobile posseduto da un ente non commerciale è
concesso in comodato a un altro ente non commerciale per lo
svolgimento di una delle attività meritevoli stabilite dalla
legge. Si allargano, quindi, le maglie dell'esenzione Imu.
È questo l'innovativo principio stabilito dalla
risoluzione 04.03.2013 n. 4/DF del dipartimento Finanze del Mef, che
offre una rilettura della giurisprudenza che si era
consolidata in materia di Ici sulle norme di esenzione
inserite nell'art. 7, comma 1, lettera i), del dlgs 30
dicembre 1992, n. 504, che viene espressamente richiamato ai
fini Imu dall'art. 9, comma 8, del dlgs 14.03.2011, n.
23.
Questa norma, che è stata «ritoccata» dall'art. 91-bis del
dl 24.01.2012, n. 1, prevede l'esenzione dall'Imu per
gli immobili «utilizzati» dagli enti non commerciali
«destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non
commerciali di attività assistenziali, previdenziali,
sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e
sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16,
lettera a), della legge 20.05.1985, n. 222».
Sia la Corte costituzionale che la Cassazione hanno sempre
sostenuto che l'esenzione può essere riconosciuta solo se
l'immobile è «posseduto» dall'ente non commerciale ed
«utilizzato» direttamente dallo stesso.
Più volte la Corte di cassazione ha affermato a chiare
lettere che l'art. 7, comma 1, lettera i), del dlgs n. 504
del 1992 esige la duplice condizione dell'utilizzazione
diretta degli immobili da parte dell'ente possessore e
dell'esclusività della loro destinazione ad attività
peculiari che non siano produttive di reddito. Logica
conclusione è stata che l'esenzione non poteva essere
riconosciuta nel caso di utilizzazione indiretta, ancorché
assistita da finalità di pubblico interesse.
È stata proprio la Corte costituzionale con le ordinanze n.
429 del 19.12.2006 n. 19 del 26.01.2007 a
ribadire tale concetto, pur pronunciandosi sull'art. 59,
comma 1, lett. c), del dlgs 15.12.1997, n. 446, che
non trova applicazione per l'Imu, giacché non è più
espressamente richiamato dall'art. 14, comma 6, del dlgs n.
23 del 2011.
Bisogna tuttavia tener conto del fatto che la fattispecie
oggetto di contenzioso costituzionale era ben diversa,
poiché si riferiva ad un immobile che il soggetto passivo
dava in locazione (e non in comodato) a un ente non
commerciale che vi esercitava una delle attività agevolate.
Detto soggetto, quindi, ritraeva un reddito dall'immobile, e
questa circostanza, di fatto sintomatica di capacità
contributiva, non è stata ritenuta idonea a giustificare
l'attribuzione del beneficio fiscale.
Da tale assunto i tecnici del ministero arrivano ad
affermare che nell'ipotesi in cui l'ente non commerciale
concede l'immobile in comodato -che è essenzialmente
gratuito- ad altro ente non commerciale, non ritraendo da
tale concessione alcun reddito, può beneficiare
dell'esenzione dall'Imu.
L'ente non commerciale concedente, in sostanza, si
troverebbe nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato
se avesse utilizzato direttamente l'immobile per lo
svolgimento di una delle attività meritevoli, beneficiando,
quindi, dell'esenzione.
Come si legge nella risoluzione ministeriale «questa
considerazione appare coerente con i principi ricavabili
dalle citate pronunce sia della Corte costituzionale sia
della Corte di cassazione proprio perché la concessione in
comodato, che è un contratto essenzialmente gratuito, non
costituisce, chiaramente, una manifestazione di ricchezza e
di capacità economica che avrebbe, al contrario,
giustificato un concreto apporto contributivo alla spesa
pubblica e, quindi, l'imposizione ai fini Imu».
L'esenzione dall'Imu deve essere riconosciuta anche
nell'ipotesi in cui l'immobile è concesso in comodato a un
altro ente non commerciale appartenente alla stessa
struttura dell'ente concedente, per lo svolgimento di una
delle attività agevolate.
Con la nuova interpretazione che esplora un campo mai
affrontato dalla giurisprudenza di legittimità si allargano
sicuramente le maglie dell'esenzione Imu, anche se il campo
di azione deve esser tuttavia limitato al solo svolgimento
di attività meritevoli individuate dalla norma agevolativa.
Resta fermo, però, che l'ente non commerciale che utilizza
l'immobile è escluso dal campo di applicazione dell'Imu
poiché non è il soggetto passivo del tributo. Come
adempimento a suo carico nella risoluzione viene individuato
quello di fornire all'ente non commerciale che gli ha
concesso l'immobile in comodato tutti gli elementi necessari
per consentirgli l'esatto adempimento degli obblighi
tributari
(articolo ItaliaOggi del
05.03.2013). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Dm appalti al
palo.
Gare di progettazione senza bussola.
Il regolamento sui compensi finisce nel pantano.
Finiscono (per ora) in un cassetto i parametri per i
compensi delle gare di progettazione. L'atteso regolamento
che avrebbe dovuto determinare «i corrispettivi a base di
gara per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti
all'architettura e all'ingegneria», si impantana, infatti,
di nuovo nelle stanze ministeriali.
Questa volta a cercare di trovare una quadratura del cerchio
rispetto ai rilievi sollevati è il ministero delle
infrastrutture guidato da Corrado Passera che, insieme a
quello della giustizia, ha ricevuto la delega per
determinare tali corrispettivi appunto con un decreto
interministeriale «che avrebbe anche definito le
classificazioni delle prestazioni professionali relative ai
predetti servizi».
Ma il tutto con un paletto preciso: «I
parametri individuati non possono condurre alla
determinazione di un importo a base di gara superiore a
quello derivante dall'applicazione delle tariffe
professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del
presente decreto». Proprio quello che viene contestato al
provvedimento. E il rischio che il testo passi direttamente
nelle mani del nuovo governo è dietro l'angolo vista la
difficoltà dei due dicasteri di venire a capo di tale
criticità.
Il regolamento, infatti, ha ricevuto poche
settimane fa pesanti osservazioni da parte del Consiglio
superiore dei lavori pubblici e dell'Autorità di vigilanza
dei contratti pubblici secondo i quali i parametri contenuti
nel provvedimento supera le vecchie tariffe professionali e
volta le spalle al mercato. Secondo i due organi, che hanno
fornito un parere sostanzialmente allineato, il quadro di
sintesi e le verifiche elaborate dal ministero della
giustizia con tanto di grafici e tabelle presenti nella
relazione illustrativa non sono sufficienti a ricavare che i
parametri non determinino corrispettivi maggiori delle
vecchie tariffe.
E non solo perché secondo l'Authority il
calcolo del corrispettivo non sembrerebbe rinconducibile ai
risultati di un'analisi di mercato, ma piuttosto a un
approccio pragmatico che ha assunto quali riferimenti le
precedenti tariffe e quelle del recente dm 240/2010.
Un'accusa respinta al mittente dalle stesse categorie
tecniche che hanno invece verificato come, in tutte le
ipotesi declinabili, i parametri risultano sempre inferiori
alle abolite tariffe del 2001 e, quindi, sono in sintonia
con la legge.
Il punto semmai è che secondo qualcuno si è dato spazio ad
interpretazioni che non tengono conto delle differenze e
novità della nuova normativa, non automaticamente
comparabile con quella precedente, peraltro sempre a parere
delle categorie tecniche carente in molti aspetti
(articolo ItaliaOggi del
05.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: I
chiarimenti delle Entrate. Le aperture interpretative sulla
responsabilità solidale nella circolare dell'Agenzia.
Appalti con certificazione unica.
In caso di contratti tra le stesse parti basta un documento
a cadenza periodica.
TAGLIO ALLE CARTE INUTILI/
Non è necessario richiedere attestati di regolarità a
lavoratori autonomi legati da contratti d'opera
intellettuale.
Certificazione unica con riferimento a tutti i contratti di
appalto stipulati tra le medesime parti e con possibilità di
attestazione con cadenza periodica della regolarità di tutti
i versamenti di Iva e ritenute nel frattempo scaduti.
Sono
due delle aperture della circolare 2/E dell'Agenzia
(commentata sul quotidiano il 2 marzo e visibile nella
sezione Strumenti di lavoro, voce Documenti, sul sito del
Sole 24 Ore), nell'ottica di semplificare per quanto
possibile gli adempimenti delle imprese chiamate dal
legislatore ad assolvere compiti "innaturali" di controllo
altrui, pena pesanti sanzioni.
Ricordiamo che la solidarietà
dell'appaltatore nei confronti del subappaltatore per
versamenti fiscali irregolari di quest'ultimo, nonché la
sanzione da 5mila a 200mila euro a carico del committente
per lo stesso motivo (articolo 35, commi 28 e seguenti del
Dl 223/2006) ha effetto per tutti i contratti stipulati dal 12.08.2012 e relativamente ai pagamenti effettuati dall'11
ottobre (circolare 40/E/2012).
Nella circolare 2/E l'Agenzia ha fornito molti chiarimenti
che aiutano l'operatività quotidiana delle imprese; altri
dovranno poi verificare se le disposizioni raggiungono –e a
quali costi– gli obiettivi desiderati.
Assodato che l'ambito di applicazione non è limitato alla
sola edilizia (dove già la presenza del reverse charge nei
subappalti elimina gran parte dei problemi) l'Agenzia ha
ricondotto le disposizioni ai soli contratti di appalto di
opere o servizi (e relativi subappalti) come individuati dal
l'articolo 1655 del Codice civile. Restano fuori, pertanto,
tutti i contratti d'opera (articolo 2222, Codice civile) che
si qualificano in quanto la prestazione va svolta, quanto
meno in via prevalente, con il lavoro proprio (al massimo
familiare) del prestatore, senza l'organizzazione di mezzi e
persone che contraddistinguono l'appaltatore.
Nei casi dubbi
sarà opportuno chiarire per iscritto sin dall'inizio quale
sia la figura contrattuale a cui le parti hanno inteso fare
riferimento. Devono cessare le richieste (del tutto fuori
luogo) dell'attestazione della regolarità dei versamenti da
parte dei lavoratori autonomi, i quali, stipulando contratti
d'opera intellettuale (articolo 2230, Codice civile), sono,
a maggior ragione, fuori dal campo applicativo. Positiva
anche l'esclusione degli «appalti di fornitura di beni»,
indicazione che l'Agenzia ha ricondotto a un refuso del
legislatore.
Per l'attestazione, nella pratica si assiste quasi sempre
all'autocertificazione resa ai sensi del Dpr 445/2000, con
un contenuto molto specifico ricalcato dalle istruzioni
fornite nella circolare 40/E. Dove l'Agenzia ha chiarito che
essa deve «contenere l'affermazione che l'Iva e le ritenute
versate includono quelle riferibili al contratto di
appalto/subappalto per il quale la dichiarazione viene
resa», implicitamente negando efficacia a dichiarazioni
"generiche" di regolarità fiscale.
Con la circolare 2,
affermando che l'attestazione può essere resa in modo
unitario per i vari contratti in essere tra le medesime
parti, nonché riconoscendo efficacia a una certificazione
periodica onnicomprensiva, l'Agenzia sembra ora allentare un
po' il vincolo di specificità, anche se i riferimenti a
contratti in essere, fatture ricevute e ritenute operate in
relazione ai singoli rapporti contrattuali non dovrebbero
poter essere omessi nella dichiarazione rilasciata
dall'appaltatore o dal subappaltatore.
Se c'è un solo contratto di appalto, senza alcun subappalto,
le norme si applicano ugualmente, per quanto limitate
nell'estensione. Si ritiene (ma una conferma sarebbe
opportuna) che in questo caso non si possa parlare di
solidarietà (comma 28) ma di semplice soggezione alla
sanzione (comma 28-bis) essendo il committente chiamato in
causa solo in questi termini. In proposito, il riferimento
testuale presente nella circolare n. 40/E/2012 («la
disposizione... prevede la responsabilità dell'appaltatore e
del committente») non è confermata nella circolare n.
2/E/2013, dove, nelle premesse, in relazione al committente
si torna a citare la sola applicabilità della sanzione e non
più il vincolo solidale.
In ogni caso vanno sempre ricordati i punti fondamentali. Il
momento determinante che fa scattare la solidarietà (o la
sanzione) è quello del pagamento (anche parziale) delle
spettanze; il rischio della solidarietà è limitato
all'importo contrattuale e agli adempimenti (omessi)
relativi all'appalto già scaduti a tale data; se non ci sono
omissioni nei versamenti l'assenza della certificazione non
comporta alcuna conseguenza
(articolo Il Sole 24 Ore del
05.03.2013). |
APPALTI:
Irresponsabilità solidale.
Le Entrate cercano di limitare i disastri combinati dalla
norma che scarica sulle imprese il peso dei controlli
fiscali. Con effetti paradossali.
Diciamo la verità: la norma sulla responsabilità solidale
nei contratti di appalto è una stupidaggine solenne, un
capriccio legislativo di qualche politicante che non ha la
minima idea di come gira l’economia delle piccole e medie
imprese. L’Agenzia delle entrate ha cercato, con la
circolare del 1° marzo, di mettere qualche pezza.
Ma il risultato finale rimane un pasticcio legislativo del
quale proprio non si sentiva la necessità. Tutto nasce con
il governo dei tecnici che, nel decreto 83 del 2012, ha la
brillante idea di trasformare gli imprenditori in tanti
sceriffi del fisco. Come se non bastassero gli uomini
dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza. Come
se il signor Brambilla non avesse niente di meglio da fare.
In nessun paese del mondo si era arrivati a tanta protervia
da parte del legislatore fiscale. L’articolo 13-ter del
decreto Crescita prevede infatti sanzioni fino a 200 mila
euro per l’appaltatore che paga regolarmente i suoi debiti
senza aver prima verificato che il subappaltatore sia in
regola con il fisco. La norma è in vigore dal 12 agosto, e
finora ha prodotto solo danni.
Se è vero che la maggior
parte delle imprese ha ben altro da pensare che ai
ghiribizzi del legislatore, e quindi si è comportata come se
questa follia nemmeno esistesse, altre imprese hanno
utilizzato questa disposizione come ottimo espediente per
ritardare i pagamenti, altre si sono preoccupate oltre
misura e hanno distribuito a raffica richieste di certificazione fiscale ben oltre il ragionevole. Anche gli
interpreti si sono mossi in ordine sparso. Ora le Entrate
precisano che la responsabilità solidale non si applica solo
in edilizia (e questo era ovvio, anche se in molti hanno
provato a circoscrivere questa bomba a orologeria).
Chiariscono che le disposizioni si applicano ad appalti e
subappalti, ma non al contratto d’opera: è già un passo in
avanti, ma il problema è che non è facile nella pratica
distinguere le due fattispecie. Interessante anche
l’esplicita ammissione della necessità «di evitare
interpretazioni di tipo estensivo».
Ma sul problema
fondamentale di cosa certificare, anche gli uomini di Befera sembrano alzare le mani, limitandosi a scrivere che
con la certificazione «deve essere attestata la regolarità
di tutti i versamenti relativi alle ritenute e all’Iva
scaduti a tale data». Allora se l’appaltatore non emette
fattura fino al momento del pagamento può disinteressarsi
della responsabilità solidale? E in tutti gli altri casi nei
quali i termini per i versamenti non sono ancora scaduti che
succede? Norme così assurde minano un bene primario quale la
certezza e la ragionevolezza del diritto, mantenendo gli
operatori economici nell’incertezza continua sui
comportamenti corretti da tenere. E comunque alla continua
mercé del verificatore di turno.
Una pubblica
amministrazione che non riesce a onorare i suoi debiti con
le imprese (100 miliardi di arretrati) pretende di scaricare
sulle stesse anche il lavoro di verifica di correttezza dei
versamenti fiscali. Ma allora a cosa servono le enormi
banche dati del fisco, l’abolizione del segreto bancario,
l’obbligo di trasmettere in formato digitale decine di
documenti? Poi ci si stupisce che la gente voti in massa per
Grillo (articolo ItaliaOggi Sette
del 04.03.2013 - link a www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Corruzione e reati ambientali.
Aziende all'appello della 231. Da
novembre l'elenco delle condotte-presupposto (e dei rischi)
è ancora più ampio.
Non solo gestione illecita di rifiuti e inquinamento di
aria, acque e suolo, ma anche indebite pressioni per
conseguire autorizzazioni pubbliche o vantaggi economici nel
settore.
A far scattare la responsabilità amministrativa
diretta delle imprese che interagiscono con l'ecosistema
possono contribuire, oltre agli illeciti strettamente
ambientali commessi da loro dipendenti e rappresentanti a
vantaggio della struttura, anche le violazioni delle ultime
norme «anticorruzione».
Dopo l'inserimento avvenuto il 16.08.2011 degli illeciti ambientali tra le fattispecie
delittuose che comportano ex dlgs 231/2001 (il provvedimento
madre in materia di responsabilità amministrativa degli
enti) l'applicazione di pene pecuniarie e interdittive a
carico delle imprese, dallo scorso 28.11.2012 il
novero dei «reati presupposto» è stato ulteriormente
allargato dalla legge 190/2012 ai riformulati reati di
corruzione previsti da Codice penale e civile.
La «responsabilità 231». Il dlgs 231/2001, lo ricordiamo, ha
introdotto nel luglio 2001 la responsabilità diretta di
persone giuridiche ed enti di fatto che traggono vantaggio
da determinati illeciti commessi da loro dipendenti e
amministratori, prevedendo carico delle strutture di
appartenenza (quale «riflesso» dell'illecito commesso dalle
persone fisiche) sanzioni sia di carattere pecuniario
(computate in quote da tradurre in euro) che interdittivo
(quali la sospensione o il divieto di esercitare
l'attività).
Tale responsabilità può dagli Enti in parola
essere evitata solo attraverso la dimostrazione di aver
adottato, concretamente attuato e fatto osservare (tramite
apposita vigilanza e sistema sanzionatorio dissuasivo) un
valido «modello di organizzazione e gestione», ossia un
sistema di prevenzione dei reati a rischio commissione.
Gli illeciti ambientali. L'elenco degli illeciti penali
richiamati dal dlgs 231/2001 che fanno scattare la
responsabilità amministrativa dell'ente (per tal ragione
meglio noti come «reati presupposto») è stato dal dlgs
121/2011 (emanato in recepimento delle direttive 2008/99/Ce
sulla tutela penale dell'ambiente e 2009/123/Ce
sull'inquinamento provocato da navi) ampliato fino a
ricomprendervi i principali reati previsti dalla normativa
ambientale nazionale, tra cui la gestione illecita dei
rifiuti, l'inquinamento oltre i limiti consentiti di suolo,
acque e aria, il danneggiamento di specie animali e vegetali
protette.
Gli illeciti «connessi» all'ambiente. L'elenco dei «reati
presupposto» è poi stato, come accennato, ulteriormente
rivisitato dalla legge 190/2012, provvedimento che ha
riformulato (ampliandone la portata) i reati di corruzione e
li ha agganciati (nella loro nuova versione) al dlgs
201/2001. Ed è proprio tale ampliamento, sia delle condotte
colpite che dei soggetti imputabili, ad allargare le ipotesi
di responsabilità amministrativa delle imprese cui gli
agenti sono riconducibili. Nel nuovo reato di «indebita
induzione a dare o promettere denaro o altra utilità»
(articolo 319-quater, Codice penale), oltre al pubblico
ufficiale che abusando dei suoi poteri persuade un soggetto
a dagli utilità è infatti colpito anche il soggetto privato
che dà o promette il vantaggio (e quindi, di riflesso, anche
l'ente di appartenenza). Così come nel nuovo reato di
«corruzione tra privati» (articolo 2635, Codice civile)
laddove sono ora colpiti, oltre ai corrotti, anche i
soggetti che danno o promettono denaro e utilità per
ottenere atti contrari a obblighi di ufficio o di fedeltà.
Il modello di organizzazione e gestione. Se da un lato il dlgs 231/2001 fa gravare sulle imprese grevi conseguenze per
le condotte illecite poste in essere a proprio vantaggio,
dall'altro non sembra offrire altrettanti strumenti di
prevenzione, limitandosi a stabilire (nei suoi articoli 6 e
7) solo gli elementi minimi essenziali affinché il citato
modello di organizzazione sia «esimente», senza però
conferire (a differenza del dlgs 81/2008 in materia di
sicurezza sul lavoro) una presunzione di conformità a
determinati standard tecnici.
Utile guida alla corretta
condotta preventiva dell'impresa può in tale senso essere
rappresentata dalla recente sentenza 18 giugno 2012 n. 1824
con la quale la Corte d'appello di Milano ha riconosciuto
come «idoneo» (in base ai citati articoli del dlgs 231/2001)
il modello che contiene: la precisa individuazione delle
attività nel cui ambito possono essere commessi i «reati
presupposto»; gli specifici protocolli per la formazione e
l'attuazione delle decisioni in relazione agli stessi
illeciti; la previsione di obblighi di informazione degli
organi di vigilanza; un adeguato sistema sanzionatorio per
la violazione delle misure preventive indicate dal modello (articolo ItaliaOggi Sette
del 04.03.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Per la sanzione basta la colpa.
Gli addetti ai lavori illustrano le criticità
emerse in due anni d'applicazione normativa.
L'introduzione dei reati ambientali tra quelli rilevanti ai
fini della responsabilità delle persone giuridiche, a cura
del dlgs 121/2011, non è stata indolore. Il censimento
condotto da ItaliaOggi Sette tra gli addetti ai lavori mette
in luce i limiti di una normativa che, pur promossa nello
spirito iniziale, ha provocato pesanti ricadute sul livello
pratico, senza garantire i ritorni attesi.
Le innovazioni normative. Gli interventi del 2011 si sono
innestati del dlgs n.231 del 2001, che ha introdotto in
Italia la responsabilità delle imprese per reati commessi da
amministratori, manager o dipendenti, collegando ad esse
pesanti sanzioni pecuniarie o interdittive. L'innovazione ha
riguardato una serie di reati contro l'ambiente (ex dlgs
152/2006, legge 150/1992, legge 549/1993 e dlgs 202/2007).
La particolarità di questa normativa, che in buona parte
spiega le difficoltà applicative, nasce dal fatto che,
rispetto ai reati originari, quelli di natura ambientale
costituiscono una categoria molto più ampia e diversificata,
il che richiede un adeguamento da definire caso per caso in
base all'ambito di attività e alle peculiarità delle varie
aziende, con incombenze non secondarie per molte realtà. Per
Marco Moretti, di Legalitax Roma, spiega la principale
novità è stata data dal fatto che per la prima volta sono
comparse nel nostro ordinamento «fattispecie di reati
presupposto di solo pericolo astratto e anche solo di
matrice colposa».
Con la conseguenza che sono cambiate le
modalità di calcolo del cosiddetto «rischio accettabile».
«Rispetto al passato, quando la valutazione veniva
effettuata con riferimento a reati presupposto di pericolo
solo dolosi o a reati presupposto colposi solo di danno, ora
ogni impresa esposta a rischi ambientali deve calcolare
questo rischio in termini contemporaneamente di solo
pericolo e di sola colpa».
Dello stesso avviso è Marco Levis, partner di Plenum
Consulting, per il quale proprio l'astrattezza della
normativa del 2011 fa sì che occorra «ricostruire il quadro
generale desumibile dal sistema delineato dal dlgs 231/2001
e verificarne il concreto ambito di applicazione, tenendo
anche conto delle indicazioni che provengono dal diritto
“vivente” del settore di specie».
In concreto questo
significa che l'azienda è chiamata a effettuare i controlli
su un duplice livello: diretto e indiretto, quest'ultimo
finalizzato a controllare lo svolgimento delle procedure di
controllo e l'adeguatezza degli assetti organizzativi.
«Questo tipo di controllo a carattere indiretto è di
competenza dell'organismo di vigilanza», spiega Levis, «che
non è investito di un potere di supervisione di carattere
generale, trasversale su tutti i settori e le funzioni
dell'organizzazione, ma deve svolgere la sua funzione
ricevendo i flussi informativi dalla struttura, dai preposti
al controllo interno, dall'audit e dal collegio sindacale».
Insomma, un'incombenza non da poco, che richiede competenze
e procedure nuove per le aziende. Senza offrire la garanzia
di maggior tutela per l'ambiente. «Tra le incongruenze più
evidenti», spiega l'esperto, «la non punibilità
dell'articolo 256, comma 2, del dlgs 152/2006 riguardante
l'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti da parte
dei titolari di imprese o responsabili di enti.
Statisticamente questa ipotesi è quella che trova maggior
riscontro nella casistica processuale e avrebbe
rappresentato la base naturale su cui costruire la
responsabilità da reato dell'ente».
Bene lo spirito della legge, ma non tutte le aziende sono
pronte. Per Luciano Butti, avvocato di B&P (oltre che
professore a contratto di diritto internazionale
dell'ambiente all'Università di Padova), le innovazioni
normative introdotte due anni fa «da una parte hanno
aggravato le conseguenze economiche e di immagine per le
aziende in caso di condanna di loro dirigenti o
amministratori; dall'altro reso più conveniente per le
stesse adottare -attraverso un efficace modello
organizzativo- politiche di prevenzione dei possibili
reati». Una novità che ha avvicinato l'Italia alla maggior
parte delle altre esperienze europee, che puntano ad
allargare i casi di responsabilità delle organizzazioni per
gli illeciti dei propri dipendenti.
«Nei Paesi
anglosassoni», aggiunge l'avvocato, «questo avviene per lo
più in applicazione di un principio generale del diritto di
quelle realtà, sulla base del quale le organizzazioni
rispondono per i reati commessi dai dipendenti anche
nell'interesse dell'organizzazione. Nella maggior parte dei
Paesi continentali, vi sono invece delle norme specifiche:
per esempio in Francia la responsabilità delle
organizzazioni è regolata dal codice penale, ed è stata
estesa a partire dal 2005 (con legge n. 204/2004) a tutti i
principali reati. Regole simili sono state introdotte in
Spagna nel dicembre 2010 dall'art. 31-bis della legge n.
5/2010, mentre la Germania ha da diverso tempo un sistema
simile al nostro, basato soprattutto su sanzioni economiche
a carico delle organizzazioni (Legge OWiG)».
Tornando al quadro italiano, a fare la differenza per Butti
è il modo in cui l'azienda accoglie la 231: «Se la vive come
un aggravio formale in più, ne sentirà il peso. Se invece -come molte aziende stanno facendo- la utilizza per
migliorare la propria organizzazione interna, il sistema
delle deleghe e l'attenzione verso la legittimità del
proprio operato, il vantaggio può essere enorme. Non
dimentichiamo che, in caso di coinvolgimento in inchieste
ambientali (che qualche volta avviene anche per violazioni
solo formali), il danno soprattutto di immagine per
l'azienda può essere enorme», aggiunge.
Dello stesso avviso è Nicola Nicoletti, risk & legal
compliance Italy leader di Pwc: «Le imprese, infatti, si
trovano in posizioni differenti a seconda dalla sensibilità
del management verso questi tipi di rischi: per alcune è
stata l'occasione per approfondire e migliorare i propri
sistemi di gestione dei rischi ambientali, armonizzandoli
all'interno di un modello che li affronta in modo sinergico,
ad esempio, con quelli sulla salute e sicurezza sul lavoro.
Per altre, invece, si tratta dell'ennesima richiesta di una
legge che, consentendo l'adozione del modello organizzativo
ma non prescrivendolo, mira a complicare la vita
dell'azienda con ulteriori adempimenti burocratici. In
questo secondo caso, purtroppo, troviamo la legittimazione
della norma proprio nella scarsa attenzione che ad essa
viene ancora riconosciuta da imprese che si ritengono al di
sopra dei rischi che l'adozione dei modelli organizzativi
mira a prevenire» (articolo ItaliaOggi Sette
del 04.03.2013). |
APPALTI:L'Agenzia
delle Entrate chiarisce diversi punti ma permangono i
dubbi sull'ambito applicativo. Corresponsabilità a sorpresa.
Indispensabile qualificare i rapporti volta per volta.
La corresponsabilità tributaria in caso di appalto non è
limitata al settore edile. Sono però esclusi i contratti di
opera riconosciuti come differenti da quelli di appalto.
Esclusi dall'applicazione delle norme i condomini. Nuovi
dubbi su cosa occorre chiedere all'appaltatore per evitare
problemi.
Questi i temi di maggior interesse approfonditi
dalla circolare 2/E del 1° marzo a commento dell'articolo
13-ter del dl n. 83 del 2012 che ha introdotto la
responsabilità dell'appaltatore con il subappaltatore per il
versamento all'Erario delle ritenute fiscali sui redditi di
lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta
dal subappaltatore, in relazione alle prestazioni effettuate
nell'ambito del rapporto ed anche la responsabilità
sanzionatoria in capo al committente.
L'ambito oggettivo. Come previsto la circolare rigetta al
tesi che era stata avanzata circa la possibilità di limitare
al settore edile l'applicazione delle nuove regole.
Correttamente l'Agenzia osserva che l'articolo 13-ter in
commento ha disposto la modifica dell'articolo 35 del dl n.
223 del 2006, rubricato «Misure di contrasto dell'evasione e
dell'elusione fiscale».
Pertanto tale rubrica mostra l'intenzione del legislatore di
contrastare pratiche evasive correlate a contratti di
appalto e subappalto a prescindere dal settore economico in
cui operano le parti contraenti.
Ancor più interessanti le indicazioni contenute con riguardo
ai contratti interessati.
Pur senza giungere (comprensibilmente) ad una definizione
dell'appalto e del sub appalto, ma rimandando sul punto al
dettato dell'art. 1655 del codice civile, la circolare
esprime dapprima una buona intenzione ovvero quella della
necessità di «definire con chiarezza l'ambito di
applicazione della norma in base al suo contenuto letterale
al fine di evitarne interpretazioni di tipo estensivo».
Nel dettaglio si esclude poi specificatamente dal campo di
applicazione gli appalti di fornitura dei beni (ma ciò era
già chiaro dal comma 28 dell'articolo 13-ter), il contratto
d'opera, disciplinato dall'articolo 2222 c.c. (quando una
persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo
un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e
senza vincolo di subordinazione nei confronti del
committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che
il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV),
il contratto di trasporto; il contratto di subfornitura, le
prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile.
Sul punto è senza dubbio positiva l'esclusione con riguardo
ai contratti d'opera (che invece ricordiamo che la circolare
7 del 07.02.2007 aveva ritenuto compresi nelle regole
che riguardano l'obbligo di ritenuta dei condomini che
letteralmente è anch'essa da riferire al caso dei contratti
di appalto e sub appalto), anche se in tal modo le finalità
della norma lasciano qualche perplessità. Spesso i soggetti
maggiormente a rischio sono proprio i piccoli
imprenditori/artigiani che per loro natura più che contratti
di appalto stipulano appunto contratti d'opera.
Non si capisce neanche perché la circolare voglia ribadire
che altri contratti (ad esempio quello di trasporto) sono
esclusi dall'applicazione: trattasi di contratti tipici e
differenti rispetto a quello di appalto e quindi
automaticamente esclusi dall'applicazione.
Purtroppo sul punto rimangono tutti i dubbi circa l'esatta
qualificazione dei rapporti: su questo rimane la necessità
di verificare (con le difficoltà conseguenti) se i rapporti
contrattuali possano o meno qualificarsi come appalti.
I rapporti bilaterali. Un altro punto chiarito è quello per
cui le regole trovano applicazione anche nel caso in cui vi
sia un contratto di appalto e non invece un conseguente
subappalto.
Quindi anche in assenza di un rapporto trilaterale la
corresponsabilità (o meglio la responsabilità sanzionatoria)
si applica. Ciò in quanto la norma quando descrive gli
adempimenti del committente circa l'acquisizione della
documentazione che attesti il regolare adempimento degli
obblighi fiscali da parte dell'appaltatore, indica il
subappaltatore quale figura eventuale: quindi anche in sua
assenza la stessa si applica.
Il condominio e i privati. Da più parti si era sollevato il
dubbio circa l'applicabilità delle norme ai condomini. La
circolare prima di tutto ricorda che il comma 28-ter
delimita l'ambito di applicazione ai contratti di appalto e
di subappalto «conclusi da soggetti che stipulano i predetti
contratti nell'ambito di attività rilevanti ai fini
dell'imposta sul valore aggiunto».
Da qui la circolare è per fortuna decisa nell'escludere per
carenza del requisito soggettivo, le persone fisiche che
risultano prive di soggettività passiva ai fini Iva e anche
il condominio in quanto non riconducibile fra i soggetti
individuati agli articoli 73 e 74 del Tuir.
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Attestazione della regolarità fiscale da correlare al
singolo contratto.
Dopo l'apertura all'autocertificazione della circolare 40/E
sul punto ci si poteva aspettare qualcosa di più dal nuovo
documento di prassi.
Il tutto perché nel paragrafo 3 della circolare non si
chiarisce fino in fondo e senza dubbi il pensiero della
prassi circa il contenuto dell'attestazione.
Dalla norma pare chiaro che la regolarità (e quindi
l'attestazione) riguardi gli adempimenti Iva e ritenute sui
redditi di lavoro dipendenti:
●
scaduti al momento del pagamento;
● e che riguardano le prestazioni rese con riguardo al singolo
contratto di appalto.
La circolare indagando sull'ipotesi di coesistenza di più
contratti intercorrenti tra le medesime parti afferma che la
certificazione attestante la regolarità dei versamenti delle
ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva
relativi al contratto d'appalto «può essere fornita anche
con cadenza periodica fermo restando che, al momento del
pagamento, deve essere attestata la regolarità di tutti i
versamenti relativi alle ritenute e all'Iva scaduti a tale
data, che non siano stati oggetto di precedente
attestazione».
Tale frase fin troppo generica parrebbe insinuare il dubbio
che la regolarità non sia da correlare alla singola
situazione ma in generale alla posizione del contribuente.
Tale ipotesi è però assolutamente da scartare in quanto sia
letteralmente che indagando sulla sua ratio la norma dispone
invece che al regolarità debba riguardare solo il singolo
contratto che è «oggetto» del pagamento.
D'altra parte la stessa circolare analizzando il caso dei
pagamenti effettuati mediante bonifico bancario o altri
strumenti che non consentono al beneficiario l'immediata
disponibilità della somma versata a suo favore afferma che
in tali casi «occorra attestare la regolarità dei versamenti
fiscali scaduti al momento in cui il committente o
l'appaltatore effettuano la disposizione bancaria e non
anche di quelli scaduti al momento del successivo
accreditamento delle somme al beneficiario». Da notare che
ciò renderà molto spesso la regola priva di importanza. Si
pensi all'appaltatore che non emette fattura (come
consentito) fino al momento del pagamento del corrispettivo:
non dovrà certificare alcunché in materia di Iva al
committente e quindi potrà incassare il corrispettivo senza
troppi pensieri in capo alle due parti.
Ciò accerta in modo chiaro che l'attestazione non può che
riguardare gli adempimenti scaduti al momento del pagamento
e non invece che dovendo l'attestazione riguardare tutti gli
adempimenti correlati a quel contratto sia necessario
attendere in ogni caso la loro scadenza così da poter
rilasciare l'attestazione e conseguentemente ottenerne il
pagamento (articolo ItaliaOggi Sette
del 04.03.2013). |
CONDOMINIO:
Condominio.
Per i difetti di costruzione rispondono i proprietari
Non è sempre responsabile il condomino per i danni da cose
in custodia, regolati dall'articolo 2051 del Codice civile.
Infatti, risponde il proprietario, senza alcuna
compartecipazione del condominio, per i danni ricollegabili
ai difetti originari di progettazione o di esecuzione del
lastrico solare, soprattutto se tollerati.
Questo principio
è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza
n. 2840/2013.
La pronuncia riguarda un condomino –proprietario di una
unità immobiliare posta all'ultimo piano e del sovrastante
lastrico– che ha chiesto la condanna del condominio a
eliminare il dissesto delle strutture del proprio
appartamento provocate dalla mancata manutenzione del
lastrico, o a rifondergli le spese sostenute a questo fine,
oltre al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata
utilizzazione dell'immobile.
Il condomino ha ottenuto pronunce favorevoli nei primi due
gradi di giudizio, ma la Cassazione ha ribaltato le sentenze
di merito, accogliendo il ricorso presentato da altri
condomini. La Suprema corte ha evidenziato che i giudici
d'appello, nel condannare il condominio a sostenere la spesa
necessaria per il rifacimento della parte esterna delle mura
perimetrali e del lastrico solare, non hanno dato conto
dell'effettiva origine dei danni. Anzi, secondo i giudici di
legittimità, la corte d'appello ha deciso prescindendo dal
concreto accertamento delle cause dei danni: vale a dire se
fossero riconducibili anche a vizi costruttivi. Mentre
proprio l'accertamento delle cause dei danni, secondo la
Cassazione, guida l'attribuzione dell'onere economico.
Infatti, per i vizi riconducibili a vetustà e a
deterioramento per difetto di manutenzione del lastrico
solare trova applicazione l'articolo 1126 del Codice civile,
che regola la ripartizione delle spese di riparazione fra i
condomini. Invece, con riferimento alla responsabilità per i
danni ricollegabili ai difetti originari di progettazione o
di esecuzione, anche in sede di ricostruzione, del lastrico
solare si applica l'articolo 2051 del Codice civile, con
l'accollo delle spese al proprietario esclusivo, senza
alcuna compartecipazione del condominio (articolo Il Sole 24 Ore
del 04.03.2013). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Con riguardo all’apertura
in seduta pubblica dei plichi contenenti le offerte tecniche
tale obbligo si deve ritenere ora applicabile solo alle gare
indette dopo l’entrata in vigore (07.07.2012) della citata
novella all’art. 120 del DPR 207/2010, per effetto dell’art.
12 del DL 52/2012 che l’ha previsto in modo espresso per la
prima volta.
- Considerato che l’appello è meritevole d’accoglimento,
anzitutto con riguardo all’apertura in seduta pubblica dei
plichi contenenti le offerte tecniche, nella specie avvenuta
il 01.03.2011, in quanto il relativo obbligo si deve
ritenere ora applicabile solo alle gare indette dopo
l’entrata in vigore (07.07.2012) della citata novella
all’art. 120 del DPR 207/2010, per effetto dell’art. 12 del
DL 52/2012 che l’ha previsto in modo espresso per la prima
volta (cfr. Cons. St., IV, 04.01.2013 n. 4);
- Considerato che in questa sede non si può rimettere in
discussione quanto deciso dall’Adunanza Plenaria con
decisione n. 13/2011, né per quanto riguarda il merito della
questione di diritto (obbligo di aprire le buste con le
offerte tecniche in seduta pubblica), né per quanto riguarda
il carattere interpretativo e non innovativo della massima
affermata in quella decisione (anche perché nel nostro
ordinamento giuridico, come in tutti quelli di c.d. civil
law, il còmpito del giudice è esclusivamente quello
d’interpretare le norme giuridiche, non di dettarne delle
nuove: «è proibito ai giudici di pronunciare in via di
disposizione generale o di regolamento nelle cause di loro
competenza»: art. 1, comma 5, del Codice Napoleone nella
versione promulgata il 16.01.1806 per il Regno d’Italia;
cfr. anche gli artt. 1 e 12 delle vigenti disposizioni sulla
legge in generale);
- Considerato tuttavia che dopo la decisione dell’Adunanza
Plenaria il legislatore è intervenuto con l’art. 12 del
decreto legge n. 52/2012, il quale, con le parole «La
commissione, anche per le gare in corso ove i plichi
contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti
alla data del 09.05.2012, apre in seduta pubblica i plichi
contenenti le offerte tecniche al fine di procedere alla
verifica della presenza dei documenti prodotti» nel
recepire e fare proprio suddetto principio
giurisprudenziale, ha tuttavia fissato positivamente un
dies a quo per la sua applicazione, coincidente con la
data di entrata in vigore della legge di conversione,
lasciando così intendere che anteriormente a quella data
dovesse applicarsi la regola opposta;
- Considerato pertanto che all’art. 12 del DL 52/2012 va
riconosciuta la natura di norma transitoria in funzione di
salvaguardia (o sanatoria) delle modalità d’apertura di tali
plichi e dei relativi effetti, relativamente alle procedure
già concluse al 09.05.2012 o i cui plichi siano stati già
aperti a quella data, donde la portata non solo ricognitiva
di detta disposizione (cfr. Cons. St., III, 14.01.2013 n.
145) (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 05.03.2013 n. 1333 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Rate fiscali? Niente appalto.
La dilazione del debito non consente la partecipazione.
Sentenza del Consiglio di stato: le imprese devono essere
perfettamente in regola.
Brutta sorpresa per le imprese che a causa della crisi o
per altri motivi hanno dovuto rateizzare il debito fiscale.
Esse, infatti, non possono partecipare alle gare d'appalto.
Perché chi vuole lavorare con la pubblica amministrazione
deve rispettare gli obblighi di lealtà e correttezza.
E la rateizzazione di un debito fiscale non implica che esso
venga necessariamente estinto.
Il Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 05.03.2013 n. 1332, traccia una strada che non farà sicuramente
piacere alle aziende già alle prese con la crisi economica e
finanziaria.
Dal punto di vista giuridico, i giudici di
palazzo Spada, ribaltando la decisione della prima sezione
del Tar di Napoli., evidenziano che l'accordo di
ristrutturazione del debito non ha natura novativa. Tanto
più nel caso di specie, in cui la dichiarazione circa il
quantum era risultata poi essere mendace.
La vicenda
La vicenda vede protagonisti tre istituti di vigilanza
privata, tutti contemporaneamente concorrenti alla gara
d'appalto indetta dalla pubblica amministrazione per la
sorveglianza della Azienda sanitaria locale di Caserta. Se
in prima battuta una delle tre imprese era risultata essere
provvisoriamente aggiudicataria, questa stessa in un secondo
momento vedeva sottrarsi l'assegnazione della gara in favore
della seconda classificata. Questo a seguito della verifica
della regolarità dei requisiti previsti dall'articolo 38, I
comma, lett. g), del dlgs 163/2006, così come modificata
dalla legge 106/2011.
La norma, facente parte del Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture,
prevede che «Debbano essere esclusi dalla partecipazione
alle procedure di affidamento delle concessioni di appalti
di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari
di subappalti e non possono stipulare i relativi contratti i
soggetti che: hanno commesso violazioni gravi,
definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione
italiana o quella dello stato in cui sono stabiliti».
Ricorrendo in prima battuta di fronte Tar, l'azienda
interessata asseriva l'illegittimità della revoca della
aggiudicazione provvisoria per irregolarità fiscale,
sostenendo che i debiti tributari che gli venivano eccepiti,
erano stati oggetto di rateizzazione prima che venisse
accolta la loro richiesta di partecipazione alla gara, non
sussistendo quindi alcuna violazione definitivamente
accertata. La prima sezione, accogliendo il ricorso, andava
ad annullare la prima assegnazione, affermando che «sia la
concessione della rateizzazione del debito tributario, sia
la successiva stipula di una transazione fiscale,
presupponevano un accordo tra il contribuente e
l'amministrazione erariale, tale per cui il concorrente
interessato non potesse essere considerato in situazione di
irregolarità fiscale».
Secondo questa opinione, sia la
rateizzazione sia l'accordo di ristrutturazione avrebbero
quindi avuto natura novativa. Di tutt'altro avviso si
dimostrerà essere il Consiglio di stato. Divenuta
ricorrente, la ditta a cui viene sottratta l'assegnazione,
eccepisce non solo la falsità circa l'effettivo ammontare
del debito in capo all' azienda aggiudicataria, che era in
realtà quasi dieci volte tanto, ma anche l'inesistenza vera
e propria dell'accordo transattivo, che in realtà non
sarebbe mai stato iscritto al ruolo.
Il no dei giudici
In punto di diritto però, i giudici di palazzo Spada si
pronunciano mettendo in evidenza due elementi fondamentali.
Il primo proprio in relazione alla falsità della
dichiarazione. Per il Consiglio «è opinione largamente
condivisa in giurisprudenza che costituisca in sé motivo di
esclusione dalla gara, il fatto che l'autodichiarazione
presentata dalla concorrente, sia risultata non veritiera».
Il secondo elemento evidenziato riguarda la natura degli
accordi tra contribuente e amministrazione erariale. Viene
infatti negata, ribaltando quanto sostenuto dalla prima
sezione del Tar di Napoli, la natura novativa sia della
rateizzazione, sia dell'accordo di ristrutturazione.
Al di
là del caso di specie quindi, il Consiglio di stato prende
posizione circa i requisiti necessari per la partecipazione
alle gare di appalto indette dalle pubbliche
amministrazioni. Per i giudici infatti, «i soggetti che
contraggono con la pubblica amministrazione devono
rispettare obblighi di lealtà e correttezza», per tanto non
ha più rilevanza il quantum del debito, né qualsiasi tipo di
accordo volto a regolarizzarlo.
I requisiti previsti
dall'articolo 38, I comma, lett. g) del dlgs 163/2006, così
come modificato dalla legge 106/2011, indispensabili per la
partecipazione alle gare di appalto e alla successiva
stipula dei contratti, si ritengono soddisfatti solo in
assenza di qualsiasi tipo di irregolarità
(articolo ItaliaOggi del 07.03.2013 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
L’adozione da parte
dell’amministrazione, nel corso del giudizio, di atti
interamente sostitutivi di quelli inizialmente oggetto di
impugnativa e allo stesso tempo integralmente satisfattivi
della pretesa dell’interessato determinano l’improcedibilità
del ricorso per cessazione della materia del contendere.
Pertanto la presente vicenda processuale va definita con
applicazione del consolidato principio per cui l’adozione da
parte dell’amministrazione, nel corso del giudizio, di atti
interamente sostitutivi di quelli inizialmente oggetto di
impugnativa e allo stesso tempo integralmente satisfattivi
della pretesa dell’interessato determinano l’improcedibilità
del ricorso per cessazione della materia del contendere (sul
punto, ex plurimis: Cons. Stato, V, 12.12.2009 n.
7800) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.03.2013 n. 1262 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
tema di gara per l’affidamento di appalti pubblici, l’omessa
predisposizione di una busta apposita nella quale inserire
la documentazione amministrativa non integra una delle
ipotesi astrattamente contemplate dall'art. 46, comma 1-bis,
del codice dei contratti pubblici, non essendo pregiudicate
né la segretezza dell'offerta né l’integrità del plico.
Per queste ragioni deve pertanto ritenersi illegittimo il
bando di gara, laddove commina l’esclusione per il
concorrente che non abbia inserito la documentazione nella
busta A, chiusa, sigillata e controfirmata, nonché dell'atto
applicativo di esclusione dalla gara della ricorrente
principale e, per illegittimità derivata,
dell'aggiudicazione provvisoria a favore della contro
interessata.
L’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici,
d.lgs. n. 163/2006, prevede che la stazione appaltante possa
escludere i concorrenti dalla gara nel caso di mancato
adempimento delle prescrizioni previste dallo stesso codice,
dal suo regolamento e da altre disposizioni di legge
vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul
contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di
sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso
di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità relative alla
chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato il principio di
segretezza delle offerte. I bandi di gara e le lettere di
invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena
di esclusione. Se poste tali prescrizioni sono da ritenersi
nulle.
Orbene, nel caso di specie l’omissione contestata alla
società ricorrente non può ritenersi rientrare tra quelle
per le quali il citato art. 46, comma 1-bis, giustifica
l’esclusione, trattandosi di una mera inadempienza formale
che non incide sulla possibilità della identificazione e
della certezza del soggetto presentatore dell’offerta (il
domicilio e il numero di fax non inseriti nella busta
potevano comunque essere desunti dalla documentazione
presentata dalla stessa ricorrente)
D’altra parte, anche la giurisprudenza ha avuto modo di
evidenziare che in tema di gara per l’affidamento di appalti
pubblici, l’omessa predisposizione di una busta apposita
nella quale inserire la documentazione amministrativa non
integra una delle ipotesi astrattamente contemplate
dall'art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti
pubblici, non essendo pregiudicate né la segretezza
dell'offerta né l’integrità del plico. Per queste ragioni
deve pertanto ritenersi illegittimo il bando di gara,
laddove commina l’esclusione per il concorrente che non
abbia inserito la documentazione nella busta A, chiusa,
sigillata e controfirmata, nonché dell'atto applicativo di
esclusione dalla gara della ricorrente principale e, per
illegittimità derivata, dell'aggiudicazione provvisoria a
favore della contro interessata (cfr. ex multis, TAR
Catanzaro, sez. II, n. 914/2012).
Non può dunque trovare accoglimento la tesi delle parti
resistenti in ordine alla circostanza che il bando al punto
3.3, a pena esclusione, richiede l’indicazione del domicilio
eletto in coerenza art. 46, comma 1, d.lgs. 163/2006. Come
sopra rilevato, dalla documentazione agli atti di causa
emerge che la società ricorrente ha comunque indicato il suo
domicilio nella busta A, seppure nella dichiarazione
sostitutiva sulla insussistenza di cause di esclusione dalle
gare d’appalto, ed anche nella documentazione trasmessa ai
fini della prequalifica.
Deve poi ritenersi superata, con la proposizione dei motivi
aggiunti, anche l’eccezione di inammissibilità formulata
dalla controinteressata Among srl in ordina alla mancata
impugnazione del provvedimento di aggiudicazione
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis,
sentenza 28.02.2013 n. 2221 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’art. 30, comma 19, della legge 724/1994 prevede
che “per le opere abusive divenute sanabili in forza della
presente legge, il proprietario che ha adempiuto agli oneri
previsti per la sanatoria ha il diritto di ottenere
l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale
dell'area di sedime e delle opere sopra questa realizzate
disposte in attuazione dell'art. 7, terzo comma, della legge
28.02.1985, n. 47, e la cancellazione delle relative
trascrizioni nel pubblico registro immobiliare dietro
esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta
presentazione della domanda di sanatoria. Sono in ogni caso
fatti salvi i diritti dei terzi e del comune nel caso in cui
le opere stesse siano state destinate ad attività di
pubblica utilità entro la data del 01.12.1994”.
La norma, sufficientemente chiara, richiede, ai fini
dell’annullamento dell’acquisizione gratuita, due requisiti:
a) la sanabilità, sotto il profilo temporale, delle opere
(opere abusive divenute sanabili in forza della presente
legge); b) l’adempimento degli oneri previsti dalla legge di
condono. Per l’annullamento della trascrizione
pregiudizievole è invece sufficiente la certificazione
comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda
di sanatoria.
E’ evidente che ove i requisiti di condonabilità in concreto
non sussistano, l’amministrazione può in ogni tempo, e salva
l’applicazione del regime di tacito assenso, negare il
rilascio del titolo in sanatoria e conseguentemente impedire
l’operatività del meccanismo garantistico previsto dall’art.
30 cit. in favore dell’istante. Ma ove, o sino a quando, non
provveda, l’interessato ha diritto all’annullamento sol che
siano integrati i due requisiti sopra indicati.
L’art. 30, comma 19, della legge 724/1994 (sulla cui
astratta applicabilità le parti convengono) prevede che “per
le opere abusive divenute sanabili in forza della presente
legge, il proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti
per la sanatoria ha il diritto di ottenere l'annullamento
delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di
sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in
attuazione dell'art. 7, terzo comma, della legge 28.02.1985,
n. 47, e la cancellazione delle relative trascrizioni nel
pubblico registro immobiliare dietro esibizione di
certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione
della domanda di sanatoria. Sono in ogni caso fatti salvi i
diritti dei terzi e del comune nel caso in cui le opere
stesse siano state destinate ad attività di pubblica utilità
entro la data del 01.12.1994”.
La norma è sufficientemente chiara. Essa richiede, ai fini
dell’annullamento dell’acquisizione gratuita, due requisiti:
a) la sanabilità, sotto il profilo temporale, delle opere
(opere abusive divenute sanabili in forza della presente
legge); b) l’adempimento degli oneri previsti dalla legge di
condono. Per l’annullamento della trascrizione
pregiudizievole è invece sufficiente la certificazione
comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda
di sanatoria.
E’ evidente che ove i requisiti di condonabilità in concreto
(richiamati dall’amministrazione appellante) non sussistano,
l’amministrazione può in ogni tempo, e salva l’applicazione
del regime di tacito assenso, negare il rilascio del titolo
in sanatoria e conseguentemente impedire l’operatività del
meccanismo garantistico previsto dall’art. 30 cit. in favore
dell’istante. Ma ove, o sino a quando, non provveda,
l’interessato ha diritto all’annullamento sol che siano
integrati i due requisiti sopra indicati.
Poco senso avrebbe, discutere, in sede processuale, delle
effettive e reali prospettive di accoglimento della domanda
di condono, atteso che è la sede amministrativa e
procedimentale quella in cui naturaliter siffatte
valutazioni devono essere operate (com’è noto il giudice
amministrativo è precluso pronunciare su poteri non ancora
esercitati); nelle more trovando applicazione il disposto
garantistico dell’art. 30 cit., in guisa che il ritardo
patologico dell’azione amministrativo non riverberi in
irreversibile pregiudizio dell’istante (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 28.02.2013 n. 1233 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Quando la Pa sbaglia paga anche il danno morale.
La
sentenza. Non spetta solo il risarcimento patrimoniale.
LO STRUMENTO/
Per la liquidazione i giudici hanno fatto riferimento alle
tabelle utilizzate dal Tribunale di Milano per gli infortuni.
Una giustizia amministrativa più vicina alla realtà
quotidiana emerge dalla
sentenza
28.02.2013 n. 1220 del Consiglio di Stato, Sez. V, che riconosce a un privato il
risarcimento del danno morale.
Per arrivarci, tagliando
corto su vari disegni di legge, si applicano le tabelle
usate dal Tribunale civile di Milano in materia di
infortuni. Così lo stravolgimento della vita generato da
atti amministrativi illegittimi diventa quantificabile, con
la stessa logica del danno da incidente stradale: oltre al
danno patrimoniale, che compensa il reddito non percepito
(per esempio il commerciante che non riesce ad aprire un
esercizio o l'imprenditore scavalcato in un appalto), la
pubblica amministrazione indennizza anche il danno morale,
per stress e disagio.
L'episodio deciso dal Consiglio riguarda un assegnatario di
alloggio pubblico, che voleva acquistare l'abitazione
riscattandola dal Comune di Poggibonsi. Gli sono stati
riconosciuti oltre 16.000 euro di danno morale, in aggiunta
a 100.000 euro di danno patrimoniale per non aver potuto
acquistare la casa.
Dopo anni di attesa di parametri per quantificare i danni
causati da attività amministrativa (fin dalla legge
59/1997), la magistratura supplisce al legislatore,
utilizzando i criteri della giustizia civile. I danni subiti
dal cittadino vengono, cioè, valutati come componente del
danno non patrimoniale, partendo dal presupposto che anche
gli errori dell'ente pubblico generano una sorta di
infermità, quantificabile in "punti": nel caso specifico,
era emersa una sindrome ansioso-depressiva, con crisi di
panico e inasprimento dei rapporti con il figlio e la nuora.
Questi danni sono stati valutati da un consulente tecnico,
così come in altra occasione (Consiglio di Stato, sentenza
n. 1271/2011) l'ansia e la perdita di capelli collegati al
ritardo di un permesso di costruire erano stati indennizzati
riconoscendo all'interessato circa 11.000 euro.
La materia dei danni torna quindi in primo piano come
deterrente: ne prende atto il legislatore sottolineando che
le «utilità illecitamente percepite» vanno restituite
all'Erario in misura doppia (articolo 1, comma 62, della
legge anticorruzione 190/2012, ma il principio è già
contenuto nel diritto romano, nella legge delle XII tavole);
la Corte dei conti riesca ad accertare la colpa grave di
amministratori con lo stesso metro (legge 231/2001) che la
magistratura ordinaria applica sugli enti privati
(Cassazione 16849/2012).
Sempre per evitare i danni, si invogliano i pubblici
dipendenti a collaborare, segnalando gli illeciti dei
colleghi (articolo 1, comma 51, della legge anticorruzione,
la 190/2012). Per voltare pagina, ed evitare danni maggiori,
si ricorre infine anche alla collaborazione degli stessi
autori o compartecipi delle condotte illecite: su questa
strada fin dal 1990 si muove l'Antitrust con propri
"programmi di clemenza" (articolo 15 della legge 287/1990),
assicurando immunità agli imprenditori "pentiti" che
denuncino "cartelli" restrittivi della concorrenza.
Per questo motivo, i 16.000 euro che il Comune di Poggibonsi
dovrà versare all'assegnatario di alloggio popolare per
compensarlo (anche) dei dissidi con la nuora hanno valore
ben maggiore del loro mero importo. Infatti, sono il sintomo
del venir meno di immunità della pubblica amministrazione
che finora erano state ritenute inattaccabili.
---------------
MASSIMA
Per quanto riguarda la configurabilità e la decorrenza del
danno, la sentenza impugnata appare esente da ogni critica,
avendo motivatamente motivato il riconoscimento del danno
non patrimoniale sulla base delle specifiche valutazioni
della Ctu, peraltro modificate dal giudicante proprio in
ordine alla decorrenza del danno. Fondata è invece la
censura relativa alla quantificazione del danno per giorno,
risultando in effetti non motivato l'importo giornaliero di
€ 110,00 rispetto all'importo base di € 91,00 risultante
dalle tabelle applicate dal Tribunale di Milano -
Consiglio di Stato, sentenza 1220/2013
(articolo Il Sole 24 Ore del
05.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'indennità di cui all’art. 167 dlgs 42/2004 è
una sanzione amministrativa irrogabile a prescindere dal
vulnus materiale al paesaggio, essendo sufficiente la
violazione formale, ovvero la realizzazione dell'opera, in
assenza della corrispondente autorizzazione paesaggistica.
La natura dissuasiva o sanzionatoria si desume dalla
modalità di calcolo prevista dal legislatore, non incentrata
sul pregiudizio causato al paesaggio, ma ancorata al
criterio della maggiore somma tra danno arrecato e profitto
conseguito mediante l'illecito, con la conseguenza che la
sanzione, in caso di assenza di qualsiasi nocumento
ambientale, va commisurata unicamente al profitto.
Poiché la ratio della predetta sanzione è dissuadere il
privato dall'evitare il controllo preventivo e valorizzare
la necessità di ottenere il titolo autorizzatorio prima
dell’esecuzione delle opere, a prescindere dall’effettiva
produzione di un danno ambientale, ne discende che
l’amministrazione non ha alcun obbligo motivazionale in
ordine a tale ultimo punto.
---------------
In forza del 1° comma dell'articolo 28 della legge n.
689/1981, "il diritto a riscuotere le somme dovute per le
violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel
termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la
violazione", disposizione applicabile a tutte le violazioni
punite con sanzione amministrativa pecuniaria e, quindi,
anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica,
edilizia e paesaggistica puniti con sanzione pecuniaria.
Occorre precisare che il citato art. 28 fissa come dies a
quo del termine prescrizionale "il giorno in cui è stata
commessa la violazione". Nelle ipotesi, come quella di
specie (sanatoria ambientale), in cui l'illecito ha
carattere permanente, la prescrizione comincia, quindi, a
decorrere solo dalla cessazione di detta permanenza.
Secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di
Stato, condivisa dal Collegio, l'indennità di cui all’art.
167 dlgs 42/2004 è una sanzione amministrativa irrogabile a
prescindere dal vulnus materiale al paesaggio,
essendo sufficiente la violazione formale, ovvero la
realizzazione dell'opera, in assenza della corrispondente
autorizzazione paesaggistica. La natura dissuasiva o
sanzionatoria si desume dalla modalità di calcolo prevista
dal legislatore, non incentrata sul pregiudizio causato al
paesaggio, ma ancorata al criterio della maggiore somma tra
danno arrecato e profitto conseguito mediante l'illecito,
con la conseguenza che la sanzione, in caso di assenza di
qualsiasi nocumento ambientale, va commisurata unicamente al
profitto (cfr. Tar Toscana, III, 26.03.2012, n. 607; Cons.
Stato, VI, 08.11.2000, n. 6007).
Poiché la ratio della predetta sanzione è dissuadere
il privato dall'evitare il controllo preventivo e
valorizzare la necessità di ottenere il titolo
autorizzatorio prima dell’esecuzione delle opere, a
prescindere dall’effettiva produzione di un danno
ambientale, ne discende che l’amministrazione non ha alcun
obbligo motivazionale in ordine a tale ultimo punto (cfr.
TAR Veneto, II, 29.11.2006, n. 3925).
Anche l’eccezione di intervenuta prescrizione deve essere
disattesa in quanto non fondata.
In conformità all'indirizzo consolidato della giurisprudenza
il Collegio ritiene applicabile nel caso di specie il primo
comma dell'articolo 28 della legge n. 689/1981, ai sensi del
quale "il diritto a riscuotere le somme dovute per le
violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel
termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la
violazione", disposizione applicabile a tutte le
violazioni punite con sanzione amministrativa pecuniaria e,
quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia
urbanistica, edilizia e paesaggistica puniti con sanzione
pecuniaria (cfr. Consiglio Stato, V, 11.01.2012, n. 81;
Consiglio Stato, IV, 11.04.2007, n. 1585).
Occorre precisare che il citato art. 28 fissa come dies a
quo del termine prescrizionale "il giorno in cui è
stata commessa la violazione". Nelle ipotesi, come
quella di specie, in cui l'illecito ha carattere permanente,
la prescrizione comincia, quindi, a decorrere solo dalla
cessazione di detta permanenza.
Nella vicenda sottoposta all’esame del Collegio tale momento
va ricondotto alla positiva conclusione del procedimento di
condono in quanto la concessione edilizia in sanatoria, pure
nell'autonoma configurazione dei due illeciti -quello
edilizio e quello paesaggistico-, non può non determinare la
conclusione della permanenza anche della violazione
paesaggistica, facendo cessare l'antigiuridicità dell'intero
fatto (TAR Umbria,
sentenza 28.02.2013 n. 126 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Le
tabelle redatte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali danno indicazione dei costi medi del lavoro,
formulati sulla base dei valori economici risultanti dal
Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di settore e di
altre variabili attinenti alla natura e all’organizzazione
dell’impresa.
Tali tabelle offrono alla stazione appaltante un parametro
in base al quale valutare la congruità dell’offerta.
Pertanto, lo scostamento dai costi medi orari del lavoro ivi
indicati non determina l’inammissibilità dell’offerta
stessa, bensì esclusivamente la necessità che l’impresa
fornisca adeguate giustificazioni al riguardo.
Ciò premesso, la stazione appaltante non può, nella lex
specialis di gara, stabilire l’inderogabilità di tali costi
medi a pena di esclusione, stante il principio di
tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46,
comma 1-bis del codice dei contratti pubblici.
Alla luce di siffatto principio, la stazione appaltante può
escludere i concorrenti soltanto in caso di mancato
adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal
regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché
in ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di
altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda di
partecipazione o per altre irregolarità relative alla
chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato il principio di
segretezza delle offerte.
Ma i bandi e le lettere di invito, come espressamente
chiarisce la norma, “non possono contenere ulteriori
prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono
comunque nulle”.
Preliminarmente, pare opportuno ricordare che le tabelle
redatte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
danno indicazione dei costi medi del lavoro, formulati sulla
base dei valori economici risultanti dal Contratto
Collettivo Nazionale di Lavoro di settore e di altre
variabili attinenti alla natura e all’organizzazione
dell’impresa.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, condivisa da questo
Collegio, tali tabelle offrono alla stazione appaltante un
parametro in base al quale valutare la congruità
dell’offerta. Pertanto, lo scostamento dai costi medi orari
del lavoro ivi indicati non determina l’inammissibilità
dell’offerta stessa, bensì esclusivamente la necessità che
l’impresa fornisca adeguate giustificazioni al riguardo
(cfr. Tar Sardegna, sez. I, sentenza 09.01.2013, n. 6 e
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 28.05.2012, n.
3134).
Ciò premesso, la stazione appaltante non può, nella lex
specialis di gara, stabilire l’inderogabilità di tali costi
medi a pena di esclusione, stante il principio di
tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46,
comma 1-bis del codice dei contratti pubblici.
Alla luce di siffatto principio, la stazione appaltante può
escludere i concorrenti soltanto in caso di mancato
adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal
regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché
in ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di
altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda di
partecipazione o per altre irregolarità relative alla
chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato il principio di
segretezza delle offerte. Ma i bandi e le lettere di invito,
come espressamente chiarisce la norma, “non possono
contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette
prescrizioni sono comunque nulle”
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gli
oneri a carico dell’impresa relativi alla sicurezza dei
lavoratori debbono essere computati con riferimento ai soli
lavoratori che operino stabilmente alle dipendenze
dell’impresa, non anche con riguardo a coloro i quali siano
deputati saltuariamente ad effettuare sostituzioni dei
lavoratori assenti.
L’art. 4, d.lgs. 09.04.2008, n. 81 (T.U. in materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro) dispone, infatti, che “ai
fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale
il presente decreto legislativo fa discendere particolari
obblighi non sono computati: (…) d) i lavoratori assunti con
contratto di lavoro a tempo determinato, ai sensi
dell'articolo 1 del decreto legislativo 06.09.2001, n.
368, in sostituzione di altri prestatori di lavoro assenti
con diritto alla conservazione del posto di lavoro; e) i
lavoratori che svolgono prestazioni occasionali di tipo
accessorio ai sensi degli articoli 70, e seguenti, del
decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, e successive
modificazioni, nonché prestazioni che esulano dal mercato
del lavoro ai sensi dell'articolo 74 del medesimo decreto”.
Da tale disposizione si evince che gli oneri a carico
dell’impresa relativi alla sicurezza dei lavoratori debbono
essere computati con riferimento ai soli lavoratori che
operino stabilmente alle dipendenze dell’impresa, non anche
con riguardo a coloro i quali siano deputati saltuariamente
ad effettuare sostituzioni dei lavoratori assenti.
Alla luce di tale norma, non devono, dunque, essere
computati tra i lavoratori, ai fini del calcolo degli oneri
di sicurezza, coloro i quali svolgono attività lavorativa
soltanto in sostituzione dei lavoratori assenti.
Pertanto, nel caso di specie, correttamente il Consorzio SGM
ha computato gli oneri di sicurezza per rischi specifici con
riguardo soltanto agli 11 lavoratori da impiegare
stabilmente nel servizio oggetto dell’appalto (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
principio di immodificabilità dell’offerta, teso a
garantire, da un lato, la par condicio fra i concorrenti, e
dall’altro, l’affidabilità del contraente, attiene non ad
ogni aspetto della stessa, bensì ai profili economici e
tecnici essenziali della medesima. In altri termini, è
precluso all’impresa alla quale sia stato richiesto di
giustificare l’offerta “anormalmente bassa”, ex art. 88 del
codice dei contratti pubblici, di modificare l’offerta
economica, non anche quella tecnica, salvo per quegli
aspetti che si riverberino, ovviamente, sui profili
economici ovvero sui contenuti tecnici essenziali posti a
base di gara dalla stazione appaltante.
---------------
Obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire
se l’offerta sia, nel suo complesso, e nel suo importo
originario, affidabile o meno, il giudizio di anomalia deve
essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli
elementi, sia quelli che militano a favore, sia quelli che
militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo
insieme: deve di conseguenza ritenersi possibile che, a
fronte di determinate voci di prezzo giudicate
eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa
dimostri che per converso altre voci di prezzo sono state
inizialmente sopravvalutate, e che in relazione alle stesse
è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato
e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di
altre voci.
Pertanto, ciò che si può consentire è:
a) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci
di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite),
lasciando le voci di costo invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci di costo, che
trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o
normative che comportino una riduzione dei costi, o in
originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni
plausibili.
La giurisprudenza ha infatti precisato che il
subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non
è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta per così
dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la
serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed
immutabile.
Tuttavia, il principio di immodificabilità dell’offerta, teso a garantire, da un lato,
la par condicio fra i concorrenti, e dall’altro,
l’affidabilità del contraente, attiene non ad ogni aspetto
della stessa, bensì ai profili economici e tecnici
essenziali della medesima. In altri termini, è precluso
all’impresa alla quale sia stato richiesto di giustificare
l’offerta “anormalmente bassa”, ex art. 88 del codice dei
contratti pubblici, di modificare l’offerta economica, non
anche quella tecnica, salvo per quegli aspetti che si
riverberino, ovviamente, sui profili economici ovvero sui
contenuti tecnici essenziali posti a base di gara dalla
stazione appaltante.
In tal senso si muove anche la
giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, nel confermare
il principio di immodificabilità dell’offerta, anche in sede
di giustificazioni, rileva come «obiettivo della verifica di
anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo
complesso, e nel suo importo originario, affidabile o meno,
il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve
tenere conto di tutti gli elementi, sia quelli che militano
a favore, sia quelli che militano contro l’attendibilità
dell’offerta nel suo insieme: deve di conseguenza ritenersi
possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo
giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili,
l’impresa dimostri che per converso altre voci di prezzo
sono state inizialmente sopravvalutate, e che in relazione
alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo,
documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior
costo di altre voci (nella specie, si era riconosciuto che
il maggior importo di alcune voci del costo della manodopera
rispetto a quello indicato dall’impresa potesse essere
compensato dal maggior risparmio conseguito sul prezzo dei
contratti di fornitura) [Cons. St., sez. VI, 21.05.2009
n. 3146; Cons. St., sez. VI, 19.05.2000 n. 2908].
Dalla
citata giurisprudenza si desume che ciò che si può
consentire è:
a) o una modifica delle giustificazioni delle singole voci
di costo (rispetto alle giustificazioni già fornite),
lasciando le voci di costo invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci di costo, che
trovi il suo fondamento o in sopravvenienze di fatto o
normative che comportino una riduzione dei costi, o in
originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni
plausibili.
La giurisprudenza ha infatti precisato che il
subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non
è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta per così
dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la
serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed
immutabile [Cons. St., sez. V, 12.03.2009 n. 1451]»
(così, di recente, Cons. St., VI, 07.02.2012, n. 636)
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.02.2013 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Debbono qualificarsi come
controinteressati, specialmente a seguito delle modifiche
apportate all’art. 22, comma 1, lett. c), della L.
07.08.1990, n. 241 dalla legge 11.02.2005, n. 15, non tutti
coloro i quali siano, in qualsiasi modo, “contemplati”
nell’istanza di accesso, bensì coloro che dall’esercizio
dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla
riservatezza.
Pertanto, ai fini della qualifica di un soggetto come
controinteressato «non basta che taluno venga chiamato in
qualche modo in causa dal documento richiesto, ma occorre in
capo a tale soggetto un quid pluris, vale a dire la
titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati
racchiusi nello stesso documento, atteso che in materia di
accesso la veste di controinteressato è una proiezione del
valore della riservatezza, e non già della mera oggettiva
riferibilità di un dato alla sfera di un certo soggetto».
La giurisprudenza ha, al riguardo, chiarito che debbono
qualificarsi come controinteressati, specialmente a seguito
delle modifiche apportate all’art. 22, comma 1, lett. c),
della L. 07.08.1990, n. 241 dalla legge 11.02.2005,
n. 15, non tutti coloro i quali siano, in qualsiasi modo,
“contemplati” nell’istanza di accesso, bensì coloro che
dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro
diritto alla riservatezza.
Pertanto, ai fini della qualifica di un soggetto come
controinteressato «non basta che taluno venga chiamato in
qualche modo in causa dal documento richiesto, ma occorre in
capo a tale soggetto un quid pluris, vale a dire la
titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati
racchiusi nello stesso documento, atteso che in materia di
accesso la veste di controinteressato è una proiezione del
valore della riservatezza, e non già della mera oggettiva
riferibilità di un dato alla sfera di un certo soggetto» (in
tal senso, Cons. Stato, sez. V, sentenza 27.05.2011, n.
3190; cfr., da ultimo, anche Cons. Stato, sez. IV, sentenza
17.10.2012, n. 5325)
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.02.2013 n. 162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: E'
da ritenersi illegittima -per difetto di istruttoria
adeguata- una autorizzazione, in seguito a presentazione di
denuncia di inizio attività edilizia, tacitamente assentita,
per il fatto che il Comune non ha adeguatamente valutato,
pur in presenza di contestazioni circa la titolarità
dell'area, il presupposto della disponibilità dell'area
previsto dalle richiamate disposizioni.
L'art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10, infatti (riprodotto
dall'art. 11 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 - T.U. edilizia),
nel prevedere che la concessione edilizia (oggi permesso di
costruire), sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o
a chi abbia titolo per richiederlo", prevede anche che, in
sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la
legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo
limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su
profili della stessa che non appaiano controversi.
Se, dunque, il potere-dovere così delineato in capo
all'Amministrazione può limitarsi alla verifica
dell'esistenza del possesso dell'area (e cioè del concreto
esercizio, da parte del richiedente il titolo, del potere
sulla cosa, che si concreta in un'attività corrispondente
all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale),
tale accertamento attiene pur sempre ad un livello minimo di
istruttoria, che va superato ed approfondito allorché,
problematiche di asserita, indebita, appropriazione del
fondo altrui insorgano già all'atto della domanda.
Si è detto pertanto, in giurisprudenza, che “è
da ritenersi illegittima -per difetto di istruttoria
adeguata- una autorizzazione, in seguito a presentazione di
denuncia di inizio attività edilizia, tacitamente assentita,
per il fatto che il Comune non ha adeguatamente valutato,
pur in presenza di contestazioni circa la titolarità
dell'area, il presupposto della disponibilità dell'area
previsto dalle richiamate disposizioni. L'art. 4 della legge
28.01.1977, n. 10, infatti (riprodotto dall'art. 11 del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 - T.U. edilizia), nel prevedere
che la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), sia
rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo", prevede anche che, in sede di
rilascio, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione
soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter
procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che
non appaiano controversi. Se, dunque, il potere-dovere così
delineato in capo all'Amministrazione può limitarsi alla
verifica dell'esistenza del possesso dell'area (e cioè del
concreto esercizio, da parte del richiedente il titolo, del
potere sulla cosa, che si concreta in un'attività
corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro
diritto reale), tale accertamento attiene pur sempre ad un
livello minimo di istruttoria, che va superato ed
approfondito allorché, problematiche di asserita, indebita,
appropriazione del fondo altrui insorgano già all'atto della
domanda” (Cons. Stato Sez. IV Sent., 25-11-2008, n.
5811)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.02.2013 n. 1144 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gli "intrecci personali" determinano l'esclusione
dalla gara.
Indizi gravi, precisi e concordanti come gli “intrecci
personali” esistenti tra società collegate e partecipanti ad
una gara pubblica determinano la legittima esclusione dalla
procedura.
Questo il principio ribadito dalla VI Sez. del Consiglio di
Stato, con la
sentenza 22.02.2013 n. 1091.
Nel caso in esame alcune imprese concorrenti ad una
procedura ad evidenza pubblica, per l’affidamento dei lavori
di ristrutturazione di un edificio scolastico, erano state
escluse:
- per non aver dichiarato l’esistenza di una situazione di
collegamento formale (come espressamente richiesto dal bando
di gara);
- perché tra di loro esistevano degli “intrecci personali”
che facevano presumere l’esistenza di quegli indizi gravi,
precisi e concordanti che il legislatore ritiene i
presupposti per la sussistenza di un unico centro
decisionale.
Respinto il ricorso presentato in primo grado contro
l’esclusione, le imprese adivano il Supremo Consesso
Amministrativo, che giudica infondato il ricorso: “Premesso
che il collegamento sostanziale ricorre nel caso in cui le
offerte, seppure provenienti da imprese diverse, siano
riconducibili ad un medesimo centro di interessi, si osserva
che tale fattispecie, delineata dal richiamato orientamento
giurisprudenziale sulla scorta della disciplina comunitaria,
secondo cui il sistema delle gare pubbliche può funzionare
solo, se le imprese partecipanti si trovino in posizione di
reciproca ed effettiva concorrenza, ha poi avuto
riconoscimento normativo nel d.lgs. n. 163 del 2006
–dapprima, nell’art. 34, comma 2, ora, nell’art. 38, comma
1, lett. m-quater), inserito dall’art. 3, comma 1, d.l.
25.09.2009, n. 135–, che, in aggiunta alla fattispecie
tipizzata delle situazioni di controllo ex art. 2359 cod.
civ., contempla espressamente, a ricognizione del principio
già affermato in via giurisprudenziale, le ipotesi di
collegamenti, anche di fatto, tra imprese partecipanti che
comportino l’imputabilità delle relative offerte ad un unico
centro decisionale.”
Pertanto: “…applicando le enunciate coordinate normative
e giurisprudenziali alla fattispecie sub iudice, deve, in
primo luogo, affermarsi la legittimità delle impugnate
previsioni della lex specialis di gara e del c.d. "Patto di
integrità", sopra citate, in quanto conformi all’enunciato
principio della natura escludente di collegamenti
sostanziali tra imprese partecipanti lesivi dei canoni della
segretezza delle offerte e della serietà e trasparenza delle
procedure di evidenza pubblica.”
Il collegamento societario e la partecipazione alle gare
pubbliche hanno più volte interessato anche il legislatore
comunitario, il quale ha recentemente disposto la
contrarietà ai principi comunitari di trasparenza e
concorrenza di una norma nazionale che impedisce, in via di
principio, la partecipazione ai bandi pubblici di imprese
tra loro collegate.
Con l’art. 38, comma 1, lett. m-quater), il legislatore
italiano ha voluto recepire questo indirizzo, stabilendo che
l’eventuale esclusione può essere stabilita soltanto
valutando l’effettiva situazione concreta sottoposta
all’attenzione della stazione appaltante (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: Non impugnabili dai consiglieri i bilanci incompleti.
I consiglieri comunali non possono impugnare un bilancio di
previsione carente in alcuni allegati, tra i quali le
delibere in materia di tributi o programmatiche (programma
dei lavori e delle assunzioni) collegate al bilancio, per la
mancanza di interesse personale dei consiglieri a sollevare
doglianze non incidenti sulle prerogative loro riconosciute
dall'ordinamento in ragione del ruolo ricoperto.
I consiglieri comunali, infatti, sono legittimati a
ricorrere avverso gli atti adottati dagli organi di
appartenenza nei ristretti limiti tracciati dalla lesione
del loro diritto.
Limiti che il TAR Campania-Salerno, Sez. II, nella
sentenza 22.02.2013 n. 490, reputa non essere stati
violati in quanto afferenti a meri profili di legittimità
dell'azione amministrativa non incidenti sulla loro
posizione giuridica (Consiglio di Stato, sezione IV,
02/10/2012, n. 5184; sezione V, 15.12.2005, n. 7122,
sezione I, 30.07.2003 n. 2695).
Secondo il Tar, solo quando si concretizza un contrasto
interno qualificato in ragione della lesione di un interesse
personale rilevante per l'ordinamento può dirsi sorta una
posizione qualificata e idonea a stimolare la funzione
giurisdizionale; in quanto capace di rilevare all'esterno e
come tale oggetto di possibile sindacato da parte del Tar,
atteso che la giurisdizione amministrativa non concerne
l'astratto sindacato sulla legalità dell'azione dei pubblici
poteri, ma è giurisdizione di diritto soggettivo,
richiedendosi, per la sua attivazione la sussistenza di un
interesse personale prima che attuale,
A ragione si afferma, dunque, che la difformità delle
delibere consiliari (per mancanza di pareri o delibere
connesse) dal modello legale, di per sé impugnabile dai
soggetti diretti destinatari o direttamente lesi, non attiva
la legittimazione dei consiglieri comunali a impugnare,
perché altrimenti si dovrebbe loro riconoscere
un'inammissibile azione popolare di diritto oggettivo, a
tutela della conformità a legge delle delibere consiliari,
che prescinde del tutto dall'interesse dei ricorrenti
(Consiglio di Stato V n. 2457/2010).
Non ogni violazione di forma o di sostanza nell'adozione di
una deliberazione si traduce in una automatica lesione del
diritto del consigliere; ciò accade solo nella misura in cui
l'illegittimità si sia tradotta nella lesione del diritto e
dovere della persona investita della carica di consigliere
comunale di esercitare la propria funzione, tramite il
proprio voto; il contrasto che si crea non deve essere
suscettibile di risoluzione nella sede dialettica interna
all'organo, atteso che proprio la lesione del ruolo
impedisce l'attivazione dei meccanismi di responsabilità
politica e rende necessario il ricorso all'autorità
giurisdizionale.
Questa lesione sussiste se si lamentano violazioni che
incidono sui diritti di partecipazione del consigliere
comunale, e non nel caso di violazioni afferenti a profili
formali o alla legalità obiettiva delle delibere consiliari (articolo Il Sole 24 Ore del
04.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Sul demansionamento decisivo il fattore tempo.
Per
la Cassazione nessuna incidenza se l'incarico è breve.
LO SCENARIO/ Con la sentenza 4301/12 riconfermato l'orientamento
prevalente ma sul punto continuano a pesare i limiti della
normativa vigente.
La Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con la
sentenza 21.02.2013 n. 4301, ha ritenuto legittima l'adibizione
per esigenze di servizio a mansioni inferiori del
dipendente, se viene assicurato in modo prevalente e
assorbente l'espletamento delle mansioni ordinarie.
La
controversia è stata promossa da un dipendente comunale, il
quale ha chiesto al Tribunale di primo grado di accertare il
suo diritto al risarcimento dei danni professionali, morali
ed esistenziali subiti a seguito di un presunto demansionamento attuato ai sui danni.
La domanda, dopo l'esito positivo del primo grado, è stata
respinta dalla Corte d'appello di Cagliari, in quanto
secondo i giudici le mansioni attribuite al lavoratore erano
sicuramente dequalificanti, ma implicavano un impegno
temporale circoscritto nel tempo. Per questo motivo le
mansioni inferiori non intaccavano le mansioni svolte in
prevalenza. Il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione
contro la decisione, ma la Suprema corte ha confermato le
conclusioni del precedente giudizio.
Secondo la sentenza le mansioni assegnate al dipendente
erano sicuramente inferiori rispetto a quelle inizialmente
attribuite allo stesso, ma si sono risolte in adempimenti
limitati nel tempo, che non hanno inciso in maniera
prevalente sulle mansioni ordinarie relative
all'inquadramento di appartenenza. In questo modo viene
confermato un orientamento della Cassazione, la quale già in
passato ha chiarito che si possono affidare mansioni
inferiori quando queste richiedono un impiego di energie
lavorative di breve durata, che non incidono sullo
svolgimento prevalente delle mansioni ordinarie.
La conferma del principio può aiutare a fare chiarezza su
molte situazioni controversie, ma è difficile pensare che si
ridurranno i contenziosi in materia. Le liti sulle mansioni
proliferano perché le aziende chiedono con frequenza sempre
maggiore di poter cambiare i compiti assegnati al personale,
ma i limiti imposti dall'attuale normativa lavoristica non
sono chiari e oggettivi.
L'attuale criterio cardine è che le mansioni attribuite al
momento dell'assunzione possono essere cambiate, ma solo se
equivalenti o superiori; invece, se la variazione disposta
comporta l'attribuzione di mansioni inferiori, il dipendente
ha diritto al risarcimento del danno alla professionalità
che ne consegue.
Il principio è attenuto nel caso di mansioni promiscue: in
tal caso, occorre fare riferimento alle mansioni primarie e
caratterizzanti, ossia quelle prevalenti sia sotto un
profilo quantitativo, sia qualitativo.
Vi sono anche altre ipotesi nelle quali le mansioni, in
deroga alla regola generale, possono essere ridotte. Uno dei
casi più noti è quello delle procedure di riduzione del
personale; durante tali procedure, possono essere firmati
accordi sindacali che prevedono il riassorbimento totale o
parziale dei lavoratori in esubero con l'assegnazione di
mansioni diverse. Altra ipotesi diffusa è quello in cui il
demansionamento costituisce l'unica alternativa al
licenziamento. Per queste situazioni, la giurisprudenza ha
ritenuto (disapplicando la norma che sancisce con la nullità
ogni patto in materia) valido il "patto di demansionamento",
con cui il lavoratore accetta di proseguire il rapporto di
lavoro con mansioni e retribuzione inferiori a quelle di
assunzione, se questa misura è l'unico rimedio per evitare
il licenziamento.
Le mansioni possono essere ridotte anche durante il periodo
della gestazione e fino a sette mesi dopo il parto, per
evitare pregiudizi alla salute della lavoratrice, e nei
confronti del lavoratore giudicato inidoneo alla mansione
specifica e adibito ad altra mansione compatibile con il suo
stato di salute (articolo Il Sole 24 Ore del
05.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
PA, consulenze esterne solo se indispensabili.
Il manager pubblico può rispondere di danno erariale nel
caso in cui affidi incarichi esterni a professionisti fatta
eccezione nel caso in cui sussista una impossibilità
oggettiva di svolgere l'attività all'interno dell'ente con
i propri dipendenti.
Diventa sempre più restringente per le pubbliche
amministrazioni legittimare le motivazioni per affidare
incarichi esterni a professionisti; la
Corte di Cassazione, Sezz. unite civili,
sentenza 21.02.2013 n. 4283, ha affermato che
il manager pubblico che affida un incarico ad un consulente
esterno risponde di danni erariali se non dimostra che vi è
una riscontrata oggettiva impossibilità di far svolgere tale
incarico all'interno dell'ente.
Nel novembre 2003 la Procura regionale citava in giudizio
amministratori e dipendenti di un ente pubblico chiedendone
la condanna per responsabilità amministrativo-contabile, per
aver conferito incarichi professionali a soggetti esterni
all'ente.
La Corte dei Conti con sentenza del 2010 ha condannato gli
amministratori a pagare una cifra di poco inferiore ai
quarantamila euro ciascuno per l'illecito conferimento
dell'incarico di redazione di un parere richiesto a degli
avvocati nonché a pagare una somma di poco superiore ai
quattromila euro per illecito conferimento agli stessi
avvocati del mandato difensivo innanzi al TAR; agli stessi
amministratori erano, inoltre, contestati illeciti
conferimenti a professionisti in relazione ad un ricorso
promosso davanti al Consiglio di Stato.
La Corte dei Conti, in particolare, osserva che le pubbliche
amministrazioni hanno l'obbligo di provvedere ai compiti
affidatile con la propria organizzazione ed il proprio
personale in servizio ed il ricorso a soggetti esterni è
consentito solo nei casi previsti dalla legge o per eventi
straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica.
Nel caso specifico erano stati attribuiti, da parte degli
amministratori pubblici, incarichi in maniera eccessiva a
dei professionisti per difendere l'ente pubblico presso il
Consiglio di Stato, senza accertare se quello interno era
abilitato ad agire innanzi alle magistrature superiori; per
i giudici amministrativi la somma pagata costituiva danno
per l'ente e doveva essere ripartito tra i responsabili. Gli
amministratori pubblici avverso la sentenza della Corte dei
Conti ricorrono in Cassazione.
Per i giudici della Corte di Cassazione la sentenza
impugnata ha condannato i manager pubblici al risarcimento
del danno per l'affidamento a soggetti estranei di incarichi
di collaborazione, consulenza e studio pur potendo costoro
avvalersi di personale interno. Gli amministratori pubblici
nel ricorso contestano, in particolare, la giurisdizione
della Corte dei Conti e negano l'incidenza negativa sul
bilancio dell'ente attraverso la denuncia della violazione
di norme e principi che, nel disciplinare i poteri degli
amministratori nella gestione della finanza pubblica,
costituiscono il merito dell'azione amministrativa, in modo
tale che i relativi comportamenti non sarebbero auspicabili
dalla Corte dei Conti.
Di notevole importanza alla luce dei recenti interventi del
legislatore in tema di collaborazioni esterne nelle
pubbliche amministrazioni, è la deliberazione n. 7,
depositata il 21.01.2009, della Corte dei Conti
-Sezione regionale di controllo per il Veneto- riguardante
gli incarichi conferiti nel contesto delle gestione delle
risorse umane, con particolare riferimento ai Comuni privi
di avvocati dipendenti che si affidano a collaborazioni con
soggetti esterni.
Nel caso in esame gli incarichi in questione sono
inquadrabile nella categoria 21 "servizi legali" contemplata
nell'Allegato IIB, D.Lgs. n. 163 del 2006, cd. Codice degli
Appalti, recante l'elencazione dei contratti d'appalto dei
servizi esclusi ex art. 20, con conseguente necessaria
osservanza delle disposizioni poste dallo stesso art. 20 e
dei principi generali sanciti dall'art. 27. Lo stesso art.
7, D.Lgs. n. 165 del 2001 che disciplina gli incarichi di
collaborazione autonoma, al comma 6-bis è ben lontano dal
consentire i conferimenti "intuitu personae"; tale norma
impone invece che le Amministrazioni pubbliche disciplinino
e rendano pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure
comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione.
Secondo la Sezione regionale della Corte dei Conti
l'Amministrazione deve predisporre tutti quegli strumenti
idonei ad assicurare in modo adeguato l'osservanza dei
principi, di valenza generale, di trasparenza, pubblicità ed
apertura alla libera concorrenza, così come richiesto
dall'ormai consolidata giurisprudenza interna e comunitaria.
Con riferimento alla sentenza oggetto del presente commento
gli amministratori, nel ricorso in Cassazione, censurano il
comportamento della Corte dei Conti che ha sindacato
l'esercizio del potere procedimentale di acquisire un parere
da soggetti estranei all'amministrazione, senza tenere conto
che la P.A., nel rispetto del principio di adeguatezza e
completezza dell'istruttoria, è obbligata ad accertare
d'ufficio la realtà dei fatti e la consistenza degli atti.
L'ufficio legale dell'ente pubblico era composto da un solo
avvocato e due funzionari che dovevano fronteggiare il
contenzioso complessivo. Il ricorso a professionisti esterni
era un atto indispensabile per fronteggiare un imminente
contenzioso e l'ufficio legale non aveva competenze sulla
materia oggetto del contenzioso stesso.
Per la Corte di Cassazione le scelte degli amministratori,
dovendo conformarsi ai suddetti criteri di legalità e a
quelli giuridici di economicità, di efficacia e di buon
andamento sono soggette al controllo della Corte dei Conti
perché assumono rilevanza sul piano della legittimità e non
della mera opportunità dell'azione amministrativa.
Per i giudici di legittimità occorre ribadire il principio
secondo il quale l'insindacabilità "nel merito" delle scelte
discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla
giurisdizione della Corte dei Conti, non comporta che esse
siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità
alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e
l'organizzazione amministrativa, e quindi il giudice
contabile non viola i limiti esterni alla propria
giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità
per danno erariale gli amministratori che hanno conferito
incarichi professionali senza rispettare le indicazioni
contenute nella normativa di riferimento e soprattutto senza
determinazione specifica di contenuto, durata, compenso,
etc. in relazione all'affidamento conferito .
Per la Corte di Cassazione il ricorso dei manager pubblici
deve essere respinto, mentre la giurisdizione della Corte
dei Conti va confermata (commento tratto da www.ipsoa.it). |
LAVORI PUBBLICI: L'individuazione
dell'area ove ubicare un'opera di pubblica utilità
costituisce una scelta tecnico-discrezionale
dell'amministrazione, come tale sottratta al sindacato di
legittimità, salvo evidenti profili di illogicità o
abnormità.
In linea di principio, l'individuazione dell'area ove
ubicare un'opera di pubblica utilità costituisce una scelta
tecnico-discrezionale dell'amministrazione, come tale
sottratta al sindacato di legittimità, salvo evidenti
profili di illogicità o abnormità (cfr. Cons. Stato, sez. V,
25.07.2011, n. 4454)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.02.2013 n. 1077 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai sensi dell'art. 5, d.P.R. 20.10.1998 n. 447,
dovendosi procedere all'introduzione di una variante al
piano regolatore generale necessaria per la realizzazione di
un impianto produttivo, la conferenza di servizi può essere
utilizzata come procedimento urbanistico alternativo solo in
presenza di due presupposti: in primo luogo, la conformità
del progetto alle norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro; in secondo luogo, che
lo strumento urbanistico non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto presentato.
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L'indisponibilità di aree posta dall'art. 5 dpr 447/1998
quale primo requisito per l'avvio dell'iter di variante cd.
"semplificata" non dev'essere valutata avendo solo come
unico punto di riferimento l'esistenza -o meno- di terreni
immediatamente utilizzabili, sui quali sia dunque possibile
edificare sulla base del rilascio diretto di un titolo
edilizio ma, invece, esaminando il complesso delle aree
libere aventi una destinazione urbanisticamente compatibile
con l'intervento in oggetto: la normativa in parola,
infatti, di stretta interpretazione per il suo carattere
derogatorio, non prevede in alcun modo che l'eventuale
necessità di una iniziativa pianificatoria di secondo grado,
pubblica o privata, escluda l'idoneità di una zona
all'ubicazione di insediamenti produttivi, consentendo
appunto l'eccezione allo strumento urbanistico soltanto nei
casi in cui lo stesso, in termini generali, non individui
aree destinate all'insediamento di impianti produttivi,
ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto
presentato.
Ai sensi dell'art.
5, d.P.R. 20.10.1998 n. 447, dovendosi procedere
all'introduzione di una variante al piano regolatore
generale necessaria per la realizzazione di un impianto
produttivo, la conferenza di servizi può essere utilizzata
come procedimento urbanistico alternativo solo in presenza
di due presupposti: in primo luogo, la conformità del
progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria
e di sicurezza del lavoro; in secondo luogo, che lo
strumento urbanistico non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto presentato.
Per quanto riguarda il requisito dell’insufficienza delle
aree, la giurisprudenza di questo Tribunale ha precisato “l'indisponibilità
di aree posta dall'art. 5 quale primo requisito per l'avvio
dell'iter di variante cd. "semplificata" non dev'essere
valutata avendo solo come unico punto di riferimento
l'esistenza -o meno- di terreni immediatamente utilizzabili,
sui quali sia dunque possibile edificare sulla base del
rilascio diretto di un titolo edilizio ma, invece,
esaminando il complesso delle aree libere aventi una
destinazione urbanisticamente compatibile con l'intervento
in oggetto: la normativa in parola, infatti, di stretta
interpretazione per il suo carattere derogatorio, non
prevede in alcun modo che l'eventuale necessità di una
iniziativa pianificatoria di secondo grado, pubblica o
privata, escluda l'idoneità di una zona all'ubicazione di
insediamenti produttivi, consentendo appunto l'eccezione
allo strumento urbanistico soltanto nei casi in cui lo
stesso, in termini generali, non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi, ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto presentato" (Tar
Lecce, sez. I, 12.04.2012, n. 620)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.02.2013 n. 398 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
L'atto soprassessorio non è impugnabile solo se
ha natura meramente interlocutoria e, dunque, sia inidoneo a
manifestare la volontà dell'Amministrazione; al contrario,
ove detto atto determini un'interruzione del procedimento,
assume un contenuto sostanzialmente reiettivo dell'istanza
del privato giacché, rinviando il soddisfacimento
dell'interesse pretensivo ad un accadimento futuro ed
incerto nel quando, determina un arresto a tempo
indeterminato del procedimento amministrativo, con immediata
capacità lesiva della posizione giuridica dell'interessato;
come tale, infatti, costituisce un'eccezione alla regola per
la quale l'atto procedimentale non è autonomamente
impugnabile, perché ha un'immediata capacità lesiva della
posizione giuridica dell'interessato.
Sono invece infondate le
censure proposte con i motivi aggiunti avverso la nota della
Provincia del 10.05.2012, con la quale sono stati
comunicati i motivi ostativi, ex art. 10-bis l. 241/1990
alla conclusione della procedura di verifica di
assoggettabilità a VIA, perché “la localizzazione
dell’impianto in tale area necessita … della procedura di
variante allo strumento urbanistico, che può essere avviata
solo da un atto del Consiglio Comunale” mentre “non è
pervenuta alcuna comunicazione da parte dell’Ufficio
Urbanistica del Comune di Ugento”.
È da rilevare, anzitutto, che il provvedimento in questione
è un atto soprassessorio che determina l’interruzione del
procedimento e, come tale, autonomamente impugnabile.
Infatti, secondo costante giurisprudenza “L'atto
soprassessorio non è impugnabile solo se ha natura meramente
interlocutoria e, dunque, sia inidoneo a manifestare la
volontà dell'Amministrazione; al contrario, ove detto atto
determini un'interruzione del procedimento, assume un
contenuto sostanzialmente reiettivo dell'istanza del privato
giacché, rinviando il soddisfacimento dell'interesse
pretensivo ad un accadimento futuro ed incerto nel quando,
determina un arresto a tempo indeterminato del procedimento
amministrativo, con immediata capacità lesiva della
posizione giuridica dell'interessato; come tale, infatti,
costituisce un'eccezione alla regola per la quale l'atto
procedimentale non è autonomamente impugnabile, perché ha
un'immediata capacità lesiva della posizione giuridica
dell'interessato.” (Cons. St., sez. V, 03.05.2012, n.
2530)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.02.2013 n. 398 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
TRIBUTI: Tariffe Tarsu-Tia non retroattive. Vale lo Statuto del contribuente.
Le regole contenute nello Statuto dei diritti del
contribuente valgono anche per delibere e regolamenti
comunali. Questi atti, infatti, non possono avere efficacia
retroattiva, se non nei limiti stabiliti da norme di legge.
Pertanto, le tariffe deliberate per Tarsu o Tia oltre il
termine stabilito dalla legge possono essere applicate solo
dall'anno successivo alla loro approvazione.
Lo ha affermato
il TAR Sicilia-Catania, Sez. II, con la
sentenza
18.02.2013 n. 547.
Per il Tar Sicilia, le delibere con le quali i comuni
fissano le tariffe per la Tarsu o la Tia, se risultano
tardive, non possono «essere retroattivamente applicate». In
questi casi, quindi, devono «intendersi prorogati i
precedenti piani tariffari o i precedenti regimi».
L'applicazione retroattiva, in effetti, si pone in contrasto
con i principi contenuti nello Statuto dei diritti del
contribuente. Del resto, l'articolo 3 della legge 212/2000
stabilisce che le disposizioni tributarie non possono avere
effetto retroattivo e che, relativamente ai tributi
periodici, le modifiche si applicano solo dal periodo
d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata
in vigore delle norme che le prevedono. Naturalmente, la
regola vale anche per delibere e regolamenti comunali.
Una
parziale deroga al principio dello Statuto è rappresentata
dall'articolo 1, comma 169, della Finanziaria 2007 (legge
296/2006), richiamato nella motivazione della sentenza, che
impone agli enti locali di deliberare le tariffe e le
aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la
data fissata da norme statali per la deliberazione del
bilancio di previsione. Queste deliberazioni, anche se
approvate successivamente all'inizio dell'anno d'imposta,
purché entro il termine per il bilancio preventivo, hanno
effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento. Tuttavia,
in caso di mancata approvazione entro il suddetto termine,
le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in
anno.
Va ricordato che l'amministrazione comunale deve motivare la
delibera che prevede un aumento delle tariffe per coprire i
costi del servizio di smaltimento dei rifiuti. Non si può
invocare genericamente la necessità di assicurare la
copertura totale della spesa, senza fornire dati certi sullo
scostamento tra entrate e costo del servizio (Consiglio di
stato, sentenza 5616/2010). Per stabilire in una determinata
entità l'importo dell'aumento, occorre indicare spese ed
entrate
(articolo ItaliaOggi dell'08.03.2013). |
APPALTI:
Il partecipante a una selezione pubblica ha diritto di
accedere ai curricula degli altri concorrenti.
Questo è quanto ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. III,
con la
sentenza 08.02.2013 n. 731.
Nel caso in
esame un professore associato di medicina interna della
facoltà di medicina dell'Università degli studi di Bari
aveva partecipato a una procedura finalizzata al provvisorio
conferimento per l'anno accademico 2011-2012 dell'incarico
di direttore della struttura di geriatria. A seguito del
conferimento dell'incarico a un altro associato di medicina
interna, il ricorrente aveva inoltrato domanda di accesso ai
documenti riguardanti i titoli dichiarati dal vincitore
della procedura nel suo curriculum.
L'amministrazione, però,
aveva messo a disposizione dell'interessato atti diversi da
quelli richiesti e, pertanto, era stato proposto ricorso al
Tar Puglia contro il diniego di accesso. Il tribunale aveva
dichiarato inammissibile il ricorso ritenendo soddisfatto il
diritto di accesso con i documenti rilasciati. Il Cds,
invece, accoglie il ricorso e ordina al Policlinico di Bari
di rilasciare all'interessato copia degli atti, non ancora
esibiti. Secondo il Collegio, infatti, il ricorrente, in
quanto partecipante alla procedura selettiva, vanta il
diritto a conoscere gli atti relativi al curriculum degli
altri partecipanti, atti in relazione ai quali non vi è
alcuna contrapposta esigenza di riservatezza.
Si precisa,
poi, che «anche se è vero che è inammissibile il diritto di
accesso esercitato in maniera generica e indifferenziata,
chiedendo all'amministrazione di svolgere un'attività di
indagine e ricerca o un'attività valutativa ed elaborativa»,
è altresì vero «che non può considerarsi generica una
richiesta di accesso che indica precisamente quale sia il
contenuto degli atti, ignorandone soltanto gli estremi, ma
consentendone agevolmente all'amministrazione
l'identificazione».
In conclusione, essendo stati messi a
disposizione della ricorrente documenti in parte diversi dai
richiesti, e comunque non idonei a soddisfare integralmente
la domanda, l'impugnazione deve essere accolta e,
conseguentemente, va ordinato all'azienda di rilasciare
all'interessato copia degli oggetti della richiesta di
accesso, non ancora mostrati
(articolo ItaliaOggi del
07.03.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Opere abusive, gli ulteriori lavori "buoni"
replicano l'illegittimità principale.
In presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati,
gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro
oggettività, alle categorie della manutenzione
straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione di opere
costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le
caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla
quale ineriscono strutturalmente.
In presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati,
gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro
oggettività, alle categorie della manutenzione
straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione di opere
costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le
caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla
quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi
la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere
che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono
ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del
comune di ordinarne la demolizione.
Ciò nella precisazione che tanto non significa negare in
assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto
ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a
pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per
l'immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel
rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente
dell'art. 35 della L. n. 47 del 1985, ancora applicabile per
effetto dei rinvii operati dalla successiva legislazione
condonistica (art. 39 della L. 23.12.1994, n. 724 ed art. 32
della L. 24.11.2003, n. 326).
Procedure da seguirsi rigidamente, anche per quanto attiene
alle modalità di presentazione dell'istanza, sia al fine di
conferire certezze in ordine allo stato dei luoghi che ad
evitarsi postumi tentativi di disconoscimenti della
circostanza che, come previsto dalla legge, l'esecuzione
delle opere, pur se autorizzate, avviene sotto la propria
responsabilità, ovverosia nella piena consapevolezza -resa
esplicita dal ricorso espresso alla procedura ex art. 35 L.
n. 47 del 1985 cit.- che, sebbene interventi di natura
eminentemente conservativa possono essere ammessi, si sta
agendo assumendo espressamente a proprio carico rischi e
pericoli connessi, cosicché se il condono verrà negato si
dovrà demolire anche le migliorie apportate; e ciò, nella
ulteriore precisazione che l'art. 35 L. n. 47 del 1985 cit.
consente solo interventi di completamento: dell'opus
già ultimato per poter essere ammesso a condono e sempre che
le opere siano suscettibili di sanatoria, ossia non siano
comprese tra quelle indicate dall'art. 33 cit. L. n. 47 del
1985 (recante prescrizioni di inedificabilità assoluta), e,
ove invece soggiacenti al regime di inedificabilità solo
relativa cui all'art. 32 precedente, abbiano ottenuto il
previo parere delle competenti amministrazioni (commento
tratto da www.ispoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 07.02.2013 n. 809 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il certificato di
abitabilità delle costruzioni costituisce un'attestazione da
parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente.
Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento
da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine
utile al fine di effettuare una consapevole valutazione
sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto
quando in un edificio siano state realizzate modifiche
strutturali.
---------------
La conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie
costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli
art. 24, comma 3, D.P.R. n. 380/2001, e art. 35, comma 2, l.
n. 47/1985; del resto, risponde ad un evidente principio di
ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione è preordinata la disciplina
urbanistico-edilizia.
In base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. n.
380 del 2001, il certificato di abitabilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente. Ne deriva la legittimità, in via generale, dello
svolgimento da parte degli organi comunali competenti di
ogni indagine utile al fine di effettuare una consapevole
valutazione sulla sussistenza delle surriferite condizioni,
soprattutto quando in un edificio siano state realizzate
modifiche strutturali (cfr., in argomento, TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 16.03.2011 n. 740), che implichino un nuovo
o diverso uso degli spazi.
Tanto deriva dalla espressa previsione dell’art. 25, commi 1
e 3, del d.P.R. n. 380 del 2001: “1. Entro quindici
giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura
dell'intervento, il soggetto di cui all'articolo 24, comma
3, è tenuto a presentare allo sportello unico la domanda di
rilascio del certificato di agibilità, corredata della
seguente documentazione:
b) dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il
certificato di agibilità di conformità dell'opera rispetto
al progetto approvato, nonché in ordine alla avvenuta
prosciugatura dei muri e della salubrità degli ambienti;
..
3. Entro trenta giorni dalla ricezione della domanda di cui
al comma 1, il dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale, previa eventuale ispezione dell'edificio,
rilascia il certificato di agibilità verificata la seguente
documentazione:
c) la documentazione indicata al comma 1.”
L'art. 25, commi 3-5, del D.P.R. n. 380 del 2001, inoltre,
prevede un procedimento di rilascio del certificato di
agibilità, articolato sui seguenti principi fondamentali:
1) il procedimento deve essere concluso nel termine di 30
giorni dalla ricezione della domanda di rilascio del
certificato di agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il
ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire
con autocertificazione il parere dell'A.S.L. previsto
dall'art. 5, 3° comma, lett. a), del D.P.R. n. 380 del 2001;
2) il decorso del termine per la definizione del
procedimento, importa la formazione del silenzio assenso
sull'istanza di rilascio del certificato di agibilità;
3) il termine del procedimento può essere interrotto una
sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici
giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di
documentazione integrativa, che non sia già nella
disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere
acquisita autonomamente; in tal caso, il termine per la
conclusione del procedimento ricomincia a decorrere dalla
data di ricezione della documentazione integrativa;
4) il rilascio del certificato di agibilità non impedisce
l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un
edificio o di parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del
regio decreto 27.07.1934, n. 1265 (art. 26 D.P.R. n. 380 del
2001).
Sul rapporto tra certificato di agibilità e conformità
urbanistica-edilizia, recente giurisprudenza del Consiglio
di Stato ha avuto modo di osservare che "La conformità
dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il
presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24,
comma 3, D.P.R. n. 380/2001, e art. 35, comma 2, l. n.
47/1985; del resto, risponde ad un evidente principio di
ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione è preordinata la disciplina
urbanistico-edilizia" (cfr. Consiglio Stato, sez. V,
30.04.2009, n. 2760).
L’inequivoco tenore letterale e la finalità delle norme
comportano quindi l’infondatezza del ricorso nella parte in
cui si deduce che la funzione del certificato di agibilità
investirebbe esclusivamente la rispondenza del fabbricato ai
requisiti igienico-sanitari e non assumerebbe rilievo sotto
il profilo urbanistico-edilizio.
Non sussiste neppur il dedotto vizio motivazionale in cui si
assume sia incorsa la P.A. nell’annullare gli effetti della
richiesta di agibilità atteso che la rilevata difformità
urbanistica ed edilizia giustifica ex se l’adozione
del provvedimento impugnato.
Infine non assumono rilievo neppure i dedotti vizi formali
atteso che il rigetto del principale motivo che sorregge
l'impugnazione priva di rilevanza i residui argomenti con
essa spiegati, stante l’applicabilità dell’art. 21-octies
della L. 241/1990 il quale rende non annullabile il
provvedimento amministrativo per vizi formali quali la
violazione di regole procedimentali (mancata comunicazione
avvio procedimento) quanto il suo contenuto non potrebbe
essere diverso (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza
07.02.2013 n. 294 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Concessione in sanatoria, da quando si forma il
silenzio-assenso?
In tema di sanatoria edilizia la formazione del
silenzio-assenso presuppone non solo l'avvenuto pagamento
dell'oblazione e la presentazione della documentazione
richiesta ma anche la corresponsione al Comune dei
contributi relativi agli oneri concessori.
L'art. 35, commi 1 e 3, della L. 28.02.1985, n. 47 (Norme in
materia d controllo dell'attività urbanistica-edilizia,
sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) -nel
disciplinare il "procedimento per la sanatoria"-
prevede che la domanda di concessione "è corredata dalla
prova dell'eseguito versamento dell'oblazione" e che
alla stessa devono essere allegati una serie di documenti
che vengono specificamente indicati.
Il successivo comma 17 stabilisce che "decorso il termine
perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della
domanda", quest'ultima "si intende accolta ove
l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme
eventualmente dovute a conguaglio".
L'art. 37, comma 1, della stessa legge prevede che "il
versamento dell'oblazione non esime" i soggetti
legittimati a presentare la domanda "dalla corresponsione
al Comune, ai fini del rilascio della concessione, del
contributo previsto dall'art. 3 della L. 28.01.1977, n. 10,
ove dovuto".
Pertanto la formazione del silenzio assenso presuppone non
solo l'avvenuto pagamento dell'oblazione e la presentazione
della documentazione richiesta ma anche la corresponsione al
Comune dei contributi relativi agli oneri concessori.
In particolare, il primo comma dell'art. 37 è chiaro
nell'imporre, "ai fini del rilascio della concessione",
il versamento, unitamente all'oblazione, dei predetti oneri.
L'art. 35, comma 17, nella parte in cui stabilisce che si
forma il silenzio assenso "ove l'interessato provveda al
pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a
conguaglio", va, pertanto, inteso nel senso che tra tali
somme devono essere incluse anche quelle che rilevano in
questa sede.
La successiva normativa statale sul condono -art. 32 del
D.L. 30.09.2003, n. 269, non applicabile alla fattispecie in
esame- esplicita con chiarezza un enunciato desunto, in
relazione alla L. n. 47 del 1985, all'esito dell'esposta
interpretazione sistematica delle norme rilevanti.
Il comma 32 del predetto articolo dispone che la domanda
relativa alla definizione dell'illecito edilizio deve essere
corredata dalla "attestazione del pagamento
dell'oblazione e dell'anticipazione degli oneri concessori".
Il successivo comma 37 subordina espressamente la formazione
del silenzio-assenso, in mancanza di risposta
dall'amministrazione entro il termine di ventiquattro mesi,
al "pagamento degli oneri di concessione".
Del resto che il legislatore pretenda, ai fini della
formazione del titolo abilitativo tacito, il pagamento degli
oneri concessori è coerente:
a) sul piano generale con il meccanismo che presiede alla
formazione del silenzio assenso il quale, consentendo che,
per fini di semplificazione, si possa prescindere
dall'adozione di un atto espresso e motivato, postula che la
domanda di avvio del procedimento sia completa;
b) sul piano specifico, con la natura del procedimento di
sanatoria che presuppone la già intervenuta realizzazione
illecita delle opere.
La mancata formazione del silenzio assenso, per non avere
l'appellante versato i predetti oneri, comporta, ovviamente,
che non sia possibile ritenere prescritto un credito che
presuppone l'esistenza del titolo abilitativo in sanatoria.
Inoltre, l'art. 35, comma 17, della L. n. 45 del 1987,
prevede, ai fini della formazione del silenzio assenso, non
solo che l'interessato abbia pagato tutte le somme
eventualmente dovute a conguaglio ma anche che abbia
provveduto alla "presentazione all'ufficio tecnico
erariale della documentazione necessaria all'accatastamento".
La medesima norma è contenuta nell'art. 29, comma 3, lettera
e), della legge provinciale n. 4 del 1987.
Nel caso in esame l'amministrazione comunale ha affermato,
in risposta a quanto chiesto con la citata ordinanza
istruttoria, che "non si rinviene all'interno dei
fascicoli relativi alle pratiche di condono la dichiarazione
del Sig. E.E., richiamata nell'atto di appello, con cui
l'ufficio del catasto attesta l'avvenuta variazione di unità
immobiliare".
La incompletezza della domanda presentata costituisce,
pertanto, una (ulteriore) causa impeditiva della formazione
del silenzio assenso, con conseguente impossibilità di
postulare lo stesso inizio di decorrenza del termine di
prescrizione (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 01.02.2013 n. 612 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Polizia locale in funzione di polizia giudiziaria: sugli
illeciti edilizi poteri più ampi.
Il Consiglio di Stato ha precisato e chiarito due questioni fondamentali
nel caso degli accertamenti di violazioni urbanistico
edilizie. La prima è che il diniego dell'accesso agli atti
è legittimo solo nel caso di atti assunti dalla Polizia
Municipale in quanto atti di Polizia Giudiziaria. La seconda
è la non necessità di preavviso per l'esecuzione di
sopralluoghi.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.01.2013 n. 547, ha affrontato
la problematica dell'accesso agli atti nel caso in cui vi
siano accertamenti della Polizia Municipale.
Nel caso di specie siamo di fronte ad accertamenti correlati
ad attività edilizia.
A prescindere dall'esito processuale ci pare particolarmente
interessante trattare due aspetti ben evidenziati e chiariti
nella Decisione del Consiglio di Sato e che sono quelli di
seguito descritti.
Primo aspetto: LIMITI ALL'ACCESSO AGLI ATTI NELL'AMBITO DI
UN PROCESSO PENALE.
Verrebbe spontaneo affermare prontamente che è escluso in
ogni caso il diritto di accesso, ma la decisione del
Collegio afferma che così non è.
Il Giudicante precisa che la negazione dell'accesso agli
atti deve trovare giustificazione nella tipologia dell'atto
e, più specificatamente, in relazione al soggetto che li ha
assunti ed alla funzione dallo stesso soggetto espletata nel
momento in cui ha assunto gli atti, quindi, in altra e più
sintetica formulazione, al modus operandi.
Precisamente, nell'ambito generale degli atti finalizzati
all'accertamento ed alla repressione di presunti abusi
edilizi vi sono:
1) Atti delegati dall'Autorità Giudiziaria;
2) Atti "notizia criminis" posti in essere dalla Polizia
Municipale nella funzione di delega ricevuta, attribuiti
alla Polizia Municipale dall'ordinamento;
3) Atti di indagine ed accertamento che confluiscono anche
in denunce all'Autorità Giudiziaria, ma compiuti nell'ambito
delle funzioni amministrative istituzionali proprie della
Polizia Municipale e non compiuti quali attività di Polizia
Giudiziaria.
Conclude il Collegio affermando che sulla summenzionata ed
elencata tipologia di atti è legittimo negare l'accesso solo
nelle ipotesi di cui ai punti sub 1) e sub 2), nel mentre
l'ipotesi sub 3) non può sopportare alcuna limitazione
all'accesso da parte dei privati interessati.
A giustificazione di tali conclusioni è richiamato l'art.
329 del Codice di Procedura Penale sul segreto istruttorio
ed è richiamato il Consiglio di Stato -Sezione Sesta- Dec.
n. 6117 del 09.12.2008, in ordine all'art. 24, L. n.
241 del 1990.
Secondo aspetto: DOVERE DA PARTE DELL'ENTE LOCALE DI
PREAVVISARE IL PRIVATO CIRCA IL SOPRALLUOGO DI ACCERTAMENTO.
Nell'ambito processuale il ricorrente ha eccepito la
negazione del diritto di accesso all'atto con il quale il
Comune ha avviato l'accertamento effettuando ossia la
determinazione espressa di effettuare un sopralluogo.
Nello specifico deve essere chiarito che l'atto richiesto,
in quanto preavviso del sopralluogo, era inesistente perché
non sussiste la necessità di una determinazione a compiere
il sopralluogo e quindi la necessità preavviso, a tutela del
privato, in quanto trattasi di accertamenti e non di
provvedimenti.
Il Giudicante ciò giustifica in considerazione del fatto che
l'art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 attribuisce al
Dirigente dell'Ufficio tecnico Comunale la vigilanza
sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale e
ciò al fine di assicurare la conformità degli interventi
alle prescrizioni di leggi, regolamenti, strumenti
urbanistici e permessi di costruire.
Per quanto appena esposto il Collegio ha affermato che il
Dirigente Responsabile, anche a mezzo di propri dipendenti,
può "a sorpresa" effettuare accessi e sopralluoghi, sui siti
di intervento edilizio, al fine di verificare se sussistono
violazioni edilizie, con o senza rilevanza penale, tali da
giustificare se vada emesso un ordine di sospensione dei
lavori o se ci si debba determinare per un procedimento
finalizzato al ritiro del precedente titolo abilitativo
all'edificazione.
Conclude il Collegio che, solo in quest'ultimo caso (rectius:
in quest'ultima fase del procedimento), sussiste l'obbligo,
per la Pubblica Amministrazione, di trasmettere formale
avviso dell'avvio del procedimento, ai sensi dell'art. 7, L.
n. 241 del 1990 (commento tratto da www.ispoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
Furti, condominio incolpevole.
Non c'è responsabilità quando il ladro usa l'impalcatura.
La Cassazione: niente risarcimento
se l'assemblea ha votato contro l'impianto di allarme.
Per il furto subito da un condomino nel proprio appartamento
e che sia stato agevolato dai ponteggi installati per
procedere ai lavori di manutenzione delle parti comuni non
sono responsabili né l'impresa edile né il condominio ove
risulti che in assemblea i condomini, compreso quello
derubato, abbiano rinunciato a deliberare l'installazione di
sistemi antifurto.
È il principio espresso dalla III Sez. civile della Corte di
Cassazione che, nella recente
sentenza
28.01.2013 n. 1890, si è occupata del
problema della responsabilità del condominio e delle imprese
nel caso di furto in appartamento favorito dalle impalcature
erette per la ristrutturazione dello stabile condominiale.
I fatti di causa.
Questa la vicenda portata alla decisione della Cassazione:
un condomino aveva subito il furto di preziosi custoditi nel
proprio appartamento e il furto, come spesso accade, era
stato agevolato dalla presenza di ponteggi installati da
un'impresa per realizzare lavori di ristrutturazione dello
stabile condominiale. Per quanto sopra il derubato aveva
citato in giudizio sia il condomino sia l'impresa che aveva
montato le impalcature, chiedendo che tribunale condannasse
gli stessi al risarcimento dei danni subiti, cioè al
rimborso di una somma pari al valore dei preziosi sottratti
dall'abitazione.
La sentenza di primo grado aveva accolto i motivi del
ricorrente, ma la stessa era stata impugnata dall'impresa e
dal condominio che, in secondo grado, avevano vinto la
causa. Secondo la Corte d'appello non era, infatti, stata
provata la responsabilità dell'impresa. Secondo i giudici di
secondo grado sebbene il condomino derubato avesse affermato
che il furto si era verificato durante l'orario di lavoro e
le tapparelle della stanza nella quale si trovavano i
gioielli era bloccata, dalla ricostruzione dei fatti
avvenuta in giudizio era emerso invece che la sottrazione
dei preziosi si era prodotta oltre il termine di lavoro
delle maestranze, mentre la tapparella era solo abbassata e
priva di ogni sistema di blocco. Del resto era risultata la
mancata adozione, da parte del condomino, di qualsiasi
cautela idonea a evitare o a rendere più difficoltosa
l'opera di eventuali ladri: i gioielli, infatti, non si
trovavano in cassaforte, ma in una semplice scatola posta
all'interno di un armadio della camera da letto.
La posizione della Cassazione.
Le precedenti considerazioni sono state pienamente condivise
dalla Suprema corte che, in primo luogo, ha contestato
l'assoluta genericità delle critiche mosse dal condomino nei
confronti della decisione della Corte di appello. In ogni
caso i giudici supremi hanno ritenuto corretta la decisione
di merito non già perché il condominio e l'impresa avessero
adottato tutti i provvedimenti necessari a evitare i furti,
ma bensì perché vi era stata una delibera condominiale, a
cui aveva assentito anche il condomino derubato, in cui per
eccessiva onerosità l'assemblea aveva rinunciato
all'installazione dei sistemi di allarme sul ponteggio.
Era stato, infatti, dimostrato che l'impresa aveva
sollecitato l'installazione dell'antifurto proprio perché il
ponteggio poteva facilitare l'ingresso di malintenzionati,
ma l'assemblea condominiale non aveva aderito a tale
richiesta. Il condomino ricorrente, inoltre, non aveva
protetto adeguatamente i gioielli: infatti i preziosi
rubati, nonostante l'ingente valore, erano contenuti in una
scatola custodita nell'armadio e non in una cassaforte o in
un blindato.
In ogni caso il ponteggio non era risultato pericoloso, né
con caratteristiche volte ad agevolare l'intrusione di
malintenzionati nell'appartamento del derubato (posto
all'ottavo piano) (articolo ItaliaOggi Sette
del 04.03.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Allorché il privato rinunci o non utilizzi il
permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la
decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a.,
anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di
restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo
per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e
conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la
restituzione.
Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove
tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento
risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di
dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto
alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la
mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove
il permesso di costruire sia stato utilizzato solo
parzialmente.
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al
tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie,
dalla data di ricezione da parte del Comune della richiesta
di restituzione inviata dagli odierni ricorrenti.
Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di
costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza
del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt.
2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle
somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il
diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il
contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove
tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento
risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di
dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto
alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la
mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove
il permesso di costruire sia stato utilizzato solo
parzialmente (cfr: CS, V, 02.02.1988 n. 105, 12.06.1995 n.
894 e 23.06.2003 n. 3714; TAR Lombardia, Sez. II,
24.03.2010, n. 728 e TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890, TAR
Parma 07.04.1998 n. 149).
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al
tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie,
dalla data di ricezione da parte del Comune (09.08.2011)
della richiesta di restituzione inviata dagli odierni
ricorrenti, atteso che questi ultimi, pur avendo inutilmente
dato luogo ad una complessa ed articolata attività
amministrativa, hanno poi tenuto un comportamento non
significativo che in ipotesi avrebbe potuto sfociare anche
in un riutilizzo del titolo abilitativo edilizio.
In conclusione, va dichiarato il diritto dei ricorrenti alla
restituzione, da parte del Comune di Tremestieri Etneo,
della somma di € 158.000,00 oltre interessi al tasso legale
a partire dal 09.08.2011 all’effettivo soddisfo, con
conseguente condanna del Comune medesimo al pagamento di
tali importi
(TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 18.01.2013 n. 159 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La Giunta non può imporre specifiche prescrizioni
in tema di DIA.
E' illegittimo il provvedimento giuntale, reso a fronte di
una DIA recante parere favorevole, contenente prescrizioni
riduttive indicate per ragioni di tutela del demanio
marittimo. La Giunta, in quanto organo politico, è
incompetente ad imporre singole prescrizioni.
Con ricorso al TAR per la Campania, Sezione di Salerno, la
società Alfa, titolare di una struttura ricettiva sita nel
Comune di Castellabate, esponeva di aver presentato, a
quest'ultimo, una dichiarazione di inizio di attività
edilizia, consistente nell'ampliamento di una pedana
amovibile con struttura in legno, già assentita con
precedente autorizzazione.
A fronte dell'istanza, il responsabile del procedimento
comunicava la sospensione dell'iter procedimentale
finalizzata all'acquisizione, tanto dei pareri paesaggistico
ambientali, quanto dell'autorizzazione demaniale ex art. 55
c.n..
In seguito, lo stesso responsabile notificava alla società
istante un provvedimento con il quale, comunicava
l'intervenuto parere favorevole della giunta comunale
subordinato all'ottemperamento di alcune prescrizioni.
Invitava pertanto la richiedente a ripresentare una nuova
DIA conforme alle indicazioni emanate dall'organo politico.
Con ricorso la società Alfa domandava al Giudice
Amministrativo l'annullamento del predetto atto.
Con sentenza resa in forma semplificata, ex art. 60 c.p.a.,
il TAR accoglieva il gravame, annullando il suddetto
provvedimento e riconoscendo l'incompetenza della giunta, in
quanto organo politico, ad imporre prescrizioni.
Ricorreva avverso tale sentenza il Comune chiedendone
l'integrale riforma. Giunta la questione all'attenzione dei
Giudici di Palazzo Spada, la Quarta Sezione ha rilevato che,
nel caso di specie, la questione dirimente verte sulla
legittimità di un provvedimento giuntale reso a fronte di
una dichiarazione di inizio di attività edilizia recante
parere favorevole, ma con prescrizioni riduttive della
superficie assentibile, indicate per ragioni di tutela del
demanio marittimo.
Sul punto il Collegio ha rilevato l'anomalia "normativa"
dell'intervento nel procedimento amministrativo della
giunta, in quanto organo politico, e la mancata applicazione
delle disposizioni che il regolamento locale prevedeva in
materia.
Nella specie, ha proseguito la Sezione, non è da
considerarsi contestato il ruolo "politico"
amministrativo che la giunta può, in base ai principi
generali, svolgere in sede di pianificazione urbanistica
bensì la legittimità della fonte che detto intervento
prevede nei procedimenti edilizi che investono il demanio
marittimo.
Sul punto, il Collegio ha confermato la correttezza della
pronuncia del giudice di prime cure che, aveva già rilevato,
il contrasto tra il provvedimento impugnato ed il principio
di separazione tra politica ed amministrazione (art. 107 del
t.u.ee.ll.).
Pertanto, Palazzo Spada, condividendo l'impianto della
sentenza impugnata e valutando in termini fortemente
negativi l'intervento normativo dell'organo politico nei
singoli procedimenti edilizi, ha ritenuto di confermare la
tesi accolta dal TAR in applicazione del menzionato ed
elementare principio di separazione tra politica ed
amministrazione ex art. 107 t.u.ee.ll. e proprio in forza di
questa regola, di confermare l'incompetenza della giunta in
materia.
Il Collegio ha altresì chiarito che, la fattispecie
provvedimentale oggetto di controversia, viene in essere al
termine di un procedimento nel quale, a fronte di una
dichiarazione di inizio di un'attività edilizia con riflessi
sul demanio marittimo, è ai sensi di legge richiesto, oltre
a quelli paesaggistici, anche il nulla osta dell'autorità
preposta alla tutela del demanio.
Nel caso in esame tuttavia, nel corso del prescritto "iter"
procedimentale, il responsabile dell'ufficio, dopo aver
sospeso gli sviluppi della DIA, non ha ordinato alla
società, in esecuzione dell'art. 23, comma 6, D.P.R. n. 380
del 2001, di non eseguire l'intervento per la parte ritenuta
in contrasto con la tutela del demanio, ma le ha
direttamente opposto le emanate prescrizioni giuntali,
invitandola alla presentazione di una nuova DIA.
In tal modo il comune, ha spiegato ancora Palazzo Spada, non
esercitando i poteri previsti dalla legge in ordine alla
dichiarazione di inizio di attività, ha posto in essere una
distorsione del paradigma procedimentale tipico,
puntualmente sanzionato dal giudice di prime cure.
Pertanto, ha concluso la Sezione, l'iter procedimentale
dovrà essere ripetuto a partire dalla DIA presentata dalla
società appellata, sulla quale l'amministrazione comunale,
avrà nuovamente il potere-dovere di pronunciarsi, a norma
del comma 6 dell'art. 23 del T.U. n. 380 del 2001,
esprimendosi anche con riferimento ai profili di tutela del
demanio, ma autonomamente, vale a dire senza obbligo di
aderire al parere giuntale reso in forza di un regolamento
la cui non contestata disapplicazione è divenuta
inoppugnabile (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.01.2013 n. 168 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Urgenza motivata, procedimento amministrativo senza
comunicazione d'avvio.
Le norme che disciplinano le regole da osservare nell'ambito del
procedimento amministrativo e, in particolare, nel corso del
suo iter dispongono la comunicazione dell'avvio del
procedimento ove non sussistano ragioni di impedimento
derivanti da particolari esigenze di celerità del
procedimento stesso. Orbene, tali esigenze devono essere
esternate mediante una motivazione idonea a dimostrare che,
a causa dell'adempimento dell'obbligo di comunicazione,
potrebbe essere compromesso il soddisfacimento
dell'interesse pubblico, cui il provvedimento è rivolto.
Nel 1995, il Comune di Bivongi aveva concesso in uso,
attraverso la stipula di una convenzione, alla Metropolia
Greco-Ortodossa, per la pratica della vita ascetica, il
complesso della Basilica bizantina di San Giovanni Theristis.
Nel mese di maggio del 2007, le chiavi del complesso vennero
affidate all'Amministrazione Comunale di Bivongi, a causa
della temporanea assenza dei monaci.
Con una serie di specifiche comunicazioni, il Comune aveva
sollecitato la Metropolia Greco-Ortodossa a riassumere la
custodia del monastero, senza ottenere alcuna risposta.
Allora, anche in ragione della pericolosità determinata
dall'incuria della folta vegetazione esistente intorno al
complesso edilizio, il Comune dispose la revoca della
convenzione, senza comunicare l'avvio del procedimento
amministrativo.
La Metropolia Greco-Ortodossa impugna il provvedimento di
revoca, lamentando, oltre il travisamento dei fatti,
correlato alla cattiva interpretazione della condotta di
consegna delle chiavi, la mancata comunicazione di avvio del
procedimento.
Si costituisce in giudizio il Comune, evidenziando, in
particolare quanto segue:
- nella concreta fattispecie, ricorrevano le ragioni
d'urgenza, che giustificavano la mancata comunicazione
d'avvio del procedimento, in ragione del pericolo di
incendi, correlato all'incuria della folta vegetazione;
- comunque, la Metropolia era venuta a conoscenza del
procedimento, a seguito delle note, con cui il Comune
l'aveva sollecitata a riassumere la custodia del monastero;
- in ogni caso, il contenuto dei provvedimenti assunti non
avrebbe potuto essere diverso;
- il protrarsi dell'omessa custodia minacciava direttamente
il complesso monastico e impediva la valorizzazione del bene
quale risorsa culturale e turistica per il territorio;
- nel
complesso non era stata mai istituita una stabile comunità
monastica.
Dunque, un complesso di articolate ragioni, con le quali il
Comune cerca di far maggiormente comprendere le ragioni del
proprio agire d'urgenza.
Il Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, con la Sent. n. 169
del 2009, respinge il ricorso, evidenziando che, in
relazione alla mancata comunicazione di avvio del
procedimento, deve essere osservato che, con la
deliberazione n. 18 del 2008, l'Amministrazione aveva
puntualmente indicato le ragioni d'urgenza, che hanno
consigliato, nella specie, l'immediata revoca della
convenzione, atteso che, a causa della mancata custodia del
bene, "l'incuria del verde" avrebbe potuto "favorire
l'insorgere di incendi".
Inoltre, occorre tener conto del fatto che il Comune aveva
ripetutamente sollecitato la Metropolia a riassumere la
custodia del complesso, in tal modo rendendo la medesima
edotta, sotto un profilo sostanziale, della possibile
adozione di un provvedimento di revoca.
Invero, i giudici amministrativi calabresi non disdegnano di
affrontare il merito della questione dedotta in giudizio.
Infatti, prendono atto che la convenzione, all'art. 3,
faceva obbligo al concessionario di custodire i beni secondo
la diligenza del buon padre di famiglia.
Ciò implica che, anche per l'ipotesi di assenza dei monaci
dal complesso, la Metropolia avrebbe dovuto garantire la
custodia dei beni, condotta che non è stata posta in essere,
dal momento che le chiavi dell'immobile sono state
riconsegnate all'Amministrazione Municipale in data 20.05.2008 dal Presidente dell'Associazione italo-greca
"San Giovanni Theristis", il quale si è esonerato per il
prosieguo da ogni responsabilità per danni alle cose o alla
persone.
Ora, ad avviso del Tar, l'inadempimento dell'obbligo di
custodia secondo la diligenza del buon padre di famiglia non
può reputarsi di scarsa importanza, ai sensi dell'art. 1455
del codice civile, in quanto precipua finalità della
convenzione (come si desume in particolare dagli artt. 1, 2
e 3) era quella di preservare la conservazione e l'integrità
dei beni del complesso edilizio.
Pertanto, in questa prospettiva deve ritenersi che il Comune
già avesse "ex lege" il potere di recedere dal rapporto
concessorio, in quanto, sia secondo i principi generali
dell'ordinamento, che secondo la speciale disciplina del
comodato applicabile alla fattispecie in esame in via
analogica (art. 1804 c.c.), costituisce facoltà
dell'Amministrazione recedere dalla concessione quando il
concessionario trascuri di custodire debitamente i beni a
lui affidati.
Avverso la sentenza di primo grado, propone ricorso in
appello la Metropolia Greco-Ortodossa, lamentando,
primariamente, la mancata comunicazione di avvio del
procedimento.
Come noto, l'art. 7, L. n. 241 del 1990, espressamente al
comma 1, esclude dall'obbligo di comunicazione dell'avviso
di inizio del procedimento i casi in cui "sussistono ragioni
di impedimento derivate da particolari esigenze di celerità
del procedimento".
L'esclusione è chiaramente prevista per contemperare il
principio di pubblicità e trasparenza della Pubblica
amministrazione con il principio di efficienza e di
celerità, principi posti, in modo potenzialmente
contraddittorio, dall'art. 1.
Trattandosi di deroga al generale obbligo di comunicazione
dell'avvio del procedimento, è stato evidenziato già da
tempo, in dottrina, che non è sufficiente un generico
richiamo ad esigenze di celerità od a mere difficoltà
operative, ma che è necessario un oggettivo impedimento,
capace, cioè, di compromettere l'interesse pubblico di volta
in volta perseguito.
L'impedimento, quindi e conseguentemente, deve essere, di
volta in volta, adeguatamente motivato, in relazione allo
specifico procedimento da adottare, per poter legittimamente
giustificare la deroga.
La giurisprudenza più recente ha svolto alcune importanti
considerazioni in merito alle conseguenze dell'omessa
comunicazione di avvio.
In particolare, il Tar Marche, in materia di ricorsi
proposti avverso un'ordinanza di rimozione e smaltimento di
rifiuti, emessa ai sensi dell'art. 192, D.Lgs. n. 152 del
2006, ha evidenziato che la comunicazione di avvio non può
essere mai omessa, se non nei casi espressamente previsti
dalla norma medesima, ovvero qualora sussistano "ragioni di
impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità
del procedimento".
Peraltro, tali esigenze debbono essere, comunque, valutate,
in concreto, e, se possibile, esplicitate da parte
dell'Amministrazione, non essendo sufficiente che la
medesima faccia riferimento ad una generica contingibilità
dell'atto stesso o, meno ancora, che ne presupponga
l'urgenza in considerazione della particolare natura del
provvedimento stesso.
Questo, soprattutto nel caso in cui vi sia un erroneo
inquadramento normativo della concreta fattispecie, da cui
consegue un evidente vizio di travisamento dei fatti e di
violazione di legge, che si ripercuote nel provvedimento
adottato.
Sempre in tema di inquinamento ambientale, altra
giurisprudenza si è dimostrata più attenta alle esigenze di
immediato inizio delle necessarie operazioni di risanamento,
affermando che: "in presenza di fenomeni di inquinamento
della falda freatica, con possibile inquinamento
batteriologico, può legittimamente omettersi la
comunicazione di avvio del procedimento, in quanto fondata
ragione di impedimento derivante da particolari esigenze di
celerità".
Ancora, in materia di dichiarazione di decadenza di alloggio
ERP, si è affermato che l'omessa comunicazione di avvio ha
precluso, in pregiudizio del soggetto interessato, la
possibilità di far valere le proprie ragioni: "né vale, in
contrario, obiettare che la determinazione impugnata si pone
quale atto conclusivo del procedimento amministrativo già
avviato in precedenza e di cui l'interessa era a diretta
conoscenza per aver avuto modo di proporre istanze al Comune
come di impugnare l'ordinanza sindacale". Tuttavia, in tema
di detenzione di armi, si è affermato che "Fra gli atti
caratterizzati da particolari esigenze di celerità, per i
quali l'art. 7, L. 07.08.1990, n. 241 consente che si
prescinda dalla comunicazione di avvio del procedimento,
rientra il divieto di detenzione di armi, munizioni e
esplosivi previsto dall'art. 39 t.u.l.p.s., in quanto
ispirato all'esigenza ineludibile di privare quanto prima
delle armi un soggetto ritenuto in grado di abusarne".
Il Consiglio di Stato, confermando la sentenza di primo
grado, si dimostra pienamente consapevole, nella sentenza in
esame, delle diverse posizioni assunte dalla giurisprudenza,
come ora illustrate, in ragione delle differenti fattispecie
concrete. I giudici di appello osservano che le ragioni di
celerità, idonee a giustificare un'omessa comunicazione di
avvio, devono essere "qualificate", cioè devono essere
adeguatamente e puntualmente esplicitate nella motivazione
del provvedimento in concreto adottato.
Ora, nella concreta vicenda, tale adeguata motivazione viene
ritenuta pienamente sussistente. Infatti, i giudici
osservano che, nella deliberazione n. 18 del 2008 del
Consiglio comunale di Bivongi, sono state evidenziate le
ragioni di urgenza, che avevano consigliato l'immediata
revoca della convenzione con la Arcidiocesi, consistenti
nella circostanza che, a causa della mancata custodia del
bene, l'incuria del verde avrebbe potuto favorire
l'insorgere di incendi.
Siffatto pericolo, lungi dal presentarsi come solo teorico,
era concretamente e non solo ipoteticamente sussistente, in
quanto il complesso, costituito dalla Basilica di S.
Giovanni Theristis e dalle sue pertinenze, ,è circondato da
boschi e macchia mediterranea, che, proprio nell'anno 2008,
sono stati colpiti da incendi.
Di conseguenza, il CdS rileva che: "la necessità di
assicurare con sollecitudine la custodia di detto complesso,
senza soluzioni di continuità, appare quindi pienamente
idonea a giustificare la adozione degli impugnati
provvedimenti, tenuto conto della circostanza che la
deliberazione n. 12 del 10.06.2008 del Consiglio
Comunale di Bivongi, con cui erano stati invitati il Sindaco
e la Giunta ad intraprendere tutte le iniziative idonee a
consentire la riapertura del Monumento, era stata inviata a
mezzo fax alla utenza telefonica intestata alla Metropolia
Greco-Ortodossa di Italia e Malta, che era stata quindi
resa edotta della sussistenza della urgenza di porre fine
all'abbandono del complesso da parte dei monaci di detta Metropolia".
Dunque, le ragioni di particolare e qualificata urgenza sono
state puntualmente enunciate nel provvedimento di revoca e
ciò legittima l'omessa comunicazione di avvio (commento
tratto da www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2013 n. 91 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Costruzioni, pertinenze, distanze legali, applicabilità.
Deve ritenersi "costruzione" qualsiasi
opera non completamente interrata, avente i caratteri della
solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo,
anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento
fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua
destinazione.
Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano
dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al
resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la
funzionalità economica, sono soggette al rispetto della
normativa sulle distanze.
--------------
Anche le pertinenze devono rispettare le distanze.
Si deve ritenere costruzione qualsiasi
opera non completamente interrata, avente i caratteri della
solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo,
anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento
fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua
destinazione.
E’ questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione,
Sez. II civile, con la
sentenza 03.01.2013 n. 72 in tema di distanze di
costruzioni. Portando a conseguenza il principio ribadito,
infatti, gli Ermellini sostengono che gli accessori e le
pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano
stabilmente incorporati al resto dell'immobile, così da
ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono
soggette al rispetto della normativa sulle distanze.
Nel caso di specie due coniugi convenivano in giudizio il
vicino che aveva realizzato a confine con la porzione di un
immobile di loro proprietà un vano di circa m. 5x3 di lato e
m. 3 di altezza, in violazione delle norme sulle distanze
previste dal regolamento edilizio comunale.
Da qui la richiesta di demolizione del vano, che tuttavia
veniva rigettata dal giudice di prime cure con la condanna
al pagamento delle spese processuali. Al contrario, in sede
di appello, il Giudice riformava la sentenza di primo grado,
condannando il vicino ad arretrare il vano in questione fino
alla distanza di m. 5 dal confine col vialetto di proprietà
degli appellanti, rigettando al contempo la domanda di
risarcimento di ulteriori danni. In buona sostanza, secondo
i giudici di merito, il vano –a prescindere dalla sua
funzione pertinenziale– costitutiva un edificio e non
rispettava l’obbligo della distanza di almeno cinque metri
dal confine.
Come si è visto, in sede di cassazione il Palazzaccio
conferma la correttezza del ragionamento seguito dai giudici
di appello, evidenziando con chiarezza l’irrilevanza
dell’eventuale funzione pertinenziale ai fini della
sussunzione nella categoria costruzione del vano in
questione e rilevando al contempo la dimensione del vano
tale da accrescere la superficie o la funzionalità economica
della costruzione
(link a www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ancora sulle distanze per accessori e pertinenze.
Ricordando quanto deciso dal TAR Veneto nella sentenza n. 57
del 2013 (si veda in questo sito il post del 13.02.2013),
ritorniamo ad esaminare l’applicazione dell’art. 873 c.c.,
in relazione ad opere pertinenziali all’edificio principale
già esistente.
La Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la
sentenza 03.01.2013 n. 72 ha stabilito che: “ai fini
dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali
stabilite dall’art. 873 c.c. e segg., e delle norme dei
regolamenti integrativi della disciplina codicistica, ha
affermato che deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera
non completamente interrata, avente i caratteri della
solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo,
anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento
fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua
destinazione. Conseguentemente gli accessori e le pertinenze
che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente
incorporati al resto dell’immobile, cosi da ampliarne la
superficie o la funzionalità economica, sono soggette al
rispetto della normativa sulle distanze” (link a http://venetoius.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
tinteggiatura della facciata esterna di un edificio rientra
nella definizione degli interventi di manutenzione ordinaria
recata dall'articolo 3 del testo unico dell'edilizia;
infatti, l'articolo 3 del d.p.r. 380 del 2001 definisce
interventi di manutenzione ordinaria “gli interventi edilizi
che riguardano le opere di riparazione rinnovamento e
sostituzione delle finiture degli edifici”.
La tinteggiatura della facciata di un edificio consiste,
effettivamente, nel rinnovamento o riparazione di una
finitura dell'edificio stesso, per cui ricade certamente
nella suddetta definizione di manutenzione ordinaria.
Erroneamente il comune ha classificato tale intervento
edilizio nella manutenzione straordinaria, intendendosi per
manutenzione straordinaria le opere e le modifiche
necessarie per rinnovare e sostituire parti anche
strutturali degli edifici, ai sensi del medesimo articolo 3.
Ne deriva che, configurandosi la manutenzione ordinaria come
attività edilizia libera, ai sensi dell'articolo 6 del testo
unico dell'edilizia, l'intervento di tinteggiatura poteva
essere svolto senza alcun titolo abilitativo.
---------------
Ai fini della realizzabilità di interventi edilizi in area
sottoposta a vincolo paesaggistico, è necessaria, in linea
generale, la contestuale acquisizione sia del titolo
autorizzatorio edilizio, sia di quello paesaggistico (che
assume, tra l'altro, carattere prioritario e preminente
rispetto al titolo edilizio). Tuttavia, ai sensi dell'art.
149 comma 1, lett. a), d.lgs. 22.01.2004 n. 42,
l'autorizzazione non è comunque richiesta per "gli
interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di
consolidamento statico e di restauro conservativo che non
alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli
edifici".
Nella fattispecie, l'intervento di tinteggiatura della
facciata deve essere considerato, come già visto, opera di
manutenzione ordinaria; trattandosi di tinteggiatura della
facciata, qualora fosse stato scelto un colore diverso da
quello originario, si sarebbe potuta verificare quella
alterazione dell'aspetto esteriore degli edifici che avrebbe
richiesto una previa autorizzazione paesaggistica.
Secondo il ricorrente, peraltro, il piano paesistico si
limiterebbe a prescrivere colori tenui, rinviando al piano
colori comunale una più dettagliata regolamentazione, che
non sarebbe mai stata adottata dal comune stesso. Inoltre,
sempre secondo il ricorrente, il colore originario della
facciata sarebbe stato proprio il rosa e il fatto sarebbe
apparso evidente dopo la raschiatura della parete. Inoltre,
il colore rosa sarebbe prevalente nelle facciate degli
edifici situati nella via pubblica su cui si trova
l'edificio.
Ritiene il collegio di poter condividere le deduzioni di
parte ricorrente, in quanto una colorazione tenue non può
essere ritenuta tale da alterare l'aspetto esteriore dei
luoghi in misura tale da deteriorare o porre in pericolo il
valore della tutela del paesaggio. Dalla stessa
documentazione fotografica allegata agli atti dal Comune, si
rileva che le case situate nei paraggi dell'edificio
interessato presentano una tinteggiatura non assolutamente
uniforme, comparendo colori tenui diversi tra loro, dal
giallo chiaro al verde grigio, dall'ocra al rosa pallido;
deve concludersi dunque, per l'inconsistenza della
contestazione mossa al ricorrente con la seconda parte della
motivazione dell'ordinanza di demolizione.
Con il provvedimento impugnato, il comune di Pescolanciano
ha ordinato all'attuale ricorrente la riduzione in pristino
della situazione dei luoghi sui quali sarebbero stati svolti
lavori abusivi, consistenti nella tinteggiatura delle
facciate esterne dell'immobile in colore rosa e nella
parziale demolizione di una parete tramezzale interna
situata tra un vano negozio ed un retrostante disimpegno.
...
Il ricorso deve ritenersi fondato.
Nell'ordinanza di demolizione impugnata, la tinteggiatura
delle facciate esterne in colore rosa viene considerata
abusiva in quanto rientrerebbe tra le opere soggette a
denuncia di inizio attività e perché, inoltre, comportando
una modifica del preesistente aspetto esteriore del
fabbricato, sottoposto a vincolo di tutela ai sensi del
decreto legislativo 42 del 2004, doveva essere
preventivamente autorizzata a norma dell'articolo 146 del
predetto decreto legislativo.
Ritiene il collegio che, diversamente da quanto considerato
nell'ordinanza impugnata, la tinteggiatura della facciata
esterna di un edificio rientri nella definizione degli
interventi di manutenzione ordinaria recata dall'articolo
tre del testo unico dell'edilizia; infatti, l'articolo tre
del d.p.r. 380 del 2001 definisce interventi di manutenzione
ordinaria “gli interventi edilizi che riguardano le opere
di riparazione rinnovamento e sostituzione delle finiture
degli edifici”.
La tinteggiatura della facciata di un edificio consiste,
effettivamente, nel rinnovamento o riparazione di una
finitura dell'edificio stesso, per cui ricade certamente
nella suddetta definizione di manutenzione ordinaria.
Erroneamente il comune ha classificato tale intervento
edilizio nella manutenzione straordinaria, intendendosi per
manutenzione straordinaria le opere e le modifiche
necessarie per rinnovare e sostituire parti anche
strutturali degli edifici, ai sensi del medesimo articolo
tre. Ne deriva che, configurandosi la manutenzione ordinaria
come attività edilizia libera, ai sensi dell'articolo sei
del testo unico dell'edilizia, l'intervento di tinteggiatura
poteva essere svolto senza alcun titolo abilitativo.
Viene a cadere, di conseguenza, la prima parte della
motivazione dell'ordinanza impugnata, secondo la quale
l'intervento contestato sarebbe stato soggetto a denuncia di
inizio attività.
La seconda parte della motivazione dell'ordinanza,
come già esposto, considera l'abusività dell'opera come
conseguenza della violazione del decreto legislativo 42 del
2004.
Secondo il comune resistente, l'intero territorio comunale
sarebbe vincolato a tutela paesaggistica e il passaggio dal
colore verde chiaro della facciata al colore rosa
costituirebbe una modifica dell'aspetto esterno, per la
quale sarebbe stata necessaria una previa autorizzazione.
Ai fini della realizzabilità di interventi edilizi in area
sottoposta a vincolo paesaggistico, è necessaria, in linea
generale, la contestuale acquisizione sia del titolo
autorizzatorio edilizio, sia di quello paesaggistico (che
assume, tra l'altro, carattere prioritario e preminente
rispetto al titolo edilizio). Tuttavia, ai sensi dell'art.
149 comma 1, lett. a), d.lgs. 22.01.2004 n. 42,
l'autorizzazione non è comunque richiesta per "gli
interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di
consolidamento statico e di restauro conservativo che non
alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli
edifici".
Nella fattispecie, l'intervento di tinteggiatura della
facciata deve essere considerato, come già visto, opera di
manutenzione ordinaria; trattandosi di tinteggiatura della
facciata, qualora fosse stato scelto un colore diverso da
quello originario, si sarebbe potuta verificare quella
alterazione dell'aspetto esteriore degli edifici che avrebbe
richiesto una previa autorizzazione paesaggistica.
Secondo il ricorrente, peraltro, il piano paesistico si
limiterebbe a prescrivere colori tenui, rinviando al piano
colori comunale una più dettagliata regolamentazione, che
non sarebbe mai stata adottata dal comune stesso. Inoltre,
sempre secondo il ricorrente, il colore originario della
facciata sarebbe stato proprio il rosa e il fatto sarebbe
apparso evidente dopo la raschiatura della parete. Inoltre,
il colore rosa sarebbe prevalente nelle facciate degli
edifici situati nella via pubblica su cui si trova
l'edificio.
Ritiene il collegio di poter condividere le deduzioni di
parte ricorrente, in quanto una colorazione tenue non può
essere ritenuta tale da alterare l'aspetto esteriore dei
luoghi in misura tale da deteriorare o porre in pericolo il
valore della tutela del paesaggio. Dalla stessa
documentazione fotografica allegata agli atti dal Comune, si
rileva che le case situate nei paraggi dell'edificio
interessato presentano una tinteggiatura non assolutamente
uniforme, comparendo colori tenui diversi tra loro, dal
giallo chiaro al verde grigio, dall'ocra al rosa pallido;
deve concludersi dunque, per l'inconsistenza della
contestazione mossa al ricorrente con la seconda parte della
motivazione dell'ordinanza di demolizione
(TAR Molise,
sentenza 27.12.2012 n. 786 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
IMPIANTI
TECNOLOGICI:
Il manutentore che è consapevole del
malfunzionamento di una caldaia, a causa della presenza di
un componente non originale, non deve limitarsi a
consigliare un uso limitato dell'apparecchio, ma deve
impedirne l'uso, al fine di evitare il determinarsi di una
situazione di pericolo per gli inquilini.
Infatti, il solo fatto di aver lasciato libero il cliente di
utilizzare una caldaia potenzialmente dannosa, nella specie
perché dotata di un pressostato d'incerte origini,
costituisce una grave imprudenza, fonte di responsabilità
per l'intossicazione cagionata da questa alle persone
residenti nello stabile dove è posta; aggravato dall'abuso
di fiducia insita nel contratto d'opera di manutenzione.
---------------
Caldaia non a
norma? Ne risponde il manutentore che non ne impedisce
l'uso.
Il solo fatto di aver lasciato
libero il cliente di utilizzare una caldaia potenzialmente
dannosa, in quanto dotata di un componente non originale,
costituisce una grave imprudenza, fonte di responsabilità e
l'eventuale effettuazione di una perizia tecnica in sede
dibattimentale appare del tutto ininfluente.
E' quanto ha stabilito la VI Sez. penale della Corte di
Cassazione, con la sentenza 13.12.2012, n. 48229.
Un manutentore viene chiamato, con contratto d’opera, per
controllare l’installazione e il malfunzionamento di una
caldaia a gas in una casa. Non compiendo correttamente il
proprio lavoro, causa un’intossicazione collettiva degli
inquilini, della quale viene ritenuto responsabile, per aver
omesso di eseguire un completo ed efficace controllo
dell’impianto, in particolare della canna fumaria che
risultava, poi, essere ostruita da carogne di uccelli.
L'imputato ricorre per Cassazione deducendo la mancata
effettuazione della perizia tecnica, volta ad accertare il
regolare funzionamento di un pezzo della caldaia, ritenuto
il vero responsabile dell'intossicazione delle vittime,
rispetto al quale sussiste il dubbio se si tratti di
componente originale o meno.
Secondo gli ermellini, una volta accertata la
consapevolizzazione di tale dubbio (emersa dal fatto che il
manutentore aveva consigliato agli inquilini di utilizzare
il meno possibile la caldaia), l'imputato avrebbe dovuto
impedire, a titolo precauzionale, ogni uso della caldaia
alle persone poi rimaste offese, non potendo certamente
assumersi personalmente il rischio di un malfunzionamento
della stessa, con la conseguente creazione di un prevedibile
pericolo per la salute dei familiari risiedenti
nell'abitazione.
Costituiva, dunque, un preciso dovere dell'imputato
avvertire il cliente sul pericolo relativo all'utilizzazione
di una caldaia con un pressostato di dubbia funzionalità (rectius,
con un pressostato la cui funzionalità avrebbe dovuto
prudentemente ritenersi dubbia), e rifiutarsi di lasciarlo
utilizzare senza una previa verifica della sicurezza della
funzionalità del pressostato.
In conclusione, "a nulla vale la giustificazione addotta
dall'imputato, secondo cui lo stesso non avrebbe imposto lo
spegnimento della caldaia per l'insistenza dello stesso
cliente, non potendo tale scelta esimere il tecnico
dall'assunzione delle conseguenti responsabilità" (Corte
di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 13.12.2012 n. 48229 - commento tratto da
www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996
chiarisce che l’inapplicabilità, a seguito del condono
edilizio, delle sanzioni amministrative, statuita dall’art.
38 della legge n. 47/1985, non si estende all’indennità
risarcitoria prevista dall’art. 15 della legge n. 1497/1939.
Del resto la giurisprudenza si era già espressa nel senso
che la sospensione dei procedimenti sanzionatori e
l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative poteva
riguardare unicamente le violazioni urbanistico edilizie, e
non anche le violazioni previste dalla normativa a tutela
del paesaggio, in quanto gli illeciti paesaggistici non sono
considerati dalla legge n. 47/1985 per disporne la
sanatoria, ma solo per configurarli come eventuali cause
ostative al condono edilizio: più volte il Consiglio di
Stato, prima dell’entrata in vigore della legge n. 662/1996,
aveva statuito che la condonabilità di manufatti in zona
vincolata non esclude la sanzione pecuniaria paesaggistica
introdotta dall’art. 15 della legge n. 1497/1939.
Il citato art. 2, comma 46, non ha quindi carattere
innovativo, in quanto conferma, "ex auctoritate legis", la
pregressa interpretazione giurisprudenziale dell'art. 15 l.
29.06.1939 n. 1497, operando alla stregua di norma di
interpretazione autentica.
---------------
La giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato
ha costantemente qualificato l’indennità in argomento come
sanzione amministrativa da irrogare indipendentemente dal
vulnus materiale al paesaggio, essendo sufficiente la
violazione formale, ovvero la realizzazione dell’opera in
assenza della corrispondente autorizzazione paesaggistica.
La natura dissuasiva o sanzionatoria si desume dalla
modalità di calcolo prevista dal legislatore, non incentrata
sul pregiudizio causato al paesaggio, ma ancorata al
criterio della maggiore somma tra danno arrecato e profitto
conseguito mediante l’illecito, con la conseguenza che la
sanzione, in caso di assenza di qualsiasi nocumento
ambientale, va commisurata unicamente al profitto.
La ratio, condivisibile, dell’art. 15 della legge n.
1497/1939 e dell’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996 è
quindi quella di dissuadere il privato dall’evitare il
controllo preventivo, e di valorizzare la necessità di
ottenere il preventivo titolo autorizzatorio,
indipendentemente dalla sussistenza di illeciti sostanziali.
L’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996 chiarisce che
l’inapplicabilità, a seguito del condono edilizio, delle
sanzioni amministrative, statuita dall’art. 38 della legge
n. 47/1985, non si estende all’indennità risarcitoria
prevista dall’art. 15 della legge n. 1497/1939.
Del resto la giurisprudenza si era già espressa nel senso
che la sospensione dei procedimenti sanzionatori e
l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative poteva
riguardare unicamente le violazioni urbanistico edilizie, e
non anche le violazioni previste dalla normativa a tutela
del paesaggio, in quanto gli illeciti paesaggistici non sono
considerati dalla legge n. 47/1985 per disporne la
sanatoria, ma solo per configurarli come eventuali cause
ostative al condono edilizio: più volte il Consiglio di
Stato, prima dell’entrata in vigore della legge n. 662/1996,
aveva statuito che la condonabilità di manufatti in zona
vincolata non esclude la sanzione pecuniaria paesaggistica
introdotta dall’art. 15 della legge n. 1497/1939 (Cons.
Stato, VI, 31.05.1990, n. 551; Cons. Stato, II, 07.03.1990,
n. 189).
Il citato art. 2, comma 46, non ha quindi carattere
innovativo, in quanto conferma, "ex auctoritate legis",
la pregressa interpretazione giurisprudenziale dell'art. 15
l. 29.06.1939 n. 1497 (Cons. Stato, VI, 02.06.2000, n. 3184;
TAR Veneto, II, 29.11.2006, n. 3925), operando alla stregua
di norma di interpretazione autentica.
---------------
La giurisprudenza della
Cassazione e del Consiglio di Stato, alla quale il Collegio
ritiene di aderire, ha costantemente qualificato l’indennità
in argomento come sanzione amministrativa da irrogare
indipendentemente dal vulnus materiale al paesaggio,
essendo sufficiente la violazione formale, ovvero la
realizzazione dell’opera in assenza della corrispondente
autorizzazione paesaggistica. La natura dissuasiva o
sanzionatoria si desume dalla modalità di calcolo prevista
dal legislatore, non incentrata sul pregiudizio causato al
paesaggio, ma ancorata al criterio della maggiore somma tra
danno arrecato e profitto conseguito mediante l’illecito,
con la conseguenza che la sanzione, in caso di assenza di
qualsiasi nocumento ambientale, va commisurata unicamente al
profitto (Cons. Stato, VI, 08.11.2000, n. 6007).
La ratio, condivisibile, dell’art. 15 della legge n.
1497/1939 e dell’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996 è
quindi quella di dissuadere il privato dall’evitare il
controllo preventivo, e di valorizzare la necessità di
ottenere il preventivo titolo autorizzatorio,
indipendentemente dalla sussistenza di illeciti sostanziali
(cioè a prescindere dalla effettiva produzione di un danno
ambientale –si veda anche TAR Veneto, II, 29.11.2006, n.
3925-)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 26.03.2012 n. 607 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In mancanza di specifiche
disposizioni primarie e secondarie o dello strumento
urbanistico comunale, non può essere negata la concessione
edilizia in base a generiche considerazioni di carattere
estetico, non tradotte in norme o previsioni urbanistiche,
relativamente ad aree su cui le norme vigenti non
impediscono di costruire e su cui non sussistono vincoli di
carattere storico-artistico o paesaggistico.
Circa l’altro motivo del diniego, cioè il pregiudizio
estetico derivante alla prospettiva della piazza, esso
effettivamente incorre nelle censure dedotta col primo e col
secondo mezzo di gravame.
Infatti, in mancanza di specifiche disposizioni primarie e
secondarie o dello strumento urbanistico comunale, non può
essere negata la concessione edilizia in base a generiche
considerazioni di carattere estetico, non tradotte in norme
o previsioni urbanistiche, relativamente ad aree su cui le
norme vigenti non impediscono di costruire e su cui non
sussistono vincoli di carattere storico-artistico o
paesaggistico (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23.06.1997
n. 718)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 04.07.2001 n. 1971 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Circa la
questione riguardante la possibilità di
irrogare la misura pecuniaria prevista, in alternativa alla
demolizione, dall’art. 15 della L. 29.06.1939, n. 1497,
quando l’abuso edilizio commesso si trovi in ambiente
paesisticamente protetto e sia eventualmente riscontrabile,
ma solo ex post, per richiesta di sanatoria, l’assenza di un
danno ambientale o almeno la sanabilità in via successiva
della condotta (perché il danno sia sufficientemente lieve
da non meritare la demolizione o perché il danno non sia più
facilmente eliminabile).
L’interessante e dibattuta questione proposta all’esame di
questo consesso riguarda la possibilità di irrogare la
misura pecuniaria prevista, in alternativa alla demolizione,
dall’art. 15 della L. 29.06.1939, n. 1497, quando l’abuso
edilizio commesso si trovi in ambiente paesisticamente
protetto e sia eventualmente riscontrabile, ma solo ex
post, per richiesta di sanatoria, l’assenza di un danno
ambientale o almeno la sanabilità in via successiva della
condotta (perché il danno sia sufficientemente lieve da non
meritare la demolizione o perché il danno non sia più
facilmente eliminabile).
Nel caso l’appello è della Regione (Liguria, di cui sono
state annullate le direttive, traenti spunto da istruzioni
statali, con effetto caducante sul provvedimento di
irrogazione del Sindaco di Levanto, comune in cui era
avvenuto l’abuso), in quanto il TAR ha ritenuto
essenzialmente:
● che, se si concede la sanatoria, come il Sindaco aveva
giudicato possibile, l’indennità, che ha carattere solo
reintegrativo, non è applicabile;
●
che la sanatoria eliminerebbe ex post le violazioni
formali, come quella della mancata sottoposizione al
preventivo controllo della Soprintendenza;
●
che la legge sopravvenuta –art. 2, comma 46, L. 23.12.1996,
n.662, nel testo aggiunto dall’art. 10 D.L. 31.12.1996, n.
669, convertito nella L. 28.02.1997, n. 30-, là dove si
prevede che la sanzione è da corrispondere anche in presenza
di condono, riguarda, appunto, le sole fattispecie di
condono, è riferita a fatti successivi e, comunque, sarebbe
da intendere, per essere costituzionale, nel senso dell’irrogabilità
dell’indennità solo quando il condono non sia accordato.
La questione è stata già affrontata, recentissimamente,
dalla Sezione, sia pure con riguardo a fattispecie di
condono, a partire dalla sentenza capostipite pubblicata nel
giorno dell’udienza in cui è stata trattata la presente
vicenda (sentenza 02.06.2000, n. 3184).
Vero è che nella presente causa ci si trova di fronte ad
un’ipotesi di sanatoria semplice e non di condono. Ma è vero
pure che la tesi, rappresentata in relazione al condono,
vale qui, per così dire a fortiori, perché essa è stata
affermata per una previsione normativa riferita a periodo
transitorio, e quindi, se la tesi medesima vale in una
situazione guardata dal legislatore con miglior favore, essa
deve valere a maggior ragione se riferita ad abusi commessi
nella fase a regime, rispetto alla quale il legislatore
urbanistico ed ambientale manifestano una più intensa
severità.
La Sezione ha adottato una serie di argomenti, di
seguito riassunti, che conducono a giudicare fondato
l’appello regionale qui in esame.
A).-
Una piana lettura dell’art. 15 della L. n. 1497 del
1939 induce a ritenere il carattere sanzionatorio
dell’indennità ivi prevista, dato:
A.1-. che demolizione delle opere abusive e pagamento
dell’indennità sono misure alternative, secondo valutazioni
tecnico-discrezionali dell’Amministrazione;
A.2-. che le due misure alternative sono connesse ad ogni ipotesi
di inottemperanza agli obblighi e ordini in materia di
tutela del paesaggio stabiliti dalla L. n. 1497, senza
alcuna distinzione fra violazioni sostanziali (produttive di
un danno ambientale effettivo) e violazioni formali, sicché
si tratta di misure non solo ripristinatorie, ma anche
deterrenti; in proposito si può aggiungere, riprendendo un
argomento dell’appellante, che è importante dissuadere i
cittadini dall’evitare il controllo preventivo, posto che,
nel sistema complessivamente tuttora vigente, il legislatore
ha inteso rafforzare il controllo preventivo ed evitare
rischi per un bene delicato come il paesaggio attraverso
l’introduzione di uno specifico reato, giusta l’art.
1-sexies D.L. 27.06.1985, n. 312, conv., con modifiche,
dalla L. 08.08.1985, n. 431;
A.3-. che la funzione dissuasiva è propria anche delle sanzioni
amministrative;
A.4-. che l’uso del termine “indennità” non è tecnicamente
significativo, sia per la risalenza della disposizione, sia
per la funzione distinta da un carattere risarcitorio che si
usa ricollegare alle c.d. indennità (indennità di esproprio;
indennità come somme di danaro e simili);
A.5-. che, del resto, l’art. 15 l. n. 1497, qui applicabile, parla
di indennità, mentre solo la legge del 1996 aggiunge
l’aggettivo “risarcitoria”;
A.6-. che il carattere dissuasivo e, dunque, sanzionatorio
dell’indennità si arguisce anche dalle modalità del suo
calcolo, fondate pure sul profitto;
A.7-. che, in vero, il concetto di “danno arrecato” entra
nella disposizione del 1939 solo per dettare uno dei
parametri possibili della quantificazione (cioè per il
quantum e non per l’an debeatur);
A.8-. che, pertanto, se manca il danno, la commisurazione avverrà
pur sempre con riguardo al profitto (qui si aggiunge, con la
Regione appellante, che la nozione di profitto è di
carattere estimativo, come differenza fra costo e valore, e
non se ne può negare l’esistenza sol perché il pregiudizio
ambientale sostanziale non vi sia);
A.9-. che l’ordinamento, per il risarcimento del danno ambientale,
appresta il diverso e specifico strumento dell’azione
risarcitoria ex art. 18 L. 08.07.1986, n. 349;
A.10-. che misure risarcitorie e sanzionatorio-deterrenti ben
possono concorrere fra loro (C.g.a.R.si., sez. cons.
16.11.1993, n. 452);
A.11-. che la giurisprudenza della Cassazione e di questo Consiglio
militano per il carattere sanzionatorio della misura
pecuniaria (Cass., ss.uu., 10.08.1996, n. 7403; idem,
18.05.1995, n. 5473; Cons. Stato, sez. V, 21.11.1985, n.
419; sez. II, 04.06.1997, n. 2479/1996; idem, 28.10.1997, n.
2065; idem, 29.10.1997, n. 2066), nel senso della necessità
di colpire chi violi la legge del 1939, indipendentemente
dal vulnus materiale al paesaggio, bastando, come si diceva,
la violazione formale.
B).-
La Sezione ha poi chiarito, ragionando con riguardo
alla legislazione anteriore al 1996, che la sanzione indennitaria è dovuta perfino di fronte ad un assenso a
titolo di condono edilizio di manufatti in area
paesaggisticamente vincolata.
Essa ha notato la riguardo:
B.1-. che la sospensione delle misure amministrative, disposta
dagli artt. 38 e 44 della L. n. 47/1985, riguarda le sole
sanzioni edilizie e non anche quelle sancite a tutela del
paesaggio (Cons. Stato, sez. VI, 29.03.1987, n. 140; idem,
31.05.1990, n. 551), perché gli abusi paesistici sono presi
in considerazione dalla normativa non per disporne la
sanabilità, ma solo quali cause eventualmente ostative al
condono (Cons. Stato, sez.VI, 29.09.1988, n. 1062);
B.2-. che, perciò, la condonabilità edilizia, per l’appunto, non
esclude la sanzione pecuniaria paesistica di cui all’art. 15
L. n. 1497 (Cons. Stato, sez. II, 07.03.1990, n. 189).
C).-
Quanto al sopravvenire della L. n. 662 del 1996, che ha
imposto, a lettere patenti, il pagamento dell’indennità
(risarcitoria) pur di fronte al pagamento dell’oblazione,
sempre la Sezione ha evidenziato che la disposizione non
intende attribuire carattere risarcitorio all’indennità di
cui si tratta, ma vuole soltanto che essa rimanga
applicabile nonostante la concessione del condono edilizio
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.11.2000 n. 6007 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 04.03.2013 |
ã |
CONVEGNI |
LAVORI PUBBLICI:
Si segnala n. 1 convegno gratuito
organizzato dalla PROVINCIA DI MILANO che si terrà
giovedì 14.03.2013 sull'argomento "LA
MANUTENZIONE STRADALE - Tradizione, innovazione e aspetti
ambientali collegati all'uso del fresato d'asfalto".
Maggiori dettagli e la locandina possono essere letti
cliccando qui. |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO
IMPIEGO: Oggetto:
congedo straordinario retribuito ex art. 42, commi 5 e ss.,
del d.lgs. n. 151 del 2001 - computabilità ai fini
dell'anzianità di servizio ed elle progressione di economica
(nota
15.01.2013 n. 2285 di prot.). |
NOTE, CIRCOLARI E
COMUNICATI |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA
PRIVATA:
Oggetto: Bonifica dei siti contaminati: alcune novità per
l’iscrizione all’Albo (ANCE Bergamo,
circolare 01.03.2013 n. 61). |
VARIE:
Oggetto: Modifiche al Codice della Strada in materia di
patenti di guida e CQC (ANCE Bergamo,
circolare 01.03.2013 n. 58). |
APPALTI:
OGGETTO: Articolo 13-ter del DL n. 83 del 2012 -
Disposizioni in materia di responsabilità solidale
dell’appaltatore - Circolare n. 40/E dell’08.10.2012 -
Problematiche interpretative (Agenzia delle Entrate,
circolare 01.03.2013 n. 2/E).
---------------
M. Denaro,
Responsabilità solidale negli appalti non solo nel settore
dell’edilizia.
Sono esclusi, invece, quelli di fornitura di beni, nonché
quelli di opere e servizi, di trasporto, di subfornitura e
le prestazioni rese nell’ambito del rapporto consortile.
L’Agenzia delle Entrate, a integrazione dei chiarimenti
forniti con la circolare n. 40/2012, torna a occuparsi
dell’esatta interpretazione delle disposizioni contenute
nell’articolo 13-ter del Dl n. 83/2012 (“decreto crescita”),
che hanno modificato, a decorrere dal 12.08.2012, la
disciplina in materia di responsabilità fiscale nell’ambito
dei contratti d’appalto e subappalto di opere e servizi
(circolare n. 2/E dell'01.03.2013). ... (link a
http://www.fiscooggi.it). |
APPALTI:
Decreto dirigenziale Ministero della Giustizia 05.12.2012
- Richiesta di attivazione procedura per la consultazione
diretta del Sistema Informativo del Casellario (S.I.C.) ai
sensi dell'art. 39 DPR 313/2012, prot. n. --- del 14.02.2013
(Ministero della Giustizia,
nota 20.02.2013 n. 24051 di prot.). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: La
contrattazione decentrata negli Enti Locali
(ANCI, febbraio 2013). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
LAVORI PUBBLICI: A.
Mancini,
La nuova disciplina dei ritardi nei pagamenti applicabile ai
lavori pubblici dal 2013 (Bollettino
di Legislazione Tecnica n. 2/2013). |
INCARICHI
PROFESSIONALI/PROGETTUALI:
D. de Paolis,
Determinazione dei compensi professionali: indicazioni
pratiche sui parametri cui fare riferimento (Bollettino
di Legislazione Tecnica n. 2/2013). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
A. Camarda,
Incarichi professionali: consulenze o appalto di servizi?
(Diritto e
pratica amministrativa n. 2/2013). |
SEGRETARI
COMUNALI: L.
Camarda,
Le nuove responsabilità del segretario comunale (Diritto
e pratica amministrativa n. 2/2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L. Ieva,
La nuova disciplina dei parcheggi pertinenziali (Urbanistica
e appalti n. 3/2013). |
APPALTI:
F. De Lucia,
Il RUP cardine del procedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta (Urbanistica e appalti n. 3/2013). |
COMPETENZE
GESTIONALI - SEGRETARI COMUNALI:
S. Salvai,
Gli incarichi dirigenziali al Segretario Comunale
(24.02.2013 - link a www.gianlucabertagna.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
G. Fontana,
Il comune è tenuto a valersi della fideiussione prima di
applicare al debitore principale le sanzioni per il
ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione? (18.02.2013
- link a http://venetoius.it). |
APPALTI:
R. Labriola.
Impugnabilità del bando di gara - (Il Consiglio di Stato
mette in discussione il principio della impugnabilità del
bando di gara riservato solo alle clausole immediatamente
lesive) (15.02.2013 - link a www.appaltieriserve.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA
PRIVATA:
F. Vanettie A. Gussoni,
D.M. n. 161/2012: note introduttive (terre e rocce da scavo)
(link a www.lexambiente.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI:
M. Perin,
Danno da disservizio e disorganizzazione
nell’amministrazione (febbraio 2013 - link a
www.lexitalia.it). |
LAVORI PUBBLICI:
M. Mattalia,
I partenariati pubblici privati per il superamento della
crisi economica (febbraio 2013 - link a
www.lexitalia.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
G. A.A Dato,
Sportello unico per l’edilizia: interventi giurisprudenziali
e novità normative (Diritto e pratica amministrativa
n. 11-12/2012). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
E. Madeo,
Spese legali: il rimborso spetta anche agli amministratori
degli enti locali (Diritto e pratica amministrativa
n. 11-12/2012). |
AUTORITA' VIGILANZA
CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
Confermato il sì al rinnovo del contratto se previsto sin
dal principio.
Con il provvedimento in rassegna, l’Autorità di vigilanza
sui contratti pubblici, ha dapprima ripercorso le tappe
dell’annosa questione del rinnovo dei contratti pubblici,
ricordando che, in seguito alle modifiche normative
introdotte per effetto dell’art. 23 della legge n. 62/2005,
la giurisprudenza ha chiarito che la finalità della norma
citata era quella di adeguare l’ordinamento ai principi del
diritto comunitario attraverso un intervento di portata
generale diretto a precludere la rinnovazione dei contratti
pubblici di appalto in deroga al principio di evidenza
pubblica.
Indi, ha precisato che, su queste basi, l’Autorità
aveva già concluso nel senso che, in seguito a detto
intervento, residuavano margini per la previsione di rinnovi
o proroghe solo in forma espressa e in presenza di
determinate condizioni, distinguendo l’ipotesi in cui la
possibilità di una prosecuzione del rapporto contrattuale in
seguito alla scadenza sia predeterminata già nell’ambito del
bando e l’ulteriore periodo sia computato ai fini della
quantificazione dell’importo del contratto (deliberazione n.
183/2007 e parere n. 242/2008); d’altro canto, ha precisato
altresì l’Autorità, sebbene non possa ritenersi che le
disposizioni di cui all’art. 29 del codice dei contratti
costituiscano il fondamento dell’istituto della proroga o
del rinnovo, visto che la norma è diretta a fissare le
regole per la determinazione dell’importo contrattuale (cfr.
deliberazione n. 34/2011), in base alla richiamata
disposizione detto calcolo “tiene conto dell’importo massimo
stimato, ivi compresa qualsiasi forma di opzione o rinnovo”.
Del resto, anche un consolidato orientamento
giurisprudenziale ritiene che “laddove una tale previsione
sia contenuta nella lex specialis, essa potrebbe consentire
una limitata deroga al principio del divieto di rinnovo,
purché con puntuale motivazione l’amministrazione dia conto
degli elementi che conducono a disattendere il principio
generale”.
In questo senso, si è espressa la VI sez. del Consiglio di
Stato (sent. n. 6194/2011) alla quale era stato sottoposto
il caso di una stazione appaltante che, pur avendo indicato
nel bando la possibilità “prevista dall’art. 7, secondo
comma, lett. f), del Dlgs n. 157 del 17.03.1995, di
affidare l’appalto al medesimo contraente per il successivo
triennio” aveva poi bandito una nuova procedura di evidenza
pubblica; in queste ipotesi, secondo il Consiglio di Stato
“se l’amministrazione opta per l’indizione della gara,
nessuna particolare motivazione è necessaria e certamente
nessun diritto può riconoscersi in capo all’aggiudicatario.
Non così, invece, se si avvale della possibilità di proroga
prevista dal bando. Detta ultima opzione dovrà essere
analiticamente motivata, dovendo essere chiarite le ragioni
per le quali si sia stabilito di discostarsi dal principio
generale”.
Più di recente, il Consiglio di Stato (sez. V, sent. n.
2459/2012) ha anche ribadito che “All’affidamento senza
una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in
cui a un affidamento con gara segua, dopo la sua scadenza,
un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel
diritto comunitario.
Infatti, le proroghe dei contratti affidati con gara sono
consentite se già previste ab origine, e comunque entro
termini determinati.
Una volta che il contratto scada e si proceda a una sua
proroga senza che essa sia prevista ab origine, od oltre i
limiti temporali consentiti, la proroga è da equiparare a un
affidamento senza gara (sez. VI, n. 850/2010 cit.)”
(deliberazione 10.10.2012 n. 85 - commento tratto da Diritto
e Pratica Amministrativa n. 11-12/2012). |
QUESITI & PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Illegittimità
dei provvedimenti amministrativi.
Domanda
Sono legittimi quei provvedimenti amministrativi che pongono
in tutto o in parte a carico del proprietario o detentore
del fondo gli oneri, anche procedurali, e i costi di
bonifica dei suoli o dell'ambiente dai danni derivanti
dall'inquinamento?
Risposta
Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) del
Friuli-Venezia Giulia, sezione prima, con la sentenza del 13.01.2011, numero 6, ha affermato che devono ritenersi
illegittimi quei provvedimenti amministrativi che pongono in
tutto o in parte a carico del proprietario o detentore del
fondo gli oneri, anche procedurali, ed i costi di bonifica
dei suoli o dell'ambiente dai danni derivanti
dall'inquinamento. La legittimità di quanto sopra sussiste
se viene accertata la responsabilità dei predetti
proprietari o detentori, anche in relazione alla specifica
attività svolta.
Il predetto Tribunale amministrativo regionale (Tar) del
Friuli-Venezia Giulia, sezione prima, con la sentenza del 13.01.2011, numero 6, ha indicato anche i criteri che,
alla luce della vigente normativa, devono essere tenuti
presenti per individuare i soggetti obbligati a realizzare
gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica dei siti
contaminati.
Criteri così indicati dai suddetti giudici:
●
prima di emettere la diffida a realizzare la messa in
sicurezza e la bonifica dell'area, è necessario accertare
preventivamente e rigorosamente la responsabilità dei
soggetti coinvolti nella contaminazione;
● il proprietario incolpevole dell'area non deve essere
coinvolto negli adempimenti, ma ne deve essere informato;
● gli interventi devono essere effettuati dalla pubblica
amministrazione, qualora l'accertamento delle responsabilità
non sia possibile o risulti oltremodo difficoltoso. La
pubblica amministrazione, poi, in un secondo tempo, potrà
recuperare le somme, nei limiti dell'arricchimento, dal
proprietario non responsabile dell'inquinamento dell'area. A
tal fine deve attivare le garanzie dell'onere reale e del
privilegio speciale previste dalla normativa;
● il proprietario dell'area, non responsabile della
contaminazione e/o altro soggetto interessato hanno la
semplice facoltà di effettuare la bonifica all'uopo
necessaria e di intervenire al riguardo.
La Corte di giustizia della Comunità europea, con le
sentenze relative alle cause C-478/08 e C-479/08, ha
sottolineato la possibilità di individuare la responsabilità
anche attraverso presunzioni fondate sulla ricostruzione
storica delle attività e sui dati emersi dalla verifica
delle contaminazioni.
Si rimanda, anche, alla sentenza del consiglio di stato,
sezione V, numero 38885, del 16.06.2009
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.02.2013). |
PATRIMONIO: Iscrizione
dei beni negli elenchi.
Domanda
L'iscrizione dei beni negli elenchi, di cui all'art. 58 dl
n. 112/2008 (Piano delle alienazioni e valorizzazioni),
produce conseguenze a favore della vendibilità del bene?
Risposta
Il comma 3 dell'art. 58 dl 112/2008, prevede che «Gli
elenchi di cui al comma 1, da pubblicare mediante le forme
previste per ciascuno di tali enti, hanno effetto
dichiarativo della proprietà, in assenza di precedenti
trascrizioni, e producono effetti previsti dall'articolo
2644 del codice civile, nonché effetti sostitutivi
dell'iscrizione del bene in catasto.»
Dalla disposizione ut
supra emerge pertanto che la norma riconosce a tali
elenchi, in assenza di precedenti trascrizioni, conseguenze
di favore per la vendibilità del bene: hanno effetti
dichiarativi della proprietà e non costitutivi. Producono
gli stessi effetti della trascrizione (Art. 2644 del Codice
civile), e quelli sostitutivi dell'iscrizione catastale del
bene. Spetta invece al responsabile del procedimento, se
necessario procedere alla trascrizione degli elenchi,
intavolazione e voltura. Contro l'iscrizione del bene nel
Piano delle alienazioni è previsto il ricorso amministrativo
entro sessanta giorni dalla pubblicazione, e sono confermati
gli altri rimedi di legge.
Inoltre visti gli importanti e dirompenti effetti che
produce l'approvazione di tali elenchi, tra cui quello
dichiarativo della proprietà, la deliberazione di
approvazione del Piano delle alienazioni e valorizzazioni,
di competenza del Consiglio, è preceduta da altra distinta
deliberazione con cui l'organo di governo individua,
redigendo apposito elenco, i beni immobili non strumentali
all'esercizio delle funzioni istituzionali suscettibili di
valorizzazione ovvero di dismissione. Tale delibera, di
competenza della Giunta, precede l'adozione del piano e
contiene la sola elencazione dei beni individuati. La stessa
deve essere pubblicata «mediante le forme previste»
per l'Ente locale (come il Piano delle opere pubbliche).
Gli effetti dell'approvazione del Piano, tra cui quello
dichiarativo della proprietà, sono prodotti comunque, lo si
ribadisce, solo a seguito dell'approvazione della delibera
di Consiglio
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.02.2013). |
TRIBUTI: Fabbricati
inabitabili.
Domanda
Ai fini dell'Imposta municipale propria (Imu), i fabbricati
inabitabili godono delle agevolazioni?
Risposta
Il legislatore, con l'introduzione dell'Imposta municipale
propria (Imu), ha tracciato il quadro normativo di
riferimento applicabile alla detta imposta. Esso è stato
delineato e circoscritto in maniera espressa dalle
disposizioni recate dall'articolo 13 del decreto legge 06.12.2011, numero 201, convertito dalla legge 22.12.2011, numero 214, dagli articoli 8 e 9 del decreto
legislativo numero 23 del 14.03.2011, dall'articolo
91-bis del decreto legge 24.01.2011, numero 1,
convertito, con modificazioni, dalla legge numero 16 del
2012.
Ciò comporta che le agevolazioni stabilite, in materia di
Imposta comunale sugli immobili (Ici), non sono più
applicabili in materia di Imposta municipale propria (Imu).
Al riguardo la Corte di cassazione, con la sentenza del 12.01.2012, numero 288, ha puntualizzato che le
agevolazioni in materia tributaria non possono implicare
un'interpretazione analogica o estensiva onde farvi
comprendere ipotesi non espressamente previste.
Pertanto, le agevolazioni stabilite in materia di Imposta
comunale sugli immobili (Ici) non sono applicabili
all'Imposta municipale propria (Imu), a meno che non siano
espressamente richiamate dalle disposizioni dalla nuova
normativa. E la nuova normativa Imu, in tema di agevolazioni
stabilisce, con il disposto dell'articolo 13, comma 3, del
decreto legge 06.12.2011, numero 201, convertito dalla
legge 22.12.2011, numero 214, che la base imponibile è
ridotta del 50%:
- per i fabbricati di interesse storico o artistico di cui
all'articolo 10 del decreto legislativo 22.01.2004,
numero 42, recante il «Codice dei beni culturali e del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 06.07.2002, numero 137»;
- per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di
fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell'anno
durante il quale sussistono dette condizioni
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.02.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA: Pubblica
utilità.
Domanda
Il comune può autorizzare le opere necessarie per la
realizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili?
Risposta
Il consiglio di stato, pronunciandosi sul ricorso in appello
numero 7971, del 2006, ha affermato che l'articolo 12 del
decreto legislativo numero 387, del 2003, ha qualificato le
opere di realizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili come di pubblica utilità ed indifferibili ed
urgenti. Lo stesso articolo, al comma 3, ha disposto che i
predetti impianti sono soggetti ad un'autorizzazione unica
rilasciata dalla regione nel rispetto della normativa di
tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico
ed artistico.
Detta autorizzazione, ai sensi del comma 9, del succitato
articolo, costituisce titolo per costruire e per esercitare
l'impianto in conformità al progetto approvato. Inoltre,
alla luce del disposto del comma 7 del più volte su citato
articolo 12, si deve precisare che, con riferimento agli
impianti di produzione di energia elettrica, si dovrà tenere
conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore
agricolo.
Tanto premesso, per il consiglio di stato, l'articolo 423
della legge numero 266, del 2005, che qualifica come
connesse, ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile, la
riproduzione e la cessione di energia da fonte fotovoltaica
dell'imprenditore agricolo non pone alcuna deroga al citato
articolo 12 del decreto legislativo numero 387, del 2003, e,
pertanto, resta di competenza della Regione rilasciare,
secondo la procedura indicata, l'autorizzazione per la
realizzazione di tale impianto fotovoltaico.
Quindi, un provvedimento comunale, in materia, è
assolutamente inidoneo, alla luce della suddetta normativa a
provvedere su una eventuale richiesta ed è, di conseguenza,
ai sensi dell'articolo 21-septies della legge numero 241,
del 1990, nullo
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.02.2013). |
TRIBUTI: Pubbliche
affissioni.
Domanda
Quali cartelli sono soggetti all'imposta comunale sulla
pubblicità e sulle pubbliche affissioni?
Risposta
L'articolo 5 del decreto legislativo numero 507, del 1993,
dispone, in ordine alla funzione pubblicitaria dei cartelli
esposti, che la diffusione dei messaggi pubblicitari
effettuata attraverso forme di comunicazione visive o
acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle
pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al
pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta
all'imposta sulla pubblicità prevista da detto decreto.
I
messaggi diffusi nell'esercizio di una attività economica
allo scopo di promuovere la domanda di beni o di servizi,
ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto
pubblicizzato si considerano rilevanti ai fini
dell'imposizione summenzionata. La Corte di cassazione, con
la sentenza del 22.07.1993, ebbe ad affermare che è
soggetto all'imposta sulla pubblicità qualsiasi mezzo di
comunicazione con il pubblico, il quale risulti,
indipendentemente dalla ragione e finalità della sua
esposizione, oggettivamente idoneo a far conoscere
indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili
acquirenti e utenti il nome o il prodotto dell'azienda.
La stessa Corte di cassazione, con la sentenza del
03.09.2004, numero 17852, ha puntualizzato che è soggetto
all'imposta sulla pubblicità qualsiasi mezzo di
comunicazione con il pubblico che, indipendentemente dalla
ragione e finalità della sua adozione, risulti
obiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente
alla massa indeterminata di possibili acquirenti ed utenti
il nome, l'attività ed il prodotto dell'azienda
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.02.2013). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO:
RIMBORSABILITÀ SPESE LEGALI EX AMMINISTRATORE E DIPENDENTE
COMUNALE.
Sono rimborsabili -a un ex amministratore e a un dipendente
comunale- le spese legali sostenute dagli stessi per un
procedimento penale a loro carico per il reato di cui
all’articolo 323 del codice penale (abuso d’ufficio)
conclusosi con decreto di archiviazione del Gip,
procedimento avviato a seguito dell’invio degli atti alla
Procura della Repubblica da parte dello stesso Comune?
NO.
In merito a quanto prospettato
nel quesito, non esiste una disposizione che obblighi il
Comune a tenere indenni gli amministratori delle spese
processuali sostenute in giudizi penali concernenti
imputazioni oggettivamente connesse all’espletamento
dell’incarico, espressamente prevista, invece, per i
dipendenti comunali.
In via generale occorre sottolineare che la disposizione di
cui all’articolo 28 del Ccnl dei dipendenti degli Enti
locali del 14.09.2000 è stata considerata dalla
giurisprudenza «applicabile in via retroattiva ed anche in
via estensiva agli amministratori e non solo ai dipendenti
pubblici, ma si è ritenuta limitata ai procedimenti
giurisdizionali, senza che ciò escluda tuttavia la
rimborsabilità delle spese sopportate in sede di indagine
penale, potendosi fare ricorso all’azione di ingiustificato
arricchimento» (si veda Consiglio di Stato, sezione VI,
sentenza n. 5367/2004).
Tale estensione è stata giustificata «in considerazione del
loro status di pubblici funzionari».
In forza di tale norma, «... hanno titolo al rimborso delle
spese legali il dipendente e quindi l’amministratore locale,
sottoposti a giudizio penale per fatti o atti direttamente
connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei
compiti d’ufficio, sempreché il giudizio non si sia concluso
con una sentenza di condanna e non vi sia conflitto di
interessi con l’amministrazione di appartenenza…» (si veda
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 3946/2001).
Altra parte della giurisprudenza (si veda Consiglio di
Stato, sezione V, sentenza n. 2242/2000), non condividendo
il suddetto indirizzo, ha applicato l’analogia iuris tramite
il richiamo all’articolo 1720, comma 2, codice civile, in
base al quale «… il mandante deve inoltre risarcire i danni
che il mandatario ha subito a causa dell’incarico».
Nella medesima decisione, il Consiglio di Stato ha comunque
evidenziato la sostanziale eccezionalità del rimborso delle
spese legali e ha ribadito, con richiamo alla giurisprudenza
ordinaria che, ai fini del rimborso, è necessario accertare
che le spese siano state sostenute a causa e non
semplicemente in occasione dell’incarico e sempre entro il
limite costituito dal positivo e definitivo accertamento
della mancanza di responsabilità penale degli amministratori
che hanno sostenuto le spese legali.
Il giudice ordinario ha, peraltro, chiarito ulteriormente
tale concetto precisando che il rimborso previsto dalla
citata norma del codice civile «concerne solo le spese
sostenute dal mandatario in stretta dipendenza
dall’adempimento dei propri obblighi. Più esattamente, esso
si riferisce alle sole spese effettuate per espletamento di
attività che il mandante ha il potere di esigere.
Perciò, il Legislatore del 1942 ha sostituito l’espressione
“a causa” all’espressione “in occasione dell’incarico”,
contenuta nell’articolo 1754 codice civile 1865. In tal
modo, si è precisato, il Legislatore si è riferito a spese
che, per la loro natura, si collegano necessariamente
all’esecuzione dell’incarico conferito, nel senso che
rappresentino il rischio inerente all’esecuzione
dell’incarico. L’ipotesi, si è chiarito, non si verifica
quando l’attività di esecuzione dell’incarico abbia in
qualsiasi modo dato luogo a un’azione penale contro il
mandatario, e questi abbia dovuto effettuare spese di difesa
delle quali intenda chiedere il rimborso ex articolo 1720
citato.
Ciò è evidente nel caso in cui l’azione si riveli, a
esito del procedimento penale, fondata, e il mandatario-reo
venga condannato, giacché la commissione di un reato non può
rientrare nei limiti di un mandato validamente conferito
(articoli 1343 e 1418 codice civile). Ma il verificarsi
dell’ipotesi non è possibile neppure quando il
mandatario-imputato venga prosciolto, giacché in tal caso la
necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in
nesso di causalità diretta con l’esecuzione del mandato, ma
tra l’uno e l’altro fatto si pone un elemento intermedio,
dovuto all’attività di una terza persona, pubblica o
privata, e dato dall’accusa poi rivelatasi infondata.
Anche in questa eventualità non è dunque ravvisabile il
nesso di causalità necessaria tra l’adempimento del mandato
e la perdita pecuniaria, di cui perciò il mandatario non può
pretendere il rimborso». (si veda Corte suprema di
cassazione, sezione I civile, sentenza del 20.12.2007,
depositata il 16.04.2008, n. 10052).
Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali della
Cassazione e del Consiglio di Stato, le spese legali possono
essere rimborsate solo qualora vi sia una sentenza
definitiva che abbia escluso la responsabilità del
dipendente o dell’amministratore con una pronuncia di
assoluzione nel merito dalle imputazioni contestate.
Tale pronuncia, va da sé, esclude un eventuale conflitto di
interesse con l’Ente locale.
A ciò si aggiunge che, ai fini del rimborso, occorre
ravvisare il nesso di causalità necessaria tra l’adempimento
del mandato e la perdita pecuniaria.
Occorre evidenziare, però, come non sia sufficiente che il
processo penale per fatti connessi all’espletamento di
compiti d’ufficio si sia concluso con l’assoluzione, ma
debba coesistere l’ulteriore condizione della mancanza di
conflitto di interessi con l’ente (si veda Corte dei conti,
sezione giurisdizionale regionale della Liguria, sentenza n.
580 del 13.10.2008) condizione che, nel caso in
questione, sembra possa escludersi, considerato che il
procedimento penale è stato avviato a seguito dell’invio
degli atti alla Procura della Repubblica da parte
dell’amministrazione di appartenenza.
È ormai opinione dominante nell’ambito della giurisprudenza
contabile che per non configurare conflitto di interessi
occorra una sentenza emessa con la formula più ampia
possibile, tale da far ritenere il comportamento degli
amministratori e/o dipendenti improntata al rispetto del
principio cardine dell’articolo 97 Costituzione.
In questo scenario, nel caso in esame non è possibile
rimborsare le spese legali sia all’ex amministratore che al
dipendente comunale in quanto, seppur per i medesimi risulti
il decreto di archiviazione, la necessità di effettuare le
spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta
con l’esecuzione del mandato.
A ciò si aggiunga che non risulta vi sia stato, nel caso in
esame, il coinvolgimento iniziale dell’ente nella scelta del
difensore, che deve essere scelto preventivamente e
concordemente tra le parti (si veda sentenza del Consiglio
di Stato, sezione V, n. 552/2007)
(tratto da Guida agli Enti Locali n. 3-4/2012). |
COMPETENZE
GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
OGGETTO: esposto di un consigliere comunale contro un
comune.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha chiesto
l’avviso di questo Ministero in ordine all’esposto,
presentato da un consigliere contro il comune, concernente
l’affidamento da oltre un anno di un incarico dirigenziale
al Segretario Generale, nonostante la presenza nell’ente di
figure dirigenziali.
---------------
Il Dipartimento della Funzione
Pubblica con una la nota ha chiesto l’avviso di questo
Ministero in ordine all’esposto, presentato da un
consigliere contro un Comune, concernente l’affidamento, da
oltre un anno, di un incarico dirigenziale al Segretario
Generale, nonostante la presenza nell’ente di figure
dirigenziali.
Al riguardo, su concorde avviso espresso dalla ex Agenzia
Autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari Comunali e
Provinciali, si rileva preliminarmente che l’art. 97 del
Dlgs 267/2000 stabilisce i compiti e le funzioni dei
segretari comuni e provinciali. In particolare, il comma 2
di detto articolo statuisce che il segretario svolge compiti
di collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell’ente in ordine alla conformità dell’azione
amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti. Il
successivo comma 4, nel prevedere che il segretario
sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti
coordinandone l’attività, elenca le funzioni ad stesso
spettanti. Invero, la lett. d) del medesimo comma 4 dispone
che il segretario esercita ogni altra funzione attribuitagli
dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco
o dal presidente della provincia.
Tale norma, come evidenziato anche nella circolare di questo
Ministero del 15.07.1997 n. 1/1997, citata dall’esponente,
ha valenza di clausola di salvaguardia ai fini del buon
andamento della macchina organizzativa, amministrativa e
gestionale dell’ente. Infatti, occorre rilevare che le
assegnazioni di ulteriori funzioni al segretario può
avvenire solo nel momento in cui l’ente locale risulti privo
sia di personale di qualifica dirigenziale sia di
responsabili dei servizi, ovvero qualora l’ente intenda fare
una specifica scelta gestionale in tal senso. Bisogna,
difatti, rammentare che i dirigenti -ovvero i dipendenti
nominati responsabili degli uffici e dei servizi- sono
titolari delle funzioni loro attribuite, risultando, quindi,
residuale l’applicazione della citata disposizione di cui al
comma 4, lett. d), dell’art. 97.
Ciò posto, poiché ai sensi dell’art. 89 del Dlgs 267/2000
l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi è coperto
da riserva di tipo regolamentare, si deve ritenere che
l’eventuale attribuzione di specifiche funzioni gestionali o
di titolarità degli uffici o dei servizi al segretario sia
necessariamente da prevedere attraverso una specifica
disposizione regolamentare, previa un’attenta verifica
dell’assenza all’interno dell’ente di adeguate figure
professionali; mentre il conferimento delle funzioni,
riservato al Sindaco o al presidente della Provincia, non
può che essere temporaneo e limitato all’espletamento di una
prestazione nell’ambito di una funzione (ad esempio la
presidenza di una gara per temporanea assenza del
dirigente).
Si rammenta, infine, che le stesse disposizioni
contrattuali, contenute nell’art. 1 del CCNL dei segretari
comunali e provinciali del 22.12.2003, stabiliscono che,
relativamente agli incarichi per attività di carattere
gestionale, occorre che gli stessi siano conferiti in via
temporanea e dopo aver accertato l’inesistenza delle
necessarie professionalità all’interno dell’Ente. Si deve
tenere conto, infatti, che, per l’esercizio delle funzioni
aggiuntive affidate al segretario, è prevista una
maggiorazione della retribuzione di posizione in godimento
(09.10.2012 - link a http://incomune.interno.it). |
CORTE DEI CONTI |
ATTI
AMMINISTRATIVI: LEGGE PINTO/ Sentenza della Corte conti Puglia. Sentenze in tempo.
Il giudice lento deve rifondere.
Il magistrato è tenuto al deposito tempestivo dei propri
provvedimenti, essendo questa una regola essenziale per
l'effettivo esercizio del principio del giusto processo, la
cui reale osservanza non può prescindere dalla ragionevole
durata dello stesso. Ne discende che, se il giudice deposita
irragionevolmente e senza alcuna giustificazione una
sentenza in notevole ritardo, con ciò provocando la condanna
del Ministero della giustizia ai sensi della Legge Pinto, lo
stesso è tenuto a rifondere l'amministrazione giudiziaria
per l'inerzia posta in essere.
È quanto ha messo nero su
bianco la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti
Puglia, nel testo della
sentenza 18.02.2013 n. 251, con cui ha condannato un magistrato onorario
per aver depositato, dopo tre anni e cinque mesi dal
passaggio della causa in decisione, una sentenza in materia
civile.
Allungando in tal modo i tempi di conclusione del processo e
permettendo alle parti in causa di citare in giudizio, ai
sensi della legge Pinto, il Ministero della giustizia per
violazione della ragionevole durata dello stesso. Giudizio
che, nel caso che ci interessa, ha visto soccombere
l'amministrazione giudiziaria. Per il collegio della
magistratura contabile pugliese è evidente, alla luce della
documentazione acquisita, il nesso causale (alla produzione
del danno erariale) tra la condanna del Ministero della
giustizia e i tre anni e cinque mesi di ritardo «irragionevole
e ingiustificato» nel deposito della sentenza
successivamente al passaggio della causa in decisione.
Ritardo ascrivibile alla sola inerzia del magistrato
onorario.
La gravità della colpa è data, pertanto, dalla macroscopica violazione di
uno degli obblighi essenziali del giudice, ovvero, quello di
assicurare la ragionevole durata del processo. Una
violazione che è ancor più grave, a detta della Corte, in
quanto perpetrata da parte di un soggetto che è munito di
una specifica preparazione giuridica. Né può essere
sostenuto, a giustificazione del ritardo, che lo stesso è
dovuto a «disfunzioni» dell'ufficio giudiziario. Il
giudice, in questi casi, è comunque tenuto ad adottare le
necessarie cautele che gli consentano di avere contezza dei
fascicoli assegnatigli che deve portare a decisione
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Controlli
interni, la Corte dei conti dà le indicazioni ai sindaci.
Si fondano su cinque punti cardine le linee guida per il
referto semestrale del sindaco per i comuni con più di
15.000 abitanti e del presidente della provincia, ai fini
della regolarità della gestione (ex art. 148 Tuel) messe a
punto dalla sezione autonomie della Corte dei conti con la
deliberazione
18.02.2013 n. 4/2013.
In pratica, l'adeguatezza del
sistema dei controlli interni, la coerenza degli strumenti
utilizzati per quantificare i risultati della gestione, il
rispetto dei principali vincoli normativi, nonché rilevare
gli eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza
pubblica e il consolidamento dei risultati della singola
amministrazione con quelli degli organismi partecipati.
Entro il prossimo 30 giugno, poi, i referti relativi al
primo semestre del 2013 dovranno essere inviati alle
rispettive sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti, mentre quelli relativi al secondo semestre 2013,
dovranno essere inviati entro il 31.03.2014.
Con le linee guida in argomento, è stato pertanto approvato
da parte della Corte, anche uno schema-tipo che i vertici
politici degli enti interessati dovranno provvedere a
compilare. Uno schema che è suddiviso in due sezioni, ma
che, come ammette la Corte, potrà essere integrato in una
fase successiva. Nella prima sezione del referto si dovrà
dare conto della corretta gestione delle entrate e della
copertura delle spese. Poi, si dovranno indicare le
principali delibere adottate in materia di determinazione
delle aliquote o tariffe dei tributi locali, con un occhio
al trend storico del rapporto riscossioni/accertamenti.
Di
pari rilievo l'indicazione della regolare e puntuale
riscossione dei proventi da locazione o altra forma di
concessione dei cespiti patrimoniali, indicando altresì
anche i beni concessi in comodato gratuito. Sul versante
delle spese, l'amministrazione deve indicare gli obiettivi
che intende utilizzare per la riduzione degli oneri di
funzionamento, soprattutto in relazione agli acquisti di
beni e servizi e ai costi per il personale.
In particolare,
si dovranno evidenziare i provvedimenti ex spending review
e gli interventi in materia di disponibilità, mobilità e
blocco del turn-over. Infine, sarà necessario riferire in
merito all'adozione di regolamenti che disciplinino le
modalità di pubblicità e trasparenza dello stato
patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche sul sito
internet istituzionale dell'ente. La seconda sezione del
referto, invece, è dedicata all'adeguatezza e all'efficacia
del sistema dei controlli interni.
Pertanto, spazio alle informazioni sul sistema di
contabilità adottato e alle misure che consentono di
verificare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità
dell'azione amministrativa
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Fuori giurisdizione il consiglio dell'Ordine degli avvocati.
La sezione del Friuli sulla
responsabilità erariale per una questione di parcelle. Corte conti se ne lava le mani.
Esula dalla giurisdizione della Corte dei conti il giudizio
di responsabilità erariale promosso nei confronti dei membri
di un Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, per un parere di
congruità espresso su parcelle professionali relative al
rimborso di spese legali nei confronti degli amministratori
degli Enti locali.
Lo ha precisato la stessa Corte dei Conti, Sez. Giur.
Regione Friuli-Venezia Giulia con la
sentenza 17.01.2013 n. 2.
Nel caso in esame l'ipotesi di danno erariale sottoposta al
giudizio della Corte si fondava sul parere favorevole
rilasciato dai componenti del Consiglio dell'Ordine degli
avvocati di Gorizia, alla liquidazione delle parcelle dei
difensori del Sindaco e dell'Assessore di Cormons (Go),
nella parte in cui prevedevano l'aumento del triplo degli
onorari in considerazione della particolare complessità e
gravità della causa e dell'esito ottenuto.
La Procura Regionale aveva ritenuto sussistente la
giurisdizione della Corte dei conti ipotizzando
«l'interposizione di un ente pubblico non economico nel
processo di attuazione dell'attività amministrativa».
Da tutti i convenuti era stata sollevata l'eccezione di
difetto di giurisdizione.
L'eccezione è fondata. Secondo il Collegio non sussiste
alcun rapporto funzionale tra l'ente locale e il Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di Gorizia cui sono stati
sottoposti i preavvisi di parcella: al momento della
richiesta di parere dell'Ordine, infatti, (ovvero nel 2006)
non esisteva ancora l'obbligatorietà del visto dell'Ordine
degli Avvocati sulla richiesta di rimborso delle spese
legali da parte degli amministratori degli enti locali, poi
introdotta con la lr n. 9/2008.
Solo l'art. 12, comma 30, lett. b), L. reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 9/2008, novellando l'art. 151 della L. reg. n.
53/1981, ha di fatto equiparato gli amministratori locali ai
regionali, introducendo il visto di congruità dell'Ordine
professionale quale garanzia di equo rimborso per chi è
stato coinvolto in un «_ giudizio civile, penale o
amministrativo di qualsiasi tipo_» per tutelare la
continuità e la serenità dell'amministrazione attiva; quindi
solamente con la L. reg. n. 9/2008, che ne ha imposto
l'obbligatorietà, può ritenersi instaurato un rapporto
diretto e funzionale tra l'ente locale e il Consiglio
dell'Ordine che presenta il parere di congruità, rendendo
effettivo il rapporto di servizio necessario per ipotizzare
l'eventuale responsabilità amministrativa dei componenti
dell'organo di vertice del Consiglio professionale
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Carenze di personale ed eccessiva mole di lavoro escludono
la colpa grave.
Danno erariale - Colpa grave -
Sussistenza anche laddove i convenuti abbiano operato in
condizioni di carenza di personale ed eccessiva mole di
lavoro - Va esclusa specie in caso di atteggiamento
proattivo.
Con la decisione in rassegna, i giudici contabili di appello
hanno ribadito che, alla stregua di quanto più volte
affermato dalla giurisprudenza, le accertate e gravi carenze
di personale e la eccessiva mole di lavoro consentono di
escludere, quando rivestano caratteristiche macroscopiche di
gravità, la sussistenza dell’elemento psicologico della
colpa grave (Sezioni riunite n. 661/A del 19.04.1990, sez.
II n. 329 del 30.10.1991).
Di qui, la conclusione nel senso che il corretto
espletamento dei compiti demandati ai direttori e ai
cassieri dell’ufficio del registro atti e successioni di
Roma fosse oggettivamente ostacolato, come rilevato dai
primi giudici, da fattori indipendenti dalla volontà degli
ex funzionari; i quali, anche quando si proposero di
intervenire
fattivamente per l’eliminazione delle gravi irregolarità di
funzionamento degli uffici, nessun positivo risultato
riuscirono ad ottenere se non quello di imbattersi nel
ristagnante fenomeno di ingestibili anomalie.
Fu così, ha puntualizzato la decisione in commento, quando
nessun esito seguì, come si è visto, alle reiterate
segnalazioni delle gravi inefficienze amministrative.
Pertanto, ha concluso la Sezione, deve escludersi che la
condotta degli appellati possa considerarsi gravemente
colpevole. La colpa grave, normativamente prevista come
elemento costitutivo della responsabilità patrimoniale,
viene infatti in evidenza solo quando sia omessa la
diligenza minima che anche l’operatore meno accorto suole
impiegare nell’adempimento dei compiti demandatigli, e non
ricorre dunque laddove i convenuti non si siano negati al
senso del dovere dal quale continuarono invece ad essere
animati nonostante le difficoltà, premurandosi di informare
gli organi superiori, proponendo a volte soluzioni
migliorative e in genere cercando di ridare efficacia
all’azione amministrativa (Corte dei conti, Sez. II
giurisdiz. centrale d’appello,
sentenza 07.01.2013 n. 5 - tratto da Diritto e pratica
amministrativa n. 1/2013). |
NEWS |
APPALTI: Responsabilità solidale leggera.
Fuori condomìni, forniture di beni e contratti d'opera.
Circolare dell'Agenzia delle entrate. Applicazione
semplificata per il dl 83/2012.
Responsabilità solidale negli appalti soft. Fuori i privati
e i condomini, nonché i contratti di appalto per fornitura
dei beni, d'opera, di trasporto e di subfornitura.
L'Agenzia delle entrate, tentando una chiara operazione di
semplificazione, ha emanato ieri il secondo e atteso
documento di prassi (circolare 01.03.2013 n. 2/E), concernente le
disposizioni in materia di responsabilità solidale
dell'appaltatore, di cui all'art. 13-ter, dl n. 83/2012 (si
veda ItaliaOggi del 26/02/2013).
Il documento, che si aggiunge al precedente (circ. n.
40/E/2012), conferma la presenza di pesanti sanzioni poste a
carico dei committenti (da 5 mila a 200 mila euro), nel caso
in cui gli stessi eseguano i pagamenti delle prestazioni di
servizio ricevute senza ottenere almeno una dichiarazione
sostitutiva, ai sensi del dpr n. 445/2000, con il quale
l'appaltatore e/o il subappaltore attesti l'avvenuto
versamento delle ritenute e dell'Iva.
Primo dubbio fugato dalle Entrate riguarda l'ambito
oggettivo, con riferimento all'applicazione della disciplina
al settore edile, stante la collocazione delle disposizioni
nell'ambito delle misure urgenti per le infrastrutture; si
conferma l'applicazione alla generalità dei soggetti e non
solo al settore edile, nell'ambito dei contratti di appalto,
finalizzata all'emersione di base imponibile nell'ambito dei
servizi.
L'Agenzia delle entrate, però, ritiene, sulla base del
tenore letterale delle disposizioni, che la disciplina sia
applicabile nell'ambito dei contratti di appalto, come
individuati dall'art. 1655 c.c., anche nel caso in cui la
prestazione sia eseguita direttamente dall'appaltatore
(senza subappalto), con esclusione di quelli concernenti
forniture di beni, d'opera (art. 2222 c.c.), di trasporto
(art. 1678 c.c.) e di subfornitura (legge 192/1998) e delle
prestazioni rese nell'ambito dei rapporti di natura
consortile.
Per l'applicazione della disciplina risulta necessario che i
contratti di appalto siano conclusi nell'ambito di attività
soggette alla disciplina Iva e, comunque, esercitate da
società ed enti, di cui agli articoli 73 e 74, dpr n.
917/1986 (società di capitali, enti privati, cooperative,
ecc.), restando escluse le stazioni appaltanti (comma 33,
art. 3, dlgs n. 163/2006), i condomini e le persone fisiche
non Iva.
Sul punto, si ritiene di poter confermare che nell'ambito di
una prestazione in cui il committente è un consumatore
finale (privato) che si avvale del solo appaltatore, la
disciplina resta inapplicabile, ma se l'appaltatore opera
con un subappaltatore, nell'ambito dei rapporti tra questi
due ultimi soggetti, la disciplina deve essere interamente
applicata.
Come indicato nel precedente documento di prassi (circ. n.
40/E/2012), l'obbligo riguarda i contratti stipulati a
decorrere dal 12/08/2012, data di entrata in vigore
dell'art. 13-ter, con la conseguenza che anche il rinnovo di
un contratto già in essere a tale data deve essere
assimilato a una nuova stipula e assoggettato alla
disciplina.
In presenza di più contratti stipulati tra le parti,
l'Agenzia è del parere che la regolarità dei versamenti
delle ritenute e dell'Iva possa essere attestata in modo
unitario ovvero considerando tutti i contratti in essere tra
le medesime controparti e non per singolo contratto, potendo
rilasciare la stessa attestazione con cadenza periodica.
In detto caso è necessario che l'attestazione di regolarità
dei versamenti riguardanti le ritenute e l'Iva, riferibili
al contratto per il quale la dichiarazione viene resa, siano
scaduti alla data di pagamento, escludendo quelli oggetto di
una precedente attestazione.
Per i pagamenti eseguiti a mezzo canale bancario (bonifici),
l'Agenzia delle entrate ritiene che sia necessario attestare
la regolarità dei versamenti erariali scaduti al momento in
cui il committente (o appaltatore) ha eseguito la
disposizione di pagamento e non di quelli scaduti alla data
dell'accreditamento delle somme al beneficiario.
Un'altra ipotesi contemplata dalla circolare riguarda
l'eventuale cessione del credito vantato dall'appaltatore e
dal subappaltatore a terzi, per la quale l'Agenzia richiama
le precisazioni fornite dalla Ragioneria dello Stato
nell'ambito dei pagamenti con le pubbliche amministrazioni
(circ. n. 29/2009).
In sintesi, gli enti appartenenti alla Pubblica
amministrazione, prima di eseguire il pagamento per importi
superiori a 10 mila euro, verificano la regolarità dei
versamenti erariali del beneficiario e, in caso di omissione
dei detti versamenti, procedono nella sospensione del
relativo pagamento.
Al fine di liberare il cessionario da potenziali rischi di
inadempimenti del cedente, per l'Agenzia è necessario che la
regolarità, riferibile al rapporto oggetto di cessione, sia
attestata nel momento in cui il cedente, appaltatore e/o
subappaltatore, comunica la cessione al debitore ceduto,
committente o appaltatore.
Nonostante il notevole sforzo dell'Agenzia, che si è
necessariamente mossa nel perimetro delle norme, volto ad
alleggerire la disciplina, restano numerosi i punti ancora
oscuri, non ultimo quello inerente alla qualificazione delle
prestazioni eseguite da artigiani che operano con una
modesta organizzazione e che si ritiene debbano essere
riconducibili nell'ambito dell'art. 2222 c.c. e, di
conseguenza, esclusi dalla disciplina
(articolo ItaliaOggi del 02.03.2013). |
ENTI LOCALI: Revisori
locali doc.
Oltre 13 mila iscritti nell'elenco.
Varato il dm. Ma i requisiti continuano a far discutere.
Cresce la voglia di revisione negli enti locali. Rispetto
all'anno scorso, l'elenco da cui verranno estratti a sorte i
controllori dei conti di comuni e province triplica e
annovera quest'anno 13.479 professionisti contro i 4.146 del
2012. Ma i criteri per entrare a far parte della lista dei
papabili continuano a far discutere.
Anche se, a differenza del 2012 (anno che ha tenuto a
battesimo il nuovo sistema) gli esclusi sono stati
pochissimi. Sono state respinte infatti solo 20 delle 13.499
domande di aggiornamento e nuova iscrizione nell'elenco
correttamente presentate, mentre nel 2012 (si veda
ItaliaOggi del 14/12/2012) ben 5.774 richiedenti erano
scivolati proprio sulla «buccia di banana» dei crediti
formativi. L'elenco da cui saranno estratti a sorte i
revisori per il periodo 01.03-31.12.2013 è allegato
al decreto 28.02.2013 del ministero dell'interno che è
stato pubblicato ieri sul sito del dipartimento finanza
locale del Viminale.
Ma le sorprese, seppur in misura ridotta rispetto al
passato, non sono mancate neanche questa volta.
A novembre 2012 l'oggetto del contendere erano i stati i
crediti formativi che, secondo una nota del Consiglio
nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili,
sembravano non dover necessariamente riguardare la
contabilità pubblica e la gestione finanziaria degli enti
locali. Questa tesi era stata subito corretta dallo stesso
Cndcec (si veda ItaliaOggi dell'11/01/2013) ma a molti
professionisti il dietrofront del Consiglio nazionale era
sfuggito. Con la conseguenza che erano state spedite
all'indirizzo del ministero moltissime domande prive dei
requisiti.
Con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21.12.2012 si sono riaperti i termini (scaduti il 21
gennaio) per chiedere la re-iscrizione nell'elenco o la
permanenza nello stesso. E questa volta la «vexata quaestio»
si è concentrata sul requisito minimo di dieci crediti
formativi previsto dalla legge.
Molti professionisti, nonostante le regole non siano
cambiate dal primo al secondo elenco, hanno ritenuto
equiparabili ai «crediti di discenza» (accumulati cioè
attraverso la frequenza di corsi di formazione) quelli
ottenuti attraverso le docenze. A trarli in errore il fatto
che docenze e discenze sono equiparate per l'iscrizione
all'albo dei commercialisti o a quello dei revisori. Ma come
hanno sempre ripetuto al ministero dell'interno, i requisiti
per l'iscrizione all'albo vanno tenuti distinti rispetto a
quelli per l'inserimento nell'elenco che, precisano al
Viminale, «devono essere più stringenti sul fronte della
formazione perché l'estrazione a sorte non dà più nessuna
discrezionalità ai sindaci nella nomina». Di qui la
necessità di garantire la professionalità e l'aggiornamento
degli aspiranti revisori. Peraltro, fanno notare al
ministero dell'interno, la giurisprudenza amministrativa ha
recentemente affermato che i revisori degli enti locali sono
incaricati di pubblico servizio e ciò richiede che venga
posta maggiore attenzione all'aggiornamento professionale
rispetto alle docenze.
Del resto conseguire 10 crediti formativi non si può certo
dire che sia stata un'impresa ardua per i professionisti. E
il merito è del Cndcec che ha organizzato un corso online
(disponibile fin dai primi giorni di novembre e quindi in
tempo utile per presentare le nuove domande) diffuso
gratuitamente a tutti gli ordini locali che dava diritto
proprio a 10 crediti formativi.
Per il Viminale insomma le norme erano molto chiare fin
dall'inizio e accumulare 10 crediti abbastanza agevole per
chiunque avesse reale interesse a far parte dell'elenco.
Anche se non è escluso che dall'anno prossimo i requisiti di
ammissione possano cambiare ancora. Nel frattempo però i
professionisti sembrano essere soddisfatti del nuovo sistema
di nomina che garantisce imparzialità e parità di chance
rispetto alle logiche spesso clientelari del passato. E
anche i sindaci per il momento non si lamentano
(articolo ItaliaOggi del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
TRIBUTI: Denunce Tares senza doppioni.
Vale la dichiarazione Tarsu-Tia.
I contribuenti non sono tenuti a presentare la dichiarazione
Tares se hanno già denunciato l'occupazione degli immobili
per Tarsu e Tia. Il silenzio equivale a conferma dei dati
comunicati. La dichiarazione deve essere presentata
direttamente agli uffici comunali oppure a mezzo del
servizio postale o in via telematica. In quest'ultimo caso
può essere trasmessa dal comune già compilata. L'interessato
deve solo sottoscriverla. È però provvisoriamente valida
anche la dichiarazione non sottoscritta.
Sono queste le
previsioni ministeriali contenute nel
prototipo del
regolamento Tares. Dunque, il ministero dell'economia e
della finanze conferma la tesi che l'obbligo di presentare
la dichiarazione non deve essere assolto se l'immobile è
stato già denunciato per la Tarsu o la Tia, a meno che non
intervengano variazioni.
È demandato ai comuni il compito di
fissare un termine per la denuncia delle occupazioni
effettuate a partire dal 2013 e di approvare il nuovo
modello. La dichiarazione va sottoscritta dal soggetto che
occupa l'immobile. Se non sottoscritta è però
provvisoriamente valida, ma non sono sospese le richieste di
pagamento. Deve essere presentata direttamente agli uffici
comunali oppure può essere spedita per posta tramite
raccomandata con avviso di ricevimento o inviata in via
telematica con posta certificata. Qualora sia attivato un
sistema di presentazione telematica il comune provvede «a
far pervenire al contribuente il modello di dichiarazione
compilato, da restituire sottoscritto».
Naturalmente, questo
presuppone che gli uffici comunali siano già in possesso dei
dati del contribuente, comunicati nel momento in cui fanno
richieste di residenza, rilascio di licenze, autorizzazioni
o concessioni. Del resto, già in presenza di queste istanze
i comuni devono invitare i contribuenti a presentare la
dichiarazione nel termine previsto. Nello schema di
regolamento Tares viene specificato quale deve essere il
contenuto della dichiarazione. Viene infatti posto in
rilievo che la disciplina di legge non è esaustiva.
Tuttavia, secondo il ministero, «è agevolmente desumibile
dalla funzione dell'atto, diretto a comunicare al comune gli
eventi rilevanti per l'applicazione del tributo al caso
concreto». In particolare vanno dichiarati: le
generalità del contribuente, i dati dell'utenza (ubicazione,
superficie, utilizzo), la data di inizio dell'occupazione,
la composizione del nucleo familiare, ma solo per le utenze
domestiche dei non residenti, nonché eventuali cause che
danno diritto ad agevolazioni fiscali, riduzioni tariffarie
o esclusioni.
Nelle dichiarazioni degli immobili a destinazione ordinaria
(classificati nelle categorie catastali A, B e C), inoltre,
devono essere indicati obbligatoriamente: dati catastali,
numero civico di ubicazione degli immobili e numero interno,
se esistente. Lo prevede l'articolo 1, comma 387, della
legge di stabilità (228/2012) che ha apportato delle
modifiche al nuovo regime di prelievo sui rifiuti. In
seguito a queste modifiche, anche per l'anno in corso la
tassa va calcolata sulla superficie calpestabile e non più
su quella catastale.
Questo parametro, quindi, deve essere preso a base per tutti
gli immobili a prescindere dalla loro destinazione,
ordinaria o speciale. Si passerà alla commisurazione del
tributo sulla superficie catastale solo quando verranno
allineati i dati degli immobili a destinazione ordinaria e
quelli riguardanti la toponomastica e la numerazione civica,
interna e esterna, di ciascun comune
(articolo ItaliaOggi del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: I
chiarimenti delle Entrate. Circolare dell'Agenzia sui nuovi
obblighi di responsabilità riferiti ai versamenti fiscali.
Appalti «solidali», fissati i confini.
Responsabilità non solo per l'edilizia - Esclusi
professionisti, trasporti e forniture.
La responsabilità solidale si applica in tutti i settori
economici e non soltanto nel settore dell'edilizia come
faceva supporre il titolo I del Dl 83/2012 rubricato «Misure
urgenti per le infrastrutture, l'edilizia e i trasporti».
Lo
precisa la
circolare 01.03.2013 n. 2/E dell'agenzia delle Entrate. Viene infatti precisato che la finalità della norma è
quella di far emergere la base imponibile in relazione alle
prestazioni di servizi in esecuzione di contratti di appalto
intesi nella loro generalità. Tuttavia la circolare
chiarisce che alcune forme di appalti sono escluse dalla
responsabilità solidale quali ad esempio gli appalti di
fornitura di beni e i contratti d'opera.
Il dato normativo è contenuto nell'articolo 13-ter del Dl 83
del 22.06.2012, convertito nella legge 134/2012 il
quale, sostituendo il comma 28 dell'articolo 35 del Dl
223/206, ha previsto la solidarietà dell'appaltatore con il
subappaltatore nel versamento all'erario delle ritenute
fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'Iva. Inoltre
il committente è soggetto a una sanzione amministrativa
pecuniaria da 5mila a 200mila euro nel caso in cui provveda
a effettuare il pagamento all'appaltatore senza che questi
abbia provato il corretto versamento dell'Iva e ritenute.
La circolare emanata ieri dall'Agenzia ha precisato che
l'obbligo solidale ha una portata generale e non riguarda
soltanto lo specifico settore dell'edilizia. Tuttavia
l'Agenzia entra nel merito della tipologia di contratti
soggetti all'obbligo solidale. La fattispecie riguarda il
contratto di appalto di cui all'articolo 1655 del Codice
civile e cioè quello in cui una parte, con organizzazione di
mezzi, assume il compimento di un'opera o di un servizio
verso un corrispettivo in denaro. Sono invece esclusi dalla
responsabilità solidale gli appalti di fornitura di beni (in
cui prevale la cessione del bene) e il contratto d'opera di
cui all'articolo 2222 del Codice civile; rientrano in questa
categoria tutte le prestazioni professionali di lavoro
autonomo, ma anche quelle svolte da piccoli artigiani senza
organizzazione di mezzi. Inoltre sono esclusi i contratto di
trasporto, quelli di subfornitura (legge 192/1998), nonché
le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile (il
consorzio non risponde dei versamenti fiscali omessi dai
soci consorziati).
La circolare ricorda che la responsabilità solidale si
applica anche in presenza del solo appaltatore in quanto il
coma 28-bis dell'articolo 35 del Dl 223/2006 indica il
subappaltatore come figura eventuale.
I nuovi obblighi decorrono dai contratti stipulati a partire
dal 12.08.2012 (circolare 40/E del 08.10.2012), ma
comprende anche quelli rinnovati successivamente a tale
data.
Sotto il profilo soggettivo la responsabilità solidale
riguarda i contratti di appalto e subappalto stipulati dai
soggetti che rientrano nel campo di applicazione dell'Iva,
oppure dai soggetti Ires di cui agli articoli 73 e 74 del
Tuir, compresi quindi gli enti non commerciali. Sono invece
escluse le stazioni appaltanti dei contratti pubblici (Dlgs
163/2006), privati e anche i condomini.
Con la precedente circolare 40/E/2012, l'Agenzia aveva
stabilito che la responsabilità solidale viene rimossa se
l'appaltatore/subappaltatore attesta l'avvenuto pagamento
dell'Iva e delle ritenute. La circolare 2/E/2013 precisa
che, in presenza di più contratti stipulati fra le medesime
parti, l'autocertificazione può essere rilasciata in modo
unitario. Questa attestazione può essere rilasciata
periodicamente in presenza del pagamento del corrispettivo e
attestare la regolarità dei versamenti scaduti prima di
questa data. Infatti l'autocertificazione è riferita ai
versamenti scaduti nel momento del versamento del
corrispettivo e non può avere come oggetto fatti successivi
al suo rilascio.
L'Agenzia esamina anche la fattispecie della cessione del
credito e in questo caso l'autocertificazione deve essere
rilasciata nel momento in cui il cedente dà notizia della
cessione al proprio committente.
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Tra conferme e novità
01 | LE ESCLUSIONI
La circolare 2 emanata ieri dall'agenzia delle Entrate
esclude dalla responsabilità fiscale solidale per
l'appaltatore (e dalla sanzione per il committente) i
contratti d'opera, quelli di trasporto e di subfornitura,
nonché gli appalti di fornitura dei beni e le prestazioni
rese nell'ambito del rapporto consortile. La circolare non
cita le prestazioni d'opera intellettuale ma non vi sono
dubbi sulla loro esclusione
02 | LE CONFERME
Confermata l'esclusione soggettiva delle stazioni
appaltanti, dei condomìni e delle persone fisiche non
soggetti passivi Iva
03 | L'ESTENSIONE
Le disposizioni si applicano a tutti i settori, non solo
all'edilizia. Sono soggetti alla nuova disciplina tutti i
contratti (non solo stipulati ma anche) rinnovati a
decorrere dal 12.08.2012, per i pagamenti effettuati
dall'11.10.2012. Le sanzioni scattano, nel contratto
tra committente e appaltatore, anche in assenza di
subappalto
04 | LA CERTIFICAZIONE
La certificazione (anche in forma di dichiarazione
sostitutiva del prestatore) può essere rilasciata in modo
unitario per Iva e ritenute e anche con cadenza periodica,
purché attesti la regolarità di tutti i versamenti scaduti a
tale data non già certificati
(articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Disposizioni
semplificate ma sempre inefficaci.
La responsabilità solidale degli appaltatori e la
sanzionabilità del committente per le irregolarità relative
all'Iva e alle ritenute fiscali commesse dal prestatore di
servizio costituisce un onere sproporzionato e pressoché
inefficace per gli obiettivi antievasione che si propone.
Questo giudizio che nasce dalla formulazione della norma non
può essere assolutamente scalfito dagli interventi
interpretativi dell'agenzia delle Entrate che nel loro
ambito di competenza hanno fatto di tutto per semplificare e
ridurre gli effetti che lo specifico onere produce in capo
alle imprese che agiscono quali committenti e/o appaltatori.
È chiaro, infatti, che gli sforzi interpretativi del fisco
contribuiscono certamente a rendere meno oneroso
l'adempimento, sia definendo, in modo chiaro la sua portata
(finalmente risulta chiaro che le regole si escludono per i
contratti tipici ovvero per i contratti d'opera dei
professionisti e si applicano solo per gli appalti veri e
propri), sia individuando più ampi margini per la tempistica
di attivazione e per il contenuto della dichiarazione del
prestatore.
Questi elementi positivi che porteranno,
finalmente, a una drastica riduzione delle richieste fatte
nei mesi scorsi dalle imprese nei confronti di fornitori di
servizi, non consentono però di considerare chiusa la
partita. In effetti sarebbe più utile superare lo strumento
della solidarietà ponendo a carico dei prestatori obblighi
di preventiva autorizzazione presso le autorità fiscali
(inserimento in un albo) o chiedendo un intervento diretto
dell'amministrazione con controlli preventivi con emissione
(come per il Durc) di una certificazione di regolarità
fiscale.
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I dubbi. Le risposte non date.
Applicazione a rischio sui contratti verbali.
Nonostante lo sforzo dell'Agenzia per chiarire alcune delle
questioni più spinose, la
circolare 01.03.2013 n. 2/E non risolve tutti i
dubbi sollevati dagli operatori.
Dal lato soggettivo è importante comprendere se, anche in
presenza di un'esclusione per il contratto che lega il
committente all'appaltatore (ad esempio, poiché il primo
soggetto è un condominio o una stazione appaltante ai sensi
del Dlgs 163/2006), i relativi contratti di subappalto
possano ritenersi anch'essi liberi dai nuovi adempimenti. Ad
esempio: il subappaltatore, nell'ambito di un appalto in cui
il committente è una persona fisica, deve fornire
all'appaltatore la dichiarazione di "regolarità fiscale" per
evitare a quest'ultimo le responsabilità? Anche considerando
lo scopo della norma, la risposta sembra positiva (forse il
legislatore poteva esonerare i contratti di importo non
significativo).
Quanto all'aspetto oggettivo, l'Agenzia fa il massimo dal
lato interpretativo, riconoscendo l'inapplicabilità della
norma a tutte le figure contrattuali diverse dal contratto
di appalto anche se a volte del tutto «contigue» (si
pensi al contratto d'opera o a quello di subfornitura). Ma
ora il problema si sposta sul piano operativo, poiché spesso
ci sono accordi solo verbali o dal contenuto non ben
definito.
E se la giurisprudenza (anche di Cassazione) si affatica da
decenni proprio sull'individuazione degli elementi
distintivi tra le diverse tipologie contrattuali, è facile
trarre la seguente conclusione: o, anche nella pratica,
imprese e professionisti si abituano a pattuire in forma
scritta le varie prestazioni ("battezzandole" di
volta in volta sin dall'inizio in maniera conforme alle
modalità applicative), oppure aumenta il rischio che, in
sede di verifica, vi sia la tendenza a classificarle in
quelle maggiormente presidiate da adempimenti e sanzioni. Si
consideri che non è ancora chiaro se la responsabilità
dell'appaltatore si estende anche alle sanzioni, oltre
all'imposta non versata, mentre quella del committente ha
una sanzione minima di 5mila euro che non si comprende se
possa essere limitata per contratti di importo inferiore.
Infine, sotto l'aspetto temporale un dubbio frequente è il
seguente: se il contratto di appalto è anteriore al 12
agosto scorso, un eventuale subappalto stipulato nella
vigenza delle nuove norme è soggetto o meno agli adempimenti
che quest'ultima richiede? L'autonomia dei singoli accordi
porta a rispondere in senso positivo
(articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2013). |
ENTI LOCALI: Turn
over flessibile nei piccoli centri.
L'ingresso degli enti locali con meno di
5mila abitanti nei vincoli del Patto di stabilità a partire
dal 2013 estende anche a loro i vincoli al turn over
previsti per gli altri Comuni, che non possono dedicare alle
assunzioni più del 40% dei risparmi ottenuti dalle
cessazioni dell'anno precedente. La prima applicazione delle
nuove regole, però, può avvenire con un certo grado di
flessibilità, che consente ai piccoli enti di portare a
termine le procedure di assunzione già avviate l'anno
scorso, quando il Patto per loro non c'era.
L'apertura arriva dal Ministero dell'Economia, Ragioneria
Generale dello Stato, che con la
nota 26.02.2013 n. 6279 di prot. ha risposto in questi termini a un quesito inviato dall'Anci.
Nei piccoli enti, il turn-over al 40% rischia di fatto di
bloccare gli organici, visti i numeri in gioco. Consapevole
di queste difficoltà, il ministero decide di chiudere un
occhio sulle procedure già avviate ma non ancora al
traguardo. A due condizioni: che a fine 2012 fosse già stato
pubblicato il calendario con le prove d'esame, e che
l'assunzione vera e propria avvenga entro il 2013.
Il
problema riguarda oggi in particolare gli enti fra mille e
5mila abitanti, mentre per quelli sotto i mille abitanti
l'ingresso nel Patto avverrà con le Unioni nel 2014
(articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
SEGRETARI
COMUNALI: Segretario
comunale responsabile anticorruzione.
Per i segretari comunali non scattano le incompatibilità
allo svolgimento della funzione di responsabile della
prevenzione della corruzione, indicate dalla
circolare 25.01.2013 n. 1/2013 della Funzione pubblica.
La nota di Palazzo Vidoni,
specificamente riferita alle amministrazioni dello stato, ha
individuato due espresse situazioni di incompatibilità, che
escludono la possibilità di assegnare ai dirigenti
l'incarico di responsabile anticorruzione. La prima consiste
nel far parte di uffici di diretta collaborazione degli
organi di governo. La seconda, discende dal far parte degli
uffici per i procedimenti disciplinari. La figura del
segretario comunale per sua stessa natura ricade in entrambe
le situazioni indicate. Il segretario è necessariamente
posto alla diretta collaborazione degli organi di governo,
nei confronti dei quali principalmente svolge la funzione di
garanzia della legittimità e correttezza dell'azione
amministrativa.
Per altro, l'attuale ordinamento degli enti
locali pone (molto discutibilmente sul piano della
rispondenza alla Costituzione) il segretario alla diretta
dipendenza del sindaco o presidente della provincia, che lo
nominano per via sostanzialmente fiduciaria, in un rapporto
di spoils system puro. Il segretario comunale, inoltre, per
la sua posizione peculiare all'interno degli enti e le
competenze che lo caratterizzano fa parte quasi sempre, con
la veste di presidente, delle commissioni di disciplina.
Tuttavia, queste circostanze non possono essere utilizzate
per giustificare l'attribuzione dell'incarico di
responsabile della prevenzione della corruzione a un
soggetto diverso dal segretario comunale. Esse valgono per
le amministrazioni statali, nelle quali quello di
responsabile anticorruzione è una tra le tante tipologie di
incarichi dirigenziali. Negli enti locali, invece, per
espressa previsione della legge 190/2012, il segretario
comunale è necessariamente il responsabile della prevenzione
della corruzione.
Occorre precisare che questo incarico non
rientra tra quelli che possono essere conferiti al
segretario ai sensi del Tuel. Tali incarichi, infatti,
derivano da una scelta organizzativa discrezionale del
vertice monocratico. Invece, la funzione di responsabile
della prevenzione della corruzione è un'attribuzione
assegnata al segretario comunale direttamente dalla legge:
dunque, non è necessario alcun provvedimento del sindaco o
del presidente della provincia
(articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Assessori, gettoni
variabili.
Mezza indennità se non chiede l'aspettativa.
Non conta il fatto che il rapporto di lavoro sia
a tempo pieno o part-time.
Qual è l'indennità da corrispondere a un assessore comunale
che svolge attività lavorativa in qualità di dipendente
privato, con contratto part-time, in cui è stata esclusa
espressamente la possibilità di fruire di periodi di
aspettativa?
Ai lavoratori dipendenti è riconosciuto il diritto di essere
collocati, a richiesta, in aspettativa non retribuita per
tutto il periodo di espletamento del mandato (art. 81 del
decreto legislativo 267/2000). La rinuncia allo svolgimento
del lavoro retribuito, per assolvere a tempo pieno alle
funzioni pubbliche connesse alla carica ricoperta nell'ente
locale, trova compensazione nell'erogazione del regime di
indennità di funzione riconosciuta dal successivo art. 82
del decreto legislativo 267/2000.
Tale disposizione prevede inoltre che l'indennità sia
dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano
richiesto l'aspettativa non retribuita.
La norma, che stabilisce un principio di ordine generale di
valore cogente, si applica anche alla fattispecie in esame
(lavoratore dipendente in part-time), in quanto esplica la
propria efficacia a prescindere dalla tipologia oraria del
rapporto di lavoro, sia lo stesso a tempo pieno oppure
parziale.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità nei confronti di un
amministratore comunale che è stato designato a
rappresentare il comune nel consiglio di amministrazione di
una società per azioni, concessionaria delle attività di
gestione dell'aeroporto della stessa città, cui il comune
partecipa con quota pari al 9,65% dell'intero capitale? In
particolare, nel caso in questione, è applicabile l'art. 4,
comma 21, del decreto-legge 13.08.2011, n. 138,
convertito con modificazioni in legge 14.09.2011, n.
1, secondo cui «non possono essere nominati amministratori
di società partecipate da enti locali coloro che nei tre
anni precedenti alla nomina hanno ricoperto la carica di
amministratore, di cui all'art. 77 del decreto legislativo
18.08.2000, n. 267, e successive modificazioni, negli
enti locali che detengono quote di partecipazione al
capitale della stessa società»?
La Corte costituzionale, con sentenza 17-20.07.2012, n.
199, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato
articolo.
In proposito giova rammentare che, ai sensi dell' art. 136
Cost. e dell'art. 30, comma 3, della legge n. 87/1953, «le
norme dichiarate incostituzionali non possono avere
applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della
decisione».
In altri termini, la pronuncia di illegittimità
costituzionale di una norma di legge determina la cessazione
della sua efficacia erga omnes e impedisce, dopo la
pubblicazione della sentenza, che essa possa essere
applicata ai rapporti in relazione ai quali la norma
dichiarata incostituzionale risulti comunque rilevante, con
l'unico limite delle situazioni consolidate per essersi il
relativo rapporto definitivamente esaurito. Per
giurisprudenza consolidata, possono legittimamente ritenersi
«esauriti» soltanto i rapporti rispetto ai quali si sia
formato il giudicato, ovvero sia decorso il termine
prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge (cfr.
Cass., sez. III, 6/5/2010, n. 10958).
Quanto poi alla possibilità di ravvisare, a prescindere
dalla disposizione sopra richiamata, una situazione di
conflitto di interesse tra la società de qua e l'ente
comunale, questo potrà essere valutato in concreto alla luce
delle disposizioni di cui all'art. 63, comma 1, n. 1 e 2,
del decreto legislativo n. 267/2000. La ratio della causa di
incompatibilità in esame, annoverabile tra le cosiddette
«incompatibilità di interessi», «consiste nell'impedire che
possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei consigli
comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con
quelli del comune o i quali si trovino comunque in
condizione che ne possano compromettere l'imparzialità»
(Corte costituzionale, sent. n. 44 del 1977, n. 450 del 2000
e n. 220 del 2003).
Ciò posto, in conformità al principio generale secondo cui
ogni organo collegiale delibera sulla regolarità dei titoli
di appartenenza dei propri componenti, la verifica delle
cause ostative all'espletamento del mandato è compiuta con
la procedura consiliare prevista dall'art. 69 del decreto
legislativo citato, che garantisce il contraddittorio tra
organo e amministratore, assicurando a quest'ultimo
l'esercizio del diritto alla difesa e la possibilità di
rimuovere entro un congruo termine la causa di
incompatibilità
(articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013). |
ENTI LOCALI: Enti e partecipate, conti unici.
I comuni devono verificare debiti e crediti con le società.
L'obbligo non fa sconti e crea i
presupposti per l'elaborazione del bilancio consolidato.
L'art. 6, comma 4, del dl 95/2012 prevede che, a partire
dall'esercizio 2012, i comuni e le province devono allegare
al proprio rendiconto di gestione una «nota informativa»,
asseverata dall'organo di revisione, relativa alla verifica
dei crediti e debiti con le proprie società partecipate, con
la motivazione delle eventuali discordanze. Si tratta quindi
di un'attività di riconciliazione da effettuare nelle
prossime settimane.
La previsione è andata ad aggiungersi al già complesso
insieme di norme che riguardano le società partecipate dagli
enti locali ed ha la finalità non dichiarata di spingere gli
enti e le loro società a riconciliare le reciproche
posizioni debitorie e creditorie con due anni di anticipo
(almeno per gli enti nella fascia demografica 15.000-100.000
abitanti) rispetto all'entrata in vigore dell'obbligo di
elaborazione del bilancio consolidato previsto dal nuovo
art. 147-quater del Tuel. In altre parole, il legislatore ha
previsto questo nuovo adempimento per creare i presupposti
necessari al processo di consolidamento, attività
quest'ultima che si preannuncia tutt'altro che facile.
La norma è stata scritta in modo piuttosto semplicistico e
la sua interpretazione letterale porta a sostenere che la
verifica debba essere effettuata da tutti i comuni e
province, a prescindere dalla loro dimensione, e nei
confronti di tutte le società partecipate, a prescindere
dall'attività svolta e dalla percentuale di partecipazione
del comune o della provincia.
Dovranno quindi essere presi
in considerazione i rapporti esistenti con le società
partecipate di gestione dei Spl a rilevanza economica, con
le società strumentali e con quelle che esercitano attività
a carattere commerciale o industriale (qualora le
partecipazioni in tali ultime società siano ancora nel
patrimonio dell'ente locale dopo il processo di dismissione
di cui all'art. 3, commi 27-29 della legge 244/2007).
Sarebbe stato preferibile che il legislatore avesse
introdotto dei limiti dimensionali, prevedendo l'obbligo di
riconciliazione delle posizioni debitorie e creditorie solo
per gli enti con popolazione superiore a 15.000 abitanti e
solo con le società partecipate dal comune o dalla provincia
per percentuali pari o superiori, per esempio, al 20%; è
infatti piuttosto difficile che un piccolo comune riesca a
trovare riscontro alle proprie richieste presso una grande
società che gestire servizi pubblici locali, della quale
detiene magari una partecipazione minima.
Ma è anche vero
che queste situazioni sono probabilmente le più semplici da
riconciliare, anche perché spesso i rapporti sono limitati
solo all'erogazione di un servizio da parte della società e
al pagamento delle relative fatture da parte dell'ente.
Niente rispetto ai complessi rapporti che possono
coinvolgere, per esempio, un ente locale ed una propria
società strumentale, dove, oltre che allo svolgimento di
specifiche funzioni esternalizzate, si è spesso in presenza
anche di erogazioni di contributi per la realizzazione
d'investimenti, che si solito vengono riscontati dalla
società e portati a conto economico in base all'andamento
del piano di ammortamento delle opere realizzate.
Il processo di riconciliazione delle posizioni di
debito/credito previsto dall'art. 6, comma 4, non si presenta
certo privo di difficoltà, anche perché i sistemi contabili
adottati dall'ente e dalle rispettive società partecipate si
basano su principi contabili che rimangono a tutt'oggi
nettamente diversi. Ciò che nel bilancio della società può
apparire, per esempio, come un credito verso l'ente per
fatture da emettere al 31/12/2012, può non essere presente
fra i residui passivi dell'ente locale, anche per semplice
dimenticanza. È quindi consigliabile che l'attività di
riconciliazione che i responsabili dei servizi finanziari
degli enti locali si apprestano ad effettuare in questi
giorni sia preceduta da una fase di confronto informale con
i responsabili amministrativi delle società partecipate, con
l'obiettivo di portare a conoscenza della controparte le
informazioni poste a base della riconciliazione.
In questo
modo, potranno essere risolte molte delle eventuali
incongruenze e si potrà così evitare che banali errori di
contabilizzazione siano sottoposti all'attenzione
dell'organo di revisione –chiamato ad asseverare la
verifica– e, addirittura, a quella del Consiglio dell'ente
che sarà chiamato ad approvare il rendiconto della gestione.
Al termine di questo riscontro informale, sarà però
opportuno che ciascuna società certifichi ai propri enti
locali soci la situazione dei crediti e debiti esistente al
31/12/2012 nei confronti di ciascuno, evidenziando e
motivando in modo analitico le eventuali discordanze non
risolte e fornendo così le informazioni che potranno essere
inserite nella «nota informativa» da allegare al rendiconto
di gestione 2012.
Per quanto riguarda l'applicabilità dell'art. 6, comma 4 ai
consorzi, facendo tale norma esplicito riferimento alle «società»,
si ritiene che l'ambito applicativo della stessa sia
limitato a tutti quei soggetti previsti e disciplinati dalle
norme contenute nel Titolo V «delle Società» del
Libro V del codice civile, ivi comprese comunque le società
consortili che, ai sensi dell'art. 2615-ter del codice
civile, sono società commerciali che assumono come oggetto
sociale uno scopo consortile. I consorzi, invece, sono
disciplinati dalle norme contenute nel successivo Titolo X «della
disciplina della concorrenza e dei consorzi», e sono
enti ai quali il codice civile riconosce una funzione ben
diversa rispetto a quella riconosciuta alle società.
Inoltre, ogni volta che il legislatore ha voluto allargare
l'ambito di applicazione di una norma anche ad altri
organismi partecipati dalle amministrazioni pubbliche, lo ha
fatto in modo esplicito, come nel caso del successivo art. 9
del dl in commento, dove per definire l'ambito applicativo
della norma, è stata usata l'espressione «enti, agenzie e
organismi comunque denominati e di qualsiasi natura
giuridica»
(articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Legalità, regioni spalle al muro.
Governatori tenuti a redigere la relazione sulla gestione.
La sezione autonomie della Corte
conti ha emanato le linee guida per la compilazione.
Una regione senza più segreti. L'obiettivo, nemmeno troppo
velato, è quello di responsabilizzare il suo organo di
vertice politico a dare informazioni dettagliate sulla
situazione generale dell'ente che governa.
Il decreto legge
n. 174/2012, meglio noto come salva enti, su questo punto, è
stato categorico. Il presidente della regione deve redigere
una relazione annuale sulla regolarità della gestione e
sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli
interni, sulla base di apposite linee guida oggetto della
Corte dei conti. E la magistratura contabile non si è fatta
certo attendere.
Con la deliberazione n. 5/2013, la sezione
autonomie ha infatti emanato le citate linee guida,
corredate da un corposo schema-tipo di relazione che i
governatori dovranno compilare entro sessanta giorni dalla
loro pubblicazione. Anche se lo schema tipo del questionario
è redatto con domande a risposta sintetica, ma che
permettono comunque l'inserimento di risposte ad ampio
ventaglio, il fine di tale struttura è mirato. Ovvero,
quello di tirare le somme, senza possibilità di sbagliare,
su alcuni elementi fondamentali che diano un'accurata
radiografia dell'ente regionale.
Le linee guida emanate
dalla Corte lo sottolineano. Non si scappa dalla congruenza
dei risultati della gestione e, soprattutto, delle sue
prospettive di sviluppo, in relazione agli obiettivi che ci
si è prefissati e che siano in linea con i vincoli di
finanza pubblica. Allo stesso modo, sarà messa a nudo la
verifica del corretto funzionamento o meno del sistema dei
controlli interni attualmente operanti nelle regioni.
È evidente che un questionario strutturato in questi termini
va nella direzione voluta dal legislatore nel dl n. 174,
ovvero sottolineare la responsabilità politica del
governatore in relazione ai più rilevanti aspetti
gestionali, al funzionamento delle strutture amministrative,
al grado di raggiungimento dei risultati attesi, con un
occhio di riguardo alle misure di vigilanza poste a carico
degli organismi partecipati e sugli enti del servizio
sanitario regionale.
Lo schema tipo cui i governatori saranno chiamati a
rispondere a breve si articola in cinque sezioni. La prima
ha una valenza ricognitiva, nel senso che immediatamente può
rilevare eventuali criticità nel sistema
organizzativo-contabile regionale. Per esempio, viene
richiesto se la regione ha istituito o meno il collegio dei
revisori dei conti e se sono state adottate misure che
riducano i cosiddetti costi della politica (e in caso
negativo, si dovrà scrivere il perché).
La seconda sezione è invece dedicata alla «pubblicità e
trasparenza». In particolare, il governatore dovrà dire se
ha comunicato alla Funzione pubblica gli incarichi conferiti
o autorizzati ai propri dipendenti e se, come previsto dalla
riforma Brunetta del novembre 2009, ha reso visibile la
valutazione della performance dei propri dipendenti mediante
pubblicazione sul sito istituzionale della regione. Ma non è
tutto. Lo screening comprende anche l'avvenuta comunicazione
a Palazzo Vidoni dell'elenco dei consorzi e delle società
partecipate e la pubblicazione (ex art. 18 dl n. 83/2012)
delle concessioni di sovvenzioni, contributi, sussidi e,
comunque, di vantaggi economici di qualunque genere elargiti
a enti pubblici e privati.
La terza sezione è dedicata alla gestione. In questa si
dovrà indicare, tra l'altro, se il bilancio di previsione è
stato approvato senza ricorrere all'esercizio provvisorio e
il rispetto dei limiti di indebitamento. Nelle altre sezioni
in cui è suddiviso lo schema, la Corte chiede di conoscere
se la regione effettua indagini, anche a campione, su alcuni
fatti gestionali e se viene esercitata una vigilanza sulla
regolarità contabile delle attività del consiglio regionale
e degli agenti contabili. Spazio, poi, alle informazioni
relative al sistema di report sulla gestione e sulla
valutazione del personale
(articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Pa, braccio di ferro Monti-Grilli.
Il decreto che congela gli stipendi dei travet è a rischio.
Il provvedimento del Tesoro fermo a
Palazzo Chigi. Cgil, Cisl e Uil: atto ingiustificato.
L'affare è complicato. Gli stipendi di 3 milioni di
dipendenti pubblici sono fermi dal 2010. Il governo Monti
dovrebbe ora comunicare che non cresceranno di un euro per
altri due anni, fino a tutto il 2014. Il decreto di
congelamento, come anticipato in esclusiva da ItaliaOggi
martedì scorso, è pronto, messo a punto dai vertici del
dicastero della Funzione pubblica e dell'Economia.
Ma Cgil, Cisl e Uil sono scesi in campo, anche se
separatamente, per dire che non se ne parla proprio e il Pd,
nonostante la fase di confusione, ha detto chiaramente che
sarebbe un atto improprio da parte di un governo a fine
mandato. Ma a essere decisiva sulla partita che si è aperta
sarà la valutazione che farà lo stesso Monti, pressato in
queste ore dal ministro dell'economia, Vittorio Grilli, per
firmare un provvedimento che sarebbe inevitabile, ragiona il
Tesoro, anche per un governo politico di centrosinistra.
Un
braccio di ferro, quello tra Tesoro e Palazzo Chigi, che
dovrà avere un risultato nel giro di pochi giorni. E su cui
pesano inevitabilmente anche le incertezze dell'attuale fase
politica, in cui da un lato ci sono i timori di una
imminente gestione caotica, che non consentirebbe più di
assumere quelli che a via XX Settembre sono stati definiti
«atti responsabili e non rinviabili». E dall'altro lato le prospettivie dello stesso Mario Monti di riavere un incarico
di transizione per il disbrigo delle pratiche ordinarie e di
garanzia presso l'Unione europea, lasciando al parlamento il
compito di fare le riforme.
Ieri, una nota del ministero d dell'economia chiariva che
«nulla ancora è deciso». Intanto la Cisl di Raffaele Bonanni
ha aperto il fuoco di sbarramento del fronte sindacale. «Il
decreto non sarebbe un atto dovuto, ma un atto sbagliato che
colpirebbe il bersaglio sbagliato», dicono Giovanni Faverin
e Francesco Scrima, rispettivamente segretari di Funzione
pubblica e Scuola della Cisl, che mettono all'indice la
contraddizione di una stretta sulla spesa pubblica che non
servirebbe a risparmiare: «Non è la spesa per il personale
che zavorra le finanze pubbliche, ma gli sprechi e la
cattiva organizzazione. Dal 2006 in 5 anni il numero dei
dipendenti pubblici è calato del 7,5%, nella scuola il calo
è stato ancora più marcato. Le retribuzioni sono ferme dal
2010. Mentre la spesa pubblica continua a crescere».
E
ragiona Rossana Dettori, segretario generale dell'Fp-Cgil:
«In una fase di instabilità come quella attuale il governo
non può procedere in assenza di un confronto con i
lavoratori. Un confronto», spiega la sindacalista, «che
parta dalla necessità imminente di riformare e innovare la
pubblica amministrazione senza cercare capri espiatori, come
sembrano fare anche in questi giorni alcune forze
politiche». Sta di fatto che, nelle stesse retrovie del
sindacato di Corso Italia, si considera inevitabile un nuovo
intervento restrittivo sul settore pubblico visto
l'andamento negativo dei saldi di bilancio.
Il decreto
predisposto prevede per tutto il 2013 e 2014 il blocco di
ogni aumento contrattuale, anche per fondazioni, enti
previdenziali, società partecipate come l'Anas. Un raggio
che sarebbe più ampio dell'attuale blocco. E che andrebbe a
incidere anche sul futuro: gli aumenti non dati non si
recuperano e anzi dal 2015 di procederà con un nuovo tasso
di inflazione. Intanto, all'Aran si è tenuto ieri il primo
vertice per evitare che dal primo agosto 2013 i precari con
contratti che superano il tetto dei tre anni, fissato dalla
legge Fornero, siano licenziati dallo stato.
«Non sono
arrivate proposte chiare, non c'è nessuno spiraglio per un
percorso di stabilizzazione», commenta Antonio Foccillo,
segretario confederale Uil con delega per il pubblico
impiego, «navighiamo a vista. Con la prospettiva a breve di
più disoccupati e meno servizi pubblici». Probabile che
anche di questa partita, come quella sui contratti, si dovrà
occupare il prossimo esecutivo
(articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI: Enti
locali. Pronto il Dpcm attuativo del nuovo obbligo.
Relazione di fine mandato nei 667 Comuni al voto.
IL CALENDARIO/
Per gli amministratori uscenti ci sarà tempo fino ad aprile
per completare il documento che mostra i risultati dei loro
anni di gestione.
I 667 Comuni attesi alle elezioni amministrative del 26 e 27
giugno avranno tempo fino alla seconda settimana di aprile
per scrivere la relazione di fine mandato, il nuovo
strumento di trasparenza previsto dai decreti attuativi del
federalismo fiscale che debutta proprio negli enti al voto
quest'anno.
Il testo del Dpcm attuativo ha esaurito i propri passaggi
istituzionali e attende la pubblicazione sulla «Gazzetta
Ufficiale»: il calendario ordinario, previsto dal decreto
legislativo su «premi e sanzioni» federalista (Dlgs
149/2011), prevederebbe la firma della relazione da parte
del sindaco o del presidente di Provincia almeno 90 giorni
prima della scadenza del mandato: i tempi lunghi del decreto
attuativo e l'imminenza elettorale, però, hanno praticamente
obbligato a introdurre la proroga nell'anno di avvio della
relazione.
Il responsabile del servizio finanziario, o il
segretario generale a seconda dell'incarico dato da sindaci
e presidenti, dovranno però cominciare presto a lavorare per
la preparazione della relazione, che appare piuttosto
corposa.
Il compito del documento, che va firmato da sindaci e
presidenti e certificato nei dieci giorni successivi da
parte dei revisori dei conti, è quello di rendere
trasparenti i risultati dell'azione amministrativa dei
politici giunti alla fine del proprio mandato. L'obiettivo è
duplice: prima del voto favorire campagne elettorali locali
basate sui dati, e chiuse le urne evitare il rimpallo di
responsabilità fra i nuovi eletti e i predecessori
sull'eventuale «polvere sotto il tappeto» ereditata.
Per queste ragioni, i modelli vincolanti di relazione
allegati al Dpcm puntano tutto sui dati oggettivi, secondo
un'articolazione che segue quella dei certificati di
bilancio anche per semplificare il compito di redazione del
documento. I modelli sono differenti a seconda che siano
relativi a Province, Comuni con più di 5mila abitanti ed
enti più piccoli (come accade per i questionari della Corte
dei conti), ma seguono un'articolazione fissa.
I risultati sono distinti per anno di mandato, per cui
arrivano a costruire una serie storica di tutte le
principali voci del bilancio dell'ente. Oltre a ogni Titolo
di entrata e di spesa, vengono messi sotto osservazione le
entrate non riscosse (residui attivi) e i mancati pagamenti
(residui passivi), evidenziandone anche il rapporto
percentuale con le dimensioni del bilancio per chiarire
l'entità del problema.
Focus specifici sono dedicati alla
gestione dell'indebitamento e all'eventuale riconoscimento
dei debiti fuori bilancio, oltre che alla gestione delle
partecipate. Nel documento, inoltre, andranno riportati gli
eventuali rilievi ricevuti dagli organi di controllo
esterno, a partire dalla Corte dei conti. Le parti
descrittive sono il più possibile limitate, e riguardano
soprattutto l'illustrazione delle modalità operative
dell'ente per quel che riguarda i controlli interni
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO: L'Anci
sulla riforma Brunetta.
«Patti» decentrati, nullità selettiva.
Il mancato adeguamento dei contratti decentrati alle regole
della riforma Brunetta determina una "nullità selettiva",
che riguarda solo le clausole in contrasto con la stessa
riforma. In questo caso, l'amministrazione può procedere
unilateralmente all'adeguamento, ma solo sulle materie su
cui non si è raggiunto l'accordo ed esclusivamente per
«assicurare continuità e migliore svolgimento della funzione
pubblica». Anche dopo l'eventuale atto unilaterale, gli enti
devono provare periodicamente a riaprire il dialogo con i
sindacati, per arrivare a una «definizione consensuale»
delle regole.
Con una
nota interpretativa diffusa ieri, l'Anci è
intervenuta sulla questione dei contratti integrativi "a
rischio nullità" per il fatto di non essere stati allineati
con la riforma del Pubblico impiego. Le regole scritte nel
«decreto Brunetta» (Dlgs 150/2009) hanno infatti sottratto
alla contrattazione una serie di materie, in particolare
quelle che riguardano l'organizzazione degli uffici
(affidate alla competenza esclusiva dei dirigenti),
imponendo a Regioni ed enti locali di adeguare le loro
intese decentrate entro il 31.12.2012.
Il termine, frutto già di una proroga annuale, è scaduto
senza che in molte amministrazioni territoriali si
ridisegnassero gli accordi già in vigore nel novembre 2009,
che per questo motivo possono decadere. L'inefficacia,
secondo i tecnici dell'Associazione dei Comuni riguarderebbe
solo le clausole non in linea con la riforma, e non l'intero
contratto (che altrimenti trascinerebbe con sé anche le
indennità disciplinate solo in sede decentrata).
In base
alla lettera della legge (articolo 40, comma 3-quinquies,
del Dlgs 165/2001), l'illegittimità parziale riguarderebbe
solo le intese che conservano clausole difformi anche dopo
il rinnovo, ma l'Anci invoca il principio di «conservazione
degli atti giuridici» per estenderlo anche ai casi di
mancato adeguamento tout court.
Alcuni enti hanno avviato azioni unilaterali per cambiare i
contratti decentrati, e l'Anci accende per loro il semaforo
verde; l'adeguamento unilaterale, però, deve essere limitato
alla rimozione chirurgica delle clausole non in linea con la
riforma e va "sanato" quanto prima riaprendo i
dialoghi con il sindacato
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.03.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Statali.
La discussione nel prossimo Cdm. Pubblico impiego, si
rischia il blocco degli aumenti.
LA MISURA/ Il congelamento per il 2014 era stato previsto
dalla manovra del luglio 2011 Coinvolta anche la scuola: la
protesta dei confederali.
La contrattazione nel pubblico impiego potrebbe rimanere
bloccata fino a tutto il 2014.
Una decisione definitiva non è ancora stata presa sul Dpr
che, attuando quanto previsto nella manovra di luglio 2011,
punta a congelare per altri due anni (il 2013 e il 2014)
stipendi e vacanza contrattuale per oltre 3 milioni di
dipendenti pubblici.
Il provvedimento è all'esame del Tesoro, ma il nodo sarà
sciolto molto probabilmente al prossimo consiglio dei
ministri (forse la prossima settimana) dove si discuterà
approfonditamente la questione. Tuttavia una eventuale
emanazione del Dpr non dovrebbe sorprendere visto che i
risparmi (che ne derivano) erano già stati tutti conteggiati
nei tendenziali di spesa indicati nella nota di
aggiornamento del Def (il Documento di economia e finanza)
di settembre scorso.
I sindacati però sono sul piede di guerra, anche perché la
bozza del provvedimento prevede interventi pure nel settore
scuola prorogando per il 2013 il blocco degli scatti
d'anzianità per il personale docente e amministrativo. Nel
pubblico impiego invece si confermerebbe che non si dà
luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure
contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del
personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, e
verrebbe prorogato anche (sempre per il medesimo personale)
il congelamento del riconoscimento degli incrementi
contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall'anno
2011.
Per quanto riguarda poi l'indennità di vacanza contrattuale
si specifica che, con riferimento al triennio 2015-2017,
dovrà essere calcolata secondo le modalità e i parametri
individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti in
materia, ed erogata dal 2015.
«Un'altra proroga al blocco dei contratti pubblici
sarebbe inaccettabile», hanno sottolineato Giovanni
Faverin e Francesco Scrima della Cisl: «Un atto sbagliato
che colpirebbe il bersaglio sbagliato».
Sulla stessa lunghezza d'onda Massimo Di Menna (Uil Scuola).
Mentre per Rossana Dettori (Fp-Cgil), questo Dpr è
inopportuno «specie in quadro politico così poco chiaro, in
assenza di un confronto con i lavoratori e con un tavolo
ancora aperto all'Aran».
Certo, il blocco dei contratti e degli stipendi degli
statali fino al 2014 «non faciliterà la trattativa sugli
assetti generali della contrattazione», ha sottolineato
il presidente dell'Aran, Sergio Gasparrini: «Sono
problemi che vanno però affrontati e riguardano
l'adeguamento al pubblico impiego della legge Fornero, il
modello di relazioni sindacali e i nuovi comparti».
La bozza di Dpr, come detto, sarà discussa dal prossimo
consiglio dei ministri. Il provvedimento dovrà poi essere
esaminato dal Consiglio di Stato, ricevere i pareri delle
commissioni Lavoro di Camera e Senato, e infine tornare per
l'ok definitivo in Cdm. E quindi, se verrà emanato, toccherà
comunque al prossimo esecutivo gestire l'intera partita
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: I phone center senza
paletti. Il comune non può porre
alcun vincolo.
Il Comune non può porre alcun vincolo alle imprese che hanno
aperto un phone center, perché ciò sarebbe in contrasto con
il dl 223/2006 che, in una prospettiva di liberalizzazione
degli accessi al mercato, esclude l'applicazione di
limitazioni all'assortimento merceologico offerto negli
esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore
alimentare e non alimentare.
Lo ha chiarito l'Autorità per la concorrenza ed il mercato
con la decisione 31.01.2013 e pubblicata
sul bollettino 7/2013.
L'interpretazione del garante è stata
sollecitata in riferimento al regolamento comunale approvato
dal Comune di Arezzo nel marzo del 2012, il quale ha
stabilito il divieto di svolgere contestualmente
all'attività di phone center anche quella di money transfer.
L'Antitrust, relativamente alle questioni poste, ha
precisato che l'attività di phone center è soggetta
alla disciplina speciale contenuta nel decreto legislativo
n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), il
quale, oltre a stabilire il principio generale secondo cui «[l]a
fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica,
che è di preminente interesse generale, è libera», prevede
che siano ammesse limitazioni nei soli casi di difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione
civile, della salute pubblica e della tutela dell'ambiente e
della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da
specifiche disposizioni di legge o da disposizioni
regolamentari di attuazione» (art. 3, commi 2 e 3).
E, per
quanto riguarda il divieto di svolgere attività di money
transfer, l'Autorità, a proposito della legge approvata
dalla regione Veneto, aveva già osservato che «[i]l
divieto di svolgimento, nei centri di telefonia in sede
fissa, di servizi diversi dalla cessione al pubblico di
servizi telefonici e dell'attività commerciale accessoria
rappresenta una ingiustificata limitazione quantitativa e
qualitativa dell'offerta in contrasto con le esigenze di
salvaguardia della concorrenza»
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, Mud da presentare entro il 30/4.
Entro il 30.04.2013 alcuni gestori di rifiuti (come gli
speciali, i veicoli fuori uso, i Raee) nonché i produttori
di imballaggi e di Aee devono presentare alle camere di
commercio competenti il modello unico di dichiarazione
ambientale (Mud).
A seguito della sospensione
dell'operatività del Sistri al 30.06.2013 è stato
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29.12.2012 il dpcm 20.12.2012 con cui si ripristina la presentazione
del Mud.
Per la presentazione del Mud è previsto il
pagamento del diritto di segreteria di euro 10 per le
dichiarazioni inviate via telematica; di euro 15 per le
dichiarazioni su supporto cartacea. Una dichiarazione
corrisponde ad una unità locale. Per la comunicazione Aee
non sono previsti diritti di segreteria.
Il software per la
compilazione del Mud sarà reso disponibile tramite le Cciaa,
l'Unioncamere (www.unioncamere.it), Infocamere
(www.infocamere.it), Ecocerved (www.ecocerved.it)
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013). |
APPALTI: I
comuni potranno accedere al casellario giudiziale tramite l'Anci.
Al ministero della giustizia non può essere richiesto di
stipulare più di 8.000 convenzioni, una per comune, al fine
di consentire alle amministrazioni l'accesso al Sic,
(Sistema informativo del casellario). E di conseguenza, la
direzione generale agli affari penali ha già scelto nell'Anci
e nel Authority di vigilanza dei contratti pubblici i propri
interlocutori. Sarà cura di ogni ente, quindi, aderire all'
intesa tra il ministero della giustizia e l'Associazione dei
comuni per le verifiche connesse alle attività produttive,
mentre per le opere ed i servizi pubblici le verifiche
dovranno essere esperite tramite l'Autorità per la vigilanza
sui contratti.
Lo ha chiarito il direttore dell'Ufficio III del
dipartimento per gli affari di giustizia con la
nota 20.02.2013 n. 24051 di prot..
Con la nota stessa, peraltro, il
ministero ha colto l'occasione per fornire alcune
indicazioni operative connesse alla tutela della
riservatezza dei dati contenuti nel casellario. Per
acquisire il certificato selettivo previsto dall'art. 39 del
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di casellario giudiziale (dpr 313/2002), infatti,
ha precisato il dicastero, dovranno essere «assolutamente»
indicate nella scheda informativa che accompagnerà la
richiesta, le norme che regolamentano lo specifico
procedimento amministrativo che ne giustifica la domanda.
In
altre parole, ha sottolineato il direttore Barbara Chiari,
occorre indicare puntualmente, sia la legge che disciplina
il procedimento, sia lo specifico articolo che stabilisce i
requisiti morali che deve possedere l'interessato per
l'accoglimento dell'istanza. A titolo di esempio, nel
procedimento per l'avvio di attività di vendita al
dettaglio, occorrerà indicare sia il riferimento al dlgs
59/2010, che all'articolo 71, commi 1, 3, 4 e 5, nei quali
sono stabiliti i motivi ostativi all'esercizio dell'attività
commerciale di vendita e somministrazione.
Per quanto
riguarda, invece, la consultazione diretta del Sic per
l'acquisizione del certificato previsto dall'art. 21 del
codice dei contratti pubblici, rilasciato ai fini del
controllo delle dichiarazioni sostitutive di certificati da
parte di tutte le stazioni appaltanti e degli enti
aggiudicatari, la stessa potrà avvenire soltanto per il
tramite dell'Autorità per la vigilanza dei contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp) presso la
quale è istituita la Banca dati nazionale dei contratti
pubblici (art. 6-bis del dlgs 163/2006).
E, a tale
proposito, sarà stipulata una convenzione con la suddetta
Autorità, nei tempi stabiliti dalla deliberazione dell'Avcp
n. 111 del 20.12.2012, consultabile all'indirizzo
http://avcp.it/portal/public/classic/
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Chiarimenti Covip sulla previdenza integrativa. Il fondo è blindato.
Nuova assunzione senza riscatto.
Il fondo pensione non ammette ripensamenti. Se il lavoratore
non effettua il riscatto, avendone la facoltà una volta
persi i requisiti di adesione al fondo pensione, non può più
farlo se viene riassunto o se manifesta la volontà di
proseguire l'iscrizione al fondo pensione mediante il
versamento di contributi volontari.
Lo precisa, tra l'altro,
la Covip in risposta ad appositi quesiti in materia di
riscatto per perdita dei requisiti di partecipazione su base
collettiva (aziendale) a un fondo pensione aperto.
Tre i quesiti. Il primo chiede di sapere fino a quando dura
la facoltà di riscatto per il lavoratore che, persi i
requisiti di partecipazione al fondo pensione, non l'abbia
esercitata immediatamente e sia stato assunto da una nuova
impresa avente titolo all'iscrizione allo stesso fondo
pensione. La Covip risponde che, con la nuova assunzione, il
lavoratore perde la facoltà di riscatto; pertanto, il
riscatto può avvenire soltanto nel periodo tra la perdita
del primo lavoro e a nuova occupazione.
Il secondo quesito
ipotizza la situazione di un lavoratore iscritto al fondo
pensione che, persi i requisiti di partecipazione, venga
assunto per un nuovo lavoro che prevede l'adesione
collettiva a un fondo diverso da quello originario. In tal
caso, spiega la Covip, si realizza la situazione di perdita
dei requisiti e, di conseguenza, il lavoratore può
esercitare il riscatto anche successivamente alla nuova
assunzione. Unica eccezione: il lavoratore decida di
trasferire la posizione al nuovo fondo pensione; in tal
caso, infatti, la decisione di trasferimento equivale a
rinuncia alla facoltà di riscatto.
Terzo e ultimo quesito riguarda un lavoratore che, venuti
meno i requisiti di partecipazione al fondo pensione,
prosegua l'iscrizione su base individuale, cioè mediante
versamenti volontari. La Covip spiega che l'adesione, in tal
caso, è collettiva fintanto che il lavoratore non inizi a
effettuare i versamenti contributivi, momento a partire dal
quale l'adesione diventa individuale.
Pertanto, è solo in
questa passaggio, cioè nel periodo tra la perdita dei
requisiti di adesione collettiva fino al primo versamento di
contributi individuali, che può essere esercitata l'opzione
del riscatto. Invece, una volta che il lavoratore ha
cominciato ad alimentare la posizione contributiva con
propri versamenti, è manifesta la volontà di continuare la
partecipazione al fondo a titolo individuale e diventa non
più possibile esercitare la facoltà di riscatto per perdita
dei requisiti.
In altre parole, conclude la Covip, la facoltà di riscatto è
esercitabile finché perdura la situazione legittimante (cioè
la perdita dei requisiti di iscrizione al fondo pensione),
mentre resta preclusa una volta eseguito il pagamento
individuale di contributi, per effetto del quale la
partecipazione al fondo cambia titolo, diventando da
collettiva a individuale
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Funzione
pubblica. La precisazione riguarda il periodo di astensione
per curare familiari con handicap. Congedo valido per la
pensione.
IL LIMITE/ L'assenza non incide sulla progressione economica
in quanto questa è legata all'attività svolta
effettivamente.
Il periodo trascorso in congedo
straordinario è valido a fini previdenziali, ma non per la
progressione economica.
La precisazione è stata fornita dal dipartimento della
Funzione pubblica (nota
15.01.2013 n. 2285 di prot.)
in risposta a un quesito posto dal ministero
dell'Istruzione, dell'università e della ricerca.
Oggetto della richiesta di chiarimenti è il congedo
straordinario retribuito che, in base a quanto previsto dai
commi 5 e seguenti dell'articolo 42 del Dlgs 151/2001, può
essere richiesto dal coniuge convivente di soggetto con
handicap in situazione di gravità (in assenza del coniuge il
diritto spetta a uno dei due genitori, anche adottivi o in
assenza degli stessi a un figlio convivente o, ancora, a uno
dei fratelli o sorelle conviventi).
Tale congedo può avere una durata massima di due anni
nell'intera vita lavorativa per ciascuna persona portatrice
di handicap e durante tale periodo il dipendente recepisce
un'indennità pari all'ultima retribuzione con riferimento
alle voci fisse e continuative del trattamento, con relativa
copertura della contribuzione figurativa ma senza
maturazione delle ferie, della tredicesima e del trattamento
di fine rapporto.
Poiché, scrive il Dipartimento, la legge ha previsto
l'istituto della contribuzione figurativa (che però vale
solo per i dipendenti del settore privato dato che la
contribuzione nel settore pubblico è legata alla
retribuzione effettivamente versata), si deve ritenere che
il periodo di congedo è valido ai fini pensionistici.
Invece, sottolinea ancora la Funzione pubblica, non è
rilevante per la progressione economica di chi ne
usufruisce: «Questa conclusione è confermata dalla
considerazione che, di regola, i periodi rilevanti ai fini
delle progressioni economiche presuppongono un'attività
lavorativa effettivamente svolta, che porta ad un
arricchimento della professionalità e ad un miglioramento
delle capacità lavorative del dipendente, situazione che non
ricorre nel momento in cui il dipendente si assenta dal
servizio e non svolge la propria attività lavorativa» (articolo
Il Sole 24 Ore del 27.02.2013 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Entro marzo il decreto sul blocco degli stipendi.
Pa. Oltre quella data scatta l'indennità
di vacanza contrattuale.
TEMPO DETERMINATO/
Avviate le trattative all'Aran per la disciplina degli
accordi a termine, rispetto a cui dovrebbe essere esclusa la
scuola.
Esaurite le esigenze da campagna elettorale, è atteso a
giorni il decreto dell'Economia che confermerà il blocco di
contrattazione, stipendi individuali e indennità di vacanza
contrattuale per i dipendenti pubblici nel 2013-2014.
Il congelamento delle buste paga per i 3,3 milioni di
dipendenti del pubblico impiego era spuntato nella manovra
estiva 2010, che aveva sospeso rinnovi e trattamenti
economici per il 2010-2012.
La possibilità di proroga era
stata avanzata dall'articolo 16 della prima manovra estiva
2011 (Dl 98/2011), e si era nei fatti trasformata di un dato
ovvio con l'evoluzione non troppo rassicurante della nostra
finanza pubblica, che non lasciava spazi a una ripresa della
spesa per stipendi. La proroga, però, nella manovra estiva
del 2011 era configurata come uno strumento solo potenziale
nelle mani dell'amministrazione finanziaria, che avrebbe
dovuto tradurla in pratica con un decreto dell'Economia.
Sul decreto si era lavorato per tempo, ma l'avvicinarsi
dell'appuntamento con le urne ha consigliato di rimandarne
l'emanazione, lasciando campo libero almeno in teoria al
rinnovo dei contratti nazionali (si veda Il Sole 24 Ore del
28.01.2013). Tanta prudenza non sembra essere servita a
proteggere le performance dei partiti che hanno sostenuto la
«strana maggioranza» di Mario Monti, ma comunque sia, chiuse
le urne, il decreto può vedere ufficialmente la luce. Da un
punto di vista tecnico-operativo, è essenziale che la sua
approvazione definitiva arrivi entro marzo, prima cioè che
scatti l'obbligo giuridico di pagare l'indennità di vacanza
ai dipendenti pubblici con i contratti scaduti da anni.
Più lontana da una soluzione sembra invece l'altra scadenza
passata sotto silenzio con la fine del 2012, che
rappresentava il termine ultimo per adeguare i contratti
integrativi in Regioni ed enti locali alle previsioni della
riforma Brunetta attuata con il Dlgs 150/2009. In base alla
legge, le intese decentrate che non sono state riformate per
allinearle al nuovo quadro delle competenze (che per esempio
sottrarrebbe al confronto sindacale le materie relative
all'organizzazione degli uffici, considerate di competenza
esclusivamente dirigenziale) diventerebbero illegittime, e
lo stesso accadrebbe di conseguenza alle indennità che non
trovano base normativa nei contratti nazionali, per esempio
l'indennità di rischio e quelle legate a specifiche
responsabilità.
Intese successive fra i sindacati e la Funzione pubblica
guidata da Filippo Patroni Griffi durante i 13 mesi del
Governo Monti hanno però ipotizzato di ridisegnare
nuovamente i rapporti fra sindacati e amministrazioni, per
cui le parti sociali attendono le nuove intese (è appena
partita la trattativa sui contratti quadro) per "superare"
nei fatti le previsioni della riforma Brunetta: rimane per
il momento il "buco" normativo, che potrebbe esporre
l'erogazione delle indennità locali a contestazioni da parte
della Corte dei conti.
Le trattative all'Aran, l'agenzia negoziale nel pubblico
impiego, sono appena state avviate anche per quel che
riguarda la disciplina dei contratti a termine. Le regole
generali dovrebbero continuare a escludere la scuola, su cui
incombe ancora però il pericolo giurisprudenziale legato a
sentenze come quella di Trapani che hanno riconosciuto a un
docente precario il diritto a essere rimborsato anche dei
mancati stipendi estivi e scatti di anzianità del futuro (si
veda Il Sole 24 Ore del 23 febbraio).
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I precedenti
01 | IL PRIMO BLOCCO
I rinnovi dei contratti nazionali, i trattamenti economici
individuali e il pagamento dell'indennità di vacanza
contrattuale erano stati sospesi la prima volta con il Dl
78/2010, che ha disposto il blocco per il triennio 2010-2012
02 | LA PROROGA
L'ipotesi di prorogare il congelamento al 2013-2014 era
stata inserita dall'articolo 16 del Dl 98/2011. Nella legge,
la proroga era solo un'ipotesi, da tradurre in atto con un
decreto del ministero dell'Economia
03 | IL DECRETO
Il decreto non è stato varato entro il 31 dicembre scorso,
per cui in teoria la contrattazione nel pubblico impiego
sarebbe potuta ripartire. Il decreto va varato entro marzo,
prima che scatti l'obbligo di versamento dell'indennità di
vacanza contrattuale (articolo Il Sole 24 Ore del
27.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: In
via di ultimazione la circolare dell'Agenzia delle entrate
con le semplificazioni. Appalti, responsabilità limitata.
Pagamento sospeso per la quota di debito non versata.
Nella disciplina sulla responsabilità (fiscale) nei
contratti di appalto, possibile sospensione del pagamento
limitata alla somma di debito erariale non versata
dall'appaltatore o dal sub-appaltatore e non all'intero
corrispettivo dovuto.
Numerose sono le perplessità operative, in presenza di
contratti di appalto e di sub-appalto, per effetto del
recente intervento, di cui all'art. 13-ter, del dl n.
83/2012 («Decreto crescita») e nonostante l'emanazione di un
recente documento di prassi (Agenzia delle entrate,
circolare 8/10/2012 n. 40/E).
L'art. 13-ter, dl n. 83/2012, in vigore dal 12/08/2012, ha
sostituito il comma 28, dell'art. 35, dl n. 223/2006
introducendo nuove disposizioni sulla disciplina applicabile
ai contratti di appalto o sub-appalto di opere, forniture e
servizi, conclusi da soggetti passivi Iva e da soggetti
collettivi, come le società di capitali, le cooperative, gli
enti pubblici e quant'altro, di cui agli artt. 73 e 74, dpr
n. 917/1986 (Tuir).
Innanzitutto, da quanto risulta a ItaliaOggi, l'Agenzia
delle entrate è in dirittura di arrivo per quanto concerne
l'emanazione della nuova (e seconda) circolare sul tema, con
l'obiettivo di semplificare la vita delle imprese, come già
anticipato a suo tempo dal quotidiano (si veda ItaliaOggi
26/01/2013).
Il documento di prassi è veramente atteso poiché la
disciplina, già in vigore, risulta particolarmente complessa
e articolata, anche per la definizione dell'ambito
applicativo; sul punto, nonostante l'art. 13-ter sia
contenuto in una sezione destinata alle misure per
l'edilizia, è opportuno confermare che la relativa
applicazione si estende a tutti i settori che operano
nell'ambito di appalti o sub-appalti. Si ritiene che siano
escluse dalla disciplina le prestazioni eseguite nei
confronti di un committente «privato» e sicuramente quelle
di natura intellettuale, fornite da professionisti, poiché
queste ultime trovano la giusta collocazione nell'ambito
dell'art. 2229 c.c. e non dell'art. 1655 c.c.
Al contrario, le disposizioni sulla solidarietà tributaria
parlano di contratti di appalto e di sub-appalto ovvero di
quei contratti con i quali una parte (appaltatore) assume il
compimento di un'opera o di un servizio su incarico di un
committente e verso un corrispettivo in danaro, con
organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio
rischio, ai sensi dell'articolo 1655 c.c., e riguardano le
attività delle imprese. L'individuazione del perimetro
applicativo non è del tutto agevole poiché il tenore
letterale delle disposizioni appena richiamate porterebbero
a escludere che tale disciplina si estenda ai contratti
d'opera, come disciplinati dall'art. 2222 c.c., che
prevedono la fattispecie in cui un soggetto si obbliga a
compiere un'opera verso pagamento di un corrispettivo, con
il lavoro proprio e senza vincolo di subordinazione. Di
conseguenza, alcuni autori, condivisibilmente, hanno
evidenziato che la prestazione d'opera di un artigiano con
modesta organizzazione d'impresa, sia riconducibile più in
un contratto d'opera (art. 2222 c.c.) che in un contratto di
appalto (art. 1655 c.c.) e che la corretta individuazione
del perimetro applicativo non può essere rimessa alla
discrezionalità delle parti in causa, sulla base delle
clausole contrattuali che potrebbero non essere apposte in
assenza di un accordo scritto.
Non è chiaro nemmeno se la disciplina, in presenza di
committenza privata, sia o meno applicabile nel caso in cui
l'appaltatore utilizzi uno o più sub-appaltatori, con la
possibile applicazione limitata ai rapporti tra queste due
ultime figure (appaltatore e sub-appaltore).
Una paradossale situazione, infine, è quella in cui
l'appaltatore, nei rapporti con il committente, o il
sub-appaltatore, nei confronti dell'appaltatore, non abbia
onorato i versamenti delle ritenute alla fonte sui redditi
da lavoratore dipendente o dell'Iva ma debba incassare un
corrispettivo più alto rispetto al debito erariale impagato.
Le disposizioni, in tal caso, non danno certezze con la
conseguenza che si ritiene che il committente o
l'appaltatore debbano sospendere l'intero pagamento del
corrispettivo fino al pagamento del debito erariale. In
attesa delle necessarie precisazioni in merito sembrerebbe
più corretto, in tal caso, sospendere il pagamento per
l'ammontare di debito erariale non ancoro onorato, mentre
dal dettato letterale pare che, per esempio, se il
committente deve pagare all'appaltatore prestazioni per un
corrispettivo pari a 10 mila euro, in presenza di debiti
(ritenute e Iva) dell'appaltatore non onorati per 5 mila
euro, lo stesso non può erogare gli ulteriori 5 mila euro
(10 mila - 5 mila) fino alla sistemazione di quanto dovuto,
creando ulteriori problemi di liquidità del prestatore
(appaltatore o sub-appaltatore)
(articolo ItaliaOggi del
26.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: Statali a digiuno fino al 2014.
Nessun aumento anche per la scuola. Nuova inflazione.
Ecco il decreto che Monti firmerà prima di
lasciare il governo. Economia: atto dovuto.
Dalle parti di via XX Settembre, dove il decreto è stato
lavorato in tandem con i tecnici del ministro della Funzione
pubblica, Filippo Patroni Griffi, spiegano che si tratta di
un atto dovuto. Vista la situazione del bilancio dello
stato, non ci sarebbero le condizioni per far fronte a un
aumento di stipendio in sede di rinnovo contrattuale per i 3
milioni di dipendenti pubblici.
Il decreto che sarà nei prossimi giorni alla firma del
premier Mario Monti, su proposta di Patroni Griffi e del
ministro dell'economia, Vittorio Grilli, è dunque solo un
mettere nero su bianco un blocco dei contratti che era
nell'aria già ai tempi dell'approvazione della legge di
Stabilità. E su cui nessuno, neanche un esecutivo di
centrosinistra, dicono rumors governativi, potrebbe fare
diversamente. Il provvedimento, che ItaliaOggi ha letto,
recita che «non si dà luogo, senza possibilità di recupero,
alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni
2013-2014 del personale dipendente dalle amministrazioni
pubbliche cosi come individuate ai sensi dell'articolo 1,
comma 2, della legge 31.12.2009 n. 196 e successive
modificazioni».
Nel novero del blocco contrattuale ricade
dunque la scuola, che con il suo milione di lavoratori è il
settore più corposo dell'intero pubblico impiego. La proroga
comporta anche per il 2013 il blocco degli scatti di
anzianità di docenti, ausiliari e amministrativi, che per gli
anni passati sono stati recuperati in sede negoziale tra
governo e sindacati. «Per il medesimo personale non si dà
luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento
degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a
decorrere dall'anno 2011».
Ma non è finita, per gli anni 2013 e 2014 non ci sarà
neanche la corresponsione dell'indennità di vacanza
contrattuale: «In deroga alle previsioni di cui all'articolo
47-bis, comma 2 del decreto legislativo 30.03.2011, n.
165 e successive modificazioni, e all'articolo 2, comma 35
della legge 22.12.2008, n. 303, per gli anni 2013 e
2014 non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al
riconoscimento di incrementi a titolo di indennità di
vacanza contrattuale che continua a essere corrisposta nelle
misure di cui all'articolo 9, comma 17, secondo periodo, del
decreto legge 31.05.2010, n. 78/2010.
L'indennità di vacanza contrattuale relativa al triennio
contrattuale 2015-2017 è calcolata secondo le modalità e i
parametri individuati dai protocolli e dalla normativa
vigenti in materia». Ci sarà infatti un nuovo meccanismo per
individuare anche l'inflazione da recuperare, avendo mandato
in soffitta il parametro europeo dell'Ipca
(articolo ItaliaOggi del
26.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
TRIBUTI: Tares, deroghe ad ampio raggio.
Niente imposta per i locali che non producono rifiuti.
I chiarimenti nello schema tipo di regolamento
predisposto dal dipartimento finanze.
Non sono soggetti alla Tares i locali e le aree che non
possono produrre rifiuti o che non comportano, secondo la
comune esperienza, la produzione di rifiuti in misura
apprezzabile per la loro natura o per il particolare uso cui
sono stabilmente destinati.
A chiarirlo è lo schema-tipo di
regolamento predisposto dal Dipartimento delle Finanze per
agevolare il compito dei comuni, chiamati a disciplinare il
nuovo tributo che, dallo scorso 1° gennaio, ha sostituito Tarsu e Tia.
Il presupposto della Tares, ai sensi dell’art. 14, comma 3,
del dl 201/2011 è dato alternativamente dal possesso,
dall’occupazione o dalla detenzione di locali o aree
scoperte, indipendentemente dal loro uso, purché
potenzialmente in grado di produrre rifiuti. Quest’ultimo
aspetto, ovvero la suscettibilità delle diverse tipologie di
immobili a produrre rifiuti, aveva generato, nella vigenza
della Tarsu, un ampio contenzioso.
L’art. 62 del dlgs
507/1993, infatti, contemplava, al comma 1, una presunzione
legale di produttività di rifiuti collegata alla detenzione
e all’occupazione (non era contemplato il possesso), mentre
il successivo comma 2 escludeva «gli immobili che non
possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il
particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché
risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel
corso dell’anno».
La disciplina relativa alla Tares, invece,
sembra ricollegare il presupposto non al fatto in sé del
possesso/occupazione/ detenzione dell’immobile, bensì alla
idoneità oggettiva dello stesso a produrre rifiuti.
L’ambito delle esclusioni, pertanto sembra essere più ampio
di quello rilevante ai fini della Tarsu, come confermato
dall’art. 8 della bozza di regolamento predisposta dalle
Finanze, che esonera dal tributo, oltre agli immobili che
non possono produrre rifiuti, anche quelli che non
comportano una produzione «in misura apprezzabile», secondo
la comune esperienza. Tale previsione, che certamente
include gli immobili inutilizzati (espressamente richiamati
dalla disciplina Tarsu), lascia notevoli margini di flessibilità ai comuni, che possono individuare le ipotesi di
esclusione adattandole alla specifica situazione locale.
Le
linee-guida individuano a titolo esemplificativo le
fattispecie più diffuse, fra cui: le unità immobiliari
adibite a civile abitazione prive di mobili e suppellettili
e sprovviste di contratti attivi di fornitura dei servizi
pubblici a rete; le superfici destinate al solo esercizio
di attività sportiva (ma non quelle con usi diversi, quali
spogliatoi, servizi igienici, uffici, biglietterie, punti
di ristoro, gradinate); i locali stabilmente riservati a
impianti tecnologici (vani ascensore, centrali termiche,
cabine elettriche, celle frigorifere, locali di essicazione
e stagionatura senza lavorazione, silos); le unità
immobiliari per le quali sono stati rilasciati, anche in
forma tacita, atti abilitativi per restauro, risanamento
conservativo o ristrutturazione edilizia (limitatamente al
periodo dalla data di inizio dei lavori fino alla data di
inizio dell’occupazione); le aree impraticabili o intercluse
da stabile recinzione; le aree adibite in via esclusiva al
transito o alla sosta gratuita dei veicoli.
Tale elenco
potrà essere modificato e integrato dai singoli comuni,
anche mediante l’individuazione di altre fattispecie: ad
esempio, lo schema di regolamento approvato dalla Regione
autonoma Valle d’Aosta include anche soffitte, ripostigli,
stenditoi, lavanderie, legnaie e simili limitatamente alla
parte del locale con altezza inferiore a metri 1,60.
Anche
per la Tares (come per la Tarsu), l’esclusione è subordinata
alla duplice condizione dell’indicazione di tali circostanze
nella denuncia (originaria o di variazione) ed alla
sussistenza di elementi di riscontro obiettivi direttamente
rilevabili o comprovati da idonea documentazione. Qualche
dubbio rimane in merito alla ripartizione dell’onere della
prova in caso di contestazioni. A parere di chi scrive
rimane fermo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di
legittimità rispetto alla Tarsu, secondo cui la prova
contraria atta a dimostrare la inidoneità del bene a
produrre rifiuti è ad esclusivo carico del contribuente,
dovendo il soggetto attivo (ovvero il comune) dimostrare
solo il fatto oggettivo dell’occupazione/ detenzione (si
veda Cass. n. 14770 del 15.11.2000).
Peraltro, lo
scheda di regolamento predisposto dal ministero prevede
(art. 8, comma 3) che «nel caso in cui sia comprovato il
conferimento di rifiuti al pubblico servizio da parte di
utenze totalmente escluse da tributo verrà applicato il
tributo per l’intero anno solare in cui si è verificato il
conferimento, oltre agli interessi di mora e alle sanzioni
per infedele dichiarazione».
Tale formulazione pare
riferirsi ai soli casi di conferimento abusivo di rifiuti
da parte di utenze che siano state interamente escluse dalla
Tares, ma potrebbe fornire appigli ai contribuenti per
invocare un’inversione dell’onere della prova. È quindi
opportuno che i comuni ne circoscrivano la portata ai
predetti casi
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.02.2013). |
ENTI LOCALI -
APPALTI: P.a., finanziamenti in chiaro.
Obblighi rafforzati per le concessioni oltre i mille euro.
Le misure contenute nel decreto
sulla trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
Totale trasparenza sui corrispettivi e sui contratti
affidati a imprese e professionisti; introdotto l'indicatore
di tempestività dei pagamenti delle pubbliche
amministrazioni; trasparenza assoluta sui finanziamenti e
sui contributi alle imprese, oltre che sulle partecipazioni
pubbliche in enti privati.
Sono alcune delle principali novità contenute nel decreto
legislativo recante la disciplina degli obblighi di
pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da
parte delle p.a., approvato in via definitiva dal consiglio
dei ministri del 15 febbraio scorso e in attesa di
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Il provvedimento
riveste particolare interesse per le imprese: infatti, da un
lato le mette in condizione di avere la massima e totale
trasparenza sull'operato delle pubbliche amministrazioni,
dall'altro rende trasparenti e accessibili a tutti
situazioni che coinvolgono l'operato delle imprese. Esempio
emblematico è l'introduzione del diritto di accesso civico
che comporta un'estensione soggettiva del generale diritto
di accesso ai documenti amministrativi di cui all'art. 22,
comma 1, legge 241/1990 anche per coloro che non sono
portatori di alcun interesse giuridico qualificato (diretto,
concreto e attuale) rispetto al procedimento.
Un primo aspetto che può interessare direttamente il settore
imprenditoriale è quello legato ai pagamenti delle
amministrazioni per appalti e contratti pubblici affidati
alle imprese.
L'articolo 33 del decreto, riprendendo quanto già previsto
dalla lett. a) del comma 5 dell'articolo 23 della legge n.
69 del 2009, impone alle pubbliche amministrazioni di
pubblicare e aggiornare annualmente l'indicatore dei tempi
medi di pagamento per l'acquisto di beni, servizi e
forniture, denominato «indicatore di tempestività dei
pagamenti». In questo modo, e anche in relazione alle nuove
disposizioni in materia di ritardati pagamenti, sarà
possibile tenere sotto controllo e monitorare i
comportamenti delle amministrazioni debitrici nei confronti
delle imprese aggiudicatarie dei contratti.
Un altro profilo di interesse attiene alle modalità di
pagamento: l'articolo 36 stabilisce che, per i pagamenti
informatici, le pubbliche amministrazioni rendano note nei
propri siti istituzionali e specifichino nelle richieste di
pagamento i codici Iban identificativi del conto di
pagamento, ovvero gli identificativi del conto corrente
postale sul quale i soggetti versanti possono effettuare i
pagamenti mediante bollettino postale, oltre ai codici
identificativi del pagamento da indicare obbligatoriamente
per il versamento.
Pubblicità e trasparenza assoluta viene prevista
dall'articolo 26 anche per gli atti di concessione delle
sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari alle
imprese, nonché per l'attribuzione dei corrispettivi e dei
compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati,
e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a
persone ed enti pubblici e privati. L'obbligo di pubblicità
è addirittura «rafforzato» dal fatto che la pubblicazione
diviene condizione legale di efficacia dei provvedimenti che
dispongono concessioni e attribuzioni di importo complessivo
superiore a mille euro nel corso dell'anno solare al
medesimo beneficiario (è poi anche prevista la
responsabilità disciplinare del pubblico dipendente che
abbia violato l'obbligo). In base all'articolo 27 vengono
poi specificati, riprendendo quanto già previsto dal dl
83/2012, gli elementi oggetto di pubblicità, fra cui: il nome
dell'impresa o altro soggetto beneficiario, la norma o il
titolo base dell'attribuzione, l'ufficio e il funzionario o
dirigente responsabile del procedimento, le modalità seguite
per individuazione del soggetto beneficiario, il link al
progetto selezionato, al curriculum del soggetto incaricato.
L'articolo 25 del decreto prevede, sulla scorta
dell'articolo 14, comma 3 del dl n. 5/2012 (che delega il
governo ad adottare sistemi di semplificazione dei controlli
sulle imprese) che le pubbliche pubblichino sul proprio sito
istituzionale e sul sito www.impresainungiorno.gov.it sia
l'elenco delle tipologie di controllo cui sono assoggettate
le imprese in ragione della dimensione e del settore di
attività, sia l'elenco degli obblighi e degli adempimenti
oggetto delle attività di controllo che le imprese sono
tenute a rispettare. Infine, alcune norme del provvedimento
si occupano della pubblicità e trasparenza dei dati relativi
agli enti di diritto privato controllati o vigilati
dall'amministrazione pubblica, nonché alle partecipazioni in
società di diritto privato
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Contratti
pubblici, uno spazio ad hoc sui siti istituzionali.
Obbligo di pubblicare sui siti internet i dati principali
dei contratti stipulati dalle amministrazioni con le
imprese; trasparenza assoluta sui processi di pianificazione
e programmazione sulle opere pubbliche e di valutazione
degli investimenti.
È quanto prevede il decreto legislativo in materia di
pubblicità e trasparenza dell'operato delle amministrazioni
che all'articolo 37 declina i principi di trasparenza e
pubblicità anche come obbligo di pubblicazione delle
informazioni, relative ai contratti pubblici, sui siti
istituzionali di ciascuna amministrazione pubblica.
Si
tratta di un adempimento che è funzionale a garantire
esigenze di garanzia, a favore di ogni potenziale offerente
e della collettività, a che siano conoscibili e accessibili
i dati relativi alle procedure di aggiudicazione ed
esecuzione dei contratti pubblici, in modo da consentire un
maggior controllo sull'imparzialità degli affidamenti nonché
una maggiore apertura degli appalti pubblici alla
concorrenza. Saranno quindi accessibili l'oggetto del bando,
l'elenco degli offerenti, l'aggiudicatario, l'importo di
aggiudicazione, i tempi di completamento dell'opera,
servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate.
Entro
il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente
all'anno precedente, dovranno essere pubblicate in tabelle
riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato
digitale standard aperto, per un maggior controllo
sull'imparzialità degli affidamenti, nonché una maggiore
apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. La norma
richiama anche, con una formula omnicomprensiva, tutti gli
obblighi di pubblicazione, in materia di contratti pubblici,
derivanti dalla normativa nazionale, ivi compresi quelli che
si sostanziano nella pubblicazione sui quotidiani, locali e
nazionali, per estratto, di avvisi e bandi di gara.
Di
particolare rilievo è anche la previsione con la quale si
introduce per le pubbliche amministrazioni l'obbligo di
pubblicare, nell'ipotesi di cui all'articolo 57, comma 6,
del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, la delibera
a contrarre. Si tratta dei casi in cui le amministrazioni
affidano contratti con procedura negoziata senza
pubblicazione del bando di gara. Sui propri siti
istituzionali le amministrazioni dovranno inoltre rendere
pubbliche le informazioni concernenti tempi, costi unitari e
indicatori di realizzazione delle opere pubbliche
completate.
L'articolo 38 del decreto, riprendendo quanto già previsto
dall'articolo 9, comma 1, dlgs 228 del 2011 in ordine alla
trasparenza dei processi di pianificazione, realizzazione e
valutazione delle opere pubbliche, prevede poi l'obbligo per
le pubbliche amministrazioni di pubblicare tempestivamente
sui propri siti istituzionali: i documenti di programmazione
anche pluriennale delle opere pubbliche, le linee guida per
la valutazione degli investimenti, le relazioni annuali e
ogni altro documento predisposto nell'ambito della
valutazione, compresi i pareri dei valutatori che si
discostino dalle scelte delle amministrazioni e gli esiti
delle valutazioni ex post
(articolo ItaliaOggi Sette del
25.02.2013 - tratto da www.corteconti.it). |
TRIBUTI: La Tares comunale dimentica i rifiuti speciali.
La maggiorazione segue le regole della quota ambiente.
Dal 1° gennaio è entrato in vigore il nuovo tributo a
copertura dei servizi indivisibili dei Comuni, anche se di
"comunale" c'è ben poco, visto che la misura base, pari a
0,30 euro al mq di superficie imponibile, e che secondo le
stime del Governo vale un miliardo di euro, andrà tutta allo
Stato. Ai Comuni rimane comunque la possibilità di
incrementare il tributo di altri 0,10 euro, riservandosene
il gettito.
Peraltro, sul fronte del "riversamento" allo Stato le regole
sono ancora da definire, anche alla luce delle varie
modifiche succedutesi nel corso del 2012. L'articolo 14,
comma 13-bis, Dl 201/2011, prevede una riduzione del
soppresso fondo sperimentale di riequilibrio, ora sostituito
dal fondo di solidarietà comunale, in «misura
corrispondente» al gettito derivante dalla maggiorazione
standard; si prevede inoltre che in caso di incapienza
ciascun Comune deve versare allo Stato le somme residue.
La normativa nulla dispone in merito al criterio di
quantificazione degli importi dovuti allo Stato, se in base
a una stima una tantum, o a poco attendibili superfici
catastali o, infine, a una rendicontazione puntuale degli
incassi registrati da ogni singolo Comune. Considerato che,
rispetto al testo originario, è oggi previsto il pagamento
esclusivamente con F24 o con bollettino postale
centralizzato - i cui modelli ancora non sono stati
approvati - sarebbe auspicabile che fossero individuati due
codici tributo, uno per il tributo sui servizi indivisibili
di competenza statale e uno per quello di competenza
comunale, in modo tale che ci sia un riversamento diretto
nelle casse dello Stato, come già avviene per l'Imu. Ciò
eviterebbe inutili e dispendiose rendicontazioni.
Lo stesso sistema peraltro potrebbe essere usato anche per
il tributo provinciale di tutela dell'ambiente.
Nel prototipo di regolamento Tares predisposto dall'Economia
si ricorda che la maggiorazione per i servizi indivisibili
ha natura di imposta addizionale rispetto al tributo sui
rifiuti (che ha invece natura di tassa), di cui assume il
medesimo presupposto.
Questo porta ad applicare alla maggiorazione sui servizi le
stesse esclusioni, riduzioni, agevolazioni ed esenzioni
applicabili al tributo sui servizi. Così le aree e i locali
sui cui si producono rifiuti speciali non assimilati sono
esclusi sia dal tributo sui rifiuti che da quello sui
servizi. O ancora, le percentuali di riduzione da applicare
alle superfici in cui vi è contestuale produzione di rifiuti
urbani e speciali, saranno applicabili anche al tributo sui
servizi.
Oltre ad agevolazioni che si traducono in riduzione di
superficie vi sono agevolazioni che si applicano sotto forma
di riduzione della tariffa, come quelle assicurate a chi
effettua la raccolta differenziata, alle abitazioni occupate
dai residenti esteri e altre ancora previste dalla normativa
o che possono essere decise autonomamente dai Comuni con il
regolamento Tares.
L'articolo 14, comma 21, Dl 201/2011, prevede che tutte
queste agevolazioni, riduzioni ed esenzioni si applicano
anche al tributo sui servizi indivisibili, sia di competenza
statale che comunale
(articolo Il Sole 24 Ore del
25.02.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: Codice
appalti. Le istruzioni dell'Authority.
Contratti in forma elettronica con regolamenti autonomi.
La nuova disciplina sulla stipulazione elettronica dei
contratti vale solo per gli appalti e richiede
l'elaborazione di regole attuative da parte degli enti
locali.
L'Autorità sugli appalti ha fornito una serie di chiarimenti
sulla nuova formulazione dell'articolo 11, comma 13, del
Codice Appalti, introdotta dalla legge 221/2006 che comporta
l'obbligo di digitalizzare i contratti.
Nella determinazione n. 1/ 2013 l'Authority evidenzia che la
nuova norma riguarda solo i contratti disciplinati dal Dlgs
163/2006, mentre rimangono esclusi i contratti di locazione
o quelli di compravendita immobiliare. Il nuovo comma 13 non
incide però sul generale obbligo di stipulazione dei
contratti mediante atto pubblico o in forma pubblica
amministrativa, dettato dall'articolo 16 del Rd 2240/1923,
ancora vigente come l'articolo 17 dello stesso decreto, che
individua l'eccezione per i contratti derivanti da procedura
negoziata (stipulabili anche con scrittura privata).
Secondo l'Autorità, infatti, la disposizione determina
l'obbligo ulteriore, riferito appunto ai soli contratti per
gli appalti e le concessioni, di composizione con modalità
elettroniche: l'atto pubblico notarile informatico e l'atto
in forma pubblica con l'intervento dell'ufficiale rogante
(il segretario comunale o provinciale), secondo regole di
gestione informatizzata stabilite da ciascuna
amministrazione.
Ogni amministrazione aggiudicatrice è quindi chiamata a
definire all'interno del proprio regolamento dei contratti
alcune norme specifiche.
L'Authority evidenzia che le amministrazioni possono
prevedere la sottoscrizione dalle parti con la firma
elettronica "leggera", ossia l'acquisizione digitale della
firma autografa, richiedendo invece come passaggio
essenziale l'apposizione della firma digitale da parte
dell'ufficiale rogante.
Il percorso è garantito sia dall'articolo 25, comma 2, del Dlgs 82/2005 sia dalla legge notarile sull'atto pubblico
informatico (in particolare dall'articolo 52-bis).
L'Autorità, inoltre precisa che l'articolo 6 della legge
221/2012 ha introdotto invece (comma 2) un obbligo di
stipulazione solo con firma digitale degli accordi tra
Pubbliche amministrazioni, quando stipulati ai sensi
dell'articolo 15 della legge 241/1990.
La determinazione 1/2013 chiarisce anche che la forma della
scrittura privata può ancora essere gestita secondo modalità
tradizionali (firma autografa su supporto cartaceo), nulla
vietando, peraltro, alle amministrazioni di applicare alla
stessa la sottoscrizione con firma digitale o realizzare lo
scambio delle lettere secondo gli usi del commercio mediante
l'utilizzo della posta elettronica certificata
(articolo Il Sole 24 Ore del
25.02.2013). |
APPALTI:
Pagamenti, la trasparenza non va online. Gli enti
disattendono l'obbligo di pubblicazione sui siti delle spese
oltre mille euro in vigore da gennaio.
Quanto spende il tuo sindaco? In teoria dal primo gennaio
dovrebbe bastare un click per saperlo. In pratica, invece,
il sipario sui pagamenti della pubblica amministrazione non
si è ancora alzato.
A distanza di due mesi dall'entrata in vigore dell'obbligo
di mettere on-line tutti i pagamenti oltre i mille
euro sono veramente pochissime le amministrazioni pubbliche
in regola con le nuove disposizioni (articolo 18 del Dl
83/2012).
Un censimento ufficiale non è ancora disponibile, ma un
monitoraggio ufficioso, svolto dal sito «L'era della
trasparenza» e coordinato da Agorà digitale, segnala a
fine gennaio un tasso di regolarità praticamente nullo: su
circa mille siti pubblici censiti sono poco più di una
trentina -molte le Province- quelli con l'elenco.
Tra questi, c'è la Regione Lombardia. Il monitoraggio
fornisce uno spaccato rappresentativo di tutte le
provvidenze, le fatture, le spese grandi e piccole dell'era
Formigoni. Tutto visibile, fin nei minimi dettagli: dai
363mila euro richiesti dal Centro studi interregionale
Cinsedo come quota associativa 2013 ai 2.860 versati alla
Royal Food (rinfresco o tramezzini?) per spese di
rappresentanza. La Regione Lazio, invece, rende noti solo i
dati del microcredito, dei sussidi agricoli e per il diritto
allo studio. Ancora un po' poco per l'ente di Fiorito.
Buio pesto, poi, nelle aziende sanitarie locali lombarde. A
fronte di 797 milioni di servizi acquistati (bilancio 2010),
ad esempio, dalla Asl 2 di Milano, non un centesimo è ancora
visibile nella sezione "Trasparenza, valutazione e merito"
dell'azienda. Zero anche per le medesime realtà di Bergamo.
Ma non è un fatto territoriale: nulla cambia, per esempio,
nelle Asl di Alessandria o di Livorno.
Tra le amministrazioni centrali rispetta l'obiettivo la
Presidenza del Consiglio dei ministri, ma non l'enorme
centro di spesa rappresentato dal ministero delle
Infrastrutture.
L'intento della norma è chiaro: fare luce sulla gestione
della spesa pubblica, sui 140 miliardi di euro solo per gli
acquisti (stima Istat), senza contare i mille rivoli dei
finanziamenti e contributi a pioggia.
Da qui l'obbligo di mettere in rete, in formato aperto,
qualsiasi uscita (fatture, contributi) sopra i modesti mille
euro.
Alla Pa è stato dato un po' di tempo per organizzarsi di
fronte alla ciclopica sfida: l'obbligo è in vigore da agosto
scorso, ma solo da gennaio è accompagnato da pesanti «sanzioni».
Innanzitutto per i beneficiari dei pagamenti: la
pubblicazione preventiva degli importi è «condizione
legale di efficacia del titolo» di pagamento. In altre
parole se si aggira la norma, il pagamento diventa un fatto
indebito (e va restituito). Una vera e propria spada di
Damocle che dal primo gennaio pende su milioni di cittadini
(e pochi lo sanno): dall'impresa appaltatrice di un lavoro
pubblico, fino allo studente che incassa il sussidio
scolastico. Possono tutelarsi solo segnalando
l'inadempienza. Anche i dirigenti dell'amministrazione
rischiano in proprio: per loro può scattare la
responsabilità patrimoniale e devono risarcire i danni.
Eppure l'opacità resta. «In realtà sappiamo che molte
amministrazioni stanno cercando di mettersi in regola
-spiega Antonio Naddeo, capo dipartimento della Funzione
pubblica- ma hanno difficoltà organizzative, e nessuna
risorsa aggiuntiva». Ancora più difficile per le realtà
più grandi e articolate sul territorio organizzare il flusso
di informazioni e centralizzarle.
Per Ernesto Belisario di Agorà digitale a rallentare le
scelte degli enti hanno contribuito «le prime bozze del
decreto di riordino della trasparenza amministrativa che
sembravano rimensionare questi obblighi e sospenderli per
sei mesi». Proprio Agorà rivendica di essere riuscita «con
un emendamento a ripristinare il testo vigente». La
riforma è stata approvata il 15 febbraio dal Consiglio dei
ministri. Se come sembra anche si confermerà il rigore sulla
spesa non è più tempo di sconti. Dopo la stretta sui tempi
di pagamento dei fornitori, anche la mancata trasparenza sui
destinatari dei soldi pubblici può costare molto cara alle
amministrazioni (articolo
Il Sole 24 Ore del 25.02.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
GIURISPRUDENZA |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
La convalida attiene alla
rimozione ex ufficio del vizio di un atto invalido e non già
nell’annullamento in autotutela del medesimo, e che
quantunque quest’ultimo sia posto in essere (anche) per dare
coerenza e legittimità al successivo operato
dell’amministrazione esso non per questo perde i caratteri
della discrezionalità e della cura di interessi ulteriori
rispetto al mero ripristino della legalità, caratteri
incompatibili con la vicenda della convalida descritta
dall’art. 21-nonies secondo comma.
Quanto al secondo ed al quarto motivo d’appello, entrambi incentrati,
sebbene con diversa declinazione, sulla convalidabilità
dell’atto annullabile, ex art. 21-nonies, secondo comma,
della legge 241/1990 a mente del quale, “è fatta salva la
possibilità di convalida del provvedimento annullabile,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un
termine ragionevole”, può osservarsi che la fattispecie
oggetto dell’odierno esame integra piuttosto un’ipotesi di
sanatoria in senso stretto esulante dai margini applicativi
della norma citata. Ma anche a volere ammettere un generale
potere di sanatoria, esso potrebbe estendersi esclusivamente
agli apporti procedimentali necessari che non siano
collegati ad una fisiologica e funzionale scansione
temporale, com’è invece per i pareri, espressione di un
potere consultivo il cui esercizio informa ed istruisce
quello provvedimentale successivo.
Inappropriato è poi il riferimento alla convalida con
riguardo all’autoannullamento dell’atto presupposto. Nella
tesi dell’appellante, siccome l’ultra vigenza dell’atto
presupposto provocava l’invalidità dell’atto conseguente (e
fondava la doglianza ritualmente avanzata nel giudizio)
l’avere l’amministrazione annullato anche l’atto presupposto
si tradurrebbe in una indiretta convalida dei vizi dell’atto
a valle, effettuata in corso di giudizio.
In proposito è sufficiente sottolineare che la convalida
attiene alla rimozione ex ufficio del vizio di un atto
invalido e non già nell’annullamento in autotutela del
medesimo, e che quantunque quest’ultimo sia posto in essere
(anche) per dare coerenza e legittimità al successivo
operato dell’amministrazione esso non per questo perde i
caratteri della discrezionalità e della cura di interessi
ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità,
caratteri incompatibili con la vicenda della convalida
descritta dall’art. 21-nonies secondo comma (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.02.2013 n. 1228 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La mera pubblicazione
dell'aggiudicazione di un appalto sull'albo pretorio non può
essere ritenuta idonea, nel sistema previsto dall'art. 79
del Codice dei contratti, come modificato dall'art. 2,
d.lgs. n. 53 del 2010, a determinare la decorrenza del
termine di impugnazione in caso di mancata comunicazione
dell'aggiudicazione definitiva a tutti gli interessati
secondo la prescrizione della citata disposizione normativa.
In quest’ultimo caso, infatti, al di fuori delle ipotesi in
cui i convenuti eccepiscano la piena conoscenza
dell’aggiudicazione da parte del ricorrente e dimostrino
tale evenienza in capo alla ricorrente medesima, la
decorrenza del termine di impugnazione di trenta giorni ex
art. 120, comma 1, c.p.a. non opera, dovendosi, dunque,
ricorrere alla disposizione del seguente comma 2, secondo
cui il termine decorre dal giorno successivo alla data di
pubblicazione dell’avviso ex artt. 65 e 225 del d.lgs.
163/2006 (nella specie insussistente o, comunque non
dimostrato da chi l’avrebbe dovuto eccepire, ovvero dai
convenuti in appello), ovvero è pari a sei mesi dalla data
di stipulazione del contratto.
Tuttavia, il Collegio deve osservare che la mera pubblicazione
dell'aggiudicazione di un appalto sull'albo pretorio, come è
avvenuto nella specie, non può essere ritenuta idonea, nel
sistema previsto dall'art. 79 del Codice dei contratti, come
modificato dall'art. 2, d.lgs. n. 53 del 2010, a
determinare la decorrenza del termine di impugnazione in
caso di mancata comunicazione dell'aggiudicazione definitiva
a tutti gli interessati secondo la prescrizione della citata
disposizione normativa.
In quest’ultimo caso, infatti, al di fuori delle ipotesi in
cui i convenuti eccepiscano la piena conoscenza
dell’aggiudicazione da parte del ricorrente e dimostrino
tale evenienza in capo alla ricorrente medesima (il che non
si verifica nel caso di specie), la decorrenza del termine
di impugnazione di trenta giorni ex art. 120, comma 1,
c.p.a. non opera, dovendosi, dunque, ricorrere alla
disposizione del seguente comma 2, secondo cui il termine
decorre dal giorno successivo alla data di pubblicazione
dell’avviso ex artt. 65 e 225 del d.lgs. 163/2006 (nella
specie insussistente o, comunque non dimostrato da chi
l’avrebbe dovuto eccepire, ovvero dai convenuti in appello),
ovvero è pari a sei mesi dalla data di stipulazione del
contratto (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.02.2013 n. 1204 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Gare
lavori, l'avvalimento non può essere limitato.
Conclusioni dell'Avvocato generale della Corte di
giustizia Ue.
Illegittimo limitare l'avvalimento per le gare di lavori: il
codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006) viola la
direttiva 2004/18 sugli appalti pubblici perché non consente
di utilizzare i requisiti di due imprese per qualificarsi in
una specifica categoria di lavori e impedisce l'accesso alle
gare da parte delle piccole e medie imprese.
È questa la
conclusione cui giunge l'Avvocato generale Jääskinen nella
conclusione 28.02.2013 causa C-94/12, rimessa alla Corte di giustizia europea dal
Tar delle Marche, che -laddove confermate- porterebbero al
superamento dei vincoli oggi previsti nel «codice De Lise».
La questione riguarda in particolare una specifica norma del
Codice dei contratti pubblici: l'articolo 49, comma 6, del
decreto legislativo n. 163, del 12.04.2006, che per
quanto riguarda la partecipazione a gare d'appalto prevede
che «per i lavori, il concorrente può avvalersi di una sola
impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione.
Il bando di gara può ammettere l'avvalimento di più imprese
ausiliarie in ragione dell'importo dell'appalto o della
peculiarità delle prestazioni, fermo restando il divieto di
utilizzo frazionato per il concorrente dei singoli requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi di cui
all'articolo 40, comma 3, lettera b), che hanno consentito
il rilascio dell'attestazione in quella categoria».
Nella
fattispecie oggetto del contenzioso era accaduto che la
stazione appaltante aveva provveduto ad escludere dalla gara
un raggruppamento temporaneo in cui una delle imprese si era
qualificata in una determinata categoria di qualificazione Soa utilizzando i requisiti di due imprese diverse, in
assenza di previsione del bando. Dopo avere ricostruito la
posizione della giurisprudenza comunitaria, prendendo le
mosse dalla sentenza del 1994 (Ballast Noedam groep, vedi
ItaliaOggi del 20.05.1994, pag. 25), l'Avvocato generale
afferma espressamente che «l'esclusione degli offerenti
sulla base del numero dei soggetti che partecipano
all'esecuzione, da cui discende che sia ammessa una sola
impresa ausiliaria per categoria, riduce le scelte
dell'amministrazione aggiudicatrice e può incidere
sull'efficacia della concorrenza».
Il diritto comunitario
deve infatti tendere a garantire la massima apertura alla
concorrenza «non solo con riguardo all'interesse alla libera
circolazione dei prodotti e dei servizi, bensì anche
nell'interesse stesso dell'amministrazione aggiudicatrice,
la quale disporrà così di un'ampia scelta circa l'offerta
più vantaggiosa».
Ma c'è un secondo obiettivo da perseguire:
«aprire il relativo mercato a tutti gli operatori economici
indipendentemente dalla loro dimensione», favorendo quindi
«l'integrazione delle piccole e medie imprese (pmi)», che,
nelle parole dell'Avvocato generale, «vengono considerate la
spina dorsale dell'economia dell'Ue». Da ciò l'esigenza che
le pmi non siano «ostacolate dalla dimensione degli
appalti».
Pertanto contrastano con tali esigenze i limiti alla
possibilità per gli offerenti di partecipare a
raggruppamenti facendo affidamento sulle capacità di imprese
ausiliarie come previsto nel codice dei contratti italiano
(articolo ItaliaOggi del 02.03.2013). |
URBANISTICA: Il
proprietario che impugna gli atti di pianificazione
urbanistica generale ha un interesse qualificato a censurare
la violazione delle norme sulla VAS, laddove le
determinazioni di quest’ultima abbiano inciso sulle scelte
di piano relative al proprio compendio in senso sfavorevole.
---------------
Occorre rimarcare, con riguardo all’individuazione
dell’autorità competente per la VAS nella persona del
sindaco, Che l’Amministrazione locale resistente ha in ogni
modo dato applicazione alle prescrizioni regionali in
materia, vale a dire il decreto regionale 14.12.2010, n.
13071, il quale consente nei Comuni con popolazione
inferiore a 5.000 abitanti che l’autorità competente possa
essere individuata anche nell’organo esecutivo titolare
della responsabilità degli uffici e dei servizi di tutela e
valorizzazione ambientale.
---------------
Va ricordata l’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni
nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica,
nei confronti della quale i privati possono godere di
aspettative qualificate soltanto in un numero limitato di
casi, peraltro insussistenti nella presente fattispecie.
La censura appare priva di pregio, sotto vari profili.
In primo luogo, essa si pone in contrasto con l’indirizzo
interpretativo del Consiglio di Stato (cfr. la sentenza
della Sezione IV di quest’ultimo, 12.01.2011, n. 133), per
il quale il proprietario che impugna gli atti di
pianificazione urbanistica generale ha un interesse
qualificato a censurare la violazione delle norme sulla VAS,
laddove le determinazioni di quest’ultima abbiano inciso
sulle scelte di piano relative al proprio compendio in senso
sfavorevole (nella citata sentenza n. 133/2011 si legge a
tale proposito che: <<….occorre che le "determinazioni
lesive" fondanti l'interesse a ricorrere siano
effettivamente "condizionate", ossia causalmente
riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni
raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l'istante avrebbe
dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie
abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative
ai suoli in sua proprietà…>>).
Nel caso di specie, le censure specificamente riguardanti la
destinazione urbanistica dell’area degli esponenti non
paiono attenere alle scelte effettuate in sede di VAS.
Fermo restando quanto sopra esposto, avente carattere
assorbente, occorre altresì rimarcare, con riguardo
all’individuazione dell’autorità competente nella persona
del sindaco –che nel Comune di Lambrugo ricopre anche il
ruolo di responsabile di servizio, ai sensi della legge
388/2000– che l’Amministrazione locale resistente ha in ogni
modo dato applicazione alle prescrizioni regionali in
materia, vale a dire il decreto regionale 14.12.2010, n.
13071, il quale (vedesi punto 5 dell’allegato A), consente
nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti che
l’autorità competente possa essere individuata anche
nell’organo esecutivo titolare della responsabilità degli
uffici e dei servizi di tutela e valorizzazione ambientale
(cfr. il documento depositato dalla difesa regionale il
28.12.2012; si rimarca altresì che tale decreto non è
neppure stato oggetto di rituale impugnazione).
---------------
Preliminarmente occorre
ricordare il pacifico indirizzo giurisprudenziale, ribadito
di recente in importanti arresti del Giudice Amministrativo
d’appello, sull’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni
nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica,
nei confronti della quale i privati possono godere di
aspettative qualificate soltanto in un numero limitato di
casi, peraltro insussistenti nella presente fattispecie
(cfr., fra le tante, la fondamentale sentenza del Consiglio
di Stato, sez. IV, 10.05.2012, n. 2710, richiamata e
confermata dalla successiva sentenza della stessa Sezione IV,
28.11.2012, n. 6040; Consiglio di Stato, sez. IV,
28.12.2012, n. 6703, oltre che, fra le decisioni di primo
grado, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 08.02.2012, n. 437 e
TAR Basilicata, 16.12.2011, n. 602) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.02.2013 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’Amministrazione
comunale è certamente chiamata allo svolgimento di
un’attività istruttoria per accertare la sussistenza del
titolo legittimante, anche se all’Ente pubblico spetta
soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo
sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante,
senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda
fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi,
preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità
dell’immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia, il
che spiega perché il permesso di costruire ed in genere i
titoli edilizi sono sempre rilasciati con la formula “fatti
salvi i diritti dei terzi”.
L’art. 23, comma 1, del DPR 380/2001 consente la
presentazione della DIA al <<proprietario dell’immobile o
a chi abbia titolo (…)>>, utilizzando un’espressione
sostanzialmente identica a quella contenuta nell’art. 11 del
medesimo DPR (sulle caratteristiche del permesso di
costruire) e, nella Regione Lombardia, negli articoli 35 e
42 della legge regionale 12/2005 sul governo del territorio.
La disposizione di cui sopra –in ordine ai soggetti
legittimati a chiedere al Comune di poter svolgere attività
edilizia- viene interpretata dalla giurisprudenza
amministrativa nel senso che l’Amministrazione comunale è
certamente chiamata allo svolgimento di un’attività
istruttoria per accertare la sussistenza del titolo
legittimante, anche se all’Ente pubblico spetta soltanto la
verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale
idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna
ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla
ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o
estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile,
allegato da chi presenta istanza edilizia, il che spiega
perché il permesso di costruire ed in genere i titoli
edilizi sono sempre rilasciati con la formula “fatti
salvi i diritti dei terzi” (cfr. sul punto, Consiglio di
Stato, sez. IV, 08.06.2011, n. 3508; TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 10.02.2012, n. 496 e 31.03.2010, n. 842, con la
giurisprudenza ivi richiamata, oltre a TAR Campania, Napoli,
sez. II, 06.12.2010, n. 26817).
Nella Regione Lombardia, a conferma del citato indirizzo
interpretativo, l’art. 42, comma 8, lett. a), della legge
regionale 12/2005 prevede che il dirigente o il responsabile
dell’ufficio competente verifichi, in relazione alla DIA, <<la
regolarità formale e la completezza della documentazione
presentata>>
(TAR Lombardia-Milano, sez. II,
sentenza 26.02.2013 n. 529 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In caso di clausole di
dubbio significato, deve preferirsi l'interpretazione che
favorisca la massima partecipazione alla gara piuttosto che
quella che la ostacoli essendo esclusa, per la commissione
di gara, la possibilità di ricavare ab implicito dei
requisiti di partecipazione o delle cause di esclusione
inespressi nella legge di gara.
---------------
Ove si lamenti la mancata, idonea custodia delle buste
contenenti la documentazione di gara e delle offerte, spetta
al deducente suffragare l’assunto con elementi
circostanziati o quantomeno sintomatici, tali da far
ritenere verosimile o altamente probabile che la condotta
dell’amministrazione possa avere dato adito a manomissioni e
che in mancanza di deduzioni specifiche ogni censura
avanzata in proposito è affetta da assoluta genericità.
---------------
Non esiste un principio assoluto di unicità o
immodificabilità delle commissioni giudicatrici e tale
principio è destinato ad incontrare deroghe ogni volta vi
sia un caso di indisponibilità da parte di uno dei
componenti della commissione a svolgere le proprie funzioni.
Questo Consiglio di Stato ha statuito infatti che i
“...membri delle commissioni di gara ...possono essere
sostituiti in relazione ad esigenze di rapidità e continuità
della azione amministrativa” configurandosi la sostituzione
come “...un provvedimento di ordinaria amministrazione
necessario a garantire il corretto funzionamento e la
continuità delle operazioni".
---------------
Con riferimento alla “omessa verifica d’integrità dei plichi
e delle buste ivi contenute” la giurisprudenza ha rilevato
che la censura deve ritenersi infondata ove il verbale
espliciti chiaramente l’avvenuta effettuazione delle
operazioni ricomprendendovi anche la verifica della
integrità dei plichi ma che la sinteticità della formula
utilizzata nel verbale per descrivere lo svolgimento di tale
attività non può essere ritenuta idonea a viziare la
procedura di gara non dovendo il seggio di gara verbalizzare
in maniera minuziosa tutte le attività di fatto
materialmente svolte.
---------------
Il principio di concentrazione e continuità delle operazioni
di gara è un principio solo tendenziale, derogabile in
presenza di ragioni oggettive quali la complessità delle
operazioni di valutazione delle offerte, il numero delle
offerte in gara, l’eventuale indisponibilità dei membri
della commissione, la correlata necessità di nominare
sostituti ecc. che giustifichino il ritardo anche in
relazione al preminente interesse alla effettuazione di
scelte ponderate.
---------------
Il punteggio numerico assegnato agli elementi di valutazione
dell’offerta economicamente più vantaggiosa integra una
sufficiente motivazione quando siano prefissati con
chiarezza e adeguato grado di dettaglio i criteri di
valutazione, prevedenti un minimo ed un massimo; in questo
caso, infatti, sussiste comunque la possibilità di
ripercorrere il percorso valutativo e quindi di controllare
la logicità e la congruità del giudizio tecnico.
Va ricordato il pacifico principio giurisprudenziale secondo il quale in
caso di clausole di dubbio significato, deve preferirsi
l'interpretazione che favorisca la massima partecipazione
alla gara piuttosto che quella che la ostacoli (Cons. Stato, VI ,
04.03.2008 n. 874) essendo esclusa, per la commissione
di gara, la possibilità di ricavare ab implicito dei
requisiti di partecipazione o delle cause di esclusione
inespressi nella legge di gara.
---------------
Tali argomentazioni del
Tar non meritano conferma ritenendo la Sezione di
richiamare, anche nella presente vicenda, l’orientamento
giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. III, 25.11.2011
n. 6266; III, 13.05.2011 n. 2908; V, 07.07.2011 n. 4055;
V, 05.10.2011 n. 5456) secondo il quale, ove si lamenti
la mancata, idonea custodia delle buste contenenti la
documentazione di gara e delle offerte, spetta al deducente
suffragare l’assunto con elementi circostanziati o
quantomeno sintomatici, tali da far ritenere verosimile o
altamente probabile che la condotta dell’amministrazione
possa avere dato adito a manomissioni e che in mancanza di
deduzioni specifiche ogni censura avanzata in proposito è
affetta da assoluta genericità.
---------------
In fatto deve
sottolinearsi che la sostituzione è avvenuta per
indisponibilità di un componente in un momento in cui la
commissione non aveva ancora cominciato le operazioni
valutative che invece sono state effettuate dalla
commissione sempre nella medesima composizione; si aggiunga
che il sostituto aveva le medesime qualità e la medesima
esperienza del sostituito trattandosi in entrambi i casi del
direttori medici di presidi ospedalieri.
Al riguardo la Sezione richiama l’orientamento seguito più
volte da questo Consiglio di Stato secondo il quale non
esiste un principio assoluto di unicità o immodificabilità
delle commissioni giudicatrici e che tale principio è
destinato ad incontrare deroghe ogni volta vi sia un caso di
indisponibilità da parte di uno dei componenti della
commissione a svolgere le proprie funzioni. Questo Consiglio
di Stato ha statuito infatti che i “...membri delle
commissioni di gara ...possono essere sostituiti in relazione
ad esigenze di rapidità e continuità della azione
amministrativa” (Cons. Stato,V, 03.12.2010 n. 8400)
configurandosi la sostituzione come “...un provvedimento di
ordinaria amministrazione necessario a garantire il corretto
funzionamento e la continuità delle operazioni" (Cons.
Stato, V, 05.11.2009 n. 6872).
---------------
Con riferimento alla “omessa verifica d’integrità dei
plichi e delle buste ivi contenute” la giurisprudenza ha
rilevato che la censura deve ritenersi infondata ove il
verbale espliciti chiaramente l’avvenuta effettuazione delle
operazioni ricomprendendovi anche la verifica della
integrità dei plichi ma che la sinteticità della formula
utilizzata nel verbale per descrivere lo svolgimento di tale
attività non può essere ritenuta idonea a viziare la
procedura di gara non dovendo il seggio di gara verbalizzare
in maniera minuziosa tutte le attività di fatto
materialmente svolte (Cons. Stato, Sez. V, 13.10.2010 n.
7470).
---------------
La giurisprudenza ha
evidenziato che il principio di concentrazione e continuità
delle operazioni di gara è un principio solo tendenziale,
derogabile in presenza di ragioni oggettive quali la
complessità delle operazioni di valutazione delle offerte,
il numero delle offerte in gara, l’eventuale indisponibilità
dei membri della commissione, la correlata necessità di
nominare sostituti ecc. che giustifichino il ritardo anche
in relazione al preminente interesse alla effettuazione di
scelte ponderate (Cons. Stato, V, 25.07.2006 n. 4657; IV, 05.10.2005 n. 5360).
---------------
Come questo Consiglio di Stato ha frequentemente osservato,
il punteggio numerico assegnato agli elementi di valutazione
dell’offerta economicamente più vantaggiosa integra una
sufficiente motivazione quando siano prefissati con
chiarezza e adeguato grado di dettaglio i criteri di
valutazione, prevedenti un minimo ed un massimo; in questo
caso, infatti, sussiste comunque la possibilità di
ripercorrere il percorso valutativo e quindi di controllare
la logicità e la congruità del giudizio tecnico (cfr., Sez.
V, 17.01.2011 n. 222; Sez. V, 16.06.2010 n. 3806; 11.05.2007
n. 2355; 09.04.2010 n. 1999) (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 25.02.2013 n. 1169 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
L'annullamento di un atto
illegittimo per difetto di motivazione non può ex se
comportare il diritto al risarcimento dei danni subiti, in
quanto tale vizio non esclude (ma, anzi, consente) il
riesercizio del potere, con la conseguenza che la domanda di
risarcimento non può essere valutata che all'esito del nuovo
eventuale esercizio del potere.
Deve escludersi che l'annullamento di un atto illegittimo
per difetto di motivazione possa ex se comportare il
diritto al risarcimento dei danni subiti, in quanto tale
vizio non esclude (ma, anzi, consente) il riesercizio del
potere, con la conseguenza che la domanda di risarcimento
non può essere valutata che all'esito del nuovo eventuale
esercizio del potere (Cons. St., sez. VI, 30.06.2011 n.
3887; sez. V, 08.02.2011 n. 854) (Consiglio di Stato, Sez.
III,
sentenza 25.02.2013 n. 1137 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La tutela del paesaggio è
principio fondamentale della Costituzione (art. 9) ed ha
carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici
che vengono in rilievo nella difesa del territorio, di tal
che anche le previsioni degli strumenti urbanistici devono
necessariamente coordinarsi con quelle sottese alla difesa
paesaggistica.
La difesa del paesaggio si attua eminentemente a mezzo di
misure di tipo conservativo, nel senso che la miglior tutela
di un territorio qualificato sul piano paesaggistico è
quella che garantisce la conservazione dei suoi tratti
naturalistici, impedendo o riducendo al massimo quelle
trasformazioni pressoché irreversibili del territorio
propedeutiche all’attività edilizia (come gli sbancamenti,
le perforazioni funzionali alla realizzazione delle
fondamenta, i terrazzamenti ed in genere tutte le opere
funzionali alla costruzione di edifici in territorio
collinare); non par dubbio che gli interventi di
antropizzazione connessi alla trasformazione territoriale
con finalità residenziali, soprattutto quando siano
particolarmente consistenti per tipologia e volumi edilizi
da realizzare, finiscono per alterare la percezione visiva
dei tratti tipici dei luoghi, incidendo (quasi sempre
negativamente) sul loro aspetto esteriore e sulla godibilità
del paesaggio nel suo insieme. Tali esigenze di tipo
conservativo devono naturalmente contemperarsi, senza
tuttavia mai recedere completamente, con quelle connesse
allo sviluppo edilizio del territorio che sia consentito
dalla disciplina urbanistica nonché con le aspettative dei
proprietari dei terreni che mirano legittimamente a
sfruttarne le potenzialità edificatorie.
E’ proprio in relazione al difficile equilibrio tra tali
contrapposti interessi che l’autorità preposta alla tutela
del vincolo paesaggistico deve trovare, nei casi in cui la
disciplina urbanistica consenta l’esercizio dello ius
aedificandi, il giusto contemperamento nel rilasciare o
denegare il necessario assenso al formarsi del titolo
autorizzatorio secondo il modello procedimentale delineato
nell’art. 146 del d.lgs. 42 del 2004 (che come è noto
attribuisce oggi al Ministero dei beni e delle attività
culturali, per il tramite delle locali Soprintendenze, un
ruolo di cogestione attiva del vincolo paesaggistico, con la
titolarità di penetranti poteri valutativi di merito).
Si tratta di valutazioni spesso connotate da elementi
tecnico-discrezionali non sindacabili in sede
giurisdizionale, se non per illogicità manifesta, per palese
incongruità o inadeguatezza del provvedimento in rapporto
alle sue finalità di protezione del territorio vincolato, ad
evitare inammissibili sovrapposizioni del giudicante in
ambiti che la legge ha voluto riservare alla amministrazione
titolare del potere.
Giova premettere che la tutela del paesaggio è principio fondamentale
della Costituzione (art. 9) ed ha carattere di preminenza
rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo
nella difesa del territorio, di tal che anche le previsioni
degli strumenti urbanistici devono necessariamente
coordinarsi con quelle sottese alla difesa paesaggistica.
La difesa del paesaggio si attua eminentemente a mezzo di
misure di tipo conservativo, nel senso che la miglior tutela
di un territorio qualificato sul piano paesaggistico è
quella che garantisce la conservazione dei suoi tratti
naturalistici, impedendo o riducendo al massimo quelle
trasformazioni pressoché irreversibili del territorio
propedeutiche all’attività edilizia (come gli sbancamenti,
le perforazioni funzionali alla realizzazione delle
fondamenta, i terrazzamenti ed in genere tutte le opere
funzionali alla costruzione di edifici in territorio
collinare); non par dubbio che gli interventi di
antropizzazione connessi alla trasformazione territoriale
con finalità residenziali, soprattutto quando siano
particolarmente consistenti per tipologia e volumi edilizi
da realizzare, finiscono per alterare la percezione visiva
dei tratti tipici dei luoghi, incidendo (quasi sempre
negativamente) sul loro aspetto esteriore e sulla godibilità
del paesaggio nel suo insieme. Tali esigenze di tipo
conservativo devono naturalmente contemperarsi, senza
tuttavia mai recedere completamente, con quelle connesse
allo sviluppo edilizio del territorio che sia consentito
dalla disciplina urbanistica nonché con le aspettative dei
proprietari dei terreni che mirano legittimamente a
sfruttarne le potenzialità edificatorie.
E’ proprio in relazione al difficile equilibrio tra tali
contrapposti interessi che l’autorità preposta alla tutela
del vincolo paesaggistico deve trovare, nei casi in cui la
disciplina urbanistica consenta l’esercizio dello ius
aedificandi, il giusto contemperamento nel rilasciare o
denegare il necessario assenso al formarsi del titolo
autorizzatorio secondo il modello procedimentale delineato
nell’art. 146 del d.lgs. 42 del 2004 (che come è noto
attribuisce oggi al Ministero dei beni e delle attività
culturali, per il tramite delle locali Soprintendenze, un
ruolo di cogestione attiva del vincolo paesaggistico, con la
titolarità di penetranti poteri valutativi di merito).
Si tratta di valutazioni spesso connotate da elementi
tecnico-discrezionali non sindacabili in sede
giurisdizionale, se non per illogicità manifesta, per palese
incongruità o inadeguatezza del provvedimento in rapporto
alle sue finalità di protezione del territorio vincolato, ad
evitare inammissibili sovrapposizioni del giudicante in
ambiti che la legge ha voluto riservare alla amministrazione
titolare del potere (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 25.02.2013 n. 1129 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Il voto numerico esprime, e sintetizza, il
giudizio tecnico discrezionale della commissione, e non
abbisogna di ulteriori spiegazioni o chiarimenti; e ciò in
quanto la motivazione espressa numericamente, oltre a
rispondere ad un evidente principio di economicità
amministrativa di valutazione, assicura la necessaria
chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla
Commissione nell'ambito del punteggio disponibile e del
potere amministrativo da essa esercitato.
Ed è del tutto legittimo che, all’esito della valutazione
complessivamente condotta sul singolo candidato, il giudizio
sia stato espresso in termini numerici, giacché
l’espressione in numeri costituisce l’applicazione di un
particolare codice, che reca in sé la propria motivazione,
riassunta secondo una precisa scala di valori.
Il voto numerico, per consolidata e condivisa
giurisprudenza, esprime, infatti, e sintetizza, il giudizio
tecnico discrezionale della commissione, e non abbisogna di
ulteriori spiegazioni o chiarimenti; e ciò in quanto la
motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un
evidente principio di economicità amministrativa di
valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione
delle valutazioni compiute dalla Commissione nell'ambito del
punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa
esercitato (per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 02.11.2012, n.
5581) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 25.02.2013 n. 1124 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In materia di partecipazione ad appalti pubblici
deve essere mantenuta una distinzione ben netta tra
l’attività di mera integrazione o di specificazione di
dichiarazioni già rese in sede di gara, rispetto alla
distinta ipotesi della introduzione di elementi o fatti
nuovi, successivamente alla data di scadenza del termine
fissato per la presentazione delle offerte; soltanto
quest’ultima attività deve ritenersi assolutamente non
consentita, in quanto violativa della fondamentale regola
della par condicio competitorum.
Per converso, laddove si tratti di esplicitare o di chiarire
una dichiarazione o il contenuto di un atto già
tempestivamente prodotto agli atti di gara, l’attività di
integrazione non soltanto è consentita ma la stessa risulta
dovuta, nel senso che la stazione appaltante è tenuta, in
omaggio al principio di leale collaborazione codificato
all’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, a richiedere
o a consentire la suddetta integrazione, in modo da rendere
conforme l’offerta, anche in relazione al materiale
documentale di corredo, a quanto richiesto dalla lex
specialis di gara. In tal caso è il principio di massima
partecipazione alle gare ad imporre tale soluzione
interpretativa finalizzata a consentire un’effettiva
concorrenza tra le imprese in gara.
In materia di partecipazione ad appalti pubblici deve essere
mantenuta una distinzione ben netta tra l’attività di mera
integrazione o di specificazione di dichiarazioni già rese
in sede di gara, rispetto alla distinta ipotesi della
introduzione di elementi o fatti nuovi, successivamente alla
data di scadenza del termine fissato per la presentazione
delle offerte; soltanto quest’ultima attività deve ritenersi
assolutamente non consentita, in quanto violativa della
fondamentale regola della par condicio competitorum.
Per converso, laddove si tratti di esplicitare o di chiarire
una dichiarazione o il contenuto di un atto già
tempestivamente prodotto agli atti di gara, l’attività di
integrazione non soltanto è consentita ma la stessa risulta
dovuta, nel senso che la stazione appaltante è tenuta, in
omaggio al principio di leale collaborazione codificato
all’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, a richiedere
o a consentire la suddetta integrazione, in modo da rendere
conforme l’offerta, anche in relazione al materiale
documentale di corredo, a quanto richiesto dalla lex
specialis di gara. In tal caso è il principio di massima
partecipazione alle gare ad imporre tale soluzione
interpretativa finalizzata a consentire un’effettiva
concorrenza tra le imprese in gara (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 25.02.2013 n. 1122 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI
- TRIBUTI: Pubblicità stradale con gara.
È obbligatoria per affidare spazi in concessione.
L'adunanza plenaria del Consiglio di stato:
necessario garantire la concorrenza.
È obbligatoria la gara per l'affidamento in concessione di
spazi pubblicitari stradali; si tratta di gare con offerte
in aumento («al rialzo») motivate dal fatto che gli spazi
pubblicitari sono contingentati in ogni comune e che occorre
garantire la libera concorrenza.
È il Consiglio di Stato,
adunanza plenaria
sentenza 25.02.2013 n. 5, a chiarire
definitivamente la questione posta dal Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione Sicilia con
ordinanza n. 653 del 2012.
La materia è trattata in più
sedi: nella normativa sulla viabilità, che sottopone gli
impianti, per la sicurezza del traffico veicolare, ad
autorizzazione comunale se collocati nei centri abitati
(art. 23, comma 4, del codice della strada dlgs n. 285 del
1992), in quella sulla tutela dei beni culturali e
paesaggistici [articoli 49 e 153 del codice dei beni
culturali e del paesaggio (dlgs n. 42 del 2004)], se gli
impianti incidano su tali profili, e nella normativa
tributaria, posta in particolare dal dlgs n. 507 del 1993 (e
poi dal dlgs n. 446 del 1997).
Sul tema dell'assegnazione
degli spazi pubblici disponibili per gli impianti
pubblicitari ad affissione diretta, in giurisprudenza erano
emersi due indirizzi. Il primo, sposato dal giudice che ha
rimesso la questione all'Adunanza plenaria e risalente a una
pronuncia del Consiglio di stato del 2007, poggia la sua
tesi sul fatto che le imprese, titolari di un diritto alla
libera attività di affissione diretta (ai sensi della
pronuncia della Corte costituzionale n. 355 del 2002),
sarebbero sottoposte soltanto ad autorizzazione onerosa, ai
sensi degli articoli 23 del codice della strada e 53 del
relativo regolamento attuativo, con un «prezzo» (tariffa)
pagato dall'autorizzato anche per compensare l'occupazione
del suolo pubblico. Il secondo indirizzo del Consiglio di
stato del 2009, prevalente anche a livello di Tar, parte
dalla considerazione che il «mercato dell'uso degli impianti
pubblicitari privati in ambito cittadino è, allo stato
attuale, contingentato, a motivo della limitatezza degli
spazi disponibili», con conseguente obbligo per i comuni di
determinare «la quantità degli impianti
pubblicitari».
Pertanto in questa ottica lo strumento idoneo
a garantire la libera iniziativa economica non può che
essere quello della concessione degli spazi tramite gara.
Diversamente, infatti, sarebbe del tutto inibito a nuovi
operatori l'accesso ad un mercato che resterebbe riservato a
quanti hanno conseguito in passato le autorizzazioni all'uso
degli spazi più remunerativi.
L'adunanza plenaria sposa
questo secondo indirizzo partendo dalla conferma della
considerazione generale per cui la collocazione degli
impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane è
vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi disponibili
all'interno del territorio comunale e ulteriormente
ristretta per effetto dei vincoli sia di viabilità, sia di
tutela dei beni culturali, gravanti sul territorio. Di
fatto, quindi, tale assetto configura un vero e proprio
«mercato contingentato» determinato da una scarsa risorsa
pubblica, cioè il suolo pubblico. La sentenza delinea
quindi, in questo ambito, un rapporto tra l'ente locale e
privato che non può che essere di natura concessoria, sotto
forma di concessione di area pubblica.
Per l'adunanza
plenaria è quindi «corretto allocare l'uso degli spazi
pubblici contingentati con gara, dovendosi altrimenti
ricorrere all'unico criterio alternativo dell'ordine
cronologico di presentazione delle domande accoglibili, che
è di certo meno idoneo ad assicurare l'interesse pubblico
all'uso più efficiente del suolo pubblico e quello dei
privati al confronto concorrenziale».
Per assicurare il perseguimento del principio di tutela
della concorrenza nell'esercizio dell'attività economica
privata incidente sull'uso di risorse pubbliche occorre
quindi riferirsi all'istituto della concessione tramite gara
dell'uso di beni pubblici per l'esercizio di attività
economiche private, che risulta del tutto coerente anche con
i principi comunitari, in particolare di non
discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza.
In particolare la concessione di un'area pubblica fornisce
un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato
(come è nella specie e quindi la gara si impone come
strumento a presidio e tutela del principio, fondamentale,
della piena concorrenza. Si tratterà, ovviamente, di una
gara con offerte in aumento, «al rialzo», per
l'assegnazione di una concessione con durata temporale
prefissata
(articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Tutte le pretese
patrimoniali dei pubblici dipendenti, ivi compresa
l'indennità di missione, si prescrivono nel termine di
cinque anni.
La giurisprudenza consolidata del giudice amministrativo (ex
plurimis, Consiglio Stato sez. IV, 08.08.2006, n. 4785;
Cons. St., sez. IV, 11.07.1994, n. 587; Cons. St., Ad. Plen.,
20.03.1989, n. 8) che questo Collegio condivide, ha chiarito
che tutte le pretese patrimoniali dei pubblici dipendenti,
ivi compresa l'indennità di missione, si prescrivono nel
termine di cinque anni.
Agli atti sono documentati molteplici atti di diffida ad
adempiere dei ricorrenti nei confronti dell’amministrazione
(cfr., note del 03.12.1999, del 28.02.2000, del 06.09.2007,
del 03.03.2008) che hanno reiteratamente interrotto il corso
della prescrizione (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 22.02.2013 n. 491 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI:
I consiglieri comunali sono legittimati a
ricorrere avverso gli atti adottati dagli organi di
appartenenza nei ristretti limiti tracciati dalla lesione
dello ius ad officium.
La difformità delle delibere consiliari dal modello legale,
di per sé impugnabile dai soggetti diretti destinatari o
direttamente lesi dal medesimo, non attiva la legittimazione
dei consiglieri comunali ad impugnare, perché altrimenti si
dovrebbe loro riconoscere un'inammissibile azione popolare
di diritto oggettivo, a tutela della conformità a legge
delle delibere consiliari, che prescinde del tutto
dall'interesse dei ricorrenti.
Invero, non ogni violazione di forma o di sostanza
nell'adozione di una deliberazione, si traduce in una
automatica lesione dello ius ad officium ma solo nella
misura in cui detta illegittimità si sia tradotta nella
lesione del diritto e dovere della persona investita della
carica di consigliere comunale di esercitare la propria
funzione, tramite il proprio voto, creando un contrasto che
però non è suscettibile di risoluzione nella sede dialettica
interna all'organo, atteso che proprio la lesione del munus
impedisce l'attivazione dei meccanismi di responsabilità
politica e rende necessario il ricorso all'autorità
giurisdizionale per ripristinare il libero esercizio dello
jus ad officium.
Con riferimento a detti motivi il ricorso va dichiarato inammissibile per
difetto di legittimazione all'azione, attesa la mancanza di
interesse personale dei ricorrenti a sollevare doglianze non
incidenti sulle prerogative loro riconosciute
dall'ordinamento in ragione del munus publicum ricoperto.
I consiglieri comunali, infatti, sono legittimati a
ricorrere avverso gli atti adottati dagli organi di
appartenenza nei ristretti limiti tracciati dalla lesione
dello ius ad officium, limiti che il Collegio reputa non
essere stati violati nel caso del secondo e terzo motivo di
ricorso in quanto afferenti a meri profili di legittimità
dell’azione amministrativa non incidenti sulla loro
posizione giuridica (ex pluribus Cons. di Stato, sez. IV,
02/10/2012, n. 5184; Cons. Stato, Sez. V, 15.12.2005,
n. 7122, Cons. St., sez. I, 30.07.2003 n. 2695).
Come rilevato da consolidata giurisprudenza la giurisdizione
amministrativa non è strutturata come giurisdizione di
diritto oggettivo: essa non concerne un astratto sindacato
sulla legalità dell'azione dei pubblici poteri, ma è
giurisdizione di diritto soggettivo, richiedendosi, per la
sua attivazione la sussistenza di un interesse personale
prima che attuale, e ciò sin dalla istituzione della IV
sezione del Consiglio di Stato con legge n. 5992 del 1889
(Cons. di Stato sez. V n. 826 del 19.02.2007).
Il giudizio amministrativo, di regola, è diretto alla
risoluzione di controversie intersoggettive e non tra organi
o componenti di organi di una stessa Amministrazione o Ente,
sicché solo quando si concretizza un contrasto interno
qualificato in ragione della lesione di un interesse
personale rilevante per l'ordinamento può dirsi sorta una
posizione qualificata ed idonea a stimolare la funzione
giurisdizionale, in quanto capace di rilevare all'esterno.
Nel caso che qui interessa, solo con la lesione diretta ed
immediata del diritto all'ufficio del consigliere comunale
può dirsi sorta la legitimatio ad agendum, ovvero
l'interesse personale al ricorso al fine del ripristino
della situazione sostanziale lesa, attraverso la rimozione
della situazione antigiuridica affidata all'organo
giurisdizionale.
A ragione si afferma, dunque, che la difformità delle
delibere consiliari dal modello legale, di per sé
impugnabile dai soggetti diretti destinatari o direttamente
lesi dal medesimo, non attiva la legittimazione dei
consiglieri comunali ad impugnare, perché altrimenti si
dovrebbe loro riconoscere un'inammissibile azione popolare
di diritto oggettivo, a tutela della conformità a legge
delle delibere consiliari, che prescinde del tutto
dall'interesse dei ricorrenti (Cons. di Stato V n.
2457/2010).
Invero, non ogni violazione di forma o di sostanza
nell'adozione di una deliberazione, si traduce in una
automatica lesione dello ius ad officium ma solo nella
misura in cui detta illegittimità si sia tradotta nella
lesione del diritto e dovere della persona investita della
carica di consigliere comunale di esercitare la propria
funzione, tramite il proprio voto, creando un contrasto che
però non è suscettibile di risoluzione nella sede dialettica
interna all'organo, atteso che proprio la lesione del munus
impedisce l'attivazione dei meccanismi di responsabilità
politica e rende necessario il ricorso all'autorità
giurisdizionale per ripristinare il libero esercizio dello
jus ad officium
(TAR Campania, Salerno, Sez. II,
sentenza 22.02.2013 n. 490 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
Le previsioni dei bilanci che si susseguono anno
dopo anno e le poste dei bilanci annuali e di quelli
pluriennali devono, per il principio di unitarietà del
bilancio trovare corrispondenza fra loro. Ciò comporta che
ogni atto di bilancio debba trovare il suo fondamento in un
atto anteriore e presupposto, in modo che sia assicurata al
contempo l’unitarietà della finanza pubblica e la continuità
e coerenza delle scritturazioni.
Nell'ordinamento contabile degli enti locali la delibera consiliare di
approvazione del bilancio rappresenta l'atto attraverso cui
il Consiglio comunale autorizza preventivamente, all'inizio
dell'anno, le spese e le entrate previste in termini valoristici nel bilancio, ovvero nel documento contabile,
predisposto dall'esecutivo, con funzione programmatoria, in
cui sono elencate tutte le spese che saranno sostenute nel
corso dell'esercizio di riferimento e tutte le entrate che
serviranno per finanziarle, ovvero sono programmate tutte le
attività e sono destinate le risorse ai servizi che il
comune eroga.
L’approvazione del bilancio consente, dunque, il preventivo
controllo democratico sulla gestione finanziaria,
indirizzandola verso il miglior utilizzo delle risorse, al
fine del soddisfacimento dei bisogni della collettività di
riferimento.
Ai sensi dell'art. 162 del D.lgs. n. 267 del 2000 “gli enti
locali deliberano annualmente il bilancio di previsione
finanziario redatto in termini di competenza, per l’anno
successivo, osservando i principi di unità, annualità,
universalità ed integrità, veridicità, pareggio finanziario
e pubblicità.”
Da tali principi, che sostanzialmente rispecchiano quelli
involgenti il bilancio dello Stato, si ricava, come
precisato dal Consiglio di Stato in una recente sentenza
(sez. V n. 2457/2010) che "Le previsioni dei bilanci che si
susseguono anno dopo anno e le poste dei bilanci annuali e
di quelli pluriennali devono, per il principio di unitarietà
del bilancio trovare corrispondenza fra loro. Ciò comporta
che ogni atto di bilancio debba trovare il suo fondamento in
un atto anteriore e presupposto, in modo che sia assicurata
al contempo l’unitarietà della finanza pubblica e la
continuità e coerenza delle scritturazioni".
La funzione autorizzatoria del Consiglio comunale non si
esaurisce con la delibera di approvazione del bilancio,
atteso che, ai sensi dell'art. 175 del Testo unico sugli enti
locali, il bilancio comunale può subire variazioni nel corso
dell'esercizio di competenza, sia nella parte relativa alle
entrate che nella parte relativa alle spese, e ciò fino al
30 novembre di ciascun anno.
Entro tale data viene approvato dal Consiglio comunale
l’assestamento di bilancio ossia viene fatta una variazione
che allinea il bilancio di previsione con le entrate
realmente incassate e con le spese realmente sostenute. Il
risultato di gestione che si evince dalla delibera di
variazione di assestamento generale del bilancio di
previsione costituisce poi, insieme ai consuntivi degli anni
immediatamente precedenti all'ultimo esercizio, il parametro
di riferimento per la programmazione finanziaria relativa
alle ulteriori fasi in cui si articola il ciclo della
gestione finanziaria degli enti locali, ovvero fondamentale
base di calcolo per l'approvazione del bilancio annuale e
pluriennale dell' esercizio immediatamente successivo.
E' vero che dopo il 31 dicembre di ciascun anno, ovvero ad
esercizio terminato, viene approvato dal Consiglio comunale
un ulteriore documento contabile, il Rendiconto della
gestione (entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello
di riferimento ai sensi dell'art. 227 del D.lgs. 267/2000),
ma è pur vero che tale atto si limita a fotografare e
dimostrare i dati relativi ai risultati di una gestione
finanziaria oramai conclusa ed immodificabile, che,
pertanto, ha già potuto produrre effetti sul bilancio
relativo al successivo esercizio finanziario.
Dunque non rileva il fatto che alla data dell'approvazione
del nuovo bilancio non sia ancora stato redatto il conto
consuntivo dell'anno precedente, come pur sostenuto dalla
difesa del ricorrente.
Infatti, le risultanze contabili dell'esercizio precedente,
già evincibili dalla variazione di assestamento generale del
bilancio di previsione, per il principio di continuità ed
universalità dei bilanci, si saldano a quelle dell'anno
immediatamente successivo, rappresentandone la premessa
imprescindibile delle nuove previsioni di entrata e di
spesa.
Ne deriva che, in ragione del nesso di conseguenzialità tra
gli atti, allorquando i vizi fatti valere avverso il
bilancio di previsione non siano stati tempestivamente
dedotti avverso i documenti di bilancio successivi, ciò
rileva sul piano del giudizio amministrativo, comportando
una pronuncia in termini di improcedibilità del ricorso per
sopravvenuta carenza di interesse.
Né tantomeno può affermarsi che dalla sentenza di
annullamento derivi l'effetto caducatorio dei successivi
atti contabili, ostandovi esigenze di certezza, continuità e
veridicità del bilancio, che informano anche la disciplina
del trattamento processuale delle impugnative che
coinvolgono tali atti dell’ordinamento contabile (Cons. di
Stato V n. 2457/2010)
(TAR Campania, Salerno, Sez. II,
sentenza 22.02.2013 n. 490 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In relazione all’annullamento dell’autorizzazione
paesaggistica, ex art. 151 D.Lgs. n. 490/1999,
l'Amministrazione dei beni culturali è obbligata a
comunicare al destinatario dell'autorizzazione l'avvio del
procedimento, allo scopo di consentire a quest'ultimo di
avvalersi concretamente degli strumenti di partecipazione e
di accesso previsti dalla L. n. 241/1990.
Inoltre, l'onere di comunicare l'avvio del procedimento non
può essere soddisfatto dalla semplice indicazione della
soggezione al potere ministeriale contenuta
nell'autorizzazione paesaggistica, né dall'indicazione del
Ministero tra i destinatari dell'atto medesimo, in quanto
siffatte indicazioni non garantiscono né che la pratica sia
stata effettivamente trasmessa all'autorità statale, né che
questa l'abbia ricevuta, di modo che l'interessato dovrebbe
esercitare la propria pretesa partecipativa senza sapere se
l'autorizzazione rilasciatagli ed il relativo incartamento
siano pervenuti a destinazione, con il rischio di porre in
essere un'attività che potrebbe, poi, rivelarsi prematura e
inutile.
In relazione all’annullamento dell’autorizzazione
paesaggistica, ex art. 151 D.Lgs. n. 490/1999,
l'Amministrazione dei beni culturali è obbligata a
comunicare al destinatario dell'autorizzazione l'avvio del
procedimento, allo scopo di consentire a quest'ultimo di
avvalersi concretamente degli strumenti di partecipazione e
di accesso previsti dalla L. n. 241/1990 (Così, CdS, Sez. VI,
n. 5247 del 11-09-2006).
La giurisprudenza ha anche evidenziato che l'onere di
comunicare l'avvio del procedimento non può essere
soddisfatto dalla semplice indicazione della soggezione al
potere ministeriale contenuta nell'autorizzazione
paesaggistica, né dall'indicazione del Ministero tra i
destinatari dell'atto medesimo, in quanto siffatte
indicazioni non garantiscono né che la pratica sia stata
effettivamente trasmessa all'autorità statale, né che questa
l'abbia ricevuta, di modo che l'interessato dovrebbe
esercitare la propria pretesa partecipativa senza sapere se
l'autorizzazione rilasciatagli ed il relativo incartamento
siano pervenuti a destinazione, con il rischio di porre in
essere un'attività che potrebbe, poi, rivelarsi prematura e
inutile.
Né può ritenersi irrilevante il vizio, ai sensi dell'art.
21-octies l. n. 241/1990, perché, presentando la valutazione
di compatibilità paesaggistica un margine di opinabilità, la
partecipazione dell'interessato al procedimento avrebbe
potuto fornire un apporto per una soluzione favorevole,
anche mediante l'indicazione di marginali modifiche del
progetto di ristrutturazione (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 22.02.2013 n. 488 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Rientra nella
giurisdizione del giudice amministrativo la controversia
concernente l’osservanza degli obblighi assunti dal privato
nei confronti dell’ente locale in ordine alla realizzazione
di opere di urbanizzazione ed alla cessione gratuita
all’ente delle aree stradali e dei servizi, ambito nel quale
è esperibile dinanzi a detto giudice l’azione di cui
all’art. 2932 c.c..
La domanda è ammissibile in quanto, come chiarito
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza
20.07.2012, n. 28), rientra nella giurisdizione del giudice
amministrativo la controversia concernente l’osservanza
degli obblighi assunti dal privato nei confronti dell’ente
locale in ordine alla realizzazione di opere di
urbanizzazione ed alla cessione gratuita all’ente delle aree
stradali e dei servizi, ambito nel quale è esperibile
dinanzi a detto giudice l’azione di cui all’art. 2932 c.c.
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.02.2013 n. 243 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Ai sensi dell’art. 22, c.
1, lett. c), della l. 07.08.1990 n. 241, rispetto alla
richiesta d’accesso a documenti amministrativi vi sono
soggetti che, in linea di principio, potrebbero subire
dall’ostensione di tali atti un pregiudizio alla loro
riservatezza e, perciò, essi sono titolari di posizione di
legittimo controinteresse a tal richiesta.
Per controinteressati in materia d’accesso si devono
intendere tutti coloro i quali non tanto sono nominati o
coinvolti nel documento che incorpora le informazioni cui si
vuole accedere, quanto, piuttosto, potrebbero vedere
pregiudicato il loro diritto alla riservatezza, la qual cosa
è un quid pluris rispetto alla mera circostanza d’esser, o
no chiamati in causa in tal documento.
- Considerato in diritto che l’appello non può esser condiviso, anzitutto
perché, ai sensi dell’art. 22, c. 1, lett. c), della l. 07.08.1990 n. 241, rispetto alla richiesta d’accesso a
documenti amministrativi vi sono soggetti che, in linea di
principio, potrebbero subire dall’ostensione di tali atti un
pregiudizio alla loro riservatezza (cfr., da ultimo, Cons.
St., IV, 17.10.2012 n. 5325) e, perciò, essi sono
titolari di posizione di legittimo controinteresse a tal
richiesta;
-
Considerato invero che, per controinteressati in materia
d’accesso si devono intendere tutti coloro i quali non
tanto sono nominati o coinvolti nel documento che incorpora
le informazioni cui si vuole accedere, quanto, piuttosto,
potrebbero vedere pregiudicato il loro diritto alla
riservatezza, la qual cosa è un quid pluris rispetto alla
mera circostanza d’esser, o no chiamati in causa in tal
documento (cfr. Cons. St., V, 27.05.2011 n. 3190; arg.
pure ex id., VI, 20.07.2010 n. 4669) (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 21.02.2013 n. 1065 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai sensi dell'articolo 25
del d.lgs. 31.03.1998 n 112 e del relativo regolamento di
cui al D.P.R. 20.10.1998, n. 447, la domanda di
autorizzazione alle attività produttive presentata
ricomprende tutti gli aspetti urbanistici, edilizi,
ambientali, di sicurezza per la pubblica incolumità, di
igiene dei luoghi di lavoro ecc. ecc.; ed in conseguenza, ai
sensi dell’art. 25 del d.lgs. n 112 cit. la relativa
istruttoria ha per oggetto in particolare i profili
urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della
sicurezza.
L'unica domanda –che può contenere, ove necessario, anche la
richiesta di permesso edilizio– deve specificare tutti gli
elementi che connotano le produzione e deve essere corredata
da autocertificazioni, attestanti la conformità dei progetti
alle prescrizioni urbanistiche, della sicurezza degli
impianti, della tutela sanitaria e della tutela ambientale.
In conseguenza il provvedimento finale deve valutare -ed
autorizzare- tutti gli aspetti specificamente indicati
nell’oggetto dell’istanza.
In linea di principio deve rilevarsi che, contrariamente a quanto apoditticamente affermano le appellanti, ai sensi
dell'articolo 25 del d.lgs. 31.03.1998 n 112 e del
relativo regolamento di cui al D.P.R. 20.10.1998, n.
447, la domanda di autorizzazione alle attività produttive
presentata ricomprende tutti gli aspetti urbanistici,
edilizi, ambientali, di sicurezza per la pubblica
incolumità, di igiene dei luoghi di lavoro ecc. ecc.; ed in
conseguenza, ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n 112 cit. la
relativa istruttoria ha per oggetto in particolare i profili
urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della
sicurezza.
L'unica domanda –che può contenere, ove necessario, anche
la richiesta di permesso edilizio– deve specificare tutti
gli elementi che connotano le produzione e deve essere
corredata da autocertificazioni, attestanti la conformità
dei progetti alle prescrizioni urbanistiche, della sicurezza
degli impianti, della tutela sanitaria e della tutela
ambientale.
In conseguenza il provvedimento finale deve valutare -ed
autorizzare- tutti gli aspetti specificamente indicati
nell’oggetto dell’istanza
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.02.2013 n. 1056 - link a
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ATTI
AMMINISTRATIVI:
L'art. 10-bis, della L.
07.08.1990 n. 241 in materia di partecipazione
procedimentale, non deve essere interpretato in senso
formalistico, ma si deve avere riguardo all'effettivo e
oggettivo pregiudizio: la violazione dell'obbligo di
preventiva comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza, imposto dal cit. art. 10-bis,
è inidonea di per sé a giustificare l'annullamento di un
atto, non essendo consentito, ai sensi del successivo art.
21-octies, l'annullamento dei provvedimenti amministrativi,
il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello
in concreto adottato.
In un’ottica funzionale, un importante strumento di
partecipazione come l’avviso di cui all’art. 7 della L. n.
241/1990 non può ridursi né ad mero rituale formalistico, né
ad un banale cavillo del tutto disgiunto dalla realtà delle
cose. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare
la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le
circostanze che non ha potuto incolpevolmente sottoporre
all'amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata
comunicazione deve intendersi inammissibile per assoluta
genericità.
Pertanto, solo l’allegazione nel successivo giudizio degli
elementi che il privato non ha potuto introdurre nel
procedimento per un fatto colposo della P.A. rendono
l’istituto un presidio ordinamentale a tutela sia del
diritto dell’interessato a rappresentare in sede
procedimentale le proprie ragioni; e sia della P.A. a
valutare compiutamente tutti gli interessi diretti ed
indiretti coinvolti nel procedimento.
L’esposto di un privato
diretto a sollecitare l’esercizio di poteri di autotutela si
sostanzia in una richiesta di riesame, per la quale non può
ritenersi in sé sussistente alcun obbligo per la P.A. di far
luogo al preavviso di rigetto qualora il successivo
provvedimento sia sostanzialmente confermativo del
precedente provvedimento.
La Sezione ha, al riguardo, più volte ricordato che l'art.
10-bis, della L. 07.08.1990 n. 241 in materia di
partecipazione procedimentale, non deve essere interpretato
in senso formalistico, ma si deve avere riguardo
all'effettivo e oggettivo pregiudizio: la violazione
dell'obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza, imposto dal cit. art. 10-bis,
è inidonea di per sé a giustificare l'annullamento di un
atto, non essendo consentito, ai sensi del successivo art.
21-octies, l'annullamento dei provvedimenti amministrativi,
il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello
in concreto adottato (cfr. Consiglio Stato Sez. IV 28.01.2011 n. 679; Sez. IV 16.02.2012 n. 823).
In un’ottica funzionale, un importante strumento di
partecipazione come l’avviso di cui all’art. 7 della L.
n. 241/1990 non può ridursi né ad mero rituale formalistico,
né ad un banale cavillo del tutto disgiunto dalla realtà
delle cose. Ne consegue che ove il privato si limiti a
contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno
allegare le circostanze che non ha potuto incolpevolmente
sottoporre all'amministrazione, il motivo con cui si lamenta
la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile per
assoluta genericità (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 09.01.2009, n. 120; Consiglio Stato, sez. VI, 29.07.2008, n. 3786; idem sez. V, 19.03.2007, n. 1307).
Pertanto, solo l’allegazione nel successivo giudizio degli
elementi che il privato non ha potuto introdurre nel
procedimento per un fatto colposo della P.A. rendono
l’istituto un presidio ordinamentale a tutela sia del
diritto dell’interessato a rappresentare in sede
procedimentale le proprie ragioni; e sia della P.A. a
valutare compiutamente tutti gli interessi diretti ed
indiretti coinvolti nel procedimento
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.02.2013 n. 1056 - link a
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ATTI
AMMINISTRATIVI:
La contraddittorietà tra gli atti del
procedimento, figura sintomatica dell’eccesso di potere, si
può rinvenire solo allorquando sussista tra più atti
successivi un contrasto inconciliabile tale da far sorgere
dubbi su quale sia l’effettiva volontà dell’amministrazione,
mentre non sussiste quando si tratti di provvedimenti che,
pur riguardanti lo stesso oggetto, siano adottati all’esito
di procedimenti indipendenti o, comunque, qualora si tratti
di due diversi atti che, ancorché inerenti al medesimo
oggetto, provengano da uffici diversi e non entrambi
competenti a provvedere o siano espressione di poteri
differenti o –ancora– allorquando il nuovo provvedimento
dell’Amministrazione, diverso da quello pregresso, sia stata
adottata alla stregua di presupposti in parte differenti
concretatisi “medio tempore”.
La contraddittorietà tra gli atti del procedimento, figura
sintomatica dell’eccesso di potere, si può rinvenire solo
allorquando sussista tra più atti successivi un contrasto
inconciliabile tale da far sorgere dubbi su quale sia
l’effettiva volontà dell’amministrazione, mentre non
sussiste quando si tratti di provvedimenti che, pur
riguardanti lo stesso oggetto, siano adottati all’esito di
procedimenti indipendenti (Cons. Stato, Sez. V, 05.09.2011 n. 4982) o, comunque, qualora si tratti di due diversi
atti che, ancorché inerenti al medesimo oggetto, provengano
da uffici diversi e non entrambi competenti a provvedere o
siano espressione di poteri differenti (Cons. Stato, Sez. V,
13.11.1995 n. 1558) o –ancora– allorquando il nuovo
provvedimento dell’Amministrazione, diverso da quello
pregresso, sia stata adottata alla stregua di presupposti in
parte differenti concretatisi “medio tempore” (Cons. Stato,
Sez. V, 20.06.1987 n. 403) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.02.2013 n. 1023 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il Collegio non vede
ostacoli giuridici a che l’Ufficio preposto al rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica (il nulla-osta) possa
prevedere sia che limitate varianti siano oggetto di
successiva autorizzazione sia che questa possa essere
rilasciata nella semplice forma del visto apposto sugli
elaborati grafici che detta modifica propongano; il ricorso
a questa seconda forma, infatti, non indica “ex se” una
riduzione dell’intensità del controllo sul rispetto del
vincolo ma integra semplicemente uno snellimento del
procedimento in caso di modifiche che, per la loro
assolutamente modesta entità, la discrezionalità
amministrativa non ritiene giustifichino una nuova e
complessiva valutazione di compatibilità dell’intervento.
Tantomeno lo snellimento procedurale indica una sostanziale
soppressione, od un aggiramento, quanto meno nella fase del
procedimento che prevede l’invio del nulla osta alla
Sovrintendenza; occorre infatti tenere presente che la
clausola che permette la modifica successiva al rilascio è
contenuta nell’autorizzazione formale che viene inviata alla
Sovrintendenza, la quale è posta in grado quindi di valutare
entità e legittimità della clausola stessa.
---------------
Il vincolo paesaggistico non persegue la tutela della
visuale in godimento ai proprietari limitrofi alla singola
costruzione “sub iudice” (profilo questo tutelato da tutte
le altre disposizioni urbanistiche e civilistiche), bensì
protegge il paesaggio quale interesse pubblico alla tutela
della bellezza dei luoghi nel loro insieme quindi rispetto
la sua fruibilità visiva da parte della collettività;
pertanto il suo scopo precipuo è quello di verificare se
l’entità delle opere sia tale da arrecare pregiudizio al
bene protetto complessivamente considerato, che non coincide
quindi con il bene del singolo proprietario.
Le tesi dell’appellante non possono essere condivise, per le ragioni che
seguono.
a)- In primo luogo, sotto l’aspetto formale, il Collegio non
vede ostacoli giuridici a che l’Ufficio preposto al rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica (il nulla-osta) possa
prevedere sia che limitate varianti siano oggetto di
successiva autorizzazione sia che questa possa essere
rilasciata nella semplice forma del visto apposto sugli
elaborati grafici che detta modifica propongano; il ricorso
a questa seconda forma, infatti, non indica “ex se” una
riduzione dell’intensità del controllo sul rispetto del
vincolo ma integra semplicemente uno snellimento del
procedimento in caso di modifiche che, per la loro
assolutamente modesta entità, la discrezionalità
amministrativa non ritiene giustifichino una nuova e
complessiva valutazione di compatibilità dell’intervento.
Tantomeno lo snellimento procedurale indica una sostanziale
soppressione, od un aggiramento, quanto meno nella fase del
procedimento che prevede l’invio del nulla osta alla
Sovrintendenza (tesi che si sviluppa a punto 20 della
memoria); occorre infatti tenere presente che la clausola
che permette la modifica successiva al rilascio è contenuta
nell’autorizzazione formale che viene inviata alla
Sovrintendenza, la quale è posta in grado quindi di valutare
entità e legittimità della clausola stessa.
b)– Sotto l’aspetto sostanziale, poi, l’appellante propone
un’errata ricostruzione delle finalità del vincolo
paesaggistico, poiché, come affermato da copiosa
giurisprudenza, esso non persegue la tutela della visuale in
godimento ai proprietari limitrofi alla singola costruzione
“sub iudice” (profilo questo tutelato da tutte le altre
disposizioni urbanistiche e civilistiche), bensì protegge il
paesaggio quale interesse pubblico alla tutela della
bellezza dei luoghi nel loro insieme (Cons. Stato, VI Sez.,
n. 106/1998) quindi rispetto la sua fruibilità visiva da
parte della collettività; pertanto il suo scopo precipuo è
quello di verificare se l’entità delle opere sia tale da
arrecare pregiudizio al bene protetto complessivamente
considerato, che non coincide quindi con il bene del singolo
proprietario.
Ciò premesso, risulta pienamente conforme a
queste finalità il procedimento nella specie contestato nel
quale l’Amministrazione, nella sua discrezionalità tecnica,
ha ritenuto non irrazionale autorizzare, perché non
incidenti sul complessivo valore paesaggistico, le altezze
edilizie in questione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.02.212 n. 1022 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Onorari
avvocato in base al valore reale della causa.
Ai fini della liquidazione degli onorari di un avvocato, la
determinazione del valore della causa va compiuta avendo
riguardo alla somma effettivamente corrisposta e non a
quella originariamente richiesta: per i giudici della III
Sez. civile della Corte di Cassazione nell'ipotesi in cui la lite si sia conclusa
con una transazione, a nulla rileva che il pagamento sia a
carico del cliente o dell'avversario «poiché per la
sussistenza delle reciproche concessioni ciascuna parte non
è né vincitrice né perdente».
È vero –si legge nella
sentenza
14.02.2013 n. 3660– che secondo
quanto stabilito dalla legge 794/1942 esiste «una netta
distinzione tra la posizione della “parte soccombente» e
quella “del cliente”» rafforzata dal richiamo contenuto
nell'art. 5; ma tale principio troverebbe un ulteriore
condizionamento nella posizione processuale che le parti
assumono all'esito dell'emanazione di un provvedimento
decisorio (es.: una sentenza). Nel caso di specie, invece,
vi era stata una transazione per cui non era dato
individuare né un vincitore né un soccombente.
Nel rigettare il ricorso presentato dal legale, secondo il
quale il parametro di riferimento per la liquidazione delle
spettanze professionali andava calcolato sulla base di
quanto richiesto al momento della domanda e non di quello,
successivo, dell'intervenuta transazione, gli ermellini
hanno, dunque, chiarito che «il principio generale secondo
cui il valore della causa si determina in base alle norme
del codice di procedura civile avendo riguardo all'oggetto
della domanda considerato al momento iniziale della lite
trova un limite alla sua applicabilità nei casi in cui, al
momento dell'instaurazione del giudizio, non sia possibile
indicare il quantum –ciò verificandosi, in genere, nelle
controversie per risarcimento danni, ove, il più delle
volte, la domanda di condanna è formulata con riserva di
quantificazione in corso di giudizio–, rendendosi in tale
ipotesi, ai fini de quibus, il riferimento al valore
definito e, quindi, al quantum stabilito dalle parti in
altro modo –eventualmente come nella specie con transazione–
sicché in definitiva il valore della causa viene ad essere
determinato sulla base del predetto importo»
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Modifica della destinazione d'uso e momento consumativo del reato urbanistico.
Nei casi in cui si proceda al mutamento di destinazione
d'uso di un immobile mediante l'esecuzione di opere il cui
scopo è quello di renderlo utilizzabile per finalità diverse
da quelle originarie, la trasformazione dovrà ritenersi
ultimata con il completamento delle opere medesime, quando,
cioè, l’uso del manufatto secondo la nuova destinazione sia
effettivamente possibile (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.02.2013 n. 6298 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Violazioni antisismiche e responsabilità
dell'esecutore dei lavori.
Anche il titolare della ditta chiamata ad eseguire opere
edilizie in zone sismiche, in quanto destinatario diretto
del divieto di esecuzione dei lavori in assenza
dell'autorizzazione e in violazione delle prescrizioni
tecniche, può commettere il reato di cui all'art. 93 d.P.R.
380/2001 (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 08.02.2013 n. 6282
- tratto da www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Acque. Differenza tra acque reflue domestiche ed industriali.
La definizione di acque reflue domestiche, contenuta
nell'art. 74, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 152 del
2006, quali acque provenienti da insediamenti di tipo
residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal
metabolismo umano e da attività domestiche, è tale da non
ricomprendere (ai sensi del successivo art. 101, comma 7,
lettera e) le acque reflue non aventi caratteristiche
qualitative equivalenti a quelle domestiche.
In particolare,
la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di
discrimine tra la tutela punitiva di tipo amministrativo e
quella strettamente penale: nel caso in cui lo scarico
abusivo abbia ad oggetto acque reflue domestiche, potrà
configurarsi l'illecito amministrativo, ex d.lgs. n. 156 del
2006, art. 133, comma 2; mentre si avrà il reato di cui
all'art. 137, comma 1, del richiamato decreto, qualora lo
scarico riguardi acque reflue industriali, definite
dall'art. 74, lettera h), come qualsiasi tipo di acque
reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si
svolgono attività commerciali o di produzione di beni,
differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e
da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali
anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali,
anche inquinanti.
Pertanto nella nozione di acque reflue industriali
rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non
attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed
alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza
umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone; con
la conseguenza che sono da considerare scarichi industriali,
oltre ai reflui provenienti da attività di produzione
industriale vera e propria, anche quelli provenienti da
insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di
prestazioni di servizi, quando le caratteristiche
qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque
domestiche, come nel caso delle acque reflue provenienti da
laboratori diretti alla produzione di alimenti (Corte
di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 31.01.2013 n. 4844 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Determinazione dell'appartenenza di una strada
al demanio comunale.
Al fine di determinare l'appartenenza di una strada al
demanio comunale, costituiscono indici di riferimento, oltre
che l’uso pubblico, cioè l’uso da parte di un numero
indeterminato di persone (il quale, isolatamente
considerato, potrebbe essere indicativo soltanto di una
servitù di passaggio), le risultanze delle mappe catastali,
la ubicazione della strada all'interno dei luoghi abitati
(tenuto conto che, in base all'art. 16, lett. b, della legge
20.03.1985, n. 2248, allegato F, si presumono comunali le
strade site all'interno dei centri abitati), l’attività di
manutenzione effettuata dall’ente, i comportamenti tenuti
dalla pubblica amministrazione che presuppongano la natura
pubblica della strada e l'assoggettamento dei cittadini alle
prassi determinate da tali comportamenti.
Alla inclusione o,
rispettivamente, alla mancata inclusione della strada
nell’elenco delle strade comunali (già previsto dall’art. 8
della legge n. 126 del 1958) deve riconoscersi mero valore
dichiarativo e ricognitivo, ma non costitutivo della
proprietà del suolo da parte dell'ente locale. Si tratta,
perciò, di circostanze che non possono ritenersi decisive
per affermare o escludere la natura pubblica e, nonostante
il difetto dell'iscrizione, l'appartenenza di una strada al
demanio comunale ben può essere desunta da altri elementi
presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e
concordanza prescritti dall'art. 2729 cod. civ. (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.01.2013 n. 4145 -
tratto da www.lexambiente.it). |
URBANISTICA: Lottizzazione abusiva e realizzazione di case
mobili.
Configura un'ipotesi di lottizzazione abusiva la
realizzazione, in un campeggio, di manufatti attrezzati con
servizi igienici, muniti di ruote e di un sistema di
aggancio per il traino ma privi di targhe e di luci di
posizione che ne impediscono la circolazione su strada ed a
tale circolazione non siano omologati e che risultano
collegati ai servizi già esistenti nel campeggio (rete
idrica, fognaria ed elettrica) attraverso la nuova plurima
realizzazione di tubature in PVC e pozzetti interrati,
nonché stabilizzati mediante posizionamento su basamenti di
cemento, in modo da lasciare sollevate le ruote, con
addossate verande di legno oppure pavimentazioni di
mattonelle autobloccanti (Corte
di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.01.2013 n. 4129 -
tratto da www.lexambiente.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO: La
rilevazione di presenze non tocchi il legale.
È illegittima la delibera con la quale un Comune ha disposto
la rilevazione automatica delle presenze anche per i
dipendenti avvocati.
Lo ha confermato il TAR Campania-Napoli, Sez. V, con la
sentenza 24.01.2013 n. 547.
La controversia verte sul ricorso di un dipendente a tempo
indeterminato presso il comune di Nola, con il profilo di
«Avvocato», con il quale era stato chiesto l'annullamento
della delibera che gli aveva imposto l'obbligo dell'utilizzo
del cd. «badge» per la rilevazione delle sue presenze in
ufficio.
Il ricorrente ritiene che, considerato il suo specifico
profilo professionale, non era tenuto alla rilevazione
automatica e, in ogni caso, in conformità al sistema in uso
alle Avvocature pubbliche, annotava le proprie presenze in
un apposito registro.
Il Tar accoglie il ricorso.
Secondo il Collegio, infatti, un tale strumento di
rilevamento delle presenze finirebbe per limitare i profili
di autonomia professionale e di indipendenza che vanno
invece riconosciuti alla figura professionale dell'avvocato.
Inoltre, l'avvocato di un ente pubblico, per intuibili
ragioni connesse alle esigenze di patrocinio, è spesso
costretto ad assentarsi dal posto di lavoro per raggiungere
le sedi giudiziarie dove pendono le controversie in cui è
parte l'ufficio da lui rappresentato ed è evidente quanto
tale necessaria mobilità sia in contrasto con gli obblighi,
ma anche con le formalità ed i tempi legati ad un
obbligatorio utilizzo del badge.
Il Tribunale riconosce quindi un'incompatibilità logica e
strutturale fra le mansioni implicate dal profilo
professionale affidatogli e il sistema automatico di
rilevazione fondato sul c.d. «badge».
A confortare questa tesi dei giudici campani, interviene una
precedente pronuncia (Tar Napoli Campania sez.
II 04.12.1996 n. 560), secondo cui: «Il provvedimento col
quale l'Inps dispone che anche i dipendenti appartenenti al
ruolo legale soggiacciano alle medesime procedure di
rilevazione automatica delle presenze vigenti per il
restante personale, è da considerarsi illegittimo perché il
lavoro esterno che in talune occasioni può essere richiesto
al detto personale, non può giustificare metodi di
accertamento del rispetto dell'orario di servizio differenti»
(articolo ItaliaOggi del
28.02.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Discarica abusiva ed elemento soggettivo del reato.
Ai fini della configurabilità dei reato di gestione abusiva
di una discarica è sufficiente la colpa, consistente in una
negligente condotta omissiva, ovvero il non aver verificato
le condizioni del luogo di deposito dei rifiuti (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.01.2013 n. 3430 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Esclusione della natura pertinenziale di un
porticato.
Non possono essere considerate opere pertinenziali quelle
che concorrono a integrare l’edificio principale e risultano
per questo prive di autonomia, con la conseguenza che la
realizzazione di un porticato, al pari della realizzazione
di una tettoia che completi un lastrico, divengono elementi
complementari che accrescono la superficie utile
dell'edificio e la sua fruibilità (Corte
di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.01.2013 n. 2752 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Nuove
costruzioni. L'orientamento dei tribunali amministrativi
supera quello del Consiglio di Stato che aveva bocciato
qualsiasi tipo di edificazione
Il Tar apre alla sanatoria dei volumi tecnici.
I giudici di Puglia e Umbria dicono sì alla regolarizzazione
a titolo di abuso minore in zona paesaggistica.
La realizzazione di volumi tecnici può ottenere
l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
È quanto
affermato dalla III Sez. del TAR Puglia-Bari,
con la
sentenza 11.01.2013 n. 35.
Davanti ai
giudici pugliesi era stato impugnato un diniego di permesso
di costruire in sanatoria di un locale realizzato sulla
copertura dell'edificio e destinato a ospitare impianti
tecnologici. Poiché il fabbricato ricadeva in area
assoggettata a vincolo paesistico, il Comune –pur ritenendo
sanabile l'abuso sotto il profilo edilizio– si era però
dovuto adeguare al parere obbligatorio della Soprintendenza,
che si era espressa in termini negativi, così precludendo
l'assenso all'accertamento di conformità.
Il ricorrente ha quindi denunciato la violazione
dell'articolo 167 del Dlgs 42/2004, nella sua attuale
formulazione, in base al quale tra gli interventi per cui è
ammessa la sanatoria paesaggistica vi sono «i lavori,
realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione
paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di
superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati». Il diniego della Soprintendenza,
e quello conseguente del Comune, dovevano ritenersi
illegittimi perché il locale in questione, in quanto
destinato a ospitare impianti tecnologici, aveva natura di
vano tecnico e non determinava aumento di cubatura, né di
superficie utile. Inoltre il vano non comportava neanche un
incremento del carico urbanistico, per le sue ridotte
dimensioni e il rapporto di pertinenzialità con il
sottostante bene principale.
Il Tar Puglia ha accolto l'impugnativa, evidenziando come la
questione fosse quella di stabilire se la realizzazione di
un vano tecnico possa o meno rientrare tra i cosiddetti
abusi minori per i quali è ammissibile la sanatoria ai sensi
del combinato disposto dell'articolo 146, comma 4, con gli
articoli 167, comma 4, e 181, comma 1-ter, del Dlgs 42/2004,
che disciplinano, rispettivamente, le sanzioni
amministrative e quelle penali. Ciò in quanto
l'autorizzazione paesaggistica ex post costituisce atto
presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri
titoli, compresi quelli in sanatoria.
Se si interpreta la norma in modo "teleologico", cioè
prestando attenzione alla sua finalità complessiva,spiega la
sentenza, si capisce come la «creazione di superfici utili o
volumi», nonostante la congiunzione "o", esprima «un
concetto unitario con due termini coordinati». La pronuncia
ritiene pertanto che il divieto di autorizzazione paesistica
in sanatoria riguardi i soli interventi che abbiano
contestualmente determinato la realizzazione di nuove
superfici utili e di nuovi volumi, ma che, al contrario,
«siano suscettibili di accertamento della compatibilità
paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi
tecnici».
La decisione conferma un orientamento già recentemente
espresso dalla stessa sezione (30.10.2012, n. 1859) in
piena sintonia con quello elaborato dal Tar Campania,
sezione di Napoli, sin dalla sentenza del 03.04.2009, n.
1748, riferita alla costruzione di un torrino ascensore
posto sul lastrico solare di un edificio, e poi ribadito con
le pronunce 15.12.2010, n. 27380 e 01.09.2011,
n. 4263.
Nello stesso senso si è espresso anche il Tar Umbria, con la
sentenza 46 del 29 gennaio scorso, rilevando che «per
costante orientamento giurisprudenziale il divieto di
autorizzazione paesaggistica in sanatoria non opera per i
volumi tecnici e, quindi, con riferimento a interventi
destinati a operare il solo adeguamento funzionale
dell'edificio e, ciò, senza che vengano realizzati manufatti
suscettibili di essere abitabili o di un'autonoma
destinazione, non funzionale al complesso nell'ambito del
quale incidono».
Per il consolidamento di questo filone interpretativo
bisogna tuttavia attendere eventuali pronunce d'appello.
Esiste infatti anche una difforme decisione del Consiglio di
Stato (Sezione IV, 28.03.2011, n. 1879). Quest'ultimo,
pure riferendosi ad un diverso e più significativo
intervento edificatorio, ha affermato che il divieto di
incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela
del paesaggio precluderebbe qualsiasi nuova edificazione
comportante creazione di volume, senza che «sia possibile
distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume,
costituendo opera valutabile anche come aumento di volume la
realizzazione di un garage interrato con accesso all'esterno
tramite rampa in zona sottoposta a vincolo paesaggistico».
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Le pronunce
01 | IL LOCALE DI SERVIZIO
In tema di distanze legali tra fabbricati, integra la
nozione di "volume tecnico", non computabile nella
volumetria della costruzione, solo l'opera edilizia priva di
alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto
destinata a contenere impianti serventi -quali quelli
connessi alla condotta idrica, termica o all'ascensore- di
una costruzione principale per esigenze tecnico funzionali
dell'abitazione e che non possono essere ubicati nella
stessa, e non anche quella che costituisce -come il vano
scale- parte integrante del fabbricato - Cassazione civile, sezione II, n. 2566/2011
02 | GLI IMPIANTI TECNICI
Al fine dell'osservanza dei limiti massimi di volumetria dei
fabbricati i "volumi tecnici" che vanno esclusi
dal relativo computo, sono soltanto quelli indispensabili a
contenere gli impianti tecnici dell'edificio e non anche
quelli che assolvano ad una funzione diversa, sia pur
necessaria al godimento dell'edificio stesso e delle sue
singole porzioni di proprietà individuale -
Cassazione civile, sezione II, n. 2566/2011
03 | LE MANSARDE
Sono volumi tecnici soltanto quelli la cui funzione è
necessaria e strumentale per la utilizzazione dell'immobile
e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto
non sono tali, e sono computabili quindi ai fini della
volumetria consentita le soffitte, gli stenditoi chiusi e
quelli di sgombero; e non è volume tecnico neppure un piano
di copertura, definito impropriamente sottotetto, se
costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di gronda -
Consiglio di Stato, sezione IV, n. 678/2011
04 | IL VANO SCALE
La nozione di volume tecnico, non computabile nel calcolo
della volumetria massima consentita, può essere applicata
solo con riferimento ad opere edilizie completamente prive
di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in
quanto destinate a contenere impianti serventi di una
costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa, cioè gli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione che non possono essere ubicati
all'interno di questa (come, ad esempio, la condotta idrica
e termica, l'ascensore e così via): resta dunque estraneo
a tale nozione il volume del vano scale -
Consiglio di Stato, sezione IV, n. 2565/2010
05 | IL PICCOLO ARMADIO
L'armadio di contenimento di limitata consistenza
strutturale (pianta di base di mq cinque e altezza di mt. 1,75)
destinato ad ospitare impianti tecnologici al servizio
dell'antenna di telecomunicazione va ricondotto nella
nozione di volume tecnico, che, per la mancanza di
utilizzazione abitative o similari, è ritenuto in
giurisprudenza inidoneo ad introdurre un impatto sul
territorio eccedente la costruzione principale e, quindi,
ininfluente ai fini del calcolo degli indici di
fabbricabilità -
Consiglio di Stato, sezione VI, n. 3227/2006
06 | LE SERRE E LE LOGGE
Costituiscono volumi tecnici -non rientranti nel conteggio
dell'indice edificatorio in quanto non sono generatori del
cosiddetto carico urbanistico- solo quelli adibiti alla
sistemazione di impianti (ad esempio riscaldamento,
ascensore o, come previsto dall'articolo 4 della legge
Regione Lombardia n. 39/2004, le serre bioclimatiche e le
logge addossate od integrate nell'edificio, opportunamente
chiuse e trasformate per essere utilizzate come serre per lo
sfruttamento dell'energia solare passiva) aventi un rapporto
di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione
e che non possono essere ubicati all'interno della parte
abitativa. Pertanto non può esistere volume tecnico laddove,
come nel caso in esame, si tratti di vani che presentano
tutte le caratteristiche per essere adibiti ad abitazione -
Tar Lombardia-Brescia, sezione I, 11.02.2010,
n. 712
07 | PAESAGGIO E VINCOLI
Il divieto di incremento
dei volumi esistenti,
imposto ai fini di tutela
del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione
comportante creazione
di volume, senza che sia possibile distinguere
tra volume tecnico
ed altro tipo di volume, costituendo opera valutabile anche
come aumento
di volume la realizzazione
di un garage interrato con accesso all'esterno tramite rampa
in zona sottoposta a vincolo paesaggistico -
Consiglio di Stato, sezione IV, n. 1879/2011
08 | LA SANATORIA
L'istituto dell'accertamento
di conformità, disciplinato dagli articoli 36 e 45 Tu 06.06.2001 n. 380, può eccezionalmente trovare applicazione
anche in caso
di opere eseguite su aree soggette a vincolo paesaggistico,
ma in tal caso
il rilascio del permesso di costruire in sanatoria rimane
comunque subordinato al rilascio dell'autorizzazione
paesaggistica ex articolo 146 Dlgs 22.01.2004 n. 42 che
deve normalmente intervenire prima dell'inizio dei lavori:
conseguentemente l'articolo 146, 12º comma, ha limitato la
possibilità dell'acquisizione dell'autorizzazione "in
sanatoria" alle sole ipotesi di cui al 4º e 5º comma
dell'articolo 167, escludendo che ciò possa avvenire nel
caso in cui siano stati illegittimamente realizzati nuovi
volumi -
Tar Lombardia, sezione IV,
n. 1762/2009
(articolo Il Sole 24 Ore del
25.02.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La questione centrale
posta dall’odierno ricorso è stabilire se la realizzazione
di un vano tecnico possa rientrare tra i cosiddetti “abusi
minori” per i quali è ammissibile la relativa sanatoria ai
sensi del combinato disposto degli artt. 146, comma 4 e 167,
comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004, e dell’art.
181, comma 1-ter, avente lo stesso contenuto del citato art.
167, comma 4, articoli questi ultimi disciplinanti,
rispettivamente, le sanzioni amministrative e le sanzioni
penali.
In punto di diritto l’art. 146, comma 4, del decreto
legislativo n. 42 del 2004 esclude dal divieto di rilasciare
ex post l’autorizzazione paesaggistica -che, sempre ai sensi
dell’art. 146, comma 4, costituisce atto presupposto
rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli
legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio, ivi compresi
quelli in sanatoria- i casi previsti dall’articolo 167,
comma 4, del medesimo decreto legislativo n. 42 del 2004 e
costituiti oltre che dall’impiego di materiali in difformità
dall’autorizzazione paesaggistica e dai lavori comunque
configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o
straordinaria proprio dai “lavori, realizzati in assenza o
difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non
abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi
ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Al riguardo il Collegio ritiene che l’interpretazione
teleologica induce inevitabilmente a ritenere che,
nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella
frase “che non abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici
utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una
modalità di esprimere un concetto unitario con due termini
coordinati (cfr. in senso conforme TAR Campania Napoli,
Sezione VII, 01.09.2011).
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni
al divieto di rilasciare l'autorizzazione paesistica in
sanatoria (previste dall'articolo 167, comma 4, del decreto
legislativo n. 42 del 2004) in coerenza con la ratio
dell'introduzione di tale divieto, induce il Collegio a
ritenere, confermando l’orientamento di questa Sezione dal
quale non si ha motivo di discostarsi che esulino dalla
eccezione prevista dall'articolo 167, comma 4, lettera a),
gli interventi che abbiano contestualmente determinato la
realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e
che, di converso, siano suscettibili di accertamento della
compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi
interrati ed i volumi tecnici atteso che i volumi tecnici,
proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono,
trattandosi di opera priva di autonoma rilevanza
urbanistico-funzionale che non risultano particolarmente
pregiudizievole per il territorio, sono inidonei ad
introdurre un impatto sul territorio eccedente la
costruzione principale.
Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
Coglie nel segno l’unico motivo di ricorso con il quale il
sig. P. ha dedotto la violazione e falsa applicazione
dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, come sostituito
dall’art. 1, comma 36, della legge n. 308 del 2004; parte
ricorrente sostiene che, ai sensi della suddetta
disposizione normativa, tra gli interventi per i quali
sarebbe ammessa la sanatoria paesaggistica vi sarebbero “i
lavori, realizzati in assenza o difformità
dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero
aumento di quelli legittimamente realizzati”; inoltre,
considerato che la realizzazione della copertura a tetto
sarebbe espressamente prevista e disciplinata dall’art. 79
del regolamento comunale, che il locale per cui è causa
sarebbe destinato a vano tecnico, come ritenuto dallo stesso
Comune, attese le ridotte dimensioni ed il rapporto di
pertinenzialità con il bene sottostante principale, sarebbe
da escludere l’incremento di carico urbanistico; il vano
creato, essendo destinato ad ospitare gli impianti
tecnologici, sarebbe infatti un vano tecnico e la sua
realizzazione non inciderebbe dunque né sulla cubatura, né
sulla superficie utile.
Il motivo è fondato.
Premesso che nella fattispecie oggetto di gravame è pacifico
in atti che l’intervento abusivo consiste in un “vano
tecnologico”, in quanto espressamente riconosciuto come
tale anche dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e
per il Paesaggio per le Province di Bari e Foggia nella
relazione illustrativa prot. n. 5212 del 10.07.2008,
depositata in giudizio dall’Avvocatura Distrettuale dello
Stato in data 16.07.2008, la questione centrale posta
dall’odierno ricorso è stabilire se la realizzazione di un
vano tecnico possa rientrare tra i cosiddetti “abusi
minori” per i quali è ammissibile la relativa sanatoria
ai sensi del combinato disposto degli artt. 146, comma 4 e
167, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004, e
dell’art. 181, comma 1-ter, avente lo stesso contenuto del
citato art. 167, comma 4, articoli questi ultimi
disciplinanti, rispettivamente, le sanzioni amministrative e
le sanzioni penali.
In punto di diritto l’art. 146, comma 4, del decreto
legislativo n. 42 del 2004 esclude dal divieto di rilasciare
ex post l’autorizzazione paesaggistica -che, sempre
ai sensi dell’art. 146, comma 4, costituisce atto
presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri
titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio, ivi
compresi quelli in sanatoria- i casi previsti dall’articolo
167, comma 4, del medesimo decreto legislativo n. 42 del
2004 e costituiti oltre che dall’impiego di materiali in
difformità dall’autorizzazione paesaggistica e dai lavori
comunque configurabili quali interventi di manutenzione
ordinaria o straordinaria proprio dai “lavori, realizzati
in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica,
che non abbiano determinato creazione di superfici utili o
volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Al riguardo il Collegio ritiene che l’interpretazione
teleologica induce inevitabilmente a ritenere che,
nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella
frase “che non abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove
superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi,
ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due
termini coordinati (cfr. in senso conforme TAR Campania
Napoli, Sezione VII, 01.09.2011).
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni
al divieto di rilasciare l'autorizzazione paesistica in
sanatoria (previste dall'articolo 167, comma 4, del decreto
legislativo n. 42 del 2004) in coerenza con la ratio
dell'introduzione di tale divieto, induce il Collegio a
ritenere, confermando l’orientamento di questa Sezione dal
quale non si ha motivo di discostarsi (cfr. TAR Bari,
Sezione III, 30.10.2012, n. 1859) che esulino dalla
eccezione prevista dall'articolo 167, comma 4, lettera a),
gli interventi che abbiano contestualmente determinato la
realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e
che, di converso, siano suscettibili di accertamento della
compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi
interrati ed i volumi tecnici atteso che i volumi tecnici,
proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono,
trattandosi di opera priva di autonoma rilevanza
urbanistico-funzionale che non risultano particolarmente
pregiudizievole per il territorio, sono inidonei ad
introdurre un impatto sul territorio eccedente la
costruzione principale (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VII,
15.12.2010, n. 27380).
Alla luce di quanto sopra esposto, passando ad analizzare la
fattispecie oggetto di gravame, il Collegio, considerato che
l’intervento abusivo consiste in un “vano tecnologico”,
ritiene che esso sia astrattamente sanabile ai sensi
dell’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42
del 2004; che conseguentemente la Soprintendenza avrebbe
dovuto esprimere il giudizio di sua competenza valutando
l’effettiva incidenza dell’opera assentita dall’organo
comunale sui valori paesaggistici.
Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve
essere accolto e, conseguentemente, devono essere annullati
i provvedimenti impugnati (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 11.01.2013 n. 35 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Anche l'ascensore rientra tra gli impianti «liberi». Palazzo
Spada. Niente permesso di costruire né distanze legali.
Sulla natura giuridica degli ascensori, sulla possibilità di
considerarli nuova costruzione e sui titoli abilitativi
necessari si è espressa la quarta Sezione del Consiglio di
Stato, con la
sentenza 05.12.2012 n. 6253.
La vicenda concerne l'installazione di un ascensore
all'esterno di un immobile per agevolare l'accesso e la
mobilità di familiari disabili. In primo grado era stato
impugnato il diniego di permesso di costruire, opposto agli
interessati dal Comune, secondo cui l'intervento doveva
ritenersi precluso in forza delle previsioni dell'articolo
79, comma 2, del Dpr 380/2001. Tale norma, infatti, pur
consentendo opere per eliminare le barriere architettoniche
in deroga alle norme sulle distanze contenute nei
regolamenti edilizi, fa comunque «salvo l'obbligo di
rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del
codice civile nell'ipotesi in cui tra le opere da realizzare
e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o
alcuna area di proprietà o di uso comune».
Il Tar aveva respinto il ricorso sulla base di tre
considerazioni. Innanzitutto che la tutela della salute e
della vita di relazione dei portatori di handicap non è
incondizionata, ma può subire limitazioni per la tutela di
valori di pari rilevanza, quale la proprietà privata; in
secondo luogo che l'articolo 79, pur considerando prevalenti
le ragioni del portatore di handicap su altri interessi
contrastanti dei soggetti residenti nel medesimo edificio,
non riconosce analoga prevalenza rispetto al diritto alla
salute tutelato attraverso l'articolo 873 del codice civile
la cui ratio è quella di evitare la creazione di
intercapedini dannose o pericolose. Infine, l'ascensore si
sarebbe trovato ad una distanza inferiore a quella minima di
tre metri rispetto al fabbricato confinante.
Il Consiglio di Stato ha però riformato la sentenza di primo
grado, facendo proprio lo specifico orientamento della
Cassazione (sezione II, n. 2566/2011), secondo cui
«l'impianto di ascensore...rientra fra i volumi tecnici o
impianti tecnologici strumentali alle esigenze
tecnico-funzionali dell'immobile». Ne consegue
«l'inapplicabilità all'ascensore delle disposizioni in tema
di distanze legali».
Inoltre, con riferimento al caso concreto, la sentenza
osserva come nell'applicare la deroga al rispetto delle
distanze, l'articolo 79 vada letto in correlazione alla
complessiva disciplina sull'eliminazione delle barriere
architettoniche per i soggetti portatori di handicap e in
particolare al Dm 236/1989. L'articolo 2 del decreto,
infatti, qualifica come spazio esterno «l'insieme degli
spazi aperti, anche se coperti, di pertinenza dell'edificio
o di più edifici» e come parti comuni dell'edificio «quelle
unità ambientali che servono o che connettono funzionalmente
più unità immobiliari». Da qui risulta chiaro come il
legislatore, nel far riferimento a spazi o aree «di
proprietà o di uso comune», abbia inteso richiamare non
solo l'esistenza di una comproprietà o di una servitù di uso
comune, ma anche l'esistenza di uno spazio comunque
denominato impiegato dai residenti di entrambi gli immobili
confinanti.
Nel caso in esame il cortile fra i due immobili nel quale
doveva insistere l'ascensore, pur non essendo in
comproprietà fra i due condomini, risultava utilizzato dai
residenti di entrambi gli immobili, dal che deriva
l'illegittimità dell'atto impugnato e l'erroneità della
decisione del Tar
(articolo Il Sole 24 Ore del
25.02.2013). |
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